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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 600 di venerdì 1 aprile 2016

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI

  La seduta comincia alle 9,30.

  PRESIDENTE. La seduta è aperta.
  Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

  ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretaria, legge il processo verbale della seduta di ieri.

  PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, il deputato Alli è in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente novantacinque, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Svolgimento di interpellanze urgenti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Chiarimenti in ordine all'attuazione del protocollo d'intesa siglato tra il Ministero della giustizia e il comune di Roma Capitale volto a destinare alcuni immobili all'accoglienza di madri detenute con figli – n. 2-01325)

  PRESIDENTE. Passiamo alla prima interpellanza urgente all'ordine del giorno Brunetta ed altri n. 2-01325, concernente chiarimenti in ordine all'attuazione del protocollo d'intesa siglato tra il Ministero della giustizia e il comune di Roma Capitale volto a destinare alcuni immobili all'accoglienza di madri detenute con figli (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo al presidente Brunetta se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica. Ha quindici minuti.

  RENATO BRUNETTA. Signor Presidente, signori membri del Governo, sono costretto purtroppo ad intervenire, stigmatizzando il comportamento inaccettabile del Governo, verificatosi in merito alla discussione di questa interpellanza. L'atto di sindacato ispettivo, presentato da ben trenta deputati del gruppo che ho l'onore di rappresentare in questo ramo del Parlamento, è stato correttamente indirizzato al Ministero della giustizia, direttamente coinvolto nelle vicende riportate. Nel pomeriggio di ieri, gli uffici avevano comunicato la presenza oggi in Aula del sottosegretario Gennaro Migliore, che avrebbe, quindi, fornito al sottoscritto gli elementi richiesti dall'interpellanza; ma, nella serata di ieri, alle ore 20,30, gli uffici hanno comunicato un improvviso impegno istituzionale del sottosegretario Migliore, oltre Pag. 2ad un diverso ordine nella discussione degli atti. Sono stato, inoltre, contattato, ieri sera, circa alle 21, da un funzionario dello stesso Ministero della Giustizia, peraltro un ufficiale dei Carabinieri molto gentile e molto corretto, che mi ha informato dell'impegno istituzionale del sottosegretario.
  Non sto a sottolineare a lei, signor Presidente, la irritualità della procedura. Quale può essere un impegno istituzionale superiore a quello di essere presente oggi in Parlamento da parte del sottosegretario Migliore ? Io trovo questo comportamento – che tra l'altro non è il primo, poi spiegherò, anche da parte del Ministero della giustizia – assolutamente inaccettabile e trovo che la giustificazione, ancorché gentilmente rappresentata da questo funzionario ieri sera alle ore 21 al sottoscritto, sia da considerarsi un'offesa al Parlamento. Mi chiedo, le chiedo, quale impegno istituzionale – e andrò fino in fondo – porta il sottosegretario Migliore a «snobbare», uso un termine giovanilistico, il Parlamento. Questo è inaccettabile, ed è inaccettabile tanto più che non è la prima volta che il Ministero di giustizia si comporta in questa maniera. Ricordo a me stesso, ma lei lo saprà meglio di me, signor Presidente, che il Ministero di grazia e giustizia è l'unico Ministero previsto dalla Costituzione, il Ministro guardasigilli, gli altri ministri sono degli optional, non lo è il Ministero di grazia e giustizia, che è l'unico Ministero previsto dalla Costituzione. Che ci sia così caos in questo Ministero duole, proprio per l'amore che riportiamo per il Parlamento, anche alla luce poi di quello che sta succedendo.
  Non vorrei poi che la designazione dell'ottimo sottosegretario Amendola, qui presente, del Ministero degli affari esteri, sia legata magari a una lettura veloce dell'oggetto della mia interpellanza urgente: Kenia, via Kenia. Signor sottosegretario, ma questo lo saprà, uso il sorriso, ovviamente è una via di Roma, non è Kenya, non è politica estera.
  Ebbene, oggi, signor Presidente, è qui il sottosegretario per gli affari esteri, onorevole Amendola, pronto a leggere una risposta del Ministero della giustizia. Con il massimo rispetto – lo dico, ovviamente, senza ironia – che nutro per il sottosegretario Amendola e per il Dicastero che rappresenta, non è accettabile che il Governo mostri una tale mancanza di rispetto per il Parlamento e per uno dei maggiori gruppi parlamentari di opposizione. Ripeto, non è la prima volta, infatti, che il Ministero interessato dagli atti di sindacato ispettivo non si presenta in Aula e lo comunica la sera prima, stravolgendo, tra l'altro, l'ordine di discussione. Purtroppo, a tal proposito, avevo già inviato una comunicazione, lo stesso 3 dicembre 2015, agli uffici della Camera, in occasione di un episodio analogo. La discussione di atti di sindacato ispettivo è una prerogativa particolarmente delicata per l'opposizione. Mi auguro che il Governo lo ricordi e che in futuro mostri più rispetto per questa Camera e per i diritti di chi non rappresenta la sua maggioranza.
  E adesso veniamo al merito: signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, l'incapacità, l'opacità e la mancanza di chiarezza hanno il potere di mettere in cattiva luce anche i più buoni propositi. Quanto è accaduto e sta accadendo nella vicenda delle case famiglia protette di via Kenia, a Roma, ne è l'ennesima conferma, con l'aggravante della bontà di un progetto, che, se avesse rispettato con trasparenza tutto l'iter necessario per la sua attuazione, sarebbe stato solamente da encomiare. Quello che si è verificato, invece, nel municipio IX della capitale è, purtroppo, tutto fuorché encomiabile.
  Il Tribunale di Roma, sezione per l'applicazione delle misure di prevenzione per la sicurezza e la pubblica moralità, con decreto del 17 settembre 2014, ha sequestrato due ville situate ai civici 70 e 72 di via Kenia e ha invitato l'Amministrazione capitolina dell'epoca ad esprimere un parere circa la destinazione a fini istituzionali o sociali degli immobili, al fine di poterli assegnare a Roma Capitale in comodato d'uso gratuito. Si Pag. 3ignorano nel dettaglio i motivi del sequestro, salvo i riferimenti vaghi a confisca alla mafia e/o alla criminalità organizzata e si ignora, tanto più, se tali edifici siano stati coinvolti in ipotesi di reato che ne consentissero l'immediata requisizione e utilizzo da parte dello Stato, senza dover attendere l'esito finale del procedimento ed eventuale confisca penale definitiva.
  Il sindaco di allora, il tanto discusso Ignazio Marino, attraverso deliberazione della Giunta capitolina, manifestò l'interesse per i due immobili in comodato d'uso gratuito, ai fini della destinazione sociale. Nelle premesse di tale delibera, viene suggerita la possibilità di adibire le ville a casa famiglia protetta per genitori detenuti con figli piccoli che possono beneficiare degli arresti domiciliari. Quattro giorni dopo la delibera, il magistrato assegna i due immobili al comune di Roma. Il 17 ottobre 2015 viene siglato un protocollo d'intesa tra comune di Roma, Fondazione Poste Insieme Onlus e il Ministero della Giustizia, Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, con il quale è stata concordata l'attivazione di un progetto sperimentale, che, in sostanza, prevede, per la villa di via Kenia 70, angolo via Algeria 11, la destinazione d'uso per la realizzazione di un'attività di accoglienza in favore di madri detenute con figli, e per l'immobile di via Kenia 72 la destinazione d'uso per una comunità di accoglienza in favore di minori sottoposti a provvedimenti della magistratura, sia nell'ambito civile che penale della giustizia.
  Ribadiamo – e lo dico con tutta l'intensità possibile che viene anche dalla mia storia personale, politica, culturale, personale e familiare – che, fatta salva l'estrema bontà del progetto di reinserimento sociale di queste categorie di detenuti, non possiamo non rilevare la totale inosservanza di altri parametri fondamentali per la corretta attuazione e riuscita dell'iniziativa.
  Punto primo: nessuno ha avvertito i residenti dell'intenzione di realizzare un simile progetto in ville situate all'interno del loro quartiere; nessun bando pubblico e nessuna gara indetti per avere solo la possibilità di presentare progetti sperimentali altrettanto buoni o addirittura migliori; tutto è stato fatto sotto banco, diciamo, in evidente spregio dei più basilari principi democratici e di correttezza.
  Tra l'altro, nel protocollo di intesa sopra citato sono stati previsti i vari adempimenti necessari per dare il via al progetto. Quindi, ribadito il vizio iniziale del protocollo, siglato da attori che ne hanno escluso a priori ed ingiustamente altri, segnaliamo che nemmeno gli obblighi previsti dal testo del protocollo hanno trovato attuazione. Nessuna menzione al Piano di zona per indicare le modalità per realizzare il coordinamento con gli organi periferici con le amministrazioni statali, con particolare riferimento all'amministrazione penitenziaria e della giustizia; nessuna specifica sul progetto sperimentale, sulla cui ideazione nulla si conosce; nessun coinvolgimento del municipio IX; nessun elemento preciso sul costo totale del progetto, ma solo una comunicazione generica di utenze a carico del comune e dello stanziamento, da parte di «Poste insieme» Onlus, di euro 150 mila per il 2016; un'ulteriore comunicazione riguardante il Dipartimento di amministrazione penitenziaria, che provvederà, tramite detenuti ammessi al lavoro esterno, alla pulizia e piccola manutenzione di case e giardino, ovviamente con il costo della traduzione, ed altro, in questo modo aggirando anche le leggi di bilancio, che prescrivono espressa indicazione della copertura di ogni nuova spesa; nessuna documentazione specifica relativa al bando di assegnazione e alle delibere del comune.
  Opacità, confusione, ambiguità, peculiarità che vanificano l'intento – lo ripeto – nobile del reinserimento sociale di queste categorie di detenuti, che, anzi, mettono in agitazione condivisibile i residenti per questioni di scarsa sicurezza e di ordine pubblico. Non sono mancate negli ultimi tempi, purtroppo, manifestazioni pubbliche di dissenso contro la pessima Pag. 4gestione di questa iniziativa così delicata, talune contraddistinte dall'arrivo di pattuglie per il ripristino della tranquillità della zona. Dico «purtroppo», perché il conflitto non è mai conflitto visibile, fisico, non è mai cosa buona.
  A tutto ciò si aggiunga un errore tecnico di non poco conto, che vede una confusione burocratica dei civici tra 70 e 72, in ragione del fatto che uno dei due civici non è ad uso abitativo.
  Alla luce di tutto ciò, chiediamo con urgenza di sapere se i Ministri interpellati, fatta salva la bontà del progetto, siano a conoscenza delle diverse inadempienze riscontrate dal punto di vista procedurale, soprattutto riguardo al rispetto degli standard di correttezza e sicurezza minimi sia nella fase di realizzazione del progetto sia per quanto riguarda i cittadini residenti nel municipio IX.
  Vogliamo altresì sapere di quali informazioni, per quanto di competenza, i Ministri interpellati dispongano in relazione al rispetto dei punti stabiliti dal protocollo d'intesa citato in premessa e per quale motivo il municipio IX sia stato tenuto all'oscuro di tutto l'iter che ha portato alla realizzazione del progetto di destinazione sociale delle ville; dov’è il Piano di zona sulla realizzazione delle case famiglia protette; chi si è occupato di valutare l'idoneità urbanistica e funzionale delle strutture, sia con riguardo all'idoneità e all'autorizzazione dell'uso previsto sia con riguardo alla loro collocazione nel territorio.
  I Ministri interpellati, non certamente il Ministero degli affari esteri, possono accertare che la comunicazione del nuovo utilizzo delle ville sia giunta per tempo in maniera ufficiale anche alle forze dell'ordine ? A quanto comunicato dai cittadini ciò non è avvenuto. Il progetto di ridestinazione sociale delle ville di via Kenia è bellissimo: l'intento di reinserimento sociale delle categorie di detenuti citati in premessa lo è altrettanto. Il modus operandi di chi ha gestito tutta l'operazione è inaccettabile ed ingiusto.
  Signor Presidente, lei lo sa, come me: il processo decisionale democratico è certamente fatto complesso e faticoso, ma è l'unico possibile. La fatica della democrazia, la fatica dell'informazione, la fatica del consenso: non sono ammesse scorciatoie, né in nome della bontà di un progetto né sulla base di valutazioni o pregiudizi ideologici. Le regole democratiche vanno rispettate sempre, anche quando si vuol fare del bene. Io potrei dire soprattutto quando si vuol fare del bene, altrimenti, si ha l'effetto opposto.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per gli affari esteri e per la cooperazione internazionale, Vincenzo Amendola, ha facoltà di rispondere.

  VINCENZO AMENDOLA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e per la cooperazione internazionale. Grazie, Presidente. Grazie presidente Brunetta, con il rispetto che le è dovuto, passo a comunicare quanto segue.
  Come è noto, il Ministero della giustizia ha profuso il massimo impegno sulla rimeditazione dell'esecuzione della pena e, nell'ambito degli sforzi compiuti in questo importante settore, la questione della presenza dei figli di detenute all'interno degli istituti carcerari è tra quelli a cui più il Ministero si è dedicato nel corso dell'anno e mezzo trascorso.
  Al fine di contemperare il diritto alla genitorialità con la condizione restrittiva, si è intensamente lavorato al rafforzamento e alla diffusione sul territorio degli istituti a custodia attenuata – i cosiddetti ICAM –, che consentano alle madri detenute di vivere con i loro bambini in apposite strutture aperte, favorendo in tal modo il loro inserimento nel tessuto della città.
  Le energie spese in questo settore hanno consentito di raggiungere importanti risultati ed altri ancora sono in procinto di realizzarsi. Nel ristretto arco temporale di un anno e mezzo, infatti, sono già stati resi operativi quattro ICAM: a Milano, Venezia, Senorbì e Torino.
  L'apertura e il concreto funzionamento degli ICAM sinora elencati costituisce un risultato realizzato in un tempo ragionevolmente Pag. 5breve, ma non rappresenta il traguardo a cui si è prefissato il Ministero. Si sta, infatti, ancora lavorando per realizzare altre cinque strutture – in Campania, Toscana, Calabria, Sicilia e Lazio –, in modo che ne sia garantita la diffusione su tutto il territorio nazionale.
  Nel contesto di tali iniziative, come premessa, si colloca la sottoscrizione del protocollo d'intesa stipulato tra il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, il comune di Roma e la Fondazione «Poste insieme onlus» finalizzato alla realizzazione della prima Casa Famiglia Protetta, che sarà collocata presso un immobile in zona Eur confiscato alla mafia. In tal modo viene a realizzarsi una significativa utilizzazione di un bene già appartenente alle organizzazioni criminali, recuperato a fini sociali.
  La Casa Famiglia Protetta di Roma sarà la prima struttura del genere attivata sul territorio italiano ed è destinata ad ospitare sino a sei madri con figli minori. Il progetto verrà realizzato con il sostegno finanziario del Dipartimento delle politiche sociali e sussidiarietà del comune di Roma e della Fondazione «Poste insieme».
  L'iniziativa testimonia la concreta realizzazione di una delle priorità perseguite nell'ambito della riforma del sistema dell'esecuzione della pena che il Ministero sta portando avanti e che richiede l'integrazione con il territorio e con gli enti locali chiamati a fornire un'adeguata rete di supporto per le detenute madri.
  Gli impegni previsti nel protocollo di intesa hanno posto a carico del solo comune di Roma l'onere di rendere operativa la struttura, mentre «Poste insieme onlus» ha assunto gli oneri finanziari necessari alla ristrutturazione.
  Lo stesso protocollo d'intesa prevede, peraltro, un tavolo di coordinamento composto dai rappresentanti delle istituzioni coinvolte, finalizzato a coordinare le iniziative e verificare l'attuazione del progetto.
  A seguito di un esposto-diffida, indirizzato al comune di Roma e promosso da rappresentanti del comitato di quartiere «Eur insieme» e dell'associazione «Ripartiamo dall'Eur», lo scorso 22 marzo, il tavolo di coordinamento si è riunito presso la prefettura di Roma, alla presenza del prefetto, del capo di gabinetto del comune di Roma e del vicecapo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, per fornire chiarimenti sull'iniziativa e sull'iter progettuale.
  All'esito, è stata fornita rassicurazione che la casa famiglia è struttura destinata esclusivamente a detenute madri con prole inferiore ai dieci anni e che si situa, pertanto, al di fuori del circuito penitenziario. La stessa struttura, peraltro, è risultata conforme ai requisiti di cui al decreto ministeriale dell'8 marzo 2013 come riferito dal competente Dipartimento: la stessa risulta, infatti, composta di cucina, refettorio, lavanderia, sala giochi, sala polivalente per le attività, area verde esterna, stanze da letto ed ufficio per l'operatore.
  Alla luce di quanto esposto, l'iniziativa e l'intervento per l'effettiva destinazione dell'immobile ad uso pubblico, per la realizzazione delle opere necessarie e per l'adozione dei relativi procedimenti sono, e sottolineo sono, come rilevato dagli onorevoli interpellanti, rimessi al comune di Roma, competente all'adozione dei necessari provvedimenti amministrativi. L'intervento del Ministero della giustizia non involge, pertanto, la fase di attuazione del progetto, ma la gestione dell'esecuzione della pena all'interno della struttura una volta che la stessa sia stata opportunamente resa funzionale.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Onorevole Brunetta, le do la parola per la replica, non prima di precisarle che, come lei ovviamente sa, il Governo è libero di delegare chi ritiene a rispondere. Contemporaneamente, mi consenta anche di dirle che, avendo il Ministero della giustizia più di un sottosegretario, certamente magari sarebbe stato utile che un sottosegretario alla giustizia rispondesse a una questione che era stata posta al Ministero della giustizia medesimo. Ma questa ovviamente Pag. 6è un'opinione della Presidenza. Ora, onorevole Brunetta, ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza. Prego.

  RENATO BRUNETTA. La ringrazio, signor Presidente. Non possiamo essere soddisfatti delle risposte ricevute, al di là della premessa strategica, totalmente condivisibile ovviamente, su cosa sta facendo il Ministero della giustizia per quanto riguarda le case famiglia e la vexata quaestio delle madri con prole in carcere. Il problema non è questo, il problema è (in parte l'ha sottolineato anche il sottosegretario): il comune di Roma ha fatto tutto quello che democraticamente, proceduralmente, giuridicamente doveva fare per arrivare all'attuazione di questo protocollo d'intesa ? Non possiamo essere soddisfatti di chi, signor sottosegretario, ha mortificato un progetto bellissimo per incapacità politica, malagestione, mancanza assoluta di trasparenza, totale inadempienza del dovere di informare residenti e cittadini. Signor Presidente, non vorrei fare osservazioni riguardo a un suo impegno che rispetto, ma questa incapacità politica, malagestione, mancanza assoluta di trasparenza, totale inadempienza del dovere di informare residenti e cittadini sono anche alla base di Mafia Capitale. E anche in quell'oggetto c'erano iniziative sociali assolutamente condivisibili che sono diventate fatti criminali proprio perché non si sono rispettate le regole. Questo è il punto centrale, signor sottosegretario e signor Presidente. E penso che lei mi possa capire. Non sono state rispettate le regole burocratico-amministrative, democratiche. Il comune di Roma aveva dei doveri precisi verso i cittadini e non li ha ottemperati, non li ha rispettati. Chiediamo che il progetto sia bloccato e che si riparta da zero, proprio perché è un progetto assolutamente condivisibile. Ma che si riparta da zero perché così com’è stato realizzato vanifica tutta la bontà delle intenzioni. Chiediamo che si riparta dall'assegnazione dei due immobili adibiti a destinazione sociale facendo chiarezza su tutti i passaggi che risultano tremendamente opachi, così come riportati nella nostra interpellanza. Non vorremmo trovarci, magari tra cinque anni, davanti a una nuova inchiesta Mafia Capitale bis. Che sia indetta una gara pubblica tra chi è interessato alle finalità sociali delle due ville di via Kenya; che siano presentati progetti di valore, non partecipati dai soliti noti. Anche su Mafia capitale succedeva questo, vero, signor Presidente ? Come del resto quelli dell'assegnazione degli immobili per la realizzazione di un'attività di accoglienza in favore delle madri detenute con figli o per una comunità di accoglienza in favore di minori sottoposti a provvedimenti della magistratura, sia nell'ambito civile, che penale della giustizia... A patto, però, di informare i residenti del IX municipio, attraverso comunicazioni pubbliche, pubblicazioni, atti ufficiali, incontri tematici o simili, affinché possano scegliere di collaborare alla completa riuscita del progetto. Questo è un progetto che potrebbe essere il fiore all'occhiello dell'amministrazione capitolina e non può essere portato a termine con le forzature che abbiamo illustrato nella nostra interpellanza. Chi semina vento, raccoglie tempesta. Il reinserimento sociale deve andare di pari passo alla sicurezza e alla trasparenza. I residenti del IX municipio, ne sono sicuro, non manifesterebbero questo dissenso per un progetto di così alto livello, se corroborato da una gestione di livello altrettanto alto e con la messa in sicurezza della propria vita privata. Forza Italia si è mossa per prima e con decisione affinché vengano ripristinate le garanzie minime per tutti gli abitanti della zona. Ce ne fossero mille di queste iniziative, purché contraddistinte dal rispetto di tutte le parti in causa.
  Salviamo la bontà del progetto e l'intento nobile; ripartiamo da zero all'insegna della correttezza, della trasparenza, delle garanzie necessarie sia al reinserimento sociale delle categorie di detenuti citati, sia e soprattutto alla serenità e alla sicurezza dei cittadini tutti. La ringrazio, signor Presidente; la ringrazio, signor sottosegretario.

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(Iniziative di competenza volte a tutelare i diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire – n. 2-01320)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Cimbro ed altri n. 2-01320, concernente iniziative di competenza volte a tutelare i diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Cimbro se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  ELEONORA CIMBRO. Sì, grazie, Presidente. Intanto, a differenza del collega che mi ha preceduto, io volevo ringraziare il Governo per la disponibilità anche di questa mattina, per essere qui presente, per rispondere alle nostre interpellanze. Peraltro, mi corregga, se sbaglio, ma credo che sia facoltà anche del deputato decidere se rinviare o meno ad altra seduta anche la risposta all'interpellanza qualora non si fosse soddisfatti anche rispetto agli esponenti del Governo presenti in Aula per avere la risposta.
  Tra l'altro, io volevo ringraziare anche gli uffici competenti sul sindacato ispettivo e il Ministero stesso della giustizia per aver assunto questa interpellanza, che inizialmente è stata rivolta al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti principalmente perché la questione casa è stata più volte seguita nello specifico dal sottosegretario Del Basso De Caro, che ha accompagnato l'Associazione condomini sulla questione dei fallimenti immobiliari. Però, proprio perché si va a intervenire sull'impianto sanzionatorio rispetto ai fallimenti immobiliari, giustamente poi questa interpellanza è stata assunta dal Ministero della giustizia.
  Entrando nel merito della questione, a partire dal 2006, anno di entrata a regime dell'obbligo di fideiussione a garanzia degli anticipi dati all'impresa da parte degli acquirenti, le famiglie coinvolte nei 10 mila fallimenti nel settore dell'edilizia residenziale sono 100 mila. Il danno accusato ammonta a oltre 2,5 miliardi di euro. Per citare solo gli ultimi casi: la liquidazione coatta amministrativa dal 2 novembre 2015 della CASER, Cooperativa di abitazione e servizi Emilia Romagna, con 250 famiglie coinvolte; la crisi del Consorzio cooperative edilizie nettunensi, che riguarda otto cooperative e 200 famiglie; la liquidazione coatta del Consorzio casa Castelli, sempre nel Lazio, con oltre 200 famiglie interessate; la malagestione della lottizzazione Borgo di Magrignano a Livorno, dove i nuclei familiari coinvolti sono 450. Tutti gli acquirenti citati vedranno, con ogni probabilità, sfumare la casa e i risparmi spesi per acquistarla.
  Se quello menzionato è il danno provocato alle famiglie, ben più consistente è quello provocato al sistema Paese, al credito, ai subappaltatori, ai dipendenti e agli enti locali; danno stimabile in oltre 10 miliardi di euro. Questo, appunto, solo per citare gli ultimi casi che hanno coinvolto importanti cooperative presenti su tutto il territorio nazionale.
  Tutto questo avviene, a quanto risulta agli interpellanti, grazie alla disapplicazione della normativa. Il 70 per cento delle nuove costruzioni viene venduto, infatti, senza garanzia fideiussoria. La mancanza di un adeguato impianto sanzionatorio favorisce l'elusione della legge e il pesante coinvolgimento nelle crisi aziendali, come detto, di migliaia di famiglie. In generale, le imprese e il settore nel suo complesso subiscono il pesante contraccolpo provocato dalla presenza di migliaia di imprese inaffidabili, di cui il sistema creditizio non si fida a causa della loro fragilità imprenditoriale. Esse gravano sul mercato, lo condizionano e, in definitiva, impediscono la ristrutturazione del comparto e la sua fuoriuscita dalla crisi attraverso iniziative di qualità costruttiva e finanziaria.
  Il decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122, recante «Disposizioni per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire a norma della legge 2 agosto 2004, n. 210», la cosiddetta «legge Duilio» appunto, ponendo la necessità per il costruttore di essere considerato Pag. 8garantibile, stimola il miglioramento della qualità imprenditoriale, diminuendo così il rischio di default. Inoltre, l'obbligo di fornire l'assicurazione decennale postuma, con i conseguenti controlli pretesi dalle assicurazioni, costringe a elevare la qualità dell'immobile e a rispettare le norme costruttive.
  A fallire, quindi – è il caso di ribadirlo –, sono proprio le imprese che non applicano il decreto legislativo n. 122 del 2005. Quelle che lo fanno, invece, reggono meglio l'urto della crisi, continuano a fare utili e garantiscono la partecipazione del settore al mantenimento del prodotto interno lordo.
  È urgente, dunque, che il legislatore modifichi la normativa e introduca meccanismi sanzionatori efficaci e coerenti con gli obiettivi della legge. Al riguardo, in sede di esame al Senato del disegno di legge di conversione del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, recante misure urgenti per l'emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015, è stato accolto l'ordine del giorno G10.0.200, che impegna il Governo a predisporre, entro sei mesi, un adeguato impianto sanzionatorio a carico del costruttore in caso di mancata attuazione degli adempimenti obbligatori relativi al rilascio, al promissario acquirente, della garanzia fideiussoria e dell'assicurazione contro vizi e difetti della costruzione.
  Per questo, chiediamo quali siano state e quali saranno le iniziative del Governo per risolvere questo annoso problema, in un momento, peraltro, in cui la necessità della tutela del patrimonio si è fatta urgente, viste appunto anche le crisi di tutta una serie di banche, che sono state coinvolte anche in queste vicende.
  Mi permetto di aggiungere, sottosegretario, anche quanto è stato fatto dal 2013, quindi dall'avvio di questa legislatura, ad oggi rispetto a questa questione. Il 3 aprile 2013 è stata depositata una proposta di legge che prevede la modifica al decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122, in materia di tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire. Questa proposta di legge è stata depositata e, quindi, ci aspettiamo che, anche a seguito dell'accoglimento al Senato di questo ordine del giorno al decreto citato, si possa davvero partire, entro sei mesi, per introdurre e modificare l'impianto sanzionatorio. Poi, è stato accolto, a maggio 2014, un ordine del giorno che interviene, invece, sul fondo messo a disposizione delle famiglie che impattano su questo problema.
  Quindi, un passo in avanti sicuramente è stato fatto, grazie anche alla disponibilità dei vari Ministeri coinvolti da questo tema. Poi, nel novembre 2014, è stato presentato questo emendamento allo «Sblocca Italia», che ha permesso sostanzialmente agli acquirenti di immobili da costruire, in caso di fallimento della ditta, e alle famiglie, oltre 600, alle quali CONSAP, la Concessionaria servizi assicurativi pubblici, aveva respinto la domanda di ammissione al fondo in quanto vittime di esecuzioni giudiziari e non di procedure concorsuali, invece, di poter essere riammesse alle provvidenze.
  Quindi, gli interventi e l'attenzione da parte di tanti parlamentare e anche da parte di Ministeri e sottosegretari coinvolti in questo tema ci sono stati, a partire dall'avvio di questa legislatura. Ci aspettiamo davvero, anche a seguito di questa interpellanza e a fronte di quanto accaduto anche negli ultimi mesi, che si possa intervenire su un impianto sanzionatorio, altrimenti noi abbiamo una legge che c’è, che ha dimostrato, in parte, anche di funzionare, ma che non raggiunge l'obiettivo, proprio perché non obbliga i costruttori a garantire quello che deve essere garantito per legge.
  Noi, a questo proposito, abbiamo avuto anche incontri con l'ANCE, che ha dimostrato assoluta disponibilità a lavorare in questa direzione. Infatti, le tutele che noi chiediamo per le famiglie, in realtà, sono tutele anche per quel tipo di mercato, per lasciare fuori le imprese poco serie, che non sono assolutamente in grado di garantire le fideiussioni e che, quindi, lasciano sul lastrico – possiamo dirlo – centinaia di famiglie, ma vanno anche a drogare il mercato delle costruzioni.

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  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato, Vincenzo Amendola, ha facoltà di rispondere.

  VINCENZO AMENDOLA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale. Grazie, Presidente. Grazie, deputata, onorevole Cimbro. Il tema posto dall'atto del sindacato ispettivo richiede indubbiamente un'attenta valutazione da parte del Governo. C’è, infatti, la consapevolezza del valore primario della tutela degli investimenti privati, ma c’è anche la coscienza di dover individuare, con la massima chiarezza, le regole per il corretto funzionamento del mercato, oltre che per l'effettiva tutela del credito.
  Come è noto, il decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122, recante disposizioni per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire, interviene per disciplinare un ambito molto delicato del settore degli acquisti immobiliari, apprestando una serie di tutele a favore dell'acquirente di un immobile, allorché il compratore e il venditore dispongano giuridicamente dell'immobile, a titolo di alienazione, prima che il bene venga materialmente ad esistenza.
  In caso di crisi, infatti, il citato decreto legislativo, oltre alla menzionata garanzia fideiussoria, prevede ulteriori forme di tutela per il contraente, tra le quali spicca l'obbligo posto a carico del costruttore di contrarre e consegnare al compratore, al momento del trasferimento della proprietà, una polizza assicurativa indennitaria di durata decennale nonché la costituzione di un fondo di solidarietà, istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze, gestito dalla concessionaria dei servizi assicurativi pubblici, la CONSAP, ed avente la funzione di corrispondere un giusto indennizzo all'acquirente qualora questi, a causa della situazione di crisi del venditore costruttore, abbia subito la perdita di somme di denaro o di altri beni e non abbia conseguito il diritto di proprietà dell'immobile oggetto della stipula. A fronte dei rimedi apprestati non va, però, dimenticato che il nostro ordinamento prevede, quale regola generale, la libertà negoziale dei singoli e delle imprese, sicché qualsivoglia limitazione dell'autonomia negoziale in ossequio all'articolo 41 della Costituzione ed in armonia con gli articoli 43 e 49 del Trattato istitutivo della Comunità europea e con la consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia, può essere consentita soltanto se giustificata da prevalenti ragioni di interesse pubblico generale.
  Per quanto riguarda, quindi, le previsioni contenute dal decreto legislativo n. 122 del 2005, circa l'obbligo dei costruttori di immobili di procurarsi, a tutela degli acquirenti, una fideiussione bancaria a copertura dei rischi derivanti da proprie eventuali situazioni di crisi, ritengo doveroso segnalare, così come comunicato dal Ministero dell'economia, che la Banca d'Italia, investita della problematica relativa alla mancata previsione di un vero e proprio obbligo a carico delle banche o delle assicurazioni per il rilascio delle fideiussioni, ha ricordato come le scelte in materia di erogazione del credito sono normalmente rimesse alle autonome determinazioni dei competenti organi aziendali degli intermediari, fermo restando l'obbligo, in capo agli stessi, di fornire ai richiedenti indicazioni sulle ragioni del rifiuto a concedere credito.
  Va aggiunto che detto principio, così come puntualizzato dal predetto organo di vigilanza e controllo, risulta essere ribadito, in più di un'occasione, anche dall'arbitro bancario finanziario, il quale, con specifico riguardo alla disciplina di cui al decreto legislativo n. 122 e nella ricoperta funzione di organismo indipendente di risoluzione stragiudiziale delle controversie fra intermediari e clienti, si è principalmente occupato di controversie instaurate dalla clientela acquirente di immobili da costruire nei confronti dell'intermediario bancario che aveva rilasciato la fideiussione. Ed, infatti, secondo quanto riferito, i ricorsi presentati dalle società costruttrici risultano essere numericamente contenuti e riguardano fattispecie diverse da quelle in disamine, quali, ad esempio, la Pag. 10legittimità del rifiuto di ritenere estinta la fideiussione da parte dell'intermediario che ha continuato ad addebitare i relativi costi al cliente, anche dopo la consegna degli immobili agli acquirenti, in assenza del rilascio della documentazione prevista nel contratto di fideiussione, quale requisito necessario per l'estinzione della garanzia.
  Ciò posto, mi corre l'obbligo di segnalare che, in relazione alla modifica della disciplina prevista dal decreto legislativo n. 122 del 2005, risultano attualmente iscritti presso le rispettive Commissioni permanenti giustizia di Camera e Senato cinque disegni di legge, di cui quattro non ancora all'esame ed uno, l'atto Senato 547, in corso d'esame in Commissione. Tutti i disegni di legge presentati partono dalla considerazione della sostanziale elusione della disciplina prevista dal decreto legislativo n. 122 da parte dei venditori costruttori e della ineffettività, dal punto di vista della tutela dell'acquirente, della sanzione di nullità del contratto prevista dalla norma. Propongono, pertanto, l'introduzione dell'obbligo, da parte del notaio rogante, di verificare, in sede di stipula, l'effettivo rilascio della polizza e, nel caso in cui tale controllo abbia avuto esito negativo, la segnalazione della violazione all'autorità del comune presso il quale si trova l'immobile, con conseguente applicazione di sanzioni pecuniarie amministrative a carico del venditore.
  Prevedono, inoltre, l'irrinunciabilità da parte dell'acquirente alle tutele previste dal decreto legislativo n. 122 del 2005, nonché l'ampliamento dei presupposti di fatto che consentono l'escussione della fideiussione.
  Si tratta invero di disegni di legge che, partendo da una ricognizione dello stato di applicazione della disciplina del decreto legislativo sostanzialmente coincidente con quella effettuata nell'interpellanza, pongono in rilievo la necessità di incrementare il profilo di tutela dell'acquirente. Dal confronto parlamentare, che sicuramente si svilupperà intorno ad un tema di così evidente complessità e rilevanza, è auspicabile che possano essere individuati, nel rispetto dei principi vigenti, rimedi più opportuni per assicurare pienezza alla tutela già apprestata.

  PRESIDENTE. L'onorevole Cimbro ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  ELEONORA CIMBRO. Presidente, sottosegretario, posso dichiarare di essere soddisfatta della risposta, in quanto mi pare che con la discussione avviata in Commissione al Senato stia andando nella direzione giusta: sono assolutamente soddisfatta per l'avvio di questo iter, e credo davvero che si possa attraverso la discussione parlamentare riuscire a modificare l'impianto sanzionatorio nella direzione che prima ho descritto e che bene ha riportato anche il sottosegretario.

(Intendimenti del Governo circa una revisione della disciplina relativa al sistema di finanziamento delle università, con particolare riferimento agli atenei del Mezzogiorno – n. 2-01301)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Speranza n. 2-01301, concernente intendimenti del Governo circa una revisione della disciplina relativa al sistema di finanziamento delle università, con particolare riferimento agli atenei del Mezzogiorno (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Speranza se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  ROBERTO SPERANZA. Presidente, rappresentante del Governo, vorrei molto brevemente portare il senso di questa interpellanza, che ha permesso ad una cinquantina di deputati del Partito Democratico di esprimere una propria preoccupazione. Questa interpellanza va letta dentro il quadro più largo delle iniziative per provare a far ripartire il Mezzogiorno d'Italia, un pezzo del nostro Paese che vive ancora un deficit ed un Pag. 11ritardo non sostenibili; e riteniamo, ritengo io in modo particolare, ma tutti gli interpellanti, che l'università, la ricerca scientifica, più in generale il campo delle risorse umane, della formazione, possano essere una delle chiavi decisive per far riprendere questo pezzo di Paese: l'università come leva per lo sviluppo e per la crescita del Mezzogiorno e per il recupero di un gap che non è più sostenibile. Devo però prendere atto che recenti importanti ricerche – una pubblicata ultimamente dal professor Mauro Fiorentino, un'altra pubblicata ultimamente dal professor Gianfranco Viesti – segnalano un trend che va esattamente nella direzione opposta: anziché investire sul sistema universitario del Mezzogiorno si ha la sensazione, numeri alla mano, che vi sia in corso un processo da ormai svariati anni che porta a ridurre le risorse al sistema universitario del Mezzogiorno.
  Provo a dare alcuni numeri, perché penso che i numeri siano come pietre e valgano più di mille parole: dal 2008 al 2014 i tagli che ha subito il sistema universitario hanno pesato per 250 milioni di euro l'anno al Sud e per 25 milioni di euro l'anno al Nord. Io sono dell'idea che i tagli all'università sono sempre e comunque sbagliati: noi dobbiamo batterci – questa è la linea storicamente adottata dal centrosinistra, dalla sinistra italiana – per difendere il nostro sistema universitario; però leggere che negli ultimi anni c’è addirittura il pezzo più debole del nostro sistema universitario che paga un prezzo maggiore, ritengo che sia sinceramente non tollerabile. Questo provoca una situazione per la quale i finanziamenti che arrivano alle università meridionali è oggi pari a quelli del 2001: sono passati sostanzialmente quindici anni, e la quantità di soldi è esattamente la stessa; facendo una fotografia, per il sistema universitario del Nord rispetto al 2001 sono in dotazione 500 milioni in più: probabilmente anche questi 500 milioni non sono sufficienti, ma la fotografia che io mi permetto di riportare come monito ad un'azione del nostro Governo è esattamente quella di uno spostamento di risorse che va in direzione inversa rispetto alle necessità di un territorio come quello del Mezzogiorno.
  Questo non è indifferente anche sul piano degli spostamenti dei nostri studenti: anzi, provoca spostamenti ingenti. Anche qui ci sono dei numeri che vengono portati da queste ricerche, che mi auguro possano essere valorizzate dal nostro Governo anche per un'azione costruttiva: ogni anno questo spostamento di risorse porta al fatto che ci siano 30 mila studenti aggiuntivi che si trasferiscono da Sud a Nord e circa 250 docenti universitari; ma 30 mila ragazzi del Mezzogiorno, sulla base di queste difficoltà, tutti gli anni si trasferiscono in più, in maniera aggiuntiva verso il Nord del Paese.
  Sulla base di queste valutazioni e con uno spirito che è assolutamente costruttivo –, cioè di chi vede la fotografia di uno stato delle cose, che non credo sia accettabile e non credo sia negli intenti di nessuno dei legislatori e di nessuna delle maggioranze di Governo che ci sono succedute in questi anni – con questa interpellanza vogliamo chiedere al nostro Governo nazionale che provvedimenti si intendano assumere.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Gabriele Toccafondi, ha facoltà di rispondere.

  GABRIELE TOCCAFONDI, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Presidente, onorevoli colleghi, il criterio del costo standard unitario di formazione per studente in corso cui collegare l'attribuzione di una percentuale del FFO, del Fondo per il finanziamento ordinario, non assegnata a fini premiali è stato introdotto dalla legge n. 240 del 2010. L'articolo 8 del relativo decreto legislativo n. 49 del 2012, invece, ha definito il costo standard per studente come il costo di riferimento attribuito al singolo studente iscritto entro la durata normale del corso di studio, determinato tenendo Pag. 12conto della tipologia del corso di studi, delle dimensioni dell'ateneo, dei differenti contesti economici, territoriali, infrastrutturali in cui opera l'università; il tutto è determinato con decreto interministeriale MIUR-MEF, sentita l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca Anvur.
  In attuazione della sopra indicata normativa, il costo standard di formazione per studente in corso è stato determinato con decreto interministeriale n. 893 del 9 dicembre 2014 e applicato gradualmente nella ripartizione della quota base del FFO a decorrere dall'anno 2014.
  È opportuno ricordare che il Fondo per il finanziamento ordinario attribuito alle università si distingue in due principali parti: la quota base, circa l'80 per cento del totale, percentuale destinata a ridursi negli anni futuri fino ad un minimo del 70 per cento; e la quota premiale, circa il 20 per cento, che crescerà fino ad un massimo del 30 per cento del totale.
  La cosiddetta quota base, fino all'introduzione del costo standard, veniva ripartita tra gli atenei integralmente secondo il principio della spesa storica; tale principio, notoriamente affetto da problemi di inefficienza della spesa, è stato parzialmente contenuto con l'introduzione appunto del cosiddetto costo standard. In particolare, per il 2014 è stato ripartito sulla base dei costi standard il 20 per cento della quota base, il restante 80 per cento ancora in base alla spesa storica; mentre per il 2015 tale percentuale è stata elevata al 25 per cento, il restante 75 per cento ancora in base alla spesa storica.
  Alla luce di quanto sopra descritto, fatto 100 il Fondo di finanziamento ordinario del sistema (FFO), nel 2015 il suo riparto ha seguito per il 60 per cento il criterio della spesa storica, per il 20 per cento il criterio del costo standard per studente in corso e per il 20 per cento il criterio della quota premiale.
  Prima dell'introduzione del costo standard, confrontando il rapporto tra quota base del FFO per studente in corso di atenei simili per grandezza e per caratteristiche dell'offerta formativa, si era rilevata una elevata variabilità dovuta a molteplici fattori intercorsi nel tempo, che hanno portato anche a disequilibri del sistema di finanziamento. In relazione a quanto disposto dall'articolo 8 del succitato decreto legislativo n. 49 del 2012, proprio al fine di tener conto dei differenti contesti economici e territoriali in cui operano gli atenei, il decreto interministeriale n. 893 del 2014 ha previsto, in aggiunta al costo standard, un importo di natura perequativa identico per tutte le università aventi sede nella medesima regione, parametrato alla diversa capacità contributiva per studente della regione ove ha sede l'ateneo, sulla base del reddito familiare medio rilevato dall'Istat.
  Le università aventi sede nelle regioni del Mezzogiorno, che sono caratterizzate da un reddito familiare medio più basso, ricevono pertanto, a parità delle altre condizioni, un contributo per studente più elevato delle università ubicate nel centro, le quali a loro volta ricevono un contributo mediamente più alto di quelle collocate al Nord. Per ogni studente che è in corso, in una determinata tipologia di offerta formativa, quindi, lo Stato assegna alle università un importo diverso in relazione al contesto territoriale di riferimento, anche al fine di compensare eventuali minori capacità contributive delle diverse regioni. Si tratta, pertanto, di un meccanismo di allocazione delle risorse che si può definire come virtuoso e oggettivo, che il sistema universitario ha adottato in anticipo nel comparto della pubblica amministrazione, proprio al fine di invertire gradualmente il criterio della cosiddetta spesa storica.
  A conferma di quanto sopra, si osserva che dei 23 atenei statali del Mezzogiorno, ben 14, quindi oltre il 60 per cento, sono addirittura beneficiati dagli effetti dell'applicazione del criterio del costo standard, mentre le università del centro-nord che ne traggono un beneficio sono diciotto su trentaquattro, quindi il 53 per cento. Le università del Mezzogiorno che beneficiano degli effetti di applicazione del costo Pag. 13standard rappresentano il 52 per cento degli studenti iscritti nel Mezzogiorno, mentre quelle del centro-nord rappresentano il 49 per cento degli iscritti. Pertanto, ove in ipotesi si pervenisse all'abrogazione del costo standard e si tornasse al precedente criterio basato sul trasferimento storico, non si avrebbero apprezzabili miglioramenti a vantaggio delle università del Mezzogiorno. La finalità del costo standard infatti è quella di fornire al sistema universitario un valore di riferimento che consenta agli studenti di poter disporre di un adeguato livello di servizi in termini di docenza e di servizi amministrativi, didattici, strumentali, riconducibili a criteri di efficienza nell'impiego delle risorse in tutte le aree del Paese.
  Quanto al fatto che il costo standard non tenga conto degli studenti fuori corso, si tratta di esplicita previsione dettata dalla legge n. 240 del 2010, in particolar modo dall'articolo 5, comma 4, lettera f), mentre va ricordato che la norma tiene anche conto della presenza della categoria degli studenti impegnati in attività lavorative e iscritti in regime di part-time in relazione alla durata dei loro studi. L'attuale meccanismo definisce un ammontare di risorse da erogare alle università, per ogni studente iscritto, per la durata regolare degli studi, proporzionale ai crediti formativi che l'ateneo è tenuto ad erogare, che non cambia in funzione del tempo impiegato dallo studente per laurearsi.
  Se, quindi, il costo standard fosse riconosciuto anche per gli studenti fuori corso, si avrebbe il paradosso che l'ateneo riceverebbe una quantità superiore di risorse pubbliche per lo stesso ammontare di didattica erogata, senza contare il maggiore importo che tali studenti versano all'università in tasse universitarie. A tale proposito, non si può inoltre non evidenziare che uno dei problemi strutturali del nostro Paese è rappresentato anche dall'eccessivo ritardo nei tempi medi di laurea, che non sarebbe corretto incentivare anche dal punto di vista finanziario.
  Così chiarita la valenza del costo standard, è evidente che la diminuzione di finanziamenti verificatisi per alcune, ma non tutte, università del Mezzogiorno non è riconducibile all'incidenza del medesimo sulla quota base dell'FFO. Tale diminuzione è piuttosto conseguente all'applicazione di un criterio di assegnazione delle risorse che si è dimostrato ben più selettivo, ovvero quello della quota premiale dell'FFO che, nell'anno 2015, ha costituito circa il 20 per cento delle risorse statali, a fronte del solo 7 per cento del 2009.
  Nell'ottica di quanto evidenziato dagli onorevoli interpellanti, il MIUR continua a lavorare per fare in modo che, fermi restando criteri obiettivi di finanziamento, si individuino misure che riescano nel contempo a sostenere le università che nel sistema appaiono più deboli.
  In tale ottica, eventuali interventi saranno programmati sempre nella direzione di migliorare i passi fatti nel corso degli ultimi anni, che hanno spinto gli atenei verso un miglioramento dei risultati e dell'efficienza.

  PRESIDENTE. L'onorevole Speranza ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  ROBERTO SPERANZA. Io penso che dobbiamo provare ad utilizzare i mesi che abbiamo di fronte in un dialogo positivo tra Parlamento e Governo per arrivare ad un aggiustamento di alcuni di questi decreti ministeriali. In modo particolare, il decreto n. 893 del 2014, per come è stato definito e anche per come è stato presentato oggi in quest'Aula, rischia di favorire un ulteriore allargamento di quel gap tra gli atenei del sud e gli atenei del nord; è chiaro che ci sono eccezioni, è chiaro che ci sono atenei del nord che hanno pagato un prezzo e atenei del sud che hanno beneficiato negli ultimi anni, ma i numeri macro del sistema universitario meridionale sono questi, con l'utilizzo di questi criteri che in qualche modo sono stati portati avanti negli ultimi anni, anche attorno ad un'idea di valutazione dell'università che, per certi versi, è senz'altro condivisibile, ma, se poi ha come esito concreto la riduzione delle risorse che arrivano a quegli Pag. 14atenei, io mi sento di dire che c’è oggettivamente qualcosa che non va.
   Ora io chiederei al Governo di utilizzare questi studi emersi negli ultimi mesi: si tratta di professori universitari di altissimo livello, si tratta di personalità che hanno messo le loro competenze a disposizione, prima del sistema universitario, e poi anche della società più in generale del nostro Paese. Io ritengo che il Governo debba provare, attraverso l'approfondimento ed il confronto con queste persone, a costruire ipotesi modificative di quei decreti, che molto spesso hanno un peso decisivo sulla vita delle università. E questo io penso sia un tema enorme, sia anche un tema, se vogliamo, di tipo democratico, perché sono scelte che si fanno con decreti interministeriali spesso senza un confronto parlamentare compiuto. L'interpellanza di oggi aveva questo senso e la mia opinione è che si possano utilizzare le prossime giornate – voglio ricordare per esempio che ci sarà un confronto tra il Ministero della pubblica istruzione e alcuni di questi ricercatori già nella giornata di lunedì – che possono aiutarci a far fare un salto in avanti, perché – lo ribadisco – senza una qualità e senza una forza e una capacità di costruzione di una proposta formativa all'altezza del sistema universitario nel Mezzogiorno, sarà impossibile recuperare quel gap di sviluppo, che è ancora molto forte e molto presente e che è uno dei limiti per lo sviluppo del nostro intero Paese.

(Iniziative in relazione alla compartecipazione agli oneri per l'erogazione delle prestazioni socio-sanitarie, con particolare riferimento alla demenza senile – n. 2-01313)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Molea e Monchiero n. 2-01313, concernente iniziative in relazione alla compartecipazione agli oneri per l'erogazione delle prestazioni socio-sanitarie, con particolare riferimento alla demenza senile (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Molea se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  BRUNO MOLEA. Grazie, signor Presidente e signor sottosegretario. Le prestazioni incluse nei livelli essenziali di assistenza sono attualmente regolate dal decreto del Presidente del Consiglio del 29 novembre 2001. Il decreto legislativo n. 502 del 1992, all'articolo 1, definisce i LEA come l'insieme delle prestazioni che vengono garantite dal Servizio sanitario nazionale a titolo gratuito o con partecipazione alla spesa perché presentano, per specifiche condizioni cliniche, evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute individuale o collettiva a fronte delle risorse impiegate.
   Il decreto del Presidente del Consiglio del 29 novembre 2001 specifica le prestazioni di assistenza sanitaria garantite dal Servizio sanitario nazionale e riconducibili ai livelli essenziali di assistenza, tra i quali l'assistenza distrettuale, vale a dire le attività e i servizi sanitari e socio sanitari diffusi capillarmente sul territorio, dalla medicina di base all'assistenza farmaceutica, dalla specialistica e diagnostica ambulatoriale alla fornitura di protesi ai disabili, dai servizi domiciliari agli anziani e ai malati gravi ai servizi territoriali consultoriali, (servizi per la salute mentale, servizi di riabilitazione per disabili e altro), alle strutture semiresidenziali e residenziali. Alcuni gestori di servizi socio-sanitari accreditati nel territorio regionale dell'Emilia Romagna stanno affrontando il problema relativo agli effetti della sentenza della Corte di Cassazione, sezione I civile, del 12 dicembre 2011, la quale si espresse in merito a persone affette da sindromi di demenza accolte nelle strutture socio-sanitarie, stabilendo, nel caso concreto, che non fosse dovuta la quota di compartecipazione a carico dell'utente.
  Se si affermasse il principio sopra esposto, che, in particolar modo, alcune associazioni di tutela dei consumatori ritengono avere valenza generale, esso impatterebbe gravemente sulla sostenibilità delle gestioni delle strutture socio-sanitarie Pag. 15accreditate. Prendendo le mosse dalla citata sentenza, in altri territori italiani – Veneto, Lombardia e Piemonte, ad esempio – alcuni tribunali affermano che la quota di compartecipazione al pagamento della retta in strutture residenziali socio-sanitarie non sia dovuta dagli interessati, cioè gli utenti comuni, ritenendo che invece sia da porre totalmente a carico del Servizio sanitario nazionale.
  È in procinto di essere adottato il nuovo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, trascorsi ormai quindici anni dalla sua prima emanazione, il quale ridefinisce i nuovi LEA e dalle bozze di decreto circolante, in particolare dalla lettura della relazione illustrativa allo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, risulta, tra l'altro, al punto 4, cito testualmente: «(...) Per l'area socio-sanitaria, in particolare, si è ritenuto necessario individuare e descrivere le diverse tipologie di assistenza caratterizzate da diversi livelli di complessità e di impegno assistenziale. Così, l'assistenza domiciliare integrata ai malati cronici non autosufficienti è stata declinata in quattro livelli di progressiva intensità (dalle cure domiciliari di  «livello base»  alle cure domiciliari ad elevata intensità, che sostituiscono  «l'ospedalizzazione domiciliare») e, analogamente, l'assistenza residenziale ai medesimi pazienti è stata articolata in tre tipologie in funzione delle caratteristiche delle strutture e della disponibilità del personale necessario per fornire: trattamenti specialistici di supporto alle funzioni vitali, trattamenti estensivi di cura, recupero e mantenimento funzionale, trattamenti estensivi riabilitativi ai soggetti con demenza senile e trattamenti di lunga assistenza. Per ciascuna area dell'assistenza socio-sanitaria sono state riportate, senza alcuna modifica, le previsioni dell'allegato 1C relative alla ripartizione degli oneri tra il Servizio sanitario nazionale e il comune o utenti». Si può quindi desumere che, con l'applicazione dei nuovi LEA, ormai prossimi all'adozione, relativamente alle patologie «sindromi di demenza» il quadro di compartecipazione degli utenti comuni al pagamento della tariffa resti fissato nel limite massimo del 50 per cento del costo del servizio.
  Le chiedo se, alla luce di quanto sopra premesso ed esposto e fatti salvi i tempi e i contenuti dei procedimenti avviati nei tribunali di Parma e Forlì, siano stati adottati o siano in fase di avanzata elaborazione atti normativi o orientamenti vincolanti del Ministero, considerata anche la legislazione corrente Stato-regioni, che siano in grado e che siano idonei a tutelare il sistema socio-sanitario nel suo complesso e, più in particolare, a garantire gli equilibri di finanza pubblica nell'eventualità che i giudizi in corso confermino l'attribuzione dei costi dei servizi socio-sanitari (ex allegato 1C del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001, riferito a persone affette da demenza senile), ponendo tali oneri integralmente a carico del Servizio sanitario nazionale e idonei a confermare e a chiarire anche come, nel caso di trattamenti estensivi riabilitativi ai soggetti con demenza senile, la compartecipazione e gli oneri tra Servizio sanitario nazionale e utente permanga nella misura indicata.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la salute, Vito De Filippo, ha facoltà di rispondere.

  VITO DE FILIPPO, Sottosegretario di Stato per la salute. Grazie, Presidente. L'assistenza ai pazienti affetti da demenza è un livello essenziale di assistenza ed è inclusa nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001, il quale stabilisce ancora che essa venga erogata attraverso un'articolazione di prestazioni di assistenza domiciliare integrata o di trattamento residenziale o di trattamento semiresidenziale. Ovviamente, la scelta del regime assistenziale più appropriato per la persona non autosufficiente e, quindi, anche per il paziente affetto da demenza è stabilito a livello distrettuale da un’équipe multidisciplinare integrata, la quale, attraverso specifici strumenti di valutazione multidimensionale dei bisogni sanitari e socio-assistenziali Pag. 16del paziente, dovrebbe definire un piano individualizzato di assistenza e individuare il tipo di trattamento più indicato per la persona, stabilendo contestualmente se esso sia da erogare a domicilio o in una struttura non residenziale o semiresidenziale.
  Nel contesto della valutazione, periodicamente rivista, viene stabilita l'intensità assistenziale del trattamento, intensivo, estensivo, di lungo-assistenza o di mantenimento, che ha obiettivi sanitari e assistenziali propri, correlati alle specifiche condizioni e alle fasi evolutive della malattia, secondo citazione che faccio in base a linee guida abbastanza note agli operatori del settore.
  In particolare, come previsto dal citato decreto del 29 novembre 2001, allegato 1C, nell'ambito dell'assistenza residenziale erogata in strutture pubbliche o private accreditate, il Servizio sanitario nazionale si assume l'onere del 100 per cento della retta, nel caso in cui il trattamento sia di livello intensivo ed estensivo, mentre, in presenza di un trattamento di lungo-assistenza o di mantenimento, la retta è posta a carico del comune per una quota forfettaria pari al 50 per cento, in quanto si è convenuto che, per le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale ovvero per le prestazioni dalle quali la componente sanitaria e quella sociale non risultino distinguibili, una percentuale del costo non è attribuibile alle risorse destinate esclusivamente al Servizio sanitario nazionale.
  Analogamente, nell'ambito dell'assistenza semiresidenziale per le prestazioni di lungo-assistenza e di mantenimento erogato nelle persone non autosufficienti, la retta è posta a carico del comune o in alcuni casi dell'utente, per una quota pari al 50 per cento. I comuni hanno la facoltà di chiedere all'utente di coprire con risorse proprie parte della quota loro attribuita, secondo quanto previsto dalle normative regionali e anche da alcuni provvedimenti comunali, che esistono in maniera diversificata in lungo e in largo nel nostro Paese. Pertanto, è proprio la valutazione multidimensionale la procedura che individua le specifiche necessità sanitarie del paziente non autosufficiente, a prescindere dalla patologia da cui è affetto, ed è la stessa valutazione che indirizza verso un trattamento intensivo piuttosto che estensivo o, come dicevo prima, di lungo-assistenza.
  Colgo, invece, quest'occasione per ricordare che il Ministero della salute è ormai nella fase avanzatissima dell'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, che devono arrivare, da qui a breve, nella Conferenza Stato-regioni. Anticipo, pertanto, che il capo IV, «assistenza socio-sanitaria», del nuovo schema del decreto recante «Nuova definizione dei livelli essenziali di assistenza sanitaria» aggiornato, come ricordava l'onorevole, dopo 15 anni, descrive – quindi, faccio una citazione del nuovo testo – puntualmente: «le attività dell'assistenza domiciliare, territoriale, quali consultori familiari, servizi per disabili, servizi per la salute mentale per adulti e per i minori con disturbi in ambito neuropsichiatrico, servizio per le dipendenze, residenziale o semiresidenziale, per malati cronici non autosufficienti, malati in fin di vita, persone con disturbi mentali, minori con disturbi in ambito psichiatrico, persone con dipendenze patologiche, disabili» e altro ancora. Poi, vi è l'articolazione dell'assistenza domiciliare in livelli d'intensità progressiva, da cure domiciliari di «livello base» a cure domiciliari di elevata intensità, che sostituiscono la cosiddetta «ospedalizzazione domiciliare», in relazione al fabbisogno di cura, le previsioni di cura domiciliare alle persone sulla fase terminale della vita di elevata intensità assistenziale, l'articolazione dell'assistenza residenziale in tre livelli di intensità in relazione ai bisogni: intensiva, per raccogliere le dimissioni e filtrare gli ingressi in ospedale, estensiva, di medio impegno, di lungo-assistenza e mantenimento per le situazioni stabilizzate che non possono essere trattate al domicilio del paziente per difficoltà familiari e sociali. Tutto ciò rientra nel capo quarto, come dicevo prima, dell'assistenza socio-sanitaria che è dentro ai nuovi livelli essenziali di assistenza. In questa edizione, per esempio, sono incluse Pag. 17integralmente le attività di assistenza anche per nuove patologie come l'autismo, normato anche con una specifica legge da questo Parlamento.
  Quanto alla ripartizione di oneri tra Servizio sanitario nazionale e utente o comune, la stessa bozza di decreto mantiene la ripartizione comunque prevista dal vecchio DPCM del 14 febbraio 2001, che ho già descritto, indicata anche e recepita nell'atto di indirizzo e di coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie, che è stato già approvato il 29 novembre 2001 dalla stessa Conferenza Stato-regioni.

  PRESIDENTE. L'onorevole Molea ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  BRUNO MOLEA. Grazie Presidente, grazie signor sottosegretario per la puntuale e analitica risposta, che credo, soprattutto nelle anticipazioni del nuovo decreto, contenga chiarimenti che vanno nella direzione di cercare di eliminare una serie di interpretazioni non molto in linea con quanto previsto dal decreto e che hanno attivato, purtroppo, tutta una serie di contenziosi presenti – come facevo riferimento prima – nelle sedi dei tribunali di Parma e di Forlì.
  Quindi, mi ritengo soddisfatto soprattutto per quanto ci ha anticipato, che credo vada nella direzione di fare definitivamente chiarezza e pone anche in tranquillità tutta una serie di strutture che oggi non vedono molto chiaro il loro futuro nello svolgimento di un'attività così importante come l'assistenza agli ammalati, quindi la ringrazio.

(Iniziative di competenza volte a verificare il rispetto dei livelli essenziali di assistenza alla luce della prospettata chiusura del punto nascita di Vigevano, in provincia di Pavia – n. 2-01321)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Scuvera ed altri n. 2-01321, concernente iniziative di competenza volte a verificare il rispetto dei livelli essenziali di assistenza alla luce della prospettata chiusura del punto nascita di Vigevano, in provincia di Pavia (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Scuvera se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  CHIARA SCUVERA. Sì, grazie Presidente. Grazie al sottosegretario per la risposta che vorrà dare a questa nostra interpellanza. Noi, infatti, esprimiamo una forte preoccupazione, cioè se nel comprensorio di Vigevano, nell'ambito territoriale interessato, alla luce dell'eventualità della chiusura del punto nascita, siano effettivamente assicurati i livelli essenziali, anche in considerazione del fatto che ci sono forti criticità legate alle infrastrutture viarie e difficoltà di collegamento con gli altri centri lombardi.
  Questa preoccupazione è originata dal fatto che la regione Lombardia non ha contemplato il punto nascita di Vigevano tra quelli che potrebbero essere passibili di deroga alla luce dell'accordo del Governo, delle regioni e degli enti locali. Il punto nascita è al di sotto dei 500 parti l'anno di pochissimo: nel 2015 vi sono stati 427 parti. La preoccupazione nasce dal fatto – quindi non è un'interpellanza meramente localistica – che il punto nascita di Vigevano è l'unico per cui regione Lombardia non abbia avanzato questa richiesta di deroga.
  Quindi, chiediamo al Governo se effettivamente vi sia un rischio di garanzia dei livelli essenziali e di salute delle donne, visto che l'ostetricia di Vigevano è dotata anche di un reparto di rianimazione, cosa che, invece, non hanno altri centri sul territorio.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la salute, Vito De Filippo, ha facoltà di rispondere.

  VITO DE FILIPPO, Sottosegretario di Stato per la salute. La riorganizzazione dei punti nascita scaturisce, come sa bene l'onorevole Scuvera, dall'accordo del 16 Pag. 18dicembre 2010, tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, sul documento che portava il titolo «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione – obiettivo nazionale rilevante – del taglio cesareo».
  Quell'accordo impegnava tutte le regioni, comprese quelle in piano di rientro dal deficit sanitario, ad attuare dieci linee di azione per la ridefinizione del percorso nascita, al fine di implementare misure fondamentali per garantire i livelli accettabili di qualità e di sicurezza, sia per la madre che per il nascituro. Gli eventi di cronaca quotidiana, ovviamente, costringono e impongono vieppiù, mi sentirei di dire, il sistema sanitario nazionale ad andare in questa direzione.
  Di particolare importanza è, in tal senso, la definizione del volume minimo di parti, che, secondo la letteratura scientifica e anche le statistiche che sono abbastanza note e le esperienze in materia, è fondamentale per configurare le condizioni organizzative di competenza e di expertise necessarie per la sicurezza del percorso nascita, nonché la realizzazione di un sistema di trasporto di emergenza specificamente rivolto alla madre e al neonato; e in genere, statisticamente, in quei punti nascita con minori parti, incidono più negativamente dati di nati morti o di eventi sicuramente negativi.
  Il successivo DM n. 70 del 2015, che ha citato l'onorevole Scuvera, recante «Definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi, relativi all'assistenza ospedaliera», per quando attiene al percorso nascita, sancisce che, relativamente alla classificazione delle strutture ospedaliere, i presidi ospedalieri di primo livello, con bacino di utenza compreso tra 150 mila e 300 mila abitanti, sono strutture sedi di Dipartimento di emergenza e di accettazione, cosiddette DEA di primo livello, dotate delle seguenti specificità: ostetricia e ginecologia (se prevista) per numero di parti annui; relativamente ai volumi di attività e ai volumi ed esiti di maternità, si applicano, dice quel decreto, le soglie di volume di attività di cui all'accordo Stato-regioni, che ho già citato, quello del 16 dicembre 2010.
  Ne consegue che, nella riorganizzazione della rete ospedaliera, definita anche dal DM n. 70 del 2015, le strutture ospedaliere classificate come presidi ospedalieri di base non potrebbero mantenere l'attività di punti nascita nemmeno in deroga. Nelle strutture classificate come primo livello, potranno essere previsti, invece, i punti nascita di primo livello, solo se i volumi di attività rientrano in quelli definiti dall'accordo del 16 dicembre 2010, che voglio ricordare: quell'accordo raccomandava di fissare il numero di almeno 1000 nascite all'anno quale parametro standard a cui tendere per il mantenimento e l'attivazione di punti nascita; le regioni devono procedere a pianificare la riorganizzazione dei punti nascita sulla base di questo parametro, provvedendo, pur in tempi differiti e congrui alle necessità organizzative, a chiudere o accorpare strutturalmente i punti nascita con volumi compresi tra i 500 e 1000 parti all'anno.
  La possibilità di mantenere in attività punti nascita con un volume di attività inferiore a 500 parti all'anno, pur se non espressamente prevista dall'accordo stesso, che indica la possibilità di deroga solo per punti nascita con numerosità non al di sotto del volume minimo, comunque fissato, di 500 parti all'anno, è stata tuttavia accordata per venire incontro a specifiche esigenze legate ad effettive e dimostrabili difficoltà orografiche in alcuni territori.
  In questo senso, il decreto ministeriale a firma del Ministro Lorenzin dell'11 novembre 2015, ha previsto la possibilità di mantenere in attività punti nascita al di sotto dello standard dei 500 parti all'anno, previo parere del Comitato Percorso Nascita nazionale, ed ha predisposto un protocollo metodologico, che è allegato a quel decreto, a cui le regioni e le province autonome devono attenersi per la eventuale richiesta di deroga, che è sempre di provenienza nelle scelte programmatiche delle regioni.Pag. 19
  In merito all'organizzazione dei punti nascita del comune di Vigevano, la regione Lombardia ha inteso precisare quanto segue. Nel comune di Vigevano sono presenti due punti nascita presso l'azienda socio-sanitaria di Pavia e l'istituto clinico Beato Matteo, nei quali vengono effettuati complessivamente circa 1000 parti all'anno, in grande prevalenza pari all'80 per cento per pazienti residenti negli ambiti territoriali dell'Agenzia di tutela della salute ATS di Pavia. La regione, nel comunicarci questi dati, sottolinea che le richieste di deroga agli standard operativi minimi (almeno 500 parti all'anno) sono sostenibili in caso di un potenziale e progressivo incremento negli anni futuri del numero dei parti, ovvero laddove sussistano, secondo quella regione, oggettive difficoltà negli spostamenti dal domicilio delle pazienti ai punti nascita. A questo riguardo, una recente deliberazione della giunta regionale ha individuato la possibilità di richiedere in deroga, solo nel caso delle zone orografiche più disagiate e comunque caratterizzate da un solo punto di offerta. Questa condizione, secondo la regione, non sarebbe presente nella città di Vigevano, dotata di due punti nascita distanti poche centinaia di metri.
  Peraltro, le autorità sanitarie della regione Lombardia, insieme all'Agenzia di tutela della salute di Pavia ed in collaborazione con l'Agenzia socio-sanitaria di Pavia e con l'Istituto clinico «Beato Matteo», stanno valutando un progetto che comporti l'unificazione presso la struttura pubblica delle équipe e degli spazi per il ricovero e il parto, in quanto tale istituto è stato individuato complessivamente più idoneo a fare fronte in modo appropriato agli standard della domanda della città di Vigevano e del territorio circostante della Lomellina.
  La regione segnala che l'aumento dei servizi e della qualità della sicurezza previsto dal progetto in fase di valutazione, inoltre, comporterà potenzialmente un ulteriore incremento della casistica per l'aumento dell'attrattività dei territori circostanti.
  In conclusione, anche il DM di novembre, che dà questa possibilità, affida, comunque, la proposta sull'articolazione dei punti nascita sicuramente alle regioni.

  PRESIDENTE. L'onorevole Scuvera ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  CHIARA SCUVERA. Sì, Presidente, sono soddisfatta per la completezza della risposta del Governo, un po’ meno soddisfatta – io capisco che non sia una diretta competenza del Governo – per l'atteggiamento di regione Lombardia. Noi sappiamo bene, infatti, che c’è un punto di nascita gestito dal privato sullo stesso territorio che non assicura le stesse condizioni di sicurezza per le donne e per i nascituri, che, invece, assicura la struttura pubblica. Quindi, io credo che la regione Lombardia dovrebbe uscire dall'ambiguità e sostenere questo progetto, che, invece, è avanzato dalle autorità sanitarie locali, di unificare nella struttura pubblica tutta l'attività dei punti nascita, perché è quella che garantisce la sicurezza e la salute delle donne e dei nascituri, e di differenziare l'offerta rispetto al privato accreditato. Io non demonizzo assolutamente il privato, ma ritengo che ci debba essere una equilibrata sussidiarietà e che non si debba, sostanzialmente, sempre puntare sul privato accreditato piuttosto che sul pubblico, come, purtroppo, avviene spesso in regione Lombardia.

  PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.

Annunzio di una informativa urgente del Governo (ore 10,56).

  PRESIDENTE. Avverto che, come già comunicato per le vie brevi ai rappresentanti dei gruppi, nella seduta di martedì 5 aprile, alle ore 16, avrà luogo un'informativa urgente del Governo, con la partecipazione Pag. 20del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, sugli sviluppi del caso Regeni.

Ordine del giorno della prossima seduta.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

  Lunedì 4 aprile 2016, alle 15,30:

  1. – Discussione sulle linee generali della proposta di legge:
   GREGORIO FONTANA e CINZIA MARIA FONTANA: Modifica delle circoscrizioni territoriali delle province di Bergamo e Cremona (C. 1435-A).
  – Relatore: Marco Di Maio.

  2. – Discussione sulle linee generali della mozione Vargiu, D'Incecco, Binetti ed altri n. 1-01191 concernente iniziative volte al riconoscimento della fibrosi polmonare idiopatica come malattia rara e a garantire una più efficace e omogenea assistenza sanitaria in relazione a tale patologia.

  3. – Discussione sulle linee generali delle mozioni Ruocco ed altri n. 1-01140 e Brunetta ed altri n. 1-01206 concernenti presupposti e modalità di riscossione del canone di abbonamento per la detenzione di apparecchi atti o adattabili alla ricezione di trasmissioni radiotelevisive.

  4. – Discussione sulle linee generali dei progetti di legge:
   MANLIO DI STEFANO ed altri: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica ceca sulla cooperazione in materia di cultura, istruzione, scienza e tecnologia, fatto a Praga l'8 febbraio 2011 (C. 2004-A).
  – Relatore: Gianluca Pini.

   Ratifica ed esecuzione dei seguenti Trattati: a) Trattato di estradizione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica del Kosovo, fatto a Pristina il 19 giugno 2013; b) Trattato di assistenza giudiziaria in materia penale tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica del Kosovo, fatto a Pristina il 19 giugno 2013 (C. 2981-A).
  – Relatrice: Quartapelle Procopio.

   S. 1945 – Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo federale della Repubblica di Somalia in materia di cooperazione nel settore della difesa, fatto a Roma il 17 settembre 2013 (Approvato dal Senato) (C. 3459).
  – Relatrice: Quartapelle Procopio.

   S. 1986 – Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione in materia di difesa tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica del Senegal, fatto a Roma il 17 settembre 2012 (Approvato dal Senato) (C. 3461).
  – Relatrice: Quartapelle Procopio.

  La seduta termina alle 11.