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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 584 di lunedì 7 marzo 2016

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PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARINA SERENI

  La seduta comincia alle 13,30.

  PRESIDENTE. La seduta è aperta.
  Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

  ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 4 marzo 2016.

  PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amendola, Amici, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Censore, Antimo Cesaro, Cirielli, Costa, Crippa, D'Alia, Dambruoso, Damiano, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Garofani, Gelli, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Merlo, Migliore, Nicoletti, Orlando, Gianluca Pini, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Rigoni, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Tabacci, Valeria Valente, Velo, Vignali e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente ottanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Modifica nella composizione della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale.

  PRESIDENTE. Comunico che, in data 4 marzo 2016, la Presidenza della Camera ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale il deputato Riccardo Fraccaro, in sostituzione della deputata Laura Castelli, dimissionaria.

Discussione del disegno di legge: Delega al Governo recante disposizioni per l'efficienza del processo civile (A.C. 2953-A); e dell'abbinata proposta di legge: Colletti ed altri (A.C. 2921) (ore 13,32).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 2953-A: Delega al Governo recante disposizioni per l'efficienza del processo civile; e dell'abbinata proposta di legge: Colletti ed altri n. 2921.Pag. 2
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 4 marzo 2016.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2953-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, Franco Vazio.

  FRANCO VAZIO, Relatore per la maggioranza. Onorevole signora Presidente, onorevoli colleghi, onorevoli rappresentanti del Governo, i ritardi, le carenze e le contraddizioni di cui il settore civile soffre da tempo sono noti e, per questa ragione, al tempo delle promesse e delle attese deve essere sostituito il tempo delle decisioni.
  Il provvedimento in esame costituisce una delle tessere più significative dello schema di riforma della giustizia che il Governo ha sottoposto al Parlamento. Rispetto agli altri disegni di legge del Governo, rientrando in questo ambito, la riforma del processo civile assume un valore particolare, in quanto è stata collegata dal Governo alla manovra di bilancio. Questa scelta ha il proprio fondamento nella considerazione che una giustizia celere, accessibile e che produce esiti di qualità e ragionevolmente prevedibili, è una precondizione per un buon funzionamento del sistema economico e per la ripresa degli investimenti produttivi anche da parte delle imprese estere e, quindi, uno strumento per aumentare il livello della competitività del nostro Paese.
  Non si tratta di ridurre la qualità del processo, ma di assegnare forme e strumenti adeguati alle mutate esigenze di una società che ha confini sempre meno evidenti ed una competitività sempre più accentuata. Esiste il tema afferente alla comprensione del processo: chiunque sia costretto ad utilizzare il processo ha il diritto di sapere se, prevedibilmente, vincerà o perderà la causa. Esiste il tema dell'efficienza e della speditezza del processo. Abbiamo l'obbligo di guardare con straordinaria attenzione ai diritti di coloro che chiedono giustizia. Grava su di noi l'onere di garantire massima competenza e specializzazione a situazioni socialmente sensibili o strategiche e ai diritti dei soggetti maggiormente vulnerabili. Costoro, la tutela dei loro diritti, dei diritti dei cittadini e delle imprese sono il primo obiettivo della riforma.
  In Commissione si è svolto un confronto, ed un approfondimento di altissimo livello, che ha coinvolto tutti gli operatori della giustizia. Avevamo un compito importante: quello di ascoltare e di fare tesoro dei contributi, perché nessuna riforma vera viene e può essere calata dall'alto. Al tempo stesso, però, siccome ogni riforma, anche la migliore, rappresenta per gli operatori una nuova sfida da affrontare, nuovi sforzi e impegni gravosi, abbiamo soppesato le scelte e valutato le critiche sollevate con eccezionale attenzione.
  Il testo originario del disegno di legge del Governo era costituito da un solo articolo. Il testo approvato dalla Commissione, a seguito di un approfondito esame al quale hanno partecipato con spirito costruttivo tutti i gruppi, compresi quelli di opposizione, si compone, invece, di cinque articoli. La Commissione ha, infatti, significativamente modificato e ampliato la delega ed ha anche inserito nel provvedimento quattro ulteriori articoli di immediata applicazione. Il cardine dell'intero disegno di legge è l'articolo 1, che delega il Governo a riformare organicamente il processo civile secondo parametri di maggiore efficienza e specializzazione. Tale articolo si muove lungo le seguenti linee direttrici: specializzazione dell'offerta di giustizia, razionalizzazione dei tempi del processo civile, affermazioni in Pag. 3ogni fase del principio di sinteticità degli atti e adeguamento delle norme processuali al processo civile telematico.
  Come si è accennato, l'esame in Commissione, avviato il 7 maggio 2015 e concluso il 3 marzo 2016, è stato alquanto approfondito. Momento centrale dell'iter legislativo è stata l'indagine conoscitiva, attraverso la quale sono stati auditi professori universitari, esperti della materia, magistrati, rappresentanti di associazioni della magistratura e dell'Avvocatura. L'indagine conoscitiva è stata aperta con l'audizione del dottor Giuseppe Maria Berruti, in qualità di Presidente della Commissione ministeriale, costituita per l'elaborazione di proposte e di interventi in materia di processo civile presso il Ministero della giustizia, proprio perché e in quanto il disegno di legge presentato alla Camera riproduce pressoché integralmente l'elaborato conclusivo di tale Commissione ministeriale.
  La Commissione giustizia, pur confermando l'impianto del disegno di legge, ha apportato, in alcuni punti, significative modificazioni al testo originario, cercando di conferire maggiore dettaglio ad alcuni dei principi e criteri direttivi di delega, al fine non tanto di circoscrivere la discrezionalità del Governo, quanto per conservare al Parlamento alcune scelte significative sul profilo del nuovo processo civile. Vi è stata una lunga lista di auditi, che verranno richiamati nella relazione depositata. Tutte le audizioni sono servite da base per lo sviluppo del dibattito in Commissione quale importante punto di riferimento per la successiva fase emendativa.
  Per quanto attiene al contenuto del provvedimento, considerati i tempi contingentati a disposizione e l'ampiezza dell'intervento normativo in esame, noi relatori ci concentreremo sui punti essenziali della riforma, rinviando alla relazione integrale, di cui si chiede alla Presidenza l'autorizzazione alla pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti), anche per la descrizione in dettaglio delle disposizioni contenute nel disegno di legge, così come modificato dalla Commissione.
  Ebbene, la delega, in primo luogo ed in coerenza con quanto sopra sottolineato circa l'incidenza della giustizia civile sulla competitività del Paese, interviene sul cosiddetto tribunale delle imprese, ampliando le competenze delle esistenti sezioni specializzate in materia di imprese, mantenendone invariato il numero, modificandone la denominazione in quelle di sezioni specializzate per le imprese e il mercato e prevedendo la rideterminazione delle dotazioni organiche delle sezioni specializzate dei tribunali ordinari, adeguandole alle nuove competenze nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
  A tali sezioni specializzate sono devolute le controversie in materia di concorrenza sleale, ancorché non interferenti con l'esercizio dei diritti di proprietà industriale e intellettuale, le controversie in materia di pubblicità ingannevole, le azioni di classe, le controversie riguardanti gli accordi di collaborazione nella produzione e nello scambio di beni e di servizi relativi a società interamente possedute dai partecipanti dall'accordo, le controversie in materia societaria già devolute alle sezioni specializzate, anche relative a società di persone, e tutte le controversie in materia di contratti pubblici, di lavori, servizi e forniture rientranti nella giurisdizione del giudice ordinario.
  Altro punto qualificante della riforma riguarda l'istituzione, presso i tribunali ordinari e presso la Corte d'appello e le sezioni distaccate di Corte d'appello, delle sezioni specializzate per la persona, la famiglia e i minori, e, presso le procure della Repubblica in sede distrettuale, dei gruppi specializzati in materia di persona, famiglia e minori. Si prevede la correlativa soppressione del Tribunale per i minorenni e dell'Ufficio del pubblico ministero presso il Tribunale per i minorenni, con passaggio delle relative funzioni alle neoistituite sezioni specializzate e ai neoistituiti gruppi specializzati.
  Naturalmente, sono previsti i principi relativi di assegnazione al personale della magistratura ed amministrativo. Un punto e principio di fondamentale importanza è il Pag. 4mantenimento della specializzazione del giudice e del pubblico ministero e delle attuali composizioni del collegio per le decisioni più importanti in materia di minorenni. Come si è detto, le sezioni specializzate sono previste, sia in sedi circondariali, che in sedi distrettuali. Le sezioni distrettuali attraggono la maggior parte delle competenze dei tribunali per i minorenni con particolare riferimento, tra l'altro, alla materia delle adozioni e sono quelle per le quali è assolutamente garantita la specializzazione dei giudici, sia perché è previsto che i giudici stessi esercitino le relative funzioni in via esclusiva, sia perché è statuito il mantenimento dell'attuale composizione del collegio previsto per il tribunale dei minorenni. Le sezioni circondariali mantengono le attuali competenze dei tribunali ordinari in materia di stato e capacità della persona e famiglia e attraggono parte delle competenze dei tribunali per i minorenni come in precedenza assegnate dall'articolo 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile.
  Per quanto attiene al processo penale minorile, si è mantenuto l'attuale rito, mentre, per quanto attiene al processo civile, sono stati ridefiniti i riti dei procedimenti alle sezioni specializzate per la persona e la famiglia. In particolare, si è proceduto dettando discipline omogenee rispettivamente per i procedimenti in materia di separazione e divorzio, per i procedimenti di separazione e divorzio consensuali e per la richiesta congiunta dell'affidamento e mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio, per i procedimenti in materia di responsabilità genitoriale, nonché per l'esecuzione dei relativi provvedimenti. Altro principio estremamente importante è il rafforzamento dell'obbligatorietà dell'ascolto del minore, anche infradodicenne, salvo il caso in cui non sia capace di discernimento.
  Considerato che non è possibile fare delle riforme senza adeguare le strutture che poi le devono applicare, si prevede la rideterminazione delle dotazioni organiche delle sezioni specializzate circondariali e distrettuali, nonché degli uffici del pubblico ministero, adeguando le nuove competenze nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, attraverso la riorganizzazione e la razionalizzazione dei medesimi tribunali. Chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo della mia relazione (La Presidenza lo consente sulla base dei criteri costantemente seguiti).
  Passo ora la parola al collega relatore per la maggioranza, onorevole Giuseppe Berretta...

  PRESIDENTE. Onorevole Vazio, la parola gliela dà la Presidenza. Adesso lei si fermi qui, grazie.

  FRANCO VAZIO, Relatore per la maggioranza... per la seconda parte della delega, grazie.

  PRESIDENTE. Va bene, grazie, onorevole Vazio. Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, deputato Giuseppe Berretta. Prego onorevole.

  GIUSEPPE BERRETTA, Relatore per la maggioranza. Grazie Presidente. Ringrazio molto la presidente Ferranti qui presente per il contributo dato nei lavori che abbiamo sin qui svolto e ringrazio il legislativo e ringrazio il Ministro e il Viceministro qui presenti per il contributo che è stato dato sin qui e per quello che sicuramente non mancherà d'ora innanzi. Roosevelt diceva: «fai quello che puoi, con quello che hai, nel posto in cui sei». Può apparire forse un approccio minimalista, ma in verità, secondo me, c’è molto di vero in questo modo di dire. Bisogna tentare di fare il meglio, sapendo che i vincoli esterni ci sono e sono pressanti. Per questa ragione, abbiamo ritenuto di modificare, sia pure parzialmente, il disegno di legge proposto dal Governo, tentando di raccogliere le tante indicazioni che sono venute in Commissione in sede di audizioni e mettendo in campo tutta una serie di misure, micro e meno micro, atte a migliorare le condizioni della nostra giustizia Pag. 5civile, tanto importante per lo sviluppo del Paese e per la tutela dei diritti dei cittadini.
  Prima misura, mi soffermerò sul giudizio di cognizione di primo grado. Primo elemento di novità che è stato introdotto nel lavoro di Commissione è la valorizzazione dell'istituto della proposta di conciliazione del giudice. Sulla scorta dell'esperienza maturata nel processo del lavoro, è stata trasposta sostanzialmente la norma già vigente in questo ambito, tentando di indurre le parti a trovare una soluzione in via conciliativa e transitoria dinanzi al giudice. Altro elemento di novità è appunto la modifica del catalogo delle controversie per le quali il tribunale giudica in composizione collegiale. In questo ambito, quindi, abbiamo previsto una modifica e un ampliamento di questa categoria, salvo poi appunto prevedere per queste fattispecie l'applicazione del rito ordinario di cognizione.
  Mentre, a nostro avviso, è possibile ridurre il carico in materia di giudizio di cognizione di primo grado, applicando il rito sommario di cognizione che abbiamo ridenominato come rito semplificato di cognizione di primo grado, applicabile a tutte le controversie devolute al tribunale monocratico diverse dalle controversie di lavoro. Altro elemento di novità, sempre attinente al giudizio di cognizione, è la possibilità della negoziazione assistita anche per le controversie individuali di lavoro, senza nulla togliere alla possibilità di transigere e conciliare attraverso i meccanismi propri della contrattazione collettiva.
  Passo ora al giudizio di appello. Anche in questo ambito, notevoli sono le modifiche che sono state introdotte dalla riforma proposta dal Governo e arricchite in sede di Commissione. In particolare, è previsto che per tutti i mezzi di impugnazione i termini decorrono dalla comunicazione del testo integrale del provvedimento, da effettuarsi anche nei confronti delle parti non costituite, quindi, unificando e modificando la disciplina dei termini di impugnazione. Inoltre, abbiamo introdotto il principio della possibilità che sia il giudice monocratico, in materie di ridotta complessità giuridica, a valutare la controversia e a decidere in appello. Abbiamo, invece, mantenuto la competenza del collegio negli altri ambiti, pur prevedendo la possibilità che sia il consigliere relatore a trattare e a istruire la controversia, eventualmente ammettendo nuovi mezzi di prova. Anch'essa è una novità certamente rilevante. In materia di giudizio di Cassazione, in verità poche sono le modifiche che sono state introdotte in sede di lavoro di Commissione. L'impianto, proposto appunto dalla Commissione Berruti e fatto proprio dal Governo, è stato integralmente confermato. Si elimina il cosiddetto filtro in Cassazione; si favorisce la funzione nomofilattica della Cassazione attraverso la razionalizzazione della formazione dei ruoli, secondo criteri di rilevanza delle questioni; si prevede l'introduzione di modelli sintetici di motivazione, anche se in questo ambito credo che ci sia in itinere un emendamento teso a cesellare ulteriormente il disposto normativo; si prevede, inoltre, una più razionale utilizzazione dei magistrati addetti all'Ufficio del massimario e del ruolo, i quali potranno essere applicati anche ai collegi giudicanti in ragione, ovviamente, della loro anzianità.
  Importanti modifiche vengono introdotte anche in materia di esecuzione forzata. In particolare, quanto alla vendita di beni immobili, è prevista la possibilità di vendita con le modalità telematiche, salvo che ciò non sia di pregiudizio per i creditori o la speditezza della procedura. Inoltre, è previsto che, falliti tre diversi tentativi, il giudice possa disporre un'ulteriore vendita a prezzo libero garantendo a tutti gli interessati la compiuta visione dell'immobile. Inoltre, quanto ai beni mobili, si prevede l'impignorabilità dei beni di uso quotidiano privi di apprezzabile valore di mercato, nonché degli animali di affezione. Quanto al pignoramento presso terzi, si determina il valore del credito azionato nei confronti delle pubbliche amministrazioni al di sotto del quale il terzo dovrà accantonare una somma pari al triplo. Si ridefinisce il ruolo degli ufficiali giudiziari in materia proprio di esecuzioni. Pag. 6
  Altro elemento di novità che è stato introdotto è, appunto, il principio dell'estensione delle misure coercitive indirette, di cui all'articolo 614-bis del codice di procedura civile. Il Governo, quindi, dovrà prevedere che, previa istanza della parte vittoriosa, il giudice possa fissare la penale dovuta dal soccombente per l'eventuale ritardata esecuzione dell'ordine giudiziale a fronte di qualsiasi provvedimento di condanna, anche di obblighi infungibili. Una ulteriore novità che è stata introdotta appunto nel testo elaborato dal Governo attiene alla riforma dell'arbitrato in maniera societaria rispetto al quale, quindi, vi è una delega al Governo; delega che si assomma alla delega preesistente di riforma complessiva dell'istituto dell'arbitrato.
  Ci sono poi un complesso di norme che per ragioni di tempo non posso citare in maniera sistematica, che sono norme tese ad adeguare le norme processuali al processo civile telematico che tanti risultati sta già dando e che ulteriormente ne darà alla luce, appunto, di queste ulteriori modifiche e integrazioni che vengono qui stabilite e introdotte.
   Un ulteriore elemento di novità che vale la pena sottolineare è quello relativo alla condanna alle spese. La Commissione di merito ha inserito nell'articolo 1, comma 2, due ulteriori principi e criteri direttivi relativi alla condanna al pagamento delle spese processuali. Il Governo dovrà modificare l'articolo 96, comma 3, del codice di procedura civile che attualmente consente al giudice, in sede di pronuncia sulle spese, di condannare la parte soccombente che ha agito o resistito in malafede al pagamento a favore della controparte di una somma equitativamente determinata. La riforma dovrà specificare che tale somma può essere determinata tra il doppio e il quintuplo delle spese legali liquidate. L'articolo 91 del codice di procedura civile sulla condanna alle spese – quindi l'altra delega che viene data – prevedendo che, anche al di fuori dei presupposti per l'applicazione della cosiddetta lite temeraria di cui sopra, se il giudice ritiene che la parte soccombente abbia agito o resistito con malafede o colpa grave, potrà condannarla al pagamento, oltre che delle spese processuali, di una sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, e l'entità della sanzione dovrà essere parametrata al valore del contributo unificato tra il doppio e il quintuplo.
  Ultimo elemento di novità sul quale mi soffermo è l'abrogazione del «rito Fornero» per le controversie sui licenziamenti e l'introduzione di una nuova regolamentazione in questo ambito. In questo senso, Presidente, raccogliendo delle indicazioni provenienti dalla associazione nazionale magistrati e dalla associazione giuslavoristi italiani, abbiamo abrogato le norme della «legge Fornero» in materia di licenziamento, norme processuali in materia di licenziamento, unificando la disciplina delle cause di licenziamento, chiarendo i modi per impugnare i licenziamenti discriminatori, ambito nel quale vi erano una serie di discipline alternativamente applicabili, concentrando le azioni, dinanzi al giudice del lavoro, avverso la cessazione del rapporto del socio lavoratore di cooperativa. Anche essa è una novità di una certa rilevanza, richiesta peraltro dalla gran parte degli operatori del settore di cui ci siamo fatti carico attraverso appositi emendamenti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, il deputato Colletti.

  ANDREA COLLETTI, Relatore di minoranza. Grazie Presidente. È notorio che l'attuale processo civile duri troppo a lungo e pertanto non funziona. Una ritardata giustizia, in realtà, è una denegata giustizia. Però manca (in questo caso manca del tutto da parte del Governo, ma anche da parte della Commissione giustizia) la valutazione del perché dura troppo questo processo civile. In realtà, tutti gli operatori del diritto affermano che duri troppo perché vi è una mancanza cronica di risorse, mancanza di magistrati, mancanza di personale amministrativo (in alcuni tribunali ne manca sino al 20, 25 per Pag. 7cento), e tutti ci dicono che fino a quando gli organici non saranno rimpolpati, il processo civile continuerà a durare a lungo. È stato fatto qualcosa su questo provvedimento ? Ovviamente no, nulla ! Avevamo presentato anche degli emendamenti per provvedere a nuove immissioni, ma ovviamente sono stati rigettati totalmente. Quindi, a cosa serve questo provvedimento ? Serve a rendere l'accesso alla giustizia ancora più difficile per il singolo cittadino. Presidente, tutti gli operatori della giustizia che abbiamo audito ci hanno detto di non stravolgere il processo civile di primo grado. E voi Governo, o voi Commissione e maggioranza parlamentare, che fate ? Ovviamente modificate totalmente il processo civile di primo grado. Tutti ci hanno detto di non modificarlo e voi per intestarvi una riforma, o per magari fare un tweet, ne andate a stravolgere l'attuale assetto, creando ulteriore contenzioso, perché ogni qual volta cambiamo le regole si crea contenzioso, non nel merito delle controversie tra cittadini, cittadini e imprese, ma sulla procedura, e oltretutto abbiamo un Governo che delega se stesso.
  Il Governo, con un disegno di legge delega, delega se stesso e delega se stesso a delegare anche nei due anni successivi alla presentazione dei decreti legislativi. Quindi, vi è un Governo che delega se stesso e che delega ulteriormente a presentare le modifiche ai propri decreti legislativi; una sorta di follia costituzionale ma sappiamo che ormai la Costituzione, anche a causa del vecchio Presidente della Repubblica, e dell'attuale, conta poco o nulla in questo Paese.
  Qualcosa che non può essere accettato è l'aumento del 100 per cento della tassazione per i soci e per le piccole imprese. Ebbene, devolvendo gran parte delle controversie dal tribunale ordinario alla sezione specializzata aumenta de plano del 100 per cento il contributo unificato. Quindi, voi con un provvedimento aumentate del 100 per cento la tassazione a carico dei cittadini, rendendo oltretutto più costoso l'accesso alla giustizia perché le sezioni specializzate ve ne saranno, in questo caso, una in ogni regione. Una in ogni regione nel nostro Paese potete ben immaginare cosa significa.
  Ma andiamo al processo di primo grado. Come detto, tutti ci dicevano di non modificarlo e voi cosa fate ? Prevedete per il 90 per cento dei processi civili di primo grado il processo sommario di cognizione. Già la parola stessa va a dare un significato: «sommario», giustizia sommaria, giustizia formale contro la giustizia sostanziale, che è quella a cui dovrebbe tendere l'ordinamento. Ovvero, il Governo pregiudica i diritti e le garanzie processuali delle parti, scoraggiando il cittadino dal ricorre al sistema giustizia, determinando pertanto la violazione del suo diritto fondamentale, che è un diritto costituzionalmente protetto dall'articolo 24 della Costituzione e troppo spesso il Governo se ne dimentica.
  Si parla di valorizzazione del tentativo di conciliazione. Ora, da un punto di vista giuridico, si dovrebbe parlare o di obbligo o di facoltà; valorizzazione non significa nulla. Quindi sarebbe interessante sapere dal Ministro cosa significa valorizzazione; rendiamo obbligatorio il tentativo di conciliazione ? Scrivetelo. Alcuni procedimenti, sia in primo grado, che in appello, passano dal monocratico al collegiale in base alla loro rilevanza socioeconomica e complessità giuridica. La domanda che avevo posto al sottosegretario in Commissione è: cosa significa concretamente ? E il sottosegretario Ferri mi ha detto, chiaramente, che non lo sapeva neanche lui in quel momento. Quindi, noi facciamo norme totalmente astruse, di cui oltretutto il medesimo Governo non ne conosce il significato; un bel modo di legiferare.
  L'unica nota positiva del disegno di legge delega (a quanto pare chi l'aveva scritto si era dimenticato che vi erano state altre modifiche nel 2012) era la soppressione degli articoli 348-bis e ter del codice di procedura civile. Ebbene, l'unica nota positiva, purtroppo, in Commissione è stata cancellata. Parlo del cosiddetto filtro in appello, perché da noi ormai va di moda mettere filtri, mettere filtri nel processo civile di primo grado, mettere filtro Pag. 8in appello, filtri in Cassazione o addirittura normare una vera e propria estorsione da parte dello Stato. Vi è estorsione quando lo Stato ti dice «chiedi giustizia ? Ebbene, se perdi, io ti condanno al quintuplo delle spese legali o al quintuplo del contributo unificato», ergo sei ricco puoi fare la causa; se sei magari un operaio, guarda non ti conviene chiedere la tutela dei propri diritti, stai zitto e subisci in silenzio perché, altrimenti, io ti massacro. È questo il significato delle cosiddette liti temerarie, emendamento del relatore approvato in Commissione.
  Ma andiamo a una parte ancora più vergognosa che è la parte del processo esecutivo. Ebbene, in questi giorni sappiamo bene che c’è un assalto del Governo alla casa degli italiani. C’è stato un assalto attraverso il decreto legislativo n. 256, secondo cui la banca poteva tranquillamente vendere la casa di italiani quando voleva, senza passare attraverso un giudice, e c’è l'assalto anche in questo disegno di legge-delega perché si fa un estremo favore a tutti gli speculatori immobiliari. Infatti, il numero 1-ter della lettera d) prevede che, quando un debitore, che magari ha perso il lavoro, giustamente subisce un pignoramento immobiliare, dopo il terzo tentativo di vendita, il delegato alla vendita dispone l'ultimo esperimento di vendita a prezzo libero. Cosa significa ? Significa che una casa del valore di 150.000 euro, se dovesse passare questo disegno di legge e i decreti legislativi, sarà venduta anche a 5000 euro o a 10.000 euro, quindi il debitore non avrà più una casa e non avrà neanche i soldi che dovranno venire da quella vendita, e avrà oltretutto un altro debito sempre con la banca.
  La domanda che vorrei fare al ministro, che purtroppo ora non c’è, è la seguente: ministro, perché dovete fare tutti questi favori agli speculatori immobiliari ? Ministro Orlando, io vorrei sapere quanti di questi speculatori immobiliari finanziano magari le campagne elettorali del Partito Democratico o la fondazione Open del suo Presidente del Consiglio Matteo Renzi ? Perché altrimenti non si spiega ! Non si spiega, perché oltretutto questa norma deve essere letta insieme all'articolo 16 del decreto-legge n. 18 del 2016. Cosa prevede questo decreto legge, in discussione qui alla Camera ? Ebbene, prevede che la tassa di registro non verrà pagata, se non in minima parte, dagli speculatori immobiliari. Ovvero, se uno speculatore immobiliare compra una casa all'asta pagherà 200 euro, a patto di rivenderla entro due anni, ed è quello che fa uno speculatore immobiliare: compra a basso prezzo per rivendere a prezzo più alto. Cosa succede se un cittadino normale compra una casa all'asta per andarci a vivere ? Ebbene pagherà il 9 per cento del prezzo della casa ! Lo speculatore immobiliare paga 200 euro e il cittadino, che non ci deve guadagnare da quella vendita, perché la utilizzerà personalmente, paga il 9 per cento ! Nello stesso decreto-legge è scritto che lo Stato regala, grazie a questo provvedimento, 200 milioni di euro agli speculatori immobiliari, quindi vorrei sapere dal ministro perché il Partito Democratico e il Governo attuano questo assalto alla casa degli italiani; dovrebbe spiegarlo e dovrebbe chiarirlo definitivamente ! È questo un punto che andremo a specificare molto di più durante, purtroppo, il poco tempo che avremo per la discussione e la votazione degli emendamenti.
  Da ultimo ci sono due elementi positivi, gli unici due del disegno di legge delega. La cancellazione del rito Fornero, e guarda caso era un nostro emendamento, e la negoziazione assistita per le cause di lavoro, un altro nostro emendamento per cui ho dovuto litigare per una settimana sia con i relatori che con il Governo che volevano in parte smontarlo. Per concludere, Presidente, la lotta contro questo disegno di legge delega, che viene fatto contro l'interesse dei cittadini sarà forte; sarà forte non solo qui alla Camera, ma anche al Senato. Sarà forte anche in connessione, spero, con tutte le persone di buona volontà che sono a tutela delle persone più deboli e non a tutela delle persone più forti come l'attuale Governo !

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

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  COSIMO MARIA FERRI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Grazie Presidente. Intervengo perché, a parte che alcune considerazioni fatte da ultimo dall'onorevole Colletti non rientrano proprio nel provvedimento, mi spiace che non si colga, come invece il relatore ha ben illustrato nella sua relazione che condivido – anzi ne approfitto per ringraziare il lavoro svolto dalla Commissione Giustizia, dal Presidente e da tutti i componenti, su questo provvedimento – la volontà di dare una svolta al senso di questo provvedimento e del lavoro che ha fatto la Commissione Giustizia, tra l'altro modificando, secondo il Governo correttamente, tutta l'impostazione iniziale del provvedimento, che era quella uscita dal Ministero della Giustizia. La storia del provvedimento ci ricorda che era stata istituita una commissione i cui lavori sono stati recepiti in un provvedimento e che la Commissione Giustizia è intervenuta, modificando parti di questo provvedimento, secondo noi dopo un'attenta riflessione, con una serie di audizioni e in maniera positiva.
  Vogliamo quindi dare una svolta a questo Paese, vogliamo intervenire su quello che riguarda e concerne il funzionamento della giustizia civile. Tutti noi, ogni giorno, non solo in quest'Aula, ma nei dibattiti, negli incontri con gli operatori, parliamo della lentezza del processo civile, parliamo dei ritardi della giustizia civile e concordiamo nel ritenere che occorra cambiare e intervenire anche sulla struttura del processo civile, evitando tutte quelle udienze e quelle attività processuali che allungano i tempi e che non aiutano la rapidità nella decisione. Noi vogliamo costruire un processo che sia rapido e di qualità, perché è chiaro che una decisione che arriva presto e non di qualità non andrebbe bene, così come non va bene quello che molte volte, purtroppo, si vive nelle aule di giustizia con decisioni che arrivano tardi e che, anche se ti danno ragione, il cittadino avverte come una denegata giustizia.
  In un Paese in cui la magistratura è la più produttiva d'Europa il problema è di analizzare quali siano i motivi di questi ritardi; inutile ripetere che i ritardi sono dovuti all'impostazione, non solo alla mole del contenzioso e, quindi, al numero dei procedimenti che sono pendenti – su questo anche il Governo sta lavorando per trovare una soluzione per smaltire l'arretrato – ma anche appunto a come è strutturato il processo.
  Noi crediamo in questa riforma; secondo noi è importante proprio per dare modernità e credibilità al sistema Paese, perché dalla riforma della giustizia civile dipende non solo un servizio che sia davvero vicino alle esigenze del cittadino, ma anche per garantire competitività e stabilità, che sono richieste per la crescita economica e per l'attrattività del nostro mercato nei confronti dell'investitori stranieri. Per queste ragioni, una delle priorità di questo Governo è quella di restituire a questo Paese un processo civile che funzioni, così come la seconda fase sarà quella che riguarda il diritto fallimentare, per rendere non solo certa e rapida la risposta di giustizia, ma anche prevedibile, perché, quando si parla di certezza del diritto, si parla necessariamente di prevedibilità delle decisioni; quindi, in un sistema democratico dove funziona la Corte di Cassazione, con il ruolo di nomofilachia, e dove si possa davvero contare sulla certezza del diritto, è chiaro che anche tutte le decisioni devono diventare prevedibili in modo che un cittadino, se ha torto, sa di averlo e cerca di evitare il contenzioso, così come chi ha ragione può contare sulla stabilità e sulla risposta della giustizia.
  Abbiamo poi inserito tutta una serie di misure deflattive, alcune delle quali già sono in vigore; anche chi è intervenuto, mi riferisco ai relatori, all'onorevole Colletti prima ha fatto riferimento alle misure deflattive, alla mediazione, alla negoziazione assistita. I primi risultati sono positivi proprio per coltivare e continuare questa cultura non solo della giurisdizione, ma anche di misure e istituti alternativi alla giurisdizione, che oggi vogliamo estendere anche al rito in materia di lavoro.
  Tra l'altro, una delle altre novità è quella dell'eliminazione del rito Fornero, Pag. 10che è nata proprio in una discussione in Commissione Giustizia anche con il Governo. Anche questo è un aspetto positivo e questo percorso di misure e di istituti alternativi alla giurisdizione sta dando risultati positivi, anche sul piano della riduzione dell'arretrato civile, la cui eliminazione è condizione necessaria per ripartire con un processo che abbia un costo contenuto (pensiamo a tutto il contenzioso che scaturisce dalla legge Pinto per i ritardi) e che possa fondarsi sul lavoro degli uffici realmente ben organizzato. L'obiettivo finale è infatti quello di consentire al magistrato di studiare e decidere i fascicoli in tempo reale. Il concetto di arretrato è stato rivisto tra l'altro con il recente censimento generale della giustizia civile da parte del nostro Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, che ci consente interventi più incisivi, distinguendo l'arretrato, che viene chiamato debito scaduto, dalla giacenza che costituisce il debito corrente e dalla pendenza, che sarebbe il saldo contabile ad una certa data, impegnando i dirigenti a smaltire le cause, tutte quelle, appunto, del passato e quelle anteriori al 31 dicembre 2005. Il 2015 è stato l'anno dell'accelerata in questo percorso di modernizzazione con le misure introdotte dal decreto-legge n. 83 del 2015 convertito nella legge n. 132 e, a titolo di esempio, voglio ricordare gli strumenti a sostegno delle imprese in momentanea difficoltà, l'implementazione del processo civile e telematico ormai a regime, la velocizzazione, l'informatizzazione della tutela giurisdizionale del credito in sede esecutiva. È stato l'anno, anche, del lavoro che è stato compiuto – su cui lavoreremo tra breve – dalla Commissione Rordorf, sfociato nel disegno di legge presentato nelle scorse settimane e destinato a ridisegnare in modo organico la disciplina della crisi di impresa e dell'insolvenza che non sarà più calata dall'esterno della realtà in cui l'imprenditore opera, ma che intende offrire a quest'ultimo strumenti adeguati e al passo con l'economia moderna. Ecco, in questo quadro, in quest'ottica, noi vogliamo inserire questo provvedimento, perché è necessario, nel momento in cui si vuole rafforzare la tutela del diritto di credito; tutti gli addetti ai lavori hanno espresso pareri positivi anche su tutta quella parte dei procedimenti esecutivi che sono stati già oggetto di intervento da parte del Governo e del Parlamento e che oggi vogliamo, in quell'ottica, in quella linea, rafforzare e anche rivedere in positivo. Quindi, occorre anche rafforzare e modificare il processo civile con un rito ordinario sommario, cioè noi vogliamo estenderlo – con tutte le esperienze positive del rito sommario che comunque garantiva questa rapidità e qualità di decisione – e far sì che questo schema e questa impostazione diventino rito ordinario, riservando a tutta la materia collegiale – e quindi a un doppio binario – il rito ordinario di cognizione. Puntiamo, inoltre, a una maggiore specializzazione del magistrato, pensiamo a tutto quello che riguarda non solo il tribunale delle imprese; con questo provvedimento rafforziamo le competenze del tribunale delle imprese, in vista anche della riforma del diritto, di crisi d'impresa a cui prima facevo riferimento coi lavori della Commissione Rordorf. Quindi, c’è un rafforzamento del tribunale delle imprese e del giudice specializzato; i risultati del tribunale delle imprese penso che siano incontestabili e che garantiscano quella velocità, quella specializzazione e quella rapidità nella giustizia, in una giustizia particolare come quella che riguarda anche i rapporti e tutte le questioni legate al mondo dell'impresa che richiede dei tempi veloci per consentire alle imprese stesse di essere concorrenziali nel mercato e, comunque, di garantire quella ripresa economica a cui tutti facciamo riferimento. Ecco, dunque, una semplificazione del rito, una revisione del ruolo dell'ufficiale giudiziario, sempre nella delega che stiamo discutendo, e una razionalizzazione del processo civile telematico. Sul tribunale delle imprese tutti si sono soffermati; voglio solo ribadire il fatto che vogliamo potenziare un modello che funzioni, senza mai abdicare alla specializzazione dei giudici. Un dato che voglio riportare in questa sede è che l'80 per cento delle sentenze di primo grado, Pag. 11per il tribunale delle imprese, è stato emesso entro l'anno. Quindi, quell'anno a cui vogliamo far riferimento come obiettivo finale, già oggi, dal tribunale delle imprese, nell'80 per cento dei casi, è garantito, così come risulta soddisfatta quell'esigenza di prevedibilità delle decisioni richiesta dagli operatori commerciali ed evidenziata, anche, in tutte le relazioni di inaugurazione dell'anno giudiziario.
  C’è poi il tema della famiglia, della specializzazione per quanto riguarda la materia legata alla persona, perché l'altro segnale forte che vuol dare questo provvedimento è quello, da una parte, di guardare all'economia, all'impresa e, quindi, al diritto di credito, però anche all'altro binario, che non è di secondaria importanza: quello legato alla persona, ai diritti legati alla persona, alla famiglia e ai minori e, quindi, ecco l'impostazione di rafforzare e di seguire entrambi i binari con la stessa efficacia e con le stesse misure. Quindi, si pensa a una concentrazione delle tutele, si completa il percorso degli interventi attuati con la legge n. 219 del 2012 sul riconoscimento dei figli naturali e con il decreto legislativo n. 154 del 2013 sulla revisione delle disposizioni in materia di filiazione, garantendo in uno stesso ufficio giudiziario la professionalità derivante dalla specializzazione dell'organo giudicante, in linea con la ragionevole durata del processo.
  Non voglio dilungarmi oltre; in caso ci riserviamo di intervenire anche nel corso del dibattito. Voglio comunque, anche in questa sede, rinnovare sempre la disponibilità del Governo a recepire suggerimenti e consigli, però, mi sembra che su questa materia si possa davvero trovare il consenso di tutte le forze politiche e di tutti coloro a cui sta a cuore il funzionamento della giustizia civile. Perché qualcuno dice: no; ma l'alternativa è non fare niente: Da una parte si dice che la giustizia civile non funziona, che il contenzioso dura troppo, che in appello in alcune Corti i rinvii sono al 2020 e, quindi, ci confrontiamo con questi dati, con questo contenzioso e, dall'altra, noi di fronte a questi dati vogliamo, invece, fare qualcosa, vogliamo dare delle risposte e vogliamo lavorare per semplificare. Per questo puntiamo su un rito semplificato ordinario per le cause in primo grado in composizione monocratica, perché pensiamo che possa essere un primo segnale forte per dare una novità nel senso della celerità. Interveniamo sull'appello, infatti si introducono modifiche necessarie anche in grado di appello, perché le maggiori criticità sono proprio presso le Corti d'appello e vorrei capire quali soluzioni ci potrebbero essere se non quelle trovate in questo provvedimento, così come uscito dalla Commissione giustizia. Si introducono modifiche necessarie in quanto gli interventi che si sono susseguiti nel tempo non si sono rivelati sufficienti per risolvere criticità e lungaggini. L'appello non lo vogliamo ritenere semplicemente un mezzo di impugnazione finalizzato al totale riesame della controversia, per cui occorre incidere anche sul rito e sui termini, adottando il modello semplificato adottato in primo grado e rendendo più razionale la disciplina del filtro. Anche in questo caso si parla di monocraticità per l'appello per le cause di ridotta complessità, contenuto e importanza economica, proprio per accelerare e utilizzare lo stesso criterio che si è adottato in primo grado, perché se cambi il primo grado, devi garantire quella velocità e quella rapidità anche in appello.
  Vi ringrazio per l'attenzione, rimaniamo comunque a disposizione per ogni chiarimento.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Stefania Prestigiacomo. Ne ha facoltà.

  STEFANIA PRESTIGIACOMO. Grazie, Presidente, onorevoli colleghi, signori del Governo; intervengo in questa sede per offrire, a nome del gruppo di Forza Italia, un inquadramento generale del provvedimento all'esame dell'Aula in materia di riforma del processo civile, rinviando l'analisi delle singole questioni e delle singole disposizioni del testo all'esame degli emendamenti, sui quali mi auguro possa esserci un confronto reale con la maggioranza.Pag. 12
  Innanzitutto vorrei manifestare una grande preoccupazione circa l'utilizzo della delega che in questo provvedimento, in particolare in alcuni passaggi, come già evidenziato anche dal relatore di minoranza, pecca oltremodo di genericità, offrendo al legislatore delegato eccessivi margini di discrezionalità. In diversi punti i princìpi e i criteri direttivi sono infatti così generici da lasciare il Governo libero di disciplinare la materia nel modo più discrezionale possibile; lo stesso Comitato per la legislazione ha avuto modo di rilevare che si dovrebbero meglio precisare alcuni princìpi e criteri, considerati troppo indeterminati, al fine di circoscrivere adeguatamente la discrezionalità del legislatore delegato.
  Disposizioni come quelle che chiedono di valorizzare, potenziare, introdurre maggiore rigore, concentrare, sono più che altro programmi di massima, del tutto insufficienti a dare contenuto ad una legge delega, posto che il Parlamento non può delegare in bianco il Governo allo svolgimento della funzione legislativa, e posto che la stessa Corte costituzionale ha già avuto modo di sottolineare che le norme deleganti debbono essere comunque idonee ad indirizzare concretamente ed efficacemente l'attività normativa del Governo, non potendo esaurirsi in mere enunciazioni di finalità né di disposizione talmente generiche da essere riferibili a materie vastissime ed eterogenee.
  Nel caso al nostro esame lo strumento della delega, a maggior ragione se connotato da un tale livello di indeterminatezza e genericità delle disposizioni, risulta quantomeno incompatibile con l'estrema delicatezza dei temi trattati, tutti di rilevanza costituzionale, relativi in particolare alla possibilità di accedere liberamente alla giustizia civile per cittadini ed imprese. Per non parlare del tema della tutela dei minori, al centro dell'operazione di soppressione del tribunale dei minorenni, legato alla contestuale istituzione del tribunale della famiglia e della persona contenuta all'interno del disegno di legge al nostro esame, sempre con apposita delega; un provvedimento che si presenta come un collegato al disegno di legge di stabilità, e quindi come una riforma che dovrebbe comportare un risparmio per le casse dello Stato: come se il criterio dell'economicità delle procedure fosse l'unico degno di nota, all'interno di una cornice di riforme che riguarda il tema della giustizia, ovvero un tema che si intreccia inevitabilmente con diverse esigenze, tutte fondamentali per la tenuta del nostro sistema.
  L'amministrazione della giustizia in Italia viene infatti (ma questo è noto) avvertita dai cittadini ancora come distante e incapace di contribuire al progresso civile: l'attuale irragionevole durata dei processi e la mancanza di certezza dei tempi della giustizia costituisce tra l'altro un grande disincentivo agli investimenti nel nostro Paese. La risposta del legislatore a queste esigenze non può essere quella di una delega indeterminata, magari a costo zero, che non tiene conto dei magistrati a disposizione, del completamento delle piante organiche del personale amministrativo, e che in altre parole non tiene conto dell'effettiva domanda di giustizia dei cittadini e dell'effettiva offerta di giustizia dello Stato. Lo Stato in sostanza non è in grado in tempi ragionevoli di dare adeguata risposta alla domanda di giustizia dei cittadini; oggi il disegno di legge al nostro esame rischia di deviare ancora una volta dal problema, non solo non considerando in ogni caso la questione dell'inadeguatezza dei mezzi e degli strumenti del nostro sistema giustizia, ma rischiando di mettere in campo strumenti acceleratori e misure tese all'eccessiva semplificazione, disponendo persino la sinteticità delle motivazioni, andando ad intaccare il sistema delle garanzie del cittadino ad oggi assicurate dal rito civile, e scaricando su queste ultime il peso dell'irragionevole durata dei processi.
  Ad ogni buon conto vorrei soffermarmi sulla questione della soppressione del tribunale per i minorenni e delle relative procure della Repubblica, e l'istituzione di sezioni specializzate per la famiglia, tanto presso il tribunale circondariale quanto presso la corte d'appello, per decidere Pag. 13delle controversie in primo grado; vengono inoltre istituiti ulteriori collegi specializzati presso le corti d'appello per decidere in secondo grado. Le disposizioni prevedono l'apertura all'accesso di nuovi magistrati presso le sezioni specializzate, con l'obbligo di formazione in materia di famiglia e minori; nonché alcuni aspetti essenziali relativi all'accorpamento delle competenze e alla specializzazione, con l'attribuzione delle materie più strettamente minorili ad una sezione distrettuale con funzioni esclusive, e il mantenimento della composizione mista delle sezioni specializzate.
  Tuttavia, sussistono ancora alcune perplessità in merito al fatto che tali necessarie condizioni siano sufficienti ad assicurare effettività ai principi costituzionali di giurisdizione specializzata, e a non disperdere l'esperienza della giustizia minorile italiana, come hanno avuto modo di rilevare diverse associazioni di magistrati dei minori, nonché l'Unione camere minorili. L'operazione va quindi valutata con particolare cautela, poiché nel sopprimere uffici altamente specializzati in favore di esigenze organizzative tese a ripianare carenze di risorse in altri uffici, si potrebbe correre il rischio di compromettere il complessivo sistema di protezione dell'infanzia, già duramente provato dai tagli della spesa pubblica, determinandosi così un ulteriore grave pregiudizio alle condizioni dei diritti dei bambini e degli adolescenti nel nostro Paese.
  Allo stesso modo, il coinvolgimento pieno dei servizi della pubblica amministrazione nell'ausilio alle sezioni specializzate, se da un lato può determinare un ampliamento della base selettiva, dall'altro non garantisce una specializzazione che determinati tipi di servizi devono garantire in un ambito in cui sono d'obbligo la massima cautela e un effettivo rigore, data l'essenzialità dell'interesse superiore del minore. In questo ambito, dunque, termini e modalità di semplificazione sono determinanti per non comprimere la tutela dei minori, ed evitare qualsiasi ipotesi di pericolo per la garanzia degli stessi: cautela è più che mai necessaria, a maggior ragione in un momento così delicato del panorama complessivo della legislazione nel nostro Paese, visto che il tema si intreccia inevitabilmente con una serie di provvedimenti in itinere, che toccano questioni delicatissime relative alla famiglia, ai minori e ai nuovi tipi di unione.
  A tale proposito, vorrei altresì fare un accenno alle disposizioni contenute all'interno della delega in merito al tema dell'ulteriore semplificazione delle procedure relative allo scioglimento del matrimonio. Anche in questo caso la parola «cautela» è d'obbligo, perché l'elemento di consensualità e la conseguente agevolazione in merito alle procedure di separazione non deve però rilevare né sottintendere un elemento di debolezza del vincolo matrimoniale, che nel nostro ordinamento rimane serio e saldo, tutelato dalla stessa Costituzione, che fonda sul matrimonio la famiglia intesa come società naturale, a cui la Repubblica riconosce specifici diritti.
  Non mi soffermo quindi su altri elementi, su cui avremo modo di argomentare nel corso delle ulteriori fasi dell'esame del testo. Desidero però invitare il Governo e la maggioranza, sulla base delle considerazioni svolte, ad uno sforzo di riflessione in merito ad alcuni punti che meritano un approfondimento ulteriore e una maggiore prudenza: il legislatore ha più che mai il dovere di bilanciare in maniera equilibrata le esigenze legate alla delicatezza dei temi affrontati e l'assoluta necessità di individuare strumenti moderni, soluzioni adeguate ed effettivamente praticabili per rispondere ai bisogni dei cittadini, per ripristinare un efficace servizio della giustizia nel rispetto dei principi costituzionalmente sanciti, e per garantire la effettività dei diritti e la competitività del sistema economico e produttivo del Paese, senza però sacrificare sull'altare della semplificazione e dell'accelerazione le garanzie fondamentali dei cittadini nell'ambito del rito civile.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Sannicandro. Ne ha facoltà.

  ARCANGELO SANNICANDRO. Presidente, signor Ministro, egregi colleghi, Pag. 14come si usa dire nelle aule giudiziarie, diamo per conosciuto il testo di cui stiamo parlando. Orbene, innanzitutto va reso atto che bene ha fatto il sottosegretario, credo anche a nome del Ministro, a rendere omaggio al lavoro della Commissione: perché se la Commissione non si fosse adoperata con zelo ad eliminare molte storture e a dare un contenuto ad un articolato che sostanzialmente si andava sfaldando, noi non avremmo avuto di che discutere. È un doveroso omaggio che va reso, anche perché valorizza il ruolo della Commissione e del Parlamento; tra l'altro, il sottosegretario ha precisato: noi siamo pronti, disponibili, ad accettare le osservazioni che provengono dall'Aula.
  Orbene, la Commissione è intervenuta – tanto per rendere l'idea di quanto complesso è il lavoro che è stato svolto – sulla parte relativa al giudizio di primo grado, sopprimendo sostanzialmente quello che era scritto per sostituirne il testo. Lo stesso ha fatto per l'articolato relativo al secondo grado, con la procedura – ripeto – della soppressione e della riscrittura.
  È intervenuta, quasi in proprio, sull'esecuzione forzata; è intervenuta, quasi in proprio, sul processo telematico. Io non entro nel merito della bontà di quel che ha fatto la Commissione (poi ne discutiamo quando arriveremo ai singoli articoli). È intervenuta sulla condanna alle spese, aggravandola; ha abolito il «rito Fornero»; ha dato disposizioni per l'efficienza del sistema giudiziario in termini di esecuzione forzata; ha ridisegnato il ruolo dell'ufficiale giudiziario; è intervenuta anche sui decreti ingiuntivi e ha soppresso il tribunale per i minorenni. Questo è quello di cui stiamo parlando oggi, quello di cui dovremmo parlare. Cioè, questo è quanto è stato scritto dalla Commissione.
  Cosa rimane del testo originario ? Rimane ben poco, ben poco, tanto quanto, anche riconsiderando questi elementi, che non credo che si possa mantenere il titolo all'Atto Camera 2953-A: Delega al Governo recante disposizioni per l'efficienza del processo civile. Le regole del Comitato per la legislazione insegnano che la rubrica, il nome del provvedimento dovrebbe indicare quanto è in essa, cioè nella proposta di legge, e qui infatti non ci siamo.
  Ora questa riforma o il tentativo di questa riforma è stato ritenuto sostanzialmente inutile dagli auditi e non lo dico io, che sto all'opposizione, ma l'hanno detto autorevoli magistrati, autorevoli giuristi, autorevoli associazioni, quali l'Associazione nazionale forense, l'associazione dell'avvocatura. Così leggo, ovviamente, non tutte le parti relative ma soltanto quello che serve: l'Unione nazionale camere civili rileva che non si può fare una riforma come questa che vuole risolvere, con le modifiche processuali, il grave problema della durata dei processi e dell'enorme contenzioso. Lo stesso dice l'organismo unitario dell'avvocatura, il quale, pur apprezzando alcuni aspetti, critica, però, le previsioni di modifica al processo che non sono accompagnate da investimenti sul personale, sulla formazione, sulle strutture e sulle infrastrutture. E così tanti altri: professori universitari come Fabiani, Biavati, Santangeli, Claudio Consolo, Ferruccio Auletta, Giampiero Balena, Claudio Carlo Viazzi che, se non ricordo male, è il presidente del tribunale di Genova, Luciano Gerardis, che dovrebbe essere il presidente del tribunale di Reggio Calabria, e Luciano Panzani.
  Cioè, tutti sostanzialmente dicono che non è di questo che abbiamo bisogno. Perché ? Qual è la domanda – è stato già ricordato – che si pongono i cittadini ? Come si fa ad avere giustizia in Italia ? In Italia la giustizia non è resa per un semplice motivo: innanzitutto, perché c’è una disparità tra magistrati e quantità di contenzioso; quindi, c’è una disparità anche tra strutture amministrative e magistrati (cancellieri, attrezzature varie); e, soprattutto, perché il contenzioso è determinato dalla inefficienza dello Stato. Ho già ricordato in quest'Aula, ma anche altrove, dell'effettiva pendenza giudiziaria; non è vero che il 20 per cento è dato dalle cause INPS, nelle quali è parte l'INPS o la pubblica amministrazione, perché il 20 per cento, in un convegno del 2011, era calcolato sui cinque milioni di cause, di Pag. 15vero e proprio contenzioso che tale non è perché la commissione che ottimamente è stata istituita presso il Ministero, la «commissione Barbuto», se non ricordo male, ha chiarito che le pendenze sono di gran lunga inferiori a quel numero, perché bisogna togliere ciò che non è affare contenzioso vero e proprio, quali le tutele, le curatele e via discorrendo.
  Quindi, non è il 20 per cento, come si diceva all'epoca. L'INPS dice: «Ho un milione di cause», quindi il 20 per cento, diceva. Non è il 20 per cento, ma molto di più e si tratta, molto spesso, di un istituto che opera disattendendo la legge e io credo che il Parlamento sia anche negligente nel non intervenire. Eppure, abbiamo una Commissione bicamerale sul controllo delle attività degli enti previdenziali, ma credo che non stia producendo proprio per niente, perché non si rende conto e, comunque, non lavora in sinergia con noi. Voglio dire: noi qui vogliamo affrontare il problema e loro che fanno ? Che fanno ? Perché non chiedono conto di questo contenzioso ? Ripeto: nel 2011 si parlava del 20 per cento del contenzioso generale, però siccome i veri numeri non sono cinque milioni di cause ma sono molto meno, due milioni e mezzo, se non ricordo male, quando ne abbiamo parlato in quest'Aula, quindi capite che si tratta di un qualcosa di inaccettabile.
  E lo stesso vale per le opposizioni alle ordinanze e alle ingiunzioni in materia di sanzioni amministrative e via discorrendo, molto spesso determinate da una procedura sbagliata, farraginosa, talvolta anche dalla esosità di certe sanzioni amministrative, perché qui c’è il malvezzo ormai, quando abbiamo di fronte una necessità, addirittura aumentiamo subito sanzioni amministrative e sanzioni penali, con facilità e con una superficialità veramente inaccettabili. Orbene, questa è la causa del contenzioso vero. Quindi, non è un problema del Ministro della giustizia, ma è di ben altri, e noi scarichiamo sul pianeta giustizia e sul Ministero dalla giustizia cose che non vanno affrontate in questo ambito.
  Ora, con questo non è che intendo assolvere il disegno e la proposta di legge perché, ripeto, ha il malvezzo di continuare su questa scia culturale, cioè di non considerare questa premessa. Invece, è bene che il Ministro della giustizia e gli operatori del settore dicano che bisogna intervenire altrove, perché altrimenti continueremo sempre a spostare le norme da un capitolo all'altro del codice di procedura civile, per esempio, come facciamo qui, ma non ne verremo mai a capo.
  Faccio un esempio pratico, relativo al tribunale delle imprese. Che cosa facciamo noi con questo provvedimento ? Noi diciamo che c’è un tribunale, istituito nel 2012 sostanzialmente, su un ceppo che risale al 2003, quindi c’è un tribunale istituito nel 2012 e a distanza appena di quattro anni ci accorgiamo che la competenza di questo tribunale potrebbe essere ampliata. E come ampliamo la competenza ? Cioè, la competenza che aumentiamo, come la facciamo affrontare, come l'affronteranno i magistrati, i cancellieri e gli ufficiali giudiziari di questi tribunali ? Questi tribunali oggi sono efficienti, perché hanno un carico di lavoro tollerabile, ma nel testo è scritto: «con invarianza finanziaria», cioè con gli stessi soldi e con le stesse persone. Qualcuno mi dirà perché li sposteremo, che so, dal tribunale ordinario ad altrove. Ma questo è il gioco delle tre carte ! E altrove, quando avremo sottratto questo personale, cosa accadrà ? Cosa accadrà ? Quindi, questo è il problema e ripeto questa condizione, cioè che non ci sia mai una spesa ulteriore rispetto a quello che il bilancio ha stanziato, è ripetuta, come dire, in ogni articolo: ogni volta che c’è questo pericolo è sempre scritto: «a livello finanziario invariato».
  Quindi, la parte relativa al tribunale per le imprese da un punto di vista, come dire, semplicemente architettonico può anche andare bene, anche se non nego che ci sono molte perplessità proprio per quello che ho detto ma anche per qualche altro aspetto, perché nella fretta di aumentare le competenze del tribunale delle imprese si sono attribuite delle competenze che bene, invece, potevano tranquillamente rimanere presso i tribunali ordinari.Pag. 16
  Ora andiamo un po’ a vedere altro. C’è la soppressione del tribunale per i minorenni, che cambia nome e diventa il «tribunale della persona e della famiglia». Ora sostanzialmente questa è una riforma attesa e questo lo dobbiamo riconoscere; però, è una riforma attesa con un presupposto, cioè che venisse e che venga salvaguardata tutta l'esperienza e la specificità – la specificità ! – di questo settore: è l'esperienza accumulata in questo settore dai magistrati, dalle procure, dagli ausiliari, chiamiamoli così, dai servizi sociali. Quindi, si potrà pure accorpare, ma questa specificità e l'autonomia di questa giurisdizione deve rimanere, perché lo dicono non soltanto le linee guida europee, ma ho qui tra le mani una sentenza della Corte costituzionale appena del 2015. La Corte costituzionale recita in questa maniera: «Questa Corte ha avuto modo di sottolineare come il principio costituzionale espresso dall'articolo 31, comma secondo, della Costituzione richieda l'adozione di un sistema di giustizia minorile caratterizzato dalla specializzazione del giudice, dalla prevalente esigenza rieducativa, nonché dalla necessità di valutazioni, da parte dello stesso giudice, fondate su prognosi individualizzate in funzione del recupero del minore deviante». Vi sono anche sentenze precedenti, non soltanto quella del 2015, ma vedo qui anche del 1996 e del 1983. Quindi, ciò posto, la Corte ha considerato preminenti le finalità perseguite con l'istituzione di un giudice specializzato per gli imputati minorenni. E aggiunge: «Il tribunale per i minorenni – si legge nella relazione del Consiglio superiore della magistratura sullo stato della giustizia – fu istituito proprio perché si ritiene che il minore, spesso portato al delitto da complesse carenze di personalità dovute a fattori familiari, ambientali e sociali, dovesse essere valutato da giudici specializzati che avessero strumenti tecnici e capacità personali particolari per vagliare adeguatamente la personalità del minore al fine di individuare il trattamento rieducativo più appropriato». Questo lo si legge in una sentenza addirittura del 1983. Nell'articolato che noi domani o dopodomani approveremo, è garantita la specificità di questo settore particolare della giurisdizione ? Questa è la domanda che noi ci poniamo e che dovremo affrontare con gli emendamenti e con l'esame di ogni singolo articolo, successivamente. Sostanzialmente, è la parte più cospicua dell'articolato.
  Ora veniamo un po’ ad altri aspetti. Si dice: siamo intervenuti sul giudizio di primo grado. Ma in che cosa consiste questa importante delega che dovrebbe in tal modo risolvere il problema del carico che grava sulla giustizia italiana ? Valorizzazione dell'istituto della proposta di conciliazione del giudice, di cui agli articoli 185 e 185-bis del codice di procedura civile, prevedendo che la mancata comparizione personale delle parti o il rifiuto della proposta transattiva o conciliativa del giudice senza giustificato motivo costituisco comportamento valutabile dallo stesso ai fini del giudizio. Io ritengo quest'ultima parte veramente aberrante e mi spiego meglio per capirci. Certamente il tentativo di conciliazione da parte del giudice è una cosa buona e giusta; d'altra parte, l'esperienza del codice del processo del lavoro si basa, su che cosa ? Su che cosa si basa la bontà di quel procedimento ? Si basa sulla prima udienza in cui, tra l'altro, si dovrebbe concludere tutto il processo. Cosa dice il codice a tal proposito ? Che il giudice convoca le parti, le interroga liberamente e, quindi, capisce qual è la materia del contendere, e, se le parti si presentano, si capisce qual è la materia del contendere. Lo dico per grande esperienza, perché molto spesso il giudice, dopo aver ascoltato l'uno e l'altro fisicamente davanti a lui, con l'assistenza degli avvocati, è in grado anche di dire «la causa è matura per la decisione». Un esempio pratico: tredici lavoratori furono licenziati perché avevano osato zappare il vigneto contro la volontà del datore di lavoro che li voleva mettere in cassa integrazione, mentre loro dicevano che non era il caso di andare in cassa integrazione perché c'era il sole e non era il caso che si frodasse insieme l'INPS e che loro ricevessero di conseguenza in cassa Pag. 17integrazione un salario inferiore. Davanti al giudice furono interrogati: che cosa avete fatto ? Uno disse: abbiamo fatto questo; l'altro rispose: nella mia proprietà comando io. E il giudice disse: la causa è matura per la decisione, informando le parti che il delitto di lesa maestà non esisteva ormai da tempo. Dopo dieci minuti uscì la sentenza.
  Questo significa che i giudici sono in grado di smaltire il contenzioso esistente se un pochino si adoperassero nel civile e anche nelle controversie di lavoro a svolgere un ruolo propositivo. Io mi rendo conto che, specialmente nel settore extra lavoristico, ancora domina una cultura liberale per cui il giudice, processualmente parlando, è un mero arbitro, anche se poi noi scriviamo, invece, norme con cui li vorremo indurre a cambiare mentalità, a cambiare cultura e ad adoperarsi incisivamente sul processo: mantenere in mano il processo, mantenere il timone del processo. Questo poi è il contrasto culturale che divide la materia. Quindi, è ovvio che non si può che essere d'accordo sul fatto che bisogna valorizzare l'istituto della conciliazione, ma lo si può valorizzare in due modi: mettere il giudice in condizione oppure, se mi consentite la parola, obbligare il giudice a conoscere la causa alla prima udienza e, di conseguenza, poter mediare. Ma si potrà conoscere la causa alla prima udienza e si potrà dirigere il processo solo se ci decidiamo una buona volta a togliere il binario delle cause che si fanno con ricorso e delle cause che si fanno con citazione. Infatti, quando le cause si fanno con citazioni a comparire, voi capite che il giudice, come l'esperienza insegna, conosce la causa dopo quattro, cinque anni perché tanto io sono l'arbitro e, purché la partita si svolga lealmente, alla fine deciderò. Purtroppo, questo degrado, chiamiamolo così, culturale ha colpito e ha infettato anche il processo del lavoro perché nel processo del lavoro ormai da tempo sostanzialmente non si coltiva lo spirito originario e non si pratica più il tentativo di conciliazione. Ma si aggiunge che la proposta transattiva del magistrato, se non viene accettata, costituisce comportamento valutabile dallo stesso ai fini del giudizio. Ma ci rendiamo conto ? Ma si può aver diritto ad avere una sentenza in Italia, sì o no ? L'altro giorno un africano, un lavoratore della Costa d'Avorio, è venuto da me per una certa questione di lavoro che lui aveva. E quando io dicevo mediazione, conciliazione, eccetera, lui ha detto: io voglio la verità. In un italiano più che sufficiente diceva: io voglio la verità, non mi interessano i soldi, ma voglio la verità. Cosa gli rispondo io ? Che deve accettare la proposta transattiva del magistrato che probabilmente non conosce nulla di una causa come purtroppo accade ormai sempre più spesso ? Questo è il punto. Invece no, noi qui abbiamo ancora una volta – e questo è un limite culturale che unisce, sia le proposte emendative della Commissione, sia il testo del Governo – il tentativo di mettere su una serie di ostacoli ai cittadini che vogliano accedere alla giustizia, come se ci fosse un ostruzionismo. Infatti, tutto ormai da decenni si muove in tale direzione. E non mi riferisco soltanto al fatto che il contributo unificato viene aumentato, che è stato già raddoppiato per esempio per le cause davanti al tribunale per le imprese per cui, come diceva il collega Colletti, trasferendo delle materie dal tribunale ordinario al tribunale per le imprese, farete anche cassa da questo punto di vista. No, mi riferisco ad altro. Mi riferisco a tutti i tentativi di rendere difficile l'accesso diretto al magistrato e, quindi, a tutti quegli elementi, dalla mediazione alla negoziazione assistita. Quest'ultima per me è una cosa proprio inconcepibile perché la negoziazione assistita sostanzialmente viene praticata da secoli perché nessun avvocato arriva al giudizio se prima non negozia con la controparte la possibilità di non andare in giudizio. L'avvocato scrive sempre alla controparte per chiedere: mi paghi il debito ? Restituisci al mio cliente quanto gli è dovuto, quanto è stato sottratto ? E poi si va dal giudice. Certo, in quella norma c’è tutta una struttura burocratica che serve soltanto ad una cosa e non serve neanche ad aumentare le competenze degli Pag. 18avvocati, ma serve soltanto ad allontanare i cittadini dalla giustizia. Ora, la negoziazione assistita viene introdotta in modo asistematico anche per le cause di lavoro con questo articolato, così come proposto dalla Commissione competente. E questa è una cosa inaccettabile.
  I tentativi di conciliazione in materia di lavoro sono già più di uno. Addirittura, in un'epoca, fu reso obbligatorio il tentativo di conciliazione e gli interessati non ci credevano che fosse stabilito questo impedimento all'accesso alla giustizia. Lo ripeto: una norma, poco tempo fa, penso l'altro anno, ha escluso la negoziazione assistita dalle cause di lavoro e qui noi la reintroduciamo. Qui c’è un altro capitolo che si potrebbe tranquillamente illustrare: molte di queste norme intervengono a modificare norme appena introdotte da qualche anno. Vi è il caso della Fornero; noi oggi finalmente cassiamo la «legge Fornero». Ma è del 2012, ci rendiamo conto ? Allora chi dice che non è questo il sistema con cui procedere – tutti gli auditi – dice una sacrosanta verità. Del 2012 è la legge Fornero e noi oggi, dopo aver decantato le lodi di quella innovativa riforma, la cassiamo.
  Questo testo naturalmente si muove, dicevo, sulla stessa falsariga. Lo dimostra, per esempio, il testo originario del Governo dove si dice: introduzione di criteri di maggiore rigore in relazione all'onere dell'appellante di indicare i capi della sentenza che vengono impugnati e di illustrare le modificazioni richieste; rafforzamento del divieto di nuove allegazioni nel giudizio di appello anche attraverso l'introduzione di limiti alle deduzioni difensive. Cioè, se ad un certo momento, in sede di appello, di stesura dell'atto, io introduco una nuova argomentazione giuridica, non lo posso fare più. Ma qua siamo allo stravolgimento del mestiere di giudice e del mestiere di avvocato. Ora è stato soppresso questo comma, però riappare sotto altra forma da parte della Commissione, con la previsione che la inammissibilità dell'appello di cui all'articolo 348-bis del codice di procedere civile si applica anche quando l'appello è proposto avverso un provvedimento emesso che definisce un procedimento sommario di cognizione, previsione, e così via. C’è tutto un grossissimo comma che praticamente aggrava quella previsione che era contenuta nel testo originario; la filosofia è la stessa, sostanzialmente è la stessa, diciamo che la Commissione è stata più zelante del Ministero, però alla fine i lavoratori, i cittadini che chiedono giustizia avranno sempre una via crucis da subire.
  Ora c’è anche un'altra cosa che mi ha impressionato, introdotta dalla Commissione però, non dal Governo, ed è l'aggravamento dei principi per la condanna alle spese, la condanna aggravata. La norma era semplice. Una volta, quando si sapeva leggere e scrivere in italiano, era semplice: chi perde paga e se hai introdotto una lite temeraria ne pagherai le conseguenze. Se andiamo a leggere gli articoli 91, 92 e 93, sono una casistica enorme, e noi adesso introduciamo un'altra casistica ancora più pericolosa soprattutto per i giudizi che potranno scaturire, dove si parla di malafede e via discorrendo. Ma a quale cittadino che perde una causa si potrà dire che ha agito in malafede ? Io volevo vedere degli esempi concreti e degli esempi statisticamente apprezzabili tali da poter giustificare una modifica del codice. Questo è il punto, ma ripeto ne parleremo quando arriveremo a questo articolo. Poi vi è una cosa che forse è passata inosservata, non lo so, ma che abbiamo introdotta noi. L'articolo 1-quater del testo della Commissione (poi non so se i numeri sono rimasti gli stessi, io ho il testo uscito dalla Commissione): Disposizioni per l'efficienza del sistema giudiziario. Appena nel 2011 fu emanata una bella normativa la quale diceva che i magistrati devono fare ogni anno il programma di lavoro e devono spiegare come si dovranno ridurre le pendenze e gli arretrati. Quindi, ogni anno, devono fare questo. Adesso, invece, estendiamo i tempi, l'arco temporale in cui devono fare questo lavoro, si passa da un anno a un quadriennio.
  Quindi, allentiamo la pressione che questa norma poteva esprimere su un Pag. 19magistrato. Norma che è inserita così, alla fine del testo, in modo quasi di soppiatto.
  Per quanto riguarda poi l'esecuzione forzata, in effetti, ci sono delle norme che, contrariamente a quanto ho ascoltato da parte di un altro collega, vanno apprezzate, perché è frustrante avere una sentenza che accoglie la domanda e poi avere difficoltà nella realizzazione del contenuto della sentenza stessa. Quindi, quella è una parte che sostanzialmente abbiamo apprezzato.
  Ora, in definitiva, noi non presenteremo molti emendamenti, non li presenteremo perché date queste premesse voi capite bene lo scetticismo che ci coglie, che ci ha colto. Tutti dicono che ci voleva ben altro. La Commissione ha avuto la forza di spingersi per campi non previsti dalla legge delega, però rimane il fatto che si interviene sempre sulle norme, modificandole, cambiandole, spostandole (addirittura si prevede lo spostamento di alcune norme da un libro del codice ad un altro libro, da un capitolo ad un altro capitolo), e questo dovrebbe dare efficienza al sistema. Ora il sistema non potrà mai essere efficiente se – ripeto – le cause che hanno originato il contenzioso non vengono aggredite e questo non è compito del Ministero della giustizia. In primo luogo, se non vengono aggredite e, in secondo luogo, se anche coloro i quali sono gli operatori del sistema, cioè magistrati e avvocati, non si responsabilizzino. Io ho assistito molte volte ad avvocati che chiamo dimissionari. Quando un magistrato finalmente tenta la conciliazione tra due parti, è ovvio che l'avvocato dovrebbe collaborare, sia pure riservatamente, a fare intendere quali sono i punti forti, i punti critici della domanda, soprattutto quando si conoscono un po’ le prove che anche l'altro potrebbe introdurre nel processo. Ho ascoltato avvocati i quali dicono: io faccio quello che dice il cliente, quindi praticamente non esercito quella funzione di collaborazione che tra l'altro il codice prevede, e prevede anche la tariffa professionale, laddove addirittura si prevedeva prima un emolumento nella tariffa professionale proprio per l'opera prestata per la conciliazione. Ora c’è una sorta di dimissione da parte degli operatori, per cui le carte vanno avanti, il processo diventa autoreferenziale, con le conseguenze sulla disaffezione dei cittadini che poi diventa anche disaffezione politica. Non è che la disaffezione per la politica nasce soltanto per quello che i politici fanno, ma anche per quello che lo Stato fa e, in questo caso, la giustizia è uno dei servizi che dovrebbe certamente essere servito meglio.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Bazoli. Ne ha facoltà.

  ALFREDO BAZOLI. Grazie Presidente. Io credo che questo provvedimento sia un tassello importante e significativo sulla strada della riforma della giustizia intrapresa da questa maggioranza. Parlo di tassello volutamente, perché credo che nessuno di noi immagini con questo provvedimento di riuscire a provvedere in maniera taumaturgica a modificare completamente lo stato della giustizia italiana. Noi sappiamo bene che la condizione in cui versa la giustizia italiana, la giustizia civile in particolare, è una condizione di particolare criticità, dovuta in modo preponderante alla lunghezza, all'eccessiva lunghezza, dei processi che causa un'inefficienza nella risposta, causa una sostanziale denegata giustizia in molti casi, perché una risposta che arriva troppo tardi rispetto la richiesta è una risposta che non è efficace. Sappiamo anche che questo ritardo così evidente nella capacità di dare le risposte attese di giustizia ai cittadini è anche una condizione che rende, in qualche modo, difficile il rapporto tra i cittadini e lo Stato, perché questa inefficienza è una inefficienza che poi mina anche il rapporto di fiducia tra i cittadini, il Paese e le istituzioni. Dobbiamo quindi combattere con una condizione di inefficienza, che è una condizione pressoché endemica, con la quale combattiamo tutti noi operatori della giustizia e con la quale si trovano a dover fare i conti i cittadini che si trovano a incrociare le questioni della giustizia civile. Sappiamo benissimo, e Pag. 20siamo consapevoli, che non c’è la bacchetta magica per risolvere una questione così delicata e così difficile. Sappiamo anzi che ci vogliono tanti interventi diversi, una gamma di interventi diversi. Bisogna intervenire sull'organizzazione della giustizia, bisogna intervenire con misure deflattive, bisogna intervenire con misure che consentano di capire il funzionamento dei singoli uffici giudiziari, bisogna intervenire con misure e risorse aggiuntive.
  Aggiungo anche che sappiamo bene che intervenire sui processi, sulla modalità di funzionamento dei processi è un intervento di particolare delicatezza. In passato abbiamo sperimentato altri Governi, altre maggioranze, di qualunque colore, che hanno provato a risolvere il problema dell'efficienza alla giustizia agendo in misura, pressoché esclusiva, sul funzionamento del processo. Ci siamo dovuti rendere conto molto spesso che questi interventi hanno prodotto un aggravamento delle condizioni, con una singolare eterogenesi dei fini, perché molto spesso è capitato che gli interventi sul processo causassero maggiore incertezza negli operatori, causassero problemi di interpretazione normativa, che finivano addirittura per aggravare il funzionamento della macchina giudiziaria. Io dico, quindi, che quando si interviene sul processo bisogna farlo con particolare cautela e bisogna sapere che questo intervento è un intervento che rappresenta una parte, un tassello di una serie di misure più complessive che devono essere messe in campo per risolvere finalmente il problema del funzionamento della giustizia civile in Italia.
  Detto e riconosciuto questo, bisogna però anche avere l'onestà intellettuale di riconoscere che questo Governo in particolare, almeno che io mi ricordi, è stato l'unico Governo che ha messo tra le 4 o 5 questioni prioritarie della propria agenda politica la questione del funzionamento della giustizia e, in particolare, della giustizia civile, perché di giustizia si sono occupati in un recente passato anche altri Governi, ma per risolvere problemi che riguardavano il rapporto tra la politica e la giustizia. Questo Governo ha messo al centro dell'agenda politica il funzionamento e la riforma della giustizia civile, nella piena consapevolezza che si tratta di un argomento tecnico, che magari non farà presa nell'opinione pubblica, ma che è un argomento decisivo per modernizzare il Paese, perché noi su questo versante scontiamo un ritardo e scontiamo una inefficienza che il Paese non può più permettersi, che è già stata misurata molto spesso dagli organismi che si sono occupati di queste questioni, addirittura in un handicap misurabile in un punto percentuale del Prodotto interno lordo – cioè i ritardi della giustizia civile italiana comportano un handicap che è misurabile addirittura in un punto percentuale del Prodotto interno lordo italiano – e quindi sappiamo che attraverso una riforma efficace ed efficiente della giustizia civile, attraverso questa strada, noi possiamo percorrere un tragitto importante nella modernizzazione del Paese.
  Questo Governo è stato uno dei primi Governi, forse il primo Governo, almeno io credo, che ha messo in cima all'agenda delle priorità della propria azione politica la questione della giustizia civile.
  Coerentemente con questo obiettivo di riforma, che così limpidamente è stato messo davanti all'opinione pubblica, questo Governo ha già agito su tanti altri versanti, tanti altri fronti decisivi, che fan parte di quel pacchetto attraverso il quale è possibile modificare il funzionamento della macchina della giustizia.
  È stato avviato finalmente il processo civile telematico sotto questo Governo, dotandolo di risorse, di quelle risorse tanto richieste e spesso tanto evocate. Questo Governo, quelle risorse per il funzionamento del processo civile telematico le ha messe; quest'anno sono 150 i milioni che sono stati stanziati per implementare il funzionamento del processo civile telematico. Noi operatori della giustizia sappiamo quanto questo modello processuale possa incidere nella efficienza e nella velocizzazione dei processi interni al procedimento giudiziario. Quindi: processo civile telematico e risorse concrete.Pag. 21
  Sono state adottate misure per la deflazione, perché noi sappiamo benissimo che l'Italia è un Paese in cui la domanda di giustizia civile è una domanda spesso drogata, spesso eccessiva, spesso smisurata, spesso sproporzionata e su quelle leve bisogna agire, quindi sulla leva della domanda della giustizia, attraverso misure deflattive. Ricordo, lo ha fatto anche qualcun altro, la negoziazione assistita, che è stata chiesta per tanti anni dagli avvocati e che non è semplicemente la transazione tra avvocati, perché la negoziazione assistita è, né più né meno, il dotare la transazione tra gli avvocati di efficacia esecutiva. La transazione tra avvocati oggi, grazie alla negoziazione assistita diventa titolo esecutivo e questo è un grande passo avanti, perché non è più semplicemente una transazione di per sé, ma è una transazione che produce effetti nell'ordinamento, perché diventa titolo esecutivo per azionare le proprie pretese. Questa è stata una cosa richiesta a gran voce dagli avvocati che è diventata norma con questo Governo.
  Sono state approvate misure per favorire e incentivare l'arbitrato; è stato fatto un grande lavoro, che mai prima d'ora era stato fatto, sulla verifica delle performances degli uffici giudiziari italiani, grazie al lavoro egregio di Mario Barbuto, scelto da questo ministro proprio per fare questo lavoro, grazie alla sua grande esperienza alla guida degli uffici giudiziari di Torino, e questo tracciamento che non era mai stato fatto prima d'ora sugli uffici giudiziari italiani, ha consentito di avvedersi, di scoprire, che molto spesso l'inefficienza dei tribunali non è legata al rapporto tra magistrati, domanda di giustizia e abitanti, vi è una efficienza indipendente da queste variabili, il che significa che l'organizzazione dei singoli uffici giudiziari è una variabile essenziale per il buon funzionamento della giustizia e anche per diminuire i tempi dei processi. Questo non era mai stato fatto prima d'ora e ha consentito di individuare dove e come agire sul piano organizzativo per garantire una migliore performance degli uffici giudiziari italiani e della giustizia civile. È stato esteso a tutti i tribunali il famoso modello Strasburgo, cioè il modello che consente di definire con priorità l'arretrato per garantire anche qui una maggiore efficienza. Quel modello, che adottato in alcuni tribunali italiani, ad esempio Torino e Marsala, ha dato risultati impressionanti sulla capacità di far diminuire l'arretrato e di ridurre i tempi di ridefinizione dei processi.
  Sono state assunte nell'amministrazione della giustizia 4000 persone, l'assunzione più massiccia da vent'anni a questa parte nella macchina organizzativa della giustizia italiana. Si è sempre detto che manca il personale amministrativo, 4000 persone sono state immesse nel funzionamento della macchina amministrativa, che certo non coprono le carenze spaventose che ci sono, ma sono un segnale importantissimo dell'attenzione che questo Governo ha dato al problema delle risorse umane, oltre che quello delle risorse economiche. È stato avviato finalmente l'ufficio del processo, un altro tassello fondamentale dal punto di vista organizzativo. Ciò per garantire un modello organizzativo che garantisca efficienza alla macchina giudiziaria attraverso l'ufficio per il processo, attraverso l'attribuzione all'ufficio di giudici onorari, di cancellieri, di tirocinanti inseriti all'interno dell'amministrazione della giustizia. Sono stati indetti nuovi concorsi per nuovi magistrati; anche qui, nessuno lo ricorda, ma erano anni che non si facevano, e tutto questo ci dice che questo Governo e questa maggioranza hanno bene in testa il fatto che la giustizia civile è un insieme di questioni che vanno affrontate distintamente. Noi sappiamo – e lo dico perché ne sono convinto anche io – che non è questo provvedimento che abbiamo all'esame che modificherà e improvvisamente farà sorgere il sole dove oggi non sorge, nella giustizia civile, ma bisogna saper riconoscere quello che è stato fatto fino ad oggi e bisogna anche saper riconoscere i risultati che si sono ottenuti. Infatti, ho parlato di risorse economiche, ho parlato di risorse umane con alcuni numeri, alcune cifre, ma alcuni risultati sono già tangibili. Pag. 22Ricordo quella famosa classifica del Doing Business del Fondo Monetario che paragona le performances dei tribunali internazionali e l'efficienza dei processi civili. Noi siamo passati in pochi anni dal centosessantesimo posto, su centottantanove Paesi monitorati, al centoundicesimo posto, facendo dei balzi in avanti in questi ultimi anni, in particolare, grazie agli interventi incisivi che sono stati fatti da questo Governo e da questa maggioranza. Ora io so benissimo che le classifiche lasciano il tempo che trovano, che non bisogna attribuire troppa importanza a queste cose, ma siccome sono modelli omogenei che misurano in maniera omogenea le performances delle strutture della giustizia civile nei vari Paesi, ci indicano che c’è comunque un trend positivo, che stiamo percorrendo una strada positiva, nel tentativo di risolvere questo problema che nessuno, prima di noi, è riuscito mai ad affrontare in maniera adeguata. Ma detto questo, quindi, io credo che bisogna riconoscere, bisogna avere l'onestà intellettuale di riconoscere i progressi fatti. Lo dico anche alle opposizioni, non voglio insegnare il mestiere alle opposizioni, però credo che si sarebbe più credibili se accanto alle critiche che sono legittime – che sono doverose, perché nessuno di noi ha l'ambizione di fare provvedimenti perfetti, sappiamo benissimo che anche tutti i nostri sforzi sono pieni di imperfezioni e quindi ci sta che ci siano le critiche sui singoli punti che possono essere migliorati e fatti meglio – si riconoscesse che su questo versante in particolare mai come in questi ultimi anni si sono fatti enormi passi in avanti.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SIMONE BALDELLI (ore 15,15)

  ALFREDO BAZOLI. Oggi la giustizia civile comincia a funzionare e a camminare meglio, le pendenze sono scese per la prima volta sotto i 4 milioni, erano quasi 6 milioni fino a pochi anni fa, le iscrizioni nuove stanno diminuendo, ci sono dei segnali che ci stanno dicendo che ci stiamo muovendo nella direzione corretta e giusta. E, quindi, questo provvedimento arriva a valle di tutta una serie di scelte che sono state fatte da questo Governo, che ci hanno messo sulla buona strada. Ora, dicevo prima che è vero che intervenire sul processo non è l'intervento taumaturgico per mettere a posto la giustizia civile, però bisogna anche sapere riconoscere che alcuni interventi puntuali sui modelli processuali sono opportuni e possono aiutare ed essere utili, dentro un quadro in cui quegli interventi si inseriscono in maniera esaustiva e vanno a coprire questo settore, questo particolare segmento della riforma della giustizia. Io credo che anche sotto questo profilo, in questo provvedimento, ci siano cose interessanti. Devo dire, su questo, che ho sentito, anche da parte delle opposizioni, alcune valutazioni che io giudico corrette, positive. Anche perché, bisogna dirlo, è stato detto ripetutamente, a questo provvedimento la Commissione giustizia, col concorso anche delle opposizioni, ha lavorato in maniera intensissima, tant’è vero che il provvedimento che è entrato è uscito profondamente modificato grazie ad un lavoro collegiale di cui io credo debba essere dato atto, non solo ai relatori, alla presidente e a tutti i commissari, ma anche alle opposizioni che hanno contribuito, secondo me, in maniera efficace al miglioramento di alcuni aspetti della norma. Allora io non mi voglio ripetere, anche perché il tempo a mia disposizione è terminato, ma credo che questi interventi puntuali sul processo possano aiutare a inseguire e a continuare a lavorare sulla strada nella quale ci siamo incamminati in maniera, secondo me, coerente e mai prima d'ora così efficace per cercare di migliorare la giustizia civile.

  PRESIDENTE. Concluda.

  ALFREDO BAZOLI. Mi avvio a concludere; sono già stati detti ma li voglio citare, tra quelli che io ritengo più importanti, gli interventi che abbiamo messo nella delega sull'esecuzione forzata – che è uno, secondo me, dei buchi neri sui quali ancora dobbiamo agire in maniera efficace, Pag. 23perché è uno dei settori sui quali si misura ancor di più la distanza tra la giustizia italiana e quella di altri Paesi con i quali ci confrontiamo – e il processo civile telematico che attraverso la delega qui contenuta può trovare completamento definitivo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 2953-A)

  PRESIDENTE. Avrebbero facoltà di replicare i relatori, però tutti hanno finito i tempi, quindi, deduco che a questo punto possiamo invece dare la parola al Ministro che intende formulare una replica.

  ANDREA ORLANDO, Ministro della giustizia. Signor Presidente, signori deputati vorrei ringraziare degli interventi che si sono succeduti, ma soprattutto vorrei ringraziare la Commissione per il lavoro svolto. Io considero che questo lavoro abbia, sì, mantenuto l'impianto della nostra proposta, ma che lo abbia migliorato. Vorrei dire che la proposta non era il frutto di un colpo di sole estivo, ma era il frutto di un lavoro che è stato presieduto dal presidente Berruti, attualmente membro della Consob, presidenti di sezione della Corte di Cassazione, con altri magistrati di altissimo livello e avvocati dello stesso settore. Vorrei però entrare nel merito di alcune questioni e soprattutto di un tema che sarà, credo, anzi, temo, ricorrente nella discussione che porteremo avanti passando agli emendamenti. Mi riferisco alla contrapposizione tra le riforme di carattere processuale e gli interventi, invece, che devono essere fatti sulle risorse. Ancora una volta, quando si parla di una cosa, si dice che se ne deve fare un'altra, salvo poi, quando si fa quella cosa, dire che se ne deve fare un'altra ancora. È un modo di affrontare i temi, secondo me, che non aiuta molto a capire e che non aiuta, soprattutto, a fare dei passi avanti rispetto ai temi che sono, invece, posti di fronte al legislatore. Noi non ci siamo sottratti al tema delle risorse, vorrei ricordare come questo Governo abbia previsto complessivamente 4000 unità aggiuntive per le cancellerie, 1500 sono già in fase di mobilità in questa fase, circa 600 hanno già preso possesso e, quindi, è chiaro che noi riteniamo che il processo civile funzioni meglio se ci sono le risorse. Lo pensiamo a tal punto che quest'anno abbiamo investito 150 milioni di euro sull'informatizzazione, il doppio esatto dell'anno precedente, tre volte l'anno l'anno ancora precedente. Quindi, ci sono gli investimenti, ci sono naturalmente gli investimenti possibili in questa fase storica di scarsità di risorse e ci sono stati, soprattutto, gli interventi che servono a far sì che il processo non sia sovraccaricato da una domanda che non è in alcun modo sostenibile. Noi nel 2010, lo ricordo sempre, avevamo quasi sei milioni di procedimenti pendenti, attualmente siamo scesi di molto, anche con quella precisazione che la Commissione Berruti ha fatto rispetto alla qualità di quei procedimenti, fatto sta che attualmente anche prendendo la vecchia classificazione noi chiuderemo quest'anno a circa 4.200.000 procedimenti pendenti di fronte alle nostre corti nel civile. È un risultato che è dovuto, credo, anche a norme sulle quali a suo tempo si disse: non serviranno assolutamente a niente, e mi riferisco alla degiurisdizionalizzazione e a tutte le norme che hanno introdotto disincentivi alle liti temerarie che peraltro vengono ulteriormente rafforzati dagli emendamenti che sono stati introdotti in Commissione. Non serve mai niente e anche quando i risultati, poi, dimostrano che invece le cose servono si continua a profetizzare, per fortuna sbagliando, che le cose non servono e quindi che bisogna lasciare tutto così com’è, salvo poi dire che tutto così com’è non funziona e che la colpa è del Governo perché non funziona; l'atteggiamento, da questo punto di vista, è abbastanza singolare.
  E però, detto questo, cioè affrontato un tema che sarà, io credo, ricorrente, ma che Pag. 24non ha nulla a che vedere con l'intervento che stiamo facendo – o meglio, che si integra con l'intervento che stiamo facendo, ma si colloca su un piano diverso... Così come si colloca su un piano diverso un'altra riforma che è in fase di votazione finale al Senato: mi riferisco alla riforma della magistratura onoraria.
  Vorrei sottolineare alcuni punti che invece riguardano il testo normativo, così come è stato deliberato dalla Commissione. In primo luogo, l'onorevole Prestigiacomo ha sollevato un tema, che è quello del futuro e del destino di un'esperienza, che è di eccellenza nel nostro ordinamento: mi riferisco all'esperienza dei tribunali dei minori. Noi non abbiamo nessuna intenzione di disperdere quell'esperienza, e il nostro scopo è invece di innestare quell'esperienza all'interno di un quadro più ampio: utilizzare quel patrimonio, che si è realizzato nell'ambito minorilistico, all'interno del complessivo intervento giurisdizionale sulle vicende che riguardano la famiglia. Si tratta di un auspicio contenuto in molte proposte di legge che sono state presentate su questo da anni; soprattutto è anche un intervento che tiene conto del fatto che nel frattempo i tribunali dei minori, dopo alcune innovazioni normative, hanno perduto molte delle loro competenze originarie, e si è venuta a determinare una frammentazione molto forte tra soggetti diversi della giurisdizione su un tema che è oggettivamente integrato, perché è chiaro che la condizione del minore è fortemente legata alla salute e alla stabilità, alla condizione della famiglia: tenere insieme questi aspetti credo che sia un passo in avanti, che può e deve – lo ripeto – valorizzare un'eccellenza, perché tale considero il sistema della giustizia minorile nel nostro Paese.
  Ci sono delle indicazioni generiche, secondo le sottolineature che sono state fatte; noi, credo, non abbiamo avuto particolari resistenze affinché esse si precisassero in alcuni punti. Devo però anche dire che c’è tutta la disponibilità del Governo a mantenere un confronto ufficioso, al di là dei pareri previsti dalla legge, e nelle forme che riterrà opportuna la Commissione, sull'esercizio della delega: al di là del fatto che ad un certo punto ci sarà formulato il parere previsto, anche prima di quel parere, sull'elaborazione, sul modo in cui quella delega viene costruita, su chi viene coinvolto nel suo esercizio, noi siamo assolutamente disponibili ad un confronto in itinere.
  Così come per un'altra preoccupazione che è stata posta, che è stata anche una mia preoccupazione: che il tribunale delle imprese, che costituisce oggettivamente un'altra punta di eccellenza del nostro sistema, possa essere sovraccaricato da una serie di competenze che in qualche modo rischiano poi di creare arretrato; è una segnalazione che ci viene dai tribunali delle imprese stessi. Noi abbiamo formulato, anche in un confronto con i relatori, alcuni emendamenti che mirano a contenere tale rischio. È certo però che la strada non può essere quella di mantenere una competenza limitata, ma piuttosto quella di rafforzare gli organici e le strutture di tali tribunali, perché essi hanno individuato un modo diverso di fare giustizia, molto più direttamente collegato ai soggetti che sono gli «utenti» di questo settore; e tale esperienza credo costituisca anche oggi un elemento di forza del nostro sistema, tanto che noi oggi possiamo dire – lo abbiamo detto, io l'ho detto anche in molti incontri internazionali – che è vero che la nostra giustizia civile complessivamente migliora con fatica, anche se con costanti miglioramenti. L'onorevole Bazoli ricordava i progressi registrati dalla classifica Doing Business, che non è elaborata da un soggetto a noi particolarmente amico, bensì dalla Banca Mondiale; noi possiamo dire che i miglioramenti che ci sono, o eventuali peggioramenti che speriamo non ci siano, non riguardano le imprese straniere che investono in Italia, perché quelle imprese sanno di avere una corsia privilegiata che è costituita appunto dal tribunale delle imprese, che è stato in grado di arrivare a sentenza nell'80 per cento dei casi in meno di un anno: oggettivamente noi individuiamo una corsia privilegiata che gli investitori esteri possono utilizzare.Pag. 25
  È per questo che anche a noi sta a cuore il fatto che non vi sia un sovraccarico, per cui si scarichi troppo traffico su quella corsia privilegiata, tanto da non farla più essere una corsia privilegiata: vigileremo con grandissima attenzione in questo senso.
  Mi pare poi difficile sostenere che non fosse necessaria una semplificazione del rito nel nostro processo civile: perché se è pur vero – anch'io li ho incontrati o ascoltati – che molti processualcivilisti sostengono una sorta di «fermo biologico» necessario a non intervenire più su quella materia, contemporaneamente però sono tantissimi gli scritti e le posizioni emerse in dottrina che segnalano una farraginosità dei riti che non ha eguali, o che eguali in pochissimi ordinamenti. Quindi delle due una: o restare in questa situazione, perché così si stabilizza una conoscenza degli strumenti; oppure provare a cambiarli, tenendo conto anche di un'esigenza di semplificazione. Noi abbiamo scelto questa seconda strada; sappiamo che da sola non è sufficiente, ma non l'abbiamo lasciata da sola, come ho cercato di spiegare.
  In ultimo, una valutazione che credo sia d'obbligo: io rivendico a questo Governo un'attenzione al tema della giustizia civile che è assolutamente un inedito negli ultimi vent'anni. Lo dico perché il dibattito di questi vent'anni si è prevalentemente rivolto al tema della giustizia penale: per molte ragioni, alcune non molto distanti dallo scontro politico, altre più legate all'indubbio fascino che il processo penale esercita per una serie di ragioni. In questo dibattito è scomparso completamente il tema della giustizia civile, se non con interventi di carattere episodico e non organico che spesso hanno peggiorato la situazione anziché migliorarla. Ecco, io rivendico a questo Governo la scelta da tutto principio – perché questo è solo un provvedimento, che arriva dopo molti altri che riguardano la giustizia civile – di aver rimesso al centro della discussione del processo riformista il tema della giustizia civile, sostenendolo anche con misure organizzative che sono state ricordate nel corso del dibattito.
  Ha ragione l'onorevole Sannicandro: l'ulteriore passaggio che dobbiamo fare è quello di una ricognizione dell'utenza, nel senso che spesso il contenzioso è dovuto anche a cattive prassi della pubblica amministrazione o di soggetti direttamente o indirettamente legati alla pubblica amministrazione. È di qualche settimana fa, anzi di qualche giorno fa, il grido d'allarme del Presidente della Corte di cassazione riguardo al funzionamento della Suprema Corte: il Primo presidente ha fatto un quadro della situazione, ma se lo andiamo a vedere, quel quadro, scopriamo che la Cassazione sul penale più o meno si difende (naturalmente, si potrebbe sempre fare di più); il vero punto di caduta è nel civile, ma nel civile, nelle sezioni civili, metà del contenzioso è originato dalle commissioni tributarie, e quel contenzioso spesso vede lo Stato come parte del procedimento.
  È quindi chiaro che noi dobbiamo provare a vedere di fare la pace con noi stessi. Chiamare, cioè, tutti i soggetti che in qualche modo alimentano il contenzioso per parte pubblica e capire se quelle sono le uniche strade che si possono seguire, cioè quelle del riversare sulla giurisdizione una quantità molto significativa di domanda di giustizia o, invece, seguirne altre per consentire ai cittadini di utilizzare meglio quegli strumenti che la giurisdizione offre.
  Questo è l'ulteriore passaggio che noi ci ripromettiamo all'indomani, però, di questo intervento che, come ha sottolineato, in una relazione molto ricca e dettagliata, il sottosegretario Ferri, è un provvedimento che noi consideriamo strategico anzi forse, per quanto mi riguarda, il più strategico portato di fronte a quest'Aula dal Governo, perché considero che qui si può determinare davvero un definitivo cambio di passo in una materia che è assolutamente essenziale per la competitività del Paese.
  In questo senso – e concludo veramente – l'onorevole Prestigiacomo ha sottolineato come in qualche modo non ci debba essere un approccio di carattere economicistico su questa vicenda – mi sembra di aver colto questo – che sacrifichi Pag. 26in qualche modo le garanzie dei cittadini e l'esigenza della domanda di giustizia. Vorrei dire che non credo sia così. Credo che questo provvedimento abbia un suo equilibrio, vorrei anche ricordare, però, pur non essendo questo l'unico criterio ispiratore di questa riforma, che è stato calcolato che il cattivo funzionamento della giustizia civile nel nostro Paese pesa ogni anno un punto del prodotto interno lordo. Cioè, in un'epoca in cui la crescita di qualche decimale può fare la differenza, il funzionamento della giustizia civile potrebbe determinare un miglioramento delle performance economiche del nostro Paese tale da determinare una crescita del PIL dell'1 per cento. È quindi del tutto evidente perché noi riteniamo strategico questo intervento.
  Concludo con un'ultima sottolineatura. Spesso sento ripetere qui dentro, in quest'Aula e anche fuori da quest'Aula, che i miglioramenti anche di performance che ormai sono innegabili – parlo di quelli significativi sulle quantità e di quelli appena percepibili sulla diminuzione dei tempi – sono il frutto di un incremento indiscriminato del contributo unificato. Non è così ! Non è così perché quando il contributo unificato è stato alzato per davvero abbiamo avuto, in controtendenza, un aumento del contenzioso; ma soprattutto non è così perché non abbiamo scelto di non deflazionare utilizzando questo strumento. Vorrei ricordare che noi siamo molto al di sotto della media europea per quanto riguarda la copertura delle spese del servizio giustizia con il contributo delle parti e sottolineo questo aspetto perché questa è una scelta di carattere politico. Abbiamo deciso, in qualche modo, di deflazionare la domanda di giustizia per altre vie che non fossero quelle dell'aumento del costo della giustizia, perché questo aumento avrebbe semplicemente precluso la possibilità di accesso a una parte della popolazione rispetto alla quale, anzi, credo dovremmo fare un ulteriore sforzo, perché nel momento in cui noi spostiamo una parte della domanda di giustizia verso la degiurisdizionalizzazione e i percorsi stragiudiziali dobbiamo pensare a come si garantisca comunque un gratuito patrocinio in quelle sedi, come si garantisca, comunque, la possibilità per i meno abbienti di accedere a quegli strumenti e anche, probabilmente, come riconsiderare complessivamente il contributo unificato che ad oggi ha requisiti di scarsa progressività e di scarsa distinzione delle diverse priorità delle domande di giustizia.

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARINA SERENI (ore 15,35)

  ANDREA ORLANDO, Ministro della giustizia. Questo è un ulteriore passaggio che vogliamo avviare e che riteniamo di voler avviare nel corso dei prossimi mesi (Applausi dei deputati del Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Grazie Ministro. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Zampa, Locatelli, Martelli, Binetti, Santerini, Vezzali ed altri n. 1-01182 e Centemero ed altri n. 1-01184 concernenti iniziative in relazione al settantesimo anniversario del voto alle donne (ore 15,36).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Zampa, Locatelli, Martelli, Binetti, Santerini, Vezzali ed altri n. 1-01182 e Centemero ed altri n. 1-01184 concernenti iniziative in relazione al settantesimo anniversario del voto alle donne (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 1o marzo 2016 (vedi calendario).
  Avverto che è stata testé presentata la mozione Saltamartini ed altri n. 1-01185 (Vedi l'allegato A – Mozioni), che vertendo su materia analoga alle mozioni all'ordine del giorno verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione.Pag. 27
  Avverto, inoltre, che la mozione Zampa, Locatelli, Martelli, Binetti, Santerini, Vezzali ed altri n. 1- 01182 è stata sottoscritta anche dalla deputata Giorgia Meloni che, con il consenso degli altri presentatori, ne diventa la settima firmataria.

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritta a parlare la deputata Sandra Zampa, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01182. Ne ha facoltà.

  SANDRA ZAMPA. La ringrazio, signora Presidente. Non senza emozione mi appresto a illustrare il testo di questa mozione ma, soprattutto, a evocare in quest'Aula il nome delle nostre 21 madri costituenti: Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Filomena Delli Castelli, Maria De Unterrichter Jervolino, Maria Federici, Angela Cotelli, Angela Guidi Cingolani, Maria Nicotra, Vittoria Titomanlio, Adele Bei, Nadia Gallico Spano, Nilde Iotti, Teresa Mattei, Angiola Minella, Rita Montagnana, Teresa Noce, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi, Angelina Merlin, Bianca Bianchi, Ottavia Penna Buscemi. Sono questi i nomi delle prime 21 elette in Italia, delle prime 21 che sedettero su questi stessi banchi dopo le elezioni politiche del 2 giugno 1946, elezioni per il referendum, col quale gli italiani scelsero tra la Repubblica e la monarchia, e le elezioni che portarono poi all'insediamento della Costituente.
  Signora Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, quest'anno si celebra il settantesimo anniversario del voto alle donne. Nella primavera del 1946 in diverse città e in diversi luoghi d'Italia si svolsero delle amministrative alle quali le donne italiane presero parte per la prima volta. Dopo una lunga battaglia anche il nostro Paese arrivava, benché molto in ritardo rispetto a molti altri, al suffragio universale. È giusto ricordarlo qui oggi, alla vigilia del giorno dedicato a quella metà del mondo che, con un così grande senso di sacrificio, impegno e volontà, ha contribuito, in modo determinante, al progresso dell'umanità.
  La storia delle donne del Novecento è stata così significativa sul piano dell'affermazione dei diritti che l'ONU ha indicato le donne come il primo soggetto per i cambiamenti del mondo, nel segno dello sviluppo, dell'uguaglianza e della pace. Ho detto già che la società italiana giunse in ritardo a questo storico traguardo. Chiusa nella morsa del ventennio fascista, dilaniata dalla guerra, rischiava di non poter partecipare a un cambiamento che interessava e aveva già interessato molte altre democrazie del mondo, dopo le due guerre mondiali che avevano insanguinato l'Europa.
  La coincidenza di questo anniversario fondamentale per la storia dell'emancipazione delle donne coincide con quello della nascita della nostra Repubblica e sembrano quasi profetiche le parole di Giuseppe Mazzini per la loro valenza, parole scritte all'onorevole Morelli dopo che la Camera dei deputati del Regno d'Italia aveva respinto la sua proposta di estendere i diritti politici alle donne italiane. «L'emancipazione della donna sancirebbe una grande verità, verità base a tutte le altre, l'unità del genere umano, e assocerebbe nella ricerca del vero progresso comune una somma di facoltà e di forze, isterilita da quella inferiorità che dimezza l'anima. Ma sperare di ottenerla alla Camera, come è costituita e sotto l'istituzione che regge l'Italia, la monarchia, è a un dì presso come se i primi cristiani avessero sperato di ottenere dal paganesimo l'inaugurazione del monoteismo e l'abolizione della schiavitù».
  Fu il 2 giugno 1946, nello stesso giorno in cui nacque la nostra Repubblica, che le donne parteciparono con diritto di voto attivo e passivo ad una consultazione politica e referendaria destinata a cambiare il volto di questo Paese, aprendo la strada alla realizzazione di una democrazia davvero moderna. La partecipazione al voto delle donne fu altissima e devo dire colpiscono molto i racconti che da più parti i testimoni anche oggi riferiscono o hanno riferito a storici nelle cronache abbastanza Pag. 28recenti di quei giorni e di quelle ore in cui le donne facevano la coda ai seggi e si portavano sottobraccio il seggiolino per potersi sedere e non allontanarsi, alcune temendo persino che questa grande possibilità potesse svanire da un momento all'altro e di trovarsi nuovamente private della possibilità di votare. Ho detto che furono mesi, anni decisivi. Quel voto arrivava dopo la tragedia della guerra; una tragedia enorme. E anche qui colpiscono enormemente le immagini che i libri di storia ci hanno consegnato di queste donne che camminano in mezzo alle macerie con i bambini per mano, figli perlopiù orfani, in un Paese distrutto. Furono mesi e anni decisivi, anni costituenti, quelli ai quali le nostre 21 madri presero parte per mettere quelle fondamenta. Quelle 21 donne sono lì a testimoniare che a mettere le fondamenta di questo Paese c'erano appunto anche le donne. Erano state partecipi della Resistenza. Per la prima volta al voto scelsero la Repubblica. Dopo secoli di silenzio e di marginalità, si trovarono finalmente protagoniste a pieno titolo della storia; lo saranno poi, lo sono ancora, lo saranno negli anni a venire, protagoniste della vita sociale, civile e politica dell'Italia e dell'Europa, con grandi lotte per la parità nel lavoro, oggi non ancora del tutto realizzata, con grandi lotte per la parità nella famiglia, nelle istituzioni, nell'educazione dei figli. Ogni generazione ha la sua battaglia da vivere per non arretrare nei diritti e per aprire strade nuove. Ecco, quelle 21 donne, elette su 556 complessivamente, ci hanno mostrato di avere fatto la propria parte. Il loro impegno, il loro coraggio, il loro spirito democratico e repubblicano fanno parte ormai della nostra storia; una parte della storia del nostro Paese ancora davvero troppo poco conosciuta e studiata. Nell'aprile del 1945 si era costituita la Consulta, di cui erano entrate a far parte 13 donne invitate dai partiti. Tra queste, Teresa Noce e Adele Bei, che avevano condiviso la carcerazione. Il sacrificio e la determinazione di tutte loro hanno contribuito enormemente alla nascita della democrazia. La Consulta votò l'obbligatorietà del voto per tutti. Fu questo il primo risultato di quel lavoro: voto per tutti, donne comprese. Il voto è del 5 febbraio: favorevoli 179, contrari 156. Mentre i numeri parlano da soli, va ricordato che il primo successo delle madri della Consulta fu quello di ottenere che il premio della Repubblica, 3 mila lire, fosse esteso anche alle vedove di guerra e alle mogli dei prigionieri.
  «Credo proprio di interpretare il pensiero di tutte noi consultatrici invitandovi a considerarci non come rappresentanti del solito sesso debole e gentile, ma pregandovi di valutarci come espressione rappresentativa di quella metà del popolo italiano che pure ha qualcosa da dire»: sono queste le parole di Angela Guidi Cingolani, la prima donna a prendere la parola in quest'Aula. Aveva subìto prigione e confino; fu lei, appunto, a parlare per la prima volta in rappresentanza di quella metà del popolo italiano; una metà del popolo che in altri Paesi aveva già raggiunto il diritto di voto e di rappresentanza.
  In Nuova Zelanda, nel 1893; in Finlandia, nel 1907; in Norvegia, nel 1913; nel Regno Unito, nel 1917. Un diritto che prima dell'Italia era già stato riconosciuto anche in altri Stati, come Turchia, Mongolia, Filippine, Pakistan. Le 21 madri costituenti entrarono in tutte e tre le sottocommissioni dell'Assemblea costituente, ma di nessuna ottennero la presidenza. Parte viva del Paese, si sentirono fin da subito rappresentanti del popolo che le aveva elette. E loro di quel popolo conoscevano davvero la voce e i bisogni. E allo stesso tempo seppero rivendicare i propri diritti e i diritti di tutte le donne, in nome di una rivendicazione femminile che riguardava tutto il Paese. Concentrarono strategicamente la loro presenza nella prima sottocommissione riguardante i diritti e i doveri dei cittadini e nella Commissione dei 75, dove entrarono in cinque: Nilde Iotti, Angela Gotelli, Teresa Noce, Angelina Merlin e Maria Federici. Alle madri costituenti, a queste 21 che seppero unirsi al di là delle diverse appartenenze, riconoscendosi reciprocamente come testimoni di un cambiamento radicale non più rimandabile della società italiana, protagoniste Pag. 29della lotta di liberazione e testimoni della tragedia della guerra, dobbiamo l'elaborazione nella nostra Carta costituzionale di princìpi come la parità sociale, l'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, la parità tra uomini e donne nelle professioni e nel lavoro, l'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi nel matrimonio, la parità di accesso alle cariche elettive. Dai resoconti dell'Assemblea apprendiamo che a loro si deve la formulazione, nell'articolo 3 della Costituzione, che mette al primo posto il genere: tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso. E non possiamo dimenticare che questo è l'articolo che più di ogni altro rappresenta l'affermarsi di una democrazia paritaria contraddistinta dal progresso sociale. L'articolo 3 prosegue così: è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese, introducendo di fatto, con l'affidamento alla Repubblica del compito di rimuovere ogni ostacolo che impedisce la partecipazione di tutti i cittadini alla vita politica del Paese, un concetto nuovo e unico anche rispetto a Carte costituzionali della stessa epoca. Nuovo e unico anche il contributo delle donne alla costruzione della nostra vita democratica dopo l'orrore della guerra perché è di quel tempo che le madri erano appunto testimoni. Seppero unirsi e si impegnarono per la rivendicazione di un tempo nuovo che significasse la fine per sempre della negazione dei diritti, della libertà e del libero pensiero, incaricando la Repubblica di rimuovere ogni ostacolo sul cammino dell'affermazione dell'uguaglianza. Senza di loro non avremmo questa formulazione dei diritti; senza la loro ostinazione le differenze di genere non sarebbero al primo posto nell'articolo 3. La straordinarietà della loro azione fu rappresentata dalla capacità di sentirsi vincolate dalla comune condizione di donne e, al tempo stesso, dalla volontà di cambiamento della società italiana. La loro fu un'occasione unica e la seppero utilizzare con intelligenza, con saggezza e con lungimiranza, lottando contro la maggioranza che ostacolava l'affermazione della parità tra donna e uomo, uniformandosi a preconcetti privi di ogni ragionevolezza. Basta pensare, un esempio per tutti, che molti padri costituenti si opposero strenuamente all'ingresso delle donne in magistratura. Ma le madri costituenti furono audaci: non vi fu solo astrazione teorica, ma rigorosa applicazione della ragione che si affermava contro l'irragionevolezza della maggioranza, una maggioranza di uomini.
   Si pensi anche alla lungimiranza del loro lavoro in tema di diritto della famiglia; pur con i vincoli che la legislazione vigente imponeva – erano ancora in vigore, non bisogna dimenticarlo, il codice penale e il diritto di famiglia del periodo fascista – seppero opporsi con tenacia e riuscirono a introdurre il principio di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare. Tuttavia, la disposizione, con questa formulazione, dava adito a interpretazioni di segno opposto. Per la sua straordinaria attualità, non posso trascurare di ricordare qui il loro impegno per la protezione delle madri nubili e dei nuclei familiari di fatto: in III Commissione sostennero che queste situazioni avevano particolare bisogno di garanzie sociali e giuridiche. Maria Federici sostenne che la nozione di famiglia dovesse comprendere queste realtà, che loro conoscevano così da vicino. Teresa Noce e Angelina Merlin proposero di stabilire il valore sociale della maternità, della protezione dei figli, fossero essi legittimi o meno, da parte dello Stato. La Commissione dei diciotto, che aveva il compito di armonizzare il lavoro delle tre Commissioni, non inserì la proposta della Noce e della Merlin, nonostante l'impegno di Nilde Iotti. Testimoni di una realtà nella quale le famiglie non tradizionali, oggi come allora, esistevano, si batterono perché il dettato costituzionale non dimenticasse il diritto Pag. 30di tutti all'autodeterminazione e alla libera scelta ed è da ricordare ancora il loro impegno per la parità di salario, che si scontrò allora con la campagna politica conservatrice, tesa a relegare le donne nell'ambito della famiglia e della casa, esattamente come era accaduto dopo il primo conflitto mondiale.
  Ma esse ottennero l'introduzione di concetti favorevoli alle donne, alle donne che lavoravano, come la rivalutazione della maternità e la necessità della loro tutela. La più giovani di loro, Teresa Mattei, laureata in filosofia, aveva perso il padre e un fratello partigiani; lei stessa si era battuta nella Resistenza, aveva 25 anni, il suo soprannome era Chicchi; fu nominata segretaria dell'Assemblea, fu lei che introdusse il simbolo della mimosa per la festa dell'8 marzo. Queste le sue parole a commento del voto sul ripudio della guerra. Ha raccontato: «Quando si votò per il ripudio della guerra, noi, tutte e ventuno, ci tenemmo la mano. Eravamo tutte per la pace, anche la collega qualunquista, che poi era monarchica». Credo sia, questo settantesimo anniversario del voto alle donne, occasione per diffondere questa loro e anche nostra storia – questa è la loro, ma è anche profondamente la nostra storia – attraverso lo studio delle loro biografie, della loro azione politica e istituzionale. Credo possa rappresentare l'occasione per rileggere la nostra Costituzione alla luce di questa verità, che fu l'impegno delle donne per la tutela e l'affermazione dei diritti delle donne, in primo luogo, ma di ciascuno allo stesso tempo, ad introdurre nel Paese quell'accelerazione sul piano del progresso sociale, senza cui l'Italia sarebbe rimasta esclusa dai processi di democratizzazione e di crescita. Credo che oggi, quando molti traguardi sono stati raggiunti e molti risultati si sono consolidati per le donne, e tuttavia resta ancora moltissimo da fare, valga la pena ricordare questo che è un passaggio dirimente: «esse si tennero per mano». Fu la loro condizione, fu la loro consapevolezza del prezzo pagato, fu la loro capacità di essere testimoni di un tempo, di leggere i segni di quel tempo, fu la loro capacità di mediazione che, non per questo, significò rinuncia all'impegno per la conquista di traguardi futuri, fu la loro volontà di dire «mai più», che ha consentito la stesura di quei principi, così come oggi li possiamo ancora leggere, ai quali possiamo fare riferimento per la tutela e il progresso di una società di uguali.
  Ciò che siamo diventati, grazie a loro, è oggi tutto nelle nostre mani – ho concluso, signora Presidente –: la democrazia, il senso della comune convivenza, la fiducia nella politica e nelle istituzioni. Si tratta di beni essenziali, senza i quali tutto è più difficile, più povero e più degradato. Dobbiamo ammettere che settant'anni dopo sembrano indebolite le fondamenta della costruzione democratica che erano state poste. Sappiamo bene però, noi, come quelle ventuno donne, da dove dobbiamo ripartire: dalla solidarietà, non dall'egoismo, dal sentirci legati gli uni agli altri da un destino comune, non individui in competizione con gli altri, dalla partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, non da sudditi che si disinteressano dell'esercizio del potere. Questo ci hanno insegnato le ventuno Madri costituenti che, domani, simbolicamente, celebreremo, ed è anche in nome loro che auguro già buona festa delle donne a tutte le donne italiane (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Avverto che è stata presentata la mozione Spadoni ed altri n. 1-01186 (Vedi l'allegato A – Mozioni) che, vertendo su materia analoga alle mozioni presentate, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione.
  È iscritta a parlare la deputata Stefania Prestigiacomo, che illustrerà anche la mozione Centemero ed altri n. 1-01184, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

  STEFANIA PRESTIGIACOMO. Grazie, Presidente, colleghi, Governo. Nella giovane nazione che si forma con l'unità d'Italia, le donne non godono di diritto di voto, né politico, né amministrativo. È alla fine dell'Ottocento, inizi del Novecento, che si costituiscono nel Paese le prime associazioni che cominciano a denunciare la condizione di cittadinanza limitata in Pag. 31cui le donne si trovano. Nel 1907, fu costituita una Commissione ministeriale incaricata di studiare la questione dell'ammissione delle donne al voto amministrativo, in seguito alla presentazione in Parlamento di una petizione per il suffragio femminile, sostenuta da associazioni e firmata da migliaia di donne.
   La Commissione fu boicottata, allungando molto i tempi del suo lavoro di indagine. Anche allora, nonostante il tema del voto alle donne e del loro ruolo nella società fosse oggetto, da più di cinquant'anni, di dibattito, la Commissione deliberò, a maggioranza, dopo tre anni dal suo insediamento, in senso negativo, sconsigliando il Parlamento dal concedere il voto amministrativo alle donne e, sebbene non fosse stata chiamata a pronunciarsi in merito, anche quello politico.
  Nel 1913, Emilia Mariani, esponente di spicco dell'emancipazionismo italiano, scriveva: «A chi vi dice che bastano gli uomini a fare le leggi anche per le donne, dite che non è vero, dite che, pur non essendo tanto diversa la psiche femminile da quella maschile, tuttavia diverse e talora contrarie sono le esigenze e le finalità individuali degli uomini e delle donne». Fu soltanto nell'immediato dopoguerra, in occasione della costituzione della Consulta incaricata di elaborare la legge elettorale per l'elezione dell'Assemblea costituente, che le donne poterono partecipare attivamente alla vita politica del Paese. In questo organo, infatti, erano presenti 13 donne, invitate però direttamente dai partiti. La prima volta in cui le donne poterono esercitare il loro diritto di cittadinanza, vedendo garantito il loro diritto a partecipare alla vita politica e ad esprimere le proprie opinioni tramite il voto, per quanto ancora a livello locale, fu in occasione delle elezioni amministrative indette per il 10 marzo 1946, che riguardarono la maggior parte dei comuni italiani. In quella circostanza, la partecipazione alle urne fu altissima. A livello nazionale, la prima partecipazione al voto delle donne ci fu in occasione del referendum istituzionale del 2 giugno 1946, con il quale si chiese alla popolazione italiana di optare tra monarchia e repubblica e, contemporaneamente, si svolsero le elezioni dell'Assemblea costituente. Questo riconoscimento in Italia arrivò con estremo ritardo rispetto ad altre Nazioni, alcune delle quali, come la Nuova Zelanda e la Finlandia, avevano riconosciuto il diritto di voto alle donne tra gli ultimi anni dell'Ottocento e i primi anni del Novecento.
  Questi due momenti, in cui 21 donne entrarono a far parte dell'Assemblea costituente e numerose nei consigli comunali, hanno rappresentato un passaggio storico fondamentale, un punto di collegamento tra le proteste femminili e l'espressione di una richiesta di soggettività e partecipazione più ambiziosa. Il voto delle donne espresso nel 1946 in occasione dell'elezione dei componenti dell'Assemblea costituente segna uno spartiacque nella definizione e nella determinazione del ruolo sociale e civile delle donne nella civiltà italiana.
  Voglio ricordare anch'io il 1o ottobre 1945. Nel corso di quello che fu il primo intervento di una donna nella Consulta nazionale, Angela Guidi Cingolani ebbe a dire: «Credo di interpretare il pensiero di tutte noi Consultrici invitandovi a considerarci non come rappresentanti del solito sesso debole e gentile, oggetto di formali galanterie e di cavalleria di altri tempi, ma pregandovi di valutarci come espressione rappresentativa di quella metà del popolo italiano che ha pur qualcosa da dire, che ha lavorato con voi, con voi ha sofferto, resistito, combattuto, con voi ha vinto con armi talvolta diverse, ma talvolta simili alle vostre, e che ora con voi lotta per una democrazia che sia libertà politica, giustizia, elevazione morale».
  La linea di confine che questo fondamentale momento storico segna non fu affiancata da eguale progresso della mentalità e della condizione reale delle donne. Le donne avevano sostituito gli uomini durante le guerre anche nei settori produttivi, avevano cominciato a partecipare alla vita politica, soprattutto a livello locale, e questo aveva certamente favorito il loro accesso al diritto di espressione del voto, della propria opinione, alla legittimità di manifestare la Pag. 32propria scelta. Ciò nonostante, tutto questo non è stato di per sé sufficiente a garantire per le donne l'accesso ai ruoli attivi alla dirigenza sia in ambito politico che in quello professionale. Per avere la prima donna nominata componente di un Governo si dovrà aspettare il 1951 e sarà solo nel 1960 che, con un accordo interconfederale, sarà sancita l'uguaglianza formale tra uomini e donne nel mondo del lavoro, con l'abolizione delle tabelle remunerative che prevedevano una differenza di salario tra i due generi.
  Così come sarà una sentenza della Corte costituzionale, nel 1960, a dichiarare illegittima la norma che escludeva le donne da un ampio numero di uffici pubblici. Si dovrà aspettare il 1975, con la riforma del diritto di famiglia, per vedere riconosciuta la parità tra i coniugi e la comunione dei beni, e risale solo al 1981 l'abrogazione del delitto d'onore e dell'ufficio del matrimonio riparatore. L'interesse politico nei confronti delle tematiche di genere è un tema relativamente giovane nel nostro Paese: è solo verso la fine del Novecento che la condizione di svantaggio delle donne nella vita politica, sociale e culturale si è imposta all'attenzione dell'agenda politica italiana e ha fatto sorgere la consapevolezza che la democrazia paritaria costituisce l'espressione di una democrazia pienamente compiuta.
  L'articolo 51 della Costituzione, norma fondamentale in tema di partecipazione alla vita politica, articolo che sancisce il principio della pari rappresentanza tra il sesso maschile e il sesso femminile, è stato oggetto soltanto nel 2003 di una modifica che ha rappresentato un passo fondamentale verso il conseguimento delle pari opportunità tra uomini e donne nelle cariche elettive e negli uffici pubblici. Modifica approvata – voglio ricordare – con il supporto fondamentale del Governo di cui facevo parte; modifica della Costituzione che ha reso costituzionali tutte le successive leggi che hanno introdotto le cosiddette «quote rosa» nelle leggi elettorali.
  Numerose sono state le leggi in materia elettorale già approvate da questo Parlamento al fine di favorire nel nostro Paese progressi nella partecipazione delle donne alla vita politica e di rimuovere le discriminazioni basate sul sesso. Esse hanno costituito il fondamento per più specifiche azioni positive per la parità, ma ancora molto rimane da fare. Nonostante gli interventi e le politiche per l'uguaglianza di genere, il rapporto sull'indice dell'uguaglianza di genere pubblicato dall'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere nel 2013 mostra che le disparità sono ancora forti in tutta l'Unione europea e che l'Italia, in questo contesto, si colloca molto al di sotto della media europea, attestandosi al ventitreesimo posto su ventisette membri.
  A livello mondiale la situazione dell'Italia appare migliore e soprattutto si nota una tendenza al miglioramento, ma ancora abbiamo molti impegni da affrontare e ostacoli da superare. Se si tiene conto dell'indice di parità, si riscontra quanto questo sia strettamente connesso con l'indice di civiltà di una democrazia. Non solo, anche i dati sulla relazione tra competitività dei Paesi e il livello di disparità tra i sessi mostrano una stretta connessione. Il modo in cui le donne partecipano alla realizzazione di questa competitività incide fortemente sulla salute economica e politica di una nazione. Le donne rappresentano per la democrazia e per lo sviluppo del Paese una risorsa fondamentale, ma gli stereotipi si pongono ancora come ostacolo alla possibilità per le donne di coniugare vita professionale con vita personale e familiare, con la maternità, con progetti di formazione permanente, con una partecipazione attiva alla vita politica del Paese.
  Le iniziative legislative di per sé non possono, ovviamente, risolvere un problema ben più complesso quale quello di rimuovere le barriere che impediscono alle donne di scegliere liberamente come e quanto partecipare alla vita politica, economica e civile del Paese. È importante tenere conto dei numeri relativi alla presenza delle donne nei luoghi di lavoro, così come nelle sedi della rappresentanza politica, ma è ugualmente importante, allora, che la politica, e quindi il Parlamento, si Pag. 33faccia carico di assumere iniziative e adottare interventi che possano contribuire a modificare i fattori culturali che si pongono come ostacolo, nei fatti, alla partecipazione delle donne alla vita politica.
  In questo senso, educazione e formazione acquistano importanza fondamentale, perché è necessario intervenire per eliminare gli stereotipi che impediscono il raggiungimento di una reale e piena parità, ma gli stereotipi rimarranno tali fino a quando si continuerà a ritenere che l'accesso delle donne alla vita politica, economica e sociale del Paese riguardi solo ed esclusivamente le donne, che ci siano tematiche di esclusiva competenza femminile, che si considererà un affare riservato al genere femminile la presenza sul territorio e il funzionamento dei servizi sociali di sostegno, per esempio, alla maternità.
  La ricorrenza del settantesimo anniversario del riconoscimento del voto attivo e passivo delle donne non deve rappresentare un momento di natura retorica, ma riempirsi di contenuti concreti; deve essere un'occasione per agire come impulso al Paese perché cambi questa mentalità, ancora troppo discriminatoria verso le donne, perché vengano messe in campo azioni di impulso alla parità sostanziale nell'ambito della politica, del lavoro, culturale e sociale.
  L'Italia è ancora il Paese in cui le donne trovano la propria vita professionale sbarrata dal cosiddetto tetto di cristallo che le vede percorrere la carriera professionale solo fino a determinati livelli, restando, nella maggior parte dei casi, lontane dai ruoli dirigenziali. L'Italia è il Paese, in ancora tanti settori, a parità di mansioni, in cui le donne vengono retribuite con salari più bassi. L'obiettivo cui tutti noi dovremmo tendere è quello di giungere ad una condizione in cui non avremo più la necessità di prevedere per legge la presenza delle donne nelle liste elettorali, nei luoghi della rappresentanza politica, sia a livello locale che a livello nazionale. Il fine ultimo dovrebbe essere quello di una società in cui la democrazia paritaria si realizza nei fatti quotidianamente (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Binetti. Ne ha facoltà.

  PAOLA BINETTI. Presidente, illustre membro del Governo, colleghi, questa è una mozione unitaria, e già questo è un grande vantaggio, che rievoca, forse, quell'immagine che prima è stata sollecitata, quando si è pensato a tutte le donne unite in una manifestazione a favore della pace, qualunque fosse lo schieramento.
  E, quindi, questo mi permette di sintetizzare alcuni passaggi, che sono stati comuni anche agli interventi delle colleghe, per soffermarmi su alcuni punti che reputo di maggior interesse, che sono un poco il regno delle contraddizioni tra le premesse poste dalle madri costituenti e la fattualità odierna. È stato ricordato, appunto, come il 2 giugno 2016 ricorra il settantesimo anniversario della Repubblica italiana e, contestualmente, il settantesimo anniversario del voto alle donne.
  Fino al 1946 le italiane non potevano partecipare, né attivamente né passivamente, alle elezioni politiche. Soltanto al termine del primo conflitto mondiale, nel 1918, il suffragio fu esteso a tutti i cittadini maschi. Bisogna attendere la seconda guerra mondiale per immaginare di estendere il suffragio alle cittadine donne. All'inizio, il 31 gennaio 1994, era soltanto un suffragio che le rendeva soggetti capaci di votare, ma non ancora capaci di essere votati. Per questo bisognerà attendere ancora un anno, bisognerà arrivare al 2 giugno 1946 per poter riuscire a ottenere questo risultato.
  È stato ricordato come la composizione iniziale di questa prima schiera di donne in Parlamento, in un certo senso, avesse quel suo equilibrio interno – che potremo considerare proprio delle pari opportunità –: nove erano della DC, nove erano del PCI, due erano del PSIUP e una del Partito dell'uomo qualunque. Sembrava quasi proprio che la ricchezza delle posizioni, dei mondi di valore, delle capacità di porsi Pag. 34in rapporto alla complessità dei problemi fosse stata equamente distribuita per ottenere, poi, in molti ambiti del dibattito parlamentare di quel periodo, soluzioni fortemente convergenti.
  Rispetto a tutti quei risultati positivi che furono ottenuti allora e che sono contenuti nella Carta costituzionale, ancora oggi noi dobbiamo prendere atto che molti di quei punti contenuti nella Carta costituzionale non sono pienamente attuati. Voglio soffermarmi su due aspetti. Uno è l'articolo 37. Nell'articolo 37 – mi fa piacere utilizzare una edizione storica della Carta costituzionale – si dice che la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Questa mattina sono stata ad un interessante convegno, che si è svolto al Teatro Adriano, riguardante le donne e il grande mondo della salute, il grande mondo dei farmaci, in cui si è considerato un obiettivo di valore importante che la disparità sia ridotta e sia ridotta all'8 per cento. Prendo atto che la disparità sussiste – quanto tempo ? – a settant'anni dall'approvazione della Carta costituzionale. Quando è stato detto questo ? Questa mattina. È interessante sapere come noi dobbiamo combattere ancora con gli stereotipi, nonostante tutto.
  Ce n’è ancora un altro, che è interessante, all'articolo 51. Quello che ho appena letto era l'articolo 37. L'articolo 51 dice: «Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge». In questo caso mi interessa sottolineare due cose. La prima è: quanto tempo c’è voluto perché le donne potessero accedere alla magistratura e quanti pregiudizi si sono dovuti abbattere per riconoscere all'equilibrio femminile, alla sua capacità di giudicare e di valutare i fatti, le situazioni e le circostanze, la capacità di esprimere giudizi che fossero davvero espressione di quella equità di cui il Paese e le persone che ricorrono alla giustizia hanno realmente bisogno. Ma c’è una cosa ancora più interessante rispetto a questo punto della Carta costituzionale, perfino divertente se ci pensiamo. Ossia, ci sono volute quattro leggi diverse, in quattro periodi diversi – concretamente 2003, 2011, 2012 e 2014 – per stabilire la partecipazione delle donne ai diversi organismi, per esempio alle elezioni regionali. La prima è stata la legge costituzionale n. 1 del 2003, che ha stabilito che le leggi regionali promuovono la parità di accesso fra uomini e donne alle cariche elettive, a norma dell'articolo 51, appena letto. Poi siamo dovuti arrivare al 2011 perché questo riequilibrio delle cariche si potesse esprimere anche attraverso la partecipazione nei consigli di amministrazione. Poi, siamo arrivati al 2012, quando si è introdotta, nelle elezioni dei consigli comunali, questa volta, con più di 5 mila abitanti, la doppia preferenza di genere. Poi si è dovuti arrivare alla legge del 2014 per poter parlare, a livello del Parlamento europeo, della cosiddetta tripla preferenza di genere. Risulta perfino ridicolo pensare che ci siano volute tante leggi diverse per sostenere un principio del tutto elementare, che era la pari opportunità delle donne a ricoprire cariche di tipo elettivo.
  Ma questo perché non era possibile ? Non era possibile nella prassi, non era possibile nei fatti, ma invece era possibile nei principi. Queste sono le lotte estenuanti che le donne ogni giorno debbono combattere davanti a un principio che c’è e davanti a una prassi che non c’è, davanti a una bellezza nell'elencazione dei valori a cui si può aspirare e davanti alla difficoltà concreta per cui questi valori si traducono in realtà.
  Sempre questa mattina, una delle osservazioni che si faceva era come l'Italia fosse, di fatto, il Paese in cui le donne entrano nel mondo del lavoro più tardi di quanto non lo facciano le colleghe degli altri Paesi europei, escono dal mondo del lavoro abbastanza presto, perché già quando nasce il secondo figlio le donne, nella stragrande maggioranza dei casi, non riprendono il lavoro, non perché non vogliono riprendere il lavoro, ma perché trovano delle condizioni concrete così difficilmente conciliabili tra tempi di vita e di famiglia, servizi disponibili e tempi di lavoro, da trovarsi nella condizione quasi Pag. 35necessaria di uscire velocemente dal mondo del lavoro. Tutto questo ci porta ad essere un Paese dove le donne entrano nel mondo del lavoro più tardi, escono prima, per uscire prima non raggiungono, quindi, i livelli di carriera – si faceva presente prima il famoso cosiddetto «tetto di cristallo» –, ma per di più questo comporta anche una riduzione radicale della natalità. Ce lo dicono i dati ISTAT di pochi giorni fa: siamo il Paese europeo a più basso indice di natalità, siamo il cosiddetto Paese dell'inverno demografico, siamo il Paese delle culle vuote.
  Questo è per dire che, a settant'anni del diritto di voto alle donne, noi donne non siano ancora state messe nelle condizioni, non perché non ne fossimo capaci, di pensare politiche anche al femminile. Ciò, poi, significa pensare politiche che migliorano la qualità delle condizioni nella vita professionale e nella vita familiare, per quello che è lo specifico femminile, che si traduce nel lavoro. Non riusciamo a fare queste leggi perché, nonostante nell'ultimo Parlamento, quello in cui siamo in questo momento, il numero della presenza femminile sia aumentata in modo significativo, non riusciamo ancora ad avere quella sorta di potenza rappresentativa che ci permette di sconfiggere pregiudizi, luoghi comuni, quella sorta di incrostazioni ideologiche che fanno della politica un'attività che si declina ancora prevalentemente al maschile.
  Questo lo dico per dire che non basta avere le leggi, non basta avere le buone leggi, se di fatto non si hanno anche le buone prassi. Questo dovrebbe costituire – di fatto costituisce in questa mozione che noi presentiamo al Governo – la prima, la più forte, la più pressante delle richieste. Abbiamo le leggi ? Dateci l'applicazione delle leggi. Io mi chiedevo, venendo qui per esporre, per raccontare, ma anche, in qualche modo, per dipende questa mozione, chi sarebbe stato il Ministro, il rappresentante del Governo presente, di quale Dicastero fosse di competenza questa mozione. Ho il piacere di trovare rappresentato il Ministero della giustizia e, quindi, questo mi porta a dire che è un obiettivo di stretta giustizia. Bisogna dire basta, dopo settant'anni: basta parole, basta chiacchiere, dateci i fatti concreti. Questo significa anche chiedere iniziative concrete e precise, per cui ci sia, da un lato, la memoria – concludo subito, Presidente – delle cosiddette «madri costituenti». Già questo suona buffo a qualcuno, perché siamo così abituati al lessico dei «padri costituenti» che suona buffo pensare che ci siano state delle madri costituenti, ma ci sono state. Ricordiamole, ma ricordiamo anche la potenza della loro vision, questa sorta di visione, anche, io direi, quasi profetica per certi aspetti, e prendiamo atto, con grande rammarico, che di quella visione, molto spesso, non abbiamo saputo fare finora buon uso. Ma mi auguro che questa mozione aiuti davvero a ristabilire un punto di equilibrio.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Ricciatti. Ne ha facoltà.

  LARA RICCIATTI. Grazie, signora Presidente. Mi si permetta, innanzitutto, di esprimere soddisfazione per questa mozione calendarizzata alla Camera nella settimana della festa della donna, che ricorre domani, e soprattutto perché è frutto di un lavoro trasversale e di una coscienza collettiva che va oltre le appartenenze partitiche o la divisione maggioranza opposizione. Mi si permetta di poter osservare che, su alcuni temi, la convergenza sulle sensibilità viene prima dei gruppi parlamentari; questo almeno vale per il mio gruppo parlamentare, Sinistra Italiana. Noi pensiamo che sia questa la dimostrazione che c’è ancora, per alcuni ovviamente, la volontà di tenere vivo un pezzo di storia da non lasciare relegato a qualche pagina dei manuali di storia contemporanea. Mi permetta solo un monito, però, vale per me e vale per tutte e tutti: facciamo sì che questi momenti non siano vissuti come mero esercizio di pratica retorica fine a se stessa e fine alla commemorazione.
  Noi non siamo qui per commemorare, non siamo qui per ricordare: siamo qui Pag. 36per tenere vivo l'esempio, per far sì che un domani le 21 Madri costituenti non finiscano nel dimenticatoio, per far sì che fra qualche decennio i nomi delle nostre madri costituenti non cadano nel dimenticatoio. Probabilmente il lavoro iniziato in questa mozione dovrebbe essere continuato fuori di qui, nelle scuole, in mezzo ai ragazzi e alle ragazze: per spiegare loro quanto sarà, per chi non ha ancora diciott'anni, e quanto è importante il diritto di voto in un periodo in cui, dati alla mano, l'unico vero vincitore delle competizioni elettorali è l'astensionismo, cioè una scelta forte di non esercitare un proprio diritto.
  Diamo oggi per scontati diritti che le donne hanno acquisito settant'anni fa: usciamo di qua e raccontiamo, ognuno con la propria cultura, ognuno con la propria declinazione, con la propria storia, delle partigiane, delle staffette, delle donne antifasciste che in mille modi contribuirono alla liberazione del nostro Paese. Raccontiamo di chi ha pagato con la morte per questi nostri diritti oggi !
  In questi settant'anni abbiamo visto tante battaglie, per far sì che la società che si stava evolvendo assumesse sempre più una declinazione femminile: strappare la donna dalla subalternità culturale delle società è una sfida che viene da lontano, ma che non è ancora stata vinta. Tanto è il lavoro da fare, tanta ancora è la strada da percorrere: probabilmente iniziando a ricordare da chi siamo partite, dalle Madri costituenti appunto, da tutte quelle donne che hanno fatto la storia, la filosofia, la scienza, la musica, la cultura, continuando dalla presa di coscienza di quali sono i nostri diritti, mettendo nero su bianco quali sono anche le cause delle nostre discriminazioni; iniziare a promuovere le migliori intelligenze, imparare a non voltarsi dall'altra parte davanti alle stragi del mondo. Forse solo così potremo rendere onore alle nostre madri costituenti, e forse solo così riavvicineremo le donne alle istituzioni, e cancelleremo la sfiducia che c’è verso la pratica del diritto di voto.
  La collega Zampa ha giustamente detto: queste 21 donne furono chiamate a fare la loro parte; se anche di noi un giorno si potrà dire che abbiamo fatto la nostra parte, ce lo diranno fra qualche decennio. Nel frattempo, però, abbiamo l'obbligo morale, il dovere verso la nostra storia di provarci (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Andrea De Maria. Ne ha facoltà.

  ANDREA DE MARIA. Presidente, io penso che quella che discutiamo oggi, che voteremo domani, sia una mozione molto importante. Lo è come lo sono le iniziative volte a promuovere la memoria della nostra storia, e lo è per due ragioni: la prima è quella di un doveroso omaggio della nostra Assemblea, di chi rappresenta oggi qui i cittadini italiani, verso quelle 21 madri costituenti che hanno scritto delle pagine molto importanti nella storia della nostra democrazia; ma ancora di più credo questa mozione sia importante perché ci dà più strumenti per affrontare le sfide di oggi e le sfide del futuro: perché attraverso la conoscenza della storia, il ricordo dei momenti più alti della nostra storia, possiamo trarre le ragioni morali, etiche, ma anche politiche di conoscenza, appunto per affrontare le sfide del futuro.
  Per quanto riguarda la mozione che discutiamo oggi, che voteremo domani, questo ragionamento credo vada insieme alla consapevolezza di quanto la lotta prima per l'emancipazione delle donne, poi per la parità, e poi per il pieno riconoscimento della differenza di genere, è stata una delle battaglie che più di tutte, forse più di tutte, ha cambiato profondamente la società italiana: è una lotta che ha promosso libertà per tutti, per gli uomini e per le donne, ha cambiato i costumi sociali, ha profondamente rafforzato la democrazia. Questo è vero non solo in Italia, certo, ma credo sia indubbio che in Italia in modo particolare questa lotta ha avuto un peso molto significativo per la nostra democrazia, per la sua storia; anche perché in Italia c’è stata un'arretratezza maggiore, una resistenza maggiore Pag. 37alla lotta delle donne: è stato giustamente qui ricordato come il voto alle donne è stato riconosciuto in Italia molto dopo rispetto ad altri Paesi. Ed è una lotta che si è sempre intrecciata nella battaglia per la democrazia e la giustizia sociale: non è un caso che l'elettorato attivo e passivo alle donne sia stato riconosciuto dopo la Liberazione, prima in alcuni appuntamenti amministrativi e poi nel voto dell'Assemblea costituente, appunto con l'elezione di quelle 21 donne costituenti che vogliamo ricordare in questa mozione.
  Credo che qui bisogna ricordare l'intreccio molto profondo fra la scelta del riconoscimento di questo diritto alle donne e la lotta antifascista; per quello che era stato il fascismo, il maschilismo, l'esaltazione dell'uomo dominatore, l'esaltazione dell'uomo che faceva la guerra, l'idea della donna chiusa in casa, oppressa, moglie, madre: era un tratto profondo dell'ideologia fascista. Se vogliamo ricordare, se non un libro, un'altra grande espressione culturale come un film, io ricordo sempre il film di Ettore Scola Una giornata particolare, che secondo me più di tanti altri testi, tanti altri film, dà un'idea molto efficace di che cosa voleva dire questa oppressione e questa condizione femminile della donna nel fascismo. E poi, non a caso, le donne sono state grandi protagoniste della Resistenza, spesso anche combattenti, staffette a fianco dei loro uomini, dei loro figli, in quella lavoro di cura dei partigiani, in quel lavoro di aiuto che è stato così fondamentale per la condizione stessa di esistenza della Resistenza.
  Ricordo sempre una donna partigiana di Bologna, che non è arrivata in Parlamento ma che è stata una delle tanti militanti della sinistra dal basso nel nostro Paese, in questo caso nella mia città, che si chiamava Zelinda Resca (è scomparsa nel 1999): ha raccontato a tanti di noi, in tante occasioni, che era stata più emozionata e quasi più impaurita nel momento di esprimere il primo voto per l'Assemblea costituente, rispetto anche a quando quella volta, per torturarla, i nazifascisti avevano più volte fatto finta di impiccarla. È stato questo il legame così forte tra la lotta per la democrazia, la libertà, la lotta delle donne nella Resistenza, l'antifascismo, e poi il riconoscimento dei diritti politici, dell'elettorato attivo e passivo delle donne.
  Da allora si è fatta molta strada. Non la si è fatta a caso: si è fatta con lotte, con impegno, anche con l'intelligenza dei leader e delle personalità più autorevoli della nostra Repubblica, della nostra democrazia; per esempio andrebbe ricordato quanto anche nel suo partito Enrico Berlinguer si batté per il riconoscimento del ruolo delle donne nella politica. E tanta strada si è fatta: oggi per esempio, se parliamo del Partito Democratico, credo che possiamo essere orgogliosi di avere pienamente acquisito, nella nostra idea di partito, di politica, l'idea della pari rappresentanza di donne e uomini nel partito, e anche nelle nostre squadre di governo.
  E però questa memoria credo ci debba far vedere ancora quello che c’è da fare, le battaglie che vanno combattute. Qui alcune cose sono state ricordate: per esempio l'effettiva parità sul piano delle retribuzioni, che nel nostro Paese non è stata ancora raggiunta; il riconoscimento pieno del ruolo delle donne nelle professioni: in molti settori, più privati che pubblici, ormai, a dir la verità, questa parità non è pienamente riconosciuta. E ancora di più il contrasto alla violenza alle donne: guardate che c'entra molto con quello di cui stiamo parlando, perché in realtà la violenza alle donne è la reazione di una parte degli uomini all'autodeterminazione, alla soggettività, al protagonismo delle donne, ed è prima di tutto una battaglia culturale che credo debba proprio riguardare gli uomini.
  E infine una cosa forse non molto politicamente corretta, ma la voglio dire qui. Penso che noi dobbiamo aprire un ragionamento anche con le comunità che vengono a vivere in Italia da altri Paesi, per dire che chi vive qui rispetta la nostra Carta costituzionale: sul piano dei diritti, ma anche sul piano del pieno riconoscimento della soggettività e dei diritti delle donne, che di quella Costituzione è un punto fondamentale.Pag. 38
  Non c’è poi solo l'Italia. Quel terrorismo fondamentalista islamico che siamo chiamati a combattere ha nell'odio alle donne, al loro ruolo, alla loro soggettività uno dei suoi tratti identitari fondamentali, e in tanti Paesi oggi la lotta di cambiamento delle donne è una lotta complessiva di promozione democratica: pensiamo ai movimenti che ci sono in India contro la violenza alle donne, quanto possono rappresentare per il cambiamento di quel Paese e di quella società.
  Torno quindi al ragionamento di prima: sarà perché nella mia biografia sono stato – e sono particolarmente orgoglioso e grato – anche sindaco di Marzabotto, io credo molto al valore della memoria come strumento di lotta politica nella vita di oggi. E penso che anche in questo caso una mozione come questa, oltre al doveroso omaggio a figure così autorevoli, debba avere davvero lo scopo che dicevo prima, all'inizio di questo breve intervento a sostegno della mozione, per ringraziare dell'ottimo lavoro le colleghe che l'hanno redatta, in particolare di Sandra Zampa che ne ha avuto all'iniziativa: questo tipo di memoria ci rende più forti oggi e in futuro, per combattere con più efficacia quelle battaglie di libertà, di democrazia, che a partire dalle donne e dalla differenza di genere sono battaglie importanti per tutti, per gli uomini quanto per le donne (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Roberta Agostini. Ne ha facoltà.

  ROBERTA AGOSTINI. Grazie, Presidente. Intervengo anche io su questa mozione perché il 10 marzo 1946 le donne italiane esercitarono per la prima volta il voto durante le elezioni amministrative. È il punto di approdo di un lungo percorso e di una storia che segna il Novecento ma che ha origini nelle spinte suffragiste dell'Ottocento, nel pensiero emancipazionista mazziniano, nella battaglia di donne come Anna Maria Mozzoni, come Anna Kuliscioff, e il voto delle donne, nel 1946, appunto, per la prima volta il 10 marzo, è un momento chiave del processo di ricostruzione dell'Italia e costituisce una vera e propria svolta radicale nella storia del Paese. La chiamo svolta, non una correzione, non un adempimento ritardato, ma una vera e propria svolta perché, appunto, l'esclusione invece delle donne dalla cittadinanza non è stata una dimenticanza, non è stato un accidente, ma ha avuto un carattere centrale nel modello della democrazia per come l'abbiamo conosciuta, perché la piena cittadinanza maschile ha presupposto per tanto tempo la non cittadinanza femminile.
  Il voto non fu concesso, come pure troppo spesso si legge, ma il voto fu una conquista ed è una conquista tuttora sottovalutata e non adeguatamente riconosciuta. Senza la partecipazione di massa delle donne alla lotta di liberazione, la stessa lotta di liberazione probabilmente non sarebbe stata vittoriosa, ma senza quella partecipazione delle donne alla lotta di liberazione forse il diritto di voto non sarebbe stato così scontato. Ce lo ha ricordato Marisa Rodano proprio qui l'anno scorso, durante le celebrazioni del 25 aprile. Lei ci ha detto che nella Resistenza le donne entrano impetuosamente nella storia e la prendono nelle loro mani, protagoniste degli scioperi del 1943, delle lotte del centro-nord, della liberazione di Napoli, partigiane, staffette, organizzano la resistenza civile e la partecipazione delle donne alla Resistenza è stata il fondamento per la conquista dei loro diritti civili, sociali e politici.
  Scrivono le storiche, Presidente, che il diritto di voto apparve una scelta obbligata sotto il profilo della coerenza con il principio del suffragio universale, quasi una cosa naturale, quasi un ordine delle cose, ma in realtà, appunto, fu una rottura, un fatto che fece la storia. Fu il segno dell'emergere della soggettività femminile che si era, appunto, già manifestata in precedenza e che ha contribuito a cambiare sicuramente la natura della democrazia italiana, ma che cambia anche la natura della sfera privata dell'ordine familiare, delle relazioni tra i sessi. Basta leggere le cronache dell'epoca e anche quelle di fine Pag. 39Ottocento per capire che se il regno delle donne è quello della famiglia, allora con il diritto di voto si attenta, in qualche modo, anche all'ordine costituito della famiglia e delle relazioni dispari tra i sessi.
  Il 2 giugno la percentuale delle votanti fu quasi uguale a quella maschile – 89 per cento le donne e 89,2 per cento gli uomini – e anche nelle amministrative furono elette quasi 2 mila consigliere comunali. Le deputate furono 21: 21 madri costituenti, come ci ricorda la mozione, che hanno aperto con il loro lavoro la possibilità delle riforme dei decenni successivi, perché in realtà la conquista dei diritti politici non si accompagna alla piena cittadinanza femminile. È lunga la storia delle battaglie che hanno aperto nei decenni successivi gli spazi di libertà per tutti, per uomini e per donne: fino al 1953 le donne non potevano far parte di una giuria popolare, né diventare pretore o segretario comunale; gli articoli del codice civile confliggevano con la parità dei coniugi poi sancita nella Costituzione.
  Dobbiamo aspettare il 1956 per vedere la possibilità delle donne di entrare nelle giurie delle corti d'assise, il 1963 per la parità di accesso nelle carriere o per il divieto di licenziamento per matrimonio e, via via, il 1970 per la legge sul divorzio, il 1975 per la riforma del diritto di famiglia e il 1977 per la parità sul lavoro.
  Le donne votano, appunto, per la prima volta il 10 marzo e, come ho cercato di argomentare, si tratta di una data che segna una cesura forte con il passato e un nuovo inizio per la Repubblica. Ho presentato una proposta di legge che chiede, appunto, che il 10 marzo venga istituita la Giornata nazionale del diritto di voto delle donne non solo per celebrare o per ricordare, ma anche per promuovere e per stimolare la riflessione su quanta strada le donne hanno fatto ma quanta strada ancora le donne devono fare per una piena affermazione nella vita pubblica e per una vera parità anche nella vita privata. È l'Italia, infatti, l'ultimo Paese europeo per tasso di occupazione femminile ed è uno dei Paesi con il più basso indice di natalità.
  Nonostante il soffitto di cristallo si sia incrinato e l'Italia abbia risalito alcuni gradini nella classifica del Global Gender Gap Report e, quindi, un numero maggiore di donne occupino ora ruoli di responsabilità nel lavoro, nelle professioni e nella politica, si rischia oggi, invece, di allargare la forbice tra chi arriva ai vertici e chi invece scivola più indietro, in condizioni di povertà e di precarietà che, come sappiamo, sono più diffuse tra le donne. Nonostante l'impegno di istituzioni e di società civile la violenza contro le donne continua a essere un fenomeno pervasivo, drammatico e preoccupante. Il fenomeno dei femminicidi occupa quasi quotidianamente le pagine dei nostri giornali. Disparità salariali, discriminazioni sul lavoro, una rappresentazione mediatica che spesso è lesiva della dignità femminile, una sottovalutazione del ruolo delle donne che, secondo i più autorevoli istituti di ricerca, costituisce un problema anche per la crescita e per lo sviluppo del Paese.
  Noi siamo qui, Presidente, quotidianamente impegnate, donne e uomini del Partito Democratico, per rendere migliore la vita quotidiana di donne e di uomini, per contrastare il femminicidio, per promuovere politiche per la crescita, per il lavoro, per la parità, per fare avanzare diritti e pari opportunità. Io credo che sia necessario, con questa mozione e anche, io mi auguro, con la legge che istituisce la giornata del 10 marzo come Giornata nazionale del diritto al voto delle donne, ricordare la storia che abbiamo alle spalle, ricordare quelle 21 madri costituenti che pure, così poche, hanno aperto la strada alle tante che oggi sono qui e alle tante riforme che hanno segnato la storia del nostro, ciò rende più forte – io credo – il lavoro che quotidianamente noi qui siamo impegnati a fare e rende più forte il lavoro che cerchiamo di fare collegandoci con i bisogni, con i problemi e con le aspirazioni delle donne e degli uomini del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

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  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per la giustizia, Cosimo Maria Ferri.

  COSIMO MARIA FERRI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Grazie, Presidente. Sono voluto intervenire per manifestare la mia soddisfazione di essere presente qui oggi, in Aula, in questa fase della discussione su questa mozione che, come è stato già sottolineato da chi è intervenuto, rappresenta, intanto, una mozione unitaria e, quindi, un segnale importante da parte di tutte le forze politiche su temi che davvero oggi devono farci ripercorrere non solo quello che è stato ma, come è stato detto da qualcuno, dare lo stimolo per continuare e fare tesoro di tutto quello che le 21 donne della Costituente hanno fatto e, quindi, continuare quel lavoro perché giustamente, come è stato detto, è stata fatta tanta strada ma c’è ancora tanto lavoro per continuare nell'affermazione di tanti diritti.
  Voglio cogliere, però, alcuni passaggi della mozione che voglio sottolineare perché mi trovano particolarmente d'accordo. Occorre sottolineare come le Conferenze mondiali dell'ONU hanno indicato le donne come il primo soggetto per i cambiamenti nel mondo, per segno dello sviluppo, dell'uguaglianza e della pace. Ma dobbiamo sottolineare come la forza della partecipazione politica delle donne alla nuova democrazia e all'elaborazione della Costituzione italiana abbia fatto tesoro di tante battaglie in difesa dei diritti. Attraverso queste battaglie, le donne hanno portato nella cultura politica, sociale e civile del Paese un contributo inedito e destinato a rimanere per sempre. Sono passaggi della mozione, che poi è diventata mozione unitaria, che voglio ribadire anche in questa sede e che devono farci riflettere di fronte anche ai dati che ci sono e che ci riportano, sia il rapporto dell'EIGE del 2013, sia il Global Gender Gap Report del 2015. Tali dati ci inducono oggi, non solo a sottolineare e a festeggiare questo momento dei settant'anni dalla prima volta che le donne hanno esercitato il diritto di voto in Italia, ma anche a rivedere, rileggere e a far conoscere nelle nostre scuole, nei dibattiti e nel confronto con la società civile le tante importanti conquiste normative che hanno condotto alla parità formale dei diritti degli uomini e delle donne. Importante anche che sia un momento per ripercorrere e delineare insieme quale debba essere la strada da seguire per continuare a costruire ancora di più un'uguaglianza che deve essere, non solo normativa e formale, ma anche sostanziale. E vi sono dei rapporti citati nelle mozioni, come il rapporto, per esempio, dell'EIGE, dell'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere, che analizza i settori lavoro, denaro, tempo, salute, conoscenze e potere e che indica l'indice medio di disparità di genere nell'Unione europea del 54 per cento. E questo induce anche il nostro Paese, all'interno dell'Unione europea, a dare un segnale di attenzione e, quindi, a lavorare su questi temi per spingere l'Europa a migliorare un'attenzione normativa e anche di programmazione e di sensibilizzazione, anche nel confronto all'interno dell'Unione europea stessa. Inoltre, ci sono i dati del Global Gender Gap Report del 2015 che ci dicono che, nonostante gli ottimi livelli di istruzione, la percentuale delle donne occupate o in cerca di lavoro è significativamente inferiore rispetto agli uomini. Si pensi che il tasso di attività femminile corrisponde al 54 per cento, contro il 74 per cento maschile; il ricorso al part-time è significativamente più alto per le donne che per gli uomini (parliamo del 31 per cento delle donne lavoratrici contro il 7 per cento degli uomini); e, a parità di ruolo, le retribuzioni delle donne sono più basse. Quindi, ci sono dei dati su cui dobbiamo riflettere. Questa deve essere l'occasione, da una parte per ringraziare tutte le donne che si sono battute in questi anni e Pag. 41che sono state il motore e che hanno consentito questa forza della partecipazione politica delle donne alla nuova democrazia e, nello stesso tempo, però, dall'altra parte, per monitorare questi dati e costruire un percorso che sia davvero efficace.
  Due temi che riguardano poi il Ministero della Giustizia e chiudo e ringrazio per questa attenzione. Uno, quello della violenza sulle donne. Come è stato ricordato prima, è l'occasione davvero anche per riflettere sui dati dell'ultima indagine sulla violenza contro le donne, dentro e fuori la famiglia, che è stata condotta dall'ISTAT per il Dipartimento per le pari opportunità nel 2014. Secondo questi dati, solo l'11 per cento delle donne che hanno subìto violenze fisiche o sessuali hanno sporto denuncia, mentre il 20 per cento di loro ha taciuto completamente l'accaduto non parlandone con nessuno. Questa è la sfida, questo è l'impegno del Governo anche su questo tema. Sono stati fatti già diversi provvedimenti dal punto di vista legislativo dal Governo insieme alla Camera e al Senato e abbiamo dato già un segnale forte.
  Oggi il tema è anche culturale: riguarda la prevenzione e riguarda proprio le misure da mettere in piedi, da rafforzare, per stimolare e aiutare tutte quelle persone, tutte quelle donne che non hanno il coraggio di denunciare, che non hanno il coraggio di rivolgersi alle forze di polizia, alle associazioni, a tutti coloro che si occupano di questo settore, per fare emergere quello che soffrono dentro e quello di cui hanno bisogno. Quindi, la consapevolezza di intervenire e di essere di aiuto a tutte queste persone.
  Inoltre, l'altro tema: le donne entrano in magistratura nel 1965. Oggi è l'occasione per ricordare anche il dato positivo della presenza delle donne in magistratura che aumenta sempre di più. Se noi vediamo anche l'ultimo concorso e i risultati degli ultimi concorsi, sono sempre più in aumento le donne in magistratura. E l'auspicio è quello che, anche per quanto riguarda il conferimento degli incarichi direttivi, ci sia una giusta proporzione, perché oggi abbiamo un aumento delle donne in magistratura, che hanno superato gli uomini (ormai siamo al 51 e 49 per cento), però non c’è la stessa corrispondenza nel conferimento degli incarichi, sia giudicanti, che requirenti. Quindi, questo sicuramente è un dato che non deve essere sottovalutato.
  Nel chiudere, voglio anch'io davvero porgere i miei auguri in occasione della festa dell'8 marzo, ma anche per quella del 10 marzo. Che sia l'occasione davvero per lavorare con questa armonia e con questa intensità di vedute e di contributi per rendere sempre più sostanziale questa uguaglianza e non solo formale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge: Molteni ed altri: Modifica all'articolo 59 del codice penale in materia di difesa legittima (A.C. 2892-A) (ore 16,50).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge Molteni ed altri n. 2892-A: Modifica all'articolo 59 del codice penale in materia di difesa legittima.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 4 marzo 2016.
  Comunico che tutti i deputati firmatari della proposta di legge hanno ritirato la propria sottoscrizione dopo la conclusione dell'esame in sede referente.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2892-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che il presidente del gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni Pag. 42nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, deputato Ermini.

  DAVID ERMINI, Relatore per la maggioranza. La ringrazio, signora Presidente. Onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, la proposta di legge è stata approvata dalla Commissione giustizia all'esito di un approfondito esame in sede referente avviato il 19 novembre 2015 in relazione alla proposta di legge n. 2892, d'iniziativa dei deputati del gruppo Lega Nord ed Autonomie, ed iscritta nel calendario dei lavori dell'Assemblea nell'ambito della quota riservata, ai sensi dell'articolo 24, comma 3, del Regolamento, ai gruppi di opposizione, e delle abbinate proposte di legge nn. 3384 Marotta, 3380 La Russa, 3434 Gregorio Fontana e 3427 Gelmini. Prima di esaminare il contenuto della proposta di legge approvata dalla Commissione, è opportuno ricordare l'iter legislativo in Commissione. Il gruppo della Lega Nord ed Autonomie ha chiesto, in quota opposizione, l'inserimento nel calendario dei lavori dell'Assemblea della proposta di legge n. 2892 in materia di legittima difesa, ritenendo che, al fine di tutelare adeguatamente la vittima che reagisce all'offesa personale o patrimoniale, sia necessario modificare l'articolo 52 del codice penale attraverso l'introduzione di una nuova presunzione legale in materia di legittima difesa domiciliare, in aggiunta a quanto già previsto dal secondo comma introdotto dalla modifica legislativa del 2006. A seguito dell'inserimento della proposta di legge in quota opposizione nel calendario dei lavori dell'Assemblea, la Commissione giustizia quindi ne ha avviato l'esame in sede referente.
  Considerata la complessità della materia, la Commissione ha svolto un'indagine conoscitiva, nel cui ambito sono stati auditi magistrati, rappresentanti di associazioni della magistratura e dell'Avvocatura, nonché docenti universitari. In particolare, sono stati sentiti in ordine cronologico Fulvio Baldi, sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione, Alessio Lanzi, professore di diritto penale presso l'Università degli Studi di Milano Bicocca, Carlo Nordio, procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Venezia, i rappresentanti del Consiglio nazionale forense, dell'Associazione nazionale magistrati e dell'Unione delle Camere penali italiane, Tullio Padovani, professore di diritto penale presso la Scuola superiore Sant'Anna di Pisa, e Mauro Ronco, professore di diritto penale presso l'Università degli Studi di Padova.
   Al fine di poter disporre di tutti gli elementi necessari per verificare l'effettiva necessità di un nuovo intervento legislativo sull'istituto della legittima difesa, all'esito delle audizioni, era emersa l'esigenza di approfondire ulteriormente la giurisprudenza della Corte di Cassazione relativa all'istituto della legittima difesa, anche con riferimento all'eccesso colposo, l'articolo 55 del codice penale, e all'errore, articolo 59 del codice penale.
   La Commissione pertanto ha acquisito, dal primo presidente della Corte di Cassazione, Giovanni Canzio, una nota avente ad oggetto la giurisprudenza di legittimità in relazione all'articolo 52, con particolare riferimento al secondo comma, e agli articoli 55 e 59 del codice penale. Terminata la fase istruttoria, non si sono realizzate le condizioni politiche per adottare come testo base la proposta di legge in quota opposizione, ovvero per redigere un testo unificato, per cui, secondo quanto stabilito dalla lettera del Presidente della Camera del 10 gennaio 2000 sul regime delle proposte di legge in quota opposizione, si è proceduto, a seguito di espressa richiesta del gruppo di opposizione interessato, alla revoca degli abbinamenti effettuati e si è proseguito l'esame della sola proposta di legge in quota opposizione, alla quale non è stata pertanto abbinata la proposta di legge Faenzi n. 3424, nel frattempo assegnata alla Commissione, per quanto di identico contenuto. A seguito della revoca degli abbinamenti, il deputato Antonio Marotta, correlatore delle proposte di legge, insieme al deputato Nicola Molteni, Pag. 43rappresentate in Commissione del gruppo Lega Nord e Autonomie, ha rinunciato all'incarico di relatore.
   A seguito, a sua volta, della revoca degli abbinamenti, sono stati presentati gli emendamenti alla proposta di legge, A.C. 2892. Tra gli emendamenti presentati, è stato presentato anche un emendamento interamente sostitutivo dell'articolo unico, da parte del relatore Molteni, successivamente alla reiezione del proprio emendamento e all'approvazione di un emendamento interamente sostitutivo dell'articolo 1, presentato dal deputato sottoscritto, successivamente nominato relatore in sostituzione del deputato Molteni, che ha rinunciato all'incarico di relatore, non condividendo in alcun modo l'emendamento. A parere di quest'ultimo, cioè del deputato Molteni, l'emendamento stravolgerebbe la proposta di legge in quota opposizione, della quale è peraltro primo firmatario, senza migliorare la normativa vigente.
   In ragione di ciò, successivamente alla conclusione dell'esame in sede referente, i deputati firmatari della proposta di legge n. 2892 hanno ritirato la propria sottoscrizione.
   Dato conto dell'iter in Commissione, si passa ad illustrare il contenuto della proposta di legge approvata dalla Commissione giustizia.
   Sulla base di quanto emerso dall'audizione e dalla Nota trasmessa dal primo presidente della Corte di Cassazione, la maggioranza della Commissione ha ritenuto opportuno non modificare la disciplina normativa dell'istituto della legittima difesa, dettato dall'articolo 52 del codice penale, andando piuttosto ad incidere sulla disciplina dell'errore, di cui all'articolo 59, sia pure con riferimento esclusivo alla cosiddetta legittima difesa domiciliare, articolo 52, secondo comma. L'esigenza, da tutti condivisa, di garantire la massima tutela a colui che si trovi nella propria abitazione o attività commerciale trova già una risposta significativa nel secondo comma dell'articolo 52, introdotto dalla legge 13 febbraio 2006, n. 59. Si ricorda che, secondo tale comma, nei casi di violazione di domicilio, sussiste il rapporto di proporzione richiesto dal primo comma dell'articolo 52, se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi di cui all'articolo 614, cioè la violazione di domicilio, usa un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere a) la propria o l'altrui incolumità, b) i propri o altrui beni, quando non vi è desistenza o vi è pericolo d'aggressione. Considerare adeguata l'attuale disciplina dell'articolo 52 non sta a significare che non sia opportuno intervenire in via legislativa sulla materia della legittima difesa. La Commissione ha cercato di trovare una soluzione adeguata che tenga conto della sicurezza dei cittadini, senza scivolare nella cosiddetta giustizia fai da te.
  Al fine di garantire ulteriormente colui che si trova nella condizione descritta dal secondo comma dell'articolo 52, si è ritenuto di intervenire sulla disciplina dell'errore, al fine di estendere ulteriormente, rispetto a quanto previsto dalla normativa vigente, la sfera della non punibilità, includendovi il caso in cui l'errore commesso dalla vittima sulla situazione di pericolo o sui limiti stabiliti dalla normativa sulla legittima difesa sia stato determinato dall'aggressore.
   L'emendamento approvato dalla Commissione, che sostituisce l'articolo 1 della proposta di legge n. 2892, risponde proprio a tale esigenza; in particolare, viene aggiunto, all'articolo 59, un comma volto a precisare che, nei casi di cui all'articolo 52, secondo comma, la colpa dell'agente, cioè di colui che si difende, è sempre esclusa, se l'errore riferito alla situazione di pericolo è ai limiti imposti, è conseguenza di un grave turbamento psichico ed è causato volontariamente o colposamente dalla persona contro cui è diretto il fatto. La scelta di non modificare l'articolo 52 del codice penale è stata presa tenendo conto delle audizioni e della nota trasmessa dal primo presidente della Corte di Cassazione in merito alla giurisprudenza di legittimità sugli articoli 52, 55 e 59 del codice penale. Da quest'ultima, risulta chiaramente come, dall'applicazione giurisprudenziale, non risultino incoerenze o Pag. 44lacune nel dettato dell'articolo 52 del codice penale, tali da rendere necessario un intervento legislativo, piuttosto l'esigenza di una modifica legislativa si può avvertire in merito all'articolo 59 del codice penale.
   Nel corso della sua audizione, il professor Tullio Padovani ha evidenziato che «l'errore delle proposte di legge all'esame della Commissione consiste nel guardare alla legittima difesa come se l'ambito della tutela possibile si esaurisse nell'articolo 52, ma non è così, perché esiste l'eccesso dai limiti della difesa, esiste l'errore sulla difesa, esistono situazioni soggettive (rispettivamente l'articolo 55 e l'articolo 59, quarto comma), in funzione delle quali si può delineare un ambito di non punibilità ulteriore, ma su un piano di colpevolezza, non più della tutela oggettiva, dell'antigiuridicità».
  Il testo approvato dalla Commissione è volto ad individuare un piano di non punibilità ulteriore rispetto a quello determinato dall'articolo 52, senza andare ad incidere sulla formulazione di tale articolo.
   Riguardo alla stessa proposta di legge n. 2892, il professor Padovani ha affermato che «nella proposta di legge dell'onorevole Molteni, si afferma che “si presume che abbia agito per legittima difesa”. Questa affermazione significa che si presume tutto, perché qui si presume il pericolo, la costrizione, la necessità, si disciplina un atto che ha una valenza intenzionale: “respingere l'ingresso mediante effrazione”, disposizione che tra l'altro così non può andare, perché disciplina un caso di errore sull'esistenza di un pericolo attuale, errore che può essere macroscopico».
   La ratio della modifica dell'articolo 59, che è il testo della Commissione, consiste nel tutelare il privato che è posto nella necessità di risolvere una grave situazione, nella quale non si è trovato per sua scelta e nella quale lo Stato non è in grado di intervenire per difenderlo. Questa tutela consiste nel prevedere che la reazione debba essere valutata in rapporto alla concreta evoluzione della situazione, senza naturalmente che ciò possa poi trasformarsi nel «riconoscimento di un pretesto da giustiziare», come evidenziato dal professor Padovani.
   Prendendo spunto dalla legislazione tedesca, si esclude la colpa dell'agente che ha errato sulla situazione di pericolo e sui limiti imposti dalla legge, qualora l'errore sia conseguenza di un grave turbamento psichico, e sia stato causato volontariamente o colposamente dalla persona contro cui il fatto è diretto. La circostanza che comunque anche in questo caso sarebbe necessaria una valutazione del magistrato per verificare se vi sia stata concretamente l'induzione all'errore ed una situazione di grave turbamento psichico è stata fortemente criticata, in quanto l'obiettivo della riforma dovrebbe essere la formulazione, secondo gli originari presentatori, di una normativa che, attraverso presunzioni e una dettagliata ed oggettiva descrizione della fattispecie, eviti qualsiasi procedimento nei confronti di colui che reagisce nel rispetto della nuova normativa.
   Per quanto sia pienamente condivisibile l'esigenza di evitare alla vittima di un reato che si è difesa ulteriori pregiudizi morali ed economici, quali quelli che recano un procedimento giudiziario ed un eventuale processo penale, è opportuno precisare che non è possibile formulare la norma in materia tale da escludere l'intervento del giudice che verifichi che la condotta del soggetto che abbia agito per legittima difesa sia conforme a quanto previsto dalla legge. Questa valutazione di conformità sarebbe necessaria anche nel caso in cui si introducesse nell'ordinamento una disposizione del tenore di quella prevista dal testo originario della proposta di legge n. 2892. La ringrazio.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, onorevole Molteni.

  NICOLA MOLTENI, Relatore di minoranza. Presidente, grazie. Innanzitutto, mi lasci esprimere il profondo rammarico per l'assenza del Ministro della giustizia, Ministro che era presente – è presente il sottosegretario, va bene – poco fa, per il Pag. 45dibattito sulle modifiche sul processo civile. Crediamo che il tema della legittima difesa non sia un tema meno importante rispetto al processo civile. Ci saremmo aspettati che il Ministro, anche con la sua presenza, legittimasse l'importanza di questo tema, un tema importante, un tema fondamentale, un tema particolarmente sentito dalla cittadinanza e dai cittadini.
  Innanzitutto, mi lasci ricordare che, se oggi, in quest'Aula, parliamo di legittima difesa o di difesa legittima domiciliare, com’è il testo della nostra proposta di legge, è perché una forza politica ha voluto con ostinazione e con forza portare nel dibattito, prima in Commissione e poi in Aula, questo tema. Ripeto, un tema importante, un tema particolarmente sentito, un tema rispetto al quale i cittadini che ci stanno ascoltando in questo momento aspettano e, probabilmente, pretendono dalla politica risposte chiare, risposte inequivocabili, risposte che vanno nella direzione di garantire un bene sacro e primario per i cittadini qual è il bene della sicurezza.
  Noi, circa un anno fa, anche alla luce degli episodi di quotidiana vita che si sono sviluppati nel nostro Paese, abbiamo presentato una proposta di legge, una proposta di legge chiara, una proposta di legge che mira a garantire l'effettività della legittima difesa. Lo slogan «la difesa è sempre legittima» è per noi una parola d'ordine importante al fine di poter garantire sicurezza ai nostri cittadini. Abbiamo presentato questa proposta di legge, che è stata calendarizzata nel mese di novembre.
  Rispetto a questa proposta di legge, abbiamo acconsentito, come è giusto che fosse, ad un'attività istruttoria seria, audendo soggetti, i giuristi, legittimati ad apportare un contributo importante allo sviluppo di questo tema. La Lega ha chiesto che questa proposta di legge fosse in quota opposizione. La proposta di legge della Lega è poi stata, anche alla luce del dibattito in Commissione e dei suggerimenti e dei consigli che sono stati portati dagli esperti e dai tecnici di cui parlavo, migliorata, dal nostro punto di vista. Questa proposta è stata poi bocciata con un voto chiaro da parte della Commissione, anche con il parere di bocciatura da parte del Governo, e sostituita con un emendamento a firma del collega Ermini, che oggi è il testo che giunge in quest'Aula.
  Nel momento in cui la proposta di legge presentata dalla Lega non corrispondeva più, essendo stata bocciata, alle esigenze, agli obiettivi e alle finalità rispetto alle quali noi abbiamo presentato questa proposta di legge, il sottoscritto si è dimesso da relatore, il quale non può essere relatore di una legge, a nostro avviso, assolutamente inutile rispetto alle finalità che si dovrebbe prefiggere, ovvero quelle di garantire la certezza dell'applicazione della legittima difesa, e quindi oggi ci troviamo, come gruppo della Lega, ad essere relatori di minoranza rispetto al nostro testo, ad essere relatori e a difendere convintamente la nostra proposta di legge, a difendere convintamente le finalità e le motivazioni che ci hanno portato a presentare questa proposta di legge, avversando, pertanto, la proposta di legge presentata dal Partito Democratico a firma del collega Ermini.
  Proposta di legge che – sgombro subito il campo da equivoci – non migliorerà e non produrrà effetti positivi sull'applicazione di una legge che è l'articolo 52 del codice penale sull'istituto della legittima difesa. Ricordo che questo istituto è stato attraversato, dal 1983 ad oggi, da circa 2.500 sentenze giurisprudenziali. Quindi, oggi noi abbiamo una lettura dell'articolo 52, poi modificato, nel 2006, con la legge n. 59, soprattutto di natura giurisprudenziale, che sta determinando, anche alla luce dei casi di cronaca quotidiana e di cronaca giudiziaria che sistematicamente vengono riportati all'attenzione della quotidianità di ognuno di noi, casi di confusione, casi di cattiva o mala interpretazione, situazioni – cito alcuni esempi a modello e cito alcuni cittadini che sono incappati e che si sono trovati a doversi scontrare con l'istituto della legittima difesa – alquanto anomale e alquanto spiacevoli.Pag. 46
  Cito il caso di Antonio Monella, imprenditore bergamasco condannato a sei anni di carcere – pena in parte scontata e in parte graziata attraverso un provvedimento del Capo dello Stato – per aver difeso la sua famiglia e la sua abitazione dall'ingresso abusivo di alcuni criminali. Cito il caso emblematico, triste, a cui va ancora la nostra solidarietà e il nostro senso di vicinanza, di Ermes Mattielli, un cittadino, un pensionato italiano che, per aver difeso la sua attività economica, la sua povera attività economica, dall'ingresso abusivo di due delinquenti, è stato condannato a cinque anni e quattro mesi di carcere e a 130 mila euro di risarcimento danni, e i due criminali sono stati condannati – poi il reato è prescritto e di nuovo recidivi a commettere il reato – solo a quattro mesi per violazione di domicilio.
  Cito il caso del pensionato di Vaprio d'Adda, Sicignano, anch'esso oggi indagato per il reato di omicidio volontario, per aver difeso la sua incolumità, quella dei suoi figli, quella dei suoi familiari, dall'ingresso illegale e illecito di chi, probabilmente, non è entrato in casa sua per bere un caffè, ma per commettere un grave reato. Cito il caso del tabaccaio di Vicenza, e tanti altri potrebbero essere i casi di quotidiana verificazione che dimostrano come la legge sulla legittima difesa, a dieci anni di distanza dalla modifica del 2006, probabilmente meriti un tagliando.
  Perché abbiamo portato e perché abbiamo insistito e perché insistiamo affinché questa legge venga approvata ? Perché la criminalità del 2006, la criminalità di allora, è probabilmente mutata rispetto alla criminalità di oggi. Oggi noi abbiamo una recrudescenza grave sul fenomeno della sicurezza. Abbiamo i reati, in modo particolare alcuni reati e in modo particolare i reati predatori, furti, furti all'interno delle abitazioni, scippi, borseggi e rapine, che sono in netto aumento. La criminalità di oggi mostra dei caratteri di violenza e di crudeltà molto più violenti e molto più crudeli del passato.
  Siamo passati dai furti all'interno delle abitazioni vuote, dove l'aggressione era solo e esclusivamente al bene, ad una criminalità che, invece, porta un'aggressione continua e sistematica non solo sui beni, ma anche, in modo particolare, sulle persone. Spesso e volentieri, chi entra per commettere un reato di furto, che poi diventa rapina e poi, spesso e volentieri, sfocia nell'omicidio, lo fa in presenza di individui all'interno dell'abitazione; non solo per rubare o per sottrarre un bene, ma, spesso e volentieri, anche apportando fatti di violenza e di criminalità esattamente sulle persone.
  E, allora, noi riteniamo opportuno intervenire, nel momento in cui la responsabilità grave da parte dello Stato, per la responsabilità grave da parte di un Governo, rispetto ad alcuni fattori, il fattore dell'immigrazione, completamente fuori controllo, il fattore dell'investimento sulla sicurezza, si è disinvestito su un tema fondamentale come il tema della sicurezza, tant’è che oggi abbiamo le forze dell'ordine che protestano, c’è oggi un rappresentante sindacale delle forze dell'ordine, Tonelli, che è stato addirittura ricoverato dopo 45 giorni di sciopero della fame per denunciare le mancanze e le assenze di questo Governo nell'investimento sul tema della sicurezza; occorre denunciare che in questi quattro anni, in questo Parlamento, si è discusso solo ed esclusivamente di carceri, di sovraffollamento delle carceri e di tutela dei diritti dei detenuti.
  Cito, in modo particolare, i cinque provvedimenti «svuota carceri» che sono stati approvati e faccio mie le lamentele di alcuni sostituti procuratori che dicono: non possiamo più mettere in carcere i criminali per la norma approvata da questo Governo sulla carcerazione preventiva tale per cui il criminale viene fermato alla sera e rimesso in libertà al mattino, con spregio sia del cittadino che subisce il reato del furto sia nei confronti delle forze dell'ordine che tentano di garantire sicurezza, rischiando la propria vita. Noi oggi vediamo che l'allarme sicurezza, l'emergenza sicurezza, rappresenta sicuramente una priorità fondamentale per i nostri Pag. 47cittadini. I nostri cittadini vogliono e pretendono, giustamente, maggiore sicurezza da parte dello Stato.

  PRESIDENTE. Deve concludere.

  NICOLA MOLTENI, Relatore di minoranza. In questo contesto e in questi fattori – Presidente, ovviamente il dibattito meriterebbe molto di più che dieci minuti di tempo –, in questo contesto di grave allarme e sicurezza da parte dei cittadini, in questo contesto in cui noi riteniamo assolutamente ingiusto il fatto che un cittadino, nel momento in cui si difende da un reato, debba essere messo sotto processo, rispetto al fatto che noi ci chiediamo con quale diritto lo Stato italiano metta sotto processo un cittadino semplicemente per essersi difeso da un reato che lo Stato avrebbe dovuto prevenire e che non ha prevenuto, noi riteniamo opportuno riscrivere in modo chiaro, togliendo all'interpretazione soggettiva e alla discrezionalità di valutazione da parte del magistrato, il tipo di comportamento che un cittadino può e deve tenere all'interno della sua abitazione. Per difendere che cosa ? Per difendere il bene primario, il bene per eccellenza, quel bene che anche la Corte europea dei diritti dell'uomo, all'articolo 2, definisce un bene assoluto, che è il bene della vita, la difesa dell'incolumità, la difesa del domicilio sacro e inviolabile, come la Corte costituzionale (articolo 14) ci ricorda: per noi sono beni che vanno tutelati. Ed è questo l'indirizzo, lo scopo e la finalità verso cui tende la nostra proposta di legge, ancorandosi a dei principi oggettivi, mutuando un sistema, che è quello del codice penale francese, rispetto al quale il domicilio è sacro, il domicilio è inviolabile e bisogna dettare norme chiare, non lasciate alla valutazione e all'arbitrio soggettivo di valutazione, in modo particolare su quello che è il nodo principale.
  Io vorrei che si capisse che oggi il nodo principale – Presidente, concludo – sull'articolo 52 è la proporzionalità, il giudizio di valutazione sulla proporzionalità tra difesa e offesa. Noi vogliamo superare – lo facciamo con la nostra proposta di legge, attraverso una presunzione legale assoluta – questo aspetto, che è stato dimostrato essere un aspetto estremamente problematiche. Io credo che il discrimine, su questo tema, sia chi sta dalla parte dei cittadini onesti, che hanno il sacrosanto diritto di potersi difendere all'interno della propria abitazione e di poter difende la propria attività...

  PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole.

  NICOLA MOLTENI, Relatore di minoranza.. .. commerciale da chi entra abusivamente e illegalmente all'interno del proprio domicilio, e chi ha un atteggiamento di complicità, volontaria o involontaria, rispetto a chi fa della criminalità, a chi fa della delinquenza la propria attività principale. Noi, Presidente, staremo tutta la vita dalla parte dei cittadini onesti e perbene, che pretendono il sacrosanto diritto di difendere il proprio domicilio e l'incolumità al bene della vita proprio e dei propri cari.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza La Russa, che è assente. Pertanto s'intende che vi abbia rinunciato. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

  COSIMO MARIA FERRI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Grazie, Presidente. Intervengo ora, intanto per ringraziare la Commissione per il lavoro che è stato fatto. Ho ascoltato sia il relatore di maggioranza che quello di minoranza. Già in questa fase, voglio replicare e sottolineare come al Governo stia a cuore la sicurezza dei cittadini e come, tra i temi affrontati, il tema della legittima difesa sia un tema sentito. Anche il Governo ha seguito con grande attenzione i lavori in Commissione, prendendo una posizione di attesa, perché vuole capire dal dibattito parlamentare in che modo intervenire, partendo da una premessa che deve unirci, cioè che dobbiamo costruire una norma che giuridicamente tenga e che, quindi, Pag. 48recepisca anche le perplessità che sono emerse in Commissione giustizia. Anch'io ho partecipato e ho ascoltato le audizioni: esponenti dell'accademia e anche della magistratura, che sono stati citati prima anche dall'onorevole Ermini, hanno manifestato delle perplessità giuridiche. Quindi, quando noi dobbiamo costruire una norma e dobbiamo inserirci nel codice penale e l'oggetto dell'intervento è tutto il sistema, non solo vi sono delle scriminanti, perché ci sono delle regole generali che riguardano le scriminanti e, in particolare, in questo caso, l'articolo 52 del codice penale.
  Devo dire che la proposta dell'onorevole Ermini tiene conto di queste perplessità, che sono emerse nel dibattito in Commissione, che non sono, però, – mi si permetta di dirlo in questa sede – delle perplessità politiche o delle perplessità che dividono, ma si tratta di un tecnicismo che è necessario per seguire quello che ha detto la giurisprudenza di legittimità e quello che hanno detto autorevoli esponenti sia della magistratura che del mondo dell'accademia. Questo è il punto e il punto è stato sottolineato – è stato citato prima dal relatore di maggioranza – anche dal professor Padovani, che ha indicato una linea da seguire dal punto di vista tecnico.
  Ciò non vuol dire non tener conto di tutto quello che avviene, che leggiamo e che davvero ci deve far pensare e ci deve stimolare sempre di più a garantire la sicurezza dei cittadini. Tant’è che mi auguro che tutte le forze politiche possano approvare il provvedimento che è in discussione al Senato, che è già stato licenziato da questo ramo del Parlamento, che riguarda il processo penale, nel quale sono previste delle norme che inaspriscono anche le pene per quanto riguarda le rapine e i furti in abitazione. Pene più severe: questa è la linea del Governo per questo tipo di reati, che sono di grave allarme sociale e che incidono nella vita quotidiana di tutti i cittadini e su quali è giusto prestare la massima attenzione.
  Dobbiamo, però, fare attenzione che non si stravolgano i presupposti dell'istituto della legittima difesa e, quindi, la prassi giurisprudenziale che prima citavo. Penso alla sentenza della Cassazione n. 691 del 2014, che ha avuto modo di ribadire che occorre sempre valutare il rango costituzionale dell'interesse leso rispetto a quello difeso e che il requisito, presunto dalla legge, della proporzione tra offesa e difesa viene meno nel caso di conflitto tra beni eterogenei, quando il danno inflitto all'offensore, la morte, abbia una rilevanza di gran lunga superiore al danno minacciato. La stessa Corte, a proposito della riforma del 2006, ha ribadito che non ogni pericolo che si concretizza nell'ambito del domicilio giustifica la reazione difensiva. A ciò si aggiunga che la reazione deve essere l'unica scelta possibile, pertanto non è tutelabile chi può sottrarsi al pericolo allontanandosi senza pregiudizio e disonore. Così recita la sentenza della Cassazione numero 18926 del 2013.
  Quindi, va aggiornata la disciplina della tutela domiciliare. E su questa c’è grande attenzione. Infatti, il Governo, tra l'altro, non ha preso posizione, per esempio, riguardo all'emendamento soppressivo, che era stato presentato in Commissione, che diceva (era una delle tesi che può avere anche una valenza giuridica): non facciamo niente, lasciamo così com’è l'articolo 52, perché già c’è stata la riforma del 2006, che aveva fatto un passo in avanti sulla presunzione assoluta dentro il domicilio. Quindi, c'era anche questo orientamento in Commissione. Il Governo, invece, proprio perché ritiene che sia giusto riflettere, andare avanti e che il Parlamento discuta su questo tema, non ha dato la propria adesione a un emendamento soppressivo che poteva, comunque, giustificare, dal punto di vista tecnico, di fermare tutto e non proseguire nel dibattito, se fosse passato quell'emendamento, che sopprimeva la proposta inizialmente formalizzata dall'onorevole Molteni.
  Quindi, secondo il Governo, va aggiornata la disciplina della tutela domiciliare, ma occorre farlo senza fuoriuscire dai confini, ben definiti dal legislatore e dalla giurisprudenza, della legittima difesa domiciliare, Pag. 49di cui all'articolo 59, comma 2, del codice penale. Questa è l'impostazione, che può essere chiaramente anche migliorata, quindi il dibattito con l'onorevole Ermini la può arricchire, sulla quale, secondo noi, è opportuno lavorare e dalla quale è opportuno partire. Quindi, non è necessario stravolgere i presupposti dell'istituto per adeguarlo alle nuove esigenze di tutela che si intendono soddisfare.
  La prassi applicativa ci ha dimostrato che bisogna intervenire a tutela della vittima – è questo l'altro punto che, secondo me, dobbiamo affrontare in quest'Aula –, che versa in uno stato di turbamento, di concitazione, di paura o di panico e si trova, per questo, impedita di reagire nel rispetto dei limiti imposti dalla legge. Penso che questo sia il tema di discussione e il punto. Può essere un punto di incontro per chi vuole davvero contribuire a rafforzare e garantire la sicurezza dei cittadini, senza stravolgere un istituto che è ben consolidato e che bene ha superato il vaglio giurisprudenziale. Quindi, penso che la linea da seguire nel dibattito sia questa.
  In questi termini il Governo seguirà con attenzione, e porterà laddove possibile un proprio contributo. E intendo ribadire che un altro punto che dobbiamo evidenziare è che il nostro codice esclude la punibilità della vittima incolpevolmente incorsa in eccesso dei limiti (pensiamo all'articolo 55 del codice penale), ovvero in errore sui presupposti (articolo 59, comma 4) della legittima difesa.
  In questo senso può essere quindi opportuno ampliare la tutela, sempre dal versante soggettivo, della vittima: per quello prima rimarcavo e sottolineavo come si possa lavorare per tutelare la vittima che versi in uno stato di turbamento e di concitazione, o paura o panico, come può essere quella vittima che si vede una persona entrare nel proprio domicilio; e quindi ampliare la tutela sempre dal versante soggettivo della vittima: questo vuol dire garantire sicurezza e garantire la vittima, e non incorrere in errori giuridici, andando oltre la colpa tradizionale come limite, la non punibilità, atteso che risulta difficile parlare di imprudenza, negligenza o imperizia rispetto a reazioni dominate dall'impellenza o dalla imprevedibilità. La nuova protezione in caso va quindi così riconosciuta anche a favore di chi subisce una violazione di domicilio e si è falsamente rappresentato la situazione di pericolo e la ricorrenza dei limiti imposti, non per propria colpa, ma come conseguenza di un grave turbamento psichico causato dall'aggressore. Quindi per noi l'unica spia e l'unico punto che si può chiarire, qualora si decida di intervenire per riconoscere una protezione anche a favore di chi subisce una violazione di domicilio, o si è falsamente rappresentato la situazione di pericolo, è la ricorrenza dei limiti imposti non per propria colpa, ma come conseguenza di un grave turbamento psichico causato dall'aggressore. Quindi non sconvolgiamo la ratio della legittima difesa, restiamo nella cornice applicativa della legittima difesa domiciliare, ma cerchiamo di lavorare tutti insieme per una tutela giusta, in sintonia con i principi dell'ordinamento, a favore della vittima che incolpevolmente è stata posta dall'aggressore in uno stato di alterata percezione della realtà e abbia difeso il proprio domicilio.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Anna Rossomando. Ne ha facoltà.

  ANNA ROSSOMANDO. Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, la domanda da cui partiamo, e da cui son partiti anche altri colleghi, è: può il cittadino difendersi da una aggressione ingiusta ? La domanda ovviamente non è retorica, e la risposta è: assolutamente sì, e l'attenzione alle vittime è un'attenzione massima; però diciamo innanzitutto come stanno le cose, nel senso che non soltanto è ovvio che può difendersi, deve difendersi, ma il nostro ordinamento riconosce con una norma molto chiara, che segna dei principi molto chiari, come e perché si può difendere, in base a quali principi, che è bene ricordare per capire su che cosa eventualmente dobbiamo operare.
  Ricordiamoci allora che il fondamento dell'articolo 52 è quello che l'ordinamento Pag. 50riconosce l'autotutela dell'aggredito, cioè riconosce la facoltà dell'aggredito di autotutelarsi; e riconosce anche, con la legittima difesa, che l'atto di legittima difesa è una sorta anche di atto di difesa sociale, perché rappresenta una difesa indiretta dell'ordinamento e rappresenta molto chiaro il principio che l'illecito non può e non deve prevalere: chi si batte contro l'illecito tutela lo stesso ordinamento.
  È bene precisare – e non è un tecnicismo – che questo è uno dei punti che riguarda la risposta alla domanda «può il cittadino difendersi ?», perché l'articolo 52, stabilendo una scriminante, stabilisce una questione oggettiva: a questo punto scrimina rispetto al reato, ed è una prima risposta che contiene poi dei limiti e un bilanciamento che sono quelli noti, cioè che ci deve essere una proporzione non tra i beni, attenzione, ma tra l'offesa e la difesa che viene impiegata.
  Su questa norma, com’è noto, è intervenuta una modifica, una riforma, con il secondo e il terzo comma, che ha voluto prendere in considerazione l'evoluzione della cronaca che ha citato il collega: la situazione di chi viene aggredito nel domicilio, soprattutto – ma ci tornerò tra poco – la situazione, difficile poi da decifrare nei momenti in cui bisogna prendere una decisione e giudicare i fatti, in cui vi è una commistione, una contemporaneità dell'aggressione del domicilio, sicuramente luogo non neutro e non indifferente per quello che rappresenta, o di un luogo adibito al lavoro, che chiamiamo luogo commerciale, e l'aggressione anche dell'incolumità personale. In questo caso si stabilisce allora una presunzione del rapporto di proporzionalità, che non è ovviamente anche in questo caso illimitata, perché comunque deve essere minacciata in ogni caso l'incolumità e deve essere comunque sussistente l'attualità del pericolo.
  In seguito tornerò anche su questo; però è importante dire – l'ha già detto il relatore sulla proposta di legge cosiddetta Ermini, però lo voglio ricordare – che con questo articolo noi non esauriamo la possibilità e le risposte alla domanda «può il cittadino difendersi». Infatti vi è un intervento dell'ordinamento, sotto il profilo soggettivo che tutela il cittadino che può difendersi: all'articolo 59, comma 4, è previsto che se vi è un errore sull'esistenza della scriminante non vi è la punibilità; e se c’è un eccesso – quindi una questione di valutazione, cosa che non sfugge a nessuno, e tantomeno è sfuggito al legislatore attento (qualcuno l'ha definita una norma che sotto molti profili è un capolavoro nella sua formulazione) si applica l'articolo 55. Il legislatore attento ha preso in considerazione che quando si verificano questi fatti essi non si verificano in laboratorio, bensì in pochi istanti, e l'elemento della concitazione e della percezione è un elemento non indifferente: ha quindi previsto anche l'eccesso sulla scriminante, quindi una questione di valutazione sull'esistenza della scriminante, che esclude la punibilità – sempre purché il reato sia esente da colpa, perché in questo caso, se è previsto il reato a titolo di colpa, questo è punito a titolo colposo.
  E qui, se vogliamo stare (per realismo bisogna anche stare alle obiezioni di chi non la pensa come noi e, per certi versi, con chi in questo momento sta parlando) alla questione che viene proposta e quindi se dobbiamo stiamo stare ai fatti di cronaca, certamente il punto più delicato su cui c’è stata richiesta una riflessione è esattamente questo. Dobbiamo però stare a questo ma dobbiamo dire un'altra cosa sui fatti di cronaca. Non voglio essere liquidatoria su come si affrontano i fatti di cronaca: quando si parla di sicurezza dei cittadini può esserci la tentazione non balzana di dire «non si possono inseguire i fatti di cronaca», e condivido questa osservazione; peraltro, guardando anche un po’ a quella che è considerata la «letteratura» dei tempi moderni, cioè quanto appare sui media, ho scorso un po’ la rassegna stampa e ho visto che alcuni giornali non noti per essere assimilati alla Pravda, come Panorama o il Giornale, censurano duramente l'uso che viene portato avanti dei fatti di cronaca.
  Però, se vogliamo partire da questi fatti di cronaca, noi poi dobbiamo andare anche Pag. 51a vedere qual è lo sviluppo e l'esito di questi fatti, perché è evidente che sono questioni che vanno nella loro concretezza inquadrate in uno schema per poter discernere tra quello che potrebbe essere un fatto assolutamente avulso dalla tutela della vittima che si difende, ma potrebbe anche essere un qualche cos'altro. Dunque, è chiaro che questi fatti devono essere sottoposti all'attenzione dell'autorità giudiziaria. Se poi si va a vedere come questi casi si concludono, si vede che nella maggior parte dei casi – e non ultimo il caso di quel benzinaio che, appunto, è stato tirato per la giacca moltissimo quando è stato protagonista di un fatto sicuramente drammatico – pare che sia stata chiesta l'archiviazione dalla procura dalla Repubblica, tra l'altro in una fase molto iniziale dell'iter processuale.
  Si dirà in maniera demagogica: «Ma non bisogna neanche essere presi in considerazione dall'autorità giudiziaria». Allora, se il fatto non è così eclatante e sussiste un dubbio, è evidente che anche a tutela dell'interessato inizia un procedimento con tutte le garanzie del diritto di difesa e ci sono molte sentenze che noi abbiamo esaminato, per poter approfondire la questione in Commissione, percorrendo i fatti e la ricostruzione dei fatti. Sono sentenze in cui la Cassazione – o in ultimo la giurisprudenza di merito – ha assolto colui che in una prima fase poteva essere giudicato colpevole o colposamente, quindi per un reato minore, o dolosamente. Quindi, la cronaca va esaminata in questo caso.
  Aggiungo come ultima possibilità, che completa sempre il quadro normativo con riferimento alla legittima difesa, che vale per tutti: ma se pensiamo a come si può configurare e a come si può in fatto rappresentare la concitazione di quei momenti, dobbiamo pensare che ai sensi del secondo comma dell'articolo 530 del codice di procedura penale se sussiste il dubbio – il dubbio ! – sull'esistenza della scriminante e, quindi, si presenta il problema della prova comunque ciò non può che sfociare in una sentenza di assoluzione. Mi verrebbe facile dire che avere una cultura garantista è un qualcosa che serve a tutto campo. Quindi, ci stiamo in pieno su questo, perché l'ordinamento tutela una molteplicità di situazioni.
  Allora, quello che noi abbiamo capito, avendo presente questa situazione ed evidentemente sempre non sottovalutando i recenti fatti di cronaca, è che il punto, se partiamo dai casi concreti, è il seguente: come può essere tutelata meglio la vittima, nella concitazione di questi momenti, per poter meglio dare la giusta risposta che l'ordinamento già prevede nei suoi principi quando, appunto, vi sono certe situazioni. E, allora, si è visto che se vogliamo intervenire bene, cioè con una buona tecnica legislativa, è proprio su questo punto che bisogna intervenire. Ed ecco che se, come dire, siamo d'accordo per lo meno sul metodo, allora si può ben comprendere la fondatezza e l'appropriatezza della proposta del collega Ermini, che sicuramente trae anche spunti di riflessione, come tutti ne abbiamo tratto, da proposte di legge di cui, magari, non poteva essere condiviso l'impianto, ma che certamente hanno dato un contributo all'approfondimento, che è stato molto proficuo in Commissione con l'audizione di esperti e di giuristi a vario titolo.
  Allora, appropriatamente e tra l'altro senza neanche inventarsi cose incredibili – infatti qualcuno ha citato l'ordinamento francese ma in questo caso ci si ispira all'ordinamento tedesco che, tra l'altro, come concetti spesso è molto più vicino a noi per impostazione giuridica – viene meglio precisata soprattutto questa situazione della vittima, dicendo che se l'errore riferito alla situazione di pericolo ed ai limiti imposti è conseguenza di un grave turbamento psichico e se l'errore è causato, volontariamente o colposamente, dalla persona contro cui è diretto il fatto, in questi casi è sempre – sempre ! – esclusa la colpa dell'agente.
  Allora, se questi sono i fatti, intanto positivamente e con un atteggiamento positivista e richiamandomi a una corrente di pensiero – e sono stata confermata dall'intervento del collega della Lega Nord che mi ha preceduto –, penso che neanche Pag. 52la Lega Nord voglia stabilire la pena di morte per un furto semplice o voglia stabilire normativamente che il cittadino non già abbia diritto, come l'ordinamento prevede, alla legittima difesa, ma abbia il diritto di giustiziare sul luogo l'autore di un reato o di qualsivoglia illecito. Non lo credo e sarebbe bello, diciamo così, anche che non si credesse che, dall'altra parte, si vogliono liberare i delinquenti. È evidente che ci sono degli approcci diversi. Allora, allo stesso tempo è accolta con un certo senso di sollievo l'affermazione del collega della Lega Nord – il collega Molteni – quando dice che quello che si vuole difendere, partendo anche dall'evoluzione dei fatti di cronaca e, cioè, da un'assunta recrudescenza dei furti in abitazione con violenza, è il bene della vita di chi sta dentro la sua abitazione o dentro il suo negozio.
  Allora, se questo è il punto, credo che stiamo agendo, diciamo così, in una giusta direzione, perché viceversa attribuendo sicuramente la buona fede e non un intento diverso o particolare – ho 30 secondi e concludo solo il pensiero; grazie, Presidente –, si arriverebbe invece, con quelle formulazioni proposte, che noi non abbiamo accettato, ad una norma che va esattamente in una direzione diversa dall'intento che viene dichiarato.
  Se veramente – come non ho motivo di credere che non sia – l'obiettivo è difendere la vita di chi nel proprio domicilio viene minacciato – contemporaneamente il bene e, in un qualche modo, l'incolumità personale – ecco che noi abbiamo già una serie di elementi presenti e intervenendo su di essi si rischia di peggiorare la normativa e di renderla più farraginosa; facciamo benissimo, quindi, a intervenire esattamente su quella zona di incertezza e di confine che ha destato certamente qualche perplessità e qualche timore.
  Quindi, piena difesa delle vittime con mezzi appropriati, sapendo che certamente questo non è il mezzo unico ed esaustivo. Sappiamo, inoltre, che occorrono più risorse e non ci stancheremo mai di dirlo e di impegnarci su questo a favore delle forze dell'ordine, anche se credo che nella legge di stabilità abbiamo dato buona prova su questo punto, ma non altrettanto si può dire di chi ci ha preceduto nella scorsa legislatura (ma su questo non voglio polemizzare). Sappiamo, infine, che l'intervento è molto più ampio e su questo abbiamo bene operato con la tutela delle vittime, recependo le direttive europee e sapendo anche che non occupandosi del problema in modo appropriato, ma agitandolo, si rischia di creare più mancanze, più ferite e più vuoti legislativi – vedi argomento immigrati e gestione dei flussi in Europa – che alla lunga, ma forse anche alla breve, nuocciono proprio alla sicurezza dei cittadini.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Gregorio Fontana. Ne ha facoltà.

  GREGORIO FONTANA. Grazie, Presidente. La proposta di cui si discute oggi in Aula è il risultato – e sono assolutamente d'accordo con il collega Molteni – dello stravolgimento della proposta iniziale, appunto avanzata dal collega Molteni. Nell'originaria formulazione del progetto di legge, che tra l'altro aveva visto la presentazione di alcuni progetti di legge in cui come primo firmatario vi erano dei deputati di Forza Italia – la collega Gelmini, ad esempio –, era stata prospettata una revisione dell'articolo 52 del codice penale attraverso l'aggiunta di un comma nel quale la reazione all'aggressione alla proprietà privata, compiuta con intenti chiaramente ostili, era inequivocabilmente definita come legittima difesa.
  La proposta che stiamo discutendo oggi ha un'impostazione completamente diversa e decisamente discutibile e per certi aspetti totalmente inutile, se non controproducente. Essa interviene sull'articolo 59 del codice penale, che riguarda le circostanze non conosciute o erroneamente supposte. Secondo la proposta licenziata dalla Commissione competente, viene, dunque, aggiunto all'articolo 59 del codice penale un nuovo comma che ha illustrato, nella sua relazione, il relatore Ermini. Nell'esprimere il parere, la I Commissione affari costituzionali chiede di chiarire il Pag. 53riferimento ai limiti imposti, alla luce dei principi costituzionali di tassativa determinatezza della fattispecie. Il rilievo della I Commissione è assolutamente fondato, ma esso dimostra solo la punta dell’iceberg del problema. L'intera formulazione che arriva in Aula risulta pericolosamente ambigua. Tra i principi fondamentali del nostro ordinamento in materia penale c’è, infatti, quello della tassativa determinatezza della fattispecie. La certezza del diritto, cioè, viene assicurata dalla totale riserva di legge in materia penale. In tale materia non ci può essere alcuna forma di intervento interpretativo da parte del giudice. La norma deve essere chiara, interpretabile in maniera unica. Diversamente, il giudice verrebbe quasi invitato a intervenire con la propria interpretazione, il che andrebbe a ledere il principio della separazione dei poteri. Inoltre, se la norma penale è ambigua, il cittadino non è nelle condizioni di valutare le conseguenze della propria condotta e agire, dunque, in forza del principio di autodeterminazione. Su questi punti dottrina e giurisprudenza sono unanimi. Del resto, a ben vedere si tratta di principi di comune buonsenso liberale. La proposta di cui si discute mi pare collocarsi decisamente al di fuori della logica liberale e garantista con cui è costruito il nostro sistema penale. Cos’è, mi chiedo, un grave turbamento psichico ? Come si fa ad accertarlo ? E come può il cittadino che vede violata la sua privacy, l'incolumità propria e dei propri cari, valutare se e fino a che punto il turbamento psichico subito dall'aggressore lo salvi dall'essere condannato al carcere perché ha reagito all'aggressione violenta ? Come si fa a stabilire con certezza un nesso causale tra condotta dell'aggressore, anche involontaria, e la reazione dell'aggredito ? Mi permetta di fare un esempio, proprio perché in questa fase di discussione generale è opportuno approfondire la questione. Un padre di famiglia si trova ad affrontare al buio un aggressore in casa che, a prima vista, sembrerebbe avere in mano un'arma da fuoco. Che accade se l'uomo reagisce per difendere se stesso e i suoi cari e poi si scopre che l'aggressore aveva in mano solo un oggetto contundente ? Come fa l'aggredito a prevedere le conseguenze del proprio comportamento ? Il dilemma di fronte al quale si trova è drammatico: accettare che lui stesso o i suoi familiari vengano colpiti o, viceversa, accettare il rischio di finire in carcere per avere reagito all'aggressione. Di fatto si lascia il cittadino in balia dei giudici. Se non ha la fortuna di capitare nelle mani di uno dei tanti, dei tantissimi giudici ragionevoli che lavorano nei tribunali italiani, rischia di andare in carcere solo perché ha cercato di difendere la propria famiglia, se stesso, la propria casa o la propria attività commerciale. Ancora una volta dobbiamo constatare, purtroppo, che la sinistra non riesce a liberarsi dei vecchi pregiudizi ideologici e continua a reagire nervosamente ad ogni iniziativa volta a difendere i cittadini dalla criminalità. Sulla proposta del collega Molteni era possibile arrivare a un testo unificato che tenesse conto delle varie ipotesi formulate in materia, ma ora, come dicevo, in Aula arriva una proposta completamente snaturata rispetto al progetto iniziale. Ritengo, dunque, che sia stata persa un'occasione importante per un confronto sereno e costruttivo su un tema tanto delicato come la revisione del diritto di autodifesa dei cittadini nel loro domicilio e nel luogo dove conducono abitualmente le loro attività. Non si tratta di un diritto qualsiasi.
  Lo stretto nesso tra diritto alla sicurezza e difesa della proprietà privata caratterizza fin dalle origini lo sviluppo del costituzionalismo europeo e americano. Eppure, è uno dei diritti ai quali in Italia si presta meno attenzione. Non passa giorno che non si apprenda dai media di case e negozi violati con arroganza e violenza da criminali di ogni nazionalità, di ogni età, tanto nelle metropoli, in periferia, al nord, quanto al sud. Per troppo tempo in Italia questi fenomeni sono stati rubricati nell'ambito della cosiddetta criminalità comune o addirittura minore. Nessuno di noi credo si sognerebbe mai di mettere in discussione l'importanza della lotta alla criminalità organizzata, sia di Pag. 54tipo terroristico, che di tipo mafioso. Le energie spese su questo fronte sono sempre energie ben spese. Ma noi dobbiamo anche renderci conto che la maggior parte della popolazione ha a che fare con la criminalità cosiddetta comune, che rappresenta una delle principali fonti di ansia e di insicurezza per tanti nostri concittadini. Il diritto di difendere se stessi, i propri cari e i propri spazi di vita e di lavoro da violenze e aggressioni non è un valore, né di destra, né di sinistra. Già all'inizio degli anni Duemila, autorevoli giuristi si espressero a favore di una riforma della legittima difesa che fosse più garantista nei confronti di chi difende se stesso, i propri cari, la propria proprietà. Ricordiamo, tra questi, il procuratore Nordio, già presidente della commissione incaricata di riformare il codice penale, che così si espresse in un'intervista pubblicata su Il Corriere della Sera già nel 2002: «Un codice di impronta liberale dovrebbe garantire la libertà all'individuo di difendersi, anche quando non è presente la forza pubblica, avvalendosi del suo diritto naturale». Dobbiamo, però, constatare come, a dispetto dei molti tentativi di riforma della legittima difesa succedutisi in questi anni, il diritto naturale di cui parlava Nordio non ha ancora trovato un'adeguata protezione nel nostro ordinamento. Troppi nostri concittadini continuano ad affrontare lunghe e umilianti vicende processuali nella posizione di imputati solo perché hanno reagito a un'ingiusta aggressione verso se stessi, i propri cari, i propri beni. Certo, da noi non esiste, per fortuna, la cultura dello sparo facile come negli Stati Uniti. Nessuno di noi dubita del fatto che la legittima difesa non possa mai costituire una giustificazione per violare con leggerezza il principio della sacralità della vita. Ma se negli Stati Uniti forse si eccede in un senso, da noi si continua a eccedere nel senso opposto. La disciplina del diritto alla legittima difesa continua ad avere un carattere punitivo nei confronti del cittadino aggredito e la riformulazione imposta dalla maggioranza della proposta iniziale di riforma non fa che rendere ancora più ambiguo e pericoloso questo quadro.
  Per questo, il gruppo di Forza Italia ha presentato a propria volta sul tema proposte di legge in tema di legittima difesa. Continueremo, pertanto, a batterci con convinzione in Aula nei prossimi giorni e in ogni altra sede politica per una revisione della legittima difesa che dia maggiore garanzia ai cittadini, sempre più esposti, sia nelle grandi città, che nei piccoli centri, ad atti criminosi che ormai non sono più semplici furti, ma vere e proprie rapine accompagnate da gravi atti di violenza che attentano, non solo alla proprietà privata, ma all'incolumità e persino alla vita delle persone. Per noi di Forza Italia il diritto alla sicurezza resta la stella polare del nostro programma politico perché da liberali siamo convinti che senza sicurezza non può esserci libertà (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Daniele Farina. Ne ha facoltà.

  DANIELE FARINA. Grazie Presidente. Il presente testo è un'avventurosa legittima difesa, come si saranno accorti i coraggiosi che ci stanno probabilmente seguendo, pochi immagino, in linea con la disattenzione che questa Camera dei deputati sembra riservare al provvedimento in oggetto.
  Questo testo è un'avventurosa legittima difesa, che, nella originale formulazione della Lega, si voleva con un totale annichilimento di ogni criterio di proporzionalità tra l'offesa e la difesa. Quindi non solo la legittima difesa domiciliare, come nel 2006, stessi protagonisti e stessi proponenti, che già parificava l'incolumità delle persone e la tutela dei beni materiali ma si voleva una vera e propria scriminante di luogo, ovvero luoghi ove tutto diventava lecito, dunque la dimora privata, ma anche il luogo di lavoro e anche le pertinenze, cioè, in sostanza, un'ampia zona franca dove la difesa legittima diventava incondizionato diritto al fuoco.Pag. 55
   Poi è venuto – ed ecco che l'avventura è continuata – il blitz della maggioranza che, con pratiche abbastanza singolari, ha cambiato radicalmente in corso d'opera, in finale di lavoro di Commissione, il testo, con un emendamento sostitutivo: ci stiamo abituando anche a queste – chiamiamole eufemisticamente – irritualità. Ma anche il testo che arriva oggi al nostro esame si sviluppa sempre lungo l'idea che l'attuale normativa vada comunque modificata in senso espansivo, eppure di questa modifica, tanto più in senso espansivo, nessuno ha testimoniato sentirne il bisogno: non i magistrati, non gli avvocati, non i docenti auditi in Commissione giustizia.
   Siamo ancora di fronte, lungo quella strada che citavo, ad un cedimento politico-culturale volto al consenso, piuttosto che alla sicurezza dei cittadini, che si invoca e si vorrebbe migliorare. Il principio che resta e stride è che la vita vale meno dei beni materiali che si vogliono appunto tutelare. Una strada purtroppo ben tracciata da tempo verso quello che chiamiamo il Far West, un ulteriore ampliamento della sfera di circostanze nelle quali il cittadino si sostituisce, e addirittura oltrepassa lo Stato, nell'esercizio della repressione del crimine. Oggi, che è la vigilia dell'8 marzo – abbiamo ricordato in quest'Aula poche ore fa il settantesimo anniversario del voto alle donne –, le nostre bandiere sono a mezz'asta per ricordare la quantità di donne che muoiono in circostanze violente entro le mura domestiche, spesso a opera di propri familiari, di persone con cui hanno relazioni: lì centinaia e centinaia di casi, qui alcune decine. Forse, avremmo fatto meglio, nel caso della legittima difesa, a provare a raccogliere un po’ di più le idee su quel primo problema, a provare a vedere se proprio questa Camera dei deputati o questo Parlamento della Repubblica ha proprio fatto tutto in quella direzione. Poteva essere una vigilia dell'8 marzo forse anche più seguita di quanto va accadendo in ordine a questo provvedimento. Questa discussione, questa, diciamo, espansione dei limiti della difesa legittima vorremmo farla proprio mentre è vivissima la discussione in molti Paesi, a partire proprio dagli Stati Uniti d'America, che venivano citati nell'intervento che mi precedeva, dove, per ragioni storiche e culturali, la via delle armi e l'autotutela attraverso di esse è maggiormente diffusa; pure lì è vivissimo un dibattito che attraversa la politica, attraversa il Paese, proprio di fronte a fatti di cronaca di estrema efferatezza e di grande frequenza, purtroppo quasi quotidiana, come anche noi per eco leggiamo.
   È interessante prendere questi esempi perché ci aiutano a capire perché parliamo di via del Far West.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SIMONE BALDELLI (ore 17,55)

  DANIELE FARINA. Io citavo già in Commissione – e sono numeri e statistiche – che in quel Paese, che tutti guardiamo come un luogo diciamo apripista, spesso, e difensore delle libertà, sia individuali che collettive, dal 2005 al 2014, sono morte 310 mila persone, cittadini americani, per armi da fuoco. Certo, ci sta l'uso legale delle armi da fuoco, ci stanno i suicidi, ma 310 mila morti sono veramente tanti, tra il 2005 e il 2014. Se estendiamo il nostro sguardo sulla via dell'errore, che il Parlamento, anche qui, di volta in volta, nel 2006 prima, e ancora adesso oggi, vorrebbe percorrere, sempre in quel Paese, dal 1970 ad oggi, sono 1,45 milioni i cittadini americani morti per le conseguenze dell'uso delle armi da fuoco.
   Se noi pensiamo che i cittadini americani morti nelle guerre combattute dagli Stati Uniti sono meno (1,4 milioni), abbiamo la dimensione del problema e della strada sbagliata che va ripensata per chi anche l'ha imboccata, pur, dicevo, in culture totalmente diverse. Sono morti, voglio dire, che fanno una certa impressione e che rendono ragione del perché quel dibattito si è sviluppato. Mi si obietta, quando si usano queste argomentazioni – la sinistra buonista, va bene, ma qui di buono non c’è nessuno, come sapete –, nello specifico che noi modifichiamo le Pag. 56norme sulla legittima difesa, ma non stiamo modificando la legislazione sulle armi, però. Come vi dicevo, quei dati, che peraltro conoscete, mostrano che c’è anche un'evidenza empirica e l'evidenza empirica insegna che stiamo sempre parlando di quei Paesi, che hanno ampia letteratura in materia: dove si amplia lo spazio giuridico di utilizzo – e noi stiamo facendo questo – cresce la domanda di licenze, dove servono – perché dove non servono, non c’è neanche bisogno di quello – per il possesso delle armi da fuoco. Allora, siccome questa è un'evidenza empirica incontrovertibile, noi stiamo facendo esattamente questo.
  E poi ci sarebbe un altro ragionamento, se è vera questa relazione – e vado a concludere su questo –, che diciamo può essere lasciato ai retropensieri o meglio ai cattivi pensieri, perché l'Italia è il secondo produttore al mondo di armi leggere; se esiste quella relazione tra diffusione delle armi e spazio giuridico di utilizzo, mi viene da pensare che forse non è soltanto la sicurezza dei cittadini che ha in testa chi avanza queste proposte, ma che forse ci sono anche altri motivi – e i cittadini italiani farebbero bene diciamo a pensarlo – che comunque possono essere un elemento di interesse, perché parliamo del secondo produttore al mondo di armi leggere, e quindi direi di qualche cosa che esula dallo spazio squisitamente giuridico, ma ha anche a che vedere con elementi importanti di carattere economico, che forse alla nostra riflessione proprio fuori luogo non sono.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 2892-A)

  PRESIDENTE. Prendo atto che i relatori e il Governo si riservano di intervenire nel prosieguo del dibattito.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della relazione sulla contraffazione nel settore tessile: il caso del distretto produttivo di Prato, approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo (Doc. XXII-bis, n. 2) (ore 18).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della relazione sulla contraffazione nel settore tessile: il caso del distretto produttivo di Prato, approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo (Doc. XXII-bis, n. 2).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
  Avverto, altresì, che le eventuali risoluzioni devono essere presentate entro il termine della discussione.

(Discussione – Doc. XXII-bis, n. 2)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.
  Avverto che, con lettera in data 3 marzo 2016, il presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo, deputato Mario Catania, ha comunicato di aver designato quale relatrice per l'Assemblea l'onorevole Susanna Cenni, già relatrice in Commissione, a cui do la parola per l'intervento. Prego.

  SUSANNA CENNI, Relatrice. Grazie, Presidente. La presente relazione, quella che stiamo illustrando oggi e che discuteremo e metteremo in votazione nei prossimi giorni, rappresenta un'indagine che possiamo definire davvero un caso di studio significativo per il tema della contraffazione. Si tratta, infatti, di un'indagine svolta sul distretto tessile di Prato, peculiare per l'eccellenza del prodotto tessuto, Pag. 57per il suo essere uno snodo geografico ed organizzativo fondamentale per tutto il comparto moda toscano, nazionale e di buona parte del continente europeo.
  È stato, infatti, lo stesso sindaco della città, Matteo Biffoni, a definire in più occasioni la città ed il distretto di Prato il centro della produzione dei tessuti più importanti del mondo. Proprio questa centralità, assieme ad altre peculiarità, hanno convinto la Commissione di inchiesta ad avviare un'indagine sul distretto, sul fenomeno contraffazione, sugli strumenti messi in campo per l'azione di contrasto, sulla sua efficacia ed anche sulle ulteriori soluzioni da poter mettere in campo, sulle evoluzioni positive che Parlamento e Governo riterranno di adottare e accogliere.
  Le peculiarità richiamate riguardano indubbiamente il legame profondo emerso fra la produzione e la commercializzazione di prodotti contraffatti, violazione delle norme sull'etichettatura, lavoro nero, criminalità organizzata. Ovviamente, non mi soffermo in questa mia relazione sui numeri ampiamente e dettagliatamente riportati dalla relazione. Mi soffermo su alcuni punti emergenti, che meritano la nostra attenzione.
  Mi riferisco alle emergenze negative, da aggredire con decisione, nonché a quelle positive, che hanno visto in questo territorio una reazione molto forte delle istituzioni locali, delle forze dell'ordine, delle associazioni di impresa e sindacali, della regione Toscana; una reazione che conferma il rilievo di questa realtà produttiva. È una realtà che si attesta ancora come leader in Italia e in Europa con marchi importanti, con 20 mila addetti, con 2,9 miliardi di fatturato nel 2013 e 1,5 miliardi di export, accompagnati da una straordinaria capacità innovativa nel prodotto, nella costruzione di filiere sempre più attente alla qualità del prodotto e al suo impatto ambientale e sociale. La Commissione di inchiesta ha svolto missioni a Prato, ha svolto numerose audizioni durante i propri lavori, ascoltando e sollecitando i vari attori interessati, le istituzioni, le forze dell'ordine, l'Agenzia delle dogane, le organizzazioni di impresa e sindacali, i magistrati che hanno svolto numerose inchieste, la regione.
  È innegabile il forte legame fra il fenomeno di illegalità connesso soprattutto alla violazione delle norme sull'etichettatura. Voglio ricordare come ci sia stato ripetutamente rappresentato dalle istituzioni e dalle imprese che abbiamo sentito che quotidianamente decine di TIR arrivano in questa comunità, trasportando tonnellate di rotoli di tessuto; di norma, arrivano di notte e sfuggendo per lo più ai controlli. Si tratta di tessuto proveniente da Pakistan, da Cina, etichettato come made in Italy, che viene utilizzato per il confezionamento di capi pronto moda di bassa qualità, sotto costo, quindi con prezzi di assoluta concorrenza, grazie anche ai bassissimi costi del lavoro.
  E c’è un legame anche con la forte presenza della comunità cinese in questo territorio. I residenti sono passati, prendendo i dati del 1990 e del 2001, da 520 a 5 mila (parlo di numeri registrati, che hanno continuato a crescere). Se guardiamo il numero delle imprese, sempre facendo riferimento al 1990 e al 2001, si passa da 210 a 1.200 imprese, e questi numeri sono ovviamente ulteriormente cresciuti. Una comunità caratterizzata da un insediamento di produzione, spesso di vita, dentro a capannoni industriali, con ritmi e condizioni lavorative di sfruttamento e totale assenza di qualsiasi norma di sicurezza.
  Su questo a lungo hanno indagato i magistrati, si sono attivate le istituzioni, i sindacati, c’è uno studio dettagliato di IRPET che ci è stato consegnato su questa materia. Quindi, conosciamo davvero moltissimo di questa situazione. Connessi all'indagine sono anche altri aspetti legati alla vera e propria contraffazione di marchi che riguardano poi la vasta area del tessile e degli accessori della moda, che vedono, oltre a Prato, Firenze, il Valdarno, Empoli e Pistoia. E sappiamo quanti sequestri quotidianamente continuano ad esserci in questo territorio.
  Ecco, tutte queste aree sono interessate dall'arrivo di materia prima e dalla partenza Pag. 58per l'Italia e per l'Europa di merci illegali, che poi arrivano ovunque, con una diramazione ed uno snodo internazionale molto bene organizzato. A tale proposito, voglio citare tra gli ultimi grandi sequestri l'indagine svolta a Roma, la cosiddetta «operazione Commercity» del luglio scorso. Un'operazione che ha portato al sequestro di oltre 3 milioni di capi di abbigliamento provenienti, appunto, da Prato, al sequestro di quote societarie, di aziende, di immobili, di autovetture di lusso, di disponibilità finanziarie.
  La procura di Roma, durante la conferenza stampa svolta nel luglio del 2015, ha parlato del lungo lavoro svolto per risalire tutta la filiera criminale, dal sequestro delle merci su strada, per ricostruire tutto quello che c'era dietro. Quindi, il percorso delle merci, per giungere fino ai prodotti provenienti dalla Cina, ma con l'intermediazione di fornitori ed imprese operanti a Prato. Quindi, ancora una volta, una specializzazione di questo distretto anche dal punto di vista organizzativo. Solo quell'operazione portava alla luce omesse dichiarazioni dei redditi per 44 milioni di euro, un'evasione dell'IVA per 7 milioni di euro; soltanto quell'operazione, lo sottolineo ancora una volta. Quindi, immaginate i numeri, se mettiamo assieme tutti i sequestri e tutte le indagini significative in materia di contraffazione nel tessile.
  Prato, quindi, risulta un centro specializzato non solo per la peculiarità, da una parte, della presenza della manifattura cinese, ma anche, è bene dirlo con grande chiarezza, per la connivenza con imprese e professionisti locali, che hanno messo a disposizione capannoni, fingendo, quindi, a lungo di non vedere cosa avveniva al loro interno, e che hanno svolto attività di copertura, in alcuni casi anche producendo falsa documentazione fiscale, contabile, previdenziale. Un atteggiamento forse accentuato anche durante la fase della crisi economica.
  Negli anni, in questa comunità c’è stata una reazione forte, come dicevo. Devo anche dire che molte delle norme varate negli anni recenti parlano molto di questa realtà. Mi riferisco alle tante proposte di legge sui money transfer; mi riferisco alla richiesta di negoziare in sede europea le norme sul made in e sull'etichettatura: una richiesta molto forte, che ci è stata sollecitata ulteriormente, anche durante le audizioni, dal mondo economico e produttivo di questo territorio.
  Anche in virtù di questa reazione, sin dal 2007 si attivano i patti territoriali sulla sicurezza, le imprese e le camere di commercio si attivano nel certificare le proprie filiere e si reagisce, si cerca di reagire. Ma una vera e propria rottura di questo sistema va segnalata nel 2013, perché è nel 2013 che c’è un salto di qualità, legato alla tragica vicenda dei lavoratori cinesi morti nel rogo del capannone dormitorio, che tutti conoscerete.
  Quella vicenda ha reso evidente, a chi ancora non avesse chiara la situazione, come occorresse un di più alla determinazione nella lotta alla contraffazione e, soprattutto, al legame profondo fra l'illegalità delle imprese e la violazione delle norme sul lavoro, lo sfruttamento, le filiere internazionali. Tema ogni volta ribadito con forza dalle procure che abbiamo ascoltato: dove c’è contraffazione, c’è lavoro nero, sempre. Da quel momento, dal 2013, nonostante fosse già in atto un coordinamento fra i soggetti istituzionali, si accentua la collaborazione a tutto campo ed entra in campo con grande forza la regione Toscana per volontà del suo presidente, Enrico Rossi, che promuove il patto per il lavoro sicuro nelle province di Prato, Firenze e Pistoia, insediando 70 giovani ispettori della sicurezza nei luoghi di lavoro e stipulando un protocollo di intesa con le procure di Prato, di Firenze e di Pistoia, per far sì che la segnalazione di violazione di reati penali derivanti dalle ispezioni e inviate dalla regione alle procure potesse avere un'accelerazione nella trattazione in sede giudiziaria, e così è stato.
  L'iniziativa ha avuto un impatto molto positivo: in meno di un anno sono state controllate 2.600 aziende, delle 7 mila censite; entro il 2016 saranno controllate tutte quante. Il costo di questo progetto, di Pag. 59questo sforzo ulteriore messo in campo dalla regione, è stato ripagato dalle multe comminate. I controlli hanno portato all'adeguamento – questi sono i dati che ci sono stati illustrati durante l'audizione del presidente in Commissione – dell'83 per cento delle imprese cinesi. Quindi, chiaramente è una strada oculata, una strada giusta: controlli severi, sanzioni, ma anche l'accompagnamento di coloro che intendono mettersi in regola.
  Ovviamente questo salto di qualità non esaurisce il tema. Sappiamo che l'attività di contraffazione – ne abbiamo parlato anche durante la scorsa settimana – ha un'enorme capacità di adattamento, di riorganizzazione, ma questa è una chiave di contrasto strategica, estendibile anche ad altre realtà del nostro Paese. È una chiave fondamentale, che parte dalla connessione, sempre presente, come dicevo prima, fra contraffazione e violazione delle norme su etichettatura e tracciabilità e sfruttamento del lavoro.
  La relazione poi esamina molti altri aspetti, che io non voglio riprendere nell'illustrazione; i colleghi che vorranno potranno leggere la relazione e troveranno sicuramente molti dati interessanti. Io provo soltanto ad elencare alcuni punti rispetto ai quali noi proviamo, a conclusione di questa lunga attività di indagine, anche a sottoporre all'attenzione dell'Aula e del Governo alcune ipotesi di lavoro. Ho già citato il tema dei money transfer, sportelli tuttora in crescita, che si confermano essere il principale canale di circolazione finanziario, attraverso cui la contraffazione muove capitali ingentissimi. La relazione illustra i risultati di numerose operazioni, la crescita esponenziale in pochissimo tempo degli sportelli, la mole enorme di trasferimenti frazionati in operazioni da 999 euro in ogni sportello. Alcune norme sono già state adottate, ma noi riteniamo che si possa fare di più per lo status degli operatori, per l'accertamento di chi versa e così via.
  Ancora, vi è il tema della certificazione etica delle filiere produttive. È un tema che ci è stato sottoposto dalle imprese stesse e che può aiutare a certificare, a controllare e a far crescere quel valore proprio del nostro made in Italy. Ancora, vi è il tema della tracciabilità dei prodotti e dell'etichettatura. Noi sappiamo che in questo caso c’è una partita ancora non conclusa con le istituzioni europee, che va affrontata, che va negoziata ulteriormente e di questo abbiamo discusso diffusamente, anche durante l'audizione del sottosegretario Gozi, alcune settimane fa. C’è il tema dell'aiuto a quelle imprese che vogliono mettere in campo un «di più» per certificare la qualità delle proprie produzioni. Mi riferisco alle strumentazioni tecnologiche anticontraffazione, che alcune imprese hanno iniziato a installare, a sperimentare e che noi dobbiamo aiutare ad adottare, anche con aiuti dal punto di vista degli investimenti. C’è il tema del coordinamento internazionale del sistema delle dogane. Io prima ho parlato dell'arrivo di queste tonnellate di tessuti attraverso il trasporto su gomma. Perché lo sottolineo ? Perché questo è uno dei punti evidenziati anche dall'Agenzia delle dogane. Per quanto riguarda gli sbarchi che avvengono nei nostri porti, le nostre dogane effettuano controlli molto forti, ma questo materiale per lo più arriva sbarcando nei porti del nord Europa, quindi superando tutti quei controlli che poi, una volta entrati in Europa, non vengono più effettuati sul materiale circolante. Ancora, c’è il tema dei controlli pubblici sulle attività d'impresa e del sostegno alle filiere del made in Italy.
  Ho sintetizzato moltissimo sulle proposte che la Commissione sottopone all'attenzione del Governo e del Parlamento e non aggiungo molto altro, perché, come vi dicevo, la relazione è esaustiva e devo dire che queste relazioni hanno anche viaggiato in questi mesi, dopo la loro approvazione in Commissione, nei luoghi propri. Ci sono state discussioni a Prato con tutte le istituzioni coinvolte. Abbiamo presentato, insieme ad altre relazioni, anche questo lavoro ad Expo. Oggi, quindi, arriva in Aula e mi auguro che la discussione possa tradursi poi anche in provvedimenti adeguati.Pag. 60
  La sintesi ultima non può che essere che il nostro made in Italy merita davvero tutto il nostro impegno per la valorizzazione delle imprese e della qualità del lavoro che lo produce e lo mette sul mercato e che le risorse, oggi sottratte alla trasparenza e alla legalità, vanno assolutamente riportate nella disponibilità delle imprese stesse e dello Stato. Questo lo dobbiamo a tutti i cittadini.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Berretta. Ne ha facoltà.

  GIUSEPPE BERRETTA. Signor Presidente, la Commissione parlamentare d'inchiesta sui fenomeni della contraffazione, come ricordava prima la collega Cenni, ha esaminato una questione di particolare significato non solo nel settore del tessile e della moda, ma, in generale, per l'intero tema della lotta alla contraffazione, quale quello del distretto produttivo di Prato, giungendo alla elaborazione di un'analitica relazione, di cui è stata relatrice la collega Cenni, che prima è stata sintetizzata.
  Io, in particolare, mi soffermerò sui profili attinenti al rapporto tra contraffazione, sfruttamento della manodopera, rispetto della disciplina in materia di salute e sicurezza dell'ambiente di lavoro. Come è noto, il 1o dicembre 2013 sette lavoratori cinesi morirono nel rogo di un capannone industriale dormitorio. Questo drammatico incidente ha portato alla ribalta, anche nazionale, il fenomeno e ha chiamato le istituzioni a garantire una risposta adeguata, con strumenti più forti e con un maggiore coordinamento tra le istituzioni stesse. Proprio per rispondere a questa esigenza di coordinamento, come risulta dalla relazione, c’è stato un significativo impegno della regione Toscana, in particolare, e degli enti locali tutti, che ha promosso il patto per il lavoro sicuro nell'ambito delle province di Firenze, Pistoia e Prato, che ha previsto l'invio a Prato di ispettori del dell'azienda ASL per effettuare controlli in materia di igiene e sicurezza dei luoghi di lavoro. La regione si è occupata principalmente della questione della sicurezza nei luoghi di lavoro, con un progetto che ha visto i servizi dell'ASL regionale formare e poi assumere, con finanziamento della regione Toscana, settanta giovani ispettori della sicurezza nei luoghi di lavoro.
  Poi è stato stipulato un protocollo di intesa con la procura della Repubblica di Prato e con le procure della Repubblica di Firenze e di Pistoia, per far sì che le segnalazioni di violazioni e di reati penali, derivanti dalle ispezioni e inviate alla regione e alle procure, potessero avere un'accelerazione nella trattazione.
  Inoltre, il presidente Rossi, audito, ha sottolineato il positivo impatto delle iniziative assunte, registrando un numero di controlli davvero cospicuo (2.600 controlli sulle 7000 imprese censite) e il riscontro di numerose gravi irregolarità attinenti ai macchinari non a norma, a impianti elettrici non a norma, a condizioni igieniche non regolari, all'esistenza di dormitori in fabbrica (ben 249 dormitori in fabbrica). Si è proseguito nei controlli, si sono irrogate una serie di sanzioni, che hanno comportato anche il recupero dei costi che sono stati sostenuti.
  Lo spaccato che emerge in questo territorio rafforza, a nostro avviso, ulteriormente le ragioni che hanno condotto il Governo a elaborare un disegno di legge per fronteggiare il fenomeno del caporalato e dello sfruttamento della manodopera come elemento centrale e decisivo anche nella politica di contrasto ai fenomeni della contraffazione. Colpire le ricchezze illecitamente accumulate da parte di chi sfrutta i lavoratori è obiettivo dell'iniziativa, come ben sappiamo. Le misure proposte dal Governo sono misure particolarmente penetranti e repressive; si tratta di misure di prevenzione personale e patrimoniale, che vanno ad aggiungersi alle conseguenze di ordine penale. In particolare, viene introdotta la confisca del prodotto e del profitto del reato, oltre che delle cose utilizzate per la sua realizzazione, in modo che la decisione sulla destinazione di questi beni non sia più affidata alla valutazione discrezionale del giudice, caso per caso.Pag. 61
  Inoltre, si aggiunge anche il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, di cui all'articolo 603-bis del codice penale, all'elenco dei reati per i quali può operare la confisca cosiddetta estesa o allargata. Questa misura patrimoniale è stata introdotta per colpire le grandi ricchezze illecitamente accumulate, anche per interposta persona, dalla crimine organizzata e la sua applicazione non è subordinata all'accertamento di un nesso tra i reati enunciati nella norma di riferimento e i beni oggetto del provvedimento di confisca.
  Come è evidente, questa norma può certamente essere estremamente utile nel contrasto ai fenomeni di sfruttamento della manodopera testé ricordati.
  Le norme ovviamente servono, ma altrettanto importante è l'esperienza maturata a Prato anche sul fronte del coordinamento delle istituzioni e dei controlli: oltre alle esperienze prima citate, dopo i fatti del dicembre 2013 è stato possibile constatare come tutte le istituzioni competenti – prefettura, forze dell'ordine, magistratura, regione, comune di Prato, imprese e organizzazioni sindacali – abbiano operato in modo coordinato nell'ambito delle rispettive competenze per contrastare il fenomeno e favorire l'adozione di misure efficaci per il superamento del problema. Per cui ci sono stati i controlli a valle di cui abbiamo parlato, ma anche controlli a monte, al momento della costituzione delle imprese, controlli aventi carattere multidisciplinare; oltre che momenti di coordinamento nell'attività delle forze dell'ordine, delle istituzioni locali, del comando dell'Arma dei carabinieri, della Guardia di finanza, dei vigili del fuoco. Queste buone prassi, assieme alle novità legislative che il Governo ha ritenuto di proporre e che intende introdurre per sanzionare e colpire lo sfruttamento della manodopera, costituiscono elementi di grande rilevanza nell'elaborazione di una complessiva politica tesa a contrastare fenomeni di sfruttamento, e contrastare anche fenomeni di abuso della manodopera dipendente.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gallinella. Ne ha facoltà.

  FILIPPO GALLINELLA. Presidente, quest'Aula oggi per la seconda volta riceve gli stimoli del lavoro svolto dalla Commissione per la lotta alla contraffazione. Come è stato detto più volte, la contraffazione, e la violazione dei diritti di proprietà in generale, rappresentano una grave minaccia per il sistema economico e produttivo mondiale: secondo le stime dell'Organizzazione mondiale per il commercio, i beni contraffatti ammontano all'8 per cento del commercio mondiale, mentre l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha quantificato nel 2009 un giro d'affari dell'illecito mondiale pari a 250 miliardi di dollari.
  Il fenomeno si è sicuramente acuito sia con la globalizzazione che con la crisi economica: la prima ha aumentato i quantitativi commerciali circolanti, mentre la seconda ha reso i prodotti contraffatti più appetibili per il consumatore. Su quest'ultimo punto, ovvero il rapporto tra consumatore e prodotto contraffatto, si dovrà aprire un approfondimento, che sicuramente la Commissione di inchiesta non mancherà di svolgere.
  La scorsa settimana quest'Aula ha potuto apprendere i risultati di un lavoro, quello del relatore presidente Catania, che ha focalizzato l'attenzione sul fenomeno in generale e sui sistemi a contrasto, sia nazionali che internazionali, con un particolare focus sia su una possibile riorganizzazione della governance a contrasto che su un aggiornamento del codice Rocco. Oggi, come la collega relatrice Cenni ha spiegato, poniamo attenzione su un tema puntuale, come altri che in futuro saranno discussi: quello del settore tessile, con il «caso studio» del distretto produttivo di Prato, che oltre ad essere un distretto storico per il settore, ha altresì una rilevanza internazionale, come la collega ha bene evidenziato nel suo lavoro. Tale approfondimento, come gli altri svolti fino ad oggi, ha trovato la massima condivisione Pag. 62in Commissione, e ha dimostrato che, se si vuole, si può contrastare il fenomeno.
  Nello specifico, dopo i tragici fatti dei lavoratori cinesi morti nel rogo di un capannone dormitorio nel dicembre 2013, si è reso evidente anche all'opinione pubblica il legame tra l'illegalità delle imprese, la violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro e lo sfruttamento del lavoro nero, oltre ai legami con la criminalità organizzata e la filiera internazionale della contraffazione. Sicuramente far capire al consumatore che, oltre al danno economico allo Stato e ai titolari del diritto, danno che forse poco importa al consumatore, comprare merce contraffatta alimenta un dramma, quello dello sfruttamento del lavoro e dell'insicurezza dei luoghi di lavoro; farglielo sapere, come stiamo facendo oggi, farebbe riflettere sull'acquistare tali prodotti.
  Il fatto drammatico citato ha fatto sì, a norme vigenti, che tutte le istituzioni competenti – prefettura, forze dell'ordine, magistratura, regione, comune, imprese, organizzazioni sindacali e dogane – si siano mosse contestualmente, per contrastare il fenomeno e favorire l'adozione di misure efficaci per il superamento del problema. Questo senza dubbio è, credo, uno dei punti chiave per contrastare la piaga della contraffazione e dell'illecito: organizziamoci, coordiniamoci, condividiamo dati ed esperienze e stronchiamo l'illecito.
  Come è emerso nel corso della audizioni, il tessuto realizzato con filato importato illegalmente veniva poi rivenduto, senza trasformazioni fatte in Italia, con un'etichetta o un'indicazione di origine come tessuto italiano fatto a Prato; oppure, senza necessariamente la contraffazione del marchio spacciato, come prodotto italiano.
  Abbiamo quindi un'evocazione dell'italianità, e la contraffazione molto spesso va di pari passo con l'evocazione: sono due problematiche che dobbiamo contrastare e combattere.
  L'esperienza di Prato ha generato patti territoriali mirati e protocolli d'intesa: esempi che possono sicuramente costituire un modello nazionale della risposta coordinata, sia investigativa che preventiva, delle istituzioni dello Stato e degli enti territoriali per la lotta alla contraffazione. Così come emerso anche durante le audizioni, sembra necessario un raccordo tra vari livelli di indagine, tema sul quale occorre sicuramente svolgere una riflessione.
  Altro aspetto emerso, e che merita attenzione da parte di tutti, è il controllo dei canali finanziari, per questo fenomeno ma anche per altri, attraverso i quali la contraffazione organizzata internazionale sposta denaro: nello specifico parliamo del money transfer. Questo canale, in quanto sottratto alle regole antiriciclaggio del sistema bancario e finanziario, mostra una rilevante criticità. Infatti, ricordando l'operazione di polizia tributaria giudiziaria «Fiumi di denaro» del 2010, la Guardia di finanza ha accertato rimesse di denaro illecite per oltre 5 miliardi di euro documentati; seguire i soldi con i sistemi informatici che abbiamo oggi, è una strada che va assolutamente percorsa.
  Infine, il lavoro svolto ci ha anche mostrato che stanno nascendo delle iniziative per una certificazione etica della filiera (questa è una cosa lodevole), con tutti gli strumenti di tracciabilità ad essa connessi; e credo che anche su ciò l'Aula debba porre attenzione e far sì che quelle imprese che adottano sistemi etici di produzione siano aiutate. Concludo ringraziando la relatrice, perché quanto prodotto servirà a tutti noi per sconfiggere al meglio la filiera dell'illecito, sia per il settore tessile che per il resto.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il presidente Catania. Ne ha facoltà.

  MARIO CATANIA, Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta. Presidente, svolgo solo alcune brevi considerazioni perché la collega relatrice, l'onorevole Cenni, nel suo intervento introduttivo ha già molto puntualmente illustrato Pag. 63il contenuto della relazione, gli elementi che vi sono contenuti, sia sotto il profilo dell'indagine svolta, sia sotto il profilo delle proposte avanzate dalla Commissione stessa.
  Noi decidemmo un'indagine approfondita sul distretto di Prato, e in particolare su tutto quello che ruota intorno alla produzione del distretto tessile-moda, per una serie di fattori che è bene ricordare. In primis, la contraffazione è storicamente molto radicata in questi comparti produttivi: la contraffazione che ha avuto spazio prima di ogni altra nello scenario dell'illecito del nostro Paese è proprio quella che toccava il circuito tessile-moda-abbigliamento in generale. E quindi, dove più che a Prato cogliere gli elementi in questo senso ?
  La seconda considerazione era che a Prato, per una serie di fattori storici, si era verificata un'evoluzione nel distretto produttivo che aveva elementi di peculiarità non riscontrabili altrove. La situazione dello scenario produttivo di Prato è cambiata radicalmente negli ultimi 25 anni: quello che era un distretto di imprese italiane profondamente radicate sul territorio, profondamente collegate al tessuto produttivo italiano e locale, esprimenti una produzione di elevata qualità, si è trasformato negli ultimi 25 anni in un distretto che svolge sempre un ruolo importante nell'ambito del circuito dell'abbigliamento e della moda, ma che presenta caratteristiche diverse; oggi l'impresa tipo del distretto pratese è un'impresa condotta il più delle volte da un imprenditore di origine cinese, è un'impresa che in molti casi non è più orientata alla qualità come un tempo, è un'impresa che presenta caratteristiche particolari. Per queste ragioni la nostra indagine, e per queste ragioni le proposte che la collega Cenni ha già richiamato, e che considero utili per la discussione dell'Aula e per il lavoro del Governo.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.

(Annunzio di una risoluzione – Doc. XXII-bis, n. 2)

  PRESIDENTE. Avverto che è stata presentata la risoluzione Cenni, Catania, Gallinella ed altri n. 6-00213, che è in distribuzione (Vedi l'allegato ADoc. XXII-bis, n. 2).

(Intervento e parere del Governo – Doc. XXII-bis, n. 2). )

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo che a questo punto esprimerà anche il parere sulla risoluzione.

  COSIMO MARIA FERRI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Sì, faccio un unico intervento, se lei me lo consente.

  PRESIDENTE. Prego.

  COSIMO MARIA FERRI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Presidente, intanto ringrazio ancora una volta la Commissione per il lavoro fatto e, quindi, devo dire che ha accolto anche tutto quello che il Governo stava facendo per quanto riguarda il distretto di Prato. Infatti, voglio ricordare, in questa sede, come il Governo Renzi abbia istituito un tavolo, allargando il precedente tavolo che c'era e che riguardava solo, per quanto riguarda Prato, la materia della sicurezza. Si è invece deciso di trasferire la cabina di regia a Palazzo Chigi ed allargare l'oggetto di questo tavolo per Prato, considerando e tenendo presenti tutte le politiche industriali del distretto di Prato proprio nel quadro di un approccio integrato, volto a favorire il rispetto della legalità e l'integrazione economica e sociale, e ponendo in essere, inoltre, un efficace contrasto contro la contraffazione che, purtroppo, nel settore tessile e nel settore della moda si fa sempre sentire e, quindi, anche in questo caso creando degli strumenti per consentire alle forze dell'ordine di essere più efficaci anche nella repressione, proprio Pag. 64per evitare che si crei un percorso diverso per chi vive di illegalità e di contraffazione.
  Quindi, un segnale forte che in questa sede voglio ripetere e ribadire: il Governo vuole aiutare le imprese oneste, vuole aiutare le imprese che pagano le tasse, le imprese che lavorano nella legalità e che, quindi, creano mercato e produzione legale. Per fare questo dobbiamo, inoltre, reprimere e tenere una linea dura nei confronti di chi vive di illegalità e con la contraffazione crea e immette nel mercato dei prodotti che non solo non tutelano il made in Italy – e quindi le nostre aziende – ma che, nello stesso tempo, può creare anche danno al consumatore, perché quando si parla comunque di tessile – e non solo – dobbiamo pensare anche alla qualità del prodotto e, quindi, alla materia prima, dove viene presa, dove viene lavorata, come viene realizzata, come viene modificata e dobbiamo pensare all'etichettatura, che è una garanzia per il consumatore. Su questa parte la relazione è molto completa e, tra l'altro, c’è tutta una parte che riguarda, anche dal punto di vista tecnologico, come etichettare i prodotti e come controllarli per essere più efficaci.
  C’è tutta la parte – condivisibile anche questa come tutta la relazione del resto; infatti poi il parere sarà con convinzione favorevole su questa risoluzione, che poi recepisce totalmente il lavoro della Commissione – che riguarda anche il controllo delle dogane e, quindi, come organizzare, anche sul territorio, e come controllare tutta la materia prima che proviene dall'estero e, quindi, il ruolo centrale anche delle dogane.
  In questa sede, nell'esprimere, come dicevo prima, con convinzione da parte del Governo il parere favorevole e prendere l'impegno a continuare su questa strada, voglio anch'io ricordare i sette lavoratori cinesi che sono morti, purtroppo, e che erano in questi capannoni dormitori, perché poi le indagini hanno fatto emergere che dormivano dove lavoravano, senza nessun tipo di tutela e di garanzia dal punto di vista non solo della sicurezza del lavoro ma anche delle condizioni igieniche in cui un soggetto deve vivere. Quindi, c’è tutto il tema anche, che prima avete ben evidenziato tutti negli interventi, della sicurezza del lavoro e della tutela dei lavoratori, su cui la Commissione si sofferma e che è un tema importante da valutare e da affrontare con grande energia e grande efficacia.
  Io voglio ringraziare le istituzioni, anche quelle locali e regionali, per il grande lavoro sinergico che è stato fatto, che risulta e che io ho già ho potuto constatare nel tavolo per Prato a cui facevo riferimento, quello istituito presso Palazzo Chigi, di cui fanno parte tutte le istituzioni – e non solo – e per questo lavoro che è stato fatto, ma devo dire che anche in questa relazione della Commissione parlamentare emerge un grande lavoro sinergico tra istituzioni.
  Emergono, inoltre, controlli serrati e costanti, che è un altro punto: quando si parla di illegalità e di repressione ci sono i controlli. I controlli ci sono e i vostri dati lo testimoniano; quindi, dobbiamo continuare su questa strada e consentire i controlli sia all'ispettorato del lavoro sia alle ASL per quanto riguarda la sicurezza del lavoro e tutte le materie ambientali (pensiamo anche a tutto quello che ne consegue per la tutela della salute). Quindi, qui abbiamo tutti i diritti da tutelare: non solo quello del consumatore che acquista, ma anche quello del cittadino che vive in quell'ambiente e che comunque vive in una zona industriale che è importante anche dal punto di vista produttivo. Quindi, i controlli ci sono, sono serrati, sono costanti, sono efficaci e, quindi, questo è positivo. È un dato che voglio sottolineare ed è stato realizzato grazie anche a questo lavoro che è stato fatto sul territorio tra comune, regione, forze dell'ordine e magistratura. Quindi, si dimostra che quando si lavora insieme si ottengono i risultati.
  Voglio ricordare che Prato è, per quanto riguarda il tessile, la prima provincia per l’export italiano e, quindi, noi dobbiamo andare fieri di questa realtà produttiva dal punto di vista industriale. Il Pag. 65tessile è un grande patrimonio del nostro Paese e, dunque, va tutelato con costante attenzione e controllando anche il materiale che proviene da fuori, che poi è uno dei punti fondamentali, che è emerso anche nella relazione, cioè il controllo della materia prima e della lavorazione, soprattutto quando viene da fuori. È lì che bisogna intensificare i controlli, perché si crea anche una concorrenza sleale con chi invece produce questa materia prima in quel territorio (e non solo oggi che parliamo di Prato che è la prima provincia per export italiano, ma ci sono anche altre zone). Quindi, dobbiamo controllare come viene lavorata e come arriva la materia prima e, soprattutto quando viene da fuori, i controlli devono essere anche maggiormente rafforzati. Inoltre, un altro dato positivo è la task force che è stata istituita tra comune e regione con le forze dell'ordine proprio per quanto riguarda i controlli.
  Quindi, ringrazio la Commissione e ringrazio tutte le forze politiche. Ho ascoltato con attenzione tutti gli interventi, però voglio evidenziare come sia importante su questi temi lavorare insieme e ho visto che sia maggioranza sia opposizione hanno guardato all'essenzialità e all'importanza del tema e sono contento che il risultato finale sia emerso all'unanimità. Per questo il Governo, sempre in modo costruttivo, anche in questa sede vuole ringraziare per il lavoro e sperare che su questi temi – e non solo su questi – si possa continuare a lavorare insieme. Quindi, la nostra attenzione non mancherà e, anzi, metteremo in piedi e daremo a tutti i protagonisti e a chi si occupa in quel territorio di questa realtà tutti i mezzi per dare le risposte che si aspettano e garantire la legalità, tutelare il made in Italy e dare forza a questa realtà produttiva, che è un bene enorme per il nostro Paese.

  PRESIDENTE. La ringrazio. A questo punto il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì 8 marzo 2016, alle 10:

  1. – Svolgimento di una interpellanza e interrogazioni.

  (ore 13)

  2. – Seguito della discussione delle mozioni Zampa, Locatelli, Martelli, Binetti, Santerini, Vezzali, Giorgia Meloni ed altri n. 1-01182, Centemero ed altri n. 1-01184, Saltamartini ed altri n. 1-01185, Spadoni ed altri n. 1-01186 e Rizzetto e Pisicchio n. 1-01189 concernenti iniziative in relazione al settantesimo anniversario del voto alle donne.

  3. – Seguito della discussione del disegno di legge:
   Delega al Governo recante disposizioni per l'efficienza del processo civile (C. 2953-A).
  e dell'abbinata proposta di legge: COLLETTI ed altri (C. 2921).
  — Relatori: Berretta e Vazio, per la maggioranza; Colletti, di minoranza.

  4. – Seguito della discussione della proposta di legge:
   MOLTENI ed altri *: Modifica all'articolo 59 del codice penale in materia di difesa legittima (C. 2892-A).
  — Relatori: Ermini, per la maggioranza; Molteni e La Russa, di minoranza.
* Tutti i deputati firmatari della proposta di legge hanno ritirato la propria sottoscrizione dopo la conclusione dell'esame in sede referente.

  5. – Seguito della discussione della relazione sulla contraffazione nel settore tessile: il caso del distretto produttivo di Pag. 66Prato, approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo (Doc. XXII-bis, n. 2).

  La seduta termina alle 18,40.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO FRANCO VAZIO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE N. 2953-A

  FRANCO VAZIO, Relatore per la maggioranza. Onorevole signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevoli rappresentanti del Governo: i ritardi, le carenze e le contraddizioni di cui il settore Civile soffre da tempo sono noti e per questa ragione al tempo delle promesse e delle attese deve essere sostituito il tempo delle decisioni.
  Il provvedimento in esame costituisce una delle tessere più significative dello schema di riforma della Giustizia che il Governo ha sottoposto al Parlamento; rispetto agli altri disegni di legge del Governo rientranti in questo ambito, la riforma del processo civile assume un valore particolare, in quanto è stato collegato dal Governo alla manovra di bilancio.
  Questa scelta ha il proprio fondamento nella considerazione che una Giustizia celere, accessibile e che produce esiti di qualità e ragionevolmente prevedibili è una precondizione per un buon funzionamento del sistema economico e per la ripresa degli investimenti produttivi anche da parte delle imprese estere e, quindi, uno strumento per aumentare il livello di competitività del nostro Paese.
  Per un Paese moderno e competitivo, insomma, una Giustizia efficiente rappresenta non solo una sfida, ma anche una vera e propria necessità.
  Non si tratta di ridurre la qualità del processo, ma di assegnare forme e strumenti adeguati alle mutate esigenze di una società che ha confini sempre meno evidenti ed una competitività sempre più accentuata.
  Esiste il tema afferente la comprensione del processo: il mito dell'imprevedibilità della decisione, in passato sinonimo dell'imparzialità del Giudice, oggi non consente di avvicinare i cittadini a chi amministra la Giustizia. Chiunque è costretto ad utilizzare il processo ha il diritto di sapere se prevedibilmente vincerà o perderà la causa.
  Esiste il tema dell'efficienza e della speditezza del processo civile, che non può essere semplicisticamente liquidato, ma che deve partire dai problemi di un rito, troppe volte interpolato, che oggi risulta farraginoso e ricco di tempi morti.
  Abbiamo l'obbligo di guardare con straordinaria attenzione ai diritti di coloro che chiedono giustizia.
  Grava su di noi l'onere di garantire massima competenza e specializzazione a situazioni socialmente sensibili o strategiche e ai diritti dei soggetti maggiormente vulnerabili: costoro, la tutela dei loro diritti, dei diritti dei cittadini e delle imprese sono il primo obiettivo della Riforma.
  Questa è una Riforma che guarda lo stato della Giustizia in Italia e pone al centro gli interessi generali: semplificazione, minori costi, cause definite in minor tempo, efficacia nell'esecuzione delle sentenze.
  In Commissione si è svolto un confronto ed un approfondimento di altissimo livello che ha coinvolto tutti gli operatori della Giustizia.
  Avevamo un compito importante, quello di ascoltare e di fare tesoro dei contributi, perché nessuna riforma vera viene e può essere calata dall'alto.
  Al tempo stesso, però, siccome ogni riforma, anche la migliore, rappresenta per gli operatori una nuova sfida da affrontare, nuovi sforzi ed impegni gravosi, abbiamo soppesato le scelte e valutato le critiche sollevate con eccezionale attenzione.
  Il testo originario del disegno di legge del Governo A.C. 2953 era costituito da un solo articolo, contenente deleghe per la riforma del processo civile.
  Il testo approvato dalla Commissione, a seguito di un approfondito esame al quale Pag. 67hanno partecipato con spirito costruttivo tutti i gruppi, compresi quelli di opposizione, si compone invece di cinque articoli.
  La Commissione ha, infatti, significativamente modificato e ampliato la delega ed ha anche inserito nel provvedimento quattro ulteriori articoli, di immediata applicazione, con i quali prevede l'abrogazione del c.d. rito Fornero per i licenziamenti illegittimi, modifica in parte la disciplina del procedimento di ingiunzione e definisce le modalità per meglio programmare presso gli uffici giudiziari lo smaltimento dell'arretrato civile.
  Il cardine dell'intero disegno di legge è l'articolo 1 che delega il Governo a riformare organicamente il processo civile secondo parametri di maggiore efficienza e specializzazione.
  Tale articolo si muove lungo le seguenti linee direttrici: specializzazione dell'offerta di giustizia, attraverso l'ampliamento delle competenze del tribunale delle imprese e l'istituzione del tribunale della famiglia e della persona (con contestuale soppressione del tribunale per i minorenni); razionalizzazione dei tempi del processo civile, attraverso interventi sul rito di cognizione in primo grado, in appello ed in Cassazione, nonché nella fase di esecuzione; affermazione in ogni fase del principio di sinteticità degli atti; adeguamento delle norme processuali al processo civile telematico.
  Come si è accennato, l'esame in Commissione, avviato il 7 maggio 2015 e concluso il 3 marzo 2016, è stato alquanto approfondito. Momento centrale dell’iter legislativo è stata l'indagine conoscitiva attraverso la quale sono stati auditi professori universitari esperti della materia, magistrati e rappresentanti di associazioni della magistratura e dell'avvocatura.
  L'indagine conoscitiva è stata aperta con l'audizione del dottore Giuseppe Maria Berruti in qualità di Presidente della Commissione ministeriale costituita per l'elaborazione di proposte e di interventi in materia di processo civile presso il Ministero della giustizia, in quanto il disegno di legge presentato alla Camera riproduce pressoché integralmente l'elaborato conclusivo di tale Commissione ministeriale.
  La Commissione Giustizia, pur confermando l'impianto del disegno di legge, ha apportato in alcuni punti significative modificazioni al testo originario cercando di conferire maggiore dettaglio ad alcuni dei principi e criteri direttivi di delega al fine, non tanto per circoscrivere la discrezionalità del Governo, quanto per conservare al Parlamento alcune scelte significative sul profilo del nuovo processo civile.
  Nel corso dell'indagine conoscitiva sono stati sentiti in ordine cronologico: i rappresentanti dell'Unione nazionale camere civili (UNCC), dell'Organismo unitario dell'avvocatura (OUA), del Consiglio nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (CNDCEC), dell'Associazione Nazionale Magistrati e della relativa Sezione Cassazione, del Consiglio Nazionale Forense, dell'Associazione Nazionale Forense, dell'Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori (AIAF), dell'Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e per la famiglia (AIMMF), dell'Unione nazionale camere minorili (UNCM), della Camera nazionale avvocati per la famiglia e i minorenni (CAMMINO), Paolo Biavati, Professore di diritto processuale civile presso l'Università degli studi di Bologna, Fabio Santangeli, Professore di diritto processuale civile presso l'Università degli studi di Catania, Massimo Fabiani, Professore di diritto processuale civile presso l'Università degli studi del Molise, Claudio Consolo, Professore di diritto processuale civile presso l'Università degli studi di Roma La Sapienza, Paolo Montalenti, professore di diritto commerciale presso l'Università degli studi di Torino, Ferruccio Auletta, professore di diritto processuale civile presso l'Università degli studi di Napoli Federico II, Giampiero Balena, professore di diritto processuale civile presso l'Università degli studi di Bari Aldo Moro, Claudio Viazzi, Presidente del Tribunale di Genova, Roberto Bichi, Presidente f.f. del Tribunale di Milano, Luciano Gerardis, Presidente del Tribunale di Reggio Calabria, Pag. 68Massimo Terzi, Presidente del Tribunale di Verbania, Giuliana Civinini, Presidente della sezione civile del Tribunale di Livorno, Gioacchino Natoli, Presidente della Corte d'appello di Palermo, Luciano Panzani, Presidente della Corte d'appello di Roma, Vincenzo Spadafora, Presidente dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, Mario Barbuto, Capo Dipartimento dell'Organizzazione Giudiziaria, del Personale e dei Servizi del Ministero della Giustizia e Fabio Bartolomeo, Direttore generale delle statistiche presso il Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria del Ministero della Giustizia.
  Tutte le audizioni sono servite da base per lo sviluppo del dibattito in Commissione e quale importante punto di riferimento per la successiva fase emendativa.
  Per quanto attiene al contenuto del provvedimento, considerati i tempi contingentati a disposizione e l'ampiezza dell'intervento normativo in esame, noi relatori ci concentreremo sui punti essenziali della riforma, rinviando alla relazione integrale, di cui si chiede alla Presidenza l'autorizzazione di depositare, anche per la descrizione in dettaglio delle disposizioni contenute nel Disegno di Legge così come modificato dalla Commissione.
  La delega, in primo luogo ed in coerenza con quanto sopra sottolineato circa l'incidenza della Giustizia Civile sulla competitività del Paese, interviene sul cd. Tribunale delle Imprese ampliando le competenze delle esistenti sezioni specializzate in materia di impresa, mantenendone invariato il numero, modificandone la denominazione in quella di «sezioni specializzate per l'impresa e il mercato», e prevedendo la «rideterminazione delle dotazioni organiche delle sezioni specializzate e dei tribunali ordinari, adeguandole alle nuove competenze, nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, attraverso la riorganizzazione e la razionalizzazione dei medesimi tribunali, senza determinare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica».
  A tali sezioni specializzate sono devolute: le controversie in materia di concorrenza sleale, ancorché non interferenti con l'esercizio dei diritti di proprietà industriale e intellettuale; le controversie in materia di pubblicità ingannevole; le azioni di classe; le controversie riguardanti gli accordi di collaborazione nella produzione e nello scambio di beni o servizi, relativi a società interamente possedute dai partecipanti all'accordo; le controversie in materia societaria già devolute alla sezione specializzata, anche relative a società di persone; tutte le controversie in materia di contratti pubblici di lavori, servizi o forniture, rientranti nella giurisdizione del giudice ordinario.
  Altro punto qualificante della riforma riguarda l'istituzione, presso i Tribunali Ordinari e presso le Corti d'Appello e le Sezioni distaccate di Corte d'Appello, delle «sezioni specializzate per la persona, la famiglia e i minori», e presso le Procure della Repubblica in sede distrettuale dei «gruppi specializzati in materia di persona, famiglia e minori».
  Si prevede la correlativa soppressione del Tribunale per i Minorenni e dell'ufficio del Pubblico Ministero presso il Tribunale per i Minorenni, con passaggio delle relative funzioni alle neoistituite sezioni specializzate e ai neoistituiti gruppi specializzati.
  Naturalmente sono previsti i principi relativi al personale di magistratura ed amministrativo. Si dispone, quindi, l'assegnazione del personale (magistrati e personale amministrativo), attualmente addetto ai Tribunali per i Minorenni e agli Uffici del Pubblico Ministero presso i predetti tribunali, ai tribunali e alle procure della Repubblica del luogo nel quale ha sede la corte di appello o la sezione distaccata della corte di appello a cui, in seguito alla soppressione, sono attribuite le funzioni.
  Un punto e principio di fondamentale importanza è il mantenimento della specializzazione del Giudice e del Pubblico Ministero Minorile e della attuale composizione del collegio (integrata con i laici esperti in psicologia) per le decisioni più importanti in materia di minorenni.Pag. 69
  Come si è detto, le sezioni specializzate sono previste sia in sede circondariale che in sede distrettuale.
  Le sezioni distrettuali attraggono la maggior parte delle competenze dei tribunali per i minorenni, con particolare riferimento tra l'altro alla materia delle adozioni, e sono quelle per le quali è assolutamente garantita la specializzazione dei giudici, sia perché è previsto che i giudici stessi esercitino le relative funzioni in via esclusiva, sia perché è statuito il mantenimento dell'attuale composizione del collegio prevista per il tribunale dei minorenni (due magistrati togati e due laici, normalmente esperti in psicologia).
  Le sezioni circondariali mantengono le attuali competenze del tribunali ordinari in materia di stato e capacità della persona, famiglia (separazioni, divorzi, filiazione fuori del matrimonio) e attraggono parte delle competenze del Tribunale per i Minorenni, come in precedenza assegnate dall'articolo 38 disp. att. c.c.. In tali sezioni potrà non essere sempre garantito, in relazione alla consistenza della pianta organica, l'esercizio in via esclusiva delle funzioni specializzate e quindi con esclusione dell'assegnazione di trattazione di affari ulteriori, ma in ogni caso sarà necessaria la specializzazione delle funzioni.
  Per quanto attiene al processo penale minorile si è mantenuto l'attuale rito, mentre per quanto attiene al processo civile sono stati ridefiniti i riti dei procedimenti attribuiti alle sezioni specializzate per la persona, la famiglia e i minori, secondo criteri di tendenziale uniformità, speditezza e semplificazione, con specifica attenzione alla tutela dei minori e alla garanzia del contraddittorio tra le parti.
  In particolare si è proceduto dettando discipline omogenee, rispettivamente: per i procedimenti in materia di separazione e divorzio giudiziale e in materia di filiazione fuori dal matrimonio; per i procedimenti di separazione e divorzio consensuali/congiunti e per la richiesta congiunta di regolamentazione dell'affidamento e mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio; per i procedimenti in materia di responsabilità genitoriale, nonché per l'esecuzione dei relativi provvedimenti.
  Altro principio estremamente importante è il rafforzamento dell'obbligatorietà dell'ascolto del minore, anche infra dodicenne, salvo il caso in cui non sia capace di discernimento.
  Considerato che non è possibile fare delle riforme senza adeguare le strutture che poi le devono applicare, si prevede la rideterminazione delle dotazioni organiche delle sezioni specializzate circondariali e distrettuali, nonché degli uffici del pubblico ministero adeguandole alle nuove competenze, nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili, a legislazione vigente, attraverso la riorganizzazione e la razionalizzazione dei medesimi tribunali, senza determinare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
  Il testo originario del disegno di legge del Governo C. 2953 era costituito da un solo articolo, contenente deleghe per la riforma del processo civile; il provvedimento ora all'esame della Commissione si compone invece di 5 articoli: la Commissione ha, infatti, modificato e ampliato la delega ed ha anche inserito nel provvedimento quattro ulteriori articoli, di immediata applicazione, con i quali prevede l'abrogazione del cosiddetto rito Fornero per i licenziamenti illegittimi, modifica in parte la disciplina del procedimento di ingiunzione e definisce le modalità per meglio programmare presso gli uffici giudiziari lo smaltimento dell'arretrato civile.
  L'articolo 1 del disegno di legge, sul quale è intervenuta in modo rilevante la Commissione Giustizia, delega il Governo a riformare organicamente il processo civile secondo parametri di maggiore efficienza e specializzazione e si muove lungo le seguenti linee direttrici: specializzazione dell'offerta di giustizia, attraverso l'ampliamento delle competenze del tribunale delle imprese e l'istituzione del tribunale della famiglia e della persona (con contestuale soppressione del tribunale per i minorenni); razionalizzazione dei tempi del processo civile, attraverso interventi Pag. 70sul rito di cognizione in primo grado, in appello ed in Cassazione, nonché nella fase di esecuzione; affermazione in ogni fase del principio di sinteticità degli atti; adeguamento delle norme processuali al processo civile telematico.
  L'articolo 1, comma 1, lettera a), del disegno di legge detta i principi e criteri direttivi per riformare la disciplina del tribunale delle imprese. Tali principi riguardano: l'ampliamento e la razionalizzazione della competenza per materia delle sezioni specializzate (nn. 1 e 2). Fermo restando il numero complessivo degli uffici (21) si prevede la modifica della denominazione delle sezioni in «sezioni specializzate per l'impresa e il mercato» e l'attribuzione delle seguenti ulteriori competenze: controversie in materia di concorrenza sleale e pubblicità ingannevole; azioni di classe; controversie sugli accordi di collaborazione nella produzione e lo scambio di beni o servizi tra società interamente possedute dai partecipanti ad un patto sociale; controversie societarie (di cui all'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 168/2003), anche relative a società di persone; controversie in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, rientranti nella giurisdizione del giudice ordinario (ovvero le controversie sugli appalti pubblici di rilevanza comunitaria); la rideterminazione delle dotazioni organiche degli uffici (n. 4). Tale adeguamento dovrebbe avvenire a costo-zero (ovvero senza determinare nuovi oneri), mediante una razionalizzazione e riorganizzazione degli stessi tribunali; è, infine, previsto che successive modifiche delle piante organiche (sia di magistrati che del personale amministrativo) avvengano con decreto del Ministro della giustizia, nell'ambito dei limiti complessivi delle rispettive dotazioni organiche. L'articolo 1, comma 1, lettera b) del disegno di legge detta i principi e criteri direttivi di delega, volti all'istituzione di sezioni specializzate presso tribunali e le corti d'appello, cui devolvere le controversie relative alla persona, alla famiglia e ai minori (n. 1). La Commissione è significativamente intervenuta su questo aspetto della delega prevedendo la soppressione del tribunale per i minorenni (n. 1-bis) e delle relative procure della Repubblica, con il conseguente riassorbimento di tutto il personale (dirigenti, magistrati, giudici onorari, personale amministrativo e di polizia giudiziaria) presso i tribunali e le procure del luogo nel quale ha sede la corte di appello (o la sezione distaccata della corte d'appello) alla quale sono assegnate le funzioni (nn. 1-ter, 1-quater, 1-quinquies, 1-sexies). Il disegno di legge prevede quindi l'istituzione di sezioni specializzate per la famiglia, tanto presso il tribunale circondariale quanto presso la corte d'appello, per decidere delle controversie in primo grado; vengono inoltre istituiti ulteriori collegi specializzati presso le corti d'appello, per decidere in secondo grado. Il riparto di competenza, in primo grado, è delineato come segue dalla delega. Alle sezioni specializzate circondariali, istituite presso i tribunali, dovranno essere attribuite in via esclusiva in primo grado (n. 2): le controversie attualmente di competenza del tribunale ordinario relative a stato e capacità delle persone, separazioni e divorzi, anche in assenza di figli, rapporti di famiglia e minori, procedimenti relativi a figli nati fuori dal matrimonio; i procedimenti attualmente di competenza del tribunale per i minorenni in base all'articolo 38 delle disposizioni di attuazione c.c., con eccezione dei procedimenti previsti dagli articoli 330, 332 e 333 c.c., che vengono attribuiti alle sezioni specializzate distrettuali; i procedimenti di cui all'articolo 333 c.c. (condotta del genitore pregiudizievole ai figli) quando tra i genitori è in corso un procedimento di separazione o un procedimento relativo ai figli nati fuori del matrimonio o un procedimento instaurato ai sensi dell'articolo 316 c.c. (contrasto sull'esercizio della potestà dei genitori); i procedimenti attribuiti oggi al giudice tutelare in materia di minori ed incapaci.
  Alle sezioni specializzate distrettuali, istituite presso le Corti d'appello e le sezioni distaccate di corti d'appello, dovrà essere attribuita in primo grado la competenza sui seguenti procedimenti (n. 2-Pag. 71bis): procedimenti previsti dalla legge sulle adozioni (legge n. 184 del 1983); procedimenti previsti dagli articoli 330 (decadenza dalla potestà sui figli), 332 (reintegrazione nella potestà) e 333 (condotta del genitore pregiudizievole ai figli) c.c.; procedimenti relativi ai minori non accompagnati ed ai minori richiedenti asilo; procedimenti attualmente devoluti al tribunale per i minorenni, diversi da quelli previsti dall'articolo 38 disp.att. c.c. (che vengono attribuiti alle sezioni circondariali), tanto in materia civile, quanto in materia penale e amministrativa. A garanzia dell'effettiva specializzazione dell'organo giudicante, i magistrati assegnati alle sezioni dovranno esercitare le funzioni in via esclusiva (n. 2-ter).
  Per il secondo grado, ulteriori apposite sezioni specializzate dovranno essere istituite presso le Corti d'appello e le sezioni distaccate delle corti d'appello, con garanzia che le funzioni siano esercitate in via esclusiva da parte dei magistrati ovvero, ove ciò non sia possibile, che detti procedimenti siano comunque assegnati a un collegio specializzato (n. 2-quater).
  La Commissione ha inoltre aggiunto anche i seguenti principi e criteri direttivi: assicurare alle sezioni specializzate l'ausilio della rete dei servizi sociali (n. 2-quinquies); prevedere che la composizione delle sezioni specializzate distrettuali (n. 2-sexies) sia analoga a quella attualmente prevista per il tribunale per i minorenni (ovvero, un magistrato di Corte d'appello, che presiede la sezione, un magistrato di tribunale e due cittadini, un uomo ed una donna, scelti fra i cultori di biologia, di psichiatria, di antropologia criminale, di pedagogia, di psicologia, che abbiano compiuto il trentesimo anno di età); disciplinare il rito dei procedimenti attribuiti alle sezioni specializzate secondo criteri di speditezza, tutela dei minori, garanzia del contraddittorio e valorizzazione dei poteri conciliativi del giudice e del ricorso alla mediazione familiare (n. 2-septies); disciplinare in modo omogeneo i procedimenti di separazione e divorzio giudiziale e in materia di filiazione fuori dal matrimonio. Il provvedimento specifica (n. 2-septies.1) alcune caratteristiche che dovrà avere il rito (atto introduttivo, domande e richieste istruttorie, prima udienza davanti al presidente di sezione con adozione di provvedimenti provvisori reclamabili, ascolto del minore); disciplinare in modo omogeneo i procedimenti di separazione e divorzio consensuali e per la richiesta congiunta di regolamentazione dell'affidamento e del mantenimento dei figli (n. 2-septies.2); disciplinare in modo omogeneo i procedimenti in materia di responsabilità genitoriale (artt. 330, 332 e 333 c.c.), in base a specifici criteri direttivi (tra i quali l'obbligo per i servizi sociali di riferire tempestivamente al PM le condizioni di pregiudizio del minore e l'ampliamento della legittimazione attiva della persona stabilmente convivente con il minore) (n. 2-septies.3); assicurare l'ascolto del minore e il rispetto delle convenzioni internazionali sulla protezione dell'infanzia (n. 2-septies.4); garantire la specializzazione del PM presso il tribunale ordinario, il quale è chiamato a svolgere le funzioni nei procedimenti davanti alle sezioni specializzate circondariali e distrettuali; a tale pubblico ministero sono attribuite le funzioni oggi del PM presso il tribunale per i minorenni (n. 2-octies); istituire presso la procura della Repubblica presso i tribunali di cui al numero 2-bis gruppi specializzati in materia di persona, famiglia e minori; prevedere, presso le procure generali, l'individuazione, nell'ambito del programma di organizzazione dell'ufficio, di uno o più magistrati con competenze specialistiche (n. 2-decies); attribuire alla competenza delle sezioni specializzate distrettuali i procedimenti penali a carico di minorenni (n. 2-nonies), con l'applicazione del rito attualmente applicato dal tribunale per i minorenni in base al decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988 (codice del processo penale minorile) (n. 2-undecies); prevedere che nell'assegnazione dei magistrati alle sezioni specializzate e alle procure presso tali uffici il precedente esercizio di funzioni in materia di famiglia e minori e la specifica formazione costituiscano titolo preferenziale; Pag. 72prevedere comunque per i magistrati assegnati a tali uffici un'apposita formazione presso la Scuola superiore della magistratura (n. 2-duodecies e n. 2-terdecies); rideterminare la dotazione organica degli uffici oggetto di riforma, nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente (n. 7); dettare la necessaria disciplina transitoria, di attuazione e di esecuzione della riforma (n. 7-bis). L'articolo 1, comma 2, lettera a) del provvedimento detta principi e criteri direttivi cui dovrà informarsi il legislatore delegato nel riformare il processo di cognizione di primo grado. Anche in questo settore, gli interventi della Commissione sono stati rilevanti, avendo portato gli originari tre principi a nove: valorizzare l'istituto della proposta di conciliazione del giudice (articoli 185 e 185-bis, c.p.c.) prevedendo che la condotta delle parti in tale fase possa essere valutata dal giudice ai fini del giudizio.
  Il testo originario del d.d.l. prevedeva che il giudice, già in fase di tentativo di conciliazione, dovesse compiere una «valutazione prognostica sull'esito della lite», prima ancora di valutare ammissibilità e rilevanza delle prove (n. 1); assicurare la semplicità, concentrazione ed effettività della tutela e garantire la ragionevole durata del processo (n. 2); modificare il catalogo di controversie per le quali il tribunale giudica in composizione collegiale (n. 2-bis) e prevedere solo presso questo giudice l'applicazione del rito ordinario di cognizione (n. 2-quater). Anche nelle cause di competenza del collegio dovrà essere possibile ricorrere alla decisione a seguito di trattazione orale della causa (ex articolo 281-sexies c.p.c.): il collegio, fatte precisare le conclusioni, potrà ordinare la discussione orale della causa e pronunciare sentenza al termine della discussione, dando lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione (n. 2-sexies). Inoltre, sempre nelle controversie attribuite al collegio, il giudice istruttore dovrà poter rimettere la causa al collegio anche senza assumere le prove quando a seguito della prima udienza ritenga la causa matura per la decisione (n. 2-septies); applicare il rito sommario di cognizione (da ridenominare «rito semplificato di cognizione di primo grado») a tutte le controversie devolute al tribunale monocratico, diverse dalle controversie di lavoro (n. 2-ter); riformare il decreto legislativo n. 150 del 2011, sulla riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, per ampliare l'applicazione del rito semplificato di cognizione (n. 2-quinquies); consentire la negoziazione assistita anche per le controversie individuali di lavoro (n. 3-bis). La lettera b) del comma 2 detta principi e criteri direttivi per la riforma del giudizio di appello, ampiamente modificati nel corso dell'esame in Commissione. In sintesi, il provvedimento delega il Governo a: prevedere che, per tutti i mezzi di impugnazione, i termini decorrano dalla comunicazione del testo integrale del provvedimento, da effettuare anche nei confronti delle parti non costituite (n. 4-bis); consentire che a decidere dell'appello sia un giudice monocratico a fronte di materie dalla ridotta complessità giuridica o contenuta rilevanza economica (n. 4-ter); prevedere che negli appelli di competenza del collegio, il consigliere relatore possa trattare e istruire la controversia, eventualmente ammettendo i nuovi mezzi di prova (n. 4-quater); prevedere che, se è appellato il provvedimento che definisce un procedimento sommario di cognizione, l'appello possa essere dichiarato inammissibile in base all'articolo 348-bis c.p.c. e che, ove l'appello sia ammesso, nuovi mezzi di prova possano essere consentiti solo se la parte dimostra di non aver potuto produrli in primo grado per cause ad essa non imputabili (n. 4-quinquies); più in generale, per quanto riguarda la inammissibilità dell'appello (ex articolo 348-bis c.p.c.), consentire al consigliere relatore o al giudice monocratico (v. n. 4-ter) di depositare una relazione sulle ragioni dell'inammissibilità sulla quale si apre un contraddittorio scritto con le parti, all'esito del quale il giudice assume la decisione (n. 4-quinquies); introduzione di criteri di maggior rigore nella disciplina dell'eccepibilità o rilevabilità Pag. 73delle questioni pregiudiziali di rito (es. difetto di legittimazione processuale o di una delle condizioni dell'azione).
  L'articolo 1, comma 2, lettera c), non modificato dalla Commissione Giustizia, detta quattro principi e criteri direttivi per la riforma del giudizio di cassazione: 1. rivedere la disciplina del giudizio camerale, eliminando il cosiddetto filtro in Cassazione, così come introdotto dalla riforma del 2009 all'articolo 380-bis c.p.c., per sostituirlo con un'udienza in camera di consiglio, da disporre con decreto presidenziale, alla quale intervenga anche il procuratore generale, se previsto dalla legge. A tale udienza gli avvocati delle parti non potranno partecipare, potendo però interloquire per iscritto con il procuratore generale; 2. favorire la funzione nomofilattica della Cassazione, ad esempio attraverso la razionalizzazione della formazione dei ruoli, secondo criteri di rilevanza delle questioni. La genericità di questo principio è parzialmente precisata dalla relazione di accompagnamento del disegno di legge, che precisa che occorre «imporre che la formazione dei ruoli venga effettuata non tanto e non solo in considerazione dell'anzianità della cause, ma della loro rilevanza economica, sociale e comunque nomofilattica, per evitare che nell'attesa si consolidino correnti giurisprudenziali inutilmente costose»; 3. prevedere modelli sintetici di motivazione delle decisioni della Cassazione, eventualmente attraverso il rinvio a precedenti, laddove le questioni non richiedano una diversa estensione degli argomenti; 4. prevedere una più razionale utilizzazione dei magistrati addetti all'Ufficio del massimario e del ruolo, al quale sono addetti magistrati di grado non inferiore a magistrato di tribunale e non superiore a consigliere di corte d'appello, consentendo in particolare l'applicazione dei magistrati che hanno maggiore anzianità nell'ufficio nei collegi giudicanti della Corte di Cassazione. L'articolo 1, comma 2. lettera d), del disegno di legge individua i principi e criteri direttivi per la riforma delle procedure di esecuzione forzata. La Commissione ha inserito i seguenti principi: quanto alla vendita di beni immobili, prevedere sempre le modalità telematiche, salvo che ciò non sia di pregiudizio per i creditori o la speditezza della procedura (n. 1-bis) e prevedere che, falliti tre diversi tentativi, il giudice possa disporre un ultimo esperimento di vendita a prezzo libero, garantendo a tutti gli interessati la compiuta visione dell'immobile. In caso di fallimento anche di tale ultimo tentativo, il giudice potrà dichiarare la chiusura anticipata del processo esecutivo (n. 1-ter); quanto ai beni mobili, prevedere l'impignorabilità dei beni di uso quotidiano privi di apprezzabile valore di mercato nonché degli animali di affezione (n. 1-quater); quanto al pignoramento presso terzi, determinare il valore del credito azionato nei confronti della PA, al di sotto del quale il terzo dovrà accantonare una somma pari al triplo (n. 1-quinquies); ridefinire il ruolo dell'ufficiale giudiziario nell'ambito del processo esecutivo, prevedendo una rotazione degli incarichi nell'ufficio; l'impiego di modalità telematiche; la possibilità per il debitore di dichiarare all'ufficiale la composizione del proprio patrimonio, con conseguenze penali in caso di falsità; che l'ufficiale possa svolgere alcune constatazioni formali con valore di attestazione di stato e luoghi; la regolamentazione della consegna delle chiavi delle serrature sostituite dagli ufficiali giudiziari (n. 2-bis); istituire un sistema informatico gestito dalla Polizia di Stato nel quale inserire gli estremi dei veicoli pignorati in base all'articolo 521-bis c.p.c. affinché in caso di sottrazione la polizia possa rilevare subito il reato e consegnare il veicolo all'istituto vendite giudiziarie più vicino (n. 2-ter); quanto all'espropriazione di beni indivisi, prevedere una maggiore tutela dei comproprietari non debitori; in caso di beni in comunione legale prevedere la restituzione al coniuge non debitore della metà del controvalore del bene, al lordo delle spese di liquidazione (n. 2-quater); previsione dell'ordine di liberazione degli immobili già all'atto della nomina del custode, tranne nei casi in cui l'immobile sia prima casa di abitazione del debitore (n. 2-quinquies).Pag. 74
  La Commissione ha confermato il principio e criterio direttivo (n. 2) relativo all'estensione delle misure coercitive indirette di cui all'articolo 614-bis del codice di procedura civile: il Governo dovrà prevedere che, previa istanza della parte vittoriosa, il giudice possa fissare la penale dovuta dal soccombente per l'eventuale ritardata esecuzione dell'ordine giudiziale, a fronte di qualsiasi provvedimento di condanna (e dunque non solo per gli obblighi infungibili, come attualmente previsto dall'articolo 614-bis c.p.c., ma anche per gli obblighi fungibili). È stato invece soppresso il principio relativo alla semplificazione dei riti collegati al processo esecutivo (con particolare riferimento alle opposizioni agli atti esecutivi), prevedendo l'applicazione, anziché del rito di cognizione ordinario, del rito sommario di cognizione (n. 1). L'articolo 1, comma 2, lettera e), contiene due principi e criteri direttivi per la riforma dei procedimenti speciali. In particolare, il Governo è delegato a: potenziare l'istituto dell'arbitrato intervenendo anche eventualmente sulla cosiddetta traslatio iudicii, ovvero sulla possibilità di passare dal processo all'arbitrato e viceversa. Il Governo è chiamato, inoltre, a razionalizzare la disciplina dell'impugnazione del lodo arbitrale, senza che la delega specifichi la direzione dell'intervento riformatore (n. 1). La Commissione Giustizia, nel corso dell'esame, ha inserito un ulteriore principio di delega relativo alla riforma della disciplina dell'arbitrato in materia societaria, dettando specifici criteri per l'esercizio della delega (estendere il campo d'applicazione dell'istituto; coordinamento della disciplina dell'arbitrato con le nuove competenze attribuite al tribunale delle imprese); ridurre e semplificare i riti speciali, sui quali è già intervenuto nella scorsa legislatura il d.lgs. n. 150 del 2011, omogeneizzando tre profili della procedura: contenuto degli atti introduttivi; termini processuali; modelli di scambio degli scritti difensivi. Si ricorda, peraltro, che un principio di delega prevede la modifica del suddetto decreto legislativo individuando i procedimenti speciali da assoggettare al rito semplificato di cognizione di primo grado (v. sopra, comma 2, lettera a), n. 2-quinquies). La lettera f) del comma 2 delega il Governo a riformare la disciplina della eccepibilità e rilevabilità della questione di giurisdizione, introducendo limitazioni temporali. La relazione illustrativa specifica che l'obiettivo della riforma è l'introduzione «di un meccanismo che acceleri la definizione delle questioni di giurisdizione impedendo quando oggi accade non di rado, e cioè che la questione di giurisdizione venga decisa con una declinatoria a distanza di anni dall'introduzione della causa».
  II comma 2, lettera g), non modificato dalla Commissione di merito, delega il Governo a introdurre nel codice di procedura civile il principio di sinteticità, da applicare tanto agli atti di parte, quanto agli atti del giudice. La disposizione aggiunge che il principio dovrà attuarsi «anche nell'ambito della tecnica di redazione e della misura quantitativa degli atti stessi». Presumibilmente, l'intento del legislatore è quello di applicare anche al processo civile il principio recentemente affermato nel processo amministrativo, con la previsione di limiti dimensionali agli atti di parte e con ripercussioni sul regime delle spese processuali. La lettera h) del comma 2 delega il Governo ad adeguare le norme processuali all'introduzione del processo civile telematico. Il principio di delega contenuto nell'originario disegno di legge è stato ampiamente integrato dalla Commissione Giustizia che ha specificato come il Governo debba inserire le disposizioni sull'attuazione del processo telematico nell'alveo del codice di procedura civile. Il Governo dovrà inoltre intervenire sulle modalità di identificazione degli utenti telematici, sulle modalità di deposito telematico degli atti processuali e sul conseguente rilascio dell'attestazione di avvenuto deposito; dovrà inoltre prevedere: un sistema di monitoraggio del funzionamento del sistema telematico che consenta la rimessione in termini della parti che violino i termini processuali a causa di malfunzionamenti uno schema informatico per la predisposizione degli atti processuali, accessibile anche alle persone Pag. 75diversamente abili, il possibile impiego di collegamenti ipertestuali e il caricamento di immagini, filmati e tracce sonore. Dovranno inoltre essere escluse sanzioni processuali quando, nonostante il mancato rispetto degli standard tecnici, l'atto abbia comunque raggiunto il suo scopo; le sanzioni dovranno invece essere applicate agli atti difensivi che, redatti in violazione degli standard, ledano il contraddittorio o non consentano rilevazioni statistiche. Inoltre, il Governo dovrà: individuare i casi nei quali il giudice deve depositare telematicamente i propri provvedimenti; individuare i tipi di firma elettronica da utilizzare nella sottoscrizione degli atti processuali; disciplinare la tenuta e le modalità di consultazione del fascicolo informatico; introdurre il principio di sinteticità degli atti (di parte e del giudice), assicurandone l'agevole consultazione informatica, prevedendo in caso di violazioni sanzioni processuali; prevedere la consultazione del fascicolo informatico da parte del giudice dell'impugnazione; emanare un testo unico in materia di processo civile telematico; disciplinare la modalità di rilascio della copia esecutiva; implementare i registri di cancelleria; prevedere sistemi di riconoscimento vocale per la redazione del processo verbale e attrezzature informatiche che consentano la partecipazione a distanza all'udienza civile. Un ulteriore principio di delega relativo alla digitalizzazione del processo attiene principalmente all'obbligo per imprese e professionisti di dotarsi di posta elettronica certificata e di comunicare ogni informazione anagrafica all'indice nazionale degli indirizzi PEC delle imprese e dei professionisti (articolo 6-bis del Codice dell'amministrazione digitale). L'uso della PEC farà sì che tutte le notificazioni effettuate nei confronti di tali soggetti siano telematiche; in caso di malfunzionamenti, l'atto da notificare dovrà essere inserito nel portale che gestisce l'indice nazionale e dovrà essere reso accessibile al solo destinatario. La notificazione degli atti da parte dell'ufficiale giudiziario avrà dunque carattere residuale e dovrà essere effettuata esclusivamente attraverso il servizio postale.
  La Commissione ha inserito nell'articolo 1, comma 2, due ulteriori principi e criteri direttivi relativi alla condanna al pagamento delle spese processuali. Analiticamente, il Governo dovrà modificare: l'articolo 96, terzo comma, c.p.c., che attualmente consente al giudice, in sede di pronuncia sulle spese, di condannare la parte soccombente che ha agito o resistito in mala fede al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata. La riforma dovrà specificare che tale somma può essere determinata tra il doppio e il quintuplo delle spese legali liquidate (lettera h-bis); l'articolo 91 c.p.c., sulla condanna alle spese, prevedendo che anche al di fuori dei presupposti per l'applicazione della c.d. lite temeraria (articolo 96 c.p.c.), se il giudice ritiene che la parte soccombente abbia agito o resistito con mala fede o colpa grave, possa condannarla al pagamento, oltre che delle spese processuali, di una sanzione pecuniaria in favore della cassa delle ammende. L'entità della sanzione dovrà essere parametrata al valore del contributo unificato (tra il doppio e il quintuplo) (lettera h-ter).
  L'articolo 1 del disegno di legge individua in 18 mesi il termine per l'esercizio della delega da parte del Governo (articolo 1, commi 1 e 2); la procedura da seguire nell'attuazione della delega è delineata dai commi 3 e 4 dell'articolo 1, in base ai quali: gli schemi di decreto legislativo devono essere adottati su proposta del Ministro della Giustizia; su tali schemi deve essere acquisito il parere delle competenti commissioni parlamentari (che si esprimono entro 45 giorni dalla trasmissione); se il termine di 45 giorni scade nei trenta giorni antecedenti il termine per l'esercizio della delega o successivamente, quest'ultimo è prorogato di 60 giorni; entro due anni il Governo può adottare disposizioni integrative e correttive della riforma. Per quanto concerne la copertura finanziaria, l'articolo 1, comma 5, contiene la clausola di invarianza mentre il comma 6 ammette l'impossibilità di determinare al momento gli effetti finanziari della riforma, demandando ai singoli schemi di Pag. 76decreto legislativo e alla corrispondente relazione tecnica la determinazione di oneri e conseguenti coperture.
  L'articolo 2 del disegno di legge, introdotto dalla Commissione Giustizia, abroga le disposizioni della cosiddetta Legge Fornero (legge n. 92 del 2012) che prevedono un rito speciale per le controversie aventi ad oggetto i licenziamenti illegittimi (comma 1). Si tratta dei commi da 48 a 68 dell'articolo 1 della legge, che definiscono un rito processuale «semplificato» per le controversie relative all'articolo 18 della legge n. 300 del 1970, caratterizzato dall'eliminazione di tutte le formalità procedurali ritenute non essenziali al contraddittorio nonché dalla previsione di termini brevi e prestabiliti per il compimento delle attività processuali. La principale caratteristica del rito speciale consiste nell'introduzione di due distinte fasi processuali all'interno del primo grado di giudizio: una prima fase, necessaria, volta ad assicurare una tutela urgente del lavoratore e che si conclude con una rapida decisione di accoglimento o meno della domanda; una seconda fase, eventuale, che prende avvio con l'opposizione alla prima decisione, da proporsi tramite ricorso, e che ricalca la struttura ordinaria del giudizio di merito di primo grado davanti al giudice del lavoro. La decisione di primo grado è suscettibile di reclamo davanti alla Corte di Appello a sua volta suscettibile di ricorso alla Corte di Cassazione. Il disegno di legge, nell'abolire il rito speciale, con conseguente applicazione del rito del lavoro, prevede: che alla trattazione delle controversie relative all'applicazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (licenziamenti illegittimi) i giudici dovranno riservare specifici giorni nel calendario, avendo cura di trattare e definire tali giudizi con particolare speditezza (comma 2); spetterà ai dirigenti degli uffici giudiziari vigilare sull'osservanza di questa disposizione (comma 3); una norma transitoria, in base alla quale i giudizi già introdotti con il rito Fornero prima dell'entrata in vigore della legge delega dovranno essere definiti in base al vecchio rito (comma 4); che le azioni di nullità dei licenziamenti discriminatori possono essere proposte con ricorso in base all'articolo 414 c.p.c., e dunque con il rito ordinario del lavoro, ovvero con il rito speciale previsto dal Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (articolo 38 del decreto legislativo n. 198 del 2006), o, infine, con il rito sommario di cognizione previsto dall'articolo 28 del decreto legislativo n. 150 del 2011. La scelta di uno dei suddetti riti esclude la possibilità di agire successivamente in giudizio con un rito diverso (comma 5); che le controversie relative al licenziamento del socio di una cooperativa devono essere introdotte con le modalità previste per le controversie individuali di lavoro (articolo 409 c.p.c.), salva l'applicazione della corsia preferenziale prevista per le controversie sui licenziamenti ex articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (comma 6, che richiama i commi 2 e 3).
  Con due ulteriori articoli, inseriti nel disegno di legge dalla Commissione Giustizia, si apportano modifiche puntuali alla disciplina del procedimento d'ingiunzione. In particolare, l'articolo 3 del disegno di legge modifica l'articolo 648 c.p.c., relativo alla provvisoria esecuzione di un decreto ingiuntivo in pendenza di opposizione. Rispetto alla norma Corsia preferenziale per le controversie sui licenziamenti 8 vigente – che consente la provvisoria parziale esecuzione del decreto limitatamente alle somme non contestate, salvo che l'opposizione sia proposta per vizi procedurali – la riforma allarga il campo d'applicazione della provvisoria esecuzione anche alle opposizioni proposte per vizi procedurali, chiedendo al giudice di verificare se tali vizi non siano manifestamente infondati. In caso di manifesta infondatezza, dunque, neanche un'opposizione proposta per vizi formali può impedire la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo; l'articolo 5 del disegno di legge interviene sull'articolo 634 c.p.c., relativo alla prova scritta del diritto fatto valere, idonea a fondare l'ingiunzione di pagamento o di consegna; la riforma aggiunge al catalogo di atti che possono fondare l'ingiunzione la fattura, corredata da dichiarazione sostitutiva Pag. 77dell'atto di notorietà, che attesta l'annotazione della fattura stessa nelle scritture contabili del creditore. La Commissione Giustizia ha inserito nel disegno di legge l'articolo 4, che modifica l'articolo 37 del decreto-legge n. 98 del 2011 in tema di efficienza del sistema giudiziario e celere definizione delle controversie. La disposizione specifica che i capi degli uffici giudiziari devono redigere entro il 31 gennaio di ogni anno un nuovo programma per la gestione dei procedimenti civili, amministrativi e tributari pendenti, tenendo conto dei risultati conseguiti negli anni precedenti ed evidenziando gli obiettivi di riduzione della durata dei procedimenti conseguibili nel successivo quadriennio, con particolare riferimento alle pendenze ultratriennali. Finalità della norma sembra essere quella di chiedere ai capi degli uffici una autentica nuova valutazione, all'inizio di ogni anno, dei carichi pendenti e delle modalità di gestione degli stessi, oltre che un resoconto, sempre annuale, sui risultati conseguiti con l'applicazione del programma relativo al precedente anno giudiziario. La disposizione richiede che ai programmi annuali degli uffici della giurisdizione ordinaria siano allegate le statistiche della Direzione generale di statistica del Ministero, che rilevino in particolare le pendenze civili che superano i 3, i 5 ed i 10 anni. Infine, la riforma disciplina l'assegnazione agli uffici della giurisdizione ordinaria dei fondi per l'incentivazione del personale, già previsti dal decreto-legge n. 98, stabilendo che il Ministero della Giustizia provveda rispettando le seguenti quote, tra loro cumulabili: assegnazione del 40 per cento delle risorse agli uffici che, alla data del 31 dicembre, non abbiano nessuna pendenza ultradecennale; assegnazione del 35 per cento delle risorse agli uffici che, alla data del 31 dicembre, hanno pendenze ultratriennali (in primo grado) o ultrabiennali (in secondo grado) inferiori a 20 per cento dei procedimenti iscritti; l'assegnazione del 25 per cento delle risorse agli uffici che, nell'ultimo anno solare, abbiano ridotto del 10 per cento le pendenze.