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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 579 di lunedì 29 febbraio 2016

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO

  La seduta comincia alle 15.

  PRESIDENTE. La seduta è aperta.
  Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

  ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 22 febbraio 2016.

  PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Amendola, Amici, Baldelli, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Cirielli, Costa, Crippa, D'Alia, Dambruoso, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Garofani, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Merlo, Migliore, Orlando, Pes, Gianluca Pini, Pisicchio, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scotto, Valeria Valente, Velo, Vignali e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente settantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione della relazione sullo stato dell'informazione e sulla condizione dei giornalisti minacciati dalle mafie, approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere (Doc. XXIII, n. 6) (ore 15,05).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della relazione sullo stato dell'informazione e sulla condizione dei giornalisti minacciati dalle mafie, approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
  Avverto, inoltre, che le eventuali risoluzioni devono essere presentate entro il termine della discussione.

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(Discussione – Doc. XXIII, n. 6)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.
  Avverto che, con lettera in data 26 febbraio 2016, la presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, deputata Rosy Bindi, ha comunicato di aver designato quale relatore per l'Assemblea il deputato Claudio Fava, già relatore in Commissione.
  Ha pertanto facoltà di intervenire il deputato Fava. Prego.

  CLAUDIO FAVA, Relatore. La ringrazio, signor Presidente. È la prima volta che la Commissione antimafia dedica una relazione ad hoc, specifica a questo tema. Non lo consideriamo un titolo di merito, la consideriamo una ragione di urgenza e di necessità al tempo stesso. Se sono vere – purtroppo sono vere, forse approssimate per difetto – le cifre che vengono fornite, tra gli altri, dall'osservatorio «Ossigeno per l'informazione», sul giornalismo, che ci parlano di tre colleghi minacciati ogni due giorni, e se dovessimo aggiornare l'elenco dei molti giornalisti minacciati o che hanno subito violenze con ciò che è accaduto dalla data di approvazione in Commissione antimafia di questa relazione (il 5 agosto) ad oggi, saremmo costretti ad acquisire altri, molti altri casi. Nessuno stupore: pensiamo che controllare e condizionare l'informazione, per le mafie, sia una condizione al tempo stesso di impunità e di sopravvivenza. Si tratta di controllare i territori; si tratta di costruire su quei territori legittimazione sociale; si tratta certamente, soprattutto con le mafie di ultima generazione, di realizzare condizioni di consenso, e il consenso a volte ha bisogno anche di una stampa che, se non è compiacente, deve essere almeno sottomessa, subalterna, condizionata. In che modo accade tutto questo ? Pretendendo silenzio, pretendendo obbedienza, pretendendo a volte anche connivenza.
  È il paradigma che viene applicato da ogni forma di regime, di potere violento: le teste o si piegano o si tagliano. In questo caso, di teste italiane ne sono state tagliate nove, dalle mafie, negli ultimi quarant'anni, otto soltanto in Sicilia; ed è a questi nove giornalisti uccisi che noi vorremmo dedicare il lavoro che ha fatto la Commissione antimafia, se questo Parlamento vorrà accoglierlo. Il lavoro svolto è cominciato nel luglio del 2014; 34 audizioni, come veniva ricordato: non soltanto giornalisti minacciati, ma anche direttori di quotidiani, i presidenti regionali dell'ordine dei giornalisti, il presidente nazionale, il segretario della Federazione nazionale della stampa, i magistrati che stanno conducendo indagini legate a questi casi. Abbiamo provato a mettere a fuoco diversi aspetti di questo problema: non soltanto le diverse modalità in cui si può manifestare oggi violenza o intimidazione nei confronti dei giornalisti, ma anche la molteplicità delle cause. Non tutte le cause rinviano necessariamente a poteri criminali, a volte tra le cause troviamo anche vocazioni al silenzio che vengono imposte da gruppi di potere economico-finanziario, da comunità politiche. La diffusione geografica del fenomeno ci conferma un dato anche questo preoccupante ma anche questo inevitabile, alla luce dell'esperienza che abbiamo acquisito, cioè che non c’è regione italiana, tranne la Val d'Aosta, che negli ultimi anni non abbia dovuto censire casi di minaccia o di violenza. Ancora, le conseguenze degli atti di violenza o intimidazione sulla qualità complessiva dell'informazione: l'isolamento dei giornalisti, l'autocensura delle vittime, le censure che a volte vengono imposte dai direttori o dagli editori. Qui si arriva a un altro punto delicato che abbiamo voluto approfondire, il caporalato giornalistico, cioè le condizioni di grave precarietà economica in cui si trovano a dovere operare molte delle vittime di questi atti di violenza, di queste minacce; queste condizioni di precarietà, di marginalità economica, spesso anche geografica, li rendono particolarmente deboli di fronte agli atti di intimidazione. Infine, il Comitato è stato chiamato ad indagare anche l'altro aspetto del problema di cui accennavo poc'anzi, l'informazione Pag. 3contigua, compiacente, perfino collusa con le mafie, perché se è vero che gli episodi di compiacenza a volte sono l'effetto delle minacce subite è pur vero che esiste un reticolo di interessi criminali che ha trovato in alcuni mezzi di informazione e in alcuni editori il punto di saldatura e di reciproca tutela. In entrambi i casi a patirne le conseguenze è la qualità dell'informazione e anche la qualità della democrazia, perché chi intimidisce un giornale o corrompe un giornalista provoca un immediato, a volte irreparabile, danno sociale all'intera comunità civile. Il repertorio delle minacce che abbiamo provato a censire in questo nostro lavoro, accanto a minacce di impianto più tradizionale, mette in campo ogni forma di avvertimento che oggi gli strumenti sono in condizione di offrire, anche attraverso l'uso e l'abuso dei social network o campagne di intimidazione che vengono svolte percorrendo i cammini dei social network, ma abbiamo soprattutto provato a mettere a fuoco come anche gli abusi del diritto oggi rappresentino un'efficace forma di intimidazione: azioni legali, che a volte sono soltanto minacciate, ma l'effetto di un'azione legale, sia pur solo minacciata, quando evoca richieste di danni per decine o centinaia di milioni di euro, un suo effetto lo produce subito, soprattutto nei confronti di chi ha meno capacità economica per far fronte non alla richiesta – soprattutto se questa richiesta è del tutto fallace, temeraria – ma alle spese legali a cui porta un processo. Le querele temerarie hanno avuto episodi straordinariamente significativi negli ultimi anni, in questo Paese; noi abbiamo provato a ricostruire con Milena Gabanelli, che è stata audita dal nostro Comitato, cosa voglia dire ricevere richieste per danni per 250 milioni di euro senza mai perdere una causa, fatta esclusione per i 30 mila di euro di danni cui è stata condannata al rimborso la Gabanelli; ma 30 mila euro, rispetto a 250 milioni, fanno capire quanta strumentalità ci sia nel ricorso alle querele. Quando 137 milioni vengono pretesi da una compagnia telefonica, 25 dall'Enel, 26 dalle Ferrovie dello Stato, 10 milioni dall'editore Ciancio, e quando in tutti questi casi le cause si concludono con l'assoluzione dell'imputata, siamo di fronte a un uso palese e strumentale di ciò che il diritto mette a disposizione a tutela della reputazione e che, invece, viene utilizzato, spesso, come un'arma contundente. Ma se la Gabanelli è tutelata da rapporti contrattuali che prevedono che si faccia carico la RAI delle spese legali, abbiamo pensato alle decine, centinaia di giornalisti che questa tutela non la possiedono. Abbiamo pensato al caso di Pino Maniaci, direttore di un'emittente siciliana, Telejato, che ha ricevuto 314 querele, 200 querele dalla stessa persona, la proprietaria di una distilleria, la signora Bertolino, sempre assolta, ma già il senso, il significato, l'eco di questo numero ci fa capire quale sia l'uso distorto che è stato fatto di questi strumenti giudiziari.
  Poi vi è il caporalato giornalistico. Certo, siamo in tempo di crisi, una crisi che ha espulso dal mercato 2 mila professionisti sui 18 mila giornalisti che sono iscritto all'albo dei professionisti. È una crisi che spesso poggia sulle spalle dei più deboli e i più deboli non sono i giornalisti professionisti, i più deboli sono i giornalisti senza contratto, senza tutela, i giornalisti freelance con pochi euro ad articolo che sono costretti a sommare alla fatica economica di questo mestiere anche l'esposizione, il rischio a cui questa marginalità economica li sottopone. Molti i casi ricostruiti di questo caporalato, accenniamo per la cronaca soltanto a un paio, rimandando alla relazione per la numerosa quantità di episodi che abbiamo provato a ricostruire. Vi è il caso di un collega siciliano di Agrigento, Franco Castaldo, che da vent'anni continua a percepire lo stipendio dal suo editore Mario Ciancio senza poter mettere piede in redazione perché considerato persona non grata dal suo editore per avere scritto in modo non troppo affabile e generoso di alcuni personaggi che meritavano scrittura più preoccupata e più puntigliosa; nonostante le molte sentenze del tribunale, allo stipendio ha diritto, ma a poter esercitare il suo lavoro no. La redazione siciliana Telecolor, Pag. 4la più importante emittente siciliana, normalizzata e smantellata con un tratto di penna dall'editore che ha licenziato tre quarti dei giornalisti. Delle sentenze hanno poi deciso il reintegro dei giornalisti, ma quando queste sentenze arrivano molti anni dopo, il danno ormai si è consumato.
  Vi è l'isolamento, il problema dell'isolamento dei giornalisti. La politica e l'informazione stessa sono abituati a raccontare, a volte a declamare, i casi che hanno più visibilità, ma accanto agli episodi più eclatanti noi sappiamo, e questa relazione ce ne dà una conferma, che chi rischia di più spesso opera in periferia, lontano dai riflettori, ma sotto lo sguardo attento di chi invece pretende il silenzio. Pensiamo al caso di Michele Albanese, l'unico giornalista ad avere denunciato gli inchini ai quali veniva costretta la Santa in Paese per rendere omaggio ai mafiosi che per questa ragione è stato non soltanto indicato come nemico naturale inevitabile dalla cosca mafiosa, che si è sentita ferita, umiliata, offesa, ma anche dal sindaco del paese, anche dal parroco del paese, e tutto questo pubblicamente, facendo di quel giornalista in un piccolo paese, Oppido, un naturale bersaglio per chi volesse trovare ragione per la propria rabbia. Pensiamo al caso di Ester Castano, giornalista di 24 anni, che da sola ha messo in condizione l'autorità giudiziaria di avviare procedimenti che hanno portato allo scioglimento del primo comune nella Lombardia, Sedriano o di Giovanni Tizian che viene minacciato di morte per avere denunciato nei suoi articoli a Modena il racket del gioco illegale. Storie che diventano note soltanto quando diventano irrimediabili o quando mettono formalmente e definitivamente a repentaglio la vita di questi giornalisti. Ma accanto a queste, ci sono centinaia di altre storie di cui nessuno si è occupato. Questo isolamento è una ragione di rischio in più.
  Infine, signor Presidente, vi è l'informazione compiacente. Dai giornali di Caserta, dove alcuni di questi giornali venivano utilizzati o per campagne denigratorie nei confronti di chi stava in prima linea nella lotta alle mafie o anche per trasmettere messaggi che servivano a rendere informate e edotte le cosche della zona di ciò che avveniva, al punto da costringe il tribunale di Napoli a proibire la diffusione, la distribuzione e la vendita di questi giornali nelle carceri in quella regione.
  Vi è il caso del quotidiano calabrese L'ora della Calabria che viene bloccato di notte, in tipografia, caso strano, proprio la notte in cui su quel giornale sarebbe uscita la notizia che il figlio di un sottosegretario era indagato per abuso d'ufficio e associazione a delinquere; una perizia ha verificato che non c'era alcun guasto in quella rotativa. Un caso a parte è quello dell'informazione in Sicilia, molti sono gli elementi raccolti che riconducono anche all'esistenza di un duopolio di fatto che ha molto coartato l'informazione in Sicilia. Riporto solo due episodi, accertati in via definitiva anche sul piano giudiziario, per cogliere l'opacità che ha accompagnato in alcune stagioni l'informazione sulla mafia in quella terra. Nella stessa Sicilia in cui otto giornalisti venivano uccisi, negli stessi anni in cui si consumavano quegli omicidi, poteva impunemente accadere che a Palermo l'editore del Giornale di Sicilia, Ardizzone, incontrasse Michele Greco, «il Papa» della mafia, proprio nei giorni, nei mesi, in cui la cupola mafiosa ordinava l'esecuzione di Mario Francese, inviato di giudiziaria del Giornale di Sicilia. A Catania, in anni successivi, poteva accadere che l'editore, direttore Mario Ciancio, incontrasse impunemente nel suo ufficio un capomafia, Giuseppe Ercolano, per presentargli le sue scuse per un articolo che non è stato sufficientemente attento a rispettare, come era dovuto, la personalità del capomafia.
  Signor Presidente, noi siamo di fronte ad una conferma che ci offre non tanto questa relazione, quanto la quantità di materiali raccolti, audizioni svolte, di esperienze, di memorie che abbiamo ricostruito. Fare il giornalista in un Paese percorso, lacerato della violenza della mafia vuol dire mettere in conto la possibilità di esporsi a rischio di ritorsioni o di violenza e questo possibilità è stata messa in conto, senza alcuno stupore da tutti i giornalisti con cui abbiamo parlato. Sono stati loro Pag. 5stessi a confermarci che sapevano che tutto questo rientrava tra le cose possibili. Nessuno stupore, ma molta rabbia, molta solitudine, molta frustrazione e comunque questa cifra, parliamo soltanto nel 2014 di 500 giornalisti, ci racconta di un sistema di poteri non solo mafiosi che continuano a considerare come un'intollerabile fastidio ogni voce libera, ogni cronista con la schiena dritta, che non si piega all'adulazione o alla menzogna.
  Concludendo, signor Presidente, c’è un dato positivo che questo lavoro ci consegna ed è che, nonostante i numeri allarmanti che l'Osservatorio ossigeno ci ha fornito (ricordavamo tre giornalisti minacciati ogni due giorni, più di 2 mila negli ultimi cinque anni), nonostante le condizioni di grande precarietà economica, di solitudine professionale, nonostante la distrazione complessiva in cui questo Paese accompagna le storie meno importanti occupandosi soltanto di quelle che meritano una dovuta sottolineatura, c’è una generazione di giovani giornalisti che comunque ha scelto di non piegare la schiena. Sono giornalisti poco conosciuti, schivi, che sfuggono alla luce dei riflettori, ma sono quelli che rappresentano la ragione del buon giornalismo, di cui questo Paese, soprattutto nella lotta contro la mafia, ha assoluto bisogno (Applausi).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Carfagna. Ne ha facoltà.

  MARIA ROSARIA CARFAGNA. Grazie Presidente. Colleghi, l'articolo 21 della Costituzione recita «tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure». Il nostro compito, quindi, è quello di tutelare e difendere quello che è un imprescindibile principio democratico. In quest'ottica la Commissione antimafia ha costituito il Comitato mafia, giornalisti e mondo dell'informazione, con gli obiettivi che sono stati appena esposti dal collega Fava e cioè studiare, monitorare il rapporto tra mafia e informazioni, in particolare le intimidazioni, le minacce e il condizionamento subiti da alcuni giornalisti, la diffusione geografica del fenomeno e la condizione professionale delle vittime. Il lavoro del Comitato è durato un anno, sono state svolte, come è stato ricordato, ben 34 audizioni di giornalisti, direttori di quotidiani, rappresentanti delle organizzazioni di categoria e degli ordini professionali, magistrati, e sono state acquisite oltre 4 mila pagine di documenti e di atti giudiziari. La relazione, quindi, è un atto corposo che ripercorre tutto il lavoro fatto e che contiene cose estremamente interessanti.
  Quello su cui vale la pena soffermarsi, su cui riflettere, è il quadro grave, inquietante e pericoloso emerso dai racconti dei tanti, troppi, giornalisti vittime di intimidazioni. Le organizzazioni criminali agiscono con molteplici modalità, alcune dirette e violente, altre più subdole e più insidiose, che hanno come unico scopo quello di condizionare il lavoro giornalistico, manipolando e distorcendo il racconto, per fare arrivare ai cittadini una realtà deformata e lontana dal vero, e in questa loro pericolosissima attività trovano, indubbiamente, terreno fertile nello stato critico del sistema dell'informazione del nostro Paese.
  I giornalisti ascoltati in Commissione hanno perpetrato reiterate lamentele sull'assenza di garanzie contrattuali, sullo sfruttamento professionale e sui sempre più ridotti compensi; anche alcune autorevole e prestigiose firme hanno candidamente ammesso che il lavoro delle redazioni dei giornali, delle radio e delle televisioni pesa sempre di più sulle spalle di giornalisti che sono formalmente pubblicisti, quindi meno tutelati e più deboli, più fragili nelle garanzie, spesso retribuiti per un pezzo di cronaca, anche delicato ed importante, con pochi euro. Chiaro che in questo contesto il lavoro delle organizzazioni criminali è più agevole, più semplice, più facile. Se oggettivamente è vero che le intimidazioni e le minacce condizionano la vita e il lavoro di migliaia di operatori dell'informazione, rimanendo spesso impunite, Pag. 6è anche vero che solo gli episodi più eclatanti ottengono la giusta attenzione mediatica.
  Credo vada visto certamente con favore poi, quanto è stato proposto dal presidente dell'ordine dei giornalisti, Vincenzo Iacopino, in merito alla trasparenza degli assetti editoriali e alla conoscenza della proprietà vera, effettiva, di una testata, magari istituendo un registro in modo che sia chiaro a tutti chi è proprietario, anche dei più piccoli organi d'informazione, dei siti web che fanno informazione o dei piccoli giornali locali, per riuscire a smascherare i mestatori, i calunniatori di professione, che spesso, in modo insidiosissimo e anche meschino, cercano di condizionare, chissà per quali interessi, non solo l'informazione, ma anche la politica.
  I giornalisti destinatari di violenze, di minacce, di danneggiamenti che provengono dal substrato della criminalità organizzata e altri che lamentano tipi di condizionamento diversi, meno invasivi ma certamente altrettanto gravi, sono tanti e non possono essere ignorati né tantomeno abbandonati, perché tutti questi casi che si sono verificati in tutta Italia minano quel diritto fondamentale che ho citato all'inizio: la libertà di informare e la libertà di essere informati. Lo Stato deve garantirla, deve garantirla ad ogni costo, tutelando la professione e l'attività dei giornalisti, ma anche prevedendo severe punizioni per chi le insidia. Nel nostro ordinamento oggi vi è un'unica norma penale che tutela la produzione e la diffusione di un mezzo di informazione stampato da chi agisce con violenza o con minaccia, ma non tutela il lavoro intellettuale del giornalista, la sua attività di ricerca della notizia, di elaborazione e di esternazione del proprio pensiero. Credo, e crediamo, che sia necessario rivedere la normativa, inasprendo le sanzioni e rafforzando la tutela penale contro le condotte di violenza, di minaccia e di danneggiamento, quando essi siano finalizzati a condizionare, limitare e impedire la libertà di stampa e di tutti gli altri mezzi di comunicazione.
  In conclusione, voglio esprimere la solidarietà, la vicinanza del gruppo di Forza Italia a tutti i giornalisti che, svolgendo onestamente e appassionatamente il proprio lavoro si trovano, o si sono trovati, a dover subire qualunque atto diretto a condizionarne la libertà di informazione e il sacrosanto diritto di cronaca, e sin da ora siamo pronti a garantire l'impegno e la disponibilità del gruppo di Forza Italia a contribuire ad ogni iniziativa legislativa utile a garantire e tutelare con maggiore efficacia la libertà di informare, di comunicare e di diffondere idee nell'interesse di tutti i cittadini; è un nostro obbligo, è un nostro dovere e un impegno che dobbiamo non solo alla categoria dei giornalisti, ma anche all'Italia e agli italiani che hanno il diritto di essere informati da professionisti liberi da ogni tipo ad ogni forma di condizionamento.
  Un Paese, infatti, è veramente libero quando la sua voce può definirsi libera (Applausi).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Francesco D'Uva. Ne ha facoltà.

  FRANCESCO D'UVA. Grazie Presidente. Oggi discutiamo un'importante relazione già approvata all'unanimità in Commissione antimafia: Relazione sullo stato dell'informazione e sulla condizione dei giornalisti minacciati dalle mafie. La relazione è frutto del lavoro dell'Ottavo Comitato, «Mafia, giornalisti e mondo dell'informazione», coordinato dal vicepresidente della Commissione Claudio Fava, ai cui lavori ho avuto il piacere di partecipare, avendo avuto così la possibilità di audire i giornalisti e tutti coloro che hanno accettato l'invito a contribuire ai nostri lavori, ovvero tutte le persone che sono state contattate, tranne l'editore Mario Ciancio, che seppure oggi sia stato prosciolto, deputato all'epoca, aveva preannunciato che si sarebbe avvalso la facoltà di non rispondere, e il giornalista Roberto Saviano che non ha accettato l'invito di essere audito, pazienza.
  Gli aspetti investigati hanno riguardato gli atti intimidatori nei confronti dei giornalisti, l'influenza delle organizzazioni criminali sugli organi di informazione, il Pag. 7fenomeno delle cosiddette querele temerarie e, infine, dei suggerimenti per garantire maggiormente la libertà di informazione. Fortunatamente è da più di vent'anni che non assistiamo alla morte di giornalisti uccisi dalle mafie, fenomeno che la mia Sicilia conosce bene, con otto giornalisti uccisi, di cui uno Beppe Alfano nel mio territorio, la provincia di Messina, la stessa provincia definita «Babba», ovvero sciocca perché ritenuta priva di mafia. Sorvoliamo sul fatto che si possa definire sciocco qualcosa che è privo di mafia, ma non per questo non registriamo atti intimidatori nei loro confronti: pallottole spedite, bombe inesplose, lettere e telefonate minatorie.
  L'Osservatorio su informazioni giornalistiche e notizie oscurate, Ossigeno, ha registrato ben 2763 intimidazioni dal 2006 ad oggi. Un numero preoccupante per un Paese civile come dovrebbe essere Italia. Nella relazione sono citati dei casi, riportati dei nomi, emersi durante le audizioni svolte, ma sia chiaro che la relazione non vuole essere un elenco dei bravi giornalisti o qualcosa di questo tipo. Quella che credo essere la parte più interessante della relazione è la parte riguardante l'influenza delle organizzazioni criminali sugli organi di informazione. Questa può avvenire attraverso le già citate intimidazioni, certo, ma il caso più interessante da analizzare è quello delle infiltrazioni, delle cointeressenze. Sono riportati dei casi abbastanza interessanti, tre in particolare riguardano le zone meridionali: Sicilia occidentale, Sicilia orientale e Calabria.
  Per la Sicilia occidentale si riporta il caso del Giornale di Sicilia, il cui editore e direttore è stato Ardizzone, amico del boss Michele Greco, condannato per l'omicidio del giornalista della stessa testata, Mario Francese. Oltre alle testimonianze raccolte in Comitato sulla solitudine di Mario Francese nel suo lavoro per raccontare la verità, si fa notare come in quel giornale vi fossero argomenti tabù, che costarono il posto di lavoro al vice-capocronista La Licata, colpevole di aver pubblicato notizie sulle dichiarazioni dei primi pentiti – contestualizzando, Presidente, siamo nel 1985, quindi chiaramente all'epoca ancora si sapeva ben poco della organizzazione di Cosa Nostra.
  In Sicilia orientale, invece, è riportato l'esempio di Mario Ciancio, editore del quotidiano più letto della zona La Sicilia, il quale era stato rinviato a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa e oggi risulta prosciolto. Non volendo, nel pieno esercizio della funzione legislativa, andare a commentare, per non dire criticare, la funzione giudiziaria, mi limiterò a definire in questa sede comportamenti rilevati come deontologicamente scorretti: dalla mancata pubblicazione dei necrologi del giornalista Giuseppe Fava e del commissario di polizia Beppe Montana, alla pubblicazione degli scritti privi di contestualizzazione sui personaggi riguardanti Angelo Ercolano, nipote del boss Pippo e Vincenzo Santapaola, figlio del boss Nitto, per non parlare di un giornalista redarguito di fronte a un boss mafioso, per aver definito «boss mafioso» un boss mafioso !
  In Calabria, invece, accade che le tipografie si guastino pur di non mandare in stampa articoli scomodi. Accade che giornalisti che riportano informative sulle forze dell'ordine vengano prima minacciati dalla mafia e poi licenziati dei direttori. Accade che la DDA venga attaccata dalla stampa, sulla base di forzate ritrattazioni di collaboratori di giustizia e lettere di familiari artatamente allegate. Insomma, una situazione più grave e più attuale di quella registrata in Sicilia.
  Per concludere, Presidente, voglio far notare come l'ordine dei giornalisti possa certamente fare di più sul tema della lotta alla mafia, perché va sì bene ricordare i giornalisti che hanno perso la vita per fare il proprio lavoro, ma ciò che oggi è davvero importante è assicurarsi che sia riconosciuta la dignità dei freelance, perché un pezzo non può essere pagato pochi euro mentre si rischia la vita per cercare di portare alla luce verità scomode.
  Per come è messa oggi la professione, non servono più le minacce dei mafiosi, le pallottole o altri atteggiamenti, basta minacciare causa civile, la sopra citata querela temeraria, e un precario sprofonda Pag. 8nella disperazione perché viene abbandonato a sé stesso, senza nessuno che lo possa o lo voglia aiutare. Se vogliamo un giornalismo libero di combattere le mafie, che sia protetto dalle mafie, è necessario che sia riconosciuto il suo valore anche economicamente, perché ormai solo una minima parte dei giornalisti ha grandi giornali alle spalle, pronti a difenderli. La maggior parte sono giornalisti che onorano questa professione sul campo e quindi non possiamo dare solo solidarietà quando accade il peggio, quando ormai è troppo tardi, perché a quel punto nessuno è più innocente ma saremo tutti responsabili.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la presidente Bindi. Ne ha facoltà.

  ROSY BINDI, Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali. Signor Presidente, chiedo scusa ma pensavo che fosse iscritto qualcuno per il mio gruppo, perché io parlo per depositare la risoluzione. La Commissione parlamentare antimafia ha lavorato molto in questi due anni e mezzo, producendo – credo – lavori pregevoli, che sono stati d'altra parte ritenuti tali dal voto pressoché unanime delle due Assemblee oltre che dai lavori della Commissione, ma credo che debba essere riconosciuto a questa relazione un valore che potrei definire tipico di una Commissione d'inchiesta, non solo perché, come ricordava il relatore, il vicepresidente Fava, è la prima volta che la Commissione antimafia nella sua storia cinquantennale affronta questo argomento e iniziare ad indagare un tema così delicato credo che sia già un contributo molto importante per il presente ma soprattutto per il futuro dei lavori della Commissione parlamentare antimafia, ma perché questa relazione si iscrive appunto nelle relazioni tipiche delle Commissioni d'inchiesta per il metodo di lavoro che è stato seguito ma soprattutto per dei risultati che aggiungono alla teoria e alla prospettiva di riforma un'inchiesta sui singoli casi chiamando per nome e cognome le persone e le situazioni. Dunque come tale è una relazione coraggiosa. Non è stato un lavoro scontato, non è stata scontata l'approvazione di questa relazione proprio perché voglio ricordare, a quarant'anni dalla relazione di Pio La Torre, in questa come nell'altra relazione si chiamano per nome e cognome le persone e le situazioni e non sempre le fonti sono gli atti giudiziari. Il lavoro della nostra Commissione è un lavoro sicuramente facilitato dalle indagini della magistratura, ma le Commissioni parlamentari d'inchiesta hanno e devono avere a loro disposizione anche ulteriori strumenti che in questa relazione sono stati utilizzati. Sono stati utilizzati coinvolgendo i protagonisti, andando a evidenziare le contraddizioni che attraversano il rapporto tra informazione e criminalità organizzata delle mafie.
  Quindi, innanzitutto, attraverso la risoluzione che presento voglio sottolineare l'importanza di questo lavoro e voglio altresì rappresentare un altro elemento che rende questa relazione particolarmente preziosa. Tra qualche giorno, mercoledì, presenteremo insieme al procuratore Roberti la relazione annuale della Direzione nazionale antimafia; ogni anno noi veniamo chiamati a riflettere sul fenomeno delle mafie, sempre uguale a se stesso e sempre così capace di cambiare, di mutare e di adattarsi alle situazioni, di essere attraversato da mille contraddizioni. Ecco, in questa relazione noi facciamo la fotografia ad un mondo che più di altri ci mostra questa capacità delle mafie di essere sempre uguali a se stesse e sempre capaci di cambiamento e di essere una realtà difficile da indagare perché le verità e le menzogne si intrecciano in una maniera che potremmo definire incestuosa; infatti, questa relazione è la prima su questo tema. Ce ne sarà una seconda che andrà a far parte di un'inchiesta più ampia che è quella dell'antimafia, perché accanto ai giornalisti minacciati, accanto all'uso da parte delle mafie dell'editoria e dell'informazione, c’è anche un capitolo importante che dovremo scrivere e che in questa relazione è Pag. 9iniziato, ma diciamo sicuramente non completato, su come si può usare l'informazione come lotta, come strumento di antimafia che, a sua volta, diventa uno strumento per riaffermare i poteri della mafia. È accennato nelle minacce che certa stampa rivolge nei confronti di chi combatte la mafia, nel tentativo di calunniare e di distruggere l'integrità della persona che è in prima linea a combattere le mafie; credo che su questo capitolo noi dovremo indagare ancora di più e da questo punto di vista, dicevo, è un esempio tipico di come si possa entrare dentro un mondo che presenta numerose contraddizioni e difficile interpretazione. L'altro aspetto che voglio sottolineare con forza, come anche chi mi ha preceduta negli interventi ha fatto, è che ciò che oggi rende più vulnerabile chi svolge un lavoro in materia di informazione è la precarietà del rapporto di lavoro. Un giornalista non può non essere libero perché non gli viene riconosciuto pienamente il suo diritto a svolgere il proprio lavoro; l'essere condizionato dalla precarietà più che dal non adeguato compenso economico del lavoro che viene svolto rende continuamente ricattabile l'esercizio di questa funzione fondamentale. Il nostro diritto ad essere informati è legato alla libertà di coloro che ci devono informare e in un Paese nel quale non esiste di fatto il mestiere dell'editore, perché non esiste di fatto se non la stampa che viene finanziata da chi a sua volta è imprenditore di altri settori, ciò rende ancora più difficile e più ricattabile l'esercizio di questa professione quando non c’è un rapporto di diritto di lavoro che consenta che quel rapporto non si interrompa se quel pezzo che si scrive o quelle parole che si dicono non sono gradite a chi finanzia quell'informazione. Oggi la vera minaccia che arriva ai giornalisti, che sono in prima linea soprattutto nella stampa locale, è prevalentemente legata a questo dato che tocca alle istituzioni risolvere.
  Questa relazione certamente è dedicata a tutti coloro che sono stati uccisi, è dedicata a tutti coloro che sono minacciati, è dedicata a tutti coloro che ricevono querele temerarie, ma è prevalentemente dedicata a coloro che si trovano in una posizione che li rende, in qualche modo, già minacciati nel momento in cui devono esercitare la loro professione.
  A questo aspetto va posto in qualche modo rimedio, io credo, perché la precarietà del rapporto di lavoro è la negazione di un diritto e vale per tutti i lavoratori; ma quando a quel lavoro è legata la tutela di un diritto fondamentale scritto nella Costituzione noi dobbiamo sentirci ancora più impegnati. Questo soprattutto in un Paese come il nostro dove la presenza delle mafie sono un potere non semplicemente criminale, ma un potere in relazione con tutti gli altri poteri.
  Possiamo pensare che non c’è interesse nella società di oggi dove l'informazione è il vero potere a condizionare il potere dell'informazione non avere relazioni con quel potere ? A non avere relazioni con chi, a sua volta, ha in mano l'esercizio di un dovere e di un diritto così importante ? Questa relazione giustamente si conclude con alcune proposte che saranno oggetto eventualmente di proposte di intervento legislativo, anche da parte della Commissione, come sempre abbiamo fatto su tutti i temi sui quali abbiamo lavorato e stiamo lavorando, ma credo sia fondamentale non fermarci ad esprimere solo solidarietà di fronte a un tema come questo ma occorre anche porvi assolutamente rimedio. Questo vale soprattutto per la stampa locale, vale soprattutto per le piccole testate, vale soprattutto per i giornali locali, vale soprattutto in alcune realtà come, per esempio, in Calabria dove non esiste una testata riconducibile a gruppi nazionali e l'informazione locale è tutta in mano a poteri economici locali, a loro volta, condizionati da poteri mafiosi; vale per alcune zone della Campania e per alcune zone della Sicilia dove l'informazione locale ha molti più lettori e molti di più ascoltatori di quanto non ce l'abbiano le reti o le testate nazionali e chi lavora in quelle testate è particolarmente sottoposto a questo ricatto e a questa contraddizione.
  Con questa relazione vogliamo richiamarci tutti, ripeto, ad una consapevolezza: Pag. 10il diritto-dovere dell'informazione contenuto nella nostra Costituzione è decisamente minacciato in questo Paese perché ci sono le mafie, e anche perché, come in tutti gli altri settori, stiamo offrendo alle mafie un sistema particolarmente ricattabile e penetrabile da parte loro e, quindi, bisogna intervenire sul sistema dell'informazione.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.

(Annunzio di una risoluzione – Doc. XXIII, n. 6)

  PRESIDENTE. Avverto che è stata presentata la risoluzione Bindi, Fava, D'Uva, Carfagna e Garavini n. 6-00211 (Vedi l'allegato A – Doc. XXIII, n. 6), che è in distribuzione.

(Intervento e parere del Governo)

  PRESIDENTE. Chiedo al rappresentante del Governo se intenda intervenire ora, anche per esprimere il parere sulla risoluzione presentata oppure si riservi di intervenire in altra seduta.

  GENNARO MIGLIORE, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Grazie, signor Presidente, colleghe e colleghi del Commissione antimafia, intervengo ora dopo aver ascoltato con grande interesse ad apprezzamento gli interventi che hanno fatto seguito alla presentazione di questa risoluzione.
  Esprimo il parere favorevole del Governo in merito alla risoluzione che è stata presentata.
  Si tratta dell'impegno che il Governo intende assumersi in maniera costante e celere sia sul versante degli interventi che sono stati richiesti in materia di tutela delle persone impegnate nel mondo dell'informazione sia sul comparto più generale dell'informazione che, come è stato qui ricordato, riguarda un diritto fondamentale sancito e custodito dalla nostra Costituzione.

  PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della relazione su possibili proposte normative in materia penale in tema di contraffazione, approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo (Doc. XXII-bis, n. 1).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della relazione su possibili proposte normative in materia penale in tema di contraffazione, approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo (Doc. XXII-bis, n. 1).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
  Avverto inoltre che le eventuali risoluzioni devono essere presentate entro il termine della discussione.

(Discussione – Doc. XXII-bis, n. 1)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.
  Ha facoltà di intervenire il deputato Mario Catania.

  MARIO CATANIA, Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo. Grazie Presidente, desidero prima di tutto esprimere una particolare soddisfazione per il dibattito a cui diamo avvio oggi, il quale ci consente di esaminare una tematica, quella della contraffazione, che merita un'attenzione particolare ed un approfondimento da parte di tutta la classe dirigente del nostro Paese. La relazione Pag. 11a cui facciamo riferimento oggi è quella che prende in esame le possibili proposte normative in materia penale in tema di contraffazione, non senza aver fatto precedere un inquadramento generale sul fenomeno della stessa. La prima parte della relazione, infatti, funziona come inquadramento ed introduzione di carattere generale per tutti quelli che saranno i lavori della Commissione stessa mentre in una seconda parte di questo testo, nella seconda parte della relazione, si esamina più da vicino il quadro della normativa penale vigente e le possibili proposte di modifica che la Commissione intende suggerire all'attenzione dell'Assemblea e del Governo.
  La Commissione d'inchiesta sulla contraffazione, che ho l'onore di presiedere, ha iniziato i suoi lavori nel luglio del 2014 ed ha svolto una grande mole di lavoro, che ha visto più di 60 auditi sino ad oggi, in trentotto sedute di audizione, scaglionate nel corso del tempo; si tratta di personalità provenienti dal mondo delle istituzioni e della produzione nonché da rappresentanze sociali relative a organizzazioni di consumatori o degli stessi sindacati dei lavoratori; sono state audizioni particolarmente utili, tutte, nessuna esclusa, sia quelle che hanno visto membri del Governo sia le altre, che hanno visto rappresentanti delle forze di polizia, molti rappresentanti della magistratura, più operativa nella problematica in questione sino, come ripeto, ai rappresentanti del mondo del lavoro e delle imprese.
  Abbiamo già licenziato cinque relazioni, quindi, oltre a quella che esaminiamo oggi, ce ne saranno altre quattro; la prossima che sarà all'esame dell'Aula, già calendarizzata, è quella che riguarda il circuito della moda e del tessile e che ruota intorno all'attività delle imprese nel distretto di Prato che, per tutta una serie di circostanze storiche e anche di carattere economico, riveste un particolare significato per l'intreccio di problematiche derivanti anche dalla forte immigrazione presente in loco di origine cinese, che ha permeato il mondo produttivo di questo distretto.
  Oggi parleremo invece di una relazione che ha come perno l'esame della problematica di ordine penale, ossia il miglioramento in sostanza del quadro normativo di contrasto alla contraffazione, e che ha, già lo accennavo, una parte introduttiva, una prima parte che esamina le caratteristiche generali del fenomeno. Il fenomeno della contraffazione è ormai diventato planetario, non lascia esente nessuna area del pianeta.
  La contraffazione insegue, infatti, tutti i mercati e tutti i comparti merceologici, senza alcuna eccezione. In questo senso già la nostra attività di inchiesta ci ha consentito di registrare un forte cambiamento avvenuto negli ultimi trent'anni: la contraffazione, che conoscevamo fino a 25-30 anni fa, era concentrata soprattutto su alcuni settori merceologici; era un fenomeno che riguardava, in particolare, il circuito della moda e del tessile; oggi, invece, il quadro è completamente cambiato. Le audizioni ed il lavoro che abbiamo svolto ci hanno fatto comprendere come nessun comparto produttivo oggi sia esente dalla contraffazione. L'unico parametro che muove gli autori della contraffazione stessa è la possibilità di registrare un lucro dalla contraffazione medesima. Quindi, si procede alla contraffazione di qualsiasi prodotto, purché il mercato consenta, dalla contraffazione stessa, di avere un ritorno in termini di reddito per questa attività criminosa. Quindi, contraffazioni nel settore del farmaco, dei giocattoli, dell'alimentare, nei settori della meccanica, dei prodotti per la casa, dei cosmetici; non c’è nulla che sia esente oggi dalla contraffazione.
  Questo già dà la percezione di un fenomeno che è cresciuto nella sua gravità ed è un fenomeno che, per sua natura, colpisce in modo più vivo quelle aree economiche, quei settori produttivi, quelle nazioni, come nel caso del nostro Paese, che hanno un sistema produttivo maggiormente orientato verso la qualità, verso l'innovazione, verso la tecnologia. Dove c’è un sistema produttivo di questo tipo c’è anche, ovviamente, un forte ricorso alla proprietà intellettuale, sia essa diritti di proprietà industriale sia essa Pag. 12la branca del diritto d'autore; dove c’è proprietà intellettuale, quindi, c’è poi contraffazione. Ecco, quindi, che la contraffazione è un'attività criminosa di per sé, massimamente lesiva nei confronti di quelle nazioni e di quei sistemi produttivi più orientati alla qualità.
  Si calcola che in Europa quasi il 40 per cento del PIL sia legato alla proprietà intellettuale. L'Europa nella sua globalità ha un forte orientamento verso qualità, tecnologia e innovazione. Quindi, il 40 per cento del PIL europeo è legato ad attività economiche suscettibili di fenomeni di contraffazione. L'Italia è ancora più esposta; è una delle punte di diamante dell'Europa sotto questo aspetto e, insomma, sarà forse superfluo ricordare quanto siamo presenti in comparti come moda, tessile, abbigliamento e altro ancora, ma non è solo quello perché noi abbiamo anche una manifattura, in generale, di altissima qualità, di orientamento e di forte caratterizzazione tecnologica; abbiamo un alimentare anch'esso con marchi importanti oggetto di contraffazione e abbiamo presenze di questo tipo in tutti i settori produttivi.
  Ecco, quindi, che la contraffazione e la lotta alla contraffazione diventano per noi un banco di prova fondamentale. Il nostro circuito di imprese soffre della contraffazione come pochi altri nel mondo e ci sono addirittura dei settori merceologici dove il livello di allarme derivante dalla contraffazione è considerato il più elevato rispetto ad ogni altro. Ci sono imprenditori che ci hanno detto che il primo dei loro problemi nell'attività operativa, al di là della burocrazia, al di là della pressione fiscale, al di là delle rigidità del sistema del settore del lavoro, è costituito proprio dalla contraffazione. Ecco, quindi, che per noi – lo ripeto – la contraffazione è un banco di prova fondamentale.
  Voglio ricordare incidentalmente che la relazione e che il mandato della Commissione d'inchiesta non riguardavano e non riguardano soltanto la contraffazione in senso stretto, perché erano compresi, nel nostro mandato di approfondimento, anche delle fenomenologie collaterali. Mi riferisco, in particolare, all'usurpazione del made in Italy e poi all’italian sounding, che sono fenomeni gravissimi per il nostro Paese, in fortissima crescita su tutti i mercati mondiali e anch'essi fortemente lesivi degli interessi delle imprese italiane.
  Ricordo poi incidentalmente – e anche questo ce lo ha evidenziato l'attività di inchiesta condotta – che la contraffazione non è soltanto lesiva per gli interessi delle imprese; la contraffazione tocca anche gli interessi dei consumatori. Qui la situazione è assai variegata, perché abbiamo situazioni in cui c’è una consapevolezza del consumatore nel momento dell'acquisto del bene contraffatto, ma vi sono anche altre realtà merceologiche dove, il più delle volte, il consumatore è all'oscuro del fatto che acquista un bene contraffatto.
  Quindi, ci sono posizioni comunque variamente da tutelare: anche quando è consapevole, comunque il consumatore subisce un danno, perché il più delle volte il bene contraffatto che lui acquista, anche se lui ne è consapevole, è un bene che comunque è inferiore a quelle che sono le aspettative riconducibili al bene stesso. Quindi, il consumatore, oltre all'impresa, ma anche poi i lavoratori e, in generale, tutta la collettività.
  Il mondo del lavoro è ugualmente tra le parti lese dalla contraffazione, perché la contraffazione sottrae al lavoro legale una parte importante di attività. I beni contraffatti sono prodotti in filiere totalmente illegali, quindi con presenza di lavoro nero, spesso in Paesi fuori dall'Italia dove c’è anche il ricorso alla manodopera infantile su larga scala e, quindi, senza garanzie, colpendo anche i principi basilari di quello che dovrebbe essere un corretto mercato del lavoro.
  In ultima analisi, sono vittima della contraffazione anche le collettività e, quindi, l'intera collettività nazionale nel caso nostro, perché la contraffazione comporta evasione fiscale, sottrae un gettito fiscale rilevante proprio perché è filiera interamente illecita: dalla formazione del Pag. 13bene fino alla commercializzazione finale del bene stesso, tutto avviene in una sequenza di illegalità.
  Cos'altro dire rispetto a quello che è emerso dal nostro lavoro e che è contenuto nella relazione ? Ho già accennato al fatto che nessun settore merceologico è più indenne dalla contraffazione, come anche le ricadute molteplici del fenomeno e la capacità di lesione plurima che il fenomeno stesso comporta.
  Direi che poi va sottolineato il carattere transnazionale dell'illecito. Anche in questo senso la contraffazione, negli ultimi trent'anni, è radicalmente cambiata: da fenomeno locale, che si snodava secondo filiere e logiche di territorio, è diventata oggi fenomeno transnazionale. I beni contraffatti sono prodotti laddove nel mondo è più facile farlo e con i costi più bassi; sono poi distribuiti sui mercati più remunerativi, secondo logiche criminali che ricalcano quelle dell'ottimizzazione dell'attività d'impresa, sia pure un'impresa criminale.
  C’è in ultimo da segnalare – e anche questo è oggetto del lavoro che stiamo facendo – il nuovo fronte dell’e-commerce. Il web anche, come in molti altri comparti della nostra vita, ha completamente innovato rispetto al quadro esistente. Oggi molto commercio passa attraverso il canale del commercio elettronico e in alcuni casi – penso, ad esempio, alle lesioni specificamente del diritto d'autore – la problematica si è spostata totalmente, nell'arco di 25-30 anni, dal commercio tradizionale al web. Le lesioni del diritto d'autore che avevamo 25 o 30 anni fa, come tutti ricordiamo, erano quelle in cui il prodotto contraffatto, come ogni altro prodotto, veniva commercializzato fisicamente (il cd o addirittura il VHS di una volta contraffatti). Oggi tutta la dinamica del diritto d'autore, delle lesioni e degli illeciti gravanti sul diritto d'autore passano attraverso il web e le sue dinamiche. Su questo abbiamo avviato, proprio in queste settimane, un ulteriore approfondimento, con una relazione che speriamo di portare qui in Aula, se sarà possibile, nell'inverno prossimo.
  Infine – e mi avvio a concludere –, la relazione di cui discutiamo oggi aveva un focus particolare sulla normativa penale in vigore attualmente in materia di contrasto alla contraffazione. Noi abbiamo un impianto originario di norme, che è quello introdotto dal codice Rocco in un contesto storico lontanissimo, completamente cambiato rispetto a tutto quello che concerne e ruota intorno alla contraffazione e sul quale si è poi sovrapposta, negli ultimi dieci anni, una legislazione piuttosto abbondante del Parlamento, che però ha avuto il carattere di una certa frammentarietà e di un'assenza, a mio avviso, di visione generale. Su questo, la relazione contiene proposte e indicazioni che auspico e sono convinto verranno prese in considerazione sia dall'Assemblea sia dal Governo (Applausi).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Donati. Ne ha facoltà.

  MARCO DONATI. Presidente, con la delibera del 25 settembre 2013 la Camera dei deputati ha istituito anche nella presente legislatura una specifica Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo, con l'obiettivo di approfondire le questioni relative alla produzione e al commercio dei prodotti che infangano la proprietà intellettuale ed indicare le iniziative necessarie per migliorare l'attività di contrasto.
  I lavori, Presidente – lo dico anche al Governo così autorevolmente oggi rappresentato –, hanno consentito e consentono di proseguire quanto fatto dai colleghi negli anni precedenti, e oggi possiamo affermare che la decisione di istituire la Commissione anche in questa legislatura è assolutamente corretta.
  La contraffazione è un fenomeno ancora pervasivo – lo ricordava il presidente Catania – esteso ormai a tutti i settori produttivi e caratterizzato da flessibilità rispetto anche alle esigenze mutevoli del mercato. È un fenomeno globale nella produzione e nei consumi, tanto che, a livello internazionale, Pag. 14le stime dell'Organizzazione mondiale del commercio ritengono che i beni contraffatti rappresentino tra il 5 e il 7 per cento del commercio mondiale, per circa 600 miliardi di dollari l'anno, mentre secondo l'OCSE, ogni anno, su scala globale, si assommano attraverso i confini statali merci per un valore di circa 250 miliardi di dollari.
  Negli ultimi anni la contraffazione è diventata sempre più un fenomeno pervasivo e ramificato, che tocca, con caratteristiche diverse, tutti i comparti produttivi. Nell'epoca della globalizzazione, infatti, qualsiasi prodotto presenti margini di profitto interessanti per gli autori dell'illecito diventa oggetto di contraffazione.
  La Commissione europea riferisce che, dal 2013, il 25 per cento dei prodotti sequestrati erano potenzialmente pericolosi per la salute e la sicurezza dei consumatori, e l'aspetto più allarmante è che in alcuni di questi casi i prodotti riescono ad inserirsi nella filiera legale, andando a colpire anche i consumatori ignari.
  Quanto all'Italia, come evidenziato dal rapporto del Mise e del Censis del 2014, il fatturato di queste attività illecite è pari a 6 miliardi 535 milioni di euro, e si stima che la contraffazione sottragga al sistema economico legale nazionale 17 miliardi 770 milioni di produzione, 6 miliardi 400 milioni di valore aggiunto, 5 miliardi 280 milioni di entrate erariali. Poi, sono 105 mila le unità di lavoro, pari allo 0,44 circa dell'occupazione complessiva nazionale, che vengono perdute.
  Analogamente a quanto accade in ogni altro Paese colpito, la contraffazione provoca in Italia molteplici effetti dannosi, riducendo il fatturato delle imprese e determinando una concorrenza sleale nei confronti delle medesime, distruggendo posti di lavoro e generando evasione fiscale.
  Sullo sfondo resta, poi, l'effetto forse più grave e consistente nel lucro realizzato dalla criminalità organizzata. Non dimentichiamoci, Presidente, che le merci contraffatte sono spesso potenzialmente dannose per la salute di chi le utilizza o, peggio, le consuma. Il made in Italy, in particolare, subisce l'attacco dell'industria del falso internazionale ed interno, che in Italia, secondo la Guardia di finanza, ha un volume d'affari quantificato fra i 4 e i 7 miliardi di euro l'anno. Il settore più esposto alla contraffazione è quello dei prodotti della moda.
  Il fenomeno della contraffazione è, peraltro, sostenuto, purtroppo, anche da una forte, domanda da parte dei consumatori e della percezione di esso, in alcune fasce della popolazione, come forma di sostentamento delle persone indigenti. Purtroppo, sussistono indubbiamente sensibili differenze al riguardo, a seconda dei comparti merceologici, ma emerge anche dalle audizioni in Commissione che complessivamente il comportamento e l'accettazione nei confronti della contraffazione renda assai più difficile l'azione di prevenzione e di repressione.
  Per tali ragioni, assume particolare rilievo l'impegno delle istituzioni, della pubblica amministrazione e delle organizzazioni di categoria nell'attività di persuasione finalizzata a far comprendere tutte le gravi implicazioni di questo illecito, a partire dalle ricadute negative sulla salute dei consumatori ed al ruolo della criminalità organizzata. L'introduzione di una precisa regolamentazione nell'uso di indicazioni di vendita che presentino il prodotto come interamente realizzato in Italia ha fatto sperare che si sarebbe posto un argine all'invasione di prodotti falsificati.
  Lo stesso può essere detto per la legge 8 aprile 2010, n. 55, che ha dettato disposizioni concernenti la commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri, anche con riferimento alla riconoscibilità e tutela dei prodotti italiani e prevedendo l'uso dell'indicazione made in Italy esclusivamente per i prodotti le cui fasi di lavorazione abbiano avuto luogo prevalentemente nel territorio italiano. Come è noto, tuttavia, tale disciplina è stata congelata, nel 2010, da una direttiva della Presidenza del Consiglio dei ministri, che ha precisato che tutte le disposizioni possono considerarsi applicabili solo successivamente all'approvazione dei decreti attuativi e all'armonizzazione con il diritto comunitario.Pag. 15
  Purtroppo la vicenda si inquadra nello scontro aperto in Europa tra i Paesi manifatturieri, che hanno tutto l'interesse ad affermare una tutela stretta del made in, come il nostro Paese – seppure non in contrasto con le regole europee sulla competitività –, e i Paesi che invece potremmo definire «commercianti», che invece hanno l'interesse opposto. In questa disputa, il Parlamento ha prevalso sulla Commissioni. Infatti, il 15 aprile 2014 ha approvato, con larghissima maggioranza, il pacchetto legislativo per la tutela dei consumatori europei da prodotti falsi e nocivi. La nuova disciplina impone di apporre il made in sia ai prodotti non alimentari realizzati in Europa sia a quelli extra-europei. Il decreto legislativo del 21 febbraio 2014 ha attuato la direttiva 2011/83/UE, dell'Unione europea, sui diritti dei consumatori, che tutela anche giuridicamente il consumatore dall'acquisto di eventuali falsi.
  Un discorso a parte merita, invece, Presidente, un fenomeno connesso ma diverso, che citava prima anche il presidente Catania, legato non tanto alla contraffazione ma al processo di italian sounding, cioè l'immissione sui mercati di prodotti non italiani che evocano le caratteristiche essenziali di quelli originari del nostro Paese, senza, tuttavia, purtroppo, fenomeni evidenti di contraffazione distintivi dell'azienda o dei prodotti stessi. L’italian sounding è un fenomeno caratteristico dei mercati esteri, ove è più facile ingannare i consumatori con evocazioni di questo tipo. Il quadro giuridico internazionale risulta talmente lacunoso in questa materia che nella maggior parte del Paese extra-europei non trovano tutela neppure i prodotti agroalimentari riconosciuti quali DOP o IGP dall'Unione europea. La tutela di tali prodotti al di fuori dell'Unione resta quindi affidata agli accordi internazionali che l'Unione stessa riesce a concludere con i Paesi terzi, nonché alle registrazioni dei marchi effettuate dai consorzi. A livello economico, l'impatto delle imitazioni dei prodotti agroalimentari italiani risulta assai rilevante, con un fatturato che si aggira intono ai 60 miliardi di euro l'anno, come emerge dal terzo rapporto agro-mafie elaborato da Eurispes, Coldiretti, Osservatorio sulla criminalità nell'agricoltura e sul sistema agroalimentare. Il fenomeno sembra essere in crescita costante: tra il 2001 e il 2010 gli episodi di italian sounding sono aumentati del 180 per cento, con punte massime miste negli Stati Uniti, in Canada e in Centroamerica. Il contrasto di questo fenomeno in ambito internazionale si presenta quindi assai arduo, non potendo far leva sugli abituali strumenti giudici disponibili nei confronti dei comportamenti illegittimi. La tutela dei veri prodotti italiani resta quindi affidata soprattutto a un'opera di educazione dei consumatori ed alla capacità di affermazione dei nostri marchi. In questo senso, non posso che apprezzare l'impegno del Governo e del Viceministro Calenda, che, prima di passare ad altro prestigioso incarico e grazie alle risorse inserite nella legge stabilità, ha promosso una campagna per rendere riconoscibili i nostri prodotti in alcuni importanti mercati internazionali. Va rilevato che la recente legislazione penale italiana ha inteso contrastare sul territorio nazionale i più gravi casi di evocazione ingannevole, assimilandoli al falso made in Italy.
  Il gruppo del Partito Democratico è stato fortemente impegnato nell'attività della Commissione parlamentare d'inchiesta ed è molto determinato a sostenere una forte azione della Commissione per la tutela del made in Italy e per la prevenzione della contraffazione. Lo facciamo esprimendo una forte volontà ad avere norme chiare, efficaci, semplici, ma anche ribadendo con forza un profilo culturale e una visione politica su questo tema. Lo stesso Presidente del Consiglio si è pronunciato più d'una volta sulla necessità di andare in questa direzione, parlando proprio di quell'Italia che fa l'Italia – ovvero le produzioni di bellezza e di qualità – per dare forza ai primi segnali di ripresa.
  La relazione del presidente Catania evidenzia la necessità di procedere verso un lavoro di riordino e di innovazione normativa che intervenga anzitutto a livello sovranazionale. In un'epoca di economia Pag. 16globalizzata e profondamente interconnessa come quella attuale, rivestono un ruolo chiave le strategie di contrasto ai fenomeni contraffattivi di portata internazionale. Occorre infatti mettere in campo strumenti di lotta alla contraffazione e alla pirateria che sappiano proiettarsi su scala planetaria ed implementino le azioni già intraprese a livello internazionale e comunitario. Mentre le argomentazioni sui diritti d'autore, di proprietà industriale ed intellettuale risultano prossime ad una stretta efficace, le disposizioni in materia di contrasto al fenomeno della contraffazione risultano invece assai limitate e riguardano principalmente l'attività delle dogane e di osservatori internazionali. Si insiste anche su una promozione di carattere culturale basata su una forte alleanza tra produttori e consumatori, informando chiaramente quest'ultimi sulla provenienza delle materie prime e su ognuna delle fasi della produzione. In materia penale, la relazione intende analizzare i problemi sia di natura sostanziale che processuale, che la Commissione ha avuto modo di approfondire.
  La Commissione propone di prevedere un reato di contraffazione sistematica e organizzata, di inserire le indicazioni geografiche e le denominazioni di origine nel testo di contraffazione ordinaria con un inasprimento della pena, di differenziare le pene per ambulanti e trafficanti, e di razionalizzare le troppe fattispecie presenti a livello normativo.
  Entrando più nel dettaglio, la Commissione ha proposto delle linee di indirizzo per giungere ad una razionalizzazione e semplificazione dell'impianto normativo penale per il contrasto alla contraffazione, che potrebbe portare a una riduzione della fattispecie delle varie ipotesi di reato; a tal proposito, è positivo anche che i rappresentanti del Governo siano presenti qui, oggi, in Aula. In primo luogo, si propone di realizzare una ricollocazione di tutte le fattispecie di reati in tema di contraffazione del codice penale, strutturandole non più come reati di falso, ma come reati economici. Si propone, inoltre, di differenziare le norme penali sulla base dei diritti tutelati e non dei settori merceologici. Infatti, molte delle norme esistenti riproducono le medesime fattispecie incriminanti. In attuazione della legge delega n. 67 del 2014 in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio, il Governo ha adottato il decreto legislativo del 16 marzo 2015 n. 28, per l'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto. Questo prevede la non punibilità quando, per le modalità della condotta o per l'esiguità del danno o del pericolo, l'offesa sia di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale. Va sottolineato che non si tratta di un intervento di depenalizzazione, ma che la richiesta da parte delle procure e la decisione da parte del giudice circa l'applicazione di tale causa di esclusione della punibilità, sono legate caso per caso alla sussistenza di due parametri: la speciale tenuità del fatto e la non abitualità dei comportamenti. La quasi totalità dei reati di contraffazione hanno pene sino a cinque anni, ad esclusione della fattispecie aggravata di cui all'articolo 474-ter, cioè la contraffazione ed il commercio di falsi in forma seriale, sistematica e organizzata. Su questo campo si dovrebbe lavorare su un doppio binario, differenziando nettamente, alla luce degli effetti di tale decreto legislativo le ipotesi di contraffazione meno grave, in quanto episodica, locale o legata a fenomeni di marginalità sociale, da quelle ben più rilevanti in termini economici e di pericolosità sociale, in quanto condotte su base sistematica e organizzata. Altri interventi innovativi dovrebbero riguardare le misure di sicurezza e le pene accessorie che oggi sono previste in modo disomogeneo tra le varie fattispecie di reato esistenti e che andrebbero ricondotte invece ad una fattispecie unitaria, per accentuare il ricorso a misure afflittive diverse da quelle pecuniarie o detentive, al fine di interdire l'esercizio economico o imprenditoriale dell'attività illecita.
  Da ultimo, Presidente, si sottolinea la necessità di accelerare, dopo il sequestro, la fase di distruzione della merce e rendere applicabili le sanzioni per il consumatore finale.Pag. 17
  Per ciò che concerne il sostegno alle imprese nella difesa del made in Italy, la relazione sottolinea alcuni punti fondamentali. In particolare, la necessità di sensibilizzare le amministrazioni pubbliche e gli enti territoriali all'applicazione dell'articolo 19 del codice della proprietà industriale, laddove prevede che anche le amministrazioni dello Stato, delle regioni e degli enti locali, possono ottenere registrazioni di marchio; prevedere norme a sostegno dei circuiti virtuosi e rendere realmente efficace la certificazione etica o di filiera; sostenere le imprese e i consorzi che si dotano di tecnologie anticontraffazione che registrano marchi e brevetti; attivare sportelli e tavoli di anticontraffazione in distretti industriali; precisare anche gli obiettivi del piano straordinario per il rilancio internazionale dell'Italia, evitando di finanziare prodotti che di italiano hanno solo il marchio.
  Infine, la relazione evidenzia l'esigenza da un lato di un maggiore coordinamento tra le forze di polizia e dall'altro di valutare forme di specializzazione delle forze polizia impiegate nel settore. A tali temi va aggiunto quello del ruolo della polizia amministrativa e degli enti locali nel contrasto alla contraffazione, che un è ruolo che va sicuramente valorizzato.
  I lavori della Commissione proseguono sulla scia del lavoro degli anni precedenti che dobbiamo continuamente aggiornare, perché il fenomeno della contraffazione deve essere costantemente monitorato. Lo scopo del nostro lavoro è quello di relazionarsi con i soggetti interessati da questo fenomeno e individuare proposte d'intervento efficaci e incisive. Prosegue quindi il lavoro anche sui termini specifici, li citava prima il presidente Catania, come la tutela delle produzioni d'olio d'oliva, della mozzarella di bufala o il contrasto alla contraffazione nel settore tessile, in particolare nella città di Prato.
  La relazione del presidente e tutto il lavoro della Commissione sono a disposizione del Parlamento, con l'auspicio che l'azione possa contribuire a ridurre al minimo l'incidenza della contraffazione e le sue deleterie conseguenze sulla nostra economia, sulla sicurezza e la dignità del lavoro, sulla salute dei cittadini e, infine, sulla cultura della legalità nel nostro Paese (Applausi).

  PRESIDENTE. Constato che il collega Franco Bordo, che era iscritto a parlare, non è presente.
  Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Annunzio di una risoluzione – Doc. XXII-bis, n. 1)

  PRESIDENTE. Avverto che è stata presentata la risoluzione Catania e Cenni numero n. 6-00212 (Vedi l'allegato A – Doc. XXII-bis, n. 1), che è in distribuzione.

(Intervento e parere del Governo – Doc. XXII-bis, n. 1)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

  COSIMO MARIA FERRI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Grazie Presidente. Volevo complimentarmi sia con la Commissione, sia per la risoluzione. Mi voglio soffermare su un aspetto che è quello dell'impianto della normativa penalistica, perché nella relazione si tocca un punto anche importante dal punto di vista giuridico, laddove si invita a riordinare la materia penalistica, a semplificarla, a contenere tutte le fattispecie; alcune ce ne sono già nel codice penale, però ce ne sono diverse speciali e, quindi, si invita a coordinarle e a eliminare questa stratificazione normativa. Questo è un punto centrale che mi trova davvero d'accordo e sul quale dovremo lavorare. Quindi, ringrazio per gli spunti che sono stati dati, oltre alle altre osservazioni che sono tutte condivisibili. La relazione tocca un altro aspetto, secondo me, importante, che riguarda la natura del reato in questa lotta alla contraffazione, che è una priorità anche per il Governo. Questo è un ulteriore stimolo Pag. 18alla tutela del made in Italy, alla tutela dei nostri marchi, alla tutela delle nostre imprese e di tutto quello che ne consegue e che gli ruota intorno. Qui, nella relazione, sono riportati i dati dell'Organizzazione mondiale del commercio che evidenziano il giro di affari e quindi la necessità di inserirci. Oggi i dati del volume d'affari, sia dell'Organizzazione mondiale del commercio, sia anche quelli dell'OCSE, evidenziano la necessità di semplificare dal punto di vista normativo e di rafforzarci dal punto di vista penale, per cercare di dare ancora maggiori strumenti sia alle forze dell'ordine, che alla magistratura, perché ciò vuol dire incidere sul PIL, vuol dire incidere nella concorrenza e nell'economia. Oggi il nostro made in Italy ha una potenzialità. Vi sono imprese che pagano le tasse, che vivono nel nostro territorio, che assumono lavoratori, ed è giusto che le regole siano uguali per tutti, mentre si vedono, dal punto di vista della concorrenza e del mercato, degli stessi oggetti che vengono contraffatti.
  Poi c’è un problema di salute e di tutela del consumatore, perché anche la crisi economica oggi induce il consumatore a non distinguere. Il consumatore è portato ad acquistare il prodotto che costa meno anche se contraffatto e parliamo non solo di indumenti, o di quello che ruota intorno alla moda, ma anche nel campo alimentare, che è l'altro tema. Tra l'altro il Ministero della giustizia, per quanto riguarda l'agroalimentare ha istituito una commissione, che ha ultimati i lavori, che è la Commissione Caselli, dove si toccano tutti questi temi, anche di sicurezza a tutela del consumatore sulla qualità del prodotto, sia nel campo manifatturiero, che nel campo alimentare. Quindi, anche su questi temi, stiamo già lavorando e da questa Commissione di inchiesta nasce ulteriore stimolo. Come dicevo, la relazione tocca un punto, sulla natura giuridica, che è importante e che in realtà merita una riflessione, perché propone di inserire tutte le fattispecie di contraffazione, al fine di evidenziare la plurioffensività del reato – questo è importante – delle condotte illecite e di superare la logica delle normative speciali relative a singoli settori produttivi o a specifiche finalità, come ad esempio, la legge per la tutela dell'olio d'oliva o quella per il made in Italy. Tra l'altro, si accoglie una lettura della fattispecie in chiave plurioffensiva, superando un indirizzo tradizionale che c’è oggi dal punto di vista giurisprudenziale che invece individuava nella sola fede pubblica il bene giuridico presidiato dalle norme incriminatrici in questione. Questo è un punto importante, perché gli interessi da tutelare non sono solo quelli della tutela della fede pubblica (così come è organizzato nel nostro codice penale questo tipo di reato), ma è proprio la natura plurioffensiva quella che si va a toccare dal punto di vista penale e degli interessi.
  Questo è davvero un passaggio importante, sottolineato nella relazione, che voglio ribadire, perché, tra l'altro, dal punto di vista giurisprudenziale la tesi pluri-offensiva era minoritaria e invece, oggi, il mercato, l'economia, tutto quello che ruota intorno alla globalizzazione, il modo anche di commercializzare via Internet e tutto quello che ne consegue, ci impone di invertire questa impostazione e tale compito lo ha il legislatore. Quindi, va risolto e dal lato della giurisprudenza c'era solo una sentenza, la sentenza Ongaro, mi pare, del 2005, che parlava di necessità di natura pluri-offensiva.
  Oggi il bene giuridico è quindi individuato non solo nella fede pubblica, ma nei diritti di proprietà industriale. La condotta lede quindi non solo il produttore, ma anche il consumatore; ed è questo l'altro punto che va sottolineato e che è stato ripreso, perché con queste novità e con questo lavoro svolto dalla Commissione, usciamo da questa concezione. Dobbiamo uscire, e questo è l'impegno di tutti, anche del Governo, da una concezione che è quella solo della tutela della fede pubblica. In realtà non è così, noi dobbiamo tutelare produttore e consumatore, mercato e concorrenza; ecco la natura pluri-offensiva di un reato nuovo; una semplificazione che richieda davvero di incidere e di rendere efficace anche la tutela repressiva.
  Vi è poi il tema, sul quale il Governo ha già fatto il decreto legislativo già entrato Pag. 19in vigore, di distinguere anche le condotte di minor rilevanza, sapete ciò che è stato fatto per quanto riguarda la tenuità del fatto, con dei presupposti, che non vuol dire depenalizzare, ma vuol dire, in presenza di presupposti specifici, come sentire la persona offesa, la non gravità, il non reiterato, si può anche dividere la condotta a seconda del disvalore del fatto e, quindi, inserire in questa cornice e riordinare anche tutta quella materia e quelle sanzioni che, per esempio, rispondevano all'illecito amministrativo, perché vi era tutta una tutela solo amministrativa, che era data dal decreto-legge del 14 marzo 2005, poi convertito nella legge n. 80 del 2005 e, anche in quel caso per la tutela amministrativa, laddove rimane, è necessario pensare a inasprire le sanzioni amministrative.
  Sin d'ora esprimo, a nome del Governo, il parere favorevole, anzi ringrazio la Commissione parlamentare d'inchiesta sui fenomeni della contraffazione, il presidente e tutti i componenti che hanno lavorato. Mi sono letto anche le audizioni che sono state fatte; è stato fatto un lavoro molto serio che non va disperso; bisogna lavorarci, si tratta di un tema molto attuale, che sono sicuro, se portato a termine con provvedimenti legislativi, che siano governativi o di iniziativa parlamentare, l'importante è lavorare insieme, perché è un tema che è davvero alla base della tutela non solo del made in Italy, ma per garantire quella certezza dei rapporti commerciali e dare una spinta forte al mercato, guardando sempre a queste due linee del produttore e del consumatore, perché rafforzare queste norme vuol dire tutelare il consumatore, avvertirlo, e vuol dire pensare anche alla qualità dei prodotti e alla salute dei cittadini.
  Grazie e l'impegno del Governo sarà massimo anche su questo tema.

  PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Sull'ordine dei lavori (ore 16,28).

  SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  SIMONE BALDELLI. La ringrazio Presidente. Nel pomeriggio di giovedì scorso, mentre in questo ramo del Parlamento la maggioranza approvava contro il voto di tutte le opposizioni e con soltanto 218 voti di maggioranza, essendosi fatta anche per questo l'applauso, le nuove norme, almeno in questo ramo del Parlamento, sul cosiddetto conflitto di interessi; nell'altro ramo del Parlamento, Presidente, veniva approvato, a seguito del voto di fiducia, il disegno di legge sulle cosiddette «unioni civili».
  Ora, a prescindere da come la si pensi sul tema delle unioni civili, c’è un fatto di natura istituzionale e politica, Presidente, molto rilevante. Quando un Governo pone la fiducia compie un atto di grande gravità; significa sottoporre l'esistenza in vita stessa del Governo all'approvazione dell'articolo, dell'emendamento, del testo in genere su cui il Governo stesso decide di porre la fiducia. Ed è proprio la fiducia stessa, Presidente, a delineare il perimetro dei gruppi, delle forze politiche che aderiscano alla maggioranza e separare questo perimetro dalle forze che rimangano all'opposizione.
  Ora, al Senato, giovedì scorso, Presidente, è avvenuto un fatto di natura politica e tecnica assai rilevante. Il senatore Verdini, e il gruppo che a lui fa riferimento, il gruppo senatoriale, ha votato la fiducia, sancendo così tecnicamente l'ingresso di quel gruppo in maggioranza. Ora, da questo punto di vista, il mio gruppo attraverso i capigruppo di Camera e Senato ha chiesto un chiarimento istituzionale. Essi hanno chiesto al Presidente del Consiglio di recarsi al Quirinale per formalizzare questo nuovo assetto della maggioranza. Il Presidente del Consiglio ha buon gioco ad andare a spiegare alla scuola di formazione del suo partito, insieme al ministro per i rapporti col Parlamento, che il senatore Verdini non entra certo nel Pd, e questo è noto, però vi è una questione, Presidente, di rispetto istituzionale e anche di conseguenze pratiche, di questo nuovo ingresso di questo gruppo in maggioranza, anche in relazione agli equilibri, Pag. 20ad esempio, nelle Commissioni; al fatto che il Regolamento garantisca alla maggioranza certe rappresentanze e all'opposizione certe altre. Presidente, io credo che vi sia una questione istituzionale di rispetto importantissima ! Credo che il Presidente del Consiglio debba recarsi al Quirinale ad informare il Capo dello Stato di questa nuova composizione, a meno che non siamo in un Paese in cui la maggioranza in Parlamento è una maggioranza a geometrie variabili, che può cambiare ogni giorno a seconda del provvedimento su cui il Governo decida o meno di mettere la fiducia. Credo, però, Presidente, che questo chiarimento sia assolutamente necessario, quindi la prego di prendere atto e di comunicare al Presidente della Camera che il mio gruppo ha sollevato formalmente, anche in Assemblea, questa questione di grande rilevanza istituzionale.

  PRESIDENTE. La Presidenza prende atto.

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì 1o marzo 2016, alle 10,30:

  1. – Svolgimento di una interpellanza e di una interrogazione.

  (ore 14)

  2. – Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
   COSCIA ed altri; PANNARALE ed altri: Istituzione del Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione e deleghe al Governo per la ridefinizione della disciplina del sostegno pubblico per il settore dell'editoria, della disciplina di profili pensionistici dei giornalisti e della composizione e delle competenze del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti (C. 3317-3345-A).
  — Relatori: Rampi, per la maggioranza; Brescia, di minoranza.

  3. – Seguito della discussione delle mozioni Lupi ed altri n. 1-01124, Sberna ed altri n. 1-01146, Nicchi ed altri n. 1-01170, Palese e Pisicchio n. 1-01171, Vezzali ed altri n. 1-01172, Occhiuto ed altri n. 1-01173, Sbrollini ed altri n. 1-01174, Rondini ed altri n. 1-01175, Bechis ed altri n. 1-01176 e Giorgia Meloni ed altri n. 1-01180 concernenti politiche a sostegno della famiglia.

  4. – Seguito della discussione della relazione sullo stato dell'informazione e sulla condizione dei giornalisti minacciati dalle mafie, approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere (Doc. XXIII, n. 6).

  5. – Seguito della discussione della relazione su possibili proposte normative in materia penale in tema di contraffazione, approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo (Doc. XXII-bis, n. 1).

  La seduta termina alle 16,30.