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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 526 di venerdì 20 novembre 2015

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PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE LAURA BOLDRINI

  La seduta comincia alle 9,35.

  PRESIDENTE. La seduta è aperta.
  Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

  RICCARDO FRACCARO, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.

  PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Gioacchino Alfano, Bratti, Caparini, Cirielli, Dambruoso, Di Gioia, Di Lello, Epifani, Ferranti, Gregorio Fontana, Fontanelli, Garofani, Losacco, Lupi, Manciulli, Migliore, Pisicchio, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Sanga, Sani, Scotto e Valeria Valente sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente ottantadue, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna).

Modifica nella composizione di gruppi parlamentari e formazione di una componente politica nell'ambito del gruppo parlamentare Misto.

  PRESIDENTE. Comunico che, con lettera pervenuta in data 19 novembre 2015, i deputati Trifone Altieri, Maurizio Bianconi, Daniele Capezzone, Gianfranco Chiarelli, Nicola Ciracì, Antonio Distaso, Benedetto Fucci, Cosimo Latronico, Roberto Marti e Rocco Palese, già iscritti al gruppo parlamentare Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente, hanno dichiarato di aderire al gruppo parlamentare Misto, cui risultano pertanto iscritti. Comunico che, a seguito della richiesta pervenuta in pari data, è stata autorizzata, ai sensi dell'articolo 14, comma 5, primo periodo, del Regolamento, la formazione della componente politica denominata «Conservatori e Riformisti» nell'ambito del gruppo parlamentare Misto, cui aderiscono i sopraindicati deputati, nonché il deputato Massimo Corsaro, già iscritto al gruppo Misto.

Discussione del disegno di legge costituzionale: S. 1429-B – Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione (Approvato, in prima deliberazione, dal Senato, modificato, in prima deliberazione, dalla Camera e nuovamente modificato, in prima deliberazione, dal Senato) (A.C. 2613-B) (ore 9,40).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge costituzionale, Pag. 2già approvato, in prima deliberazione, dal Senato, modificato, in prima deliberazione, dalla Camera e nuovamente modificato, in prima deliberazione, dal Senato, n. 2613-B: Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2613-B)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari di Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà, MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, deputato Fiano.

  EMANUELE FIANO, Relatore per la maggioranza. La ringrazio. Presidente, signori colleghi, rappresentanti del Governo, il prossimo anno ricorre il settantesimo anniversario dell'Assemblea costituente e il testo che la Camera si appresta ad esaminare in vista della prima deliberazione di cui all'articolo 138 della Costituzione, che sarà chiusa con la prima doppia conforme, è quello approvato dal Senato il 13 ottobre scorso, giacché l'esame in sede referente svolto dalla nostra Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati ha confermato senza modifiche il testo trasmesso dal Senato. A diciotto mesi dall'inizio dell'esame parlamentare, cominciato il 15 aprile dell'anno scorso, ci troviamo, dunque, in prossimità di un passaggio politico-parlamentare decisivo, di grande rilievo, nell'ambito del percorso di riforme di questa legislatura parlamentare, della legislatura in corso e della storia delle istituzioni repubblicane del nostro Paese. Nel procedimento di riforma costituzionale che è in itinere siamo ad un passo, dunque, da questa nostra lettura, denominata doppia conforme. Siamo, quindi, al passaggio decisivo, al giro di boa della definizione del testo che sarà sottoposto al giudizio del corpo elettorale per il tramite del referendum confermativo. Questo passaggio parlamentare sotto il profilo politico è di importanza decisiva complessivamente per questa legislatura, il cui rilievo nella storia parlamentare, il rilievo di questa legislatura, è come tutti noi sappiamo legato a doppio filo a quello delle riforme costituzionali. Il 22 aprile 2013, a due mesi dalle elezioni politiche, l'allora neo eletto Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano qualificò come imperdonabile la mancata riforma della legge elettorale e le limitate previsioni della seconda parte della Costituzione che avevano segnato la chiusura della XVI legislatura.
  Al monito del Presidente Napolitano seguì l'istituzione della Commissione per le riforme costituzionali, la cui relazione conclusiva ha costituito la base per la predisposizione del disegno di legge che ha aperto questo processo riformatore, prospettato, peraltro, nelle sue linee essenziali, dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi nel corso delle dichiarazioni programmatiche pronunciate di fronte alle Camere il 24 e 25 febbraio dell'anno scorso, prima del voto di fiducia al Governo. Siamo, dunque, alle soglie di una modifica della Costituzione che interviene seguendo due linee direttrici che si radicano nella nostra storia, non solo recente. La prima attiene all'organizzazione del Parlamento e all'assetto della forma di Governo: l'individuazione, l'analisi e il superamento dei limiti del bicameralismo perfetto e delle inefficienze del parlamentarismo connesse alla posizione del Governo in Parlamento hanno attraversato come un filo rosso il dibattito sulle riforme costituzionali che si è svolto in Pag. 3Italia a partire dalla Commissione Bozzi del 1983, fino alla Commissione De Mita-Iotti del 1992 e alla Commissione bicamerale D'Alema del 1997. La seconda, più recente, prende le mosse dalla riforma del Titolo V della parte II della Costituzione del 2001 e interviene sulla disciplina della divisione territoriale del potere con l'obiettivo di semplificare e perfezionare il dettato costituzionale alla luce dell'esperienza applicativa degli ultimi quattordici anni che è stata caratterizzata, come tutti noi sappiamo, da un forte contenzioso costituzionale.
  Quali sono, dunque, colleghi, Presidente, Ministro Boschi, rappresentanti del Governo, i cardini di questa riforma costituzionale ? Essa interviene in primo luogo sull'organizzazione del Parlamento, superando il bicameralismo perfetto introdotto dalla Costituzione del 1948. Il Senato diviene un'Assemblea rappresentativa delle istituzioni territoriali. I senatori sono eletti dai consigli regionali tra i consiglieri regionali e i sindaci delle regioni sulla base delle indicazioni espresse dai cittadini. Il Senato non sarà più legato al Governo dal rapporto fiduciario, ma sarà il luogo del raccordo tra i livelli di governo e la sede di coordinamento tra il legislatore statale e i legislatori regionali in funzione di prevenzione dei possibili conflitti nell'esercizio delle rispettive competenze. Il Senato svolgerà, dunque, un ruolo omologo a quello a cui sono chiamate le seconde Camere negli ordinamenti regionali o federali in cui il potere è oggetto di una ripartizione verticale sul territorio. La sola Camera dei deputati, eletta direttamente dal corpo elettorale, sarà chiamata a rappresentare la nazione e a partecipare alla determinazione dell'indirizzo politico accordando e revocando la fiducia al Governo. La ridefinizione del ruolo costituzionale delle due Camere produce effetti a cascata sulle funzioni che esse sono chiamate ad esercitare, sull'assetto del procedimento legislativo, sull'elezione del Presidente della Repubblica e dei giudici della Corte costituzionale. In secondo luogo, il ruolo del Governo in Parlamento è oggetto di riforma, in connessione al procedimento legislativo e alla decretazione d'urgenza. La priorità delle iniziative legislative dell'Esecutivo è riconosciuta attraverso l'introduzione dei disegni di legge prioritari e del voto a data certa. Al contempo, però, è contrastato l'abuso della decretazione d'urgenza attraverso il recepimento costituzionale dei limiti oggi previsti dalla legge ordinaria e dalla giurisprudenza della Corte nel ricorso all'articolo 77 della Costituzione. Infine, per quanto concerne il Titolo V della parte II della Costituzione è modificato, sempre nell'ottica della semplificazione e della riduzione del contenzioso costituzionale, il riparto delle funzioni legislative e regolamentari ed è introdotta la cosiddetta clausola di supremazia, in linea con l'orientamento che ha già portato all'approvazione della legge 7 aprile 2014, n. 56, che ha eliminato ogni riferimento alle province nel testo costituzionale. Infine, è modificato l'istituto del regionalismo differenziato.
  Nell'ambito di questo quadro di modifica, passo in rassegna alcune delle disposizioni modificate dal Senato. Il nuovo articolo 55, quinto comma, afferma che il Senato rappresenta le istituzioni territoriali e svolge le seguenti funzioni: il raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica; il concorso all'esercizio della funzione legislativa nei casi e secondo le modalità stabilite dalla Costituzione; il concorso all'esercizio di funzioni di raccordo tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e l'Unione europea; la partecipazione a decisioni dirette alla formazione e all'attuazione degli atti normativi delle politiche dell'Unione; la valutazione delle politiche pubbliche e delle attività delle pubbliche amministrazioni; la verifica dell'impatto delle politiche dell'Unione europea sui territori; il concorso all'espressione dei pareri sulle nomine di competenza del Governo; il concorso alla verifica dell'attuazione delle leggi dello Stato.
  Per ciò che attiene all'elezione del Senato, è stata introdotta, com’è noto, nel nuovo articolo 57, quinto comma, la previsione secondo la quale i senatori saranno eletti in conformità alle scelte espresse Pag. 4dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione dell'elezione dei consigli regionali e delle province autonome. Rimane, comunque, ferma l'elezione dei senatori con metodo proporzionale da parte dei consigli regionali e delle province autonome tra i propri componenti. Il Senato ha modificato anche la modalità di elezione dei giudici della Corte costituzionale da parte delle Camere, prevedendo, con una novella all'articolo 135, che l'elezione dei cinque giudici spetti distintamente ai due rami del Parlamento, diversamente da come si era modificato qui nella precedente lettura alla Camera, nel numero di tre alla Camera e due al Senato, anziché al Parlamento in seduta comune. È stata così ripristinata la previsione contenuta nel disegno di legge originario del Governo e nel testo approvato dal Senato in prima lettura. Di conseguenza, inoltre, il nuovo articolo 38, comma 16, modifica l'articolo 3 della legge costituzionale n. 2 del 1967, stabilendo l'elezione dei giudici costituzionali da parte di ciascuna Camera anziché da parte del Parlamento in seduta comune. Ma sono mantenute le modalità di votazione a scrutinio segreto ed il quorum richiesto, pari alla maggioranza dei due terzi dei componenti fino al terzo scrutinio ed alla maggioranza dei tre quinti dei componenti dal quarto scrutinio.
  Vengo all'iter che abbiamo attraversato in Commissione. Ne riferisco, Presidente, all'Aula e non mi dilungo su tutti gli elementi di modifica introdotti al Senato perché sono comunque facenti parte della relazione che è agli atti. Per quanto concerne l'esame referente, la I Commissione ha avviato l'esame di questo provvedimento nella seduta del 21 ottobre. Nella seduta del 27, la Commissione ha deliberato un'indagine conoscitiva che si è svolta nelle sedute del 28 e del 29 ottobre con audizione di esperti. Nella seduta del 27 ottobre, su proposta del gruppo del MoVimento 5 Stelle, ha deliberato di richiedere al Governo di fornire, ai sensi del Regolamento, taluni elementi informativi riguardanti alcune delle modifiche apportate dal Senato, ai quali l'Esecutivo, nella persona del Ministro Boschi, ha fornito risposta consegnando alla Commissione anche una nota scritta nella seduta del 3 novembre. Concluso l'esame preliminare, sono stati presentati circa centocinquanta emendamenti al testo, alcuni dei quali sono stati valutati come irricevibili sulla base di quanto disposto dall'articolo 70, comma 2, del Regolamento, secondo il quale, riguardo ai progetti di legge già approvati dalla Camera e rinviati al Senato, com’è noto la Camera delibera soltanto sulle modificazioni apportate dal Senato e sugli emendamenti ad esse conseguenti. Gli emendamenti giudicati ricevibili sono stati tutti respinti dalla Commissione nella seduta dell'11 novembre. La Commissione ha acquisito i pareri necessari delle Commissioni X, XII e XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali. Sulla base dell'iter attraversato anche in questa fase dalla Commissione parlamentare e che ho voluto ricostruire, giungiamo, quindi, Presidente, come dicevo all'inizio, ad un passaggio politico decisivo nell'approvazione del testo di modifica della nostra Costituzione; passaggio che caratterizza questa legislatura, che ha compiuto nelle Aule parlamentari tutto l'iter istituzionale previsto per la sua modifica, facendo tesoro delle proposte di modifica importanti che sono state avanzate in Parlamento. E giunge a noi un testo modificato al Senato che rappresenta, secondo la maggioranza, il testo che potrà apportare le modifiche necessarie alla nostra Costituzione come da noi richiesto sin dall'inizio. È un passaggio decisivo per l'avanzamento del Paese, per il suo ammodernamento, per una democrazia più efficiente, per un funzionamento parlamentare più consono alle necessità del Paese. Noi pensiamo di avere risolto le questioni che erano state poste; pensiamo di aver svolto con coscienza il nostro ruolo di analisi del testo proposto, delle modifiche avanzate; e pensiamo, quindi, che questo processo di modifica, con questa lettura, con la doppia conforme, si avvii serenamente verso il giudizio del popolo italiano attraverso il Pag. 5referendum per il bene di questa Repubblica, per il suo futuro e per i nostri concittadini.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, il deputato Toninelli.

  DANILO TONINELLI, Relatore di minoranza. La ringrazio Presidente, cinque minuti, non mi bastano, come relatore di minoranza, neppure per indicare tutti i no...

  PRESIDENTE. Ne ha dieci.

  DANILO TONINELLI. Relatore di minoranza. Va bene, questa era l'informazione che avevo ricevuto, quindi è molto meglio. Non sono comunque sufficienti, Presidente, per poter indicare nel dettaglio quali sono tutti i no che una forza politica, che in questo momento rappresento, sin dall'inizio, ha portato avanti nei confronti di questa riforma. Io ricordo i no, ad esempio, che le forze di maggioranza hanno indicato, hanno detto, nei nostri confronti in tutte le letture. Parlo, in particolare, di due punti che potrebbero sembrare non così rilevanti all'interno dalla riforma, ma che, in realtà, per i cittadini italiani lo sono. Mi riferisco al no ai vitalizi indicato dalle forze di maggioranza e che è stato ribadito anche in un'ultima sessione della Commissione in cui è stato chiesto dal sottoscritto di poter avere la possibilità di derogare alla prassi di non potere intervenire con emendamenti su materie non modificate nella lettura precedente, ovverosia di poter inserire proprio i vitalizi all'interno di questo passaggio dalla riforma. Il sottoscritto ha chiesto, con il consenso unanime di tutte le forze politiche, se ci fosse la possibilità di modificare questa prassi. In realtà, è stato detto no da tutte le forze politiche. Come no è stato detto anche in tutte le letture di modificare l'immunità parlamentare, o meglio, di cancellare quell'immunità parlamentare che urla vendetta e che viene assegnata a quei consiglieri regionali che ahinoi (dico noi e parlo per tutto il popolo italiano) oggi rappresentano la categoria che è sottoposta a maggior numero di indagini e di processi penali. Voi date, con questa riforma, a queste figure dei consiglieri regionali la possibilità, una volta saliti sul treno che dalla città da cui provengono li porta a Roma, di poter essere liberati dai processi a cui sono sottoposti, non ultime, ad esempio, le indagini sulle spese pazze che hanno colpito più del 50 per cento dei consigli regionali; neppure questa richiesta di modifica. Non avete accettato la nostra richiesta di avere una visione alternativa e chi avete di fronte non è il rappresentante in questo momento di una forza politica che dice «viva per forza il bicameralismo paritario», ma di una forza politica che diceva «ragioniamo su un bicameralismo differenziato all'interno del quale si può ragionare su una unica Camera che dà la fiducia al Governo, ma eletta con una legge elettorale proporzionale come avviene in quasi tutti i ventotto Paesi dell'Unione europea». Ci avete detto no e avete addirittura approvato una legge elettorale iper maggioritaria che mette il Paese nelle mani di una sola persona che è il capo partito.
  Non avete neppure ascoltato l'altra apertura di poter analizzare una seconda Camera delle garanzie che fosse un reale contrappeso per l'unica Camera politica. Avete deciso di seguire esclusivamente la vostra strada, affermando falsamente che le opposizioni erano sempre in posizioni contrarie. Non è assolutamente vero. Noi le proposte le abbiamo fatte e non solo non le avete ascoltate, ma avete continuato a dibattere esclusivamente all'interno del vostro partito. Io ricordo perfettamente all'interno dei lavori della Commissione, quando le Commissioni venivano interrotte, venivano fatte riunioni di partito, di maggioranza, e quando si trovava la quadra si tornava in Commissione. Ciò significa che per voi il Parlamento e la rappresentanza popolare è esclusivamente di partito. In realtà, non è così, perché la rappresentanza popolare è di tutti i membri che siedono all'interno di questo Parlamento.Pag. 6
   Ma andando ai no che il MoVimento 5 Stelle dice alla riforma, il primo no è il pericolo di accentramento dal potere. Fare una riforma di questo tipo, pasticciata, ma che ha come fine quello di creare un'unica Camera politica che dà la fiducia al Governo e abbinarla ad una legge elettorale, come l'Italicum, iper maggioritaria che permette al partito vincitore di prendere il 55 per cento dei seggi, quindi più della maggioranza assoluta dell'unica Camera politica rimasta, significa riferirsi al capo politico. Parlo di singola persona, perché avendo voi inserito il ballottaggio, significa che chi andrà al ballottaggio non saranno due forze politiche, saranno due capi di partito e saranno quei capi di partito che faranno sedere la maggior parte dei nominati all'interno di questo Parlamento e saranno due capi di partito che si terranno in «pancia» la maggior parte dei voti. Quindi, i deputati che siederanno in questa Camera, non saranno tirati per la giacchetta, non avranno il fiato sul collo dei cittadini elettori, ma dovranno rispondere solo ed esclusivamente ad una persona.
  Questo è qualcosa di assolutamente pericoloso !
  Diciamo anche «no», un «no» fortissimo, soprattutto in un periodo come questo, con delle tragedie immani accadute in questi giorni a Parigi, e non solo, sulla deliberazione dello stato di guerra. Voi avete inserito una modifica all'articolo 78 dove affermate che questa unica Camera delibera lo stato di guerra. Se abbiniamo questa affermazione con quanto appena detto, che questa Camera avrà più della maggioranza assoluta in mano ad un unico partito, che è in mano ad un unico capo di partito, significa che un'unica persona può deliberare lo stato di guerra, alla faccia del Presidente del Consiglio che in questi giorni dice «a differenza del Presidente Hollande, io di leggi speciali non ne faccio». L'ha già fatta la legge speciale che dice che l'unica Camera politica rimasta in vita in questa struttura costituzionale del nostro Paese è questa e che quindi l'unica persona, il Capo del Governo, può, da solo, deliberare lo Stato di guerra.
  Diciamo «no» alle giustificazioni che avete addotto a questa riforma. La farraginosità, la complicanza del Parlamento che blocca le iniziative governative. È una balla colossale ! La produzione legislativa è per il 90 per cento di provenienza governativa. Avete affermato che è difficile produrre leggi. I dati dicono il contrario: l'Italia produce più leggi, molte di più, fino al doppio o al triplo, di altre democrazie importanti dell'Unione europea e lo fa nei tempi medi degli altri Paesi. Quindi non è assolutamente vero. Voi state scaricando sul Parlamento le responsabilità che avete all'interno del vostro partito. Se la politica è debole non devono essere cambiate le regole, va rafforzata la politica con strumenti di trasparenza, onestà e meritocrazia, «inciuci» di partito non devono essere la giustificazione per modificare le regole democratiche.
  Diciamo «no» alla corsia preferenziale con cui voi avete sostituito la decretazione d'urgenza, ma forse sostituito non è corretto, avete affiancato ai decreti d'urgenza, che permettono al Governo in settanta giorni di approvare la qualunque, senza nemmeno più i requisiti di straordinaria necessità e di urgenza.
  Diciamo «no» all'ulteriore differenziazione tra le regioni a statuto ordinario e le regioni a Statuto speciale, che oggi diventano ancora più avvantaggiate rispetto a quelle ordinarie, perché non debbono, se non all'atto della modifica del proprio statuto regionale, uniformarsi alle modifiche legislative costituzionali. Ciò significa che saranno iper speciali contro tutte le altre. Avremmo tranquillamente potuto ragionare sul dare differenti autonomie, sull'autodeterminazione finanziaria, a tutte le regioni, e togliere i privilegi a quelle regioni a statuto speciale le cui giustificazioni che hanno addotto i privilegi non esistono più, non sono più storiche, o meglio fanno parte di una storia che oramai è passata. Questo accade e la maggior parte dei costituzionalisti che sono venuti in audizione Pag. 7in Commissione hanno affermato che questo è un problema e non è stato affrontato. La storia ci dirà che nessuna di queste regioni a statuto speciale uniformerà il proprio statuto mantenendo quell'autonomia e quella differenziazione rispetto a quelle regioni ordinarie che oramai sono sempre più deboli.
Diciamo «no» a quella differenziazione di competenze che avete assegnato tra lo Stato e le regioni, perché tra i maggiori costituzionalisti in Italia si è chiaramente affermato come ci sarà un nuovo contenzioso di natura costituzionale. Non avete risolto il problema, anzi lo avete ricreato, perché con le disposizioni concorrenti sono state reinserite le disposizioni generali comuni che avete inserito in molti punti e che produrranno contenzioso legislativo.

  PRESIDENTE. Concluda.

  DANILO TONINELLI, Relatore di minoranza. Come diciamo «no» a quella clausola di supremazia del Governo che può intervenire, giustificandolo in maniera totalmente «larga», sulle competenze di natura esclusivamente regionale. Questi no, signora Presidente, testimoniano una cosa che l'interesse che sta dietro a questa riforma è unico, è uno solo: non è modificare o migliorare, ma è semplicemente quello di non disturbare il manovratore. Qua si sono recepite le istanze di poteri esterni al nostro Paese che sono sia politici, che di natura finanziaria, poteri bancari, che ci hanno detto, anche per iscritto, che le limitazioni di una democrazia troppo ampia generano dei rallentamenti della speculazione finanziaria.
  Dare tutto ciò in mano ad un'unica persona che gestisce l'unico partito che ha la maggioranza in questo Parlamento, significa far andare quelle speculazioni finanziarie delle banche private da cui è nata una crisi enorme che ha toccato la vita di tutti noi italiani, e anche degli altri popoli europei. Significa stringere la mano e andare a braccetto con quelle società che la crisi l'hanno creata.
  Noi, signora Presidente, stiamo da tutt'altra parte, come ha visto anche con la modifica del nostro simbolo a cui abbiamo levato il nome dal capo politico. Significa che rappresentiamo una forza che si apre a tutti quelli che vogliono partecipare insieme a noi a migliorare l'Italia, a migliorare le regole democratiche dell'Italia a differenza vostra che, invece, mettete tutto il potere nelle mani di una sola persona. Questa differenza la stanno capendo sempre più italiani e sempre più italiani, nel tempo, la capiranno.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, il deputato Quaranta.

  STEFANO QUARANTA, Relatore di minoranza. Grazie, signora Presidente. Ministro, sottosegretari, siamo qui a discutere della modifica di pochi articoli della Carta costituzionale fatta dal Senato nella precedente lettura. È però evidente, come hanno fatto il relatore Fiano e il relatore Toninelli, che occorre a questo punto esprimere un giudizio complessivo su questa riforma. Giudizio complessivo che va espresso tenendo insieme, a mio modo di vedere, la riforma della Costituzione e della legge elettorale. Legge elettorale che nobilitate col nome di Italicum, ma che forse andrebbe chiamata più propriamente «Leopoldum», essendo una cosa chiaramente cucinata in casa per interesse di qualcuno. Ora il combinato disposto di riforma della Costituzione e di legge elettorale ci dà un quadro davvero inedito che potremmo definire di presidenzialismo alla fiorentina, in cui un unico soggetto, sostanzialmente, controlla tutti i poteri con scarsissimi contropoteri. È molto facile evidenziare come questa riforma accentri i poteri sul Governo, e quindi sul Premier, sia nei confronti delle regioni che vengono depotenziate (l'eliminazione della legislazione concorrente, la clausola di supremazia), sia nei confronti del Parlamento, perché se lei tiene insieme, signor Ministro, il procedimento legislativo assai farraginoso che fa a pugni con l'efficienza, e forse anche con la lingua italiana (basta leggere l'articolo 10 della vostra Carta costituzionale), e in più si consente al Pag. 8Governo di approvare i suoi disegni di legge con priorità, con il voto a data certa, è del tutto evidente che anche il potere legislativo finirà in gran parte nelle mani del Governo. Se poi a questo sommiamo il fatto che il Premier si nominerà anche gran parte dei suoi deputati e con il secondo turno, di fatto, ci sarà un'elezione diretta del Presidente del Consiglio, siamo davvero a un'architettura costituzionale che non ha precedenti in Europa e nel mondo, perché neanche i sistemi presidenziali, laddove ci sono, hanno così scarsi contropoteri come quelli che state facendo voi con questa vostra riforma. Quindi, altro che completamento nello spirito dei padri costituenti, miglioramento della Carta elaborata settanta anni fa, qui siamo a un vero e proprio stravolgimento a una «deforma» della Carta costituzionale di cui voi vi state assumendo la responsabilità.
  Ora, se poi mi permette, mi sembrano anche deboli le soluzioni trovate ad alcuni punti della propaganda renziana, cioè la presunta efficienza di questa riforma. Ne abbiamo discusso anche in Commissione affari costituzionali qualche giorno fa e anche autorevoli esponenti del Partito Democratico ci hanno detto che questa riforma del bicameralismo, in realtà, potrà anche complicare il procedimento legislativo. Quindi, non vi è nessuna efficienza in questa riforma. E anche riguardo i costi della politica non si è avuto il coraggio di abolire il Senato. Si è fatto un Senato che probabilmente ha poco senso e non si capisce bene che frutti produrrà. Però, dal punto di vista anche dei costi della politica, che era l'altra parola d'ordine della riforma renziana, mi pare che non ci siamo assolutamente.
  Devo dire che il passaggio al Senato, cioè le poche cose che sono state modificate, forse, hanno paradossalmente peggiorato la situazione o quanto meno hanno evidenziato le contraddizioni di questa riforma.
  Io mi vorrei soffermare soltanto su pochi punti. L'articolo 1, dove sostanzialmente si evidenziano le funzioni del Senato. Le modifiche che sono state fatte, che sono puramente lessicali, non incidono minimamente sul senso complessivo e dimostrano che avete partorito un Senato che da un lato non esercita quei poteri che avrebbe potuto esercitare.
  Cioè, voi vi siete inventati il Senato delle Autonomie – ovviamente senza aver fatto prima nessun ragionamento sul funzionamento delle regioni, quindi con una roba abbastanza campata per aria –, però, a questo Senato non avete dato i poteri che i Senati federali hanno, che sono spesso anche di veto e di tutela degli interessi delle regioni o dei Länder, come sul modello tedesco. Avete dato a questo Senato, che è un ibrido appunto (di elezione di secondo grado, che tiene insieme cinque tipologie di senatori diversi, perché abbiamo gli ex Presidenti della Repubblica, i senatori nominati dai Presidenti della Repubblica, i nuovi senatori a scadenza, quelli che durano sette anni, come i prossimi Presidenti della Repubblica, e poi abbiamo consiglieri regionali e sindaci, per non farci mancare nulla e sempre in nome dell'efficienza di questo Senato), a questo ibrido di Senato avete consegnato il potere di riforma della Carta costituzionale, a mio modo di vedere in contraddizione con l'articolo 1 della Costituzione, laddove si dice che la sovranità appartiene al popolo e non agli eletti di secondo grado. Quindi, è un pasticcio che rischia veramente di creare problemi anche di efficienza e di funzionamento. Sull'articolo 2: qui davvero avete toccato delle vette incredibili di superficialità e di ambiguità, perché di fatto avete trovato una formula per l'elezione dei senatori che rimanda a una legge bicamerale; avete stabilito uno strano principio di coerenza che non si capisce bene cosa voglia dire e, quindi, anche da questo punto di vista, l'unico dato chiaro e certo che è bene che i cittadini italiani sappiano è che il Senato non sarà eletto dei cittadini italiani. Poi vedremo che formule riuscirete a trovare con la legge elettorale, ma l'unico dato certo è questo, quindi ambiguo; irricevibile e sbagliata è anche stata, a mio modo di vedere, la riforma di questo articolo 2.Pag. 9
  Infine, un altro punto su cui io vorrei portare l'attenzione, perché evidenzia in maniera emblematica come, quando si fanno le cose male, poi arrivano anche dei frutti avvelenati in coda, è l'elezione dei giudici costituzionali. Per come avete concepito questo vostro bicameralismo e la legge elettorale, qualunque scelta si fosse fatta era sbagliata, a questo punto, perché l'elezione dei giudici costituzionali in seduta comune non si può più fare, per ragioni evidenti, perché avendo diminuito soltanto il numero dei senatori e non in maniera proporzionale anche quello dei deputati il Senato sarebbe stato irrilevante in un'elezione di giudici costituzionali in seduta comune, così come l'irrilevanza sarebbe aumentata alla luce della legge elettorale che avete fatto, che consegna una stragrande maggioranza di deputati ad un partito solo. Però, diventa anche curiosa, farraginosa e incomprensibile l'elezione separata, perché francamente non riesco a capire come si possa mettere sullo stesso piano l'elezione di giudici costituzionali, che sono i garanti della Carta costituzionale, tre di una Camera che è eletta dai cittadini, due di un Senato che invece non è eletto dai cittadini e che rappresenta i territori, con un ulteriore problema: non solo rischiamo di avere dei giudici costituzionali che non si capisce bene perché dovrebbero rappresentare la sensibilità dei territori, ma con una tale differenziazione delle regioni e del peso che hanno all'interno del Senato davvero si rende ancora più grottesco il fatto di aver dato al Senato l'elezione dei giudici costituzionali, perché basta l'accordo di poche regioni per eleggersi un giudice costituzionale. Quindi, siamo veramente a una roba che è senza senso e che, credo, gridi vendetta, perché qui ci riempiamo la bocca di modernizzazione, di riforme, e invece stiamo facendo dei passi da gigante indietro.
  Per concludere il mio ragionamento – perché credo che poi sia utile anche fare un bilancio complessivo –, il problema vero qual è ? È che noi stiamo mettendo in campo una riforma che è del tutto evidente pasticciata e dagli esiti imprevedibili sotto molti aspetti, salvo uno, quello appunto, come dicevo all'inizio, dell'uomo solo al comando. È probabile che serva in questo momento, se si vuole essere coerenti con la governance europea, un fedele esecutore degli ordini di Bruxelles e di Berlino, in cui i Parlamenti sostanzialmente sono messi da una parte – e qui appunto c’è l'esecutore di ordini altrui –, però, secondo me, siccome il problema vero non è la governance italiana ma proprio quella europea, mi sarei aspettato, da un Governo sedicente di centrosinistra, un'azione efficace e forte per migliorare la governance europea e migliorare la qualità della democrazia complessiva nel nostro continente, non invece scelte istituzionali che sono perfettamente in linea con questa governance europea e anzi contribuiscono a rendere efficiente la catena di comando in cui però i cittadini sono esclusi.
  Vorrei proprio concludere su questo ragionamento, perché il problema, secondo me, è molto semplice: l'uomo solo al comando non ha mai contribuito al cambiamento di un Paese. Per il cambiamento di un Paese ci vogliono più democrazia, più spazi democratici, il che vuol dire maggiore coinvolgimento dei cittadini. In questo, anche le scelte che avete fatto sui referendum popolari e sulle leggi di iniziativa popolare dimostrano che siete lontanissimi da un coinvolgimento dei cittadini. L'uomo solo al comando è appunto funzionale, invece, all'esistente; forse rende più efficiente il sistema così com’è. Allora mi chiedo: voi che vi autodefinite così innovatori, riformisti, com’è che invece sulla legge fondamentale dello Stato, quella della riforma costituzionale, siete più conservatori, molto più conservatori, del disegno lungimirante dei padri costituenti di settant'anni fa ? Cara Ministra Boschi, lei dice che queste riforme erano attese da settant'anni, io temo che qualche padre costituente si rigirerebbe nella tomba, se potesse leggere questo testo costituzionale.

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  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza Invernizzi. Prego deputato.

  CRISTIAN INVERNIZZI, Relatore di minoranza. Grazie, signora Presidente. Onorevole Ministro, onorevole sottosegretari, colleghi, non posso che manifestare anche in questa sede tutta una serie di rilievi, tra l'altro già in parte anticipati dai miei colleghi di minoranza, che condividono con me l'incarico di relatori in questo passaggio parlamentare. Abbiamo già detto, esposto, in parecchie sedi, tutte quelle che sono le nostre fondamentali riserve circa questo progetto di riforma della Costituzione. Sorvoliamo magari anche sul metodo che è stato utilizzato per arrivarvi, perché ormai siamo quasi in conclusione con questo passaggio parlamentare e gli articoli da considerare sono veramente pochi, così come anche gli argomenti che andremo a trattare, però non vorrei che qualcuno si dimenticasse che una riforma costituzionale votata qui alla Camera dei deputati solo ed esclusivamente dai membri dell'attuale maggioranza di Governo in seguito all'abbandono di tutte le opposizioni per questioni non ideologiche ma metodologiche, che però, quando si parla di riforma costituzionale, assumono un valore sostanziale sicuramente importante, non fa ben sperare per il futuro di quello che dovrebbe essere un patrimonio comune e non soltanto delle forze politiche oggi rappresentate in Parlamento ma anche di tutti i cittadini che in quelle forze politiche comunque si riconoscono. Così non è stato; quello è stato un vulnus democratico la cui responsabilità ricade interamente sulla maggioranza di Governo. Ritengo in questa sede appunto di ricordare e sottolineare come una legge costituzionale, una Costituzione, quella che dovrebbe essere la base della convivenza civile e politica dallo Stato italiano per i prossimi «x» anni, non dovrebbe nascere all'interno di un clima di quel tipo. Al di là comunque di questo rilievo, che sono convinto, tra qualche anno, quando i limiti di questa Costituzione verranno a galla, magari tornerà in mente a parecchie persone, vorrei anche dire, per entrare nel merito comunque dell'oggetto di cui stiamo trattando oggi, è che pare obiettivamente quasi svilente per non dire irrisorio, anche del ruolo di un deputato di minoranza, analizzare quello che è sostanzialmente frutto di un accordo interno alla maggioranza al Senato e che ha portato quindi alla definizione – mi riferisco ovviamente, come è anche abbastanza intuibile, all'articolo 57, così come modificato, circa la modalità di elezione dei senatori, per il quale sappiamo tutti cos’è successo – di un accordo al ribasso tra le due anime, soprattutto all'interno del Partito Democratico, che ha prodotto ciò che probabilmente non esiste in nessuna Costituzione del mondo.
  Quella che voi dicevate essere la Costituzione più bella del mondo – la più bella del mondo ! – era stata già toccata, anche questo vorrei ricordarlo. Non è vero, Presidente del Consiglio Renzi e, in questo caso, anche Ministro Boschi, che in settant'anni nessuno aveva mai cercato di riformare la Costituzione. C'era stato un Governo eletto – vorrei ricordarlo –, eletto sulla base di un programma politico che prevedeva la riforma dalla Costituzione in senso federale (mi riferisco al Governo Berlusconi 2001-2006), che invece la Costituzione l'aveva riformata. C'era stato un progetto di riforma molto organico, un progetto di riforma importante, che poi era stato bocciato dagli italiani; ma non è vero che abbiamo dovuto aspettare che l'uomo della provvidenza saltasse fuori da Rignano sull'Arno perché qualcuno avesse il coraggio di riformare la Costituzione. Certo, c'era un atteggiamento molto differente: me li ricordo i vari «popoli viola», mi ricordo «Libertà e Giustizia», mi ricordo gli appelli degli intellettuali appartenenti ad una certa area, quella di sinistra; mi ricordo le confederazioni dei sindacati dei lavoratori, mi ricordo quel periodo in cui sembrava che i fascisti fossero tornati e avevano osato toccare una Costituzione che nasceva dalla lotta antifascista e dalla straordinaria saggezza dei padri costituenti, cui ovviamente coloro che allora la toccarono Pag. 11non potevano nemmeno mettersi a fianco. Mi ricordo quel clima e registro invece, a dispetto di quel clima di allora, cioè quando sembrava che qualcuno fosse pronto anche a disseppellire le armi nascoste dalla Resistenza nell'arco appenninico perché bisognava opporre sempre resistenza, in quest'anno e mezzo, che, a quanto pare, la Costituzione può essere toccata e come la Costituzione possa essere riformata in amplissime parti che la costituiscono ed essere fatto in un clima di forte ostilità e conflitto nei confronti dalla minoranza. E tutti questi sinceri democratici che soltanto dieci anni fa hanno occupato le piazze italiane, a quanto pare, non ci sono più. Ma vi chiedo veramente di leggerla insieme, perché, al di là dell'accordo che avete fatto con la minoranza interna del Partito Democratico, vi dico che pur rileggendola parecchie volte non riesco a capire che cosa volete, cioè che tipo di elezione ci sarà dal prossimo Governo. Infatti, si dice che la durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti «virgola» – anche qua, la virgola, secondo me, rischia di porre dei problemi interpretativi –, in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi secondo modalità stabilite dalla legge di cui al sesto comma, per cui poi rimandate al sesto comma e cito dal sesto comma solo ed esclusivamente l'ultima parte, cioè: «i seggi sono attribuiti in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun consiglio», quando sapete perfettamente anche che ci sono consigli regionali in cui i voti espressi non corrispondono esattamente alla composizione del consiglio regionale, perché vi è in vigore una legge maggioritaria che crea appunto una disparità tra voto espresso e rappresentanza in consiglio regionale. Sono veramente curioso di vedere che tipo di legge sarete in grado di partorire; una legge che veramente sarà simil proporzionale che però dovrà andare anche a correggere appunto la composizione maggioritaria di alcuni consigli regionali per far sì che vi sia la corrispondenza dei senatori eletti con i voti espressi in consiglio. Cioè, veramente, non riesco sinceramente a capacitarmi di come sia possibile inserire in una Costituzione delle previsioni innanzitutto fumose, perché non si capisce cosa significhi «eletti in conformità alle scelte espresse», che vuol dire tutto e il contrario di tutto. Se non stessimo parlando della Camera alta, del Senato dalla Repubblica, ma del consiglio di rappresentanza delle classi scolastiche magari ci potremmo fare una risata; ma il problema è che non stiamo parlando di quello. Faccio un piccolo esempio e guardiamo anche nel resto d'Europa come invece viene normata la cosa. Non è che le riforme costituzionali sono state fatte solo in Italia, non è che il rapporto tra Camera dei deputati e Senato – che dovrebbe essere dalle Autonomie e invece non lo è – viene normato soltanto in questa Costituzione.
  Ci sono delle Costituzioni, cito ad esempio quella tedesca, che da settant'anni svolgono – a quanto pare in modo più che egregio – il loro lavoro, tant’è vero che se la Germania è una delle Repubbliche più stabili in Europa un motivo magari ci sarà e magari, al di là dell'efficienza teutonica recentemente messa in discussione, è merito anche delle regole costituzionali inserite in quello Stato. Lì come normano l'elezione del Bundesrat ? Articolo 51, comma 1: il Bundesrat è composto dai membri dei Governi dei Länder, che li nominano e li revocano. Semplice, qui, indipendentemente dal fatto dell'elezione – mi avvio alla conclusione – di primo e secondo livello. Una Costituzione dovrebbe dire questo, dovrebbe far capire ai cittadini che cosa, da chi e in che modo sono composte le Camere che sono espressione del loro voto, libero e – così dovrebbe essere – sovrano. Concordo pienamente, forse per la prima volta in modo anche inusuale, con quanto detto dall'onorevole Quaranta prima. Io non so che futuro prevedete voi per l'Italia, io non so se siete convinti che la situazione sociale che oggi esiste sarà quella anche che ci sarà fra cinque anni, non so nemmeno Pag. 12che opinione avete dell'Europa, perché possiamo dire che sembra che la stabilità si sia perché c’è un'Europa – venti secondi, e concludo – che potrebbe impedire tutta una serie di derive autoritarie in Italia, ma non mi sembra che la storia si stia indirizzando verso questo. Abbiamo visto che l'Europa in seguito a quello che sta succedendo scricchiola pesantemente e mi auguro che tra qualche anno non vi sia, seduto lì al posto vicino al Ministro Boschi, un leader carismatico col pelo sullo stomaco che grazie alle leggi che voi avete fatto porterà l'Italia in una direzione che probabilmente oggi non vi immaginate nemmeno.

  PRESIDENTE. Non vedo il deputato La Russa in Aula e dunque andiamo avanti. Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo. Prendo atto che si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito. È iscritto a parlare il deputato Nicoletti. Ne ha facoltà.

  MICHELE NICOLETTI. Signora Presidente, signora Ministro, colleghe e colleghi, vorrei concentrare questo mio intervento su un tema che forse nella discussione attorno alla riforma costituzionale non ha svolto un ruolo di primo piano come invece meriterebbe e che però negli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto è stato richiamato più volte. Io penso infatti che, anche alla luce dei gravissimi fatti di questi giorni, non possiamo ragionare sulle questioni politico-istituzionali semplicemente sull'orizzonte nazionale. Gran parte della nostra discussione è stata una discussione come se noi ci trovassimo nel 1948. Abbiamo parlato di divisione dei poteri, di bilanciamento dei poteri come se il potere legislativo che si esercita sui cittadini del nostro territorio fosse in capo esclusivamente al nostro Parlamento e non anche all'Unione europea, come se il potere esecutivo fosse tutto in capo al nostro Governo nazionale e non anche a organismi sovranazionali, come se il potere giudiziario o il controllo e la tutela dei diritti fossero in capo tutti a organismi nazionali e non a organismi sovranazionali, come la Corte dei diritti di Strasburgo o la Corte di giustizia. Ogni giorno nel nostro Parlamento noi sperimentiamo il fatto che gli atti politici che riguardano la vita dei cittadini in larga misura sono assunti al di fuori delle nostre istituzioni nazionali, non per un qualche disegno demoniaco ma perché noi, perché i nostri padri costituenti saggiamente, nel 1948, articolo 11 della nostra Costituzione, hanno previsto queste limitazioni della sovranità nazionale. Questo è stato un elemento profetico che ha inserito dentro il nostro ordinamento costituzionale un elemento di dinamismo che noi oggi dobbiamo valorizzare. Non esistono allora più questioni nazionali, né a livello economico, né a livello sociale – pensiamo al dramma delle migrazioni – né a livello militare, né a livello di sicurezza, né a livello ambientale, né a livello politico-istituzionale.
Forse dobbiamo dircelo anche con chiarezza e forse nella discussione che noi avremo, finito l’iter parlamentare, quando ci rivolgeremo ai nostri cittadini, noi dovremo dire con maggiore chiarezza che la scelta politica oggi fondamentale è esattamente tra chi pensa che i problemi si possano risolvere ancora a livello nazionale – con tutto il rispetto che io ho per lo Stato nazionale, che ha rappresentato uno strumento fondamentale di tutela dei diritti delle persone, di realizzazione di un elevatissimo sistema di welfare e che oggi gli organismi sovranazionali non sono in grado, questa è la loro gravissima responsabilità, di garantire – e chi invece, nonostante le difficoltà che vi sono a livello internazionale, ritiene che ormai quello sia l'orizzonte su cui noi possiamo meglio tutelare i diritti delle persone, una più piena democrazia, benessere per tutti. Questa è la frattura politica fondamentale: da un lato un ripiegamento nazionale o, ahimè, nazionalistico, come vediamo in altri Paesi europei; dall'altro lato una forte e coraggiosa apertura, con tutti i rischi ma anche le sfide che questo comporta, a un nuovo orizzonte internazionale, per noi Pag. 13quello europeo. Questo io penso sia un elemento importante da tenere presente. Allora – questa è la linea tra conservatori e innovatori – se questa è la sfida, la sfida della costituzionalizzazione del potere a livello sovranazionale, forse anche i temi che stanno dentro questa riforma dovrebbero essere considerati conseguentemente. Non si tratta infatti solo di un'opera di razionalizzazione e di efficientamento interno quando noi mettiamo mano al nostro bicameralismo paritario o al rapporto tra Stato e regioni, ma a mio modo di vedere – certo, con le contraddizioni che anche sono state rilevate e gli elementi di debolezza che io mi auguro poi nel cammino futuro potranno essere anche eventualmente corretti – però c’è chiaramente indicata la volontà di armonizzare il nostro assetto istituzionale interno ad un ordinamento sovranazionale. Io penso che noi non possiamo discutere delle cose, dei rapporti interni tra gli organi del nostro Stato, quando ormai le decisioni sono appunto prese altrove, ma il nostro problema è quello che anche voi avete sollevato, colleghi delle opposizioni, e cioè come noi possiamo rendere pieno l'articolo 1 della nostra Costituzione, cioè la sovranità dei nostri cittadini, laddove le decisioni vengono assunte. Allora se questo è l'orizzonte, in questa direzione assume pieno senso la differenziazione che qui è stata operata tra la rappresentanza politica e la rappresentanza territoriale, che tanta fatica si è fatta a comprendere, come due forme diverse e complementari di espressione della volontà politica dei cittadini: da un lato della loro diversità, pluralismo e ricchezza ideologico-politica organizzata in partiti e dall'altro lato delle istanze dei territori nelle loro diversità geografiche e sociali. L'una, quella politica, tesa a definire le politiche dei diritti e l'indirizzo politico del Governo a livello nazionale e internazionale; l'altra, a contribuire a modellare le direttive interne e anche comunitarie con riguardo alle differenze e alle specificità dei territori e a valutarne l'impatto. Se questa è la direzione forte di questa riforma costituzionale, allora dobbiamo dirci che, una volta compiuto questo iter, altri passaggi devono essere compiuti per rafforzare il rapporto tra ordinamento nazionale e internazionale e potenziarne la dimensione democratica.
  Penso anzitutto al rapporto tra Parlamento e Governo. Io di nuovo ho sentito qui favoleggiare attorno al presidenzialismo di fatto, al potere di un uomo unico al comando. Vorrei capire dove questo vi sia nel testo che noi stiamo discutendo e approvando. Non vi è nulla di tutto ciò. Siamo dentro una forma di Governo parlamentare, in cui un gruppo, anche limitato, di deputati avrà domani mattina la possibilità di togliere la fiducia a qualsivoglia Governo e farlo cadere senza che il Governo abbia, come in altre forme di Governo parlamentare, degli strumenti di difesa, quali quello della sfiducia costruttiva, quello dello scioglimento delle Camere e così via. Siamo dentro una forma di Governo parlamentare. Io confesso di avere una preoccupazione opposta a quella che voi avete, se solo rileggo la storia politica italiana, con il trasformismo parlamentare che caratterizza quest'Aula e il magmatico muoversi di membri della Camera da una parte all'altra, che non ha uguali in nessun Paese civile.
  Quindi io invito a considerare la lettera di questo testo, che, invece, ci mantiene dentro questa forma di Governo parlamentare, che noi abbiamo intensamente voluto mantenere. È, però – e questo non è un malvagio combinato disposto, ma, anzi, è un virtuoso disposto – affiancato da una legge elettorale che consenta ai cittadini di indicare una maggioranza omogenea di Governo che esca dal voto popolare.
  Detto questo, il problema cruciale sarà potenziare il rapporto tra il Parlamento e il Governo in sede di relazioni anche con l'Unione europea. Io penso a quanto noi facciamo quando il Governo viene a riferire prima dei Consigli dell'Unione. Ma se noi siamo dentro una forma di Governo parlamentare, se noi riconosciamo che quelli sono i luoghi della decisione effettiva, noi non possiamo celebrare Pag. 14questi momenti come momenti rituali, ma devono essere dei momenti di effettiva discussione e indirizzo politico da parte della Camera, dell'unica Camera politica e, attraverso la Camera dei cittadini, nei confronti del suo Governo. Così penso al rapporto tra Parlamento nazionale e Parlamento europeo e penso, ancora, al ruolo, anch'esso fondamentale, del nostro Parlamento nelle altre organizzazioni internazionali, che – qui voglio ricordarlo – spesso sono sconosciute, ma che svolgono un ruolo importante proprio in materia di costituzionalizzazione del potere di tutela dei diritti fondamentali, in primo luogo il Consiglio d'Europa, ma anche le altre assemblee come la NATO e l'OSCE.
  È evidente a tutti quanto queste organizzazioni giochino un ruolo fondamentale dall'inizio di questa legislatura. Ci sono moltissimi provvedimenti che riguardano la vita delle persone, che riguardano il contrasto al terrorismo, al crimine informatico e così via, che noi assumiamo sulla base di convenzioni, di trattati internazionali o di sentenze di una Corte di giustizia. La nostra presenza dentro a quelle organizzazioni e il raccordo tra il nostro Parlamento e quelle organizzazioni devono essere più forti, perché che cos’è la Costituzione se non, appunto, una cornice all'interno della quale si difendono i diritti ? E a quelli che dicono che volevano un Senato delle garanzie io mi permetto di chiedere: ma un sistema di garanzie, cioè di tutela dei diritti fondamentali, chi lo ha esercitato in questi anni, se non la Corte costituzionale, se non la Corte di Strasburgo ? E quanto il nostro bicameralismo paritario, su tante materie sensibili per la vita quotidiana delle persone, è stato in grado di svolge un effettivo ruolo di garanzia dei diritti fondamentali ? Allora andiamo a vedere qual è oggi, sulla vita delle persone, il vero sistema delle garanzie e andiamo a potenziare quel sistema di garanzie. Andiamo a potenziarlo e a rendere il nostro Paese maggiormente protagonista dei luoghi in cui le convenzioni, i trattati si scrivono. Allora, dentro questo, signora Presidente, noi dobbiamo pensare a quello che succederà dopo. Noi dobbiamo rafforzare la nostra azione come Parlamento. Dovremmo rivedere la nostra legislazione in materia.
  La delegazione che io ho l'onore di presiedere è regolata da una legge del 1949, che dà, in qualche modo, la linea alle altre delegazioni parlamentari, che naturalmente rispecchia il bicameralismo paritario, prevedendo una composizione tra Camera e Senato. Ma nel momento in cui noi avremo una Camera politica, che è il luogo della rappresentanza fondamentale dei valori delle persone, e l'altra è una Camera dei territori, bisognerà evidentemente adattare la legislazione vigente per consentire al nostro Parlamento di essere politicamente rappresentato, laddove, appunto, queste decisioni vengono assunte anche tenendo conto che i territori sono rappresentati a livello di Consiglio d'Europa dal Congresso delle autorità locali e regionali. Quindi, posto che anche la Camera dei deputati avrà competenza sulla materia dei trattati internazionali e della politica internazionale, ad esclusione dei rapporti tra le regioni e l'Unione europea, che rimane anche in capo al Senato, bisognerà, appunto, pensare ad una piena rappresentanza della Camera dentro queste delegazioni.
  Questo è quello che dovremo fare, così come noi dovremmo dedicarci al grande tema che negli altri Paesi si sta discutendo e che anche è stato evocato dai colleghi, cioè gli strumenti di governance europea. Noi dobbiamo fare del nostro Parlamento anche il luogo della discussione della governance europea e di come rendere piena – è anche la nostra preoccupazione – la democrazia in quei luoghi così vitali, proprio perché questa limitazione della nostra sovranità politica, in condizioni di parità con altri Stati, non sia un depauperamento della possibilità dei nostri cittadini di decidere del loro destino e del destino delle loro comunità, ma sia un potenziamento.
  Così si potrà proseguire nella direzione, oggi decisiva, della costituzionalizzazione del potere politico sovranazionale e dotare Pag. 15i nostri concittadini e il nostro Paese di strumenti più adeguati all'esercizio della sovranità, dentro quell'orizzonte che oggi è l'orizzonte della nostra vera comunità politica, ossia l'orizzonte europeo, l'orizzonte degli Stati Uniti d'Europa, su cui anche il nostro Parlamento, per iniziativa anche della Presidente, ha mosso recentemente passi significativi. Questa è la direzione in cui noi dobbiamo andare e io mi auguro che questo passo di approvazione della riforma costituzionale, che noi stiamo per compiere, e poi di dialogo con i cittadini possa trasmettere al nostro Paese che noi non stiamo togliendo democrazia a loro, ma stiamo cercando, invece, di renderli più cittadini in un orizzonte nazionale e sovranazionale.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Baldelli. Ne ha facoltà.

  SIMONE BALDELLI. Grazie, Presidente. Ci sono alcune premesse che ritengo necessario svolgere a titolo personale in questa sede. Intanto, la prima è che più leggo le riforme che vengono fatte – in particolare della Costituzione e non solo – e più apprezzo la Costituzione così com’è. La seconda è una premessa in relazione all'atteggiamento che il mio partito ha avuto in questo processo di riforma. Tutti sanno che il mio partito, nella fase iniziale, ha concorso all'avvio di queste riforme, nella speranza che l'inizio di questa fase «costituente», di grande riflessione di carattere costituzionale, fosse una fase di alto profilo e soprattutto che servisse ad aprire un ponte di collaborazione – una sorta di pacificazione, dopo vent'anni di scontro politico, potremmo dire quasi di guerra civile sotterranea, tra maggioranza e opposizione, tra centrodestra e centrosinistra –, un ponte di dialogo su quelli che sono, non solo a mio avviso, ma a avviso di molti, i temi centrali che riguardano la scrittura delle regole. Ora, volendo, si può andare a tracciare un bilancio, anche semplicemente in questa fase, che non è la fase conclusiva, ma è certamente l'inizio della fase conclusiva.
  Possiamo dire che questo auspicio non si è rivelato di fatto aderente alla realtà: giacché doveva portare a costruire un ponte tra maggioranza e opposizione, si è in realtà forse riusciti a trovarsi in una sorta di forzatura unilaterale. Ricordo che questo ramo del Parlamento ha approvato in assenza delle opposizioni, con emendamenti votati in notturna durante una seduta fiume con i banchi vuoti delle opposizioni, la riforma costituzionale, e che al Senato le opposizioni non hanno votato la riforma costituzionale. Tutt'al più ha creato un ponte di dialogo, sì, ma tra maggioranza del PD e l'opposizione del PD; si sono quindi trovati dei punti di compromesso, e questo riguarda anche chiaramente la legge elettorale.
  La terza premessa è quella che – Presidente, come lei sa bene, rappresentando uno dei due rami del Parlamento, e colleghi, tutti voi sapete benissimo, essendo componenti di uno dei due rami del Parlamento – siamo in una fase di antiparlamentarismo fortissimo, viscerale, legato a derive demagogiche e populiste che travolgono spesso la credibilità di queste istituzioni, perché non solo provengono da fuori, ma vengono spesso assecondate da movimenti o da singoli parlamentari che in queste istituzioni vivono ed esercitano la loro attività.
  L'antiparlamentarismo è anche alimentato da una questione politica. È una riflessione che intendo consegnare a questa Assemblea, sulla assenza di leadership in questo Parlamento: se noi pensiamo ai leader dei principali partiti in questo Paese, abbiamo in mente persone che non sono elette in Parlamento, non sono presenti in Parlamento. A partire dal leader del Partito Democratico, che non è un deputato della Repubblica: è un Presidente del Consiglio, per fortuna è uno che viene in Parlamento, ma non è un componente di questo Parlamento. Non è un componente di questo Parlamento Beppe Grillo, che pure è il leader di quello che alle elezioni è stato il primo partito italiano, e che in questo momento i sondaggi danno in crescita; comunque, un grande protagonista della vita politica di questo Paese. Non è in questo Parlamento Silvio Berlusconi, che una parte Pag. 16di questo Parlamento ha preferito escludere dalla rappresentanza politica. Non è in questo Parlamento Matteo Salvini. Non è in questo Parlamento Nichi Vendola.
  In questo Parlamento, cioè, a differenza di quello che succede negli altri Parlamenti... Qualche tempo fa sono stato a un congresso nazionale del Partito Popolare Europeo a Madrid, e ho avuto la fortuna casuale di vedere un dibattito televisivo dove Mariano Rajoy e il suo antagonista del Partito Socialista si confrontavano nell'aula del Parlamento: quanto manca, Presidente Boldrini, a questo Parlamento il fatto che non ci siano dei leader che possano prendere la parola, che debbano sottostare a delle regole, cioè che possano essere richiamati o espulsi dall'Aula, o a cui comunque si possa togliere la parola se dicono cose sconvenienti, ma che partecipino alla vita democratica e siano colleghi dei 630 deputati che siedono in quest'Aula ? Quanto manca che non possano essere né alla Camera né al Senato ! I capi dei primi cinque partiti di questo Paese sono fuori dal Parlamento ! Quanto contribuisce questo alla decadenza di questo Parlamento ? Al fatto che chiunque rappresenti qualcosa possa dire: «beh, sì, ma la colpa è del Parlamento  ?». O dire ancora «è forse il Parlamento che deve essere chiuso ?» è il Parlamento che non funziona» ? Trasmissioni che costruiscono il loro successo, giornali che costruiscono il loro successo sulla critica, sulla denigrazione sistematica del Parlamento ! Questo è quello che succede, questo è il clima in cui siamo. L'antiparlamentarismo come status, come ragione sociale, come issue anche dell'informazione, mediatico !
  In più ci aggiungiamo una cosa che forse siamo in pochissimi a dire: un Governo non eletto dal popolo. Perché il risultato elettorale è stato quello che è stato, però da quando c’è stato Mario Monti, passando per Enrico Letta fino al Governo Renzi, non c’è stata l'elezione popolare. Il Ministro Boschi qui e gli altri colleghi, bravissimi, capaci, presenti, rappresentano un Governo che però non è andato dagli elettori a prendersi degli impegni. Il Ministro Boschi è entrata in quest'Aula come deputato: non ha fatto una campagna elettorale in cui, confrontandosi contro il sottoscritto, Brunetta o altri, ha presentato un modello di riforme istituzionali su cui prendere il consenso; cosa che per esempio Berlusconi aveva fatto.
  La battaglia presidenzialista che Berlusconi ha portato avanti negli ultimi vent'anni era una battaglia che insieme ad altri progetti sul fisco, sulla sicurezza e sul resto, Berlusconi ha sottoposto, insieme alla Lega, ad Alleanza Nazionale, alla coalizione di Governo, al giudizio degli elettori. Su questo ha ricevuto un mandato, e sulla base di questo mandato ha messo in campo un progetto politico, una riforma, che poi è stata bocciata, ma questo è stato ciò che è successo.
  Questa situazione in questo caso non c’è stata; con in più, se vogliamo aggiungere un'altra aggravante, l'elemento della incostituzionalità del premio di maggioranza dell'ultima legge. Sono uno di quelli convinti che il Porcellum era meno negativo di quello che è stato detto; sono uno di quelli che litigava la scorsa volta con colleghi autorevoli del gruppo del Partito Democratico, che andavano in giro sostenendo che noi eravamo dei nominati: perché si può essere eletti con una legge che può non piacere, ma non si può raccontare in giro che siamo dei nominati, perché se lo raccontiamo per primi noi è evidente che questo concetto passa all'esterno ! E se uno è nominato non è rispettato. Noi siamo eletti dal popolo ! Informo tutti i colleghi presenti in quest'Aula, anche quelli che non lo sono, che siamo eletti dal popolo ! Perché altrimenti è vero quello che dicono alcuni miei colleghi: che dovrebbero dimettersi tutti coloro che sono stati eletti con una maggioranza incostituzionale. Cioè tutto il premio di maggioranza dovrebbe andare a casa !
  Questo non è stato stabilito dalla Corte, perché non è così, anche se la Corte tutto sommato ci ha ripristinato un proporzionale con le preferenze, che peraltro era anche stato abolito da un referendum, quello del 1993, inserendolo Pag. 17per la Camera, dove il proporzionale con le preferenze non c’è mai stato; e anche lì un altro colpo di genio: si è fatta la legge, si sono messe le preferenze. Bene, complimenti ! Poi andiamo a discutere sulla Severino, sui rapporti tra mafia e politica: ma non lo conosciamo questo Paese ? Ma non l'avete vista la presentazione de L'Enciclopedia delle mafie, dove quando vengono tracciati i grafici delle presenze della criminalità territoriale in questo Paese non c’è uno spazio libero ? E noi facciamo una legge elettorale con le preferenze, per chiudere l'accordo con la minoranza del PD ! E poi facciamo le leggi contro la corruzione, il codice etico ! Ma dove siamo ? Ma ci rendiamo conto di quello che stiamo facendo, oppure no (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente) ?
  Ci rendiamo conto che parliamo di un Paese con un Parlamento con una maggioranza con 240 deputati eletti con le preferenze, dove se dovessimo chiudere un ospedale avremmo la gente incatenata nell'emiciclo ! Perché questo è quello che succede nel migliore dei casi, in cui ci sia una protezione fisica e militare del territorio, dei suoi privilegi, dei suoi finanziamenti, se non addirittura il ricatto sistematico del Governo.
  Con il proporzionale con le preferenze le finanziarie venivano approvate all'unanimità, col voto segreto ! Perché si dava, c'era il do ut des, c'era la contropartita ! Cosa vi credete, che nei prossimi Parlamenti con le leggi elettorali con le preferenze i deputati staranno qui da lunedì al venerdì a votare le mozioni ! ? Credete questo ! ? O credete che facciano ambulatorio tutta la settimana sul collegio, per farsi rieleggere ! ? Credete che questo porti la moralità, porti che il finanziamento... Tutto questo nel quadro del finanziamento dei partiti, che è stato cancellato: e noi sperimentiamo questo pasticcio in questa circostanza ! ?
  Il bicameralismo perfetto: si dice, si riduce il bicameralismo perfetto. Signori, io facevo lo studente universitario, già si parlava della modifica del bicameralismo perfetto. Qualche ora in quest'Aula ce l'ho passata: quante sciocchezze abbiamo cancellato da una legge all'altra, da un decreto-legge all'altro grazie al fatto che esiste il bicameralismo perfetto ? Si voleva superare il bicameralismo perfetto ? Benissimo: chiudete una delle due Camere, tanto le riforme le facciamo un tanto al chilo. Benissimo, chiudiamo il Senato ! No, il Senato rimane, ma rimane come Camera delle regioni; non si capisce bene, eletti o non eletti anche lì. Riecco il ponte di dialogo tra il PD e la minoranza del PD !
  Le regioni andavano chiuse ! L'unica cosa che andava chiusa in questo Paese, se si voleva salvare l'Italia dal rapporto tra gestione, preferenza, voto di scambio e imbroglio, erano le regioni. Sono state chiuse le province ! E il Senato rimane la Camera delle regioni: le ergiamo addirittura a ruolo parlamentare ! I consiglieri regionali, che prendono le loro preferenze per fare i consiglieri regionali, tra l'ambulatorio, il consiglio regionale e la gestione del potere locale, vengono durante la settimana gratis a fare i senatori. È un pasticcio che non si capisce come possa funzionare !
  Io parlo in libertà: finalmente non abbiamo più vincoli di sorta. Dico quello che penso, a prescindere anche da quello che pensa formalmente il mio partito: ho il dovere verso me stesso e verso quest'Aula di essere intellettualmente onesto.
  Altro che riduzione del numero dei parlamentari ! Bastava ridurre o cancellare le regioni. Si faceva una grande riforma, ma non una riforma con il metodo «stai sereno ! mica tanto...», come va adesso, in base alla quale in due mesi si cancellano le regioni. È un processo che va fatto, va fatto un percorso. Noi dobbiamo immaginare, se vogliamo salvare questo Paese, un percorso che, di qui al 2025 o al 2030, tiri fuori il Paese da alcune sacche che non funzionano, da alcuni problemi che emergono.Pag. 18
  Non si fa né dall'oggi al domani, né a colpi di maggioranza. Lo si fa, se è possibile, insieme, lo si fa in maniera ragionata.
  La riduzione del numero dei parlamentari: ma noi ci rendiamo conto cos’è stato il dibattito sulla rappresentanza dei parlamentari all'interno della Costituente ? La Costituente produce una Carta costituzionale, nella quale il numero dei parlamentari non c’è, perché c’è un dibattito alto, nobile e serio – non un dibattito su quanto i parlamentari costano, perché la democrazia non va trattata come un costo – sul fatto che ci debba essere una rappresentanza di un deputato e di un senatore ogni «x» decine di migliaia di abitanti, 90.000 per la Camera e 200.000 per il Senato. Non avevano neanche stabilito il numero; il numero si inserisce dopo, venti anni dopo, non dopo un quarto d'ora, perché aumentavano con il censimento. In base al censimento, si determinava il numero dei parlamentari.
  Se proprio dobbiamo seguire questa demagogia, che è forse quella che lascia una speranza a questa maggioranza di poter vincere il referendum, lo si faccia almeno con criterio. Si volevano ridurre gli eletti ? Si chiudevano le regioni. Già il pasticcio delle province è evidente e sotto gli occhi di tutti, ma non si sono chiuse e si sono lasciate aperte. Non hanno soldi, ma non riescono a lavorare, lavorano male, ma sono uno strumento di potere. Sono problemi, è chiaro.
  Io credo che qui dobbiamo interrogarci perché poi alla fine il bilancio delle riforme lo si acquisisce su due grandi linee; quindi dobbiamo farci due domande. Possiamo tollerare una riforma che dia più efficienza e miglior funzionamento, che non è maggiore velocità. Attenzione, Ministro Boschi, la velocità non c'entra. Dalla velocità vengono fuori pasticci giganti. La velocità è quella che fa della «legge Fornero», cioè una legge che si ispirava ad un principio di razionalizzazione della spesa previdenziale, anche condivisibile, un pasticcio gigante e un dramma personale per famiglie intere, perché, grazie alla velocità, non sono stati fatti bene i conti e si sono trovate in mezzo delle persone, perché i cosiddetti esodati sono vittime della velocità. Quindi, la retorica della velocità a casa mia non entra. Ma il funzionamento efficace, la rappresentanza vera, quella è la funzionalità di un Parlamento.
  Allora, se si decide di restringere la rappresentatività in cambio della funzionalità, può essere un compromesso e una scelta che si fa. O, viceversa, si amplia la rappresentatività, nel caso in cui ci si trovi effettivamente di fronte a un deficit di rappresentatività a scapito di una minor funzionalità. Io ho come la sensazione che con questa riforma noi perdiamo funzionalità e rappresentatività insieme. E allora qui c’è una controprova democratica che bisogna fare. Tutti quelli che fanno le riforme e che se ne rendono protagonisti, secondo me, devono domandarsi questa cosa e, nel corso della storia, tutti quanti noi, in un modo o nell'altro, l'abbiamo imparato. Dovete domandarvi: se a fare questa riforma non fossimo stati noi, ma altri, cosa sarebbe successo ? Se a fare questa riforma fosse stato il MoVimento 5 Stelle al Governo, se fosse stato Berlusconi dieci anni fa o l'anno prossimo, cosa avremmo fatto noi ? Io immagino il proliferare dei girotondi, degli amici de «la più bella del mondo», immagino schiere di intellettuali a contrastare la barbarie di chi vuole massacrare la nostra Costituzione così bella.
  Guardate che avviare questo Paese in questa fase, in cui gli enti locali sono a pezzi, in cui le risorse economiche sono poche, in cui le nostre casse non traboccano di denari e la crisi internazionale è quella che è, e non voglio neanche nominare la questione terrorismo, infilare questo Paese in una fase sperimentale di avviamento di una Costituzione che stravolge la seconda parte del nostro ordinamento costituzionale, in una fase in cui dovremmo riuscire a capire dalla mattina, quando iniziamo le sedute, come si affronta questa seduta oggi – ve lo dice uno che questo Parlamento ogni tanto lo presiede pure – capire come fare una Pag. 19legge adesso con il nuovo Senato è assolutamente problematico. Guardate, c’è un problema, io ne sono convinto.
  Noi entriamo in tunnel avventuristico dal quale non so come ne usciremo, ma, soprattutto, io dico: attenzione, c’è qualcuno che mette in relazione il combinato disposto tra la riforma costituzionale e la legge elettorale, tuttavia io credo che noi non avremo una maggiore efficienza, avremo invece una funzionalità dubbia.

  PRESIDENTE. Concluda onorevole.

  SIMONE BALDELLI. Sì Presidente, lo so, ma noi abbiamo un tempo maggiore giacché si sono cancellati degli iscritti, quindi la scampanellata è una cortesia che apprezzo, ma approfitto per concludere in maniera tranquilla perché so che c’è tempo a sufficienza.
  Credo che ogni protagonista delle riforme sia andato incontro ad una eterogenesi dei fini. Ogni volta che è stata fatta una riforma per un fine, anche elettorale, con l'obiettivo di garantire la maggioranza che l'ha portata avanti, ha finito per favorire altri ! Attenzione allora, dalla legge elettorale e da questa riforma non è detto che ne esca vincitore chi oggi ne è protagonista ! Intanto, per il sospetto che sia stata fatta tanto per farla e mettere a segno il punto sostenendo: noi la abbiamo fatta, a differenza di chi non la ha fatta in tanti anni. Ma se non si è fatta in tutti questi anni un motivo vi sarà, probabilmente o non era matura o non andava bene per come era stata pensata e realizzata.
  Vedremo, perché vi sarà il giudizio degli elettori, ma io sono convinto che il rischio del pasticcio sia molto più grande dell'idea di dire che non ce la si è fatta, anche perché non ci sono orde di elettori qua fuori che aspettano la riforma. Questo Governo e questa maggioranza non hanno ricevuto alcun mandato, e molto probabilmente l'unico motivo per cui la fa è una data: 2018 (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente) ! In sostanza, si tratta di riuscire ad avere una buona ragione per andare avanti. Poi, per il resto, in maniera alta e nobile c’è la sfida di volerle fare e fare bene. A nostro modesto avviso, questa sfida non è guadagnata, è invece persa. Dopodiché, domandatevi sempre se oggi al posto vostro ci fosse stato chiunque altro, cosa avreste fatto da quei banchi e nelle piazze (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Parisi. Ne ha facoltà.

  MASSIMO PARISI. Grazie, Presidente. Ministro, onorevoli colleghi, mi ero preparato un intervento scritto, ma ho troppa stima ed affetto nei confronti del collega Baldelli per non dire quantomeno due cose sul suo intervento, di cui ho certamente apprezzato la passione e, per la verità, alcuni degli argomenti che ha sostenuto. Io credo sia troppo facile dire potevamo abolire le regioni. Certo, potevamo fare mille cose. Ho la vaga sensazione, visto che sull'abolizione delle regioni non è stato presentato un solo emendamento in nessuno dei due rami del Parlamento, che sia una di quelle cose che si dicono senza avere cognizione di che cosa sia un riformismo possibile. Il riformismo possibile è fare le cose che sono possibili con il Parlamento dato, eletto come è stato eletto, e nelle circostanze esistenti.
  Certo, la riforma poteva essere migliore, lo dico perché ci sono degli argomenti che condividiamo, in particolar modo con il collega Baldelli. Certo che poteva essere migliore se si fosse introdotto il presidenzialismo, fa parte anche della nostra storia, ma in questo caso vi erano degli emendamenti, e quegli emendamenti sono stati bocciati con l'80 per cento dei voti contrari del Parlamento. Per far quel tipo di riforma allora non è che serve un'altra legge elettorale, serve invece la deriva autoritaria e i carri armati, perché fare una riforma che vede contrario l'80 per cento del Parlamento significa non farla. Mi veniva in mente Pag. 20allora una frase di Ratzinger prima che diventasse Papa – ora Papa emerito...

  SIMONE BALDELLI. Anche Ratzinger !

  MASSIMO PARISI. Certo ! La frase dice: attuare ciò che è possibile e non reclamare con il cuore in fiamme l'impossibile, limitarsi al possibile sembra una rinuncia alla passione morale, pragmatismo da meschini, non l'assenza di compromesso, ma il compromesso stesso è la vera morale dell'attività politica.
  La seconda cosa che voglio dire all'amico Baldelli è che è vero che queste riforme sono state approvate in seconda e terza lettura con l'abbandono delle opposizioni e in particolar modo del partito che ci ha visto insieme per tanti anni, ma non possiamo dimenticare che la prima lettura del Senato ha avuto il voto favorevole di Forza Italia, e fra la prima lettura del Senato e la seconda della Camera non è che il testo è stato stravolto e al posto della democrazia parlamentare sono stati introdotti i carri armati.
  Quelle riforme le abbiamo votate grazie ad un gesto lungimirante e, siccome la piccola componente di cui faccio parte ha creduto in una storia, e visto che forse siamo al testo definitivo, siamo forse alla penultima volta in cui parliamo in questa Aula di questo argomento, mi permetto di ricostruirla questa storia, anche perché tra poco, il 18 gennaio, saranno due anni dall'incontro che ha portato al patto del Nazareno. Quell'idea di riforma nasce dall'incontro di due leader, quello del centrosinistra, non il nostro, e il lungimirante Silvio Berlusconi.
  E in quell'incontro non si decise solo di rispondere a un'emergenza, perché c'era un'emergenza. È vero che non ci sono le masse che reclamano intorno al Parlamento il varo di una legge elettorale e il varo di una nuova Costituzione, ma è vero che ci fu una sentenza della Corte costituzionale che dichiarò che il cosiddetto Porcellum, di cui condivido molte delle valutazioni che ha fatto il collega Baldelli, era incostituzionale e un paese, una democrazia senza legge elettorale non può stare. E però in quell'incontro quei due leader decisero di fare una seconda cosa, oltre alla legge elettorale, e lo decisero spontaneamente perché in quel caso non c'era un'emergenza, c'era una storia. C'era la storia di un Paese che da trent'anni, dall'ottava legislatura alla diciassettesima legislatura della Repubblica, ha cercato di cambiare la legge elettorale. Decisero, senza che ci fosse un'emergenza, di approfittare di una legislatura che per ovvie regioni, per logica di numeri, doveva essere costituente, per fare anche la riforma costituzionale che da trent'anni si racconta agli italiani essere necessaria. E l'abbiamo raccontato anche noi, lo ha raccontato anche Forza Italia e ci sono nel primo programma elettorale di Forza Italia tanti di quegli elementi, che poi ritroviamo nelle riforme; il superamento del bicameralismo paritario per esempio.

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARINA SERENI (ore 11,05)

  MASSIMO PARISI. Come fu del deputato, allora, Silvio Berlusconi un progetto di legge del 1996 che prevedeva, guardate i casi della storia, un Senato composto da 100 membri. Questo giusto per ricordare alcune questioni. Ora, da quell'incontro del Nazareno, dicevo, sono passati due anni. E, giusto perché si rifletta su alcuni elementi, la legge elettorale, uno di quei due temi di quell'incontro, è diventata legge dello Stato nel maggio scorso – ancorché non perfettamente operativa perché, come sappiamo, entrerà il prossimo luglio 2016 – cioè soltanto 472 giorni dopo l'incontro del Nazareno, un anno, tre mesi e diciassette giorni. Se saremo fortunati o sfortunati, a seconda dei casi, anche perché le opinioni, come abbiamo visto, su questo tema cambiano, anche in Parlamento, la riforma costituzionale, questa riforma costituzionale potrebbe essere, come dire, licenziata definitivamente intorno ad aprile del 2016, cioè a 813 giorni dal «patto del Nazareno», due anni, due mesi e 23 giorni. E non sarà ovviamente ancora finita, perché ci sarà il Pag. 21referendum confermativo previsto dall'articolo 138 comma 2 della Costituzione, che grossomodo potrebbe tenersi nell'ottobre del 2016. Ci saranno voluti a quel punto mille giorni, mille giorni per fare una riforma costituzionale, due anni e otto mesi. Ecco, lo dico senza acrimonia, se è in corso una deriva autoritaria nella storia del Paese, è la prima deriva autoritaria al rallenty nella storia delle derive autoritarie.
  Legge elettorale e riforma della Costituzione furono i due capisaldi di quell'accordo. A quell'accordo seguì, oltre al percorso della legge elettorale, per quel che riguarda le riforme, il Consiglio dei ministri del 31 marzo 2014, in cui fu approvato il disegno di legge di iniziativa governativa, che dava avvio concreto all'iter delle riforme. Ecco, voglio rimarcare, e credo che sia giusto che quest'Aula del Parlamento lo faccia, che di quel testo uscito dal Consiglio dei ministri è rimasto ben poco. E questo grazie al lavoro svolto dentro le aule parlamentari, in occasione della prima lettura al Senato, conclusasi nell'agosto 2014 con il voto favorevole di Forza Italia, e soprattutto in occasione della prima lettura alla Camera, conclusasi nel marzo di quest'anno. Queste non sono dunque le riforme di Renzi, non sono solo le riforme del Governo o di una parte politica, sono riforme migliorate in maniera sostanziale grazie anche al confronto che si era instaurato tra Partito democratico e Forza Italia. Un confronto purtroppo interrottosi. Ma parte dei riflessi di quel passaggio sono ancora vivi nel testo.
  E perché dico che non sono le riforme di Renzi ? Perché, se guardiamo alla composizione del Senato, il testo presentato dal Governo prevedeva un Senato composto dai presidenti delle regioni, dai sindaci dei comuni capoluogo, da due consiglieri regionali e due sindaci per ogni regione, a questi si sarebbero dovuti aggiungere 21 senatori di nomina presidenziale. Il testo su cui oggi discutiamo invece, grazie a quel lavoro che è stato fatto, è molto diverso, e non sto a ridirlo perché lo conosciamo. Questo risultato è stato raggiunto grazie anche al fatto che c'era, ci fu, c’è stato un confronto. E, seppure oggi rinnegato sull'altare dell'opposizione dura e pura, fu un successo politico quel risultato, anche di Forza Italia. Anche l'innovazione, rispetto al testo governativo, del quorum per l'elezione del Presidente della Repubblica la si deve al lavoro parlamentare. Non voglio nascondere però un elemento, non voglio nascondere che a mio avviso, ad avviso della nostra piccola componente, durante l'ultima lettura al Senato, il testo è stato secondo noi peggiorato. Se però oggi quest'Aula discute di un testo peggiore di quello che licenziammo nel marzo scorso, ci sono delle responsabilità e sono responsabilità duplici, ci sono responsabilità di natura più politica che di merito e sono responsabilità da un lato di una rottura di un accordo che vedeva confrontarsi i due principali schieramenti in maniera costruttiva, dall'altro un congresso permanente che un partito, il partito che esprime il Presidente del Consiglio, ha svolto su questi temi nell'Aula del Senato.
  E mi riferisco, quando parlo di passi indietro rispetto al testo della Camera, ai passi indietro fatti sull'articolo 2 e sull'articolo 37. Per quanto riguarda il metodo di elezione del Senato con le modifiche al quinto comma dell'articolo 2 si è scelta una soluzione che non introduce l'elezione diretta ma pone dei limiti a quella indiretta, una situazione complessa che rimanda la soluzione della questione alla legge bicamerale che dovrà entrare nel dettaglio. Sull'articolo 37, invece, il peggioramento che riscontriamo è relativo all'elezione dei componenti di nomina parlamentare della Corte costituzionale e in questo devo dire stranamente, per una certa eterogenesi dei fini, probabilmente mi trovo anche d'accordo con colleghi di parte opposta che hanno parlato prima di me e quindi non sto ad insistere anche su questo punto.
  E c’è una criticità ulteriore sulle norme transitorie sull'elezione dei senatori e tuttavia noi della nostra componente, anche nel corso dell'inizio dell'esame di questo provvedimento ed in Pag. 22corso di quella che sarà l'analisi del provvedimento in Aula, non ci siamo arresi alla prospettiva di continuare a inseguire l'idea che comunque questa riforma nel suo complesso grazie al superamento del bicameralismo paritario, grazie al fatto che così, lo dico en passant, diventiamo uno dei Paesi più virtuosi dal punto di vista del numero dei parlamentari – forse una cosa che all'opinione pubblica interessa – è comunque una riforma che risolve una parte di quelle problematiche relative al Titolo V, quel Titolo V che fu cambiato manu militari, allora sì, dal centrosinistra nel 2001; e allora noi abbiamo avuto e avremo un atteggiamento per cui dopo si possa dire agli italiani che finalmente la parola passi a loro, cioè che finalmente questo sia il passaggio conclusivo, ripeto nonostante i peggioramenti che non ci convincono e non ci hanno convinto e sono stati introdotti al Senato per quelle cause politiche che ho ricordato, la nostra componente darà il proprio apporto costruttivo affinché si possa rapidamente andare al referendum confermativo e passare la parola agli italiani.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato D'Attorre. Ne ha facoltà.

  ALFREDO D'ATTORRE. Grazie Presidente, signora Ministra, cari colleghi, credo che mi consentirete di cominciare questo intervento con un riferimento ad un'altra mia dichiarazione in quest'Aula, quella che ho pronunciato in occasione del primo passaggio del DDL costituzionale, per motivare in quella occasione; eravamo all'inizio dell'anno, credo nel febbraio del 2015, pur a fronte di una notevole, già allora, perplessità su diversi elementi di questo DDL costituzionale, che già in quella occasione mi portarono a non votare diversi articoli del provvedimento, tra cui l'articolo centrale, l'articolo 2, ciononostante ho espresso in quel passaggio un voto favorevole, testimonianza di una posizione non pregiudizialmente contraria, avversa al processo riformatore e alla sua prosecuzione, accompagnando questo vuoto con la dichiarazione, già in quella occasione, che senza profonde modifiche di metodo e di merito nell'iter delle riforme, quel voto favorevole espresso in quella circostanza, che aveva quella motivazione, non sarebbe stato riconfermato nei passaggi successivi; e lo feci esprimendo anche una considerazione relativa allo stretto intreccio che credo tutti qui riconosciamo tra questo DDL costituzionale e la legge elettorale, intreccio strettissimo che credo, quale che sia la valutazione che se ne dà – positiva come ho ascoltato poco fa nelle parole del deputato Nicoletti, o negativa – è riconosciuto qui da tutti un legame organico tra questi due provvedimenti che naturalmente ci impegna, nel momento in cui noi siamo qui chiamati a pronunciarci sul DDL costituzionale, a tener conto del complesso del quadro.
  E i passaggi successivi che si sono verificati nei mesi seguenti l'approvazione della legge elettorale alla Camera nel maggio di quest'anno e il passaggio ulteriore sul DDL costituzionale al Senato hanno, dal mio punto di vista, pienamente confermato quelle preoccupazioni e sul piano, sia del merito, che del metodo, motivano, dal mio punto di vista, l'orientamento e il voto convintamente negativo che io oggi qui esprimo. E non nascondo, consentitemi quest'ultima notazione personale, che il modo in cui questo iter delle riforme è andato avanti è stato per me e per altri colleghi anche uno degli elementi che ha concorso in maniera non secondaria a motivare una decisione impegnativa e sofferta come quella dell'abbandono del gruppo del Partito Democratico.
  Partirei, innanzitutto, da una questione di metodo perché, quando tocchiamo le regole fondamentali del gioco democratico, la Costituzione e la legge elettorale, il metodo non è un orpello, ma il metodo è sostanza. E io credo che in tutta questa vicenda ci sia stato un vizio d'origine pesante. Qui nessuno disconosce il fatto che il Governo potesse e dovesse avere un ruolo di impulso in questa vicenda. Nessuno di noi ha contestato che questo processo partisse da una proposta Pag. 23avanzata dall'Esecutivo. Il punto è che questo ruolo di impulso che il Governo poteva esercitare si è presto trasformato in un condizionamento pesante sull'intero iter riformatore. Un condizionamento che ha trasformato, come abbiamo vissuto in tanti passaggi in questi mesi, il voto su ogni singolo emendamento relativo alla legge elettorale e alla riforma costituzionale in un voto di fiducia sull'Esecutivo. Questo metodo, che ha espropriato il Parlamento della sua funzione, della sua centralità, delle sue prerogative su una materia che da sempre era stata riconosciuta come una materia squisitamente parlamentare, è stato un macigno che ha gravato sull'intero percorso, producendo dei passaggi che, riletti a distanza di qualche mese, hanno dell'incredibile.
  Io voglio ricordare un episodio. Credo che fossimo nel dicembre dell'anno scorso e ci sono qui dei colleghi, anche del gruppo del Partito Democratico, che hanno vissuto con me quella vicenda. In Commissione, nel primo passaggio parlamentare, alcuni di noi sollevarono la questione dell'evidente irragionevolezza dell'articolo 2 di questo provvedimento, che disegnava una composizione del Senato che credo nessuno in coscienza ed onestà si sente di difendere compiutamente, che è stata con tutta evidenza il frutto di un compromesso riuscito male. Infatti, qui non si tratta di disconoscere il compromesso come elemento fondante della politica democratica, ma si tratta di interrogarsi sulla natura e sulla qualità di questo compromesso. Ebbene, di fronte a una composizione del Senato, che già allora prevedeva, accanto a consiglieri regionali eletti dai consigli regionali e a sindaci eletti dai consiglieri regionali, anche cinque personalità nominate direttamente dal Presidente della Repubblica, avevamo introdotto la necessità di riaprire l'esame e la valutazione di quell'articolo attraverso un emendamento che ci consentisse di rimuovere l'elemento di più palese incongruenza costituito dalla presenza appunto dei cinque senatori di nomina presidenziale. Una modifica che, se fosse stata confermata e accettata anche in Aula, avrebbe reso ben più agevole la discussione che poi c’è stata nel successivo passaggio al Senato quando l'esigenza di modificare quell'articolo 2 è diventata un'esigenza condivisa da tutti. Ebbene, no, quel voto della Commissione fu presentato, non come la volontà di concorrere al miglioramento del provvedimento, senza mettere in discussione i pilastri fondanti della riforma, ma fu preso come un voto contro il Governo, come un venir meno alla lealtà politica, col risultato che quella modifica assolutamente ragionevole, necessaria e utile, come i fatti successivi hanno dimostrato, a una più ragionevole prosecuzione dell'iter, è stata impedita e quei membri della Commissione che avevano preso quell'iniziativa sono stati additati come deputati che si erano sottratti a un vincolo di comunità e di lealtà rispetto al proprio gruppo politico.
  Ho fatto questo esempio, ma la lista degli strappi e delle forzature che si sono registrati nell'intero iter riformatore è una lista molto cospicua qualitativamente e quantitativamente. Mi perdonerete se insisto su questi aspetti di metodo, ma sono aspetti fondanti, dal mio punto di vista, quando ragioniamo di Costituzione e di regole fondamentali della democrazia. Penso alla sostituzione forzata di diversi membri delle Commissioni alla Camera e al Senato; membri dissenzienti rispetto alla linea ufficiale del partito. Anche questo credo abbia pochi precedenti nella vicenda parlamentare e certo ne ha pochissimi nella vicenda politico-parlamentare del centrosinistra. Penso al reiterato uso dell'argomento politico per il quale o il processo riformatore andava avanti secondo le linee indicate dal Governo, ripeto non sui pilastri, ma su ogni singolo dettaglio della riforma, su ogni singolo emendamento, o si faceva così come indicava il Governo sulla base di accordi assunti in sede extraparlamentare, oppure l'argomento era che questa legislatura non sarebbe potuta andare avanti e che si sarebbe arrivati allo scioglimento delle Camere, arrogandosi, peraltro, di un potere che non spetta Pag. 24naturalmente né ai singoli parlamentari, né ai Ministri, né al Presidente del Consiglio. Penso al fatto che il ruolo delle Commissioni è stato ripetutamente eluso. Voglio ricordare la vicenda della legge elettorale: primo passaggio alla Camera, nessuna discussione e voto sugli emendamenti in Commissione; passaggio al Senato, idem, con utilizzo poi del maxiemendamento canguro Esposito per far decadere tutte le proposte modificative; terzo passaggio alla Camera della legge elettorale, sostituzione in blocco dei membri della Commissione. Senza poi considerare l'episodio, dal mio punto di vista più grave di tutta questa vicenda, che è la decisione assunta dal Governo nell'aprile dell'anno scorso di imporre il voto di fiducia sull'approvazione della legge elettorale. Una decisione che ha solo due precedenti nella storia parlamentare del nostro Paese: la legge Acerbo del 1923, in una fase storica che non ho qui la necessità di ricordare, e la legge truffa del 1953 dopo, peraltro, una vicenda parlamentare ben più travagliata di quella che ha caratterizzato l'approvazione dell'Italicum. Una decisione dal mio punto di vista sbagliata, grave e che è destinata a lasciare un segno pesante su questa legislatura per il precedente che costituisce.
  E consentitemi di dire che noi abbiamo realizzato un capolavoro. Perché ? Perché abbiamo avuto tutto un iter della riforma in cui proposte di modifica, sia sulla legge elettorale, che sulla riforma costituzionale, sono state considerate all'interno della forza politica di maggioranza relativa come impraticabili, non perché in sé irragionevoli, ma perché bisognava mantenere l'accordo extraparlamentare stretto con Forza Italia. Non rivelo un mistero se dico qui che, rispetto a tante proposte di modifica che abbiamo avanzato di fronte ai nostri interlocutori che sono stati il capogruppo del PD Fiano in Commissione e la Ministra Boschi, non c’è stato opposto un diniego di merito, ma ci è stato spesso detto che queste proposte sono ragionevoli, sarebbero migliorative, ma abbiamo un accordo con Forza Italia e non lo possiamo modificare. L'esito è stato che questo accordo extraparlamentare per vicende non attinenti all'iter delle riforme è venuto meno, per cui adesso ci troviamo con questa doppia situazione: un complesso delle riforme che non è stato possibile migliorare in virtù di questa impostazione e provvedimenti che vengono approvati con una maggioranza che non è una maggioranza costituente, ma che in alcuni casi, come nel caso della legge elettorale, è stata una maggioranza perfino più ristretta, sensibilmente più ristretta, della maggioranza di Governo, contraddicendo un impegno, quello a non rifare mai più riforme della Costituzione e delle regole democratiche fondamentali a colpi di maggioranza, che avevamo solennemente assunto di nuovo in occasione delle ultime elezioni quando, come centrosinistra, insieme PD e SEL, eravamo stati eletti sul programma di Italia Bene Comune e della Carta di intenti di Italia Bene Comune.
  Anche perché sapevamo e sappiamo bene che non è affatto vero che non ci siano state riforme e tentativi di riforma della Costituzione anche recentemente. La Ministra Boschi ha parlato addirittura di settant'anni di immobilismo costituzionale. Ma anche a restringere più modestamente lo sguardo agli ultimi quindici anni, tutti ricordiamo che negli ultimi quindici anni noi abbiamo avuto ben tre pesanti interventi sulla Costituzione, riusciti o tentati. Mi riferisco, naturalmente, alla riforma del Titolo V del 2001, alla tentata riforma della Costituzione, fortunatamente respinta con un voto popolare, nel 2006 e all'intervento che poi c’è stato sull'articolo 81 nel 2012. E il modo in cui quelle riforme sono state portate avanti, a colpi di maggioranza o sotto l'urto di emergenze che hanno impedito qualsiasi discussione, avrebbe dovuto suggerirci una particolare cautela e prudenza in materia di riforme costituzionali. Non è vero che negli ultimi quindici anni non si sia fatto nulla, non si sia intervenuto. Questa è una narrazione facile, ma è fattualmente falsa. La verità è che negli Pag. 25ultimi quindici anni abbiamo fatto riforme sbagliate nel merito e nel metodo. Ora, nel merito noi avremo la possibilità credo di confrontarci nel corso della discussione degli emendamenti. Io voglio qui semplicemente riprendere alcuni punti, tenendo fermo questo legame organico, che non dobbiamo mai perdere di vista, tra questo provvedimento di riforma costituzionale e la legge elettorale. Il collega Nicoletti ci invitava a un esame testuale del testo per smentire la tesi che non c’è un intervento sulla forma di Governo. Ma se noi guardiamo alla legge elettorale, è evidente che lì un intervento sostanziale de facto c’è ed è un intervento molto pesante e incisivo. La nuova legge elettorale resuscita i due principali vizi del Porcellum che erano stati cancellati dalla Corte costituzionale. Corte costituzionale che aveva restituito finalmente ai cittadini il potere di scegliersi i parlamentari. Con l'Italicum questo potere i partiti per buona parte, per il 60 per cento, se lo riprendono. In più, ci troviamo di fronte di nuovo a un premio di maggioranza che viene attribuito attraverso un meccanismo di ballottaggio con una misura che può essere del tutto abnorme e che diventa ancora più abnorme in considerazione degli attuali livelli di partecipazione al voto che si stanno ormai stabilizzando, non solo in Italia, ma in tutti i Paesi della periferia dell'eurozona. Io faccio questa osservazione: ormai, se guardiamo le elezioni degli ultimi anni in Italia, in Grecia, in Spagna, in Portogallo, l'affluenza elettorale tende purtroppo ad andare verso il 50 per cento. È un dato ormai sistemico e abbastanza esteso. Questo significa che una lista che potrebbe oggi tranquillamente vincere il ballottaggio, avendo raggiunto al primo turno il 25 per cento del consenso elettorale – oggi questa previsione non è assolutamente peregrina sulla base degli attuali rapporti di forza in campo –, può, sulla base del sistema che stiamo costruendo, avere la maggioranza assoluta alla Camera e al Senato ed esprimere un Premier che ha una legittimazione e un'investitura popolare diretta e che contemporaneamente si nomina una parte consistente dei parlamentari che lo dovranno sostenere. Un sistema di presidenzialismo introdotto surrettiziamente di fatto, senza quei contrappesi e quei meccanismi di equilibrio che invece connotano i veri e sani regimi presidenziali. In una situazione in cui un partito che prende il 25 per cento dei voti al primo turno, che con una partecipazione al voto del 50 per cento, significano il 12-13 per cento di rappresentanza reale della società, prende tutto, diventa il padrone incontrastato della scena politica.
  Facendo un esempio, se guardiamo alla Prima Repubblica, in cui votava il 90 per cento dei cittadini, è come se in uno scenario della Prima Repubblica, un partito con i voti del Partito Socialista di Craxi, per intenderci, un partito del 13-14 per cento, diventava il dominus assoluto, da solo, della scena politica italiana. Questo è il sistema che noi stiamo disegnando. Ora è evidente che la discussione che noi faremo su questo disegno di legge realisticamente non sarà in condizione, in quest'Aula, di riaprire la partita e, quindi, onestamente, è del tutto evidente che noi ci stiamo preparando con i nostri argomenti a un confronto che si svolgerà nel Paese davanti ai cittadini con referendum popolare del prossimo autunno.
  Io voglio qui rapidamente indicare perché anche le motivazioni specifiche che sono state addotte a sostegno del disegno di legge costituzionale sono sbagliate. È stato detto: dobbiamo superare il bicameralismo perfetto, perché dobbiamo accelerare l'iter di formazione delle leggi. Io inviterei tutti a ragionare anche qui sulla base dei dati, dei fatti. Non è affatto vero che in Italia le leggi sì approvano più...

  PRESIDENTE. Concluda.

  ALFREDO D'ATTORRE. Ho già esaurito i venti minuti...

  PRESIDENTE. Sì, ha un minuto, onorevole D'Attorre.

Pag. 26

  ALFREDO D'ATTORRE. Non è affatto vero che in Italia noi abbiamo un tempo di approvazione delle leggi che è più lungo rispetto alle altre grandi democrazie europee, anzi i dati ci dicono esattamente l'opposto: le leggi si fanno in Italia, in media, abbastanza più rapidamente che negli altri Paesi e anzi abbiamo un problema di ipertrofia normativa, di un'eccessiva produzione di leggi.
  Così come anche l'argomento della riduzione dei costi. Io qui non entro nel merito – si può immaginare quale sia la mia opinione – se sia un argomento congruo in materia di revisione costituzionale, ma la riduzione dei costi si sarebbe potuta realizzare in maniera più incisiva e più saggia attraverso altre vie, immaginando una riduzione bilanciata del numero dei deputati e dei senatori, come diversi di noi, diversi gruppi, avevano proposto, o addirittura percorrendo una strada più radicale e coraggiosa come quella del passaggio al monocameralismo e a un vero superamento del Senato. Si poteva fare. Si potevano realizzare questi obiettivi evitando di realizzare un sistema così squilibrato ed evitando anche di dar luogo a questo nuovo Senato che è un Senato ibrido, privo di una sua natura e di una sua configurazione definita. Avevamo davanti a noi due modelli possibili, o il Senato delle garanzie eletto su base proporzionale, sulla base del suffragio diretto, che avrebbe svolto una funzione rilevante su alcune grandi questioni che attenevano ai diritti e alle libertà, alle garanzie individuali (un modello in sé coerente, dotato di senso, si può essere d'accordo o no, ma quel modello ha un senso, ha una sua coerenza) oppure l'altra strada, anche questa indicata da tanti di noi con emendamenti, che era quella di un vero Senato rappresentativo delle autonomie territoriali, in cui gli enti territoriali e i Governi territoriali trovassero direttamente espressione. Alla fine, attraverso questo compromesso extraparlamentare che non trova una sanzione neppure nel voto parlamentare, perché chi ha concorso a questo pasticcio oggi si sottrae anche a un voto di approvazione di questa riforma, noi ci troviamo di fronte a un ibrido del tutto irrisolto che rischia di rendere perfino più farraginoso il procedimento di approvazione delle leggi. Mi pare che il sistema che esce delinei dieci modalità possibili di articolazione del procedimento legislativo, in alcuni casi attraverso una concertazione anche piuttosto delicata che si dovrà svolgere tra i Presidenti di Camera e Senato.
  A ciò si aggiunge una modifica dell'articolo 117 che, per venire incontro a una giusta esigenza di superamento dei limiti della riforma del 2001, rischia, in realtà, di realizzare un finto superamento della legislazione concorrente, perché si dice di superare la legislazione concorrente, ma in realtà la si reintroduce surrettiziamente su diverse materie, di fatto, producendo un sistema rigido che rischia di riaprire un contenzioso davanti alla Corte costituzionale che la giurisprudenza di questi anni, comunque, in qualche modo, aveva concorso a dirimere e a stabilizzare.
  Infine, consentitemi un'ultima considerazione. Anche qui mi riferisco all'intervento tenuto poco fa dal collega Nicoletti, il quale ci ha detto che non ha senso considerare questo processo di riforma indipendentemente dal nesso che ormai si è stabilito tra ordinamento nazionale e ordinamento europeo. Io sono d'accordo, è così. Lo faccio però sulla base di uno svolgimento del ragionamento che è molto diverso da quello del collega Nicoletti che ha fatto riferimento all'articolo 11 della Costituzione così come disegnato dai nostri padri costituenti. In quell'articolo 11 c’è scritto, è vero, che la Repubblica accetta limitazioni della propria sovranità a favore di ordinamenti internazionali che perseguano scopi di pace e di cooperazione, ma lo fa sulla base di un principio di pari dignità tra gli Stati e tra i popoli. Allora, noi forse dovremmo interrogarci sul fatto che questa riforma costituzionale, in realtà, va incontro a uno sviluppo dell'Unione europea che è molto, molto lontano, da quello disegnato dall'articolo 11 della nostra Carta costituzionale. Uno sviluppo dell'Unione europea in cui noi rischiamo di svuotare definitivamente Pag. 27la sovranità democratica e costituzionale, non per costruire una democrazia europea, una sovranità politica europea, ma semplicemente per trasferire poteri di indirizzo politico dai Parlamenti nazionali a organismi tecnocratici sovranazionali, in una situazione in cui si accentua una condizione di profonda asimmetria tra i diversi Stati europei, con alcuni Stati, a partire dalla Germania, che difendono gelosamente, col proprio Parlamento e con la propria Corte costituzionale, le proprie prerogative democratiche costituzionali e con altri Paesi guidati da Governi che si fanno vanto di accedere a richieste dell'Europa, della Commissione europea, di semplificazioni del sistema costituzionale che consentano di adeguarsi con più celerità e con più efficacia alle direttive imposte dagli organismi tecnocratici di Bruxelles. Sappiate che questo sarà un punto di fondo della discussione che terremo nei prossimi mesi davanti al Paese. Il Presidente Renzi, la Ministra Boschi, hanno ripetuto diverse volte che – io credo a ciò che dicono – questa riforma, queste riforme, ce le chiedono l'Europa. Ebbene, io credo che però questo debba essere un motivo di riflessione. Possiamo indebolire il nostro sistema rappresentativo, possiamo svuotare la funzione del Parlamento, possiamo rendere ineffettivo...

  PRESIDENTE. Ora ha concluso anche il tempo dell'onorevole Scotto, onorevole D'Attore. Dovrebbe concludere.

  ALFREDO D'ATTORRE. Sapevo di avere venti minuti, sono esauriti ?

  PRESIDENTE. Non venti minuti. L'onorevole Scotto ne aveva sette, quindi aveva i suoi venti minuti, più i sette dell'onorevole Scotto, che sta esaurendo.

  ALFREDO D'ATTORRE. Concludo. Allora questo sarà un tema di fondo del confronto che avremo nei prossimi mesi perché io credo che questa riforma, così come è stata congegnata, rischi di accettare supinamente una deriva per la quale noi rinunciamo a tratti fondamentali del nostro ordinamento democratico costituzionale, non già per costruire il sogno dei veri Stati uniti d'Europa, ma semplicemente per trasferire poteri a organismi tecnocratici privi di qualsiasi legittimazione popolare (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà)

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Piccione. Ne ha facoltà.

  TERESA PICCIONE. Grazie Presidente, a distanza di quasi un anno, era dicembre, lo ricordava l'onorevole D'Attorre, dello scorso anno, ci troviamo di nuovo di fronte al testo di revisione della nostra Carta costituzionale.
  Questo lungo percorso, faticoso, che è stato condotto all'interno delle Camere del nostro Parlamento ci consegna, a mio avviso, un testo equilibrato e direi anche in qualche maniera pacificato rispetto a punti di vista divergenti e distanti che hanno trovato nell'ultima stesura del Senato una composizione armonica. Io credo che oggi questo testo porta a compimento un lavoro difficile, che cerca di adeguare la Carta a un contesto diverso, a un contesto di efficientamento che è quello che in fondo serviva, senza stravolgerne l'impianto democratico, non solo salvaguardato da tutta la prima parte della Costituzione, ma anche in questo nuovo tessuto che noi abbiamo tentato di riscrivere.
  So che questo testo ha vissuto grandi momenti difficili, li ho vissuti dentro la Commissione e dentro l'Aula parlamentare però credo che – è il mio punto di vista – noi con questo lavoro non abbiamo messo a rischio né l'impianto di democrazia parlamentare, al quale io sono particolarmente legata, né l'agibilità democratica delle nostre istituzioni. Le modifiche apportate dal Senato non sono moltissime rispetto al lavoro fatto dalla Camera, pure se sono significative. Mi riferisco, in particolar modo, a un compito forse meglio precisato sulle funzioni all'articolo 55 e a quelle modifiche sulle Pag. 28quali noi della XII Commissione, questa volta parlo per la Commissione per gli affari sociali, non sempre siamo stati d'accordo come quella di riportare la lettera m) delle politiche sociali dentro un contesto regionale. Lo abbiamo contrastato, anche se adesso ci rassegniamo al punto di vista diverso dei senatori, perché in un'indagine conoscitiva della Commissione affari sociali c'eravamo resi conto che la mancata gestione centrale di queste politiche ha determinato in alcuni processi regionali squilibri della garanzia dei diritti dei cittadini. Quindi pensavamo, qui alla Camera, che le politiche sociali dovessero essere guidate essenzialmente dal Governo. Ma tant’è, i punti di vista vanno composti e vanno armonizzati. C’è ancora la modifica di cui hanno parlato i relatori prima di me e cioè quella della votazione dei giudici costituzionali e la restituzione al Senato dei due giudici da eleggere. Io non credo che ciò possa alterare la composizione dell'organo di garanzia che poi è la cosa che ci sta più a cuore. Sui poteri di garanzia la Camera aveva già lavorato al momento dell'articolo sull'elezione del Presidente della Repubblica, modificando il quorum proprio in relazione all'approvazione, non ancora fatta, ma che era in corso, dell'Italicum, prevedendo che non fosse nelle mani della sola maggioranza la possibilità di eleggere il Presidente. Voglio ricordare che abbiamo mantenuto anche al Senato il quorum dei tre quinti dei votanti anche nell'ultima votazione che eleggerà il nuovo Presidente della Repubblica al momento della nuova Costituzione.
  C’è poi la modifica del tanto discusso articolo 2, l'articolo 57 della nostra Costituzione, sulla modalità di elezione dei nostri senatori.
  Vista la composizione del Senato, diventato Camera delle autonomie o comunque dei territori, non sono particolarmente pregiudizialmente legata ad alcuna modalità di elezione. Per me va bene quella indiretta, va bene quella data ai cittadini, ma se questo elemento, che è stato al nostro interno, soprattutto anche all'interno del PD, un elemento di vivace discussione se non di contrapposizione, si è riusciti a comporlo, sono molto contenta si sia ricostituita un'unità di visione su questo punto. Esprimo soddisfazione alla fine, perché è vero che questo non è il miglior testo possibile, ma è chiaro che deve tenere conto di molteplici punti di vista e di particolari equilibri. È stato lasciato com'era, come la Camera l'aveva esitato, come il duro lavoro della I Commissione lo aveva costruito, l'articolo 10, che riguarda il procedimento legislativo, il voto a data certa, Presidente, che è stato uno dei punti di grande discussione per noi. Infatti, voglio ricordare che quando il testo era stato esaminato quel voto era solo bloccato. Cioè, il testo legislativo del Governo, con priorità – perché è giusto che il Governo abbia precedenza nei suoi atti parlamentari rispetto a quelli del Parlamento, in certi momenti, soprattutto perché si era costituzionalizzata la legge n. 400, e sarebbe stato impossibile introdurre nei decreti materie non omogenee – quel testo, quel voto bloccato, impediva al Parlamento il suo lavoro emendativo. È stato un emendamento della I Commissione a reintrodurre il passaggio, in Commissione referente, con il lavoro della Commissione referente e anche con il lavoro emendativo dell'Aula, a restituire al Parlamento quella centralità che a noi era sembrata in qualche modo minacciata. Tutto questo è rimasto ed ha trasformato il voto bloccato solamente in un voto a data certa, peraltro allungando i tempi, da sessanta a settantacinque giorni, perché il Senato, se richiamasse il testo, deve avere il tempo di esaminarlo anch'esso. È rimasto immutato l'articolo 13, il sindacato preventivo della Corte sulla legge elettorale, punto sul quale questa Camera aveva tanto lavorato e riflettuto. È rimasto, dicevo, il quorum del Presidente della Repubblica, all'articolo 21, è rimasto quello dei referendum. C’è ancora un punto nodale che restituisce o meglio riconosce al Parlamento la sua centralità, che era già stato ricordato dal collega Nicoletti, quello della fiducia. È questa Camera che darà al Pag. 29Governo la fiducia, e dal Presidente della Repubblica il Premier riceve il suo incarico e i suoi poteri, perché si presenti a questa Camera. Allora, questo dà a noi deputati una responsabilità in più che dobbiamo mantenere. Credo che questo iter ci possa rasserenare, Presidente. Concludo. Credo che il rischio di qualunque deriva autoritaria – non c'era nel testo del Governo – è stato assolutamente scongiurato. Io credo che questo testo raggiunga degli obiettivi importanti per il Paese: migliora l'efficienza della nostra democrazia, mantenendo il rispetto dei suoi principi ispiratori; continua a mantenere la centralità del Parlamento; consente all'Esecutivo di governare con maggiore incisività ma non a scapito della rappresentanza; garantisce ancora una volta quell'equilibrio a noi caro, l'equilibrio dei poteri, ma anche la terzietà degli organi di garanzia. Credo che abbiamo fatto un buon lavoro con cui presentarci a testa alta al Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Dieni. Ne ha facoltà.

  FEDERICA DIENI. La legittimità di una Carta costituzionale, quale presupposto di legalità, deriva da due fonti: dalla partecipazione politica egualitaria di tutti i cittadini e dalla forma ragionevole in cui i contrasti politici vengono risolti. Questa forma ragionevole non può essere solo una lotta per maggioranza aritmetiche ma deve caratterizzarsi come un processo di argomentazione sensibile alla verità. Questa frase l'ha pronunciata un filosofo, Habermas, che non dovrebbe essere sconosciuto alla tradizione che si vanta di rappresentare il Partito Democratico. Non so francamente se il PD renziano abbia questo tipo di interesse nell'identificare le sue basi culturali di riferimento. Il suo segretario preferisce attingere da un altro tipo di bagaglio per la sua narrazione, magari facendo riferimento a La settimana enigmistica. Parlando di Costituzione si richiederebbe un dibattito un po’ più alto di quello a cui ci hanno costretto la maggioranza e il Presidente del Consiglio. Quest'ultimo, d'altra parte, è sempre un po’ stile lunghe discussioni; preferisce sempre chiudere il discorso con una battuta e tutto è risolto, anche quando si tratta di cambiare una Carta fondamentale che è lì da settant'anni e che ha garantito all'Italia democrazia e benessere. Discussioni ne abbiamo viste tante, ma nessuna di queste riguardano i fatti e gli argomenti che avremmo voluto fossero toccati. Il nostro intento, è vero, era bloccare questa riforma, ma il motivo non era quello della «vulgata renziana», ossia che il MoVimento 5 Stelle è contro qualsiasi cambiamento; il motivo, invece, è che noi siamo contrari a che qualsiasi cambiamento sia migliore di nessun cambiamento. Persino la minoranza del PD ha avuto la decenza di ricordare a Renzi come non sia vero il fatto che l'Italia stia aspettando da settant'anni una riforma costituzionale. Ma quando mai ! Come se ai tempi di De Gasperi e Togliatti, appena approvata la Costituzione, ci si fosse resi conto subito che si era fatta una scempiaggine. La Costituzione, semplicemente, era stata concepita in un momento in cui si credeva che il Parlamento dovesse essere sovraordinato al Governo e posto al perno del sistema. Si trattava, per questo, di una Repubblica parlamentare. A partire dalla Seconda Repubblica, al di là della discussione sul federalismo per contenere le spinte secessionistiche della Lega, era emerso il desiderio governativo di avere più poteri e di superare alcune criticità relative al bicameralismo paritario. A questo si sono aggiunte in seguito alcune esigenze di razionalizzazione per ridurre sprechi che stavano diventando nel tempo insostenibili. Un esempio sono quelli connessi agli enti come province e CNEL. Questa è una brevissima disamina della storia che ci ha portati fin qui. Ovviamente si tratta di una riduzione senza pretesa di completezza, ma che serve ad arrivare ad un punto: se si fosse inteso partire da alcune criticità, che tutti avvertivamo come tali, si sarebbe potuto intavolare una discussione Pag. 30che avrebbe reso maggiore onore ad un dibattito fondamentale come quello sulla riforma della Carta costituzionale. Mancava tuttavia la volontà di avviare un tale confronto. La riforma che è attualmente in discussione ha molti difetti, ma uno sopra tutti: parte da un'imposizione. Ma come – si dirà –, ci sono stati anni di confronti e dibattiti, con proposte che hanno coperto quasi tutte le alternative su cui sviluppare una riforma ! Si è proposto il presidenzialismo, il semipresidenzialismo, il premierato forte, il monocameralismo, la Repubblica federale e chi più ne ha più ne metta. Tuttavia, un minimo di spirito di onestà dovrebbe riconoscere che tutte queste alternative sono state considerate in periodi diversi: in cui era al tramonto la Prima Repubblica o in cui si stava sviluppando, in un contesto basato sul bipolarismo, la Seconda. Si è tornati poi a discuterne, è vero, all'inizio di questa legislatura, ma lasciando il dibattito in mano ad un consiglio di saggi che ha ripreso i lavori di altri accademici nella passata legislatura e si è ben guardato dal cercare un reale coinvolgimento con uno degli attori che era chiaro sarebbe divenuto un asse portante del nuovo sistema partitico italiano: il MoVimento 5 Stelle. In questa nuova conventio ad excludendum, ben più rigida di quella adottata nella Prima Repubblica, il MoVimento 5 Stelle veniva additato come una forza antisistema da isolare, quasi un incidente da contenere, da mantenere all'interno di una zona protetta, ammortizzando le sue istanze con le chiacchiere sull'incompetenza e sugli scontrini, nella speranza che non si diffondesse il contagio, un po’ come la Francia rivoluzionaria. Si è cercato di creare attorno ai nostri gruppi una zona cuscinetto fatta di fuoriusciti pentiti che avrebbero dovuto ricordare come siamo brutti, sporchi e cattivi, come siamo antidemocratici, come siamo litigiosi e asserviti a Grillo e a Casaleggio. Le riforme costituzionali – vi siete anche vantati – sono state scritte assieme all'opposizione; certo, ma assieme all'opposizione che ha scelto il Governo: Forza Italia andava bene mentre il Movimento 5 Stelle no. Siamo stati noi ad escluderci dal confronto ? Assolutamente. Anzi, ne siamo fieri, perché il confronto in salsa renziana corrisponde a un tiepido diritto di tribuna su quello che viene deciso a palazzo Chigi. Persino Berlusconi, che certo non è un novellino e che nella sua vita ha avuto ogni genere di frequentazione, basti ricordare lo stalliere di Arcore, se ne è dovuto rendere conto quando, concluso il patto del Nazareno, è stato defenestrato una volta che aveva smesso di servire.
  Che cosa ci fosse in quell'accordo probabilmente non lo sapremo mai, ma quel che è certo è che non era basato su questa Costituzione, dato che tale è rimasta, mentre è cambiato soltanto l'appoggio forzista. Ma al di là delle regole delle trattative alla «Renzi maniera», sono i presupposti che sono mancati. Il dibattito che non c'era stato dovrà essere basato sulla risposta a due domande: cosa non andava bene nella Costituzione attuale ? Come avremmo voluto l'Italia futura ? Ebbene, noi a queste domande abbiamo risposto. Saremmo anche stati disponibili a confrontarci su questi punti, se ce ne fosse stata la volontà. Noi abbiamo proposto un maggiore coinvolgimento del cittadino nel processo democratico attraverso la democrazia diretta, i referendum. Abbiamo proposto la semplificazione, la soppressione degli enti inutili. Abbiamo chiesto di riaffermare la centralità del Parlamento nel sistema, migliorando la qualità della legislazione e proponendo per il Senato un ruolo ben definito e una selezione democratica, altrimenti avrebbe avuto molto più senso abolirlo. Insomma, avevamo un disegno su cui eravamo pronti a dibattere. Che c'era dall'altra parte ? Solo la volontà di approvare delle misure che potessero essere vendute efficacemente all'interno della grande narrazione, dello spot, di apparire in tutte le televisioni da parte di Renzi senza che poi ci si ponesse grandi interrogativi né sull'integrazione di queste misure nel complesso del sistema istituzionale né sull'effettivo funzionamento Pag. 31delle nuove istituzioni. E così, la volontà di sbandierare ai quattro venti il fatto che non ci dovevano essere più senatori eletti e pagati ha scatenato un mercato delle vacche tale da trasformare il dibattito sul ruolo del Senato in una trattativa su come sarebbero dovuti essere ripartiti i nuovi eletti. Il risultato è stato, a mio modo di vedere, pessimo: un compromesso al ribasso che ha portato la minoranza del PD ad accontentarsi di una vaga garanzia del fatto che i nuovi senatori sarebbero stati scelti attraverso un meccanismo connesso con le elezioni regionali, il cui modo, ovviamente, è tutto ancora da inventare. L'iter legislativo si è trasformato in un caos; c’è incoerenza persino sul numero delle procedure rispetto ai diversi casi che si potranno verificare. Sarà interessante vedere se qualcuno riuscirà a inventarsi un'infografica, e certo non invidio chi dovrà insegnare diritto agli studenti più giovani. Il Senato non è chiaro cosa rappresenti. Vale la pena ricordare che abbiamo inventato un unicum nel diritto comparato. Si tratta di una Camera che riforma la Costituzione ma che sulla maggior parte delle leggi non avrà modo di dire una parola, anche per questioni legate alle tempistiche che sono previste assai stringenti. I tempi, sì, questi porteranno i nuovi senatori a doversi interessare di una tale mole di atti – quelli che dovranno occuparli in consiglio regionale e quelli su cui dovrebbero esprimersi al Senato – che viene da pensare come sulla maggior parte di essi la Camera potrà contare sul silenzio assenso. E non oso pensare al ruolo dei sindaci senatori. L'abolizione delle province, da monetizzare subito per garantire l'effimero risultato all'europee, è stata finora l'eliminazione della democrazia nella selezione degli organismi di vertice, sempre attendendo di vedere come si articolerà la successiva cancellazione a seguito della soppressione effettiva della provincia come ente costitutivo della Repubblica. Finora abbiamo visto solo i disastri derivanti dalla gestione del personale, ma siamo in attesa anche di vedere cosa vi inventerete adesso. Tutto ciò è condito con una violenza inaudita sulla lingua italiana, che porterà una Costituzione semplice e scritta benissimo a diventare in alcuni articoli un accrocco di subordinate incomprensibili su cui si sbizzarrirà l'interpretazione del giudice costituzionale. Quello che ne esce bene, ovviamente, è il Governo, che si troverà con nuovi strumenti, come la legge di iniziativa governativa, a confrontarsi con un Parlamento che sarà ridotto alla sommatoria di una Camera assente e di una Camera asservita.

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE LAURA BOLDRINI (ore 12)

  FEDERICA DIENI. Già, perché, come è stato ribadito infinite volte, non sarebbe neppure così grave questo se non fosse accompagnato da una legge elettorale a vocazione totalitaria, con una maggioranza composta da un solo partito, scelta da un uomo solo, il suo segretario, e con un gran numero di parlamentari imposti dall'alto. Guardate che si è detto molte volte in questi giorni che il MoVimento 5 Stelle starebbe cambiando idea nei confronti del cosiddetto Italicum perché lo danno vincente nei sondaggi. Dovreste ormai aver capito, al netto della propaganda, che al MoVimento 5 Stelle il mantenimento del sistema democratico interessa assai più che andare al Governo, se no non avremmo neppure posto un problema relativo al Porcellum e non saremmo qui a domandare di ridimensionare il livello di abominio di questa nuova architettura istituzionale. Mettiamo infatti che siate in buona fede, cari colleghi di maggioranza: come potete tollerare che un partito diverso dal vostro si trovi in mano una tale mole di potere come quello che voi avete deciso di porre in capo a chi vincerà le prossime elezioni ? Certo potremmo avvantaggiarcene, ma a quale prezzo ? In una democrazia i Governi cambiano e un Esecutivo che abbia cattive intenzioni si troverà in mano un sistema con molti meno contrappesi Pag. 32di quelli che i nostri padri ci hanno consegnato.
  Guardate io non sono né una nostalgica né una conservatrice attaccata a tal punto a questa Costituzione da definirla irriformabile, ma tra questo e quello che avete fatto voi passa una differenza abissale e le correzioni che sono state effettuate in quest'ultimo passaggio al Senato, se è possibile, peggiorano ancor più la situazione. Della presunta elettività dei senatori si è già detto, ma che dire invece della decisione di riservare due giudici costituzionali al Senato ? Alcuni li hanno definiti avvocati delle regioni, ma è dubbio che essi rappresenteranno anche le sole regioni. Io penso che sia più facile che rappresenteranno invece le cordate che li hanno eletti, cordate basate magari su appartenenze territoriali o altri tipi di scambio. Avete reso non giustiziabile preventivamente eventuali modifiche all'Italicum visto che, per come è strutturato il testo, una novella non rientrerebbe nel sindacato della Corte e del resto, come delle funzioni, penso di aver detto già in precedenza. Insomma, colleghi di maggioranza, ormai ci siamo rassegnati a trovare orecchi sordi da parte vostra a queste argomentazioni, risparmiateci però l'ipocrisia di dirci che non abbiamo voluto partecipare alle riforme. Io sono convinta che molti di voi sotto sotto sperano anch'essi che il referendum boccerà un testo pessimo, che non è all'altezza di questa Repubblica, quelli di voi almeno che tengano un poco al bene del Paese.

  PRESIDENTE. Saluto gli studenti e gli insegnanti dell'università di Bologna, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune. Sono in una visita di studio a Montecitorio, ben arrivati (Applausi). È iscritta a parlare la deputata Pollastrini. Ne ha facoltà.

  BARBARA POLLASTRINI. Signora Presidente, signori sottosegretari, da lunedì prossimo si vota e il confronto sarà in un'Aula gremita, ma vorrei lasciare la mia testimonianza all'avvio di giornate intense i cui esiti consegneranno un testo pressoché definitivo. Mai avremmo immaginato, signora Presidente, che il dibattito potesse accadere in un momento drammatico per il mondo, per l'Europa. I sentimenti, i pensieri di ognuno di noi sono altrove, a quella gioventù strappata a Parigi e ad altri luoghi del dolore seminato dal terrorismo. Eppure tutti oggi qui, con le differenze che sono state rappresentate anche fino a questo momento nel nostro dibattito, dobbiamo fare del nostro meglio sull'insieme del progetto riformatore di cui una parte rilevante è appunto la materia su cui ci stiamo confrontando. Forse io credo che su una cosa possiamo essere tutti d'accordo: come ha detto ieri il Premier, in Italia, per fare fronte a Daesh e cooperare nel sostegno alla vita e alla libertà di ogni persona, non c’è bisogno di toccare la prima parte della Costituzione, i principi fondamentali del nostro Patto. Questo per me significa tante cose, compreso quell'articolo 11 che a tutti noi dovrebbe stare a cuore e quello spirito della Carta col suo richiamo al ripudio della guerra e insieme al dovere di difendere i diritti umani anche oltre i confini del nostro Paese. Perché mi sono permessa di richiamare questa realtà alla nostra bibbia laica ? Perché credo che anche in un confronto che ha avuto e avrà espressioni forti e divergenze serie, ogni gruppo e per quanto ci riguarda il gruppo del PD può rintracciare il dialogo sempre e comunque nel riconoscimento del Patto repubblicano nato dalla tragedia del Novecento e da consegnare al futuro. Non sembri banale ricordarlo quando inquietudini, bisogni inevasi e scarti epocali possono mettere in discussione il senso della democrazia per milioni di persone. Ecco al fondo io credo, colleghi e colleghe, che questa è la ragione più vera per cui si vuole la riforma e si vuole un progetto riformatore: rendere più efficiente, più vicino ai cittadini e alle cittadine, più democratico lo Stato. Aiutare la piena attuazione dell'articolo 3 sull'uguaglianza di ogni persona e sul contrasto a ogni discriminazione. Pag. 33
  Lo so, è sulla qualità dell'innovazione che ci sono opinioni molto divergenti, io mi avvicino a questa materia con la modestia del caso e non nascondo, lo voglio dire con sincerità anche oggi, che avrei preferito una riforma più radicale, ad esempio un modello più simil-Bundesrat, con il ridisegno delle regioni, il superamento di quelle a statuto speciale e della Conferenza Stato-regioni o quanto meno la presenza nel nuovo Senato dei presidenti delle regioni, dei sindaci delle città capoluogo e delle città metropolitane. Con altre e altri del mio gruppo – lo ha rammentato pochi minuti fa il collega D'Attorre – ci abbiamo provato, anche cercando di tenere aperta tra una lettura e l'altra la possibilità di intervenire sull'articolo 2 e la composizione del Senato. Io avrei risolto diversamente anche il nodo della rappresentatività, magari con la scelta di una platea simile a quella che legittima il Senato francese. Potrei aggiungere la non piena soddisfazione per la parte concernente la riforma del Titolo V. Ci ho pensato dunque, ci ho pensato stanotte, ci ho pensato nei giorni prima e continuerò a pensarci, anche perché ho dovuto esprimere in Commissione opinioni in dissenso dal mio gruppo e sempre con una certa sofferenza. Mi sono chiesta perché questo Parlamento non abbia voluto o potuto osare di più; perché il Governo non sia stato più flessibile, meno impositivo; perché il percorso sia stato talvolta infelice fino a quell'Aula abbandonata da chi si opponeva. Ho letto proposte e rilievi di autorevoli costituzionalisti, l'ho fatto con lo spirito di chi cerca di vedere la quota di verità che c’è in ognuno e, aggiungo, in ogni collega. In particolare per la mia storia più acute mi suonano le distanze, più sofferenti mi sono le distanze dagli amici di Sinistra Italiana e mi spiace che il traguardo non sia condiviso. Io ho stima per tanti in quest'Aula, ho stima per Alfredo D'Attorre e con lui ho condiviso delle battaglie, ma detto ciò e come vedete, con una sincerità che forse non è usuale in un'Aula solenne, penso che la riforma fosse un imperativo morale quanto, certo, cercare di farla bene. Penso che non siamo innanzi a una torsione autoritaria e che oggi sia un servizio utile anche vedere il buono che c’è: si supera il bicameralismo, si affermano garanzie non scontate sull'elezione del Presidente della Repubblica e della Corte con il vaglio preventivo della legge elettorale, si precisano funzioni e il raccordo col nuovo Senato tra lo Stato, altri livelli istituzionali e l'Unione europea, c’è la norma paritaria, l'elezione dei senatori è più farraginosa del previsto – lo so anch'io – ma tuttavia esiste. È poco, io non mi sento di dirlo in modo tranchant come fanno altri, in un Paese bloccato e persino tradito nel rinvio di trasformazioni attese da anni e segnato da uno status quo che non favorisce certo chi meno ha potere e chi ha più bisogno. Chiudo, dovendo fare un atto di ringraziamento al relatore, con uno sguardo rivolto in avanti perché poi credo che le riforme vivano della società, dei suoi conflitti, dei movimenti, della saggezza fattiva e della cultura di classi dirigenti che siano veramente degne di questo nome. Credo che sarà così anche per questa riforma, per una legge elettorale che avrei voluto più coalizionale – tanto da non votarla – e che spero ancora possa essere cambiata. Sarà così quando dovremo scrivere, come diceva il collega Nicoletti, norme per la governance europea, quella sui partiti e quella sulla democrazia sindacale. Aggiungo una nota che mi preme moltissimo, mi rivolgo anche a lei, signora Presidente: penso che alla luce di questa riforma sia giusto produrre nel nostro Regolamento un'innovazione e cioè l'istituzione di una Commissione permanente sui diritti umani alla Camera. Credo di non dover argomentare qui le ragioni evidenti di un'urgenza, di una necessità che sappia guardare al futuro e alla dignità della persona.
C’è ancora, dunque, molto cammino da fare, ma qualcosa di importante si è avviato. Sta a tutti – lo dico innanzitutto a me stessa – imparare dagli errori ed essere più ambiziosi e aperti non per sé, ma per la ricerca infinita di un bene comune (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Pag. 34

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Elena Centemero. Ne ha facoltà.

  ELENA CENTEMERO. Grazie, signora Presidente. Signora Presidente, signora Ministra, il mio intervento oggi in quest'Aula non è sicuramente un intervento di chi ha competenze di costituzionalista, come abbiamo sentito sia in Commissione sia all'interno di quest'Aula, ma parlo proprio come deputata rappresentante dei cittadini, ricordando che la Costituzione è rivolta e deve essere viva e deve essere comprensibile nel cuore dei cittadini. Parlo anche come chi, nella prima lettura alla Camera, ha lavorato all'interno della Commissione, nel comitato ristretto di questa riforma costituzionale, con la ferma volontà di voler cambiare e riformare la nostra Costituzione, sicuramente da una posizione diversa rispetto a quella delle forze di maggioranza, parlando, appunto, dall'opposizione.
  Negli interventi che mi hanno preceduto, anche io avrei voluto un intervento più deciso e più radicale, soprattutto su quello che è l'aspetto del regionalismo e delle autonomie locali, rispetto al quale, all'interno di questa riforma costituzionale, non si prende una vera e decisa posizione, così come per quanto riguarda il Senato, che avrei voluto più simile a quello del modello tedesco o di altri modelli europei, di altre Costituzioni europee, che rappresentano un po’ il tema del confronto costituzionale.
  Ricordo anche che nel rendere efficiente il nostro sistema – cosa che ritengo assolutamente necessaria – non vada dimenticata anche, oltre alla riforma costituzionale, la riforma della legge elettorale, legge elettorale che è strettamente collegata, ma anche – qui mi rivolgo a lei, signora Presidente – la riforma dei Regolamenti parlamentari, che è assolutamente necessaria per rendere più efficiente il processo legislativo.
  Lo sguardo con cui intervengo è uno sguardo storico, perché io penso che, in un'epoca in cui continuiamo a vivere nel presente, esclusivamente presente, guardare indietro e la memoria storica siano un punto importante per farci capire che cosa ha funzionato e cosa non ha funzionato all'interno di questo progetto di riforma. Le Costituzioni moderne, infatti, vengono scritte per fissare i limiti di chi governa, ma anche per definire le condizioni e i modi in cui l'autorità deve essere esercitata. Torno un po’ indietro nel tempo, quando, nel 1789, ci fu il primo processo costituente, venne introdotta, nell'articolo 16 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, una frase che poteva sembrare apparentemente strana: «Un uomo che non conosce i diritti dell'uomo e non attua la divisione dei poteri non ha Costituzione». Quindi, la Costituzione si basa sulla divisione dei poteri e sul riconoscimento dei diritti dell'uomo e dei diritti dei cittadini. Quando i rivoluzionari francesi parlavano di questo, non avevano in mente un concetto neutro di Costituzione, ma volevano affermare proprio i diritti degli individui verso l'autorità e stabilire le regole in base alle quali le autorità avrebbero dovuto esercitare il loro potere, un potere, appunto, regolato e suddiviso tra più autorità: la divisione dei poteri. Forse su questo ci saremmo dovuti maggiormente interrogare all'interno di questo processo di riforma, che è stato il più ampio dal 1947 ad oggi.
  Limitare i poteri, garantire – e io aggiungerei –, nelle fasi di revisione delle Costituzioni, come quella di adesso, bilanciare ed equilibrare i poteri era un punto, secondo me, fondamentale proprio anche nel rendere efficiente il sistema.
  A partire dagli anni Settanta è iniziata la fase di revisione della Costituzione, che è cresciuta negli anni Ottanta fino ad avere il massimo sviluppo a partire dagli anni Novanta.
  E il centro di questo revisionismo è stato proprio la forma di Governo. Si lamentava, infatti, che ci fosse un Esecutivo troppo debole e che la composizione dei Governi fosse instabile, troppo frammentata. Questo è un punto fondamentale. Qui, in questa revisione, è prevalsa sicuramente la preoccupazione di assicurare una maggiore efficienza e una maggiore rapidità decisionale al sistema Pag. 35di Governo, che si chiama governabilità, e che è condivisibile. Ma è prevalsa su quella che è, invece, la necessità di evitare eccessive concentrazioni di potere e di assicurare un sistema di pesi e contrappesi.
  Nel mio intervento richiamerò alcuni punti fondamentali, innanzitutto, come vi dicevo, il richiamo storico, e lo faccio da un punto di vista politico, perché mi sarebbe piaciuto che ci fosse anche ora, in questa riforma costituzionale, quello spirito e quel senso di responsabilità, da parte di tutte le forze politiche, che caratterizzò l'Assemblea costituente, quando, anche allora, ci fu una rottura tra centro e sinistra. Questo, però, non fece venir meno la volontà di pervenire ad una scelta costituzionale unitaria che rappresentasse una premessa comune per il confronto tra i partiti e gli schieramenti. L'ispirazione unitaria all'epoca resistette. Resistette all'inasprimento della contrapposizione politica, perché la Costituzione rappresentava veramente il frutto maturo di questa ispirazione. E, alla fine, tutte le forze politiche si riconobbero, nonostante le proprie riserve su un aspetto piuttosto che su un altro, sul risultato complessivo della Costituzione.
  Forse questo, anzi direi che questo è decisamente mancato. Ripensare a questo spaccato storico mi fa pensare quanto lontano siamo, come politici e come forze partitiche, dai costituenti e quale occasione abbiamo mancato. Lo dico a tutte le forze politiche. La prospettiva unitaria avrebbe dovuto essere l'obiettivo di tutti quanti, purtroppo non siamo riusciti in questo e ciò mi rammarica moltissimo.
  Un secondo punto a cui tengo veramente tantissimo è il tema delle autonomie locali. È stata ricordata prima la questione del Titolo V, io vorrei ricordare qui il regionalismo differenziato e anche il Titolo V. Nella Costituzione era affermata la centralità del Parlamento come luogo di democrazia, con l'arricchimento di questa attraverso i poteri locali. Nella riforma che stiamo ora affrontando, è stato apprezzabilmente rafforzato e modificato il regionalismo, attraverso il regionalismo differenziato responsabile, ma non si sono affrontati, comunque, i nodi centrali. La modifica dell'articolo 116 – in particolar modo mi riferisco al terzo comma, che impone che la regione, per essere destinataria di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, sia in condizioni di equilibrio tra le entrate e le uscite del proprio bilancio – è un punto importante, è un punto che riprende il cammino di quel processo dal passaggio al regionalismo dell'uniformità al regionalismo della differenza, che si era arenato sostanzialmente dopo il percorso dal 2001 al 2007.
  Questo è un punto sicuramente importante. È un punto importante perché il concetto di regionalismo differenziato cerca di porre un argine al neo centralismo che noi vediamo rivivere all'interno della riforma costituzionale e che non condividiamo. Infatti, di fondo c’è ancora un'idea di Stato a metà tra quella totalmente centralista e quella totalmente federale e federalista. Quindi, alla fine non viene risolto il problema della forma di Governo.
  Pur condividendo il tema centrale del regionalismo differenziato e vedendolo come aspetto positivo, vorrei sottolineare, però, un altro aspetto, un altro tema che è mancato, un punto debole che rimane aperto all'interno di questa riforma, cioè quello del Titolo V, in particolar modo dell'articolo 117. Molte delle persone che abbiamo audito, degli illustri professori che abbiamo audito all'interno della Commissione Affari costituzionali hanno evidenziato, infatti, dubbi sul fatto che effettivamente il contenzioso tra Stato e regioni, che dal 2001 è aumentato moltissimo, possa essere ridotto in modo significativo da questa riforma. In molti sostengono che il contenzioso tra lo Stato e le Regioni non sia dipeso tanto dalle materie di competenza concorrente che si è voluto eliminare. Il contenzioso regionale, invece, se andiamo a vedere, è stato alimentato da materie quasi tutte di competenza esclusiva dello Stato.
  Io mi chiedo quindi, ci chiediamo soprattutto, al di là di quello che è il regionalismo differenziato, che però pone Pag. 36in essere una visione dello Stato in cui abbiamo un regionalismo unitario che continua ad esistere, un regionalismo differenziato, e poi regioni a statuto speciale, se non sarebbe stato invece il caso di dar vita ad una più profonda riflessione.
  Quale regionalismo realmente vogliamo ? Questo tipo di intervento normativo-costituzionale darà vita sicuramente ad un puzzle: se vogliamo un'autonomia responsabile, è questa davvero la risposta all'autonomia responsabile ? L'assetto attuale delle regioni, così frammentato, va bene ? Per questo noi come forza politica qui avevamo presentato in prima lettura una serie di emendamenti, che avevano riguardato la costituzione e la composizione di aree macroregionali, che è una delle strategie fondamentali dell'Unione europea.
  Un altro punto importante è quello della legge elettorale. È stato richiamato prima, nella riforma costituzionale che stiamo affrontando resta un problema di fondo, il collegamento tra la riforma costituzionale e la legge elettorale, in particolar modo dopo la modifica dell'articolo 2 avvenuta al Senato: proprio la legge elettorale che non riguarderà solo le elezioni della Camera, ma anche e soprattutto quella del nuovo Senato. Oltretutto da quello che sentiamo e leggiamo non sappiamo se la legge elettorale sarà esattamente quella che adesso cambierà, né sappiamo come questa legge elettorale potrà cambiare lo scenario politico.
  Si pone poi il problema della legge elettorale per il nuovo Senato. Lo dicevo prima: la questione più importante – d'altronde avviene in tutti i Paesi dell'Unione europea – sarà l'opzione che verrà fatta sulla selezione delle candidature, cioè su come i soggetti politici interpreteranno ciò che il nuovo Senato vuole e deve essere.
  Un altro tema che vorrei affrontare è quello della democrazia paritaria, e questo lo affronto come rapporteur del Consiglio d'Europa per la democrazia paritaria. All'interno della revisione dell'articolo 55, in cui vengono definite le nuove funzioni delle Camere, e dunque il nuovo modello di Stato, è introdotto il principio di parità di genere in rapporto alle leggi elettorali. Si recita: « Le leggi che stabiliscono la modalità di elezione delle Camere promuovono l'equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza»; si tratta in realtà di un completamento del principio che noi abbiamo introdotto nel 2003 proprio nella riforma dell'articolo 51 della Costituzione. Si tratta di un elemento molto importante, perché nel rapporto che sto curando per il Consiglio d'Europa l'elemento fondamentale che viene posto anche dalla Commissione di Venezia a garanzia della democrazia paritaria è la presenza all'interno delle leggi costituzionali del principio di democrazia paritaria. Accanto a questo, però, il tema fondamentale è quello della legge elettorale; e noi vogliamo proprio che la legge elettorale dia vita ad una parità che non sia solo sulla carta, come è stata quella che abbiamo visto fino ad oggi, ma che diventi una parità reale, che quindi sia tutela e garanzia della rappresentanza equilibrata tra uomini e donne all'interno delle nostre istituzioni: a partire in questo caso dalle istituzioni nazionali, ma anche nelle istituzioni locali. La sovrapposizione tra il primo comma dell'articolo 122 ed il settimo comma dell'articolo 117, che era più sostanzioso, ci auguriamo che non indebolisca e renda ancora più difficile da raggiungere la parità effettiva nelle assemblee.
  Altri due punti che vorrei sottolineare sono il linguaggio della Costituzione; permettetemi che da letterata quale sono mi soffermi su questo, ed è stato sottolineato da tantissime persone all'interno delle audizioni, ma non solo nelle audizioni. Il linguaggio della Costituzione non è indifferente: la Costituzione è innanzitutto il linguaggio scritto.
  Se voi provate a leggere e a rileggere l'attuale Costituzione, non è difficile alla lettura, anche per chi non è abituato al linguaggio normativo.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  ELENA CENTEMERO. Questo perché la nostra Costituzione fu scritta in un Pag. 37linguaggio scorrevole ed elegante. Ecco, linguaggio scorrevole ed elegante che direi manca all'attuale testo, eccessivamente ricco di tecnicismi, di riferimenti anche normativi difficili da sciogliere per i semplici cittadini.
  Noi avevamo già proposto all'interno della prima lettura un ordine del giorno che andava nella direzione di una revisione linguistica. Voglio ricordare che nel 1947 i lavori dell'Assemblea Costituente furono rallentati perché, al di là di quello che è il giudizio storico, Palmiro Togliatti all'epoca chiese a tre illustri letterati di dar vita alla revisione linguistica e formale della Costituzione. Credo che sarebbe estremamente importante fare questa revisione linguistica anche alla nuova Costituzione !
  Da ultimo, voglio solo sottolineare un punto che riguarda le delegazioni internazionali. Ne ha già parlato prima l'onorevole Nicoletti: verrà presentato un ordine del giorno, che noi sottoscriveremo, affinché, cambiando la composizione di Camera e Senato e le funzioni, la rappresentatività, credo che anche all'interno delle delegazioni internazionali del Parlamento italiano, dal Consiglio d'Europa alla NATO all'OSCE all'InCE, questa nuova struttura costituzionale debba essere rispecchiata (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Ignazio Abrignani. Ne ha facoltà.

  IGNAZIO ABRIGNANI. Signora Presidente, signora Ministra, il nostro gruppo, Alleanza Liberalpopolare Autonomie, è nato da una divisione di Forza Italia proprio per una scelta sull'appoggio alle riforme. La nostra è stata una scelta sofferta ma, direi, inevitabile: la nostra partecipazione, anche personale, in Commissione affari costituzionali, dei nostri colleghi al Senato, su questa riforma è stata molto costruttiva, e ha permesso anche modifiche che noi riteniamo assolutamente importanti.
  Nel momento in cui si va a completare un percorso, non poteva che essere una scelta di appoggio, una scelta direi di coerenza con quello che era stato fatto prima. La collega Centemero, con una forbita cultura storica, ha rievocato addirittura partendo dal 1700 il ricordo sulle costituenti: io mi limiterò a dire è che dal 1948 che i nostri Padri costituenti volevano già fare una riforma costituzionale.
  E allora, per carità, tutto è perfettibile, tutto poteva essere fatto meglio; ma se in questo Paese non si cominciano a fare le cose, non ci sarà mai poi modo neanche di cambiare quelle che non riteniamo corrette. Nel momento in cui questa riforma supera fondamentalmente il bicameralismo, non possiamo che dare atto a chi l'ha proposta non solo di aver avuto coraggio, ma soprattutto di aver portato fino in fondo una scelta, che – ripeto – forse dal 1948 i nostri Padri costituenti si sono resi conto che qualcosa non andava.
  Io stesso mi ricordo, nella mia esperienza, di aver approvato leggi all'ottava lettura: quando una legge dello Stato deve fare otto passaggi... Il Presidente Berlusconi nei nostri discorsi ci chiamava sempre e si lamentava della navetta; diceva: tra le cose che ho subito nelle mie esperienze da capo del Governo c’è sempre stato che, quando proponevo una legge, le navette mi impedivano poi di vederla realizzata. Oggi, con questa riforma elettorale, possiamo dire al Presidente Berlusconi che la navetta l'abbiamo eliminata: ci saranno, per carità, i giusti controlli, ci saranno i giusti passaggi, però fondamentalmente non penso più (poi magari sarò smentito dalla storia) che verranno approvate leggi all'ottava lettura. Di questo mi sento di dire che sono assolutamente certo !
  Allora, questo è un cambiamento epocale a cui noi non potevamo non partecipare o non essere presenti. È per questo che continuiamo ancora oggi a partecipare a questa modifica elettorale. Sono stati fatti tanti cambiamenti in questo ambito; al di là del superamento del bicameralismo, sono stati modificati il referendum e le competenze, sono stati Pag. 38soppressi il CNEL e le Commissioni d'inchiesta, si è intervenuti anche sulla decretazione d'urgenza.
  Ma, visto che già altri hanno parlato di questi argomenti, io mi soffermerò nei pochi minuti che ho soprattutto sulle modifiche al Titolo V, perché anche questo tipo di scelta, che nel passato è stata fatta in maniera frettolosa, oggi dispiace che non abbia ancora una maggiore partecipazione dei gruppi parlamentari, perché è veramente nata dall'esperienza di quello che ci siamo resi conto che non andava bene. In particolare, al di là delle competenze che abbiamo visto sulla soppressione delle province, il cosiddetto regionalismo differenziato è quello che permette di ricondurre alla competenza legislativa statale alcune materie che in questi anni hanno veramente in qualche modo depauperato il Paese di possibilità.
   Mi rifaccio, in particolare – qui c’è un elenco lungo – alle materie di cui io, in qualche modo, come competenza, mi occupo tutti i giorni e che sono la ricerca scientifica e tecnologica sull'energia e soprattutto i beni culturali e il turismo.
  Noi sappiamo che aver regionalizzato il turismo è stata una delle cose peggiori che abbiamo fatto perché ha privato questo Paese della possibilità di avere delle risorse centralizzate negli ambiti della promozione e dello sviluppo di questo settore che, parcellizzati a livello regionale, hanno di fatto impedito al nostro Paese di combattere contro altri grandi soggetti, come la Francia e la Germania che, nel settore turistico, avendo una competenza legislativa statale, potevano permettersi risorse, scelte e azioni ben diverse da quelle che, con tutto il rispetto, potevamo fare noi, sia dalla ricca Lombardia, ma soprattutto dalla lontana Basilicata.
  Allora, anche questa riforma ci convince sempre di più della bontà di questo nostro atteggiamento positivo. Per esempio, al Senato – fatto assolutamente positivo – è stato anche riportato alla competenza statale il commercio con l'estero e assolutamente doveva essere così perché è un'altra di quelle grandi scelte di fondo che non possono che appartenere allo Stato.
  Solo due accenni veloci. Di uno se n’è parlato: a proposito della legge elettorale, è una legge elettorale che invece io condivido, perché ritengo che sia importante sapere alla fine chi ha vinto e chi decide; come anch'io potrei dire qualcosa, ma l'ho già detto altre volte, di come sia contrario alle preferenze. Ma l'importante, anche a questo proposito, è che si sia fatta una legge elettorale che in qualche modo dice a questo Paese che si va verso la modernità. È questa la richiesta fondamentale che viene dai nostri cittadini, cioè i cittadini vogliono che qualcuno si prenda l'onere di governare il Paese e, dopo cinque anni, venga valutato. Allora è un tipo di scelta, per carità, anche questa, come tutte le cose, perfettibili, ma se noi in questo Paese continuiamo a dire che si poteva fare meglio – ripeto – alla fine, non avremo fatto nulla.
  Per cui, anche sulla legge elettorale c’è stato il nostro appoggio coerente perché continuiamo a dire che è stata una legge che è servita. Ma oggi siamo qui a parlare, Presidente – e termino –, di riforma costituzionale ed è sicuramente un momento storico del nostro Paese. Oggi, con questo voto alla Camera ci dovrebbe essere finalmente la prima delle due letture che porta avanti questo discorso, per cui – come detto anche dal collega Parisi che mi ha preceduto prima – io non posso che confermare il voto convinto del gruppo di Alleanza Liberalpopolare Autonomie a favore di questa riforma e a favore di tutte quelle riforme che servono a migliorare e a modernizzare il nostro Paese.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Kronbichler. Ne ha facoltà.

  FLORIAN KRONBICHLER. Grazie, Presidente. Cara Ministra, cari colleghi e care colleghe, mi tocca di fare il controcanto al collega, amico e conterraneo Michele Nicoletti, che è volato alto, spiegandoci – se l'ho capito bene – che non c’è da preoccuparsi troppo, tanto c’è l'Europa Pag. 39e la Costituzione di un piccolo Paese membro, insomma, il cui peso è relativo.
  Ecco, io mi soffermo nel mio intervento sull'aspetto del regionalismo, quello speciale in particolare.
  Lo faccio per una divisione che noi all'interno del nostro gruppo ci siamo dati. Non lo faccio nel modo in cui la forza politica maggioritaria della mia provincia, il Südtirol, affronta la riforma della Costituzione. Essa dice, sintetizzando: della Costituzione fatevene ciò che volete, basta che in essa non ci toccate la nostra autonomia. Difatti, parlandone male, che io di più non potrei, alla fine i suoi rappresentanti voteranno a favore. Io non la penso così ! La Costituzione è nostra, di tutti. Tutela noi tutti, e di seguito valuto e voto la riforma per quanto vale nella sua interezza. Non ci può essere buona autonomia all'interno di una Costituzione cattiva.
  Le regioni a statuto speciale, province autonome di Trento e Bolzano comprese, difatti per il momento si possono considerare risparmiate dal furore centralizzatore che è caratteristica portante della bozza di riforma che ci accingiamo a ridiscutere. E non solo. Nella sua terza tornata di lettura al Senato la specialità è stata messa ulteriormente al sicuro. Ne esce in parte rafforzata. L'articolo 39, comma 13, prevedeva in origine che le disposizioni contenute nella legge costituzionale non si applicassero alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano «fino all'adeguamento» dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime regioni e province autonome. Ora quel «fino all'adeguamento» è stato cambiato in «fino alla revisione» degli statuti. La nuova formulazione, si vede, lascia più spazio di interpretazione e di manovra. E non è il solo rafforzamento. L'articolo riformulato (in forma assai bruttina, a dir la verità, in un burocratese, non degno di un testo da Magna Carta, ma ciò vale per tutta la riforma), questo articolo permette che le regioni autonome beneficino automaticamente pure dei miglioramenti previsti e prevedibili per le regioni ordinarie. Insomma, la forbice fra autonomie ordinarie e autonomie speciali, con la riforma si aprirà ulteriormente. Su questo punto le valutazioni all'interno del nostro gruppo di SEL, ora Sinistra italiana – SEL, divergono. C’è chi sostiene che una diversificazione troppo accentuata fra ordinarie e speciali possa condurre a dannosi squilibri, una strisciante conflittualità con le regioni «normali» e a continui contenziosi di fronte alle Corte costituzionale.
  Siamo tutti federalisti, persino autonomisti, ci mancherebbe ! Ma siamo pur strenui difensori del principio dell'uguaglianza. Certuni fra di noi si fiderebbero di più del più vincolante «fino all'adeguamento» piuttosto che del più volatile «fino alla revisione ». Perché le autonomie speciali si dovrebbero «adeguare» alla peggiorata normativa per le regioni ordinarie ? Sarebbe un adeguamento al ribasso, il mal comune non può essere l'obiettivo. Io dico: la specialità va salvaguardata. E la specialità implica inevitabilmente sempre diversità, altrimenti che specialità sarebbe ?
  Inoltre, ragiono per logica. Il nostro gruppo, noi tutti assieme detestiamo questa riforma costituzionale per intera. La riteniamo autoritaria e centralista nella sua impostazione e sbrigativa nella stesura. Siamo contrari ! Quindi, già per logica si proibisce la richiesta di un qualsiasi «adeguamento». Le regioni ad autonomia speciale sono riuscite a chiamarsi fuori, in parte e per il momento ! Vogliamo essere noi a chiedere che si «adeguino» a qualcosa a cui siamo contrari ? Sarebbe illogico. Quindi, difendo l'eccezione. E sono grato che il mio gruppo lo rispetti.
  Le regioni ordinarie bistrattate, questo è vero, anzi suicidate in questa cosiddetta riforma (perché la resistenza di chi le governa è stata a dir poco timida, blanda, quasi collaborazionista), ora farebbero male a prendersela con le sorelle speciali. Queste, ovviamente, devono essere consapevoli della propria responsabilità ed agire di seguito, mantenendo un atteggiamento solidale, sostenendo le cause Pag. 40delle autonomie più deboli e non esibendo troppo la propria presunta superiorità.
  In questa virtù, l'umiltà, lo devo dire, la mia provincia autonoma e i suoi governanti non eccellono proprio. La massima napoleonica del «mai stravincere» non sempre è principio guida della loro politica di autonomia. Solo un esempio: la Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol ha un milione di abitanti e si è conquistata 4 senatori nel futuro Senato. La Liguria, per esempio, con il 50 per cento di abitanti in più, ne avrà 2, la metà. Lasciamo da parte le ragioni di questa divisione, dubbie. Un simile manifesto squilibrio rafforza l'autonomia ? Va a maggior tutela delle minoranze, che sono da tutelare ? O piuttosto diffonde solo frustrazioni fra le regioni sorelle ? È una politica miope voler far passare per diritti ciò che manifestamente sono privilegi (è una parola proibita dalle nostre parti). Le regioni ad autonomia speciale devono rendersi consapevoli che è più utile alla propria causa un buon rapporto con le regioni limitrofe ordinarie che non l'una o l'altra competenza in più.
  Metto in guardia da un altro rischio per la nostra autonomia, e i professionisti della cosiddetta «revisione», prevista dalla benemerita «clausola di salvaguardia», già ci stanno lavorando: cercano di portare l'intero processo di revisione e di ampliamento dell'autonomia dentro le famigerate commissioni paritetiche. Nel nostro caso, è una commissione che paritetica è più di nome che di sostanza. C’è la maledetta tendenza a bypassare le istituzioni democratiche, Parlamento o consigli provinciali o regionali, non fa differenza. Ritengo insopportabile che norme di rango costituzionale vengano elaborate e in pratica decise sistematicamente ad esclusione del pubblico. L'autonomia regionale trova la sua ragion d'essere in un più di disponibilità (verso le esigenze dei cittadini), un più di trasparenza e un più di democrazia. Tutto questo, le commissioni cosiddette paritetiche che fungono da incubatrici...

  PRESIDENTE. Concluda.

  FLORIAN KRONBICHLER. Sì sto per chiudere, non sono così svelto di riflessi... le commissioni cosiddette partitiche che fungono da incubatrici delle norme autonomiste, fin ad ora non l'hanno fornito. Funzionando alla stregua di agenzie segrete, producono norme di rango costituzionale. Il processo di «revisione» degli statuti di autonomia non deve avvenire bypassando gli organi costituzionali, quindi la democrazia. Di un'autonomia rafforzata al prezzo di una democrazia amputata non ci importa. Grazie.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Fassina. Ne ha facoltà.

  STEFANO FASSINA. Grazie Presidente, signora Ministra, onorevoli colleghi, con grande rispetto mi rivolgo a quest'Aula, ma devo dire con grande franchezza che a me pare che nei lavori che abbiamo svolto in questi mesi vi sia stata la prevalenza di una notevole sottovalutazione dei rischi contenuti nelle norme che la maggioranza parlamentare va ad approvare. A me pare che questa sottovalutazione sia dovuta sostanzialmente ad una cultura politica molto di moda in questa fase, che distingue il campo politico tra innovatori e conservatori e condanna e confina nel campo della conservazione tutti coloro che provano a declinare l'innovazione in modo diverso rispetto all'impianto che è stato proposto come unico possibile. È stato un grave limite, un grave limite che poi ha avuto sul piano del metodo, come ha ricordato in modo eccellente il collega D'Attorre, delle conseguenze assolutamente gravi, che anche qua sono state drammaticamente sottovalutate.
  Il collega D'Attorre ha fatto un elenco di ragioni, di motivazioni che inficiano o indeboliscono enormemente la legittimità della revisione costituzionale che andiamo ad approvare; aggiungo, tra le motivazioni, il fatto che tutti noi che siamo qui alla Camera e al Senato, siamo stati eletti con una legge elettorale che la Corte costituzionale ha definito illegittima e, in particolare, per quanto riguarda i deputati e Pag. 41i senatori della maggioranza, essi sono stati eletti sulla base di un programma che prevedeva appunto, come ha ricordato il collega D'Attorre, che non si facessero mai più revisioni costituzionali senza un significativo coinvolgimento delle opposizioni. Queste ragioni, questi problemi di metodo sono drammaticamente sottovalutati e rendono la revisione costituzionale, qualunque sarà l'esito del referendum, carente di legittimità.
  Sul piano del merito, non ho tempo per entrare sulle questioni specifiche, ma a me pare davvero impossibile non compiere una valutazione che tenga conto di tutti gli elementi del quadro; la revisione costituzionale, la legge elettorale, come è stato ricordato, e aggiungo un punto importante: le procedure di approvazione dei regolamenti parlamentari, ai quali il testo rinvia questioni molto rilevanti; e, infine, la forma partito, perché quei rischi di regressione democratica, che tanti di noi hanno sottolineato, diventano enormemente più elevati sulla base del fatto che in Italia, unico caso tra le democrazie europee con le quali ci piace confrontarci, vi è una prevalenza di partiti personali e plebiscitari, come pure, per statuto, il Partito Democratico.
  Mettere insieme questi quattro elementi porta a riconoscere, con un minimo di onestà intellettuale, un quadro davvero rischioso e sottolineo un altro punto importante: l'illusione funzionalista che ha dominato il nostro dibattito e le relative valutazioni positive che ho sentito dal relatore di maggioranza, dal Governo, oggi e in occasioni precedenti. L'illusione funzionalista, la debolezza della politica spiegata dal quadro istituzionale, dalla legge elettorale, senza andare a riconoscere i problemi veri, i problemi di fondo, che sono lo svuotamento della democrazia nazionale nel quadro economico che si è venuto a determinare nell'ultimo trentennio e per quanto riguarda i Paesi dell'Eurozona, nel quadro di trattati che hanno un impianto radicalmente alternativo all'impianto fondato sul lavoro della nostra Costituzione.
  Un'illusione funzionalista pericolosa, che porta a confondere la governabilità con la capacità di governo. Attenzione, governabilità non vuol dire capacità di governo. Governo vuol dire avere poi una connessione profonda con larga parte di quel popolo in nome del quale poi si governa.
  A me pare che vi sia, dietro questa ossessione della governabilità come capacità di governo, la rassegnazione culturale e politica al fatto che oramai i Governi nazionali possono soltanto amministrare, possono soltanto attuare l'unica agenda possibile. E, a quel punto, siccome l'unica agenda possibile è una sola agenda, basta una democrazia minoritaria attraverso meccanismi elettorali e revisioni costituzionali che consegnano un potere sconfinato e il potere di amministrare alla minoranza che arriva prima.
  Credo che sia drammaticamente sbagliato rassegnarsi alla politica come amministrazione, ma questo fa il pacchetto che abbiamo e che la maggioranza si appresta ad approvare con la revisione del Senato, la legge elettorale, la forma partito e le procedure regolamentari.
  A me pare che tra gli elementi di sottovalutazione – e voglio rimarcare questo punto che è stato poco presente – vi è il fatto che il modello istituzionale e costituzionale si porta dietro anche un modello economico-sociale. Non a caso l'articolo 1 della nostra Costituzione indica una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Ecco, allora, il modello costituzionale, il modello istituzionale, il cambiamento implicito della forma di Governo verso un presidenzialismo di fatto a contrappesi indeboliti, è il corrispettivo di un quadro economico-sociale dove fasce crescenti di popolo, fasce crescenti di società vengono esclusi.
  Una dinamica economica e l'agenda di politica economica imposta dall'Eurozona condannano all'esclusione economico-sociale fasce crescenti di popolo, fasce crescenti di classi medie. È un quadro politico-istituzionale che si adegua e fonda il suo funzionamento sul consenso di una minoranza sempre più ristretta. Pag. 42Un quadro politico-istituzionale, insieme alla legge elettorale, alla forma partito, alle procedure regolamentari che rischia molto seriamente di svuotare di senso anche la prima parte della Costituzione. Ecco, credo che questi elementi dovrebbero essere presi in considerazione anche da coloro che sono convinti di muoversi nella direzione giusta.
  E vado a concludere con due brevi osservazioni di merito specifiche. La prima riguarda le attribuzioni, in un quadro di revisione del Titolo V molto discutibile, in cui si riaccentrano funzioni importanti e si delegano alle regioni le politiche sociali. Ecco, trovo questa asimmetria, questa redistribuzione di funzioni estremamente pericolosa e coerente con quella regressione sociale corrispondente alla regressione politico-istituzionale determinata dal pacchetto che stiamo approvando.
  E infine – ci tengo a dirlo perché siamo in un contesto nel quale quello che qualche settimana fa sembrava improbabile adesso diventa invece molto meno improbabile – non si è voluto in quest'Aula modificare il quorum richiesto per la dichiarazione dello stato di guerra. Noi consegniamo a una minoranza, alla prima delle minoranze, con le percentuali di voto possibili che prima richiamava il collega D'Attorre grazie alla legge elettorale, la possibilità di portare il Paese in guerra.
  Credo sia un rischio molto serio. E allora, sulla base di questa analisi e di queste valutazioni e con lo spirito di chi vuole innovare ma non scambia l'innovazione con la regressione, porteremo avanti la nostra battaglia nel referendum costituzionale e spero che il popolo italiano, la maggioranza del popolo italiano, rimanga coerente con i principi fondamentali della Carta costituzionale del 1948 e blocchi una deriva regressiva che porta la nostra democrazia ad essere molto restrittiva in termini di partecipazione democratica, in termini di garanzie istituzionali, in termini di qualità della partecipazione. (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Rocco Buttiglione. Ne ha facoltà.

  ROCCO BUTTIGLIONE. Grazie. Signora Presidente e signora rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, io devo rivendicare la piena legittimità di questo Parlamento a decidere in materia di riforma costituzionale. Mi spiace dissentire dal collega Fassina, per il quale ho molta stima e che citerò successivamente, ma la Corte costituzionale ha detto, con chiarezza, che questo Parlamento non è illegittimo. Sostanzialmente, ci ha detto: «Va bene: quello che avete fatto per il passato è sanato. Per il futuro cambiate». Dunque, ci ha invitati, con energia, a cambiare ed è quello che stiamo facendo.
  Potevamo noi accettare l'idea di essere delegittimati, lasciando il Paese senza guida in un momento di grave tempesta economico-sociale ? E potevamo rinunciare a fare le riforme in una fase nella quale la questione delle riforme è come una piaga aperta nella nostra vita nazionale ? Io condivido, invece, molte cose che ha detto dopo il collega Fassina, salvo una: necessitas non habet legem.
  Qui la riforma bisogna farla, perché tenere un Paese trent'anni con l'idea che queste istituzioni non funzionano e non cambiarle significa indebolire le istituzioni, delegittimarle, far loro perdere quell'aura di sacralità di cui le istituzioni hanno bisogno e che devono avere, anche se magari non la meritano del tutto. È stato Walter Benjamin a teorizzare – per l'opera d'arte, ma io lo utilizzo per i Parlamenti, invece – l'esigenza di un'aura. Il popolo deve riconoscere che, al di là dei limiti, lì si realizza una cosa straordinaria: molti diventano uno e molte volontà particolari riescono a incontrarsi, per definire il cammino della libertà comune.
  Questo è il risultato di istituzioni, impegno, fatica e, per certi aspetti, è anche un miracolo, per quelli bigotti come me, ed è qualcosa che il popolo crede e deve credere. Dobbiamo dargli motivo di credere, anche se sappiamo che non riusciremo mai a giustificare pienamente empiricamente questa fede che però – direbbe Pag. 43Immanuel Kant – è una condizione trascendentale di esistenza dello Stato. Lo Stato esiste se esiste la convinzione diffusa della coincidenza del particolare e dell'universale, dove l'atto legislativo, l'atto che questa Assemblea svolge, si compie in nome del popolo sovrano, che esercita la sovranità nei modi e nei limiti previsti dalla Costituzione. Tenere ancora aperta la questione istituzionale sarebbe irresponsabile e, quindi, credo che abbiamo fatto bene ad affrontarla.
  Il collega Fassina solleva un'altra questione, invece, che è reale: l'impoverimento della democrazia. Io sono d'accordo con lui, anche se penso che la soluzione sia diversa. Le democrazie nazionali sono povere, perché a livello nazionale non c’è più la possibilità di decidere perché i fatti, più ancora dei trattati, ci dicono che i livelli di esercizio della sovranità sono livelli continentali. E, allora, il problema non è di rivendicare a livello nazionale una possibilità di decidere, che certamente è stata ristretta. Volesse il popolo italiano, a maggioranza, fare la rivoluzione socialista non la potrebbe fare, perché è contenuto dai trattati.
  Potrebbe farla il popolo europeo, ma allora bisogna fare passi avanti energici non solo dal punto di vista istituzionale come riformare i trattati, evitare che l'Unione sia una realtà burocratica e renderla pienamente democratica con la partecipazione popolare. Ma non è solo un problema di trattati o di prendersela con la burocrazia di Bruxelles. È il problema di creare un'opinione pubblica europea.
  In un libro vecchio, ma che sono sicuro che il collega Fassina avrà letto, di Habermas, Strukturwandel der Öffentlichkeit sulle trasformazioni strutturali della pubblica opinione, lui fa la storia delle trasformazioni della pubblica opinione. Noi abbiamo bisogno di una pubblica opinione europea, ma non l'abbiamo. Abbiamo pubbliche opinioni nazionali, e se una pubblica opinione europea si sta formando – e si sta formando – purtroppo si sta formando oltre le Alpi, tra la Francia e la Germania. L'Italia ne è fuori, e se vogliamo affrontare la questione democratica di queste cose dobbiamo parlare, oltre che della formazione di partiti europei, perché il livello nazionale della democrazia è più facile, ma è finito.
  Il problema della democrazia si sposta a livello europeo e uno dei limiti di questa Costituzione è che questo livello europeo non è sufficientemente tenuto da conto. La rivoluzione socialista il popolo europeo la può decidere, il popolo greco no e quello italiano nemmeno, anche perché la rivoluzione socialista – e il collega Fassina ricorderà i dibattiti sulla rivoluzione in un solo Paese, – non si fa in un solo Paese, ma richiede una dimensione che è quella continentale se pure basta (Marx parlava di rivoluzione mondiale). Ma mettiamo che basti quella continentale, certamente non basta quella nazionale.
  Allora, il problema vero (e in questo penso che alcune accuse di conservazione abbiano un senso), non è tornare alla Costituzione del 1948. Il problema vero è di proiettare i valori della Costituzione del 1948 dentro un progetto costituzionale europeo.
  Ciò detto, e quindi affermata la mia convinzione che le riforme vanno fatte e che è meglio una riforma non ideale che niente riforma, veniamo a questa riforma.
  Diceva Vincenzo Cuoco che non esistono le Costituzioni perfette. La Costituzione è come un abito: se tu sei gobbo, l'abito che va bene per te è un abito che più o meno riesce a maneggiare o a nascondere la gobba che hai e non va bene per un altro ma va bene solo per te. Russel Kirk teorizzava che la Costituzione americana va bene solo per gli Stati Uniti d'America, perché dipende dalla storia, dalla lingua, dalla idiosincrasia, dalla geografia, che sono tipiche degli Stati Uniti. Infatti, quanti hanno tentato di imitarla in America latina in genere hanno fatto una cattiva fine. Questo io l'ho sempre detto quando Pannella voleva che noi facessimo la Repubblica come gli Stati Uniti. Attenzione: le riforme che funzionano sono quelle che più o meno secondano tendenze evolutive già presenti e già immanenti all'interno Pag. 44di una società e tengono conto comunque del modo in cui questa società è strutturata.
  Per questo io sono sempre stato diffidente delle grandi riforme, perché spesso quello che si riforma con la grande riforma smette di funzionare. C’è un certo spirito illuministico della grande riforma che è pericoloso e non siamo andati completamente fuori da questo pericolo. Diciamo: era proprio necessario abolire il bicameralismo perfetto ? Io ho qualche dubbio. Io ho l'impressione che alcune riforme parlamentari – e, signora Presidente, lei ricorderà che io le scrissi una lettera su questo tema – alcune riforme regolamentari avrebbero reso perfettamente funzionante il bicameralismo perfetto.
  Vogliamo dirci la verità ? Il bicameralismo perfetto smette di funzionare al tempo della riforma del Regolamento fatta da un grande democratico, Ingrao, che aveva però l'idea della democrazia partecipativa in una fase storica che lo legittimava, ma nella fase storica successiva la democrazia si è posta un altro problema: non quello di allargare la partecipazione ma quello di arrivare alla decisione; perché una democrazia che non decide è una democrazia che si suicida. Le dittature, Mussolini, Hitler, non arrivarono al potere dopo aver ammazzato la democrazia; arrivarono al potere perché la democrazia si era suicidata per due ragioni: la corruzione e la incapacità decisionale; e sono due problemi che hanno minacciato anche noi e che minacciano tuttora anche noi.
  Allora quel Regolamento, nell'impossibilità di portare i comunisti al Governo, portò il Governo in Parlamento; è la causa prima di molti mali successivi, il cosiddetto consociativismo. Ma noi abbiamo nella previsione regolamentare la possibilità di deliberare le leggi in sede legislativa in Commissione, la usiamo mai ? Rarissimamente. La sede redigente la usiamo mai ? Rarissimamente. Sarebbe bastato dire: i provvedimenti che arrivano dall'altra Camera, della seconda Camera che li esamina, vanno direttamente in sede redigente, avremmo drammaticamente accelerato. Ma non mi soffermo perché questa è una via che non abbiamo battuto. Il tema della riforma regolamentare rimane attuale, perché senza una buona riforma regolamentare, anche con questa trasformazione istituzionale, dubito che funzioneremo bene, ma comunque abbiamo scelto il cammino non del piecemeal political engineering, come vorrebbe Karl Popper, la ingegneria politica un pezzetto per volta. Abbiamo scelto la via non della grande riforma, grazie a Dio, ma di una media riforma, qualcosa in più del piecemeal political engineering e qualcosa di meno della grande riforma. Questa è la scelta che abbiamo fatto e abbiamo superato il bicameralismo perfetto. Tutto bene ? No, io devo francamente dirvi i limiti che vedo in questo disegno che noi abbiamo costruito. Vi risparmio alcune osservazioni sui diritti delle minoranze perché le ha svolte molto bene il collega Kronbichler, vengo invece a segnalare un dato molto positivo. Noi abbiamo previsto la possibilità di legiferare senza decreti di necessità di urgenza in tempi certi. Il decreto del Governo era diventata la modalità ordinaria di legiferare per l'impossibilità di garantire tempi certi. Adesso i tempi certi ci sono e io avrei preferito quasi che si fosse abolita, o sottoposta a limiti ancora più forti, la decretazione di necessità ed urgenza, tuttavia vedo che alcuni limiti alla decretazione di necessità e urgenza sono stati istituiti e questo dovrebbe permettere un confronto parlamentare più sano e più efficace.
  Come credo che sia positivo il fatto che abbiamo deciso di dare allo Stato il potere di chiusura di sistema. Il sistema precedente era un sistema in cui non esisteva nessuno che fosse in grado di dire un'ultima parola e allora si va in circolo. C’è una garanzia ultima dell'unità del sistema che non può stare se non con lo Stato. Io l'ho sperimentato sul tema della trasposizione delle direttive europee. Quando le competenze sono regionali e le regioni non le esercitano, lo Stato italiano diventa responsabile del pagamento di multe stratosferiche. Io mi inventai, allora ero Ministro per le politiche comunitarie, Pag. 45la clausola di flessibilità: lo Stato interviene, la regione poi dopo, se ritiene, interverrà e prevarrà la norma regionale, ma intanto mettiamo lo Stato al sicuro dalla procedura di infrazione. Quest'oggi si è andati molto oltre, abbiamo una clausola di chiusura di sistema che è soddisfacente ed evita uno dei grandi problemi del vecchio sistema. Come pure è soddisfacente l'idea di un regionalismo a fisionomia variabile. Diciamoci la verità, il livello di maturità politica delle classi dirigenti regionali non è uniforme nel Paese. Ci sono regioni alle quali è ragionevole attribuire maggiori competenze e ci sono regioni alle quali non è ragionevole e le condizioni poste, che riguardano per esempio il pareggio di bilancio, non sono condizioni economicistiche, perché nel pareggio di bilancio si riflette anche la capacità di una classe dirigente locale. Io avrei inserito altre misure, forse più pesanti, a sanzione questa volta, di classi dirigenti regionali incapaci di esercitare efficacemente l'autonomia, comunque abbiamo fatto sicuramente un passo importante nel giusta direzione; il regionalismo differenziato è un'innovazione positiva.
  Vedo, invece, delle cose che ancora non funzionano. Alla Camera noi abbiamo limitato moltissimo, troppo, i nostri interventi emendativi; poi, al Senato, gli interventi emendativi ci sono stati e il testo è tornato a noi con importanti modifiche. Delle modifiche non fatte, vorrei sottolineare – lo ha detto il collega Fassina prima – il problema della dichiarazione di guerra: non è solo che è troppo esile la maggioranza con la quale si può dichiarare la guerra, ma è anche il fatto che la dichiarazione di guerra, nel tempo moderno, è una cosa complicata. Vi dico come si regola, grosso modo, nella Costituzione di un Paese vicino, amico e simile a noi: puoi trovarti ad essere invaso e a non poter riunire l'Assemblea. Allora la dichiarazione di guerra la deve fare il Capo dello Stato, che sente, se può, le Camere a maggioranza qualificata; le Camere, perché da una cosa del genere non puoi escludere il Senato o, in un altro Paese, il Bundesrat.
  Se hai la possibilità di consultare, puoi non sentire le regioni e puoi non avere quorum elevati, se hai la possibilità di averli. In condizioni di emergenza, basta, al limite, che il Capo dello Stato, non potendo svolgere la consultazione costituzionalmente prevista, si prenda la responsabilità di dire «ci hanno invaso, siamo in guerra». Da questo punto di vista, l'articolo è povero, non solo per la ragione detta dal collega Fassina, ma anche perché potremmo trovarci in condizioni nelle quali siamo in guerra e non siamo in grado di attivare quel meccanismo.
  Questo andrebbe rivisitato, perché i processi di revisione costituzionale andrebbero poi ricondotti... non sono finiti, a mio avviso. Spero che siano finiti come questione centrale per la pubblica opinione. Qualche aggiustamento dopo potrà servire, usando la via di quelli che sono stati negli Stati Uniti gli amendments: il primo è arrivato solo quattro anni dopo l'approvazione della Costituzione. Quindi, c’è un problema sulla dichiarazione di guerra.
  C’è un problema particolare che riguarda le politiche europee e ha diverse dimensioni. Un aspetto del problema riguarda l'adesione dell'Italia all'Unione europea. È vero, noi abbiamo nella Costituzione esistente una base sufficiente, ma ampliare questa base, nella sperata crescita di un'effettiva unione politica, non sarebbe stato inutile, e su questo vedo che il problema non è al centro delle nostre preoccupazioni, ma dovrebbe esserci, dovrebbe esserlo molto di più.
  Un altro aspetto riguarda la formazione della posizione italiana sugli atti in discussione nell'Unione europea, perché noi abbiamo introdotto, con le riforme fatte in materia, la legge n. 11 del 2005, poi la n. 234 del 2012, mi pare, la possibilità per il Parlamento di dare delle indicazioni vincolanti al Governo. Il Ministro può ricevere dal Parlamento l'ordine o di ottenere un certo risultato o di non dare il proprio voto a nessun compromesso diverso, Pag. 46che non contenga il risultato che gli è stato indicato che deve raggiungere.
  E se non ci riesce ? Se non ci riesce, darà un voto provvisorio, tornerà e il Parlamento gli dirà se quel voto lo può mantenere oppure no. Se diamo al Parlamento poteri così penetranti sulla politica europea, poi dobbiamo essere sicuri che il Parlamento sappia quello che vuole. Adesso abbiamo due Camere, elette su basi diverse, non omogenee e con una relativa facilità che ci possa essere un'indicazione di una Camera e un'indicazione dell'altra. A chi deve obbedire il povero Ministro ? Vogliamo metterlo in chiaro ? Nel testo attuale, questo non è chiaro.
  Io mi auguro che ci sia, forse, un ordine del giorno, una dichiarazione interpretativa, non lo so, ma è una questione che mi auguro non si ponga nel breve periodo, ma che certamente è reale e va sanata, perché le leggi si fanno cercando di considerare, per quanto possibile, tutti i casi che si possono presentare e, soprattutto, i casi più sfavorevoli. E questo non è un caso del tutto cervellotico, non è un caso di scuola: è una possibilità reale, dati i sistemi che abbiamo scelto per l'elezione della Camera e del Senato.
  Ci sarebbe, oggi, una maggioranza omogenea tra Camera e Senato eletto con le nuove regole ? Forse. C’è sempre stata nella storia repubblicana ? No, andate a vedere i risultati delle elezioni regionali, anzi, le elezioni regionali hanno spesso avuto in Italia la funzione che hanno negli Stati Uniti le elezioni di midterm. Le elezioni di midterm sono elezioni nelle quali si sfoga il malcontento contro il Governo in carica. Siccome un Governo serio fa all'inizio della legislatura tutte le riforme amare, in modo che la gente abbia la possibilità di vedere che funzionano, e, poi, magari lo voti dopo cinque anni o dopo quattro anni, negli Stati Uniti, avendo visto che hanno funzionato, cosa succede negli Stati Uniti ?
  Che il midterm è il momento in cui le riforme sono fatte, gli effetti ancora non si vedono e il Governo, in genere, perde. Se succede così anche da noi, come è successo in un passato anche recente, come facciamo in politica europea ? Abbiamo due centri che alternativamente possono dire al Governo cosa deve fare e il Governo cosa fa ? Quindi, c’è bisogno di ricondurre ad unità il tema delle politiche europee. Secondo me, è più ragionevole che lo si riconduca ad unità presso la Camera che non presso il Senato, ma, al limite, va bene anche presso il Senato, purché ci sia su questo una chiarezza.
  E, quindi, arriviamo alla conclusione di questo itinerario. Ripeto, non sono le riforme ideali, non è la Costituzione ideale, non è la Costituzione che io avrei scritto: è la Costituzione migliore che si possa fare, oggi, in questo Parlamento, e questa riforma bisogna farla oggi, in questo Parlamento, con una maggioranza che riesce a costruirsi dentro questo Parlamento. Poi, dobbiamo anche uscire da un certo mito della riforma istituzionale: le istituzioni funzionano sulla base di testi scritti, ma moltissimo anche sulla base di convenzioni non scritte, di una prassi che si forma nell'attività quotidiana.
  E qui tocchiamo un altro tema: è difficile che le istituzioni possano funzionare bene se non c’è anche un certo galateo parlamentare, la convinzione comune che bisogna lavorare a servizio della medesima nazione. Non c’è Parlamento se non c’è legittimazione reciproca e il riconoscimento reciproco, ed è quando c’è questo che la prassi parlamentare progressivamente o prepara nuove riforme costituzionali o le realizza, di fatto, per consuetudine costituzionale. In Gran Bretagna la consuetudine costituzionale è tutto, perché la lettera costituzionale non c’è, ma anche in altri Paesi, e anche qui da noi, è stata un elemento di grandissimo rilievo.
  E qui c’è un problema che non si può risolvere in sede di riforma, ma che interpella tutti noi. Viviamo un tempo di crisi della democrazia. Come se ne esce ? Se ne esce in avanti con l'Europa o se ne esce tornando indietro con un'impossibile rinazionalizzazione delle politiche; e, se se ne esce in avanti, guardando verso l'Europa, siamo capaci di ricostruire, a livello nazionale, gli strumenti di una partecipazione effettiva italiana Pag. 47alla democrazia europea ? Questo non avviene senza legittimazione reciproca, senza la capacità di vivere il sentimento di un'unità nazionale.
  È tanto più grave, questo, in un momento in cui noi, generazioni che avevano pensato di essersi liberate dalla ossessione della guerra con la caduta del muro di Berlino, viviamo di nuovo in un mondo pericoloso. In questo mondo pericoloso bisogna ritrovare le ragioni dell'unità e le ragioni dell'identità. Mi auguro che questa riforma sia un contributo, limitato, ma importante; un passo nella direzione di questo recupero. Grazie per la vostra attenzione.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 2613-B)

  PRESIDENTE. Non vedo più i relatori di minoranza.
  Ha facoltà di replicare il relatore per la maggioranza, il deputato Emanuele Fiano.

  EMANUELE FIANO, Relatore per la maggioranza. La ringrazio, Presidente. Molto brevemente, ringrazio i colleghi, il Ministro Boschi, i rappresentanti del Governo. Mi preme solo, al termine di questo dibattito che ho ascoltato con attenzione, per il rispetto che porto a tutti i colleghi, riferirmi in particolare ai colleghi che qui hanno elevato critiche molto profonde nel merito e nel metodo dell'approvazione di questo disegno di legge di revisione costituzionale, perché a me preme chiarire dei concetti che mi trovano in disaccordo con alcuni dei colleghi che sono intervenuti. Penso al collega D'Attorre, al quale ovviamente mi ha legato una militanza sino a pochi giorni fa e una condivisione di percorso, per lo meno nella stessa sede della Commissione affari costituzionali della Camera, perché a me preme ribadire ciò di cui sono totalmente certo e che è inscritto nel testo che noi stiamo approvando: non è vero che noi stiamo cambiando la formula di Governo di questo Paese, nel testo di riforma costituzionale. Non è vero che si riduce in questo testo lo spazio di azione del Parlamento nei confronti del Governo, nella contemporanea attuazione della legge elettorale e della riforma costituzionale. Non è vero, come ha avuto modo di sostenere il collega D'Attorre, che il Presidente del Consiglio che governerà con questa riforma costituzionale e con la legge elettorale che abbiamo approvato controllerà la maggior parte dei parlamentari che sosterranno la sua maggioranza. Anzi, è vero il contrario, perché di quei 340 deputati che nella Camera garantiranno la maggioranza che darà la fiducia al Governo solo 100 saranno eletti come capolista bloccati. È vero, invece, che il Parlamento ha presidiato, nell'ambito del percorso di modifica costituzionale, il concetto che alcuni degli enti di garanzia costituzionale fossero eletti con dei quorum che garantissero maggioranze più ampie di quelle che sostengono il Governo. Questo vale sia per il quorum di elezione del Presidente della Repubblica sia per altri quorum di elezione, anche se al Senato si è modificata la modalità di elezione dei cinque membri della Corte costituzionale di nomina parlamentare, perché si è ritornati ad un'elezione di due membri da parte del Senato e di tre membri da parte della Camera dei deputati. Io penso che, essendo ovviamente legittima qualsiasi critica su questo disegno di legge costituzionale, sia importante la certezza di sapere che alla fine saranno gli elettori italiani, con lo strumento del referendum, a decretare o meno – io sono certo in senso positivo – il loro favore alla riforma che stiamo approvando. Secondo me è importante che, invece, questo Parlamento sia convinto del fatto che ci possono essere ricette e soluzioni diverse, ma noi non stiamo scrivendo una nuova strada pericolosamente autoritaria per il sistema di governo e il sistema parlamentare di questo Paese. Mi premeva dire questo, Pag. 48nel grande rispetto di tutte le opinioni che ho ascoltato, perché penso che debba essere scritto – perlomeno per quello che riguarda il relatore, e so di poter parlare anche a nome del gruppo del Partito Democratico, in questo caso – che nella diversità delle opinioni è necessario segnalare al Paese, a coloro che ci ascoltano, a coloro che leggeranno i testi del nostro dibattito parlamentare, che noi stiamo innovando il sistema istituzionale e parlamentare di questo Paese, non stiamo scrivendo una pericolosa strada autoritaria per questo Paese.

  PRESIDENTE. La ringrazio, deputato Fiano. Prendo atto che la rappresentante del Governo, Ministra Boschi, rinunzia alla replica.

(Annunzio di questioni pregiudiziali – A.C. 2613-B)

  PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate le questioni pregiudiziali di costituzionalità Invernizzi ed altri n. 1 e Brunetta n. 2 e le questioni pregiudiziali di merito Scotto ed altri n. 1 e Dadone ed altri n. 2, che saranno esaminate e poste in votazione nella seduta di martedì prossimo, 24 novembre, a partire dalle ore 10, prima di passare all'esame degli articoli del provvedimento.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della prossima seduta.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

  Lunedì 23 novembre 2015, alle 16:

  Discussione sulle linee generali della proposta di legge:
   BUSINAROLO ed altri: Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell'ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato (C. 3365-A).
   e delle abbinate proposte di legge: BUSINAROLO ed altri; FERRANTI ed altri (C. 1751-3433).
  – Relatrici: Businarolo, per la II Commissione; Casellato, per l'XI Commissione.

  La seduta termina alle 13,25.

Pag. 49

ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI DI ESAME DELLA PROPOSTA DI LEGGE N. 3365 E ABB. E RELATIVI ALLE COMUNICAZIONI DEL GOVERNO IN VISTA DELLA XXI CONFERENZA DELLE PARTI (COP21) DELLA CONVENZIONE QUADRO DELLE NAZIONI UNITE SUI CAMBIAMENTI CLIMATICI

Pdl 3365 e abb. – Protezione degli autori di segnalazione di reati

Tempo complessivo: 14 ore e 30 minuti, di cui:
• discussione generale: 7 ore e 30 minuti;
• seguito dell'esame: 7 ore.

Discussione generale Seguito dell'esame
Relatori 20 minuti (complessivamente) 20 minuti (complessivamente)
Governo 20 minuti 20 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti 10 minuti
Tempi tecnici 1 ora
Interventi a titolo personale 1 ora e 14 minuti (con il limite massimo di 15 minuti per ciascun deputato) 58 minuti (con il limite massimo di 7 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 5 ore e 26 minuti 4 ore e 12 minuti
 Partito Democratico 44 minuti 1 ora e 13 minuti
 MoVimento 5 Stelle 34 minuti 31 minuti
 Forza Italia – Popolo della
 Libertà – Berlusconi Presidente
32 minuti 24 minuti
 Area Popolare (NCD - UDC) 31 minuti 20 minuti
 Sinistra Italiana – Sinistra
 Ecologia Libertà
31 minuti 19 minuti
 Scelta civica per l'Italia 31 minuti 18 minuti
 Lega Nord e Autonomie – Lega dei Popoli – Noi con Salvini 31 minuti 16 minuti
 Per l'Italia – Centro Democratico 31 minuti 16 minuti
 Fratelli d'Italia – Alleanza
 Nazionale
30 minuti 15 minuti
 Misto: 31 minuti 20 minuti
  Conservatori e Riformisti 8 minuti 5 minuti
  Alleanza Liberalpopolare Auto nomie ALA – MAIE - Movimento Associativo italiani all'estero 8 minuti 5 minuti
  Alternativa Libera - Possibile 8 minuti 5 minuti
  Minoranze Linguistiche 4 minuti 3 minuti
  Partito Socialista Italiano (PSI) – Liberali per l'Italia (PLI) 3 minuti 2 minuti
Pag. 50

Comunicazioni del Governo in vista della XXI Conferenza delle Parti (COP21) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici

Tempo complessivo, comprese le dichiarazioni di voto: 4 ore.

Governo 30 minuti
Interventi a titolo personale 10 minuti 10 minuti
Gruppi 1 ora e 30 minuti (per la discussione) 1 ora e 40 minuti (per le dichiarazioni di voto)
 Partito Democratico 24 minuti 10 minuti
 MoVimento 5 Stelle 11 minuti 10 minuti
 Forza Italia – Popolo della
 Libertà – Berlusconi Presidente
8 minuti 10 minuti
 Area Popolare (NCD - UDC) 7 minuti 10 minuti
 Sinistra Italiana – Sinistra
 Ecologia Libertà
7 minuti 10 minuti
 Scelta civica per l'Italia 6 minuti 10 minuti
 Lega Nord e Autonomie – Lega dei Popoli – Noi con Salvini 6 minuti 10 minuti
 Per l'Italia – Centro Democratico 6 minuti 10 minuti
 Fratelli d'Italia – Alleanza
 Nazionale
5 minuti 10 minuti
 Misto: 10 minuti 10 minuti
  Conservatori e Riformisti 2 minuti 2 minuti
  Alleanza Liberalpopolare Auto nomie ALA – MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero 2 minuti 2 minuti Pag. 51
  Alternativa Libera - Possibile 2 minuti 2 minuti
  Minoranze Linguistiche 2 minuti 2 minuti
  Partito Socialista Italiano (PSI) – Liberali per l'Italia (PLI) 2 minuti 2 minuti