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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 500 di lunedì 12 ottobre 2015

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO

  La seduta comincia alle 15.

  PRESIDENTE. La seduta è aperta.
  Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

  ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 28 settembre 2015.

  PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amici, Baldelli, Bellanova, Bernardo, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Garofani, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Marazziti, Merlo, Migliore, Orlando, Pisicchio, Portas, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Sorial, Tabacci, Velo, Vignali e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente settantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione della proposta di legge: S. 54 – D'iniziativa dei senatori: Amati ed altri: Modifiche all'articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, in materia di contrasto e repressione dei crimini di genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale, e modifica all'articolo 414 del codice penale (Approvata dal Senato) (A.C. 2874) (ore 15,05).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge, già approvata dal Senato, n. 2874, d'iniziativa dei senatori Amati ed altri: Modifiche all'articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, in materia di contrasto e repressione dei crimini di genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale, e modifica all'articolo 414 del codice penale.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta dell'8 ottobre 2015.

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(Discussione sulle linee generali – A.C. 2874)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, deputato Walter Verini.

  WALTER VERINI, Relatore per la maggioranza. Presidente, possiamo invertire ?

  PRESIDENTE. Certamente. Prego, deputato Sarro.

  CARLO SARRO, Relatore per la maggioranza. Grazie, Presidente. Il provvedimento che oggi è all'esame dell'Aula è un provvedimento che ha avuto una gestazione piuttosto complessa. Innanzitutto, è già stato proposto, almeno in termini generali, un analogo provvedimento anche nel corso delle precedenti legislature.
  Nella presente legislatura, soprattutto al Senato, c’è stato un dibattito molto approfondito e molto attento, in considerazione dell'esigenza di garantire un adeguato bilanciamento tra gli interessi coinvolti, rappresentati, da un lato, dall'esigenza di rafforzare le sanzioni penali e, quindi, la repressione rispetto a condotte di sostegno a teorie razziste e di odio razziale. Dunque, come dicevo, vi è l'esigenza di un rafforzamento delle sanzioni penali che reprimono simili condotte e, dall'altro, l'esigenza e la necessità di garantire la libertà di ricerca scientifica, di approfondimento dei fatti storici e, più in generale, la libertà di opinione rispetto ad accadimenti che hanno una rilevanza tra il politico e lo storico.
  Questo bilanciamento è stato raggiunto attraverso il provvedimento, la proposta di legge, oggi all'esame dell'Aula, che parte proprio da una considerazione preliminare, vale a dire intervenire sull'assetto legislativo esistente e, quindi, non introdurre nuove valutazioni di condotte, nuove condotte, per meglio dire, quanto piuttosto individuare determinate condotte come delle circostanze aggravanti di fatti già contemplati dal nostro ordinamento come penalmente rilevanti.
  In questo senso va anche detto che la nostra legislazione ha una tradizione risalente rispetto a figure come, ad esempio, la repressione del delitto di genocidio. L'intervento legislativo è dell'ottobre 1967 e già in quella norma, in quella legge, vi sono norme che, appunto, sanzionano tutte quelle azioni e tutte quelle condotte che vanno dalla propaganda all'incitamento che, appunto, rispetto al genocidio rappresentano delle attività strumentali e di supporto.
  Successivamente, c’è stata la legge dell'ottobre del 1975, la n. 654, di ratifica ed esecuzione della Convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, del marzo 1966.
  Dunque, un complesso normativo già esistente, sul quale è intervenuta nuovamente la proposta di legge, prevedendo, sostanzialmente, all'articolo 1, comma 1, la modifica dell'articolo 3, comma 1, della legge n. 654 del 1975, che attualmente punisce, salvo che il fatto costituisca più grave reato: alla lettera a), con la pena della reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6 mila euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; alla lettera b), con la reclusione da sei mesi a quattro anni, chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
  Il comma 3 dell'articolo 3 della legge n. 654 vieta, inoltre, ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente Pag. 3tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, e ne sanziona con pene detentive la partecipazione e la promozione o direzione. Inoltre, sempre sul piano della normativa nazionale, va ricordata la legge 9 ottobre 1967, n. 962, il cui articolo 8 punisce con la reclusione da tre a dodici anni la pubblica istigazione e apologia dei delitti di genocidio.
  Le modificazioni introdotte dalla proposta di legge all'articolo 3 della legge n. 654 circoscrivono, alle lettere a) e b) del comma 1, la rilevanza penale dell'istigazione alle sole condotte commesse pubblicamente; pertanto, in entrambe le lettere, dopo la parola: «istiga» è inserito l'avverbio: «pubblicamente». Le due modifiche interessano, quindi, le fattispecie di carattere generale per gli atti discriminatori o di violenza, indicate dalle citate lettere a) e b) della legge n. 654, di cui è sostanzialmente delimitato il campo di applicazione.
  Inoltre, le modificazioni prevedono, con un comma aggiuntivo, il 3-bis, un aumento di pena nei casi in cui la propaganda, la pubblica istigazione e il pubblico incitamento si fondino «in tutto o in parte sulla negazione della Shoah ovvero dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra» come definiti dallo statuto della Corte penale internazionale. La punizione del negazionismo a titolo di aggravante del reato presupposto, come emerge anche dai lavori parlamentari, in particolar modo quelli del Senato, è mirata ad evitare l'introduzione di un reato di opinione, suscettibile di confliggere non solo con il diritto di manifestazione del pensiero garantito dall'articolo 21 della Costituzione, ma anche con l'articolo 33 della Costituzione, che garantisce la libertà della ricerca scientifica, e l'articolo 3, che introduce già nel nostro ordinamento, a proposito del principio di uguaglianza, la discriminazione razziale come una delle figure sintomatiche della violazione del principio di uguaglianza.
  Il comma 2 dell'articolo 1 della proposta di legge, poi, secondo quanto emerge dal dibattito svolto al Senato, ha l'obiettivo di assicurare una coerenza sistematica sul piano sanzionatorio. E qui devo dire che il lavoro che è stato condotto successivamente dalle Commissioni parlamentari alla Camera ha posto immediatamente un problema alla nostra attenzione, perché il provvedimento, nel testo che noi oggi esaminiamo, è stato licenziato dal Senato nello scorso mese di febbraio e ad aprile è poi intervenuta la legge n. 43 del 17 aprile 2015, che ha convertito in legge il decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7, che ha introdotto, proprio con riferimento al reato di istigazione contemplato dall'articolo 414 del codice penale e dalle altre misure, un incremento e un inasprimento delle pene soprattutto in funzione di contrasto al terrorismo interno ed internazionale.
  Quindi, la I Commissione, ad esempio, nell'esprimere parere favorevole, nelle osservazioni formulate ha proprio rilevato l'esigenza di un'armonizzazione rispetto al nuovo assetto sanzionatorio previsto dal cosiddetto «decreto antiterrorismo». Proprio in questa funzione, per affrontare questo tipo di problematiche e per soddisfare questo tipo di esigenza, è in corso di valutazione la possibilità anche di emendare il testo, e quindi di rendere coerente l'impianto complessivo con le recenti modifiche che sono state introdotte.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, il collega Walter Verini.

  WALTER VERINI, Relatore per la maggioranza. Grazie, Presidente. La puntuale esposizione dell'onorevole Sarro mi consente di soffermarmi, soprattutto, sulla cornice di questo provvedimento. Voglio iniziare questo intervento con delle parole: «Per me non è mai stato possibile dimenticare, voltare pagina, cercare semplicemente di vivere normalmente. Per molto tempo è stato impossibile per me parlare di quello che avevo visto e vissuto nei Pag. 4crematori di Auschwitz. Avevo l'impressione che le persone non mi credessero e che mi avrebbero preso per un matto. Ho dunque preferito rimanere in silenzio fino al 1992, quando l'antisemitismo e il negazionismo hanno ripreso a manifestarsi e ho sentito che non potevo più tacere».
  Queste parole sono di Shlomo Venezia, vennero pronunciate due anni prima della sua morte a Parigi, all'UNESCO. Lui faceva parte dell'orrore più terribile di Birkenau e Auschwitz, del sonderkommando, gli addetti ai forni crematori. Allora, da quel giorno, dal 1992, quando capì che il negazionismo cominciava a farsi strada, l'antisemitismo a diffondersi di nuovo, lui decise, lo disse ancora quel giorno, di parlare ai giovani, di riuscire a superare quel blocco che lo aveva incatenato a quegli orrori, a quella memoria così terribile. Allora, lo fece rivolgendo anche un appello, rivolgendosi a «voi uomini della politica e delle istituzioni perché avete in carico l'educazione delle giovani generazioni, affinché proseguiate il compito della testimonianza, delle nostre testimonianze, per lottare contro l'oblio, per impedire che si dimentichi Auschwitz, per lottare contro i negazionisti, difendere la verità storica e preservare il mondo dal ripetersi di tali atrocità».
  Basterebbero queste parole per motivare il senso di questo provvedimento. Io, come altri di noi, abbiamo fatto viaggi ad Auschwitz accompagnati dai testimoni, da Shlomo, che non c’è più, ma anche da Piero Terracina, da Sami Modiano, dalle sorelle Bucci. Io credo che non è solo per onorare loro e la drammatica esperienza che loro hanno vissuto sulla propria pelle (alcuni di questi sono tornati, lasciando morti lì, fratelli, genitori e parenti), ma noi lo dobbiamo fare anche per oggi. Infatti, vedete, noi parliamo di cose accadute più di settant'anni fa, però quegli errori, quelle tragedie, vennero commessi dalla mano dell'uomo, e se la mano dell'uomo li commise settant'anni fa, è possibile, anzi sta accadendo, che vengano commessi di nuovo. Accade, per esempio, che un uomo, quattro anni fa, in nome di teorie neonaziste contro la società aperta, contro le diversità, abbia sterminato 80 e più ragazzini ospiti in un campeggio organizzato dai giovani socialdemocratici nell'isola norvegese di Utoya. Stermini etnici, religiosi, vengono perpetrati tuttora, in tutto il mondo.
  I germi dell'antisemitismo e del razzismo sono ancora troppo presenti e potenzialmente fertili, si moltiplicano nei siti le istigazioni all'odio razziale, antisemita, gli incendi delle sinagoghe e gli attentati. Ricordiamo gli ultimi, quello del gennaio scorso, i morti al supermercato kasher a Parigi, quelli del maggio 2014 all'entrata del Museo ebraico di Bruxelles, i bambini della scuola ebraica di Tolosa uccisi nel 2012.
  Proprio oggi alla Camera, su iniziativa di una deputata, Milena Santerini, è stato ricordato l'attentato alla sinagoga di Roma che costò la vita al piccolo Gaj Taché e anche il nostro Presidente Mattarella, qui, all'insediamento nella sua carica, davanti alla Camere, ricordò il sacrificio di questo ragazzino.
  Insomma, questi orrori, che accaddero settant'anni fa, hanno ancora dei germi che vivono, che producono veleni e producono tragedie.
  È giusto per questo, quindi, legiferare e dare dei segnali anche normativi su questo argomento, nei termini che ha ricordato il collega Sarro e nei termini che il Senato ha giustamente approvato dopo un lungo dibattito. Infatti, c'era un dubbio anche da parte di storici, che certamente non possono minimamente essere accusati di non essere storici di sicura fede democratica, di lealtà ai valori della libertà e della democrazia. Ma anche da parte di questi storici erano stati sollevati il dubbio e la perplessità che istituire un reato proprio di questo tipo avrebbe potuto rappresentare un rischio di colpire e limitare la ricerca storica e la libertà di opinione. Non è così, non è questo. Noi prevediamo semplicemente, anzi questo provvedimento semplicemente prevede – è stato ben ricordato – non di colpire le opinioni, ma semplicemente di colpire coloro che, in nome anche di queste teorie negazioniste, Pag. 5istigano alla violenza o commettono e conducono degli atti di violenza. Insomma, si sanziona un comportamento, una condotta, non un'intenzione, un giudizio o un parere, per quanto ignobile e per quanto menzognero o falso esso possa essere.
  Di quanto ci sia bisogno – mi avvio a concludere, Presidente – di provvedimenti di questo tipo non ce lo ricordano soltanto i pochi testimoni che sono sopravvissuti e le urgenze del tempo drammatico che stiamo vivendo, ma ce lo ricordano delle grandi personalità. Eisenhower comandante delle forze alleate, quando incontrò le vittime dei campi di concentramento, ordinò che fossero fatte foto, che gli abitanti delle città vicine ai campi vi fossero accompagnati e che seppellissero essi stessi i morti. Voleva che rimanessero documenti, che si registrassero le testimonianze, perché un giorno qualcuno avrebbe potuto sostenere, come è avvenuto, che quegli orrori non fossero mai avvenuti.
  Da allora molte cose sono state fatte. Il nostro Paese ha approvato, nel 2000, l'istituzione del Giorno della memoria, il 27 gennaio. La Corte europea dei diritti dell'uomo, in una sentenza del 2003, sul negazionismo ha squarciato dei veli e ha detto delle verità assolute: crimine contro l'umanità, il negazionismo come una delle forme più sottili di diffamazione razziale, xenofoba e d'incitazione all'odio. Le Nazioni Unite, nel 2005, hanno istituito la Giornata internazionale della memoria e poi, due anni dopo, con la risoluzione sulla negazione dell'olocausto, l'ONU ha condannato senza riserve il negazionismo. Paesi come la Francia, la Germania, la Polonia, l'Austria, la Svizzera, il Belgio e i Paesi Bassi già dispongono di norme che identificano il negazionismo come un reato e non possiamo dire certo che questi siano Paesi dove non sia tutelata la libertà di opinione. Insomma l'istigazione in nome di queste realtà va punita ed è quello che facciamo. Infatti c’è l'opinione, c’è la negazione e c’è l'istigazione.
  Avviandomi alla conclusione, Presidente, in Commissione, insieme all'altro relatore Sarro, avevamo auspicato il ritiro di tutte le proposte emendative per potere dare lo stesso segnale che il Senato ha dato, ovvero un'approvazione a larghissima maggioranza di un testo di grande civiltà e di grande valore. Poi sono venute le osservazioni ricordate nella prima relazione da parte della Commissione affari costituzionali e l'esigenza di non fornire un segnale contraddittorio rispetto ad un altro provvedimento, il decreto di contrasto al terrorismo. Quindi, l'abbassamento del reato base – se così si può dire – da cinque a tre anni potrebbe rappresentare un segnale non solo di disallineamento, ma – diciamolo – un segnale sbagliato. Allora, abbiamo avuto dei contatti anche con i nostri colleghi del Senato, che auspicavano, come noi, la rapida pubblicazione in Gazzetta Ufficiale di questo provvedimento. Credo che se noi ci limitassimo – e lo deciderà il Comitato dei nove e lo deciderà l'Aula – ad apportare delle modifiche chirurgiche su questi piccoli singoli punti del provvedimento, il progetto di legge rimarrebbe intatto nel suo valore e il Senato potrebbe approvarlo nel più breve tempo possibile.
  Un Parlamento, Presidente, non deve legiferare in occasione degli anniversari, come è stato ricordato anche in Commissione.
  Però, se ci sono degli anniversari, come quello che cade fra quattro giorni... Il 16 ottobre 1943 a Roma ci fu il rastrellamento del Ghetto da parte dei nazisti e gli ebrei vennero deportati, messi in vagoni piombati e dalla stazione Tiburtina portati nei campi di sterminio. Se alla vigilia dell'anniversario del 16 ottobre 1943, la Camera avesse approvato in via definitiva questo provvedimento, io credo che sarebbe stato un bel segnale, un modo di straordinario valore per ricordare quella data che è ancora una ferita aperta per il nostro Paese e non solo per la comunità ebraica. Come ripeto, lo deciderà il Comitato dei nove e lo deciderà l'Aula, ma dovremo probabilmente Pag. 6rimandare il provvedimento ritoccato al Senato, ma io sono certo che il Senato farà il suo dovere, come ha fatto nella prima parte di questo iter, e magari, chissà, a proposito di anniversari, potrebbe essere, questa legge, definitivamente approvata e pubblicata in occasione del 27 gennaio prossimo, Giornata della memoria, che ricorda la liberazione del campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, il deputato Ferraresi.

  VITTORIO FERRARESI, Relatore di minoranza. Grazie Presidente, questa proposta di legge rappresenta un discreto punto di equilibrio tra le esigenze della libertà di pensiero e di espressione e la giusta sanzione, formulata come aggravante e non come autonoma fattispecie per tutti i casi in cui la negazione di eventi criminosi, come genocidi, crimini contro l'umanità, crimini di guerra e la stessa Shoah, possa avere carattere rilevante dal punto di vista penale e, quindi, meritare sanzioni nel momento in cui affermazioni o asserzioni fatte pubblicamente costituiscano un incitamento. Eppure, questo testo, Presidente, senza entrare nel merito delle considerazioni politiche generali che hanno portato a questo aggiornamento della legge Mancino, presenta alcuni limiti che il gruppo ha inteso sollevare in Commissione giustizia, con la conseguente presentazione di emendamenti di carattere migliorativo sotto il profilo sia sistemico, che applicativo. Gli emendamenti presentati in Aula intendono sostanzialmente intervenire per migliorare il rapporto sanzionatorio che intercorre tra l'articolo 3 della legge Mancino e il reato di istigazione nel codice penale. Nello specifico, prevedono che l'istigazione e l'apologia di delitti che si fondano su motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, ovvero si fondano in tutto o in parte sulla negazione dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra, costituiscano peculiare aggravante dell'articolo 414 del codice penale. Al fine di una più efficace tutela della libertà di espressione, le modifiche emendative presentate stabiliscono, altresì, che i crimini di genocidio, i crimini contro l'umanità e i crimini di guerra, la cui negazione ha conseguenze penali, definiti in materia ampia dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale, ratificato ai sensi della legge 12 luglio n. 232 del 1999, debbano anche essere accertati con sentenza di condanna passata in giudicato da un organo di giustizia internazionale, ovvero riconosciuti per decisioni adottate da organismi internazionali e sovranazionali di cui l'Italia è membro. Formulazione questa che, escludendo ovviamente la Shoah perché già ricompresa, aiuta a ridurre la discrezionalità in capo al giudice che non può e non deve sostituirsi allo storico nell'individuazione degli eventi passibili di costituire aggravante qualora negati.
  È ovvio, Presidente, che ci troviamo davanti ad una legge che ha uno spirito condivisibile ovvero contrastare il fatto di istigare pubblicamente o di propagandare pubblicamente delitti, con l'aggravante, appunto, di questa negazione di gravi delitti, di crimini contro l'umanità, di genocidio e altri. È una priorità, un'urgenza, come è stata definita ? Assolutamente no. Noi stiamo ancora aspettando da più di trent'anni, per esempio, una legge sul reato di tortura, che anche in questa legislatura è stata portata avanti, che è stata incardinata precedentemente, che ha già fatto due passaggi parlamentari. Ma la stiamo ancora aspettando perché è al Senato e si è in attesa, appunto, che, dopo due anni e mezzo, venga riportata alla Camera per la sua conclusione. Ma è senz'altro uno spirito importante quello che è all'interno di questa proposta di legge n. 2874. Però, noi come legislatori non possiamo ovviamente far finta di niente solo perché lo spirito è buono e si è trovato, come ho già detto, un buon compromesso al Senato. Non possiamo, ovviamente, per spirito buono e soprattutto perché c’è una Pag. 7ricorrenza, come ho già sottolineato in Commissione, non adempiere al nostro dovere, al nostro ruolo di buon legislatore. Comunque, si tratta di una proposta molto contenuta e non dobbiamo fare una legge tanto per fare una legge, ma una legge buona, una legge che tenda alla perfezione, visto che, appunto, si tratta solamente di un articolo.
  Quindi, il MoVimento 5 Stelle è andato ad esprimersi non tanto su un principio condivisibile, non tanto sulla libertà di espressione o no, visto che comunque i caratteri espressi dal Senato riportano una certa coerenza e un certo equilibrio, ma senz'altro sulla forma in cui la proposta di legge è stata elaborata. Ricordo ovviamente per la specificità del nostro Stato che è ovvio ricordare i crimini del nazifascismo e tutte quelle leggi che hanno in questo caso posto in essere persecuzioni, oltretutto in una situazione di guerra, nonché gravi crimini contro il popolo ebraico. Tuttavia, la proposta di legge in esame va ad abbracciare tutti i casi di genocidio, tutti i casi di crimini contro l'umanità, come espresso dalla Corte penale internazionale. Per tale ragione, le proposte del MoVimento 5 Stelle, pur restando in una linea di condivisione, sono andate a cercare di sostituire una legge, Presidente, fatta male, non totalmente, ma fatta male e perché ? Anzitutto quello che noi proponiamo è ricercare di rendere più omogenea questa proposta con l'impianto penalistico vigente. C’è la legge del 1975 che contempla due fattispecie, una più grave e una meno grave, l'istigazione e la propaganda alla commissione di delitti, tenendo conto che sostanzialmente la seconda, l'ipotesi che noi andiamo a modificare, la propaganda con l'aggravante di negazione, praticamente non si verifica quasi mai. È anche per questo che dicevo che non se ne ravvisa l'urgenza perché queste ipotesi sono praticamente assenti, quella per cui un soggetto commette un delitto di istigazione, (già ora quasi mai nessuno viene condannato per questo tipo di reato), ed addirittura quella con l'aggravante di negazione; praticamente non esistono, però andiamole a disciplinare.
  Bene, se l'andiamo a disciplinare, bisogna però rendere il sistema omogeneo: non si applica la legge del 1975, è inapplicata magari perché la pena è più bassa di quella del reato di istigazione previsto dall'articolo 414 del codice penale, benissimo. Allora il MoVimento 5 Stelle che cosa dice ? Teniamo la legge 13 ottobre 1975 n. 654, lettera a), introduciamo l'aggravante di negazionismo proprio in questa lettera, andiamo a sopprimere invece l'istigazione nella lettera b) che praticamente non viene applicata perché ha una pena più bassa, riguardante l'istigazione con l'aggravante di motivi razziali, etnici o religiosi e andiamo a riformulare il vero articolo, considerato che comunque, nella riforma del processo penale che abbiamo appena approvato, si è espressa la volontà di una riserva di codice cioè di far rientrare il più possibile le norme penali all'interno del codice penale in modo che il cittadino possa sapere con assoluta certezza quello che è vietato e quello che non è vietato senza andarsi a scartabellare poi tutte le leggi speciali emanate. Quindi inseriamo la fattispecie nel codice penale e nel suo articolo 414, uniformiamo la pena a quattro anni (questa è la nostra proposta) e introduciamo l'istigazione con l'aggravante di un terzo per i motivi etnici o religiosi insieme all'aggravante di negazionismo e ci sarà inoltre l'ulteriore aggravante fino alla metà per quanto riguarda il caso in cui vengano istigati i gravi reati di terrorismo e crimini contro l'umanità. Mi sembrava una proposta tutto sommato di buonsenso e omogenea nel sistema: si va a intervenire sull'articolo 414, si inserisce l'aggravante di negazionismo in quell'articolo specifico, si tiene la pena a quattro anni che sarà aumentata della metà in caso di gravi delitti di terrorismo, crimini contro l'umanità e istigazione di questi gravi delitti e sarà invece semplicemente aumentata per motivi razziali, etnici e religiosi e quelli di negazione. Attenzione: le due aggravanti in questo caso si potrebbero sommare, andrebbero in concorso di aggravanti, quindi sarebbero tutte e due utilizzabili. Questa è la nostra riforma di sistema che sicuramente Pag. 8sarebbe più omogenea. Invito qui in questo senso il sottosegretario e anche la Commissione a valutare questa controproposta perché sicuramente si tratta dello stesso intento realizzato in modo migliore, più omogeneo e più sistematico. Le ulteriori nostre proposte prevedono in primis che non si possa lasciare al giudice la valutazione di cosa è un crimine contro l'umanità e cosa non lo è.
  Allora, visto che si dice sempre – mi viene in mente il sottosegretario Costa – che il giudice deve avere meno discrezionalità possibile su questo tipo di norme, benissimo, allora noi non diamo al giudice questa responsabilità di identificare, rispondendo ai criteri degli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale, se si tratta di un crimine contro l'umanità, di un genocidio oppure no, perché, attenzione, l'interpretazione è molto vaga. Quindi, noi cosa facciamo ? Inseriamo che ci possano essere due criteri per identificarlo: prima di tutto una condanna penale definitiva passata in giudicato per uno di questi reati fatta da un organo di giustizia internazionale, e qui penso che nessuno abbia niente da dire. Non c’è solo, però, il metodo della giustizia, ma anche il metodo politico, cioè uno può essere condannato se c’è una condanna passata in giudicato da parte di un organo di giustizia internazionale oppure una decisione di un organo sovranazionale di cui l'Italia è membro, quindi, una decisione politica. Quindi, la valutazione se il soggetto rientri nella fattispecie degli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale è fatta o su un criterio politico o su un criterio di giustizia.
  Inoltre, viene inserito il fatto che se noi facciamo una legge, deve essere una legge per tutti, non con specificazioni varie e testi che entrano nella norma per specificare che noi la facciamo per quel motivo; noi la facciamo per tutti i crimini contro l'umanità, per tutti i genocidi. Quindi, voglio ribadire che la norma deve essere generale, fatta per tutti e identificabile per tutte le fattispecie.

  PRESIDENTE. Concluda.

  VITTORIO FERRARESI, Relatore di minoranza. Mi avvio a concludere. Questa è la proposta del MoVimento 5 Stelle, credo che possa essere assolutamente condivisibile e, quindi, portata velocemente al Senato per una chiusura che possa venire nelle tempistiche più brevi, ma credo che sia una norma fatta ad hoc e non una norma con degli errori senz'altro formali.

  PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Irene Manzi. Ne ha facoltà.

  IRENE MANZI. Grazie Presidente, giunge in Aula oggi, come è stato ricordato anche dai relatori, una proposta di legge che nei mesi passati al Senato, in particolar modo, è stata oggetto di una lunga ed approfondita discussione che ha riguardato tanto il mondo politico quanto la comunità storico-scientifica e che mi piace ricordare anche in questa sede. Come è stato ricordato, le condotte che vengono sanzionate dalla norma in questione sono legate all'istigazione pubblica a commettere atti di discriminazione o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi che, nel caso, appunto, del testo di legge, si legano ad una aggravante particolare, l'aggravante legata al fondarsi, questi atti di istigazione, propaganda e pubblico incitamento, alla negazione della Shoah – non di un fatto qualsiasi, ma della Shoah – ovvero dei crimini di genocidio, contro l'umanità e crimini di guerra.
  Una previsione di legge che ricomprende al suo interno condotte che propagandano la negazione alla radice dell'esistenza stessa dell'Olocausto, facendo riferimento, di solito, a quelle dottrine secondo cui il genocidio, ed in particolare – perché il negazionismo si associa storicamente a questo – il genocidio degli ebrei da parte dei nazisti, non è mai avvenuto o, nel migliore dei casi, è stato molto sopravvalutato Pag. 9dagli storici. Condotte che, attenzione, non vengono punite in quanto tali dalla previsione giunta dal Senato come espressione di una opinione, bensì soltanto se tali da concretizzarsi in un comportamento offensivo nei confronti delle vittime, costituendo non una forma di reato autonomo, come originariamente previsto nel testo esaminato dalla Commissione giustizia del Senato.
  È molto importante ricordare, in questa sede, il lungo e approfondito dibattito che si è svolto al Senato, a partire proprio da quelle audizioni di numerosi storici che si sono tenute nelle aule del Senato. Un dibattito che ha consentito, a mio avviso, di migliorare e perfezionare il contenuto della norma. Non si può trascurare, infatti, la perplessità maggiore che era suscitata dal testo originario: il fatto che la norma, attraverso la previsione di una fattispecie di reato autonoma, legata essenzialmente a sanzionare e divulgare l'espressione di una opinione deprecabile e censurabile, ma comunque un'opinione, rischiasse, sostanzialmente, di introdurre, a tutti gli effetti, un vero e proprio reato di opinione, contrastante con le previsioni dell'articolo 21 della Costituzione.
  Ma non solo: un reato di opinione legato essenzialmente alla diffusione e all'interpretazione di fatti storici che rischiava di affidare ai tribunali il compito non certo semplice di decidere e sanzionare tesi ed idee di natura storiografica. Un tema dunque controverso, che chiamava in causa un confine molto sottile, sottilissimo, tra il lecito e l'illecito in ordine all'espressione e alla diffusione delle idee e alla libertà di ricerca scientifica, che ha trovato molteplicità di opinioni all'interno proprio della comunità storico-scientifica. Risulta allora molto interessante la lettura dei resoconti delle audizioni compiute in Senato nel marzo del 2014, con il contributo di importanti e qualificati docenti, divise con argomentazioni molto articolate tra favorevoli e contrari all'introduzione di un autonomo reato di negazionismo, tra chi vedeva contro la negazione di fatti storici e crimini contro l'umanità, ormai inequivocabili ed acclarati, una battaglia da compiere non sul piano penale ma sul piano culturale, attraverso la diffusione della conoscenza, e chi, invece, anche di fronte al prepotente riemergere di sentimenti di xenofobia, antisemitismo ed odio razziale, spesso divulgati, tra l'altro, mediante il web ed i nuovi mezzi di comunicazione, riteneva che in una situazione di emergenza servano strumenti eccezionali di emergenza, poiché – cito proprio le parole della relazione della professoressa Di Cesare – «il negazionismo non è un'opinione come un'altra, piuttosto è una dichiarazione politica, che, attentando alla memoria, vuole pregiudicare il fondamento ed il legame da cui, sulle ceneri di Auschwitz, sono sorte le democrazie europee». Non mancano, tra l'altro, Paesi, anche europei, con cui confrontarsi che hanno introdotto un autonomo reato di nagazionismo (penso alla Germania, alla Francia, all'Austria, al Belgio, alla Spagna, al Portogallo e alla Svizzera) o anche alle numerose disposizioni che la comunità internazionale, dalla Carta delle Nazioni Unite del 1945 alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 sino alla Decisione quadro del 28 novembre 2008 sulla punizione del razzismo e la negazione dei genocidi, ha adottato in questi anni.
  Il dibattito, come si può evincere, è stato molto complesso. Del resto, già nel 2007, l'allora Ministro di Grazia e giustizia, Mastella, aveva tentato di introdurre un reato autonomo di negazionismo nell'ordinamento, salvo poi non proseguire l'iter legislativo a causa delle decadenza della legislatura. Un dibattito che si è diviso sostanzialmente tra il diritto alla libertà di opinione e la repressione, invece, all'abuso della stessa e in cui il Parlamento è stato chiamato a compiere una scelta certo non semplice ma che tentasse di tenere in equilibrio proprio questi due diritti ugualmente fondamentali, quello alla libertà di opinione e quello alla salvaguardia alla diffusione di una memoria e di una verità storica che costituiscono il fondamento stesso dell'Europa e della nostra Italia libera e democratica. Una scelta che ha tenuto positivamente conto, a mio Pag. 10avviso, di quelle perplessità a cui facevo riferimento poco fa. Mi piace citare proprio a questo proposito quanto scritto dalla Società italiana per lo studio della storia contemporanea nella dichiarazione resa in occasione del 70o anniversario del rastrellamento del ghetto di Roma, il 16 ottobre 2013: Tale norma è ambigua, di difficile interpretazione e di ancora più difficile attuazione. Sulla definizione di genocidio e su quali siano stati i genocidi nella storia – tranne ovviamente qualche caso – non vi è accordo tra gli storici o tra i giuristi e ancora meno c’è accordo su quali vadano considerati crimini di guerra e contro l'umanità. La verità storica non può essere fissata per legge nelle aule dei tribunali, può essere solo raggiunta attraverso una ricerca rigorosa, condotta liberamente dagli studiosi. Le verità ufficiali o di Stato sono sempre pericolose, come insegnano le vicende dei regimi totalitari.
  Notazioni a cui i colleghi senatori, il cui lavoro mi piace evidenziare in questa sede per l'accuratezza e la profondità del dibattito che è stato compiuto, hanno tenuto pienamente conto, rivedendo il testo originario e introducendo, in luogo di una figura di reato autonomo, un'aggravante diretta proprio a sanzionare gli atti di propaganda di pubblica istigazione e incitamento fondati in tutto o in parte sulla negazione della Shoah o di crimini di genocidio, di crimini contro l'umanità e crimini di guerra. Cambia quindi profondamente il quadro di riferimento complessivo, attraverso la modifica introdotta, tra l'altro, all'articolo 3 della «legge Reale-Mancino», incidendo quindi non sull'opinione o la negazione in quanto tale ma sull'istigazione pubblica verificabile e tale soprattutto da produrre conseguenze, contemperando al suo interno gli altri valori costituzionalmente rilevanti, oltre a quello alla libera opinione, tra cui la tutela delle istituzioni democratiche ed il divieto di qualunque discriminazione.
  Non si può non evidenziare un elemento ulteriore che è contenuto all'interno della norma: quello di menzionare espressamente, e non è un caso, a fianco dei crimini di genocidio e dei crimini contro l'umanità, la Shoah: un fenomeno che necessita giustamente una menzione a parte, per come si intreccia profondamente alla storia del nostro continente e del nostro Paese, per l'orrore assoluto ad esso connesso, per la fredda, burocratica e folle pianificazione legata allo sterminio di popoli e razze considerate inferiori. L'inimmaginabile che si è realizzato, e con cui continuare a fare i conti nel presente, per non dimenticare e per reprimere i germi dell'antisemitismo che torna ad imperversare in Europa, contro cui, più ancora che in passato, la risposta deve essere ferma e senza alibi.
  Ma per fare questo non basta la previsione solo di una legge penale: quella serve a reprimere, e giustamente, il proselitismo di idee sbagliate. Occorre un imprescindibile lavoro culturale, che dalla scuola al mondo accademico alle istituzioni, siamo chiamati a compiere. Un lavoro culturale che poggi sulla diffusione e la divulgazione della memoria, sul racconto di quanto è avvenuto, su come si siano potuti avviare allo sterminio esseri umani, su come ancor prima dell'avvio della «soluzione finale» si siano potuti verificare anche nel nostro Paese fenomeni come le leggi razziali, o tollerare forme di strisciante e diffuso antisemitismo. È quel lavoro culturale che la legge che arriva oggi in Aula ci deve spingere a compiere, perché, come richiamato proprio dalla Società italiana di storia contemporanea e dal suo presidente, Agostino Giovagnoli, nell'audizione tenuta al Senato, oltre agli storici c’è bisogno anche di educatori, filosofi, psicologi, pedagogisti, sociologi; ma anche letterati, artisti, e pure politici e parlamentari. C’è bisogno insomma di tutti quelli che possono contribuire ad una grande mobilitazione civile e permanente contro l'antisemitismo ed il negazionismo.
  La via maestra per ottenere risultati efficaci contro il negazionismo è costituita dall'insegnamento, dall'educazione, dalla mobilitazione civile a sostegno delle vittime di ieri e di oggi. È un lavoro ed un imperativo che non può lasciarci indifferenti, Pag. 11in un Paese come il nostro che ha vissuto il dramma della guerra, dell'antisemitismo, della Resistenza.
  Lo scorso aprile in quest'Aula abbiamo collettivamente ricordato, con le massime istituzioni dello Stato e con i testimoni di quei giorni, il settantesimo anniversario della nostra Liberazione: che fu, in concreto Liberazione dall'oppressore ma anche dalla barbarie di chi ha pensato di poter cancellare e negare l'esistenza di uomini, donne e bambini. Alle immagini di quest'Aula mi viene da pensare in questo momento, e alla scelta che come legislatori compiamo attraverso la legge che approveremo nei prossimi giorni: una scelta netta ed importante di rispetto e riconoscenza verso le vittime ed i testimoni dell'Olocausto. E di impegno: impegno a farci testimoni a nostra volta di quanto è stato, educando, divulgando la verità, reprimendo qualunque azione diretta a istigare o a propagandare il falso, la violenza, l'odio. Tutto ha avuto inizio sottovalutando l'odio: è un errore che non possiamo più permetterci, e su cui dobbiamo costantemente vigilare.
  Prima di concludere c’è una persona, ormai scomparsa, a cui penso sia importante dedicare questa legge; l'ha già citata il collega Walter Verini. Sto parlando proprio di Shlomo Venezia, l'unico italiano impiegato nel Sonderkommando nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau: i Sonderkommando dovevano ripulire dai cadaveri le camere a gas, caricarli sui carretti e poi cremarli nei forni. Sopravvissuto alla deportazione e alla prigionia, Shlomo raccontò nelle proprie opere letterarie e poi con la propria testimonianza, durante i tanti viaggi della memoria cui prese parte, la drammatica e incancellabile esperienza dei campi di sterminio, contribuendo a portare a conoscenza del mondo intero la tragedia di cui era stato uno fra i pochissimi superstiti.
  Ebbene, in occasione della sua morte, nell'ottobre 2012, siti e forum legati al negazionismo italiano hanno scatenato una vera e propria offensiva contro la sua persona, pubblicando affermazioni violente contro la sua memoria e di quanti hanno vissuto in prima persona il folle piano nazista di sterminio del popolo ebraico. Perché azioni come quelle siano severamente perseguite e perché non debbano più verificarsi, la legge che oggi arriva in Aula offre all'ordinamento uno strumento in più per agire. A Shlomo Venezia e ai testimoni dell'orrore umano penso sia giusto rivolgere un pensiero in questo momento, per riaffermare ancora una volta ed in modo sempre più convinto che questo è stato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Daniele Farina. Ne ha facoltà.

  DANIELE FARINA. Grazie, Presidente. Diciamo che anche noi abbiamo la convinzione che il negazionismo vada contrastato prevalentemente sul piano culturale e sociale. Conserviamo questa bella illusione come altri colleghi, con alcuni punti di differenza. Si dice che il provvedimento allinea la nostra legislazione ad altri Paesi europei. Tuttavia, le soluzioni trovate in Europa sono assai differenziate. Si dice che recepiamo la direttiva europea contro il razzismo, la xenofobia e l'istigazione all'odio razziale e anche la risoluzione ONU del 2007, che condanna senza riserve qualsiasi diniego dell'Olocausto. È tutto vero, ma sia chiaro anche che comunque noi stiamo tracciando un limite alla libertà di opinione. In questo mi differenzio dai colleghi e dai relatori che sono intervenuti. Ricordo anche un analogo dibattito nella XV legislatura contro quell'ipotesi, che non è quella sulla quale abbiamo lavorato, dell'introduzione di una nuova fattispecie di reato. Contro quell'ipotesi ricordo Ginzburg, ricordo Luzzatto, ricordo De Luna, ricordo Rodotà e moltissimi altri storici e intellettuali. In sintesi lo Stato non può entrare a gamba tesa sulla ricerca storica di pensiero e di parola. Infatti, da allora ad oggi, con questo testo al nostro esame, la gamba è stata parzialmente ritirata. Questa legge insomma è una mediazione.
  Alcune perplessità riguardano inoltre, come altre volte devo dire, il veicolo scelto, ovvero l'efficacia di questo provvedimento, Pag. 12perché stiamo parlando della legge di Oronzo Reale, poi modificata dalla legge Mancino, abbondantemente usata in epoca passata, ma anche nel presente, tranne in quelle parti, guarda caso, che riguardano l'odio razziale, etnico, nazionale e religioso. Qualcuno ha notizia di una sua applicazione effettiva ? Forse, qualche sparuta iniziativa di procura. Eppure è quotidiana la pioggia di dichiarazioni, raduni, iniziative chiaramente oltre il perimetro della legalità, in base a quella legge. Stiamo parlando di neofascisti e neonazisti, ma costoro devono stare tranquilli, così come i negazionisti militanti di ogni foggia e colore, la norma rimarrà lettera morta. Perché ? Perché la Mancino è sì una legge vigente, ma di riserva. Verrà effettivamente applicata se i fenomeni di cui tratta e che sanziona dovessero assumere una rilevanza tale da rappresentare una minaccia per lo Stato. Ma chi decide qual è il livello di questa minaccia ? Come se il furto fosse reato oltre un certo numero di galline, ma qui non stiamo parlando di galline, parliamo di atti, di tesi, di culture che rimandano ad alcuni dei periodi più bui della storia umana. Parliamo di totalitarismi, guerre e stermini. Parliamo di uomini e di donne, di corpi, di aspetti atroci della biopolitica. Noi introduciamo non una fattispecie di reato, ma un'altra via attenuata. Viene punita la condotta istigatoria pubblica, e questa ha parzialmente subito il dibattito che in altri anni ci ha accompagnato.
  Sia comunque chiaro che stiamo tracciando un limite alla libertà di opinione e di pensiero. Campo delicato, di rilevanza costituzionale, è un campo che si deve percorrere con prudenza. È per questa ragione che Sinistra Ecologia Libertà ha voluto segnare il dibattito in Commissione presentando alcuni emendamenti volti ad espungere dal nostro ordinamento alcuni reati, che residuati dal periodo fascista, continuano ad inquinare questo campo, confliggendo palesemente con l'articolo 21 della Costituzione repubblicana. Si tratta di un retaggio ingiustificato che abbisogna di una sfrondatura radicale, per citarne alcuni: disfattismo politico, associazioni antinazionali, vilipendio alla nazione italiana, cospirazione politica mediante associazione, vilipendio alla bandiera. Sono tutti reati, o meglio sono tutti anacronismi, già oggetto di pronunciamenti, seppure parziali, della Corte costituzionale. Reati superati da altre successive legislazioni, non sempre felici, quanto emergenziali. Reati che non hanno più motivo di continuare oscuramente a presidiare la nostra libertà, il nostro diritto di manifestare il pensiero e l'opinione. Ben venga allora questa nostra discussione che ci può interrogare su molti aspetti della nostra vita civile.
  Citavo l'inapplicazione della «legge Mancino», il moltiplicarsi di raduni di ogni foggia e colore in cui viene dato sfoggio di idee condannate dalla storia e che sono anche oggetto di questo provvedimento. E allora questo dibattito ci deve anche interrogare sulla funzione del legislatore e sull'efficacia della sua azione. Se dovessimo trarre un bilancio dell'efficacia della nostra azione sui medesimi temi a fini preventivi e repressivi di quei fenomeni, devo dire, purtroppo, che questo bilancio sarebbe un può sconfortante.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 2874)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore di minoranza, deputato Ferraresi, ma ha esaurito il tempo; se ci vuole salutare per un minuto comunque lo può fare. Prendo atto che i relatori per la maggioranza, deputati Verini e Sarro, rinunciano alla replica. Prendo atto che il rappresentante del Governo rinuncia alla replica. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
  Sospendo per cinque minuti la seduta, che riprenderà alle ore 16.

  La seduta, sospesa alle 15,55, è ripresa alle 16.

Pag. 13

Discussione del disegno di legge: S. 1678 – Deleghe al Governo per l'attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (Approvato dal Senato) (A.C. 3194-A).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 3194-A: Deleghe al Governo per l'attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta dell'8 ottobre 2015.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 3194-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari del MoVimento 5 Stelle e del Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la Commissione VIII (Ambiente) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire la relatrice, Raffaella Mariani.

  RAFFAELLA MARIANI, Relatrice. Signor Presidente, Signor Ministro, onorevoli colleghi, ci accingiamo oggi ad esaminare il disegno di legge di delega al Governo per l'attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali.
  L'occasione del recepimento delle direttive europee, oltre che uniformarci agli altri Paesi dell'Unione, offre oggi l'opportunità di riordinare l'intero apparato normativo che dopo la definizione del codice appalti risalente al 2006, del suo regolamento di esecuzione e attuazione emanato nel 2010 (ben quattro anni dopo), composti da oltre 600 articoli è stato oggetto di numerosissimi interventi di modifica anche ravvicinati nel tempo e non sempre coerenti tra loro.
  Il testo trasmesso dal Senato il 22 giugno 2015 e che oggi, dopo un intenso lavoro in Commissione, affidiamo alla discussione dell'Aula, è il frutto di uno scambio molto partecipato tra gruppi parlamentari, Governo, categorie economiche e sociali interessate, mondo delle professioni, opinione pubblica coinvolta nella grande sfida, anche culturale, della gestione di una parte considerevole della spesa pubblica.
  La spesa per appalti pubblici nel nostro Paese ammonta a più del 15 per cento del suo PIL: una buona ed efficace normativa in materia di appalti ha un valore non soltanto tecnico-giuridico ma direi soprattutto politico-sociale in quanto è in grado di assumere un significato determinante nella revisione e semplificazione della complessa e molto farraginosa organizzazione della macchina pubblica a partire dalla necessaria – ineludibile direi – ricerca di una maggiore trasparenza, di una concreta e applicabile apertura alla concorrenza, della fondamentale esigenza di coinvolgimento e partecipazione di ogni segmento del tessuto economico nel rapporto sano e trasparente tra domanda e offerta, nella confrontabilità dei prezzi di Pag. 14acquisto quotidiano di beni e servizi in settori analoghi e territori differenti, nella riduzione di sprechi e nella prevenzione da fenomeni di corruzione così frequenti e così pesanti per l'immagine del nostro Paese, per la credibilità delle sue istituzioni, per l'affidamento, sul quale contiamo molto, presso i grandi investitori nazionali ed internazionali.
  Il codice degli appalti esistente ha subito numerose modifiche, durante e dopo la scrittura del regolamento, è stato un susseguirsi di provvedimenti finalizzati al sostegno e alla crescita delle imprese, alla modernizzazione del Paese, alla ripresa dell'economia. Articoli correttivi e nuove norme hanno riguardato la materia costringendo istituzioni, imprese ed enti regolatori ad uno sforzo di comprensione ed applicazione oggettivamente spropositato.
  Conseguenza diretta della eccessiva complessità e della instabilità della norma è stata la crescita proporzionale ed altrettanto abnorme del contenzioso; sono state le gravi ricadute manifestatesi in ritardi, il blocco degli investimenti, gli affidamenti in deroga alle leggi vigenti con procedure emergenziali, sono stati i frequenti e diffusi fenomeni di corruttela che hanno fatto lievitare i costi degli appalti arrecando grave danno e nocumento per lo Stato e per il sistema sano delle imprese.
  Da qui, il principale indirizzo condiviso: ottenere un quadro di riferimento più semplice, più chiaro e più stabile per gli operatori nazionali ed internazionali, per i responsabili delle stazioni appaltanti. Come evidenziato tra gli altri dalla Banca Mondiale, i migliori tassi di crescita e di attrazione degli investimenti si riscontrano nelle nazioni ritenute più credibili dalle comunità degli uomini di affari e vengono ritenute credibili quelle società che sono capaci di condurre a compimento le politiche intraprese, di assicurare comportamenti amministrativi e giudiziari prevedibili, soprattutto in riferimento ai tempi, e di garantire un adeguato contrasto alla criminalità e alla corruzione.
  Da questa esigenza e dalla profonda convinzione della necessità di un'evoluzione molto netta rispetto al sistema vigente, abbiamo proposto un'ulteriore evoluzione rispetto all'ottimo lavoro svolto dal Senato. Quel lavoro ci consegna, infatti, una struttura di delega al Governo molto significativa, con richiami puntuali ed inequivocabili alla situazione italiana ed alle criticità verificatesi nel nostro Paese in relazione ai principali fenomeni corruttivi ma, soprattutto, rispondendo in primis all'esigenza di superamento di un regime derogatorio diventato la regola, all'armonizzazione delle norme in materia di trasparenza e pubblicità degli atti e alla scelta del superamento delle gare al massimo ribasso, alla definizione della messa a gara per i lavori di progetti esecutivi, con relativo divieto di procedure di ribasso per gare di progettazione, al superamento e divieto della scelta della direzione lavori da parte del contraente generale nelle gare affidate con quella procedura.
  Dalla definizione del Senato è stata molto netta la determinazione di affidare all'Autorità nazionale anticorruzione compiti inerenti la qualificazione delle stazioni appaltanti e degli operatori, comprensiva di parametri tecnici e rating di legalità, la predisposizione di linee guida, bandi tipo e, in generale, strumenti di regolamentazione flessibile a beneficio dell'efficienza delle stazioni appaltanti ed, infine, di vigilanza sugli atti, con incisivi poteri sanzionatori sulla base di un'esperienza verificata nel corso delle principali esperienze negli ultimi mesi. Mi riferisco alle esperienze della gestione degli appalti di lavori per Expo e Mose, nei quali il recupero delle procedure dall'illegalità non ha comportato interruzione dei cantieri né impedito, al nostro Paese, di mostrare capacità di andare avanti e di fare una buona figura.
  Significativo è l'indirizzo, poi, che indica la necessità di riduzione del numero delle stazioni appaltanti, rispetto al quale innumerevoli appelli sono stati rivolti al Parlamento e al Governo dai principali e più autorevoli osservatori dell'andamento della spesa, della sua qualità e della sua trasparenza.
  Innovativa e attesa, dal punto di vista sociale, è stata l'introduzione del superamento Pag. 15delle procedure di gara al massimo ribasso per i contratti pubblici relativi a servizi sociali, le cui conseguenze si sono pesantemente riverberate su lavoratrici e lavoratori.
  Della disciplina organica delle concessioni si è fatto un richiamo significativo alla specificità italiana, soprattutto in merito al tema di quelle autostradali, ed alla necessità di uniformarsi al dettato comunitario, soprattutto richiamando il tema dell'affidamento attraverso gara. Dal Senato è anche arrivato l'obbligo, per i concessionari pubblici e privati autostradali, di indire gare ad evidenza pubblica per l'affidamento di lavori sulla rete in concessione. Oggi questo obbligo è relativo esclusivamente al 60 per cento dei lavori, con facoltà di assegnazione diretta per il 40 per cento.
  Il dibattito pubblico, nella scelta delle opere strategiche e delle medie opere, è stato indicato come strumento vincolante per le parti quando si intraprende il percorso di realizzazione di un'opera.
  Signor Presidente, dovevamo, quindi, partire da questo significativo contributo dei senatori alla legge delega per dare atto della competenza e definire ulteriori utili passaggi di riflessione ed approfondimento, consapevoli dell'impatto che la redazione di un testo unico di questa portata produrrà sul sistema economico del nostro Paese.
  Chi ha ascoltato da alcuni anni appelli, riflessioni, esperienze, anche proteste e critiche, tutti improntati alla ricerca di un equilibrio più consono ai tempi che ci troviamo ad affrontare sul tema appalti, non può che cogliere la definizione dell'impianto di uno dei principali riferimenti normativi della gestione della spesa pubblica, il senso della ciclicità di alcuni strumenti ed anche la parallela esigenza di far crescere, assieme a norme innovative e più semplici, una cultura più attenta e sensibile alla distinzione tra ruolo pubblico e privato, alla ricerca del rispetto della legalità non esclusivamente nelle procedure e negli atti della burocrazia ma, anche e soprattutto, nella fase di esecuzione del contratto pubblico.
  Tale aspetto è stato, tra l'altro, sottolineato nel primo rapporto presentato al Consiglio e al Parlamento dalla Commissione europea, che evidenzia, per il nostro Paese, come nodo critico fondamentale quello della corruzione nella fase di esecuzione del contratto pubblico. Molti sono stati i provvedimenti che hanno richiamato questa esigenza e oggi la legge delega, che andiamo a definire, vuole fare un ulteriore passo in questa direzione e, cioè, dotare il Paese di uno strumento semplice, che regoli la gestione dei contratti pubblici, stabile per un periodo significativo e, soprattutto, mettendo in condizione le stazioni appaltanti di qualificarsi, di elevare ulteriormente le competenze e di disporre di tutti gli strumenti, compresi affidamenti chiari e non ricorribili, che indichino tempi certi, permettano una verifica effettiva, oltre che dei procedimenti e degli atti, anche della realizzazione dell'oggetto del contratto.
  La «legge Merloni» per la prima volta nel 1994 proponeva, nella definizione di un testo unico, procedure per la redazione del bando, la selezione dei partecipanti e l'aggiudicazione della gara, l'esecuzione e i relativi controlli e il pagamento. Altrettanto utili ed efficaci i rimedi indicati, che oggi ritroviamo fotografati dalle direttive ed anche dai principi di delega, inseriti attraverso il lavoro di Governo e Parlamento.
  Nella ricerca di una maggiore efficienza del sistema pubblico e nella conseguente revisione degli strumenti a disposizione della pubblica amministrazione, la revisione del codice, direi la filosofia generale di semplificazione e di stabilizzazione delle norme, vanno di pari passo con la riforma introdotta prima dal decreto-legge n. 90 del 2014 – «decreto-legge Madia» – e continuata con il disegno di legge delega di riforma della pubblica amministrazione.
  Provvedimenti che concorrono, oltre che alla modernizzazione, alla revisione complessiva di compiti, responsabilità e strumenti del sistema pubblico. Dal decreto-legge n. 90 del 2014, ad esempio, è scaturita la fusione tra Autorità di vigilanza Pag. 16dei contratti pubblici ed Anac: un'efficace intuizione, che ha aggiunto alle funzioni specifiche di vigilanza, regolazione, consultazione e supporto attribuite all'AVCP, funzioni consultive e regolatorie, poteri più incisivi di controllo e sanzionatori di efficacia vincolante, funzioni di prevenzione e repressione della corruzione di Anac.
  La strategia complessiva alla quale Parlamento e Governo stanno lavorando e che trova riferimenti utili in numerosi altri provvedimenti, che, per ragioni di brevità, dovrò solo elencare, riguarda, in primo luogo, il potenziamento delle competenze all'interno dell'amministrazione pubblica, la riduzione degli oneri amministrativi per cittadini ed imprese, il rafforzamento dei poteri e delle competenze di controllo, non solo delle procedure, ma, soprattutto, dell'esecuzione del contratto, la maggiore trasparenza in tutte le fasi del contratto, l'utilizzo delle infrastrutture informatiche e delle nuove tecnologie. Dalla patologia alla fisiologia del sistema, dalla quantità alla qualità della spesa, la concorrenza reale tra imprese serie.
  La legge Severino sulla trasparenza dell'attività amministrativa, la legge sulla competitività che prevede la centralizzazione delle procedure di acquisizione di lavori, servizi e forniture, il disegno di legge Madia, minori i tempi delle conferenze di servizi e più snelle, silenzio assenso e autotutela, la riforma del 416-ter del codice penale, falso in bilancio, autoriciclaggio: tutti strumenti che concorrono alla riforma del sistema.
  Per entrare nel merito delle principali modifiche apportate dal lavoro fatto in Commissione, premettendo che sono state il frutto di un dialogo molto costruttivo tra i gruppi di maggioranza e quelli di opposizione, elencherò i contributi principali – tra l'altro, Presidente, mi riservo, poi, di consegnare un testo per la completezza della descrizione, perché sono davvero molti – offerti dall'attività emendativa, che sono stati esaminati con approfondimenti e valutazioni che hanno potuto raccogliere davvero molte delle sensibilità presenti e che hanno tradotto richieste ed osservazioni giunte dalle consultazioni e dal confronto con i numerosissimi soggetti interessati, che, a loro volta, hanno fatto pervenire notazioni alla nostra Commissione in queste settimane.
  Citerò solo la scelta dell'abolizione definitiva dello strumento del regolamento di attuazione del codice, condivisa con il Ministro Delrio, che è stata indirizzata dalla necessità di ridurre drasticamente l'apparato normativo, introducendo una regolazione più flessibile (anche detta soft law), capace di unire maggiore aderenza alle esigenze degli operatori ad un significativo taglio di tempi e rigidità (Applausi).
  Chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti).

  PRESIDENTE. Saluto docenti e studenti dell'Istituto comprensivo statale «Giovanni Falcone» di Cascina, in provincia di Pisa, e dell'Istituto paritario «Marsilio Ficino» di Figline Valdarno, in provincia di Firenze, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
  Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Angelo Cera.

  ANGELO CERA, Relatore. Grazie, Presidente. La verità è che ci eravamo preparati per 30 minuti.

  PRESIDENTE. Trenta minuti ? Diciamo quindici o dieci; gliene darò dodici o tredici.

  ANGELO CERA, Relatore. Detto questo, Presidente, il recepimento della nuova normativa europea costituisce sicuramente un'importante occasione per rivedere e razionalizzare la materia nel suo complesso, al fine di creare un sistema più snello, trasparente ed efficace, necessario per garantire la certezza giuridica nel settore e assicurare un'effettiva concorrenza e condizioni di parità tra gli operatori economici.
  In linea con la normativa europea, la nuova disciplina sarà improntata alle seguenti Pag. 17direttrici: certezza giuridica, pubblicità e trasparenza, snellezza, tutela giuridica, tenendo conto delle migliori pratiche adottate in altri Paesi dell'Unione europea, secondo un approccio alla disciplina degli appalti e delle concessioni di tipo sostanzialmente diverso da quello previsto nell'attuale contesto normativo; sistema che ha dato luogo, nel tempo, ad un notevole contenzioso, senza ottenere, di converso, risultati evidenti in termini di efficacia ed efficienza delle procedure di affidamento, con conseguente danno per la finanza pubblica e per la qualità dei servizi offerti.
  La scarsa efficienza che ne deriva per il sistema è testimoniata, tra l'altro, dai continui interventi legislativi, nell'ordine addirittura di centinaia, effettuati in materia a partire dall'adozione del codice dei contratti pubblici del 2006, dovuti anche alla eccessiva regolamentazione prodotta, che necessita di continui aggiustamenti e deroghe.
  Nella formulazione approvata precedentemente il 30 settembre scorso dalla Commissione Ambiente, territorio e lavori pubblici sono state introdotte ulteriori importanti modifiche al testo di delega licenziato dal Senato il 18 giugno 2015, con cui era stato già ampiamente revisionato ed integrato il testo originariamente approvato dal Governo il 29 agosto 2014, su proposta dell'allora Ministro pro tempore Maurizio Lupi.
  In particolare, il Governo è delegato ad adottare, entro il 18 aprile 2016, nel rispetto quindi dei tempi dettati dall'Europa, un decreto legislativo per l'attuazione delle citate direttive del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, nonché, questa volta entro il 31 luglio 2016, un decreto legislativo per il riordino complessivo della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativa a lavori, servizi e forniture nel rispetto dei principi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32, della legge 24 dicembre 2012, n. 234.
  Oltre al suddetto sdoppiamento dei termini di attuazione della delega, tra le novità del testo, sono particolarmente meritorie di segnalazione: l'introduzione dell'espresso divieto di procedure di affidamento derogatorie rispetto a quelle ordinarie, lettera d); l'indicazione della disciplina applicabile agli appalti sotto soglia e dei settori speciali, lettere e-bis) ed e-ter); le norme di facilitazione dell'accesso al mercato per le piccole e medie imprese lettere f) e m); la disciplina specifica per i contratti della Protezione civile e i contratti secretati, lettere g) e g-bis), nonché per le acquisizioni Consip, lettera u); il trasferimento dell'incentivo del 2 per cento per i dipendenti della pubblica amministrazione dalla progettazione alla fase di programmazione e predisposizione delle gare ed a quella di controllo, con la previsione di sanzioni in caso di non controllo e inadempimenti, lettera ii); la riduzione del numero delle stazioni appaltanti, cosa che riteniamo importantissima, che avverrà anche attraverso lo strumento delle unioni dei comuni, lettera v); la previsione di una specifica disciplina per le concessioni industriali in autoconsumo da fonti rinnovabili; norme di tutela per l'accesso delle persone disabili alle specifiche tecniche degli appalti, lettera b-bis); l'obbligo per le concessionarie autostradali di affidare con gara l'80 per cento dei lavori, lettera aaa);
  Nel disegno di legge di delega viene, inoltre, previsto che il Governo proceda allo svolgimento delle consultazioni con le principali categorie di soggetti pubblici e privati destinatari della nuova normativa. Noi riteniamo questo un passaggio fondamentale, importante e fortemente vicino alle popolazioni. La delega affida alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, e sentita l'Anac, lo svolgimento delle consultazioni.
  Vado a concludere e consegnerò anche la mia relazione. Sono confermate, ovviamente, altresì, le scelte di politica di trasparenza e anticorruzione – è fondamentale – con ulteriore rafforzamento dei poteri conferiti all'Autorità nazionale anticorruzione. Alle precedenti funzioni di vigilanza si affiancano, infatti, poteri di controllo, raccomandazione, intervento Pag. 18cautelare e sanzionatorio, nonché di adozione di atti di indirizzo, anche dotati di efficacia vincolante.
  Dunque, l'Anac non avrà più solo una funzione di vigilanza, ma anche di regolazione del settore degli appalti pubblici e delle concessioni. Tale nuova funzione, peraltro, è ulteriormente accentuata dall'affidamento, all'Autorità, della gestione di un sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti, volto a valutarne la capacità tecnico-organizzativa in base a parametri oggettivi, ai fini di una razionalizzazione delle procedure di spesa, nonché della gestione di un elenco dei componenti delle commissioni giudicatrici di appalti pubblici, al fine di garantirne la moralità, la competenza e la trasparenza.
  In conclusione, Presidente, è stato un lavoro veramente già fatto bene al Senato, che aveva solo bisogno di un ulteriore lavoro, che è stato fatto, credo, in comunione con tutti gli amici della Commissione. Credo sia stato fatto un buon lavoro. Lo affidiamo adesso all'Assemblea perché possa essere tradotto in un qualcosa di positivo. Riteniamo alla fine di avere svolto insieme per intero il nostro compito (Applausi).
  Chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

  PRESIDENTE. Il collega Cera è autorizzato. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, Ministro Delrio.

  GRAZIANO DELRIO, Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. Grazie Presidente. Vorrei solo sottolineare la soddisfazione del Governo per il lavoro svolto, prima al Senato e poi in Commissione, per questa che riteniamo una delle riforme più importanti della nostra legislatura, che mira ad introdurre, nel sistema degli appalti pubblici e nel sistema dei lavori pubblici, delle norme ispirate a semplicità, a trasparenza e ad efficienza.
  È una delle riforme che riteniamo più importanti perché, come sapete, purtroppo, il sistema degli appalti pubblici è stato spesso fonte di corruzione ed è stato spesso fonte di delusione e di distacco dei cittadini dalla politica, in quanto le opere non arrivano mai e, quando arrivano, arrivano con costi veramente più che raddoppiati o con inchieste giudiziarie che li accompagnano.
  Quindi, questa è la misura di un processo riformatore, che ha trovato un ampio consenso al Senato e che anche alla Camera ha trovato un'attenzione particolarmente costruttiva che, quindi, credo continuerà e debba continuare in quest'Aula. Noi abbiamo bisogno di dare garanzie ai nostri cittadini. Abbiamo bisogno di dare la certezza che le opere verranno scelte sulla base di criteri oggettivi. Abbiamo bisogno di avere regole più semplici e di evitare la sovrapposizione di norme. Abbiamo bisogno di dimostrare con questo codice che la collaborazione con l'Autorità nazionale anticorruzione non serve a rallentare i lavori, ma serve ad eseguire i lavori in maniera corretta, rispettando il patrimonio pubblico dello Stato e mettendo la legalità come uno dei pilastri necessari e non eludibili per potere realizzare finalmente le opere pubbliche utili, di cui il Paese ha bisogno e che non possono essere più semplicemente opere grandi, ma devono essere, appunto, opere utili agli spostamenti e alla vita quotidiana dei nostri cittadini.
  Da questo punto di vista, il Governo conferma la volontà di superare definitivamente la legge obiettivo – la cui esperienza è giudicata a tutti gli effetti fallimentare come risultati e come procedure – e di entrare nel merito di una serie di procedure ordinarie che, proprio perché ordinarie, sono più semplici e prive di quelle rigidità, che anche l'Europa ci invita a superare, e prive di quelle superfetazioni normative, che sono poi fonte di complicazioni e di intoppi nell'esecuzione delle opere pubbliche.
  Vi è, quindi, una decisa volontà di superamento della legge obiettivo, non tanto e non solo perché non è stata approvata dal nostro Governo, ma soprattutto Pag. 19per l'incapacità a promuovere, appunto, quella serie di opere utili, di cui il Paese ha bisogno.
  Vi è dentro, quindi, una forte collaborazione per la legalità. Vi sono albi delle commissioni giudicatrici. Vi sono gli elementi di accreditamento delle imprese. Ma vi è dentro anche una volontà di efficienza, sapendo che si supererà la gara al massimo ribasso e che si avrà la centralità del progetto, che è un altro degli elementi assolutamente ignorati all'interno dell'attuale sistema delle opere pubbliche, dove vengono messi a gara progetti preliminari che, ovviamente, non possono in nessun modo garantire né la tempistica né la quantità di denaro sufficiente.
  Vi è la riduzione e la lotta alle varianti di progetto, un altro degli elementi che sta determinando grandi problemi dentro al nostro sistema. Quindi, imprese più affidabili, aggiudicazioni più trasparenti, dibattito pubblico sull'utilità delle opere, assoluta centralità del sistema di controllo e assoluta semplificazione. Alcuni hanno discusso sulla scelta che il Governo ha fatto unitamente alla Commissione qui alla Camera di superare il tema del regolamento, ma, come hanno detto efficacemente la relatrice e il relatore, questo è un elemento necessario. Oltre ai quindici allegati e alle centinaia di norme, era necessario soprattutto provare a dare un'impronta più europea al sistema degli appalti pubblici italiani. Credo che il lavoro che abbiamo già svolto in Commissione e che potrà essere ulteriormente migliorato dall'Aula dia al nostro Paese finalmente una normativa su cui appoggiarsi. Il decreto legislativo dovrà rispettare questi principi così forti e così coerenti con le direttive europee. Il Governo si impegna a realizzare il tutto nei tempi che ci avete dato ed è molto orgoglioso del lavoro che i parlamentari hanno svolto e che il Parlamento ha svolto in questa fase perché credo che sia quello che davvero i cittadini ci hanno richiesto e ci stanno chiedendo con forza. E coloro che vivono sui territori sanno di quanto bisogno vi sia di una nuova normativa e di un nuovo modo di fare le opere pubbliche in Italia (Applausi).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Realacci. Ne ha facoltà.

  ERMETE REALACCI. Grazie Presidente, come si è capito anche da questi interventi, il lavoro è stato ampiamente condiviso. C’è stato un ottimo lavoro da parte dei relatori, della collega Mariani e del collega Cera, in piena collaborazione con il Ministero. Lo dico al Presidente, che so che è sensibile a questo, e vorrei sottolineare che la parte più intensa del lavoro in Commissione ha sempre visto la presenza del Ministro Delrio. E io questo lo considero un elemento di metodo e di merito importante quando il Parlamento è chiamato a fare delle scelte importanti.
  Sicuramente, noi non mettiamo la parola fine a questo processo perché noi stiamo qui indicando la direzione per riformare un settore che, come ha ricordato la collega Mariani, è anche quantitativamente rilevantissimo per il Paese perché stiamo parlando di oltre il 15 per cento del PIL. Lo facciamo anche con un'innovazione legislativa notevole rispetto al passaggio dal Senato, che il Governo ci ha proposto e che la Commissione ha condiviso – e questo giustifica i due tempi: aprile per le direttive europee e fine luglio per il complesso della riscrittura del Codice – e, cioè, quella di avere una legge che fissi dei principi, ma che poi dia spazio a una maggiore flessibilità, una maggiore leggerezza e autorevolezza della normativa. Questo passaggio è un passaggio importante, che va monitorato ed è per questo anche che noi alla Camera abbiamo introdotto un forte rafforzamento del ruolo del Parlamento perché abbiamo introdotto un doppio passaggio parlamentare rispetto ai punti chiave e anche una verifica parlamentare rispetto alle linee guida quando queste hanno una rilevanza particolare. E si è introdotta anche una riforma di sistema rispetto al ruolo dell'ANAC, come diceva pure il collega Cera. L'ANAC con questo passaggio diventa, non solo l'Autorità nazionale anticorruzione, ma acquisisce fino in fondo il ruolo di autorità di vigilanza dei lavori pubblici. Parliamoci chiaro, un ruolo che non è mai Pag. 20stato svolto in questo Paese. Il fatto che, nel corso di questi anni, con quello che è accaduto nel campo delle opere pubbliche, non ci sia mai stato un soggetto che monitorasse in maniera attiva, non in maniera giornalistica, quello che stava accadendo, è stato un punto di debolezza. Con questo passaggio, l'ANAC assume questo compito ed è un compito organico, come diceva bene il Ministro, all'azione anticorruzione. Infatti, i colleghi della Commissione ricorderanno anche quando la Banca d'Italia in Commissione ci venne a dire una cosa che sappiamo, che, però, quantificata colpisce, ossia che solo negli ultimi anni ci sono state seicento modifiche al Codice degli appalti. Seicento modifiche al Codice degli appalti non sono una maggiore garanzia per i cittadini, per le istituzioni, per lo Stato e per la finanza pubblica.
  Diventano alla fine uno stagno in cui si muovono altri interessi, diventa una situazione in cui nelle aziende finiscono per lavorare gli avvocati: non ho nulla contro gli avvocati ma insomma quando bisogna realizzare un'opera forse servono più ingegneri e architetti che non avvocati. Questo sistema è stato anche il retroterra di processi corruttivi che sono stati molto profondi nel nostro Paese. Non è che verranno estirpati dall'oggi al domani ma noi cerchiamo di creare le condizioni per un maggiore contrasto ad essi. Diceva Tacito che moltissime sono le leggi in una Repubblica molto corrotta. Se dovessimo guardare alla normativa sugli appalti, questo per l'Italia purtroppo è stato vero e – lo diceva di nuovo il Ministro ma lo diceva anche la collega Mariani – il passaggio della semplificazione, della trasparenza, della qualità della progettazione è chiave in questa sfida. Il superamento della legge obiettivo in questo senso è un passaggio essenziale e non solo perché quella legge, indipendentemente dalle posizioni diverse che abbiamo avuto su quella legge, non ha funzionato. Era nata per segnalare con procedure straordinarie alcune opere di particolare interesse nazionale, era diventato un elenco infinito: credo che, alla fine, avessimo superato le 400 opere. Il monitoraggio che il Servizio studi della Camera e il CRESMe annualmente fanno ha certificato che solo l'8 per cento di quelle opere era andato a compimento ma quella legge aveva introdotto anche alcune procedure nate per accelerare che non hanno accelerato nulla, anzi spesso hanno ritardato. Nella lettura che abbiamo fatto alla Camera sulla strada indicata dal Senato con alcuni forti elementi rafforzativi abbiamo teso a superare queste procedure che – ripeto – non hanno neanche favorito la realizzazione delle opere, oltre a creare delle aree in qualche maniera di opacità. Nel lavoro che è stato ampiamente trasversale tra maggioranza e opposizione – se anche guardiamo agli emendamenti che sono stati accolti, che sono stati presentati, che sono stati sottoscritti questo è evidente – abbiamo cercato anche di introdurre, come lo richiedono i tempi e come anche in parte indicano le direttive europee, elementi di cultura che magari una volta non c'erano e ora sono molto più forti. Ricordiamoci che stiamo andando verso la COP21 di Parigi, che stiamo finendo un'Expo che è segnata da un rapporto diverso con il territorio e con il cibo e poiché qui stiamo parlando non solo di costruzioni pubbliche, stiamo parlando di servizi, stiamo parlando di molte cose – vedo la collega Braga che ha presentato alcuni emendamenti particolari in materia – abbiamo introdotto molti elementi che rafforzano nei bandi il loro ruolo di attenzione ai temi dell'ambiente, dei beni culturali, del minore impatto sanitario e ambientale delle opere, del ciclo di vita dei prodotti anche rispetto ai passaggi referendari che ci sono stati in Italia, ad esempio il referendum sull'acqua per quanto riguarda in particolare il settore delle concessioni idriche, il recupero di strumenti proposti dall'Europa che l'Italia ha un po’ aggirato qualche volta cioè la piena applicazione della VIA e della VAS, che sono poi il retroterra di quel lavoro che il Ministro ha confermato anche nel censimento delle opere utili al Paese. Questi strumenti certo se non diventano meccanismi di rinvio sine die delle scelte ma Pag. 21diventano strumenti seri di analisi e di rapporto anche con i territori, con i decisori, con le imprese migliorano in generale il quadro delle opere e l'azione di selezione delle opere effettivamente utili al Paese, grandi e piccole che esse siano, ad esempio, è favorita dalla VAS, non è ostacolata dalla stessa. La VAS serve a questo, a capire qual è il quadro in cui si inseriscono queste opere; vi è poi un'attenzione anche ai territori: un'attenzione al chilometro zero per quanto riguarda una serie di prodotti, un'attenzione alla manodopera locale per quanto riguarda gli appalti che vengono realizzati, un'attenzione forte alle piccole e medie imprese che sono spesso state sacrificate nel meccanismo general contractor e dei subappalti che poi ha strangolato quelli che effettivamente facevano i lavori. Abbiamo cercato di recuperare una serie di istanze che erano presenti nel dibattito parlamentare. La collega Mariani è stata anche relatrice, ad esempio, di una proposta di legge del collega Bragantini in materia di contratti segretati che poi è stata approvata all'unanimità dalle Commissioni competenti e che, tuttavia, nel bicameralismo, corre il rischio di finire come finiscono molte leggi cioè di finire arenata.
  Invece, in questa maniera, diventa un principio ispiratore dell'attuazione della delega che noi vareremo in questi giorni e che poi avrà un passaggio definitivo al Senato. Ciò vale anche per altri punti; adesso, per quanto mi riguarda, io sulla questione dei concorsi e sulla questione del débat public avevo presentato due disegni di legge che, però, non sarebbero mai andati avanti, perché mentre li discuti, li esamini e poi vanno al Senato... invece, così, in un'opera di riscrittura generale che a un certo punto ci consegna un sistema che è più semplice, più trasparente, più efficace, si recuperano anche queste istanze. Infatti, anche lì, il débat public, il coinvolgimento delle popolazioni, non è un appesantimento, è una maniera per fare meglio le opere, selezionarle e avere il consenso.
  Noi, l'anno scorso, abbiamo ricordato i cinquant'anni dell'autostrada del Sole che fu iniziata nel 1956 e finita nel 1964, con un anno di anticipo. Quell'autostrada – credo siano 750, 800 chilometri circa, con centinaia di gallerie, ponti, viadotti, sottopassi –, in un'Italia che usciva dalla guerra, in un'Italia che aveva strumenti tecnologici molto inferiori a questi, fu realizzata, appunto, in otto anni; perché questo ? Per carità, potremmo fare anche di meglio; ricordo che quella autostrada ebbe oltre 70 morti sul lavoro, quindi, c'era un problema anche lì, non voglio fare un peana a quello che è accaduto, ma cosa c'era dietro quell'autostrada ? C'era un'idea convinta di Paese. Quell'autostrada era percepita da tutti come un'opera utile. C'era una spinta comune; occorre recuperare questo e a questo serve anche il débat public, a selezionare le opere, capire che, a un certo punto, quando si è deciso cosa fare, si va avanti e si va avanti in nome di un interesse generale.
  Lo stesso ragionamento vale per una serie di norme che abbiamo introdotto sulla trasparenza, lo ricordava anche il Ministro, sul fatto che non si possono fare progetti preliminari sulla base dei quali si assegnano lavori importanti e poi – e su questo ci sono parole molto nette nella delega che diamo – ricorrere sistematicamente al massimo ribasso per assegnare i lavori sapendo che quello è un imbroglio, è un imbroglio nei confronti della collettività, è un imbroglio nei confronti dei concorrenti, perché, poi, quel massimo ribasso viene recuperato con varianti in corso d'opera e finisce per andare sopra anche la soglia che era stata inizialmente assegnata, abbassando nel frattempo la grande qualità dei lavori.
  Insomma, abbiamo cercato di mettere a disposizione del Paese uno strumento per affrontare il futuro, non per difendere gli interessi del passato e, quindi, per superare le norme che nel passato, da questo punto di vista, non hanno funzionato. Magari l'Aula potrà migliorare in qualche punto il lavoro, ma sono veramente convinto che il lavoro comune che è stato fatto sia un lavoro di grande qualità. Lo ripeto, è un primo passo, perché poi c’è un lavoro enorme che dovrà essere realizzato Pag. 22dal Ministero, innanzitutto, e dall'Anac; come Parlamento ci siamo dati gli strumenti per accompagnare questo lavoro, credo che sia un lavoro utile per l'Italia (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Area Popolare (NCD-UDC)).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Rocco Palese. Ne ha facoltà.

  ROCCO PALESE. Grazie Presidente onorevoli colleghi, signor Ministro, signor sottosegretario, l'Aula oggi è chiamata a esaminare e, quindi, anche, ad approvare il disegno di legge che reca l'attuazione delle direttive comunitarie del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, in materia di appalti pubblici e relative procedure. Il provvedimento è stato già approvato dal Senato, anche con il voto favorevole di Forza Italia, ed è già stato annunciato e detto qui in quest'Aula da parte dei relatori e da parte del presidente della Commissione che c’è stato un profondo lavoro corale su un provvedimento così importante e così atteso dal Paese, indispensabile.
  Mi fa estremamente piacere – è una cosa opportuna, ma oltremodo dignitosa di attenzione e anche di rispetto istituzionale – la presenza del Ministro Delrio, che ho già sentito in Commissione, anche, qui, in quest'Aula, cosa che non è così scontata di questi tempi, come abbiamo visto.
  Questo disegno di legge è sostanzialmente, quindi, un atto dovuto, per due motivi principali: il primo, perché si tratta di dare attuazione, così come richiamato, a direttive europee utili e che riguardano materie importanti e delicate come quelle degli appalti pubblici, dei contratti di concessione, dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture; il secondo motivo è costituito dal fatto che proprio dagli appalti pubblici e dalla loro cattiva gestione sono derivati tanti problemi per la realizzazione delle infrastrutture, di cui il nostro Paese ha tanto bisogno, a causa dei ritardi dovuti all'eccesso dei contenziosi giudiziari, spesso pretestuosi, agli episodi ricorrenti di corruzione e di infiltrazione della malavita organizzata, soprattutto laddove questa esercita una sorta di controllo del territorio. Quindi, ben venga una nuova disciplina dei pubblici appalti e delle relative procedure impostata su un modello europeo, al fine di voltare finalmente pagina in questo settore strategico. Io mi auguro che ci sia una rapida approvazione di questo provvedimento, perché il Paese, per vari motivi, attende in maniera determinante le modifiche che apporta. Sono state già ricordate le notevoli modifiche che ci sono state in tutti questi anni delle normative; in riferimento a ciò, però non abbiamo ottenuto granché in termini di risultati. I risultati non ci sono stati per vari motivi, con gravissimo danno rispetto alla realizzazione delle infrastrutture. In particolare, la preoccupazione maggiore viene da due segmenti: primo, le grandi opere, le opere strategiche, per le quali purtroppo poi, in molti casi, siamo in ritardo in riferimento a questi contenziosi che ci sono stati; secondo, rispetto anche all'altro fenomeno che si è innescato e che va a sua volta su una biforcazione. Da una parte, la corruzione, l'unico federalismo che è andato in vigore nel nostro Paese negli ultimi vent'anni, che ormai è un dato inoppugnabile di cui dobbiamo prendere atto in maniera dolorosa e confrontarci, però cercando di mettere riparo a questo tipo di situazione; dall'altra, signor Presidente – e mi riferisco anche all'attenzione dei colleghi e del Ministro –, la brutta evoluzione che si è avuta negli ultimi tempi e che la Guardia di finanza e il controllo anche dell'Anac hanno riscontrato, cioè quella addirittura di predisporre gli atti, i capitolati d'appalto e quant'altro, in maniera tale che poi sfocino in un contenzioso. Questa è una cosa gravissima, perché la burocrazia si serve di due aspetti, di una biforcazione anche in questo caso: da un lato, non si capisce bene, soprattutto sul problema delle forniture e nel campo delle forniture che riguardano il servizio sanitario nazionale rispetto al capitolato e al bando di gara fatto in maniera difforme rispetto alla legge, se viene fatto per ignoranza (poche volte) o se invece viene fatto in maniera proprio delinquenziale, in maniera Pag. 23tale da costituire contenzioso, per capire poi che cosa succede, perché ormai le gare e gli appalti vengono assegnati non dalle commissioni di gare ma dal TAR o dal Consiglio di Stato dopo tanti anni; l'altro elemento che pure emerge, sempre in maniera molto più drammatica, soprattutto nelle regioni del sud, è che questi contenziosi, di fatto, che cosa costituiscono ? La possibilità di chi è titolare dell'appalto, dell'erogazione di alcuni servizi, delle proroghe, quindi vanno in proroga assoluta di quattro, cinque, sei, dieci anni. In merito a queste anomalie, mi auguro che questo provvedimento dia una forza nuova per aprire una nuova pagina, perché è fin troppo evidente che è un settore estremamente delicato in riferimento a tutto ciò. Se qualcuno immagina o dice che l'Anac rappresenti pure un costo rispetto a queste nuove competenze, dico: ci mancherebbe ! Ritengo che Cantone e l'Anac, per questo Paese, siano un grande investimento, non un costo ! Un grande investimento rispetto all'apporto decisivo che stanno dando, sia Cantone sia l'Anac, per i tanti problemi e le tante situazioni che vanno a ostacolare nei confronti della corruzione, che è il vero cancro della pubblica amministrazione e delle risorse pubbliche, in pratica erodendo le tasche dei cittadini. È evidente che, data la scarsità delle risorse finanziarie a disposizione delle pubbliche amministrazioni per gli investimenti in infrastrutture, a causa delle note restrizioni di bilancio, è necessario che le poche risorse a disposizione non siano disperse, a causa dell'evidente attuale cattivo funzionamento dei meccanismi dei pubblici appalti.
  Il nostro Paese ha un urgente bisogno di migliorare la propria dotazione di infrastrutture, per recuperare il grave ritardo accumulato nei confronti dell'Europa più sviluppata; per cui è assolutamente indispensabile che tutte le risorse che sono e che saranno disponibili vengano impiegate con efficienza e celerità, senza i troppi sprechi e dispersioni del passato.
  Il disegno di legge interviene su alcuni nodi importanti, quali il miglioramento della qualità e l'accuratezza della progettazione, attualmente spesso inadeguata tanto da determinare la necessità di costose varianti in corso d'opera; la forte limitazione proprio di dette varianti; la limitazione per quanto possibile del contenzioso, che rallenta o addirittura blocca le opere; la drastica riduzione della generalizzazione delle troppe disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative vigenti; il varo di disposizioni e procedure non derogabili riguardo agli appalti pubblici e ai contratti di concessione, al fine di conseguire una significativa riduzione dei tempi e la certezza della realizzazione delle opere pubbliche entro i termini previsti; il divieto di assegnare contratti o appalti con procedure in deroga, salvo urgenze di protezione civile determinate da calamità naturali per le quali devono essere previsti adeguati meccanismi di controllo successivi.
  E qui si aprono due altri elementi di riflessione: il primo, l'accelerazione delle procedure contestuale alla semplificazione e alla trasparenza, fondamentale per rispettare i tempi di spesa nella realizzazione delle opere, relativamente ai fondi strutturali, ai fondi europei: dove noi abbiamo un grave ritardo perché in tutte le gare d'appalto svolte dalle stazioni appaltanti (il più delle volte i comuni e quant'altro), esse vanno in gara e poi purtroppo i contenziosi sono tantissimi. Secondo, il problema dei controlli. Qui, signor Presidente e signor Ministro, colleghi, vorrei spendere una parola: è vero che in maniera secondo me sbagliata la modifica del Titolo V della Costituzione (quella attualmente in vigore, non l'altra che è in itinere) ha abolito i controlli preventivi sugli atti, sia per quello che riguarda le regioni e sia per quello che riguarda le ex province e i comuni; ma non sta scritto da nessuna parte che un sindaco o la pubblica amministrazione, un'amministrazione comunale, non possano dotarsi di adeguati controlli preventivi interni. Non sta scritto da nessuna parte !
  Io trasecolo nel momento in cui sento delle situazioni di Roma e quant'altro, tante cose tutte rispettabili; ma dove sta Pag. 24scritto che un sindaco, una giunta comunale o un'amministrazione comunale non possano dotarsi di una struttura interna che valuti in maniera preventiva la rispondenza di legalità e la rispondenza di rispetto delle leggi comunitarie, delle leggi italiane, della trasparenza, e soprattutto di quelle che riguardano l'assegnazione di servizi in maniera preventiva sugli atti, sia della giunta comunale o del consiglio comunale, e sia soprattutto di quelli dirigenziali ?
  In altri termini, gli obiettivi di questo provvedimento sono da condividere: il problema di fondo è quello, trattandosi di legge delega e con molto deleghe piuttosto generiche, di verificare nei fatti come saranno esercitate e come saranno redatti i decreti delegati; e su questa fase noi vigileremo con grande attenzione, soprattutto in riferimento alla tempistica su cui poco fa il Ministro, signor Presidente, assicurava l'impegno del Governo.
  Obiettivamente dobbiamo riconoscere che siamo di fronte ad una grande occasione per modernizzare il nostro Paese, in quanto il disegno di legge contiene deleghe che vanno nella giusta direzione. Così come è stato ricordato, accenno pure io alla semplificazione e alla drastica riduzione delle normative sugli appalti di opere pubbliche e di pubbliche forniture, prevedendo anche la redazione di un testo unico recante il codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione; maggiori garanzie di trasparenza e pubblicità nelle procedure di gara; misure efficaci di contrasto alla corruzione, con il forte coinvolgimento dell'Anac; introduzione di un sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti gestito dall'Anac; razionalizzazione dei metodi di risoluzione delle controversie alternativi al rimedio giurisdizionale, limitando nel contempo i costi degli arbitrati; previsione di un albo nazionale gestito dall'Anac dei componenti delle commissioni giudicatrici di appalti e concessioni pubblici, componenti che saranno poi assegnati mediante pubblico sorteggio; la drastica limitazione delle variazioni progettuali in corso d'opera, che potranno essere unicamente giustificate da circostanze impreviste e imprevedibili, prevedendo la possibilità per il committente di procedere alla risoluzione del contratto quando le variazioni superano una determinata soglia rispetto all'importo originario, e prevedendo la responsabilità del progettista in caso di errori progettuali; la creazione presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di un albo nazionale dei soggetti che possono ricoprire il ruolo di direttore dei lavori e di collaudatori e loro nomina nelle singole procedure di appalto mediante pubblico sorteggio. Come si vede, siamo di fronte a deleghe dal contenuto utile per il Paese, il problema è che siamo di fronte a deleghe e non a norme immediatamente applicabili. Già in occasione dell'esame di altri disegni di legge del Governo noi abbiamo sottolineato la nostra contrarietà rispetto all'uso eccessivo di questo strumento legislativo, in quanto così facendo si espropria il Parlamento della propria funzione legislativa, assegnando un potere eccessivo al Governo e, quel che è peggio, agli alti burocrati che, a nostro giudizio, non brillano, in molti casi, per efficienza e concretezza.
  Un punto specifico delle deleghe che solleva perplessità è quello contenuto nella lettera g) dell'articolo 1, che introduce forme di dibattito pubblico delle comunità locali e dei territori interessati dalla realizzazione di grandi progetti infrastrutturali, nonché la previsione di una procedura di partecipazione del pubblico e di acquisizione dei consensi necessari. Ora, al di là delle buone intenzioni vi è l'evidente rischio di alimentare nel nostro Paese la fin troppo diffusa «sindrome di NIMBY», con il rischio di rallentare pericolosamente i tempi di realizzazione delle grandi infrastrutture, che sono assolutamente indispensabili allo sviluppo economico del nostro Paese.
  Pur con queste avvertenze siamo assolutamente orientati a confermare la valutazione positiva data al provvedimento dal gruppo di Forza Italia, con l'auspicio che si vada verso una rapida approvazione in un contesto in cui vi siano – Signor Presidente e signor Ministro – poteri sostitutivi Pag. 25unici da parte del Governo con cui si dia il via e si realizzi l'opera anche di fronte ad ostacoli nei confronti di opere strategiche.
  Questo Paese ha bisogno di crescere, ha bisogno di infrastrutture e di opere strategiche. Se c’è un Governo, di qualsiasi colore esso sia, deve essere messo nelle condizioni di realizzare le opere pubbliche necessarie per lo sviluppo di questo Paese. Certamente occorre realizzarle nella maniera più trasparente e più rapida possibile, ma la realizzazione è indispensabile. Basta a tutti questi signori del «no» diffusi in tutto il Paese. I signori del «no» hanno ragione da vendere a dire che sono contro la corruzione, ci mancherebbe; hanno ragione da vendere a dire che bisogna fare tutto in maniera trasparente senza che vi siano questi fenomeni corruttivi, di interessi, corporativi e quant'altro, tuttavia debbono pure consentire che dal momento in cui un'opera viene ritenuta strategica per lo sviluppo dell'Europa e del Paese, deve essere realizzata a qualsiasi costo.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Mazzoli. Ne ha facoltà.

  ALESSANDRO MAZZOLI. Grazie, Presidente. Signor Ministro, onorevoli colleghi, nell'ambito del processo di riforme che sta impegnando questo Parlamento, le nuove norme in materia di appalti che oggi qui discutiamo, costituiscono un elemento essenziale sulla strada del cambiamento e della modernizzazione del Paese. L'occasione ci viene data dalla necessità di recepire tre direttive comunitarie, le nn. 23, 24 e 25 del 2014 dell'Unione europea, definite direttive di quarta generazione, perché basate su un approccio nuovo, nel senso che connettono il settore degli appalti alla strategia Europa 2020 in modo da rendere gli appalti stessi funzionali a sviluppare un'economia della conoscenza e dell'innovazione. In questo modo, l'integrazione di nuovi obiettivi nella disciplina degli appalti si ripercuote da un lato sulla qualità delle norme e dall'altro sul ruolo degli operatori economici e, soprattutto, delle pubbliche amministrazioni nell'affidamento delle commesse.
  Più concretamente, le direttive uniscono ad un'esigenza di semplificazione delle norme la scelta di puntare sulla flessibilità di utilizzo delle procedure e una maggiore considerazione degli obiettivi ambientali e sociali nelle procedure di appalto. Il provvedimento all'esame del Parlamento è dunque di assoluta rilevanza. È stato detto, ed è utile ricordare che l'Italia spende più del 15 per cento del suo prodotto interno lordo negli appalti pubblici, quindi una buona ed efficace normativa in materia di appalti ha un valore determinante, per di più in una fase di crisi economica come quella che stiamo attraversando che impone di trovare fonti di finanziamento per sostenere la domanda interna con investimenti pubblici. Il problema che noi abbiamo è che il complesso delle norme vigenti contenute nel codice degli appalti e nel regolamento di attuazione supera i 600 articoli e a questo corpus normativo vanno aggiunte, oltre ad una serie di disposizioni sparse, tutta le regole per la prevenzione di infiltrazioni criminali contenute nel codice delle leggi antimafia.
  Questa enorme produzione normativa però non ha fatto altro che accrescere in modo esorbitante il contenzioso sulle procedure di affidamento e, nonostante le numerose autorità di controllo, gli appalti nel nostro Paese sono spesso occasione di commissione di gravi illeciti penali, il tutto con una notevole perdita di credibilità del sistema Italia e con un'enorme perdita di risorse economiche a danno della collettività. Per queste ragioni in questi anni sono arrivate sollecitazioni per il riordino, la semplificazione, la ricerca di pubblicità e trasparenza effettive, la garanzia di concorrenza e tutela giuridica, la qualificazione della pubblica amministrazione, l'abolizione di deroghe improprie, la maggiore attenzione alla spesa pubblica. Quindi questa legge-delega a mio giudizio è lo strumento giusto per cogliere una grande occasione, riformare e rilanciare uno dei principali fattori strategici per la modernizzazione del sistema infrastrutturale, Pag. 26per la regolazione, il controllo e il conseguente contenimento della spesa pubblica nei settori dei servizi e forniture, per la riqualificazione e la riduzione delle stazioni appaltanti, per l'introduzione di meccanismi di trasparenza e lotta alla corruzione. La Commissione ambiente della Camera ha svolto in questi mesi un lavoro serio e costruttivo confermando l'impianto positivo uscito dal Senato e rafforzando gli aspetti innovativi del provvedimento, a cominciare proprio dagli aspetti che identificano un chiaro cambio di rotta nell'approccio normativo. Questo è stato possibile grazie al lavoro dei relatori e grazie ai contributi che sono arrivati da diverse forze, sia di maggioranza che di minoranza. Io penso innanzitutto ai temi della semplificazione e della trasparenza, a cominciare con l'introduzione del divieto di gold-plating, il divieto cioè di introduzione o mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle tre direttive comunitarie per proseguire poi con la scelta di sostituire il regolamento di attuazione con strumenti più flessibili, come le linee guida, e quindi con una soft law, come avviene nei Paesi anglosassoni. In merito a questo il presidente dell'Autorità anticorruzione, Raffaele Cantone, ha sostenuto: «effettivamente la soluzione costituisce una nuova frontiera di forte sperimentazione che io difendo e considero fondamentale perché introduce una soft regulation che consente un maggiore confronto con il mercato. Come tutte le sperimentazioni avrà bisogno di essere testata in corso d'opera, ma è la vera svolta contenuta in questa riforma».
  Ulteriore elemento di semplificazione ed efficientamento è dato dall'introduzione e promozione di reti e sistemi informatici già sperimentati in altre procedure competitive che consentono di facilitare l'accesso delle micro, piccole e medie imprese attraverso una maggiore diffusione di informazioni e un'adeguata tempistica e a ciò si aggiunga la riduzione degli oneri documentali ed economici a carico dei soggetti partecipanti. Ma la scelta della semplificazione non avviene soltanto attraverso un'opera di delegificazione o riduzione del numero di norme, questa scelta si sostanzia anche attraverso un'operazione di riqualificazione del ruolo e della funzione della pubblica amministrazione. In Commissione infatti è stato introdotto un rafforzamento delle funzioni di organizzazione, gestione e controllo della stazione appaltante sull'esecuzione delle prestazioni, attraverso verifiche effettive e non meramente documentali, con particolare riguardo ai poteri di verifica e intervento del responsabile del procedimento, del direttore dei lavori nei contratti di lavori e del direttore dell'esecuzione del contratto nei contratti di servizio e fornitura, nonché per le verifiche e i controlli relativi all'effettiva ottemperanza a tutte le misure mitigative e compensative, alle prescrizioni in materia ambientale, paesaggistica, storico-architettonica, archeologica e di tutela della salute umana impartite dagli enti e dagli organismi competenti, prevedendo un adeguato sistema sanzionatorio nei casi di controlli lacunosi e di omessa vigilanza. Tra l'altro, sempre la Commissione ha stabilito che al fine di incentivare l'efficienza e l'efficacia nel perseguimento della realizzazione dell'esecuzione a regola d'arte nei tempi previsti dal progetto e senza alcun ricorso a varianti in corso d'opera, è prevista la destinazione di una somma non superiore al 2 per cento dell'importo posto a base di gara per le attività tecniche svolte dai dipendenti pubblici relativamente alla programmazione della spesa per investimenti, alla predisposizione e controllo delle procedure di bando e di esecuzione dei controlli pubblici, di direzione dei lavori e ai collaudi con particolare riferimento al profilo dei tempi e dei costi, con esclusione di applicazione degli incentivi alla progettazione.
  L'operazione di riqualificazione delle stazioni appaltanti avviene contemporaneamente ad una loro drastica riduzione di numero, infatti è previsto l'obbligo per i comuni non capoluogo di provincia di ricorrere a forme di aggregazione o centralizzazione delle committenze da prevedere per gli affidamenti di importo superiore alle soglie di rilevanza comunitaria, Pag. 27nonché per gli affidamenti di importo superiore a 100 mila euro e inferiore alle medesime soglie di rilevanza comunitaria, definendo a tal fine ambiti ottimali a livello di unione dei comuni.
  La riqualificazione delle stazioni appaltanti è strettamente legata alla ridefinizione dei compiti dell'Autorità nazionale anticorruzione. Molte infatti sono le disposizioni che riguardano direttamente o indirettamente l'ANAC, attribuendole di fatto più ampie funzioni regolatorie e di indirizzo.
  Sono attribuite all'ANAC la promozione dell'efficienza, il sostegno allo sviluppo delle migliori pratiche, la facilitazione dello scambio di informazioni tra stazioni appaltanti e di vigilanza nel settore degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, insieme con funzioni comprendenti anche poteri di controllo, raccomandazione, intervento cautelare, di deterrenza e sanzionatori, nonché di adozione di atti di indirizzo, come linee-guida, bandi-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolazione flessibile, anche dotati di efficacia vincolante e fatta salva l'impugnabilità di tutte le decisioni e degli atti assunti dall'ANAC davanti ai competenti organi di giustizia amministrativa.
  Inoltre, viene prevista la costituzione, presso l'ANAC, di un albo nazionale dei commissari di gara; l'iscrizione all'albo richiederà specifici requisiti di moralità, competenza, professionalità e l'assegnazione dei componenti nelle commissioni aggiudicatrici avverrà mediante sorteggio e secondo un principio di rotazione degli incarichi.
  Altro aspetto e altro tema assai rilevante, su cui la Commissione ambiente della Camera è intervenuta, è il riordino della disciplina in materia di contratti di concessione. La Commissione ha stabilito l'armonizzazione e la semplificazione delle disposizioni vigenti, introducendo criteri volti a vincolare la concessione alla piena attuazione del piano finanziario e al rispetto dei tempi previsti dallo stesso per la realizzazione degli interventi in opere pubbliche.
  Viene poi previsto l'obbligo per tutti i titolari di concessioni di lavori e di servizi di affidare, con procedure di evidenza pubblica, una quota pari all'80 per cento dei contratti superiori a 150 mila euro e prevedendo che la restante parte possa essere realizzata da società in house direttamente o tramite operatori individuati attraverso procedure di evidenza pubblica, anche semplificate, nonché modalità di verifica del rispetto di questa norma affidate all'ANAC.
  Ora, senza dubbio, si tratta di un passo avanti che allarga lo spazio per la procedura di evidenza pubblica, tenendo conto che attualmente è in vigore il rapporto 60 per cento – 40 per cento. Aver spostato l'asticella più avanti costituisce un risultato importante, anche perché noi non sottovalutiamo affatto la realtà e l'importanza delle società in house che devono poter trovare spazio dentro un sistema che cambia e si rinnova.
  L'ultimo tema che vorrei richiamare è la cosiddetta clausola sociale, anch'essa inserita durante i lavori della Commissione: si tratta della valorizzazione delle esigenze sociali e di sostenibilità ambientale nella valutazione delle offerte e delle premialità per le imprese che utilizzano manodopera locale, oppure in via prioritaria gli addetti già impiegati nel medesimo appalto, nel rispetto dei principi di economicità dell'appalto.
  Ci sono molti altri aspetti altrettanto qualificanti nel disegno di legge delega, ma per ragioni di tempo mi limito a questi. Mi sia consentita una valutazione conclusiva: a lungo, troppo a lungo, l'Italia è stato un Paese fermo, almeno negli ultimi quindici anni è stato così; questa degli appalti è una delle questioni cruciali, che può contribuire a sbloccare il Paese e a rimettere in movimento risorse, investimenti e buona occupazione. Non stiamo scegliendo di semplificare e riordinare le norme per ridurre il livello dei controlli. Al contrario, la semplificazione serve anche per rendere più efficiente e più efficace il sistema dei controlli, ma soprattutto semplificazione e trasparenza sono le scelte di chi vuole investire e scommettere sull'Italia, sull'Italia Pag. 28che ha le idee, che sa innovare, che guarda al futuro e che in fondo vuole uno Stato e una pubblica amministrazione capaci di dare una mano per rimettere in cammino il Paese.
  A mio giudizio, questa legge-delega indica la strada giusta (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Claudia Mannino. Ne ha facoltà.

  CLAUDIA MANNINO. Grazie, Presidente. Come portavoce del MoVimento 5 Stelle, premetto già da adesso che non mi soffermerò molto su quello che già ribadiamo da più di due anni, cioè sul concetto di delega, ancora una volta scritta a nostro avviso a maglie eccessivamente larghe.
  Siamo tutti d'accordo sul recepimento delle direttive europee, a cui evidentemente hanno collaborato anche i nostri connazionali europarlamentari, i quali ci auguriamo conoscano ed abbiano in qualche modo pensato a come applicare queste direttive nella realtà del nostro Paese.
  Ma a parte questo, le direttive non prevedevano la possibilità di creare un caos giuridico quale quello che si creerà con la volontà, tutta del Governo, di abolire in fretta e furia il testo unico sugli appalti.
  La nostra impressione è che con le scelte, in qualche modo imposte con il comma 1 dell'articolo 1, si stia prevenendo l'ennesima procedura di infrazione, da un lato, e, dall'altro, si stia dando a un nominato del Governo, qual è l'ANAC, un potere di regolamentazione flessibile che, nel nostro Paese e nell'ordinamento stesso di ANAC, non si era mai avuto.
  Le richieste, fin dall'inizio dell'esame in Commissione, sono state molte e molte di queste sono state anche accolte. Tra le tante, ne citerò solamente alcune: espresso divieto di affidamento di contratti attraverso procedure derogatorie rispetto a quelle ordinarie, fatta eccezione, ovviamente, per dei casi particolari (richiesta introdotta nel testo in esame).
  Ma qui – permettetemi una parentesi – non posso non fare riferimento all'altra importante riforma che si sta facendo in capo alla RAI, in cui, per quel che concerne gli appalti, si introduce una deroga soggettiva che permette solo alla RAI di non rispettare le direttive degli appalti per tutto ciò che è sotto soglia comunitaria, fino anche alla regola dei cinque inviti. Ciò ha ad oggetto la distribuzione e promozione dei prodotti radio e audiovisivi, mentre la loro commercializzazione andava già in procedura di deroga.
  È inutile dire come queste deroghe, che tanto contrastiamo in questo riforma del testo unico degli appalti, di cui nel dettaglio parleremo sicuramente nel momento della discussione del provvedimento della RAI, aggravino i conflitti di interesse, anche con soggetti molto vicini alla classe politica, e di come si possa, in qualche modo, andare in direzione diametralmente opposta al lavoro che la magistratura sta facendo proprio all'interno della RAI.
  Altre richieste erano: la semplificazione e la digitalizzazione delle procedure di affidamento; la maggiore trasparenza, pubblicità e tracciabilità degli atti di gara; il contrasto alla corruzione e al conflitto di interessi; l'introduzione di un nuovo criterio di calcolo per l'individuazione delle offerte anormalmente basse; qualità e centralità della progettazione; maggiore partecipazione delle piccole, micro e medie imprese nelle gare di appalto; il contenimento del ricorso alle varianti in corso d'opera.
  I risultati ottenuti a seguito della discussione degli emendamenti in sede referente sono stati diversi, tra cui: il rafforzamento degli strumenti di trasparenza; la pubblicità e la tracciabilità degli atti di gara; la maggiore garanzia dei livelli minimi di concorrenzialità, trasparenza e rotazione; parità di trattamento nelle procedure di affidamento; previsione di uno specifico regime sanzionatorio nei casi di omessa o tardiva denuncia delle richieste estorsive e corruttive da parte delle imprese titolari di appalti pubblici; la previsione di uno specifico regime sanzionatorio, in capo alle stazioni appaltanti, per la mancata o tardiva comunicazione all'ANAC delle varianti in corso d'opera per Pag. 29gli appalti d'importo pari o superiore alla soglia comunitaria; la razionalizzazione dei metodi di risoluzione delle controversie alternativi al rimedio giurisdizionale attraverso il ricorso alle sole procedure arbitrali amministrate; il rafforzamento delle modalità di coinvolgimento dei cittadini sui grandi interventi infrastrutturali che riguardano il territorio; infine, sul tema del conflitto d'interessi, la verifica in ordine alla composizione delle commissioni di gara.
  Ma andiamo adesso alle principali criticità che rileviamo essere ancora presenti nel provvedimento. Fra tutte – e come anticipato in diversi sedi – la prima macroscopica criticità è, dal nostro punto di vista appunto, costituita dai due decreti legislativi. È ovvio che il recepimento delle direttive debba avvenire con un decreto legislativo ed è ovvio che questi, in passato, non hanno mai necessitato del passaggio parlamentare. Ma qui si sta cambiando l'impostazione del processo parlamentare. Abbiamo seri dubbi che, a distanza di un mese e mezzo dal primo decreto legislativo, che appunto scongiura l'ennesima procedura di infrazione, il Governo sia in grado di redigere il nuovo testo unico sugli appalti.
  A tal proposito, avevamo proposto il doppio passaggio parlamentare, con un emendamento che è stato ripreso dalla maggioranza, con opportune modifiche che condividiamo. Ma siamo convinti che questo doppio passaggio parlamentare debba essere vincolante proprio perché, come detto, stiamo dando ad ANAC, e, quindi, in qualche modo al Governo, un potere legislativo e regolamentare che non ha mai avuto.
  Per evitare tutto ciò, o anche più semplicemente per tentare di partecipare a questa ristrutturazione, che per certi versi reputiamo necessaria, abbiamo riformulato le date che i due decreti legislativi devono rispettare, accogliendo anche un suggerimento giunto dal parere del Comitato per la legislazione. In particolare, il primo decreto legislativo dovrebbe essere, a nostro avviso, depositato, sotto forma di bozza di decreto, entro il 3 marzo 2016, al fine di poter dare al Consiglio di Stato, alla Conferenza unificata e alle Commissioni parlamentari la possibilità di esprimere i loro pareri – dal nostro punto di vista vincolanti, qualora lo esprimessero – e, conseguentemente, dare al Governo la possibilità di giustificarsi o eventualmente di modificare la bozza di decreto e riproporla ai soggetti di cui sopra per il secondo passaggio parlamentare, con eventuali ulteriori pareri anch'essi vincolanti.
  Concluso il secondo passaggio parlamentare, il primo decreto legislativo, fissate le date e i tempi dati dall'emendamento in Commissione, verrebbe adottato entro la data del 18 aprile 2016, così come richiesto dalle direttive. Analoga procedura dovrebbe per noi seguire il secondo decreto legislativo, da presentare sempre sotto forma di bozza di decreto entro la data del 14 giugno 2016.
  Reputiamo, quindi, necessario il rafforzamento del potere di controllo delle Commissioni parlamentari, da un lato, in ordine alla verifica del corretto esercizio della delega da parte del Governo nella redazione delle norme dei due decreti legislativi e, dall'altro, con riferimento all'effettiva efficacia e portata della regolazione di soft law di ANAC e Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che, di fatto, sostituirà le disposizioni del regolamento che, appunto, non verrà adottato.
  L'altra criticità è espressa nella non abrogazione della legge obiettivo. Non è sufficiente, dal nostro punto di vista, un mero superamento delle disposizioni di cui alla legge 21 dicembre 2001, n. 443; questa impostazione mal si concilia con l'esigenza di assicurare un effettivo riordino della disciplina degli appalti pubblici, che dovrebbe essere regolata esclusivamente dai principi delle direttive comunitarie, dalle disposizioni del nuovo codice degli appalti e delle concessioni e dalle linee guida Anac-MIT.
  È noto a tutti il totale fallimento della legge obiettivo: in 15 anni di operatività, sono stati realizzati poco più del 15 per cento delle opere previste e meno di 1/3 degli investimenti programmati. La strada da intraprendere è quella della pianificazione Pag. 30urbanistica e ambientale ordinaria, anche per ciò che concerne le grandi opere (anche, e soprattutto, in ordine alla partecipazione delle comunità locali). Poco fa, il Ministro ha fatto riferimento alle opere utili per il Paese e credo che questo concetto mal si concili con il concetto, introdotto nel provvedimento, di una verifica delle gare giuridicamente vincolate allo stato dell'attuazione di quelle opere.
  Con l'espressa abrogazione della legge obiettivo (si ricorda che il general contractor lavorava essenzialmente sulla base dei progetti preliminari e che i direttori dei lavori erano dipendenti dal general contractor stesso) sarà, infine, possibile attribuire maggiore qualità e centralità a tutte le fasi della progettazione.
  Altra criticità è quella relativa alla maniera del tutto, a mio avviso – scusatemi il termine –, schizofrenica con cui il Governo ha scritto nel provvedimento la volontà di pubblicare i bandi di gara solo su supporti informatici.
  I relatori al Senato hanno introdotto un emendamento per pubblicare i bandi di gara su due giornali nazionali e su due giornali locali; in Commissione, il PD stesso ha abolito tale introduzione con un emendamento a prima firma Coppola ed ora – sembrerebbe da notizie di stampa, ma il presidente di Commissione mi ha già confortato – sembrava che il presidente Realacci reintroducesse questa pubblicazione sui giornali cartacei.
  All'esterno questi passaggi, oltre che sembrare strani, vengono giustificati come un onere per le imprese e per gli enti locali, ma, in realtà, si tratta di un finanziamento di ben 100 milioni di euro l'anno per le testate giornalistiche, soprattutto quelle su scala nazionale, che, di fatto, rischiano di perdere. Già nel 2013 avevamo presentato una nostra proposta sull'editoria, che prevedeva, appunto, la non pubblicazione cartacea dei bandi di gara e nel 2014 il Presidente Renzi ci era anche venuto dietro, prevedendo tale disposizione nella legge di stabilità.
  Come MoVimento 5 Stelle o, come vi piace classificarci, come popolo della rete, non possiamo che essere quindi d'accordo all'utilizzo di strumenti informatici per la pubblicazione dei bandi di gara, ma senza coltivare alcuna lobby; infatti, sia in Commissione che in Aula abbiamo proposto di pubblicare tutti i bandi di gara in un'unica piattaforma, accessibile a tutti e appositamente strutturata. Se anche questa volta questo emendamento non dovesse passare, a favore di quello che, a quanto pare, il presidente non presenterà, è chiara la volontà della maggioranza e del Governo di mantenere questa ulteriore forma di finanziamento all'editoria.
  Altra criticità è stata introdotta dal concetto di dibattito pubblico, che ci auguriamo possa essere applicato anche per le gare in itinere e per le opere pubbliche che ancora non hanno avviato i loro lavori, ma, più in generale, visti anche i recenti aggiornamenti apportati dalla riforma Madia – in particolare, mi riferisco al riordino delle conferenze dei servizi –, crediamo che sia necessario il rafforzamento delle forme di dibattito pubblico con le comunità locali.
  Le osservazioni elaborate in sede di consultazione pubblica debbono necessariamente essere prese in considerazione nella redazione del progetto definitivo e non possono assolutamente rappresentare un mero adempimento procedurale. La partecipazione del pubblico deve costituire un momento cardine nell'iter decisionale relativo alla realizzazione di grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale aventi impatto sull'ambiente, sulla città o sull'assetto del territorio.
  La consultazione preventiva, l'acquisizione dei consensi delle comunità locali sugli interventi di realizzazione delle opere infrastrutturali (secondo le forme del dibattito pubblico) dovrà essere prevista sin dal momento della presentazione degli studi di fattibilità. Per questi motivi il parere delle comunità locali crediamo debba essere vincolante proprio per garantire la realizzabilità dell'opera ed il rispetto dei tempi di realizzazione.
  Altra criticità introdotta in Commissione è quella sul tema delle concessioni. Non ci soffermeremo neppure sui giochetti fatti con l'emendamento e le sue riformulazioni, Pag. 31a prima firma Carrescia, preferiamo soffermarci sul principio. Noi siamo dell'idea che tutte le concessioni finanziate con soldi pubblici, anche quelle al di sotto della soglia dei 150 mila euro (soglia oltre il quale è richiesto il certificato antimafia), debbano essere messe in gara, anche quelle in house, dove talvolta si annidano le sovrafatturazioni e quelle che sono di fatto – permettetemi – delle marchette elettorali. Invito la maggioranza a far valere il principio per cui i soldi pubblici non devono essere gestiti dalle deroghe e deve essere messo tutto a gara con evidenza pubblica.
  Ma questo provvedimento nasconde anche alcune piccole lobby. Condividiamo l'esigenza di avere conti correnti dedicati da parte delle imprese che incassano fondi pubblici per la realizzazione delle opere, ma sappiamo tutti bene che a questo obbligo le banche già si sfregano le mani ! Possiamo andare, per una volta, nella direzione dell'interesse collettivo ? Abbiamo presentato un emendamento che, oltre ai conti correnti dedicati, prevede altri strumenti finanziari equivalenti che già esistono nel mercato finanziario e che non obbligano le imprese ad aprire un conto corrente nuovo per ogni gara aggiudicata. Anche questo è un velato suggerimento che ci giunge dal parere della II Commissione, anche se espresso solo nelle premesse.
  La medesima Commissione ci ha, inoltre, suggerito un ulteriore emendamento affinché i bandi-tipo che redige l'ANAC non siano un mero adempimento formale, ma sostanziale, poiché debbono indicare i caratteri di chiarezza e determinatezza dei requisiti oggettivi, soggettivi e morali di coloro che partecipano alla gara.
  Infine, andiamo ad un'altra piccola criticità, quella delle minoranze linguistiche. L'articolo 6 della Costituzione garantisce le minoranze linguistiche al fine di rimuovere gli ostacoli che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, ne impediscono la piena partecipazione alla vita della Repubblica. Per tener fede e applicare questo principio sono stati previsti diversi meccanismi attraverso una maggiore autonomia, un'autonomia differenziata, anche a livello territoriale, ed addirittura un sistema elettorale che li salvaguarda. Ma adesso prevedere anche una clausola all'interno degli appalti ci sembra, oltre che eccessivo, oneroso. Per tale motivo, comprendendo le motivazioni, abbiamo presentato un emendamento che prevede di mettere i costi della traduzione dei bandi di gara a carico dell'impresa che se la aggiudica.
  Infine, sottolineiamo che corruzione e malaffare si annidano principalmente tra le maglie di una normativa scomposta e disordinata: bisogna evitare il più possibile la sovrapposizione di norme da cui derivano problemi applicativi e difficoltà di carattere interpretativo. Dunque, poche leggi, semplici e chiare !
  Ci auguriamo quindi, in conclusione, che si possa ulteriormente migliorare il testo di questo disegno di legge anche al fine di non avere ulteriori modifiche al Senato e passare direttamente all'aggiornamento normativo di cui questo Paese ha certamente bisogno.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Matarrese. Ne ha facoltà.

  SALVATORE MATARRESE. Grazie, signor Presidente. Signor Ministro, onorevoli colleghi, affrontiamo la discussione di una legge delega fondamentale, non tanto per il contenuto tecnico-giuridico della proposizione, quanto per la valenza che questa delega ha per far ripartire il nostro Paese, per superare la crisi attuale, per riuscire a spendere i Fondi comunitari in tempi adeguati alla prossima programmazione, per, in sostanza, realizzare le opere e gli investimenti dello Stato nei tempi programmati, cosa che l'esperienza ad oggi maturata, con la legge in vigore, il codice degli appalti, ci dimostra la non possibilità con assoluta evidenza. Leggi sovrapposte, un regolamento da 350 articoli, un codice da 256 articoli, così complesso e così farraginoso, un'Autorità di vigilanza che non ha mai fatto sostanzialmente la propria funzione hanno creato un contesto per il quale oggi, anche nei principi della Pag. 32delega che stiamo dando al Governo, se ne vedono gli effetti e si vorrebbe porre rimedio a questi effetti.
  Quindi va benissimo il gold plating, che significa non introdurre disposizione normative superiori a quelle minime stabilite dalla direttiva europea. In quest'ottica avevamo accolto con grande favore la proposizione in primo luogo del Ministro di eliminare il regolamento, che avrebbe sicuramente inficiato gli obiettivi di semplicità, chiarezza e certezza di questa nuova legge, che noi fondamentalmente vogliamo vedere e vediamo all'orizzonte con questa delega che abbiamo dato.
  Cerchiamo una legge chiara, una legge semplice. Quindi, per arrivare a questi obiettivi, agiamo su tutti gli interlocutori che animano questo sistema: da una parte, le pubbliche amministrazioni; da un'altra parte, il mondo delle imprese; da un'altra parte, i ruoli rafforzati per il soggetto terzo controllore di tutta la problematica degli appalti, che è appunto l'ANAC.
  Interveniamo sul mondo delle pubbliche amministrazioni, quindi, chiediamo razionalizzazione delle procedure di spesa. Sono concetti banali, ma in realtà sono fondamentali per evitare quella che è la dispersione attuale in tante committenze di appalti, piccoli o grandi, dove molto spesso non c’è la capacità tecnica e giuridica di affrontare la complessità della gestione di un appalto, del lavoro e di tutte le problematiche connesse. Quindi le centrali di committenza sono utilissime da questo punto di vista per creare delle vere unità, capaci di gestire l'investimento, che non è solo economico, ma anche tecnico, giuridico e assai complesso. Sono, quindi, interventi sulla pubblica amministrazione che saranno poi anche complessi per gli aspetti operativi. Sono interventi che devono anche rimettere giustamente la centralità del progetto, però non dimentichiamo che la legge Merloni partiva con gli stessi presupposti, ovvero ridare centralità al progetto, togliere il progetto alle imprese e ai soggetti terzi e dare il progetto nelle mani delle pubbliche amministrazioni.
  Qui c’è molto da intervenire per dare questa potenzialità alle amministrazioni e a quei soggetti preposti al progetto. Infatti il progetto è il vero nucleo fondante della realizzazione di un'opera. La sua completezza, la sua esecutività, è quello che garantisce sicuramente il ritorno dell'investimento. Quindi, su questo, va benissimo il dibattito pubblico, perché il dibattito pubblico consente, a livello preliminare del progetto, quindi allorquando si raccolgono i dati fondanti per realizzare un'opera, di avere il consenso di tutte le amministrazioni, di tutti gli enti e di tutti i cittadini interessati, per evitare quella grave problematica che noi abbiamo di interruzione su tutti gli appalti pubblici per problemi di ambiente, per problemi di paesaggio e per problemi di non accettazione dell'opera dalle parte delle amministrazioni interessate. Quindi, questo è un passaggio fondamentale e che credo possa essere dirimente sotto certi aspetti.
  L'esecutività del progetto è anche, come dicevo prima, una garanzia dell'investimento, ma non possiamo escludere – e la storia ce lo dimostra – che i progetti possano diventare realmente esecutivi. In Italia, di fatto, dobbiamo verificare che non ci siamo riusciti, atteso che la media di realizzazione delle opere è dai sette ai dieci anni. Quindi noi dobbiamo anche considerare l'ipotesi che il progetto non risponda alle attese e non risponda all'esecutività.
  Il vietare le varianti a priori, secondo me, è fonte di un pericolo maggiore di non realizzare più le opere e di bloccare l'esecuzione delle opere. Quindi, bisogna trovare delle maglie strette, ma intelligenti, perché si consenta, come dice anche la direttiva europea, di inserire delle innovazioni all'interno del progetto. La direttiva europea favorisce e chiede che vi siano variazioni allorquando si favoriscono le innovazioni. Quindi, noi abbiamo proposto di inserire nei criteri di varianti le innovazioni che portano a costare meno l'opera, anche nella manutenzione e nella gestione. Sono principi credo accettabili e fondamentali, perché un'opera è un costo per l'amministrazione pubblica. Se si riuscisse, Pag. 33in corso d'opera, a trovare sistemi o varianti che possano fare costare di meno alla pubblica amministrazione quell'opera, credo che siano principi comunque accettabili.
  Comunque questo è un percorso stretto e difficile, ma mi rendo conto che la rescissione del contratto, allorquando vi sono varianti di importo anche non rilevante, può essere un pericolo ancora più grave della malattia che noi vogliamo andare a curare, che è una patologia che nasce dalla difficoltà della pubblica amministrazione di esercitare fondamentalmente il suo ruolo di controllo, di gestione e di sanzione quando queste patologie nascono per problemi che sono diversi dall'obiettivo, che è realizzare un'opera che sia efficiente ed efficace per i cittadini.
  Sono problematiche tutte legate al rapporto anche delle imprese verso le pubbliche amministrazioni. Quindi, va benissimo che le imprese vengano riconosciute per la loro reputazione, per la propria capacità organizzativa e per la propria organizzazione, perché l'impresa non è solo un certificato SOA, ma è un'organizzazione aziendale complessa, che deve essere riconosciuta a tutta garanzia della pubblica amministrazione. Quindi anche superare il massimo ribasso dà valore e forza alla valutazione che l'amministrazione fa non solo dell'opera e dell'interlocutore che va a scegliere. Infatti, l'amministrazione deve essere capace di valutare chi realizza l'opera, ma anche di valutare i costi e i benefici che il progetto e l'opera stessa vanno a realizzare. Una maggiore professionalità della pubblica amministrazione e una maggiore professionalità delle imprese sono fattori chiave e fondamentali della legge delega e che oggi abbiamo posto tra i criteri principali.
  Il terzo soggetto è l'Anac. Sicuramente gli abbiamo dato, come si diceva prima nel dibattito, dei poteri non usuali, dei poteri ben superiori a quelli dell'autorità di vigilanza ed è giusto che sia così: il potere sanzionatorio, il potere ispettivo, il potere di controllo, il potere di dare delle linee guida per i bandi di gara, per uniformare tutte quelle che sono le procedure delle pubbliche amministrazioni. Tutto ciò credo sia molto importante, fondamentale. Il pericolo vero è che si venga a realizzare quello che è successo per l'autorità di vigilanza: in assenza di norme certe sul codice, il primo a subirne le conseguenze è proprio l'aspetto di emanazione di circolari e di interventi legislativi di chiarimento da parte dell'Anac che potrebbero a loro volta creare un meccanismo di sovrapposizione normativa che andrebbe ad inficiare la legge stessa.
  Quindi, il passaggio difficile, il passaggio stretto è quello di realizzare una normativa semplice e chiara che sia a tutela anche dell'azione fondamentale che l'Anac deve andare a svolgere. E nei principi di trasparenza, ai quali questa legge si ispira e che noi dobbiamo perseguire, noi abbiamo chiesto anche che, ai fini della ponderazione dell'offerta, ci fosse la massima trasparenza dei documenti che riguardano la valutazione del costo dell'opera e del valore dell'opera in tutti i suoi aspetti. Quindi, chiediamo che il computo metrico estimativo, che è il documento principe per determinare la correttezza della valutazione economica base di un'opera, sia effettivamente messo a disposizione e sia un elemento fondante del contratto perché è proprio quello il documento al quale si ispira il principio della piena accessibilità, visibilità e trasparenza, per dare al concorrente l'adeguata valutazione che è fondamentale per realizzare l'opera in tempi certi e soprattutto in tempi programmati.
  Infine, l'ultimo tema, che è a tutti noto e sul quale abbiamo lavorato anche molto in Commissione nelle riflessioni e nella discussione, è quello della garanzia globale, il cosiddetto performance bond. Si tratta di uno strumento di fatto irrealizzabile, che non ha mercato. Uno strumento che presuppone che i sistemi assicurativi e i sistemi bancari subentrino con il rischio di impresa nella conclusione, nella realizzazione e nell'ottenimento del risultato dell'opera, in Italia non è applicabile. Quindi, noi crediamo che, in questo momento, questo sia lo strumento di legislazione importante per cui tale disposizione Pag. 34possa essere abrogata, a tutela anche di quelle opere che attualmente sono bloccate per l'impossibilità di accedere a questa forma di garanzia. Mentre è davvero positivo l'aspetto previsto nella delega di rendere il sistema delle garanzie compatibile e congruente, non solo con l'opera, ma anche con il sistema globale del nostro Paese su questa materia e su questo tema assai complesso.
  Quindi, è una legge fondamentale per la valenza economica che può avere. I tempi stretti che ci siamo posti – e riguardo ai quali anche la presenza del Ministro in Aula testimonia l'impegno personale, preciso e importante perché si rispettino questi tempi – vogliono proprio poter garantire gli investimenti sui nostri territori. Questa è la linea guida sulla quale ci dobbiamo muovere e questa è la linea guida sulla quale dobbiamo anche cercare di focalizzare la nostra attenzione per evitare che con tutti questi criteri di delega, che sono ben cinquantasei, si vada a finire in una legge che sia altrettanto complessa come quella che abbiamo abbandonato.
  Un ultimo inciso lo vorrei fare sui pagamenti diretti ai subappaltatori, sui quali mi sento di dire che ogniqualvolta noi andiamo ad inficiare la libertà imprenditoriale di poter gestire i fattori produttivi, di certo non facilitiamo la realizzazione dell'opera, di certo non facilitiamo l'eliminazione di norme su questo settore. Dobbiamo garantire il pagamento dei subappaltatori in accertate inadempienze; accertate dalla stazione appaltante nel rapporto corretto tra impresa e appaltatore. Ma non consentire che l'impresa possa essere superata a priori da disposizioni di legge perché viene meno e togliamo all'impresa quella giusta responsabilità e quel ruolo di realizzazione dell'opera secondo i propri criteri di rischio imprenditoriale e di attività di impresa.
  Quindi, è una legge fondamentale sulla quale noi ci siamo con il massimo impegno e ci auguriamo che, nell'interesse di questo Paese, vada a buon fine nel più breve tempo possibile e possibilmente accogliendo nella discussione che avremo in Aula gli ulteriori piccoli interventi di modifica per eliminare qualche problematica che prima ho rappresentato e che potrebbe essere incisiva, sia su una parte, che sull'altra nella realizzazione di un'opera pubblica (Applausi dei deputati dei gruppi Scelta Civica per l'Italia, Partito Democratico e Area Popolare (NCD-UDC)).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Braga. Ne ha facoltà.

  CHIARA BRAGA. Grazie Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, oggi l'Aula inizia l'esame di un provvedimento particolarmente importante e atteso che porterà ad un nuovo Codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione caratterizzato da un forte carattere di innovazione, oltreché di riordino di una materia particolarmente complessa, come abbiamo detto, frutto della sovrapposizione di corpi normativi e regolamentari e di disposizioni derogatorie che si sono stratificate nel corso degli anni, a partire dall'adozione del Codice vigente nel 2006 e al relativo regolamento di attuazione.
  Il primo grande obiettivo che ci si è posti, è quello della semplificazione: non un esercizio retorico, ma uno sforzo decisamente e chiaramente orientato all'obiettivo di aumentare l'efficacia dell'operato della pubblica amministrazione, per definire un quadro di riferimento chiaro e certo per il sistema degli appalti pubblici. In qualche modo si può dire che la riforma del codice degli appalti è parte e nello stesso tempo prosecuzione ideale del disegno di legge delega di riforma della PA, che il Parlamento ha approvato solo qualche mese fa e che il Governo sta attuando. Un sistema più snello, funzionale, efficace di gestione degli appalti pubblici è parte fondamentale del progetto di modernizzazione del Paese a cui tendiamo, un modo per liberare potenzialità di crescita economica troppo spesso imbrigliate nelle pieghe di una regolamentazione farraginosa, poco chiara, che finisce per generare spreco di risorse pubbliche, corruzione e malaffare.
  Se guardiamo alla somma di provvedimenti che i vari Governi degli ultimi anni Pag. 35hanno adottato per far fronte alla crisi economica che ha colpito il Paese, con l'obiettivo di rilanciare soprattutto la crescita interna e la ripresa dell'occupazione, balza all'occhio la quantità di norme straordinarie che sono state assunte; l'elenco di norme eccezionali, provvedimenti sblocca-cantieri, deroghe alle normali procedure purtroppo però non sono che la fotografia di un sistema ordinario che si è dimostrato in larga misura inadeguato a dare risposta alle aspettative di istituzioni, imprese e cittadini. E, nonostante ciò, il più delle volte siamo stati costretti a fare comunque i conti con conseguenze inattese e indesiderate: aumento di costi, rallentamenti, contenziosi, illeciti che hanno scoraggiato investitori italiani e stranieri, proprio nel momento in cui il Paese avrebbe avuto bisogno di alti livelli di affidabilità e fiducia per resistere meglio e rispondere alla crisi.
  È evidente allora che se, con questa frequenza, si è manifestata la necessità di prevedere eccezioni all'ordinario occorre prendere atto che è l'assetto nel suo complesso che non funziona e la risposta non può più essere il ricorso di volta in volta all'ennesima eccezione, ma il coraggio di mettere mano all'ordinario, riformandolo in profondità.
  Questo è quanto si è proposto di fare il Governo con questo disegno di legge delega sottoposto al Parlamento; l'esame, che è stato svolto prima in Senato e successivamente in Commissione Ambiente alla Camera, ha portato ad un affinamento della delega, grazie al lavoro importante dei relatori e dei gruppi e al contributo di tanti soggetti che hanno messo a disposizione le loro competenze in questi mesi. Si può dire che, nel lungo elenco di principi e criteri direttivi dettati al Governo per l'esercizio della delega, si ritrovano, in negativo, le carenze dell'attuale quadro normativo e le indicazioni utili a definire un assetto che sia pienamente coerente con le direttive comunitarie e nello stesso tempo più aderente alle specificità del nostro sistema economico e istituzionale.
  I relatori e i colleghi che sono intervenuti prima di me hanno già dato conto in larga misura dei contenuti della delega e anche delle integrazioni più rilevanti apportate dalla Commissione. Vorrei quindi concentrare il mio intervento solo su pochi aspetti che ritengo però particolarmente significativi, anche per dare conto dell'importante lavoro che come gruppi del Partito Democratico abbiamo svolto in piena sintonia, sia alla Camera sia al Senato.
  Il primo riguarda la centralità della qualità del progetto: progetti di cattiva qualità, con un basso livello di definizione, hanno spesso dato origine a modifiche in corso d'opera non motivate che hanno finito per stravolgere completamente il progetto iniziale, generando aumenti esorbitanti dei costi e offrendo il fianco a fenomeni di corruzione e uso distorto delle risorse pubbliche.
  Per contrastare questo limite si è previsto in un criterio la promozione della qualità architettonica e tecnico-funzionale del progetto, anche attraverso lo strumento dei concorsi di progettazione, l'uso di strumenti elettronici specifici come quelli di modellazione elettronica ed informativa per l'edilizia e le infrastrutture, la limitazione del ricorso all'appalto integrato solo a quei casi specifici nei quali ci sia un alto contenuto innovativo o tecnologico che superi in valore il 70 per cento dell'importo totale dei lavori; la previsione di norma della messa a gara del progetto esecutivo; l'esclusione, per l'affidamento dei servizi di ingegneria e di architettura di tutti i servizi di natura tecnica, del ricorso al solo criterio di aggiudicazione del massimo ribasso d'asta; l'affidamento dei lavori sulla base della progettazione di livello preliminare, un modo anche per creare nuovi spazi di accesso al mercato da parte delle libere professioni. Ma questo principio della qualità del progetto trova declinazione anche in altri punti che vorrei sottolineare: il contenimento del ricorso alle varianti in corso d'opera; l'introduzione di uno specifico regime sanzionatorio in capo alle stazioni appaltanti per la mancata o tardiva comunicazione Pag. 36all'Anac delle variazioni in corso d'opera per gli appalti di importo superiore alla soglia comunitaria; la previsione dell'utilizzo ordinario, per l'aggiudicazione degli appalti e concessioni, del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa misurata sul miglior rapporto qualità/prezzo.
  Nel corso dell'esame in Commissione, abbiamo integrato questo criterio, seguendo un approccio costo-efficacia, introducendo, ad esempio, il criterio del costo del ciclo di vita dei prodotti e dei materiali e individuando i criteri qualitativi, ambientali e sociali. In particolare, si è intervenuti sul criterio di delega relativo ai criteri di sostenibilità, attuando gli articoli 67 e 68 della direttiva 24/2014/UE. È un passaggio, questo, che si pone in stretta relazione, anche, al dibattito che a livello europeo si sta sviluppando in termini interessanti intorno al concetto di economia circolare, e, quindi, ad un uso più efficiente delle risorse naturali, all'utilizzo nei processi produttivi di materie prime seconde, anche nel campo degli appalti pubblici, attraverso il Green Public Procurement. Temi che sono pienamente integrati negli obiettivi di sostenibilità europea al 2030, che fanno parte del percorso verso l'accordo vincolante, ci auguriamo, sui cambiamenti climatici a Parigi di quest'anno e che incrociano in modo molto interessante, anche nel nostro Paese, quanto già sta avvenendo in importanti comparti del nostro sistema produttivo, proprio a partire dai settori manifatturieri.
  Il ricorso al massimo ribasso d'asta come criterio di aggiudicazione è stato ridimensionato nella previsione di una regolazione espressa dei criteri, delle caratteristiche tecniche e funzionali e delle soglie di importo entro le quali è ammesso; è una modifica molto rilevante, se consideriamo che ancora oggi, la gran parte dei lavori e dei servizi vengono affidati secondo quest'unico criterio.
  Accanto a questo miglioramento della qualità della fase progettuale la delega si è orientata anche a rafforzare significativamente tutte le fasi propedeutiche all'affidamento dell'appalto e quelle, di primaria importanza, legate alla sua corretta esecuzione: le fasi di programmazione, di validazione del progetto, di direzione lavori e di collaudo. In questo senso va letta anche la revisione della norma relativa agli incentivi e alla validazione della progettazione: si prevede una revisione e una semplificazione della disciplina vigente, il divieto, al fine di evitare conflitti di interesse, dello svolgimento contemporaneo dell'attività di validazione con quella di progettazione.
  Nel corso dell'esame in Commissione, poi, abbiamo introdotto anche una revisione della disciplina degli incentivi per la progettazione interna delle pubbliche amministrazioni. Il sistema di incentivazione prevede che venga destinata una somma non superiore al 2 per cento dell'importo posto a base di gara alle attività tecniche svolte dai dipendenti pubblici e che viene orientato precisamente alle fasi della programmazione, della predisposizione dei bandi, del controllo delle procedure, dell'esecuzione dei contratti pubblici, della direzione dei lavori e dei collaudi, e non più alla progettazione interna che comunque potrà ancora essere svolta dai dipendenti della pubblica amministrazione, ma senza beneficiare di una quota di questo 2 per cento.
  Poi ci sono criteri particolarmente rilevanti che agiscono ad esempio sul divieto, negli appalti pubblici di lavori aggiudicati con la formula del contraente generale, di attribuzione dei compiti di responsabile o direttore dei lavori allo stesso contraente o soggetto collegato, una prassi che purtroppo ha determinato molti problemi nell'esecuzione anche di opere strategiche per il Paese.
  Per questa ragione questo divieto, previsto dall'articolo 1, comma 7, del provvedimento, decorrerà con immediata efficacia dall'entrata in vigore della delega.
  Riguardo poi alla questione dei collaudi si prevede una revisione della disciplina di affidamento degli incarichi di collaudo ai dipendenti appartenenti ai ruoli della pubblica amministrazione e in trattamento di quiescenza, stabilendo che la nuova disciplina contenga il divieto dell'affidamento Pag. 37dell'incarico per appalti di lavori pubblici sopra soglia, ubicati nella regione sede dell'amministrazione di appartenenza, e definisca limiti all'importo dei corrispettivi.
  Una particolare attenzione, è già stato detto, anche nel recepimento delle direttive, è stata posta alla rilevanza degli impatti sul territorio e l'ambiente. Si è indicata espressamente tra i principi della delega la necessità di un coordinamento con le disposizioni in materia di protezione e tutela ambientale e paesaggistica, di valutazione degli impatti ambientali e di tutela e valorizzazione dei beni culturali.
  Una delle procedure più significative introdotte riguarda le forme di dibattito pubblico delle comunità locali dei territori interessati e le modalità di acquisizione dei consensi necessari per realizzare un'opera, sempre nell'ottica di una massima trasparenza.
  Parallelamente, attraverso un nostro emendamento, la delega è stata integrata con il rafforzamento delle funzioni di organizzazione, di gestione e di controllo, prevedendo un potenziamento dei poteri di verifica e di intervento del responsabile del procedimento e del direttore dei lavori, in particolare riguardo alla verifica di ottemperanza delle misure di mitigazione e di compensazione, delle prescrizioni in materia ambientale, paesaggistica, storica impartite nella fase autorizzativa dai vari organismi e prevedendo, anche, un adeguato sistema sanzionatorio.
  Questi due aspetti, signor Presidente – forme di dibattito pubblico e acquisizione dei consensi e misure più stringenti di verifica –, possono davvero contribuire in modo radicale alla riduzione del conflitto che scaturisce in relazione a progetti di trasformazione del territorio e anche rafforzare il ruolo di garante degli interessi pubblici, che è attribuito al soggetto pubblico. Ci sono poi altre norme che agiscono sul quadro dell’in house; voglio soltanto ricordare, anche alla luce di alcuni interventi che ho sentito da parte di alcuni colleghi, che la modifica introdotta sulla gestione degli affidamenti dei contratti e relative concessioni è un punto di mediazione equilibrato tra quanto prevedono le direttive, che ammettono l’in house anche per il settore privato, le esigenze di salvaguardia dell'occupazione e il rispetto effettivo delle norme sull’in house. Abbiamo poi alcune norme specifiche che favoriscono l'accesso delle micro, piccole e medie imprese nel settore della pubblica amministrazione, tenuto conto, appunto, quanto pesino sul nostro sistema economico. Voglio ricordare, in coerenza con quanto abbiamo fatto sulla riforma della Protezione civile, la previsione di procedure ordinarie e dettagliate riguardo alle modalità di acquisizione di servizi, forniture e lavori da applicare nel caso di emergenze di protezione civile, secondo meccanismi di controllo e di pubblicità successiva. Siamo intervenuti sul sistema della regolazione delle procedure arbitrali prevedendo un maggiore controllo pubblico, una limitazione dei costi e molti hanno già detto del ruolo importante attribuito all'Anac.
  Mi avvio veramente a concludere, signor Presidente. Io credo che anche la modifica che è stata introdotta in Commissione, riguardo all'adozione dei due decreti legislativi di recepimento delle direttive di attuazione e il superamento del regolamento, con l'emanazione di linee guida di concerto tra il MIT e l'Anac, richiamano ad una forte responsabilità, certamente della politica, del Governo e anche del Parlamento, che viene coinvolto con una doppia lettura e con la possibilità di esprimere un parere, una condizione ben diversa da quella che ha portato nel 2010 all'assunzione dell'attuale regolamento. Credo che abbiamo davanti un banco di prova importante, con la scrittura e l'attuazione di questa delega: l'occasione di dimostrare di essere all'altezza delle aspettative di un Paese che chiede competenza, chiarezza, certezza delle regole e dei tempi. Abbiamo anche l'occasione di scrivere una pagina nuova, che aiuti a chiudere, invece, una stagione di insuccessi e di inefficienze nel settore degli appalti pubblici, con il suo pesante fardello di compromissione della credibilità stessa della pubblica amministrazione nel Pag. 38nostro Paese. Il cambiamento del Paese passa anche da qui; è un compito certamente delle istituzioni, ma noi crediamo anche delle imprese e del mondo del lavoro, che, non a caso, attendono questo intervento con grandi aspettative, a cui noi, con questo lavoro di queste settimane e che proseguiremo in questi giorni, crediamo di avere concorso a dare adeguate risposte (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Area Popolare (NCD-UDC) e MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 3194-A)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice Mariani che ha esaurito il tempo a disposizione, ma, se vuole, può intervenire per un minuto; prendo atto che non intende intervenire. Prendo altresì atto che il relatore Angelo Cera ed il rappresentante del Governo rinunziano alla replica.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
  Prima di passare al prossimo punto dell'ordine del giorno, sospendo per cinque minuti la seduta, che riprenderà alle ore 17,50.

  La seduta, sospesa alle 17,45, è ripresa alle 17,50.

Discussione della mozione Rondini ed altri n. 1-01008 concernente iniziative per assicurare adeguate risorse al Servizio sanitario nazionale e per l'introduzione del sistema dei costi standard quale presupposto per l'effettività del diritto alla salute.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Rondini ed altri n. 1-01008 concernente iniziative per assicurare adeguate risorse al Servizio sanitario nazionale e per l'introduzione del sistema dei costi standard quale presupposto per l'effettività del diritto alla salute (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata in calce al resoconto stenografico della seduta dell'8 ottobre 2015.
  Avverto che sono state presentate le mozioni Di Vita ed altri n. 1-01009, Dorina Bianchi ed altri n. 1-01010, Nicchi ed altri n. 1-01011 e Palese n. 1-01012 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente (Vedi l'allegato A – Mozioni). I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritto a parlare il deputato Marco Rondini, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01008. Ne ha facoltà.

  MARCO RONDINI. Signor Presidente, noi partiamo dal presupposto che il costo standard è fondamentale per garantire il diritto alla salute. Il costo ragionevole dei servizi e degli strumenti sanitari a parità di disponibilità finanziarie deve diventare il riferimento nazionale nell'ambito delle politiche sanitarie. Solo in questo modo saremmo riusciti finalmente a superare il principio della spesa storica, che è lontano dall'essere completamente superato: di quella spesa ingiustificata e gonfiata che ha fatto sì che lo Stato trasferisse ad occhi chiusi denaro alle regioni, prevalentemente del centro e del sud, perennemente in affanno nell'offrire una sanità degna di questo nome. Ciò ha voluto dire costi altissimi per il Paese, e ancora oggi è così; e servizi disastrosi, pagati due, tre, quattro volte, se non otto volte tanto rispetto a quanto veniva pagato il servizio offerto in regione Lombardia, ad esempio.
  Questa cosa ha significato nel corso degli anni emigrazione sanitaria, con costi Pag. 39e disagi sociali inaccettabili. Ed ancora oggi purtroppo è così, stando ai dati che vengono ancora oggi riportati dalla stampa: se andiamo a vedere i saldi della mobilità regione per regione, scopriamo che in testa alla graduatoria delle regioni che attraggono più pazienti c’è la Lombardia, con un saldo positivo di 533 milioni; a seguire l'Emilia-Romagna, con un saldo positivo di 327 milioni; e la Toscana, con 151 milioni. Al contrario, tra le regioni che hanno saldi negativi, guida la classifica la Campania, con meno 270 milioni di euro, seguita dalla Calabria, con un saldo in negativo di 251 milioni, dal Lazio, con un saldo in negativo di 201 milioni, dalla Puglia, con un saldo negativo di 187 milioni, ed infine dalla Sicilia, con un saldo in negativo di 161 milioni di euro. Quindi servizi offerti da queste regioni che hanno un costo più elevato, e che però sicuramente non sono graditi dai cittadini di quelle regioni, che sono costretti a migrare per vedersi garantito il diritto alla salute: un diritto sancito anche dalla nostra Costituzione, e che viene negato a chi ha la sfortuna di abitare in quelle regioni dove invece amministratori allegri gestiscono il comparto della sanità per garantirsi il potere, ma sono ben lontani dal cercare di garantire il diritto ai propri cittadini, che male amministrano.
  Uno degli obiettivi, che da sempre noi ci siamo posti, è quello di giungere in tempi brevi, nei tempi più brevi possibile alla completa attuazione del federalismo fiscale, ed in particolare all'introduzione dei costi standard; soprattutto ai fini di una corretta valutazione dei costi delle prestazioni sanitarie, e per l'acquisto di beni e servizi necessari alla loro erogazione. L'attuazione del federalismo fiscale e dei costi standard avrebbe garantito il riconoscimento inoltre in capo alle regioni di più ampi margini di manovra, anche sotto il profilo delle entrate derivanti dall'applicazione e riscossione dei ticket. L'applicazione del federalismo fiscale e dei costi standard costituisce la modalità principale per razionalizzare e controllare in modo efficace le spese riferite al Servizio sanitario nazionale nelle sue articolazioni regionali, al fine di porre rimedio a quella stortura politica e di finanza pubblica della legge che ha definito i piani di rientro, cui sono sottoposte numerose regioni, prevalentemente – val la pena sempre di ripeterlo – appartenenti al centro e al sud del Paese, che sottostanno a cattivi amministratori, senza che si sia poi però arrivati ad un effettivo riequilibrio della spesa sanitaria e dell'organizzazione dei servizi.
  Una spesa, la spesa sanitaria, che ammonta a quasi l'80 per cento del bilancio delle singole regioni, che deve mirare, secondo noi, ad una effettiva erogazione omogenea in termini di qualità e quantità dei livelli essenziali di assistenza su tutto il territorio nazionale, nonché ad una effettiva omogeneità ed equità della spesa per l'acquisto dei singoli beni e servizi, a partire dalla semplice siringa per arrivare ai grandi macchinari o agli appalti di servizi, settore in cui sono evidenti le attuali storture che possono far presagire in alcuni casi vere e proprie frodi a danno del Servizio sanitario nazionale.
  Solo attraverso la rapida introduzione del criterio dei fabbisogni standard per noi è possibile riequilibrare le funzioni fondamentali del settore sanitario nazionale, così da eliminare le enormi disparità generate in questi decenni dal criterio della spesa storica, che ancora oggi non è di fatto ancora definitivamente superata, che nel corso degli anni ha determinato sprechi e sperperi ad opera di numerose amministrazioni, concentrate soprattutto, lo ripeto nuovamente, nelle regioni meridionali, come è evidenziato anche dai dati relativi alla mobilità sanitaria, così da giungere finalmente ad un rapido compimento della riforma in senso federalista sulla base di un principio: il principio della responsabilità, dell'efficienza e dell'efficacia nell'impiego delle risorse pubbliche riferite al Fondo sanitario nazionale, in un momento come quello in cui stiamo vivendo, di profonda crisi della finanza pubblica e per rispettare magari quell'obiettivo prefissato del raggiungimento dell'equilibrio di bilancio.Pag. 40
  Questo è quello che noi riteniamo fondamentale per garantire che il Servizio sanitario nazionale delegato alle regioni offra in tutte le parti del Paese un servizio che si meriti questo nome e che garantisca quel diritto alla salute sancito dalla Costituzione, a cui facevo prima riferimento. Noi riteniamo invece che la ricetta adottata da questo Governo sia sbagliata in quanto va ancora una volta nella direzione dei tagli lineari che penalizzeranno fortemente le regioni virtuose. Con il decreto-legge enti locali, che avete approvato nel mese di agosto 2015, avete tagliato 2,3 miliardi di euro al Fondo sanitario, ridotto a 109 miliardi di euro per il 2015. Appare importantissimo secondo noi togliere il velo su di un equivoco: non c’è alcuna spending review, i 2,3 miliardi di euro tagliati dal 2015 in poi da questo esecutivo rappresentano come dicevo prima i soliti tagli lineari. Questi 2,3 miliardi di euro non sono affatto un anticipo della spending review, ma tagli già inseriti nel bilancio 2015 dalla legge di stabilità per coprire magari quegli 80 euro che sono stati regalati ai cittadini italiani per comprarsi il consenso in occasione delle scorse elezioni europee.
  In sostanza, il Governo ha concordato con le regioni un taglio di 4 miliardi di euro. La Sanità rappresenta il 75 per cento del budget regionale, come ricordavo prima, e alla fine i governatori si sono accordati con l'esecutivo per tagliare dal Servizio sanitario nazionale questi 2,3 miliardi di euro. L'accordo è datato 2 luglio 2015, lo stesso Governo aveva però firmato un patto per la salute con le regioni in cui si stabiliva che tutti i risparmi nella sanità restavano nella sanità, mentre invece serviranno magari per ridurre il deficit o, se va bene, per dare copertura finanziaria all'altra trovata elettorale dell'abolizione dell'Imu.
  Era il 15 novembre 2012 quando scadeva il termine per sottoscrivere il Patto per la salute 2013-2015, determinando senza alcuna mediazione delle regioni l'applicazione delle misure di contenimento della spesa pubblica che hanno sottratto alla sanità oltre 30 miliardi di euro. Negli anni successivi il rapido avvicendarsi di tre Esecutivi, l'assenza di programmazione sanitaria e l'entità dei tagli hanno causato uno sconquasso senza precedenti nella sanità pubblica, tanto da indurre la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica ad avviare parallelamente due indagini sulla sostenibilità del Servizio sanitario nazionale. Il 10 luglio 2014 Governo e regioni sottoscrivono il Patto per la salute che fissa, come dicevo prima, le risorse per la sanità e definisce la programmazione sanitaria per il triennio 2014-2016 con due fondamentali precisazioni: con la prima, salvo eventuali modifiche che si rendessero necessarie in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e a variazioni del quadro macroeconomico, non si esclude la possibilità di nuovi tagli per esigenze di finanza pubblica; con la seconda, i risparmi derivanti dall'applicazione delle misure contenute nel Patto rimangono comunque nella disponibilità delle singole regioni per finalità sanitarie. Il patto per la salute lancia tra le righe il principio di disinvestimento, precisando che quanto recuperato dalle regioni in ambito sanitario non deve però essere distratto verso altri settori. Da allora professionisti sanitari e cittadini hanno assistito impotenti invece alla progressiva scadenza degli adempimenti del Patto per la salute sotto il segno di una vera e propria schizofrenia legislativa che, ad avviso nostro, ha permesso al Governo di depauperare le risorse del Servizio sanitario nazionale scaricando sempre le proprie responsabilità. Per capire le dimensioni dell'impoverimento del Servizio sanitario nazionale si deve tener conto di due fattori: esiste – ha scritto la Camera dei deputati alla fine di un'indagine conoscitiva – un aumento considerato inevitabile in tutti i sistemi sanitari intorno al 2 per cento annuo dovuto al combinato disposto di nuove tecnologie e invecchiamento progressivo; in secondo luogo va tenuto conto anche dell'aumento generale dei prezzi. I numeri veri sono che nel 2016 i tagli sommati dai Governi ammonteranno a 30 miliardi di euro in sei anni, gli investimenti a zero, assolutamente Pag. 41a zero. La spesa sanitaria dal 2010 ad oggi è calata in ogni comparto, personale compreso, con l'unica eccezione dei farmaci ospedalieri.
  Ecco che noi riteniamo comunque, come dicevo all'inizio del mio intervento, fondamentale che si arrivi all'introduzione dei costi standard, che è l'unica soluzione per garantire gli stessi servizi in ogni parte di questo Paese e quindi chiediamo alla fine un impegno chiaro da parte di questo Governo per garantire, come ho già detto all'inizio del mio intervento, quel diritto alla salute che è sancito dall'articolo 32 della Costituzione. Questo impegno lo si può conseguire solo ed esclusivamente introducendo quei costi standard che per noi non possono che essere una misura che deve essere adottata immediatamente; l'adozione di questa misura è necessaria e si impone assolutamente in tempi stretti, misura che, torno a dire, andrebbe a garantire in ogni parte del Paese lo stesso trattamento e gli stessi servizi, perché la cattiva amministrazione di questo settore in alcune parti del Paese va a penalizzare fortemente la salute dei cittadini. Magari si sarebbe potuta rivalutare quella nostra proposta che prevedeva che i cattivi amministratori che gestiscono male la cosa pubblica vengano penalizzati al punto da non potersi più ricandidare, perché la loro allegra gestione della cosa pubblica in un ambito così delicato passa sulla pelle dei cittadini.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Mantero, che illustrerà anche la mozione Di Vita ed altri n. 1-01009, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

  MATTEO MANTERO. Grazie, Presidente. L'Italia è uno dei Paesi con la spesa sanitaria più bassa in Europa. Non dovremmo pertanto chiederci come ridurre la spesa sanitaria – come fa il Governo in continuazione –, ma piuttosto come dovremmo provvedere per modulare e per rispondere a nuove esigenze di assistenza che tra dieci o venti anni ci troveremo ad affrontare.
  Una nuova domanda di salute si sta facendo avanti, passo dopo passo, dovuta a diversi fattori: all'invecchiamento della popolazione (quella italiana è la popolazione più vecchia d'Europa), a un nuovo concetto di benessere, a cronicità e nuovi bisogni sociali e sociosanitari. In Italia, nonostante si possano annoverare anche risultati di eccellenza, la spesa sanitaria è di dimensioni contenute, sia in valore assoluto, che in rapporto al PIL. Il Servizio sanitario nazionale ha dovuto subire negli ultimi anni, in piena continuità da parte dei Governi che si sono succeduti, una forte restrizione delle risorse, in termini finanziari, di personale e strutturali.
  La crisi economica e le restrizioni operate sulla sanità pubblica, un vero e proprio bancomat per questo Governo, hanno pregiudicato e non poco le condizioni di accesso e fruibilità ai complessivi servizi sanitari, sia di prevenzione che di cura, da parte della parte più svantaggiata e debole della popolazione, aggravando di fatto le già persistenti disuguaglianze territoriali. In particolare, nelle regioni soggette ai piani di rientro, chiamate a contribuire alla riduzione della spesa, si sono evidenziati effetti negativi sia sulla capacità di erogare servizi, sia sul funzionamento degli stessi.
  I vincoli imposti alla spesa e alla dotazione del personale, in particolare il blocco del turnover, hanno di fatto indebolito il servizio sanitario in tutte le regioni, anche se in maniera diversificata da regione a regione, tanto che da più parti si chiede di introdurre elementi di flessibilità. E, ricordiamo che proprio in quest'Aula, a giugno scorso, è stata già approvata la nostra mozione, a prima firma Giulia Grillo, per la deroga al blocco del turnover anche per le regioni in piano di rientro, per permettere di realizzare la mobilità interregionale del personale sanitario e favorire così il ricambio generazionale. Il tutto per garantire in modo più uniforme i livelli essenziali di assistenza.
  L'informatizzazione e le tecnologie digitali possono e devono contribuire, non solo a migliorare l'integrazione dei servizi, ma anche a garantire sempre più la trasparenza delle informazioni, anche in relazione alla gestione del Servizio sanitario Pag. 42nazionale. L'innovazione digitale è sicuramente una risposta, ma finora nel nostro Paese è stata realizzata senza un disegno strategico complessivo in cui l'azione di Governo in modo organico con quella delle regioni si sia mossa verso la definizione dei modelli organizzativi, gestionali e di spesa.
  Da qui, la necessità di procedere all'attuazione integrale dell'articolo 14 del Patto per la salute, poiché ad oggi risulta invece un ritardo da parte del Ministero competente nel ciclo di lavori sul patto per la sanità digitale. Da questa innovazione, i benefici attesi, secondo recenti studi, potrebbero produrre, anche nel breve termine, un risparmio annuo di circa 6 miliardi di euro per la spesa sanitaria, migliorando al contempo i livelli essenziali di assistenza. Ma, a parte un progetto sulla sanità digitale presentato al Ministero della salute dall'associazione NOVA, non si sa cosa il Governo stia realmente facendo in questo ambito. Con certezza, sappiamo che tutte le scadenze individuate dal Patto per la salute digitale sono state al momento disattese.
  Vi do qualche dato relativo alla riduzione delle risorse sanitarie: nel 2012, la spesa sanitaria complessiva, sia pubblica che privata, è scesa al 9, 2 per cento, mentre nel 2009 era del 9,4 per cento. La spesa sanitaria continua ad essere soggetta a riduzioni, infatti dai 112,5 miliardi di euro del 2010 si è giunti ai 109 miliardi di euro nel 2013. Il documento di economia e finanza del 2015 prevede una riduzione della spesa sanitaria al 6,8 per cento nel 2015 per arrivare al 6,5 per cento del PIL nel 2019. Non bastasse questo si è previsto un taglio di 2,3 miliardi circa di euro del Fondo sanitario nazionale a decorrere dal 2015.
  Per non parlare, poi, del tanto discusso decreto per rivedere l'elenco di visite ed esami a carico del Servizio sanitario nazionale, con il risultato che il 12 per cento delle prestazioni – circa 208 – che fino ad oggi erano gratuite saranno mutuabili a seconda delle condizioni del paziente e questo limiterà molto la possibilità dei medici e l'attività dei medici.
  Il Governo ha affermato che non si tratta di tagli lineari, ma di razionalizzazioni che produrranno maggiore efficacia ed efficienza del Servizio sanitario nazionale. Ma è evidente che se i risparmi derivassero dalla lotta alla corruzione in sanità, dagli sprechi, dai privilegi e dall'applicazione omogenea dei costi standard e dalla centralizzazione degli acquisti e se questi restassero nella disponibilità del Servizio sanitario nazionale, si potrebbe ipotizzare, ad esempio, il rinnovo dei contratti del personale sanitario e lo sblocco del turnover, il finanziamento dell'informatizzazione effettiva del Servizio sanitario nazionale, l'aumento delle risorse per il Fondo delle non autosufficienze, il finanziamento del Piano per la disabilità e lo sviluppo territoriale dei servizi.
  A tal proposito, ricordiamo la nostra denuncia al Parlamento europeo sul patto per la salute, che pone limiti economico-finanziari disumani per l'assistenza socio-sanitaria e, in particolare, per gli interventi relativi alla non autosufficienza, alla disabilità, alla salute mentale adulta e dell'età evolutiva, alle dipendenze, all'assistenza ai minori, che vanno erogati, secondo quanto da voi stabilito, nei limiti delle risorse programmate per il sistema sanitario regionale. È un principio abominevole, che non solo contrasta con l'articolo 32 della Costituzione ma anche con le direttive comunitarie e che, approvando questa mozione, potreste iniziare a risolvere.
  In campo sanitario si pone la necessità di una maggiore attenzione verso le misure attuate nel settore strettamente socio-sanitario, in particolare relativamente al sostegno alle persone disabili, soprattutto al fine di attuare il programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità. In particolare, ricordo la linea I di intervento, che modifica, semplificandola, la procedura di accertamento della disabilità, che è stata adottata dal Consiglio dei Ministri il 23 novembre 2013 e che mai finora è stata finanziata in alcuna delle sue parti.Pag. 43
  I problemi storici della sanità pubblica, salvo alcuni casi virtuosi, non hanno trovato soluzione negli ultimi decenni e in alcuni casi si sono acuiti mentre in altri si sono cronicizzati, complice anche la mancanza di una normativa ad hoc che disciplini il conflitto d'interesse, a causa di gestioni improprie dei beni pubblici e di sistemi corruttivi che hanno determinato acquisti di beni, assunzioni di personale e nomine di dirigenti con il solo scopo di garantire clientele politiche o interessi congiunti ad amministratori poco oculati o, peggio, complici di un sistema di corruzione a macchia di leopardo che attraversa da decenni il nostro Paese. Sono situazioni che non di rado sono arrivate perfino a configurare una fattispecie di associazione a delinquere e di infiltrazione mafiosa. Ultimo e più famoso è il caso dell'ASL di Caserta, gestita in pratica dal clan dei casalesi.
  Una profonda voragine per il bilancio del Servizio sanitario nazionale è causata, inoltre, dai meccanismi e dalle prassi amministrative che, favorendo l'insorgere di fenomeni di corruzione e, più in generale, di condotte illecite generatrici di mala gestio nell'ambito del Servizio sanitario nazionale, determinano condizioni di inefficacia e di inefficienza nell'erogazione dei servizi alla salute nonché di sprechi di risorse pubbliche.
  La prima relazione dell'Unione europea sulla lotta alla corruzione, pubblicata nel febbraio 2014, indica l'Italia tra i Paesi in cui il fenomeno corruttivo è più grave, tanto che riguarda circa 60 miliardi di euro l'anno. La stessa Guardia di finanza, nell'ultimo rapporto, ha evidenziato nella sanità pubblica un danno erariale accertato – accertato ! – di 800 milioni di euro solo nel primo semestre 2015.
  Corruzione e sprechi nella sanità costituiscono un enorme buco nero che corrode il nostro sistema di welfare in quasi tutte le sue ramificazioni e, fino a quando non ci sarà una ferma volontà politica di contrastare fattivamente tali fenomeni, il Servizio sanitario nazionale non sarà né efficiente, né civile, né rispondente alle esigenze del cittadino.
  In tale contesto, da più parti si è invocata una seria riforma del processo di nomina e di valutazione dei direttori generali, criticità ritenuta sempre più incidente nel nostro Servizio sanitario nazionale.
  L'esigenza nasce dal fatto poco entusiasmante che oltre l'80 per cento delle ASL e delle aziende ospedaliere chiude regolarmente i bilanci in rosso, mentre la qualità organizzativa nell'erogazione delle prestazioni è sempre più insoddisfacente. Dalle indagini della Guardia di finanza condotte in 18 regioni emerge che soli 83 dirigenti della sanità sono riusciti a fare un danno erariale di circa 6 milioni di euro, evidenziando come la nomina non per competenze, ma politica, dei direttori generali delle ASL crei un danno erariale e un aumento della spesa sanitaria.
  A nostro avviso, vanno quindi resi i processi decisionali di nomina, valutazione e governance più collegiali e condivisi, maggiormente pluralistici e con decisioni più vagliate collegialmente, per renderli così più solidi anche nella loro successiva esecuzione operativa. Il tutto caratterizzato da un sistema di pesi e contrappesi, di gestione e controllo reciproco, come, ad esempio, un consiglio di amministrazione esecutivo con membri anche rappresentativi delle professioni, dei pazienti/cittadini e delle municipalità del territorio.
  La riforma del Titolo V ha, di fatto, complicato l'attuazione dei costi standard e della centralizzazione degli acquisti, che, ad oggi, non trova ancora una rapida ed efficace applicazione. Non esiste giustificazione alcuna per cui un presidio sanitario di uso comune, la classica siringa, debba avere differenze di prezzo, anche nella misura di cinque volte, tra una regione e l'altra. Sistemi europei di centralizzazione degli acquisti per la pubblica amministrazione sono attivi da anni e hanno dimostrato di essere il metodo più efficace e rapido per ridurre la spesa e per garantire la qualità dei prodotti sanitari.
  La mancata applicazione in Italia di tali processi, anche a causa di reticenze delle regioni e degli enti locali, determina uno sperpero di denaro pubblico ingiustificabile, Pag. 44che deve al più presto essere interrotto. La contrazione delle risorse ha prodotto un'offerta sanitaria pubblica che ha ridotto i posti letto, ha reso le condizioni degli operatori sempre più difficili, a fronte anche di un'anzianità di servizio sempre più elevata, ha ridotto i servizi e ha spinto o indotto chi poteva economicamente a rivolgersi ai privati, non passando per la sanità pubblica e drenando risorse che sarebbero finite da quest'ultima verso i privati.
  Nel 2013, l'11 per cento della popolazione ha dichiarato di avere rinunciato ad almeno una prestazione sanitaria, mentre il 5,6 per cento ha dichiarato che questa rinuncia è stata fatta per motivi economici. Di fatto, almeno tre milioni di italiani hanno evitato il ricorso all'assistenza sanitaria per motivi economici, in particolare nel sud e nelle isole. Nelle stesse regioni con piani di rientro aumentano le persone che pagano per intero gli accertamenti sanitari proprio dove l'offerta di servizi ha subito maggiori limitazioni e la compartecipazione dei cittadini è più elevata.
  Tutte queste fattispecie, e molte altre ancora che ora non ho il tempo di illustrare, sono state oggetto della nostra richiesta di istituzione di una Commissione di inchiesta sul fenomeno corruttivo in ambito sanitario, proprio come auspicava, tra l'altro, l'ex senatore e adesso anche ex sindaco di Roma Ignazio Marino, già presidente, nella scorsa legislatura, della Commissione di inchiesta sull'efficienza e l'efficacia del Servizio sanitario nazionale. Ma il PD, nel giro di pochi mesi, ha cambiato di nuovo idea e la nostra proposta è stata cassata, senza nemmeno essere discussa.
  Sarebbe da chiedersi perché, dal momento che, in un periodo in cui necessitano tagli e risparmi, prima si cominciano a individuare norme efficaci contro la corruzione prima si ottengono risultati sia in termini di spesa che di qualità dei servizi erogati. Certo, è sicuramente più facile e comodo far diventare a pagamento servizi che prima erano gratuiti e trovare i soldi sempre nelle tasche dei cittadini onesti, e mai nelle fitte maglie del sistema di burocrati, amministratori, politici e lobbisti che di mollare il malloppo proprio pare non ne abbiano voglia.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Palese, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01012. Ne ha facoltà.

  ROCCO PALESE. Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, ancora una volta torniamo a discutere in quest'Aula del Servizio sanitario nazionale, e in particolare del suo finanziamento e della spesa sanitaria. In maniera molto succinta, ritorno su alcuni punti in riferimento anche alla mozione presentata a mia firma.
  Nel 1978, con la legge n. 833, il nostro Paese fa una scelta politica importante che, a tutt'oggi, ci porta ad avere una classificazione – per questo motivo, non per altri – da parte dell'Organizzazione mondiale della sanità di un Servizio sanitario nazionale classificato a volte al secondo, a volte al terzo posto a livello mondiale. Quella scelta politica molto pertinente e rispettosa della Costituzione stabilì l'accesso universalistico delle prestazioni sanitarie per l'intera popolazione.
  Il problema rispetto a questa scelta, e rispetto anche alla sostenibilità di questa scelta, ha avuto varie fasi. Tra le più importanti posso ricordare, per esempio, che con il decreto legislativo n. 229 del 1999, il famoso «decreto Bindi», che innovava in parte il decreto legislativo n. 502 del 1992, fu determinata una scelta ben precisa: il Servizio sanitario nazionale veniva finanziato con risorse pubbliche, per la stragrande maggioranza, e con la compartecipazione dei cittadini, ovvero con i ticket, che entrano, con quel provvedimento, nell'ordinamento del nostro Paese.
  Il problema riguarda la continua crescita di domanda di salute da parte dei cittadini. Varie sono state le fasi di evoluzione della medicina di cura, della cultura della salute. Adesso noi siamo in un contesto in cui si affermano sempre di più, per nostra fortuna, la medicina predittiva Pag. 45con la genetica molecolare e la medicina personalizzata. Siamo in un contesto in cui abbiamo uno spaccato di variabili fortemente positive. Mi riferisco ad un'innovazione tecnologica crescente che chiaramente determina la necessità, da parte del sistema, di dotarsi di questa innovazione tecnologica crescente, sempre più specifica, sempre più produttiva, per il benessere dei cittadini, soprattutto nel contesto della diagnostica pesante che ha alti costi. E abbiamo una crescente innovazione da parte della ricerca scientifica in ordine a nuovi farmaci. Anche su questo, riteniamo che gli effetti poi che ne scaturiscono sono sempre un'evoluzione anche in riferimento ai costi.
  Ma le componenti su cui noi siamo chiamati a riflettere non sono queste. Noi diamo per scontato che il Servizio sanitario nazionale deve guardare sempre a un livello altissimo della qualità delle prestazioni e anche dell'appropriatezza delle prestazioni stesse. Riteniamo, però, che in un contesto in cui il finanziamento del Servizio sanitario nazionale, al di là delle polemiche, è oggi attestato a circa 111, quasi 112 miliardi di euro (poi con la legge di stabilità il Governo l'ha ridotto di un miliardo e mezzo, contrattandolo anche con le regioni), si determina, di fatto, una spesa pubblica enorme a cui viene associata e aggiunta una parte prettamente privata di prestazioni cui i cittadini provvedono per conto proprio che fa lievitare questa spesa di circa il 30 per cento. Quindi, noi viaggiamo su 150, 160 miliardi di euro l'anno. Noi abbiamo questa ampiezza di finanziamento complessivo tra pubblico e privato, senza poi considerare, signor Presidente, le tasse elevate che ci sono a livello locale come addizionali. Quasi tutte le regioni sono commissariate, per giunta, per i disavanzi sanitari annuali e sono costrette ad aumentare al massimo le aliquote di competenza regionale.
  Davanti ad una situazione del genere, noi dobbiamo riflettere sul miglioramento della gestione del Servizio sanitario nazionale.
  Sul problema della gestione del Servizio sanitario nazionale, già i colleghi che mi hanno preceduto e già noi in varie occasioni abbiamo riscontrato i dati, anche a seguito dell'indagine conoscitiva che abbiamo svolto di recente come Commissione bilancio e come Commissione affari sociali, e c’è un margine abbastanza consistente di miglioramento. Noi abbiamo la necessità di migliorare l'appropriatezza delle prestazioni. Io ritengo che vadano aumentati i controlli in maniera rigorosa sull'appropriatezza delle prestazioni, dove noi abbiamo uno spaccato rispetto alla professionalità degli operatori, su cui io non ho alcun dubbio. Ci sono, rispetto alla situazione dell'appropriatezza delle prestazioni, due elementi: uno, che l'inappropriatezza è abbastanza superiore rispetto ad alcune regioni, che sono quelle del sud, perché non ci sono i luoghi di cura adeguati e un'offerta adeguata di prestazioni sanitarie; l'altro elemento è la cosiddetta medicina difensiva.
  La medicina difensiva è diventata un problema serio nel contesto del Servizio sanitario nazionale, perché gli operatori sanitari sono costretti ad agire spesso e ben volentieri, per mettersi al riparo da contenziosi, contestazioni e interventi della magistratura, una sempre crescente situazione, che è in evoluzione, di protesta nei confronti, alla fine, anche dei risultati. La determinazione poi è che spesso e ben volentieri, per coprire tutta l'indagine diagnostica che deve essere effettuata, vengono effettuati degli esami – per esempio TAC, o risonanza magnetica o quant'altro, ma li cito così a mo’ di esempio – anche in assenza di una precisa necessità.
  Ma un conto è aumentare i controlli sull'appropriatezza delle prestazioni e tirare fuori anche una qualificazione professionale sempre più alta e più elevata rispetto a ciò, attraverso l'informatizzazione e la digitalizzazione di tutto questo, e un conto, invece – è una critica che mi sento di fare e spiegherò anche i motivi – è il provvedimento di recente adottato da parte del Governo.
  Signor Presidente e, per il Governo, sottosegretario, attenzione: è un provvedimento, quello della revisione delle prestazioni diagnostiche (circa 210), che, una Pag. 46volta adottato e attuato rispetto ad un singolo paziente, può determinare la decisione da parte del medico che le stesse, in assenza di motivate condizioni cliniche da giustificare, non possano essere ripetute gratuitamente a carico del Servizio sanitario nazionale – con le cosiddette ricette rosa tanto per intenderci – per un periodo di cinque anni. Io dico che è una misura sbagliata. È una misura sbagliata, in primo luogo, perché non produrrà nulla dal punto di vista economico-finanziario, perché sarà una norma che non può avere effetti rispetto alla prestazione che sono chiamati ad erogare il professionista x, gli operatori sanitari in genere e i medici, che si assumono una responsabilità così alta in riferimento a questo tema. Il medico è costretto a decidere. Quando decide, decide in base ad un elemento clinico x che può essere a), b), c) o quello che sarà, e decide di fare l'esame diagnostico. Quindi, non ci sarà nessun tipo di beneficio dal punto di vista economico-finanziario, se non quello di creare un allarme e una confusione enormi, di cui non si ha proprio veramente bisogno.
  Ma sarebbe sciagurato se veramente quel provvedimento fosse attuato. Perché ? Faccio un esempio classico, signor Presidente, rappresentante del Governo e colleghi: un check-up che fa una persona. Questa persona non è che deve correre il rischio per cinque anni. Penso al colesterolo, la cosa più comprensibile da parte di chi ci ascolta al di fuori anche di quest'Aula. Ovvero, aspettiamo che arrivino prima l'infarto o i processi di arteriosclerosi e quant'altro, e poi gli consentiamo di fare il controllo. Gli accertamenti diagnostici sicuramente devono essere appropriati, ma hanno anche un valore soprattutto preventivo e sono stati, quindi, una conquista del nostro sistema.
  Quindi, io sono fortemente critico da questo punto di vista, così come ritengo che ci sia, invece, moltissimo da fare sulla gestione della spesa sanitaria, soprattutto in alcune regioni. Se qualcuno pensa che i costi standard siano la panacea di tutto, si sbaglia. Sono sicuramente necessari per avere un controllo superiore, sono necessari per eliminare sprechi e sacche di privilegi e quant'altro, su questo non c’è dubbio, ma non si immagini che possano veramente determinare la soluzione dei problemi della gestione e della corruzione sulla spesa sanitaria, che è enorme nel nostro Paese. Penso che sia al primo posto, tanto che io non ho difficoltà a dire che in alcune regioni le direzioni generali delle ASL, non il direttore generale in quanto tale, ma il sistema, potrebbero essere tranquillamente trasformate in penitenziari perché si tratta di capire se nel contesto dell'area è corrotto l'atomo o l'elettrone.
  Davanti a una situazione del genere si dice, come ho sentito dire poco fa, dei costi standard rispetto alla siringa che costa 10 euro, per esempio, a Milano e 50 euro a Bari. Non è così, non è con i costi standard che si risolve questo problema. Questo problema si risolve, invece, attraverso i centri unici di acquisto e attraverso Consip. Lo ripeto ancora una volta: nell'indagine conoscitiva per la spesa sanitaria che noi abbiamo fatto qui in Parlamento, Consip ci dice in maniera inequivocabile, obiettiva, indiscutibile, che per ogni 10 miliardi di euro di volume di gara sull'acquisizione di beni e servizi, se il tutto viene acquisito dalle stazioni appaltanti, dai committenti e quant'altro con le convenzioni Consip, si risparmiano 4 miliardi di euro. Tant’è vero che il sistema corruttivo non ha paura più del carcere, ma ha paura di Consip perché con Consip non rubano più. Allora, mettiamo per legge, controllando pure che questo avvenga, che nella sanità tutto quello che riguarda l'acquisizione di beni e servizi vada fatto secco, cioè con Consip, punto e basta, oppure anche a prezzi migliori. E io sento fare delle critiche, anche offensive all'intelligenza di tutti, che questo in sanità non si può fare perché viene compromessa la qualità. Non è così perché noi sappiamo perfettamente che la Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea determina ormai qualsiasi tipo di cavillo, di caratteristica e quant'altro. Si è nelle condizioni di stabilire nel dettaglio quello che riguarda la siringa con certificato europeo, così come l'ecografo oppure l'elettrocardiografo, ma Pag. 47non c’è nessun tipo di preoccupazione invece rispetto alla situazione che riguarda la qualità dei prodotti.
  Quando si esula dalla situazione Consip o da questa procedura di vincolarsi alla qualità riportata dai prodotti, dai presidi e dai dispositivi medici nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica o anche, spesso e ben volentieri, negli atti ufficiali del Ministero della salute o nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea, si finisce con l'acquisire, – per carità, io non entro nel merito – attrezzature, in particolare quelle che riguardano la parte chirurgica, provenienti dalla Cina, dall'India o dalla Corea. Per carità, io non entro nel merito, ma, guarda caso, quando escono fuori da questa procedura, non guardano più alla qualità certificata dall'Europa o certificata dalla Gazzetta Ufficiale della nostra Repubblica, ma vanno al di là di ogni situazione.
  Quindi, da questo punto di vista, signor Presidente, non c’è dubbio che c’è da fare e c’è da fare molto perché il miglioramento della situazione che riguarda la spesa sanitaria sicuramente determinerà un miglioramento anche nei conti pubblici e nei disavanzi che fanno le regioni e le ASL. E da tutto ciò si possono sicuramente ricavare delle risorse per determinare questo fatto. Ecco perché io ritengo che, più che andare sul problema della rivisitazione della diagnostica, così com’è stato fatto, mettendo delle condizioni ai medici, delle penalità e quant'altro, che è tutta una cosa poco condivisibile, forse va abbandonata quella strada e va intrapresa invece quella di maggiori controlli di appropriatezza e di operare effettivamente con i costi standard, dove essi nulla hanno a che vedere con gli esempi della siringa che costa differentemente in diverse realtà.
  I costi standard sono una cosa seria, un'occasione importante per il Paese e soprattutto per il Servizio sanitario nazionale ma, signor Presidente, ad una condizione: che la valutazione sia fatta a parità di condizioni tra il finanziamento di alcune regioni, che hanno un'enorme quantità di servizi sul territorio, e delle regioni che purtroppo sono rimaste assolutamente indietro. Infatti è inutile che giriamo intorno al problema: per tanti anni si è gridato allo spauracchio della devolution che avrebbe creato molte differenze. Nel nostro Paese ci sono già da anni ventuno sistemi sanitari diversi uno dall'altro purtroppo per noi e sono stati determinati da una serie di scelte che sono state fatte negli anni. Sì sicuramente ci sono alcune regioni che sono state carenti e continuano ad essere carenti nella gestione – soprattutto quelle meridionali – ma ci sono anche molte altre regioni, tra cui anche qualcuna settentrionale, che è stata gestita male. Rispetto ad altre situazioni, ci sono altre concause. Ad esempio la modifica dei criteri di riparto del Fondo sanitario nazionale: la legge n. 662, articolo 1, il famoso comma 34 modificò la quota capitaria e, di punto in bianco, si passò ad una quota pesata che privilegiò moltissime regioni. Ricordo come esempio lampante che, in un anno, l'Emilia Romagna a parità di condizioni, a parità più o meno di abitanti della Puglia, prendeva a suo tempo – parliamo del 1996 – 900 miliardi di vecchie lire in più rispetto alla mia regione, la regione Puglia, che è la mia regione. A partire da quella data è fin troppo evidente che abbiamo avuto ventuno sistemi sanitari completamente diversi, aggravati poi spesso e volentieri da una gestione carente o attualmente deficitaria. I costi standard possono essere e possono determinare uno spaccato, una modifica a condizione, ripeto, che vengano date uguali opportunità per tutti perché altrimenti sarebbe il risultato peggiore in assoluto rispetto ad altre enunciazioni e ad altri principi che sono compresi nel contesto della Costituzione.
  Concludo dando un'occhiata alla spesa farmaceutica che da anni è quella meglio monitorata e meglio controllata nel contesto del Servizio sanitario nazionale. Nonostante questo, ci sono alcune regioni che non cito ma sono quattro-cinque che in pratica «splafonano» di molto il tetto rispetto alla situazione annuale: «splafonano» di 200-300 milioni all'anno nonostante che, all'interno degli accordi che ci Pag. 48sono stati con le multinazionali, una parte si recupera però rimane il danno. Vero è che vi sono alcuni farmaci di recente conquista, ad esempio quelli per l'epatite C, che hanno costi altissimi oppure quelli che vengono utilizzati nelle terapie oncologiche. Però anche qui c’è molto da fare in riferimento ai generici, in riferimento ai brevetti, in riferimento ad una serie di situazioni e forse è arrivato anche il momento di mettere un punto fermo sulla situazione complessiva della spesa farmaceutica anche da parte del Governo e da parte dell'Aifa. Ricordo, per averlo vissuto anche dal punto di vista personale nell'ambito della mia professione, quanto accade nel 1992-1993 con il famoso scandalo di Poggiolini. Il prontuario farmaceutico a carico del Servizio sanitario nazionale all'epoca costava 17 miliardi e qualche cosa (non ricordo bene) di vecchie lire. Ricordo che ci fu il commissariamento, il Presidente del Consiglio Ciampi nominò una commissione presieduta dal professor Frati e dalla professor Silvio Garattini e da un altro componente del Ministero, di cui adesso non ricordo il nome, e ci fu un'assunzione di responsabilità e una riduzione di quel prontuario farmaceutico che fu riportato ad un costo di circa 9.300 miliardi di vecchie lire all'epoca.
  Ciò con una canea che si scagliò immediatamente dicendo che chissà cosa sarebbe successo per la salute dei cittadini, chissà cosa mai avremmo avuto come aumento di malattie, di morbilità e così via; invece, che cosa accadde ? Accadde che negli anni, dal punto di vista delle statistiche, anche queste obiettive, dell'ISTAT e così via, migliorò la salute degli italiani, migliorò la sopravvivenza, aumentò la qualità della vita, aumentò anche l'età media, diminuirono, addirittura, anche le morbilità e così via. Quindi, rivolgo questo invito, signor Presidente, al Governo perché faccia più attenzione in riferimento a questo aspetto, anche se, qui, la responsabilità, poi, dal punto di vista gestionale e dell'organizzazione del monitoraggio è demandata alle regioni; a onor del vero questa critica non può essere fatta a tutte le regioni o a tutto il sistema delle regioni, perché ce ne sono alcune, lo ripeto, sono quattro, che sono proprio vistose come «splafonamento», mentre il resto, invece, ha una adeguata gestione. Quindi, quando si vuole, la gestione adeguata c’è.
  Sono totalmente d'accordo nel prevedere, quanto prima, rispetto alla gestione, lo ripeto, rispetto alla gestione, delle sanzioni nei confronti dei direttori generali che siano esemplari, quantomeno rispetto a quelli che, poi, potrebbero essere incarichi successivi. Per questo motivo ritengo che un impegno del Governo debba essere assolutamente garantito, cercando di rivedere, di rivisitare quella decisione che è stata assunta rispetto alle prestazioni diagnostiche – che sono state individuate in 210 – con quelle disposizioni che secondo me sono inapplicabili e penso che sia così. Impegno, poi, il Governo ad assumere tutte le opportune iniziative affinché ci sia una gestione più efficace e più efficiente rispetto all'acquisizione di beni e servizi con gli accorgimenti detti: l'obbligatorietà di Consip per tutto; e, infine, sulla situazione dei costi standard, ad avere una ponderazione graduale e sperimentale tale da consentire a tutte le regioni un'applicazione, ma soprattutto a tutti i cittadini un'adeguata applicazione, tutelando i valori e i diritti che altra parte della Costituzione sancisce. Infatti, quando la riforma che è in corso al Senato entrerà in vigore, attenzione, perché i costi standard faranno parte anche della Costituzione, ma la parte gestionale è demandata chiaramente alle regioni, e speriamo che se ne faccia un buon uso.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Lenzi. Ne ha facoltà.

  DONATA LENZI. Grazie Presidente, è sempre una buona occasione quella di discutere di sanità, sia pure un lunedì pomeriggio, a quest'ora; spero che la discussione, quando poi riprenderà in Aula, veda maggiore presenza, perché ricordiamoci che il Parlamento esamina un tema sollevato da tempo, che abbiamo affrontato anche nella discussione sul titolo V, e Pag. 49che è quello di una ripresa di ruolo del Parlamento stesso e del livello nazionale a fronte della situazione di governo delle regioni sulla sanità. Con l'occasione vorrei dire che però dovremmo smettere di dire che vi sono 21 sistemi regionali, perché in realtà i sistemi, cioè i modelli organizzativi, saranno quattro o cinque, non di più. Abbiamo 21 governance, cioè 21 livelli dove si prendono delle decisioni, ma le diverse modalità di organizzazione non sono poi molte e forse sarebbe il caso, nel momento in cui noi rivendichiamo il nostro ruolo nazionale, anche di dire quale di questi modelli ci convince di più e riteniamo debba, in qualche modo, essere adottato da tutte le regioni italiane.
  Nella discussione di oggi sulla sanità il tema posto dal collega Rondini è stato quello dei costi standard e del finanziamento del Sistema sanitario nazionale. Io vorrei ricordare, prendendo molto banalmente un articolo del Corriere della Sera, che quindi anche chi ci ascolta può aver letto, che nel 2009 la spesa sanitaria pubblica era pari a 110 miliardi di euro, nel 2010 a 112 miliardi di euro, nel 2011 a 111 miliardi di euro, nel 2012 a 110 miliardi di euro e nel 2013 torna a 111 miliardi di euro.
  Quest'anno dovrebbe assestarsi sui 110 miliardi di euro e per l'anno prossimo c’è l'impegno del nostro Premier, Matteo Renzi, a riportarla a 111. Che cosa significa ? Significa che la spesa sanitaria, negli anni duri, dal 2011 al 2012, ha pagato il prezzo, che è stato pagato da tutti i settori della pubblica amministrazione, della crisi e della riduzione delle risorse. Non ci possiamo dimenticare cosa è successo in quegli anni: nel 2011 abbiamo avuto tre grandi manovre finanziarie, con il decreto-legge n. 98, di giugno del 2011, il decreto-legge n. 138, di agosto 2011 e il decreto-legge n. 201, cioè il «Salva Italia», di Monti, a dicembre del 2011; e ognuna di queste operazioni è costata lacrime e sangue e diversi miliardi di tagli del sistema pubblico e della spesa in generale, nonché delle pensioni. La sanità ha pagato anch'essa un prezzo all'opera di risanamento, che è riportato dalle cifre che ricordavo prima, ed è giusto che adesso, in un momento di inizio di segnali di ripresa, di speranza maggiore, anche la sanità abbia un segno «più» negli stanziamenti. È forse insufficiente, rispetto alle aspettative e alle attese, anche per la necessità di arrivare ad un nuovo contratto e alla risoluzione del problema del precariato, ma comunque un segno positivo.
  Quando parliamo di costi standard, chi ci ascolta ha in mente i dibattiti televisivi e il costo delle siringhe, che non c'entra assolutamente niente, perché, in realtà, quello è un prezzo standard puramente indicativo. Non esiste nessun pezzo della pubblica amministrazione in Italia in cui i prezzi dell'acquisto dei singoli dispositivi siano noti come per la sanità. Adesso si va nel sito dell'Anac, prima si andava nel sito dell'Autorità sulla vigilanza sugli appalti, ma in ogni caso non conosciamo il prezzo unitario del sacco di cemento ma conosciamo il costo unitario delle quindici tipologie di siringhe. Il problema è come adoperiamo questo dato, perché se lo adoperiamo per dire che l'acquisto dei dispositivi medici viene ridotto uniformemente per tutti del 4 per cento, come abbiamo fatto in una delle ultime manovre, facciamo un cattivo servizio di quella informazione, quando invece noi dovremmo dire che è autorizzato l'acquisto in un range che sta tra il 10-15 per cento in più o in meno del prezzo indicato. Questo è il salto di qualità che dobbiamo fare, altrimenti stiamo solo punendo gli onesti, cioè quelli che hanno fatto una gara acquistando a un prezzo proprio al limite della possibilità (100 siringhe a 10 euro) e sono chiamati a tagliare del 4 per cento; chi invece ha acquistato con larghezza ha ancora dei margini per poter recuperare. Quindi, noi conosciamo qual è il prezzo dei dispositivi in sanità, conosciamo il prezzo dei farmaci, dobbiamo imparare a utilizzare queste informazioni. Diverso è il tema del costo dei servizi: quanto costa l'assistenza ospedaliera, quanto costa l'assistenza domiciliare. Qui c’è un termine di paragone tra le diverse regioni, anche se oggi – non è stato ricordato –, in realtà, il finanziamento del Pag. 50servizio sanitario nazionale fa perno sulla quota capitaria pesata, cioè su quanto ciascuno di noi vale – diciamo così –, dal punto di vista economico, nei confronti del sistema sanitario. Quindi, vorrei anche capire se ragionare di costi standard vuol dire buttare a mare il principio della quota capitaria, principio che le regioni del Sud da tempo chiedono che venga ridiscusso, in modo tale da tener conto non solo dell'età della popolazione ma, per esempio, di quanta popolazione è in condizioni di povertà. Ma forse bisognerebbe anche uscire dalla logica per la quale è solo il Sud quello con i piani di rientro e ricordarsi in questa sede che Piemonte e Liguria sono uscite dai piani di rientro proprio per le ragioni che sono state ricordate, cioè per aver avuto una cattiva amministrazione, che le ha portate in una fase di difficoltà.
  Ma segnala anche il fatto che è possibile uscire dai piani di rientro, che questa possibilità sta aumentando, ma che noi dobbiamo insistere, continuare a tenere insieme la valutazione economica con l'effettivo rispetto dei livelli essenziali di assistenza dei servizi erogati, o quel piano di rientro sarà pagato soprattutto in una riduzione drastica dei servizi sanitari garantiti ai cittadini.
  È per questo tema, quello dell'utilizzo attento delle risorse, per le difficoltà che abbiamo ma anche per senso di responsabilità, che nasce il decreto-legge sulla appropriatezza e la discussione che ne è seguita. Allora, appropriato è ciò che è giusto, ciò che va fatto a quel paziente in quel momento con le conoscenze scientifiche che sono note in quella fase: questo è appropriato. Ma non è detto che ciascun medico di famiglia conosca tutto di tutti, di tutte le nuove tecnologie e le nuove possibilità, e lo stesso vale per il medico ospedaliero: è quindi opportuno che gli specialisti e le migliori società scientifiche italiane dicano la propria su quelli che sono i comportamenti inappropriati; spesso spinti, magari sollecitati dal paziente stesso, che richiede un esame in più, come se il check up complessivo potesse dare una risposta, o forse perché non soddisfatto della risposta che gli viene.
  Allora io ho trovato, come facilmente si può fare, una serie di documenti della Società italiana per la radiologia medica (SIRM), che interviene sollecita per un utilizzo appropriato delle risonanze magnetiche. E questo è gran parte dei provvedimenti che riguardano le 208 prestazioni: non c'entra nulla, come invece si dice in qualche sito, la mammografia, ma riguarda altri temi, e li elencherò. Dice la Società italiana per la radiologia medica: «In occasione del consiglio direttivo sono state rese ufficiali le indicazioni per un corretto utilizzo di questa tecnologia». Sono venute dalle società scientifiche. Dove sta l'errore nell'applicazione e le reazioni che abbiamo avuto? Invece di un dialogo tra specialisti, tra medici di famiglia e medici specialisti, abbiamo avuto un'imposizione dall'alto, con minacce di punizione. Raramente, se non mai, in questo modo si ottiene quel cambiamento culturale che è necessario per garantire la vera, effettiva tenuta del sistema sanitario, che non deve aver paura della cura appropriata, ma deve aver paura invece della cura non appropriata, in eccesso o in mancanza, per garantire ancora l'universalità del servizio (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Monchiero. Ne ha facoltà.

  GIOVANNI MONCHIERO. Signor Presidente, comincerei queste considerazioni accogliendo positivamente lo stimolo che ci viene dalla mozione proposta dal collega Rondini, e poi da quelle degli altri colleghi che hanno parlato prima di me.
  Intanto vorrei richiamare un attimo le condizioni generali del nostro Servizio sanitario nazionale, che è comunemente dipinto come un luogo di sprechi inenarrabili, e come tale purtroppo anche percepito, perché le bugie troppo ripetute, com’è noto, diventano verità. Ed è accaduto così anche nel nostro Paese, dove siamo comunemente ipercritici nei confronti Pag. 51di quello che è indubitabilmente il migliore dei servizi pubblici italiani: non lo dicono fonti interne, lo dice l'OCSE, lo dicono tutti gli osservatori esterni, lo dice l'Organizzazione mondiale della sanità, che ci ha quasi sempre considerati fra i primi due o tre servizi sanitari del mondo.
  Io vorrei solo ricordare, poiché di costi si parla ultimamente, che il nostro costo pro capite è straordinariamente basso, e che la spesa sanitaria complessiva pubblico-privata degli altri Paesi con i quali amiamo confrontarci è decisamente superiore: più 27 per cento per il Regno Unito, più 34 per cento per la Francia, più 46 per cento per la Germania, più 78 per cento per la Svizzera, più 178 per cento, quasi tre volte, per gli Stati Uniti.
  Così come andrebbe anche, una volta per tutte, cancellato il mito di una spesa fuori controllo: questo è un dato molto meno noto di quelli precedenti.
  È un dato, purtroppo, trascurato anche dai decisori politici. Secondo lo studio dell'OCSE la spesa sanitaria italiana, somma di pubblico e privato, nel decennio 2000-2010 è aumentata del 30 per cento, con l'incremento più basso del mondo, ben inferiore alla media dei Paesi dell'OCSE che è stata invece superiore al 42 per cento, quindi 12 punti percentuali in meno rispetto alla media è un dato che ci dice che questa spesa spesso mitizzata negativamente non è così fuori controllo, anzi, direi che è stata controllatissima.
  Da dove nascono dunque i problemi ? I problemi nascono, come ricordava prima la collega Lenzi, dalla crisi economica. La crisi economica ha posto anche alla Sanità il problema della sostenibilità e ha comportato inevitabilmente anche dei sacrifici crescenti. Questi sacrifici hanno anche evidenziato alcuni elementi di criticità che sono stati ricordati dai colleghi, sui quali non voglio tornare, ma che non posso considerare come del tutto infondati. Tuttavia, la risposta che è stata data negli ultimi anni è stata data utilizzando strumenti inadeguati. Innanzitutto, spending review che si sono rivelate meno efficaci del previsto, purtroppo tagli lineari, per la semplice ragione che la pubblica amministrazione non sa fare di meglio, blocco delle assunzioni, blocco dei contratti, blocco delle carriere, che ha demotivato il personale, e il personale è la prima delle risorse del Servizio sanitario pubblico, ed è indubitabile che su questo punto occorra intervenire.
  Questa serie di criticità ha messo a rischio anche la tenuta quantitativa delle prestazioni garantite e, purtroppo, in qualche caso anche la qualità delle medesime. È vero che non abbiamo 21 servizi sanitari diversi come spesso si favoleggia. Se si guarda alle modalità organizzative le differenze sono minori, ma se si guarda ai risultati concreti secondo me non abbiamo 21 sistemi diversi ma 50, perché nelle regioni più grandi le differenze da area ad area della medesima regione, sia per quanto riguarda la spesa pro capite, sia per quanto riguarda l'effettiva accessibilità e qualità dei servizi sono spesso inaccettabili. Ora, credo che questa ultima considerazione, che il tempo mi impedisce di suffragare con dei dati, che esistono e sono sotto gli occhi di tutti, richieda uno sforzo per introdurre interventi innovativi. Non è facile innovare, come ricordava prima la collega Lenzi, gli equivoci ingenerati – su questo punto sottoscrivo del tutto il suo intervento – da una frettolosa e cattiva comunicazione di una norma che spingeva verso l'appropriatezza delle attività diagnostiche che ritengo sia un esempio da studiare.
  Almeno da dieci anni in ogni congresso medico viene tirato fuori il criterio dell'appropriatezza, da molti anni questo criterio è stato utilizzato utilmente con risultati eccellenti per quanto riguarda il ricovero ospedaliero, non vedo quindi ragione per la quale questo medesimo criterio non possa essere applicato anche per l'attività diagnostica. Il problema è che se la comunicazione è stata quella che è stata, e se soprattutto veniva previsto un sistema sanzionatorio del tutto inadeguato, eccessivo, sproporzionato rispetto al problema, si interviene ancora una volta secondo criteri sbagliati, è quindi sulle nostre capacità di intervento che dobbiamo Pag. 52misurarci e per le quali credo occorra spingerci sul terreno dell'innovazione.
  Lasciamo perdere il discorso dei costi standard, un discorso fuorviante che nessuno sa esattamente cosa sia, parlerei invece di fabbisogni standard, nel senso che il fabbisogno è definito nei LEA e questi LEA vanno garantiti ovunque, uniformemente, su tutto il territorio nazionale. Occorre giungere ad un finanziamento standard, secondo criteri che siano condivisi con la Conferenza Stato-regioni, che siano uguali per tutti e che dalle regioni siano applicate al loro interno nei confronti delle singole aziende sanitarie, in modo da responsabilizzare i gestori ed introdurre nel sistema una logica positiva. Io non credo possibile, si è già dimostrato inefficace, ma è addirittura fuorviante e negativo, definire dal centro, dal Governo, interventi lineari sui singoli fattori produttivi. Non è così che si recupera efficienza.
  Per recuperare efficienza occorre introdurre una logica positiva, premiare l'efficienza delle regioni, delle ASL e dei singoli operatori, di modo che il sistema percepisca la necessità e, lasciatemi dire, l'utilità di essere virtuosi. Una virtù solamente imposta per legge si è già visto che non funziona, la virtù deve essere vissuta e per essere vissuta necessita di esempi positivi. Con questo spirito credo che presenteremo una nostra mozione che cerchi di valorizzare quest'ultima possibilità.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì 13 ottobre 2015, alle 10,30:

  1. – Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
   D'INIZIATIVA POPOLARE; DI LELLO ed altri; VENDOLA ed altri; BRESSA; BRESSA; PES ed altri; ZAMPA; CAPARINI ed altri; BERSANI ed altri; VACCARO; MARAZZITI ed altri; FEDI ed altri; LA MARCA ed altri; CARUSO ed altri; GOZI; BUENO ed altri; CARUSO ed altri; PORTA ed altri; POLVERINI; SORIAL ed altri; MERLO e BORGHESE; CENTEMERO; BIANCONI; DORINA BIANCHI; FITZGERALD NISSOLI ed altri; FABBRI ed altri: Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza (C. 9-200-250-273-274-349-369-404-463-494-525-604-606-647-707-794-836-886-945-1204-1269-1443-2376-2495-2794-3264-A).
  — Relatori: Fabbri, per la maggioranza; Invernizzi e La Russa, di minoranza.

  2. – Seguito della discussione della proposta di legge:
   S. 54 – D'INIZIATIVA DEI SENATORI: AMATI ed altri: Modifiche all'articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, in materia di contrasto e repressione dei crimini di genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale, e modifica all'articolo 414 del codice penale (Approvata dal Senato) (C. 2874).
  — Relatori: Verini e Sarro, per la maggioranza; Ferraresi, di minoranza.

  3. – Seguito della discussione della proposta di legge:
   S. 1209 – D'INIZIATIVA DEI SENATORI: PUGLISI ed altri: Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare (Approvata dal Senato) (C. 2957). Pag. 53
  e delle abbinate proposte di legge: PES ed altri; ELVIRA SAVINO; SANTERINI ed altri; MARZANO e MARTELLI (C. 350-910-2040-3019).
  — Relatore: Verini.

  4. – Seguito della discussione del disegno di legge:
   S. 1678 – Deleghe al Governo per l'attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (Approvato dal Senato) (C. 3194-A).
  — Relatori: Mariani e Cera.

  5. – Seguito della discussione delle mozioni Rondini ed altri n. 1-01008, Di Vita ed altri n. 1-01009, Dorina Bianchi ed altri n. 1-01010, Nicchi ed altri n. 1-01011 e Palese n. 1-01012 concernenti iniziative per assicurare adeguate risorse al Servizio sanitario nazionale e per l'introduzione del sistema dei costi standard quale presupposto per l'effettività del diritto alla salute.

  La seduta termina alle 19,05.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DELLA DEPUTATA RAFFAELLA MARIANI E DEL DEPUTATO ANGELO CERA IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE N. 3194-A

  RAFFAELLA MARIANI, Relatrice. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, ci accingiamo oggi ad esaminare Il disegno di legge di delega al Governo per l'attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali.
  L'occasione del recepimento delle direttive europee oltre che uniformarci agli altri Paesi dell'Unione offre oggi l'opportunità di riordinare l'intero apparato normativo che dopo la definizione del codice appalti risalente al 2006 del suo regolamento di esecuzione e attuazione emanato nel 2010 (ben quattro anni dopo !) composti da oltre 600 articoli (257 codice e 359 regolamento più 15 allegati) è stato oggetto di numerosissimi interventi di modifica anche ravvicinati nel tempo e non sempre coerenti tra loro.
  Il testo trasmesso dal Senato il 22 giugno 2015 e che oggi, dopo un intenso lavoro in Commissione affidiamo alla discussione dell'aula, è il frutto di uno scambio molto partecipato tra gruppi parlamentari, Governo, categorie economiche e sociali interessate, mondo delle professioni, opinione pubblica coinvolta nella grande sfida anche culturale della gestione di una parte considerevole della spesa pubblica.
  La spesa per appalti pubblici nel nostro Paese ammonta a più del 15% del suo PIL: una buona ed efficace normativa in materia di appalti ha un valore non soltanto tecnico giuridico ma direi soprattutto politico sociale in quanto è in grado di assumere un significato determinante nella revisione e semplificazione della complessa e molto farraginosa organizzazione della macchina pubblica a partire dalla necessaria (ineludibile direi ! !) ricerca di una maggiore trasparenza, di una concreta e applicabile apertura alla concorrenza, della fondamentale esigenza di coinvolgimento e partecipazione di ogni segmento del tessuto economico nel rapporto sano e trasparente tra domanda e offerta, nella confrontabilità dei prezzi di acquisto quotidiano di beni e servizi in settori analoghi e territori differenti, nella riduzione di sprechi e nella prevenzione da fenomeni di corruzione così frequenti e così pesanti per l'immagine del nostro Paese, per la Pag. 54credibilità delle sue Istituzioni, per l'affidamento, sul quale contiamo molto, presso i grandi investitori nazionali ed internazionali.
  Il codice degli appalti esistente ha subito numerose modifiche, durante e dopo la scrittura del regolamento è stato un susseguirsi di provvedimenti finalizzati al sostegno e la crescita delle imprese, alla modernizzazione del Paese, alla ripresa dell'economia, articoli correttivi e nuove norme hanno riguardato la materia costringendo Istituzioni, imprese, enti regolatori ad uno sforzo di comprensione ed applicazione oggettivamente spropositato.
  Conseguenza diretta della eccessiva complessità e della instabilità della norma è stata la crescita proporzionale ed altrettanto abnorme del contenzioso, sono state le gravi ricadute manifestatesi in ritardi, il blocco degli investimenti, gli affidamenti in deroga alle leggi vigenti con procedure emergenziali, sono stati i frequenti e diffusi fenomeni di corruttela che hanno fatto lievitare costi degli appalti arrecando grave danno e nocumento per lo Stato e per il sistema sano delle imprese.
  Da qui il principale indirizzo condiviso: ottenere un quadro di riferimento più semplice, più chiaro e più stabile per gli operatori nazionali ed internazionali, per i responsabili delle stazioni appaltanti. Come evidenziato tra gli altri dalla Banca Mondiale: i migliori tassi di crescita e di attrazione degli investimenti si riscontrano nelle nazioni ritenute più credibili dalle comunità degli uomini di affari e vengono ritenute credibili quelle società che sono capaci di condurre a compimento le politiche intraprese, di assicurare comportamenti amministrativi e giudiziari prevedibili soprattutto in riferimento ai tempi, e di garantire un adeguato contrasto alla criminalità e alla corruzione.
  Da questa esigenza e dalla profonda convinzione della necessità di una evoluzione molto netta rispetto al sistema vigente abbiamo proposto un'ulteriore evoluzione rispetto all'ottimo lavoro svolto dal Senato.
  Quel lavoro ci consegna infatti una struttura di delega al Governo molto significativa, con richiami puntuali ed inequivocabili alla situazione italiana ed alle criticità verificatesi nel nostro Paese in relazione ai principali fenomeni corruttivi, ma soprattutto rispondendo: alla esigenza di superamento di un regime derogatorio diventato la regola, all'armonizzazione delle norme in materia di trasparenza e pubblicità degli atti, alla scelta del superamento delle gare al massimo ribasso, alla definizione della messa a gara per i lavori, di progetti esecutivi con relativo divieto di procedure di ribasso per gare di progettazione; al superamento e divieto della scelta della direzione lavori da parte del contraente generale nelle gare affidate con quella procedura.
  Dalla definizione del Senato è stata molto netta la determinazione di affidare alla Autorità Nazionale Anticorruzione compiti inerenti la qualificazione delle stazioni appaltanti e degli operatori comprensiva di parametri tecnici e rating di legalità, la predisposizione di linee guida, bandi tipo e in generale strumenti di regolamentazione flessibile a beneficio dell'efficienza delle stazioni appaltanti ed infine di vigilanza sugli atti con incisivi poteri sanzionatori sulla base dell'esperienza verificata nel corso delle principali esperienze degli ultimi mesi. Mi riferisco alle esperienze della gestione degli appalti di lavori per Expo e Mose nei quali il recupero delle procedure dall'illegalità non ha comportato interruzione dei cantieri né impedito al nostro Paese di mostrare capacità di andare avanti e fare buona figura.
  Significativo è l'indirizzo che indica la necessità di riduzione del numero delle stazioni appaltanti rispetto alla quale innumerevoli appelli sono stati rivolti al Parlamento ed al Governo dai principali e più autorevoli osservatori dell'andamento della spesa, della sua qualità, della sua trasparenza.
  Innovativa e attesa dal punto di vista sociale è stata l'introduzione del superamento delle procedure di gara al massimo ribasso per i contratti pubblici relativi a Pag. 55servizi sociali le cui conseguenze si sono pesantemente riverberate su lavoratrici e lavoratori.
  Della disciplina organica delle concessioni si è fatto un richiamo significativo alla specificità italiana soprattutto in merito al tema concessioni autostradali, ed alla necessità di uniformarsi al dettato comunitario soprattutto richiamando il tema dell'affidamento attraverso gara. Dal Senato è anche arrivato l'obbligo per i concessionari pubblici e privati autostradali di indire gare ad evidenza pubblica per l'affidamento di lavori sulla rete in concessione. Oggi questo obbligo è relativo esclusivamente al 60 per cento dei lavori con facoltà di assegnazione diretta per il 40 per cento.
  Il dibattito pubblico nella scelta delle opere strategiche e delle medie opere è stato indicato come strumento vincolante per le parti quando si intraprende il percorso di realizzazione di un'opera.
  Signor Presidente, dovevamo quindi partire da questo significativo contributo dei senatori alla legge delega per dare atto della competenza e definire ulteriori utili passaggi di riflessione ed approfondimento consapevoli dell'impatto che la redazione di un testo unico di questa portata produrrà sul sistema economico del nostro Paese. Chi ha ascoltato da alcuni anni appelli, riflessioni, esperienze, anche proteste e critiche tutti improntati alla ricerca di un equilibrio più consono ai tempi che ci troviamo ad affrontare sul tema appalti non può che cogliere la definizione dell'impianto di uno dei principali riferimenti normativi della gestione della spesa pubblica, il senso della ciclicità di alcuni strumenti ed anche la parallela esigenza di far crescere assieme a norme innovative e più semplici una cultura più attenta e sensibile alla distinzione tra ruolo pubblico e privato, alla ricerca del rispetto della legalità non esclusivamente nelle procedure e negli atti della burocrazia ma anche e soprattutto nella fase di esecuzione del contratto pubblico. Tale aspetto è stato tra l'altro sottolineato nel primo rapporto presentato al Consiglio e al Parlamento dalla Commissione Europea che evidenzia per il nostro Paese come nodo critico fondamentale quello della corruzione nella fase di esecuzione del contratto pubblico. Molti sono stati i provvedimenti che hanno richiamato questa esigenza e oggi la legge delega che andiamo a definire vuole fare un ulteriore passo in questa direzione e cioè dotare il Paese di uno strumento semplice che regoli la gestione dei contratti pubblici, stabile per un periodo significativo e soprattutto mettendo in condizioni le stazioni appaltanti di qualificarsi, di elevare ulteriormente le competenze e disporre di tutti gli strumenti compresi affidamenti chiari e non ricorribili che indichino tempi certi, permettano una verifica effettiva, oltre che dei procedimenti e degli atti anche della realizzazione dell'oggetto del contratto.
  La legge Merloni (L. 109/94: legge quadro in materia di lavori pubblici) dal 1994, per la prima volta proponeva nella definizione di un testo unico la regolazione del ciclo del contratto pubblico dalla programmazione al collaudo dell'opera; lo faceva a seguito delle devastanti inchieste sulla gestione degli appalti nel nostro Paese poi definite «inchieste mani pulite», indicando con dettaglio la governance del sistema dei contratti pubblici, approdarono nella concezione pubblica concetti innovativi ed ancora molto attuali come quello della programmazione, della definizione di progetti esecutivi, della indicazione delle risorse necessarie per realizzarli con alcune sottolineature molto nette costituenti veri e propri spartiacque rispetto alle precedenti esperienze e cioè: centralità del progetto, netta separazione tra ruoli del progettista e quello dell'appaltatore ed il divieto di esternalizzazione del ruolo del committente. Non è questa l'occasione per fare la disamina delle responsabilità e delle contraddizioni che si sono susseguite negli anni successivi, ma ho utilizzato il riferimento alla legge Merloni per richiamare la ciclicità di alcuni fenomeni e le misure indicate per risolvere patologie manifeste e gravissime e anche dei nodi che costituiscono, oggi ancora di più, un oggettivo freno allo sviluppo, alla riduzione di sprechi, alla valorizzazione di competenze interne ed esterne alla Pubblica Pag. 56Amministrazione, al riconoscimento di ruoli che nella trasparenza e nella chiarezza possano contribuire a far procedere di nuovo l'economia del nostro Paese. Anche nel contesto che portò alla approvazione di quella legge le anomalie segnalate riguardavano il proliferare di normative speciali e derogatorie, l'affidamento di appalti a trattativa privata, l'affievolimento delle garanzie di concorrenzialità nell'accesso alle gare, l'elevata discrezionalità dei comportamenti delle amministrazioni aggiudicatrici, l'utilizzo delle varianti in corso d'opera per far lievitare i costi. Molti di questi elementi ricorrono anche oggi. E negli anni che seguirono la approvazione della legge Merloni molte delle regole introdotte furono sfumate, interpretate e rese più opache con giustificazioni non sempre veritiere ed interpretazioni atipiche, almeno in alcuni casi, delle direttive comunitarie che si sono succedute. Solo per fare alcuni esempi l'interpretazione introdotta dalla legge obiettivo del 2001 sul contraente generale non ha eguali in Europa sia in riferimento alle responsabilità di collaudo e verifica dei progetti che nella distinzione dei rischi finanziari tra pubblico e privato, come per citare un altro esempio, la definizione dei contratti di concessione della Merloni quater del 2002 che ha eliminato i limiti del 50 per cento del prezzo che poteva accompagnare il diritto di gestire il corrispettivo fondamentale della concessione ed il limite dei 30 anni della durata della concessione stessa che la legge Merloni aveva fissato come paletti fondamentali.
  Nel 1996 questa Camera commissionò un rapporto sulla Prevenzione della Corruzione ad un Comitato di studio presieduto dai Professori Sabino Cassese, Pizzorno e Arcidiacono. Nel capitolo 19, «Che si assicurino trasparenza e controllo dell'attività contrattuale», molto interessanti erano i richiami alle occasioni di corruzione correlati alle disfunzioni generali dell'attività amministrativa ed a specifiche inefficienze disseminate nelle procedure dalla redazione del bando, la selezione dei partecipanti e l'aggiudicazione della gara, l'esecuzione ed i relativi controlli, il pagamento. Altrettanto utili ed efficaci i rimedi indicati che oggi ritroviamo fotografati dalle direttive ed anche dai principi di delega inseriti attraverso il lavoro di Governo e Parlamento.
  Nella ricerca di una maggiore efficienza del sistema pubblico e nella conseguente revisione degli strumenti a disposizione della PA la revisione del Codice, direi la filosofia generale di semplificazione e stabilizzazione delle norme vanno di pari passo con la riforma introdotta prima dal DL 90/2014 e continuata con il ddl delega di riforma della PA, detto riforma Madia, provvedimenti che concorrono oltre che alla modernizzazione alla revisione complessiva di compiti, responsabilità e strumenti del sistema pubblico.
  Dal DL 90/2014 ad esempio è scaturita la fusione tra AVCP (Autorità vigilanza contratti pubblici) ed ANAC (Autorità nazionale anti corruzione), una efficace intuizione che ha aggiunto alle funzioni specifiche di vigilanza, regolazione, consultazione e supporto attribuite ad AVCP funzioni consultive regolatorie, poteri più incisivi di controllo e sanzionatori di efficacia vincolante, funzioni di prevenzione e repressione della corruzione di ANAC.
  La strategia complessiva alla quale Parlamento e Governo stanno lavorando, che trova riferimenti utili in numerosi altri provvedimenti che per ragioni di brevità dovrò solo elencare, riguarda in primo luogo il potenziamento delle competenze all'interno dell'amministrazione pubblica, la riduzione degli oneri amministrativi per cittadini ed imprese, il rafforzamento dei poteri e delle competenze di controllo non solo delle procedure ma soprattutto dell'esecuzione del contratto, la maggiore trasparenza in tutte le fasi del contratto, l'utilizzo delle infrastrutture informatiche e delle nuove tecnologie.
  Dalla patologia alla fisiologia del sistema, dalla quantità alla qualità della spesa, la concorrenza reale tra imprese serie.
  Legge Severino, l. 190/2012 sulla trasparenza dell'attività amministrativa e disposizioni atte a prevenire le infiltrazioni mafiose nel settore degli appalti, falso in Pag. 57bilancio, norme antiriciclaggio; dl competitività 66/2014 che prevede la centralizzazione delle procedure di acquisizione di lavori, servizi e forniture; l. 69/2015, ddl Madia minori i tempi delle conferenze di servizi e più snelle, silenzio assenso e autotutela.
  La riforma del 416-ter del Codice Penale che ha introdotto la locuzione «altre utilità» estendendo l'area di punibilità sul voto di scambio politico mafioso falso in bilancio, autoriciclaggio, tutti strumenti che concorrono alla riforma del sistema.
  Vorrei entrare ora nel merito delle principali modifiche apportate dal lavoro fatto in Commissione premettendo che sono state il frutto di un dialogo molto costruttivo tra i gruppi di maggioranza e quelli di opposizione. I contributi offerti dalla attività emendativa sono stati esaminati con approfondimenti e valutazioni che hanno potuto raccogliere davvero molte delle sensibilità presenti e che hanno tradotto richieste ed osservazioni giunte dalle consultazioni e dal confronto con i numerosissimi soggetti interessati che a loro volta hanno fatto pervenire notazioni alla nostra Commissione in queste settimane.
  La scelta dell'abolizione definitiva dello strumento del Regolamento di attuazione del codice, condivisa con il Ministro Delrio, è stata indirizzata dalla necessità di ridurre drasticamente l'apparato normativo introducendo una regolazione più flessibile (anche detta soft law) capace di unire maggiore aderenza alle esigenze degli operatori ad un significativo taglio di tempi e rigidità. La organizzazione di riferimenti alla normativa primaria contenuta nei decreti legislativi di recepimento delle direttive e di riordino del codice, unita alla indicazione di linee guida generali a supporto della ricerca di maggiore omogeneità nella definizione di tutti i processi relativi alle fasi dei contratti, alle specificità non riconducibili nei testi di legge, ad indirizzi e vincoli per le stazioni appaltanti, saranno oggetto di condivisione tra Ministero delle Infrastrutture ed ANAC come previsto dalla norma e rafforzate da un passaggio utile e significativo del Parlamento che per la prima volta dovrà esprimere un parere sulle linee guida generali garantendo un equilibrio sostanziale e complessivo al sistema.
  Due le fasi molto ravvicinate del percorso di riforma, due i decreti legislativi di recepimento: il recepimento delle nuove direttive UE avverrà mediante decreto entro il 18 aprile 2016 mentre il riordino complessivo del codice dei contratti avverrà con un secondo decreto, entro il 31 luglio.
  La nostra scelta di semplificazione netta dell'apparato normativo va di pari passo con il rafforzamento del ruolo delle stazioni appaltanti per le quali sono state enfatizzate le funzioni di programmazione, gestione e definizione delle gare, di verifica e controllo sostanziale dei contratti attraverso una rilettura della norma che vede, tra l'altro, anche il trasferimento dell'incentivo del 2 per cento per i dipendenti della PA dalla progettazione alla fase di programmazione e predisposizione delle gare ed a quella di controllo prevedendo un sistema di sanzioni per i controlli lacunosi e le inadempienze, trasparenza, celerità del procedimento ed imparzialità delle gare. Abbiamo inserito numerosi riferimenti all'obbligo di pubblicità e trasparenza dell'azione amministrativa chiedendone la intellegibilità per i cittadini e le imprese. Prevediamo oggi ad esempio che un'opera si svolga in tempi certi e che i cittadini possano verificare con semplicità i resoconti finanziari relativi all'opera stessa. Si è voluta sottolineare richiamandola espressamente tra i principi della delega la necessità di un coordinamento con le disposizioni in materia di protezione e tutela ambientale e paesaggistica, di valutazione degli impatti ambientali e di tutela e valorizzazione dei beni culturali al fine di evitare incertezze interpretative ed applicative causa purtroppo di molti disagi e disfunzioni.
  È stato previsto l'obbligo di pubblicità e trasparenza anche per gli appalti pubblici e i contratti di concessione tra Enti, cosiddetti affidamenti in house, precisando oltre che la pubblicazione di tutti gli atti di affidamento anche la necessità di assicurare Pag. 58nelle forme di aggiudicazione diretta la valutazione della congruità economica delle offerte.
  Innovazione tecnologica e Italia digitale. Una riforma strategica si basa anche sull'innovazione tecnologica e la digitalizzazione delle procedure indice di grande trasparenza ed efficienza. Alla pubblicazione informatica di ogni atto della PA, alla definizione di banche dati consultabili ed interoperabili abbiamo affiancato lo specifico riconoscimento di strumenti di modellazione elettronica ed informativa per l'edilizia e le infrastrutture come avvio di una riorganizzazione complessiva dei processi. Un'occasione che discende dal BIM (building information modeling) auspicata anche dalle direttive.
  Sono stati inoltre indicati per la scelta delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione criteri in grado di assicurare l'accessibilità da parte delle persone con disabilità.
  Divieto di deroghe. Il nuovo sistema di appalti dei lavori pubblici non prevede più deroghe né varianti in corso d'opera. Abbiamo scelto poche regole valide per tutti, anche riferendo una particolare attenzione alle esigenze legate alla gestione in occasione di emergenze di protezione civile e prevedendo disposizioni inerenti le procedure da applicare coniugando le esigenze di tempestività d'azione con adeguati meccanismi di verifica e pubblicità successiva. Il sistema di protezione civile pur lavorando nell'emergenza sarà in grado di garantire massima trasparenza unitamente alla consueta efficienza del pronto intervento.
  Micro, piccole e medie imprese. Facilitare l'accesso delle micro, piccole e medie imprese nel sistema dei contratti pubblici oltre che per esplicito indirizzo delle direttive è stato uno dei principali obiettivi del nostro lavoro. La sperequazione ancora troppo forte tra le grandi e le piccole imprese nella partecipazione alle gare di appalti pubblici segnala dati alla mano una discriminazione che non rende giustizia del loro peso reale, sono infatti una parte fondamentale dell'economia Italiana. Abbiamo enfatizzato il ruolo protagonista per la ripresa economica del paese inserendo a pieno titolo riferimenti alle micro, piccole e medie imprese sia nella fase di aggiudicazione che di esecuzione dei contratti con maggiori garanzie nel subappalto e richiami espliciti rivolti alle grandi centrali di aggregazione anche in riferimento all'obbligo della mancata suddivisione in lotti. In riferimento al sub appalto abbiamo rispettato le direttive nella indicazione molto chiara di elencare nel corso delle procedure di gara le parti del contratto da affidare in subappalto e previsto che nei decreti legislativi si specifichino con dettaglio i casi in cui è obbligatorio ancora al momento della gara indicare una terna di subappaltatori.
  Green procurement ed offerta economicamente vantaggiosa. Il superamento del criterio di aggiudicazione al massimo ribasso a favore dell'offerta economicamente più vantaggiosa ha permesso di inserire tra i criteri di aggiudicazione quello basato sui costi del ciclo di vita dei materiali e di stabilire un maggior punteggio per i beni e servizi e i lavori che presentano un minore impatto sull'ambiente e sulla salute umana. Nella direzione auspicata dalle direttive ed anche alla luce del dibattito sull'economia circolare che tanta parte occupa nella individuazione di nuovi orizzonti per l'industria e l'impresa del nostro continente.
  Al passaggio deciso verso l'utilizzo del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa nell'aggiudicazione degli appalti pubblici e dei contratti di concessione in alternativa al criterio del prezzo più basso o del massimo ribasso abbiamo indicato di individuare modalità di esclusione delle offerte anomale che rendano non predeterminabili i parametri di riferimento per il calcolo.
  Pubblicazione bandi. La revisione della disciplina in materia di pubblicità degli avvisi e dei bandi di gara è stata orientata esclusivamente a strumenti di tipo informatico. Su questo tema si è aperto un dibattito che ha coinciso anche con l'ingresso in aula della discussione del finanziamento pubblico all'editoria. Segnalo che l'obbligo di pubblicare i bandi di gara nei Pag. 59quotidiani è stato abolito dall'articolo 26 del DL 66/2014 con decorrenza dal 1o gennaio 2016.
  Clausola sociale nei servizi e nei lavori. L'attenzione ai livelli occupazionali è stata un punto centrale della riflessione della Commissione. Abbiamo rafforzato l'esigenza di inserire clausole sociali nei contratti sia per i lavori che per i servizi ed escluso il ricorso al criterio del massimo ribasso nelle gare per servizi ad alta intensità di manodopera. Il richiamo ai contratti collettivi nazionali per ciascun comparto merceologico o di attività che presenta le migliori condizioni per i lavoratori ed il riferimento alle attività prevalenti tengono conto anche delle specifiche distinzioni tra lavori e servizi, comparti riferibili alle piccole e medie imprese distinti dall'industria.
  Una richiesta specifica della Commissione lavoro riguardante la situazione dei lavoratori dei call center, di cui una ampia indagine conoscitiva ha illustrato le condizioni, ha trovato accoglimento con lo scopo di ricercare assieme al Governo ed ai soggetti datoriali confronto e concertazione.
  ANAC e stazioni appaltanti. Tra le funzioni strategiche affidate ad ANAC una delle principali riguarda il supporto alla qualificazione delle stazioni appaltanti anche teso ad una valutazione oggettiva delle competenze tecniche ed organizzative; a tal fine abbiamo voluto precisare la necessità di indirizzare la riorganizzazione delle funzioni sulle fasi di programmazione e controllo.
  Nella focalizzazione del ruolo delle stazione appaltanti la Camera ha rafforzato in capo alle stesse funzioni di organizzazione e gestione oltre che di controllo sull'esecuzione delle prestazioni. Sono state richiamate esplicitamente verifiche e controlli relativi all'effettiva ottemperanza di tutte le misure mitigative e compensative, alle prescrizioni in materia ambientale e paesaggistica, storico-architettonica, archeologica e di tutela della salute umana, impartite dagli enti e dagli organismi competenti.
  Nella definizione degli albi nazionali dei componenti delle commissioni giudicatrici di appalti pubblici e concessioni si è chiesto ad ANAC di verificare ipotesi di conflitto d'interessi.
  Si è inoltre precisata la necessità di uno specifico regime sanzionatorio a corredo del sistema amministrativo di penalità e premialità per la denuncia obbligatoria delle richieste estorsive e corruttive da parte delle imprese titolari di appalti pubblici, per la mancata comunicazione delle variazioni in corso d'opera per gli appalti di importo pari o superiore alla soglia comunitaria.
  Si è inserito il riferimento fondamentale del ricorso a procedure selettive per la creazione dell'albo presso il MIT dei soggetti che possono ricoprire i ruoli di responsabile lavori, direzione lavori, collaudatore negli appalti pubblici. La revisione della disciplina di affidamento degli incarichi di collaudo ha richiamato incompatibilità territoriali, limiti all'importo dei corrispettivi.
  Si è fatto specifico richiamo al divieto di affidamento dei lavori sulla base di progettazione preliminare valorizzando invece in tutte le sue parti la fase progettuale esecutiva.
  Progetto. Della centralità del progetto si è fatto un punto cardine di questo provvedimento per molte ragioni già in parte sottolineate che riguardano in primo luogo l'affidabilità complessiva nella definizione delle gare di contratti pubblici, condizionare l'avvio delle procedure di assegnazione dell'appalto per opere pubbliche alla presenza di progetti esecutivi permette la verifica attenta delle esigenze del committente pubblico e la restituzione nel dettaglio attraverso il quale i concorrenti possano operare una analisi accurata delle diverse voci di spesa al momento della offerta. Abbiamo anche stabilito di operare una chiara separazione tra i soggetti che curano la fase di progettazione e quelli che curano la realizzazione. Attraverso la scelta di riorganizzare l'incentivo del 2 per cento, oggi destinato alla progettazione nella PA, abbiamo deciso di investire maggiormente nelle funzioni oggi più carenti connesse alla attività Pag. 60di programmazione ed a quella contrattuale (formulazione di capitolati, direzioni lavori e collaudi) organizzati in modo da selezionare personale altamente qualificato anche con l'obiettivo di valutare oltre che aggiudicazioni, tempi e condizioni di esecuzione e rafforzare controlli sostanziali.
  La ricerca della qualità della progettazione ha esplicitato con riferimenti diretti al mercato ed al coinvolgimento delle professioni tecniche per le quali è stato vietato il ricorso nelle gare di affidamento al criterio del massimo ribasso estremamente utilizzato negli ultimi anni con danno notevole alla realizzazione ed alla crescita di intere generazioni di professionisti ed alla dignità delle professioni, in spregio alle effettive esigenze economiche di lavoratori qualificati sostanzialmente privi di tutele e garanzie sociali. L'eliminazione della progettazione preliminare nell'appalto integrato assicurerà una maggiore qualità della progettazione più mercato ai progettisti e la riduzione di prassi distorsive della concorrenza.
  Sulla garanzia globale. Si è ricercata nella formulazione che richiama la revisione dei sistemi di garanzia per l'aggiudicazione e l'esecuzione degli appalti pubblici un riferimento più attento e proporzionale alla natura delle prestazioni oggetto del contratto ed al grado di rischio ad esso connesso pur nella salvaguardia imprescindibile dell'interesse pubblico. In questo senso stiamo cercando una soluzione transitoria con il Governo che permetta in attesa della definizione dei decreti legislativi di superare il grave scarto di concorrenza provocato dalla applicazione della norma vigente.
  Contenzioso-arbitrato. La incisiva e concreta semplificazione porterà inevitabilmente ad una positiva riduzione del contenzioso. Il ricorso alle procedure di arbitrato sarà consentito solo nella forma amministrata, con riduzione di costi e controllo pubblico e secondo modalità idonee a garantire trasparenza, celerità ed economicità.
  Referendum e rischio operativo. Per la disciplina organica della materia dei contratti di concessione come indicato dalla direttiva di riferimento (2014/23/UE) che dovrà far ordine, semplificare e riorganizzare la materia abbiamo fatto esplicito richiamo all'esito del Referendum abrogativo del 12-13 giugno 2011 per le concessioni del sistema idrico a sottolineare la necessità di evitare automatismi ed interpretazioni non rispettosi della volontà popolare.
  Una disciplina specifica è stata richiamata per le concessioni relative agli approvvigionamenti industriali in autoconsumo elettrico da fonti rinnovabili.
  Il riferimento alla introduzione di criteri volti a vincolare la concessione alla piena attuazione del piano finanziario ed al rispetto dei tempi previsto dal Senato sono stati rafforzati nella nostra lettura dal richiamo al rischio operativo per sottolineare anche alla luce dell'esperienza italiana l'indifferibile esigenza di qualificare la capacità di analisi dei piani finanziari da parte delle stazioni appaltanti sia a tutela dell'interesse pubblico diretto che nella auspicabile velocizzazione dei contratti bloccati per difetto dei piani industriali finanziari. A questo proposito emblematico il rapporto recentemente commissionato dalla Presidenza del Consiglio al Cresme sullo stato della finanza di progetto nel nostro Paese che evidenzia insufficienze preoccupanti nella valutazione economica di contratti e concessioni da parte del sistema pubblico. Redditività, bancabilità indicatori economici e finanziari sono declinati in una percentuale davvero irrisoria delle operazioni in partenariato pubblico privato bandite in Italia dal 2002 al 2014 analizzate dal Cresme attraverso un campione significativo. Rientrare nella indicazione europea per cui il privato, nel caso di contratto di concessione, gode di un pieno trasferimento dei poteri assumendosi a pieno responsabilità e rischio operativo sarà per il nostro Paese un passaggio verso la chiarezza.
  Concessioni autostradali. Nella discussione in Commissione con il Governo abbiamo ritenuto di modificare l'obbligo per i soggetti pubblici e privati titolari di concessioni di affidare anziché tutti a gara Pag. 61come aveva stabilito il Senato, i contratti di lavori servizi e forniture per una quota pari all'80 per cento mediante procedura ad evidenza pubblica e riservando il rimanente 20 per cento alla possibilità di gestione in house diretta senza possibilità di affidamento diretto rivolto ad altri soggetti, affidando il controllo e la verifica oltre che al Ministero delle infrastrutture ad ANAC. La scelta equilibrata che innalza comunque la percentuale di lavori in affidamento esterno (oggi la legge prevede 60/40) tiene conto dell'appello che dalle forze sindacali è stato rivolto in difesa del tessuto industriale e della realtà occupazionale costituitasi negli anni a supporto della gestione diretta delle concessionarie.
  Dibattito pubblico. Un importante e strategico elemento per realizzare grandi progetti infrastrutturali e di architettura sociale aventi impatto sull'ambiente, la trasformazione della città o sull'assetto del territorio è rappresentato dalla condivisione e dal coinvolgimento dei cittadini, alla previsione di forme di dibattito pubblico abbiamo ulteriormente specificato l'esigenza di predisporre una procedura per la partecipazione e la consultazione dei cittadini per l'acquisizione dei consensi necessari per la realizzazione di un'opera in tempi certi utile e condivisa stabilendo la pubblicazione on line dei progetti e degli esiti della consultazione pubblica.
  Ritengo questo uno degli elementi qualificanti il provvedimento anche per il segnale molto forte rivolto alle comunità da responsabilizzare nelle scelte per il loro futuro.
  Legge obiettivo. Nella lettura fatta dalla nostra Commissione si è deciso di indicare in maniera molto esplicita la necessità del superamento della Legge obiettivo. La legge 443/2001 la cui evoluzione nel corso degli anni abbiamo avuto modo di monitorare grazie all'ottimo rapporto annuale sullo stato di attuazione del programma ad opera del Servizio Studi della Camera in collaborazione con la ex autorità di vigilanza per i contratti pubblici e con il Cresme, si è rivelata inadeguata rispetto all'obiettivo per cui era stata emanata. Una percentuale di attuazione delle opere dell'8 per cento in 14 anni rende esplicito il convincimento diffuso e da noi fortemente condiviso, non da oggi, di abbandonare uno strumento inadeguato origine di molti problemi anche inerenti la ricerca di deroghe e scorciatoie legislative non rispondenti alle esigenze di efficacia tanto meno di trasparenza e condivisione come molte inchieste della magistratura hanno dimostrato anche recentemente. Superare quella legge anche richiamando il conseguente aggiornamento del piano generale dei trasporti e della logistica, la ridefinizione del documento pluriennale di pianificazione oltre che l'applicazione delle procedure di valutazione ambientale strategica, VAS, e di valutazione di impatto ambientale, VIA, assume un significato molto forte. Chiederemo al Governo di relazionare sulla evoluzione dell'attuazione della legge delega anche alla luce dell'inevitabile fase transitoria per la gestione degli interventi per i quali vi siano obbligazioni giuridiche vincolanti. Alla lista delle 419 opere indicate per un valore di 383 miliardi dovranno sostituirsi un elenco delle opere prioritarie definite «utili al paese» dal Ministro delle Infrastrutture Delrio e condivise con le Regioni italiane cui dovremo anche con il lavoro del Parlamento allocare risorse adeguate e certe per l'attuazione in tempi definiti e con regole ordinarie stabili e trasparenti. Con l'abrogazione della legge obiettivo supereremo anche l'istituto del general contractor le cui disfunzioni sono emerse soprattutto in riferimento alla possibilità di affidamento sulla base di progetti preliminari e sul conferimento degli incarichi di direzione lavori da parte dei soggetti privati. La conseguenza più deleteria di questa forma di contratto è stata la esagerata dimensione del numero di varianti in corso d'opera. Fatti recenti di cronaca hanno dimostrato quanta corruzione si è originata da questa impostazione con grave danno per lo Stato, per i territori e rischi gravi per la sicurezza dei cittadini. La sfida che abbiamo di fronte, cui il Governo ha aderito con convinzione, Pag. 62sarà quella di dimostrare l'inutilità di leggi speciali per la realizzazione di grandi opere.
  Tra le ulteriori disposizioni inserite abbiamo fatto riferimento a specifiche disposizioni relative ai contratti segretati a quelli esclusi dall'applicazione dei decreti legislativi di recepimento ed a quelli speciali ribadendo la esigenza di garantire pur nella distinzione delle specifiche situazioni trasparenza controlli adeguati, rispetto della concorrenza.
  Una specifica ed ordinata disciplina dei contratti sotto soglia potrà facilitare la amministrazione pubblica, soprattutto quella riferibile alle situazioni più fragili, nell'organizzazione della gestione degli affidamenti.
  In definitiva, signor Presidente, con questo provvedimento il Parlamento intende avviare un approccio sostanzialmente diverso da quello tradizionalmente seguito fino ad oggi in Italia. Si è deciso di abbandonare la puntuale regolamentazione molto dettagliata e complessa causa delle ripetute e colpevoli procedure derogatorie per lasciare spazio ad una più semplice e stabile normativa di recepimento delle direttive comunitarie e di riordino complessivo del codice vigente. Di pari passo abbiamo puntato sulla valorizzazione delle stazioni appaltanti attraverso un rafforzamento delle capacità tecniche, della loro maggiore responsabilizzazione ed il potenziamento degli obblighi di trasparenza e di controllo gestionale.
  L'introduzione di strumenti di regolazione flessibile, di infrastrutture informative di supporto ed il ruolo di vigilanza collaborativa di ANAC cui affidiamo assieme a poteri di controllo strumenti efficaci di supporto a misure preventive di aiuto alle stazioni appaltanti con efficacia vincolante permetteranno di completare un quadro di riferimento innovativo sul quale puntiamo per recuperare un divario rispetto all'efficienza della spesa nei contratti pubblici che può ricercare ampi margini di miglioramento.
  La ridotta capacità di realizzazione di opere per date risorse finanziarie deve appartenere ad una storia passata: i difetti della programmazione, l'inefficienza delle procedure di selezione dei progetti, di affidamento dei lavori e di monitoraggio della loro esecuzione non possono continuare a condizionare fattori decisivi per la crescita e lo sviluppo del Paese.
  Una complessiva programmazione finanziaria pluriennale, coerente con i più generali obiettivi di equilibrio della finanza pubblica, è necessaria per garantire la certezza della disponibilità delle risorse e porre un effettivo vincolo di bilancio. Non vorremmo più assistere alla compilazione di elenchi di opere che non potranno essere terminate per mancanza di fondi.
  La riforma dovrà rispondere a queste esigenze, con la delega di recepimento delle direttive consegniamo al Governo principi ed indirizzi per una riformulazione innovativa e coerente tra quanto disposto dall'Unione europea e le specifiche peculiarità del nostro Paese. Abbiamo riservato al Parlamento un doppio passaggio di verifica sui decreti legislativi oltre che un parere sulle linee guida generali. In questo equilibrio con tempi ravvicinati e mi auguro nella collaborazione di tutti i gruppi parlamentari avremo fatto un buon servizio per il futuro del Paese.

  ANGELO CERA, Relatore. Il presente disegno di legge reca la delega al Governo per l'attuazione di tre fondamentali direttive del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014: la direttiva 2014/23/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, la direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici – che abroga la direttiva 2004/18/CE, la direttiva 2014/25/UE sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali – che abroga la direttiva 2004/17/CE.
  Le proposte legislative europee da cui sono scaturite le direttive sono state presentate dalla Commissione europea il 20 dicembre 2011, nel quadro delle iniziative volte a favorire il completamento del mercato unico. Dopo un lungo ed articolato negoziato, le proposte sono state approvate dal Parlamento europeo il 15 gennaio 2014 Pag. 63e dal Consiglio l'11 febbraio 2014. Le direttive sono entrate in vigore il 18 aprile 2014. Gli Stati membri dovranno recepire le disposizioni delle nuove norme nell'ordinamento nazionale entro il 18 aprile 2016.
  La direttiva 2014/24/CE sugli appalti pubblici e la direttiva 2014/25/CE sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, modificano e sostituiscono, rispettivamente, la direttiva 2004/18/CE e la direttiva 2004/17/CE, allo scopo di realizzare una semplificazione e una maggiore flessibilità delle procedure, nonché avvicinare la disciplina dei settori «speciali» a quella dei settori classici.
  Tra le principali novità si segnalano: il crescente ricorso all'autocertificazione, con l'introduzione del documento di gara unico europeo (DGUE); l'introduzione di misure incentivanti l'accesso al mercato da parte delle piccole e medie imprese; l'incentivazione alla suddivisione degli appalti in lotti; la previsione, in riferimento ai requisiti di fatturato, di una regola che impone alle stazioni appaltanti di non introdurre nei bandi soglie minime di fatturato sproporzionate rispetto al valore del contratto (al massimo possono richiedere un fatturato doppio rispetto all'importo a base di gara); la riduzione dei tempi minimi per la presentazione delle offerte da parte delle imprese; l'obbligo, entro un periodo di transizione di 30 mesi, di stabilire la comunicazione integralmente elettronica tra la P.A. e le imprese in tutte le fasi della procedura; l'introduzione di nuove procedure di affidamento che aumentano le possibilità di nego azione tra la P.A. e le imprese in corso di gara, come ad esempio i «partenariati per l'innovazione», che consentono alle autorità pubbliche di indire bandi di gara per risolvere un problema specifico, lasciando spazio alle autorità pubbliche e all'offerente per trovare insieme soluzioni innovative; l'ampliamento delle possibilità di ricorso alla trattativa privata (procedura negoziata senza bando) da parte delle stazioni appaltanti. Solo per i settori ordinari, viene introdotta la procedura competitiva con negoziazione; la possibilità di prevedere il pagamento dei subappaltatori per le prestazioni affidate direttamente da parte dell'autorità aggiudicatrice; l'introduzione, in materia di subappalto di disposizioni più severe sulle «offerte anormalmente basse»; la preferenza, per quanto riguarda i criteri di aggiudicazione nell'assegnazione degli appalti, del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa; si incoraggia, infine, l'uso strategico degli appalti per ottenere merci e servizi che promuovano l'innovazione, rispettino l'ambiente e contrastino il cambiamento climatico, migliorando l'occupazione, la salute pubblica e le condizioni sociali.
  La direttiva 2014/23/CE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, disciplina organicamente un settore finora solo parzialmente regolato a livello UE. L'aggiudicazione delle concessioni di lavori pubblici, infatti, è stata soggetta sinora alle norme di base della direttiva 2004/18/CE, mentre l'aggiudicazione delle concessioni di servizi con interesse transfrontaliero scontava un vero e proprio vuoto giuridico al quale era possibile sopperire solo mediante l'applicazione dei principi contenuti nei Trattati (libera circolazione delle merci, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi, nonché i principi che ne derivano, come la parità di trattamento, la non discriminazione, il mutuo riconoscimento, la proporzionalità e la trasparenza).
  I principali elementi della nuova direttiva sono:
   il principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche nazionali, in base al quale esse possono decidere il modo migliore per gestire l'esecuzione dei lavori e la prestazione dei servizi per garantire in particolare un elevato livello di qualità, sicurezza e accessibilità, la parità di trattamento e la promozione dell'accesso universale e dei diritti dell'utenza nei servizi pubblici, essendo altresì libere di espletare tali compiti direttamente, avvalendosi delle proprie risorse o in cooperazione con altre amministrazioni aggiudicatrici, o di conferirli a operatori economici esterni;Pag. 64
   è fatta salva la libertà, per gli Stati membri, di definire, in conformità del diritto dell'Unione, i servizi d'interesse economico generale, mentre la direttiva esclude dal suo campo di applicazione i servizi non economici d'interesse generale;
   è stabilita la definizione di concessione e la sua specificità rispetto a quella di appalto pubblico (per concessione deve intendersi un contratto a titolo oneroso, concluso per iscritto per mezzo del quale una o più amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori affidano l'esecuzione di lavori o la fornitura e la gestione di servizi a uno o più operatori economici il cui corrispettivo consiste unicamente nel diritto di gestire i lavori o i servizi che sono oggetto del contratto o in tale diritto accompagnato da un prezzo). L'aggiudicazione di una concessione di lavori o di servizi comporta il trasferimento al concessionario di un rischio operativo legato alla gestione dei lavori o dei servizi, comprendente un rischio sul lato della domanda o sul lato dell'offerta, o entrambi; la parte del rischio trasferito al concessionario deve comportare una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato, per cui ogni potenziale perdita stimata subita dal concessionario non sia puramente nominale o trascurabile;
   la direttiva si applica alle concessioni di lavori o di servizi il cui valore è pari o superiore a 5.186.000 euro (salva verifica biennale). Non mancano numerosi casi di esclusione dal campo di applicazione della direttiva, come le concessioni aggiudicate in base a norme sugli appalti pubblici previste da un'organizzazione internazionale o da un'istituzione internazionale di finanziamento, le concessioni nei settori della difesa e della sicurezza di cui alla direttiva 2009/81/CE, le concessioni di servizi di media audiovisivi o radiofonici, di protezione civile, aventi ad oggetto campagne politiche, servizi di arbitrato e di conciliazione ed altri servizi legali, le concessioni nel settore delle acque, le concessioni in house.

  L'oggetto della delega legislativa impatta direttamente con la procedura di evidenza pubblica per la contrattualistica volta all'affidamento di lavori, servizi e forniture. La Corte costituzionale (sentenze 401/2007 e 160/2009) ha affermato che, in relazione a tale momento procedimentale, il titolo di legittimazione prevalente che viene in rilievo è costituito dalla tutela della concorrenza, di competenza legislativa esclusiva statale ex articolo 117, secondo comma, lettera e), Cost.
  Il recepimento della nuova normativa europea costituisce sicuramente un'importante occasione per rivedere e razionalizzare la materia nel suo complesso, al fine di creare un sistema più snello, trasparente ed efficace, necessario per garantire la certezza giuridica nel settore e assicurare un'effettiva concorrenza e condizioni di parità tra gli operatori economici.
  In linea con la normativa europea, la nuova disciplina sarà improntata alle seguenti direttrici: certezza giuridica, pubblicità e trasparenza, snellezza, tutela giuridica, tenendo conto delle migliori pratiche adottate in altri Paesi dell'Unione europea, secondo un approccio alla disciplina degli appalti e delle concessioni di tipo sostanzialmente diverso da quello previsto nell'attuale contesto normativo, sistema che ha dato luogo ad un notevole contenzioso, senza ottenere, di converso, risultati evidenti in termini di efficacia ed efficienza delle procedure di affidamento, con conseguente danno per la finanza pubblica e per la qualità dei servizi offerti. La scarsa efficienza che ne deriva per il sistema è testimoniata, tra l'altro, dai continui interventi legislativi (nell'ordine di centinaia) effettuati in materia a partire I dall'adozione del Codice dei contratti pubblici del 2006, dovuti anche alla eccessiva regolamentazione prodotta, che necessita di continui aggiustamenti e deroghe.
  Nella formulazione approvata da ultimo il 30 settembre scorso dalla Commissione Ambiente e Lavori Pubblici sono state introdotte ulteriori importanti modifiche al testo di delega licenziato dal Senato il 18 giugno 2015, con cui era stato già ampiamente revisionato ed integrato il testo originariamente approvato dal Governo Pag. 65il 29 agosto 2014, su proposta del Ministro pro tempore Maurizio Lupi.
  In particolare, il Governo è delegato ad adottare, entro il 18 aprile 2016 (nel rispetto quindi dei tempi dettati dall'Europa) un decreto legislativo per l'attuazione delle citate direttive del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, nonché, questa volta entro il 31 luglio 2016, un decreto legislativo per il riordino complessivo della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234.
  Oltre al suddetto sdoppiamento dei termini di attuazione della delega tra le novità del testo sono particolarmente meritorie di segnalazione:
   l'introduzione dell'espresso divieto di procedure di affidamento derogatorie rispetto a quelle ordinarie (lett. d) ed indicazione della disciplina applicabile agli appalti sotto soglia e dei settori speciali (lett. e-bis e e-ter);
   norme di facilitazione dell'accesso al mercato per le piccole e medie imprese (lett. f e m);
   disciplina specifica per i contratti della protezione civile e i contratti segretati (lett. g e g-bis) nonché per le acquisizioni CONSIP (lett. u);
   il trasferimento dell'incentivo del 2 per cento per i dipendenti della PA dalla progettazione alla fase di programmazione e predisposizione delle gare ed a quella di controllo, con la previsione di sanzioni in caso di non controllo e inadempimenti (lett. ii);
   la riduzione del numero delle stazioni appaltanti da 36.000 a 200, che avverrà anche attraverso lo strumento delle unioni dei comuni (lett. v);
   la previsione di una specifica disciplina per le concessioni industriali in autoconsumo da fonti rinnovabili;
   norme di tutela per l'accesso delle persone disabili alle specifiche tecniche degli appalti (lett. b-bis);
   l'obbligo per le concessionarie autostradali di affidare con gara l'80 per cento dei lavori (lett. aaa);
   una disciplina specifica per il subappalto, avente ad oggetto: l'obbligo per il concorrente di indicare in sede di offerta le parti del contratto che intende subappaltare; l'espressa individuazione dei casi specifici in cui vige l'obbligo di indicare, in sede di offerta, una terna di nominativi di subappaltatori per ogni tipologia di attività prevista in progetto; l'obbligo di dimostrare l'assenza in capo ai subappaltatori indicati di motivi di esclusione e di sostituire i subappaltatori relativamente ai quali apposita verifica abbia dimostrato la sussistenza di motivi di esclusione; l'obbligo per la stazione appaltante di procedere al pagamento diretto dei subappaltatori in caso di inadempimento da parte dell'appaltatore o anche su richiesta del subappaltatore e se la natura del contratto lo consente, per i servizi, le forniture o i lavori forniti (nuova lett. hhh);
   aggiornamento della norma sul dibattito pubblico, prevedendo l'introduzione di forme di dibattito pubblico delle comunità locali dei territori interessati dalla realizzazione di grandi progetti infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale aventi impatto sull'ambiente, la città o sull'assetto del territorio, nonché previsione di una procedura di partecipazione del pubblico, di acquisizione dei consensi necessari per realizzare un'opera in tempi certi, utile e condivisa stabilendo la pubblicazione online dei progetti e degli esiti della consultazione pubblica (nuova lett. ggg);
   il superamento della legge Obiettivo (lett. iii-bis), non dunque l'espressa abrogazione occorre rimarcare, con effetto dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di riordino, prevedendo l'aggiornamento e la revisione del Piano generale Pag. 66dei Trasporti e della logistica approvato nel marzo 2001, la riprogrammazione dell'allocazione delle risorse alle opere in base ai criteri individuati nel Documento Pluriennale di pianificazione (DPP), previsto dall'articolo 2 del decreto legislativo 29 dicembre 2011, n. 228, nonché l'applicazione delle procedure di valutazione ambientale strategica (VAS) e di valutazione di impatto ambientale (VIA) di cui alla parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, con la previsione di norme di coordinamento e transitorie per gli interventi per i quali vi siano obbligazioni giuridiche vincolanti.

  Tra le novità principali va segnalato il superamento, altresì, del Regolamento di attuazione del Codice degli appalti (soppressione delle lett. iii) e mmm), che verrà sostituito da una soft law data da linee guida dell'ANAC, in collaborazione col MIT. Si ricorda che la sostituzione dell'attuale impianto normativo del Codice dei contratti pubblici avverrà in due fasi: dapprima verrà adottato un decreto legislativo finalizzato al recepimento della disciplina europea che disporrà l'abrogazione della normativa nazionale vigente incompatibile, successivamente verrà adottato un secondo decreto legislativo che provvederà al riordino e alla redazione del nuovo codice degli appalti pubblici che comprenderà il decreto di recepimento delle direttive ed eventuali disposizioni correttive ed integrative.
  Tra i principi confermati nel testo Governo, come integrato dal Senato, per le finalità esposte e per indirizzare il legislatore delegato nel recepimento della normativa europea, tra i principi ed i criteri direttivi specifici, viene ribadito il criterio secondo cui negli atti di recepimento non siano introdotti livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse (cfr. articolo 14, commi 24-bis, 24-ter e 24-quater della legge 28 novembre 2005, n. 246, direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 16 gennaio 2013, che disciplina le modalità con cui le amministrazioni statali assicurano il rispetto dei «livelli minimi di regolazione previsti dalle direttive europee» nonché l'articolo 32, comma 1, lett. c), legge 24 dicembre 2012, n. 234). Si tratta del cosiddetto divieto di goldplating, tanto dibattuto a livello europeo, posto al fine di evitare che gli Stati membri introducano regole che comportino costi e oneri aggiuntivi per le imprese ed i cittadini, maggiori rispetto a quelli già previsti dal legislatore comunitario (lett. a).
  Nel disegno di legge di delega viene, inoltre, previsto che il Governo proceda allo svolgimento delle consultazioni con le principali categorie di soggetti pubblici e privati destinatari della nuova normativa. La delega affida alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e sentita l'ANAC, lo svolgimento delle consultazioni.
  Confermate, ovviamente, altresì le scelte di politica di trasparenza e anticorruzione con ulteriore rafforzamento dei poteri conferiti all'Autorità Nazionale Anticorruzione: alle precedenti funzioni di vigilanza si affiancano, infatti, poteri di controllo, raccomandazione, intervento cautelare e sanzionatorio, nonché di adozione di atti di indirizzo, anche dotati di efficacia vincolante (lett. l). Dunque, l'ANAC non avrà più solo una funzione di vigilanza, ma anche di regolazione del settore degli appalti pubblici e delle concessioni. Tale nuova funzione, peraltro, è ulteriormente accentuata dall'affidamento, all'Autorità, della gestione di un sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti, volto a valutarne la capacità tecnico-organizzativa in base a parametri oggettivi, ai fini di una razionalizzazione delle procedure di spesa, nonché della gestione di un elenco dei componenti delle commissioni giudicatrici di appalti pubblici, al fine di garantirne la moralità, la competenza e la professionalità.
  Confermato ovviamente altresì che a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, è comunque vietata negli appalti pubblici di lavori, affidati a Pag. 67contraente generale ai sensi dell'articolo 176 del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, l'attribuzione di compiti di responsabile o di direttore dei lavori allo stesso contraente generale. Il suddetto divieto si applica anche alle procedure di appalto già bandite alla data di entrata in vigore della legge, incluse quelle già espletate per le quali la stazione appaltante non abbia ancora proceduto alla stipulazione del contratto con il soggetto aggiudicatario (comma 7).