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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 391 di venerdì 13 marzo 2015

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PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARINA SERENI

  La seduta comincia alle 9,30.

  RAFFAELLO VIGNALI, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Baretta, Michele Bordo, Brunetta, Capezzone, Dadone, Dambruoso, Damiano, De Girolamo, Di Lello, Epifani, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Giancarlo Giorgetti, Manciulli, Pes, Pisicchio, Portas, Rampelli, Realacci, Sanga, Sani, Scotto, Speranza, Tabacci e Valeria Valente sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente ottantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

  Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 9,35).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Intendimenti del Governo in ordine all'eventuale impugnazione della legge elettorale della regione Umbria – n. 2-00872)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Galgano n. 2-00872, concernente intendimenti del Governo in ordine all'eventuale impugnazione della legge elettorale della regione Umbria (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo alla deputata Galgano se intenda illustrare la sua interpellanza.

  ADRIANA GALGANO. Sì. Grazie, signora Presidente. Sottosegretario, la nostra interpellanza riguarda la legge elettorale recentemente approvata in Umbria e parte da una considerazione molto importante: in Italia abbiamo sperimentato, negli anni trascorsi, instabilità e turbolenze causate da quella che si diceva in gergo giornalistico «la dittatura della minoranza», nel senso che le minoranze hanno sempre avuto un grande potere. Ora, la nostra preoccupazione è che per sanare questa anomalia della democrazia italiana passiamo a una situazione altrettanto deplorevole, ovvero che mandiamo una minoranza a governare, perché nel momento in cui consentiamo che si approvino, nel nostro Paese, leggi elettorali che consentono ad una forza politica che ha un voto in più delle altre e quindi potrebbe andare a governare con il 15-20 per cento, la domanda che ci dobbiamo fare tutti è che legittimità avrebbero decisioni prese da forze politiche che vanno su con un limitato consenso da parte degli elettori. Questa è la grande domanda politica da farci, prima che affrontare le considerazioni tecniche, che arrivano subito dopo. C’è Pag. 2stata una sentenza della Corte costituzionale, nel 2014, la n. 1, che dice che le leggi elettorali che riguardano il sistema proporzionale e che non hanno l'indicazione di una soglia sono lesive del diritto elettorale dei cittadini. Nella nostra regione, quindi in Umbria, è stata approvata una legge elettorale che appunto prevede il sistema di voto proporzionale e non ha una soglia, e quindi ricade specificatamente nello stesso settore di deliberazione della sentenza della Corte costituzionale. Prima di me, hanno presentato un'interrogazione al question time i deputati Gallinella e Ciprini – del MoVimento 5 Stelle – che sempre vengono dall'Umbria, e il Ministro Boschi, che ovviamente aveva avuto pochi giorni per guardare la questione, ha asserito che sembrava che non esistessero requisiti di incostituzionalità, perché la sentenza della Corte costituzionale faceva riferimento alla legge a livello nazionale, e non regionale. Io sono in Giunta delle elezioni e in quest'ultimo anno abbiamo avuto audizioni di esimi costituzionalisti sull'argomento, e i costituzionalisti non hanno fatto alcuna differenza tra livello regionale e livello nazionale, perché è chiaro che l'articolo della Costituzione, che dice che il voto è personale ed eguale si riferisce sia agli elettori in regione, sia agli elettori a livello nazionale.
  Quindi noi chiediamo al Governo di intervenire e di impugnare la legge elettorale, per evitare che succeda, come è successo con il Porcellum, che per anni i cittadini italiani sono andati a votare con una legge elettorale che ledeva i loro diritti costituzionali.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Gianclaudio Bressa, ha facoltà di rispondere.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, l'interpellanza, così come è stata puntualmente illustrata dall'onorevole Galgano, pone una questione dal punto di vista della dottrina, e se vogliamo anche, viste le sue premesse, della scienza della politica, molto interessante. Pur nella ristrettezza dei tempi, cercherò di argomentare, avendo io avuto più tempo del Ministro Boschi per approfondire il tema, il perché le cose già anticipate dal Ministro Boschi sono fondate.
  Comincio con una prima osservazione fatta sulla premessa che l'onorevole Galgano ha fatto, relativamente al tema della dittatura della minoranza e della possibilità che per effetto di una legge elettorale si mandi una minoranza a governare. Come l'onorevole Galgano sa, ad ogni forma di Governo corrisponde una serie di ipotesi di modelli di legge elettorale, che devono avere un'unica caratteristica per essere costituzionalmente legittimi: quella di garantire la rappresentanza, di garantire la formazione di possibili maggioranze (soprattutto se abbiamo a che fare con regimi di carattere presidenziale questo aspetto è più rilevante che non nei casi di Governi parlamentari) e soprattutto devono essere tali da non consentire che chi rappresenti significativamente qualche cosa nel Paese non possa trovare posto nell'ente, nell'istituzione per la quale si è candidato.
  Noi abbiamo modelli in tutto il mondo in cui quella che lei ha definito come una possibile stortura, e cioè una minoranza che governa, sono molteplici: il sistema elettorale britannico, il sistema elettorale francese, il sistema elettorale statunitense. Io vorrei ricordare il caso clamoroso di una mancata elezione di un Presidente che aveva avuto più voti popolari e meno grandi elettori, per cui fu eletto Bush come Presidente della Repubblica; esempi di questo tipo ne abbiamo molti. L'importanza è che i sistemi elettorali abbiano una loro armonia e siano sostanzialmente riferibili all'istituzione che sono chiamati a rappresentare.
  E qui veniamo al merito tecnico, come l'ha definito l'onorevole Galgano. L'interpellanza pone il problema che la legge elettorale dell'Umbria manifesta evidenti profili di illegittimità costituzionale, soprattutto nella parte che prevede l'assegnazione Pag. 3del premio di maggioranza del 60 per cento alla coalizione che consegue un solo voto in più rispetto alle altre, senza fissare una soglia minima di voti; e richiama a sostegno di tale tesi la sentenza n. 1 del 2014 della Corte costituzionale, quella che ha dichiarato incostituzionale la legge elettorale nazionale comunemente definita il Porcellum.
  Prima di entrare nel merito è però importante fare una premessa. L'articolo 122, comma quinto della Costituzione, recita: «Il presidente della giunta regionale, salvo che lo Statuto disponga diversamente, è eletto a suffragio universale e diretto». Siamo di fronte ad una forma di Governo diversa da quella parlamentare, con caratteristiche tipiche della forma di Governo presidenziale.
  L'esempio più tipico di questa forma di Governo presidenziale lo troviamo poco più avanti, al terzo comma dell'articolo 126 della Costituzione, dove si teorizza il principio simul stabunt simul cadent. Rispetto, allora, a questo modello assunto dalla Costituzione e a questa forma di Governo, la legge elettorale regionale deve essere orientata a garantire questo tipo di modello, così come del resto è testimoniato dalla legge statale, per quanto cedevole, ma pur sempre legge statale, in materia di elezioni regionali, la legge 23 febbraio 1995, n. 43, la famosa «legge Tatarella», che prevede un premio di maggioranza senza la definizione di un quorum minimo per l'attribuzione dello stesso.
  Fatta questa premessa, è però utile rifarsi alla sentenza n. 1 del 2014, come ha giustamente richiamato l'onorevole Galgano, e più precisamente al punto 3.1 del considerato in diritto, quando si affronta il tema del raggiungimento di una soglia minima per l'attribuzione del premio di maggioranza, affermando che le norme dichiarate illegittime, leggo dalla sentenza, «non impongono il raggiungimento di una soglia minima di voti alla lista (o coalizione di liste) di maggioranza relativa dei voti». «Risulta palese che in tal modo esse consentono una illimitata compressione della rappresentatività dell'assemblea parlamentare, incompatibile con i principi costituzionali in base ai quali le assemblee parlamentari sono sedi esclusive della rappresentanza politica nazionale», si fondano sull'espressione del voto e quindi della sovranità popolare, ed in virtù di ciò ad esse sono affidate funzioni fondamentali, dotate di una caratterizzazione tipica ed infungibile» e qui viene richiamata la sentenza n. 106 del 2002 «fra le quali vi sono, accanto a quelle di indirizzo e controllo del Governo, anche le delicate funzioni connesse alla stessa garanzia della Costituzione», (articolo 138): «ciò che peraltro distingue il Parlamento da altre assemblee rappresentative di enti territoriali». Ripeto, questa è la sentenza che voi avete richiamato, «ciò che peraltro distingue il Parlamento da altre assemblee rappresentative di enti territoriali».
  Ma allora, vediamo questa sentenza n. 106 del 2002, che è stata richiamata dalla sentenza n. 1 del 2014. Il Relatore di questa sentenza è stato Carlo Mezzanotte, e devo dire è una sentenza per molti aspetti memorabile perché, anche se incidentalmente, dà l'esatta definizione di cosa sia il Parlamento nazionale. Questa è una sentenza che affrontava un giudizio per conflitto di attribuzioni a seguito della delibera del consiglio regionale della Liguria che voleva istituire il Parlamento della Liguria. Sono due in particolare i punti che rilevano, il primo, la conclusione del punto 3 del considerato in diritto, in cui si sostiene che «non è il principio di sovranità popolare a poter fondare un'attribuzione costituzionale all'uso esclusivo della denominazione Parlamento», che è propedeutico a comprendere la portata della conclusione del punto 4, che poi è quella richiamata dalla sentenza n. 1 del 2014 da voi ricordata. Cito testualmente anche in questo caso: conviene «individuare gli elementi che giustifichino la diversa denominazione costituzionale, ed è fin troppo agevole», «rilevare che il termine Parlamento rifiuta di essere impiegato Pag. 4all'interno di ordinamenti regionali». Qui viene l'aspetto fondamentale della sentenza: «Ciò non per il fatto che l'organo al quale esso si riferisce ha carattere rappresentativo ed è titolare di competenze legislative, ma in quanto solo il Parlamento è sede della rappresentanza politica nazionale», «la quale imprime alle sue funzioni una caratterizzazione tipica ed infungibile» ed è esattamente quello che il Presidente Tesauro ha ricordato nella sua sentenza n. 1. «In tal senso il nomen Parlamento non ha un valore puramente lessicale, ma possiede anche una valenza qualificativa, connotando, con l'organo, la posizione esclusiva che esso occupa nell'organizzazione costituzionale». Ripeto, «la posizione esclusiva che esso occupa nell'organizzazione costituzionale». «Ed è proprio la peculiare forza connotativa della parola ad impedire ogni sua declinazione intesa a circoscrivere in ambiti territorialmente più ristretti quella funzione di rappresentanza nazionale che solo il Parlamento può esprimere e che è ineluttabilmente evocata» dal relativo nomen.
  E qui abbiamo, in qualche modo, definito una cosa fondamentale: che il Parlamento e i consigli regionali sono cose profondamente diverse, e questo per effetto della giurisprudenza costituzionale, onorevole Galgano. Poco contano le audizioni di illustrissimi professori di diritto costituzionale, che possono esprimere un parere della dottrina. Quello che io ho citato è la giurisprudenza consolidata che, lei sa, ha un valore piuttosto pregnante e significativo nel nostro ordinamento.
  Quindi, è arbitrario, oltre che infondato costituzionalmente, trasferire gli effetti di una sentenza costituzionale, che riguarda la legge elettorale per il Parlamento nazionale, su una qualsivoglia legge elettorale regionale, nel caso di specie quella della regione Umbria.
  Ma c’è un'ulteriore considerazione: quando, nel 1999 fu modificata la forma di governo delle regioni, con la legge costituzionale n. 1 del 1999, si introdusse il sistema presidenziale con l'articolo 122, ultimo comma, e si lasciò alla potestà della regione, attraverso l'approvazione dello statuto, la facoltà di conformarsi a tale modello o di cambiarlo (articolo 123). Ma la legge costituzionale n. 1 del 1999 ha previsto anche una disposizione transitoria per consentire le elezioni anche in caso di mancata approvazione degli statuti regionali e lo ha fatto in modo chiaro, senza possibilità di equivoci interpretativi.
  Le leggo l'articolo 5 della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1, che recita: «Disposizioni transitorie. Fino alla data di entrata in vigore dei nuovi statuti regionali e delle nuove leggi elettorali (...) l'elezione del presidente della giunta regionale è contestuale al rinnovo dei rispettivi consigli regionali e si effettua con le modalità previste dalle disposizioni di legge ordinaria vigenti in materia di elezione dei consigli regionali», cioè la «legge Tatarella».
  Si è proceduto, cioè, attraverso quella legge costituzionale – stiamo parlando di una legge costituzionale – a costituzionalizzare – e uso un termine improprio dal punto di vista della dottrina, ma per capirci meglio, il «Tatarellum» – cioè, a prevedere una legge maggioritaria senza alcuna soglia, ed è una legge costituzionale che lo prevede per l'elezione dei consigli regionali. In qualche modo questa scelta, fatta dal legislatore nazionale, ha poi condizionato tutte le leggi regionali elettorali che si sono ispirate a questo modello presidenziale.
  Tutto ciò considerato, il Governo ritiene che la legge regionale elettorale dell'Umbria non abbia profili di illegittimità costituzionale e che rientri pienamente nei parametri di discrezionalità propri del legislatore regionale che, ai sensi dell'articolo 122, primo comma, della Costituzione, è chiamato a dotarsi di un sistema elettorale proprio, che presuppone, inevitabilmente, anche scelte di natura essenzialmente politica, come quella di incentivare la formazione di ampie coalizioni di governo.Pag. 5
  Da ultimo, sui rilievi relativi alla sproporzione dell'attribuzione del 60 per cento dei seggi al vincitore, va sottolineato che è esattamente l'entità del premio di maggioranza previsto dalla legge vigente per l'elezione del sindaco e dei consigli nei comuni con popolazione superiore a 15 mila abitanti, e a nulla rileva, in questo caso, la diversa modalità di elezione, perché stiamo parlando sempre di garantire maggioranze, per governare, tali da non inibire la presenza di minoranze consiliari rappresentative.
  Per questi motivi, il Governo conferma quanto anticipato dal Ministro Boschi, e non rileva elementi di illegittimità costituzionale nella legge elettorale dell'Umbria e, pertanto, non intende impugnare tale legge dinanzi alla Corte costituzionale.

  PRESIDENTE. La deputata Galgano ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  ADRIANA GALGANO. Presidente, signor sottosegretario, io la ringrazio per il lungo excursus giuridico che lei ha fatto e per lo studio che questo sottende, rispetto alla risposta, sicuramente ragionata. Però, le dico che, prima che come legislatore, come politica e cittadino elettore sono esterrefatta, perché voglio prima fare delle valutazioni sulle sue prime considerazioni. Lei mi ha parlato dei sistemi statunitense, francese e inglese. Io sono d'accordo con lei che quei sistemi funzionano in maniera diversa dal nostro, ma quei sistemi non hanno come riferimento la Costituzione italiana e, quindi, non possono essere portati a paragone.
  Possono sicuramente entrare nel dibattito politico che noi possiamo fare, ma certamente non hanno attinenza con la nostra interpellanza. Questa è la prima considerazione.
  La seconda considerazione che io faccio è relativa alla seconda parte del suo excursus, per cui organismi nazionali e organismi regionali debbano fare riferimento a norme diverse. Allora, un elettore, se è un elettore a livello regionale, ha dei diritti diversi rispetto a un elettore a livello nazionale ? Io desidero ricordare in quest'Aula – e lo faccio con l'emozione che mi deriva dal fatto di fare una cosa molto significativa, per cui molti italiani hanno dato la vita, ossia i valori della nostra Costituzione – che il voto è personale ed uguale, libero e segreto, e la mancanza di soglia dice, per quanto riguarda la legge nazionale, che contrasta con questo articolo. E la risposta del Governo è che a livello regionale questo non conta ?
  Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso; è questo a cui noi vi chiediamo di rispondere, non certo a tutta una serie di leggi che dicono che Parlamento e consiglio regionale sono entità diverse. Io posso anche essere d'accordo con lei, ma non è questo il punto. Il punto è quanto il diritto alla rappresentanza può essere compresso da esigenze di governabilità, e a questo la Corte costituzionale, con la sentenza n. 1 del 2014, ha dato una risposta precisa. Quindi, è chiaro che le nostre visioni a questo proposito non collimano. Quindi, adesso le dico che su Il Messaggero di oggi della regione Umbria sono stata definita la Don Chisciotte della legge elettorale, ma io sono certa di rappresentare in quest'Aula dei profondi valori che hanno ispirato la democrazia italiana.
  Quindi, prendo atto della sua risposta, della quale sono profondamente insoddisfatta e ci rivedremo dopo che avremo ricorso in tribunale.
  Voglio solo fare una considerazione conclusiva sulle affermazioni del presidente della Corte costituzionale Criscuolo, il quale chiedeva al Parlamento di ripensare rispetto all'esigenza di un parere preventivo su una legge elettorale approvata. Io penso che non ci sia bisogno di ripensarci e penso che sia molto corretto che la Corte costituzionale valuti la legittimità costituzionale di una legge prima che sia approvata, per garantire a tutti i cittadini, siano essi elettori di organismi nazionali o elettori di organismi regionali, di godere degli stessi diritti che attribuisce loro la Costituzione.

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(Intendimenti del Governo in ordine all'avvio di un confronto con la regione Lombardia per l'individuazione di particolari forme di autonomia e iniziative di competenza in relazione al referendum consultivo recentemente indetto dalla regione Lombardia – n. 2-00874)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Gasparini n. 2-00874, concernente intendimenti del Governo in ordine all'avvio di un confronto con la regione Lombardia per l'individuazione di particolari forme di autonomia e iniziative di competenza in relazione al referendum consultivo recentemente indetto dalla regione Lombardia (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo alla deputata Gasparini se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  DANIELA MATILDE MARIA GASPARINI. Grazie Presidente, con l'interpellanza che vado ad illustrare chiediamo al Governo di aprire un confronto con i rappresentanti del governo regionale lombardo per rendere possibile il regionalismo differenziato, evitando un inutile spreco di tempo e di denaro pubblico, a causa della procedura che la stessa regione Lombardia ha inteso avviare per poter acquisire ulteriori forme e condizioni di autonomia legislativa.
  Illustro i fatti. La regione Lombardia, nella seduta del 17 febbraio 2015, ha indetto un referendum consultivo concernente l'attribuzione di ulteriori forme di autonomia, ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, prevedendo una spesa di 30 milioni di euro.
  Il quesito che si intende sottoporre al voto dei cittadini lombardi è il seguente: «Volete voi che la regione Lombardia, in considerazione delle sue specialità, nel quadro dell'unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l'attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all'articolo richiamato ?».
  Sottolineo, anche da cittadina lombarda, che non si ritiene coerente e corretto chiamare i cittadini ad esprimersi su un'ipotesi senza che sia detto loro quali materie si intendono acquisire. Più autonomia vuole dire anche più responsabilità, non solo per gli organi istituzionali, ma anche la modifica del rapporto dei cittadini e delle imprese con Stato e regioni.
  Il quesito referendario non chiarisce le materie che il consiglio regionale intende proporre al Governo per l'intesa, lasciandole vaghe e indeterminate, e riservandosi un'autonomia di scelta in contrasto con lo stesso articolo 52 dello statuto regionale, che regola l'indizione dei referendum consultivi. Lo statuto regionale, infatti, regola la possibilità di indire referendum consultivi se vertono «su questioni di interesse regionale o su provvedimenti interessanti popolazioni determinate». Così come è stato formulato il quesito, a mio parere, non emergono le questioni di interesse regionale e delle popolazioni per cui chiedere l'intesa, sottraendo così ai cittadini chiamati ad esprimersi di valutare il merito della proposta.
  Inoltre, evidenzio che la stessa regione Lombardia aveva già approvato, il 3 aprile 2007, la deliberazione n. VIII/367, pubblicata sul bollettino della regione stessa, che impegnava il presidente della regione ad avviare il confronto con il Governo per definire e sottoscrivere un'intesa, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione; proposta che si è arenata nei faldoni del Governo di centrodestra di cui lo stesso presidente Roberto Maroni era componente, anche a causa della complessità della procedura di attuazione dell'articolo 116 dell'attuale Costituzione.
  Non a caso, con la legge di stabilità per il 2014, il Parlamento ha inteso superare la rigidità della procedura, introducendo Pag. 7un'importante novità. All'articolo 1, comma 571, di quella legge ha, infatti, stabilito che, anche ai fini di coordinamento della finanza pubblica, il Governo si attiva sulle iniziative delle regioni presentate al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per gli affari regionali ai fini dell'intesa ai sensi dell'articolo 116 della Costituzione nel termine di 60 giorni dal ricevimento.
  Tutto ciò premesso, non può ovviamente sfuggire che siamo in una fase di riforma della Costituzione e che l'articolo 116, secondo comma, come novellato dal disegno di legge costituzionale appena approvato dalla Camera, introduce una nuova disciplina del regionalismo differenziato, che consente alle regioni a statuto ordinario di acquisire forme e condizioni di autonomia legislativa con una procedura semplificata, in quanto l'attribuzione delle forme speciali di autonomia avviene con legge approvata da entrambe le Camere, senza, però, richiedere più la maggioranza assoluta dei componenti.
  Ovviamente, questa modifica entrerà in vigore nel momento dell'approvazione finale della riforma costituzionale, ma l'iter per l'intesa e per definire una proposta di legge potrebbe coincidere con l'approvazione definitiva della riforma. Le materie oggetto dell'intesa tra Stato e regioni potrebbero essere quelle previste con la riforma costituzionale in itinere.
  Le leggo: istruzione, ordinamento scolastico, istruzione universitaria, ricerca scientifica e tecnologica, politiche attive del lavoro, istruzione e formazione professionale, tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici, ambiente ed ecosistema, ordinamento sportivo, governo del territorio, attività culturali, turismo, organizzazione della giustizia di pace.
  Le ho lette anche perché in quest'Aula vi è stato un forte dibattito, in queste settimane e in questi mesi, per quanto riguarda la modifica dell'articolo 117 e la limitazione delle materie concorrenti. Nel rileggere i risultati di questo dibattito, credo che le materie che possono essere considerate materie da destinare anche alle regioni, in un regionalismo differenziato, siano di grande importanza e di grande valore autonomistico.
  Si chiede al Governo, anche in considerazione dell'ordine del giorno che abbiamo appena approvato alla Camera in cui si impegna il Governo a favorire e promuovere l'attivazione del regionalismo differenziato, di aprire subito un confronto con la regione Lombardia, affinché si possa procedere subito alla verifica della fattibilità dell'attribuzione di ulteriori autonomie legislative.
  Si chiede, inoltre, di verificare se nell'autonomia delle regioni rientri la possibilità di avviare un referendum consultivo per l'attuazione dell'articolo 116, senza avere sentito preventivamente gli enti locali, così come indica la norma.
  Concludo soltanto con una mia considerazione. Io credo che oggi, in questa situazione economica, spendere 30 milioni di euro per un referendum consultivo sia un inutile spreco di denaro pubblico. Personalmente, credo che questi soldi sarebbe meglio utilizzarli per sostenere il riordino delle autonomie locali, le unioni e le fusioni dei comuni, le città metropolitane e le aree vaste. Certo, questa è una mia considerazione, ma credo che, trattandosi di denaro dei cittadini, sia giusta anche una critica in questo senso.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Gianclaudio Bressa, ha facoltà di rispondere.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Grazie Presidente. Come illustrato dall'onorevole Gasparini, che interpella a nome di un nutrito gruppo di deputati della Lombardia, il Governo viene interpellato in relazione al fatto che il 17 febbraio di quest'anno il consiglio regionale della Lombardia ha assunto la seguente delibera: indizione di referendum consultivo, concernente l'iniziativa per l'attribuzione alla regione Lombardia di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.Pag. 8
  Si legge nella delibera: il consiglio regionale della Lombardia, sottolineato che l'autonomia politica e amministrativa delle regioni è un valore di rango costituzionale, sancito dall'articolo 114; ritenuta l'opportunità, ormai indifferibile, nella prospettiva di un rafforzamento delle prerogative autonomistiche spettanti alla regione e di riconduzione a un modello federale concreto di amministrazione e di gestione, di procedere all'indizione di un referendum consultivo, a base territoriale regionale, volto a domandare alla popolazione lombarda se la regione Lombardia debba intraprendere o meno iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l'attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione; delibera: di indire referendum per l'espressione del voto sul seguente quesito «Volete voi che la regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell'unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l'attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all'articolo richiamato ?».
  È del tutto evidente l'irritualità di questo procedimento che – e lo dico tra virgolette – «innova» la procedura costituzionale dell'articolo 116, terzo comma, ma che proprio per questa sua irritualità pone una serie di questioni molto rilevanti anche sul piano della legittimità del provvedimento stesso.
  Cercherò di rispondere in estrema sintesi, ma devo evidenziare i problemi anche di carattere costituzionale che la delibera del consiglio regionale della Lombardia pone. Il primo: l'assoluta indeterminatezza del quesito formulato. C’è una sentenza della Corte costituzionale, n. 16 del 1978, relatore Livio Paladin, che in materia di referendum ha fatto scuola. Infatti, in questa sentenza si sostengono alcune questioni che sono poi state quelle che hanno orientato i pareri della Corte relativamente all'ammissibilità o meno dei referendum.
  Inoltre, il quesito deve essere formulato in termini semplici e chiari. Se è vero che il referendum non è fine a se stesso, ma tramite della sovranità popolare, occorre che i quesiti posti agli elettori siano tali da esaltare e non da coartare le loro possibilità di scelta.
  Terzo, ed è il passaggio più importante di tutti e cito testualmente dalla sentenza: la sovranità del popolo non comporta la sovranità dei promotori e il popolo stesso deve essere garantito nell'esercizio del suo potere sovrano. Uno strumento essenziale di democrazia diretta non può essere infatti trasformato insindacabilmente in un distorto strumento di democrazia rappresentativa, mediante il quale si vengano in sostanza a proporre plebisciti o voti popolari di fiducia, nei confronti di complessive inscindibili scelte politiche dei partiti o dei gruppi organizzati che abbiano assunto e sostenuto le iniziative referendarie.
  Vi è un secondo problema, sempre di rilevanza costituzionale. È quello che si desume dalla sentenza n. 470 del 1992, relatore Cheli, che riprende la sentenza n. 256 del 1989, relatore Francesco Greco.
  In questa sentenza, cito dalla n. 470, si dice: «Un referendum consultivo quale quello previsto dalla delibera in esame,» – qui si trattava di una delibera della regione Veneto – «per quanto sprovvisto di efficacia vincolante, non può non esercitare la sua influenza, di indirizzo e di orientamento, oltre che nei confronti del potere di iniziativa spettante al consiglio regionale, anche nei confronti delle successive fasi del procedimento di formazione della legge statale, fino a condizionare scelte discrezionali affidate alla esclusiva competenza di organi centrali dello Stato: con la conseguente violazione di quel limite già indicato da questa Corte come proprio dei referendum consultivi regionali e riferito all'esigenza di evitare “il rischio di influire negativamente sull'ordine Pag. 9costituzionale e politico dello Stato”». Fin qui si cita la sentenza n. 256 del 1989.
  C’è un'aggiunta, di valutazione estremamente interessante, fatta da Cheli, che dice: «A questo va aggiunto il rilievo che il procedimento di formazione delle leggi dello Stato (...) viene a caratterizzarsi per una tipicità che non consente di introdurre, nella fase della iniziativa affidata al consiglio regionale, elementi aggiuntivi non previsti dal testo costituzionale e suscettibili di “aggravare”, mediante forme di consultazione popolare variabili da regione a regione, lo stesso procedimento». Voglio sottolineare il seguente passaggio: «non consente di introdurre, nella fase della iniziativa affidata al consiglio regionale, elementi aggiuntivi non previsti dal testo costituzionale».
  Il terzo problema è anch'esso riferibile a una sentenza della Corte costituzionale, la n. 496 del 2000, relatore Carlo Mezzanotte. Anche qui rilevano due questioni molto importanti. Cito sempre dalle sentenze: «L'intervento del popolo non è a schema libero, poiché l'espressione della sua volontà deve avvenire secondo forme tipiche e all'interno di un procedimento, che, grazie ai tempi, alle modalità e alle fasi in cui è articolato, carica la scelta politica del massimo di razionalità di cui, per parte sua, è capace, e tende a ridurre il rischio che tale scelta sia legata a situazioni contingenti». E mi pare che la fattispecie che stiamo analizzando sia molto condizionata da situazioni contingenti. Continuo sempre nella lettura della sentenza: «Sarebbe riduttivo esaminare la (...) questione soltanto nell'ottica dell'efficacia formale del referendum consultivo e limitarsi ad osservare che da esso non scaturirebbe alcun imperativo cogente o dovere giuridico inderogabile a carico del consiglio regionale (...). Non può essere trascurato, poiché è materia di apprezzamento costituzionale, che la rappresentanza regionale verrebbe comunque astretta ad un vincolo politico la cui forza appare in grado di offuscare la prospettiva puramente formale dell'ordine delle competenze interne alla regione. In questo caso, l'utilizzazione impropria di un istituto preordinato a rinsaldare i legami tra rappresentanti e rappresentati e che giammai potrebbe risolversi nella semplice manifestazione di opinioni di cui si arricchisce la dialettica democratica, fa sì che l'iniziativa revisionale della regione, pur formalmente ascrivibile al consiglio regionale, appaia nella sostanza poco più che un involucro nel quale la volontà del corpo elettorale viene raccolta e orientata».
  Tutta questa giurisprudenza costituzionale ci fa capire che l'istituto del referendum non può essere utilizzato per diventare una sorta di pressione invalicabile nei confronti della libertà di azione, prima, del consiglio regionale nella sua attività legislativa e, poi, del Parlamento nazionale.
  Allora, a queste considerazioni va aggiunto che questo referendum, la cui legittimità è quanto meno dubbia – come minimo dubbia, se non di più, molto di più –, ha un costo. Gli interpellanti quantificano il costo in 30 milioni di euro e il Governo non è in grado di valutarne l'attendibilità, ma indubbiamente costa. Questo è un fatto che credo debba essere tenuto in considerazione, anche se ovviamente non è il motivo per cui ci si debba o ci si possa opporre a forme di democrazia e di partecipazione diretta. Diventa solo un corollario, perché il problema del costo va rapportato al fatto dell'indizione di un referendum la cui legittimità è fortemente dubbia. Il problema del costo rileva solo a questo fine.
  Il Governo non ha posto in essere fino ad oggi alcun atto formale e si dichiara, così come chiedono gli interpellanti, disponibile ad aprire subito un tavolo di confronto con la regione Lombardia, anche se è perfettamente consapevole che l'iniziativa istituzionale e costituzionalmente corretta spetterebbe alla regione Lombardia come, del resto, nell'aprile del 2007, la regione Lombardia ha già fatto, approvando una deliberazione che impegnava il presidente della regione Lombardia ad avviare il confronto con il Governo per definire e sottoscrivere un'intesa, ai Pag. 10sensi e per gli effetti di cui all'articolo 116, terzo comma, con ambiti relativi a dodici materie. In altre parole, il consiglio regionale della Lombardia è già intervenuto, secondo le procedure costituzionalmente corrette, sul tema delle ulteriori forme e condizioni di autonomia che possono essere concesse.
  Ma poiché il Governo ritiene che oggi siamo ancora a un livello di confronto politico-istituzionale, il Governo è disponibile ad un incontro da subito, dalla prossima settimana, con il presidente della regione, con il presidente del consiglio regionale e con chiunque decida la regione Lombardia, per definire i termini e i tempi per avviare un processo e un percorso istituzionalmente e costituzionalmente corretto per dare attuazione, per la Lombardia, all'articolo 116, terzo comma. Come ripeto, siamo ancora nei termini e nei tempi per un confronto politico-istituzionale serio e corretto e ringrazio gli interpellanti per avere fornito al Governo l'occasione di un intervento in Aula per formalizzare questa proposta.
  Noi confidiamo nella possibilità che questo confronto si avvii e si concluda positivamente, ma abbiamo anche il dovere di sottolineare il fatto che l'intesa tra lo Stato e la regione non può essere condizionata attraverso strumenti costituzionalmente impropri, che assumono la forza di plebisciti o di voti popolari di fiducia, come ebbe a scrivere nella sentenza n. 16 del 1978 Livio Paladin. In questo caso, è un dovere preciso, prima ancora che una scelta politica, ipotizzare un conflitto di attribuzione che solo la Corte costituzionale può sciogliere. La Costituzione ha definito i termini del confronto tra Stato e regioni, quando si deve decidere di attribuire forme e condizioni particolari di autonomia, all'articolo 116, terzo comma.
  Questo articolo va rispettato e io dico che è anche il tempo di metterlo in pratica, di dargli vita, perché è dal 2001 che questo articolo fa parte della nostra Costituzione e nessuno l'ha mai utilizzato per le potenzialità che è in grado di esprimere. Pertanto, è tempo di dare vita a questo articolo, ma c’è solo un modo di farlo, ossia quello di attuare la Costituzione, non di aggirarla, di eluderla, di banalizzarla con un'astuzia procedurale. Il Governo è pronto a fare la propria parte e siamo convinti che anche la regione Lombardia non si sottrarrà.

  PRESIDENTE. La deputata Gasparini ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  DANIELA MATILDE MARIA GASPARINI. Sono particolarmente soddisfatta, al di là della lettura puntuale di quelle che sono norme e sentenze della Corte costituzionale che ha fatto il sottosegretario Bressa, che ringrazio, per lo spirito con il quale il Governo ha accolto questa interpellanza, che è quello della collaborazione tra Stato e regione Lombardia, nonostante tutto, mi sentirei di dire, nonostante un percorso sbagliato.
  Ci tengo, quindi, a ringraziare e mi auguro che questa disponibilità del Governo ad un confronto possa portare velocemente all'avvio di un tavolo di lavoro, anche perché, come tengo a sottolineare, i parlamentari che hanno sottoscritto con me questa interpellanza avevano nel cuore e nella volontà politica, non il desiderio di bloccare l'attuazione dell'articolo 116, ma, anzi, la convinzione che oggi in Italia sarebbe forte e utile che le regioni a statuto ordinario provassero finalmente ad applicare la Costituzione prendendosi certamente responsabilità e impegni, non soltanto politici, ma anche, da questo punto di vista, economici, utili, però, per dare forza ai territori e per aiutare i territori ed esprimere il meglio delle proprie diversità. Grazie, sottosegretario.

(Elementi in merito a presunte irregolarità relative ad appalti presso l'ospedale Sant'Anna e San Sebastiano di Caserta ed iniziative normative volte a garantire il regolare svolgimento delle procedure di affidamento di appalti e servizi pubblici – n. 2-00867)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Silvia Giordano n. 2-00867, Pag. 11concernente elementi in merito a presunte irregolarità relative ad appalti presso l'ospedale Sant'Anna e San Sebastiano di Caserta ed iniziative normative volte a garantire il regolare svolgimento delle procedure di affidamento di appalti e servizi pubblici (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo alla deputata Silvia Giordano se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  SILVIA GIORDANO. Grazie Presidente. Sottosegretario, è di quest'ultimo periodo la notizia del commissariamento dell'ospedale Sant'Anna e San Sebastiano di Caserta, iniziativa a cui va il mio plauso per il solo ed unico fatto che, a garanzia dell'intervento, c’è un uomo di riconosciuta moralità come Raffaele Cantone.
  Del resto, è noto che l'esperienza recente dei vari commissariamenti in Campania, come quello sull'emergenza rifiuti e sulla sanità, non ha sortito gli effetti sperati. In compenso, ha prodotto solo carrozzoni politici, al cui vertice sono stati posizionati amici degli amici e vecchi esponenti di partiti tornati indirettamente a gestire potere e rapporti clientelari. Il fallimento del commissariamento sui rifiuti è ormai sotto gli occhi di tutti. Quello sulla sanità, però, può ancora essere arginato.
  Lo scandalo giudiziario che si è abbattuto sull'ospedale di Caserta è la prova di un sistema marcio, dove gli interessi della politica si intrecciano agli affari della camorra. Dirigenti nominati dai partiti politici che, invece di lavorare per migliorare i livelli di assistenza già penalizzati dai continui tagli – e vi ricordo che, nell'ultima classifica uscita da un paio di settimane, il rispetto dei livelli essenziali di assistenza in Campania è pari a zero, infatti, è all'ultimo posto –, preferiscono incrementare il patrimonio dei clan.
  A Caserta, i Casalesi hanno messo le mani anche nell'ospedale più importante della città. Lo ha confermato lo stesso Cantone che, dopo l'ispezione, ha detto: «In ospedale a Caserta comandava Franco Zagaria che, ogni mattina, andava lì e decideva addirittura chi doveva ricoverarsi e chi no. Eppure, il piano anticorruzione dell'ospedale di Caserta è lo stesso dell'ospedale di Cuneo».
  Dall'ordinanza del GIP del Tribunale di Napoli, Giuliana Taglialatela, che ha firmato ventiquattro ordinanze di custodia cautelare, di cui dieci in carcere e quattordici ai domiciliari, si evince uno scenario desolante, in cui forze politiche, imprenditori e funzionari pubblici operavano all'unisono con solidali del clan dei Casalesi, monopolizzando le gare di appalto bandite dall'azienda ospedaliera Sant'Anna e San Sebastiano. E ciascuno lo faceva per ottenere un proprio tornaconto personale.
  L'ex direttore generale dell'ospedale, Francesco Bottino, è accusato di essersi rifiutato di indire una gara ad evidenza pubblica, procedendo all'affidamento diretto del servizio di ristoro a mezzo di distributori automatici all'IVS Italia Spa, favorendo così la fazione dei Casalesi che fa capo a Michele Zagaria. Chi è Bottino e come è stato nominato manager dell'azienda ospedaliera casertana ?
  Francesco Bottino, secondo quanto accertato dai magistrati, sarebbe stato indicato ai vertici dell'ASL casertana da Nicola Cosentino, attualmente detenuto nel carcere di Secondigliano con l'accusa di concorso in associazione a delinquere di stampo camorristico. Per la DDA, l'ex esponente del PdL – ricordiamo, Cosentino – sarebbe diventato il punto di riferimento politico del clan di Casal di Principe anche per la sanità, dopo lo scandalo delle inchieste giudiziarie che coinvolse l'Udeur, il suo leader Clemente Mastella e sua moglie Sandra Lonardo, intercettata al telefono mentre sputa veleno sul predecessore di Bottino, Luigi Annunziata (deceduto).
  A rafforzare la tesi della ricostruzione storica del cambio di avvicendamento politico in sanità dall'Udeur al PdL, è una delle decine di intercettazioni trascritte nell'ordinanza di arresto, in cui si evince che imprenditori collusi avrebbero appoggiato i cosentiniani nel congresso PdL di Caserta del 6 ottobre 2012, all'epoca contrastati Pag. 12dalla corrente dissidente rappresentata da Gennaro Coronella e Mario Landolfi.
  Poi, le dichiarazioni di alcuni pentiti avrebbero rivelato che l'ex consigliere regionale, sempre del PdL, Angelo Polverino, si sarebbe impegnato a fornire «copertura politica» al sistema Zagaria. Sia Bottino che Polverino erano stati già arrestati in una precedente indagine sulle ramificazioni del clan Belforte nella sanità casertana.
  Ma chi è Polverino ? Angelo Polverino è accusato di aver fatto da intermediario nell'assegnazione della gara in favore della IVS Italia Spa e, per fare questo, si sarebbe avvalso dell'aiuto di un dipendente dell'azienda ospedaliera Sant'Anna e San Sebastiano di Caserta. Poi, Giuseppe Gasparin, ex sindaco di Caserta, nonché già dirigente dell'ufficio provveditorato dell'ASL di Caserta, avrebbe garantito la concessione in via esclusiva dei servizi di ristoro e dei distributori automatici alla IVS Italia Spa in cambio di una somma di denaro. Per questo motivo è accusato di corruzione.
  Ma il nodo centrale dell'inchiesta resta, comunque, l'ufficio tecnico dell'azienda ospedaliera diretto da Bartolomeo Festa, ingegnere dirigente dell'Unità operativa complessa di ingegneria ospedaliera. L'ufficio di Festa è il centro nevralgico del sistema, dove sarebbero state truccate le gare pubbliche per favorire il clan di Zagaria. Del resto, dicono gli inquirenti, anche Festa sarebbe stato nominato dirigente di quell'ufficio proprio su indicazione del capo-clan. E veniamo, quindi, alle gare truccate.
  Qui la lista, che esce dall'ufficio tecnico dell'ospedale, è veramente lunga. C’è la gara per la tinteggiatura e lavorazioni accessorie per 450 mila euro affidata alla ditta individuale Luigi Iannone. C’è l'appalto per la manutenzione degli immobili per 150 mila euro a Odeia Srl. Ci sono gli affidamenti diretti per 3 milioni di euro alle ditte Luigi Iannone, Salvatore Cioffi, Odeia srl, Piccolo, DM Soffitti Sas; lavori, tra l'altro, svolti anche in mancanza dei necessari requisiti di legge.
  E ancora, l'affidamento diretto della gestione del bar e dei distributori di bevande e alimenti alle ditte Mario Palombi e IVS Italia Spa di Bergamo: affidamento che avrebbe comportato anche un danno erariale di oltre 50 mila euro per il consumo di forniture pubbliche e l'occupazione del suolo pubblico.
  Un capitolo a parte merita, però, l'appalto per la gestione e la manutenzione degli impianti elevatori per un valore di 1.189.500 euro (oltre IVA) a favore della ditta Komè Srl, il cui amministratore unico, Giuseppe Porpora, è finito ai domiciliari.
  Che cos’è la Komè Srl ? La società viene costituita il 4 aprile 2006, ha sede a Napoli e comincia la sua attività il 28 aprile 2006. Capitale sociale: 10 mila euro. Nella sede di Napoli conta quattordici dipendenti in media, ma col passare degli anni comincia ad aprire uffici distaccati in quasi tutta Italia. Infatti, nello stesso giorno, cioè il 2 gennaio 2013, ne apre uno a Roma, uno a Milano, due a Genova, uno a Pompei, uno a Giugliano in Campania, uno a Sessa Aurunca (Caserta) e uno a Alife (sempre Caserta). Quindi, solo a Caserta città, la società ha tre sedi: evidentemente, tutti comuni nei quali la società ha preso lavori. I dipendenti, però, stranamente restano sempre quattordici: tanto si evince dalla visura camerale della ditta in questione.
  Chi è Giuseppe Porpora ? Prima di diventare amministratore e proprietario della Komè Srl, Porpora gestisce un'altra società, la ARM Italia Servizi Srl, che, però, nel 2004, viene incorporata da un'altra società: la Del Bo Impianti Srl. Ma è per la Komè che finisce nell'inchiesta della DDA napoletana. Porpora, insieme a Festa e a Giuseppe Raucci (responsabile del procedimento) e Umberto Signoriello (presidente della commissione tecnica), sono accusati di aver truccato la gara. Il sistema marcio, svelato dagli inquirenti, consisteva in questo: i tre avevano concordato l'inserimento nel bando di gara di particolari requisiti di selezione, quali l'importo dell'appalto entro i limiti della certificazione SOA posseduta dalla ditta di Porpora, e Pag. 13indicazioni utili al conseguimento di un punteggio maggiore in occasione della valutazione dell'offerta. Le conversazioni intercettate attestano, inoltre, gli accordi intercorsi tra i medesimi funzionari interni all'azienda, alla presenza dell'imprenditore avvantaggiato, per definire i meccanismi atti a garantirgli la prosecuzione del servizio e l'aggiudicazione della nuova gara, che viene così ufficializzata il 30 gennaio 2013.
  Ed è per questo che, su proposta del presidente Anac, Raffaele Cantone, il prefetto di Caserta, Carmela Pagano, 1'11 febbraio 2015, ha commissariato l'appalto di gestione, presidio e manutenzione degli impianti elevatori dell'azienda ospedaliera Sant'Anna e San Sebastiano, affidato appunto alla Komè Srl, nominando amministratori straordinari della ditta il dottor Lucio Arvoino, il dottor Pietro Luca Bevilacqua e l'avvocato Maurizio Cinque.
  La domanda: l’exploit della Komè, così come si ramifica in mezza Italia con i suoi uffici, aprendo nuove sedi lo stesso giorno in città diverse, può destare, ovviamente, qualche dubbio soprattutto alla luce delle rivelazioni che hanno fatto emergere l'inchiesta sugli appalti dell'ospedale di Caserta. Quindi, viene naturale chiedersi in che modo la società in questione operi nelle altre città italiane e se il metodo criminale usato a Caserta sia stato esportato anche al di fuori dei confini regionali della Campania.
  Ma in particolare, le domande sono: se il Governo non ritenga opportuno modificare la legislazione in materia di affidamento diretto dei lavori pubblici e, in particolare, quanto previsto dall'articolo 125 del decreto legislativo n. 163 del 2006, posto che la stessa legislazione attualmente in vigore sembrerebbe favorire la commissione dei delitti in questione; e, soprattutto, se il Governo non ritenga opportuno modificare la legislazione in materia di assunzioni a chiamata diretta all'interno della pubblica amministrazione, per i medesimi problemi citati nella domanda di cui sopra; e, infine, se e quali iniziative di competenza intenda intraprendere, al fine di impedire che la criminalità organizzata possa arrivare ad infiltrarsi in appalti e servizi pubblici.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Gianclaudio Bressa, ha facoltà di rispondere.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Grazie Presidente. Con riferimento ai quesiti posti nell'atto di sindacato ispettivo dell'onorevole Silvia Giordano ed altri, concernente i fatti di corruzione per i quali sono state eseguite ordinanze di custodia cautelare nei confronti di funzionari e politici per presunte gare truccate presso l'ospedale Sant'Anna e San Sebastiano di Caserta, si segnala quanto segue.
  Il 4 luglio 2013 il prefetto di Caserta, nell'ambito dell'esercizio dei poteri di prevenzione antimafia, aveva istituito una commissione di indagine per svolgere accertamenti sull'azienda ospedaliera Sant'Anna e San Sebastiano di Caserta. Il 13 febbraio 2014 le conclusioni degli accertamenti effettuati dalla commissione sono state sottoposte all'esame del comitato provinciale per l'ordine e per la sicurezza pubblica di Caserta, integrato con i rappresentanti della magistratura. Pur considerando il rilevante quadro indiziario emergente dalle indagini in corso da parte dell'autorità giudiziaria, il comitato provinciale, anche all'esito di ulteriori approfondimenti, ha ritenuto all'unanimità non sussistenti, allo stato e sulla base degli elementi complessivamente acquisiti, concreti, univoci e rilevanti indizi di condizionamento della criminalità organizzata sull'azienda ospedaliera.
  Peraltro, nell'occasione si conveniva sulla possibilità di reiterare l'accesso, ovvero di poter assumere direttamente provvedimenti di rigore, ove fossero sopravvenuti gravi, nuovi elementi di valutazione, desumibili anche dagli sviluppi delle indagini in corso, sulle quali la stessa magistratura distrettuale, nell'ambito delle sue prerogative, riteneva in quel momento di opporre il segreto istruttorio.Pag. 14
  Tutta la questione è stata nuovamente esaminata nella seduta del 29 gennaio scorso dal comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, acquisite anche le risultanze della verifica ispettiva effettuata tre giorni prima, il 26 gennaio, dal presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione e a seguito degli arresti eseguiti il 21 gennaio dalla procura di Napoli. A seguito di ciò, il 2 marzo, il prefetto di Caserta ha proposto al Ministro dell'interno lo scioglimento dell'organo di direzione dell'azienda sanitaria in questione, disponendo la sospensione dello stesso e nominando, per la provvisoria gestione dell'ente, tre commissari prefettizi.
  Per la specificità riguardante la chiamata diretta all'interno della pubblica amministrazione, si evidenzia che l'articolo 7, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001 prevede che, per esigenze cui non si può far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possano conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale e coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione, anche universitaria, ovviamente nel rispetto dei principi di trasparenza, incremento dell'efficienza, premialità e selettività.
  Altre eccezioni sono previste dagli articoli 15-septies e 15-octies del decreto legislativo n. 502 del 1992 e riguardano la possibilità per le aziende del Servizio sanitario nazionale di stipulare contratti a chiamata diretta che assolvono la funzione di reperire in tempi rapidi alte professionalità ovvero soggetti facenti funzioni di direttori di struttura complessa per periodi temporanei: sei mesi, rinnovabili per un massimo di sei mesi, in attesa di bando di concorso. Sono modalità eccezionali riconosciute in capo alle amministrazioni pubbliche, che tali rimangono, e, laddove vi sono abusi, questi ovviamente saranno sanzionati.
  In relazione alla richiesta se sia intenzione del Governo assumere specifiche iniziative dirette a correggere talune parti della legislazione in materia di affidamento diretto dei lavori pubblici, si segnala che, in stretto raccordo con gli uffici dell'Autorità anticorruzione, si sta procedendo ad individuare misure correttive di carattere amministrativo e legislativo, finalizzate a ridurre gli ambiti di discrezionalità nell'esercizio di pubbliche funzioni.
  È opportuno, infine, segnalare che l'azione del Governo sul tema denunciato è ispirata all'esigenza di perfezionare il contrasto alla criminalità organizzata e alla corruzione. È pur vero che, dai dati emersi dal rapporto Transparency 2014, l'Italia rispetto al livello di corruzione di 175 Paesi del mondo è collocata, come nel 2013, al sessantanovesimo posto della classifica generale, fanalino di coda dei Paesi del G7. Ma il Governo, nel 2015, intende migliorare la posizione, così com’è accaduto con la nomina del presidente Cantone all'Autorità anticorruzione, e offrire un'immagine del Paese agli occhi degli organismi internazionali decisamente diversa.
  A tale riguardo, è utile segnalare che, con il disegno di legge del Governo n. 1687, attualmente all'esame del Senato, ovvero del progetto di legge n. 19 del Presidente Grasso, il Governo e il relatore hanno individuato una serie di misure idonee a rafforzare l'azione preventiva e repressiva nei confronti della criminalità, in particolar modo di quella mafiosa, attesa la sua capacità di ingerirsi nei circuiti dell'economia locale e della pubblica amministrazione, anche attraverso il condizionamento corruttivo o collusivo del sistema degli appalti pubblici.
  Tra le proposte va evidenziata la previsione, in capo al pubblico ministero, di specifici obblighi informativi al presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione in caso di esercizio dell'azione penale per delitti contro la pubblica amministrazione, al fine di assicurare il tempestivo ed efficace raccordo dell'azione investigativa e di quella preventiva devoluta all'Autorità anticorruzione.
  Si segnala come proprio in questa legislatura e con questo Governo la normativa antimafia abbia fatto registrare un ulteriore salto di qualità con riguardo anche alla possibilità di intercettare i tentativi Pag. 15di penetrazione mafiosa nel settore dei contratti pubblici. Una tappa significativa in tal senso è stata l'introduzione dei poteri di commissariamento delle imprese coinvolte in fatti di corruzione, ovvero nei cui confronti sia stata emessa un'informativa antimafia interdittiva. La normativa, introdotta con il decreto-legge n. 90 del 2014, individua nel presidente dell'ANAC e nei prefetti le autorità direttamente impegnate su un fronte vitale per la salute e la credibilità dell'economia. Il Governo punta a rafforzare la prevenzione dei fenomeni di corruzione attraverso una significativa azione di vigilanza affidata all'autorità anticorruzione, al fine di aiutare ad orientare i comportamenti e le attività degli impiegati pubblici mediante interventi in sede consultiva e di regolazione.
  Quanto, invece, al sistema di prevenzione patrimoniale, i predetti progetti e disegni di legge mirano ad ampliare il novero dei delitti per i quali la legge consente il sequestro e la confisca per equivalente anche nei confronti di terzi, di eredi ed aventi causa, ma anche l'estensione all'incaricato di pubblico servizio tra i soggetti attivi del delitto di cui all'articolo 317 del codice penale, la riduzione premiale della pena per chi collabora alle indagini, ma anche l'inasprimento delle pene e la previsione della restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato. Per gli enti locali sciolti per mafia, si prevede di far ricorso a centrali uniche di committenza, con conseguente nullità dei contratti stipulati in violazione di tale obbligo, nonché l'ampliamento del novero degli enti oggetto dei controlli diretti ad accertare le infiltrazioni mafiose, con espressa previsione delle società e dei consorzi partecipati anche al fine di eliminare le tante sacche di opacità legate ai subappalti, dietro le quali può nascondersi più agevolmente l'insidia dell'inquinamento mafioso. Stiamo parlando di disegni di legge che in questi giorni sono all'esame del Parlamento, e la collaborazione di tutte le forze politiche è essenziale per arrivare a stabilire misure in grado di rafforzare la cultura della legalità con azioni dirette a prevenire il reato ma anche a reprimerlo con pene severe.

  PRESIDENTE. La deputata Giordano ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  SILVIA GIORDANO. Presidente, sottosegretario, lei proprio ha citato il rapporto Trasparency, allora vorrei un attimo chiarire bene di cosa stiamo parlando, al di là del fatto singolo di Caserta e dell'ospedale di Caserta.
  Prendo spunto anche da alcuni articoli di giornale, che purtroppo quotidianamente fanno capire come la situazione della sanità in Campania sia così drammatica: Corriere della Sera del 16 aprile 2014: «Rapporto corruzione nella sanità: Voragine da 23,6 miliardi di euro. Oltre a frodi e truffe, calcolati anche gli effetti in termini di inefficienza e sprechi». Se la cifra di oltre 1 miliardo di euro di danni dell'erario, accertata dalla Guardia di finanza per truffe e frodi al servizio sanitario nazionale consumate solo nel 2013, vi fa impressione, il dato fornito dall'Ispe è da allarme rosso: la corruption totale sarebbe pari a 23,6 miliardi di euro l'anno. Alla cifra strabiliante si è giunti partendo da 114 miliardi di spesa sanitaria per il 2013 e calcolando che la corruzione incide per 6,4 miliardi, a cui vanno sommati 3,2 miliardi di inefficienza e 14 miliardi di sprechi. A livello territoriale, analizzando il dato sulla corruzione, si rileva che il 41 per cento dei casi avviene al sud, il 30 per cento al centro, il 23 per cento al nord e il 6 per cento è costituito da diversi reati compiuti in più luoghi.
  Ancora, la mappa: farmaci, nomine, appalti di beni e servizi, sanità privata e negligenza medica. Uno studio appunto condotto da Transparency International Italia ha raccolto numerosi dati sulla corruzione nell'ambito della sanità, anche se non è possibile quantificare con precisione il fenomeno. Certo è che alberga ovunque, a qualsiasi livello, dal direttore all'agente di polizia. In particolare, le indagini da parte delle forze dell'ordine per arginare il Pag. 16fenomeno si sono fatte sempre più complicate, perché negli ultimi anni la corruzione è diventata molto più sofisticata. Infatti, l'imprenditore che consegna la valigia piena di soldi al direttore generale dell'ASL non si riesce più a sorprenderlo più, né, tanto meno, un informatore scientifico dell'azienda farmaceutica che fa avere regali e favori al primario o al medico; finte consulenze, benefici fiscali: tutte modalità che rendono più difficile intercettare il reato di corruzione. Nel 2012, solo quattro regioni sembrano esserne state immuni o aver registrato al massimo due casi di corruzione. Per tutte le altre, si va da un minimo di due ad un massimo di dieci, con in cima a questa poco onorevole classifica la Campania. In termini strettamente economici, per valutare l'entità della questione basti pensare che la rete europea contro le frodi e la corruzione nel sistema sanitario ha stimato che in Europa il 5,6 per cento del budget per la sanità sia assorbito dalla corruzione.
  A rendere più difficile la lotta alla corruzione vi sono anche delle caratteristiche proprie del reato in sé, e in particolare nella sanità: il reato corruttivo; si legge nel rapporto, è un accordo tra persone in cui nessuno ha interesse a denunciare, e dove non ci sono vittime dirette né una conseguenza immediata. Ad esempio probabilmente non si sarebbe scoperto il caso della fornitura di valvole cardiache difettose, se non fosse morto qualche paziente. È quasi impossibile calcolare il danno indiretto, senza contare che c’è la commistione con altri fenomeni. Le inefficienze in sanità rappresentano il 35 per cento, ma all'interno di queste cifre non si può stabilire quanto sia rappresentato dalla corruzione: non si può scindere insomma lo spreco dalla corruzione.
  Poi ci sono caratteristiche del mondo sanitario che rendono ancora più difficile l'emersione di fenomeni corruttivi, come il fatto che avvengono in strutture molto grandi, con migliaia di dipendenti e prestazioni erogate, dentro cui è facile nascondere operazioni poco pulite. I casi di corruzione analizzati da Transparency Italia rientrano in cinque categorie: nomine, farmaceutica, appalti di beni e servizi, sanità privata e negligenza medica. Nel primo caso lo studio rileva come la politica usi la sanità come serbatoio e spartizione di voti. Qui le merci di scambio sono la nomina a direttore generale, sanitario o primario in cambio di voti e finanziamenti: è la corruzione più dannosa perché mina l'implementazione delle politiche sanitarie.
  La corruzione più diffusa è invece quella che riguarda i farmaci: in questo caso in cambio della scelta di un farmaco da parte di uno studio medico, un ospedale o una ASL, la ricompensa è costituita da regali, macchinari e finanziamenti.
  La corruzione più costosa è quella degli appalti di beni e servizi, visto che rappresentano il 20-30 per cento dei bilanci sanitari. In questo caso il beneficio viene elargito per avere l'appalto con gare tagliate su misura, trattative negoziali, abuso della contrattazione diretta, o anche in fase di fornitura, dando servizio di qualità e prezzo minore rispetto a quanto promesso nel capitolato d'appalto. Oppure le aziende pagano per essere pagate prima delle altre dalla pubblica amministrazione; senza contare il rischio di infiltrazione mafiosa, per l'appunto, specialmente nei servizi di bassa specializzazione come le pulizie o la vigilanza. Questo è proprio il rapporto Trasparency, che nella realtà quotidianamente si trasforma sempre in grandi scandali.
  Faccio giusto una carrellata veloce. 14 novembre 2014: «Scandalo sanità, coinvolto Tancredi, ex manager dell'Ospedale Ruggi di Salerno. Appalti indirizzati per favorire gruppi farmaceutici.
  Corriere del Mezzogiorno, 9 agosto 2014: »Scandalo ASL Napoli 1, doppi pagamenti: scoperta voragine di 14 milioni.
  E ancora, Il Mattino, 23 febbraio 2014: «Napoli, doppi pagamenti ASL: altri 34 milioni non documentati».
  Corriere del Mezzogiorno, 25 marzo 2014: «Salerno, bilanci falsi per sei anni: indagato il manager dell'ASL. Abuso d'ufficio e corruzione tra i reati contestati nell'inchiesta che sta portando avanti l'Antimafia». Pag. 17Ovviamente alcuni spero che siano portati a termine come indagini, e giusto per fare capire quotidianità con cui noi, in Campania, viviamo la sanità.
  7 Novembre 2013, «Caserta, agevolavano Camorra: scandalo sanità, 11 arresti, anche consigliere regionale».
  E ancora, Corriere del Mezzogiorno: «È uno dei più grossi scandali degli ultimi anni. Appalti per medicinali: finiscono sotto inchiesta una dozzina di primari. Assegnazione illecita di appalti per medicinali, parafarmaceutici, apparecchiature e strumenti medicali»; proprio come abbiamo letto prima.
  La Repubblica: «Napoli, forniture mediche: si allarga lo scandalo. Coinvolge tutta la regione l'inchiesta delle forniture ospedaliere sospette. Prodotti ospedalieri di qualità forniti da ditte favorite, secondo l'ipotesi formulata dalla sezione reati contro la pubblica amministrazione della procura. Quattro, di cui due con lo stesso proprietario a Napoli, una a Torino, la quarta ad Arezzo, che si sarebbero garantite le forniture in cambio di regali, cortesie, assunzioni e viaggi».
  Ce ne sono molti altri, purtroppo; vorrei proprio citare questo. 23 gennaio 2013, Corriere del Mezzogiorno: «Sanità, 383 incarichi affidati senza un regolare concorso» Il dossier: «Sorrento, acquisti per una sala operatoria fantasma. Logiche familiari nei policlinici universitari. I 383 incarichi ricoperti a vario titolo da personale». Comunque, tutto questo scandalo venne già riportato da una dalla relazione conclusiva depositata alla Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori e i disavanzi sanitari della scorsa legislatura: tanto che un intero capitolo del dossier è dedicato al caso Campania, oggetto di accertamenti dal 1o aprile 2009 e fino al giorno in cui hanno consegnato questa relazione.
  Vede, da allora non è cambiato praticamente nulla. Io, sottosegretario, al di là di quello che il Governo e che si intende fare con questa legislatura, vorrei un attimo fare mente locale da quello, viste già tutte le segnalazioni che c'erano state, che si è fatto; ed io ero presente in Commissione quando si è fatta la pubblica amministrazione.
  Vede, mi ricordo benissimo non solo tutto il dialogo, mettiamola così, e tutti i dubbi che si sono portati avanti nel momento in cui si parlava di «comprovata esperienza». Vi abbiamo chiesto più volte che cosa volesse dire per voi «comprovata esperienza» e vi volevamo chiedere di definire il meglio possibile proprio per evitare anche queste infiltrazione, definire il meglio possibile le caratteristiche che determinato personale per essere assunto dovesse avere. Ma ancor più mi ricordo un nostro emendamento, presentato dalla collega Ciprini, in cui si chiedeva l'assunzione «previo bando pubblico», voi l'avete trasformato in «previa selezione pubblica», che anche in italiano non vuol dire nulla. Non c’è un bando, «previa selezione pubblica» non è un bando, non è nulla e quindi di conseguenza queste infiltrazioni purtroppo continueranno, potrebbero continuare ad essere sempre presenti. Se non siamo noi a dare delle regole, tutte queste cose un'altra persona nella prossima legislatura ve le continuerà a dire, poi casomai riprendendo anche questa interpellanza e dicendo no, ma c’è stato comunque qualcuno che l'aveva già posto il problema, perché non avete fatto nulla ? E ancora di più, lei mi parla di collaborazione, io sono pienamente d'accordo, faccio parte della Commissione affari sociali, stiamo parlando adesso, in questo momento, della riforma del terzo settore. Noi la presenza dell'ANAC e il controllo dell'ANAC l'abbiamo chiesto anche per gli enti del terzo settore che dovevano collaborare con la pubblica amministrazione e con tutti gli enti pubblici. La risposta è stata no, ce l'avete bocciato come la «previa selezione pubblica» e come il chiarimento della comprovata esperienza. E ancora – concludo – nell'Ufficio di Presidenza di ieri abbiamo chiesto di calendarizzare una proposta di legge per istituire una Commissione d'inchiesta monocamerale sulla corruzione in sanità e l'unica cosa detta dal capogruppo del partito di Pag. 18maggioranza, appunto del PD, è stata: controlliamo quante proposte di legge sono state date alla minoranza. Lo posso dire da adesso, al 25 per cento che ha avuto il MoVimento 5 Stelle sono state date zero proposte di legge, ma comunque questa è stata l'unica risposta e questa la vostra collaborazione. (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

(Iniziative di competenza in merito al sistema di governance e alla situazione finanziaria del calcio italiano, con particolare riferimento alla vicenda del Parma football club – n. 2-00887)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Rabino n. 2-00887, concernente iniziative di competenza in merito al sistema di governance e alla situazione finanziaria del calcio italiano, con particolare riferimento alla vicenda del Parma football club (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Rabino se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  MARIANO RABINO. Presidente, proverò ad illustrarla brevemente anche perché è di assoluto interesse la risposta del Governo. Com’è noto, siamo dentro una crisi finanziaria del calcio italiano notevole, pare che siamo arrivati a un indebitamento complessivo di 1,7 miliardi di euro del sistema calcio è quindi il caso Parma rischia di essere solo in questo momento la punta dell'iceberg. Temiamo davvero, ecco perché interpelliamo il Governo sulle iniziative utili, indispensabili e tempestive da intraprendere, appunto che si tratti solo della punta dell'iceberg e che molte altre società calcistiche italiane versino in condizioni simili se non peggiori del Parma calcio. Ora, tant’è, si potrebbe anche manifestare indifferenza rispetto a questa vicenda, il problema è che il calcio nel suo complesso rappresenta una delle dieci industrie del Paese, rappresenta il 2 per cento del prodotto interno lordo, rappresenta in termini di contribuzione attraverso il CONI alla FIGC, federazione riconosciuta dal CONI, un importante percettore di contributi pubblici e rappresenta poi nel suo complesso una realtà che coinvolge e mobilità attività economiche, attività finanziarie, grandissime attività mediatiche ma soprattutto decine di migliaia di milioni di italiani, mobilita l'attenzione di tantissimi italiani. Rappresenta in qualche modo anche un'immagine del Paese verso sé stesso ma anche un'immagine del Paese verso l'estero, verso l'internazionalità. Allora crediamo davvero che non si possa rimanere indifferenti rispetto a quanto avvenuto, è chiaro che dovrà toccare alla magistratura valutare se ci sono profili di bancarotta fraudolenta nella gestione precedente e eventualmente nella gestione attuale del Parma calcio, per parlare del caso di specie, però certamente questa vicenda interroga su tutta un'altra serie di questioni. La prima, la tracciabilità dei capitali che affluiscono nel mondo del calcio: non c’è assolutamente controllo, spesso diverse inchieste portano ad immaginare che questi capitali siano di provenienza dubbia, se non illecita e non solo italiana, anche straniera.
  Dobbiamo interrogarci sull'attualità o sull'inadeguatezza, a questa punto, della «legge Melandri», la legge che introdusse, attraverso gli accordi tra il sistema radiotelevisivo mediatico, la lega calcio e il sistema calcio, la contribuzione al sistema calcio, per aumentare la competitività e anche per livellare la situazione tra grandi club e piccoli club. Questa legge, questo provvedimento rischia di sembrare ormai anacronistico.
  Noi pensiamo che si debba davvero mettere mano alla governance dell'intero sistema del calcio italiano. Si tratta davvero di introdurre nuove e più rigorose forme di controllo, perché se la Covisoc, la commissione di vigilanza sui bilanci delle società di calcio, manifesta, denuncia, certifica certe situazioni, ma poi all'interno della lega calcio, all'interno della Federcalcio in qualche misura si fa finta di niente, il rischio è che poi ci troviamo di fronte a situazioni dove il prodotto calcio perde di ogni credibilità, perché una società Pag. 19sciopera, con i suoi giocatori, con il suo allenatore, e il campionato rischia di essere falsato.
  Abbiamo davvero la necessità di recuperare immagine, credibilità e appetibilità intorno al prodotto calcio e la politica non può fare finta di nulla, per la rilevanza che ha sulle dinamiche sociali complessive del nostro Paese. Riteniamo che occorra davvero mettere mano su questo tema attraverso un'inchiesta quali-quantitativa innanzitutto da parte del Governo, ma credo che anche il Parlamento debba cominciare a interrogarsi se non sia opportuno promuovere forme di indagine e di inchiesta più invasive, perché non bastano gli scandali, non bastano gli scandali legati alle scommesse, non bastano gli scandali legati al doping e non bastano le violenze negli stadi. Anche tutto il tema dell'impiantistica sportiva merita, da parte della politica, da parte delle istituzioni legate al mondo dello sport e del calcio, in particolare, una nuova riflessione.
  Quindi, ci aspettiamo che il Governo, innanzitutto, ma anche il Parlamento prendano consapevolezza della gravità inaudita della situazione e assumano i provvedimenti necessari e conseguenti.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Gianclaudio Bressa, ha facoltà di rispondere.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Grazie, Presidente. Come è stato testé illustrato dall'onorevole Rabino, partendo dalle vicende della società Parma si vuole affrontare un tema più generale e più complesso, qual è la situazione del calcio italiano in questo momento, con le implicazioni di tipo sociale, culturale, economico, oltre che sportivo, che questa comporta. Da questo punto di vista, il Governo sta valutando con molta attenzione la delicatezza della situazione che si è venuta a creare e sta anche valutando l'adeguatezza della normativa vigente.
  Ma ciò detto, si rappresenta, per rispondere puntualmente all'interpellanza, che al Governo – e, segnatamente, alla Presidenza del Consiglio dei ministri – non sono attribuite funzioni in materia di vigilanza e controllo sulle federazioni sportive nazionali e, quindi, sulla Federazione italiana giuoco calcio.
  In merito al sistema di vigilanza, si evidenzia che: ai sensi dell'articolo 7 del decreto legislativo n. 242 del 1999, l'attività di vigilanza sulle federazioni sportive nazionali, ed in particolare sulla FIGC, è esercitata dalla giunta nazionale del CONI; ai sensi dell'articolo 15, punto 3, del decreto legislativo n. 15 del 2005, recante modifiche ed integrazioni al decreto legislativo n. 242 del 1999, i bilanci delle federazioni sportive nazionali sono approvati annualmente dall'organo di amministrazione federale e sono sottoposti all'approvazione della giunta nazionale del CONI; ai sensi dell'articolo 12 della legge n. 91 del 1981, le società sportive, costituite nella forma di società per azioni o di società a responsabilità limitata, sono sottoposte, al fine di verificarne l'equilibrio finanziario, ai controlli e ai conseguenti provvedimenti stabiliti dalle federazioni sportive, per delega del CONI, secondo modalità e principi da questo approvati; ai sensi dell'articolo 22, comma 5-bis, dello statuto del CONI, gli statuti delle federazioni sportive definiscono i poteri di vigilanza e di controllo esercitabili dalla federazione stessa nei confronti delle articolazioni associative interne alla propria organizzazione.
  L'articolo 3 dello statuto della FIGC prevede che, al fine di promuovere e disciplinare il gioco del calcio, la Federazione svolge il compito di determinare i requisiti e i criteri di promozione, di retrocessione e di iscrizione ai campionati.
  Questo è evidentemente lo stato dell'arte. Come segnalato, stante la situazione critica, questa situazione normativa è all'attento vaglio del Governo per valutare le forme e le modalità che possono essere più proprie per fare fronte in qualche modo ai problemi che sempre in maggiore misura si manifestano.
  Per completezza sul caso, va anche evidenziato che: il Parma FC fa parte della Pag. 20Lega calcio di serie A, che associa in forma privatistica le società affiliate alla FIGC partecipanti al campionato di serie A e che, a tal fine, si avvalgono delle prestazioni di calciatori professionisti.
  La Lega di serie A, quale associazione di categoria di società affiliate alla FIGC, agisce nell'ambito delle funzioni ad essa demandate dallo statuto e dalle norme federali e, per il raggiungimento delle proprie finalità, gode di autonomia organizzativa ed amministrativa.
  Le società associate alla Lega di serie A e i tesserati che agiscono nel suo ambito sono tenuti all'osservanza delle disposizioni dello statuto della FIGC, di ogni altra norma emanata dagli organi federali competenti, del presente regolamento. Per tutto quanto non previsto in tale regolamento, trovano applicazione le disposizioni sull'ordinamento interno della Federazione gioco calcio.
  In materia di controlli per prevenire l'insorgenza di situazioni incresciose, che danneggiano non solo lo sport ma l'immagine del Paese, come il caso riportato, il Governo ha in varie occasioni espresso al CONI la volontà di rendere sempre più trasparente la gestione e i bilanci delle Federazioni sportive nazionali.
  Sul tema della tracciabilità del denaro, per evitare potenziali infiltrazioni della criminalità organizzata, segnalo che il Governo ha recentemente concluso accordi internazionali per assicurare lo scambio di informazioni bancarie ed ha proposto alcune modifiche in materia di falso in bilancio.
  Sulle ipotesi di reato che hanno coinvolto la dirigenza societaria del Parma calcio, il Governo non può che aspettare gli accertamenti dell'autorità giudiziaria.

  PRESIDENTE. Il deputato Rabino ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  MARIANO RABINO. Presidente, io voglio ringraziare il sottosegretario Bressa, che conosco e stimo come persona e apprezzo nel suo lavoro. Il rischio in questi casi è di dare risposte – non me ne voglia – burocratico-amministrative. Il sottosegretario delegato allo sport è il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio, questa interpellanza urgente era rivolta direttamente al Presidente del Consiglio Renzi, non per una sorta di autoreferenzialità, ma proprio per la gravità del tema.
  Io ringrazio e mi dichiaro soddisfatto naturalmente della risposta del sottosegretario Bressa, nella misura in cui questa risposta produca nelle prossime settimane un'iniziativa forte del Governo, proprio ricordando la parte finale del suo intervento, gli accordi internazionali per la trasparenza nel flusso dei capitali, le iniziative sul falso in bilancio, tutte iniziative che vanno nel senso di modernizzare le nostre discipline finanziarie e tutte iniziative che vanno nel senso di guardare ai migliori standard di efficienza in questi ambiti e in questi settori.
  A questo proposito, per riformare il sistema di governance del calcio italiano, credo che potrebbe essere utile guardare all'esperienza della Premier League, dell'Inghilterra, che negli anni Ottanta ha vissuto una crisi fortissima, legata alla violenza negli stadi, alla pessima trasparenza nella gestione delle società e dei bilanci, ma la Gran Bretagna ha avuto il coraggio di autoriformarsi con un forte coinvolgimento e una forte sponsorizzazione delle leadership politiche. Oggi la Premier League è un prodotto fortissimo in Inghilterra, ma capace di essere esportato e venduto anche fuori dai confini della Gran Bretagna.
  Allora, io credo che l'Italia, guardando a quel modello, possa davvero autoriformarsi, ma occorre una forte iniziativa politica, perché non possiamo limitarci a dire che ci sono delle normative, che il CONI deve controllare la FIGC, che la FIGC, in accordo con la Lega calcio, deve controllare, ma alla fine poi escono questi scandali di proporzioni anche inaccettabili.
  Infatti, arrivare ad avere un Parma calcio che viene escluso dalla UEFA, dall'Europa League per irregolarità nei bilanci, ma un Parma calcio che può benissimo Pag. 21continuare ad iscriversi al campionato di serie A e partecipare al campionato di serie A, doveva essere un allarme, deve essere un allarme, che deve interpellare l'inadeguatezza del sistema dei controlli italiani, e quindi la necessità, l'urgenza, l'indispensabilità di un intervento tempestivo sul CONI e, attraverso il CONI, sulla FIGC, perché davvero si cambi registro e inizi un'altra storia. Grazie, sottosegretario Bressa.
  Lo dico come forza politica: lei, giustamente, ha fatto riferimento all'attività del Governo. Credo, però, che il Parlamento debba anche promuovere una riflessione, a prescindere dalle considerazioni che il Governo farà, che starà per fare e che immaginerà di adottare nel senso di provvedimenti concreti. Il Parlamento, nella sua autonomia, deve attivarsi a prescindere. Grazie e buon lavoro.

(Iniziative per garantire la funzionalità delle strutture sanitarie alla luce dei ricorsi presso i tribunali amministrativi regionali relativi al concorso nazionale per l'accesso alle scuole di specializzazione medica – n. 2-00876)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente De Girolamo n. 2-00876, concernente iniziative per garantire la funzionalità delle strutture sanitarie alla luce dei ricorsi presso i tribunali amministrativi regionali relativi al concorso nazionale per l'accesso alle scuole di specializzazione medica (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo alla deputata Binetti se intenda illustrare l'interpellanza di cui è cofirmataria o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  PAOLA BINETTI. Presidente, intendo illustrare l'interpellanza, anche se corre l'obbligo di ricordare ai colleghi che su questo tema già più interrogazioni e più interpellanze sono state rivolte al MIUR, per due motivi molto concreti. Il primo è che lo studente di medicina, quando si immatricola e ha davanti un piano di studi di sei anni – vale la pena di ricordare che è il più lungo dei corsi di studi delle nostre università –, lo fa sapendo con certezza e con chiarezza che, se al termine di questi sei anni di studi non riuscirà ad entrare nella scuola di specializzazione, la spendibilità del suo titolo è prossima allo zero.
  Questo è un fatto, per due ragioni: primo, perché, senza specializzazione, l'Europa ci dice che non si può occupare un posto in una struttura pubblica; secondo, perché la stessa abbondanza di medici che vi è sul territorio fa pensare che lo studente appena laureato, se non ha questa prospettiva davanti, potrà avere occasioni di lavoro limitatissime, per non dire, molto spesso, dequalificanti, e quindi anche, ovviamente, dal punto di vista personale, deprimenti, ma, dal punto vista sociale, anche questa è una forma di spreco di risorse pubbliche.
  Tanto è vero che in Germania tutti gli studenti di medicina che si laureano poi hanno accesso ad una scuola di specializzazione: la programmazione lo prevede quasi per default. Addirittura, in Francia, noi abbiamo più posti di scuola di specializzazione di quanti non se ne possano impegnare rispetto al numero dei laureati, il che vuole dire che per lo studente vi è una possibilità di scelta che, in qualche modo, soddisfa anche i suoi interessi personali, soddisfa anche la sua sensibilità, il suo stile di vita.
  Peraltro, in Spagna, invece, sappiamo che soltanto un 10 per cento di studenti non riesce ad accedere subito alla scuola di specializzazione, ma in Spagna, dove pure vi è un esame di tipo nazionale di accesso alle scuole di specializzazione, sappiamo anche che tutto l'investimento che lo studente di medicina fa nel sesto anno di corso è tutto teso, più che a laurearsi, come succede da noi in Italia, e quindi a confezionare una tesi prestigiosa, a sostenere e ad affrontare l'esame che gli permetterà di accedere, successivamente, alla scuola di specializzazione.
  Voglio dire che in tutta l'Europa che è più vicina a noi come esperienza e come realtà il ciclo laurea-scuola di specializzazione funziona un po’ di più sul modello Pag. 22laurea triennale-laurea magistrale, solo che quello è a cinque anni, questo è a dieci anni, e quindi, logicamente, vi è un impegno molto più forte.
  In Italia si è creata questa discrepanza veramente assoluta tra il numero degli iscritti alla facoltà di medicina e il numero di borse di studio disponibili. Riassumo – anche se non ve ne è bisogno, perché lo abbiamo fatto, e mi riferirò anche a questo tra poco, mercoledì scorso, in un question time, a cui, peraltro, poi ha risposto il Ministro Boschi in luogo del Ministro Giannini, ma sulla stessa domanda, fatta, in questo caso, dall'onorevole Meloni, e quindi non possiamo nemmeno ignorare ciò che in quella occasione ha detto il Ministro Boschi – questo «pasticciaccio brutto di Viale Trastevere», o, comunque sia, di dove lo si voglia immaginare.
  Siamo partiti dalla consapevolezza che avevamo 7.500 laureati dell'anno in corso con una coda precedente, tant’è vero che poi gli studenti che si sono iscritti agli esami di specializzazione sono stati 11.200. Quindi, siamo partiti con un gap iniziale tra i laureati dell'anno e i laureati precedenti, che corrispondeva ad oltre il 50 per cento in più, a testimonianza che siamo, per così dire, fuori fase di programmazione e di progettazione.
  In questo clima e in questo contesto avevamo inizialmente, però, soltanto 3.500 borse di studio. Tutto il Parlamento lo ricorda e qui c’è il Viceministro dell'economia e delle finanze che sa con quanta pressione abbiamo cercato di ampliare il numero di queste borse – che poi non sono borse di studio, attenzione, sono contratti di lavoro – fino ad arrivare alla cifra di 5 mila. Benissimo, quindi abbiamo queste variabili: 40 per cento in più di studenti che devono fare l'esame rispetto ai laureati in corso ed un numero di borse di studio che, potremmo dire, copriva a stento il 60 per cento dei posti disponibili.
  Avevamo poi una novità quest'anno e anche questa è una nota che desidero sottolineare. È la prima volta che c'era il concorso nazionale. Concorso nazionale che si svolgeva in 117 sedi – ho dei numeri, ma sono soltanto per divertirci –, che significa 117 commissioni che dovevano controllare lo svolgimento della prova, e 442 aule, e tenete presente che il controllo va fatto aula per aula e non solo sede per sede. Quindi, un sistema capillare di controllo complesso, su cui il Ministro e il Ministero hanno già ricevuto tutta una serie di osservazioni.
  Ne potrei citare tantissime, dall'uso dei telefonini al fatto di parlare a voce alta, dai suggerimenti di alcuni commissari alla possibilità degli studenti di scambiare informazioni, a battutacce del tipo «li aiutiamo se no vengono quelli dal sud a iscriversi qua» (questo riguardo una sede universitaria del nord evidentemente). Non sto qui a dirle, ma è certo che su quella microirregolarità del quotidiano – che è sufficiente a rendere poco credibile la prova che si sta facendo, in cui i ragazzi sono stati immersi durante lo stesso espletamento della prova –, si è innestata la bomba che è quella che il Cineca poi concretamente ha ammesso. Così il Ministero aveva sbagliato le domande, nel senso che aveva invertito le due batterie di test. Ricordiamo che c'erano tre macroaree: l'area chirurgica, l'area medica e l'area dei servizi. Aveva invertito le due batterie di test, quella dell'area medica e quella dei servizi. Questo è stato sufficiente a creare uno sconcerto totale. Inizialmente il Ministro dice: «rifacciamo gli esami». Dopodiché dice: «no, chiediamo un parere all'Avvocatura dello Stato».
  L'Avvocatura dello Stato pesa le domande – e anche questo è un altro interrogativo importante – ed arriva a discutere delle 30 domande. Infatti ricordiamo che il meccanismo del testo prevedeva 70 domande generali, uguali per tutti, 30 domande di macroarea (quindi medica, chirurgica o servizi) e 10 domande (e solo 10 !) strettamente di indirizzo. Arriva a dire che in fondo, per l'area dei servizi e per l'area medica, sostanzialmente 28 domande su 30 coincidevano.
  Domanda: ma allora valeva la pena – dico semplicemente – aggiungere complessità a complessità, quando la possibilità di selezionare più specificatamente i settori Pag. 23poteva essere rimandata alle altre 10 domande, evitando quindi di far fare gli esami ai ragazzi, diversamente per area medica e per area dei servizi ?
  A noi, giudicando dalla strada, per la complessità del sistema, sembra onestamente ridicolo. O era ridicolo prima o era ridicolo dopo, in ogni caso la cosa risulta ridicola. Si fa tutta questa complicazione per due domande ? Ma, ragazzo, spostali all'altra batteria – che problema c’è ? – e semplifica la procedura.
  Non è finito. Ovviamente appaiono le graduatorie con coloro che sono inclusi. Incomincia una processione – mi deve proprio passare il termine –, perché chiaramente ognuno aveva scelto più di un'opzione. Fermo restando il diritto del più bravo a scegliere per primo, non ci dobbiamo dimenticare quello che finisce in una graduatoria in cui ha diritto a scegliere, ma non può scegliere se non ha scelto quello prima di lui, con le code che hanno accompagnato l'ansia, l'incertezza dei ragazzi, ma anche delle strutture che dovevano riceverli e in cui si doveva realizzare questa pratica.
  Certamente noi sappiamo che le borse di studio e i posti erano 5 mila e che, quindi, necessariamente, essendo 11 mila i concorrenti, un 60 per cento restava fuori.
  Gli errori commessi – errori procedurali, errori strutturali, errori di contesto – erano sufficienti per offrire ad ogni partecipante un motivo necessario e direi sufficiente per fare ricorso al TAR. E qui ci sorprende una scelta alternativa che ha fatto il TAR, molto ambigua. Rispetto alle proteste che erano state fatte dagli studenti immatricolati – diciamo dai diciottenni –, per i quali quest'anno ha ammesso 5 mila studenti in più di quelli che erano stati programmati, il TAR si è comportato, per gli studenti in ingresso, con la «manica larga»; viceversa, per questi ricorrenti si è comportato con la manica molto stretta.
  Perché ? Non ci sono, credo, grandi ragioni giuridiche – non me ne voglia, visto che c’è, il Viceministro del MEF –, il motivo era puramente economico, perché non c'erano i fondi. In quel caso lo studente paga lui, in questo caso io pago, per così dire, lo studente della scuola di specializzazione. Quindi, la sublime alchimia giuridica in realtà è stata uno stretto conto di bottega. Pertanto, non sono stati ammessi.
  Tutta questa è un po’ la cronistoria. Cosa dice due giorni fa il Ministro Boschi venendo in Aula e difendendo – lei, sottosegretaria, sicuramente lo avrà letto – a spada tratta l'operato del Ministero, l'operato del Ministro, dicendo che era tutto OK, che non ci sono problemi ? È stata una sviolinata degna anche di miglior causa. Cosa ha detto, sostanzialmente ? «Noi a febbraio abbiamo fatto un nuovo decreto. Lo abbiamo fatto dicendo che cambieremo le cose. Di fatto ancora non è uscito, uscirà ad aprile». Come sappiamo tutti bene, poi, il demonio è sempre nei dettagli, è sempre nelle pieghe delle cose. I ragazzi, gli studenti potranno fare questi esami in luglio. Perché in luglio ? Per permettere, attraverso tutti gli scorrimenti delle graduatorie, di cominciare regolarmente le attività poi – immagino io, non lo so – ai primi di settembre o ai primi di ottobre. Poi siamo sempre con l'idea che non sappiamo se si tratta dell'anno solare, dell'anno accademico, dell'anno economico, dell'anno giuridico. Insomma, con tutti gli anni che ci sono, il calendario sta diventando oggettivamente una sorta di optional.
  Questi sono i fatti. Rispetto alla domanda posta al Ministero – poi il Ministro risponderà come ritiene più opportuno – non vogliamo un pannicello caldo. Infatti, a noi lo potete anche dire e noi possiamo dire anche: «Sono soddisfatta», «sono parzialmente soddisfatta» o «sono insoddisfatta», ma per strada sono migliaia le persone che attendono questa risposta. Non è tanto per rispetto a noi o, se vogliamo, per rispetto al Parlamento, ma è per rispetto a ragazzi che hanno già investito un pezzo importante della loro vita su questo fronte e che stanno aspettando davvero una risposta chiara.

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  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Angela D'Onghia, ha facoltà di rispondere.

  ANGELA D'ONGHIA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Grazie Presidente, l'onorevole Binetti e l'onorevole De Girolamo sollevano una questione che è così importante per il nostro Paese ed è così sviscerata negli ultimi tempi. La questione prospettata dagli onorevoli riguarda il concorso unico per l'ammissione alle scuole di specializzazione in medicina per l'anno accademico 2013/2014 e i problemi tecnici riscontrati durante lo svolgimento delle relative prove. In particolare, si chiede di conoscere quali iniziative intenda assumere il Ministro per scongiurare l'eventualità che la formazione specialistica di molti medici sia compromessa da eventuali azioni giudiziarie, così come l'attività di molti ospedali.
  Occorre preliminarmente evidenziare che il Ministero ha adottato tutte le possibili misure precauzionali al fine di garantire la regolarità del concorso e di uniformare, a livello nazionale, le procedure di svolgimento delle prove. In seguito all'errore materiale riconosciuto dal Cineca, relativo all'operazione di importazione delle prove validate dalla commissione nazionale, il Ministero, anche a seguito di un'interlocuzione con l'Avvocatura dello Stato, ha deciso, come ricordato dall'interpellante, di neutralizzare solo due domande in ognuna delle due prove di area, previa verifica da parte della commissione nazionale della presenza di ventotto domande su trenta riconducibili a cinque settori disciplinari comuni ad entrambe le aree interessate dall'inversione dei quesiti.
  La commissione ha, infatti, riconosciuto che ventotto domande su trenta avrebbero potuto essere inserite alternativamente in una delle due prove e che, quindi, le uniche domande non pertinenti erano due. Il riconoscimento da parte della commissione della congruenza dei criteri con cui sono stati definiti i contenuti delle prove e, quindi, della validità scientifica del contenuto del test nella forma in cui è stato effettivamente proposto ai candidati, ha permesso di non invalidare le prove, in ossequio ai principi costituzionali di buon andamento, di conservazione dei valori giuridici e di ragionevolezza.
  Premesso ciò, venendo al merito delle questioni sollevate dall'onorevole interpellante, preciso che ad oggi sono state formate le graduatorie per ciascuna scuola di specializzazione e che è tuttora in corso la fase di scorrimento. Alla data del 9 marzo 2015, a fronte di 5.514 posti disponibili, risultano iscritti 5.302 candidati. Con i prossimi scorrimenti, verranno assegnati gli ultimi 212 posti disponibili. Inoltre, il Ministero, assieme all'Avvocatura dello Stato, sta affrontando il contenzioso in essere. A fronte di un notevole numero di candidati che ha presentato ricorso avverso la procedura concorsuale, al momento non si registrano assolutamente disagi per il regolare svolgimento dell'attività didattica degli specializzandi già iscritti e, comunque, rispetto ai circa cinquanta ricorsi trattati ad oggi dal TAR, le ordinanze hanno in quasi tutti i casi rigettato le istanze cautelari presentate dai ricorrenti.
  È, inoltre, opportuno segnalare che nei pochissimi provvedimenti con i quali il TAR Lazio ha finora accolto le istanze cautelari dei ricorrenti, il giudice si è sempre e soltanto espresso sulla decadenza dalle graduatorie, concedendo ai ricorrenti che erano in posizione utile su più graduatorie di iscriversi a una scuola e di non decadere dalle graduatorie delle altre, ma non ha mai concesso ad alcun ricorrente l'iscrizione a una scuola per la quale non era in posizione utile in graduatoria, né tantomeno ha concesso ad alcun ricorrente l'iscrizione in sovrannumero. Pertanto, allo stato, non vi sono ricorrenti iscritti in sovrannumero e le attività delle scuole è partita regolarmente con il numero di specializzandi programmato. Sotto tale profilo, quindi, allo stato attuale del contenzioso, i provvedimenti Pag. 25del TAR non hanno generato alcun effetto di incremento della spesa a gravare sulla finanza pubblica.
  Occorre rilevare, più in generale, in merito al numero dei contratti di specializzazione, che l'ipotesi di incremento non è allo stato percorribile in quanto il MIUR non ha la possibilità di aumentarne autonomamente il numero, stante, anche, la disponibilità delle risorse stanziate nel capitolo di bilancio.
  Il numero programmato degli specializzandi da formare annualmente è, infatti, frutto, ai sensi dell'articolo 35 del decreto legislativo n. 368 del 1999, di una concertazione fra il MIUR, il Ministero della salute, il Ministero dell'economia e delle finanze, nonché del previo parere della conferenza Stato-regioni, in base al fabbisogno che le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano individuano, con cadenza triennale ed entro il 30 aprile del terzo anno, comunicandolo al Ministero della salute.
  Inoltre, il decreto legislativo n. 502 del 1992 e successive modificazioni ed integrazioni all'articolo 6-ter prevede che, entro il 30 aprile di ciascun anno, il Ministro della salute, sentiti la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome e le Federazioni nazionali degli ordini e collegi professionali interessati, determini con uno o più decreti il fabbisogno del Servizio sanitario nazionale, anche suddiviso per regioni, in ordine ai medici chirurghi, veterinari, odontoiatri, farmacisti, biologi, chimici, fisici, psicologi, nonché al personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione ai soli fini della programmazione da parte del Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica degli accessi ai corsi di diploma di laurea, alle scuole di formazione specialistica e ai corsi di diploma universitario.
  A tale fine, l'articolo 6-ter del decreto legislativo n. 502 del 1992 individua anche le variabili delle quali occorre tener conto nella determinazione del suddetto fabbisogno: livelli essenziali di assistenza ed obiettivi indicati dal Piano sanitario nazionale e da quelli regionali; modelli organizzativi dei servizi; offerta di lavoro; domanda di lavoro, considerando il personale in corso di formazione e il personale già formato, non ancora immesso nell'attività lavorativa. Pertanto, come si evince dal predetto quadro normativo, l'ordinamento vigente prevede che le regioni, nel determinare i propri fabbisogni tengano conto delle specifiche realtà locali.
  Come è noto, l'aspetto della copertura economica rappresenta uno dei maggiori ostacoli all'aumento del numero di specializzandi da ammettere alle scuole. Proprio grazie all'impegno del MIUR e di tutto il Governo, è stato possibile aumentare a 5.500 i contratti per l'anno accademico 2013/2014.
  Al riguardo, l'impegno del Ministero è massimo e si ribadisce il fermo obiettivo, anche alla luce dei risparmi di spesa che deriveranno dalla revisione che si sta perfezionando degli ordinamenti didattici delle singole scuole e della loro durata, di ottimizzare l'impiego dei fondi disponibili incrementando a regime il numero di contratti finanziabili con risorse statali.
  Infatti, come è noto, con decreto interministeriale n. 68 del 4 febbraio 2015 è stato approvato il riordino delle scuole di specializzazione di area sanitaria. Si tratta di un provvedimento atteso, che consentirà ai nostri giovani medici di specializzarsi in anticipo e di entrare prima nella professione. Il decreto prevede che la durata delle scuole venga ridotta mediamente di un anno. In particolare, non esisteranno più percorsi di studio di sei anni: potranno essere di tre, quattro o cinque al massimo. La riduzione del percorso di studio riguarda oltre trenta scuole su cinquantacinque.
  È previsto anche l'accorpamento di cinque scuole precedentemente esistenti, mentre due (medicina aeronautica e spaziale e odontoiatria clinica generale) vengono soppresse. Le scuole di specializzazione, pertanto, passano dalle attuali sessantuno a cinquantacinque.
  Il decreto mette anche mano agli ordinamenti didattici delle scuole di specializzazione, con i relativi obiettivi formativi e rivede la distribuzione dei crediti fra le Pag. 26attività previste. In particolare, almeno il 70 per cento della formazione dovrà essere dedicato allo svolgimento di attività professionalizzanti, pratiche e di tirocinio.
  Gli specializzandi potranno fare il loro percorso all'interno di una rete formativa più ampia, che potrà includere, oltre alle strutture universitarie, i presidi ospedalieri e le strutture territoriali del Servizio sanitario, attraverso un meccanismo rigoroso di accreditamento secondo specifici parametri valutativi.
  Il provvedimento, dunque, rafforza l'integrazione fra il sistema sanitario e quello universitario. Alle università è stato chiesto di rivedere celermente gli ordinamenti.
  Infine, si fa presente che il nuovo regolamento per l'accesso alle scuole di specializzazione in medicina è stato predisposto proprio per semplificare alcuni passaggi dello stesso regolamento e sveltire le procedure di scorrimento delle graduatorie finali.
  Due le modifiche rilevanti. Ogni candidato potrà concorrere per un massimo di tre tipologie di scuola da indicare in ordine di preferenza. Inoltre, i settanta quesiti della parte generale della prova di selezione faranno riferimento alla formazione clinica del percorso di laurea, per improntare le prove a una maggiore caratterizzazione pratico-applicativa nella porzione comune dei quiz. Si prevede, quindi, di emanare il bando per il secondo concorso nazionale di accesso alle scuole entro il 30 aprile 2015, e le prove si svolgeranno entro il 31 luglio 2015.

  PRESIDENTE. La deputata Binetti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta all'interpellanza De Girolamo n. 2-00876, di cui è cofirmataria.

  PAOLA BINETTI. I principi sono abbastanza chiari, funzionano se funziona tutto l'insieme delle regole. Voglio dire, non stupisce nessuno se diciamo che gli esami delle scuole di specializzazione, quest'anno, sono stati fatti ad ottobre e ancora 200 ragazzi sono nella speranza, ma comunque stanno aspettando, di essere inseriti: il che vuol dire circa un anno di scuola di specializzazione – tra virgolette, mi sia concesso di dire – «persa», in un contesto di scuola di specializzazione più breve.
  Quindi, tutti gli anelli della catena vanno messi in fila l'uno rispetto all'altro e, come dire, è una struttura integrata quella che deve funzionare. Se funzionerà, lo vedremo e ci rallegreremo, però questo richiede chiarezza. Il 30 aprile uscirà il bando concreto, a cui queste persone potranno concorrere; e uscirà, perché si riconosceva in base alla norma precedente come il frutto anche di una mediazione che c’è stata con le regioni, con il Ministero della salute e con il Ministero dell'economia e delle finanze.
  Faccio una domanda cattivissima: oggi noi siamo circa al 15, concretamente al 13, di marzo, quindi il 30 aprile è tra poco più di un mese se pensiamo alla pausa pasquale, ma noi poi lo sappiamo dal Ministero dell'economia e delle finanze quanti contratti di lavoro, e quindi quante borse, ci permetterà ? Perché l'anno scorso è stato un dato ballerino assoluto ! Allora noi possiamo fare un'azione di pressing sul MIUR, ma è chiaro che il MIUR deve fare un pressing perlomeno per saper comunicare con chiarezza ciò. Questo è il primo anello.
  Il secondo anello mi auguro che riguardi proprio la composizione delle batterie di quiz che i ragazzi dovranno affrontare: semplifichiamole. Semplifichiamole, perché stiamo parlando di studenti che, teoricamente, hanno tutti raggiunto quello che noi consideriamo il denominatore comune della specificità della professione medica. Non c’è bisogno che già da ora, per esempio, sappiano rispondere a quattro domande in più dell'area dell'endocrinologia, piuttosto che non del campo della medicina metabolica, e così via: non c’è bisogno, perché per questo devono fare la scuola di specializzazione. Cerchiamo di essere molto capaci di essere selettivi in questa batteria di quiz, perché, faccio un riferimento molto semplice, i ragazzi hanno già – già ! – superato batterie di domande generalistiche per accedere all'abilitazione.Pag. 27
  Tra l'altro, il sottosegretario sa benissimo che si sta lavorando perché la laurea in medicina abbia anche carattere abilitante, com'era quando ero piccola io e com’è stato per molte generazioni. Allora, questi fanno una batteria di domande generalistiche e, dopo tre mesi, fanno un'altra batteria di domande generalistiche. Uno potrebbe dire: ma che problema c’è ? Il problema è molto sottile, perché quelle che io faccio, come laureato in medicina, debbono essere accessibili a tutti gli studenti che si laureano in medicina, quelle che io faccio per accedere alla scuola di specializzazione debbono, invece, selezionare.
  Sono due modalità completamente diverse: nella prima punto proprio a cercare gli obiettivi di alto livello comuni; nella seconda batteria di quiz pongo le domande più selettive, quelle che mi permettono, piaccia o non piaccia, di dire «tu sì, tu no». Ma permettono di dirlo in base a un criterio vero di competenza, di preparazione, soprattutto quando continua ancora questa frattura tra numero di laureati e numero di borse a disposizione.
  Per il resto noi ci auguriamo davvero che si possa fare un pressing forte su questo, ma davvero concreto, per ottenere – come abbiamo avuto notizia questa notte – analogamente a quello che è successo al Consiglio dei ministri, per cui tutti gli insegnanti che erano nella graduatorie ad esaurimento (GAE) sono stati in qualche modo normalizzati e poi si è detto che d'ora in poi ci saranno i concorsi.
  Ma li vogliamo soddisfare tutti questi ragazzi che ci sono ? Quando vogliamo fargli fare questa scuola di specializzazione ? Quindi, credo che ci voglia una prospettiva più forte. Ci vuole una solidarietà più profonda nei confronti delle generazioni dei nuovi giovani medici.
  Nell'università da cui provengo c’è uno slogan che dice questo, e lo dice ai professori: come tu tratterai il tuo studente, il tuo studente domani tratterà il suo malato. Gli studenti di medicina, perché li devi trattare bene ? Non perché tu debba viziarli, perché, al contrario, si deve alzare il livello di esigenza il più possibile nei loro confronti. Ma li deve trattare bene perché loro debbono trattare bene i loro malati. Noi sentiamo dire tante volte che un ragazzino che è stato trattato con violenza finisce per essere un adulto violento. Un laureato che è stato trattato con una sorta di disprezzo dal contesto della società finisce per dire: ma chi me lo fa fare ? Viceversa noi abbiamo bisogno di grande qualità, da questo punto di vista, nella disponibilità.
  Quindi, mi auguro davvero – perché la cosa che a me più interessa è la sequenza delle date e la sequenza dei numeri – che al 30 aprile tutti sappiano quando sarà l'esame, su che cosa verterà l'esame e quanti contratti ci sono. Devono sapere quanto competitiva sarà la batteria in cui concorrono. Dopo di che, mi auguro che da parte del Ministero ci sia un capillare controllo di tutti i passaggi in cui si svolgerà l'esame, a cominciare dal clima dell'aula in cui si svolge l'esame. Ovviamente non sto qui a dire del Cineca, ma penso che quel fatto non si ripeterà più, però è evidente che serve questo. E poi che le batterie di scorrimento, se devono scorrere, scorrano veloci, perché alla mia libertà di scelta corrisponde il senso di responsabilità nel permettere al mio collega di fare anche lui la sua libera scelta. Non è che il primo gode di una libertà illimitata e l'ultimo, non solo prende gli avanzi, ma addirittura sta ancora aspettando che gli arrivino.
  Quindi, credo sia il rigore nelle procedure, in questo momento, ciò di cui il Ministero abbia bisogno per riacquistare credibilità rispetto, per esempio, alla facoltà di medicina.

(Problematiche riguardanti la formazione e l'aggiornamento in cure palliative e terapia del dolore – n. 2-00883)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Binetti n. 2-00883, concernente problematiche riguardanti la formazione e l'aggiornamento in cure palliative e terapia del dolore (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).Pag. 28
  Chiedo alla deputata Binetti se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  PAOLA BINETTI. Il clima culturale in cui si è svolta la legislatura precedente, soprattutto nei suoi inizi, è stato caratterizzato da una vicenda che tutti quanti noi ricordiamo per la sua drammaticità e anche perché veramente interpella la sensibilità di tutti noi. Mi riferisco, in questo momento, al caso Englaro, accompagnato da un dibattito parlamentare molto forte sulla famosa legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, che in molti casi – questa era la grande spaccatura presente in Parlamento – voleva spingere l'autonomia e l'autodeterminazione del paziente fino a poter chiedere il diritto a morire quando e come voleva, quello che noi chiamiamo una sorta di suicidio assistito, che è parente stretto dell'eutanasia; e, dall'altra parte, una parte importante del Parlamento che, invece, sosteneva l'ipotesi che il malato avesse diritto alle cure fino all'ultimo momento della sua vita.
  Come tutti sappiamo, la legislatura precedente si è conclusa con una sospensione di quello che era il disegno di legge sulla dichiarazione anticipata di trattamento e, viceversa, uno dei migliori frutti della legislatura precedente è stata la legge n. 38 del 2010, che è la legge che istituisce le cure palliative e la rete contro il dolore. Quella legge, frutto di un dibattito parlamentare che definirei faticoso non nel senso negativo ma nel senso di appassionato da parte di tutti, per poter cercare di offrire al malato le migliori risorse possibili, farmacologiche e non farmacologiche, relazionali, organizzative e strutturali, è tutt'oggi una legge che ci viene non dico invidiata ma che fa da punto di riferimento anche in Europa per molti altri Paesi che guardano alla legge n. 38 davvero come ad una buona legge civiltà. Cosa contiene questa legge, oltre a riaffermare il diritto del paziente a ricevere le migliori cure possibili fino all'ultimo momento della sua vita, quindi anche a poter ricevere tutto l'aiuto di cui ha bisogno perché il dolore non debba rappresentare un convitato ostile che uno si porta dentro, come se avesse una sorta di nemico interno, tanto che l'onorevole Bonino, in questi giorni, parlando di una vicenda che la riguarda personalmente, accennava a una sorta di mostro che uno si porta dentro ? Il dolore può essere controllato, il dolore può essere rimosso, tant’è vero che ci sono state addirittura ipotesi di ospedale senza dolore e tant’è che la bellezza di questa legge è anche che pone obiettivi nuovi, di alto profilo di civiltà, a tutti i medici, perché imparino a gestire le terapie contro il dolore con quel rispetto per il paziente che presuppone qualità nella relazione anche conoscenze di tipo farmacologico molto avanzate nonché conoscenze non indifferenti nel campo delle terapie non farmacologiche.
  La legge aveva un aspetto molto concreto che fu oggetto di grande dibattito all'interno della nostra Commissione e che riguarda la formazione dei medici su questo punto concreto. Chi forma i medici alla gestione delle terapie contro il dolore e alla gestione delle terapie palliative ? In Italia non c’è una scuola di specializzazione in cure palliative e non è detto che sia male. Non è detto che sia male perché la specializzazione in cure palliative potrebbe essere anche una specializzazione che va oltre la specializzazione, perché generalmente, per ora, si occupano di cure palliative e sono considerati palliativisti medici che vengono dall'area dell'anestesia, medici che vengono dall'area dell'oncologia, medici che vengono dall'area della medicina interna, medici che vengono dalla geriatria e medici che vengono dalla neurologia. Ce ne sono anche altre di specialità, però queste sono quelle più impegnate sul fronte delle cure palliative. La domanda posta al Ministro va in questa direzione: secondo quanto stabilito da un'indagine che non è statisticamente quantificata, che però è un'indagine che, dal punto di vista qualitativo, è piuttosto attendibile, riteniamo che non si faccia ancora abbastanza per insegnare ai medici le terapie contro il dolore e le cure palliative. Come dire: non ci sono sufficienti Pag. 29crediti formativi nell'area della formazione di base, cioè nei sei anni di corso, che costituiscono il patrimonio comune, la cultura generale dei medici. Per cultura generale dei medici, quando parliamo di classe medica e di cultura della classe medica, ci riferiamo alla cultura che si acquisisce in quei sei anni. Ma ci sembra anche che non sia sufficiente ancora la qualità e l'intensità della formazione in terapia del dolore e cure palliative nelle rispettive scuole di specializzazione, anche se, in linea con quanto diceva prima il sottosegretario D'Onghia, è vero che in alcune specialità, ma non in tutte, è stato inserito più esplicitamente, con la revisione recente dei curricula, l'insegnamento in cure palliative. A noi sembra molto importante sollevare questi problemi, perché proprio domenica 15 marzo saranno cinque anni dall'approvazione della legge e ci sembra un evento che intendiamo ricordare. Lo faremo, tra l'altro, qui alla Camera, con una conferenza stampa a cui sono stati invitati i maggiori esperti del settore. Sarà proprio nella sala stampa della Camera e lo faremo guardando alla vita come a un valore importante da custodire, fino all'ultimo momento, anche con le parole che ha recentemente utilizzato Papa Francesco quando ha ricevuto i medici che fanno parte dell'Accademia per la vita.
  Ha speso delle parole molto belle e molto forti, molto concrete anche, sull'insegnamento delle cure palliative e sulla dedicazione dei medici alle cure palliative, sottolineando molto bene che un medico che per definizione non guarirà quel malato ma lo curerà non è un medico che ha meno dignità nell'esercizio del suo lavoro di coloro che magari seguono specializzazioni in cui il risultato potrebbe essere più incisivo, più immediato e più sicuro.
  Però mentre noi faremo questa cosa lunedì 16, perché la legge viene votata e conclusa il 15 marzo, il 19 marzo, quattro giorni dopo, che è la data in cui invece la legge venne pubblicata (tra l'altro è interessante vedere quanto breve è l'intervallo di tempo) sulla Gazzetta Ufficiale, promosso dal Senato ci sarà un altro convegno il cui titolo parla di per sé, ed è La legge sull'eutanasia: sappiamo che c’è stata una proposta di iniziativa popolare per proporre una legge sull'eutanasia. Quindi noi abbiamo qui alla Camera un'iniziativa tutta a favore delle cure palliative, spesa tutta a favore della vita, spesa nella condizione profonda che finché c’è vita ci deve essere una relazione forte, di alleanza forte con il malato per aiutarlo in tutti i modi possibili dopo pochi giorni, pochissimi giorni, non più di tre o quattro, ci sarà un'altra iniziativa che a motivo dello stesso tipo di problema proporrà, e probabilmente innesterà poi anche un percorso parlamentare, per la legge sull'eutanasia. Quindi noi siamo fermamente convinti dell'importanza di questa legge, dell'importanza della formazione dei medici, dell'importanza dell'investimento su questo fronte, perché nella relazione medico-paziente il paziente si possa affidare con fiducia al medico, a questo medico, e questo medico sia degno di questa fiducia, anche in virtù di una preparazione professionale chiara e forte su questo punto.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Angela D'Onghia, ha facoltà di rispondere.

  ANGELA D'ONGHIA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Presidente, l'interpellanza in discussione verte sulle cure palliative e sulla terapia del dolore, argomento preso in considerazione dal legislatore con la legge n. 38 del 2010, che prevede specifiche misure al riguardo.
  Si ricorda che la legge citata ha delineato il percorso per la realizzazione di un sistema organizzativo articolato per assicurare su tutto il territorio nazionale risposte socio-assistenziali anche di elevata complessità, che, in quanto tali, presuppongono un'adeguata formazione del personale che si trova ad interagire nel percorso di cura.
  In tale ottica, parallelamente alla definizione delle reti di terapia del dolore e di cure palliative, si è reso necessario strutturare Pag. 30l'offerta formativa prevista dalla legge sopra citata per consentire al personale delle diverse categorie professionali di approfondire le specifiche competenze clinico-assistenziali e di ampliare le capacità di pianificazione e gestione dei percorsi diagnostico-terapeutici integrati.
  A tal fine, è stata istituita una specifica disciplina delle cure palliative e definite le categorie di professionisti che operano in essa. In particolare, con l'accordo Stato-Regioni del 7 febbraio 2013 è stata individuata, per la categoria professionale dei medici – Area della medicina diagnostica e dei servizi – la disciplina di «cure palliative», ai fini della regolamentazione concorsuale per l'accesso dei medici alle strutture all'uopo istituite e facenti parte della rete di cure palliative. Con successivo decreto del Ministro della salute del 28 marzo 2013 si è provveduto ad aggiornare le tabelle relative ai servizi ed alle specializzazioni equipollenti di cui al decreto ministeriale del 30 gennaio 1998, al fine di consentire l'accesso alla nuova disciplina.
  In attuazione di quanto previsto dall'articolo 5, comma 2, della menzionata legge n. 38, è stato sancito, poi, l'accordo Stato-regioni del 10 luglio 2014, avente ad oggetto l'individuazione delle figure professionali con specifiche esperienze nel campo delle cure palliative e della terapia del dolore, anche per l'età pediatrica, specificando negli allegati tecnici le competenze che deve possedere ciascuna figura professionale operante nella rete in parola.
  Secondo quanto previsto dall'articolo 8, comma 1, della medesima legge, in data 4 aprile 2012 il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro della salute, ha adottato cinque decreti, pubblicati nella Gazzetta ufficiale n. 89 del 16 aprile 2012, di approvazione dei criteri per l'istituzione, da parte delle università a decorrere dall'anno accademico 2011/2012, di altrettanti master universitari destinati alle varie figure professionali in cure palliative e terapia del dolore, con l'obiettivo di formare professionisti idonei ad operare nell'ambito delle medesime reti. Tali criteri individuano gli ordinamenti didattici, i profili di apprendimento, gli obiettivi formativi qualificanti, i requisiti di accesso al master, l'organizzazione didattica e il titolo finale. All'articolo 2, comma 2, dei predetti decreti-legge si dispone che, al termine del corso, si consegue un «titolo accademico qualificante personale competente nella terapia del dolore e/o cure palliative che può svolgere attività professionale nelle strutture sanitarie pubbliche e private e nelle organizzazioni senza scopo di lucro operanti nella rete per la terapia del dolore e/o cure palliative». Si fa inoltre presente che per la primaria importanza della materia e per l'urgenza di formare e aggiornare professionisti qualificati in grado di affrontare con le appropriate modalità tematiche così complesse, tra gli obiettivi formativi di interesse nazionale, definiti dalla Commissione educazione continua medicina e dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, nell'ambito dei programmi e delle attività dell'educazione continua in medicina, è stato individuato il «Trattamento del dolore acuto e cronico. Palliazione». Il Ministro della salute presenta annualmente una relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge n. 38 del 2010, riferendo anche in merito alle informazioni e ai dati raccolti attraverso uno specifico monitoraggio, che, tra l'altro, esamina le prestazioni erogate e gli esiti delle stesse, anche attraverso l'analisi qualitativa e quantitativa dell'attività delle strutture delle due reti, nonché le attività di formazione a livello nazionale e regionale.

  PRESIDENTE. L'onorevole Binetti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  PAOLA BINETTI. Presidente, sono certamente soddisfatta della risposta, a cui però vorrei aggiungere una cosa. Come è stato ben detto dal sottosegretario, il valore di questi master, che rappresentano uno step successivo di formazione alla specializzazione, perché di fatto si accede al master avendo già una specializzazione Pag. 31in una di quelle aree di cui si diceva, hanno un valore professionalizzante. Dire che hanno un valore professionalizzante significa dire che sono poi spendibili nel momento in cui si acceda a un concorso, o si fa una domanda per lavorare anche con ruoli, diciamo fra virgolette, di coordinamento, direttivi all'interno di hospice, eccetera. Detto questo però, questi master a me non risulta che abbiano quella uniformità, quella coerenza, quella convergenza, quella garanzia a trecentosessanta gradi che rappresenti un profilo di formazione comune. Quello che anche nella nostra interpellanza si chiedeva era: che fine ha fatto quel tavolo composto effettivamente da persone che approfondiscono questi temi non nella loro quotidianità di prassi ma anche nella loro riflessione strutturale, quindi possono essere – ma non solo necessariamente – docenti universitari, però persone che sono abituate a fare del lavoro ordinario una riflessione sistematica per migliorarne continuamente la qualità ? Che ne è stato di quel tavolo, perché per quanto mi risulta da un lato non è mai stato sciolto definitivamente, dall'altro sono diversi anni, probabilmente dopo il 2012-2013 che comunque non viene riconvocato.
  Viceversa, si sono accumulate esperienze, cioè, come dire, c’è un sapere esperto adesso, che in questi anni ha costituito davvero un bagaglio comune, che se fosse messo a disposizione di tutti potrebbe costituire un meccanismo di miglioramento della qualità non necessariamente dall'alto, ma un miglioramento della qualità che procede dall'esperienza e dal confronto delle persone che condividono la stessa attività professionale, perché, oggi come oggi, è cambiato, per così dire, il tempo di destinazione del paziente alla cura palliativa.
  Quando si è cominciato a parlare di cure palliative si parlava di tre mesi; il malato sapeva che se il medico gli diceva: «adesso ti invio a un palliativista» questo significava che aveva tre mesi di vita. Dopodiché, fortunatamente il progresso delle scienze, il progresso dell'assistenza, anche la qualità delle relazioni, hanno fatto sì che questo percorso di vita del paziente si sia esteso e oggi le cure palliative si cominciano a fare, per così dire, in realtà scientificamente quando i farmaci specifici, di cui si dispone, non sono più efficaci e, quindi, non si può fare affrontare un'altra linea di chemio, perché la reazione dell'organismo a questa terapia è peggiore, quasi, della stessa malattia, tanto è vero che il malato lo potrebbe addirittura configurare come una sorta di accanimento terapeutico. Quindi, questo crinale è molto sottile ed è fondamentale che ci sia una formazione molto chiara e molto forte.
  Dico un'ultima cosa. È di questi giorni – l'abbiamo letto tutti quanti sui giornali – l'approvazione in Francia della legge sul fine vita. Questa legge contiene un articolo – ed è proprio notizia tra ieri e oggi – in cui la Francia dice «no» al suicidio assistito e, quindi, dice di no all'eutanasia. Dice «sì», invece, alla sedazione profonda, per cui il malato viene, come dire, sedato, si addormenta e, in un certo senso, non si sveglia più. Non c’è che dire. La differenza tra una misura eutanisica e la sedazione profonda è una differenza molto sottile, che attiene a competenze scientifiche, che attiene a competenze etiche, che attiene a qualità di relazione, che attiene anche a una dinamica, diciamo, dell'alleanza medico-paziente molto sottile.
  Nella legge n. 38 del 2010 c’è la sedazione profonda, se ne parla. Ne abbiamo discusso tantissimo e io stessa ricordo di essere intervenuta in dichiarazione di voto sulla legge, proprio sottolineando che quello era un punto che andava mantenuto sotto un'attenta forma di controllo. Infatti, non mi stupisco che la vicenda sia esplosa così e che ci sia la notizia di quello che sta accadendo in Francia. Perché in Italia la stessa legge n. 38 del 2010, attraverso l'articolo sulla sedazione profonda, non si converta indirettamente in un piano inclinato, che di fatto, poi, può rendere possibili forme di eutanasia più o meno scivolose, più o meno ambigue, si richiede un livello di formazione estremamente alto, perché si richiede il massimo della sensibilità e della delicatezza nel Pag. 32rapporto con il paziente, per evitargli ogni forma di sofferenza che sia davvero inutile. Ma, nello stesso tempo, gli viene quel supporto alla sua vita che gli permetta di viverla fino all'ultimo momento con la massima dignità possibile.
  Per questo per noi è fondamentale la formazione e per questo per noi è fondamentale che sulla legge n. 38 del 2010 queste persone, che dirigono master e che hanno questa responsabilità importante, anche sotto il profilo professionalizzante, facciano un lavoro di riflessione molto attento, che tiene insieme aspetti farmacologici, aspetti clinici, aspetti etici, bioetici eccetera.

(Iniziative, anche normative, volte alla ricostituzione della dotazione originaria del Fondo previsto dalla legge di stabilità per il 2015 finalizzato alla stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili di Napoli e Palermo – n. 2-00868)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Di Lello n. 2-00868, concernente iniziative, anche normative, volte alla ricostituzione della dotazione originaria del Fondo previsto dalla legge di stabilità per il 2015 finalizzato alla stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili di Napoli e Palermo (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo al deputato Di Lello se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  MARCO DI LELLO. Grazie, signora Presidente. Signor Viceministro, membri del Governo, onorevoli colleghi, la vicenda oggetto dell'interpellanza è forse lo specchio di un Paese che a volte preferisce un lunghissimo regime transitorio, fosse pure trentennale come in questo caso, piuttosto che, magari, un più corretto percorso di stabilizzazione strutturale che renderebbe, però, necessario assumere delle decisioni che forse non si vogliono prendere.
  Trent'anni di precarietà – forse un record europeo – per alcune migliaia di lavoratori della provincia di Napoli.
  E, infatti, come sa bene il Viceministro, è del 2 agosto del 1984 il decreto-legge che finanzia per 27 miliardi di lire dell'epoca il comune e la provincia di Napoli per lavori socialmente utili, dice il decreto. In realtà, è una locuzione che dieci anni dopo sarà utilizzata per altri lavoratori.
  Ma sono trent'anni di precarietà per 2.700 lavoratori, rimasti oggi, che ogni anno, onorevole Viceministro, in realtà, nella lettera a babbo Natale, devono ricordare ai parlamentari, prima ancora che al Governo, che nella legge di stabilità venga accantonato un fondo che consenta di pagare loro gli stipendi anno per anno. Io non ho mai capito perché non li si sia mai voluti assorbire nei ruoli della PA, atteso che questi lavoratori godono, come è giusto e naturale che sia, di tutte le tutele previdenziali. Molti lavorano dal 1981, altri dal 1984, sono inquadrati con un contratto di igiene ambientale, dunque la stabilizzazione non avrebbe sostanzialmente alcun costo aggiuntivo, ma regalerebbe loro probabilmente la tranquillità per il futuro, oltre alla possibilità di poter evitare di dover seguire i lavori parlamentari per evitare incresciosi dietro front, con risorse allocate, poi tagliate, poi di nuovo rifinanziate, poi di nuovo diminuite. È quello che è successo in questi ultimi tre mesi.
  Io lo ricordo brevemente: il Governo approva il disegno di legge di stabilità n. 2679, che prevedeva, così come le precedenti leggi di stabilità, autorizzazioni di spesa per le finalità di cui al decreto-legge n. 67 del 1997 per 100 milioni di euro. Nel pieno di una polemica parlamentare, che probabilmente ha poco a che fare con questa vicenda, il presidente della Commissione bilancio decide di stralciare, ai sensi dell'articolo 120, secondo comma, del Regolamento della Camera questa norma. Il Governo approva un disegno di legge di un solo articolo, per ritornare sul punto, perché è evidente che non ci poteva essere una mancata copertura per questi lavoratori; poi, infine, con un emendamento del relatore, la vicenda si risolve in Commissione, non senza che la Camera abbia Pag. 33impegnato, con un ordine del giorno, il 30 novembre 2014, il Governo in questa direzione.
  Però, come è noto, la legge di stabilità, che pure è entrata in vigore il 1o gennaio, in realtà rispetto a questa norma non ha potuto dispiegare i suoi effetti, perché il decreto-legge del 31 dicembre 2014, del giorno prima dunque, ha ridotto per un importo di 10 milioni di euro il fondo di cui sopra. Ora, è evidente che in questa occasione né i tecnici del Ministero né la politica hanno dato una straordinaria dimostrazione di particolare efficienza, perché qualcuno deve aver sbagliato: se prima si allocano 100 milioni e, dopo due mesi, quei 100 milioni diventano 90, o si è sbagliato prima o si è sbagliato dopo.
  È di ieri il provvedimento del Ministero dell'interno che, in attuazione del DPCM del 27 febbraio, assegna, sempre per le finalità di cui sopra, la somma di 64 milioni 656 mila euro all'area metropolitana di Napoli e al comune di Napoli. Sono oltre 7 milioni in meno rispetto ai 71 milioni 845 mila euro stanziati lo scorso anno. Ma questo taglio non risulterebbe essere frutto di una scelta oculata, alla luce di economie maturate nel 2014, atteso che con lo stesso provvedimento il Ministero dell'interno, leggo testualmente, «invita a segnalare in modo puntuale e chiaro le eventuali economie di spesa che sono state realizzate nell'anno 2014». Dunque, il Ministero non le conosce.
  Ora, a noi qui non interessa la polemica, ci interessa invece comprendere i processi burocratici che conducono a vicende come questa e, soprattutto, ci interessa avere certezza della disponibilità delle risorse, di tutte le risorse necessarie per il pagamento dei lavoratori ex decreto-legge n. 67 del 1997, che – ricordo a chi ci ascolta – sono altri e diversi rispetto al più grande bacino degli ex LSU, che è in via di assorbimento, questi da poco meno di vent'anni, dunque sono giovani rispetto a quelli di cui ci stiamo occupando. Ma, al di là delle battute, nel rinnovare la fiducia, io mi aspetto davvero che il Viceministro e il Governo ci tranquillizzino sul futuro e magari lascino intravedere anche una strada che consenta, appunto, di trovare una soluzione definitiva, anziché ogni anno dover affrontare questo tema in sede di legge di stabilità.

  PRESIDENTE. Il Viceministro dell'economia e delle finanze, Enrico Morando, ha facoltà di rispondere.

  ENRICO MORANDO, Viceministro dell'economia e delle finanze. Grazie, signora Presidente. L'interpellante ha già illustrato, con assoluta precisione, i termini della questione, e quindi non li riprendo, per non far perdere tempo.
  Sul punto, confermo che le risorse di cui all'articolo 1, comma 199, della legge di stabilità 2015, per una quota pari a 100 milioni di euro, sono destinate agli interventi di carattere sociale volti a stipulare le convenzioni con i comuni interessati alla stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili con oneri a carico del bilancio comunale, nonché alla prosecuzione del finanziamento dei progetti per servizi socialmente utili come indicati nell'elenco 1 che era allegato alla legge di stabilità. La vicenda della legge di stabilità è andata esattamente nei termini che sono stati illustrati; anche su questo punto, non ritorno, perché l'illustrazione che potrei fare io è identica a quella che è stata fatta dall'interpellante.
  Vengo alla sostanza: nel rispetto delle finalità predette, cioè quelle delle due disposizioni di legge di cui stiamo parlando, sono stati predisposti due schemi di DPCM, che sono entrambi in corso di firma, che, intanto, per l'esercizio 2015 – poi vi è il problema che riguarda, dopo 30 anni, come è stato illustrato, un'eventuale iniziativa di effettiva stabilizzazione –, provvedono a destinare le risorse del predetto fondo di 100 milioni, rispettivamente, per una quota di 10 milioni di euro, alla proroga, in deroga all'articolo 1, comma 449, della legge n. 296 del 2006, dei rapporti convenzionali in essere attivati dall'ufficio scolastico provinciale di Palermo per l'espletamento di funzioni corrispondenti ai cosiddetti collaboratori scolastici, a seguito del subentro dello Pag. 34Stato, sulla base di una legge del 1999, nei compiti degli enti locali, e, per una quota pari a 90 milioni di euro, il secondo DPCM, al Ministero dell'interno per l'erogazione del contributo straordinario alle città metropolitane e al comune di Napoli e al comune di Palermo, per l'attuazione di politiche attive finalizzate alla stabilizzazione occupazionale dei lavoratori impiegati in attività socialmente utili.
  Entrambi i DPCM a cui mi sto riferendo, dunque, sono stati predisposti – questo lo dico soltanto per chiarire che, ovviamente, non abbiamo agito contro la legge nel formulare questi due schemi di DPCM – in attuazione, per noi doverosa, di specifiche disposizioni di legge definite dal Parlamento rispettivamente con la legge di stabilità per il 2015 e con quella di conversione del cosiddetto «decreto proroga termini».
  Non può, dunque, applicarsi né al primo né al secondo DPCM la definizione di «iniziative di distrazione delle risorse rispetto alle finalità previste della legge». Sono tutte e due leggi perfettamente in vigore, che il Governo ha l'obbligo di eseguire. Questo vale sia sotto il profilo formale, cioè sotto il profilo del rispetto della lettera della legge, sia in via di sostanza, poiché, anche nel caso della destinazione dei dieci milioni, si tratta pur sempre di lavoratori – a proposito dei destinatari dei 10 milioni – che operano nell'area di Palermo.
  Detto questo, per definire i termini della nostra iniziativa in tema di attuazione delle due leggi che hanno agito su quel fondo di 100 milioni e cercando di rispondere al quesito circa l'indirizzo politico per il futuro che l'interpellante ci ha prospettato, il Governo conferma il proprio impegno ad una più puntuale verifica, sia con le istituzioni palermitane sia con quelle di Napoli, circa la capacità delle risorse stanziate in bilancio di previsione, di conseguire le finalità previste dalla legge.
  Cioè, tradotto in un linguaggio meno burocratico, i 10 milioni per gli uni e i 90 milioni per l'altro, visto che la legge propone finalità di stabilizzazione, sono in grado di conseguire questo risultato ? Vorrei solo aggiungere a quello che ha detto correttamente l'interpellante che, in prospettiva, il numero di questi lavoratori deve effettivamente di anno in anno diminuire. Quindi, in linea di tendenza, negli anni, l'onere relativo al processo di stabilizzazione, enorme in passato, dovrebbe tendere ad avvicinarsi alle cifre che sono effettivamente stanziate in bilancio.
  Su questo punto stiamo conducendo una verifica, sul cui esito, se l'interpellante riterrà, potrei tornare in Parlamento a riferire per una più puntuale definizione e illustrazione del suo esito. Se questa verifica dovesse fare emergere l'esigenza di ulteriori risorse su base 2015, naturalmente il Governo, a quel punto, non potrebbe che presentarsi in Parlamento con un'iniziativa, che non potrebbe non essere di legge, per incrementare le risorse.
  Se, invece, come io ritengo possibile, la verifica potesse concludere che quelle risorse sono sufficienti, ma che c’è bisogno di un'iniziativa che riguardi il 2016, il 2017 e il 2018 ai fini di una soluzione stabile del problema, a quel punto il Governo potrebbe predisporre, in sede di sessione di bilancio per il 2016, uno strumento idoneo alla soluzione di questo problema, che, prima venisse risolto in termini di soluzione definitiva, sarà sempre troppo tardi, tragicamente troppo tardi.

  PRESIDENTE. Il deputato Di Lello ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  MARCO DI LELLO. Signor Presidente, io non posso che condividere le preoccupazioni e le ambizioni del Viceministro. Sosteniamo questo Governo, noi socialisti, non a caso. La mia preoccupazione è che le risorse possano non essere sufficienti. Do, ovviamente, per buono e acquisito l'impegno del Governo a intervenire un'altra volta nel caso dovessi avere ragione. Ci sono 7 milioni in meno, rispetto allo scorso anno, solo nell'area metropolitana di Napoli e questo non può che farci in qualche modo preoccupare. Ma è molto Pag. 35importante per me anche l'impegno assunto, affinché finalmente, appunto, dopo oltre trent'anni, si possa immaginare un percorso che renda definitiva la soluzione a questa vicenda, anziché trascinarla di anno in anno.
  Quindi, prendo per buono anche questo impegno. Da parte mia vi è la certezza di continuare a seguire la vicenda finché non sarà definitivamente risolta.

(Intendimenti del Governo in merito alle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, con particolare riferimento al riordino della relativa legislazione – n. 2-00878)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Bergamini n. 2-00878, concernente intendimenti del Governo in merito alle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, con particolare riferimento al riordino della relativa legislazione (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo alla deputata Bergamini se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  DEBORAH BERGAMINI. Grazie Presidente, grazie signor Viceministro, mi rivolgo anche ai colleghi. Sono anni, ormai, che i balneari italiani si trovano in una situazione di estrema precarietà e di grande incertezza normativa, che diventa ovviamente anche incertezza lavorativa, dunque personale e, dunque, familiare.
  Vorrei condividere anche con il Viceministro qualche numero, che sono sicura lui già conosca. Stiamo parlando di un settore che è, appunto, quello del turismo balneare italiano, che rappresenta con il suo indotto circa il 7 per cento del nostro prodotto interno lordo, un settore che conta 87 mila imprese, quasi mezzo milione di persone occupate, consumi per 24 miliardi di euro e un valore aggiunto contato per 14 miliardi di euro.
  È un settore che, allo stato delle cose, paga allo Stato circa 120 milioni di euro di canone concessorio e fornisce una serie di servizi di carattere pubblico, che lo impegnano ad una spesa che vale per il 2014 stimata intorno a quasi 200 milioni di euro, per il salvamento e tutte le attività connesse al salvamento, e di 450 milioni di euro per la manutenzione dell'arenile.
  È un settore che, secondo dati internazionali e nazionali, nell'ormai lontano 2011, fatturava 45 miliardi di euro, sui 138 dell'intero comparto turistico del PIL nazionale.
  Voglio aggiungere anche un altro dato che ci dà la misura di quale forza economica noi stiamo parlando. Il turismo balneare italiano vale l'80 per cento di quello europeo, tuttavia rimane vittima – stiamo parlando di una vicenda che ormai si trascina da anni – di una normativa europea, che viene riassunta con il nome di direttiva Bolkestein, che non tiene conto delle peculiarità, delle particolarità, della specificità di questo settore per quello che riguarda il nostro Paese e non tiene conto, anzi ignora la sua tradizione, la sua storia e le sue caratteristiche.
  Non è soltanto questo, però, il problema. Ce n’è un altro, ovvero che questo settore è stato vittima del disinteresse degli ultimi Governi, in particolare mi riferisco all'attuale Governo, che – lei lo sa, signor Viceministro – non ha dato seguito alle previsioni di legge che lo impegnavano ad operare un riordino di tutta la materia relativa all'affidamento delle concessioni demaniali. C'era una scadenza, che era quella del 15 ottobre 2014 e sono passati già diversi mesi.
  Oggi il quadro normativo relativo alle concessioni demaniali marittime è di non chiara applicazione sia per quanto riguarda l'ambito di operatività sia rispetto al riparto di competenze fra lo Stato e le regioni, nonostante, grazie a un emendamento di Forza Italia, il decreto-legge n. 179 del 2012 abbia disposto la proroga fino al 31 dicembre 2020 delle concessioni demaniali in essere al 30 dicembre 2009 e in scadenza entro il 31 dicembre 2015. Sappiamo tutti – ed è diventato dibattito ormai nazionale – che la materia ha bisogno, in maniera ormai improcrastinabile, di un intervento più ampio, un intervento Pag. 36di sistema, in modo da poter risolvere anche il contenzioso con la Commissione europea su questo tema.
  In questo quadro avevamo molto apprezzato l'iniziativa del suo Ministero di dare vita a un tavolo tecnico con le associazioni balneari per poter trovare una soluzione, o quantomeno cominciare a discutere sul necessario riordino della disciplina relativa all'affidamento di queste concessioni. Pensiamo, infatti, che sia necessario operare secondo un approccio che non sia di parte – ovviamente ci siamo messi anche a disposizione per collaborare –, ma secondo un approccio pragmatico e finalmente – lo auspichiamo – risolutivo.
  Proprio per questo siamo dispiaciuti che questo tavolo non sia più stato convocato, perdendo, tra l'altro, l'occasione di sfruttare il semestre di Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea per trovare una soluzione a una questione, quella dell'applicazione proprio della direttiva Bolkestein in Italia, che sta andando avanti ormai da troppi anni.
  Lo abbiamo già detto e lo ribadiamo: non è soltanto una questione relativa al problema dell'applicazione della Bolkestein, c’è dell'altro. La legge finanziaria del 2007 ha modificato, infatti, il calcolo del canone per le concessioni demaniali marittime, stabilendo che, nel caso delle cosiddette pertinenze, cioè di quei beni di difficile rimozione, regolarmente realizzati dai concessionari sul demanio marittimo, ma incamerati dallo Stato, il canone annuo da versare all'erario dovesse essere fissato sulla base dei valori calcolati dall'OMI, l'Osservatorio del mercato immobiliare italiano. Questa riprevisione ha determinato un incremento dei canoni che varia tra il 300 per cento e il 1.500 per cento e ha generato, dunque, importi spesso insostenibili per le imprese, soprattutto – lo voglio sottolineare – in tempi e in anni di perdurante crisi economica. Le imprese in molti casi non sono riuscite a pagare, si sono dovute vedere espropriare le proprie aziende da Equitalia o hanno dovuto subire la sospensione, la revoca o la decadenza delle concessioni, derivanti appunto dal mancato pagamento del canone: un cane che si morde la coda.
  Lei sa, perché anche pochi giorni fa i balneari hanno attirato ancora una volta l'attenzione dell'Esecutivo, che ci sono 250 imprese balneari a rischio a causa di questa norma, che più di un tribunale in Italia ha ritenuto sbagliata oppure mal applicata. L'ultimo è stato il TAR della mia regione, la Toscana, che, con sentenza del 27 febbraio 2015, n. 328, frutto di un ricorso presentato nel 2010 da parte di un concessionario contro il comune dell'Isola del Giglio, ha stabilito che il concessionario ha il diritto di superficie sugli immobili da lui realizzati sul demanio. Questo significa che i locali edificati dai concessionari sono di loro proprietà – questo almeno a leggere la sentenza – e non di proprietà demaniale e, dunque, che lo Stato sta chiedendo a questi imprenditori di pagare canoni non dovuti, calcolati computando anche i beni che si trovano sulla superficie in concessione come se fossero dello Stato, allorché sono invece di proprietà del concessionario.
  Come ha stabilito il TAR della Toscana, quindi, nel calcolo del canone demaniale marittimo, l'autorità concedente non deve tener conto dei beni che sono oggetto del diritto superficiario di cui è titolare il concessionario. Non è questa la prima sentenza che dà e sostiene le ragioni dei balneari. Infatti, ci sono stati dei precedenti: le sentenze del Consiglio di Stato n. 626 e n. 3196 del 2013 e anche della Cassazione, la n. 9935 del 2008, in cui è stato ribadito che fino a quando non viene formalmente incamerato, attraverso la specifica procedura previste dalla legge, il bene è e rimane di proprietà del concessionario, che lo ha legittimamente costruito, su cui ha investito dunque, e, di conseguenza, i canoni da applicare devono essere tabellari e non quelli stimati e rilevate dall'OMI; inoltre, che il Codice della navigazione dispone l'incameramento dei beni nel momento in cui viene a cessare la concessione, per cui, visto che le concessioni sono state rinnovate automaticamente Pag. 37e, quindi, sono tuttora perfettamente vigenti, ogni procedura adottata in questo senso appare illegittima.
  Signor Viceministro, non più tardi di due giorni fa avete promesso ai balneari italiani un nuovo tavolo tecnico per risolvere la questione urgente delle concessioni dei balneari pertinenziali. Appoggiamo, ovviamente, questa vostra intenzione, ne siamo felici e saremo qua come sempre a collaborare laddove necessario per fare in modo che tutto questo abbia un seguito dato che i precedenti che abbiamo visto non sempre hanno fatto ben sperare. L'invito, però, è quello di non continuare a procedere un po’ a macchia di leopardo, con deroghe, eccezioni, magari ripensamenti. La riforma dell'assetto normativo del settore delle concessioni demaniali marittime non è più prorogabile. Il suo Governo l'ha più volte annunciata e in questo senso ha un preciso impegno che è previsto dalla legge. Stiamo parlando di un comparto di grandissima eccellenza e specificità del nostro turismo, che ha subito, come dicevo poco fa, i contraccolpi della crisi, che aspetta delle risposte che, purtroppo, non sono arrivate. Il rilancio di tutto il nostro assetto economico passa necessariamente e prioritariamente proprio dal settore turistico e dalla tutela, nella fattispecie, di tutte queste imprese balneari che oggi rischiano di essere davvero messe definitivamente in crisi, insieme a tutto il grande indotto che generano, dalle interpretazioni date alle norme e ai principi del Trattato europeo, da ultimo proprio con la direttiva Bolkestein.
  Per questo, le chiedo quale sia la posizione del suo Governo in merito alla grave situazione in cui tuttora si trovano i concessionari balneari pertinenziali, ma anche quale sia lo stato di avanzamento del progetto di revisione e riordino generale della legislazione relativa alle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, e se non ritenga, in attesa del riordino della materia, che auspichiamo verrà fatto di concerto, ovviamente, con le organizzazioni di categoria interessate, di sospendere la riscossione dei canoni pertinenziali e la revoca della concessione ai balneari pertinenziali incapaci di far fronte al pagamento dei canoni illegittimamente, come abbiamo visto e documentato, calcolati proprio sui valori OMI.

  PRESIDENTE. Il Viceministro dell'economia e delle finanze, Enrico Morando, ha facoltà di rispondere.

  ENRICO MORANDO, Viceministro dell'economia e delle finanze. Signora Presidente, nella prima parte di questa risposta, che ho nel testo scritto, si affronta il tema della specifica sentenza da cui gli interpellanti prendono spunto per porre il problema, che ha rilievo politico, di ciò che il Governo intenda fare per chiudere questa infinita transizione rispetto al tema della regolazione dell'attività di cui stiamo parlando e delle relative concessioni. A proposito della specifica vicenda della sentenza del TAR Toscana circa il contenzioso tra concessionario e il comune di Isola del Giglio, debbo solo dire una cosa rilevante, in quanto il resto è la descrizione del contenzioso e, quindi, non mi sembra di particolare interesse, e, cioè, che l'Agenzia del demanio sta valutando, attraverso una consultazione con l'Avvocatura dello Stato, se stare in giudizio per la parte, molto laterale ed incidentale, per cui è coinvolta in quello stesso giudizio, cioè per un parere dato al comune di Isola del Giglio che, nel corso del confronto con il concessionario, ad un certo punto ha chiesto un parere all'Agenzia del demanio medesima che ha avuto rilievo nella vicenda processuale.
  Quindi, per quello che riguarda lo specifico e fermo restando che il tema dei canoni pertinenziali rientra, invece, nella valutazione circa il riordino generale di cui dirò subito, per la specifica vicenda, questa valutazione è ancora in corso. Resta il fatto che ciò che si deciderà su questa specifica vicenda non ha moltissimo rilievo rispetto, invece, al tema più generale su cui voglio concentrare la mia risposta da adesso in poi.
  Il tema, come è stato già ricordato in termini che faccio miei da parte dell'interpellante, Pag. 38è quello del riordino delle concessioni demaniali marittime. Abbiamo accumulato un ritardo, come è stato sottolineato, ma stiamo cercando di recuperare questo ritardo nella definizione di uno schema di disegno di legge – perché di questo si deve trattare – di riordino generale del demanio marittimo che, naturalmente, sia anche il frutto del confronto lunghissimo che si è sviluppato nel Paese nel corso di questi anni, anche in riferimento alla cosiddetta direttiva Bolkestein. Questo confronto ha avuto una sede, quella del tavolo tecnico-politico aperto ai contributi sia degli enti territoriali e locali sia dei rappresentanti delle associazioni di categoria, dei concessionari e così via.
  È in questo tavolo politico-tecnico che si è sviluppato questo confronto che ha definito alcune linee di fondo dell'intervento su cui adesso è il Governo che porta la responsabilità politica di una iniziativa. Potremmo tornare a convocarlo in sede di esame di una bozza definitiva, ma adesso sta a noi, anche sulla base della relazione, del confronto – a proposito del quale dirò, poi, una cosa – con gli organismi dell'Unione europea, definire una proposta. Perché è tollerabile un piccolo ritardo rispetto alle scadenze, non è tollerabile il fatto che ci sia un rinvio sine die: il Governo deve prendersi la responsabilità – e lo farà – di presentare una proposta. Lungo quali linee ?
  È stata, naturalmente, avviata con la Commissione europea una trattativa molto, molto lunga i cui termini, certamente, non sfuggono ai proponenti, per allineare il nostro sistema ai principi europei recati dalla direttiva Bolkestein, che, naturalmente, ognuno di noi può discutere, ma dal punto di vista del Governo deve essere applicata: bisogna trovare le forme di applicazione che siano compatibili con la nostra tradizione, con le nostre esigenze e con le nostre esperienze. Non possiamo, al di là di ciò che personalmente si ritenga, contestare una direttiva che, una volta emanata, come è stata emanata, per noi deve essere applicata.
  Nel dettaglio, i punti principali dello schema del provvedimento, che è ormai in corso di definizione, sono i seguenti. In primo luogo, sul tema della durata delle concessioni, essa è strettamente collegata all'interesse pubblico e proporzionale alla rilevanza economica dei beni e degli investimenti da realizzare, laddove per rilevanza economica si intende, ovviamente, anche quell'enorme valenza turistica delle varie zone costiere estese lungo il territorio nazionale, su cui hanno un ruolo di definizione molto importante, che va riconosciuto dalla legge, le regioni.
  In secondo luogo, sulle modalità di affidamento, si deve trattare, per esigenze dettate anche dalla direttiva a cui ho già fatto riferimento, di procedure competitive di selezione, con criteri di valutazione che siano determinati in partenza, cioè prioritariamente determinati, alla luce dei principi della migliore offerta, cioè quella economicamente più vantaggiosa, sulla base di un piano economico-finanziario che deve necessariamente tenere conto della copertura degli investimenti e dei costi dell'annessa gestione, oltre che dei risultati dell'avviamento.
  In terzo luogo, l'entità dei canoni; qui si deve agire applicando a tutti, senza alcuna differenziazione, il principio del metro quadro; a questa conclusione è giunto anche il tavolo tecnico-politico, in base a parametri, anche in questo caso, predefiniti rispetto alla gara, collegabili sostanzialmente ad aree scoperte o aree occupate con impianti di facile oppure difficile rimozione, aree di alta o normale valenza turistica. È chiaro che l'entità dei canoni dipende in maniera diretta da queste distinzioni. Unica differenziazione in agevolazione – tra virgolette, per il carattere che hanno queste infrastrutture in rapporto all'interesse nazionale – per i porti, a causa anche della vastità delle aree interessate.
  Quarto punto è l'eventuale demarcazione della linea demaniale su proposta delle regioni, al vaglio naturalmente dei Ministeri che devono pronunciarsi e che sono più d'uno, in particolare, ovviamente, quello delle infrastrutture, e così via.
  Quinto punto: il passaggio in proprietà, a titolo gratuito, al patrimonio indisponibile Pag. 39dei comuni di quelle aree di patrimonio e demanio dello Stato per la quali i comuni abbiano realizzato opere di urbanizzazione. Anche questo è un tema che si è proposto come centrale nel confronto con gli enti territoriali al tavolo a cui ho più volte fatto riferimento; ciò anche in parallelo ad una regola, che è legge dello Stato e che è quella contenuta nella cosiddetta legge sul federalismo demaniale.
  Infine, il regime transitorio: i proponenti sanno certamente che è in particolare sulla definizione dei caratteri del regime transitorio che si è sviluppato un contenzioso di difficile soluzione tra le diverse parti, un confronto molto complicato. Per la prima procedura di selezione, certamente, il concessionario uscente ha diritto alla corresponsione, da parte del subentrante, di un indirizzo determinato sulla base di una valutazione dei beni non integralmente ammortizzati dagli investimenti effettuati e dall'avviamento dell'azienda commerciale.
  In questo contesto, ed è l'ultima cosa che voglio far notare, riguardo alla definizione di soluzioni adeguate alla definizione della transizione tra l'attuale situazione e quella nuova da costruire a regime, noi abbiamo aperto in sede comunitaria un confronto volto a regolare, nella fase transitoria, la possibilità di distinguere tra le spiagge su cui non insiste attualmente una concessione, che possono andare a gara immediatamente – perché possiamo anche farlo nel corso del 2015 se siamo sufficientemente rapidi nel definire le regole generali –, e quella parte di spiagge, invece, su cui opera un concessionario e per le quali una più lunga fase di transizione appare ragionevole.
  Gli interpellanti sanno, naturalmente, che è esattamente su questo punto che la trattativa, il confronto, chiamiamolo come diavolo si voglia, con la Commissione, con gli organismi dell'Unione europea, è particolarmente difficile perché gli uni, loro, vogliono naturalmente una fase di transizione brevissima, anzi vorrebbero l'applicazione immediata tout court, e noi invece pensiamo che per la parte di spiagge che sono oggi occupate da una concessione, lì la transizione al nuovo regime debba essere un po’ più lunga.
  Naturalmente, la definizione della proposta concreta di disegno di legge da portare in Parlamento e questo confronto in sede europea debbono andare di pari passo: non è che prima aspettiamo di risolvere compiutamente il confronto in sede europea e poi presentiamo il disegno di legge, perché questo determinerebbe l'accumulo di ulteriore ritardo, che riteniamo non confacente agli obblighi e alla responsabilità che in questo momento ci competono.

  PRESIDENTE. La deputata Bergamini ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  DEBORAH BERGAMINI. Grazie, Presidente, ringrazio anche il signor Viceministro. Voglio partire dall'ultima frase, perché mi sembra di avere colto ovviamente la piena consapevolezza del fatto che, appunto, oramai non è più possibile continuare ad andare avanti attraverso questo modo un po’ disordinato che abbiamo visto in questi anni e che non ha prodotto alcun risultato, anzi, forse ha prodotto l'unico risultato di danneggiare un comparto che – lo ricordavo poco fa –, non solo nella sua realtà attuale, ma in potenza, può produrre tantissima ricchezza all'interno del nostro Paese e che va preservato, va salvaguardato.
  È vero, lei dice, signor Viceministro, che le direttive si applicano, ma è anche vero che le direttive si applicano interpretandole nel modo corretto. Noi abbiamo degli esempi – lei lo sa senz'altro meglio di me –, come quello della Spagna, che ha condotto, sul tema di queste concessioni pertinenziali, una battaglia nazionale all'interno dei tavoli comunitari e lo ha fatto con una grande determinazione, perché ha preso coscienza che si trattava di difendere un settore importante della propria economia e del proprio benessere.
  Ci piacerebbe, da proponenti di questa interpellanza, vedere analoga determinazione da parte del Governo italiano, una Pag. 40determinazione che fino ad oggi, appunto, non abbiamo visto. Il senso di questa interpellanza è proprio questo: da parte di una forza di opposizione, che ha a cuore il Paese, è quello di chiedere di fare in modo che questo tema non venga vissuto come un problema da risolvere, ma che diventi una priorità dell'azione di questo Governo, perché è una priorità della nostra economia e anche, se me lo consente, del nostro modo di vendere all'estero un modello di turismo che funziona e che deve essere non solo preservato, ma anche rafforzato.
  Ben venga, dunque, il disegno di legge, sperando che i tempi del disegno di legge ci consentano di arrivare davvero al più presto a un riordino di questa materia, che è necessario, se vogliamo definirci un Paese che ha ancora la voglia e il coraggio di investire su se stesso facendo ordine. Ben vengano le trattative, naturalmente, sui tavoli comunitari, ben sapendo – lo dico – che probabilmente non è lì che troveremo i più accaniti difensori di un'eccellenza del turismo che è la nostra. Sappiamo che forse c’è una visione diversa. Lei nella sua risposta mi ha detto che ci vorrebbero dei tempi brevissimi di transizione, ma tempi brevissimi di transizione, per un assetto e per una costruzione di modello economico come quello del nostro turismo balneare, non sono possibili. Bisogna semplicemente dirlo, bisogna farlo presente.
  Noi abbiamo rimediato in qualche maniera chiedendo una proroga, ma stiamo parlando di un settore che conta quasi mezzo milione, compreso il suo indotto, di occupati, che non sanno che cosa succederà alla loro impresa. Si tratta in larghissima casi di imprese familiari, che si sono costruite la loro eccellenza e la loro capacità di guadagno e di prosperità semplicemente lavorando bene e facendo bene e non sempre hanno trovato uno Stato in questo particolarmente accondiscendente, anzi.
  Allora, noi abbiamo, credo, il dovere di fare pressione sul Governo che lei qui rappresenta affinché si cambi «verso». Voglio usare una parola che, forse, è nota a tutti. Proviamo a farlo partendo, non dalle cose più difficili, ma da quelle più facili, quelle dove funzioniamo, quelle dove il Paese funziona, semplicemente se è lasciato libero di competere e di misurarsi all'interno di regole certe.
  Quello che serve, per ciò che riguarda appunto le concessioni pertinenziali, è una cornice di regole certe. Io colgo la volontà del suo Governo di voler addivenire a questo e mi farò carico, tra qualche tempo – spero non sia necessario, ma lo voglio dire con grande correttezza –, di vigilare su questo, affinché anche i tempi, che in questo ambito non sono secondari, ma sono primari – stiamo parlando di un settore che rischia di essere schiacciato dall'incertezza delle regole e dalle imposizioni che vengono da fuori –, siano rispettati e mi farò carico appunto di vigilare che il percorso che lei ha voluto condividere, grazie anche a questa interpellanza, sia un percorso che anche nei tempi sia mantenuto e rispettato.

(Posizione del Governo italiano in merito alle dichiarazioni del presidente dell'Eurogruppo relative ai prestiti alla Grecia – n. 2-00885)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Marcon n. 2-00885, concernente la posizione del Governo italiano in merito alle dichiarazioni del presidente dell'Eurogruppo relative ai prestiti alla Grecia (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo al deputato Marcon se intenda illustrare la sua interpellanza.

  GIULIO MARCON. Sì. Grazie, signora Presidente. Signor Viceministro, colleghi e colleghe, lo scorso 9 marzo si è svolta la riunione dell'Eurogruppo e sul sito ufficiale del Consiglio europeo abbiamo trovato questa dichiarazione ufficiale: «L'Eurogruppo ha discusso il riesame in corso degli impegni assunti dalla Grecia nell'ambito dell'attuale accordo. I ministri hanno concordato che le discussioni tra la Grecia, la Commissione europea, la Banca centrale Pag. 41europea e il Fondo monetario internazionale comincino mercoledì (11 marzo) a Bruxelles. A sostegno di questo processo, i tecnici delle istituzioni saranno invitati ad Atene». Sempre sul sito del Consiglio europeo abbiamo trovato riportate queste dichiarazioni ufficiali del presidente dell'Eurogruppo dopo la riunione: «Dopo l'ultima decisione dell'Eurogruppo sull'estensione dell'attuale programma di aiuti, oggi abbiamo avuto una breve (short) discussione sulla Grecia, concentrandoci sul processo che sarebbe dovuto cominciare dopo quella decisione. Non c’è più tempo da perdere. La discussione tra il Governo greco e le istituzioni dovrà cominciare dall'11 marzo con l'obiettivo di raggiungere una veloce conclusione della revisione del programma. Abbiamo sottolineato l'importanza di una stretta ed efficace cooperazione tra il Governo greco e le istituzioni evitando azioni unilaterali e di fare marcia indietro rispetto alle misure già decise e da rispettare nei tempi di attuazione». Si tratta di affermazioni importanti. Però, il giorno prima, 1'8 marzo – il giorno prima della riunione dell'Eurogruppo – il presidente dell'Eurogruppo, Dijsselbloem, ha rilasciato ad Amsterdam queste dichiarazioni: «La lista delle riforme inviata dalla Grecia è lontana dall'essere completa e per essere attuata richiederà tempi lunghi e per questo motivo alla Grecia, a marzo, non sarà inviata alcuna tranche di aiuti». Allora, vorrei declinare in sette punti i quesiti posti dall'interpellanza e spero che il Governo possa rispondere anche a questi punti oltre al quesito che l'interpellanza pone in sé. In primo luogo, il Governo italiano era a conoscenza preventivamente che il presidente dell'Eurogruppo avrebbe rilasciato queste dichiarazioni – quelle dell'8 marzo – così tranchant e ultimative su una trattativa così delicata con la Grecia ? Secondo: se il Governo era a conoscenza, lo era casualmente o perché era stato prima consultato ? Terzo: se era stato consultato, il Governo Renzi aveva dato il suo assenso ed era d'accordo con le dichiarazioni di Dijsselbloem ? Quarto: se il Governo non era stato informato l'8 marzo, prima che si tenesse la riunione dell'Eurogruppo, secondo il Governo italiano Dijsselbloem parlava a titolo personale o a nome dell'Eurogruppo e quindi anche a nome del nostro Governo ? Quinto: il Governo ritiene che sia formalmente corretto che il presidente dell'Eurogruppo anticipi posizioni ufficiali dell'Eurogruppo, prima che queste siano discusse dai Ministri dell'economia dei Paesi che ne fanno parte ? Sesto: nel caso il presidente Dijsselbloem abbia ecceduto le sue prerogative, il Governo italiano non ritiene di far rilevare formalmente la scorrettezza formale e politica commessa nella giornata dell'8 marzo e di chiedere formalmente che il presidente non rilasci più dichiarazioni ufficiali così impegnative, se non dopo lo svolgimento delle riunioni dell'Eurogruppo, che, ricordo, è un organismo consultivo ed informale ? Settimo: il Governo italiano non ritiene di avanzare formalmente al presidente dell'Eurogruppo la richiesta di attenersi alle regole di una struttura collegiale – ripeto, consultiva ed informale – che in assenza di riunioni formali si dà delle regole trasparenti di consultazione che disciplino posizioni e dichiarazioni ufficiali ? Signor Viceministro, Dijsselbloem non ha semplicemente espresso delle posizioni personali, che può giustamente benissimo fare, ma ha detto, prima che ci fosse questa riunione, che alla Grecia non sarebbe arrivata la tranche di aiuti di marzo, e ha così intimidito un altro Paese dell'Eurogruppo, dando per scontata una decisione che l'Eurogruppo non aveva preso prima dell'8 marzo e che non ha preso nemmeno nella riunione del 9 marzo. Alludo – ripeto ancora – alla minaccia che a marzo non sarebbe stata versata alla Grecia nessuna tranche di aiuti. In quale posizione ufficiale dell'Eurogruppo si trova questa affermazione ? In nessuna, ma solo nelle dichiarazioni personali e non concordate – ritengo – del presidente dell'Eurogruppo. Perché Dijsselbloem parla come un Premier dell'Eurogruppo e non si adegua, invece, al ruolo istituzionale che gli compete ?Pag. 42
  È triste ricordare – e qui vorrei fare una riflessione di carattere generale – che Dijsselbloem è stato un esponente di spicco del Partito laburista olandese; e anche questo conferma quello che Martin Schulz in un suo recente libro ha detto e ha scritto, e cioè che la sinistra europea è stata in questi anni conformista e subalterna alle politiche neoliberiste di austerità. Dijsselbloem – e questo lo affermo io – ne è il più verace paradigma.
  Vede, Viceministro Morando, lei si ricorda (le ho regalato anche un libretto qualche tempo fa), nel 1977, nel suo secondo discorso sull'austerità al Teatro Lirico di Milano, alla conferenza degli operai comunisti lombardi, Berlinguer non mancò di rilevare l'ambivalenza dell'austerità. Diceva Berlinguer: a seconda si come la si declina, può essere una leva per il cambiamento, per combattere il consumismo e le diseguaglianze; oppure, ricordava Berlinguer può essere uno strumento di depressione economica, di repressione politica e di perpetuazione delle ingiustizie sociali. Ecco, Dijsselbloem sta esattamente mettendo in pratica questa seconda versione dell'austerità ai danni della Grecia, costringendola alla depressione economica, conculcando l'autonomia del suo Governo e perpetuando le ingiustizie. Che c’è di laburista in tutto questo, nel laburista Dijsselbloem ? Niente. Il popolo greco, dopo avere subito il fallimento dei dirigenti socialisti del Pasok, ora non vorrei dovesse subire anche le angherie e le conseguenze dei dirigenti socialisti del Partito laburista olandese.
  Ma torniamo al punto. Se confrontiamo le dichiarazioni alla stampa di Dijsselbloem dell'8 marzo (che sono tranchant, intimidatorie e formalmente scorrette) e quelle da lui rilasciate il 9 marzo dopo la riunione dell'Eurogruppo (che sono più diplomatiche, articolate e più istituzionali), non possiamo che avvertire una totale asimmetria. E anche la questione del pagamento della tranche di marzo viene posta con molta più attenzione nelle dichiarazioni del 9 marzo, e disponibilità relativa agli andamenti del negoziato.
  Cosa ha da dire allora il Governo italiano su tutto questo ? Abbiamo paura anche noi di essere oggetto degli strali del Presidente dell'Eurogruppo ? Noi, Viceministro, abbiamo molto apprezzato le parole di apertura di Renzi verso Tsipras, quando lo ha incontrato agli inizi di febbraio; e anche quelle di Padoan, rilasciate alla trasmissione Presa diretta di alcuni giorni fa. Ma perché a parole il Governo fa finta, o se la prende con il dogmatismo degli «austerici», per dirla con Krugman, dell'Europa, e poi, quando si tratta di fare un gesto di critica e di presa di distanze dai falchi di Bruxelles, tace ? Perché non avete detto niente sulle parole scorrette, a mio giudizio, di Dijsselbloem ? Perché non aiutate concretamente il Governo greco ?
  Sentiremo cosa risponderà il Viceministro, però io vorrei ricordare che su questa vicenda è intervenuto anche un importante esponente della maggioranza di questo Governo, nonché esponente che ha un ruolo importante nella definizione della spesa pubblica di questa Camera, il presidente della Commissione bilancio, onorevole Francesco Boccia. Francesco Boccia ha dichiarato: «Dijsselbloem da chi è stato autorizzato a dire no alla Grecia ? Hollande e Renzi intervengano», ha scritto in un tweet. E poi ha detto: «Sarebbe molto utile – aggiunge Boccia – conoscere la posizione che terrà il nostro Governo all'Eurogruppo di domani (parlava della riunione del 9 marzo). Le strategie di questi giorni in Europa sono incomprensibili. Resta il dubbio di scelte fatte tra Berlino e Strasburgo indipendentemente dalle valutazioni politiche del Parlamento europeo e del confronto politico all'interno della stessa Commissione». Il Governo, e lei, Viceministro, è d'accordo o no con le considerazioni del presidente della Commissione bilancio, che – ripeto – appartiene alla sua stessa maggioranza politica ? Perché vede, Francesco Boccia dice che le scelte sono state fatte «indipendentemente dalle valutazioni politiche del Parlamento europeo e dal confronto politico all'interno della stessa Commissione». Questo è Pag. 43un fatto gravissimo: a lei risulta quanto dice il presidente Boccia ? Lo condivide ?
  Concludo. Il Governo greco ha presentato una lista di sette riforme. Si è detto che sono incomplete e senza un calendario preciso, e che non bastano; magari non ne basterebbero nemmeno dieci, quindici, venti. Lei è d'accordo ? Non è forse che queste sette riforme fanno tirare fuori soldi ai più ricchi, agli evasori, cercando di salvaguardare le condizioni materiali di vita della povera gente ? È questo che dà fastidio ? Perché, signor Viceministro, se le misure per la lotta all'evasione le mettiamo nella legge di stabilità vanno bene a Dijsselbloem e se le mette Tsipras, no ?
  Ci sono delle strade sostenibili, altre rispetto al settarismo dell'austerità, per aiutare il popolo greco ed altri popoli che stanno soffrendo conseguenze analoghe: non la cancellazione del debito, ma la sua rinegoziazione attraverso una diversa calendarizzazione e una ricontrattazione dei tassi. È una prassi che è stata utilizzata in passato in altri contest, ed è stata seguita; qui invece si nega, e si nega per motivi politici, non perché ci siano motivi legati alle condizionalità. Parliamoci chiaro: l'ostacolo verso l'accordo con la Grecia è di natura politica e – ripeto – non riguarda il rispetto o meno di alcune condizionalità.
  Non si vuole cioè che si aprano nemmeno le più piccole crepe nelle politiche di austerità. Ed essendo di natura politica questo ostacolo, cosa dice e cosa fa il Governo Renzi ? È d'accordo che non si apra alcuno spiraglio ? Ricordo che sul sito della RAI ho trovato queste parole del Ministro Padoan a Presa Diretta del lo marzo. Il Ministro dell'economia Padoan si è detto in quell'intervista totalmente d'accordo con il Presidente del Consiglio greco Tsipras nel ritenere priorità per il vecchio continente risolvere la grave crisi sociale che l'attraversa, frutto anche «di risposte non adeguate», dice il Ministro. Il rischio altrimenti è che diventino dominanti pensieri e governi antieuropei. Per questo è importante che la politica di Bruxelles superi l'austerità. Ricordo che la BCE ha regalato a suo tempo 1 migliaio di miliardi con il piano di rifinanziamento a lungo termine alle banche private europee, per capitalizzarle e farle rifiatare, ma perché l'eurogruppo non vuole trovare, non vuole concedere, 7 miliardi a marzo alla Grecia per salvarla dal tracollo ? Perché 1.000 miliardi per le banche sì e 7 miliardi per il popolo greco no ? E ancora, perché il Presidente dell'Eurogruppo si comporta come una sorta di «questurino» verso la Grecia e verso chi non rispetta i parametri del Patto di stabilità ed in particolare il rapporto deficit-PIL e la riduzione del debito, ma non ha detto una sola parola quando la Germania sforava il tetto dell'avanzo commerciale, quello consentito dal Patto di stabilità ? Lo ha sforato – le ricordo signor Viceministro – più volte e per ultimo l'ha sforato nel mese di dicembre scorso, arrivando ad un surplus del 7,5 per cento, mentre il Patto di stabilità fissa un limite del 6 per cento. Tutti tacciono. Allora io chiedo al Governo, quindi è l'ultimo punto questo, ma il Governo intende o no sollevare questa questione nella prossima riunione dell'Eurogruppo, cioè il tema dello sforamento di questo parametro da parte della Germania, che alimenta insostenibili squilibri regionali e che sono anche questi alla radice delle difficoltà economiche dell'Eurozona ? Da che parte il Governo sta ? Dalla parte dei falchi dell'austerità o di vuole criticarla ? Vede, e chiudo sul serio, Renzi ha detto tempo fa – io concordo – che le politiche economiche europee vanno ripensate e i vincoli dei trattati sono obsoleti. Ma allora perché volete far pagare ad un popolo l'applicazione di questi principi obsoleti, stupidi e insensati ? Io penso che le dichiarazioni del Presidente dell'Eurogruppo e quello che è successo nella riunione del 9 marzo richiamano proprio questi temi, e su questo chiediamo al Governo di rispondere e di darci la sua opinione.

  PRESIDENTE. Il Viceministro dell'economia e delle finanze, Enrico Morando, ha facoltà di rispondere.

  ENRICO MORANDO, Viceministro dell'economia e delle finanze. Signora Presidente, Pag. 44vengo subito al merito delle questioni che sono state proposte. In questi anni gli Stati europei hanno impiegato ingenti risorse pubbliche dei loro contribuenti per fornire assistenza finanziaria alla Grecia attraverso due programmi. Il primo, che risale a maggio del 2010, era costituito da un pool di prestiti bilaterali e aveva un importo complessivo di 110 miliardi di euro. Il secondo programma, varato invece nel 2012, è a carico dell’European financial stability facility e ammonta a 164 miliardi. Entrambi i programmi hanno visto anche, com’è noto, la partecipazione del Fondo monetario internazionale. Il contributo italiano – a proposito cioè della disponibilità o meno dell'Italia a partecipare a uno sforzo per affrontare la crisi greca e impedire quello che viene chiamato il «Grexit», cioè la fuoriuscita della Grecia dall'area dell'Euro – al primo programma è pari a 10 miliardi di euro e al secondo programma ad oggi è pari a 27,2 miliardi; 27, 2 più 10 miliardi fa qualcosa come più di due punti di prodotto interno lordo italiano. La Grecia inoltre ha beneficiato in questi anni di considerevoli alleggerimenti delle condizioni di rimborso, a seguito di tre emendamenti nell'ambito del primo programma si è passati da una durata massima del prestito di cinque anni e da un margine di interesse su quel prestito, sul tasso euribor tre mesi di 400 punti base, a una durata massima di trent'anni e ad un margine massimo di 50 punti base, oltre ad una grazia sul rimborso del capitale di dieci anni.
  Vorrei far notare che sono condizioni fino a poco tempo fa decisamente migliori di quelle a cui lo Stato italiano finanzia il proprio debito.
  Sul debito contratto con l'European Financial Stability Facility a seguito dell'accordo del 26 novembre 2012, la Grecia gode di una scadenza media del debito pari a 32 anni, oltre ad un periodo di grazia di 10 anni che, però, in questo caso era previsto fin dall'inizio.
  Questi dati sono ampiamente noti. Invece, si parla un po’ meno del fatto che i Paesi dell'Eurozona si sono impegnati a restituire alla Grecia i profitti derivanti dai titoli di Stato greci nel portafoglio Securities Market Program dell'Eurosistema. Il Fondo monetario, invece, secondo un criterio che nasce dalle sue regole autonome, non ha, invece, effettuato su questo punto alcuna concessione.
  In queste settimane l'Italia sta partecipando attivamente alla definizione dell'assistenza finanziaria futura alla Grecia. Infatti, il 20 febbraio l'Eurogruppo ha accordato un'estensione di quattro mesi del programma, che terminerà il 30 giugno 2015. La Grecia il 23 febbraio ha presentato una lista di riforme, da specificare e concordare entro la fine di aprile, la cui adozione dovrebbe consentire il completamento dell'ultima revisione del programma e l'erogazione dei prestiti rimasti in sospeso di quel programma.
  L'accordo con la Grecia prevede che le riforme siano definite ad Atene dal nuovo Governo, forte della recente legittimazione democratica. Al tempo stesso, il Governo greco si è impegnato a collaborare con i creditori internazionali, rispettando gli obblighi assunti e a non mettere in discussione la stabilità del proprio bilancio.
  Il 9 marzo, come è già stato ampiamente ricordato dall'interpellante, l'Eurogruppo ha discusso una lista di sette riforme presentate dalle autorità greche. Le ricordo: attivazione del consiglio di bilancio; miglioramento della gestione delle finanze pubbliche; lotta all'evasione fiscale; riscossione dei crediti dello Stato sul gioco online; poi, ancora, efficienza della pubblica amministrazione e lotta a quella che, credo purtroppo correttamente, il Governo greco definisce «crisi umanitaria in atto in Grecia» a causa della situazione che la parte più debole della popolazione greca si trova a dovere sopportare sotto il profilo del reddito e non solo sotto il profilo del reddito, ma anche della mancanza del lavoro e della mancanza totale di prospettive.
  Tali priorità – lo dico perché è stato chiesto di pronunciarsi su questo punto – sono condivise dal Governo italiano, ma richiedono un maggiore dettaglio, così come si è chiesto tante volte delle nostre Pag. 45riforme, per poterne valutare la rilevanza e l'idoneità nell'attuale contesto. Sottolineo che non si tratta di una pretesa di precisione che viene avanzata nei confronti della Grecia, facendo una discriminazione rispetto a ciò che si è chiesto in passato ad altri Governi, tra cui, in particolare, i Governi italiani, che si sono trovati a dovere sviluppare discussioni analoghe in sede europea.
  Al tempo stesso, prima di autorizzare il versamento della prossima tranche, è necessario che nuove misure, che sono già state annunciate il 23 febbraio, siano presentate effettivamente e che l'impatto finanziario delle riforme proposte sia meglio specificato e quantificato. Questo processo richiede, come è stato detto nell'interpellanza, un confronto di tipo tecnico, che viene svolto a partire dall'11 marzo in un clima di collaborazione con il Governo greco e i suoi tecnici. Gli incontri su questo punto, su richiesta greca, per le ragioni politiche che sono note, si terranno prevalentemente a Bruxelles e non in Grecia.
  Per quanto riguarda le dichiarazioni del presidente dell'Eurogruppo Dijsselbloem, secondo il quale le riforme presentate dalla Grecia non permettono di autorizzare il versamento di una tranche di aiuti già nel mese di marzo, si precisa che tali dichiarazioni sono il frutto della discussione collegiale tenuta all'Eurogruppo. In quella sede, i Ministri delle finanze degli Stati membri dell'area dell'euro si sono impegnati ad assicurare il coordinamento delle politiche economiche nazionali e, nel caso specifico della Grecia, a valutare in maniera consensuale la presenza delle condizioni politiche, al fine di procedere in maniera proficua nell'assistenza finanziaria a questo Paese.
  L'Italia è fortemente impegnata in Europa per ribadire la stabilità dell'unione economica e monetaria e allontanare ogni ipotesi di «Grexit», cioè di uscita della Grecia dall'area dell'euro. Il Governo italiano ha accolto con rispetto e con il massimo interesse la volontà di cambiamento chiaramente espressa dal popolo greco nelle recenti elezioni. Al tempo stesso, ritiene di fondamentale importanza instaurare un rapporto di fiducia reciproca con le autorità greche, che non può prescindere dalla conferma degli impegni assunti con i creditori internazionali e con l'Italia.
  D'altronde, solo in questo clima di fiducia e di cooperazione, sarà possibile nei prossimi mesi definire un accordo di lungo periodo tra l'Eurogruppo, le cosiddette istituzioni, cioè BCE, Fondo monetario e Commissione, e la Grecia. L'Italia è impegnata e tanto più si impegnerà affinché si giunga ad un accordo che consenta all'economia greca di superare lo squilibrio di bilancia commerciale dei conti correnti che la caratterizza da tempo, tornando a crescere e a creare posti di lavoro.
  A proposito dell'esigenza di considerare ogni squilibrio eccessivo di bilancia commerciale, tema che non era sollevato nell'interpellanza, ma che è stato sollevato adesso nell'intervento e che mi piace riprendere, è chiaro che alla base della crisi dell'area dell'euro c’è un eccessivo squilibrio tra Paesi in eccessivo avanzo commerciale dei pagamenti correnti e di bilancia dei pagamenti correnti e Paesi in eccessivo disavanzo commerciale. La Germania, da una parte, e la Grecia sono due termini di questo eccesso.
  Noi stiamo ponendo il problema esattamente di un coordinamento delle politiche economiche e fiscali, il quale, coerentemente con la politica monetaria oggi adottata dalla Banca centrale europea, si proponga di governare questo squilibrio per un rientro che impedisca le bolle speculative, che inesorabilmente si montano quando in un sistema monetario stabile, che addirittura usa la stessa moneta, ci sono Paesi che alimentano un eccesso di avanzo e un eccesso di disavanzo. Per un po’ questi Paesi sostengono il loro squilibrio reciprocamente, con soddisfazione reciproca, ma quando arriva un elemento che dall'esterno mette in discussione questo precario equilibrio, le bolle speculative montate dallo squilibrio scoppiano e hanno effetti devastanti sul piano economico, sul piano Pag. 46sociale, sul piano civile. È quello che è accaduto in Europa quando, in presenza di un eccesso di squilibrio nei termini di cui ho detto e che sono bene illustrati dallo squilibrio in disavanzo della Grecia e dallo squilibrio in avanzo della Germania, da oltre Atlantico è arrivata la crisi dei mutui subprime. Immediatamente i capitali sono andati a cercare sicurezza, invece di rendimento, e l'effetto è stato quello dell'impossibilità di accesso della Grecia al mercato dei capitali, con la crisi che abbiamo conosciuto.
  Bisogna realizzare forme più avanzate di coordinamento della politica economica e fiscale a livello europeo, che si affianchi e che sia coerente con l'orientamento della politica monetaria, oggi assunto dalla Banca centrale europea, in maniera tale che questo squilibrio venga governato, invece che lasciato alla possibilità di manifestare i suoi effetti.
  Per questa ragione, noi stiamo insistendo, rispetto alla dimensione europea, sia con i Paesi in eccesso di disavanzo di bilancio commerciale, perché, attraverso le riforme strutturali, adeguino le loro capacità dal lato della politica dell'offerta per chiudere l'eccesso di disavanzo, sia con i Paesi in eccesso di avanzo, perché, a loro volta, sviluppino i consumi interni, il mercato interno, in modo tale da sostenere un riequilibrio della realtà economica alla dimensione europea.

  PRESIDENTE. Il deputato Marcon ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  GIULIO MARCON. Presidente, ringrazio il Viceministro per avere risposto anche alle domande che non erano contenute nell'interpellanza e per averci dato così il punto di vista suo e del Governo su alcuni dei punti che il mio intervento aveva posto relativamente all'interpellanza presentata. No, non sono soddisfatto, perché, sul punto specifico delle dichiarazioni del presidente dell'Eurogruppo, la risposta del Viceministro non chiarisce quello che è successo.
  Il presidente dell'Eurogruppo ha fatto delle dichiarazioni l'8 marzo, cioè il giorno prima della riunione del 9 marzo, e il Governo greco aveva mandato la lista delle riforme dopo la penultima riunione dell'Eurogruppo; quindi, non si capisce bene in quale sede sia stata fatta questa consultazione con gli altri Governi che fanno parte dell'Eurogruppo. Quindi, è una difesa dell'operato del presidente dell'Eurogruppo, però non dovuta, a mio giudizio, e che non risponde a quei criteri di correttezza e di buon funzionamento dell'Eurogruppo che l'Italia dovrebbe, in qualche modo, richiedere.
  La cosa più negativa e, per noi, preoccupante è che il Governo si associa a quelle dichiarazioni fatte dal presidente dell'Eurogruppo l'8 marzo, cioè le condivide. Vi è una condivisione di quelle dichiarazioni, e noi stigmatizziamo e critichiamo questo consenso dato a quelle dichiarazioni fatte dal presidente dell'Eurogruppo l'8 marzo.
  In più, vi è una copertura formale del suo operato, dell'operato del presidente dell'Eurogruppo, che, secondo noi, non è corroborata dai fatti, perché non vi era stata alcuna consultazione, almeno in una sede formale, a meno che non vi sia stata una consultazione in via informale, ma di questo non abbiamo, ovviamente, traccia.
  Per quanto riguarda gli altri aspetti sui quali il Viceministro si è soffermato all'inizio della sua risposta, il nostro punto di vista è diverso, ed è corroborato, anche questo, purtroppo, da quello che sta succedendo nell'Unione europea da alcuni anni a questa parte. Le politiche seguite fino ad oggi sono fallimentari per la Grecia, ma anche per i Paesi dell'Unione europea. All'inizio della crisi, lo stock di debito pubblico nell'Eurozona ammontava a circa il 65 per cento del PIL; oggi, dopo sette anni, oramai, di politiche di austerità, la percentuale del debito rispetto al PIL è salita di 30 punti, siamo quasi al 95 per cento.
  Quindi, non solo quelle politiche non hanno creato maggiori posti di lavoro, maggiore ripresa, maggiore crescita, ma Pag. 47hanno, addirittura, aumentato il peso del debito pubblico. E, relativamente alla Grecia, i risultati sono sotto gli occhi di tutti: le condizionalità imposte a quel Paese e al popolo greco hanno portato quel Paese sull'orlo di quella che – il Viceministro lo ha ricordato – è una crisi umanitaria.
  Parliamo di una crisi umanitaria di un Paese dell'Eurozona, parliamo di crisi umanitaria di un Paese che fa parte dell'Unione europea. Quando si arriva a parlare di crisi umanitaria di un Paese al quale si continuano a imporre condizioni così gravose per uscire da questa situazione di crisi, soprattutto relativamente al peso del debito pubblico, dobbiamo renderci conto che siamo di fronte a un fallimento delle politiche europee.
  Quindi, noi riteniamo che altre dovrebbero essere le strade; alcune le ho sottolineate nell'intervento che presentava questa interpellanza: un'effettiva rinegoziazione del debito, politiche pubbliche degne di questo nome anche in Europa, politiche fondate sugli investimenti e la crescita.
  D'altronde, non si vuole nemmeno dare una deroga relativamente agli investimenti pubblici, in modo tale da scorporarli dal calcolo del rapporto deficit/PIL, e anche questo la dice lunga sulle rigidità attualmente ancora imperanti nell'Unione europea e, in particolare, nei Paesi dell'Eurozona.
  Ho apprezzato molto le considerazioni, invece, che il Viceministro ha fatto sulla questione del surplus commerciale di alcuni Paesi, in particolare della Germania, e sul fatto che questo continui ad essere uno dei punti dolenti, che va affrontato con maggiore determinazione. Infatti, il problema dell'Eurozona non è, come ricordavo all'inizio, semplicemente un problema di debito pubblico, ovvero di eccessivo debito. A parte che va ricordato che questa crisi nasce per un problema di finanza privata e non di finanza pubblica – nasce per il fallimento della finanza privata, come ricordava il Viceministro, con la crisi dei subprime – ma il problema dell'Eurozona è un problema che ha a che fare molto con gli squilibri regionali. Non serve a niente avere una moneta unica e imporre dei vincoli draconiani sulla riduzione del debito, se poi non c’è un analogo sforzo per il superamento degli squilibri regionali, che sono a fondamento, per così dire, della crisi che stiamo vivendo, almeno in buona parte, e che costituiscono anche un vulnus per la crescita e per la ripresa di questa nostra Europa.
  Quindi, mi ritengo non soddisfatto dalla risposta. Continueremo a sollevare il tema anche in altre sedi, comunque ringrazio il Viceministro anche per le risposte date agli altri temi posti nel mio intervento.

(Iniziative volte a chiarire la disciplina relativa ai benefici a favore dei dirigenti delle società controllate dalle pubbliche amministrazioni al momento della cessazione del rapporto di lavoro – n. 2-00859)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Fauttilli n. 2-00859, concernente iniziative volte a chiarire la disciplina relativa ai benefici a favore dei dirigenti delle società controllate dalle pubbliche amministrazioni al momento della cessazione del rapporto di lavoro (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo al deputato Fauttilli se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  FEDERICO FAUTTILLI. Grazie Presidente, la nostra interpellanza urgente, signor Viceministro, come già annunciato dalla Presidente, riguarda l'articolo 3 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni». Tale legge regolamenta, tra l'altro – ed è quello che ci interessa – il rapporto di lavoro nonché il trattamento economico dei dirigenti delle società partecipate.
  Così com’è concepita, la disposizione a cui facciamo riferimento risulta, non solo Pag. 48a nostro giudizio, ma anche secondo l'ANCI, a dir poco di non facile interpretazione. Tanto che fino ad oggi ha determinato spesso inutili e costosi contenziosi tra gli interessati, le amministrazioni e le partecipate di riferimento.
  Quindi, con questa interpellanza, chiediamo al Governo di chiarire innanzitutto la portata del dettato normativo e, inoltre, quante e quali siano le società interessate dalla norma citata.

  PRESIDENTE. Il Viceministro dell'economia e delle finanze, Enrico Morando, ha facoltà di rispondere.

  ENRICO MORANDO, Viceministro dell'economia e delle finanze. Signor Presidente, nella prima parte della mia risposta – che darò per letta e magari consegnerò all'interpellante per iscritto – semplicemente io faccio un riassunto della legislazione vigente a proposito della materia di cui ci stiamo occupando. In particolare faccio riferimento al comma 7-bis, dell'articolo 3 del decreto-legge n. 101 del 2013. Tale comma 7-bis venne aggiunto, in sede di conversione del decreto stesso, dalla legge n. 125 del 2013.
  Ebbene, questo comma 7-bis – di qui le difficoltà interpretative di cui ha parlato l'interpellante che effettivamente ci sono – risulta di due parti. Cercherò di dire qual è il punto di vista del Governo in sede interpretativa e poi sentiremo se questa interpretazione soddisfa l'interpellante oppure no.
  Questa norma, per come è formulata nella sua prima parte, cioè il primo dei due periodi di cui si compone, si applica solo per il futuro e, quindi, esclusivamente ai contratti stipulati successivamente all'entrata in vigore della legge n. 125 del 2013. In tal senso dispongono, a nostro avviso, sia il dato testuale, che prevede un regime autorizzatorio ovviamente valevole solo per la fattispecie futura, sia la circostanza che non è espressamente previsto un regime transitorio. Se non c’è un regime transitorio vuol dire che, da lì in poi, vale la nuova legge e che precedentemente a quella fase invece restano in vigore le norme così come erano.
  La seconda parte di questo comma 7-bis, a cui gli interpellanti fanno riferimento, sempre in un'ottica di contenimento della spesa, stabilisce che le medesime clausole, inserite nei contratti stipulati e già in essere alla data di entrata in vigore della legge di conversione, sono nulle, ma solo qualora siano state sottoscritte, per conto della società in questione (società partecipata dagli enti pubblici e così via), in difetto dei prescritti poteri o deleghe in materia; ciò per evitare che eventuali previsioni contrattuali, del tipo individuato dalla prima parte del citato comma 7-bis, ove stipulate eccedendo i poteri e le deleghe conferiti, possano risultare dannose per le società controllate dalle pubbliche amministrazioni e, quindi, in buona sostanza, per la finanza pubblica.
  È evidente che la disposizione in esame, quindi, si interpreta in questo senso nella sua prima parte e per il secondo periodo e presuppone una azione penetrante di controllo sulle partecipate da parte degli enti soci, che dovranno adoperarsi per implementare corrispondentemente il sub-sistema dei controlli in funzione della previsione normativa.
  Da ultimo e per venire ad affrontare un tema che giustamente, secondo me, i proponenti sottolineano e che credo sia il movente politico più rilevante dell'interpellanza, segnalo che il Governo, pienamente consapevole della frammentarietà del quadro normativo e spesso anche delle contraddizioni del quadro normativo relativo alla disciplina delle società controllate, intende porvi rimedio, intende porre rimedio a questa situazione, mediante un'azione organica e sistematica di riassetto dell'intera materia.
  L'articolo 14 del disegno di legge delega, attualmente in discussione al Senato per la riforma della pubblica amministrazione, reca, infatti, la delega al Governo per il riordino della disciplina delle partecipazioni azionarie delle amministrazioni pubbliche, prevedendo tra i principi e i criteri direttivi l'eliminazione di sovrapposizioni, Pag. 49come invece a proposito del tema sollevato dall'interpellanza, tra istituti pubblicistici e istituti privatistici.
  Quindi, siamo consapevoli dei limiti che la legislazione vigente ha a questo proposito e la nostra intenzione è quella di superarli, per quanto possibile, attraverso l'esercizio della delega qualora il Parlamento approvi la legge delega attualmente in discussione al Senato, in particolare il suo articolo 14.

  PRESIDENTE. Il deputato Fauttilli ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  FEDERICO FAUTTILLI. Signor Presidente, Viceministro, la sua risposta è stata sicuramente articolata e approfondita e di questo la ringrazio e, in questo senso, mi dichiaro soddisfatto. Però noi ci auguriamo che il chiarimento che lei oggi ci ha fornito e soprattutto gli impegni assunti possano servire realmente a ridurre il contenzioso in atto e a far sì che non se ne generi di nuovo. Altrimenti, a nostro parere, sarà necessario, come peraltro già lei ha sottolineato, che il Governo quanto prima, anche con il prossimo provvedimento di riforma della pubblica amministrazione che è al Senato, proponga al Parlamento una revisione della norma vigente, in modo da renderla applicabile senza alcun dubbio interpretativo, che fino ad oggi – anche lei mi sembra che sia d'accordo – ha creato soltanto problemi, spesso con soluzioni diverse, contrastanti e contraddittorie, recando così un danno non soltanto agli interessati, ma soprattutto alla funzionalità dell'amministrazione e delle società di riferimento.

(Intendimenti del Governo in ordine ad iniziative volte a chiarire i dubbi interpretativi relativi all'applicazione della «legge Severino» – n. 2-00884)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Silvia Giordano n. 2-00884, concernente intendimenti del Governo in ordine ad iniziative volte a chiarire i dubbi interpretativi relativi all'applicazione della «legge Severino» (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo alla deputata Silvia Giordano se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  SILVIA GIORDANO. Grazie Presidente, sottosegretario, ora che la pressione mediatica sembra essersi allentata, spero che siamo tutti pronti ad un confronto politico su quello che è diventato il caso De Luca. Com’è noto ormai in tutta Italia, il sindaco decaduto di Salerno Vincenzo De Luca – decaduto, oltretutto grazie al MoVimento 5 Stelle, che almeno chiede il rispetto delle leggi – ha vinto le primarie del PD in Campania e, nel silenzio generale del Presidente del Consiglio dei ministri, è candidato alle regionali della Campania.
  Ma altrettanto risapute sono le vicende giudiziarie che, di recente, hanno coinvolto l'ex sindaco di Salerno. Il 21 gennaio scorso Vincenzo De Luca è stato condannato ad un anno (pena sospesa) per abuso d'ufficio. Il tribunale di Salerno ha ritenuto illegittima la nomina del suo ex capo staff, Alberto Di Lorenzo, a project manager del termovalorizzatore che doveva sorgere a Salerno, quando lo stesso De Luca fu investito della nomina di commissario straordinario dall'ex Premier Silvio Berlusconi. Oltre alla pena detentiva (ricordiamo sospesa), la sentenza di condanna ha decretato anche la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici servizi, sempre per un anno.
  De Luca è stato così sospeso dal prefetto di Salerno, con apposito provvedimento di sospensione, così come prevede la legge Severino. Ma, la sospensione è durata appena qualche giorno, perché l'ex sindaco è ricorso al TAR ed ha ottenuto un provvedimento di sospensiva urgente dal presidente del TAR di Salerno in meno di un paio d'ore dal deposito del ricorso, in attesa della pronuncia dell'organo collegiale. Nel suo ricorso è stata sollevata anche la questione di legittimità costituzionale Pag. 50della legge Severino, così come ha fatto illo tempore il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris.
  Fin qui nulla quaestio: se la giustizia amministrativa permette di annullare temporaneamente gli effetti di una legge dello Stato è fatto opinabile, di certo non impugnabile. Il destino, però, ha voluto che, a distanza di una settimana dalla sospensiva del TAR di Salerno, che sospendeva la sospensione della prefettura, il signor Vincenzo De Luca venisse dichiarato decaduto da sindaco di Salerno dalla corte d'appello di Salerno. La corte d'appello ha, infatti, confermato l'ordinanza di primo grado del tribunale di Salerno che già si era pronunciato sull'incompatibilità del doppio incarico, sindaco-Viceministro senza deleghe o sottosegretario (come meglio vi conviene definirlo, tanto i risultati non cambiano), ricevuto dall'ex Governo Letta.
  Nonostante la decisione dei giudici civili sia completamente estranea a quella della magistratura penale, la decadenza dichiarata in secondo grado, tuttavia, è risultata essere il nodo centrale della questione candidatura di De Luca. Infatti, non essendo più sindaco per legge, il signor Vincenzo De Luca ha rinunciato a vedersi confermare la sospensiva della sospensione del prefetto in sede collegiale, continuando la sua campagna elettorale per le primarie, fino ad agguantare così la vittoria. Ciò significa che, in attesa della decisione nel merito del TAR e della pronuncia della Corte costituzionale, il signor Vincenzo De Luca resta un condannato in primo grado che per legge non potrebbe ricoprire alcun incarico pubblico. La legge che glielo impedisce è, appunto, la Severino, quella che vi ricordo essere stata votata all'unanimità durante il Governo Monti, anche da quegli stessi esponenti del PD che sono ancora qui in Aula a sostenere la maggioranza del Presidente del Consiglio.
  De Luca è ineleggibile. Tutti lo sanno. Lo sa anche il PD che, però, che cosa fa ? In un primo momento, fa finta di nulla; fa finta che la legge Severino non esista e non l'abbia mai votata tanto da consentire a De Luca di partecipare comunque alle primarie. Sperando forse che non le vincesse ? Vabbé, speranza defunta immediatamente, vista la sua vittoria. Poi, miracolosamente, di fronte alla decisione delle proprie urne, il PD si ricorda della legge Severino. In verità, sono i media che glielo ricordano, tanto che per una settimana non fanno che parlare del caso Campania. A questo punto si comincia a navigare nell'incertezza e nelle contraddizioni più patetiche. Da un lato, c’è chi dice, nel PD, che la legge Severino non si tocca, come Delrio, dall'altro, c’è chi pubblicamente annuncia che qualche verifica e qualche provvedimento si prenderà prima delle elezioni di maggio, come ha detto la Boschi. Tutto ciò, nel silenzio più assordante del Presidente del Consiglio. E il suo è un doppio silenzio perché tace come Presidente del Consiglio, appunto, e tace come segretario del PD. E non si è sbilanciato a prendere una posizione neanche di fronte alle parole del presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, che, in data 2 dicembre 2014, in riferimento alla decisione del TAR Campania Napoli sul caso De Magistris, rendeva parere circa la necessità dell'intervento della Presidenza del Consiglio dei ministri nel giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 11, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 235 del 2012, appunto la cosiddetta legge Severino, in relazione all'articolo 10, e sottolineava come all'Authority non era «dato conoscere» – parole di Cantone – «quali iniziative la Presidenza abbia assunto o intenda assumere».
  Il presidente dell'Anac, anche dal Presidente del Consiglio tanto stimato, aggiungeva di ritenere «opportuno l'intervento nel giudizio di legittimità costituzionale della Presidenza del Consiglio a tutela di strumenti di garanzia dell'imparzialità dell'amministrazione, da applicarsi sia in presenza di sentenza definitiva per il compimento di reati di grave allarme sociale e di reati contro la pubblica amministrazione, sia, però, in presenza (per gli amministratori regionali e locali) di sentenza non definitiva».Pag. 51
  Parole di Cantone che precisava come «tutti questi principi, che sono al centro delle funzioni e dell'azione dell'Autorità nazionale anticorruzione, sarebbero in buona misura compromessi se si riducesse la portata e l'efficacia delle misure volte ad escludere dalle cariche pubbliche coloro che siano stati condannati per reati che la legge consideri pregiudizievoli della moralità e dell'imparzialità dell'amministrazione».
  Ebbene, di fronte a ciò il Presidente del Consiglio ha continuato a preferire la strada del silenzio, consentendo al suo candidato alle regionali in Campania di prendersi gioco delle leggi e delle istituzioni su tutte le TV nazionali.
  Da ultimo, giova ricordare la partecipazione del signor Vincenzo De Luca alla trasmissione RAI3 «In mezz'ora» di Lucia Annunziata, in cui ha ribadito che la legge Severino, per quanto lo riguarda, può essere «impacchettata con la nocca».
  Prima ancora, durante un comizio pubblico a Benevento, lo stesso De Luca, ancora parlando della legge Severino ha esordito con le sue solite dichiarazioni colorite, dicendo: «Io me ne frego. Ancora con questa palla della Severino. L'unica Severino che conosco è Mercato San Severino, in provincia di Salerno. Chi vince governa. Mi sospendono ? E io vado al TAR e in ventiquattr'ore mi faccio reinsediare. L'ho già fatto una volta».
  Per non parlare, poi, dell'attacco frontale che ha riservato ai magistrati di Salerno che lo hanno condannato. «Squinternati che non conoscono lo Stato di diritto», così li ha apostrofati il signor Vincenzo De Luca, ricalcando pedissequamente le orme di Silvio Berlusconi. Fino ad arrivare a far credere all'opinione pubblica di essere stato condannato per un reato linguistico, per aver adoperato la parola «project manager» al posto di «responsabile del procedimento».
  La verità è che in quel procedimento sulla realizzazione del termovalorizzatore di Salerno, un responsabile già c'era, tanto che è stato condannato pure lui. Ma, cosa più grave, è che il candidato governatore del Presidente del Consiglio e del PD ha anche aggiunto che quello della Severino è un problema che riguarda il Parlamento, perché lui si saprebbe tutelare da solo. C’è un video pubblicato su l'Espresso che toglie ogni dubbio su quanto dichiarato da De Luca.
  E di fronte a cotanta arroganza nei confronti di una legge dello Stato e di fronte a una sfida lanciata al Parlamento, il Presidente del Consiglio continua a rimanere in silenzio. Perché ? Non vorrei pensare che quel 98 per cento di preferenze raccolto a Salerno alle primarie per l'elezione del segretario nazionale del PD, che il Presidente del Consiglio ha vinto, siano un bonus che De Luca può giocarsi con il PD, indipendentemente da tutto. Anche perché – e vale la pena sottolinearlo – su quelle primarie la DDA di Salerno ha aperto un'inchiesta che ha coinvolto anche il tesseramento del PD. Sembra che i magistrati abbiano trovato tessere intestate a persone minorenni e defunte, oltre a parecchie schede bianche.
  Vorrei anche ricordare a tutti che De Luca risulta indagato in vari procedimenti giudiziari con accuse che vanno dalla corruzione al falso in atto pubblico, oltre ad essere a processo per abuso d'ufficio e lottizzazione abusiva nella questione del Crescent.
  Mi viene in mente, a questo punto, la famosa questione morale sollevata all'interno della vecchia DS per il caso Unipol. E De Luca non è una questione morale ? Beh, se non lo è per il PD resta, comunque, una questione politica, anche se in questo caso, purtroppo, la politica è costretta a fare i conti con la giustizia e le leggi dello Stato che la governano. Forse, è per la complessità della materia che il Presidente del Consiglio continua a non pronunciarsi sul caso De Luca e la Campania. Ma, a questo punto, il MoVimento 5 Stelle chiede di rompere il silenzio e sapere quali provvedimenti intenda adottare per risolvere il caso.
  Le domande da fare, in realtà, sono tante e varie: se il Governo ritiene opportuno l'intervento nel giudizio di legittimità costituzionale sulla Severino della Presidenza Pag. 52del Consiglio a tutela di strumenti di garanzia dell'imparzialità dell'amministrazione, così come sollecitato dal presidente dell'Anac; se lo dovesse ritenere opportuno, quale posizione intende assumere nei confronti della candidatura a governatore della Campania di Vincenzo De Luca. E, soprattutto, se la Presidenza del Consiglio può spiegarci cosa accadrebbe se De Luca risultasse vittorioso alle elezioni regionali: la Campania sarebbe commissariata o le elezioni verrebbero direttamente annullate ?
  E ancora: quali siano le reali intenzioni e in quali tempi intenda eventualmente intervenire il Governo, nel pieno rispetto, ovviamente, delle proprie e delle altrui competenze, al fine di chiarire i dubbi interpretativi relativi alla corretta applicazione della legge Severino, anche al fine di evitare continue incertezze e polemiche che mettono inevitabilmente in discussione l'autorevolezza delle istituzioni.
  L'ultima cosa (che più che una domanda è veramente una curiosità): è successo alle ultime elezioni in Sardegna, che il Presidente del Consiglio Renzi ha chiesto alla candidata, Francesca Barracciu, di fare un passo indietro, nonostante avesse vinto le primarie del PD a candidato governatore, perché la candidata, appunto, aveva ricevuto avviso di garanzia per l'inchiesta sui fondi dei gruppi consiliari, quando era consigliere regionale. Barracciu è indagata per peculato, la domanda è: perché per un semplice avviso di garanzia il Presidente del Consiglio si è immediatamente mosso, chiedendo un passo indietro, e di fronte, invece, a una sentenza e a un problema legale e giuridico, come sta accadendo, al contrario, tace del tutto ? È vero che poi l'ha nominata come sottosegretario, ma almeno non è incappato in questo rischio di fare una brutta figura, portandola addirittura alle elezioni, ma ha preferito farlo solo lui, e non tutti i cittadini, nominandola direttamente.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'interno, Domenico Manzione, ha facoltà di rispondere.

  DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato per l'interno. Grazie Presidente, l'interpellanza all'ordine del giorno dell'onorevole Giordano – e, per la verità, di molti altri deputati – richiama l'attenzione del Governo sulle difficoltà sorte in sede di applicazione del decreto legislativo n. 235 del 2012, quello che comunemente chiamiamo legge Severino, in particolare con riferimento agli articoli 7 e 8, cioè le norme che riguardano l'incandidabilità alle cariche elettive regionali derivante da sentenze penali di condanna.
  Gli interpellanti chiedono se, e in quali modi e in quali tempi, il Governo intenda intervenire per chiarire i dubbi e le difficoltà che si sono verificati con riferimento all'applicazione di detti articoli.
  In estrema sintesi, il quadro normativo generale prende spunto da scelte normative assai risalenti: il decreto legislativo n. 235 del 2012 è, in realtà, il precipitato di scelte che si possono ricondurre, addirittura, alla legge n. 16 del 1992, che intervenne a sua volta sulla normativa antimafia, la legge n. 55 del 1990, per introdurre l'istituto dell'incandidabilità, a cui sono correlati sia quello della sospensione, di natura cautelare, applicato in corso di mandato e connesso a pronunce non definitive, sia quello della decadenza, che invece comporta la cessazione dalla carica in presenza del passaggio in giudicato delle sentenze di condanna relative ai reati ostativi. Quindi, ogni termine, ovviamente, ha un significato molto preciso e specifico.
  I provvedimenti in questione – quelli risalenti, intendo dire – hanno già subito un vaglio di legittimità costituzionale sotto il profilo della retroattività della misura della decadenza, e l'hanno superato, con riferimento a questo specifico istituto.
  Il decreto legislativo n. 235 del 2012, anch'esso conforme agli orientamenti espressi dalla Corte costituzionale, prevede, peraltro su precisa indicazione del legislatore delegante, che vi sia un riallineamento del sistema delle incandidabilità locali all'analogo impianto destinato ex novo ai parlamentari e ai membri del Pag. 53Governo, che comprende, fra gli altri, tutti i reati contro la pubblica amministrazione.
  Quindi, il catalogo dei reati ostativi per gli amministratori regionali e locali è stato ampliato con l'inserimento di alcune fattispecie contro la pubblica amministrazione che in origine non erano previste, tra esse anche l'abuso di ufficio come ricordava già l'interpellante.
  Per passare, però, al merito della questione sollevata dagli interpellanti, il TAR Campania – come rammentato già nell'interpellanza – ha ravvisato nella disciplina in questione aspetti di legittimità costituzionale, tant’è che ha sollevato la questione di legittimità in via incidentale, rimettendo gli atti alla Corte costituzionale.
  La ragione per la quale si è arrivati davanti alla Corte costituzionale è il dubbio collegato al fatto che la sospensione – che, ripeto, è da riconnettere a una sentenza provvisoria, non definitiva, e quindi è istituto diverso dalla decadenza – lungi dal rappresentare un rimedio cautelare – cioè una norma di profilassi, come si dice tecnicamente – si configura, invece, per la tipologia del contenuto afflittivo come una vera e propria misura sanzionatoria. Se così fosse, evidentemente, vi sarebbe un problema di irretroattività di norma di carattere penale o penalistico, o a contenuto comunque fortemente afflittivo, come dice la Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
  In senso contrario si è invece espresso, sempre di recente, il tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento, che, nell'esaminare la medesima normativa, ha ritenuto che la questione fosse manifestamente infondata, sulla considerazione che la sospensione non abbia, al contrario dell'altro TAR, natura sanzionatoria, essendo finalizzata semplicemente appunto a realizzare l'allontanamento, seppur provvisorio, da determinate cariche di soggetti che abbiano patito una condanna non definitiva, visto che parliamo appunto di sospensione.
  Dal quadro che ho appena delineato si evidenzia immediatamente che si tratta di una materia di notevole complessità giuridica, a prescindere ovviamente dalle implicazioni politiche. Quindi, ogni approfondimento chiarificatore e ogni intervento del Governo non potranno prescindere, preliminarmente, dal riconoscimento della natura giuridica dell'istituto in questione e, quindi, dalla pronuncia della Corte costituzionale.

  PRESIDENTE. La deputata Silvia Giordano ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  SILVIA GIORDANO. Grazie, Presidente, no, non sono assolutamente soddisfatta. Ringrazio, per carità, il sottosegretario, però la conclusione è che il Presidente del Consiglio dice: va bene, lasciamo questa incertezza, aspettiamo di capire la legittimità costituzionale di una legge, oltretutto votata da parlamentari che, a questo punto, ci possono pensare un pochino prima. Però, intanto noi stiamo nell'incertezza, la regione Campania sta nell'incertezza e si continua a prendere in giro i cittadini della regione Campania, che, purtroppo, ci sono anche abbastanza abituati.
  Vedete, il punto è chiaro: da un lato, ci siete voi e con «voi» intendo proprio il partito di maggioranza del PD e il Presidente del Consiglio che lo rappresenta, che in realtà non vede l'ora di liberarsi del signor De Luca, però non avete il coraggio di assumervene le responsabilità politiche e, di conseguenza, non chiedete neanche il rispetto delle leggi. Siete lì fermi, immobili e silenti, sperando che la magistratura, per l'appunto, faccia ciò che voi non riuscite a fare: neutralizzare il signor De Luca. Altrimenti non si spiegherebbero i tre rinvii delle primarie in Campania e, forse, secondo noi, qualcosa c'entra anche il rinvio delle elezioni regionali.
  Dall'altro, però, ci siamo noi, che, a differenza vostra, non abbiamo bisogno che il signor De Luca venga neutralizzato dalla magistratura. Le leggi vanno rispettate e questo continueremo sempre a pretenderlo e il signor De Luca lo sa Pag. 54bene, visto che è stato dichiarato decaduto per un ricorso che noi del Movimento 5 Stelle abbiamo presentato e vinto; ma vorremmo neutralizzarlo politicamente perché, vedete, sempre a differenza vostra, noi di certo non abbiamo paura di esporci, e, soprattutto, abbiamo tutte le carte in regola per sconfiggerlo nella competizione politica. Anche perché, vedete, il signor Vincenzo De Luca, che voi continuate a portare avanti nelle elezioni in Campania, sappiamo benissimo chi è.
  Neanche due mesi fa, la Corte dei conti ha condannato il sindaco decaduto di Salerno e la sua giunta a risarcire il comune di Salerno di 605.854 euro. A tanto ammonterebbe il danno erariale derivato dalla nomina del vicesegretario comunale, Felice Marotta, nel periodo 2006-2011. Per chi non lo sapesse, Felice Marotta, anni fa, era stato assunto dal comune di Salerno come giardiniere per poi arrivare, nel corso del tempo, a ricoprire anche l'incarico di direttore generale dell'ente.
  Prima ancora, lo stesso De Luca e l'allora segretario generale del comune di Salerno Gennaro Caliendo sono stati condannati dalla magistratura contabile a versare nelle casse comunali oltre 34 mila euro, a cui si aggiungono interessi, rivalutazione monetaria e spese di giustizia, quale danno erariale causato dalla nomina di Felice Marotta a direttore generale.
  Di tutto ciò ne ha fatto menzione il procuratore regionale della Corte dei conti di Napoli, Tommaso Cottone, nella sua relazione all'inaugurazione dell'anno giudiziario.
  La magistratura contabile ha mosso altre contestazioni all'ex amministrazione De Luca e ve le elenco: ritardo nell'approvazione del bilancio consuntivo, squilibrio tra entrate e uscite correnti, disavanzo di gestione esercizio 2011-2012, squilibrio tra residui attivi e passivi in conto capitale, sofferenza di cassa, debiti fuori bilancio, violazione del vincolo di destinazione e mancato inventario del patrimonio comunale.
  Questo è quanto ha accertato la Corte dei conti. In compenso, quello che i cittadini salernitani constatano tutti i giorni è vivere in una città che sembra un cantiere a cielo aperto.
  In quei cantieri, però, i lavori sono fermi da tempo e le opere pubbliche, che dovrebbero portare la firma di archistar internazionali, come vanta De Luca, e cambiare l'assetto urbanistico della città, facendo di Salerno il simbolo della rivoluzione urbanistica e architettonica, sono bloccate. Anche qui l'elenco è lungo.
  Partiamo dalla Cittadella giudiziaria di David Chipperfield: inizio lavori 2002, previsione fine lavori 2007, costò 70 milioni di euro, ritardo di 8 anni sulla consegna.
  In compenso, la cittadella è stata inaugurata almeno quattro volte, sebbene manchino 40 milioni di euro per il suo completamento e da un anno De Luca millanta di aver ottenuto lo sblocco dei fondi dal CIPE. Metropolitana: inizio lavori 1999, presunta entrata in funzione 2002, costo 100 milioni tra finanziamenti europei e fondi regionali. Ebbene, l'infrastruttura è entrata in funzione a novembre 2013, ma dopo qualche mese è stata bloccata per disguidi e rimbalzi di responsabilità tra il Comune di Salerno e la Regione Campania, tra De Luca e Caldoro. Poi, da qualche mese, la metropolitana ha ripreso a funzionare, ma non copre tutte le fermate previste e prevede una corsa ogni 50 minuti. Non mi meraviglierebbe che dopo le elezioni venisse chiusa di nuovo. Ci sono tutti i presupposti, visto che i candidati alla regione sono comunque ancora De Luca e Caldoro. Piazza della Libertà: che dire della piazza che sarebbe dovuta essere più grande di Piazza del Plebiscito di Napoli ? Trentotto milioni di euro – soldi pubblici – per farla crollare e sequestrare dalla magistratura. Tre inchieste ci sono su questa piazza: una riguarda il crollo, l'altra lo smaltimento dei materiali inerti utilizzati per riempirla e la terza una variante da 8 milioni di euro per approvare lavori già eseguiti. Risultato: piazza ferma, ex sindaco e giunta indagati per falso in atto pubblico e tecnici Pag. 55comunali e costruttori accusati di peculato. Stazione marittima: inizio lavori 2005, previsione fine lavori 2008, costo 29 milioni di euro. Ovviamente, con sette anni di ritardo, l'opera non è stata ancora completata; mancano gli interni e ci sono problemi tecnici con le coperture. Nell'ultimo annuncio di De Luca sarebbe stata inaugurata lo scorso dicembre, ma niente. La struttura presenta solo crepe nella parte esterna da tamponare costantemente. Lungoirno, la strada che taglia la città da nord a sud: tanto per capirci, per realizzare il tunnel della Manica, 53 chilometri, furono impiegati sette anni, a Salerno per completare gli ultimi 70 metri hanno già accumulato sette anni di ritardo. Poi c’è ancora il progetto di difesa e ripascimento del litorale cittadino (4 anni di ritardo) e il Palazzetto dello Sport (10 milioni per un'opera ferma da quasi 8 anni). Dulcis in fundo, il «Crescent». Come non ricordare la megaspeculazione edilizia privata sul lungomare, fiore all'occhiello della città ? Un complesso da 180 appartamenti di lusso a ridosso della storica spiaggia cittadina di Santa Teresa, lungo quanto tre campi di calcio e sequestrato dalla magistratura perché abusivo, giustamente. I reati contestati a De Luca e alla sua giunta vanno dall'abuso d'ufficio al falso in atto pubblico alla lottizzazione abusiva. Ecco, questo è, molto in breve, il ritratto del sindaco decaduto candidato alle regionali del PD, Vincenzo De Luca, l'uomo del fare, sì, ma del fare le cose a metà e male.
  Altra opera – rimasta incompiuta in questo caso, per fortuna – è proprio il termovalorizzatore, che lo ha portato alla condanna. Perché per fortuna ? Perché nell'inceneritore di Salerno il grande amministratore Vincenzo De Luca avrebbe bruciato tranquillamente le ecoballe, senza però dirlo a nessuno, eccetto che alla Commissione d'inchiesta sui rifiuti quando è stato ascoltato nel 2009. Gli atti sono pubblici, si trovano tranquillamente su Internet e, se non vi basta, c’è un altro video che prova le sue reali intenzioni e svela la sua vera natura. Ora capite perché, in realtà, da un punto di vista politico, vorremmo competere con lui, però la domanda che dovrebbe essere fatta è come fate voi a candidarlo, con quale coraggio; e qui parliamo se la legge Severino ha legittimità costituzionale. Guardarvi un attimo dentro e capire chi avete presentato sarebbe la cosa migliore da fare (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.

Ordine del giorno della prossima seduta.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

  Lunedì 16 marzo 2015, alle 12:

  1. - Discussione sulle linee generali della proposta di legge:
   FERRANTI ed altri: Modifiche al codice penale, in materia di prescrizione del reato (C. 2150-A).
   e delle abbinate proposte di legge: COLLETTI ed altri; MAZZIOTTI DI CELSO ed altri; PAGANO (C. 1174-1528-2767).
  — Relatori: Amoddio e Dambruoso, per la maggioranza; Colletti, di minoranza.

  2. - Discussione sulle linee generali del disegno di legge:
   S. 1749 – Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4, recante misure urgenti in materia di esenzione IMU. Proroga di termini concernenti l'esercizio della delega in materia di revisione del sistema fiscale (Approvato dal Senato) (C. 2915).
  — Relatori: Fragomeli, per la maggioranza; Busin e L'Abbate, di minoranza.

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  3. - Discussione sulle linee generali delle mozioni Fitzgerald Nissoli, Porta ed altri n. 1-00445 e Dall'Osso ed altri n. 1-00761 concernenti iniziative per la tutela dei diritti previdenziali dei lavoratori italiani emigrati in paesi non appartenenti all'Unione europea.

  4. - Discussione sulle linee generali del disegno di legge:
   Ratifica ed esecuzione della Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 dicembre 2006 (C. 2674).
   e dell'abbinata proposta di legge: Tidei e Porta (C. 1374).
  — Relatrice: Cimbro.

  La seduta termina alle 13,40.