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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 386 di venerdì 6 marzo 2015

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI

  La seduta comincia alle 9,30.

  VALERIA VALENTE, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 4 marzo 2015.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Cirielli, Giancarlo Giorgetti, Nicoletti e Rigoni sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente novantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

  Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Convocazione della Delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare dell'Iniziativa Centro Europea (InCE)

  PRESIDENTE. Comunico che, d'intesa con il Presidente del Senato della Repubblica, la Delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare InCE è convocata nella giornata di mercoledì 11 marzo 2015 alle ore 8, presso il Senato della Repubblica, per procedere al terzo scrutinio per l'elezione del Presidente.
  L'aula dove si svolgerà la riunione sarà comunicata successivamente.

Modifica nella composizione di gruppi parlamentari

  PRESIDENTE. Comunico che, con lettera pervenuta il 4 marzo 2015, l'onorevole Massimo Enrico Corsaro ha reso noto di essersi dimesso dal gruppo parlamentare Fratelli d'Italia – Alleanza Nazionale.
  Il predetto deputato si intende conseguentemente iscritto al gruppo Misto.

Approvazione in Commissione

  PRESIDENTE. Comunico che, nella seduta di mercoledì 4 marzo 2015, la IV Commissione permanente (difesa) ha approvato, in sede legislativa, la seguente proposta di legge:
  Carlo GALLI: «Modifiche al codice di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, in materia di limiti all'assunzione di incarichi presso imprese operanti nel settore della difesa da parte degli ufficiali delle Forze armate che lasciano il servizio con il grado di generale o grado equiparato» (2428), con il seguente nuovo titolo: «Modifiche al codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, in materia di limiti di assunzione di incarichi presso imprese operanti nel settore della difesa da parte di ufficiali delle Forze armate che cessano dal servizio e di dirigenti civili del Ministero della difesa» (2428).

Pag. 2

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, recante misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti (A.C. 2844-A) (ore 9,35).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 2844-A: Conversione in legge del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, recante misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti.
  Ricordo che nella seduta del 10 febbraio 2015 sono state respinte le questioni pregiudiziali Paglia ed altri n. 1, Busin ed altri e Rampelli n. 2, Palese n. 3 e Pesco ed altri n. 4.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2844-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  I presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento, ai sensi dell'articolo 83, comma 2 del regolamento.
  Le Commissioni Finanze e Attività produttive si intendono autorizzate a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza per la Commissione Finanze, onorevole Causi.

  MARCO CAUSI, Relatore per la maggioranza per la VI Commissione. Signor Presidente, certamente l'articolo più importante e che ha fatto più discutere di questo decreto-legge è l'articolo 1, che reca uno storico e strutturale intervento di riforma del settore delle banche popolari. Per quanto riguarda le grandi banche popolari, quelle cioè il cui attivo è superiore a 8 miliardi di euro, il decreto-legge introduce un processo che, nell'ambito di diciotto mesi, porterà le prime 10 grandi banche popolari italiane a trasformarsi in società per azioni, tramite assemblee dei soci che ne delibereranno la trasformazione, in assenza della quale sono previste una serie di sanzioni da attivarsi da parte degli organi di vigilanza, cioè da parte della Banca d'Italia e della Banca centrale europea.
  Per tutte le banche popolari, quindi anche per quelle che restano al di sotto degli 8 miliardi di euro e che non hanno l'obbligo di trasformarsi in Spa, il decreto-legge prevede la possibilità di modificare gli statuti in modo da poter migliorare e velocizzare la possibilità per questi istituti bancari di ricapitalizzarsi, recependo risorse e capitali da parte di soci di capitali e, quindi, in particolare di emettere strumenti finanziari che abbiano specifici diritti patrimoniali e di voto. Per le banche popolari al di sotto degli 8 miliardi di euro, questa facoltà, che permetterà di accedere più facilmente e rapidamente ai mercati dei capitali, non implicherà la trasformazione in Spa.
  Inoltre, la riforma implica una serie di modernizzazioni e miglioramenti della governance di questi istituti bancari. In particolare, viene abolito l'istituto del gradimento dei nuovi soci, viene rimosso il vincolo che gli amministratori di queste banche debbano essere soci nella cooperativa e naturalmente nel caso delle banche che diventano Spa, viene superato il voto capitario, mentre nel caso delle banche che non dovranno trasformarsi in Spa, il ricorso al voto capitario viene riorganizzato in modo da rendere più veloci gli atti di governance delle società.
  Si è svolta, su questa riforma, Presidente, come sappiamo, un'intensa discussione pubblica in queste settimane e continuerà nelle prossime. Voglio ricordare, però, che in sede referente le Commissioni finanze e attività produttive di questa Camera hanno introdotto tre modifiche all'originario provvedimento. Di queste tre modifiche, due soprattutto mi sembrano di grande rilievo. La prima, votata ieri pomeriggio, è l'introduzione di una norma che autorizza gli statuti delle società per azioni risultanti dalla trasformazione delle banche popolari in Spa a prevedere, per un periodo non più lungo di ventiquattro mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione di questo decreto-legge, dei Pag. 3limiti all'esercizio del diritto di voto in una misura minima del 5 per cento. Quindi, gli statuti delle nuove banche Spa potranno, almeno per due anni, avere un limite all'esercizio del diritto di voto del 5 per cento, il che, in sostanza, permetterà a questi istituti di gestire la transizione dall'attuale regime di voto capitario al nuovo regime di Spa determinando, anche tramite un processo di consolidamento, l'organizzazione del loro capitale. Ciò farà anche da scudo in qualche modo dalla possibilità che, durante questa fase di trasformazione, questi istituti possano essere oggetto di scalate ostili. Altro, invece, è quello che questi istituti dovranno fare, cioè costruire dei piani industriali, delle alleanze, delle aggregazioni che, al contrario, non siano ostili, ma siano condivise e consolidino il settore.
  La seconda modifica stabilisce che nell'assemblea che delibererà la trasformazione in Spa, che nel decreto-legge viene considerata una sorta di assemblea speciale e ne vengono abbattuti i quorum che rendono le decisioni assembleari valide, potranno, per effetto della modifica introdotta nelle Commissioni, anche essere approvate le modifiche statutarie. Questo intervento ha un duplice scopo, Presidente. Il primo scopo è che nella norma originaria sussisteva una sorta di buco, cioè la banca popolare fa l'assemblea, si trasforma in Spa, ma, poi, a quel punto il nuovo statuto, chi lo fa ? Bisogna a quel punto fare un'altra assemblea per la nuova Spa, quindi c'era un processo che avrebbe anche prolungato il procedimento di trasformazione. Il secondo elemento è che i nuovi statuti verranno stabiliti dalle assemblee delle attuali banche popolari con il voto capitario, quindi anche alcuni elementi e alcuni accorgimenti di definizione graduale di questa transizione potranno essere meglio definiti.
  Infine, il decreto-legge reca una norma molto rilevante che è quella che nega la possibilità del diritto al recesso per i soci, se la Banca d'Italia ritiene che l'esercizio di questo diritto al recesso possa essere nocivo ai fini dell'erosione del capitale di vigilanza. Il provvedimento originario prevedeva la possibilità di limitare il diritto al recesso anche nel caso di morte, quindi a svantaggio degli eredi. Le Commissioni finanze e attività produttive hanno ritenuto di togliere questa previsione, quindi, gli eredi, in caso di evento negativo, avranno il diritto al recesso.
  Mi limito a fare tre osservazioni generali riguardanti questa riforma. La prima è che essa è stata sollecitata, non da pochi mesi, ma da molti anni, da tutte le autorità di vigilanza del settore bancario. Abbiamo ascoltato, nelle Commissioni finanze e attività produttive, Banca d'Italia, Consob, Autorità garante della concorrenza e del mercato. Il motivo per cui tutte le Autorità di vigilanza e, principalmente, naturalmente, l'Autorità di vigilanza bancaria, quindi Banca d'Italia e BCE, sollecitano questa riforma è perché nel nuovo mondo nato dopo la crisi del 2008, ci piaccia o non ci piaccia – non è questa la sede di discutere se la nuova regolamentazione dell'attività bancaria con cui la comunità internazionale ha risposto alla crisi va bene o no; di fatto, però, è quella – in questo nuovo mondo per fare credito, devi avere capitale. E più questo credito che fai è rischioso, più capitale devi avere. La nuova regolamentazione bancaria uscita nel mondo e in Europa dopo la crisi del 2008 in qualche modo valuta con molta più attenzione la rischiosità dell'attività creditizia e, a fronte di questa rischiosità, obbliga a requisiti di capitale molto più stringenti.
  Ci piaccia o non ci piaccia questo è il nuovo mondo, determinato dal fatto che tutti hanno interpretato la crisi del 2008-2009 come una crisi dovuta al fatto che le banche si erano prese troppi rischi e avevano fatto troppo leverage. Oggi, noi abbiamo, in Europa in particolare, una unione bancaria che, non appena ci sia un pochino in più di rischio nell'attività creditizia, obbliga alla ricapitalizzazione delle banche. In un Paese come l'Italia che è, come spesso ci siamo detti, un Paese molto «bancocentrico», per un sistema imprenditoriale come quello italiano che è molto «bancocentrico», questo nuovo mondo comporta dei problemi e comporta delle Pag. 4difficoltà, perché le nostre imprese sono abituate a finanziarsi, soprattutto con credito bancario rispetto ad altri strumenti, e perché le nostre banche sono molto legate al sistema delle imprese e, quindi, condividono con il sistema delle imprese gli elementi di rischiosità.
  Il segmento delle banche popolari, soprattutto delle grandi banche popolari, paradossalmente, per i meriti che ha – e cioè per il fatto di essere cresciuto in sintonia con il nostro mondo imprenditoriale e, quindi, di essere un segmento in più forte connessione con l'economia reale rispetto a quanto lo siano altri segmenti del nostro sistema bancario – negli ultimi anni, appunto per questo, ha subito in modo specifico e particolare l'aumento di rischiosità dovuto al prolungamento della crisi. La quantità di crediti deteriorati sul totale dei crediti bancari è quasi quadruplicata nel segmento delle grandi banche popolari, mentre, invece, è triplicata nel segmento delle banche Spa. Questo aumento di rischiosità sta comportando, con le nuove regole, la necessità per i nostri istituti bancari di ricapitalizzarsi di continuo: è una necessità che c’è già stata negli ultimi due anni e non finirà a breve termine. Ora, evidentemente, le banche popolari, per i loro meccanismi di governance, hanno una particolare difficoltà o lentezza nei processi di ricapitalizzazione, appunto, per effetto della loro governance e, in particolare, del voto capitario. La possibilità di trasportarle in un mercato di capitali di cui possano più liberamente godere è una possibilità, naturalmente, che permetterà a loro di consolidarsi e, quindi, a un intero segmento importante del sistema bancario italiano di rafforzarsi. Questa è l'opinione che da anni ci viene espressa da parte delle Autorità di vigilanza.
  D'altra parte, se pensiamo bene – e questo è il mio secondo punto, Presidente – le banche popolari non sono delle vere e proprie banche cooperative no profit; come ben sa chi conosce questa letteratura, che esiste da decenni, la banca popolare è un ibrido, perché, innanzitutto, distribuisce utili esattamente come le Spa; la legge italiana, oggi, consente alle banche popolari di mettere a riserva il 10 per cento e tutto il resto distribuirlo; per esempio, invece, per le banche cooperative, per le BCC, si mette a riserva il 70 per cento. Le banche popolari non hanno finalità mutualistiche, le BCC, invece, devono effettuare versamenti ogni anno ai loro fondi mutualistici di categoria, le banche popolari no; le banche popolari non hanno, in base alla legge, un obbligo a fare beneficenza, possono farla, come qualsiasi società, come qualsiasi organizzazione, ma non sono obbligate per legge a fare beneficenza e, quindi, la banca popolare, che, per l'appunto, è un ibrido giuridico ben conosciuto e molto discusso in letteratura e nella discussione politica di questi anni, non ha una finalità non lucrativa. È un istituto, un'organizzazione lucrativa profittevole, esattamente come una Spa, tant’è vero che può essere quotata in Borsa. Sette delle dieci banche popolari che adesso si dovranno trasformare in Spa sono già quotate in Borsa. Sono quotate in Borsa perché possono garantire al mercato dei capitali un flusso di rendimenti coerente con quello che i mercati dei capitali richiedono. Avendo una finalità lucrativa e non avendo una finalità mutualistica, questi istituti bancari sono sostanzialmente già oggi capitalistici, anzi, lo sono da tempo, sono delle banche capitalistiche, non sono delle banche che fanno parte di un modello non capitalistico. L'unico elemento che resta in queste banche del vecchio modello cooperativo di tipo solidaristico è soltanto il voto capitario e, quindi, sono soltanto gli aspetti di governance, soprattutto per gli istituti che sono cresciuti in dimensione così ampia; pensate che le prime due banche popolari italiane sono presenti in 83 province, le prime dieci banche popolari italiane sono presenti, in media, in 60 province e, quindi, si tratta di istituti ormai molto, molto lontani dagli originari istituti di tipo locale che erano poi confinati dentro la comunità locale.
  Per gli istituti di queste dimensioni, il voto capitario, l'istituto del gradimento dei soci e l'istituto, ad esempio, che prevede Pag. 5che gli amministratori debbano essere soci della banca, sono tutti istituti non più sostenibili dentro un mondo in cui per amministrare una banca ci vogliono competenze, e non è detto che fra i soci della cooperativa ci siano competenze. Per acquisire soci c’è un problema di gradimento, come se fosse un club, c’è un problema di dare soldi e riconoscere diritti a fronte dei soldi e del capitale che viene investito.
  Quindi, in ultima analisi, la riforma che stiamo conducendo, oltre ad essere una riforma di cui si discute e si dibatte da anni è anche una riforma che non va ad incidere su un settore non capitalistico; incide su un settore già propriamente capitalistico e permetterà a questo settore di continuare a fare l'attività che fa, perché è vero che questo settore è quello che eroga più credito alle imprese, ma, con i limiti che sul capitale mettono le attuali regolamentazioni europee e con l'aumento di rischiosità che è stato determinato, purtroppo, dal prolungamento drammatico della crisi dell'economia reale, proprio questo settore è quello che ha più bisogno di capitale, e proprio questo settore, quindi, con la nuova governance da Spa potrà, ricapitalizzandosi, rafforzandosi e consolidandosi, garantire un maggiore afflusso di credito all'economia.
  Concludo sulla riforma delle grandi banche popolari, ricordando che nel Country report che la Commissione europea ha emanato giovedì scorso sull'Italia – un Country report, come sapete, molto importante per noi, perché la rassegna della Commissione europea conclude con una sostanziale promozione dello stato delle nostre finanze pubbliche e, quindi, con una sostanziale promozione anche delle manovre espansive che abbiamo fatto lungo il 2014, anche scostandoci dai vecchi obiettivi a medio termine di bilancio – questa promozione è legata alle riforme che il Governo e la maggioranza stanno compiendo in questi mesi. E fra queste riforme, la riforma delle grandi banche popolari è considerata praticamente la numero due, dopo il Jobs Act. Dice, in particolare, la Commissione europea, che grazie a questa riforma si potrà avere un miglioramento del management bancario, si potranno rendere le banche italiane – in questo segmento, che però è molto rilevante – più attrattive per i nuovi investitori e ci si potrà aspettare un consolidamento industriale all'interno di questo segmento; un consolidamento che non è ovviamente da qui, dalla politica o dalla legge, che possiamo indirizzare, ma che sta già nelle cose, nei progetti industriali che questi stessi istituti bancari da anni avevano: progetti di aggregazione, progetti di ampliamento e di gradimento. Penso e sono convinto – riporto in questo l'opinione della maggioranza – che questo passaggio salvi le piccole banche popolari, non mette dentro le vere banche cooperative. Le vere banche cooperative, cioè le BCC, stanno intraprendendo un percorso di autoriforma, condiviso dal Governo, che porterà a futuri provvedimenti. Con questo provvedimento, che interviene sulle prime dieci grandi banche popolari – sette delle quali sono quotate e otto delle quali fanno parte delle quindici vigilate direttamente a livello europeo, quindi banche sistemiche a livello europeo – andremo ad un rafforzamento complessivo; introduciamo una dinamica di rafforzamento complessivo dell'industria bancaria italiana.
  Molto velocemente, sugli altri articoli di competenza della Commissione finanze: nell'articolo 2 introduciamo delle disposizioni in materia di portabilità dei conti di pagamento. Stiamo anticipando così la piena attuazione della direttiva n. 92/2014/UE dell'Unione europea sulla portabilità dei conti di pagamento: un'anticipazione molto opportuna, che però andrà – come sempre per le anticipazioni, le sperimentazioni – monitorata con molta attenzione. Nel corso dell'esame in sede referente è stato modificato il comma 2 dell'articolo, sostituendo l'obbligo di risarcimento del cliente in caso di mancato rispetto delle modalità e dei termini per il trasferimento dei conti di pagamento con l'obbligo di indennizzo. Inoltre, si è demandato ad un decreto ministeriale la precisa e operativa attuazione sia dei criteri per l'indennizzo, sia dei criteri per la Pag. 6trasparenza informativa. Tra l'altro, la norma implica che un domani, quando andremo ad un bancomat, dovremmo poter trovare elementi che ci dicano quanto costa l'operazione che stiamo facendo ed elementi che ci dicano anche qual è il profilo cliente: quindi, il profilo cliente e gli elementi di costo totalmente trasparenti.
  Inoltre, in Commissione, ieri sera, abbiamo introdotto una modifica molto rilevante, cioè, sempre di questa direttiva europea, che comunque in futuro entrerà in vigore e che adesso stiamo anticipando, abbiamo anticipato anche l'apertura dei conti di pagamento e dei conti correnti cosiddetti transfrontalieri, che dovrebbero quindi auspicabilmente, anche prima che entri in vigore la direttiva europea, favorire la tenuta, per i residenti in Italia, di conti correnti che abbiano anche una corrispondenza automatica con conti correnti in altri Paesi dell'Unione europea.
  Nell'articolo 3 si è introdotta una riforma volta a migliorare il funzionamento in Italia dei crediti all'esportazione. Il credito all'esportazione viene fatto tradizionalmente in Italia su garanzia della SACE, ma l'attività di diretto credito all'esportazione non ha in Italia un soggetto, né pubblico né privato, che la fa in modo prevalente. In altri Paesi invece ci sono soggetti di questo tipo; adesso grazie anche ad un miglioramento, ad un cambiamento che di questa norma è stato fatto ieri nelle Commissioni finanze e attività produttive si è demandato al complessivo gruppo CdP-SACE, che potrà poi decidere se farlo all'interno o avvalersi anche di soggetti esterni, di avviare anche in Italia un'attività di direct lending, di prestito diretto, affiancandosi in particolare alle operazioni più importanti del mondo imprenditoriale italiano nell'ambito delle esportazioni.
  Infine, mi compete l'articolo 5. L'articolo 5 reca una modifica del cosiddetto patent box, cioè del regime opzionale di tassazione agevolata dei redditi derivanti dall'utilizzo e dalla cessione di opere dell'ingegno, regime che abbiamo introdotto nella legge di stabilità: lo ampliamo già subito in questo provvedimento, consentendo alle imprese che fanno opere dell'ingegno di poter mettere sotto regime di patent box anche le attività di valorizzazione della proprietà intellettuale gestite e sviluppate in outsourcing o con le società del proprio gruppo. Durante l'esame in sede referente, la norma è stata modificata al fine di rendere rinnovabile l'opzione delle imprese di rinnovare, invece del nuovo, il precedente regime agevolativo.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza per la Commissione attività produttive, Luigi Taranto.

  LUIGI TARANTO, Relatore per la maggioranza per la X Commissione. Signor Presidente, è mio compito dar conto delle principali modifiche di competenza della Commissione attività produttive introdotte nel corso dell'esame in sede referente del provvedimento. Ma prima di assolvere a questo compito, e anche per cercare di dar conto della solida coerenza finalistica complessivamente recata dalle disposizioni del provvedimento, vorrei osservare la convergenza, certamente non casuale e felicissima, tra il tempo di questa discussione e il tempo del debutto del quantitative easing da un lato, e dall'altra parte dei primi segnali flebili ma significativi di una accelerazione della dinamica del ritorno alla crescita.
  Se non ora quando ? Si potrebbe dire a generale introduzione e commento di questo provvedimento, perché se non vi è dubbio, da una parte, che le politiche di quantitative easing, come oggi osserva un autorevole commentatore, costituiscono un'ottima benzina per una ripresa ancora in fasce, dall'altra tanto l'atteso ritorno del prodotto interno lordo del nostro Paese in territorio positivo per il primo trimestre di quest'anno, quanto le previsioni della Commissione europea e le considerazioni del Country report che ha testé ricordato il collega Causi, confermano ancora una volta che è anzitutto il pieno dispiegamento di un compiuto impegno riformatore la condizione necessaria per il consolidamento Pag. 7di questi segnali, e soprattutto per mettere in campo un processo di progressivo riassorbimento di una disoccupazione che intanto ha oltrepassato la quota di 3 milioni di unità.
  E dunque questa è, a mio avviso, la ratio profonda di un provvedimento che se da una parte – e ne ha già riferito il collega Causi – cerca di mettere in campo una regolamentazione del sistema bancario con particolare riferimento al sistema delle banche popolari, che ne promuova una governance più efficace e che sia in grado di confrontarsi competitivamente anche nel quadro del processo di costruzione dell'unione bancaria europea, dall'altra parte le misure in materia di investimenti significativamente si concentrano intorno al tema dell'impulso all'impegno sul versante dell'innovazione, al riconoscimento del fatto che questa è la strada attraverso la quale il sistema economico italiano in tutte le sue componenti può rafforzare la dinamica della produttività, e in questo modo può rafforzare la dinamica complessiva della crescita e dell'occupazione.
  Vengo dunque a dar conto analiticamente delle disposizioni e delle modifiche introdotte in corso di esame referente. L'articolo 4 del provvedimento introduce la definizione di piccole e medie imprese innovative. Sono imprese che potranno accedere ad alcune semplificazioni ed agevolazioni. L'intervento si misura nell'ambito di applicazione della normativa, estendendo la disciplina riguardante le start-up innovative alla nuova categoria delle piccole e medie imprese innovative. Nel corso dell'esame in sede referente sono state apportate significative modifiche tra cui meritano di essere segnalate: con riferimento alla definizione, viene ora richiesto alle PMI innovative che esse siano società di capitali costituite anche in forma cooperativa. Si richiede, inoltre, a dette imprese che le proprie azioni non siano quotate su un mercato regolamentato.
  Con riguardo al requisito del volume di spesa in ricerca e sviluppo – ed è questo un punto di particolare rilevanza – si inserisce anche la dimensione dell'innovazione, si escludono dal calcolo del requisito del volume di spesa le spese concernenti acquisto e locazione di beni immobili ma vengono invece incluse – questo è il punto – le spese per acquisto di tecnologia ad alto contenuto innovativo.
  Viene, inoltre, modificato l'elenco delle informazioni da inserire nella domanda in formato elettronico per l'iscrizione delle piccole e medie imprese innovative nella prevista sezione speciale del registro delle imprese. Con riguardo alle agevolazioni e con riferimento all'esonero per le piccole e medie imprese innovative dall'obbligo del versamento di alcuni diritti di bollo e di segreteria, viene comunque precisato che è fatto salvo l'obbligo del pagamento dei diritti di segreteria dovuti per adempimenti relativi alle iscrizioni nel registro delle imprese nonché del pagamento del diritto annuale dovuto alle camere di commercio.
  Quanto alle agevolazioni fiscali per le PMI innovative, si specifica che esse si applicano alle imprese operanti sul mercato da meno di sette anni dalla loro prima vendita commerciale e si demanda ad un decreto del MEF di concerto con il Mise l'individuazione delle modalità di attuazione di tali agevolazioni. Per le piccole e medie imprese innovative operanti sul mercato da più di sette anni dalla prima vendita commerciale, detti incentivi fiscali saranno applicati qualora le PMI presentino un piano di sviluppo dei prodotti, servizi o processi nuovi nel settore interessato. Questo piano andrà valutato e approvato da un organismo indipendente di valutazione, espressione dell'associazionismo imprenditoriale, ovvero da un organismo pubblico.
  Una modifica significativa tra quelle approvate dalle Commissioni in sede referente è inoltre il sistema delle disposizioni concernenti la raccolta di capitali mediante offerte condotte su portali online. Viene istituita una modalità alternativa, rispetto all'ordinaria disciplina civilistica e finanziaria, per la sottoscrizione e la circolazione di quote di start-up innovative e PMI innovative costituite in Pag. 8forma di società a responsabilità limitata. Inoltre, si interviene sul testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria modificando la definizione di «portale per la raccolta di capitali per le start-up innovative», integrandola con le piccole e medie imprese innovative. Il portale è ora definito come piattaforma online che abbia come finalità esclusiva la facilitazione della raccolta di capitale di rischio da parte delle start-up innovative, delle PMI innovative e degli organismi di investimento collettivo del risparmio o altre società che investono prevalentemente in start-up innovative e/o in piccole e medie imprese innovative.
  Nel corso dell'esame in sede referente sono state inoltre inserite disposizioni che estendono la definizione e le agevolazioni previste per le start-up innovative. Di particolare rilievo è l'ampliamento del requisito relativo alla costituzione della start-up innovativa, poiché mentre prima l'impresa doveva essere costituita da non più di 48 mesi, adesso da non più di 60 mesi. Si estende fino al quinto anno (prima era il quarto) dopo l'iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese l'esonero dal pagamento dell'imposta di bollo, dei diritti di segreteria e del diritto annuale dovuto in favore delle camere di commercio. Sono inoltre introdotti requisiti di forma per l'atto costitutivo delle start-up innovative e degli incubatori certificati.
  Relativamente all'articolo 5 e alle modifiche concernenti il regime del «patent box», ha appena dato informativa il collega Causi. Compete a me invece ricordare le modifiche intervenute, sempre nel corso dell'esame in sede referente, ai commi 2 e 3.
  Questi commi affidavano alla Fondazione Istituto italiano di tecnologia compiti di servizio in favore del sistema nazionale della ricerca, tra cui la commercializzazione dei brevetti registrati da soggetti pubblici. Essi sono stati integralmente sostituiti. Il nuovo comma 2 contiene infatti una significativa novità che consiste nella possibilità per l'Istituto italiano di tecnologia di costituire o partecipare a start-up innovative. Il nuovo comma 3 specifica che, nel caso in cui le predette finalità siano realizzate con i contributi pubblici, la Fondazione può destinare alla realizzazione delle stesse una quota fino ad un massimo del 10 per cento dell'assegnazione annuale previa autorizzazione del Ministero dell'università e della ricerca di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze. Merita particolare commento l'articolo 7, che dispone che il Governo promuova l'istituzione di una società per azioni per la patrimonializzazione e la ristrutturazione delle imprese, avente sede in Italia, il cui capitale sarà interamente sottoscritto da investitori istituzionali e professionali. L'obiettivo è la ristrutturazione, il sostegno e il riequilibrio della struttura finanziaria e patrimoniale di imprese che siano comunque caratterizzate da adeguate prospettive industriali e di mercato.
  Nel corso dell'esame in sede referente, sono state apportate alcune modifiche concernenti l'ambito di operatività, le finalità, i sottoscrittori e le modalità operative della società. In particolare, si è ampliato l'ambito operativo della società, eliminando l'esclusivo riferimento alle imprese industriali, tra quelle per il rilancio delle quali la stessa società potrà intraprendere iniziative; si specifica che la società dovrà favorire processi di consolidamento industriale, ma tener conto anche della dimensione del consolidamento occupazionale; nell'individuazione dei possibili sottoscrittori del capitale della società, si specifica che tra gli investitori istituzionali e professionali sono ricompresi gli enti previdenziali in quota minoritaria.
  Dunque siamo di fronte a uno strumento necessario ed urgente, ove si riconosca che la lezione del tempo della grande crisi e della lunga recessione ci dice, tra l'altro, del ruolo imprescindibile di politiche industriali attive fondate sulla cooperazione tra pubblico e privato, i cui strumenti agiscano – come appunto si annota all'articolo 7 – «secondo i principi di economicità e convenienza propri degli operatori privati di mercato».Pag. 9
  Viene, altresì, ampliato l'oggetto del decreto-legge che deve essere adottato dal Presidente del Consiglio dei ministri per l'individuazione delle caratteristiche e la quota massima di coperture della garanzia, i criteri e le modalità di concessione ed escussione della garanzia stessa e gli obblighi verso lo Stato dei soggetti che si avvalgono della garanzia, inserendo il riferimento ai diritti dei soggetti che non si avvalgono di detta garanzia.
  Con riguardo alle modalità operative, si prevede che le operazioni promosse dalla società avvengano anche attraverso la predisposizione di piani di sviluppo e di investimento che consentano il raggiungimento delle prospettive industriali e di mercato e si specifica ancora che il termine per la cessione delle partecipate, ovvero il trasferimento dei beni e rapporti oggetto del singolo investimento avvenga entro il termine più breve possibile, dopo il superamento della situazione di squilibrio temporaneo e, comunque, entro il termine stabilito dallo statuto.
  L'articolo 8 modifica il meccanismo dei finanziamenti agevolati alle piccole e medie imprese, per gli investimenti in macchinari, impianti, beni strumentali e attrezzature nuove di fabbrica ad uso produttivo (si tratta del regime della cosiddetta nuova legge Sabatini o Sabatini-bis). La modifica consiste nel ricorso facoltativo e non più obbligatorio all'apposito plafond costituito presso Cassa depositi e prestiti.
  Inoltre, nel corso dell'esame in sede referente sono state approvate alcune disposizioni concernenti il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese. Con l'inserimento del nuovo comma 2-bis, si è infatti estesa l'operatività del Fondo alle imprese di assicurazione per le attività di finanziamento diverse dal rilascio di garanzia, nonché agli organismi di investimento collettivo del risparmio.
  Ulteriori modifiche alla disciplina del Fondo di garanzia sono contenute nel corpo dell'articolo 8-bis, introdotto nel corso dell'esame in sede referente. In particolare: è stata circoscritta alla sola garanzia diretta la limitazione del rilascio della garanzia del Fondo alle operazioni finanziarie di nuova concessione o erogazione; sono state ancora introdotte norme in materia di flessibilizzazione dell'utilizzo delle risorse del Fondo e di diritto alla restituzione nei confronti del beneficiario finale e dei terzi prestatori di garanzia delle somme liquidate a titolo di perdite dal Fondo medesimo.
  Infine, l'articolo 8-ter è volto a riconoscere priorità di istruttoria e delibera alle richieste di accesso al Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese effettuate da quelle imprese che siano fornitrici di beni o servizi, ovvero creditrici per le medesime causali, connesse al risanamento ambientale o funzionali alla continuazione dell'attività di società, che gestiscano almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale soggette ad amministrazione straordinaria, tra le quali, come è noto, rientra l'Ilva SpA. Per semplificare ulteriormente l'accesso al Fondo per le predette imprese, si specifica che il consiglio di gestione del Fondo deve pronunziarsi entro 30 giorni dalla richiesta e che decorso tale termine la richiesta si intende accolta.
  In breve, signor Presidente, dalla rapida rassegna delle disposizioni del provvedimento e delle principali modifiche introdotte nel corso dell'esame in sede referente, mi sembra che venga confermata la coerenza complessiva del provvedimento e che venga soprattutto confermata la sua capacità di incidere positivamente in una fase nella quale si aprono importanti opportunità per la ripresa del sistema economico del nostro Paese.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza per la Commissione finanze, onorevole Busin.

  FILIPPO BUSIN, Relatore di minoranza per la VI Commissione. Signor Presidente, io mi concentrerò sull'articolo 1 dell'attuale decreto-legge, quello che riguarda l'obbligo di trasformazione in SpA delle popolari sopra la soglia degli 8 miliardi di attivo, perché sugli altri articoli, cioè quelli riguardanti la portabilità dei conti di pagamento, l'ampliamento delle funzioni Pag. 10della SACE a supporto dell’export e l'estensione dei vantaggi stabiliti nella legge di stabilità sul patent box diciamo che sostanzialmente la nostra posizione è favorevole.
  Per quanto riguarda, invece, l'articolo 1, dichiariamo qui i non pochi rilievi critici innanzitutto riguardo ai profili di costituzionalità ma, soprattutto, nel merito della disposizione. Riguardo alla presunta incostituzionalità, essendo già stata questa ampiamente argomentata nella questione pregiudiziale presentata dal gruppo della Lega Nord, non si pone qui la necessità di ulteriori specificazioni, anche se è sempre opportuno ribadire come i presupposti di necessità e di urgenza addotti dal Governo per giustificare un simile intervento non possono essere condivisi, né da un punto di vista formale né sostanziale.
  È pacifico ormai, come più volte ricordato dalla Corte costituzionale, che non si possa procedere ad una riforma di carattere ordinamentale per mezzo del decreto-legge. Per cui non soltanto ex lege, ma soprattutto per ragioni di responsabilità politica, sarebbe più adeguato, invece, un intervento legislativo ordinario. Da tempo si assiste a un costante ricorso alla decretazione d'urgenza nel silenzio assoluto della maggioranza che siede in quest'Aula, immobile di fronte a una continua violazione del dettato costituzionale, così come colpevolmente indifferente rispetto a scelte politiche poco avvedute e inadeguate.
  La nuova disciplina prevista dal decreto-legge in oggetto non può, inoltre, condividersi né nell’an né nel quantum, poiché non possono certo ritenersi sufficienti le ragioni presentate dal Governo circa la necessità di una simile riforma, ossia il presupposto di inadeguatezza delle banche popolari al mutato quadro europeo, la loro incapacità di attrarre capitale, al fine di una congrua patrimonializzazione, e l'esigenza di uniformare il nostro sistema bancario a quello di altri Paesi della zona euro.
  Risulta evidentemente infondata l'argomentazione utilizzata dal Governo nella relazione illustrativa del disegno di legge di conversione, secondo cui le banche popolari hanno solo la forma cooperativa e non la sostanza della mutualità. Motivo, questo, per cui le popolari non sarebbero tutelate dall'articolo 45 della Costituzione. Secondo questa interpretazione il carattere della mutualità non sarebbe necessariamente legato alla forma cooperativa delle medesime banche, ma un mero contenitore giuridico, atto a nascondere finalità lucrative.
  Si è grossolanamente omesso, però, che l'articolo 45 vuole tutelare piuttosto la funzione sociale della cooperazione, che lo Stato si impegna a promuovere e a favorire, senza porre limiti quantitativi, ponendo il carattere mutualistico quale species all'interno di un unico genere. Il fenomeno cooperativo, infatti, raccoglie al suo interno sia cooperative a mutualità non prevalente che cooperative a mutualità prevalente, secondo una ratio in cui il carattere delle mutualità prevalente costituisce esclusivamente un requisito per l'ottenimento di agevolazioni fiscali e non per la tutela costituzionale o l'appartenenza al genus cooperativo. La finalità sociale delle banche popolari è più che evidente. Normalmente queste destinano ad interventi con finalità sociale una percentuale dell'utile netto che va dal 5 all'8 per cento. Percentuali che si sono tradotte in 140 milioni di euro destinati ogni anno ad interventi sociali sul territorio, per un totale di un miliardo di euro durante tutto il periodo della crisi. Le popolari nate nel XIX secolo, sono ormai una particolarità del nostro Paese e come tali vanno mantenute, perché da anni svolgono una funzione sociale insostituibile per il territorio, con un'attenzione al sostegno alle famiglie e alle piccole e medie imprese che non ha uguali. Sopratutto in questi anni di negativo corso economico del nostro Paese, mentre le popolari aumentavano del 15,4 per cento i prestiti alla clientela, le banche costituite in Spa li diminuivano del 4,9 per cento. E mentre i privati confermavano la loro fiducia nelle popolari, conferendo loro i propri risparmi, sia sotto forma di depositi che di partecipazione al capitale, il Governo attuava un piano di salvataggio Pag. 11pubblico a favore di banche costituite in Spa attraverso lo strumento noto dei «Monti bond».
  Oggi siamo ad un punto cruciale per la vita economica del nostro Paese. Appurato – speriamo – che la recessione si sia arrestata, bisogna iniziare a pianificare, in maniera razionale, la crescita soprattutto occupazionale. Per fare questo occorre dare credito alle piccole e medie imprese, affinché investano e contribuiscano al rilancio dell'economia e dell'occupazione. Siamo sicuri da questo punto che la trasformazione in Spa delle maggiori banche popolari italiane sia funzionale a questo scopo ? La nostra grande preoccupazione è che non sia stato sufficientemente valutato l'impatto dei probabili movimenti speculativi sulle banche popolari trasformate in Spa da parte di operatori esteri che non hanno in nessuno conto le esigenze di credito di imprese e famiglie e ancora meno le esigenze di tipo occupazionale. È stato stimato da Assopopolari che questo tipo di provvedimento può aver un impatto sull'occupazione di circa 20 mila unità, ovviamente in diminuzione.
  Distogliere queste banche dalle proprie funzioni sociali e territoriali equivarrebbe a imporre una fortissima battuta d'arresto, negando una possibilità di ripresa alle aziende arrivate stremate in fondo alla crisi. Le popolari, infatti, nel solo periodo 2008-2014, hanno erogato finanziamenti alle piccole e medie imprese per un ammontare pari a 250 miliardi di euro, registrando una quota di mercato del 66 per cento nei sistemi economici a prevalenza di aziende di queste dimensioni. Le banche popolari hanno superato con successo la prova della crisi economica svolgendo una funzione anticiclica nell'erogazione del credito e compensando in parte le misure di austerity attuate dagli ultimi Governi, che hanno contribuito, seppure indirettamente, al calo della liquidità del sistema.
  Neanche riguardo alla solidità del patrimonio delle banche popolari, altra, tra virgolette, forte argomentazione portata a giustificazione della riforma, il gruppo Lega può trovarsi d'accordo. A ben vedere, infatti, tutte le banche popolari hanno superato positivamente gli ultimi asset quality review e stress test, a differenza di alcune banche organizzate in Spa che, come si ricorderà, hanno dimostrato scarsa solidità patrimoniale. Anzi, le banche popolari possono vantare addirittura eccedenze, da un minimo di 30 a un massimo di 1.750 milioni di euro. In particolare, le otto banche popolari oggetto di esame della BCE hanno vantato eccedenze patrimoniali complessivamente per più di 4 miliardi. Non si può invece ignorare come gli stessi stress test abbiano scoperchiato il vaso di pandora di banche quali il Monte dei Paschi di Siena e del gruppo genovese di Banca Carige, che hanno dovuto rafforzare gli attivi di bilancio per un valore complessivo di 2,9 miliardi di euro.
  Nonostante il suo plauso alla riforma, la stessa Banca d'Italia, in audizione, ha rilevato come, a settembre dello scorso anno, il patrimonio di migliore qualità delle popolari maggiori era pari in media all'11,6 per cento, solo lievemente più basso di quello delle altre sei banche italiane significative, cioè sottoposte alla supervisione diretta del Sistema unico di vigilanza dell'area dell'euro, che è di 11,7 per cento, praticamente identico.
  La stessa Banca d'Italia, nella sua audizione, ricorda come, negli anni di prolungata recessione, sia dovuta intervenire in casi di difficoltà di banche, indifferentemente costituite nella forma di popolari, credito cooperativo o Spa. Di conseguenza, risulta evidente come non si possa collegare la mala gestione di un istituto alla sua forma giuridica, quanto piuttosto a responsabilità personali di chi lo amministra.
  Anche sulla supposta incapacità di attrarre capitali, non c’è alcuna evidenza, se non in senso contrario, visto che negli ultimi tre anni le banche popolari hanno realizzato aumenti di capitale di oltre 9 miliardi di euro, tutti provenienti da soggetti privati, senza che si rendesse necessario un intervento statale, come è invece accaduto con i «Monti bond».Pag. 12
  Ugualmente, la motivazione riguardante la presunta rigidità e parzialità del sistema di governance delle banche popolari non sembra essere fondata, perché le accuse di capitalismo di relazione imputate a queste, attraverso cui si sarebbero fatti dei favoritismi nell'erogazione dei prestiti, possono essere mosse indifferentemente anche ad altri istituti di credito organizzati in Spa. Erano banche Spa quelle che hanno elargito finanziamenti ai vari Ligresti, Zaleski, Zunino – sono balzati alle cronache – in presenza di conclamati conflitti di interesse, tanto che possiamo senza dubbio affermare che il capitalismo di relazione sia un male di carattere culturale che affligge l'intero Paese, e non possa essere certo attribuito ad una particolare forma societaria.
  Le dubbie argomentazioni circa le possibili opacità relazionali tra soci e amministratori, derivanti da uno scarso ricambio dei soggetti apicali – suscettibili di poter portare a scelte dirigenziali non finalizzate all'utilità della generalità degli stakeholder, ma piuttosto a vantaggi personalistici – vengono presto smentite dalle stime degli ultimi anni, che vedono un ricambio della governance delle banche popolari pari al 90 per cento. Quanto tempo ho, scusi, Presidente ?

  PRESIDENTE. Trentatré secondi.

  FILIPPO BUSIN, Relatore di minoranza per la VI Commissione. Allora, passo alle conclusioni. Ci si domanda, quindi, la vera ratio di un simile provvedimento. Senza farsi persuadere da facili macchinazioni complottistiche, si vuole qui ricordare come l'11 febbraio scorso il presidente della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa, Giuseppe Vegas, in sede di audizione, abbia dichiarato come gli uffici di vigilanza dalla Consob avessero rilevato un abuso di informazioni privilegiate riguardo il contenuto del «decreto banche popolari». Di seguito, vi risparmio i particolari, che conoscete bene, e passo alle conclusioni

  PRESIDENTE. Nelle conclusioni dovrebbe essere rapido.

  FILIPPO BUSIN, Relatore di minoranza per la VI Commissione. Concludo ribadendo la nostra contrarietà all'uso così disinvolto del decreto-legge, uno strumento adeguato esclusivamente a occasioni di eccezionale urgenza e necessità, e che rappresenta, invece, in questo caso specifico, un pericoloso salto nel buio, non solo per un limitato numero di banche, ma per l'intero sistema creditizio italiano.
  Impossibile, con questi tempi e con queste semplificazioni, insite nello strumento legislativo scelto dal Governo, prevedere gli effetti che esso produrrà e porre in essere le necessarie cautele. Le conseguenze saranno rilevanti, non solo perché lesive delle legittime aspettative degli azionisti e di chi ha affidato i propri risparmi alle banche popolari, ma, in generale, perché si corre il concreto rischio che la ricchezza prodotta e accumulata venga distolta dai territori che l'hanno generata.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, onorevole Pesco.

  DANIELE PESCO, Relatore di minoranza. Grazie, Presidente. Interverrò soprattutto sull'articolo 1, in quanto lo reputiamo l'articolo più scandaloso e più vergognoso di questo decreto. Un decreto che, secondo noi, è incostituzionale per due motivi principalmente: primo, perché viene limitata la libera iniziativa economica, prevista e sancita dall'articolo 41 della Costituzione. Questo perché, in pratica, a delle società cooperative, alle banche popolari, viene detto che, oltre un certo volume di affari, non possono andare. Ma questo volume di affari non viene istituito al di sopra degli attuali volumi e impieghi delle banche popolari: viene stabilito quando alcune delle banche popolari hanno già superato questo volume di impiego.
  Quindi, si crea veramente non solo una disparità per quanto riguarda la libera iniziativa economica, ma si crea anche una disparità tra le attuali banche popolari: alcune dovranno conformarsi alla norma, e diventare società per affari, e altre no, e anche questo ci sembra veramente scandaloso. Pag. 13Una norma che, a detta del Premier Renzi, servirà a togliere le banche ai «signorotti». Quindi, vuole dire che l'intento è proprio quello di scardinare i centri di potere che si sono instaurati, negli anni, nelle banche popolari.
  Ora, va bene, può anche darsi che nelle banche popolari vi sia stata una gestione abbastanza azzardata, lo dicono le cronache dei giornali, ma queste gestioni azzardate vi sono state anche nelle banche commerciali, in molte banche commerciali. Si guardi al Monte dei Paschi, si guardi a Carige: lo dicono i giornali. Ma, quindi, cosa vuole dire ? Vuole dire che c’è qualcosa che non va a livello di normativa e a livello di controllo.
  Noi abbiamo provato a dirlo più volte: proviamo a modificare la normativa verso chi gestisce le banche, quella normativa importante. Infatti, purtroppo, abbiamo una normativa povera in quel senso, povera perché chi opera nel settore bancario attualmente riesce a farlo con molta disinvoltura e questo non va bene. Ad esempio, l'articolo 137 del TUB, che parla di falso e mendacio in atto interno, punisce solo con una contravvenzione – tra l'altro punita con l'arresto – il fatto di produrre documentazione falsa oppure rappresentare una realtà diversa da quella effettivamente reale. Punisce chi gestisce e chi può dare il credito solo con pene che vanno dai sei mesi ai tre anni, una pena veramente povera, una pena bassa, per la quale, probabilmente, per molte persone che lavorano in banca, vale la pena rischiare. Rischiare in che modo ? Dando credito alle persone che effettivamente non ne hanno diritto, perché non hanno magari abbastanza garanzie oppure perché vi è compiacenza tra chi chiede il fido o il credito e chi lo dà. Quindi vengono dati crediti e vengono spartiti logicamente tra le persone interessate, tra cui magari anche chi lavora in banca, e questo a discapito di tutti i cittadini. Perché la nostra massa monetaria, riferita logicamente alle possibilità di avere garanzie, è limitata. Quindi, se si fanno elargizioni in questo modo, senza controllo, senza un adeguato controllo svolto anche da Banca d'Italia, è logico che ci rimetteranno anche i cittadini onesti, che avranno meno possibilità di ricorrere al credito, e questo è veramente scandaloso.
  Ma in più, se si vogliono scardinare i centri di potere, perché si va ad agire anche sulle deleghe ? Infatti è proprio il sistema delle deleghe che permette ai signorotti cosiddetti delle banche popolari, come dice Renzi, il fatto di amministrare il potere con facilità. Attualmente la possibilità di delega arriva fino a dieci deleghe e Renzi cosa fa con questo decreto ? Le porta a venti ! Quindi cosa vuol dire ? Che da una parte dice che vuole fare una cosa, cioè scardinare i centri di potere, dall'altra parte, per le banche popolari che rimarranno banche popolari, queste deleghe non potranno essere inferiore a dieci, ma verranno portate addirittura a venti. Questo è scandaloso perché vuol dire che allora vai a favorire questi centri di potere. Questo è veramente scandaloso e non capisco perché nessuno dica niente neanche su questo.
  Ebbene, noi siamo veramente arrabbiati per questo decreto perché, come dicevo prima, va a discriminare troppo le banche. Viene fissata una soglia pari a 8 miliardi e non si sa da dove nasce questa soglia. Perché 8 miliardi ? Perché forse quella al di sopra si chiama Banca Etruria ed è la prima banca che ha un 12 miliardi di impieghi ? Perché forse era veramente necessario farla diventare una Spa a tutti i costi ? Sono domande che noi ci siamo posti, ma se le pongono anche i giornali. Soprattutto perché anche Consob, come è stato detto prima, è venuta in audizione e ci ha detto che proprio su un titolo – guarda caso quello che ho nominato appena adesso, quello di quella banca – c’è stata una vera speculazione: 10 milioni di utili racimolati proprio in quei giorni, quei giorni in cui è stato emanato il decreto. Quindi qualcuno sapeva le mosse che il Governo avrebbe fatto e ci ha speculato sopra e questo non è giusto e va a discapito di chi comunque lavora e di chi comunque in queste banche ci ha investito. Insomma, veramente, è una cosa che a noi non piace affatto.Pag. 14
  Ci viene detto che questa proposta viene fatta per riordinare il nostro sistema bancario. Ma il nostro sistema bancario non è così disordinato. Abbiamo le banche commerciali, abbiamo le banche popolari, abbiamo le banche di credito cooperativo: rappresentano una «biodiversità» che a me sembra quasi scarsa, per così dire, quasi scarsa. Ebbene, se si vuole mettere questo tetto, buona parte delle banche popolari verranno tagliate, anzi, non buona parte: quasi tutta la capacità di erogare credito alle banche popolari verrà tagliata, perché queste dieci banche rappresentano veramente a livello di impieghi quasi tutto il gruppo delle banche popolari. E questo è veramente sbagliato.
  Ci viene detto, appunto, che viene fatto anche per dare facilitare l'emissione del credito, ma non è vero, perché le banche popolari negli ultimi anni, dal 2011 al 2013, hanno aumentato la loro capacità di dare credito alle imprese ben del 15,4 per cento, contro i dati negativi delle banche commerciali. Ma quindi dov’è la realtà ? Vuol dire che c’è qualcosa sotto. Perché si vuole fare questo ? Perché si vuole fare questo decreto a tutti i costi ? Probabilmente per avvantaggiare qualcuno. Si dice sempre che a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca e, forse, è proprio questo il caso di dirlo: perché si vuole avvantaggiare probabilmente qualcuno ! Ma chi è quel qualcuno ? Probabilmente le banche internazionali o le grandi banche. Infatti, se io dico che deve andare sul mercato una certa azienda particolare, per così dire, una banca, chi è che può essere interessata a comprarla ? Logicamente le altre banche. Sono loro che hanno desiderio di sportelli, sono loro che hanno desiderio di accaparrarsi quella raccolta. Tra l'altro quella raccolta che viene fatta in regioni abbastanza ricche, le regioni che producono, la Lombardia, il Veneto, l'Emilia Romagna. Sono queste le regioni dove ci sono più banche popolari.
  Ebbene, le altre banche, le banche commerciali, i grandi, i colossi, hanno bisogno di altra raccolta; hanno bisogno di fare raccolta, perché hanno bisogno di migliorare il loro capitale. È il cosiddetto CET, che non è messo così male, quello delle banche popolari, e lo dimostrano anche i dati, gli ultimi dati che ci ha portato Banca d'Italia in audizione. Parlando sempre di capitale, quello delle banche popolari assolutamente non è messo così male e lo dicono veramente i dati.
  Ci viene poi detto che un motivo per cui viene fatta questa riforma è perché le banche popolari non hanno più la caratteristica della mutualità prevalente. Ma non sono le banche che non esercitano più perché non la vogliono esercitare. Non esercitano più perché sono state esonerate dal farlo. C’è stata una normativa del 2004 che ha praticamente riformulato e ordinato la normativa societaria con quella bancaria, sono state armonizzate. Ebbene, per le banche popolari è stato sancito l'esonero da diversi articoli del codice civile (2512, 2513 e 2514), riferiti appunto alla mutualità prevalente. Le banche popolari non sono più tenute a pubblicare i dati riferiti alla mutualità prevalente sull'allegato al bilancio della banca popolare stessa. Soprattutto sono esonerate dal fare la mutualità prevalente. Quindi, diciamocelo: se cambiasse la normativa, allora sì che potremmo mantenere la caratteristica della mutualità prevalente, ma non è per forza necessario metterle sul mercato perché non la fanno più: non sono più tenute a farlo ! Veramente, cerchiamo di ragionare in modo serio, una volta per tutte.
  Insomma, Presidente, questo decreto non s'ha da fare, però è stato fatto e viene portato avanti con arroganza e prepotenza sia dal Governo che dalle forze di maggioranza. Per fortuna, qualcuno ha sollevato la testa, qualcuno dice di no a questo decreto e speriamo che veramente i deputati che diranno di no a questo decreto siano veramente tanti.

  PRESIDENTE. Saluto gli alunni e gli insegnanti dell'Istituto paritario «Marymount» di Roma, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
  Prendo atto che il sottosegretario Baretta si riserva di intervenire in sede di replica.Pag. 15
  È iscritta a parlare l'onorevole Scuvera. Ne ha facoltà.

  CHIARA SCUVERA. Signor Presidente, colleghi, rappresentanti del Governo, sicuramente questo provvedimento non deve considerarsi il punto di arrivo, ma una tappa del percorso per restituire competitività al nostro Paese. Però, ritengo che si inserisca nel solco di quella cultura dell'investimento che per troppo tempo è mancata nel più recente passato e che è assolutamente indispensabile per affrontare le sfide del presente e del futuro, non soltanto in Europa, ma anche nel mondo.
  La cultura dell'investimento e dell'espansione ha ispirato le politiche e dell'amministrazione Obama: investimento nella green economy, nelle nuove tecnologie, che significa investimento anche nella responsabilità sociale dell'impresa. Una svolta necessaria in un mondo in cui le libertà civili e i diritti umani sono minacciati da vecchi e nuovi totalitarismi, in cui imperversa il lavoro minorile e in cui le condizioni di lavoro manuale spesso non sono dignitose. In questo senso dobbiamo cogliere con ambizione l'opportunità che ci dà l'economia della conoscenza. Credo che oggi più che mai, Presidente, l'impresa possa esplicare il suo valore sociale, innovandosi e generando innovazione.
  È vero che l'economia delle conoscenza pone anche il tema della riduzione del costo del lavoro e, diciamo, di una riduzione del lavoro tradizionale, quello manuale, ma dobbiamo innovare anche in questo con l'innovazione tecnologica. L'economia della conoscenza può forse creare un lavoro più adatto alle esigenze primarie dell'essere umano, alle esigenze della vita. D'altronde, come dice Rifkin, saremmo entrati in questa terza rivoluzione industriale, in cui dovremo far prevalere un modello collaborativo, piuttosto che un modello gerarchico, e un modello in cui si dice che siamo nell'epoca dei prosumers, quindi non c’è più un consumatore passivo, ma c’è un consumatore che vuole produrre.
  Quindi, cambia il mondo dell'impresa e il mondo del lavoro autonomo.

  PRESIDENTE. Scusi, onorevole Scuvera. Ci deve essere un problema con un telefono, non so se il suo o quello di qualche collega... altrimenti ci spostiamo per parlare.

  CHIARA SCUVERA. No, il mio era spento.
  Nel comune lavoro emendativo, quindi, ci siamo sforzati di cogliere il valore dell'innovazione e ci siamo sforzati di cogliere il fermento dell'innovazione che va spesso più veloce delle leggi. Infatti, nell'articolo 4, nella versione originaria, nel requisito per accedere alla qualificazione di impresa innovativa era contemplata la sola spesa per ricerca e sviluppo, chiaramente importantissima. Ma – e ringrazio il Governo per avere accolto i nostri emendamenti, che puntavano al riconoscimento dell'innovazione sostanziale – abbiamo introdotto anche le spese per innovazione sostanziale, proprio per il riconoscimento dell'innovazione concretamente praticata in azienda, cogliendo la sollecitazione che ci è venuta soprattutto dal mondo delle micro e piccole imprese, da Rete Imprese e da Confindustria giovani.
  Abbiamo anche escluso dalle spese per ricerca e sviluppo le spese per la locazione, oltre a quelle per l'acquisto di immobili. Abbiamo valorizzato anche le PMI che operano da meno di sette anni. Quindi, ci siamo...

  PRESIDENTE. Onorevole Scuvera, scusi, non voglio terremotare il suo intervento, ma altrimenti è veramente fastidioso. Proviamo da un'altra postazione. Vediamo se funziona meglio.

  CHIARA SCUVERA. Sono sempre sfortunata con questi microfoni.

  PRESIDENTE. Non si preoccupi, recupereremo tutto.

  CHIARA SCUVERA. Ci siamo sforzati proprio di cogliere il valore dell'innovazione sostanziale. Infatti, probabilmente si Pag. 16rischiava di puntare su requisiti formali che avrebbero consentito automaticamente l'iscrizione al registro imprese.
  Rendendoci conto della difficoltà definitoria dell'innovazione, ringraziamo, come dicevo, il Governo per avere colto la nostra sollecitazione e dobbiamo proseguire qui nella ricerca giuridica e nello sforzo definitorio dell'innovazione, per farla emergere il più possibile, per non avere un doppio binario tra PMI innovative... Presidente, innoviamo questo sistema dei microfoni.

  PRESIDENTE. Adesso diventa veramente una sorta di... Proviamo, onorevole Scuvera. Mi perdoni.

  CHIARA SCUVERA. Ci provo. Quindi, tra quelle che si iscrivono alla sezione speciale del registro imprese, che avranno accesso alle agevolazioni fiscali e alle semplificazioni previste per le start up innovative, e quelle che non si iscrivono, ma che magari mettono in campo delle progettualità importanti, delle progettualità forti, che poi vengono valorizzate con bandi regionali ed europei.
  Quindi, dobbiamo evitare il rischio di una eccessiva categorizzazione delle imprese innovative, perché innovazione è soprattutto progetto. L'Italia vanta eccellenze che spesso hanno trovato un habitat più favorevole in altri Paesi, soprattutto negli Stati Uniti, – ed è risaputo – per l'eccessiva burocrazia e per l'eccessiva pressione fiscale, ma non solo. In questo senso l'articolo 4 è un passo avanti importante, ma il tema è anche quello di rendere più accessibile la brevettazione, nello stesso tempo preservando l'originalità del riconoscimento e puntando al brevetto unico europeo.
  Bisognerà fare di più per gli spin off universitari e presenteremo un ordine del giorno su questo tema: nuove sinergie tra imprese e università. La facilitazione del rientro delle competenze e dei talenti non basta, bisogna anche cambiare la cultura del «sistema Italia» da questo punto di vista per trattenere le competenze e fare in modo che soprattutto i giovani ricercatori davvero riescano ad esprimere il loro talento ed abbiano la possibilità anche di fare ricerca.
  Impresa smart è progresso. Impresa smart è quella che fa conciliazione tra vita e lavoro. Impresa smart è verde. Impresa smart è globale e, quindi, ha più potenzialità di internazionalizzazione. Un'impresa innovativa produce salute per i cittadini, migliora le condizioni del lavoro, fa innovazione sociale. È questa la sfida fondamentale: il miglioramento delle condizioni di vita delle persone e il progresso.
  L'innovazione non può essere un concetto neutro, ma è progresso quando produce un avanzamento anche per i più deboli. La promozione della creatività, dell'istruzione e del talento è necessaria per realizzare una società più giusta, che non mortifichi le competenze e in cui sempre più esseri umani abbiano accesso alle cure, alla conoscenza e al welfare. È questa secondo me la sfida fondamentale dei socialisti europei nel mondo che cambia. Il Governo deve avere una grande ambizione nel realizzarla e, quindi, il percorso normativo deve cogliere proprio le sfide dell'economia, le sfide di questa terza rivoluzione industriale ed essere molto ambizioso in questo scopo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Scusi ancora per gli inconvenienti tecnici, ma ogni tanto accadono. Speriamo che ciò non accada con l'onorevole Paglia, che è adesso iscritto a parlare. Ne ha facoltà.

  GIOVANNI PAGLIA. Grazie Presidente, dovesse accadere, ce ne faremo una ragione.
  Mi si scuserà se io, nel cominciare, riporto questa discussione al tema da cui eravamo partiti con la pregiudiziale di costituzionalità, cioè al tema della decretazione d'urgenza come strumento che il Governo ha deciso di utilizzare nell'affrontare una materia tanto complessa. Devo tornare lì, non solo per una questione formale che attiene al rispetto della Costituzione, che pure di qualche interesse Pag. 17dovrebbe essere per il Parlamento italiano, ma ci devo tornare anche per una questione sostanziale, perché, come ho già provato a dire nelle Commissioni, questo decreto-legge evidentemente, proprio a partire dalla forma che è stata scelta, ha alcuni profili che a me sembrano chiari di incostituzionalità. Nessuno in buona fede può sostenere, credo nemmeno qui dentro – è stato fatto, ma con argomentazioni francamente risibili –, che si possa trovare un qualsiasi profilo di necessità e urgenza in questo decreto-legge, a partire dal fatto che l'articolo 1, quello che in qualche modo lo informa di importanza, ha diciotto mesi poi per potersi espletare. In altre parole, noi potevamo serenamente prenderci novanta giorni per discutere di questo provvedimento e dare quindici mesi alle banche poi per cambiare il loro statuto, eventualmente. Non sarebbe cambiato nulla dal loro punto di vista, sarebbe cambiato molto dal nostro.
  Perché dico che è importante da un punto di vista sostanziale ? Perché quando questo decreto-legge verrà portato, se verrà portato, davanti alla Corte costituzionale per un giudizio di legittimità, questo Parlamento e questa maggioranza si assumeranno anche la responsabilità di mettere la Consulta davanti alla scelta se dare il via libera ad un decreto-legge, eventualmente anche con forti dubbi sul piano del diritto, oppure se rimettere di nuovo in discussione, in una materia tanto delicata, con sette delle principali banche italiane quotate in Borsa, quello che sarà un processo di avanzamento verso un forte cambiamento. Ora, voi avete visto qual è stato l'effetto sulla Borsa italiana del solo annuncio e poi dell'approvazione di questo decreto-legge da parte del Consiglio dei ministri in termini anche di movimenti di Borsa attenzionati dalla Consob e da due procure della Repubblica. Voi immaginatevi, a ritroso, cosa potrebbe succedere il giorno in cui si dovesse anche solo spargere la voce che la Corte costituzionale si apprestasse a modifiche intervenienti, a tornare indietro, a ritornare al voto capitario e a cancellare il percorso di trasformazione in Spa, eccetera, eccetera. Quindi, questo è un problema centrale che io devo porre in partenza, prima di passare ad altro.
  Il secondo tema che io credo sia decisivo per tutti noi, per la qualità della nostra democrazia, è chi abbia la prevalenza all'interno del processo decisionale in questo Paese, perché il fatto che mi venga detto continuamente che questo decreto-legge lo voleva Banca d'Italia, lo voleva la Consob, lo voleva la Banca centrale europea, dal mio punto di vista non è un argomento a vantaggio, ma diventa un argomento di preoccupazione. Infatti, a me hanno insegnato che la funzione legislativa, in un sistema democratico, come l'Italia ancora è, appartiene al Parlamento che interpreta la sovranità popolare. Ora, a me, francamente, non interessa moltissimo qual è l'opinione di Banca d'Italia e non interessa moltissimo, anzi ancora meno, nemmeno qual è l'opinione della Consob quando si tratta di approvare leggi che in qualche modo vanno a determinare il sistema di credito e indirettamente il sistema di mercato industriale nel nostro Paese. Mi interesserebbe di più che il Parlamento riuscisse a fare un ragionamento che tenga conto di tutto questo e desse un'idea di sviluppo anche all'Italia, mentre, invece, noi invertiamo il processo e ci facciamo dettare la linea da fuori. Io alla Banca d'Italia, invece, chiederei, nemmeno troppo sommessamente, di occuparsi del suo.
  Chiederei, piuttosto, dov'era, se veramente le principali banche italiane – come ha detto qualcuno ieri nelle Commissioni – hanno davanti a sé un anno di vita e poi rischierebbero tracolli finanziari, perché è stato detto anche questo da autorevoli esponenti della maggioranza, che questo decreto-legge andava fatto ed era urgente, perché le grandi banche popolari italiane hanno davanti a sé 12 mesi e poi rischierebbero grandi processi di capitalizzazione, e così via. Con ciò, devo dire, mettendo anche in dubbio l'autorevolezza della BCE, che ha appena condotto degli stress test su tutte queste banche, che tutti, qui dentro, hanno convenuto, peraltro, nel ritenerli impostati su parametri non certo Pag. 18a vantaggio del sistema bancario italiano e che sono stati superati, lo ripeto, sono stati superati. Questo per quanto riguarda Banca d'Italia; per quanto riguarda la Consob, noi ci aspettiamo non tanto giudizi sulla bontà di questo decreto-legge, ma ci aspetteremmo, piuttosto, che ci faccia sapere, nelle prossime settimane, come vanno le sue indagini rispetto a ipotesi di insider trading o di altre manovre poco trasparenti che si sono registrate nei giorni immediatamente precedenti e immediatamente successivi – e forse non solo, stando alle cronache dei giornali – a quella che è stata l'approvazione del decreto-legge.
  Per il resto questo è, evidentemente, un provvedimento bicefalo: ci sono sette articoli che sono leggeri come l'aria e c’è un articolo che è pesante come un macigno. L'articolo 1 è un articolo di sistema, come diceva giustamente l'onorevole Causi: credo anch'io che, anche se forse sottovalutato nel dibattito pubblico, questo provvedimento abbia un'importanza certamente secondaria al Jobs Act, che abbia a che fare con la vita delle persone, ma che sia certamente di grande impatto potenziale, perché quando parliamo di mettere le mani su dieci banche che, complessivamente, rappresentano un quarto del credito erogato nel Paese, evidentemente, non stiamo parlando di nulla, ma stiamo parlando di un provvedimento che può cambiare molto, nel bene o nel male, anche degli equilibri di potere e di mercato che ci sono in questo Paese.
  Provo a riassumere quelli che sono alcuni nodi che devono essere messi all'attenzione dell'opinione pubblica. Il primo è un tema occupazionale. Noi abbiamo avuto tanti sindacati, quanto parti datoriali, in questo caso Assopopolari, che sono stati unanimi nel dirci una cosa: questo provvedimento comporterà nel breve e medio termine, cioè da qui alla conclusione dei suoi effetti, una perdita occupazionale stimabile in 20-30 mila posti di lavoro. Non è una stima difficile da fare, è una stima che si fa sulla base dei dati che abbiamo alle nostre spalle, cioè quelli che hanno a che fare con le aggregazioni e le fusioni bancarie, e che va a prendere, molto semplicemente, gli addetti alle direzioni generali, gli addetti ai servizi generali, cioè quelle persone che in un processo che andasse a fondere delle funzioni, evidentemente, non servirebbero più. Quindi, 20-30 mila posti di lavoro, in settori non marginali dell'economia italiana, messi a rischio, anzi, non a rischio, messi in certa «fuoriuscita» da questo decreto-legge.
  Non bastasse questo, c’è un tema grande come una casa che attiene allo Stato di diritto. Io l'ho detto anche nelle Commissioni: non credo, non mi viene a memoria, nella legislazione occidentale, dell'Europa occidentale, il caso di un Governo che intervenga per legge – anzi, nemmeno per legge, nel nostro caso per decreto-legge – e vada a intervenire pesantemente su quella che è la libertà di associazione all'interno della libera impresa. Le banche popolari possono avere tutti i difetti del mondo, il voto capitario può piacere o non piacere, ma qui il legislatore non ha il compito di chiedersi cosa gli piaccia o cosa no, Bankitalia non ha il diritto di fare una battaglia tutta ideologica sul fatto che sia da privilegiare il voto capitario o il voto per quote; il voto capitario esiste ed esiste in virtù del fatto che persone, liberamente, si sono associate in una forma economica che lo prevede, e attraverso questa libera associazione conducono un'attività economica che fino a ieri era permessa dalla legge. Noi a queste persone andiamo a dire che loro perdono dei diritti a vantaggio di altri. Piacciano o non piacciano i palazzetti pieni di 20 mila persone che votano per eleggere i loro organismi dirigenti, hanno deciso loro di investire in una società governata così. A queste quindici-ventimila persone voi dite che, da qui a 18 mesi, non conteranno più nulla e conteranno quelli che avranno comprato quote di maggioranza, grandi o piccole che siano, all'interno di quelle società. Si può fare una cosa del genere ? Dal mio punto di vista, no.
  Ieri, l'ho detto con una battuta, ma se noi avessimo approvato una proposta di legge dalla logica inversa, oggi, saremmo in Pag. 19prima pagina su tutti i giornali del mondo, perché voi immaginatevi che cosa sarebbe successo se noi avessimo detto che le banche Spa, da domani, diventavano popolari, in cui contava solo il voto capitario, e che gli azionisti, ahimè, che prima votavano per quota, venivano espropriati del loro diritto di governare per quota quelle banche. Credo che The New York Times sarebbe uscito dicendo che in Italia si stava affermando il socialismo reale in termini di finanza pubblica – questo sarebbe successo –, mentre, invece, si può fare serenamente la cosa contraria senza che questo produca assolutamente nulla.
  Su quanto questa riforma possa impattare sul sistema del credito – sul sistema industriale hanno già detto molti colleghi prima di me, anche con dati quantitativi che qui non voglio riportare – una considerazione, però, la devo fare: non si può dire che sul piano della capacità di erogare credito al nostro sistema industriale, in particolar modo fatto di piccole e medie imprese, in particolar modo nel nord-est, questa riforma non avrà impatto. Perché una cosa è certa, e anche qui ci assiste la matematica: le banche popolari, per vincoli propri, devono necessariamente investire di più in economia reale. Se altre banche producono performance economiche migliori – anche perché, quando il ciclo finanziario è positivo investono di più in altre cose, legittimamente, investono in fondi, investono direttamente in finanza, cose che hanno una redditività elevata – forse possono anche consentire di mantenere in equilibrio (immagino che questa sia l'argomentazione di chi è favorevole) una maggiore capacità anche di erogare credito diretto, ma questo è tutto da dimostrare.
  Noi abbiamo alle spalle due anni in cui – anche qui potrei essere smentito, ma vorrei esserlo con dei dati numerici o con dei dati di fatto – tutte le iniziative prese in questa legislatura, dalle maggioranze e dai Governi che si sono succeduti, in tema di credit crunch, sono state tutte, dalla prima all'ultima, assolutamente inefficaci. Ricordo solo l'ultima: si fece – io avevo anche alcuni dubbi – un provvedimento per permettere, anche questo in modo innovativo, alle imprese di assicurazione di erogare credito. Proprio quando in occasione di questo decreto è venuta ANIA in Commissione a spiegarci cosa ne pensasse, ho chiesto loro come andasse quel provvedimento, per esempio, e la risposta è stata che di credito, ad oggi, ne hanno erogato «zero»: nessun interesse. I minibond, altra cosa lanciata con una certa enfasi: effetto «zero» ! Qualsiasi tentativo di trovare canali di finanziamento alternativi al sistema bancario in Italia: ad oggi, «zero». Il sistema italiano rimane «bancocentrico». Intervenire sul credito e sulle banche popolari produrrà una contrazione del credito. In altre parole, non c’è nessuna delle misure fatte fino ad oggi su cosa decisiva, perché, badate, l'assenza di credito è una cosa di cui il sistema italiano soffre. Anche per tutto il sistema di passaggio degli ABS alla Banca centrale europea: risultati, nessuno. Cioè, nessun ABS è passato ad oggi alla Banca centrale europea. Non ci sono soluzioni diverse. Indebolendo ulteriormente il sistema bancario, in particolar modo le banche popolari, facciamo un danno, da quel punto di vista, che verrà pagato. Verrà pagato, anche per l'esito di tutta questa vicenda: lo dico non perché lo immagini, lo dico perché anche questo è stato detto ieri esplicitamente, nelle Commissioni riunite, da un autorevole esponente della maggioranza qual è l'onorevole Gutgeld, il quale dice che, certo, può essere che tutte queste banche vengano acquisite da gruppi esteri, è la cosa più probabile, ma che questo è un bene, perché tutti gli esempi che abbiamo avuto ad oggi di banche acquisite da gruppi esteri funzionano meglio., Io su questo ho qualche dubbio, perché invece, per tutte le evidenze che abbiamo, quelle banche forse funzionano meglio dal punto di vista della redditività, appunto, ma perché fanno redditività con la finanza derivata, per esempio; perché in Italia fanno raccolta e con quella fanno investimenti in altri Paesi o in altri settori che non sono l'economia reale, in cui la redditività è più elevata. Vogliamo fare contenti gli azionisti ? Facciamo contenti gli Pag. 20azionisti, diamogli la possibilità di avere una più alta remunerazione del capitale, ma le banche, in Italia, che vuole continuare ad essere un Paese industriale, non devono servire solo e tanto a fare contenti gli azionisti, devono servire all'economia industriale del Paese. Sotto questo aspetto, su questa materia, vi ascolto da un mese ormai e nessuno di voi mi ha convinto che faremo un passo in avanti.
  Sulla governance: è certo che è un problema la governance nelle banche popolari. Però, è stato detto qui che ci sono cambiamenti importanti in questo decreto-legge, rispetto alla clausola di gradimento dei soci, rispetto al fatto che l'amministratore delegato o il presidente debbano essere o meno soci delle banche e persino rispetto al tema delle deleghe, non avete trovato sotto questi profili emendamenti dell'opposizione, non ne avete trovato nemmeno uno.
  L'opposizione è d'accordo sul fatto che la governance di queste banche vada migliorata. Gli emendamenti dell'opposizione, a partire da Sinistra Ecologia Libertà, li avete trovati essenzialmente su tre temi: li avete trovati sulla questione dei criteri, perché 8 miliardi non è un criterio, e non torno sulle ragioni. È un criterio assolutamente soggettivo, che serviva – d'altronde anche questo è stato detto esplicitamente ieri dall'onorevole Causi – a dire che queste dieci banche dovevano essere e queste dieci banche sono. A questo sono serviti gli 8 miliardi, ma non è un criterio di riforma. È un criterio di individuazione, per ragioni che ancora non ci sono state spiegate, di dieci istituti anziché di altri. Noi avevamo proposto o i 30 miliardi, quota BCE, o una soluzione che ci sembrava più ragionevole: che le società quotate effettivamente venissero riconosciute come tali. C’è una scelta soggettiva nel quotarsi in Borsa, che effettivamente, oggettivamente ti rende più simile in tutto e per tutto alle Spa: hai fatto quella scelta, puoi anche diventare una Spa.
  Si è deciso di rimanere agli 8 miliardi, non c’è stato un dibattito particolarmente aperto né alle ragioni dell'opposizione, né della società civile, né degli intellettuali, né di pezzi della maggioranza: si è entrati in un modo all'interno del dibattito, e se ne è usciti allo stesso modo. Perché la modifica che è stata fatta, che certo prendeva uno degli altri temi su cui tutte le opposizioni avevano insistito come estrema difesa, anche se mi permetto di dubitarne, rispetto alla possibilità che appunto il destino già segnato per queste banche sia di essere acquisita da capitali stranieri, cioè la questione di inserire una clausola per cui si possa, o si debba, limitare – noi si pensava al 3 per cento – il diritto di voto: noi partiamo da una situazione in cui si sta all'1 di diritto di possesso, nemmeno di voto, perché il punto di partenza è importante.
  Alla fine l'emendamento del Governo che riassorbe tutti gli altri, io ho detto che è stato un emendamento ostile e lo ripeto. Un emendamento ostile perché si è detto che – attenzione bene – le banche popolari di cui stiamo parlando possono inserire nel loro statuto una clausola che metta non meno del 5 per cento come diritto massimo di voto e per un tempo massimo di 24 mesi, a partire dall'approvazione della legge. Quindi 24 mesi meno i 18 diventano 6 mesi, e il 5 per cento che già c'era...
  Bisogna ricordare una cosa: Unicredit, cioè la principale banca di questo Paese, senza bisogno di alcuna legge ha inserito una causa identica: 5 per cento. Poteva scrivere anche 3 probabilmente, perché nessuno le contestò alcunché dal punto di vista quantitativo. L'ha scritta nel proprio statuto per propria iniziativa; certo, è stata autorizzata da Banca d'Italia, e senza alcun limite temporale. Ora io mi chiedo domani cosa andrete a dire a Unicredit: deve toglierla ? Perché io credo che anche dal punto di vista del diritto, che dev'essere uguale per tutti, non è che c’è qualcuno che lo può scrivere, ma dopo 24 mesi sparisce, e c’è qualcun altro che lo può scrivere, sempre Spa, e rimane lì in eterno. Delle due l'una: o la legge è uguale per tutti, o non è uguale per nessuno. Quindi questo credo dovrebbe essere almeno considerato Pag. 21dal Governo, nel momento in cui fa proposte che vengono chiamate anti-scalata.
  Rendo noto anche che la terza banca del Paese attualmente è governata da un patto di sindacato a tre, che complessivamente mette insieme l'8 per cento del capitale e mi riferisco a quel Monte dei Paschi di Siena che a sua volta, visto che le popolari hanno dei problemi di ricapitalizzare, dovrà ricapitalizzare a breve, e vedremo, dato che quella è una società per azioni, l'entusiasmo del mercato nell'accogliere una proposta di ricapitalizzazione che viene certo da una banca governata secondo la logica delle quote, e non del voto capitario, ma che io credo potrebbe avere una qualche difficoltà a raccogliere capitale. Per fortuna, dal mio punto di vista, entra lo Stato in quella banca con il capitale, nella misura del 4 per cento, e io credo ci debba anche rimanere, e anzi che debba anche partecipare a quell'aumento di capitale; ma adesso non parliamo di questo.
  Vado a concludere, per tornare sugli altri temi, almeno su qualcuno che mi interessa, perché questo decreto-legge, come ho detto, è anche fatto di altri punti, non solo di quello sulle popolari, che possono avere un qualche interesse. E dico possono, perché un ragionamento lo voglio portare – e concludo – in particolar modo sulle piccole e medie imprese. Noi avevamo un regime di favore per le start up innovative, e con questo provvedimento andiamo ad allargarlo anche, anzi, ci inventiamo le piccole e medie imprese innovative; e dopo essercele inventate, diciamo che hanno lo stesso trattamento che si meritano le start up innovative.
  Credo che il Parlamento prima o poi dovrebbe fare un ragionamento complessivo sullo stato industriale del Paese e soprattutto delle misure che una dopo l'altra va affastellando e sulla loro reale efficacia. In Italia non è impossibile fare impresa, anche senza queste agevolazioni che, francamente lo dico, perché lo sappiamo tutti, sono agevolazioni piccole, sono agevolazioni da poco. Io non ho fatto i conti, ad occhio e croce, fra quello che costerà in termini di registrazione e di tenuta alla Camera di commercio l'aderire al meccanismo delle piccole e medie imprese innovative e il vantaggio fiscale che se ne avrà dall'altro lato, non ho fatto bene i conti ma sarebbe interessante farlo. Io temo però che più o meno le cose si equivalgano, cioè far dichiarare piccola e media impresa innovativa più o meno costerà quello che si recupererà in termini fiscali.
  Spero che non sia così, diciamo così, ma è un calcolo che sarà fatto. Quello che volevo dire è che nel dibattito ad un certo punto qualcuno è venuto fuori dicendo che in questo Paese se nascesse uno Steve Jobs non avrebbe la condizione di fare impresa, perché non sarebbe messo nella condizione di farlo. Ecco io credo, però, che se nascesse uno Steve Jobs in questo Paese non avrebbe tanto un problema fiscale, non avrebbe un problema di incentivi, non avrebbe neanche un problema di garage. La settimana scorsa è uscita un'intervista interessante a Wozniak, che è l’alter ego di Jobs, in cui finalmente dice una cosa che si sapeva da sempre, cioè che nel garage ci si trovava nel weekend per mettere a punto le idee avute durante la settimana, ma che se non avesse avuto a disposizione e non avesse potuto lavorare nei laboratori della Hewlett-Packard, non sarebbe mai nata la Apple, perché servono i laboratori della Hewlett-Packard per far nascere la Apple, dopodiché la Apple seppellisce la Hewlett-Packard.
  Allora forse quello che in Italia manca è la capacità di farle crescere le nostre piccole e medie imprese, non tanto di dargli la condizione di nascere perché in questo Paese chi ha fatto impresa o ha fatto imprese innovative è cresciuto, ha innovato, ha un mercato, esporta. L'Italia non è infatti un Paese fallito, l'Italia è un Paese diviso, anche dal punto di vista delle sue prospettive industriali, fra un pezzo di Paese che ce la fa e un pezzo di Paese che non ce l'ha fatta e non ce la sta facendo. Io credo che il Parlamento forse dovrebbe occuparsi di questo, non solo e non tanto di come aiutare chi sta sul mercato e ci sa stare e da questo punto di vista va avanti, Pag. 22ma soprattutto di come permettere a chi ne è uscito in quei settori e trova difficoltà a rientrarci bene, ad avere appunto quei canali di finanziamento che si diceva prima – perché se non ci sono i canali di finanziamento non c’è piccolo incentivo fiscale che tenga –, ad avere un rapporto con lo Stato e con la burocrazia statale un po’ migliore di quello che si ha adesso, ad avere qualche infrastruttura più decente: nelle prossime settimane parleremo della banda larga che è un'infrastruttura decisiva per il futuro di questo Paese.
  Se non parliamo di questo e ci limitiamo semplicemente, come si fa anche in questo decreto, semplicemente ogni volta a prendere cose che già esistono, aggiungere un piccolo comma, togliere un piccolo comma, allargare un po’ il perimetro, dilazionare di un anno e tutte operazioni di questo genere, credo che non faremo il bene di questo Paese.
  Io apprezzo – e finisco – di questo decreto il Fondo per la ristrutturazione e stabilizzazione di imprese in crisi, lo apprezzo in potenza però, lo dico onestamente, perché anche qui c’è un problema di trasparenza e di rapporto fra le forze politiche. Nel momento in cui si attua ufficialmente uno strumento di cui io credo ci fosse bisogno da anni, cioè un fondo pubblico in grado di andare a stabilizzare imprese che abbiano crisi di liquidità e a garantirgli prospettive di rilancio laddove questo si individui come possibile, non limitandosi ad assorbire imprese decotte per garantirne la morte ma per garantire imprese che abbiano una prospettiva che in questo momento il mercato per ragioni di finanza o di altro tipo nega, questo va bene, va benissimo. Però, capite, il fatto che voi ci chiediate di approvare una misura in cui si sa che a chi parteciperà al capitale di questo fondo verranno garantiti dei diritti speciali che però devono essere definiti da uno statuto che sarà emanato presumibilmente dal Ministero e di cui ad oggi non si sa nulla e che per altri invece ci saranno delle garanzie pubbliche – ma anche qui, secondo un regolamento che verrà emanato dal Ministero e di cui ad oggi non si sa nulla – lo strumento presumibilmente va bene, rendetevi conto che anche in questo caso ci state chiedendo però di approvarlo in bianco.
  Se ci fosse solo quello nel decreto-legge, io probabilmente esprimerei comunque un voto a favore in bianco. Purtroppo, c’è tutto quello di cui ho parlato fino ad ora e quindi temo che il nostro voto – ma ne riparleremo – se non cambierà nulla, alla fine sarà contrario.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tabacci. Ne ha facoltà.

  BRUNO TABACCI. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, la questione delle banche popolari è centrale di fronte ai profondi cambiamenti che sono intervenuti nel sistema bancario europeo e noi siamo indubitabilmente in ritardo. Già mi capitò di sentire l'allora presidente di Assopopolari, Parrillo, che poneva il problema di una riforma del comparto nel lontano 1987. L'ho conosciuto negli anni Ottanta, nel corso della mia esperienza, ahimè in età giovanile, al Ministero del Tesoro, alla segreteria tecnica, quindi per dire, per ricamare sul fatto che saremmo di fronte a qualcosa di intempestivo, nel senso che siamo in grave ritardo. Draghi ci è tornato più volte sopra in questi anni. Ricordo la sua relazione del 31 maggio 2011: alle banche popolari quotate servono regole per un controllo più efficace dell'operato degli amministratori e un maggiore coinvolgimento degli azionisti; come già osservato in passato, un intervento legislativo è necessario. È vero che la Banca d'Italia non è il Vangelo, però, insomma, mi pare di poter anche aggiungere che il presidente della BCE non è proprio un improvvisatore e, se nel 2011 suggeriva questo, una qualche ragione c'era.
  Tra l'altro, la Banca d'Italia aveva più volte invitato le banche popolari, cominciando inevitabilmente da quelle quotate, perché qui c’è un problema: che le banche quotate con voto capitario hanno scelto appunto di quotarsi in un contesto in cui c'era un rivolgersi al mercato finanziario Pag. 23dei risparmiatori e forse allora si sarebbe dovuto agire diversamente.
  Vedete come, quando si va in direzione opposta a quello che serve, si fanno solo pasticci. Allora, si chiedeva di risolvere i problemi derivanti dalla rigida applicazione del modello cooperativo, puntando su due criteri essenziali: l'autodisciplina e i meccanismi di mercato. La riottosità della categoria, ribadita anche nelle audizioni di Assopopolari in Commissione, a cui ho avuto l'avventura di partecipare, ha costretto all'abbandono del primo criterio, pena la constatazione di una colossale presa in giro. Se l'autoriforma non la si vuole promuovere, e si usano tutti gli artifizi per rinviarla nel tempo, va da sé che determina una contraddizione enorme sul primo punto.
  Il secondo punto, quello del rispetto del mercato, mi pare assolutamente sacrosanto: io peraltro sentivo con attenzione l'intervento dell'onorevole Paglia, ma, a proposito di Borsa, non le viene il sospetto che è bastato l'annuncio per far riemergere una parte così consistente di valore sommerso ? Se basta l'annuncio perché questo capiti, cosa vuol dire ? Vuol dire che, quanto meno, quelle sette popolari – e non voglio parlare di quelle che non sono quotate – sono incatenate: è come se il valore che sono in condizione di esprimere non possa essere espresso.
  In realtà, noi siamo di fronte ad una condizione delle banche popolari che è molto diversa dalle condizioni che ne originarono la nascita. È questo il punto centrale. Io ho apprezzato la competente e motivata ricostruzione del relatore Causi sulle profonde trasformazioni intervenute nel rapporto tra forma cooperativa, scopo di lucro e mutualità. In realtà, le banche popolari distribuiscono i dividendi con regole analoghe alle banche Spa, possono quotarsi e si sono quotate in Borsa, ben sette, si estendono e gestiscono il credito su territori ben più vasti da quelli da cui hanno avuto origine, quindi il richiamato rapporto con il territorio andrebbe profondamente ricollocato, per essere seri. Causi ha ricordato che hanno una presenza media di sportelli in sessanta province le prime dieci banche popolari, a fronte di circa settanta province delle prime undici banche italiane, quindi diciamo che siamo più o meno nella media.
  Se poi consideriamo le due banche popolari più importanti, esse sono presenti in ben 83 province. Ma i rappresentanti degli interessi originari, quando avviarono quell'esperienza delle popolari, tutt'al più si riferivano a un territorio provinciale. Non c’è esperienza nella presenza contestuale in 83 province. Quindi, vuol dire che è cambiato radicalmente l'assetto.
  Le BCC hanno invece mantenuto la dimensione locale e oggi hanno un problema diverso, con la collocazione su vasta scala di alcuni servizi. Dovranno raccordarsi perché la dimensione di scala produca gli effetti. In quelle condizioni, il voto capitario, per chi ha una certa esperienza, anche di contatto, può essere conservato, ma quella è un'esperienza totalmente diversa da quella delle popolari.
  Il punto nevralgico della corporate governance delle banche popolari discende dall'uso disinvolto e strumentale del voto capitario. Banche che hanno raggiunto dimensioni così importanti e che hanno nel loro azionariato investitori istituzionali, anche internazionali, non possono limitare le deleghe e, soprattutto, devono raccoglierle in forma trasparente. La cronaca è ricca di elementi talmente abnormi da fare arrossire lo stesso concetto di voto di scambio applicato alla politica. Fare arrossire, via ! E non si può certo dimenticare il caso delle popolari non quotate, con azioni che vengono però scambiate sistematicamente, alimentando mercati assai poco trasparenti delle azioni proprie.
  Sono questi i nodi centrali che la categoria ben conosce e che ha scientemente eluso, fino a determinare l'intervento legislativo del Governo. Io devo dare atto che il Presidente del Consiglio ha avuto il coraggio di assumere un'iniziativa in questi termini, perché ci voleva coraggio. Ascoltando l'audizione dell'Assopopolari si è capito che non c’è una reazione nel merito e che tutto era legato al più Pag. 24erudito giuridicismo, a qualche cosa che aveva a che fare con i legulei piuttosto che con la sostanza dei problemi.
  Tutto questo, secondo me, giustifica pienamente l'intervento attraverso il decreto-legge, perché tra l'altro, poiché delle dieci sette sono quotate, immaginiamoci cosa sarebbe successo se noi avessimo affidato il rapporto tra Borsa e dibattiti parlamentari, quando nella Borsa italiana ci sono società di calcio che «ballano» in relazione ai risultati sportivi. E via, insomma ! Altro che fretta: il ritardo accumulato è più che trentennale. È di oltre vent'anni dalla «riforma Amato», che è intervenuta sul sistema bancario.
  Il voto capitario, che si adatta a banche di piccole dimensioni, deriva dalla meritoria impostazione delle battaglie sociali che diedero vita, nell'Ottocento, alle popolari. Ma oggi la situazione è profondamente modificata, ovviamente non solo rispetto a 150 anni fa ma anche solo rispetto a trent'anni fa. Pensiamo alla dimensione globale che attraversa demografia, mobilità di persone e di comunicazioni attraverso la rete. Noi nel 1970 eravamo sulla terra 3 miliardi; oggi siamo 7 miliardi e 100 milioni. Non c'era notizia di capacità di muoversi sul terreno, tant’è che se volevamo sapere qualcosa su chi stava in Nuova Zelanda bisognava che qualche scrittore avventuroso ci facesse sapere cosa accadeva. Oggi, in tempo reale, anche un cittadino di colore dell'Africa subsahariana può essere messo nella condizione di constatare, magari attraverso un contatto con la piattaforma, che, ad esempio, nei Paesi più sviluppati dell'Occidente, dall'Italia alla Germania, c’è un florilegio di pubblicità per i cani e per i gatti, e questo per quei cittadini che dovrebbero vivere con due dollari al giorno. Ecco dove sta il tema, tra l'altro, delle profonde migrazioni di cui stiamo parlando.
  E, allora, noi dovremmo rifarci all'Ottocento, pensando di accattivarci, diciamo, un riferimento storico e ideale quando le motivazioni sono totalmente diverse. Stiamo parlando d'altro ! E mi meraviglia che questo ragionamento sia venuto in prevalenza da sinistra. Io rispetto il collega Paglia, ma ho una grande nostalgia per il binomio internazionalismo e sinistra politica. Di che cosa stiamo parlando ? Stiamo parlando del negozio di casa o stiamo parlando del cortile. Non andiamo oltre il cortile, ma è troppo poco.
  L'italianità è il cortile. E lasciamo perdere l'italianità, che porta pure sfortuna, perché ci richiama delle vicende che sono state tutt'altro che trasparenti. Essere italiani e avere l'orgoglio di esserlo non significa essere ciechi e stupidi rispetto ad un mondo che è in grande trasformazione. Le sfide dei mercati richiedono ingenti capitali e le dimensioni sono decisive, ed è giusto che chi investe e chi mette soldi voglia pesare in proporzione all'impegno finanziario assunto. Da qui l'anacronismo del voto capitario, che ha comportato, come conseguenza, l'inamovibilità dei presidenti e la loro assoluta egemonia in termini di potere, con conseguenze sul sistema dei controlli interni sugli investimenti e sulle procedure, perché – e questo era già emerso in un'indagine conoscitiva, che ho avuto l'onore di portare avanti, sulle connessioni tra il sistema bancario e il caso Cirio Parmalat – è chiaro che, quando ci sono delle aree di indulgenza, anche i sistemi dei controlli diventano meno pervasivi, meno incisivi. Allora, è evidente che, se il voto capitario fa discendere una governance che è strumentale al raggiungimento di certi obiettivi, anche i controlli interni sono in funzione del raggiungimento degli stessi obiettivi. Non è che c’è bisogno di essere degli statisti per poter affermare, con una certa profondità, che le cose stanno così. Penso alle vicende della Banca popolare di Lodi e alle scalate incrociate del 2005, che fortunatamente hanno determinato la caduta del governatore Fazio, o penso alla vicenda della Bipop Carire o al caso della banca popolare di Novara, un tempo la più grande banca popolare d'Europa. Quanto a distruzione di risorse, anche di natura etico-morale, non solo patrimoniale, si volti pagina e non ci si nasconda dietro le questioni perverse dell'italianità e del presunto legame con il territorio, anzi il contributo al rilancio dell'economia passa Pag. 25dalla trasparenza sul merito di credito, che non può essere confuso con il credito agli amici o con il potere del credito. Il merito di credito è altra cosa. Anche perché, in periodo di crisi, gli investimenti diventano più rischiosi e diventa più difficile assegnare con trasparenza il merito di credito. Lo dimostra il dato dei crediti deteriorati nel quinquennio della crisi dal 2008 al 2013, saliti dal 3,5 pre-crisi al 12,7, a fronte di una crescita dal 3,3 al 9,5 per le banche Spa, quindi anche questa retorica sulla presunta superiorità del contesto preciso dell'erogazione del credito per le banche popolari è smentito dai fatti. Non è il caso di dilungarci su questioni giudiziarie, ma è evidente che questo problema c’è. Dunque – ed ho concluso – davanti alle banche popolari c’è una grande opportunità. Se è vero che molte banche popolari, e tra esse anche alcune delle grandi, grazie ad una rivendicata maggiore prossimità e vicinanza alla clientela, e noi ci auguriamo che sia davvero così, hanno ancora le competenze e le conoscenze per saperlo fare, allora questo è davvero il momento per concentrarsi su queste peculiarità e valorizzarle pienamente. Se davvero queste competenze ci sono, è meglio concentrarsi su di esse, non disperdersi su polemiche che sono assolutamente strumentali. E lo si potrà fare con le istituzioni bancarie popolari libere da conflitti di interesse, che sono connaturati alle governance a voto capitario. Queste sono le ragioni per le quali io ho seguito questo provvedimento, pur non essendo parte della Commissione finanze, con una certa attenzione, ma devo dare atto al relatore Causi e anche al relatore per la X Commissione di aver fatto pienamente il loro dovere.

  PRESIDENTE. Saluto gli studenti e i docenti dell'Istituto comprensivo statale piazza Filattiera, plesso Torricella, di Roma, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune.
  È iscritto a parlare l'onorevole Vignali. Ne ha facoltà.

  RAFFAELLO VIGNALI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo decreto contiene numerosi aspetti positivi che sono stati quasi oscurati nella comunicazione pubblica da parte dei media, soprattutto dalle diverse posizioni in merito al contenuto dell'articolo 1, quello sulla riforma delle banche popolari, ma c’è ben altro. Non c’è solo questo e noi riteniamo che siano interventi che hanno una grande utilità per lo sviluppo dell'economia reale in Italia.
  Sulla questione delle banche popolari, anche Area Popolare ha chiesto in Commissione di aumentare il tetto al di sopra del quale vi è l'obbligo di trasformazione dagli attuali 8 miliardi a 30, allineandolo, in questo modo, al requisito di rilevanza individuato dal regolamento dell'Unione europea n. 1024 del 2013 sulla vigilanza su enti creditizi quale soglia per l'attivazione dei problemi di controllo.
  La nostra preoccupazione era ed è, infatti, che la soglia fissata nel decreto rischiasse di depotenziare il ruolo positivo – e noi riteniamo assolutamente positivo – che le banche popolari hanno svolto e svolgono nel sistema economico italiano, e ciò in considerazione di alcuni fatti oggettivi: il patrimonio delle banche popolari, che è stimato complessivamente, per quelle oggetto di trasformazione, a 528 miliardi di euro, che è il 90 per cento dell'intera categoria del credito popolare.
  Attualmente, le banche popolari hanno crediti verso clientela per circa 375 miliardi di euro: un valore che rappresenta il 27 per cento degli impieghi complessivi del sistema bancario italiano, quindi una parte comunque rilevante. Un centro studi sufficientemente indipendente, la CGIA Mestre, ci informa, inoltre, che le banche popolari, nel periodo 2011-2013, hanno aumentato i prestiti alla clientela del 16 per cento, mentre le banche Spa lo hanno ridotto del 5 per cento.
  Sulle sofferenze, il dato che ha presentato il collega Tabacci è vero solo parzialmente: è ovvio che le sofferenze sono maggiori, perché sono le banche, insieme alle banche di credito cooperativo, più esposte nei confronti delle piccole e medie imprese. Certo, chi non dava credito o lo dava molto limitatamente alle piccole e Pag. 26medie imprese ha avuto meno sofferenze, e quindi, poi, le cose vanno viste nel complesso, perché, altrimenti, un dato preso parzialmente potrebbe distorcere. Ma poi le banche popolari sono fortemente radicate nel territorio, e questo, nonostante i limiti che ci possono essere, comporta comunque un indirizzo virtuoso degli utilizzi verso le imprese e le famiglie, più che verso bond o derivati, e una significativa minore quantità di crediti relativamente, se lo vediamo in sofferenza; e, comunque, in questi anni di crisi, sono state, anche nella nostra Lombardia, e sono vicine alle imprese, anche quelle che fanno più fatica.
  Personalmente, io vivo in Brianza: le banche che meglio si sono comportate nei confronti delle imprese che facevano fatica sono state esattamente le banche popolari, oltre le BCC. Inoltre, il sistema cooperativo e il voto capitario nel sistema del credito non sono un'anomalia – lo dico tra virgolette – italiana. Buona parte del sistema bancario europeo è analoga; il Crédit Agricole, per citare una piccola banca francese, ma non solo, che è una banca cooperativa.
  Inoltre, credo che sarebbe utile dismettere – lo dico anche in riferimento alle imprese – questo vizio, che vi è sempre in Italia, della «megalolatria» – questa è un'espressione di Wilhelm Röpke, che è stato il padre dell'economia sociale di mercato, l'economista che ha guidato la ripresa tedesca dopo la guerra –, che sarebbe l'adorazione di tutto ciò che è grande, per cui solo ciò che è grande sarebbe buono. Noi la pensiamo un po’ diversamente: siamo ispirati all'economia sociale di mercato e pensiamo che sia vero il contrario, che solo ciò che è buono sia veramente grande, e su questo, forse, bisognerebbe fare qualche riflessione.
  Noi temiamo il rischio – e questa era la ragione anche della nostra opposizione – che la trasformazione in società per azioni delle banche popolari ne modifichi la tipologia di impiego, finendo per togliere ulteriore ossigeno a famiglie e imprese, vanificando gli effetti positivi della ripresa economica che si sta affacciando in questi mesi. È pur vero, però – questo lo ammettiamo senza dubbi, non a caso abbiamo votato a favore – che un intervento normativo sulle banche popolari è concepibile, posto che soggetti che hanno raggiunto dimensioni ragguardevoli e che hanno nell'azionariato investitori istituzionali devono trovare forme di contemperamento al voto capitario e, in termini più ampi, una migliore governance.
  Ed è su questa falsariga che Area Popolare si è mossa, sia nell'ambito del Governo sia come forza parlamentare. Nell'ambito del Governo, si è riusciti a evitare che la riforma riguardasse non solo le prime dieci banche popolari, ma tutto il sistema di credito cooperativo. In Commissione, Area Popolare ha ottenuto, nel dialogo con la maggioranza, risultati significativi, che non riteniamo risolutivi, ma importanti. Ad esempio, il diritto del voto al 5 per cento per 24 mesi, che serve a precludere il rischio di un'eccessiva concentrazione, con il dichiarato fine di favorire il pluralismo fra i soggetti che di fatto guidano la banca.
  In tal modo, si è posto, di fatto, un paletto ai rischi di scalata da parte di grandi banche e di altri soggetti e si è favorito un processo di fusione interna nel sistema delle banche popolari, un processo che non ne alteri la loro natura originaria. Ingrandirsi senza snaturarsi: questo ci auguriamo sia l'obiettivo delle nostre banche popolari dopo questa riforma.
  Facevo riferimento prima agli altri Paesi europei. Pensiamo ad esempio al Crédit Agricole, banca cooperativa, che ha un attivo di 1.688 miliardi di euro, la BPCE in Francia 1.123 miliardi, la DZ Bank tedesca 386 miliardi, la Rabobank e via dicendo. Stiamo parlando di banche cooperative, non stiamo parlando di realtà dove vige il voto capitario. Quindi, forse, non è il problema del meccanismo, pur – ripeto – dovendo trovare delle forme di contemperazione. Comunque noi ci auguriamo che da questa riforma possa nascere un rafforzamento di questo sistema e non un indebolimento.
  Le posizioni hanno denunciato l'eccessiva rigidità con cui il Governo si è posto Pag. 27in Commissione e, in effetti, qui ci si trova di fronte ad un patrimonio comune, dato che le popolari tra l'altro sono nate dal basso, non sono nate per intervento dello Stato, non sono mai state banche statali. Sono nate dalla libera iniziativa delle persone e sono un soggetto rilevante della sussidiarietà economica. Peraltro – prima qualcuno lo ha accennato – hanno una concezione di creazione del valore che non si limita a destinarlo ai soli azionisti, ma anche ai clienti, ai dipendenti e al territorio. Forse, hanno una concezione di creazione del valore un po’ più ampia, che io, anzi noi, riteniamo che sia più consona ad una economia moderna, che soprattutto metta al riparo da altri rischi. Poi i depositi presso le banche popolari sono il frutto del lavoro degli italiani rispetto ai quali dovrebbe essere obiettivo comune che rimangano, soprattutto se non utilizzati, per le imprese e le famiglie italiane.
  Da questo punto di vista, come dicevo, noi ci auguriamo che questo provvedimento porti ad assistere nel prossimo futuro a fusioni tra le popolari e non ad uno shopping da parte di altri soggetti. Questo consentirà, in realtà, se si farà, di avere maggior credito, mantenendo comunque un forte legame al territorio e avendo fatto anche un po’ più di ordine nella governance, che noi riteniamo appunto una cosa importante.
  Ci sono però, come dicevo, altre parti importanti in questo provvedimento che sono state – ripeto – oscurate dai media in questo periodo ma che pure invece sono rilevanti: la portabilità senza oneri dei conti correnti; l'articolo 3 modificato in Commissione che consente a Cassa depositi e prestiti attraverso SACE e altre società controllate di erogare credito per export e internalizzazione. Noi siamo estremamente favorevoli a questa misura perché pensiamo che possa e sarà sicuramente utile in particolare per quelle aree extra Unione europea, nelle quali non operano le nostre banche. Infatti fino all'Europa le nostre banche ci sono ma noi non abbiamo banche negli altri continenti. Non abbiamo banche nel Nord e nel Sudamerica, non abbiamo banche nei Paesi del sud-est asiatico e non ne abbiamo anche nelle altre aree del mondo, escluso la Turchia e poco altro intorno al Mediterraneo. Quindi, pensiamo possa essere uno strumento importante e ci auguriamo ovviamente che ciò possa accadere con tempi di affidamento rapidi, a tassi di mercato competitivi e con particolare attenzione alle piccole e medie imprese.
  Altro provvedimento nel decreto molto importante è appunto la definizione di piccole e medie imprese innovative. L'estensione delle prerogative finora pensate per le start up a queste imprese è fondamentale ed è utile, perché l'innovazione è il vero fattore di competitività e di produttività del nostro sistema economico, molto più di tanto altro. Anche in questi anni le imprese che hanno innovato sono andate bene e sono cresciute; quelle che non innovano, indipendentemente dal settore di appartenenza, invece evidentemente restano indietro e muoiono.
  Un'osservazione sola, perché la ritengo molto importante, anche se sembra una questione solo burocratica, è l'iscrizione delle PMI innovative nel registro delle imprese. Questo è fondamentale dal punto di vista conoscitivo, soprattutto per le politiche pubbliche. Oggi, nello stesso codice ATECO delle camere di commercio, troviamo l'impresa che fa bulloni e l'impresa che fa meccatronica; troviamo nello stesso settore l'impresa più tradizionale e l'impresa più innovativa. Avere un repertorio è fondamentale, anche perché ci può consentire di fare politiche mirate per l'innovazione. Oggi anche l'indagine europea, la Community Innovation Surveys, esclude dal campione, peraltro, tutte le imprese fino a dieci addetti. Quindi, esclude di fatto più del 96 per cento delle imprese. Questo ci impedisce di avere una mappa dell'innovazione italiana, tanto più in un sistema che è fatto di piccole e medie imprese. Per questo io credo che questa sia, al di là di tutti i benefici per le PMI innovative, una questione centrale, che consente veramente poi di fare politiche mirate sia a livello nazionale, sia a livello regionale.Pag. 28
  Pensiamo di aver dato anche un contributo, insieme ad altri, tramite l'emendamento che abbiamo presentato, che amplia il periodo di applicazione delle agevolazioni fiscali in favore delle persone fisiche e giuridiche che intendono investire nel capitale sociale delle PMI innovative fino a sette anni dalla prima vendita commerciale, invece che sette anni dalla costituzione. Ringrazio anche i relatori per avere accolto l'emendamento, perché la start up parte da quando si inizia giustamente a vendere, perché basta conoscere i meccanismi delle start up - penso soprattutto a – quelle tecnologiche – per capire come sette anni possano finire al limite dell'ingresso sul mercato. Questo pensiamo che sia un fatto molto positivo – ripeto –, di cui ringrazio i relatori e il Governo.
  Anche l'articolo 5, a proposito della tassazione agevolata del reddito derivante dall'utilizzo della cessione delle opere dell'ingegno e dei brevetti industriali, crediamo sia importante. Crediamo anche importante, nel complessivo miglioramento di una norma appena introdotta, la previsione che abbiamo proposto con un emendamento che introduce la possibilità di rinnovare l'opzione per la tassazione agevolata al termine dei cinque esercizi. Anche di questo ringrazio i relatori.
  Per quanto riguarda l'altra parte dell'articolo 5, cioè l'affidamento all'IIT di una funzione di raccolta dei risultati di ricerca e di valorizzazione di questi dal punto di vista economico, è qualcosa che abbiamo sempre auspicato. Peraltro, il testo del Governo riprende progetti di legge presentati, in questo caso, alcuni da me come primo firmatario, ma anche da altri colleghi, ed era popolare, che avevano esattamente questa finalità, di cui siamo assolutamente convinti. Nelle nostre università e nei centri di ricerca c’è un grande patrimonio di conoscenza che rimane nei cassetti. Avere la possibilità di trasferire i risultati di questa ricerca al sistema delle imprese è un obiettivo importante, soprattutto nei confronti delle piccole imprese, perché la ricerca pubblica può essere veramente il grande laboratorio di ricerca per quelli che non se lo possono permettere.
  Infine, l'articolo 7, circa l'istituzione di una società per azioni per la patrimonializzazione e la ristrutturazione delle imprese che hanno sede in Italia, che salutiamo con grande favore. Non si tratta di ricostruire la GEPI né altri carrozzoni, tramite i quali un tempo lo Stato interveniva nell'economia. I meccanismi dell'investimento privato e della remunerazione, ma anche, com’è prevista, la funzione del soggetto pubblico credo che mettano al riparo dal correre i rischi che nel passato non si sono dimostrati proprio positivi.
  Infine – anche di questo ringraziamo il Governo – avere la modifica del meccanismo di finanziamento della cosiddetta nuova legge Sabatini, che è uno strumento da sempre importante e sul quale abbiamo sostenuto peraltro tutti, in sede di legge di stabilità, il rifinanziamento, credo che sia importante. Il ricorso facoltativo e non più obbligatorio all'apposito plafond costituito presso la Cassa depositi e prestiti da parte delle banche e degli intermediari finanziari che erogano i finanziamenti alle PMI è una questione decisiva. Intanto, era eccessivamente costoso, era molto farraginoso e, soprattutto, diventava molte volte un deterrente a ricorrere a questo strumento.
  Le banche non hanno problemi di liquidità oggi, sono in grado di farlo direttamente. Abbiamo tolto non soltanto un passaggio burocratico, ma anche un balzello di costo per le imprese e questo ovviamente lo riteniamo di grande utilità.
  Complessivamente, quindi, – e chiudo – abbiamo a che fare con un provvedimento che consideriamo utile e positivo. Il concetto di fondo che lo guida è quello di consentire alla ripresa economica che si sta delineando di accedere alle risorse e alle opportunità necessarie. Crediamo che si tratti di interventi – ripeto – che vanno nella giusta direzione, perché intervengono, al di là dell'articolo 1 sulle banche popolari, in un modo che noi riteniamo puntuale ed estremamente utile a favore dell'economia reale, che è quella che ci Pag. 29interessa. Troppe volte noi guardiamo l'economia a partire dal bilancio pubblico, se iniziamo a guardarla dall'economia reale, di cui il bilancio pubblico è una derivata, probabilmente avremmo più crescita, che non appunto soltanto con ottiche da bilancio pubblico, evidentemente. Di questo diamo volentieri atto al Governo, al Ministero dello sviluppo economico e al Ministero dell'economia e delle finanze e ribadisco il nostro giudizio assolutamente positivo su questo decreto-legge.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Capezzone. Ne ha facoltà.

  DANIELE CAPEZZONE. Signor Presidente, una parola come presidente di una delle due Commissioni che, insieme alla X, si è occupata del provvedimento e qualche parola più distesa come deputato del mio gruppo di appartenenza.
  Come presidente della VI Commissione, desidero ringraziare i rappresentanti del Governo, il sottosegretario Baretta e il Viceministro De Vincenti, che hanno con onestà intellettuale difeso la loro posizione, i due relatori, i colleghi Causi e Taranto, che hanno lavorato in modo egregio, naturalmente i rappresentanti degli uffici, che hanno lavorato in modo mirabile, il presidente Epifani in modo speciale per la conduzione che insieme abbiamo fatto dei lavori e tutte le colleghe e tutti i colleghi di ogni appartenenza.
  Questo era ed è un provvedimento molto controverso, molto controverso, carico anche di veleni. Credo che dal punto di vista del metodo le due Commissioni abbiano lavorato molto bene, in un tempo adeguato, votando tutti gli emendamenti, arrivando in fondo e consentendo a tutte le forze, sia quelle di maggioranza che quelle di opposizione, di potere dispiegare la propria posizione. I Parlamenti hanno tanti difetti, ma nel mondo non è stato inventato di meglio. Siamo tutti trattati come parlamentari, spesso fuori di qui come bestie da rieducare, ma io credo che noi dovremmo, invece, essere – lo dico rispetto a un provvedimento, ci verrò tra poco, che critico e critichiamo fortemente – sempre più orgogliosi di dove ci troviamo e di come tentiamo di lavorare.
  Vengo al merito e qui cambia il segno del ragionamento che desidero fare. Siamo delusissimi, ma non sorpresi dalle scelte del Governo e della maggioranza. Anche – sia detto – la riformulazione fatta ieri dai relatori e dal Governo di alcuni dei nostri emendamenti ha piuttosto il sapore di una sterilizzazione e perfino di un peggioramento della situazione che non dell'accoglimento. E la nostra contrarietà si esprime su quattro punti.
  Il primo punto ha a che fare con la scelta, che tutt'ora riteniamo non difendibile e non giustificabile, del decreto-legge. Siamo qui da un mese e ancora non abbiamo sentito una sola ragione convincente che possa giustificare la scelta della decretazione d'urgenza, a maggior ragione di una decretazione d'urgenza realizzata in quei pochi giorni nei quali era assente il Presidente della Repubblica e le funzioni venivano svolte da altri in via transitoria e supplente.
  Questo provvedimento è assolutamente discutibile dal punto di vista della costituzionalità, non solo dal punto di vista dell'articolo 77, appunto la mancanza dei requisiti di straordinarietà ed urgenza, ma anche dal punto di vista dell'articolo 3, trattamento uguale di situazioni uguali e trattamento diverso di situazioni diverse. Ho l'impressione che i contenziosi su questo ce li porteremo appresso molto a lungo.
  Chiudo su questo primo punto appellandomi una prima volta all'onestà intellettuale di tutti: colleghi e colleghe, mi permetto di dire amici, che cosa avrebbero detto tanti di voi se un'operazione di questo genere, per decreto-legge e in assenza del Capo dello Stato, con un Capo dello Stato transitorio, fosse stata fatta da un Governo di centrodestra, da un Governo di diverso segno e colore ?
  Ognuno può chiudere gli occhi e vedere la realtà che si sarebbe determinata.
  La seconda grave criticità – anche qui non possiamo chiudere gli occhi – riguarda la questione dell’insider trading, che è stata posta da tanti, dall'onorevole Pag. 30Brunetta, ma da tanti colleghi di tante appartenenze. Sia chiaro: noi siamo garantisti e, quindi, non poniamo una questione giudiziaria. Questo non ci interessa, importa ad altri e, anzi, da garantisti facciamo un sincero augurio a chiunque dovesse trovarsi coinvolto in situazioni di questo tipo. Non ci interessa. A noi interessa il dato politico, della responsabilità politica e della accountability politica del Governo, del Presidente del Consiglio, del Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro dello sviluppo economico. Anche qui, mi appello all'onestà intellettuale di tutti, al di là delle appartenenze: che cosa accadrebbe negli Stati Uniti o in un altro Paese occidentale se anche solo una piccola parte delle ipotesi che ci sono state esposte dal presidente Vegas risultassero confermate ? Anche qui, che cosa sarebbe accaduto ? Sarebbe venuto giù il mondo se la metà di quelle ipotesi fosse risultata in altra epoca storica confermata a carico di un Governo di centrodestra, di un Governo guidato da Forza Italia. Anche qui, ciascuno ammetta chiaramente che cosa sarebbe successo. Avremmo avuto piazze incendiate, media incendiati e avremmo avuto una discussione pubblica rovente. Invece, qui, si sparge acqua di rose sul tema.
  Ma, soprattutto, mi sia consentito di tornare al punto dell’accountability politica. Con grande rispetto da parte nostra, non giungono mai polemiche astiose, ma se uno di noi fosse stato Presidente del Consiglio o Ministro dell'economia e delle finanze, avrebbe avuto il dovere di venire in quest'Aula a rispondere personalmente, sul piano politico, non sul piano di giustizia, di quella vicenda; sarebbe dovuto venire qui a difendere il decreto-legge, dicendo: io difendo il decreto-legge per le ragioni uno, due e tre e, contemporaneamente, mi impegno, io, Presidente del Consiglio, Ministro dell'economia e delle finanze, Ministro dello sviluppo economico, a fare, io, un'operazione seria di indagine politica su com’è andata la questione, su qual è stata la circolazione dell'informazione privilegiata, che può aver consentito a qualcuno di fare affari. Fare chiarezza, insomma. Se non si fa chiarezza su questi temi – la democrazia americana, le grandi democrazie occidentali ce lo insegnano –, resta un'ombra di veleno che aleggia e che non fa bene. Lo sappiamo tutti e credo possiamo tutti guardarci negli occhi senza che nessuno debba abbassare lo sguardo. Sappiamo che il problema c’è e che c’è stato un silenzio del Governo su questo, e non mi riferisco certo all'onorevole Baretta e al Viceministro De Vincenti, ai quali rinnovo la stima per come hanno lavorato e lavorano.
  Vengo alla terza criticità, che è quella di merito. Noi siamo liberali e, quindi, non siamo difensori dello status quo e in particolare sappiamo bene che, rispetto alla realtà delle quotate, era ed è nelle cose un avanzamento in termini di mercato. Nessuno di noi può pensare di fermare il mondo con le mani. Sia, però, consentito di dire che in quest'Aula c’è una persona che può difendere con credibilità la riforma, così come proposta dal Governo, ed è l'onorevole Tabacci che questa battaglia dal suo punto di vista l'ha fatta in altro momento, quando non era facile, e veniva, diciamo la verità, azzannato un po’ da tutte le parti, anche da tanti di coloro che oggi fanno improvvisate lezioni di liberalismo e di liberismo. Il collega Tabacci le osservazioni che ha fatto le può fare e le può fare con la sua credibilità e la sua autorevolezza, ma noi dobbiamo mettere in guardia chi oggi invece fa le lezioni, sul rischio, parliamoci chiaro, di svendita che questo provvedimento realizza. Noi dobbiamo guardare alle cose, non in termini astratti e da accademia, ma in termini concreti. Quello che rischia di accadere sulle banche che sono oggetto del provvedimento, sul fatto che questo provvedimento trascura la specificità delle banche popolari italiane che in altri Paesi, non lontani da qui, è una specificità considerata, non dismessa e accantonata.
  Sia consentita un'osservazione teorica: dimenticate un istante questo tema e questo provvedimento. Non si è seri liberali se si sceglie, in casa propria, su un certo tema, il mercato perfetto e tutto intorno Pag. 31c’è l'oligopolio perfetto e la protezione perfetta. In questo caso non fai una cosa liberale, ma ti esponi ad essere predato e a non tutelare quello che dovresti tutelare.
  È un po’ il discorso di come sono state fatte, in Italia, certe privatizzazioni; chi parla è esente da sospetti, sono, come è noto, un privatizzatore anche troppo spinto, siamo liberali e anche liberisti, ma un conto è valorizzare e vendere, altro conto è svendere, come è accaduto in Italia in tanti ambiti; trascuriamo la realtà delle banche popolari, ricordiamo il 1992 e il 1993, ricordiamo il Britannia, ricordiamo che cosa accadde.

  PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Capezzone.

  DANIELE CAPEZZONE. Mi avvio a concludere, signor Presidente.
  L'ultimo minuto lo dedico alla quarta criticità, l'articolo 7. Proprio quelli che ci hanno dato lezioni di liberalismo all'articolo 1, all'articolo 7 organizzano una specie di ritorno delle partecipazioni statali e della GEPI, con risorse pubbliche, per fare un intervento nell'economia da parte del Governo di turno. La cosa è paradossale quando ci si dice che questo riguarderà realtà che avrebbero una redditività operativa. Scusate, ma se hanno una redditività operativa, facciano il piacere di trovarsi dei soci, di fare una ricapitalizzazione e di stare sul mercato, ma se invece si vogliono usare risorse, anche quelle dei fondi previdenziali, per consentire alla longa manus del Governo di intervenire nell'economia – con tutte le distorsioni che questo porterà con sé, con il Governo che discrezionalmente decide: qui intervengo e qui no, qui entro, qui non entro, qui faccio, qui non faccio – voi comprendete bene qual è il tipo di distorsione, in termini di mercato, che può determinarsi.
  Queste, dunque, le quattro ragioni che portano il gruppo di Forza Italia a considerare questo provvedimento un gravissimo errore su ognuno di questi punti: uso del decreto-legge, questione insider trading e trasparenza, questione di mancata attenzione alla specificità delle banche popolari e rischio svendita e, da ultimo, rischio di interventismo (articolo 7) e resurrezione della GEPI; ci sarà molto, molto da discutere, anche al di là dell'approvazione di questo provvedimento, se la maggioranza insisterà nelle sue determinazioni (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Da Villa. Ne ha facoltà.

  MARCO DA VILLA. Grazie Presidente, poco più di un anno fa, ancora ai tempi di Enrico «stai sereno» Letta, fummo protagonisti di una delle più aspre battaglie svoltasi in questa Camera, quella contro il decreto «IMU-Banca d'Italia». In quell'occasione, non solo noi del MoVimento 5 Stelle, fummo additati per i toni giustamente accesi della battaglia di metodo, democratica, contro una conduzione dei lavori liberticida nei confronti delle prerogative del Parlamento, ma fummo anche sbeffeggiati per il presunto semplicismo con il quale inquadravamo il merito della rivalutazione delle quote della Banca d'Italia. Tra le altre cose, i «soloni» della maggioranza e i loro giornali ci schernivano perché non capivamo che non sarebbe stato un problema per le banche titolari di quote in eccedenza, rispetto alla soglia del 3 per cento, 6 per un controvalore di oltre 4 miliardi di euro di capitale rivalutato, realizzare tali quote sul mercato, senza obbligare la Banca d'Italia all'acquisto con risorse proprie, ossia dei cittadini italiani. Secondo loro, i fondamenti patrimoniali della Banca d'Italia avrebbero garantito una quotazione non inferiore alla rivalutazione di legge.
  Ora scopriamo non solo che quelle quote eccedentarie sono rimaste dov'erano, tanto siamo abituati al fatto che gli atti non seguano mai le parole, a immagine e somiglianza di questi governanti, ma il bello, si fa per dire, è che ora scopriamo anche che le regole del quantitative easing della BCE, che richiede alla Banca d'Italia di impegnarsi in un ciclo di acquisti di titoli di Stato per un valore Pag. 32stimato intorno ai 130 miliardi di euro, prevedono che il rischio relativo a tali titoli ricada sugli azionisti della Banca d'Italia; il che significa che, in qualsiasi scenario in cui il debito italiano dovesse subire un deterioramento, anche parziale, saranno gli azionisti di Banca d'Italia a farsene carico in prima battuta. Le conseguenze le potete immaginare: di quelle azioni, se mai veramente gli istituti che le possiedono le alieneranno, si dovrà veramente far carico la Banca al valore concordato, per poi eventualmente reimmetterle in un mercato che, con ogni probabilità, le deprezzerà. Chi era, allora, il sempliciotto irresponsabile che non comprendeva la portata delle proprie azioni ? Ora come allora, signori della maggioranza, delle persone serie che sanno quello che fanno, avete solo il vestito, e sotto il vestito niente.
  È un precedente importante questo, perché è sempre sulle banche che la vocazione di apprendisti stregoni dei Governi di questa legislatura, viziata all'origine da un premio di maggioranza incostituzionale, si manifesta con il più tipico mix di frettolosità, arroganza e insipienza. L'aspetto più assurdo, tra i tanti profili assurdi di questo decreto-legge, è appunto la scelta dello strumento della decretazione d'urgenza. Il termine concesso per adeguarsi alle banche popolari che superassero la solita di attività ammessa fino ai 18 mesi, non solo rischia di lasciare spazio a possibili turbolenze sui mercati finanziari, ma è al contempo così lungo da far credere che fosse più che possibile disporre questa riforma con un più opportuno e costituzionalmente rispettoso disegno di legge. Inoltre, è quanto meno fuori luogo ricondurre la scelta della decretazione d'urgenza alle esigenze di far fronte alla Bank recovery and resolution directive, nota dallo scorso aprile. Infine, la stessa soglia dimensionale scelta inficia l'argomento, secondo cui la necessità sarebbe quella di meglio affrontare il meccanismo di vigilanza unico, per il quale la soglia di rilevanza sistemica per l'attivo è collocata a 30 miliardi di euro: un vestito evidentemente un po’ troppo largo per la banca di «papà Boschi», quella che, secondo quanto ci ha detto il presidente della Consob, Vegas, ha visto il valore di mercato del suo titolo apprezzarsi del 57 per cento dal 3 gennaio al 9 febbraio, un valore palesemente fuori linea rispetto all'8 per cento dell'intero settore bancario nello stesso periodo e difficilmente scollegato dal provvedimento in conversione, discusso e adottato, a quanto pare, senza che la figliola si desse pena di uscire dalla stanza del Consiglio dei ministri. Mi preme incidentalmente far notare qui che, a me come a moltissimi colleghi di tutti i gruppi, nelle Commissioni finanze e attività produttive, è stato impossibile conoscere l'argomento sul quale il Governo ha ritenuto di basare la scelta della soglia a 8 miliardi di euro, e anche seppure in misura minore, la scelta del criterio dell'attivo e non del patrimonio netto. Non si è fatto nulla di meglio che ricalcare l'acuta osservazione della Banca d'Italia in una audizione che rappresenta una delle più tristi pagine lasciate alla memoria degli italiani da questa istituzione un tempo gloriosa, secondo cui sopra la quota di 8 miliardi di euro abbiamo dieci istituti e sotto, invece, ben ventisette. Ohibò, questo profondo argomento evidentemente non esercita altrettanta persuasione in Europa, dove operano banche cooperative presenti sui mercati internazionali e con attivi che superano ampiamente non solo gli 8 miliardi, ma i 1.000 miliardi. I primi cinquanta gruppi cooperativi europei, infatti, presentano tutti un attivo di gran lunga superiore agli 8 miliardi di euro, con una media pari a 154 miliardi di euro.
  Più del novero delle considerazioni più macroscopiche contro il ricorso al decreto-legge, la circostanza, come minimo inelegante, che un provvedimento tra i più dibattuti e laceranti nella stessa maggioranza abbia riportato la firma del reggente, in una data in cui la Presidenza della Repubblica era vacante, tra le dimissioni del Presidente eletto e l'elezione del suo successore. Non possiamo entrare nel merito di un giudizio su come si sarebbe regolato un Presidente della Repubblica provvisto di investitura piena, ma Pag. 33di certo la scelta del momento concorre a rafforzare la sensazione di una forzatura.
  Il MoVimento 5 Stelle non è pregiudizialmente contrario a misure di snellimento della governance e di maggiore responsabilità al mercato dei capitali, contemperata però con una permanente attenzione alla vocazione caratteristica delle banche popolari. Ma questo provvedimento è stato anzitutto presentato come una risposta alle esigenze di favorire l'accesso al credito e agli investimenti a beneficio dell'economia reale italiana: raramente l'antitesi tra scopi dichiarati e strumenti introdotti ha toccato un livello più spudorato.
  La sensibilità delle banche popolari alle ragioni delle piccole e medie imprese che innervano il tessuto produttivo italiano, e la loro propensione a impieghi che ne intrecciano fortemente l'operato con il territorio, in vista di un supporto duraturo agli investimenti in attività economiche reali, è il principale tratto distintivo della categoria.
  Questo tratto si manifesta in forma particolarmente spiccata nelle fasi più critiche per la congiuntura economica, svolgendo una preziosa funzione anticiclica; e lo testimonia il fatto che, come ha scritto la CGIA di Mestre, in anni in cui la stragrande maggioranza delle banche ha chiuso i rubinetti del credito alle famiglie e alle imprese, le uniche ad avere incrementato gli impieghi sono state le banche popolari. Nell'arco di tempo che va dall'inizio della fase di credit crunch del 2011 sino alla fine del 2013, le popolari hanno aumentato i prestiti alla clientela del 15,4 per cento; diversamente, quelle sotto forma di società per azioni e gli istituti di credito cooperativo hanno diminuito l'ammontare dei prestiti rispettivamente del 4,9 e del 2,2 per cento.
  Nel periodo 2008-2014 i nuovi finanziamenti erogati dalle banche popolari alle PMI hanno raggiunto i 250 miliardi di euro, con gli impieghi totali cresciuti di oltre il 15 per cento, di cui ben il 10 per cento per le PMI. Non stupisce quindi che la quota di mercato delle popolari nei sistemi a prevalenza di PMI sia pari al 66 per cento, contro il 33 per cento del resto del sistema.
  Nella relazione di accompagnamento del decreto-legge, si può leggere che le banche popolari non avrebbero diritto a beneficiare della tutela dell'articolo 45 della Costituzione, in quanto avrebbero solo la forma della cooperativa e non la sostanza della mutualità. Si tratta di un'affermazione non suffragata da prove: la mutualità non prevalente non permette di godere di agevolazioni fiscali ed è giusto che sia così, ma rappresenta una forma cooperativa di organizzazione dell'attività economica pienamente legittima.
  La stessa Commissione europea, al termine di un'importante indagine che si svolse per appurare il fondamento di una procedura di infrazione contro la disciplina delle banche popolari italiane, ha stabilito che le banche popolari sono autentiche cooperative nella forma e nella sostanza, che la loro disciplina è compatibile con quella dell'Unione e con il Trattato dell'Unione europea, che non esistono ragioni per assegnare alle società cooperative minore dignità che alla società per azioni per l'esercizio dell'impresa bancaria, e soprattutto che non esiste alcuna ragione valida per ritenere tale forma inadatta a svolgere attività estremamente complesse e in grandi dimensioni, né per considerarle incompatibili con la quotazione sui mercati regolamentari.
  Peraltro, se questa inconsistente obiezione fosse collegabile al raggiungimento di una soglia dimensionale per una cooperativa che svolge attività di intermediazione bancaria, perché mai non dovrebbe esserlo per le altre cooperative ? Questa discriminazione intersettoriale è a sua volta incostituzionale, soprattutto nell'aspetto di pregiudizio discriminante alla crescita che essa impone: se una cooperativa di consumo di grandissime dimensioni può crescere illimitatamente senza che alcuno attenti alla sua forma di organizzazione, perché una banca popolare il cui successo nella raccolta e nella riscossione dei crediti la mette in condizione di fare altrettanto su basi solide deve Pag. 34vedersi costretta a scegliere se rinunciare a espandersi o a subire una brutale trasformazione coattivamente ? È proprio perché è il mercato a dover determinare il successo di modelli e forme alternative, che una norma di questo genere attenta morbosamente ai principi che presiedono allo sviluppo economico e al benessere.
  L'articolo 1 di questo decreto-legge non ha a cuore il mercato e le regole poste dalla Costituzione a presidio dell'iniziativa economica, esattamente come non ha a cuore il finanziamento alla produzione nazionale e alle piccole e medie imprese: esso rappresenta filosoficamente un cascame tardivo, ma non meno velenoso, della tragica deregolamentazione bancaria dell'era clintoniana, quella coronata dall'abolizione del Glass-Steagall Act con cui nel 1999 venivano smantellati i capisaldi giuridici che nel 1933 erano stati posti al riparo dalle mostruose capacità distruttive della speculazione e del panico finanziario, assicurando la protezione dei depositi bancari e separando nettamente l'attività bancaria vera e propria da quella delle banche di investimento. Quella scelta scellerata è alla base di tutti i disastri finanziari degli anni 2000 e 2010, e si può concedere il beneficio della smemoratezza ai suoi artefici di oltre 15 anni fa: continuare sulla stessa linea come se niente fosse oggi è del tutto folle.
  C’è una parentela diabolica fra questo provvedimento, che punta a sfasciare senza ragioni sensate la coesione tra finanza e territorio, e il Jobs Act. Nel Jobs Act sono stati apportati alcuni cavalli di battaglia propagandistici di cui sostanzialmente nessuna impresa italiana sentiva la mancanza, circostanza che nel 2012 lo stesso Presidente del Consiglio, nella sua precedente figura di candidato a tutto, non mancò di ricordare. Essi rappresentano uno scalpo portato in dote a settori del grande capitale estero che mirano solo a realizzare elevati profitti a breve termine sulla pelle di un lavoro dequalificato e svalutato e non hanno alcuna intenzione di bilanciare le giuste considerazioni sulla redditività con quelle finalizzate a investire nella produttività di medio-lungo periodo, l'esatto contrario di quella mentalità che ha fatto la fortuna di glorie italiane che hanno saputo durare nel tempo, come quel Michele Ferrero che abbiamo salutato con commossa ammirazione poche settimane fa che, tenendosi lontano dalle sirene della finanza speculativa, fu forse proprio per questo capace di una lunga catena di successi sul mercato.
  Lo stesso vale per questo decreto, al di là delle voci maliziose e non inverosimili sul malcelato disegno di trovare un espediente per accollare alle future fusioni semi-forzose tra ex popolari i disastri di Spa come Carige e Monte dei Paschi, che è la più plastica dimostrazione che il voto capitario e la forma della banca popolare non sono affatto indispensabili per combinare pessimi affari sotto un premuroso ombrello partitico.
  Fare riferimento al parametro della redditività delle banche popolari per minarne l'esistenza suona bene finché non si comprende che, in modo particolare in questa fase, se esiste la possibilità di esercitare il credito su fondamentali economici sani, preservando una solida base patrimoniale e soprattutto evitando di esporsi ai tonfi causati da disavventure speculative, non esiste invece alcuna possibilità di estrarre dall'ampia platea di piccole e medie imprese che rappresentano il referente naturale di queste banche un livello di utili su vasta scala sufficiente a soddisfare le aspettative di investitori cosiddetti istituzionali, che si prefiggono rendimenti di breve termine sensibilmente più elevati delle performance che l'economia reale complessivamente è in grado di generare. Tocca proprio a noi, i presunti idealisti, che secondo molti in politica pretenderebbero tutto e subito, ricordare in questo caso l'antico adagio per cui il meglio è nemico del bene, cioè la ricerca di una redditività non in linea con le prestazioni dell'economia porta ad abbandonare la strada del credito all'impresa per imboccare quella della speculazione o delle operazioni di ingegneria societaria sopra la testa dell'azionariato diffuso finalizzate alla spoliazione del patrimonio di realtà originariamente prospere, distolte Pag. 35dalla loro missione naturale, spolpate e lasciate esamini, zeppe di debiti. Il caso agghiacciante di Telecom parla per tutti.
  Ci indicate un giorno sì e l'altro pure la Germania come modello da imitare per i mini-jobs e le riforme finalizzate alla compressione della domanda interna e mentre lo fate ci chiedete di andare nella direzione opposta a quella integrazione strettissima fra banca, impresa e rappresentanze del territorio che è una delle risorse chiave della vitalità produttiva tedesca, per propinarci cosa ? Un appassito revival del peggio di un modello americano in crisi i cui aspetti, negli stessi Stati Uniti, si sta cercando recentemente di correggere.
  Obama a gennaio ha indicato un nuovo membro del Board of Governors della Federal Reserve, Allan Landon, un uomo che ha dedicato tutto il suo impegno all'economia territoriale e allo sviluppo del mondo mutualistico nordamericano, fondando addirittura un fondo di investimento chiamato Community bank capital e rivolto proprio alle Community banks, che incarnano nell'ordinamento americano principi analoghi a quelli delle nostre banche interessate da questo decreto. Per farvi capire l'aria che tira da quelle parti, in attesa della conferma del Senato dove le simpatie democratiche per Landon si contano già numerose, il senatore repubblicano della Louisiana, Vitter, ha dichiarato di voler incontrare Landon, lamentando il fatto che spesso quelli di Wall Street soffocano la voce di noi che ci battiamo contro i salvataggi indiscriminati a spese del contribuente e lo strapotere delle mega banche «too big to fail».
  E questo capita in un'economia colpita dieci volte più della nostra dai danni della speculazione onnipotente, mentre i «morti di sonno» che qui da noi hanno saputo vigilare così bene su Monte dei Paschi e Carige raccomandano di far saltare proprio quelle banche popolari grazie alle quali abbiamo limitato i danni negli anni più bui.
  E lo fanno raccontando, con tono compito, frottole sulla loro presunta, inadeguata patrimonializzazione, mentre i fatti sono questi: tutte le banche popolari sottoposte agli asset quality review e agli stress test sono risultate adeguatamente patrimonializzate, mostrando addirittura eccedenze che variano da un minimo di 30 a un massimo di 1.750 milioni di euro, per un totale di 4 miliardi 417 milioni.
  Gli Stati Uniti non bastano e ci vogliamo spostare ancora più a nord ? Il gruppo Desjardins in Canada ha un attivo di 223 miliardi di dollari canadesi; occupa 45 mila addetti e vanta 5,6 milioni di soci. Il gruppo eroga un milione al giorno in borse di studio e donazioni. Bloomberg ha definito nel 2014 Desjardins la prima banca più solida dell'America del Nord e la seconda del mondo. Indovinate un po’ ? È una cooperativa, fa un miliardo 530 milioni di dollari canadesi di utili al netto d'imposta e incredibilmente ci riesce senza bisogno di consultarsi con alcun esponente della banda della Magliana o delle giunte del PD.
  Questo provvedimento dissennato aveva bisogno di una foglia di fico, così si è pensato di agganciarvi alcuni articoli che contengono in parte misure sensate, pur se a volte parziali e un po’ ambigue.
  Siamo particolarmente soddisfatti per aver esteso i benefici per le start-up innovative a cinque anni. Abbiamo fatto purtroppo invano altre proposte per migliorare ulteriormente la disciplina delle PMI e delle start-up innovative. Abbiamo tentato di alleggerire l'IRAP, soprattutto a beneficio delle micro-imprese, di sgravare le imposizioni sugli immobili strumentali, di far prevedere un più efficace contrasto della contraffazione, di estendere la compensazione tra i crediti verso la pubblica amministrazione e i debiti verso l'Erario, di calmierare le esose commissioni bancarie per i pagamenti elettronici, di evitare che il credito all'esportazione si traducesse in un premio alle delocalizzazioni, di assicurare dodici tregue festive domenicali ai lavoratori del commercio.
  Abbiamo ottenuto qualche miglioramento sulla portabilità dei conti di pagamento e io personalmente ho ammonito contro i rischi che estendere l'attività di credito diretto a SACE, o dopo l'emendamento del relatore alla stessa Cassa depositi Pag. 36e prestiti o a una sua possibile nuova controllata, si traduca indirettamente in un pregiudizio per l'attività specifica di garanzia del credito all'esportazione, se non addirittura in una stretta sulla capacità complessiva di finanziamento di Cassa depositi e prestiti alle piccole e medie imprese anche per attività interne al di fuori dell'ambito dell'internazionalizzazione.
  Ma il nucleo del provvedimento è troppo importante per il futuro della nostra economia per lasciarsi fuorviare nel giudizio sulle componenti accessorie. Oltre a confidare in un ravvedimento, se non di quest'Aula, almeno dei colleghi del Senato, ribadiamo qui fortemente la richiesta di spiegazioni più convincenti sulla scelta della soglia di 8 miliardi di attivo.
  Il mio timore purtroppo è che l'articolo 1 non sia che un primo passo verso un globale smantellamento anche delle banche popolari minori e di quelle di credito cooperativo. Proprio a questo proposito, concludo ricordando un paradosso riguardante la patrimonializzazione, che è stato messo in evidenza dall'economista Milani, su lavoce.info. Il modello delle banche di credito cooperativo, tenute a destinare a riserva almeno il 70 per cento dei profitti netti annuali, ha costituito un elemento felice dal punto di vista del rafforzamento del patrimonio. Le banche più grandi, distribuendo i dividendi in eccesso e non approfittando degli utili per portarli a riserva hanno perso un'occasione in questi anni e ciò si è tradotto anche in una minore propensione a fare credito da parte delle banche più grandi rispetto alle BCC.
  Ulteriore conferma che un dividendo alto non è, di per sé, un elemento indispensabile per un'impresa redditizia, come ci vorrebbero costringere a pensare coloro che agitano lo spauracchio del disincentivo a intervenire nel capitale bancario da parte dei grandi investitori stranieri, né lo è per considerare una banca sana dal punto di vista patrimoniale.
  Il MoVimento 5 Stelle è e sarà sempre a fianco di chi si impegna ogni giorno per migliorare la convivenza, la salute e il benessere economico del proprio territorio e, quindi, si opporrà, con tutta la sua forza, a chi vuole minare irresponsabilmente il braccio finanziario meglio attrezzato per supportare tale impegno.
  Non possiamo dimenticare, infine, le migliaia e migliaia di lavoratrici e lavoratori che hanno speso, al servizio di queste banche del territorio, la propria energia e competenza, sviluppando una professionalità preziosa. Mentre gli insider trader, amici degli amici, stappano lo champagne per le plusvalenze monstre, quei lavoratori sono la primissima vittima certa di questa abominevole pseudo-riforma.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Petrini. Ne ha facoltà.

  PAOLO PETRINI. Signor Presidente, signor Viceministro, colleghi, le disposizioni di maggiore importanza di questo provvedimento riguardano proprio le banche popolari, le quali, come si legge nel provvedimento, se detentrici di un attivo consolidato, vale a dire calcolato a livello di gruppo, superiore a 8 miliardi di euro dovranno – tempo un anno e mezzo – scegliere tra ridurre l'attivo entro il limite degli 8 miliardi, trasformarsi in società per azioni ordinarie e abbandonando il voto capitario, oppure andare in liquidazione. Nel caso in cui l'assemblea dei soci rimanga inerte, non conformandosi alla legge, la Banca d'Italia si attiverà per ottenere la revoca della licenza bancaria.
  Una riforma, questa, che non è certo una sorpresa. Da tempo Banca d'Italia, Fondo monetario internazionale e Commissione europea ne auspicavano il varo e, del resto, già da tempo il Governo e la maggioranza ne annunciavano il lavoro in tal senso. Lo scopo è quello di rendere le banche popolari contendibili, a vantaggio della trasparenza del sistema bancario e di una maggiore credibilità agli occhi degli investitori internazionali. Infatti, i molteplici scandali legati a questi istituti hanno sempre tenuto lontano gli investitori da questo genere di banche e dalla loro governance opaca. Questo ha «zavorrato» fortemente il valore delle loro azioni ed è Pag. 37per questo che, appena la notizia del decreto è giunta ai mercati, il prezzo delle loro azioni è salito velocemente.
  Il principale effetto atteso del decreto-legge è che questo cambiamento metta in condizioni le maggiori banche popolari di aumentare il loro capitale, in misura adeguata e nei tempi brevi, che le diverse circostanze possono esigere. Prima, ogni cento euro che le banche prestavano, due euro e mezzo venivano messi a patrimonio. Oggi questa cifra è aumentata di più di tre volte. Il mondo è cambiato radicalmente da questo punto di vista.
  Ma questa è una riforma che non va valutata solo per quelli che sono i dati di contesto contingenti, ma per il cambiamento sistemico che introduce nello scenario che abbiamo di fronte, perché certamente è necessario valutare la qualità del credito erogato, la capacità di fare fronte alla quantità sempre maggiore di partite deteriorate e alla redditività insostenibilmente bassa. L'intervento proposto dal Governo lascia, infatti, maggiore spazio sia alla competizione, in maniera tale che le risorse non rimangano alle banche inefficienti, costringendole a cambiare o a morire, perché è da questo che dipenderà una sufficiente capacità di erogare credito a imprese e famiglie in maniera sostenibile e duratura, sia a una migliore corporate governance, in modo tale che in presenza di una cattiva gestione sia facile la sostituzione tempestiva di manager inefficienti, mettendo fine a un aspetto risultante ormai curioso per banche di così rilevanti dimensioni: esercitare il controllo senza un impegno economico sostanziale.
  Fino ad oggi in queste banche abbiamo potuto rilevare come la scarsa efficienza decisionale può danneggiare tutti, tranne i suoi dirigenti.
  Certo, questo, come abbiamo appreso dalle cronache degli ultimi anni, può accadere anche nelle società di capitali, in particolare in quelle società dove vi sono i patti di sindacato, ma dire questo non deve servire a lasciare tutto com’è, deve spingerci ad andare oltre e ad intervenire, piuttosto che fermarci. È difficile non prendere atto del fatto che la struttura societaria delle popolari e la governance associata possano avere ricadute negative sulla qualità degli assetti di governo e sulla capacità di rafforzamento patrimoniale, soprattutto nello scenario dell'unione bancaria e del supervisore unico. Il modello più coerente per banche di grandi dimensioni, come quelle individuate da questo provvedimento, è senza dubbio quello della società per azioni. La trasformazione in Spa rende evidentemente queste banche meno vulnerabili alle interferenze dei politici, dei dipendenti, dei pensionati e di altri soggetti locali, che perseguono interessi legittimi, ma spesso confliggenti. I profili di credito delle popolari si sono deteriorati rapidamente negli ultimi anni e la loro redditività ha sofferto e le loro farraginose strutture decisionali hanno spesso ritardato le necessarie misure di ristrutturazione e di rafforzamento del capitale. Gli interventi di Banca d'Italia, finalizzati a stimolare in questo senso l'azione di queste banche, sono stati numerosissimi. Noi siamo convinti che la trasformazione in Spa, combinata con una base azionaria diffusa, può facilitare un cambio di controllo e semplificare un consolidamento che risulta di sempre maggiore necessità per banche di queste dimensioni, visti i costi che devono sopportare per adeguare comportamenti, processi produttivi o prodotti a quanto prescritto dalle norme. Le stesse popolari saranno fortemente tentate di fare aggregazioni tra loro, per arrivare al giorno della trasformazione in Spa con le spalle più larghe ed essere meno facilmente comprabili. Una struttura in definitiva più adatta ad affrancarsi dalle difficoltà nel recuperare una redditività strutturale, coprendo il bisogno di raggiungere dimensioni di scala più ampie. Il mio punto di vista si basa su una circostanza assai banale e sotto gli occhi di tutti: le banche popolari semplicemente non esistono, o meglio non esiste nell'intero Paese un solo caso di banca popolare rilevante la cui operatività sia in qualche modo distinguibile da quella di una qualsiasi banca commerciale costituita nella forma di società per azioni. Identici i prodotti, identici Pag. 38i mercati, identici i clienti, identici i rischi. E dunque non vi è alcun motivo ragionevole per consegnare la governance di una buona fetta del mercato creditizio a cacicchi locali, che a volte sono politici, a volte associativi e che albergano incontrastati in tutte le assemblee popolari.
  Fatta la debita premessa, vorrei ricostruire molto sinteticamente un po’ la storia di questo animale mitologico, idealmente socialista e praticamente capitalista. La banca popolare affonda le proprie radici nella tradizione cooperativistica di matrice anglosassone e nell'intuizione premarxista che la condivisione della proprietà dell'impresa tra gli operai potesse essere un viatico per il miglioramento delle condizioni di lavoro. In Italia il modello si sviluppa in maniera inattesa e in misura rilevantissima, anche al di fuori dell'ambiente di origine. Alle cooperative socialiste si contrappone l'associazionismo cattolico, che individua nel modello mutualistico l'antidoto a quella che chiamavano la deriva rossa e ne fa cavallo di battaglia proprio nel settore del credito. Sin dall'inizio, le forme sono più o meno le stesse in tutto il Paese: associazioni di agricoltori, artigiani e notabilato, ispirati all'attivismo di persone come Luzzatti. Promuovono la costituzione delle cooperative per l'erogazione del credito agli stessi soci. La particolare forma di governance, basata sul voto capitario è la naturale conseguenza di quel modello, nonché, sin dal primo vagito, lo strumento per mantenere il controllo degli istituti nelle mani dei promotori. Questo ultimo aspetto è di fondamentale importanza. Se, da un lato, il principio «one head, one vote» ha un sapore evidentemente democratico, la storia dei vertici delle banche cooperative è costellata da vere e proprie dinastie. E non uso a caso questo termine, dinastie, visto che abbiamo casi di passaggio di padre in figlio.
  Dinastie che si perpetuano per decenni grazie all'emersione, appunto, di personalità capaci di gestire il consenso. Lo sviluppo del sistema creditizio italiano determina, in seguito, una duplicità di modelli: alle banche popolari propriamente dette si affiancano le casse rurali ed artigiane. Mentre queste ultime rimangono fedeli alle radici mutualistiche e si mantengono legate a un territorio che spesso, sul modello delle raiffeisen tedesche, non supera il comune o la provincia, le prime, le banche popolari, si espandono rapidamente e somigliano sempre di più alle banche ordinarie.
  Con il decreto legislativo n. 385 del 1993, noto anche come Testo unico bancario, il fenomeno è consacrato dalla legge e, mentre alle banche di credito cooperativo, nuova etichetta delle vecchie casse rurali, è fatto divieto di operare al di fuori della propria zona di competenza ed è fatto obbligo di mantenere un'operatività prevalente nei confronti dei soci, alle banche popolari è consentita la più ampia libertà.
  Nel giro di qualche anno, la totalità delle banche popolari acquisisce partecipazioni all'estero, si costituisce nella forma di gruppo bancario, include tra le società controllate almeno una società prodotto, factoring, leasing, assicurative, online, banche private o reti di promotori, investe il proprio portafoglio in strumenti finanziari più sofisticati. A fine 2014, tra le prime dieci banche italiane per patrimonio, cinque sono banche popolari.
  Ma le similitudini con le banche ordinarie non si limitano al business: quasi tutte le banche popolari più importanti sono protagoniste delle cronache giudiziarie, a dimostrazione che essere cooperativi non vuole dire necessariamente essere virtuosi, e nessuna di esse si distingue per una particolare avversione al rischio. Delle nove banche italiane bocciate negli stress test, sette sono banche popolari.
  Nonostante le chiacchiere sul rapporto banca-territorio, dunque, per vizi e per virtù le banche popolari sono in tutto e per tutto assimilabili alle Spa, e non vi è alcun serio fattore tecnico che giustifichi la difesa del voto capitario in assenza del contrappeso dei limiti all'operatività. Dirò di più: la sopravvivenza del voto capitario nelle banche popolari mette fuori dalla logica le norme che disciplinano le BCC e che, giustamente, ne limitano la crescita Pag. 39dimensionale, per preservarne la vicinanza operativa al socio-cliente, e raggiungere, così, soggetti altrimenti esclusi dal circuito del credito, perché poco interessanti per i grandi istituti.
  A questo proposito, ricordo che le BCC stanno elaborando una loro riforma, che dovrebbe soprattutto favorire le aggregazioni e le associazioni tra banche, per creare istituti di maggiori dimensioni o reti di banche più integrate, preservando, naturalmente, il carattere operativo e rendendole più simili ai loro corrispondenti europei.
  Sarebbe tutt'al più consigliabile, ove si volesse completare la pulizia di questo quadro e ripristinare, una volta per tutte, l'endiadi che esiste tra società cooperativa, voto capitario, operatività e dimensione limitata (società per azioni, invece, uguale a voto proporzionato al capitale e operatività a dimensione libera), l'introduzione, in una prossima riforma, di una trasformazione in BCC delle micro popolari e delle micro Spa, vale a dire di quegli istituti che, pur non essendo BCC, operano, di fatto, come tali.
  Un Paese, il nostro, in cui, nonostante le riforme, continuano a prosperare pochi grandi potentati economici, uniti in un abbraccio con gli amministratori pubblici che rischia di stritolare la parte vitale e competitiva dell'economia. Ma è tutto il capitalismo di relazione quello che occorre superare, un sistema che si limita ad andare a caccia di rendite di posizione, che si basa sui privilegi piuttosto che sui meriti, e aggrava le disuguaglianze, rende la società chiusa, statica, poco aperta all'innovazione; insomma, un freno.
  Solo con più competitività e maggiore apertura ai mercati si può individuare una spinta per la crescita e migliorare il benessere del consumatore. Per fare questo, è utile salvaguardare il fenomeno cooperativo, che ha prodotto molti buoni risultati in Italia e in giro per il mondo, ma, come al solito, l'ideale sarebbe essere capaci di reprimerne, però, gli abusi.
  Sono personalmente molto d'accordo con l'Antitrust: va realizzato un rafforzamento della separazione tra fondazione e banca conferitaria, perché anche questo è un altro ambito dove occorre intervenire, estendendo il divieto di tenere partecipazioni di controllo in società bancarie, anche nei casi in cui il controllo è esercitato, di fatto, congiuntamente ad altri azionisti.
  Sono certamente necessari anche altri interventi per fare sì che l'erogazione del credito riprenda in maniera vitale in Italia, prima di tutto la costituzione di una bad bank con l'obiettivo non di salvare le banche, ma anche di favorire la crescita, favorendo un'accelerazione nell'erogazione del credito. Non sono solo le popolari. È chiaro, l'ho già detto, da Siena alle Marche, da Ferrara a Genova passando per Spoleto, ci sono quasi sempre élite locali, per le quali le fedeltà interne, il credito concesso sulla base di un'amicizia, il controllo in una cerchia sulle poltrone e sui bilanci prevalgono su tutto. Questi valori dei circoli chiusi troppo spesso hanno avuto la meglio sulla logica economica, sul buonsenso, sull'interesse collettivo e sulla trasparenza. Oggi non basta più avere un pezzo di terra, la benevolenza del sindaco e la confidenza con il direttore della banca. Il mondo è cambiato e rappresentare ancora un piccolo e perfetto mondo antico sotto attacco di speculatori con denti aguzzi può funzionare per strappare l'applauso di persone spiazzate dalla crisi o disorientate dal cambiamento, ma non offre nessuna soluzione concreta: non ci aiuta ad affrontare una realtà sempre più complessa e complicata.
  Ricorderete tutti, colleghi, un'immagine ricorrente in quella terza Italia così mirabilmente descritta da De Rita, e cioè la presenza nei giardini e nelle villette di numerosi imprenditori, nati a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, di Biancaneve e dei sette nani. Non vorrei che, oggi che i nanetti nei giardini e nelle loro villette quegli imprenditori li hanno portati, qualcuno proponga di sostituirli con la fata turchina.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Laffranco. Ne ha facoltà.

  PIETRO LAFFRANCO. Grazie Presidente, colleghi in molti presenti, Governo, Pag. 40ci accingiamo a discutere di questo decreto-legge varato dal Governo e controfirmato dal Presidente della Repubblica supplente, Grasso, nelle more dell'elezione del nuovo Presidente. E noi, che nutriamo più di un dubbio sui requisiti di necessità ed urgenza, ne abbiamo di più nel momento in cui dobbiamo rimarcare questo fatto. Non vorremmo che la firma fosse arrivata, per così dire, con una qualche dose di superficialità, anche perché qualcuno dovrebbe spiegarci quale sia la necessità e l'urgenza, ma soprattutto l'urgenza, di varare un provvedimento immediatamente esecutivo, come un decreto-legge, per una riforma che secondo alcuni era necessaria da anni.
  Questo decreto-legge ci induce innanzitutto un paio di riflessioni di carattere essenzialmente politico, su cui ovviamente si potrà essere d'accordo o meno, ma che a nostro avviso meritano di essere evidenziate. La prima: il decreto-legge riforma la governance di questo tipo di banche, le banche popolari. Ora questa riforma della governance mi pare l'ossessione di Renzi. Renzi ha riformato la governance del Partito Democratico, poi ha riformato la governance del Governo ed ora vuole riformare la governance delle banche popolari ed annuncia una riforma della governance della RAI. Il problema è solo chi comanda, ma non che cosa fa.
  La seconda domanda, se volete un po’ più seria della prima – e credo che sia l'unica domanda che si pongono veramente di italiani, i pochi che possono in questo momento avere tempo per attenzionare questo tipo di provvedimento – è: ma questo decreto-legge, questa decisione del Governo, aiuterà una maggiore erogazione del credito a famiglie e a imprese, ovvero questo provvedimento darà modo di risolvere una delle carenze strutturali dell'economia italiana, che frena l'uscita dalla crisi e, quindi, una nuova crescita economica e un nuovo benessere ?
  Perché si può discutere di molte cose, ma credo che, per essere davvero seri, sarebbe necessario dare questo tipo di risposta. Secondo noi, purtroppo, non è così, perché, vedete, al contrario questo decreto rischia di avere pesanti ricadute, ricadute negative, sul sistema bancario e creditizio italiano.
  Da sempre, o almeno negli ultimi decenni, il ruolo delle banche popolari è stato essenziale per sostenere il territorio, tenendo conto del sistema economico italiano, che è un sistema economico fondato sulle piccole e medie imprese, a differenza di quanto avviene in altri Paesi industrializzati, dove, invece, prevalgono grandi imprese sostenute da grandi banche. Il nostro, invece, è un tessuto imprenditoriale fondato appunto su piccole e medie imprese e connotato, peraltro, da profonde differenze di ricchezza tra nord, centro e sud, terreno fertile per lo sviluppo e il consolidamento di un modello di banca del territorio, fondata, appunto, non sul rapporto di natura industriale con il cliente, ma su un rapporto che potremmo definire quasi «sartoriale».
  E qui mi sovviene un'altra riflessione: ha ragione il Governo italiano a proporre questa riforma della governance delle banche popolari o la Germania, che capitalizza le sue banche popolari e le difende fino in fondo, anche in maniera non ortodossa, dalle osservazioni della Banca centrale europea ?
  Il modello di banche popolari, come l'esperienza ci insegna, favorisce un migliore accesso al credito di piccole e medie imprese e famiglie, rispetto a quanto assicurato dagli istituti bancari di grandi dimensioni, la cui visione necessariamente è incentrata su logiche più industrializzate di valutazione del merito creditizio e di focalizzazione sulla evidente convenienza di carattere economico. La vocazione delle popolari, invece, è quella di garantire al territorio quel sostegno che spesso non può essere assicurato dalle differenti logiche gestionali dei grandi istituti. Questo grazie allo schema mutualistico, che si fonda sull'azionariato diffuso, contraddistinto da un legame duraturo che poggia sulla fiducia dei soci, spesso nucleo portante della clientela, che da un lato partecipano attivamente alla governance della banca, dall'altro lato utilizzano questo sistema Pag. 41di relazioni per investire i propri risparmi e per accedere ai finanziamenti.
  La trasformazione delle banche popolari in Spa determinerà, peraltro, una grave perdita per gli attuali soci, perché viene ad essere di imperio stravolto il principio cardine della mutualità. Visto l'azionariato frazionato, i piccoli azionisti perderanno capacità di partecipazione alla governance e i loro titoli subiranno una perdita di valore per il minore potere di voto rispetto a chi verrà a configurarsi come socio di riferimento.
  Ho sentito poi una riflessione di qualche collega sui problemi e le criticità che hanno contraddistinto le banche popolari. Questo mi consente di recuperare una riflessione, che non è mia, ma che ho ascoltato ieri nel corso del lungo esame da parte delle Commissioni riunite, perché, se una serie di criticità ci sono state in alcune banche popolari – altre hanno addirittura problemi di carattere giudiziario che non spetta certo a me commentare –, bisognerebbe domandarsi chi abbia suggerito o indotto una serie di operazioni, magari di acquisizione, che hanno indebolito la resistenza di alcune banche popolari.
  Quindi, in questo senso mi sento di dire che io personalmente sarei già fin d'ora d'accordo sulla proposta di indagine conoscitiva che ieri il presidente della Commissione bilancio ha formulato nel corso dell'esame su una serie di questioni che sono capitate nel corso di questi anni a queste banche, perché credo che sarebbe utile e opportuno, ma soprattutto assolutamente trasparente, per questo Parlamento e per gli italiani sapere come mai oggi parta la spinta a modificare la governance di banche popolari. Forse perché chi doveva vigilare in passato non ha vigilato e oggi si sente nella necessità di procedere ad uno stravolgimento che in qualche misura assopisca le proprie responsabilità ? Non lo so, lo pongo come quesito, ma sarà – credo – un dovere di questo Parlamento quello di indagare e verificare, senza strumentalità, perché qui non c’è di mezzo la parte politica, ma c’è di mezzo la trasparenza e la vigilanza sul sistema bancario, così importante per la nostra economia e per il nostro Paese.
  Inoltre, le norme contenute in questo decreto-legge sono il preludio all'insediamento nelle vesti di controllanti di nuovi azionisti, potrebbero essere istituzionali, nazionali, esteri, certamente poco interessati al rapporto di lungo periodo, ma focalizzati sulla massimizzazione della redditività di breve, a scapito dell'interesse delle economie locali.
  Proprio in virtù dell'estremo frazionamento della compagine sociale, il controllo delle popolari trasformate in Spa potrà essere acquisito rilevando quote minoritarie del capitale con contenuti investimenti: come dire, situazioni di natura speculativa assolutamente preoccupanti per quanto ci riguarda. E questo non potrà che impattare pesantemente sulle modalità con cui le banche popolari concedono credito al territorio. Molte piccole e medie imprese e famiglie non rientreranno più nei criteri di finanziabilità dettati da rigide logiche di profitto e perderanno accesso al credito, con impatti sulla ripresa economica del nostro Paese e, soprattutto, delle zone maggiormente disagiate, come il sud, già peraltro pesantemente a rischio.
  Né va dimenticato che tra il 2011 e il 2013 – perché questi sono i dati – le banche popolari hanno aumentato i prestiti ai clienti del 15,4 per cento rispetto alle banche società per azioni, che li hanno ridotti del 4,9 per cento. Questi dati sono trainati dalle dinamiche delle dieci banche popolari oggetto del provvedimento, le quali non avrebbero sicuramente garantito gli stessi risultati con una diversa forma giuridica, alla quale si associa un diverso legame con il territorio. Dunque, i dati e la storia confutano l'ipotesi che grandi banche Spa possano necessariamente favorire l'accesso al credito. Non è necessariamente così.
  Dunque, in conseguenza del decreto-legge, si apriranno le porte all'accesso di operatori esteri al mercato italiano, ben distanti dalla conoscenza del territorio, ma interessati, legittimamente peraltro, a fare profitti, potendosi finanziare magari in altri Paesi a tassi vantaggiosi e accedendo Pag. 42ad un mercato selettivo del credito italiano di qualità, che garantisce ancora opportunità di rendimento più che positive. E questo non farà che esacerbare la disparità di accesso al credito da parte degli imprenditori di eccellente standing creditizio, da un lato, e, dall'altro, di piccole e medie imprese e famiglie, che, di converso, possono finanziariamente essere sostenute solo da banche di prossimità.
  Va detto, peraltro, che le dieci maggiori banche popolari sono diffusamente presenti su aree del territorio nazionale meno presidiate da grandi Spa e da piccole banche di credito cooperativo: aree che verrebbero private del sostegno assicurato sin ora dalle stesse popolari, che difficilmente potrà essere colmato dalle realtà minori, che logicamente per ora non dispongono di dimensioni, capitali e risorse, anche umane, sufficienti a garantire un'efficace sostituzione, e che, stante la dimensione dei famosi 8 miliardi di euro, non saranno incentivate né a ulteriore crescita né tanto meno a consolidamento.
  Il decreto-legge, dunque, presenta non soltanto questo difetto dell'urgenza, a nostro avviso, ma presenta poi un elemento straordinariamente irrazionale, che è quello del perimetro della riforma stessa, la famosa soglia degli 8 miliardi di euro, che è stata prevista dal Governo, a nostro avviso irrazionale e persino incoerente con le sue finalità. Intanto, qualcuno ci dovrebbe dire perché questa riforma deve interessare solo le banche popolari con un attivo sopra gli 8 miliardi di euro, piuttosto che tutte. Secondo, qualcuno ci dovrebbe dire perché il riferimento è all'attivo patrimoniale e non al patrimonio netto, magari al netto degli ammortamenti.
  Io credo che la soglia degli 8 miliardi di euro non sia rappresentativa di alcun criterio né industriale, né di vigilanza. Anzi, l'identificazione di una soglia legata alla dimensione dell'attivo rischia di scoraggiare il consolidamento tra banche popolari più piccole che, quindi, potrebbero, come già detto in precedenza, essere indotte a non percorrere ipotesi di sviluppo o razionalizzazione, magari arrivando a ridurre le erogazioni creditizie se questo dovesse determinare il superamento di quella soglia.
  Tra l'altro, se uno degli obiettivi è quello di favorire un maggior consolidamento del sistema bancario, va ricordato che esistono molti studi, soprattutto di provenienza europea, che ritengono che il massimo dell'efficienza al crescere della dimensione si realizzi con un attivo intorno ai 20 miliardi di euro. Mentre, addirittura esiste un altro parametro di riferimento che avrebbe potuto essere quello relativo ai famosi 30 miliardi di euro, cioè la soglia che identifica gli istituti soggetti alla vigilanza diretta della BCE. E allora qualcuno – ripeto – ci dovrebbe spiegare perché 8 miliardi di euro.
  Il problema è che nessuno ci ha spiegato perché 8 miliardi di euro o, forse, è talmente facile comprenderlo che non c’è neppure bisogno di porre la domanda. Perché 8 miliardi di euro ? Perché ci doveva rientrare per forza qualcuno, ovvero non qualcun altro ? E perché non tutti ?
  Oltre a questa vicenda della dimensione, entra in gioco l'aumento del rischio sistemico del potere lobbistico, senza contare che le grandi banche Spa, considerate nel loro complesso, hanno generato perdite problematiche durante la recente crisi ben superiori a quelle delle banche popolari, che, soprattutto in Italia, hanno retto più che positivamente al punto da diventare attori centrali in molte ipotesi di ristrutturazione e salvataggio emerse negli ultimi tempi. Ecco, qui riemerge la necessità di indagare attentamente su quanto è avvenuto nel sistema bancario italiano negli ultimi anni e, segnatamente, in alcune delle banche popolari coinvolte in questa riforma della governance voluta dal Governo.
  Per le banche non quotate, la trasformazione in Spa potrebbe innescare dinamiche oltretutto pericolose per la stabilità e per la loro capacità di restare sufficientemente patrimonializzate e competitive, sia rispetto a quelle già quotate, che a quelle non coinvolte. La prospettiva della trasformazione, risultando associata alla Pag. 43prospettiva della perdita dei benefici propri della cooperativa, potrebbe determinare una disaffezione immediata della base sociale, anche in considerazione della sterilizzazione del recesso e delle diverse e più penalizzanti dinamiche di mercato secondario.
  E, poi, c’è quello che dicevo prima, cioè l'agevolazione dei fenomeni cosiddetti speculativi o potenzialmente speculativi perché la frammentazione del capitale propria delle popolari potrebbe agevolare il controllo delle banche trasformate da parte di nuclei di azionisti aventi una valenza esclusivamente finanziaria, tra i cui soci anche esteri, che non hanno alcun interesse a sostenere la banca, ma guardano...

  PRESIDENTE. Scusi, onorevole Laffranco. Onorevole Arlotti, gentilmente, grazie.

  PIETRO LAFFRANCO. Non si preoccupi. Grazie, Presidente. Dicevo dei soci, anche esteri, che non hanno alcun interesse a sostenere stabilmente la banca, ma guardano piuttosto alle possibilità offerte dal governo di breve periodo della banca stessa e alle possibilità, ovviamente, di speculazione finanziaria. Una governance ispirata da ragioni speculative comprometterebbe in modo significativo la capillarità del modello cooperativo facendolo scomparire dove ha più senso e radicamento, come, per esempio, nella parte meridionale del nostro Paese.
  C’è poi la vicenda del diritto di recesso. L'articolo 1, comma 1, lettera a), del decreto-legge interviene sul diritto di recesso per evitare che il rimborso delle azioni possa riflettersi negativamente sulla computabilità delle azioni nel patrimonio di vigilanza di qualità primaria della banca. Ma questo presenta delle rilevanti criticità. Si attribuisce alla Banca d'Italia una potestà generale in relazione a tutte le ipotesi di recesso, sicché non si capisce perché le stesse esigenze che sottendono alla soprarichiamata disposizione del decreto-legge non debbano applicarsi a tutti i soggetti sottoposti ad un regime di vigilanza prudenziale. Il decreto-legge sterilizza, come dicevo prima, o meglio consente alla Banca d'Italia di sterilizzare, non il diritto di recesso in sé, ma il diritto al rimborso delle azioni in caso di recesso e la norma reagisce in modo differente a seconda che la banca interessata sia quotata o meno.
  E poi, colleghi, c’è la vicenda della discrezionalità sulle conseguenze della mancata trasformazione. Le conseguenze possono variare secondo una gradazione che arriva fino alla messa in liquidazione dell'ente. Evidentemente, si attribuisce al regolatore un potere che non ha alcuna mitigazione dal punto di vista della discrezionalità tecnica. La trasformazione obbligatoria avrebbe potuto essere configurata come extrema ratio nel caso in cui le banche popolari non avessero seguito un percorso di riforma della governance secondo le direttive condivise caso per caso con la vigilanza. Le problematiche che hanno ispirato il decreto-legge non si sono manifestate per tutte le dieci banche coinvolte o, comunque, in maniera assolutamente diversa e con diverse gradazioni. Anzi, ognuna delle medesime ha dinamiche differenti, per cui il percorso individuale, nel senso della riforma della rispettiva governance, avrebbe necessariamente direzioni e impatti differenti. La trasformazione obbligatoria appiattisce le problematiche, snatura il modello cooperativo in una situazione in cui, invece, soluzioni mirate e ritagliate sulle singole banche avrebbero potuto condurre decisamente a risultati migliori.
  Il sistema delle banche popolari, onorevoli colleghi, ha avviato un processo di riforma che porterà al superamento di quelle che sono le principali debolezze del suo impianto di funzionamento, ma il decreto-legge, a nostro avviso, può ostacolare questo processo vanificandone i contenuti, laddove dovessero venir meno, come potrebbe avvenire, le dieci realtà principali del credito popolare. Le popolari di minori dimensioni, prive dei principali riferimenti nell'ambito della categoria, non saranno in grado di svolgere il proprio ruolo in maniera efficace e non Pag. 44avranno interesse a percorrere ipotesi di sviluppo, laddove tali strategie dovessero determinare il superamento della famosa soglia degli 8 miliardi di euro.
  Ecco perché noi abbiamo lavorato nelle Commissioni, dinnanzi, purtroppo, a un atteggiamento di Governo e maggioranza non particolarmente sensibile, voglio usare questo eufemismo, per tentare di apportare delle modifiche che avessero, almeno, la capacità di frenare gli effetti più negativi del decreto-legge. Una soluzione che noi abbiamo proposto è stata quella di provare a inserire nel novero delle banche popolari interessate dal decreto-legge quelle con un attivo superiore ai 30 miliardi di euro, cioè la soglia, come dicevo nella parte iniziale del mio intervento, che sottopone alla vigilanza diretta della Banca Centrale Europea e che per questo è riconosciuta come significativa.
  Abbiamo, in alternativa o in combinazione con il criterio precedente, provato a farlo applicare alle sole realtà quotate in borsa che, per molti versi, anche per la presenza di investitori istituzionali con quote di partecipazione di un certo significato e con voce in capitolo nelle scelte gestionali, hanno già un modello di governo in parte differente da quello più tradizionale delle banche popolari non quotate; tra l'altro, la distinzione tra quotate e non quotate sarebbe più coerente con la ratio di incentivare la contendibilità della proprietà delle banche, nonché la loro capacità di accesso a capitali esteri, in prospettiva di una nuova patrimonializzazione del sistema.
  Abbiamo anche provato a verificare la possibilità di un allungamento dei tempi di adeguamento alla riforma ad almeno cinque anni, mancando, a nostro avviso, il presupposto di tale urgenza, al fine di poter sfruttare una sperabile miglioria dello scenario di mercato per traguardare un cambiamento così significativo.

  PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Laffranco.

  PIETRO LAFFRANCO. Di fronte a tutto questo, maggioranza e Governo hanno dato il via libera soltanto a poche modifiche, due hanno un qualche impatto significativo, e noi le abbiamo osservate con attenzione, pur tuttavia, signor Presidente, onorevoli colleghi, il nostro giudizio su questo decreto-legge resta assolutamente negativo. Resta negativo perché il nostro timore è che faccia parte di quell'insieme di provvedimenti del Governo che tentano di dimostrare alla pubblica opinione che comunque si fa una riforma. Questa è, a nostro avviso, l'ossessione di questo Governo, cioè dimostrare agli italiani che si fanno riforme. La nostra filosofia è diversa, signor Presidente, noi riteniamo che si debbano fare delle buone riforme, non delle riforme purchessia (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mazziotti Di Celso. Ne ha facoltà.

  ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO. Signor Presidente, Scelta Civica appoggia questo decreto-legge, lo ritiene un passaggio importante e, soprattutto, un'innovazione necessaria. Ho sentito dire che non c'era urgenza, perché si attendeva questo provvedimento da anni: è esattamente quella l'urgenza. Questa situazione ha costretto tutte queste banche, come ha sottolineato Banca d'Italia nell'audizione, a ricapitalizzarsi a razzo subito prima degli stress test, per poterli superare, consentendo a queste banche di superarli per un pelo, ed è urgente perché è evidente che, se si verificasse una situazione nel prossimo controllo in cui alcune di queste banche si trovassero in difficoltà dal punto di vista del capitale – come è possibile –, la possibilità di accesso al credito e il ricorso ad aumenti di capitale sarebbe molto difficile. Questo lo insegna l'esperienza di tutti questi anni, contrariamente a quello che è stato detto. È evidente che, se si verificasse una crisi patrimoniale di una di queste banche, gli effetti di Borsa, perché purtroppo alcune sono quotate, sarebbero immediatamente violentissimi e Pag. 45la difficoltà per ricapitalizzarle sarebbe estrema.
  Per questo l'urgenza esiste: è indubbio che si poteva fare prima e probabilmente con calma, ma in questo momento, vista anche la nuova regolamentazione, questo provvedimento è urgente. Ho sentito anche criticare l'utilizzo dell'attivo come riferimento, l'utilizzo dell'attivo è il riferimento dimensionale che viene usato sempre, viene utilizzato nella legge antitrust, viene usato nella normativa europea per valutare la dimensione e la rilevanza delle banche e, quindi, è del tutto normale usarlo. Abbiamo discusso molto della soglia; sulla soglia anche Scelta Civica ha presentato un emendamento chiedendo che venga innalzata ai livelli di sorveglianza dell'Unione europea, della BCE.
  Ma, allo stesso tempo, abbiamo chiesto che si introducesse un divieto assoluto di quotazione delle banche popolari, perché uno dei problemi che abbiamo oggi con questa legislazione è che potenzialmente si potrebbero quotare in Borsa banche popolari sia di attivo inferiore agli 8 miliardi di euro, sia magari di attivo superiore nei prossimi diciotto mesi. Questo emendamento speriamo che il Governo lo riconsideri per l'Aula. C’è stata poca comunicazione in questo frangente tra maggioranza e tra parti di maggioranza; noi pensiamo che su questi due aspetti sarebbe opportuno intervenire, soprattutto sulla quotazione in Borsa, perché la quotazione in Borsa è incompatibile con la struttura delle banche popolari. Pensare che possa essere quotato in via indistinta, immateriale, il titolo di una società, dove poi le decisioni non vengono prese in relazione al numero di titoli detenuti ma in relazione ai singoli individui, è una cosa che è inconcepibile per chiunque. È stato un errore gravissimo consentirlo prima e le distorsioni si sono viste.
  Ho sentito criticare il provvedimento sulla base del fatto che si elimina la prossimità, che si elimina la possibilità di avere banche vicine al territorio, che queste banche, incluse le più grandi, sono state descritte come strutture a prevalente vocazione territoriale e con una maggiore capacità di erogare credito: bene, molte di queste, come Banca d'Italia ha segnalato, hanno presenze su sessanta province italiane, a fronte di una media di settanta delle altre principali banche, quindi è evidente che la natura territoriale di queste banche si è persa.
  Non solo, anche in merito all'erogazione del credito, noi oggi viviamo, purtroppo, una situazione nella quale moltissime di queste banche hanno sofferto di scandali gravissimi e di indagini penali altrettanto importanti, basta citare le vicende della Popolare di Lodi, il fatto che oggi Veneto Banca è sotto indagine e di BPM ricordiamo gli ultimi eventi. Tutte queste vicende riguardano l'erogazione del credito. Il problema non è il migliore accesso al credito, il problema è l'accesso al credito dei migliori imprenditori. Questo è quello di cui ha bisogno questo Paese, non un generico concetto di accesso al credito di chiunque, perché non serve a nulla, fa soltanto prolungare situazioni di agonia aziendale, magari di piccole imprese, impedendo l'accesso al credito alle nuove. È molto positivo il provvedimento sulle start up, l'articolo che c’è sulle start up innovative in questo provvedimento, perché da noi si continua e si è continuato per anni a privilegiare le imprese, magari in grave difficoltà, del territorio, piuttosto che favorire chi inizia l'attività. Questo è il più grande problema di questo Paese. E quando si arriva a situazioni in cui l'investitore, l'imprenditore finanziato dalla banca è quasi sempre un azionista – perché, parliamoci chiaramente, questo è quello che succede con le banche popolari, dove c’è spessissimo un do ut des tra finanziamento, partecipazione azionaria e voto nelle assemblee –, quando avviene questo, si fa del male al tessuto imprenditoriale, non lo si favorisce.
  Vorrei citare, per chi oggi, soprattutto nelle Commissioni, ha negato i problemi che esistono nella governance delle banche popolari, una lettera di un presidente di una popolare, che è stata recentemente pubblicata sui giornali a fronte di un'indagine in corso, in cui si diceva: se una persona che lavora per la banca o per il Pag. 46gruppo si dovesse attivare in antitesi rispetto a quello che la banca intende trasmettere, sarebbe un atto di sfiducia nei miei confronti, un atto scorretto e offensivo nei confronti dei vertici. Questo è quello che scriveva il presidente di una grande popolare, colui che doveva rappresentare i soci, non se stesso. Questa situazione si è verificata mille volte – mille volte ! – ed è evidente che il voto capitario lo favorisce. Lo favorisce perché molte volte chi compra l'azione della banca, non compra l'azione della banca come investimento, ma la compra perché è parte di una diversa organizzazione o, ad esempio, un dipendente; quindi, si inverte il rapporto di investimento: non è più «compro un'azione e sono un dipendente», ma è «compro un'azione siccome sono un indipendente». Questo tipo di situazione è concepibile per delle banche di prossimità, per delle popolari di dimensioni limitate, è inconcepibile per una società quotata. Per questo il provvedimento è corretto. Noi pensiamo che si debba assolutamente vietare la quotazione delle popolari e provvedere su quelle già quotate, imponendone la trasformazione. Speriamo che ci sia l'innalzamento della soglia, perché noi l'abbiamo proposto, ma il provvedimento nel suo complesso è indiscutibile.
  Oggi, vi è chi sostiene, in realtà, che non è vero che ci sono dei problemi, perché le popolari hanno erogato molto più credito e hanno accantonamenti più bassi delle altre banche, ma il problema è che hanno perdite più alte – lo ha detto Banca d'Italia – e che oggi tutte le indagini in corso sono su indicazioni e risultati di un'indagine di Banca d'Italia per eccessi nella patrimonializzazione delle imprese, per dubbi sulla veridicità dei conti di queste banche.
  Bisogna intervenire, e bisogna trasformare delle banche da 100 miliardi in attivo in delle normali società per azioni. Poi possiamo discutere della soglia, e lo abbiamo fatto anche noi; ma che questo provvedimento porti a migliorare il sistema bancario italiano non è in dubbio.
  Ho sentito spesso parlare di speculatori, come se chi compra le azioni di una banca non essendo un dipendente fosse uno speculatore. Cioè oggi abbiamo sentito dire più volte, e ancora di più in Commissione, sia da sinistra che da destra, che sostanzialmente il fatto di consentire a qualcuno di comprare più azioni per avere più voti significa che è uno speculatore di breve termine; ciò è una cosa surreale, perché vuol dire stabilire che il sistema normale dell'economia di mercato, dove uno compra azioni pere contare di più in un'azienda, è di per sé speculativo. Ora, se questa è l'idea che hanno sia a sinistra che a destra del mercato, diciamo che forse siamo rimasti gli unici a pensare ad un'economia moderna, libera in questo Paese.
  Per questo dico che si può discutere: siamo stati i primi a sollevare dei temi con la maggioranza, ma questo provvedimento va approvato e va approvato subito, e l'urgenza è nei fatti: nei fatti che si possono trovare sui giornali, in quello che ha detto la BCE nella revisione dei conti delle banche, in quello che ha detto Banca d'Italia, e sentire l'onorevole Paglia che dice che non gli interessa quello che dice Banca d'Italia quando parla della solidità del mercato bancario lo trovo altrettanto surreale. Per questo noi sosterremo il provvedimento, pur ripresentando gli stessi emendamenti che abbiamo presentato in precedenza, in particolare per quel che riguarda le soglie e il divieto di quotazione in Borsa delle banche popolari.
  Vari sono gli altri articoli positivi in questo provvedimento: c’è quello che riguarda i finanziamenti all'esportazione della SACE, che raccoglie anche un nostro emendamento; ce ne sono altri sulle Spa innovative, che altrettanto trovano il nostro consenso, così come quelli sul fondo di garanzia e sulla discrezionalità del ricorso al plafond di Cassa depositi e prestiti. Vorrei però, perché se ne è parlato, soffermarmi sul cosiddetto fondo di patrimonializzazione.
  Scelta Civica, che è un partito che spinge per privilegiare sempre l'investimento privato, è indubbio che vede il ricorso a questo tipo di strumento con un minimo di sospetto: perché sappiamo che Pag. 47soprattutto tra i nostri alleati del Partito Democratico esiste una grande componente che vuole un intervento statale nell'economia più forte. Noi non lo vogliamo: pensiamo che questo tipo di strumento possa essere utile, se quella promozione di uno strumento a cui partecipino investitori istituzionali e professionali promuova soprattutto la presenza di investitori privati. Qui abbiano presentato un emendamento in questo senso, che ci è stato bocciato; ne prendiamo atto, ma siamo comunque soddisfatti del fatto che sia stata accolto il nostro emendamento che prevede che l'investimento del fondo in società che sono in temporanea difficoltà debba essere della durata minore possibile, una volta superata la difficoltà. In questo senso, prima si è detto: ma se sono aziende che operativamente stanno bene, non hanno bisogno di fondi. La differenza è proprio quella: sono aziende che stanno operativamente bene ma finanziariamente male, spesso per operazioni magari di indebitamento eccessivo fatte da altri management, e oggi sono state risanate ma per crescere e per migliorare hanno bisogno di fondi, temporaneamente; per questo il limite di tempo per noi è essenziale.
  Così come è essenziale che ai soci che non hanno la garanzia dello Stato siano dati dei diritti particolari. Noi abbiamo presentato degli emendamenti, li ripresenteremo e presenteremo, nel caso, degli ordini del giorno per assicurarci che il DPCM che verrà emanato preveda dei diritti di veto degli azionisti senza garanzia sugli investimenti.
  In assenza di quelli è chiaro il rischio, da qualcuno evocato, da me stesso evocato, di tornare all'IRI, che è stato un desiderio non attuato di tutti i Governi precedenti, sia di sinistra che di destra. A seconda dei momenti si è tentato di fare cose di questo tipo, sono stati anche fatti fondi di questo tipo. Noi non vogliamo questo: per cui presenteremo di nuovo gli emendamenti, e vigileremo per evitare questo.
  In conclusione, Scelta Civica appoggerà questo provvedimento. Speriamo che siano fatte delle correzioni in particolare penso al tema della quotazione in Borsa delle banche popolari; speriamo che in Aula questi possano passare, ma lo consideriamo comunque un importante progresso per l'innovazione, il miglioramento del nostro Paese, e per poter affrontare meglio le sfide dei prossimi anni, sfide alle quali dovremo partecipare con un sistema più moderno, più nuovo; perché si dice che l'economia sta ripartendo: se riparte, ripartiranno quelli che avranno innovato in tempo il proprio sistema, per poter competere su tutti i mercati.

  PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Dorina Bianchi, iscritta a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato. È iscritto a parlare l'onorevole Arlotti. Ne ha facoltà.

  TIZIANO ARLOTTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento che ci accingiamo a discutere ed approvare ha come obiettivo quello di intervenire sul sistema bancario ma anche su quello degli investimenti e, a maggior ragione, per favorire una robusta azione di sostegno ai processi di internazionalizzazione e di esportazione, per favorire la crescita dell'economia italiana con particolare riguardo alle piccole e medie imprese che, notoriamente, hanno maggiore difficoltà di accesso al credito e al mercato dei capitali. Quindi, userò il tempo a mia disposizione per concentrarmi prevalentemente su questo aspetto perché durante la crisi globale, che ha avuto effetti maggiore nel nostro Paese rispetto ad altre realtà di questi ultimi anni, nonostante le grandi difficoltà e le turbolenze finanziarie ed economiche, l'Italia ha aumentato il proprio fatturato estero manifatturiero addirittura più di quello tedesco.
  Ci sono cinque Paesi al mondo che hanno un surplus commerciale superiore a 100 miliardi di dollari, l'Italia è fra questi e nel 2014 il surplus commerciale è stato di 107 miliardi di euro mentre nel 2010 era di 30 miliardi di euro. Significa che in quattro anni l'Italia ha più che triplicato il suo surplus commerciale ed è la seconda potenza industriale europea dopo la Germania. La nostra forza è rappresentata in Pag. 48particolare da un sistema di piccole e medie imprese dotate di una spiccata capacità innovativa, di produzione di qualità e di eccellenza in cui siamo leader a livello mondiale e che rappresentano il nostro miglior biglietto da visita nel mondo, basti pensare che fra gennaio e settembre 2014 sono stati esportati nel modo 75 miliardi e mezzo di euro di prodotti made in Italy da ben 243.218 piccole e medie imprese su un totale di export del nostro Paese che è stato pari a 282,5 miliardi di euro a fine 2014.
  Le piccole e medie imprese rappresentano il 26,7 per cento dell’export manifatturiero, quindi a maggior ragione è importante ciò che è previsto all'interno del provvedimento in oggetto. Non è quindi casuale se in questo disegno di legge che reca misure urgenti per il sistema bancario e degli investimenti è stato inserito l'articolo 3 che, fra l'altro, nel corso del confronto è stato modificato perché la discussione che c’è stata da parte di tutti i gruppi parlamentari e dei colleghi è stata una discussione che ha portato ad una riformulazione di questo articolo già nel titolo stesso: esercizio del credito a supporto dell’export e dell'internazionalizzazione dell'economia italiana da parte di Cassa depositi e prestiti Spa. Infatti, rispetto alla formulazione originaria che attribuiva a SACE la competenza a svolgere l'attività creditizia, con le modifiche in esame tale funzione è stata attribuita a Cassa depositi e prestiti, che può esercitarla direttamente o tramite SACE ovvero tramite una diversa società controllata, in quest'ultimo caso previa autorizzazione della Banca d'Italia. Viene conseguentemente modificata la disciplina della cosiddetta «export bank» contenuta nell'articolo 8 del decreto-legge n. 78 del 2009, consentendo l'utilizzo dei fondi provenienti dalla gestione separata di Cassa depositi e prestiti per tutte le operazioni volte a sostenere l'internazionalizzazione delle imprese e non solo quelle – come precedentemente stabilito – assistite da garanzia o assicurazione della SACE o di altro istituto assicurativo le cui obbligazioni siano garantite da uno Stato.
  La cosa che, quindi, va evidenziata è che questo articolo 3, considerando strategica l'attività di esportazione per far crescere la nostra economia, coerentemente alle strategie che il Governo persegue con il suo programma di legislatura, consentirà a Cassa depositi e prestiti Spa di agire direttamente o tramite SACE, ma anche con un soggetto specifico, dietro ovviamente parere favorevole da parte della Banca d'Italia, per svolgere questo intervento a sostegno dell'internazionalizzazione e dell’export delle nostre imprese.
  Con questa operazione va detto che noi – così come avviene in altri Paesi e parlo di Stati Uniti, India, Cina e Giappone –, nel rispetto delle normative internazionali, europee e nazionali saremo in grado di supportare l’export, l'internazionalizzazione delle nostre imprese e di aumentare la competitività rispetto a chi già oggi opera sul mercato internazionale con questi strumenti.
  Cassa depositi e prestiti potrà scegliere le modalità operative più opportune per esercitare questa funzione di esercizio del credito in via diretta, oppure tramite SACE, oppure – come dicevo – tramite la costituzione di una società controllata e credo che, da questo punto di vista, ciò possa consentire, se c’è il controllo di questa società, anche l'individuazione, comunque sia, e la costituzione di un soggetto che abbia le caratteristiche per poter mettersi in sinergia con operatori selezionati che consentano di poter dare più opportunità al nostro Paese e alle nostre imprese.
  Le garanzie – così come previsto dal decreto n. 91 del 2014, all'articolo 32 – potranno essere utilizzate in settori strategici in società di rilevante interesse nazionale, sia per il livello occupazionale e di fatturato, che per il rilancio del sistema economico e produttivo.
  Per questo motivo, la garanzia che dovrà essere rilasciata dal Ministero dell'economia e delle finanze non opererà sull'intera operazione, ma soltanto a copertura di eventuali perdite compatibili con i limiti globali degli impegni assumibili in garanzia e nell'ambito delle garanzie Pag. 49concesse dallo Stato iscritte ovviamente nello stato di previsione del MEF, che ha una dotazione iniziale nel 2014 di 100 milioni di euro.
  Io credo che questa forte iniziativa, messa in atto dal Governo, sia un'iniziativa che tende a dare spessore e coerenza ad un provvedimento che – come dicevo – ha avuto i fari e l'attenzione prevalentemente sul sistema bancario, ma visto nella sua interezza proprio per quello che potrà portare anche in termini di accrescimento delle opportunità per le nostre piccole e medie imprese e per il sistema Paese. Per questo, lo votiamo con molta convinzione.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 2844-A)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore di minoranza per la Commissione VI (Finanze), onorevole Busin, che però non vedo in Aula e presumo quindi che vi abbia rinunciato, come il relatore Pesco, che non è in Aula e presumo che abbia rinunciato ad intervenire. I relatori per la maggioranza, l'onorevole Causi, per la VI Commissione (Finanze), e l'onorevole Taranto, per la X Commissione (Attività produttive), sono in Aula ma rinunciano alla replica.
  Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

  PIER PAOLO BARETTA, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, non riprenderò ovviamente l'insieme della discussione che ha attraversato in queste settimane il decreto-legge e la cui eco abbiano avuto anche questa mattina.
  Mi limito solo a brevissime considerazioni, tenendo conto di quanto abbiamo ascoltato in Aula. La prima considerazione che voglio fare è: non solo banche; questo è un decreto-legge complesso ed è evidente che la concentrazione nel dibattito, per ovvie ragioni, è stata soprattutto sul primo articolo. Ho invece apprezzato il fatto che i relatori per la maggioranza abbiano affrontato interi capitoli, diversamente dai relatori di minoranza che si sono concentrati soltanto sull'articolo 1, ignorando il resto delle questioni, sbagliando perché il decreto-legge prevede questioni rilevanti sulle piccole e medie imprese, sul sostegno all’export e sulle start-up.
  È stata molto impegnata la discussione parlamentare in Commissione ed è andata anche molto bene, direi, con un clima molto costruttivo su questi aspetti. Inoltre, si prevede un intervento sulla portabilità dei conti correnti, che ha bisogno di essere affinato ma che fa passi in avanti notevoli rispetto alla situazione attuale. Quindi, vale la pena sottolineare la complessità dei provvedimenti che sono stati proposti dal Governo e adottati dal Parlamento. Peraltro, su questi altri capitoli tutti, anche le opposizioni – e lo ha detto stamattina il relatore di minoranza Busin –, hanno riconosciuto la validità del decreto-legge.
  Per venire all'articolo 1, brevissimamente devo dire che ho sentito che l'obiezione che viene fatta è che il Governo ha adottato tutte queste misure per due questioni, di cui una totalmente infondata, che ha a che fare con il dibattito esterno rispetto a quanto è avvenuto qui e che riguarda la vita attuale e quotidiana delle singole banche. Non c'entra assolutamente niente quello che sta accadendo nel sistema bancario italiano, con riferimento alle vicende di singole banche popolari. Noi abbiamo scelto un intervento dettato da quella che è la valutazione che adesso dirò.
  La seconda obiezione è che noi abbiamo adottato argomenti deboli e difensivi. Allora, come tutte le cose complesse, c’è un fondo di semplicità. Le ragioni per le quali il Governo interviene sono sostanzialmente due. Veniamo alla prima. C’è una dimensione oltre la quale una banca che agisce nel mercato è diversa da una che ha una forte vocazione di tipo territoriale e per sua natura è popolare ? Si possono dare molte risposte a questa domanda. Quella che dà il Governo è che Pag. 50sopra una certa dimensione la natura stessa della banca, in origine popolare, si trasforma e diventa una banca pienamente di mercato in senso lato, destinata a competizioni più ampie e, quindi, a processi di capitalizzazione più sofisticati e, quindi, a gestione del credito molto più ampia e diffusa. Questa è la prima ragione.
  La seconda ragione è che i ritardi nell'autoriforma di questo sistema, ben evidenziati da tutti gli organismi competenti in questi anni, hanno fatto sì che ad un certo punto, nell'approccio generale che ha oggi il Governo in carica, cioè quello di favorire il più rapidamente possibile la trasformazione del Paese in una struttura aperta e moderna, questi ritardi hanno imposto in qualche modo un intervento. Non è casuale – lo voglio dire – che nel decreto-legge si interviene sulle banche popolari ma non si interviene sulle banche di credito cooperativo, che hanno già annunciato, per loro conto, un lavoro di autoriforma, sul quale il Governo è attento ed è anche disponibile a un'interlocuzione e che ci aspettiamo venga completato anch'esso in tempi brevi. Questo non è casuale; è la dimostrazione esatta del contrario di quello che è stato detto, cioè che non c’è nessun atteggiamento contro la democrazia economica e contro la partecipazione – le banche di credito cooperativo sono un luminoso esempio di democrazia economica e di partecipazione – e questo risulta anche evidente dalla natura del decreto. Chi conosce l'elenco delle banche popolari sa bene che questo intervento, sopra una certa soglia, riguarda una grande minoranza del sistema delle banche popolari. La stragrande maggioranza delle banche popolari non vengono toccate.
  Allora, questi due ragionamenti, cioè valutare se sopra una certa dimensione vi è un cambio di natura e reagire il più rapidamente possibile a ritardi accumulati, comportano la decisione di una certa soglia, la decisione di emanare un decreto-legge, la decisione di darci dei tempi rapidi di realizzazione. Tutto questo sarà opinabile, ma non è incostituzionale. È legittimo che ci siano opinioni diverse. Peraltro, tutti coloro che hanno contestato la soglia degli 8 miliardi lo hanno fatto proponendone altre, non dicendo che non esiste la soglia.
  Si erano anche studiati meccanismi alternativi. L'onorevole Causi lo sa bene, perché ne abbiamo parlato pubblicamente, ma alla fine questi meccanismi alternativi, alcuni dei quali già presenti, come il concetto di vigilanza, come il concetto di quotate, non raggiungevano lo scopo, non lo scopo di fare un elenco precluso, ma lo scopo di dare quel segnale di discontinuità tra una dimensione ed un'altra. Anche la stessa vigilanza europea è ancorata ad una dimensione, alta per ragioni evidenti di carattere europeo. Quindi, mi sembra che questi argomenti, apparentemente complicati e invece semplici, siano le vere ragioni per le quali il Governo italiano ha deciso questo intervento.
  E veniamo alla mediazione che è stata fatta, che è quella di aver pensato, assieme al Parlamento e assieme al dibattito che c’è stato in queste settimane, che forse c'era un punto sul quale si poteva dare una chance: le preoccupazioni diffuse, eccessive in alcuni casi, può essere, ma comunque ce ne siamo fatti carico, che la trasformazione delle popolari in società per azioni comportasse un evidente rischio di scalata da parte di gruppi. Ora, io devo dire che su questo siamo stati chiari: attenzione a fare una distinzione nazionalistica, ma in ogni caso il tema era presente nella discussione e abbiamo pensato di approcciarlo. Come ? Così come è emerso nella discussione di queste settimane, decidendo cioè che su un punto, quello del diritto di voto, si mettesse una soglia. Abbiamo adottato la soglia del 5 per cento, è stata condivisa dalla Commissione, l'abbiamo data in un quadro temporale. Allora, è stata fatta un'obiezione questa mattina, alla quale io voglio rispondere con chiarezza. La prima obiezione è che queste cose si possono già fare con il codice civile. È chiaro che il codice civile le prevede, non si capisce allora perché il dibattito di queste settimane sia tutto concentrato nel richiederla, se fosse stato Pag. 51così, ovvio. La verità è che noi prevediamo una novità, che non è stata apprezzata adeguatamente, e cioè che si possa accedere a questa soglia del cinque per cento con una maggioranza più leggera di quella che sarebbe necessaria per il codice civile. Certo, come replica l'onorevole Paglia, se l'Unicredit l'ha fatta, ma l'ha fatta con una maggioranza di carattere diverso. Ma non era proprio questa la questione che si è discussa nel momento in cui si parlava di trasformazione da popolari a Spa; la preoccupazione cioè della costituzione di maggioranze tali che avrebbero impedito ai vecchi soci di poter contare nel momento della trasformazione. Il fatto che noi consentiamo che l'adozione di una regola, che è già presente nel codice civile, venga fatta con una maggioranza inferiore a quella necessaria, è esattamente la risposta alla questione che era stata richiesta.
  La seconda obiezione è quella dei tempi: perché ventiquattro mesi a partire dalla conversione del decreto-legge ? Ma anche su questo è bene parlarci con molta chiarezza. Ma forse perché la questione dei diciotto mesi, che vengono consentiti per la trasformazione, non sfugge a nessuno che non è un obbligo; è fino a diciotto mesi e devo dire che nel contesto attuale quasi quasi sarebbe preferibile fare più presto, prima c’è la trasformazione e meglio è, e più presto c’è la trasformazione più si allungano i tempi per poter esercitare questo 5 per cento realizzato con la maggioranza, chiamiamola, semplice. Quindi, è uno stimolo a far presto, il contrario esatto di quello che è stato chiesto, uno stimolo a far presto che va proprio nell'ottica non solo di un miglior controllo, ma di quella maturità del sistema che sta dietro all'idea di fondo che il Governo ha voluto portare avanti.
  Ecco, insomma, signor Presidente, e colleghi, il Governo si è mosso in un'ottica di modernità, ma di rispetto anche del sistema complessivo e credo che, da questo punto di vista, noi operiamo un passo in avanti nel miglioramento del sistema finanziario italiano, che apre una prospettiva. Ma io voglio essere molto chiaro: apre una prospettiva non solo a quelle dieci. La cosa interessante è che apre una prospettiva a tutte le altre, a quelle sotto, che possono conservare la loro natura, ma saranno stimolate anch'esse a crescere e saranno stimolate ad aggregarsi il più possibile.
  Nel momento in cui si aggregheranno e supereranno la soglia, cambieranno natura ? Diventeranno Spa ? Sì, ma questo fa parte di un miglioramento di un quadro di rafforzamento del sistema bancario italiano. Per questi motivi, ringrazio i relatori, ringrazio le Commissioni, che hanno lavorato in queste giornate con assiduità e anche, devo dire, al di là delle opinioni diverse, con un clima di collaborazione disteso, e mi auguro che, anche nel percorso dei prossimi giorni, questo decreto arrivi rapidamente alla sua conversione.

  PRESIDENTE. Avverto che è in distribuzione un foglio di errata corrige da allegare allo stampato n. 2844-A, in cui è ricompresa una proposta di coordinamento formale, approvata in sede referente, e relativa alla sostituzione della rubrica dell'articolo 5 del decreto-legge con la seguente: «Modifiche alla tassazione dei redditi derivanti da beni immateriali».
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
  Sospendo, a questo punto, la seduta, che riprenderà alle ore 14,30 per lo svolgimento di interpellanze urgenti.

  La seduta, sospesa alle 13,20, è ripresa alle 14,30.

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
  I deputati in missione sono complessivamente novantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Pag. 52

Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 14,31).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Intendimenti per razionalizzare e potenziare il numero di posti di terapia intensiva neonatale sull'intero territorio nazionale – n. 2-00845)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Binetti n. 2-00845, concernente intendimenti per razionalizzare e potenziare il numero di posti di terapia intensiva neonatale sull'intero territorio nazionale (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Binetti se intenda illustrare la sua interpellanza per quindici minuti o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  PAOLA BINETTI. Signor Presidente, questa interpellanza è stata presentata il 14 di gennaio, pochi giorni dopo che si era verificato l'episodio della morte della bambina Nicole a Catania e su cui ci sono state già una serie di risposte che il Ministro e il sottosegretario hanno dato a diverse interrogazioni su questo argomento. Quello che a noi preme mettere in evidenza con questa interpellanza è la condizione di rischio strutturale e strategico che si presenta oggi davanti all'evento nascita e che, in qualche modo, coinvolge sia la condizione del bambino, sia la condizione della madre. Nonostante ci siano stati alcuni interventi legislativi (gli ultimi che ricordo sono stati quelli del «decreto Balduzzi» e più recentemente quello del nuovo piano sanitario nazionale appena pubblicato) in cui si parli della necessità di rendere più sicuro il percorso nascita, di fatto, assistiamo ancora oggi a situazioni, a momenti e a circostanze, in cui è un rischio nascere, sia per la bambina, sia per la madre che la dà alla luce. Poiché le condizioni di cui disponiamo oggi in termini di sicurezza scientifica e tecnologica permettono di affinare la diagnosi in modo da prevedere, con ragionevole sicurezza, quelle che saranno le conseguenze che si possono creare per l'uno o per l'altro, appare del tutto inaccettabile che un evento avverso come la morte possa colpire l'uno o l'altro.
  Nel caso concreto ricordo semplicemente alcuni passaggi. La bambina nasce in una clinica privata, quindi nasce per rispondere ad un certo tipo di bisogno della gestante, che è quello di avere condizioni al contorno che garantiscano che la dimensione di relazione tra la madre e il bambino, ma anche tra il padre e la madre, tra la madre, il padre e il bambino, in un complesso gioco di rapporti, rendano l'evento nascita il più umano possibile. Solo che molte volte, in molti contesti, questa ricchezza di umanità, questa eleganza formale, con cui si sviluppa un punto così importante nella vita di tre persone (non dimentichiamolo non c’è solo un gioco la vita del bambino, ma quella della madre, la relazione di coppia e così via), questa dimensione, che potremmo chiamare dell’«estetica del parto», non è assolutamente sufficiente a coprire un aspetto di gran lunga più importante che è quello che riguarda la sua sostanziale capacità di giungere a buon fine. Molte volte, però, le strutture ospedaliere peccano, invece, per una sorta di distanziamento emotivo, per un'estraneità, o per una specie di anonimato che si stabilisce nel rapporto tra la gestante e la struttura, quindi anche questa sensazione di ansia con cui si vive il momento della nascita fa sì che laddove c’è maggiore sicurezza non c’è pari attrattività. Viceversa, noi ci troviamo nella necessità di voler assicurare all'interno delle strutture che si configurano come clinicamente più sicure sotto il profilo sanitario, anche quelle condizioni di umanizzazione dell'evento nascita che dovrebbero, in qualche modo, indirizzare naturalmente le madri verso le strutture che sono in grado di garantire maggiore sicurezza.
  Così non è stato a Catania; quando la bambina è venuta alla luce con le sue difficoltà respiratorie è incominciato tutto. Pag. 53Qui, secondo me, vi è l'altro punto di criticità che mi preme segnalare: il meccanismo con cui il problema viene comunicato a quelle che potrebbero essere le strutture ospedaliere recettive (nel caso specifico di Catania erano tre gli ospedali che avrebbero potuto farsene carico: il Cannizzaro, il Santo Bambino e il Garibaldi), che in quel momento rispondono che non dispongono di letti in terapia intensiva. In un'indagine successiva che ci è stata resa nota anche attraverso la stampa, abbiamo saputo che in realtà i potenziali letti di terapia intensiva neonatale presenti su Catania non sono solo pari a quello che percentualmente si richiede sul territorio nazionale, ma sono addirittura superiori a quello su cui possiamo contare nel rapporto tra nati e letti di terapia intensiva disponibili sul resto del Paese. Il che significa che, molto probabilmente, questi letti di terapia intensiva neonatale erano utilizzati in modo inappropriato. Perché dico in modo inappropriato ? Perché è vero che si sarebbe potuta creare una congiuntura così drammatica che tutti i bambini nati in quel giorno a Catania avrebbero potuto aver bisogno di terapia intensiva neonatale, ma è anche molto probabile che questa invece sia stata utilizzata in una maniera che non era strettamente legata alla drammaticità delle situazioni e, quindi, anche alla rispondenza dello strumento tecnologico per la difficoltà del bambino che nasceva. Detto questo, l'impossibilità di accedere alle tre strutture ospedaliere non è avvenuta in contemporanea, ovvero: io mando un messaggio che raggiunge contemporaneamente i tre interlocutori, per cui ricevo contemporaneamente dai tre interlocutori quella che potrebbe essere una risposta negativa; non erano messe, per così dire, in parallelo queste strutture, erano messe in serie, per cui prima ho dovuto aspettare una risposta negativa, poi è arrivata la seconda risposta negativa, poi è arrivata la terza risposta negativa, dopodiché è cominciata la ricerca del letto fuori Catania (di fatto sappiamo che Ragusa si era detta disponibile ad accogliere la bambina). Tutto quello che è la dimensione del tempo, quanto più piccolo è il bambino, quanto maggiore è la sua fragilità alla nascita, tanto più questo tempo pesa come un macigno nella sua vita. Noi sappiamo che ci sono degli studi molto precisi e puntuali che dimostrano l'abbattimento della mortalità neonatale se il bambino dal momento della nascita, una volta identificato l'evento avverso, viene trasferito immediatamente in terapia intensiva neonatale. Già quando tra questi due momenti si inserisce il momento del trasferimento, quindi la ricerca dell'autoambulanza attrezzata, lo spostamento del bambino con l'autoambulanza, questo aumenta in maniera esponenziale il numero dei bambini che muoiono in questa condizione. Quindi, il primo punto è l'umanizzazione delle strutture tecnologicamente più avanzate, il secondo sono i modelli di comunicazione, di trasmissione e di condivisione.
  Il terzo punto, e questo è quello che ancora più a tutti noi un po’ crea perplessità, disagio e sofferenza, è che in questo caso concretamente quello che è l'elemento umano percepibile, ovvero la sensazione che il bambino di cui mi sto facendo carico è in una condizione estrema che di per sé dovrebbe attivare e velocizzare i processi di riflessione, di collegamento e di intervento, perlomeno per quello che è possibile ricavare dall'intercettazione telefonica (non so se è un'intercettazione, ma comunque sicuramente dalla registrazione telefonica), dimostra che non c’è stata questa presa in carico personale così veloce. Questo è un aspetto, ma se tutto questo significasse la morte di Nicole e fosse veramente il punto di riferimento di una dissennata concatenazione di cause, sarebbe già molto grave, ma sarebbe poco se non fosse per tutti noi una spia molto importante e molto forte a farci verificare e ragionare se non ci siano potenzialmente delle situazioni analoghe che si potrebbero creare in Italia.
  È questa la prima proposta importante che vogliamo fare, noi siamo del tutto determinati ad ottenere che l'evento nascita arrivi sempre a buon fine e questo è possibile farlo se si «stressano» tutte le ragioni diagnostiche a monte, quanto più Pag. 54è facile prevedere che possa verificarsi una complicazione nel momento nascita, tanto più facile è orientare. Penso ad esempio a quelle situazioni che siamo abituati a sentir raccontare dalle donne: tutto il momento del parto si è snodato per ore, ore, ore, fino a dover arrivare ad un certo punto, come se fosse ineludibile, al parto cesareo. Eppure ci sono delle cose oggi che sono facilmente prevedibili, penso, ad esempio, all'ecografia intraparto in cui è facilmente possibile cogliere se il bambino è in stato di sofferenza, è possibile cogliere in che posizione si trova, è possibile fare delle previsioni da quel momento al momento stesso dalla nascita. Ci sono tecnologie friendly, amichevoli, che possono, in qualche modo, essere d'aiuto alla donna e che non sono così diffuse all'interno delle strutture ospedaliere.
  A noi non basta che venga svolta un'inchiesta sul caso di Nicole a Catania, se il caso di Catania non diventa un modo di rivedere, di indagare e di riprogettare la nascita. Mettiamoci dal punto di vista anche di quella madre che, oggi come oggi, accede al parto cesareo perché le sembra di poter ottenere dallo stesso maggiori garanzie, prima di tutto in termini di parto preventivato (partorirò questo giorno, a quest'ora, in questo luogo e con questa persona); poi vi è l'idea che in questo modo non possano crearsi in alcun modo complicazioni. Ma noi non possiamo accettare che la medicalizzazione dell'evento parto diventi l'unico modo per ottenerne delle garanzie. Sappiamo tutti che l'Italia è il Paese con il più basso indice di natalità in Europa e con il più alto indice di cesarei in Europa. Questo per quale ragione ? Perché l'aspirazione, il valore, la tendenza, che c’è dietro tutto questo, è il desiderio di sicurezza.
  Ora questa interpellanza è volta non solo a fare chiarezza sul caso di Nicole, ma a riattivare in Italia una riflessione molto più seria. Non faccio fatica a dire che quasi subito dopo la morte di Nicole abbiamo presentato un progetto di legge proprio per rendere più sicuro l'evento nascita. Mi auguro che, tra l'altro, lo si possa discutere e in qualche modo lo si possa anche calendarizzare. Ma l'obiettivo è che, quando accade una cosa così drammatica, questa acquisti tutto il suo senso, al di là dello stracciarsi le vesti per quello che si sarebbe potuto fare e non si è fatto. E acquista il suo senso se, da quel momento in poi, situazioni analoghe non si verificheranno, perché abbiamo imparato la lezione.
  Ora a noi sinceramente non sembra che, a parte l'inchiesta avviata su Catania, sia partita invece una raccolta dati, una raccolta informazioni, o comunque una verifica dei luoghi e delle situazioni di criticità, che ci permetta di intervenire anche sul resto del Paese. So che recentemente il Ministro ha incontrato colleghi di un piccolo paesino di montagna, San Candido – credo che anche il sottosegretario li abbia incontrati – dove il numero di parti è limitato, inferiore a 500. Però la complessità del sistema di trasporto tra le valli – e quindi anche e soprattutto in condizioni che si verificano ad esempio in inverno con la neve e via dicendo – rende necessario mantenere questo punto nascita che, peraltro, si trova in un luogo di eccellenze, di eccellenza organizzativa, di eccellenza clinica, di eccellenza di servizio offerto ai bambini.
  Non tutto può essere messo sullo stesso piano e tutto richiede una riflessione. Quello che non può essere barattato è l'obiettivo, ossia garantire la sicurezza nel momento nascita sia alla madre che al bambino. Questo io credo che abbiamo il diritto di chiederlo al Ministro e il diritto di chiederlo al sottosegretario, anche sulla base di impegni e di promesse che sono state fatte ripetutamente.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la salute, Vito De Filippo, ha facoltà di rispondere.

  VITO DE FILIPPO, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, onorevoli, ricordo che, a seguito della notizia della morte della bambina dopo il parto presso la casa di cura «Gibiino» di Catania, durante il trasporto con un'ambulanza a Ragusa dove era disponibile un Pag. 55posto in unità terapia intensiva neonatale, il Ministro della salute ha inviato immediatamente una commissione ministeriale per acquisire utili elementi informativi sull'accaduto e per verificare gli standard di sicurezza del percorso nascita nell'area etnea, in collaborazione anche con l'assessorato alla sanità della regione siciliana.
  Si precisa che sul caso è anche in corso lo svolgimento di un'indagine della stessa magistratura. Dai primi accertamenti effettuati dalla commissione è emerso quanto segue: 1) l'assenza di un efficace sistema di governance per la sicurezza dei punti nascita; 2) con riferimento alla casa di cura «Gibiino» è stata registrata la scarsa capacità di procedere, nell'immediatezza, alla stabilizzazione della neonata al fine del successivo trasferimento presso un'unità di terapia intensiva e ciò, peraltro, è da addebitarsi anche alla inadeguata formazione dello stesso personale sanitario; 3) a Catania non è stato ancora attuato il protocollo relativo al trasporto neonatale in emergenza; 4) gravi disfunzioni nei processi di comunicazione tra i punti nascita e il 118.
  Dette disfunzioni sono state anche rilevate dalla commissione ministeriale attraverso il semplice ascolto delle registrazioni delle conversazioni telefoniche intercorse tra le strutture sanitarie e la centrale operativa del 118 di Catania. In più, quanto ai posti letto delle unità di terapia intensiva neonatale, è emerso un utilizzo, almeno in parte, inappropriato – come diceva l'onorevole Binetti – degli stessi. Non è di per sé solo importante il numero dei posti letto delle citate unità, ma quanto l'utilizzo appropriato degli stessi. Al momento, tuttavia, dall'esame della documentazione resa disponibile e dalle informazioni acquisite, sono emerse carenze nella gestione del trasporto in emergenza neonatale. In particolare, risulta assente il modello organizzativo per la zona di Catania, così come non è dedicata un'ambulanza ad uso dello stesso 118.
  Il Ministero della salute, con decreto ministeriale 12 aprile 2011, rinnovato anche nel 2014, ha istituito, come è noto, un comitato nazionale per il percorso nascita, che ha il compito di assicurare un coordinamento permanente nella definizione e nell'attuazione del percorso nascita nelle diverse realtà del Paese. Di comitati di questo tipo se ne sono costituiti in tutte le regioni italiane.
  È stato, infatti, raggiunto in Conferenza Stato-regioni, in data 16 dicembre 2010, un accordo sulla riorganizzazione del percorso nascita con una razionalizzazione dei punti nascita presenti sul nostro territorio, al fine di implementare la sicurezza delle partorienti e dei nascituri e per cercare, altresì, di riservare il ricorso al taglio cesareo nei soli casi di effettiva necessità.
  Al riguardo, si coglie l'occasione per riferire che, in base alle risultanze dell'ispezione disposta in ordine al decesso della bimba Nicole nella provincia di Catania, nonché in relazione ad altrettanti episodi che hanno riguardato il percorso materno-infantile nella regione, in data 2 marzo 2015 il Ministero della salute ha chiesto formalmente alla regione Sicilia di dare completa attuazione al suddetto accordo, indicando nella comunicazione in modo puntuale gli interventi da realizzare e i relativi tempi di attuazione, al fine di eliminare i ritardi e le criticità riscontrate nella messa in sicurezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita, prevedendo un'attività di verifica e di monitoraggio da parte dell'autorità centrale.
  Ad oggi, la regione siciliana, come ha indicato la stessa onorevole Binetti, dispone di 114 posti letto di terapia intensiva neonatale, al di sopra degli standard che sono stati approvati nel 2014 sulle reti ospedaliere nel nostro Paese, che ne prevedrebbero, per quella popolazione, 80. I posti letto da dedicare alla terapia intensiva neonatale sono definiti in coerenza con i criteri forniti dalla comunità scientifica e, come dimostra il caso di Catania, è indispensabile una sapiente ed appropriata gestione degli stessi – che nel caso di specie si è rilevata una gestione impropria – dedicando tali posti letto alle effettive necessità e fornendo tempestivamente, con un sistema informatico che Pag. 56esiste mediamente un po’ dappertutto nel nostro Paese, i dati alla rete di emergenza neonatale.
  Allo stesso tempo le unità di terapia intensiva neonatale devono gestire le emergenze, ricorrendo alla gestione temporanea ed improcrastinabile anche in soprannumero. L'accordo Stato-regioni che ho citato prevede la riorganizzazione della rete assistenziale del percorso nascita e in particolare dei punti nascita, cercando di aumentare progressivamente il numero dei parti trattati da ciascun punto nascita, tendendo allo standard di 1000 nascite all'anno quale parametro di qualità secondo approfondimenti di società scientifiche, organizzazioni nazionali e anche internazionali su questa materia.
  Eventuali punti nascita con una casistica inferiore, e comunque non al di sotto di 500 parti all'anno, potranno essere previsti solo sulla base di motivazioni fondate, legate alla specificità dei bisogni reali delle varie aree geografiche interessate con rilevanti difficoltà di attivazione del sistema di trasporto in emergenza materno e neonatale. L'implementazione della sicurezza del percorso nascita non può trascurare un'analisi attenta, tesa a garantire la corrispondenza tra necessità assistenziali della singola persona e appropriatezza di offerta dei servizi ostetrici e pediatrici e, quindi, a dirottare i casi più complessi presso le strutture di secondo livello, che sono le cosiddette UTIN.
  Di fondamentale importanza è, quindi, che in ogni regione si analizzi e si realizzi, nell'ambito della propria realtà regionale, la situazione indicata molto puntualmente e, devo dire, semplicemente anche dai documenti approvati dalla Conferenza Stato-regioni che ho citato.
  È, inoltre, necessario che si proceda ad un parallelo ridisegno delle unità operative di assistenza neonatale, corrispondenti per intensità di livello assistenziale ai punti nascita, nonché all'assicurazione dei servizi di trasporto assistito materno (ossia gli STAM) e neonatale d'urgenza (ossia gli STEN).
  La riduzione della mortalità neonatale e materna si può ottenere ottimizzando il numero dei reparti pediatrici e dei punti nascita, riducendo il numero di punti nascita con meno di 500 parti l'anno, concentrando le gravidanze a rischio e programmando, per tempo, l'invio della partoriente in una struttura di terzo livello, nonché attivando, nei punti nascita, una guardia attiva, medico-ostetrica e pediatrica-neonatologica, 24 ore su 24. Non vi è dubbio che per tutelare ogni parto attraverso il livello essenziale ed appropriato di assistenzaostetrica e pediatrica-neonatologica, necessita l'organizzazione regionale articolata su tre livelli. Il primo livello è quello dei consultori familiari; il secondo livello è quello degli ambulatori specialistici del distretto e dell'ospedale; il terzo livello è quello delle unità operative complesse della rete ospedaliera. In sede di programmazione regionale, va posta particolare attenzione affinché si consegua una uniformità di livello assistenziale tra le unità operative ostetriche e quelle neonatologiche e pediatriche.
  Per quanto riguarda il secondo quesito posto nell'interpellanza, la legge n. 147 del 2013, la legge di stabilità 2014, al comma 229 dell'articolo 1, stabilisce che il Ministero della salute adotti un decreto ministeriale che preveda, anche in via sperimentale, di effettuare, nel limite di cinque milioni di euro, lo screening neonatale per la diagnosi precoce di patologie metaboliche ereditarie, per la cui terapia, farmacologica o dietetica, esistano evidenze scientifiche di efficacia terapeutica o per le quali vi siano evidenze scientifiche che una diagnosi precoce, in età neonatale, comporti un vantaggio in termini di accesso a terapie in avanzato stato di sperimentazione, anche di tipo dietetico. Lo stesso comma 229 stabilisce, inoltre, che il Ministero della salute definisca l'elenco delle patologie su cui effettuare detto screening. Inoltre, la legge n. 190 del 2014, legge di stabilità 2015, prevede un incremento di quel finanziamento di altri 5 milioni di euro all'anno, a decorrere dal 2015.
  Lo schema di decreto preparato dal Ministero della salute ha già acquisito il parere dell'Istituto superiore di sanità ed è Pag. 57stato trasmesso al Garante per la protezione dei dati personali, per acquisirne il parere necessario ai fini del proseguimento dell'iter di approvazione che giungerà in Conferenza Stato-regioni.
  Per la definizione dell'elenco delle patologie su cui effettuare questa sperimentazione di screening neonatale per la diagnosi precoce di patologie metaboliche ereditarie, si è ritenuto utile avvalersi del lavoro svolto in precedenza dal gruppo di lavoro per la elaborazione di linee guida cliniche per l'individuazione di protocolli applicativi per lo screening neonatale esteso, già istituito presso l'Agenas, ravvisando anche la necessità di provvedere anche alla revisione periodica di detto elenco di patologie, in relazione all'evoluzione delle evidenze medico-scientifiche in campo terapeutico. Nella predisposizione del citato decreto, si è cercato di armonizzare gli adempimenti vigenti in tema di screening neonatale obbligatorio.

  PRESIDENTE. L'onorevole Paola Binetti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  PAOLA BINETTI. Signor Presidente, intanto ringrazio il sottosegretario per la ricchezza delle informazioni, che, per come sono state date in merito al quesito, sono sicuramente soddisfacenti. Ma c’è un punto che, secondo me, manca in questa trattazione ed è quello che considera la condizione di ciò che è accaduto in Sicilia.
  Mi ha colpito molto quanto sia stata puntuale la diagnosi dei tre aspetti più importanti che non hanno funzionato. Per esempio, mi riferisco a quello che riguarda la formazione del personale e a quella identificazione di competenza, che è una competenza basilare, una competenza elementare. Non erano riusciti a stabilizzare il paziente. In questo caso non si tratta di portare una terapia intensiva o subintensiva, nemmeno di inviarla all'intensiva, ma di stabilizzare il paziente. Questo è il livello di competenza minimo che un neonatologo deve avere.
  Per esempio, davanti a un obiettivo di questo genere, che è un obiettivo mancato e che in qualche modo ha concorso – non dico che abbia causato, ma sicuramente ha concorso – a determinare la morte, io mi interrogo sul problema della qualità della competenza dei neonatologi che operano anche nelle cliniche private e che comunque operano anche in quegli ospedali in cui noi ci troviamo davanti anche a Roma. Per esempio, cito per farne soltanto un esempio il Santo Spirito, che è la clinica ostetrica pubblica presente nel centro di Roma. E per quanto questo potrà sembrare sorprendente, è l'unico ospedale pubblico presente nel centro di Roma, che ha peraltro vicino il Bambin Gesù, dove esiste una terapia intensiva, ma comunque ci si deve arrivare, al Bambin Gesù. Viceversa, il centro di Roma, il quartiere Prati e dintorni, è pieno di piccole cliniche private, dove molto spesso le donne vanno a partorire. Il Santo Spirito non ha una terapia intensiva neonatale, ha una terapia subintensiva, un secondo livello. Però è, di fatto, anche il luogo del centro di Roma dove in qualche modo vengono portati i pazienti, secondo il famoso criterio che quando io chiamo l'autoambulanza, l'autoambulanza per legge mi porta nell'ospedale più vicino. Di fatto è così.
  Allora io mi chiedo questo. Davanti a fatti molto concreti, che sono peraltro molto conosciuti sicuramente, l'intervento non può essere soltanto partire da ciò che è successo a Catania e dire: «Il neonatologo di questa clinica privata di Catania non aveva le competenze necessarie e sufficienti a stabilizzare un bambino». A questo punto io ho bisogno di far arrivare un messaggio, che è un messaggio forte, probabilmente un messaggio forte che arrivi alla scuola di specializzazione di neonatologia dell'università di Catania, ossia dire: «Signori, verificate il livello di competenza». Noi investiamo una quantità di risorse incredibile nella famosa ECM (educazione medica continua). Abbiamo fatto una diagnosi di bisogni, sappiamo che questo bisogno non è coperto. Perché non intervenire in questo modo ?
  Poi, la seconda cosa che pure diceva l'onorevole De Filippo riguarda proprio il modello organizzativo gestionale. Quindi, Pag. 58quella è una carenza personale, con una responsabilità personale e specifica di quel neonatologo, in quel momento e in rapporto a quel bambino. Viceversa, il modello di comunicazione è una competenza che riguarda un altro livello. Riguarda la dirigenza, riguarda la dirigenza dell'ospedale e probabilmente si arriva fino all'assessore.
  Allora, anche in quel caso – ma so che in quel caso sono stati fatti degli interventi –, una volta fatta la denuncia del disservizio, c’è una risposta concreta che la situazione è cambiata. Per esempio, questa realtà che si è modificata ha raggiunto la più vicina regione alla Sicilia, ossia la Calabria ? Ha raggiunto la Calabria ? Si è andati a vedere cosa accade lì e poi magari su su fino alla Campania ? Si è risaliti per capire ? Perché noi lo sappiamo che è più facile andare incontro ad eventi avversi da Roma in giù. Però noi dobbiamo prevedere questi passaggi e prevederli tutti: formazione, modelli, competenze, numeri.
  Io credo che l'approfondimento del caso singolo ha senso nella misura in cui assume struttura di modello, nel momento in cui diventa esemplare, anche per quanto riguarda gli errori. Anzi, direi che quasi tutti noi impariamo molto di più dagli errori e dalle cose che non funzionano che non dalle cose buone e dalle cose che funzionano. Ma allora, se dobbiamo imparare qualcosa da questo caso, noi vogliamo imparare molto, però vogliamo imparare qualcosa che sia applicativo lì, a Catania. Nulla so di che cosa possa accadere nella vicina cittadina di Palermo, dove pure c’è un'università, dove pure c’è una scuola di specializzazione, dove pure ci sono delle complessità, come nell'altro polo di riferimento. Succede qualcosa ? Si è visto ? Qualcuno risponde ? Qualcuno manda ?
  Sappiamo benissimo che in Italia, invece di avere un sistema sanitario nazionale, più spesso dobbiamo invocare i 20 sistemi sanitari regionali. Dio non voglia che dobbiamo invocare anche i sistemi sanitari provinciali, o addirittura altri sistemi. Non è possibile.
  Che cosa stiamo facendo anche noi per dare attuazione a quei tre principi che sono stati elencati ? Si tratta, cioè, di ridurre il numero dei parti cesarei, di aumentare il livello di sicurezza e di garantire che, dopo l'evento nascita, questi bambini non siano portatori di patologie che in parte possono essere da trauma da parto. E non ci illudiamo, ci sono ancora bambini che portano lesioni, che in qualche modo li accompagnano per tutta la vita, che sono da attribuire a trauma da parto. Sono molto meno rispetto a una volta, ma perché sono meno rispetto a una volta ? Perché ci sono più cesarei. Ma noi non vogliamo tanti cesarei. Come facciamo ad evitare che, nella riduzione dei cesarei, si tornino a ripetere questi episodi ? Certo, in gran parte, da un lato è un discorso di formazione, ma, dall'altro lato, è un modo di applicare nuove tecnologie alla gestazione proprio nella fase del parto. Noi abbiamo oggi delle tecnologie efficaci. Ne citavo una per tutte, ossia quella dell'ecografia intrapartum, ma ce ne sono molte altre, che non sono ancora cultura. E, quindi, la gestione del rischio è ancora in gran parte consegnata a eventi un po’ troppo affidati al fato, un po’ troppi affidati a una casualità, che diventa più gestibile se l'ostetrico è più bravo, ma che diventa comunque incapace di affrontare la criticità che si potrebbe presentare in qualunque momento.
  Io mi auguro davvero, quindi, che tutto questo parli alla formazione delle scuole di specializzazione di ostetricia e ginecologia; parli alla formazione delle scuole di neonatologia; parli agli assessori regionali alla sanità e a tutta la filiera delle persone che sono predisposte ai modelli organizzativi e, a livello tra virgolette «ministeriale», io chiedo che ci sia un ripensare la normativa che in qualche modo supervisiona questi due fatti e li unifica in una visione unitaria, che è la medicina materno-infantile, che in qualche modo ci dice che probabilmente qualche cambiamento si può fare, qualche miglioramento si può fare.
  Il sottosegretario forse lo ricorda o non lo ricorda, non lo so, ma sono perlomeno Pag. 59tre o quattro legislature che noi presentiamo un disegno di legge su questo tema. Nella precedente legislatura, il presidente della Commissione, che era il professor Palumbo, che era lui stesso un ginecologo, ci ricordava che, perlomeno da due o tre legislature, presentava un disegno di legge che andava ad incidere proprio sulla rivisitazione della medicina materno-infantile, in concreto facendo centro sull'evento parto.
  Questo è tutto quello che io voglio dire. Quindi, sì, la soddisfazione per la risposta c’è, ma non basta la soddisfazione per la risposta, quello che noi vogliamo è che la risposta si traduca, non solo in un fascicolo in cui tutte queste belle intenzioni vengono raccolte, ma sia capace di indurre un cambiamento concreto e reale nei modelli e nelle prassi che ne seguono.

(Iniziative di competenza volte a rilanciare il ruolo e le strategie di Finmeccanica e delle società controllate, promuovendo in particolare la competitività delle società del gruppo allocate in Campania – n. 2-00857)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Valeria Valente n. 2-00857, concernente iniziative di competenza volte a rilanciare il ruolo e le strategie di Finmeccanica e delle società controllate, promuovendo in particolare la competitività delle società del gruppo allocate in Campania (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Valeria Valente se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  VALERIA VALENTE. Signor Presidente, intanto un ringraziamento al Viceministro De Vincenti per la sensibilità già mostrata in altre circostanze e anche oggi per essere qui. Del resto, questa è un'interpellanza che noi abbiamo rivolto, non solo al Ministero dello sviluppo economico, ma anche al Ministero dell'economia e delle finanze e al Ministero della difesa, riguardando, come è stato detto, le ricadute occupazionali e di investimenti del nuovo piano industriale di Finmeccanica presentato dall'ingegner Mauro Moretti, anche da ultimo nella nostra Commissione attività produttive. Ecco, io partirei innanzitutto dal fatto che questa interpellanza noi l'abbiamo scritta ormai un po’ di mesi fa e l'abbiamo infatti aggiornata in corso d'opera come era doveroso. Inoltre, quando l'abbiamo scritta, come parlamentari del territorio della Campania, esprimevamo qualche preoccupazione rispetto a quello che poteva essere un piano industriale. È per questo che registro con piacere il fatto che a rispondere qui oggi ci sia il Viceministro De Vincenti che conosce bene la realtà produttiva della Campania e si occupa, ahimè, purtroppo per noi, già di troppe crisi aziendali del nostro territorio. Noi l'abbiamo scritta, non perché facessimo un processo alle intenzioni, ma perché temevamo che ancora una volta un nuovo piano industriale potesse poi nei fatti concretamente significare in Campania un ridimensionamento e un depauperamento del nostro tessuto industriale.
  Dico questo – e mi permetto solo di fare veramente un piccolo cappello in qualche modo a questa interpellanza – perché troppe volte viene detto che in qualche modo il problema Mezzogiorno è legato a un necessario rilancio delle politiche industriali del territorio e in modo particolare del nostro territorio. E noi crediamo che sia compito, essenzialmente di questo Governo, vigilare e soprattutto operare affinché in qualche modo questo rilancio delle politiche industriali avvenga e avvenga ovviamente attraverso le aziende partecipate dal Governo e, quindi, le aziende partecipate dal pubblico, ma avvenga anche, ovviamente, com’è auspicabile, anche attraverso investimenti produttivi di aziende di carattere privato. Noi, però, ci troviamo oggi di fronte appunto alla presentazione di un nuovo piano industriale del principale gruppo industriale sicuramente del nostro territorio, ma, come credo di poter dire, anche del territorio nazionale. Nel nostro territorio il gruppo Finmeccanica e le aziende legate a Pag. 60Finmeccanica costituiscono sicuramente il più importante gruppo industriale, per numero di addetti, ma anche per la qualità della produzione. Finmeccanica si conferma, ovviamente, un'industria meccanica e aerospaziale nel settore civile e militare, soprattutto nel settore dell'alta tecnologia che è un settore trainante della nostra economia.
  Faccio questa premessa perché le nostre preoccupazioni sono essenzialmente legate al fatto che, sebbene in qualche modo, come dico sinceramente, noi ci sentiamo rassicurati dalla grandissima e straordinaria professionalità dell'ingegner Moretti che, del resto, ha già dato prova di sé in altri settori, eppure, però, nella presentazione del piano noi abbiamo trovato delle criticità, in un quadro generale di condivisioni dell'obiettivo. Innanzitutto, sicuramente condividiamo l'obiettivo di risanare un'azienda che, indebitata nel corso del tempo per scelte ovviamente manageriali scellerate e sbagliate, aveva sicuramente bisogno di una cura e di una cura aggressiva. Quindi, noi condividiamo questo impianto, ma, dentro la condivisione di questo impianto che, quindi, vuole intervenire in maniera decisa e massiccia, noi intravediamo un piano industriale ad oggi ancora troppo fumoso rispetto soprattutto a quelle che sono le ricadute per gli stabilimenti che insistono nel territorio. L'ingegner Moretti, nella sua audizione in Commissione attività produttive per presentare il piano, ha detto: io capisco che i parlamentari siano preoccupati in qualche modo soltanto delle ricadute nei propri territori. In qualche modo ha un po’ detto: attenzione, non possiamo inseguire le istanze dei singoli parlamentari; io ho a cuore l'interesse complessivo dell'azienda e di questo pezzo così importante della nostra industria e, quindi, devo guardare all'insieme complessivo, non posso pensare di sicuro a favorire un insediamento o quantomeno a pormi il problema dei singoli insediamenti. Capisco la preoccupazione dell'ingegner Moretti e la condivido. Dico, però, all'ingegner Moretti che, poi, quel piano industriale sarà declinato sui singoli territori e significherà, per tanti lavoratori e per tante famiglie che dentro quell'impianto industriale oggi trovano occupazione, scelte di vita; significherà in qualche modo per interi territori vedersi sottratti interi pezzi di politica industriale o significherà vedersi rilanciare alcuni pezzi di politica industriale.
  Noi vorremmo – e chiediamo ciò al Governo con questa interpellanza – che finalmente per il nostro territorio sia giunto il tempo di non dare più, ma di ricevere qualcosa, di ricevere innanzitutto attenzione e investimenti. Ciò in una logica che questo Governo, e a dir la verità la politica in generale, da un po’ di tempo dice, ossia che il Paese non si riprende se non si riprende il suo Mezzogiorno. E la ripresa del Mezzogiorno, ahimè, come tutti riconoscono, è sicuramente molto legata al rilancio di nuove politiche industriali.
  E, allora, ritorno in qualche modo al merito del piano e alle preoccupazioni che noi abbiamo rispetto al nuovo piano industriale. Moretti dice che bisogna in qualche modo riconcentrarsi sul core business. Intanto, vorremmo capire bene che cosa lui intende per core business. Significa difesa e aerospazio e meno civile ?
  È questo ? È questo, lo abbiamo interpretato bene ? Moretti dice anche: noi non siamo una holding finanziaria, siamo un'impresa industriale. Assolutamente vero, è assolutamente vero che un'impresa industriale deve essere, in qualche modo, collegata anche al mercato e alle domande del mercato; noi questo lo condividiamo, così come condividiamo l'analisi che ci ha portato fino a qui. Io ovviamente per brevità, perché credo che sia utile essere sintetici anche in circostanze di questo tipo, dico che sono d'accordo con l'ingegnere Moretti quando dice: troppe acquisizioni a debito in questi anni per il gruppo Finmeccanica, offerte da parte del gruppo aziendale troppo penalizzanti per acquisire commesse, a volte penalizzanti, ovviamente, per la stessa azienda che per essere competitiva ha fatto offerte penalizzanti per sé, svalutazione delle attività immateriali, strutture societarie sovrabbondanti, catene dei fornitori e subfornitori troppo fragili, troppo legate alle commesse Pag. 61in qualche modo di Finmeccanica, ingegneria dell'azienda Finmeccanica ancora non sufficientemente competitiva.
  Bene, fino a qui ci siamo, il punto è: come rilanciare ? Lui dice di restringere il core business, meno prodotti, più servizi integrati, non ci occupiamo di tutto, in qualche modo ci occupiamo di troppe cose, oggi Finmeccanica partecipa a troppe cose diverse e, quindi, forse, è il caso, invece, di concentrarsi. Il punto è capire che cosa significhi questo concentrarsi, che cosa significhi concentrarsi su cosa e per noi, lo dico chiaramente, che cosa significhi questo concentrarsi in un territorio come quello della Campania. Allora, lo sottolineo, noi abbiamo scritto questa interpellanza prima che si presentasse il nuovo piano industriale, oggi questo piano è stato presentato, noi lo troviamo fumoso rispetto alle nostre preoccupazioni. Per questo chiediamo al Governo, che è azionista di riferimento del gruppo Finmeccanica, di avere rassicurazioni in merito.
  Dico ciò perché i rischi concreti, sintetizzo, per le nostre aziende noi li vediamo essenzialmente qui. Lo dico facendo riferimento ad alcuni dei più importanti insediamenti di Finmeccanica nel nostro territorio. Parto da MBDA, azienda nel settore missilistico d'avanguardia per noi, gioiello del nostro apparato industriale in Campania; capiamo – non perché sia stato detto esplicitamente, perché, lo ripeto, il piano industriale a noi, nonostante in qualche modo sia stato presentato in maniera brillante, risulta fumoso – che ci potrebbe essere il rischio di una cessione delle quote della partecipazione del Governo, è così ? Se è così come pensiamo, poi, di stare dentro il settore missilistico in Europa, visto che Moretti proprio in Europa ci dice che noi subiamo, in qualche modo, ancora troppo la competizione di Cina e di America, e che dobbiamo in qualche modo pensare a stare dentro, invece, un progetto europeo ? Io dico: come pensiamo, se noi cediamo le nostre quote dentro questa società, di stare al tavolo, in qualche modo, dei più grandi soggetti che si occupano di missilistica dentro il sistema Europa ?
  Altro stabilimento per noi significativo è Selex. Noi abbiamo due stabilimenti significativi, uno a Giugliano e uno al Fusaro; ecco, di questi due pensiamo di aver capito che, probabilmente, in una logica di razionalizzazione – dico sempre probabilmente, perché il piano continua ad essere per noi un piano, lo ripeto, fumoso – uno potrebbe essere chiuso e potrebbe esserlo per razionalizzazione, per il risparmio delle spese connesse al mantenimento di uno degli stabilimenti. Io ricordo che noi lì facciamo radar, una microelettronica di eccellenza; non capiamo perché rispetto a quella produzione, e forse anche a quella di miglior qualità, fino a questo momento abbiamo deciso in qualche modo di esternalizzare tanti prodotti, perché ? E qual è l'intenzione del nuovo piano industriale rispetto alle scelte compiute fino a questo momento che, peraltro, hanno richiesto già piani di esubero, che sono stati fatti, investimenti, purtroppo, ahimè, non mantenuti, l'impegno non mantenuto a fare una direzione logistica di Selex a Giugliano ? Quindi, anche qui, su questi due impianti vi è qualche preoccupazione.
  Ancora, il trasferimento di queste ultime ore di Telespazio; su Telespazio, si dice: trasferiamo da Napoli a Roma; c’è una trattativa in corso, qualcosa che si prova salvare, ma l'obiettivo era essenzialmente, dentro questa nuova fase, trasferire anche la sede di Telespazio a Roma.
  Ancora, Alenia: tre insediamenti produttivi. Su Capodichino, sembra che l'orientamento sia in qualche modo quello di dire: cessione di un ramo d'azienda. Non si capisce se ricostruendo una new company e che tipo di new company noi pensiamo di mettere in piedi, lì, e con quali garanzie, non solo per i livelli occupazionali, ma per il tipo di attività che andiamo a fare, e non si capisce quale sarà, quindi, in qualche modo, anche la nostra voce in capitolo su quella new company. Per quanto riguarda Capodichino, quindi, in qualche modo, perdiamo quello stabilimento. Per quanto riguarda Nola si esprimono delle perplessità rispetto alla costruzione di aereo-strutture, Pag. 62perché si dice che quel tipo di costruzione non è particolarmente produttiva, non è in qualche modo remunerativa e, quindi, probabilmente anche quello stabilimento non si capisce se sarà mantenuto o non sarà mantenuto. Arriviamo, poi, a Pomigliano, che dovrebbe essere un po’ il fiore all'occhiello, che concentra la propria attività sulla produzione di ATR, ma anche lì degli investimenti che dovevano rilanciare un nuovo modello di ATR non si dice nulla, non si capisce se si tornerà ad investire sul famoso turboprop, se, in qualche modo, noi lì decidiamo di tornare veramente a investire e, quindi, a che tipo di sviluppo noi pensiamo, anche per quello stabilimento.
  Infine, ecco la pagina più dolorosa forse per noi, in questo momento: Ansaldo. Lo capisco, ci sono letture diverse, andava affrontato il problema Ansaldo, non potevamo fare finta di niente, è un'azienda che, anche se adesso, in questo periodo, è un po’ in ripresa rispetto alle commesse, sicuramente richiedeva un intervento: debito troppo alto, almeno per Ansaldo Breda, si decide ovviamente di vendere ai giapponesi con grandi garanzie, così ci è stato detto, sui livelli occupazionali per i prossimi tre anni, garanzie di un piano industriale che dice quello che noi abbiamo contribuito in qualche modo a definire. Però le nostre preoccupazioni sono sempre perché, in qualche modo oltre a rassicurazioni verbali rispetto al mantenimento dei livelli occupazionali, non riusciamo a capire le eventuali garanzie. Ovviamente, intanto, non è proprio che si saluti con favore il fatto che si venda un patrimonio industriale d'avanguardia, di eccellenza. Per noi Ansaldo STS, ma anche Ansaldo Breda, nonostante i debiti accumulati per scelte manageriali sbagliate, era sicuramente un nostro fiore all'occhiello in termini di competenze e anche di prodotti che mettevamo in qualche modo nel mercato. Abbiamo fatto delle scelte, sono state fatte delle scelte sbagliate nel corso del tempo che hanno portato a fare in modo che questa azienda accumulasse tanti debiti. Quindi è giusto, va bene, la vendiamo, la vendiamo a chi ci dà delle garanzie, noi però vorremmo capire queste garanzie, più nel merito, che cosa significhino, perché non è possibile accontentarsi del fatto che qualcuno dica a voce: manteniamo i livelli occupazionali per i prossimi tre anni. Noi vorremmo capire che fine fanno quegli stabilimenti e quegli insediamenti produttivi, che tipo di investimenti si faranno e, quindi, quale sarà il futuro di quegli impianti e di quella vocazione industriale.

  PRESIDENTE. Deve concludere.

  VALERIA VALENTE. Lo dico perché per noi quel patrimonio è un patrimonio fondamentale e, quindi, e mi avvio a concludere, chiedo in qualche modo al nostro Governo di farsi carico di queste preoccupazioni, perché se il nuovo piano industriale di Finmeccanica significherà sostanzialmente per i territori della Campania ancora solo ed esclusivamente vedere ridurre il proprio patrimonio industriale, credo che in qualche modo questo non coincida con la volontà più volte ribadita ed espressa dalla politica di questi ultimi anni e sicuramente da noi del Partito Democratico secondo la quale il rilancio del Mezzogiorno è un rilancio legato a nuove politiche industriali. Noi pensiamo che queste nuove politiche industriali significhino innanzitutto investimenti e anche investimenti pubblici, soprattutto in aziende di eccellenza che sono la grande parte di un patrimonio di cui noi, almeno in questo settore, sinceramente continuiamo ad andare fieri nonostante tante difficoltà.

  PRESIDENTE. Il Viceministro dello sviluppo economico, Claudio De Vincenti, ha facoltà di rispondere.

  CLAUDIO DE VINCENTI, Viceministro dello sviluppo economico. Signor Presidente, con riferimento ai quesiti posti dagli interpellanti, il Governo condivide larga parte delle argomentazioni sollevate e conferma il proprio impegno di orientamento e monitoraggio delle attività in capo a Finmeccanica, ovvero di uno fra i Pag. 63principali «campioni industriali» del nostro Paese, apprezzato sui mercati internazionali, come dimostrano le importanti joint-venture che la vedono protagonista in settori strategici sia militari che civili. Tutto ciò non ci esime dal richiamare, come ricordano gli stessi interpellanti, le necessarie azioni di focalizzazione ed efficientamento in grado di rafforzare il posizionamento competitivo di Finmeccanica.
  In questo quadro va collocato il piano industriale 2015-2019, approvato lo scorso 27 gennaio dal consiglio di amministrazione e illustrato dall'amministratore delegato Mauro Moretti il giorno successivo agli investitori finanziari. È un piano finalizzato nel suo complesso al rafforzamento del core business Aerospazio, Difesa e Sicurezza, in modo da ottenere significativi miglioramenti delle performance economiche che consentano a Finmeccanica di riposizionarsi adeguatamente sullo scenario globale di riferimento.
  L'intero processo sarà orientato al rilancio e allo sviluppo complessivo del gruppo, anche attraverso un maggiore orientamento ai clienti internazionali. In tale contesto, va collocata la prospettiva dell'impegno meridionale di Finmeccanica; una presenza industriale di primaria importanza e largamente focalizzata nei settori che il piano industriale ha individuato come centrali per il proprio sviluppo. Con specifico riferimento alla Campania, il gruppo è presente, come ricordavano gli interpellanti, con unità appartenenti ad Alenia Aermacchi, Selex ES, AgustaWestland e Telespazio, ai quali si devono aggiungere le unità appartenenti alla joint venture MBDA, nonché i siti di Ansaldo Breda e Ansaldo STS; questi ultimi appartengono a società per le quali è stata annunciata la cessione e il totale deconsolidamento.
  Nel dettaglio, facendo riferimento agli indirizzi più recenti espressi nel piano industriale approvato dal CDA, si può constatare che Alenia Spazio occupa attualmente sul territorio campano circa 3.800 addetti (siti di Pomigliano d'Arco, Nola e Napoli-Capodichino) con attività relative al velivolo regionale ATR42/72, al velivolo da trasporto tattico C-27J e ad alcune lavorazioni per i programmi Boeing 67/77/87 e Airbus A380/A321. In questo settore Finmeccanica intende rafforzare il proprio ruolo nel segmento strategico dei velivoli regionali dove l'ATR rappresenta il leader del settore con una prospettiva industriale di ulteriori 10-12 anni. Un velivolo di nuova generazione è allo studio ed il suo reale sviluppo è condizionato dalle reali possibilità di un mercato fortemente condizionato dall'andamento dei prezzi dei fattori critici (petrolio anzitutto) e dalle valute. Per quanto riguarda il segmento delle aerostrutture, caratterizzato da marginalità contenuta ed elevati costi variabili, Finmeccanica è determinata a valorizzare le competenze presenti e ad individuare azioni mirate all'efficientamento necessario per rendere il business pienamente sostenibile. Selex ES occupa attualmente circa 800 persone nei siti di Fusaro e Giugliano, con attività riferite ai radar primari, secondari e multi funzionali per applicazioni nei settori civile e militare, nonché altre attività di alto contenuto tecnologico e professionale. Questi siti rappresentano, inoltre, il centro di eccellenza per gli AESA terrestri e navali e per altri segmenti di pianificazione e progettazione di assoluta eccellenza. Sono attività che appartengono al segmento core della strategia Finmeccanica e contemporaneamente sono strategici per la difesa e la sicurezza del nostro Paese e del sistema di alleanze al quale appartiene. Per questa ragione, come noto, vi sono impegni governativi di spesa (Legge Navale, Forza NEC e altri). MBDA è il player mondiale dei sistemi missilistici al quale Finmeccanica partecipa insieme ad altre primarie aziende europee. In Campania sono occupate 370 persone presso il sito di Fusaro, impegnate in attività di ricerca, produzione e collaudo di apparati missilistici. È un settore nel quale Finmeccanica possiede significative competenze tecnologiche. È un comparto caratterizzato da una forte cooperazione tra i Governi a livello europeo e per questa ragione il nostro Governo è impegnato con finanziamenti Pag. 64definiti nell'ambito di apposite leggi. Telespazio è presente a Napoli con una piccola unità di 26 lavoratori, la maggior parte progettisti esperti nella gestione e controllo di sistemi satellitari. Per questa unità è in corso, nell'ambito del piano industriale dell'intera società e dei necessari processi di efficientamento, che, tra l'altro, prevedono anche la razionalizzazione delle sedi operative, un confronto con le organizzazioni sindacali finalizzato alla migliore tutela sociale e professionale di tutti gli interessati. Il Ministero dello sviluppo economico, insieme alla regione Campania, sta favorendo il miglior esito di questo confronto. Preciso che per quanto riguarda il trasferimento delle attività di Telespazio da Napoli a Roma, la materia è in discussione tra le parti, nell'ambito del confronto già avviato sul piano industriale della società. In ogni caso, il Ministero dello Sviluppo economico ha posto all'attenzione di Telespazio la questione dell'impoverimento delle competenze, ricevendo rassicurazioni che sarà data la massima attenzione affinché i progetti richiamati nell'interrogazione non vengano ridimensionati in quanto già supportati da adeguati finanziamenti pubblici.
  Infine, per quanto riguarda il settore trasporti, è noto che Finmeccanica ha avviato da tempo il processo di dismissione. Tra l'altro, nel dicembre scorso la dismissione di Breda Menarinibus, confluita in Industria italiana autobus, ha messo insieme Breda Menarinibus e lo stabilimento ex Irisbus di Avellino, costruendo un polo italiano della produzione di autobus. Per quanto riguarda Ansaldo Breda e Ansaldo STS, sono presenti a Napoli con due siti, nei quali operano circa 1.000 dipendenti, che certamente fanno parte del perimetro interessato al processo di cessione. Sono unità produttive con elevate competenze professionali dedicate alla componentistica ferroviaria meccanica ed elettronica. Si aggiunge, inoltre, la recente comunicazione dell'avvenuta conclusione del confronto tra Finmeccanica e la giapponese Hitachi per la cessione dell'insieme delle attività in capo ad Ansaldo Breda e Ansaldo STS. È una operazione che, come noto, il Governo segue fin dalla sua origine e che adesso ha giudicato molto positiva, perché consente all'intero comparto ferroviario in capo a Finmeccanica di allargare le proprie prospettive tecnologiche e di mercato. Si precisa anche che, dalle operazioni di vendita, le unità napoletane sono complessivamente confermate e acquisiscono una potenzialità di sviluppo, e che Hitachi ha preso impegni molto seri sullo sviluppo di questa attività di tutti e tre i siti di Breda rilevati, cioè Pistoia, Napoli e Reggio Calabria, nonché dei siti STS, di sviluppo sul territorio nazionale di questi siti e della conferma del radicamento anche in Campania. In Campania, dunque, sono occupati nei siti produttivi di Finmeccanica poco meno di 6 mila lavoratori. È una delle presenze più significative, non solo per la dimensione quantitativa ma per l'elevato livello di competenze e per la qualità dell’output, in larga parte riconducibile a settori core.
  Il Governo, come auspicato dagli interpellanti, ha certamente un ruolo di indirizzo nei confronti delle imprese e dei settori strategici e certamente opera con l'obiettivo di consolidare e accrescere la loro presenza nel Mezzogiorno. Tuttavia, le responsabilità gestionali ed operative sono dei gruppi dirigenti scelti dagli azionisti, ai quali devono costantemente rendere conto del loro operato, e fra i compiti fondamentali vi è quello di garantire efficienza e redditività alle aziende loro affidate. Per questa ragione, il Governo guarda con molta attenzione ai processi di efficientamento annunciati dall'ingegnere Mauro Moretti, amministratore delegato di Finmeccanica, i quali, se da un lato debbono essere gestiti in un rapporto corretto con le organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori, dall'altro debbono garantire l'economicità di ciascuna impresa, che è la garanzia per il suo sviluppo.
  L'onorevole Valente ha chiesto cosa significa «concentrarsi». Concentrarsi significa perseguire l'obiettivo di fondo che il gruppo Finmeccanica deve avere nella sua strategia, che, ripeto, è condivisa dal Governo, ossia diventare fino in fondo Pag. 65l'avanguardia italiana nell'innovazione industriale e nelle filiere a tecnologia avanzata. Questo livello di eccellenza, che già si riscontra in Finmeccanica ma verso il quale Finmeccanica si deve focalizzare interamente, richiede processi di efficientamento interno, focalizzazione industriale e posizionamento sui mercati internazionali. Sono processi di grandissimo rilievo industriale che il Governo segue con grande attenzione. Naturalmente il Governo segue questi processi anche sostenendo con apposite dotazioni finanziarie, nei settori naturalmente in cui questo è possibile e necessario, i progetti derivanti da accordi internazionali, sia militari che civili. È il miglior modo per dimostrare la volontà di difendere imprese di eccellenza oggi allocate in gran parte anche nel Mezzogiorno. Si conferma, infine, l'impegno a monitorare costantemente, attraverso l'operato dei diversi Dicasteri competenti, lo sviluppo dei piani industriali di Finmeccanica e la loro ricaduta sui territori, con particolare riferimento agli aspetti economici e sociali. Sto pensando, in particolare, esattamente ai territori del Mezzogiorno e in particolare alla Campania, oggetto dell'interpellanza.

  PRESIDENTE. L'onorevole Valeria Valente ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  VALERIA VALENTE. Presidente, a dir la verità mi posso ritenere in gran parte soddisfatta, perché confido nella sensibilità e nella serietà del Governo, in modo particolare del sottosegretario De Vincenti, che conosce la nostra realtà, che quindi capisce le nostre preoccupazioni e capisce anche che, quando dico che un piano industriale in qualche modo per noi è fumoso, significa che in qualche modo temiamo – lo ripeto – la condivisione generale di un obiettivo, perché condividiamo che l'obiettivo dell'ingegnere Moretti in questo momento sia efficientare e giustamente risolvere problemi di risanamento finanziario dell'azienda, che sono la precondizione per fare qualsiasi altro tipo di ragionamento.
  Ovviamente noi non ci permetteremmo mai di sostituirci alla professionalità e alla competenza dell'ingegner Moretti e del management di Finmeccanica, quindi le scelte aziendali spettano ovviamente a loro, noi confidiamo però che il Governo in quanto azionista di riferimento vigili, come si è impegnato a fare in questa sede, costantemente su come questo obiettivo verrà perseguito, con quali scelte che poi si articoleranno rispetto agli impegni di investimenti e di attenzione verso i singoli territori, perché si possono fare scelte che tengano anche conto che ci sono territori che fino a questo momento hanno dato di più. Quando per esempio – lo dico con un esempio per essere breve, soltanto uno – si parla rispetto ad Alenia di «nuovi investimenti», mi preoccupo solo se questi investimenti siano ancorati al prezzo del petrolio o alla valuta, perché nei prossimi dieci anni, chissà, ma anche rispetto a un nuovo modello di Atr, quali sono gli impegni che già abbiamo, perché questo impegno era già stato assunto. Quindi ci auguriamo che quando si entrerà nel dettaglio di come poi questi obiettivi verranno raggiunti, si tenga conto delle nostre preoccupazioni espresse in questa sede e soprattutto il fatto che c’è un territorio che ha bisogno di una maggiore attenzione.

(Chiarimenti ed iniziative in ordine alla vicenda del declassamento relativo al debito pubblico italiano operato nel 2011-2012 da agenzie di rating, oggetto di procedimenti penali in corso presso il tribunale di Trani, nonché sulle questioni connesse con la stipula di contratti su titoli derivati da parte dello Stato – n. 2-00875)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Brunetta n. 2-00875, concernente chiarimenti ed iniziative in ordine alla vicenda del declassamento relativo al debito pubblico italiano operato nel 2012 da agenzie di rating, oggetto di procedimenti penali in corso presso il tribunale di Trani, nonché sulle questioni connesse Pag. 66con la stipula di contratti su titoli derivati da parte dello Stato – n. 2-00875 (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Brunetta se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica. Ha quindici minuti.

  RENATO BRUNETTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, partiamo da un semplice dato di fatto: ieri mattina non si è presentato nessun avvocato dello Stato a rappresentare il Governo italiano nel processo di Trani contro Standard & Poor's e Fitch; ciò significa che in caso di condanna per manipolazione del mercato delle agenzie di rating lo Stato italiano potrà chiedere i danni solo in sede civile, magari tra una ventina d'anni. Nella giornata di ieri il tribunale di Trani, riscontrata pure alla seconda udienza l'assenza del Ministero dell'economia e delle finanze, ha ammesso tutte le parti civili che ne avevano fatto richiesta – Adusbef, Acu e Federconsumatori – e una ventina di risparmiatori e, come persone offese, Banca d'Italia e Consob. Al di là di ogni polemica politica, la decisione del Ministero dell'economia e delle finanze di non costituirsi parte civile lascia obbiettivamente sbalorditi, letteralmente sbalorditi, soprattutto dopo il deposito di nuovi atti da parte della pubblica accusa da cui risulta che il Ministero dell'economia, dopo il declassamento del rating dell'Italia da A a BBB+ deciso da Standard & Poor's nel 2011, pagò a Morgan Stanley 2,6 miliardi di euro, ripeto, 2,6 miliardi di euro – per quelli della mia generazione oltre 5 mila miliardi delle vecchie lire – così come previsto da una clausola del contratto di finanziamento della banca d'affari statunitense. Per memoria, ricordo che questa cifra è circa la metà o poco più della metà di quanto perso in quella famosa estate-autunno del 2011 con la febbre dello spread che doveva portare, secondo taluni, al collasso del nostro Paese. Metà di quella cifra, che è stata persa con la febbre dello spread, è stata pagata sull'unghia, cash, a Morgan Stanley per una clausola di un contratto derivato. Poiché Morgan Stanley è tra gli azionisti di McGraw Hill, il colosso che controlla Standard & Poor's – questa è la notizia, signor Presidente – secondo la procura il pagamento rappresenta un forte elemento indiziario a carico di Standard & Poor's, vale a dire un azionista di una società di rating che guadagna da una clausola contenuta in un derivato, frutto di un declassamento effettuato dalla stessa società di rating da cui l'azionista ha avuto questo piccolo guadagno. Un pagamento – anche questa è una cosa, signor Presidente, molto interessante – disposto senza battere ciglio. Sappiamo tutti quando abbiamo un credito con lo Stato quanto sia difficile riscuoterlo. Bene, Morgan Stanley ha riscosso subito, immediatamente, senza battere ciglio, dal Ministero dell'economia e delle finanze 2,6 miliardi di euro. Un pagamento, dicevamo, disposto dopo un declassamento del rating italiano che l'accusa definisce effettuato illegittimamente e dolosamente da Standard & Poor's al solo fine di danneggiare l'Italia, con un'operazione di manipolazione del mercato aggravata dalla rilevante offensività – perché il reato è commesso ai danni di uno Stato sovrano – e da una rilevantissima gravità del danno patrimoniale provocato. Un pagamento che deriva da una clausola oscura del contratto di finanziamento tra il Ministero dell'economia e delle finanze e la banca d'affari americana: una clausola su cui il possesso di azioni di McGraw Hill da parte di Morgan Stanley pesa come un macigno. Lo ripeto ancora una volta per chi non avesse capito: Morgan Stanley è azionista di McGraw Hill e McGraw Hill controlla Standard & Poor's; Standard & Poor's declassa di due gradini il rating dell'Italia e grazie a questo declassamento, indietro per la filiera, Morgan Stanley guadagna sull'unghia 2,6 miliardi di euro, pagati sull'unghia.
  Ma veniamo proprio alla clausola dei rapporti del MEF con le banche d'affari. Dalle carte emerge che, a partire dagli anni Novanta, ci furono contratti di finanziamento tra il Ministero dell'economia e delle finanze e le banche d'affari statunitensi, con clausole bilaterali che prevedevano Pag. 67che in qualsiasi momento i contratti potevano essere chiusi e sarebbe stato liquidato l'attivo alla parte cui spettava; per motivi mai spiegati, con Morgan Stanley la clausola era unilaterale e poteva essere esercitata dalla banca al verificarsi di due condizioni, ascolti, ascolti, signor Presidente: il declassamento dell'Italia e se vi fosse stata un'esposizione elevata verso il nostro Paese, se cioè la banca avesse avuto in portafoglio una quantità di titoli italiani che superasse una certa soglia, in ragione del rating. Quindi rating e quantità correlati. La quantità è considerata eccessiva al raggiungimento in giù di un determinato rating negativo. Penso che sia molto chiaro, signor Presidente.
  Da qui innanzitutto due perplessità. Non si comprende infatti come sia possibile che l'Italia abbia pagato 2,6 miliardi di euro – ripeto ancora, con una frase popolare – senza battere ciglio, conoscendo la riottosità dello Stato italiano a pagare, vero, Pier Paolo Baretta ? Anche tu conosci quanto sia difficile riscuotere crediti dallo Stato italiano. Il Tesoro ha pagato cash, senza battere ciglio, 2,6 miliardi di euro ed è bene che gli italiani lo sappiano: sapete dove erano messi in finanziamento questi soldi ? Sul «salva Italia» del Presidente Monti ! Cioè, si faceva un decreto per rastrellare soldi, per salvare il nostro Paese dalla speculazione e dentro il decreto «salva Italia» c'erano anche questi 2,6 miliardi dovuti alla clausola con il derivato della Morgan Stanley. Sembra una follia eppure è così. Dicevo, senza battere ciglio, ed appare a dir poco discutibile che quantomeno non ci si potesse difendere in qualche modo da questa clausola.
  Un altro punto, signor Presidente e signor sottosegretario: l'istruttoria per il processo di Trani ai tempi del pagamento cash era già in corso, non era di là da venire.
  Quindi il Governo italiano, il MEF, avrebbe potuto dire a Morgan Stanley: «Aspetta un momento, perché c’è un tribunale italiano, un pubblico ministero italiano che sta indagando sul declassamento. Siccome dal declassamento dipende l'applicazione della clausola per cui tu dovrai avere i 2,6 miliardi, sarebbe opportuno aspettare quanto meno l'istruttoria prima di pagare». No ! Hanno pagato nonostante l'istruttoria presso Trani fosse già in corso. Mostruoso, signor Presidente ! Mai visto nella storia dello Stato italiano !
  A tal proposito, nel corso di un'audizione svolta in Commissione finanze alla Camera dei deputati – evviva il Parlamento, finché riesce a produrre questa trasparenza – nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli strumenti finanziari derivati, la dottoressa Maria Cannata, che da quindici anni – quindici ! – è dirigente generale e capo della direzione del debito pubblico, ha avuto modo di argomentare come fosse impossibile – attenzione, signor Presidente – «ribellarsi» a tale clausola. Il termine «ribellarsi», che è un termine atecnico rispetto a un contratto di un derivato, la dice lunga sulla stato di sudditanza psicologica, anche di funzionari che sappiamo tutti competenti, come la dottoressa Cannata. Secondo la dottoressa Cannata, se il Tesoro – senta, senta, signor Presidente – non avesse pagato, il danno reputazionale che ne sarebbe derivato sarebbe stato enorme, con conseguenze assolutamente insostenibili nei confronti dei mercati. La dottoressa Cannata ci dice, cioè, che il legittimo utilizzo da parte del Governo italiano di un'argomentazione non speciosa – «guardate che c’è un'istruttoria in corso, un'indagine in corso, quindi aspettiamo gli esiti dell'istruttoria» – non si poteva usare, questa argomentazione non speciosa, perché altrimenti si sarebbero arrabbiati, perché altrimenti Morgan Stanley si sarebbe arrabbiata, magari si sarebbe arrabbiato anche qualcun altro, e quindi non avremmo più potuto collocare il nostro debito. Ma vi rendete conto, signor Presidente, signor sottosegretario, di cosa ci ha detto la dottoressa Cannata ? Questo vuol dire che non siamo liberi, che questo Paese non è libero, non è libero neanche di esercitare i suoi diritti nei confronti della magistratura sovrana.
  Sempre secondo l'alto dirigente del Tesoro – e questa sua audizione in Commissione Pag. 68finanze è molto istruttiva e ci dice molte cose – dal 2011 ad oggi, il numero di operazioni con clausole di questo tipo sarebbe stato ridotto, bontà sua, da 35 a 13 e solo in due casi è avvenuto l'esercizio da parte della controparte, nel giugno e nel dicembre 2014. La dottoressa Cannata, però, non ha specificato chi ha chiuso i due derivati e quanto sia costato. Altri 5 miliardi ? Altri 3 miliardi ? Non si sa, né si conoscono i contenuti dei contratti di derivati dello Stato italiano ancora in essere, chi siano le controparti e per quali importi, quando siano stati stipulati e da chi e con quali clausole. Inoltre, non si ha evidenza pubblica della relazione semestrale che il Ministero dell'economia e delle finanze dovrebbe inviare alla Corte dei conti sulla gestione del debito, prevista dal decreto del Ministero del tesoro del 10 novembre 1995, che fornisca un resoconto dettagliato dell'operatività in derivati, esplicativo delle strategie e degli obiettivi perseguiti, nonché di come vi siano inquadrate le singole operazioni realizzate.
  In ogni caso, quello dei titoli derivati stipulati dal Tesoro italiano per ridurre l'incertezza sul servizio del debito pubblico è un tema su cui la verità è ancora lontana dall'essere svelata. Non siamo in possesso, signor Presidente e signor sottosegretario, di tutte le informazioni necessarie per avere un quadro chiaro. Sappiamo soltanto che il totale dei titoli derivati sottoscritti dallo Stato italiano ammonta a circa 160 miliardi di euro, pari a un decimo del prodotto interno lordo del nostro Paese. Sappiamo che le controparti, guarda caso, sono le stesse banche che acquistano sul mercato primario i titoli di Stato italiani, cioè quelle stesse banche che partecipano alle aste e, quindi, dai cui acquisti dipende la collocazione del nostro debito di mese in mese, di asta in asta, e, quindi, interlocutori molto sensibili. Sappiamo che nel 2012 il Governo Monti ha chiuso un contratto in essere con Morgan Stanley realizzando perdite per 2,6 miliardi di euro e che, sull'intero ammontare – udite, udite – si rischiano perdite superiori a 40 miliardi di euro. Questo vuol dire che in ragione dei derivati in essere, i 160 miliardi, e in ragione delle clausole in essi contenute noi abbiamo, all'interno, nel corpo di questi contratti derivati, una perdita potenziale, se si realizzeranno certe condizioni, di circa 40 miliardi di euro.
  Per questa ragione, signor Presidente, noi siamo qui a chiedere non solo l'istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta sui fatti del 2011, estate-autunno 2011, ma chiediamo subito la total disclosure, la totale trasparenza, la totale rappresentazione di come sia gestito il debito pubblico italiano, che è una scatola nera, un black box. Nessuno sa niente di come è gestito il debito pubblico italiano; nessuno sa quanti e come sono costruiti questi derivati; nessuno sa le modalità, le regole, le procedure, attraverso le quali si determinano i prezzi; nessuno sa niente !
  E, devo dire, è grazie all'inchiesta di Trani che comincia a emergere qualcosa, perché da Trani è emersa l'indagine conoscitiva sui derivati della Commissione finanze di questo Parlamento: grazie all'inchiesta di Trani si è aperto un piccolissimo dibattito tecnico-politico in quest'Aula, e fuori di quest'Aula, per cui ci si chiede chi fa che cosa, quali sono questi contratti derivati, chi opera su questo mercato e come, sulla base di quale trasparenza e a chi si rende conto.

  PRESIDENTE. La prego di concludere.

  RENATO BRUNETTA. Per questa ragione noi siamo qui a chiedere totale trasparenza, total disclosure dei contratti derivati, delle loro modalità, e siamo anche qui a chiedere, signor Presidente, trasparenza su un'altra cosa molto inquietante: è il tema delle «porte girevoli». Perché molti direttori generali del Tesoro e molti ministri sono finiti poi a fare i banchieri in quelle stesse banche con le quali avevano stipulato, come ufficiali pagatori da parte dello Stato, contratti di così alta rilevanza ? Mario Draghi, Domenico Siniscalco, Vittorio Grilli, Giuliano Amato, Linda Lanzillotta, tutti dirigenti o Ministri che sono finiti, guarda caso, a fare Pag. 69i banchieri in quelle stesse banche con cui, dal Tesoro, avevano concluso i contratti. Persone stimabilissime, da me tutte conosciute. Ma è possibile lo stato di queste «porte girevoli» ?

  PRESIDENTE. Concluda.

  RENATO BRUNETTA. Trasparenza e regolazione, signor Presidente.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Pier Paolo Baretta, ha facoltà di rispondere.

  PIER PAOLO BARETTA, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, premetto che l'argomento è stato trattato dettagliatamente in varie occasioni, in particolare in sede di audizione dalla dottoressa Maria Cannata, direttrice della Direzione del debito pubblico, presso la Commissione finanze della Camera dei deputati, in date 10 e 26 febbraio 2015, e da ultimo, proprio l'altro giorno, in data 4 marzo, dal Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, in risposta, in Aula, ad una interrogazione a risposta immediata. La clausola ATE, presente nel contratto quadro (ISDA Master Agreement) fin dalla sua sottoscrizione, nel gennaio del 1994, risultava esercitabile dalla controparte ben prima del 2011, al superamento di soglie di esposizione contenute in funzione del rating dell'Italia. In particolare, dollari 150 milioni ove la Repubblica avesse avuto un rating tripla A; 75 milioni nel caso in cui il rating si collocasse in area doppia A; 50 milioni in caso di singola A. Quindi, per i seguenti livelli di rating: A+; A; A- il limite di esposizione era sempre di dollari 50 milioni.
  Nel corso del 2011, il rating della Repubblica Italiana è stato A+ fino al 20 maggio 2011; è poi passato ad A da tale data sino al 19 settembre 2011, per poi passare a tripla BBB+ il 13 gennaio 2012. Nello stesso periodo temporale il valore dell'esposizione in derivati verso la Repubblica Italiana di Morgan Stanley è sempre stato di gran lunga superiore alla soglia di 50 milioni.
  Ne consegue che le azioni di rating di Standard and Poor's, nel periodo in esame, non hanno avuto alcun rilievo sulla possibilità dell'esercizio della clausola da parte di Morgan Stanley che, si precisa, sarebbe stata esercitabile da anni, ma della quale la banca non aveva mai manifestato di volersi avvalere.
  Peraltro, il Tesoro ha attivamente negoziato la ristrutturazione e la chiusura di buona parte del portafoglio, al fine di ridurre il più possibile l'impatto sui conti pubblici; questo prima dell'azione di rating del 13 gennaio 2012.
  Per quanto riguarda la costituzione di parte civile nel processo in corso a Trani contro le due agenzie di rating, si fa presente che gli andamenti di mercato sono influenzati da una molteplicità di fattori, ancor più nel periodo preso in considerazione dal procedimento, per cui è oggettivamente arduo isolare l'effetto specifico indotto dalle sole azioni di rating sulle quotazioni degli strumenti finanziari. Peraltro, le rilevazioni effettuate nei giorni immediatamente successivi alle date indicate nelle imputazioni non hanno mostrato movimenti significativi in peggioramento, né si sono tenute aste di titoli di Stato. Poiché la costituzione di parte civile rappresenta opzione processuale per la richiesta di danni alternativa rispetto a quella da proporre nella sede civile, conseguentemente si terrà conto degli ulteriori elementi che dovessero emergere.
  Sul fronte della trasparenza, si fa presente che tutte le informazioni possibili sono presenti già sul sito del Ministero, con un livello di trasparenza più ampio di quello della maggior parte degli emittenti sovrani.
  Da ultimo, per quanto riguarda il tema delle incompatibilità, si precisa che il comma 16-ter dell'articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, aggiunto dalla legge 6 novembre 2012, n. 190, prevede che i dipendenti pubblici che negli ultimi tre anni abbiano esercitato poteri autoritativi e negoziali per conto di pubbliche amministrazioni, non possano svolgere, nei tre anni successivi, attività lavorativa o professionale presso i soggetti Pag. 70privati destinatari dell'attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. Tale disciplina è generale per tutti i dipendenti pubblici e, per effetto del richiamo contenuto nell'articolo 21 del decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, appare applicabile anche ai vertici ministeriali.

  PRESIDENTE. L'onorevole Brunetta ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  RENATO BRUNETTA. Signor Presidente, non me ne voglia l'amico sottosegretario Baretta, però questa sua risposta non è altro che il taglia incolla dell'audizione della dottoressa Cannata e della risposta al question time della scorsa settimana. Non è molto serio, non lo dico al dottor Baretta, non è molto serio comportarsi così da parte del Governo. Non si va in Aula, in Parlamento, con un taglia incolla. Secondo punto di cui il sottosegretario Baretta non è responsabile: io avevo chiesto che venisse il professor Padoan qui oggi, data la rilevanza del tema, e il professor Padoan non è venuto. Vorrei dire, con un po’ di retorica, che non ha avuto il coraggio di venire, ma conoscendolo da tempo, conoscendo da tempo il collega Padoan, penso che sia stato impedito, non so da cosa, ma forse posso pensare da cosa sia stato impedito. Vede, signor Presidente, sto facendo lo sforzo di far capire agli italiani cosa sia successo in quell'estate e autunno del 2011, quando un Governo regolarmente eletto è stato fatto cadere, sulla base della speculazione finanziaria che ha colpito non solo il Governo, ma tutto il nostro Paese, le nostre famiglie e le nostre imprese. E la verità sta lentamente venendo a galla proprio anche e soprattutto grazie all'indagine di Trani, ma sopratutto grazie anche all'ineffabile – ineffabile perché non se ne è mai parlato – audizione della dottoressa Cannata. Vede, la dottoressa Cannata ci ha raccontato candidamente che tra il tesoro e le venti banche, che fanno il bello, il brutto e il cattivo tempo – le chiamerei le venti sorelle, riecheggiando il cartello del petrolio – tra le venti sorelle e il tesoro c’è un rapporto incestuoso. Sì, signor Presidente, incestuoso, vale a dire che prestano e ricevono, prestano e, di fatto, condizionano, ricattano, ricattano a tal punto che all'apparenza – mi scusi se penso male – portano ad impedire di fatto al Governo italiano di costituirsi parte civile, perché anche questo avrebbe, usando le parole della dottoressa Cannata, condizionato la nostra reputazione nei confronti delle banche creditrici, cioè come dire: non esercitare un tuo diritto nei confronti di un tribunale della Repubblica, perché se lo farai perderai la reputazione. Ma quale reputazione ? La reputazione di chi deve pagare e deve stare anche zitto, deve stare anche buono ? Si è sempre parlato con retorica dei mercati: i mercati giudicheranno il nostro Paese, i mercati giudicano il nostro debito, i mercati giudicano i nostri titoli pubblici, ma qui non siamo di fronte ai mercati, questa nobile cosa. Qui siamo di fronte a venti banche, a venti gruppi bancari quasi tutti internazionali, che fanno il bello, il brutto e il cattivo tempo sulla gestione del nostro debito, il che vuol dire, signor Presidente, sulla vita del nostro Paese. Perché noi qui ce la battiamo tutti i giorni con le leggi, gli emendamenti, le manovre, le leggi finanziarie, dopodiché oscuri funzionari delle banche e nobili funzionari del tesoro decidono, nella più completa opacità, della nostra vita. Rapporto incestuoso, rapporto di sudditanza psicologica, signor Presidente, da parte del nostro tesoro e dei nostri funzionari, forse da parte anche dei nostri Ministri, nei confronti di queste banche. Paga e taci, paga e sta zitto, ma si rende conto che l'esposizione di Morgan Stanley – è stato detto anche dal sottosegretario – era di 50 milioni e la clausola è valsa due miliardi e mezzo ? Pier Paolo, hai fatto questo conto: 50 – 2 miliardi e mezzo ? Ma quando mai una clausola vessatoria rispetto a un contratto ha una valenza di un multiplo così rilevante rispetto al contratto stesso ? Di solito la valenza di una caparra, di una penale è un sottomultiplo, non un multiplo; 50-100 cento milioni di euro di esposizione di Pag. 71Morgan Stanley con una penale di 2 miliardi e mezzo, ma siamo impazziti ? E di queste cose non si è mai saputo nulla. Io che faccio di mestiere l'economista e che ho fatto il Ministro non ho saputo nulla. Io che in quei mesi facevo il Ministro in quel Governo di quell'estate e autunno 2011 non ho saputo nulla, perché nulla era dato sapere e anche oggi nulla è dato sapere. Opacità, opacità totale, mai finita, signor Presidente e signor sottosegretario. La non presenza qui del professor Padoan non aiuta. Avrei voluto guardarlo negli occhi, avrei voluto chiedergli: caro Pier Carlo, perché non fai trasparenza ? Perché non ci dici tutta la verità di quel periodo ? Non la dici all'Italia non a me, non a quest'Aula, non la dici all'Italia. Qual è il rischio ancora in corso ? Quali sono i rapporti leonini che legano queste banche al nostro tesoro ? Per questa ragione, signor Presidente, sono qui a chiedere la Commissione parlamentare d'inchiesta, sono qui a chiedere la total disclosure, trasparenza, la einaudiana trasparenza: conoscere per deliberare. Quello che è cominciato ad emergere nei giorni scorsi, quel piccolo dibattito che anche oggi contribuiamo a formare, è solo grazie al processo di Trani, processo di Trani osteggiato in tutti i modi, ridicolizzato, sottovalutato, oscurato dalla stampa. Ma per la prima volta oggi in quest'Aula, vivaddio, in questo Parlamento, vivaddio, nella storia della Repubblica, c’è un dibattito sul debito, su chi opera su questo debito, sui Ministri, sui funzionari, sui direttori generali, sulle banche, sui contratti derivati, sulle clausole dei contratti derivati. Per la prima volta ! Fino ad oggi la gestione del debito pubblico italiano, la gestione del debito pubblico, non la formazione del debito pubblico italiano, su cui si sa tutto politicamente, ma la gestione del debito pubblico italiano finora è stata un buco nero, una scatola nera da cui non è venuta fuori nessuna informazione.
  Sono un buco nero le regole, le prassi, i comportamenti pregressi. Se c'era tanta capacità di gestione, come ci dice la dottoressa Cannata nella sua famosa audizione, e tanto controllo del debito, perché nell'estate-autunno 2011 i rendimenti dei titoli di Stato andarono così alle stelle e si creò il panico ? Perché, se tutto era sotto controllo e se le aste sono andate tutte completate, ci fu tanto panico ? Ma se le venti banche amiche che comprano alle aste erano così ben disposte, perché ci fu tanto panico, signor Presidente ? Perché si disse che l'Italia era sull'orlo del baratro, quando i titoli delle aste furono tutti collocati, tutti, ancorché a rendimenti elevati ?
  Fu vera crisi quella dell'estate-autunno 2011, signor Presidente e signor sottosegretario, o fu un vero imbroglio, per soldi e per potere ? Dov'era la crisi strutturale del nostro Paese ? Dov'era l'orlo del baratro ? Dove erano gli stipendi dei dipendenti pubblici, che rischiavano di non essere pagati, come ci disse il Presidente Monti, che, da un lato, lanciava questi messaggi e, dall'altro, pagava cash 2,6 miliardi di euro a Morgan Stanley per la famigerata clausola di salvaguardia ? Sì, a Morgan Stanley !
  I titoli di Stato hanno raggiunto quei rendimenti troppo alti perché il Tesoro, che con le venti banche che acquistano quei titoli abbiamo visto che parla tanto, ha concesso a quelle banche amiche quelle condizioni. Ma era proprio inevitabile arrivare a quei rendimenti con delle banche amiche, con banche con cui, come ci dice sempre la bravissima dottoressa Cannata, vi era un lungo, antico, rapporto di fiducia ? E perché tanto panico, se c'era tanta fiducia ?
  Tra l'altro, si diceva che i fondamentali del nostro Paese erano al collasso, al disastro. Abbiamo guardato i fondamentali di allora e i fondamentali di oggi ? Allora il rapporto debito/PIL era al 121 o al 122 per cento, ora è 10 punti di più; allora la disoccupazione era quattro punti inferiore all'attuale.
  Ne deriva, signor Presidente, che non solo quello fu un imbroglio, ma che vi fu un vero assalto alla diligenza, per soldi e per potere. Qualcuno ha fatto i soldi in quell'estate-autunno 2011 e ha continuato a farli anche nel 2012, e qualcun altro ha fatto un altro bottino, un bottino politico. Pag. 72Si è spostato l'asse del consenso, con un grande costo democratico, perché da allora non vi è stato più alcun Governo eletto e voluto direttamente dal popolo attraverso le elezioni.
  Per questo, chiedo ancora la Commissione parlamentare di inchiesta su quell'estate-autunno 2011 e chiedo la Commissione di vigilanza sul debito. Basta opacità, basta omissis, basta «non si può dire», dottoressa Cannata, ma ci vuole total disclosure. E non è vero, dottor Baretta, che le nostre condizioni di trasparenza siano superiori a quelle della media degli altri Paesi, non è affatto vero ! È una falsità ! E, in ogni caso, date le nostre condizioni, la trasparenza diventa l’asset fondamentale da cui ripartire. La ringrazio, signor Presidente (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

(Chiarimenti in merito alle modalità della recente cessione di quote azionarie di Enel e intendimenti circa l'impiego dei ricavi ottenuti – n. 2-00871)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza Dorina Bianchi ed altri n. 2-00871, concernente chiarimenti in merito alle modalità della recente cessione di quote azionarie di Enel e intendimenti circa l'impiego dei ricavi ottenuti (Vedi l'allegato A – Interpellanze e interrogazioni).
  L'onorevole Vignali ha facoltà di illustrare l'interpellanza di cui è cofirmatario per quindici minuti.

  RAFFAELLO VIGNALI. Signor Presidente, con questa interpellanza chiediamo alcune motivazioni su alcune scelte e anche su intenzioni future del Ministero dell'economia e delle finanze relativamente alle cessioni avvenute sul mercato nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 2015 relativamente a Enel; peraltro, cessioni già annunciate dal Ministro Padoan. A novembre scorso, presso il Senato, in occasione di un'interrogazione a risposta immediata, il Ministro ha manifestato l'intenzione del Governo di ottenere risorse dalla cessione di quote pubbliche pari allo 0,7 per cento del PIL a partire dal 2015.
  Sempre in occasione di quella interrogazione, aveva annunziato che le quote sarebbero state relative a Enel, Poste Italiane, Ferrovie dello Stato ed ENAV. Peraltro, il Ministero ha correttamente comunicato, con una sua nota, l'operazione fatta la notte tra il 25 e il 26 febbraio. In quella notte, sono stati ceduti oltre 540 milioni di azioni Enel, pari al 5,74 per cento, per un valore di circa 2,2 miliardi di euro. Questo è accaduto attraverso una procedura particolare, l’accelerated bookbuild, che è un meccanismo che riserva ad investitori istituzionali quote societarie particolarmente rilevanti.
  La peculiarità di questa procedura consiste, come suggerito dal nome, nella celerità delle operazioni di cessione e senza la necessità di alcuna operazione pubblicitaria, cosa che, invece, accade in occasione di offerte pubbliche iniziali. Per contro, questa procedura prevede uno sconto per gli investitori istituzionali che acquistano la quota, che può variare tra l'1 ed il 5 per cento.
  Lo sconto è il margine di guadagno degli investitori che con il tempo cederanno una parte del pacchetto ad altri investitori, mentre una parte finirà sul mercato. Proprio in ragione di tale sconto, l'accoglienza dei mercati di questa procedura non è, di norma, molto entusiasta, molto positiva; non solo per questo, ma anche in considerazione, evidentemente, del pacchetto significativo messo in vendita. Infatti, a seguito di questa operazione, vi è stato un ribasso nelle quotazioni azionarie di Enel il 26 febbraio 2015.
  In occasione della cessione di cui sopra, il Ministero dell'economia e delle finanze ha fissato un range di prezzo di vendita non inferiore ai 4 euro ad azione. Lasciamo stare, ovviamente, chi è stato coinvolto, perché questo poco rileva. L'interpellanza, che non intendo fare lunga, riguarda due aspetti: da una parte, quale motivazione abbia spinto il Ministero dell'economia e delle finanze ad intraprendere l'operazione di cessione delle quote Enel adoperando lo strumento dell’accelerated Pag. 73bookbuild, in considerazione anche dell'esistenza, evidentemente, di altre procedure disponibili; dall'altra parte, se non ritenga opportuno chiarire quali provvedimenti riguarderanno l'impiego dei 2,2 miliardi di euro ottenuti dalla suddetta cessione delle quote Enel.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Pier Paolo Baretta, ha facoltà di rispondere.

  PIER PAOLO BARETTA, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Grazie Presidente, innanzitutto si fa presente che la tecnica ABB di vendita è quella più frequentemente utilizzata per operazioni simili a quella programmata. Tale tecnica di cessione consiste nella vendita di azioni mediante raccolta di ordini di acquisto provenienti da investitori istituzionali, che si perfeziona in tempi ristretti, solitamente da una a tre giornate borsistiche.
  Oltre all'accelerazione dei tempi di realizzazione, la tecnica in questione consente la minimizzazione dei costi di documentazione, in quanto non richiede né la presentazione di prospetti informativi, né la realizzazione di campagne pubblicitarie. Inoltre, essa ha consentito di mantenere la necessaria flessibilità e di usufruire al meglio delle opportunità di mercato. Tra i principali vantaggi dell'utilizzo della modalità ABB con la clausola del backstop price, vi è la garanzia per il venditore di un livello minimo di prezzo di cessione del pacchetto azionario, a prescindere dal riscontro degli investitori in sede di creazione del libro di domanda e della reazione delle quotazioni all'annuncio dell'operazione. In questo modo, pertanto, c’è l'assoluta certezza di dismettere il pacchetto azionario ad un determinato prezzo. La scelta della suddetta modalità di vendita è stata adottata sulla base delle indicazioni fornite dal consulente finanziario, che ha confrontato le varie modalità di vendita, anche in relazione a ipotesi di offerta pubblica, e l'ha ritenuta la più idonea a realizzare l'operazione in tempi ridotti, con minimizzazione dei costi e garanzia di risultato.
  Tale suggerimento è stato accolto e condiviso anche dal Comitato per le privatizzazioni, organo di consulenza del Ministero, istituito per legge. L'operazione è avvenuta con uno sconto minimo rispetto all'ultima quotazione di mercato, risultando tra quelle a minor sconto realizzate nell'ultimo anno. Infine, si soggiunge, che, ai sensi delle vigenti disposizioni di legge, i proventi della cessione sono destinati al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato per la riduzione del debito pubblico.

  PRESIDENTE. L'onorevole Vignali ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta all'interpellanza Dorina Bianchi n. 2-00871.

  RAFFAELLO VIGNALI. Grazie Presidente, sì, sono soddisfatto, sarebbe utile – credo – anche che le ragioni del confronto tra le varie procedure, comprese le valutazioni di tipo economico in merito, siano rese pubbliche per una maggiore trasparenza. Questa è un'interpellanza che chiede semplicemente una trasparenza maggiore, perché comunque si tratta di asset importanti del nostro Paese e, quindi, è giusto che vengano dati, soprattutto su operazioni di questo tipo, anche i dettagli che fanno optare per una scelta, piuttosto che un'altra. Non abbiamo motivo di credere che non sia stata fatta la scelta economicamente più vantaggiosa per lo Stato, su questo non vi è alcun dubbio, ma probabilmente questo potrebbe fugare anche i sospetti da parte di qualcuno malevolo che potrebbe pensare altre cose, come capita spesso di sentire in quest'Aula.
  Sulla seconda risposta, conosciamo la norma, siamo contenti della risposta, anche perché crediamo che operare sulla riduzione del debito ci consenta poi di avere risorse per investire, l'obiettivo che si è dato il Governo, questo 0,7 per cento per quest'anno, è un obiettivo sicuramente serio, importante e impegnativo, che sicuramente può migliorare i nostri conti pubblici; nello stesso tempo, nel momento in cui paghiamo evidentemente meno interessi, abbiamo anche più risorse per fare le cose che dobbiamo fare. Questo, sicuramente, Pag. 74lo salutiamo molto, molto positivamente. Siamo contenti che sia stato confermato in Aula, perché invece nel passato abbiamo visto che le risorse ottenute dalle privatizzazioni non sono andate alla riduzione del debito, ma sono andate per la spesa corrente: è come vendere la macchina per comprare la benzina, non ci sembra una scelta molto oculata. Mettere a riduzione del debito, per rendere poi disponibili risorse derivanti dai minori oneri finanziari che paghiamo sulle stesso, riteniamo che sia una scelta estremamente utile e saggia.

(Iniziative normative in ordine alla formazione delle classi scolastiche al fine di garantire standard adeguati di sicurezza, qualità della didattica, inclusione e integrazione – n. 2-00856)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Luigi Gallo n. 2-00856, concernente iniziative normative in ordine alla formazione delle classi scolastiche al fine di garantire standard adeguati di sicurezza, qualità della didattica, inclusione e integrazione (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Luigi Gallo se intenda illustrare la sua interpellanza per quindici minuti, o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  LUIGI GALLO. Grazie Presidente, e sottosegretario all'istruzione che non c’è, anche questa volta interloquiamo con un sottosegretario, Baretta, che ringraziamo, ma che è di un altro Ministero. Mi chiedo cosa fanno il Ministro e i sottosegretari all'istruzione, perché della «buona scuola» da luglio non è stato prodotto un atto, l'anno scolastico inizia sempre tra mille difficoltà e ritardi, non rispondono ad un atto ispettivo scritto – sono più di seicento – e noi qui in Parlamento lavoriamo a vuoto.
  Ma andiamo al tema di oggi: siamo di nuovo qui a batterci in Parlamento per la fine delle classi pollaio ed ho il presentimento che anche questa volta non sia l'ultima puntata, purtroppo. È dal 2013 che il MoVimento 5 Stelle cerca di essere per il Governo una spina nel fianco su questo tema, non certamente perché ne trae soddisfazione, ma per un fattore molto semplice: molti dei deputati e senatori del MoVimento 5 Stelle che sono in Commissione cultura sono docenti ed hanno visto con i loro occhi e vissuto sulla loro pelle che cosa significa insegnare in classi di trentatrè studenti. Veda, signor sottosegretario, teoricamente la scuola italiana è perfetta, perché nella legislazione ha schemi molto avanzati.
  Chiede ai docenti insegnamenti personalizzati per gli studenti, affronta il tema dei bisogni educativi speciali, ha un'attenzione importante per i diversamente abili. Ma poi ? Basta calarsi nella realtà e tutte queste belle indicazioni diventano carta straccia. Perché come al solito voi volete far funzionare la scuola senza risorse, anzi le tagliate.
  Con la riforma Gelmini abbiamo visto progressivamente aumentare il numero degli studenti in una classe e avere una riduzione degli insegnanti. Esattamente quello che non serviva per una buona qualità della didattica, per affrontare le sfide della modernità, per personalizzare gli insegnamenti, ma, cosa che ancora di più preoccupa le famiglie, per garantire le norme della sicurezza per i propri figli.
  I numeri parlano chiaro e sono dati ufficiali del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ottenuti dall'anagrafe degli studenti per l'anno scolastico 2014-2015. Questo è il secondo anno consecutivo che gli studenti frequentanti i corsi di studi della scuola italiana sono aumentati in modo considerevole: rispetto all'anno precedente si tratta di 25.546 unità in più alle superiori e di 9.216 alla primaria. Anche nel 2013 vi fu un incremento di circa 30 mila iscritti.
  Oggi abbiamo un Governo Renzi che sulla pelle di docenti fa promesse che non riesce a mantenere. Prima 150 mila, poi 100 mila, poi 80 mila, poi si vocifera 40 mila, ma il rischio è di avere zero assunzioni, perché Renzi invece di salvare gli studenti da una scuola in difficoltà ha Pag. 75scelto di ricattarli. Assunzioni in cambio di un modello autoritario a scuola, di tagli degli stipendi dei docenti, di tagli al personale amministrativo, tagli alle supplenze con studenti che tutti i giorni, anche in questo momento, restano senza insegnanti. E non a caso gli studenti sciopereranno contro le idee di Renzi il 12 marzo. Ma soprattutto Renzi non si differenzia dagli altri e chiama riforma nuovi tagli strutturali nella scuola.
  La Ragioneria generale dello Stato ha certificato il taglio di 124 mila posti tra il 2007 e il 2012 di tutto il personale della scuola. Il Partito Democratico invitava a scendere in piazza contro il Ministro Gelmini e poi al Governo diventano alleati. È rimasto solo il MoVimento 5 Stelle a contrastare le scelte del peggiore Ministro dell'istruzione della storia della Repubblica italiana. Ogni volta che vi chiediamo di reintegrare gli 8 miliardi tagliati all'istruzione dal Governo Berlusconi, voi bocciate le nostre proposte.
  Con il decreto ministeriale del 26 agosto 1992 il massimo affollamento ipotizzabile per un'aula scolastica è fissato a 26 persone, non per un capriccio, ma per permettere adeguate misure di evacuazione in caso di emergenza, come quelle che prevedono le norme di prevenzione incendi in una scuola. Ma le attuali disposizioni vigenti hanno modificato radicalmente i criteri di formazione e numerosità delle classi, comprese quelle in cui sono iscritti alunni con disabilità, innalzando sensibilmente il rapporto alunni-classe, in base ad una logica finalizzata al risparmio che ha regolato la politica scolastica italiana negli ultimi venti anni. Una logica che non può essere applicata per i diritti fondamentali, non può essere applicata per i principi della prima parte della Costituzione. diritto allo studio e diritto alla salute.
  A supplire la politica purtroppo arrivano i tribunali. Non doveva cadere in un Paese normale, ma noi non lo siamo con questi Governi degli ultimi vent'anni. Per questo in Sicilia il tribunale amministrativo regionale (sezione terza), con sentenza n. 02250 del 2014, in merito al ricorso registro n. 00401/2014 presentato da genitori e studenti, ha sdoppiato, nel corso dell'anno scolastico, una classe quarta in un liceo palermitano formata da 24 alunni, di cui quattro con disabilità, derivante dalla fusione di due classi più piccole entrambe con alunni con disabilità, perché composta da un eccessivo numero di studenti.
  Secondo il TAR l'eccessivo numero di alunni, oltre a compromettere la sicurezza degli stessi, va ad incidere negativamente sulla qualità della didattica e non permette la piena inclusione dei disabili. Niente di più di quello che ho affermato finora. La sentenza mette in discussione i criteri con cui vengono formate le classi, imponendo, per la prima volta con una sentenza al riguardo, il rispetto del tetto massimo di venti alunni nelle classi successive alla prima.
  La decisione del TAR Sicilia è stata motivata in questo modo: anche per le classi intermedie si impone un'interpretazione dello stesso dato normativo in linea con le esigenze di inclusione dell'alunno disabile, così come tracciate dalla legislazione interna di riferimento e dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.
  Ed ancora, una lettura improntata a parametri di logicità impone di ritenere che il limite dei venti alunni previsto per le classi iniziali debba considerarsi valido per tutte le classi.
  Per questo la mia più che una interrogazione è un appello a tutela dei diritti delle persone con disabilità, alla loro integrazione e inclusione, alla loro formazione, al fine di garantire a tutti gli alunni degli istituti scolastici italiani di ogni ordine e grado standard adeguati di sicurezza e qualità della didattica. Cancelliamo insieme la vergogna delle «classi pollaio». Il MoVimento 5 Stelle ha inserito questo limite massimo di 20 studenti per classi che accolgono alunni diversamente abili in due proposte di legge già depositate alla Camera. Facciamo questa scelta nel disegno di legge governativo de «La buona scuola». Noi siamo pronti a dire di sì.

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  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato, Pier Paolo Baretta, ha facoltà di rispondere.

  PIER PAOLO BARETTA, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, come ricordava l'onorevole Gallo, mi è stato chiesto di sostituire il Ministero dell'istruzione, lo faccio volentieri e riferisco, quindi, quello che il Ministero dell'istruzione intendeva dire. La problematica esposta dagli onorevoli interpellanti riguarda il rapporto eccessivamente alto tra studenti e docenti e la naturale inclinazione di un sistema sano ad eliminare il fenomeno denunciato.
  Posto ciò, corre l'obbligo ricordare come le suddette «classi pollaio» rappresentino una realtà molto ridotta e molto concentrata. In particolare, rispetto all'anno precedente, nel corrente anno scolastico si registra un aumento degli alunni limitatamente alla scuola secondaria di secondo grado, mentre per il primo ciclo si rileva una diminuzione. A fronte di ciò, si registra un incremento del numero delle classi in misura percentualmente maggiore e conseguentemente una riduzione del rapporto alunni/classi. Infatti, i dati in possesso del Ministero per l'anno scolastico 2014/2015 evidenziano che il rapporto alunni/classi, riferito a tutti gli ordini e gradi di scuola, è sceso da 21,47 dell'anno scorso a 21,38 di quest'anno scolastico.
  Prendendo in considerazione il dato della sola scuola secondaria di secondo grado, si registra, rispetto all'anno scorso, un aumento dell'1,26 per cento degli alunni e dell'1,47 per cento delle classi. Ne deriva una diminuzione del rapporto alunni/classi che passa dal 22,52 dell'anno scorso al 22,47 del corrente anno scolastico.
  Venendo alla questione specifica posta dagli onorevoli interpellanti, relativa alla sentenza del TAR Sicilia che ha accolto il ricorso presentato avverso l'accorpamento di due classi quarte di un liceo artistico di Palermo per l'anno scolastico 2013/2014, si rappresenta che l'Ufficio scolastico regionale per la Sicilia ha dato corso alla stessa pronuncia in occasione della formazione delle classi per l'anno scolastico successivo, come sancito dallo stesso TAR. Più in generale, si evidenzia come nella provincia di Palermo il rapporto alunni/classi per la scuola secondaria di secondo grado rifletta il dato nazionale.
  In conclusione, con il varo delle misure al vaglio del Governo e l'attuazione del Piano «La buona scuola», che consentirà a tutte le istituzioni scolastiche di avere i docenti di cui hanno bisogno, con una flessibilità non più legata a parametri numerici ma agli effettivi fabbisogni, il fenomeno delle «classi pollaio», già ridotto e contenuto, potrà scomparire.

  PRESIDENTE. L'onorevole Luigi Gallo ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  LUIGI GALLO. Signor Presidente, non sono soddisfatto, perché il Governo parla di una possibile assunzione e aumento di personale all'interno della scuola con «La buona scuola», cosa che è ancora tutta da certificare, ma questo non indica un concreto e diretto miglioramento del rapporto alunni/classe. Se aumenta il numero dei docenti, a cui Renzi vuol far fare sicuramente altre cose, come la supplenza e il lavoro pomeridiano, non significa che noi riusciamo a ridurre questo rapporto.
  Quello che racconta il sottosegretario è un numero di media. Questo significa che si possono trovare tanti casi in cui le classi sono troppo numerose.
  Allora, io mi chiedo come mai un Governo a guida PD, del Partito Democratico, adotta questa misure. Si tratta dello stesso partito che si strappava le vesti in pubblica piazza contro la riforma Gelmini. Infatti, ricordiamo che le classi pollaio sono aumentate soprattutto con una norma introdotta dal Governo Berlusconi. Noi del MoVimento 5 Stelle stiamo smascherando la finta opposizione che avete fatto in questi anni. Infatti, adesso sembra che Renzi e Berlusconi, anzi è ormai accertato, sono in perfetta sintonia. Non a caso la Gelmini, quando ha letto il documento della «Buona scuola», ha Pag. 77detto: questa è la mia riforma. Voi siete d'accordo su tutto: quando farete questo partito della nazione che piace tanto a Renzi ? Come la Gelmini avete continuato a tagliare nel comparto scuola; come la Gelmini intervenite pesantemente sullo stipendio dei docenti, anzi fate peggio: la Gelmini bloccò gli scatti stipendiali e voi li eliminate del tutto con una riforma strutturale che nascondete dietro al merito per impoverire e piegare la dignità dei docenti. Come la Gelmini volete una scuola autoritaria creando una cricca del dirigente nelle scuole, mettendo in seria difficoltà anche tanti dirigenti scolastici che pensano che la scuola sia una comunità e non un'azienda. Ma, soprattutto, come la Gelmini non siete interessati alla qualità della scuola statale dove le classi preferite affollarle all'inverosimile per far scappare gli studenti e convincere i genitori che l'unica loro vera alternativa è la scuola privata.
  Infatti, la vostra «Buona scuola» aumenta le risorse guarda caso solo alle scuole private. La scuola statale resta a stagnare nella sua agonia. E, di fronte a questo quadro, voi non fate un passo indietro, neanche davanti ai disabili e alla loro integrazione, alla loro inclusione e alla loro formazione, alla qualità della didattica e neanche dinanzi alla loro sicurezza.
  Ieri, in Commissione, da un collega del sottosegretario ho avuto i numeri dei docenti di sostegno precari. In Italia, gli insegnanti di sostegno precari sono ben 27 mila e 3.600 soltanto in Campania. Sapete cosa significa questo ? Significa che il doppio degli studenti, anzi più del doppio degli studenti disabili cambia ogni anno docente e magari lo cambia anche durante lo stesso anno scolastico. Eppure in Parlamento, in quella istituzione che voi con la bocca dite di rispettare, abbiamo votato insieme al Partito Democratico impegni concreti per il Governo, contro le classi pollaio e per la continuità didattica per gli studenti diversamente abili: tre anni con lo stesso docente. Ma la verità è che il PD fa le cose per un titolo sui giornali, poi, se il Governo calpesta le scelte parlamentari, cosa importa. La propaganda l'avete già fatta a chi non vive nel mondo della scuola.
  Avete cancellato le risorse per la formazione dei docenti anche nell'ambito della disabilità. Ancora una volta insieme votiamo le risorse per la formazione dei docenti, dedicata ai bisogni educativi speciali e alla disabilità, e voi vi dimenticate di utilizzare quelle risorse, non fate decreti attuativi e le risorse sono scomparse. Giustamente, per legge demandate ai comuni l'assistenza materiale dei disabili e, poi, in legge di stabilità tagliate 4,5 miliardi di euro e le famiglie restano senza assistenti materiali per i loro figli. Avete una gestione fallimentare su questi temi perché non volete spendere risorse. Se questa è la vostra impostazione, sappiate che la vostra «Buona Scuola» non troverà vita facile. Ve lo ripetiamo nuovamente: fate due atti governativi diversi. Uno, solo per le assunzioni nel 2015, e sarà approvato molto prima del 16 aprile. L'altro, dopo. Avremo l'opportunità di cancellare le classi pollaio almeno dal 2016. Fatene una di cosa per essere ricordati positivamente da studenti, genitori e lavoratori della scuola.

(Chiarimenti in merito alla vicenda di presunte false sponsorizzazioni di progetti di ricerca presso l'Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa, nonché in merito ai criteri di nomina dei relativi vertici – n. 2-00862)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Fedriga n. 2-00862, concernente chiarimenti in merito alla vicenda di presunte false sponsorizzazioni di progetti di ricerca presso l'Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa, nonché in merito ai criteri di nomina dei relativi vertici (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Rondini se intenda illustrare l'interpellanza di cui è cofirmatario, o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  MARCO RONDINI. Grazie Presidente, la vicenda è rimbalzata agli onori della Pag. 78cronaca ormai da quindici giorni e su uno di questi quotidiani se ne dà notizia sotto un titolo eloquente che è quello di: «Io, da bidello a vertice del CNR». Allora, la vicenda ci è raccontata nei particolari e vale la pena di ripercorrere la notizia che ci ha dato la cronaca. Ci dice:
  «Prelevare dai conti correnti dell'Istituto di fisiologia clinica del CNR di Pisa era facile come bere un bicchiere d'acqua. Bastava proporre un progetto di ricerca, inventare di sana pianta i nomi dei possibili sponsor e il gioco era fatto.
  Dalla borsa dell'istituto, uno dei centri dove ricerca e pratica clinica si fondono sui crinali dell'eccellenza, uscivano, sotto forma di anticipi di cassa, centinaia di migliaia di euro che negli anni sono diventati milioni, aprendo una voragine nei bilanci». A confermare il meccanismo è il personaggio chiave dell'inchiesta, responsabile dell'ufficio progetti che, si è appreso ieri, è persona con problemi psichiatrici, in cura da anni e sottoposto a recente TSO al dipartimento di salute mentale. È stato appena licenziato dal CNR quando si è scoperto che non era in possesso della laurea necessaria per l'incarico da lui ricoperto. È lui stesso a ricordarci che: «sì, ho prodotto un certificato falso», ha confermato ai giornalisti. Il suo legale precisa che si tratta di persona affetta da grave disturbo bipolare con sindrome maniacale, attualmente sottoposta a cura farmacologica. Ne consegue che le dichiarazioni rilasciate dallo stesso non possono ritenersi il frutto di una determinazione lucida e cosciente, attesa la gravità della patologia in atto.
  Il personaggio ha avuto anche altri procedimenti penali che si sono conclusi con il riconoscimento della sua incapacità di intendere e di volere. Ma come inizia poi a parlare, il personaggio è un fiume in piena: «Sono entrato nel CNR nel 2007 come custode. Poi ho partecipato a un bando interno che prevedeva il possesso di una laurea e ho presentato un titolo di studio falso». E a quel punto ha iniziato una brillante carriera che lo ha portato a diventare, in due anni, responsabile dell'ufficio progetti. Capisce subito come funzionano le cose. «Veniva da me un ricercatore, proponendomi un progetto per il quale era possibile individuare uno sponsor. Io istruivo la pratica, chiedendo l'anticipo di cassa e, dopo il vaglio della segreteria amministrativa, arrivavano i soldi». «Ma presto – spiega – mi sono reso conto che di fatto non c'era nessun tipo di controllo, né in fase iniziale, né durante lo svolgimento del progetto, né a consuntivo. E dunque ho iniziato io stesso a proporre sponsor inesistenti e a dare corso direttamente alle richieste di finanziamento scrivendo “urgente” sulle pratiche. I soldi arrivavano regolarmente». Anche se poi l'istituto non riusciva mai a rientrare degli anticipi versati per garantire la copertura finanziaria alle ricerche proposte.
  Per il solo biennio 2013-2014 l'attuale direzione ha già rilevato un ammanco di 3,5 milioni di euro, ma secondo il personaggio coinvolto nell'inchiesta, andando a ritroso, potrebbe esser una cifra molto più alta e, di fatto, oggi, si parla addirittura di 10 milioni di euro. I soldi che fine facevano ? «Servivano – spiega ancora – a pagare i progetti, i ricercatori, le borse di studio, le collaborazioni con numerose università e l'acquisto di macchinari all'avanguardia. Con questo sistema abbiamo contribuito a far funzionare l'istituto, che era pieno di debiti. Ma, ripeto, nessuno controllava». Se poi il denaro, o parte di esso, ha preso anche altre strade dovrà accertarlo oggi la procura. Noi ci chiediamo però come sia possibile che una persona con questo quadro clinico sia arrivata a ricoprire un incarico di questo tipo e senza, fra l'altro, produrre il documento necessario per poter accedere al bando e cioè il titolo di laurea.
  Noi crediamo che sia incredibile che nonostante i criteri talvolta complicati da affrontare da parte di chi vuole accedere ai bandi, sia stato possibile che una commissione comunque non si sia accorta che questa persona fosse senza titolo di studio ed ancora ci chiediamo come sia possibile che una persona, una volta vinto il bando, sia riuscita a causare un buco del genere Pag. 79al CNR senza che nessuno controllasse. Oggi, dopo diversi anni, ci si accorge di un buco di 10 milioni di euro.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato, Pier Paolo Baretta, ha facoltà di rispondere.

  PIER PAOLO BARETTA, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, per meglio inquadrare la vicenda si allegano alla risposta alcune informazioni sulla natura del CNR, le sue funzioni, la sua struttura, le sue articolazioni territoriali che do per conosciute e comunque allegate al testo. Venendo alla questione sollevata occorre rilevare come, nel caso di specie...

  PRESIDENTE. Mi scusi, sottosegretario Baretta, purtroppo non possiamo formalmente considerare tali informazioni allegate al testo, perché ciò non è previsto nella fase delle interpellanze. Quindi casomai le può consegnare brevi manu al diretto interessato.

  PIER PAOLO BARETTA, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Come preferisce, Presidente. Venendo alla questione sollevata, occorre rilevare come nel caso di specie tutti i controlli prescritti siano stati regolarmente effettuati, ma vanificati dalla produzione di documenti contraffatti. Tale alterazione, appena scoperta, è stata prontamente comunicata all'amministrazione centrale del CNR, dal nuovo direttore dell'istituto di fisiologia clinica che, in occasione del passaggio di consegne con il precedente direttore, ha iniziato ad effettuare i previsti controlli. A seguito della comunicazione di tali irregolarità all'amministrazione centrale, si è provveduto immediatamente, in via cautelativa, ad effettuare le prescritte denunce all'autorità giudiziaria. Contestualmente, è stato avviato un procedimento disciplinare interno volto ad accertare i fatti, nel corso del quale, essendo emersi ulteriori fatti penalmente rilevanti ed ipotesi di danno erariale, il dirigente dell'istituto ha prontamente effettuato nuove denunce all'autorità giudiziaria. Da parte del competente ufficio dell'amministrazione centrale, poi, è stato anche avviato un procedimento di audit amministrativo-contabile, attività che solo parzialmente si è potuta svolgere a seguito dell'intervento dell'attività giudiziaria, che ha posto sotto sequestro tutta la documentazione amministrativa dell'istituto. Attualmente è stata costituita una apposita commissione di indagine amministrativa con il fine di coordinare le attività già svolte dagli uffici, di accertare i fatti e di provvedere ad aggiornare le denunce alle autorità giudiziarie competenti. Si evidenzia, in conclusione, che l'istituto, in termini di eccellenza scientifica e capacità di attrazione di risorse esterne, è uno degli istituti maggiormente competitivi, con i suoi 54 progetti attivi di cui 20 internazionali, 24 nazionali e 10 regionali.

  PRESIDENTE. L'onorevole Rondini ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  MARCO RONDINI. Presidente, noi riteniamo che la vicenda comunque sia incredibile. Riteniamo che comunque le persone che componevano la commissione e che avrebbero dovuto verificare se questo personaggio aveva i requisiti o meno per poter partecipare e vincere il bando dovevano fare uno sforzo e magari verificare realmente quel titolo. È incredibile ! Ci state dicendo che in sostanza domani chi partecipa a un bando come ricercatore piuttosto che a un bando comunque istituito dal CNR e che produce un titolo di studio falso potrà ancora domani riuscire a vincere questo bando; e la giustificazione è nel fatto che il personaggio in questione al centro di questa inchiesta ha prodotto un documento falso. Non è sufficiente ! Io credo che una commissione competente debba essere composta da persone competenti – e voglio augurarmi che le persone che componevano quella commissione fossero persone competenti – perché, oltre il fatto che il far parte di quella commissione garantisce anche qualche agio, magari dovrebbero essere capaci di Pag. 80verificare realmente se i documenti prodotti da chi partecipa ai bandi siano regolari o meno. Ed in più, crediamo che il buco che è stato causato dall'ampia possibilità di manovra che aveva questo personaggio oggi andrà probabilmente a ricadere sui nuovi progetti, quindi i giovani ricercatori magari si vedranno, a causa del buco causato da questo personaggio, negare la possibilità di realizzare il proprio progetto.
  È incredibile che in un momento in cui si tagliano i fondi per la ricerca si riesca anche a giustificare la negligenza di chi avrebbe dovuto controllare ed ancora la negligenza assoluta di chi avrebbe dovuto controllare le spese che venivano autorizzate. La persona al centro dell'inchiesta più volte ha ribadito, come ho ricordato nell'intervento precedente, che nessuno controllava; lui ad un certo punto si è accorto che nessuno controllava. Ci auguriamo che una vicenda del genere sia un caso isolato, ce lo auguriamo vivamente e ci auguriamo vivamente che magari, oltre a rendere i criteri per l'ammissione ai bandi così complicati che talvolta le persone che vorrebbero accedervi ci rinunciano per la complicazione di come sono scritti i bandi, oltre a rendere complicata la vita ai giovani ricercatori, voi li sappiate in futuro anche rispettare. Non lo state facendo e non l'avete fatto, perché questa è una vicenda che dimostra che non sono stati fatti i controlli necessari e il fatto che quel posto sia stato occupato da questo personaggio e che quei fondi che lui ha destinato a quei progetti, siano stati negati ad altri progetti che invece avevano validità, rappresenta un grosso danno e noi riteniamo che oltre a lui debbano essere chiamate in causa anche le persone che avevano il dovere di controllare e autorizzare le spese ed anche le persone che hanno composto la commissione e magari risentirle. Siamo sicuri che i magistrati risentiranno le persone che hanno composto quella commissione e chi ha autorizzato queste spese. Quindi noi non siamo assolutamente soddisfatti perché questo è un forte danno d'immagine a un centro che dovrebbe essere un centro di eccellenza e che siamo sicuri sia un centro di eccellenza e che siamo sicuri sia composto, nonostante questo caso che ci auguriamo appunto sia isolato, da persone qualificate.

  PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.

In morte dell'onorevole Aldo d'Alessio.

  PRESIDENTE. Comunico che è deceduto l'onorevole Aldo D'Alessio, già membro della Camera dei deputati nella IV, V, VI e VII legislatura. La Presidenza della Camera ha già fatto pervenire ai familiari le espressioni della più sentita partecipazione al loro dolore, che desidera ora rinnovare anche a nome dell'Assemblea

Ordine del giorno della prossima seduta.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

  Lunedì 9 marzo 2015, alle 15:

  Seguito della discussione del disegno di legge costituzionale:
   S. 1429 – Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione (Approvato, in prima deliberazione, dal Senato) (C. 2613-A).
  e degli abbinati progetti di legge costituzionale: D'INIZIATIVA POPOLARE; D'INIZIATIVA POPOLARE; VIGNALI; CIRIELLI; CIRIELLI; CIRIELLI; CAUSI; PISICCHIO; PISICCHIO; PISICCHIO; PISICCHIO; GIACHETTI; SCOTTO; FRANCESCO SANNA; PELUFFO ed altri; LENZI; LAURICELLA ed altri; BRESSA e DE MENECH; CAPARINI ed altri; CAPARINI ed altri; VACCARO; LAFFRANCO e BIANCONI; PALMIZIO; PALMIZIO; PALMIZIO; PALMIZIO; GIANCARLO GIORGETTI ed Pag. 81altri; GIANCARLO GIORGETTI ed altri; LA RUSSA ed altri; ABRIGNANI ed altri; TONINELLI ed altri; GIANLUCA PINI; LAFFRANCO e BIANCONI; GINEFRA ed altri; GIORGIA MELONI ed altri; MIGLIORE ed altri; D'INIZIATIVA DEL GOVERNO; BONAFEDE e VILLAROSA; PIERDOMENICO MARTINO; BRAMBILLA; GIANCARLO GIORGETTI ed altri; CIRIELLI e GIORGIA MELONI; VALIANTE; QUARANTA ed altri; LACQUANITI ed altri; CIVATI ed altri; BOSSI; LAURICELLA e SIMONI; DADONE ed altri; GIORGIS ed altri; LA RUSSA ed altri; RUBINATO ed altri; D'INIZIATIVA DEL CONSIGLIO REGIONALE DELL'EMILIA-ROMAGNA; MATTEO BRAGANTINI ed altri; CIVATI; FRANCESCO SANNA ed altri (C. 8-14-21-32-33-34-148-177-178-179-180-243-247-284-329-355-357-379-398-399-466-568-579-580-581-582-757-758-839-861-939-1002-1259-1273-1319-1439-1543-1660-1706-1748-1925-1953-2051-2147-2221-2227-2293-2329-2338-2378-2402-2423-2441-2458-2462-2499).
  — Relatori: Fiano, per la maggioranza; Toninelli, Matteo Bragantini e Quaranta, di minoranza.

  La seduta termina alle 16,40.

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