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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 364 di venerdì 16 gennaio 2015

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARINA SERENI

  La seduta comincia alle 9,30.

  ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Gioacchino Alfano, Amici, Bindi, Boschi, Dambruoso, De Girolamo, Dellai, Di Lello, Fedriga, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Giancarlo Giorgetti, La Russa, Manciulli, Nicoletti, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Scalfarotto, Scotto, Sisto, Speranza e Vignali sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente settantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

  Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 9,40).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Chiarimenti in ordine alle notizie di stampa relative ad un accordo multilaterale, noto come Tisa, volto alla liberalizzazione di servizi essenziali – n. 2-00798)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Zaccagnini n. 2-00798, concernente chiarimenti in ordine alle notizie di stampa relative ad un accordo multilaterale, noto come TISA, volto alla liberalizzazione di servizi essenziali (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo al deputato Zaccagnini se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica. Prego, ha quindici minuti.

  ADRIANO ZACCAGNINI. Grazie, Presidente, buongiorno. Onorevoli colleghi e colleghe, quello di cui stiamo per discutere oggi in quest'Aula e per cui interpelliamo il Governo cade sotto il nome di TISA, acronimo di Trade in services agreement, ovvero Accordo di scambio sui servizi. Cos’è il TISA ? Si sa – visto che è una trattativa, parrebbe segreta – che viene negoziato dal settembre 2013 a porte chiuse, a Ginevra, dai seguenti Stati: Australia, Canada, Cile, Taiwan, Colombia, Costa Rica, Unione europea, Hong Kong, Islanda, Israele, Giappone, Liechtenstein, Messico, Nuova Zelanda, Norvegia, Pakistan, Panama, Paraguay, Perù, Corea, Svizzera, Turchia, e Stati Uniti. Paesi cui, più di recente, hanno chiesto di aggiungersi Cina ed Uruguay.
  Le informazioni su questo Trattato sono state divulgate nel nostro Paese dal settimanale L'Espresso, che in data 19 giugno 2014, denunciava l'esistenza di un accordo segreto per il «liberismo selvaggio». Tale scelta si dedurrebbe all'interno Pag. 2del TISA dalla stessa propaganda della Commissione europea sul suo sito, ovvero: trattato internazionale teso a liberalizzare totalmente i servizi essenziali come sanità, trasporti, istruzione e persino banche e che sarebbe stato redatto su pressioni di grandi lobby e multinazionali.
  L'Espresso ha potuto rivelare parte dei contenuti di tale trattato grazie a WikiLeaks, l'organizzazione di Julian Assange; abbiamo appreso, in tal modo, che il nostro Paese starebbe negoziando tale trattato attraverso la Commissione europea ed è facilmente comprensibile quali e quanti siano gli interessi in gioco e come una tale ipotesi potrebbe colpire gli interessi delle popolazioni a livello mondiale e modificare normative, anteponendo non il diritto scaturito dalla democrazia e il suo dispiegamento, ma da modalità postdemocratiche e illegittime.
  Ragioniamo: partiamo dal fatto che il TISA non riguarda le merci, bensì i servizi. Mi soffermo e parto da questa considerazione poiché non posso non fare un rimando ad un altro trattato in corso di negoziazione: il TTIP, il Trattato di libero scambio commerciale in via di negoziazione fra Europa e Stati Uniti. Non riuscendo, o, più correttamente, non riuscendo alle condizioni volute ad inserire il settore dei servizi nei negoziati multilaterali dell'Organizzazione mondiale del Commercio, (WTO), a causa della resistenza storica di molti Paesi emergenti, come il TTIP anche il TISA intenderebbe risolvere il problema restringendo gli interlocutori, ma allargando il contenuto delle trattative a tutte le attività di servizio, inclusi i servizi pubblici, che rappresentano il cuore dell'economia dei Paesi sviluppati, con l'obiettivo di privatizzare tutti i servizi fondamentali, in primo luogo sanità, istruzione e trasporti.
  Perché i testi legali dell'accordo, come quelli del TTIP, devono rimanere segreti ? La risposta è semplice. Perché nelle loro pieghe affrontano temi sui quali l'opinione pubblica è molto sensibile, come le regole sulla privacy. E da chi giunge la proposta TISA ? Naturalmente dalle stesse grandi multinazionali che lavorano da tempo, instancabilmente, per propinarci al più presto l'entrata in vigore del TTIP.
  La più aggressiva è la Coalition of Services Industries, lobby americana che porta avanti un'agenda di privatizzazione dei servizi, dove Stati e Governi sono semplicemente visti come un intralcio al business. Scrive la Coalition: «Dobbiamo supportare la capacità delle aziende di competere in modo giusto e secondo fattori basati sul mercato, non sui Governi», nei suoi comunicati a favore del TISA, documenti che sono tra i pochissimi disponibili per avere un'idea delle manovre in corso.
  L'aura di segretezza che circonda i negoziati emerge fin dalle prime righe dell'allegato sui servizi finanziari, il quale afferma che «deve essere protetto da diffusione non autorizzata» e «conservato in edificio, stanza o contenitore sotto chiave o assicurato». Inoltre, esso può essere desegretato «cinque anni dopo l'entrata in vigore del TISA o, se non si giunge ad un accordo, cinque anni dopo la fine dei negoziati».
  Dopo il GATS del 1995 e il TTIP, il TISA punta dritto alla deregulation privatizzata dei servizi, coinvolgendo i mercati più importanti del mondo. Osserva Stefania Maurizi, giornalista dell'Espresso: «Pare difficile credere che, nonostante la crisi senza precedenti che ha travolto l'intera economia mondiale, distruggendo imprese, cancellando milioni di posti di lavoro e, purtroppo, anche tante vite umane, le nuove regole finanziarie mondiali vengano decise in totale segretezza». Il carattere top secret si spiega forse con la paura che si scatenò dopo il fallimento del Doha Round, cioè i negoziati avviati nel 2001 a Doha, nel Qatar, che scatenarono un'ondata di proteste contro la globalizzazione selvaggia, culminata con il bagno di sangue al G8 di Genova. La spinta politica in ambito WTO alla mondializzazione, forzata, da una parte da Usa, UE e Giappone, dall'altra da Cina, India, Brasile e Argentina, è da oltre quindici anni in stallo. «Con il fallimento del Doha Round – continua L'Espresso – gli Stati Uniti e i Pag. 3Paesi che spingono per globalizzazione e liberalizzazioni hanno spostato le trattative in un angolo buio (impossibile definirlo semplicemente discreto, vista la segretezza che avvolge le negoziazioni e il testo dell'accordo), lontano dal WTO, per sfuggire alle piazze che esplodevano in massicce e, a volte, minacciose e violente proteste no global».
  Il risultato è il TISA, «di cui nessuno parla e di cui pochissimi sanno», anche se questo accordo «condizionerà le vite di miliardi di persone». «Il più grande pericolo del TISA è che fermerà i tentativi dei Governi di rafforzare le regole nel settore finanziario», spiega Jane Kelsey, professoressa di legge dell'Università di Auckland, Nuova Zelanda, nota per il suo approccio critico alla globalizzazione. «Il TISA è promosso dagli stessi Governi che hanno creato nel WTO il modello finanziario di deregulation che ha fallito e che è stato accusato di avere aiutato ad alimentare la crisi economica globale», sottolinea Kelsey. «Un esempio di quello che emerge da questa bozza filtrata all'esterno dimostra che i Governi che aderiranno al TISA rimarranno vincolati ed amplieranno i loro attuali livelli di deregolamentazione della finanza e delle liberalizzazioni, perderanno il diritto di conservare i dati finanziari sul loro territorio, si troveranno sotto pressione affinché approvino prodotti finanziari potenzialmente tossici e si troveranno ad affrontare azioni legali se prenderanno misure precauzionali per prevenire un'altra crisi».
  L'articolo 11 del testo fatto filtrare da Wikileaks non lascia dubbi su come i dati delle transazioni finanziarie siano al centro delle mire dei Paesi che trattano. L'Europa richiede che nessun Paese «adotti misure che impediscano il trasferimento o l'esame delle informazioni finanziarie», ma propone che il diritto dello Stato di proteggere i dati personali e la privacy rimanga intatto, a condizione che «non venga usato per aggirare quanto prevede questo accordo». Un paradiso fiscale come Panama, invece, chiede di specificare che «un Paese parte dell'accordo non sia tenuto a fornire o a permettere l'accesso a informazioni correlate agli affari finanziari e ai conti di un cliente individuale di un'istituzione finanziaria o di un fornitore cross-border di servizi finanziari».
  Gli Stati Uniti, invece, sono netti: i Paesi che aderiscono all'accordo permetteranno al fornitore del servizio finanziario di trasferire i dati dentro e fuori dal loro territorio, in forma elettronica o in altri modi, senza alcun rispetto della privacy. «Quello che colpisce di questo articolo del TISA sui dati – scrive Stefania Maurizi – è che risulta in discussione proprio mentre nel mondo infuria il dibattito sui programmi di sorveglianza di massa della NSA innescato da Edward Snowden, programmi che permettono agli Stati Uniti di accedere a qualsiasi dato, da quelli delle comunicazioni a quelli finanziari. Ma, mentre la NSA li acquisisce illegalmente, nel corso di operazioni segrete di intelligence e, quindi, la loro utilizzabilità in sede ufficiale e di contenziosi è limitata, con il TISA tutto sarà perfettamente autorizzato e alla luce del sole».
  In altre parole, il TISA rende manifesto che la stessa Europa, che ufficialmente ha aperto un'indagine sullo scandalo NSA in sede di Parlamento Europeo, «sta contemporaneamente e disinvoltamente trattando con gli Stati Uniti la cessione della sovranità sui nostri dati finanziari per ragioni di business». E sui dati, i lobbisti americani della Coalition of Services Industries che spingono per il TISA non hanno dubbi: «Con il progresso nella tecnologia dell'informazione e delle comunicazioni, sempre più servizi potranno essere forniti all'utente per via elettronica e quindi le restrizioni sul libero flusso di dati rappresentano una barriera al commercio dei servizi in generale».
  Fino a che punto può arrivare il TISA ? Davvero arriverà a investire servizi fondamentali come l'istruzione e la sanità ?
  Questo chiediamo al Governo. l'Espresso ha contattato Public Services International (PSI), una federazione globale di sindacati, che rappresentano 20 milioni di lavoratori nei servizi pubblici di Pag. 4150 Paesi del mondo. L'italiana Rosa Pavanelli, prima donna alla guida del PSI dopo una vita alla CGIL, è sicura che il TISA vorrà allungare le grinfie anche su sanità e istruzione.
  L'Italia ? È nelle mani della Commissione Europea, delegata a trattare. Daniel Bertossa, che per Public Services International sta cercando di informarsi sulle trattative segrete, racconta che, anche se nessuno lo ha reso noto, per ragioni tecniche che hanno a che fare con il WTO, noi sappiamo che il TISA punta a investire tutti i servizi, come ammettono gli stessi Paesi negoziatori. Bertossa sottolinea quanto sia problematica la riservatezza intorno ai lavori del trattato e il fatto che sia condotto al di fuori del WTO, che, pur con tutti i suoi problemi, perlomeno permette a tutti i Paesi di partecipare alle negoziazioni e rende pubblico il testo delle trattative. Invece, per sapere qualcosa del TISA c’è voluta Wikileaks. Ai signori del mercato, stavolta, è andata male.
  Come scritto da Marco Schiaffino su il Fatto Quotidiano, l'obiettivo dell'accordo è quello di eliminare tutte le leggi nazionali che sono considerate come ostacoli al commercio dei servizi in ambito finanziario, ovvero un copione che ricalca i trattati approvati nel 2000 e che, secondo molti economisti e Governi, hanno rappresentato la causa principale della recente crisi finanziaria globale.
  Tra le norme da eliminare, spiccano quelle relative ai limiti alle dimensioni degli istituti finanziari, imposti in alcuni Paesi per evitare quelle operazioni di salvataggio obbligate nei confronti di quegli istituti, principalmente banche, considerati troppo grandi per fallire. Nelle proposte del trattato, inoltre, si sollecita la privatizzazione della previdenza e delle assicurazioni e l'eliminazione degli obblighi di divulgazione di operazioni offshore nei paradisi fiscali.
  Il trattato rappresenta una vera e propria proposta di deregulation totale per le banche e i grandi istituti finanziari, una sorta di manifesto per una prossima dittatura finanziaria, di cui a beneficiare saranno i pochi signori del denaro a scapito dei cittadini, sempre più schiacciati da tasse e i cui soldi spesso sono usati proprio per salvare quegli istituti finanziari, come nel caso delle vicende delle banche too big to fail, in gran parte responsabili della crisi attuale.
  Rispetto alla Coalition of Services Industries, di cui accennavamo prima, appare doveroso approfondire. Abbiamo detto che è una potentissima lobby, che spinge per la ratifica di questi trattati. Ma andiamo a vedere adesso chi sono i membri del CSI e subito ci saltano agli occhi nomi celebri: JPMorgan Chase, 21st Century Fox, Mastercard, Microsoft, Citigroup, eBay Inc, Visa International, Walmart, IBM, HP, Google, Fedex, Ups, The Walt Disney Company e altri a noi meno noti, ma di certo altrettanto importanti negli Stati Uniti.
  Da ulteriori informazioni fuoriuscite negli ultimi giorni, è emerso che il TISA permette agli imprenditori di qualsiasi settore di servizi di operare in tutti i Paesi che abbiano firmato l'accordo. Si delinea, quindi, il seguente scenario. Le multinazionali Internet come Google e Facebook sono pronte a usare le informazioni tratte dai nostri dati personali per il loro business, in barba a qualsiasi diritto di privacy. Le banche, dopo essere uscite dalla crisi a spese dei cittadini e grazie alle tasse pagate da questi ultimi, intendono riprendere le loro speculazioni senza alcun ritegno. Inoltre, mentre i tycoon dei media si apprestano a scalzare dal mercato tutti i canali di libera informazione, le multinazionali come Veolia e Nestlé portano avanti le manovre di privatizzazione dell'acqua.
  Tutto ciò viene concertato a porte chiuse, a nostra insaputa. Questi signori si incontrano in segreto, come dei ladri, come si fa per un complotto, all'ambasciata americana presso l'ONU di Ginevra, sin dal febbraio 2012. La sede più adatta, direi, visto che proprio lì si trova un centro di spionaggio della NSA e della CIA. Come scriveva la rivista Der Spiegel, in questo edificio vi sono antenne e agenti dei servizi segreti americani esperti di intercettazioni, un'unità speciale chiamata Special Pag. 5Collection Service. Ebbene, durante tali sedute ginevrine si deliberano cose che noi non dobbiamo sapere e che, come ho detto più sopra, devono rimanere segrete anche per alcuni anni dopo l'entrata in vigore del TISA. Il che significa che i Governi di tutti questi Stati, così facendo, decidono ancor prima che il cittadino abbia il tempo d'intervenire con un rifiuto oppure anche solo di puntare l'indice contro chi ha compiuto il malaffare a sue spese.
  Quello che come gruppo Sinistra Ecologia Libertà stiamo qui a chiedere in quest'Aula è di tutelare il nostro Paese e fornire maggiori delucidazioni circa i contorni di questo accordo, che in base alle indiscrezioni trapelate minerebbe seriamente la giustizia sociale e la stessa democrazia, per la quale, almeno fino a questo momento, non sono ammissibili e legittimi accordi internazionali che si possano porre in contrasto con le norme dei singoli Paesi.
  Visti gli effetti devastanti della crisi che ha investito l'intera economia mondiale, è doveroso in questa fase rigettare qualsiasi decisione finanziaria frutto della spinta delle lobby economiche che gestiscono il sistema dei servizi e delle multinazionali. Trattati come il TISA ed il TTIP, a nostro avviso, potrebbero creare le basi per alimentare una nuova crisi economica globale, che potrebbe affossare tutti gli sforzi, sin qui compiuti, per cercare di uscire dalla crisi; dissennato l'atteggiamento di chi non parte da queste considerazioni, il nostro Governo deve tutelare economie locali, servizi e privacy dei propri cittadini, senza gettarli in pasto ai signori europei e mondiali che intravedono business di matrice neoliberista utili solo ad acuire le criticità già in atto.
  Io, Presidente, a questo punto lascio la parola al Governo per rispondere circa i contorni del Trattato.

  PRESIDENTE. Il Viceministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda, ha facoltà di rispondere.

  CARLO CALENDA, Viceministro dello sviluppo economico. Signor Presidente, le notizie pubblicate da l'Espresso e fondate su fughe di notizie su Internet, danno un quadro parziale e fuorviante del negoziato TISA.
  È vero che il TISA è un negoziato che ha l'obiettivo di aprire maggiormente i mercati nazionali alle forniture di servizi di altri Paesi e migliorare l'accesso al mercato dei servizi, garantendo parità di trattamento tra fornitori nazionali e stranieri. L'accordo in teoria potrebbe coprire tutti i settori, ma non è vero che comporterà la liberalizzazione totale di servizi essenziali come banche, sanità, trasporti e istruzione. Ogni Paese, infatti, può decidere il livello di apertura grazie ad eccezioni e riserve al principio di trattamento nazionale e alla clausola della nazione più favorita e questo vale per tutti i settori. Questo metodo è lo stesso utilizzato nel GATS (l'accordo OMC per gli scambi di servizi), nel quale ogni Paese prende impegni di liberalizzazione degli scambi di servizi in settori specifici, scelti dallo stesso Paese e soggetti a varie limitazioni e condizioni.
  Per quanto riguarda, nello specifico, i servizi pubblici o di interesse pubblico, spesso il TISA è criticato in quanto si ritiene che comporti la loro privatizzazione. Anche questo è un falso mito: non è vero che la liberalizzazione commerciale comporta la fine dello stato sociale e obbliga a privatizzare scuola e sanità. Il GATS esclude espressamente dalla liberalizzazione commerciale i servizi pubblici e quelli esercitati con finalità pubbliche, come scuola, sanità, servizi sociali eccetera, per non parlare di giustizia e polizia.
  I servizi pubblici che sono essenziali non sono minimamente oggetto del negoziato TISA. L'offerta dell'Unione europea, infatti, prevede espressamente sia una riserva generale per l'accesso al mercato europeo dei servizi pubblici, sia una riserva di trattamento nazionale particolare riguardo a quattro settori specifici di servizi, quali acqua, salute, educazione e audiovisivo. I servizi di istruzione che sono negoziati non concernono in maniera assoluta l'istruzione pubblica, ma unicamente Pag. 6corsi per adulti, come corsi di lingua online o corsi di informatica online.
  Tutti gli accordi di libero scambio a cui partecipa l'UE, incluso il TISA, hanno questa esclusione (TTIP compreso) e la mantengono. Nessun Paese, anche al di fuori dell'Europa, rinuncerebbe a regolare in base ai propri interessi nazionali settori pubblici o di interesse pubblico come l'istruzione, la sanità, le banche, i trasporti, solo per ossequio ai principi del libero commercio. Tanto più che in molti Paesi i servizi forniti dallo Stato sono espressamente esclusi dai trattati commerciali. Ciò, comunque, non ha impedito alle imprese private (anche straniere) di entrare in parte di questi settori e di fornire una parte di questi servizi insieme al settore pubblico, che deve garantire dei servizi di base per tutta la popolazione e quindi non può essere oggetto di liberalizzazione commerciale.
  Il TISA non obbliga, dunque, nessun Paese a liberalizzare i servizi pubblici, ma non impedirà nemmeno a quei Paesi che lo riterranno opportuno di prendere impegni per l'apertura, ad esempio, di parziali settori dell'istruzione privata o della sanità privata. In questi negoziati, l'Unione europea e l'Italia non vedono ragione per cambiare la tradizionale posizione tenuta finora, volta all'esclusione dei servizi pubblici dalla liberalizzazione commerciale.
  Nuove regole finanziarie mondiali sono necessarie, ma non è l'OMC l'organismo internazionale dove devono essere negoziate. L'OMC si occupa di regole affinché gli scambi commerciali di beni e servizi avvengano in modo chiaro, trasparente, prevedibile e non discriminatorio. Se i Paesi che partecipano ai negoziati commerciali multilaterali o plurilaterali, come il TISA, volessero regolare i sistemi finanziari globali, invaderebbero le competenze di altri organismi internazionali.
  Quello che l'OMC fornisce è però un quadro per regole stabili e coerenti, anche per gli scambi di servizi finanziari, in termini di impegni presi dai Paesi nei servizi bancari e assicurativi, sottoposti a limiti e condizioni, e in termini di norme che regolano gli scambi di servizi finanziari. Nello specifico, nei servizi finanziari le regole OMC consentono alle banche centrali o alle autorità monetarie di intervenire per la stabilità del sistema finanziario con l'adozione di misure prudenziali e altre attività. Le stesse norme sono riprese in tutti gli accordi di libero scambio dell'Unione europea e anche nel TiSA non ci si discosta da questo approccio.
  Posto che permangono molti ostacoli agli scambi internazionali di servizi e che questi sono costituiti da regolamentazioni nazionali che spesso impediscono, limitano o discriminano l'importazione di servizi da Paesi stranieri, i partecipanti al TiSA hanno deciso di negoziare diversi capitoli regolamentari. Il TiSA, infatti, è anche un negoziato sulle regole nelle telecomunicazioni, e-commerce, trasparenza, procedimenti amministrativi, movimento temporaneo di personale, professioni, servizi postali, trasporti marittimi e servizi finanziari. L'obiettivo di tutti questi capitoli regolamentari è aumentare la trasparenza e la prevedibilità delle procedure interne, con regole chiare e parità di trattamento per tutti i fornitori, nazionali e stranieri. In altre parole, vengono fissati dei principi di base affinché l'azione di regolazione di queste attività a livello nazionale da parte dei Governi avvenga in modo da facilitare gli scambi commerciali e non creare ulteriori barriere. I principi cardine alla base delle regole commerciali restano la non discriminazione e la parità di trattamento, ma resta comunque sempre salvo il diritto di ogni Paese a intervenire per salvaguardare l'interesse nazionale, le risorse scarse, la salute, la sicurezza nazionale, gli interessi pubblici essenziali, eccetera. Le discipline sulle regole già presenti nel GATS restano, quindi, la base di partenza. Il TiSA vuole aggiornare quelle esistenti, ad esempio su servizi connessi ai trasporti aerei, marittimi, telecomunicazioni e servizi finanziari, ormai datate e aggiungerne di altre, ad esempio riguardo all’e-commerce, adeguate ai tempi correnti.
  Per ciò che riguarda il rafforzamento delle regole finanziarie a livello internazionale, Pag. 7è, come dicevamo, argomento che esula dai negoziati TiSA e va inquadrato più propriamente nelle discussioni in seno a: i consessi inter-governativo formali, quale il G20, che hanno assunto, dopo la crisi, un ruolo di impulso e di coordinamento determinante; il Financial Stability Board, nato dalla trasformazione nel 2009 del Financial Stability Forum; gli Standard Setting Bodies (Comitato di Basilea, IAIS, IOSCO). Negli anni che hanno seguito la crisi economica e finanziaria, numerose e importanti sono state le iniziative adottate a livello internazionale, con il pieno appoggio dell'Italia, volte a rafforzare la stabilità e la resilienza del sistema finanziario. Oltre al rafforzamento della vigilanza prudenziale, soprattutto sulle istituzioni finanziarie sistemiche, e al potenziamento dei requisiti patrimoniali delle banche, diversi capitoli hanno interessato l'agenda internazionale delle riforme, quali ad esempio: la remunerazione dei bancari attraverso l'adozione di principi e standard per assicurarne l'allineamento al rischio; la trasparenza e il funzionamento del mercato dei derivati; le agenzie di rating, con lo scopo di aumentarne l'integrità e ridurre l'affidamento regolatorio ai loro giudizi di merito creditizio; il controllo e la regolazione del sistema bancario ombra, ovvero il sistema costituito da intermediari finanziari non bancari che agiscono in modo simile alle banche tradizionali, ma non sono governate dalle stesse regole, né ugualmente vigilate.
  I rischi associati allo shadow banking derivano dalla sua dipendenza a finanziamenti di breve termine che possono portare a una vendita forzata di asset e a spirali al ribasso dei prezzi quando gli investitori richiedono indietro il proprio denaro. Il sistema ombra tuttavia presenta anche dei benefici, in quanto può favorire l'accesso al credito e aumentare la liquidità di mercato.
  Quanto all'Unione Europea, numerosi sono stati gli interventi normativi in questa direzione. Solo per citarne alcuni: la riforma del sistema di vigilanza, le direttive AIFM (2011/61/UE), BRDD (2014/59/UE), CRD IV/V, eccetera, eccetera.
  Posto per inciso, come premesso al punto precedente, che non si stanno definendo nell'ambito dell'accordo TiSA nuove regole finanziarie, preme sottolineare che l'intera attività negoziale non avviene lontano dall'Organizzazione mondiale del commercio. Il TiSA viene accusato di costituire una trattativa per un accordo sui servizi solo tra alcuni membri OMC e al di fuori dell'OMC e, in particolare, al di fuori dell'Agenda di sviluppo di Doha, l'ultimo ciclo di negoziati di liberalizzazione commerciale apertosi a Doha nel 2001 e non ancora chiuso, di cui uno dei pilastri fondamentali sono appunto i servizi.
  La soluzione plurilaterale, in realtà, è stata trovata proprio per superare l’impasse che a livello multilaterale da anni impedisce di progredire nel negoziato servizi e per consentire a quei Paesi che vogliono continuare a liberalizzare il commercio di servizi di arrivare a un accordo più moderno, in termini di regole e impegni, che possa rappresentare la base per un successivo accordo multilaterale.
  Il formato simile al GATS è l'unico modo per facilitare, a medio termine, l'adesione dei più grossi Paesi in via di sviluppo, ed in tal modo per creare quella massa critica sufficiente che consenta alla fine al TiSA di entrare a pieno titolo nel sistema commerciale multilaterale e magari diventare il nuovo GATS.
  Circa l'accusa di decidere sotto la spinta delle lobby economiche e delle multinazionali, nel TiSA non vi è nessun intento di eliminare (deregulation) o modificare in senso favorevole alle multinazionali le regole internazionali esistenti ad esempio in materia finanziaria o di indirizzare il lavoro degli organismi internazionali che si occupano di regolazione finanziaria a livello globale.
  I servizi assicurativi e bancari sono oggetto del capitolo regolamentare sui servizi finanziari e degli impegni specifici che ogni Paese prende, con i limiti e le condizioni descritti sopra.
  Per quanto riguarda l'Unione europea e l'Italia, non si prevede di andare oltre quanto fatto in precedenti accordi commerciali bilaterali dell'UE.Pag. 8
  Con riferimento alla protezione della privacy, infine, giova ricordare come la protezione dei dati non rientri nell'ambito dell'accordo, e – per la Commissione Europea – nulla in questo accordo potrà riguardare o pregiudicare in alcun modo la protezione dei dati e gli standard di protezione dei dati ad oggi esistenti al di fuori del TiSA.
  L'Italia e l'Unione europea pertanto non accetteranno nessun accordo che non rispetti completamente gli standard di privacy e di protezione dei dati attualmente esistenti al di fuori del TiSA e nella legislazione europea.

  PRESIDENTE. Il deputato Zaccagnini ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza: prego onorevole.

  ADRIANO ZACCAGNINI. Signora Presidente, io ringrazio il Governo per la risposta, che ha cercato di delineare i contorni. Quello che devo affermare è che non posso dichiararmi soddisfatto, perché comunque il Governo avalla questa modalità di concertazione delle trattative e quindi è chiaro che, anche se fatte in più sedi, non c’è una rilevanza pubblica. È quello il motivo per cui poi si creano, a detta del Governo, tanti equivoci nell'opinione pubblica.
  A nostro parere, invece, gli equivoci non sono poi così tali, ma sono scelte politiche consapevoli che il Governo intende percorrere e sono sostanzialmente in linea con le politiche che hanno prodotto la crisi.
  La crisi che stiamo vivendo è figlia di quel liberismo che oggi viene proposto come l'unica possibile via d'uscita.
  Appare paradossale il fatto che le stesse lobby di potere che hanno provocato questa catastrofe socio-economica oggi invochino un ulteriore ridimensionamento del welfare State ed una contrazione dei diritti dei lavoratori (possiamo vederlo già dalla dichiarazione di Katainen, che elogia il Jobs Act ieri), per proporre, ancora una volta, il solito ritornello: «più mercato e meno Stato».
  Arretrare ancora sul versante dei diritti e della sicurezza sociale non porterà a nulla di buono. C’è il rischio, infatti, che si venga ricacciati troppo indietro nel tempo, verso un'impostazione padronale della società, che porterà inevitabilmente all'imbarbarimento delle relazioni sociali.
  Forti di queste considerazioni la risposta dei «padroni del mondo» è invece deleteria: si sta trattando in segreto per il TiSA per privatizzare i servizi, mentre nello stesso tempo si spinge, sotto la pressione delle grandi lobby economiche e finanziare, ad approvare trattati come CETA, TPP e TTIP, con l'intenzione di arrivare ad un'area di libero scambio mondiale.
  Occorre anzitutto ripensare le fondamenta ed il funzionamento del mercato interno europeo creato nel 1992, perché esso ha condotto a due situazioni apocalittiche. La prima è l'accentuazione delle divergenze economiche e sociali tra i Paesi dell'Unione europea. L'eliminazione di ogni riferimento alle «politiche comuni europee» ha inoltre legittimato un modello «integrativo» intergovernativo che ha visto i Paesi più forti trarre vantaggi dall'apertura dei mercati, accentuando le condizioni di debolezza degli altri Stati membri.
  La seconda situazione apocalittica riguarda la consacrazione del divieto d'intervento da parte dello Stato. Il mercante ha voluto e vuole fare l'integrazione europea senza lo Stato, anche per quanto concerne i beni e i servizi essenziali per la vita.
  Da qui l'importanza e la centralità della lotta per la ripubblicizzazione dei beni e servizi comuni, a cominciare dall'acqua, le sementi e la salute, associata all'opposizione delle proposte di accordi bilaterali sul commercio e gli investimenti (TTIP, TISA, CETA) che la renderebbero, nei fatti, impossibile o revocabile a discrezione degli interessi degli investitori privati. La realizzazione di un'area di trattamento preferenziale per beni e servizi può favorire l'economia, specialmente per i Paesi con forte vocazione all’export (come l'Italia), ma le previsioni diffuse dalla Pag. 9Commissione europea sono basate su una serie di assunzioni talvolta anche fin troppo ottimistiche. Ed è sintomatico che il Trattato sia criticato da più parti, sulla considerazione che è una carta dei diritti per le imprese multinazionali in grado di conferire loro poteri senza precedenti e minando gli standard ambientali e di sicurezza alimentare, in nome del libero commercio. Nonostante una specifica strategia di comunicazione della Commissione europea al fine di superare lo scetticismo dell'opinione pubblica, molti punti dell'Accordo sono oggetto di pressanti critiche, in special modo le clausole investitore-Stato. Una consultazione sulle clausole ISDS ha ricevuto, infatti, circa 150 mila risposte che evidenziano le preoccupazioni espresse dalla società civile. Per questo motivo al momento le ISDS sembrano accantonate, ma ciò non le neutralizza in quanto un carattere essenziale delle ISDS è il principio del forum shopping. Un'azienda cioè può citare uno Stato dinanzi ad un arbitro internazionale anche se non esistono accordi specifici tra lo Stato dell'azienda e quello citato. È sufficiente che l'azienda abbia una sede «sostanziale» in altro Paese che ha accordi con clausole ISDS con la UE. E la UE ha in corso i negoziati col Canada relativi al trattato CETA che prevede clausole ISDS. Inoltre di recente ha stretto accordi con Singapore (trattato EUSFTA) che prevedono clausole ISDS. Un bel modo per scavalcare le 150 mila critiche della consultazione pubblica. L'implementazione del TTIP comporterà il riconoscimento reciproco delle regole e l'armonizzazione delle norme, con ciò determinando un ovvio abbassamento degli standard di sicurezza in tutti i settori. Nel TTIP, come negli altri trattati sopracitati, i diritti umani non sono affatto menzionati, essendo delle mere eccezioni a regole commerciali, e la regolamentazione di tutto ciò che non entra nel PIL (cittadini, cibo, salute, ambiente) diverrà secondaria rispetto alla tutela degli interessi economici. E, per completare il quadro, non è affatto detto che il «risparmio» delle aziende finirà per favorire i cittadini come aumento dei posti di lavoro, secondo i principi della Reaganomics (laissez faire), causticamente definita dall'umorista Will Rogers «economia del trickle down» (sgocciolamento). Secondo tale principio i benefici economici alle aziende (riduzioni di tasse, di costi o incentivi diretti) finiscono, prima o poi, per «sgocciolare» verso i cittadini. In realtà una conseguenza accertata dei trattati commerciali è che le aziende tendono a spostare la loro produzione nel Paese con i costi più bassi, la delocalizzazione, come spiega lo studio di EPI (Economic Policy Institute) sulle conseguenze dei trattati di libero scambio degli Usa (con un paragrafo dedicato al TTIP). Gli accordi di libero scambio sono molto vantaggiosi per esternalizzare la produzione, specialmente verso quei Paesi che utilizzano pratiche commerciali sleali come la Corea del Sud e la Cina. È così che le multinazionali statunitensi (Apple, Dell, Intel, General Electric, General Motors) hanno approfittato dell’outsourcing in Messico e Cina, aumentando enormemente i loro profitti grazie ai salari bassi e alla corsa al ribasso per le condizioni di lavoro. Nel caso specifico il TTIP aprirebbe agli Usa i Paesi più poveri dell'Europa dell'est. È vero che i negoziatori della Commissione europea in più occasioni hanno ribadito che non cederanno di un millimetro sugli standard europei, ma in tal caso si aprirebbe la strada alle cause delle aziende contro i Paesi UE per pratiche protezionistiche e distorsive del mercato, sulla base delle clausole ISDS. A questo proposito possiamo ricordare la causa intentata dalla Vattenfall contro la Germania per la politica di progressivo spegnimento delle centrali nucleari, dove l'azienda svedese chiede un risarcimento di 4,7 miliardi di euro. Iniziative di questo tipo sono in grado di impensierire anche potenze commerciali come la Germania, come potrebbero resistere i Paesi più poveri dell'UE ? Concludo sottolineando come liberalizzazione di beni e servizi, clausole ISDS, rispondono solo alla logica neoliberista considerata alla luce dei fatti la maggiore causa delle crisi economica e strutturale che il mondo sta vivendo. Inoltre, Pag. 10i cittadini sono di fatto esclusi con la secretazione dal processo decisionale e sopra le loro teste passano decisioni di portata storica, purtroppo a vantaggio di pochi e svantaggio di molti.
  Come gruppo SEL, invitiamo il nostro Paese a non sottoscrivere tali trattati, ad abbandonare la ricetta neoliberista una volta per tutte, dando in tal modo l'occasione di ripresa a un'economia pulita, corretta, che basi il suo essere su regole in grado di tutelare tutte le fasce sociali, soprattutto le più deboli ed esposte.
  Quindi, in conclusione, Presidente mi posso ritenere parzialmente soddisfatto della risposta, ma non soddisfatto per le politiche che il Governo porta avanti.

(Intendimenti per predisporre nuove linee guida volte a contrastare la legionellosi – n. 2-00799)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Monchiero n. 2-00799, concernente intendimenti per predisporre nuove linee guida volte a contrastare la legionellosi (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo al deputato Monchiero se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  GIOVANNI MONCHIERO. Signor Presidente, intervengo brevemente, partendo anche da un fatto di cronaca che mi aiuta; onorevole sottosegretario, non più tardi di due giorni fa, le cronache locali, romane e laziali, dei maggiori quotidiani riportavano la notizia, positiva dal mio punto di vista, che erano stati assolti il direttore sanitario e alcuni primari dell'Umberto I di Roma, accusati di omicidio colposo in relazione al decesso di due pazienti, a causa, appunto, del batterio della legionella. Gli imputati erano accusati di aver omesso di disporre i necessari interventi di bonifica della rete idrica. Ora, mentre qui, evidentemente, la magistratura ha ritenuto che, di fronte a difficoltà tecniche insormontabili, anche le responsabilità penali vengano meno, io vorrei ricordarle che, a Torino, il direttore sanitario dell'ospedale Molinette è, invece, tuttora, accusato di strage – «strage», la parola utilizzata dal magistrato è questa – per una serie di decessi a causa della legionella e la Corte dei conti ha chiesto agli imputati un risarcimento multimilionario, in euro, ovviamente.
  Perché cito questi fatti di cronaca ? Perché la risposta che attualmente si tenta di dare negli ospedali italiani per contrastare il diffondersi della legionella è tecnicamente primitiva; in molte situazioni non si riesce ad applicare lo shock termico che sarebbe risolutivo, ma che presuppone l'esistenza di impianti idrici sezionabili e non troppo ampi, oppure si ricorre all'iperclorazione che è efficacissima contro la legionella, ma che ha il difetto di rendere l'acqua non potabile. Io ho personalmente diretto, per alcuni anni, un ospedale dove a tutti i lavandini era appeso un cartellino: acqua non potabile. Ora, è veramente paradossale che in un ospedale l'acqua non sia potabile a causa dell'iperclorazione necessitata per contrastare la legionella.
  Perché cito tutti questi fatti ? Perché riteniamo che sia urgente che il Ministero indaghi, verifichi se non esistano tecniche più moderne per combattere il diffondersi di questo batterio negli impianti idrici e se in ogni caso non ritenga di aggiornare le linee guida che risalgono a molti anni fa e sono diventate assolutamente obsolete.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la salute, Vito De Filippo, ha facoltà di rispondere.

  VITO DE FILIPPO, Sottosegretario di Stato per la salute. Signora Presidente, onorevoli deputati, la legionella è un batterio che si trova negli ambienti naturali in cui sono presenti acque dolci. Le attività umane hanno determinato il trasferimento del batterio in numerosi ambienti artificiali, quali impianti di distribuzione dell'acqua calda di alberghi, ospedali, abitazioni, impianti sportivi, acque termali, fontane decorative e così via, che possono essere fonte di trasmissione del batterio, Pag. 11specie se l'acqua viene spruzzata sotto forma di aerosol. L'infezione da legionella non si trasmette da persona a persona, ma viene trasmessa da flussi di aerosol e di acqua contaminata come nel caso di ambienti condizionati o con l'uso di umidificatori. Il batterio, infatti, si riproduce soprattutto in ambienti umidi, tiepidi o riscaldati, come i sistemi di tubature, i condensatori e le colonne di raffreddamento dell'acqua, sui quali si forma un film batterico. Sedimenti organici, ruggini, depositi di materiali sulle superfici dei sistemi di stoccaggio e distribuzione delle acque facilitano l'insediamento della legionella. In particolare, negli ultimi anni il problema si è manifestato in seguito all'intensificarsi dei viaggi in zone del mondo dove la gestione degli impianti idrici può essere ancora poco accurata.
  La sorveglianza della legionellosi è attuata attraverso la notifica obbligatoria dei casi (come da decreto ministeriale del 15 dicembre 1990) e la scheda epidemiologica ad hoc, il cui ultimo aggiornamento è contenuto nelle linee guida, che citava l'onorevole, per la prevenzione ed il controllo della legionellosi pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale del 5 maggio 2000, con cui si è fornito uno strumento operativo per facilitare l'accertamento dei casi e per individuare le scelte strategiche in merito alle più appropriate misure preventive e di controllo. Parallelamente al sistema di sorveglianza dei casi italiani, esiste sin dal 1986 un programma di sorveglianza internazionale della legionellosi nei viaggiatori, che dal 2010 è confluito nel programma denominato ELDSNet, al quale aderisce anche l'Italia, coordinato dal Centro europeo per il controllo delle malattie, di Stoccolma, che si basa su una rete di collaboratori nominati dal Ministero della salute dei vari Paesi aderenti.
  Nel febbraio 2005 sono stati pubblicati, inoltre, due accordi tra il Ministero della salute e le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Il primo, «Linee guida recanti indicazioni sulla legionellosi per i gestori di strutture turistico-ricettive e termali», ha la finalità di fornire, ai direttori di strutture turistico-ricettive e termali sia gli elementi di giudizio per la valutazione del rischio di legionellosi in strutture sia un insieme di suggerimenti tecnico-pratici basati sulle correnti evidenze scientifiche, per ridurre al minimo questo rischio. Il secondo accordo, «Linee guida recanti indicazioni ai laboratori con attività di diagnosi microbiologica e controllo ambientale della legionellosi», ha la finalità di organizzare e orientare le attività dei laboratori nel settore della diagnostica della legionellosi e del controllo ambientale del batterio legionella, ed è rivolto agli operatori di sanità pubblica, ai microbiologi laboratoristi e a tutto il personale comunque coinvolto nel controllo della legionellosi in Italia. Nel 2008, presso il Ministero della salute, è stato istituito un gruppo di lavoro multidisciplinare (composto da ricercatori dell'Istituto superiore di sanità, da esperti regionali e da rappresentanti di questo Ministero), ai fini della stesura di linee guida aggiornate per la prevenzione ed il controllo della legionellosi, tenendo conto dei diversi aspetti che caratterizzano questo tipo di malattia. L'elaborazione del documento in oggetto si è basata sulla corrente letteratura scientifica internazionale, nonché su quanto riportato nelle linee guida prodotte a livello internazionale ed europeo, nonché su procedure basate sull'evidenza e applicate anche a livello regionale. L'iter di approvazione del documento è iniziato con un confronto nel Coordinamento tecnico interregionale della prevenzione, che ha richiesto moltissimo tempo, purtroppo. Nel frattempo, stante il verificarsi di emergenze inattese, quale ad esempio la gestione della pandemia influenzale da virus AH1N1, il citato documento ha richiesto ulteriori revisioni ed aggiornamenti. Le linee guida sono state poi sottoposte ad accurata disamina sia con riferimento alla sicurezza sul lavoro degli operatori che agli aspetti riguardanti la valutazione e il controllo del rischio nelle strutture sanitarie e socio-assistenziali; e nuovamente, le linee guida, nel giugno 2014, sono state poste all'attenzione del Gruppo tecnico di sanità pubblica del Coordinamento tecnico Pag. 12interregionale della prevenzione, con il quale è stata concordata nell'ottobre 2014 l'ultima e definitiva stesura.
  Concludo, quindi, assicurando all'onorevole interpellante che il documento contenente le linee guida è in procinto di essere inviato all'esame della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, previa autorizzazione del Ministro della salute per la conclusiva approvazione.

  PRESIDENTE. Il deputato Monchiero ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  GIOVANNI MONCHIERO. Sì, sostanzialmente sì, Presidente, perché effettivamente riconosco, intanto la precisione dei riferimenti portati qui dal sottosegretario, ma anche la situazione favorevole, in quanto questo iter sembra giunto felicemente alla sua conclusione. Speriamo sia così in tempi brevi.

(Chiarimenti e iniziative in merito alla compatibilità del meccanismo d'azione dei cosiddetti contraccettivi di emergenza con principi e norme dell'ordinamento – n. 2-00800)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Gigli n. 2-00800, concernente chiarimenti e iniziative in merito alla compatibilità del meccanismo d'azione dei cosiddetti contraccettivi di emergenza con principi e norme dell'ordinamento (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo al deputato Gigli se intenda illustrare la sua interpellanza. Prego, onorevole.

  GIAN LUIGI GIGLI. Grazie Presidente, buongiorno, questa interpellanza, come il sottosegretario sa, avrebbe dovuto già essere discussa la scorsa settimana e in qualche modo ora è datata ma ci consente tuttavia di tener conto almeno sia nella presentazione che nella risposta del fatto nuovo che si è venuto a determinare due giorni fa. Due giorni fa, infatti, la Commissione europea ha dato via libera alla richiesta che l'Agenzia europea di medicinali (EMA), aveva avanzato il 21 di novembre scorso di autorizzare la libera dispensazione del farmaco senza più ricetta medica.
  Ora io nell'illustrare questa mia interpellanza le risparmierò tutta la puntuale e dettagliata argomentazione scientifica, che pure abbiamo descritto nel testo dell'interpellanza, augurandomi solo che i suoi funzionari l'abbiano tenuta in debita considerazione nel predisporre il materiale preparatorio per la sua risposta, e cercherò invece di arrivare al nocciolo, al cardine di questo problema.
  Tutta questa vicenda ruota attorno a un duplice voluto equivoco ma è sostenuta, a mio avviso, da interessi economici e commerciali a dir poco giganteschi. Il duplice equivoco risiede in due, se vuole, affermazioni, due slogan: il primo è che la gravidanza è una malattia di fatto, non viene detto ma implicitamente così si assume; il secondo: la prevenzione della gravidanza non ha nulla a che fare con l'aborto. Ora sul primo punto non vale la pena nemmeno di diffondersi nel senso che è chiaramente una visione ideologica quella che vede la gravidanza come una malattia, non è mai stata così nella storia dell'umanità e quindi non ci spenderò nemmeno una parola.
  Sul secondo punto però, la prevenzione della gravidanza non avrebbe a che fare con l'aborto, qui invece vale la pena spenderla una parola perché certamente questo non è vero per i farmaci anticoncezionali che per definizione prevengono il concepimento e quindi certamente non hanno nulla a che fare con l'aborto. Ma non è altrettanto vero laddove il farmaco agisca con un meccanismo post concezionale. Vi è infatti uno spazio fisiologico tra il concepimento e l'annidamento dell'embrione in utero. Ufficialmente si dice che la gravidanza comincia con l'annidamento dell'embrione in utero ma il concepito inizia la sua vita umana nel momento stesso del concepimento. Quindi vi è questo intervallo tra il concepimento e l'annidamento Pag. 13in utero che oggi in qualche modo si vorrebbe far diventare una sorta di terra di nessuno.
  Allora parlare di prevenzione della gravidanza in questi casi, quando al farmaco viene invece richiesto di agire con un meccanismo post concezionale è una grossolanità se non vogliamo dire un falso di natura scientifica un po’ come quella storia che andava di moda tempo addietro, che poi è caduta in disuso, del cosiddetto pre embrione che sarebbe stata una cosa diversa dall'embrione. Oggi per fortuna nessuno ne parla più.
  Ma al di là del falso scientifico, io credo che dietro questa terminologia che vuole trasformare in un effetto anticoncezionale del farmaco anche quello post concezionale ci sia di fatto però una contrarietà con le nostre leggi; voglio citare la legge n. 405 del 1975 quella sui consultori familiari, che finalizza la procreazione responsabile alla salute della donna e del prodotto del concepimento. Voglio citare la legge n. 40 del 2004 che benché demolita a colpi di magistratura tuttavia non è stata mai rimessa in discussione per quanto riguarda l'articolo 1 e che, a proposito di procreazione medicalmente assistita, proprio all'articolo 1 riconosce al concepito le stesse tutele che garantisce ai suoi genitori.
  Voglio citare, infine, la legge n. 194 del 1978 che, pur permettendo in taluni casi l'aborto per tutelare la salute della madre, proclama la tutela della vita umana fin dal concepimento. Allora, detto tutto questo, io credo che bisogna smascherare il fatto, che adesso arriva alla sua estrema conseguenza di una libera prescrizione, senza più la ricetta medica, che EllaOne agisce soltanto attraverso un meccanismo di tipo antiovulatorio. Ripeto: non entro nel dettaglio dell'analisi scientifica che le abbiamo predisposto, ma credo che a riflettere e a interrogarsi su questo fatto basterebbe la constatazione che, mentre all'inizio del periodo fertile il potere antiovulatorio di EllaOne è altissimo – e questo lo riconoscono tutti – al picco del periodo fertile, invece, gli studi citati dalla stessa azienda, la HRA, nel report che ha portato alla prima autorizzazione, quella del 2009, e mai più smentiti, dicono che al picco del periodo fertile il potere antiovulatorio è mantenuto solo all'8 per cento, mentre il farmaco tuttavia riesce a prevenire la gravidanza nell'80 e passa per cento dei casi. Allora, se il potere antiovulatorio è solo dell'8 per cento e l'efficacia nell'evitare la gravidanza è di oltre l'80 per cento, qualcosa di diverso come meccanismo evidentemente deve esserci in funzione. E d'altronde anche uno sprovveduto capisce che, se una donna, per esempio, avesse un rapporto in periodo fertile oggi e concepisse domani e prendesse o dovesse prendere la pillola EllaOne dopodomani e questa funzionasse, evidentemente, visto che agisce per cinque giorni, non potrebbe essere per un meccanismo di tipo antiovulatorio.
  Ora come funziona lo sappiamo: funziona in realtà contrastando il recettore per il progesterone e, quindi, impedendo al progesterone di preparare l'endometrio ad accogliere il concepito. È quello che si chiama, in parole povere, un effetto antinidatorio. Eppure nel foglietto illustrativo del farmaco di tutto questo non viene fatta alcuna menzione e, in questo modo, si impedisce alla donna ed al professionista di compiere delle scelte consapevoli e, quindi, pienamente libere. Ora, non dire questo nel foglietto illustrativo significa, a mio avviso, dare un'informazione parziale e fuorviante, che potrebbe addirittura incorrere in quelle sanzioni che la stessa Unione europea prevede nel caso di informazione sui farmaci di tipo ingannevole od omissivo. Voglio ricordare che c’è una direttiva della Commissione europea, la n. 29 del 2005, che proprio di questo parla, all'articolo 21 e all'articolo 22. Si tratta della direttiva relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno. Ma c’è di più, signor sottosegretario. Il nome chimico di EllaOne – lei ormai credo che lo sappia a memoria – è ulipristal acetato, che suona molto simile, non a caso, a mifepristone: pristal-pristone. Era il 2009 quando il Comitato per la valutazione dei farmaci ad uso umano dell'Agenzia del farmaco europea, Pag. 14l'allora EMEA ed oggi EMA, si occupò in un documento ufficiale, per la prima volta, della pillola dei cinque giorni dopo. I laboratori della HRA Pharma, l'azienda francese che la produce, richiesero l'autorizzazione per metterla in commercio e, come prassi, l'Agenzia per esprimersi dovette farlo con un rapporto dedicato.
  Letto oggi, dopo l'annuncio shock che questa pillola dovrà essere venduta senza ricetta medica nelle farmacie di tutta Europa, questo rapporto del 2009, mai contraddetto e mai smentito, è destinato a sollevare dei pesanti interrogativi. Dopo pagine descrittive sull'impiego e gli effetti della pillola, a cui, come abbiamo detto e ripetuto, viene attribuito un semplice effetto antiovulatorio, compare un capitolo del tutto inaspettato. Lo leggo un attimo in inglese: «Off-label use as an abortifacient». Questo è il titolo nel rapporto, vale a dire, traducendolo in italiano: «Impiego fuori etichetta come abortivo».
  La stessa HRA, cioè, segnalava che EllaOne potesse essere assunta anche per abortire, e questo ben oltre i cinque giorni dopo il presunto rapporto a rischio. Ora, se questo è vero, come è possibile che al farmaco venga riconosciuto esclusivamente un effetto antiovulatorio ? Ripeto, parlo solo della correttezza dell'informazione. E questo è talmente evidente proprio perché, come dicevo, l'ulipristal acetato e il mifepristone sono, nello stesso rapporto, indicati come farmaci equivalenti dal punto di vista dell'effetto abortivo.
  Infatti, per abortire almeno fino a sette settimane bastano 200 mg di mifepristone, la Ru486, che equivalgono, quanto a efficacia sull'endometrio, a 200 mg di ulipristal non micronizzato. E siccome EllaOne contiene 30 mg per compressa di ulipristal micronizzato, che corrisponde a 50 mg di ulipristal non micronizzato, allora con quattro compresse, cioè con 120 mg di micronizzato, noi otteniamo un dosaggio equivalente ai 200 mg di Ru486, e questa non è contraccezione.
  Non a caso, alla pagina 45 dello stesso rapporto, l'Agenzia del farmaco europea raccomanda, dietro consiglio della stessa azienda, nel 2009, di prestare attenzione da parte dei medici che prescrivono il farmaco e di effettuare un'indagine accurata – cito tra virgolette – «nei reparti di ginecologia dove arrivino donne con una diagnosi di aborto “spontaneo” incompleto», e addirittura suggerisce dei «registri delle prescrizioni», così da poter identificare gli effettivi casi di uso anomalo.
  Tutto questo era vero nel 2009, l'azienda lo ha citato nel rapporto con cui è stata ottenuta l'autorizzazione: tutto questo è stato cancellato, smentito, dimenticato, non per il sopravvenire di nuove evidenze scientifiche, cosa che è sempre possibile in medicina, ma, torno a ripetere, esclusivamente per esigenze di natura commerciale.
  Dall'altro ieri secondo l'EMA – e ci abbiamo messo il timbro non più dell'azienda, ma dell'Agenzia europea per il farmaco – il farmaco, dunque, non è un abortivo, non ha effetti collaterali rilevanti e può essere acquistato senza alcuna prescrizione medica. Ora, è evidente che, se una donna si recasse in quattro farmacie diverse, potrebbe tranquillamente comprarsi quattro pillole, o nella stessa farmacia in giorni diversi, e fare un aborto anche alla settima settimana di gravidanza con questo farmaco.

  PRESIDENTE. Concluda.

  GIAN LUIGI GIGLI. Vado a concludere. In questo modo io ritengo che si ingannino la popolazione e, in particolare, le adolescenti, che ricorrono massicciamente a questo farmaco, ma, soprattutto, si violino le leggi del nostro Stato che finalizzano la procreazione responsabile alla tutela della salute della donna e del prodotto del concepimento, e perfino la legge n. 194 del 1978, che vieta l'aborto clandestino.
  La donna può decidere consapevolmente di abortire secondo le condizioni previste dalla legge, ma non può assumere un farmaco che sia abortivo facendole credere che in quel modo sta soltanto evitando il concepimento. Se mi permette una battuta, è il bugiardino, in questo Pag. 15caso, ad essere davvero bugiardo, visto che tace informazioni estremamente gravi.
  Ora tocca all'Aifa e al Ministero della salute valutare questi dati: finora EllaOne nel nostro Paese è stata prescritta da un medico e dopo l'esecuzione di un test di gravidanza, proprio per evitare possibili aborti. In base a una direttiva europea, gli Stati in cui vigono legislazioni nazionali che vietano o limitano la vendita o l'uso di medicinali a fini contraccettivi o abortivi possono rifiutarsi di adottarli. È la direttiva del 2001.

  PRESIDENTE. Deve concludere.

  GIAN LUIGI GIGLI. Ho finito. Chiedo al Sottosegretario quale sarà l'atteggiamento che il suo Ministero vorrà avere in questa materia.

  PRESIDENTE. Grazie. Il sottosegretario di Stato per la salute Vito De Filippo, ha facoltà di rispondere.

  VITO DE FILIPPO, Sottosegretario per la salute. Signora Presidente, onorevole Gigli, vi è stato un lungo approfondimento della parte introduttiva dell'interpellanza che lei ha presentato, che è una lunghissima sequenza di dati scientifici con i quali abbiamo provato a confrontarci puntualmente in questi giorni. Proprio in merito alla problematica in esame, preliminarmente l'Agenzia italiana del farmaco ha precisato questi primi elementi. La specialità medicinale ellaOne (unipristal acetato), come lei ha più volte riferito, è stata autorizzata dall'Agenzia regolatoria europea EMA, con procedura centralizzata il 15 settembre 2009, ed inserita nel registro comunitario dei medicinali in confezione da 30 milligrammi (titolare dell'autorizzazione all'immissione in commercio – come ha più volte riferito anche lei – è l'HRA Pharma, questa azienda francese) e ne è stata definita, a livello nazionale, la classificazione di rimborsabilità nella classe C e il regime di fornitura, con prescrizione con ricetta medica da rinnovare volta per volta, in data 8 novembre 2011. Questo farmaco è indicato come contraccettivo di emergenza, da assumere entro 120 ore (5 giorni) da un rapporto non protetto o dal fallimento di altri contraccettivi. Il principio attivo di ellaOne, l'ulipristal acetato che è stato citato, agisce da modulatore del recettore del progesterone: il farmaco, legandosi ai recettori ai quali normalmente si lega il progesterone, inibisce all'ormone di esercitare il suo effetto definitivo. Attraverso la sua azione sui recettori del progesterone, ellaOne impedisce la gravidanza principalmente mediante la prevenzione o il ritardo della stessa ovulazione.
  In fase di rilascio di AIC, l'uso di ellaOne in gravidanza è stato inizialmente controindicato, e per tale ragione in Italia, anche in adesione al parere del Consiglio superiore di sanità del 14 giugno 2011, la prescrizione del farmaco è stata subordinata alla presentazione di un test di gravidanza ad esito negativo, basato sul dosaggio delle beta HCG, al fine di escludere la presenza di una gravidanza in atto e quindi di evitare ogni possibile danno per il feto.
  Ciò premesso, in data 7 gennaio 2015, la Commissione europea, come ha nuovamente citato anche lei, ha approvato la proposta di variazione dell'AIC, sulla quale il Comitato per i medicinali per uso umano dell'EMA aveva dato parere positivo, per la modifica del regime di fornitura di ellaOne da «medicinale soggetto a prescrizione medica» a «medicinale non soggetto a prescrizione medica», con contestuale eliminazione della gravidanza dalla lista delle controindicazioni all'uso del medicinale stesso. Va precisato che questo parere positivo non è stato reso all'unanimità, bensì a maggioranza: 21 votanti su 31, e che l'Italia ha espresso – unitamente a Stati come la Germania, la Polonia, la Lituania, la Croazia e l'Ungheria – il proprio parere contrario sotto il profilo della sicurezza dell'uso del farmaco, in considerazione della contestata mancanza di dati scientifici sufficienti per trarre conclusioni certe circa l'assenza di effetti fetotossici o teratogenetici.
  Come noto, nell'ambito delle procedure centralizzate e nel rispetto delle disposizioni Pag. 16comunitarie (e specificamente l'articolo 14, paragrafo 10, del Regolamento CE n. 726/2004, che a sua volta richiama l'articolo 70 della Direttiva n. 2001/83/CE), il Comitato per i medicinali ad uso umano è tenuto ad includere nel suo parere i criteri di prescrizione del medicinale oggetto della procedura. Il parere definitivo del Comitato viene poi trasmesso dall'EMA alla Commissione europea per l'approvazione della definitiva decisione. Nella fattispecie in esame – è stato ricordato – il parere del Comitato è stato confermato dalla Commissione europea, che pertanto ha accolto la richiesta di variazione da «medicinale soggetto a prescrizione medica» a «medicinale non soggetto a prescrizione medica». A livello nazionale, ai sensi dell'articolo 87 del decreto legislativo n. 219/2006, l'AIFA dovrà comunque valutare la prevedibile istanza da parte dell'azienda titolare dell'AIC di ellaOne, previa acquisizione del parere della Commissione tecnico-scientifica della stessa Agenzia.
  Ricostruito così il quadro fattuale e normativo, vorrei ringraziare gli onorevoli interpellanti per aver sollevato una tematica che presenta profili di particolare delicatezza con riguardo alla tutela della salute della donna. Proprio per tale ragione, si ritiene necessario rimettere nuovamente la questione al Consiglio superiore di sanità che, peraltro, come sopra riferito, aveva già espresso il proprio parere sul medicinale in esame. Più in particolare, la questione sarà rimessa al Consiglio affinché approfondisca i profili di sicurezza del medicinale e si esprima nuovamente alla luce della intervenuta variazione a livello comunitario.
  L'AIFA, per i profili di competenza, sottoporrà la questione alla propria commissione tecnico-scientifica, che sta esaminando in maniera approfondita ogni aspetto correlato alla sicurezza dell'uso del farmaco in automedicazione, ovvero «prodotto da banco», in quanto in tal caso lo stesso potrebbe divenire liberamente acquistabile.
  All'esito degli approfondimenti tecnici, si valuterà, anche alla luce del combinato disposto degli articoli 1, comma 1, lettera b), della legge n. 405 del 1975, che lei ha più volte citato nella sua interpellanza urgente, e 2, ultimo comma, della legge n. 194 del 1978, e dell'articolo 4, paragrafo 4, della direttiva europea n. 83 del 2001, così come richiamato dall'articolo 13 del regolamento dell'Unione Europea n. 726 del 2004, se ricorrano o meno le condizioni per la dispensazione del medicinale in questione su prescrizione medica.

  PRESIDENTE. Il deputato Gigli ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  GIAN LUIGI GIGLI. Grazie Presidente. Io la ringrazio davvero, signor sottosegretario, perché la sua risposta è stata certamente precisa ed esauriente.
  Vorrei però citare alcune cose che sono emerse da quello che lei ci ha detto: lei ha riconosciuto giustamente che il farmaco è un modulatore del recettore del progesterone. Ora, dire questo significa ammettere implicitamente che il farmaco può avere – dipende da quando è assunto ovviamente e dalla fase del ciclo in cui è assunto – un effetto antinidatorio perché il progesterone non serve soltanto al picco dell'ovulazione, ma serve anche a formare poi l'endometrio, in maniera tale da poter accogliere l'embrione.
  Ora, se dovesse andare avanti così – io mi auguro che così non sia e sono contento di quello che lei ha detto – noi ci troveremmo nella condizione nella quale, senza alcun fatto nuovo scientifico accaduto nel frattempo, un'azienda chiede di commercializzare in maniera indiscriminata un farmaco, per il quale, a questo punto, non servirebbe più non solo la ricetta del medico, ma nemmeno il farmacista. Potrebbe bastare il commesso di una parafarmacia e dopodomani, se vendessimo i medicinali da banco nei supermercati, potrebbe bastare pure la cassiera del supermercato, dopo che uno se l’è preso da sé. Questo significherebbe in effetti – come lei stesso ha detto – non curarsi della salute delle donne. Questo farmaco è una bomba ormonale e nessuno Pag. 17di noi conosce al momento i rischi di eventuali somministrazioni ripetute, soprattutto quando esse hanno a che fare col corpo di adolescenti la cui vita ormonale è ancora in formazione e che potrebbero – proprio perché ritenuto il meccanismo più facile anticoncezionale, e anticoncezionale non è – servirsene anche a ripetizione.
  Io credo che una minorenne potrebbe arrivare a prendere, a differenza di altri farmaci per i quali serve la ricetta e non possono essere dati ai minorenni, questo farmaco tranquillamente superando anche la potestà genitoriale e potrebbe farlo – lo ripeto – senza alcuna considerazione per il proprio corpo e per la propria salute. Chi potrà escludere – dicevo – che una ragazzina possa usarlo infine anche effettivamente per un aborto solitario, cioè per riportare l'aborto nelle condizioni di clandestinità dalle quali la stessa legge n. 194 ha voluto sottrarlo ?
  Ora, per limitare i danni, io credo che sia necessario, nel rispetto dell'anonimato, garantire almeno la tracciabilità dei prodotti venduti come contraccettivi cosiddetti di emergenza specie alle minori. Questo non elimina certamente la questione educativa, ma segnalando almeno i casi di uso troppo frequente, si disporrà almeno di uno strumento in più, evitando di lasciare le adolescenti sole.
  Un'ultima domanda, però, mi sia consentita, sottosegretario: se dovessero verificarsi poi dei danni alla salute di queste donne e qualcuno cominciasse ad avviare azioni legali di rivalsa, chi sarebbe responsabile a questo punto dell'informazione parziale, omissiva o ingannevole ? Sarebbe responsabile l'EMA ? Sarebbe responsabile l'AIFA ? O chi ha altro sarebbe responsabile ? Non è che alla fine arriverebbe tutto addosso al Servizio sanitario nazionale ?
  In fine, lei stesso l'ha richiamata, esiste la possibilità che l'Italia si sottragga, ai sensi dell'articolo 4, comma 4, della direttiva 2001/83/CE, alla procedura centralizzata. Infatti, in questo articolo 4, comma 4, si dice che la stessa direttiva non osta all'applicazione di leggi nazionali che vietano o limitano la vendita, la fornitura o l'uso di medicinali a fini contraccettivi o abortivi.
  Concludendo, volevo suggerirle, in coda al mio discorso, ma lei mi ha preceduto, di operare una pausa di riflessione, di portare la questione, come abbiamo fatto per Stamina, se lo ricorda il sottosegretario De Filippo, all'attenzione del Consiglio superiore di sanità. Lei mi ha anticipato, lo ripeto, ed ha accolto questo invito. Io sono quindi soddisfatto e mi auguro che questa pausa di riflessione avvenga, davvero, sulla base dei dati scientifici e non sulla base delle pressioni commerciali che hanno a che fare con gli interessi di una grossa multinazionale, ma certamente non hanno a che fare con la salute delle donne e tanto meno hanno a che fare con il rispetto del concepito.

(Chiarimenti e intendimenti in merito al sistema dei controlli antidoping e all'indipendenza degli organismi preposti – n. 2-00801)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Cova n. 2-00801, concernente chiarimenti e intendimenti in merito al sistema dei controlli antidoping e all'indipendenza degli organismi preposti (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo al deputato Cova se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  PAOLO COVA. Grazie Presidente, onorevoli colleghi, gentile sottosegretario, credo che sia opportuno fare due premesse prima di iniziare l'illustrazione di questa interpellanza. Lo faccio soprattutto per sgombrare il campo da dei dubbi o dei fraintendimenti che potrebbero sorgere per chi ascolta, per tutte le persone che ci stanno ascoltando, ma anche per i rappresentanti del CONI e del Governo. La prima premessa è questa: non vogliamo parlare del doping e di questi mancati controlli, perché vogliamo cambiare solo delle caselle, vogliamo cambiare qualcuno al vertice, vogliamo cambiare delle persone. Pag. 18Non è una questione di cambio di persone che stanno dirigendo questa situazione. No, non è questo. Non basta una semplice spolverata, perché non è questo il momento. Questa sarebbe solo una politica vecchia, quella del calamaio e della carta assorbente, noi siamo nella politica 2.0, per cui non basta una spolverata.
  Il secondo aspetto che mi sembra importante sottolineare come premessa è che questo sistema non ha funzionato. In tutti questi anni questo sistema non ha funzionato, lo dico solo all'inizio e poi andrò a spiegare il perché. La dimostrazione è il caso dei trentotto atleti che abbiamo segnalato, che hanno mancato i controlli o non hanno segnalato la propria reperibilità. Ma dico di più, questo sistema non ha funzionato per quello che è avvenuto ieri, quando il CONI ha comunicato che ascolterà sessantacinque atleti, arriverà ad ascoltarli, vuol dire che qualcosa non funziona in questo sistema.
  Perché allora questa è questione importante ? Voglio entrare proprio nel tema dell'interpellanza. Questa è una questione seria ed è importante perché riguarda il tema della salute, riguarda la salute delle persone, degli atleti e in modo particolare di tutte le persone che fanno sport, gli amatori, i professionisti, le semplici persone, a cui il sistema del doping, dell'uso illecito, o in modo sbagliato, del farmaco, porta a dei danni al loro sistema sanitario e ha una ricaduta sui giovani, perché è l'esempio che noi andiamo a trasmettere. Questo Stato, questo Governo, devono dare un buon esempio, etico, soprattutto ai giovani, a chi partecipa a delle competizioni in modo sano, confrontandosi solo sulle proprie capacità e non sull'alterazione dei risultati o partendo avvantaggiato.
  È vero che in Italia siamo riusciti a vedere anche una competizione dove un saltatore è riuscito a trovarsi una prestazione maggiore di quella che aveva fatta. Siamo riusciti a fare anche questo ! E questo è avvenuto in una competizione mondiale. È una competizione che deve vedere mettere le persone alla pari.
  C’è poi tutto il tema del commercio illegale dei farmaci dietro al doping, e non solo dei farmaci ma anche di tutte le sostanze stupefacenti. La stessa associazione Libera è intervenuta su questo tema, ha fatto dei convegni e si preoccupa, proprio perché, accanto a questo tema del doping, c’è tutto un tema che riguarda la malavita che interviene in questo sistema.
  C’è però una legge: è stata fatta una legge nel 2000, la legge n. 376. È una legge chiara, è una legge netta, è una legge che non lascia dubbi su tutto il sistema dell’antidoping, per cui è una legge che va solo messa in pratica e va rispettata. Voglio leggere e citare l'articolo 4, comma 1, anche perché tutti sappiano che cosa c’è scritto: «e comunque a decorrere dal 180o giorno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge, cessano le attività del CONI in materia di controllo sul laboratorio di analisi operante presso il Comitato medesimo».
  La legge dice che «cessano» entro 180 giorni. Noi abbiamo attualmente l'agenzia dell’antidoping, che si chiama CONI-Nado e che è in seno al CONI. Per cui non c’è questa separazione. È vero, questo è avvenuto, perché c’è stato un protocollo di intesa. C’è stato un atto formalizzato tra il Ministero della salute e il CONI il 16 ottobre del 2007. Questo atto, questo protocollo di intesa, ha dato la possibilità al CONI di vigilare sulle competizioni agonistiche, nazionali e internazionali, quindi sugli atleti di vertice, di livello e professionisti, mentre alla Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping e per la salute, in seno al Ministero della salute, ha lasciato solo le competizioni non agonistiche e le competizioni agonistiche, ma non di interesse nazionale.
  È vero che c’è questo atto d'intesa, ma la legge dice altro. Questo atto non rispetta quello che è stato previsto dalla legge. Oltretutto voglio dire che anche il regolamento internazionale previsto dalla WADA, il sistema antidoping internazionale, prevede un'agenzia esterna alle federazioni. Allora questo atto annulla completamente l'articolo 4. Perché non basta anche una spolverata ? Come accennavo Pag. 19prima, ci sono questi casi di questi 38 atleti che hanno mancato i controlli oppure che non hanno segnalato la propria reperibilità. Il regolamento è chiaro ed è netto: ogni atleta di vertice, ogni atleta professionista o inserito in un determinato elenco degli atleti di vertice, deve segnalare in anticipo ogni trimestre la propria reperibilità, per potere consentire che la struttura antidoping possa eseguire i controlli antidoping.
  La procura di Bolzano ha segnalato che 38 atleti dal primo trimestre 2011 fino al secondo trimestre 2012 non hanno segnalato la propria reperibilità o hanno mancato dei test, una volta o più volte. Il regolamento è anche netto: un atleta che non segnala o manca un test antidoping per tre volte nell'arco di diciotto mesi deve essere squalificato. Questo non è avvenuto. Ci sono atleti, da quello che abbiamo potuto verificare dalle agenzie, che hanno mancato il controllo o non hanno segnalato la propria presenza per 3, 4, 5, 6, 7, 8 e qualcuno 9 volte !
  Io voglio anche sottolineare un aspetto, che credo non sia da sottovalutare. Il periodo interessato è quello che va dal primo trimestre del 2011 al secondo trimestre 2012. Noi abbiamo avuto le Olimpiadi nell'estate del 2012. Era il momento in cui gli atleti di vertice erano nel massimo impegno, erano nella massima preparazione, era il momento del loro potenziamento, era il momento in cui si stavano preparando per partecipare alle competizioni: trentotto atleti solo per l'atletica leggera, poi ci sono tutti gli altri, quelli di altre federazioni, di cui non sappiamo niente e sui quali forse è opportuno intervenire.
  Per questi atleti è mancato il controllo a sorpresa. Infatti, il controllo a sorpresa è la vera lotta al doping, perché avviene quando l'atleta non se lo aspetta, quando magari non è ancora stata sospesa l'assunzione del farmaco dopante, perché l'atleta non sa quando avviene. È il controllo più mirato, è il controllo più preciso. Inoltre, il controllo a sorpresa avviene quando lo stesso atleta non ha messo in atto tutte quelle procedure che possono far decantare l'uso dei farmaci. La procura interviene, i tecnici dell'antidoping possono andare a verificare con questo controllo a sorpresa. Questo non è avvenuto.
  Posso anche dire, un po’ a discapito, ma anche lasciando dei dubbi, che è vero che sono stati fatti dei controlli. La commissione segnala che sono stati eseguiti circa 10 mila campioni antidoping, ma non sono avvenuti a sorpresa e soprattutto non sono stati eseguiti in alcuni periodi, soprattutto nel maggior momento in cui ci dovevano essere attenzione e vigilanza.
  Lo dico al sottosegretario, ma lo dico anche alla commissione di vigilanza: sarebbe anche curioso e interessante vedere anche quanti dei 10 mila campioni che sono stati eseguiti effettivamente non sono arrivati stressati. Su quanti di questi 10 mila campioni – sarebbe interessante saperlo – era possibile effettuare realmente la prova dell'EPO ? Infatti, se il campione non era refrigerato, se il campione non era tenuto in determinate condizioni, sono stati eseguiti gli esami, ma la titolazione dell'EPO non sarebbe stata possibile.
  Allora, chi era deputato al controllo non ha controllato. Doveva segnalare che alcuni atleti non avevano mandato la propria reperibilità. Non è stato svolto il controllo. Ma questo perché è avvenuto ? Io ipotizzo adesso che è avvenuto per il meccanismo che si è adottato. Il CONI è l'insieme delle federazioni, le federazioni fanno parte del CONI. Le federazioni, che sono quelle che sono controllate, eleggono il CONI, ricevono i finanziamenti dal CONI. Leggo sulle agenzie che addirittura più medaglie si vincono e più finanziamenti si prendono. Allora il CONI-NADO, che è in seno al CONI, doveva vigilare e non ha vigilato, perché non ha mandato i controlli, non ha potuto effettuare le verifiche, ha dimostrato di non essere capace di controllare e il caso era eclatante davanti a tutti.
  Allora, voglio entrare nel secondo punto: perché questo sistema non ha funzionato ? Questo sistema non ha funzionato, perché anche la procura antidoping e il sistema antidoping intervengono, ma Pag. 20fanno passare tre, quattro anni senza muoversi. Sapevano che alcuni atleti avevano superato i tre controlli e non hanno fatto niente.
  Ma dico ancora di più. La procura di Bolzano ha segnalato questi fatti alla procura antidoping, se non sbaglio, a settembre e non è successo niente. Allora, io resto un po’ stupito. Perché non è intervenuta immediatamente ? Se voleva dimostrare la propria alterità, la propria terzietà rispetto alle federazioni e agli atleti e voleva dimostrare di essere veramente esterna a questo sistema e un'agenzia indipendente, doveva intervenire subito.
  Scopro e scopriamo che ieri sono stati convocati sessantacinque atleti, solo ieri. Io voglio sperare e credo che non sia così perché oggi c’è questa interpellanza. Veramente immagino che era un processo già in atto e non è successo perché oggi bisognava dare una risposta in Aula. Infatti, dopo quattro anni, la procura antidoping si è accorta che c'erano questi casi. Dopo quattro mesi dall'assegnazione della procura, si è accorta cosa stava avvenendo. Perché non è intervenuta prima ? Noi qui vediamo i limiti di questo sistema. Questo è il grande limite.
  Ma voglio dire di più, andando a concludere: non accade sempre così, perché uno può dire che è la lentezza del sistema statale. No, perché io ho sperimentato che le federazioni e, in particolare, la FIDAL, quando deve mandare una sospensione a un atleta master che partecipa a una gara che non è autorizzata dalla FIDAL medesima, gli manda la sospensione, non aspetta anni, non aspetta quattro anni, non aspetta quattro mesi. Lo avvisa anche in anticipo e gliela manda immediatamente. Allora, quando vuole interviene, altrimenti non interviene. Questo meccanismo non funziona.
  Appare chiaro, signor sottosegretario, Presidente, come esiste questo conflitto di interessi: chi è controllato è anche il controllore. La legge non lascia dubbio, è chiara. Noi dobbiamo solo rispettare la legge, per cui dobbiamo intervenire. La struttura del CONI e delle federazioni ha dimostrato di non garantire. Serve allora una struttura esterna. Noi l'abbiamo già fatta, questo Governo l'ha già fatta.

  PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole.

  PAOLO COVA. Vado a concludere. È successo con Expo, con il caso di Cantone, dove abbiamo messo un ente esterno che ha voluto cambiare. Cerchiamo di cambiare passo, di dare una svolta, di dare un segnale chiaro a tutto il sistema dell'atletica sportiva, soprattutto quella amatoriale e pulita. È forse meglio avere meno medaglie sul petto, ma avere più valore etico e più medaglie pulite.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la salute, Vito De Filippo, ha facoltà di rispondere.

  VITO DE FILIPPO, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, onorevole Cova, la legge 14 dicembre 2000, n. 376, recante «Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping», ha istituito, presso il Ministero della salute, la Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive. Questa Commissione è chiamata a svolgere una serie di competenze, elencate proprio all'articolo 3, comma 1, tra le quali la determinazione, anche in conformità con le indicazioni del CIO e di altri organismi ed istituzioni competenti, dei casi, dei criteri e delle metodologie dei controlli antidoping e l'individuazione delle competizioni e delle attività sportive per le quali il controllo sanitario è effettuato dai laboratori accreditati dai competenti organismi internazionali e l'effettuazione dei controlli antidoping e di quelli di tutela della salute, in gara e fuori gara.
  Queste competenze sono state poi specificate anche dall'articolo 8 del decreto del Ministero salute del 31 ottobre 2001, n. 440, recante il regolamento concernente l'organizzazione ed il funzionamento della Commissione. La Commissione ha, quindi, esercitato le sue funzioni in materia di Pag. 21controllo antidoping, identificando le manifestazioni sportive sul territorio nazionale su cui svolgere il controllo, secondo quanto previsto dalla legge n. 376 del 2000 fino agli anni 2006 e parte del 2007.
  In ambito internazionale, il Governo italiano ha sottoscritto la Dichiarazione sulla lotta al doping nello sport a Copenaghen nel 2003, con la quale gli Stati firmatari si obbligavano ad adeguare la propria normativa al codice mondiale antidoping adottato dalla WADA, che lei ha più volte citato, ed ad identificare l'organizzazione nazionale antidoping (NADO), cui è affidato il ruolo centrale nelle attività di contrasto al doping a livello nazionale e di interlocutore anche a livello internazionale. Il codice prevede come clausola di salvaguardia che, qualora gli Stati firmatari non identificassero espressamente la propria organizzazione antidoping nazionale, le funzioni sarebbero state svolte dal Comitato olimpico nazionale.
  Il Governo italiano, non avendo effettuato a suo tempo una scelta diversa, ha di fatto affidato il ruolo di NADO al CONI, confermando tale indicazione anche successivamente, in occasione della firma della Convenzione internazionale contro il doping nello sport, adottata a Parigi nella XXXIII Conferenza generale dell'UNESCO, il 19 ottobre 2005, entrata in vigore il 2 febbraio 2007 e di seguito anche ratificata con la legge 26 novembre 2007, n. 230.
  Si segnala che, in virtù del decreto legislativo dell'8 gennaio 2004, n. 15, il CONI «cura nell'ambito dell'ordinamento sportivo, anche d'intesa con la Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive, istituita ai sensi dell'articolo 3 della legge 14 dicembre 2000, la già citata n. 376, l'adozione di misure di prevenzione e repressione dell'uso di sostanze che alterano le naturali prestazioni fisiche degli atleti nelle attività sportive».
  E presso lo stesso CONI opera, sin dal 1995, anche una Commissione antidoping, che detta i principi per prevenire e reprimere l'uso di sostanze e di metodi che alterano le naturali prestazioni fisiche degli atleti nelle attività agonistico-sportive per prevenire e reprimere l'uso delle sostanze che alterano le naturali prestazioni fisiche degli atleti nelle attività agonistico-sportive, anche in collaborazione con le autorità preposte alla vigilanza e al controllo sul doping e per la tutela della salute nelle stesse attività.
  Per migliorare l'azione di coordinamento degli interventi in materia di prevenzione e contrasto al doping, tra gli organismi competenti a livello nazionale, anche al fine di evitare duplicazioni o sovrapposizioni, in particolare nell'attività di controllo antidoping sulle manifestazioni sportive, in data 4 settembre 2007 il Ministro della salute, il Ministro per le politiche giovanili e le attività sportive e il Presidente del CONI hanno sottoscritto un atto di intesa con cui si concordava di considerare le attività sportive non agonistiche e le attività sportive agonistiche non aventi rilevo nazionale oggetto prevalente dell'attività antidoping della Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive ex lege n. 376 del 2000 e di considerare altresì le attività sportive agonistiche di livello nazionale e internazionale (delegate dagli organismi sportivi internazionale) oggetto prevalente dell'attività antidoping per l'appunto proprio del CONI.
  Questa ripartizione è stata poi confermata dal decreto del Ministero della salute del 14 febbraio 2012, attuativo della legge n. 376 del 2000, che riconosce espressamente il CONI quale organizzazione nazionale antidoping (all'articolo 1), nonché definisce l'ambito di competenza in materia di controlli fra la Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping ed il CONI stesso.
  Il Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), è, quindi, oggi l'autorità che disciplina, regola e gestisce le attività sportive in Italia, nonché cura l'adozione delle misure di prevenzione e repressione del doping nell'ambito dell'ordinamento sportivo con la funzione di Organizzazione nazionale antidoping (più volte citata con l'acronimo NADO).Pag. 22
  Il CONI-NADO opera, in attuazione del programma nazionale antidoping, attraverso delle strutture autonome e indipendenti che svolgono le funzioni proprie della NADO in base a quanto previsto dal codice WADA.
  Il CONI, quindi, adotta le norme sportive antidoping (NSA) quale documento tecnico attuativo del codice WADA e sono le uniche norme, nell'ambito dell'ordinamento sportivo italiano attuale, che disciplinano la materia dell'antidoping e le condizioni cui attenersi nell'esecuzione dell'attività sportiva.
  Secondo gli ultimi dati proprio forniti dal CONI-NADO, nel corso dell'anno 2014, e precisamente dal 1o gennaio 2014 al 30 novembre 2014, sono stati disposti dal CONI-NADO ed effettuati un totale di 6.120 controlli antidoping, di cui 4.623 in competizione e 1.497 fuori competizione.
  I casi di positività a sostanze vietate sono stati 28, oltre 2 riguardanti atleti del Comitato italiano paralimpico. I dati del 2014 sono, secondo la comunicazione che abbiamo ricevuto, in linea con quelli del 2013.
  Se confrontiamo i dati 2013 a livello internazionale si rileva che, secondo i dati statistici pubblicati dalla WADA (i cui dati 2014 verranno pubblicati intorno al mese di maggio o giugno prossimi), il CONI nel 2013 è stata la quinta NADO al mondo come numero di controlli (dopo la Russia, la Germania, la Cina e gli Stati Uniti), mentre sempre nel 2013 l'Italia (CONI e CVD) è stato il terzo Paese al mondo come percentuale di positività riscontrate.
  Il Comitato esenzioni ai fini terapeutici ha trattato complessivamente oltre 800 pratiche, suddivise tra pareri scientifici resi e domande di esenzione. L'ufficio procura antidoping dal luglio al novembre 2014 ha proceduto a formulare 103 deferimenti innanzi al tribunale nazionale antidoping, contestando 167 violazioni disciplinari. Il tribunale nazionale antidoping, nel corso dell'anno 2014, ha rubricato e celebrato circa 200 procedimenti disciplinari (188 la prima sezione, 14 la seconda sezione).
  Per quanto attiene all'indagine della procura di Bolzano, peraltro ancora in corso, come citava l'onorevole Cova, si evidenzia che in riguardo alle presunte inadempienze relative alle informazioni sulla reperibilità primo trimestre 2011-secondo trimestre 2012 – sulla base degli atti trasmessi dalla stessa procura della Repubblica – ha proceduto ad oggi ad aprire nei confronti di 65 atleti altrettanti procedimenti per violazione delle norme sportive antidoping, attualmente in fase di istruttoria con riserva di procedere, all'esito delle risultanze istruttorie, ad ulteriori verifiche nei confronti di soggetti tesserati per altre federazioni sportive.
  Si ritiene di dover comunque segnalare che l'Italia è uno dei pochissimi Paesi al mondo in cui si effettuano i controlli non solo nei confronti degli atleti di interesse nazionale o internazionale, ma anche degli atleti dei settori amatoriali e giovanili. Tali controlli sono finalizzati innanzitutto alla tutela della salute degli sportivi e hanno fatto emergere in maniera statisticamente rilevante un preoccupante fenomeno di uso di sostanze vietate per doping, ma anche di abuso di sostanze non vietate per doping (cosiddetto fenomeno della medicalizzazione dell'atleta). Fenomeni che sicuramente necessitano, oltre che di una azione deterrente attraverso i controlli, di un maggiore impegno e coordinamento fra le istituzioni competenti, per incrementare la realizzazione di campagne informative e di prevenzione rivolte, in particolare, alla popolazione scolastica e sportiva giovanile.
  Il Governo è pronto, quindi, a lavorare insieme agli altri soggetti competenti al fine di individuare i possibili miglioramenti dell'attuale sistema, che ho voluto descrivere anche in maniera forse troppo puntuale, e, in tal senso, una prima occasione per avviare tale confronto sarà sicuramente il convegno nazionale «La tutela della salute nelle attività sportive e la lotta al doping», che la Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping sta organizzando insieme all'Istituto superiore di sanità con il coordinamento e la supervisione della stessa Presidenza del Consiglio. Si spera che da quella occasione Pag. 23possa partire un'azione coordinata, che deve in primo luogo portare il sistema a prevenire gli abusi e a sanzionarli in maniera ancora più efficace per avere uno sport – come diceva l'onorevole Cova – sano, che ama competere lealmente e che denuncia chi adotta pratiche illegali.

  PRESIDENTE. Saluto le alunne e gli alunni della scuola primaria parificata «Sacra Famiglia» di Roma, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
  La deputata Coccia ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta all'interpellanza Cova n. 2-00801, di cui è cofirmataria.

  LAURA COCCIA. Grazie, Presidente, la risposta è stata molto articolata, quindi diciamo che ci dichiariamo parzialmente soddisfatti. Dico questo perché apprezziamo molto l'apertura del Governo, a far sì che soprattutto venga fatta luce su quello che è avvenuto.
  Io vorrei riportare un po’ quest'Aula indietro nel tempo alla conferenza stampa di Alex Schwazer alla vigilia dei giochi olimpici, nel momento in cui ha ammesso di aver fatto uso di sostanze dopanti. In quella conferenza stampa disse una frase che mi colpì molto e credo che colpisce molti di noi: «Sarebbe bastato che Carolina non avesse aperto la porta e che avesse detto che io non ero in casa e che, invece che in Germania, ero a casa mia».
  Mi chiedo e mi sono chiesta in questi mesi: quante altre volte è successo ? Quante altre volte, quanti altri atleti non hanno aperto la porta ? Tutte queste mancate segnalazioni, tutte queste mancate squalifiche... mancare un controllo antidoping non vuol dire essere dopati, e questo è chiaro, ma mancare più volte un controllo antidoping fa sorgere più di un sospetto. Allora, io credo che noi dobbiamo essere chiari come Governo, come Governo del Paese, ma anche gli organismi sportivi non devono lasciare adito a nessun tipo di dubbio, perché un Paese che si vuole candidare ad ospitare i giochi olimpici nel 2024 deve anche essere un Paese in grado di fare luce sulle ombre del proprio passato e far sì che si migliori per il futuro, che i controlli avvengano veramente a sorpresa. Perché, Presidente, un atleta che manca un controllo sa che, prima o poi, gli arriva il secondo, e allora, a quel punto, magari sta anche più attento.
  Ora, leggendo gli atti dell'inchiesta di Bolzano qualche dubbio sorge; dalle intercettazioni telefoniche, insomma, dall'inchiesta esce fuori un quadro molto inquietante di quelli che sono e sono stati i rapporti, le omissioni, le mancate segnalazioni. Noi questa interpellanza urgente l'abbiamo presentata per un motivo molto semplice, perché il doping non va solamente ad alterare una prestazione sportiva, non è solamente l'inganno che un atleta fa nei confronti di tutti gli altri atleti, prendendosi un aiutino; il doping ha effetti nocivi sulla salute che possono essere mortali. Ora, io credo sia un atto dovuto da parte del Parlamento affrontare la questione, nel momento in cui si apprende che dei cittadini di questo Paese, che avrebbero dovuto essere controllati, non hanno subito i controlli nel modo dovuto; ecco, visto che, appunto, il doping fa male, può portare a delle malattie mortali, dobbiamo porci delle domande, dobbiamo avere delle risposte, ma soprattutto dobbiamo lavorare insieme. Per questo sono soddisfatta dell'apertura del Governo, perché veramente dobbiamo dare seguito a quella che è stata la campagna dell'AIFA degli ultimi mesi in cui si diceva che ai bambini bisogna dare i farmaci giusti; i bambini non sono piccoli adulti ai quali basta dare mezza dose del farmaco per gli adulti per farli guarire. Ecco, il doping è la stessa identica cosa, non si possono assumere farmaci se non se ne ha la necessità, perché questo vuol dire non solamente truffare, non solamente alterare le prestazioni sportive, ma vuol dire anche farsi del male e, quindi, avere poi una ricaduta sul sistema sanitario nazionale.Pag. 24
  Quindi, auspico che la convocazione degli atleti che la Federazione Italiana di Atletica Leggera ha annunciato ieri, così come l'annuncio che si sarebbe costituita parte civile al processo, possano essere i primi passi in avanti verso un sistema antidoping più funzionale.
  E, se necessario, come abbiamo chiesto, anche attraverso la costituzione di un organismo terzo che possa certificare il corretto svolgimento dei controlli antidoping. Questo è veramente fondamentale per tutelare anche le prossime generazioni. Infatti, un'atleta che veste la maglia della nazionale – ed io, che ho avuto questo onore, so cosa vuol dire – ha anche la responsabilità di essere un esempio per tutti coloro, soprattutto giovani, che fanno sport, soprattutto se praticano la stessa disciplina sportiva. Quindi, sarebbe opportuno che le federazioni comincino a pensare che, se un atleta viene sospeso per doping, egli non debba più indossare la maglia della nazionale. Infatti, Presidente, lo scandalo doping, che ha investito Alex Schwazer, ha posto un'ombra su quella che è stata la sua medaglia d'oro alle Olimpiadi di Pechino, una medaglia che ha fatto inorgoglire tutti noi, perché la 50 chilometri di marcia è una delle gare più dure. Allora, penso che un bambino che guarda una gara, che si appassiona e che si identifica in un atleta, e poi quell'atleta viene scoperto a fare uso illecito di farmaci, quello stesso bambino deve sapere che il suo atleta di riferimento, che ha sbagliato, paga, pagherà, e soprattutto che quello non deve più essere un esempio, perché chi si dopa non è furbo: chi si dopa macchia tutto il mondo dello sport. Non è possibile assistere a competizioni, come è avvenuto negli scorsi anni, sopratutto nel ciclismo, in cui si arriva ad avere un vincitore e, dopo qualche anno, la classifica scorre perché arrivano squalifiche. Noi dobbiamo far fare un passo in avanti al nostro Paese e andare ancora avanti nella lotta al doping, utilizzando tutti gli strumenti a nostra disposizione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

(Iniziative per garantire adeguate risorse per l'espletamento delle funzioni assegnate alle province, alla luce della legge n. 56 del 2014 – n. 2-00807)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Nesci n. 2-00807, concernente iniziative per garantire adeguate risorse per l'espletamento delle funzioni assegnate alle province, alla luce della legge n. 56 del 2014 (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo alla deputata Nesci se intenda illustrare la sua interpellanza. Prego, onorevole.

  DALILA NESCI. Presidente, signor rappresentante del Governo, la legge n. 56 del 2014, nota con il nome del sottosegretario Graziano Delrio, ha assegnato alle province funzioni fondamentali relative alla pianificazione territoriale, alla tutela e valorizzazione dell'ambiente, alla pianificazione dei trasporti, alla costruzione e gestione delle strade provinciali, alla gestione dell'edilizia scolastica e alla programmazione provinciale della rete scolastica. Altre funzioni riguardano poi l'assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali, la raccolta ed elaborazione dati, il controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e la promozione delle pari opportunità. Ancora, le province si occupano di stazione unica appaltante, monitoraggio dei servizi e dell'organizzazione di concorsi e procedure selettive, d'intesa con i comuni interessati.
  Il vostro Governo, con insistente retorica, ha usato la parola «abolizione», abolizione delle province, ma la riforma Delrio, in realtà, ha prodotto solo danni: ha tolto il diritto di voto agli elettori e ha creato enti destinati per certo al dissesto finanziario. La riforma Delrio prevede che si mantengano in capo alle province le funzioni collegate alle fondamentali e che le altre vadano riorganizzate. Quindi, Stato e regioni hanno il compito di riordinare le funzioni delle province ma in un regime transitorio. Pag. 25
  Quindi, in sintesi, una vera e propria Babele a causa, ovviamente, della incapacità di questo Governo a pianificare e verificare l'impatto della riforma Delrio. E ormai abbiamo capito che non c’è limite alla menzogna, alla propaganda e al bisogno di generare confusione e sofferenza da parte del potere. Lo abbiamo subito con la riforma delle pensioni, arrivata dopo lo sfratto del Presidente Berlusconi da Palazzo Chigi e varata dall'Esecutivo guidata dal membro Bilderberg e senatore a vita Mario Monti; lo abbiamo visto con la rivalutazione delle quote di Bankitalia inserita furbescamente in un decreto-legge sull'IMU e figlia del Governo Letta; lo stiamo vedendo oggi con il Jobs act che ha il marchio del Presidente Renzi ma è nato per assecondare la schiavizzazione delle masse richiesta dal capitalismo finanziario e industriale.
  Alle province tocca la gestione, manutenzione e messa in sicurezza di 130 mila chilometri di strade, cioè il 70 per cento della rete viaria nazionale. Per quanto riguarda la scuola, invece, alle province spetta la gestione ordinaria e la messa in sicurezza delle oltre 5.100 scuole superiori italiane in cui studiano 2 milioni e 500 mila studenti, quindi i numeri non tornano perché state portando di fatto le province allo sfascio senza abolirle, creando solo disservizi per i cittadini.
  Nel 2013, la spesa complessiva delle province, per gestione, servizi e investimenti, è stata di 10 miliardi 350 milioni; l'80 per cento della spesa, quindi, è stata destinata all'erogazione e gestione dei servizi assegnati alle province, mentre il restante il 20 per cento, cioè 2 miliardi, è stato destinato al pagamento degli stipendi degli oltre 51 mila dipendenti delle province.
  Nel raffronto con il 2013, nei primi nove mesi del 2014, gli incassi derivanti dall'imposta provinciale di trascrizione e dalla RC auto sono scesi di circa 471 milioni (registrando quindi una diminuzione del 15,49 per cento); inoltre, le regioni hanno delegato e trasferito alcune funzioni essenziali alle province, come ad esempio i servizi per l'impiego, la gestione trasporto e l'agricoltura. Ora, insieme alle funzioni, le regioni sono tenute a trasferire alle province le risorse necessarie per esercitarle. Tuttavia, negli anni, i trasferimenti finanziari dalle regioni sono diminuiti drasticamente perché, dal 2010 al 2013, si è arrivati a -17,4 per cento.
  A partire dal 2011, poi, le manovre economiche sui bilanci delle province sono andate in crescendo, per cui, tra maggiori tagli e Patto di stabilità, i bilanci delle province sono arrivati a rischio di disequilibrio, con conseguenze immediate sulla finanza pubblica, come attestato anche dalla Corte dei conti.
  La legge di stabilità, entrata in vigore il 1o gennaio scorso, prevede, per il 2015, tagli per 1 miliardo di euro alle province e alle città metropolitane, taglio raddoppiato poi nel 2016 e un taglio da 3 miliardi per il 2017; continuando sui tagli, poi, ammontano a 4 miliardi quelli a carico delle regioni, mentre i comuni subiscono un taglio di 1,2 miliardi del fondo di solidarietà comunale. Questi tagli, poi non dimentichiamolo, si cumulano a quelli invece stabiliti dal 2015 con il decreto legge n. 66 del 2014, quello cosiddetto «IRPEF».
  Nel 2015 le province potranno usare 2 miliardi per garantire i servizi essenziali – ricordiamolo, a riorganizzazione delle funzioni non ancora attuata – dovendo quindi gestire tutti i servizi in capo all'ente sino al 31 dicembre scorso con lo stesso personale. Al riguardo, riporto una stima dell'Unione delle province italiane (UPI) che, nel 2012, dice che, per garantire questi stessi servizi, in realtà, sono stati spesi 4 miliardi 675 milioni di euro; quindi, nel 2015, di fatto, mancheranno circa 2 miliardi 700 milioni di euro.
  Sulla base dei provvedimenti previsti per le province, si avrà, sempre secondo la stima dell'UPI, la caduta verticale del gettito delle entrate proprie, l'insolvenza di Stato e regioni per i debiti nei confronti delle province, l'insufficienza strutturale delle risorse ordinarie per le funzioni fondamentali, il disequilibrio strutturale della situazione corrente di bilancio, il default degli equilibri di cassa e lo sforamento Pag. 26generalizzato degli obiettivi del Patto di stabilità interno, tutto ciò, pensate, per un risparmio totale, previsto dalla legge Delrio, pari a 89 milioni di euro, secondo una relazione del 6 novembre 2013 della sezione autonomie della Corte dei conti, esposta alla Commissione affari costituzionali della Camera.
  Quindi, cifre alla mano, abbiamo dimostrato che la riforma Delrio è inutile, totalmente inutile, ma soprattutto pericolosa e, in ogni caso, un obiettivo lo realizza, cioè la riduzione delle persone a cose, che devono patire di fatto la cancellazione dei servizi, la distruzione dello Stato di diritto e la soppressione della democrazia, il tutto ovviamente burocraticamente condito da voi con giustificazioni false e astruse.
  Inoltre, vi sono province che si trovano già in dissesto finanziario, e mi riferisco alla provincia di Biella e alla provincia di Vibo Valentia, in Calabria, che ha una situazione amministrativa di ulteriore difficoltà, a causa dei condizionamenti della ’ndrangheta sul territorio.
  Ricordo che, nel rispondere ad una recente interpellanza urgente del deputato Bruno Censore ed altri, il sottosegretario per l'interno Gianpiero Bocci dichiarò che, cito testualmente: «L'adozione di misure straordinarie per la Provincia di Vibo Valentia, quali l'individuazione di specifiche fonti di finanziamento a carattere straordinario ovvero la modifica dei criteri di riparto del Fondo nazionale di riequilibrio per sostenere le iniziative già poste in essere dalla provincia, richiede apposite modifiche legislative che prevedano adeguate coperture finanziarie». Contestualmente, il sottosegretario Bocci assicurò: «l'impegno a valutare, d'intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze, possibili soluzioni che vadano in questa direzione».
  Ovviamente il tempo è trascorso, ma le annunciate valutazioni poi sono rimaste lettera morta, però i deputati continuano ad andare sui territori e a dire che, invece, le soluzioni si stanno trovando o si troveranno. Per la situazione esposta, quindi, altre province potrebbero necessitare, e anche molto presto, di misure straordinarie per espletare le funzioni di competenza, alla luce dei ripetuti tagli dei trasferimenti, determinati anzitutto dall'emissione di moneta a debito, incanalata, come sappiamo, in quell'oscuro circuito giuridico e burocratico europeo che ne consente la gestione a privati e realizza una continua espansione del debito pubblico in favore delle banche.
  Chiediamo allora come il Governo voglia intervenire in via straordinaria, nei casi di mancanza di liquidità degli enti, se non ritenga inderogabile aumentare i trasferimenti centrali per l'espletamento delle funzioni spettanti alle province, visti la confusione e il caos creati dalla vostra stessa riforma Delrio, e, infine, come e dove sarà allocato il personale in eccedenza e con quali risorse pubbliche, perché attualmente non siete stati in grado di stabilirlo chiaramente.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Enrico Zanetti, ha facoltà di rispondere.

  ENRICO ZANETTI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Grazie Presidente, con l'interpellanza urgente n. 2-00807, l'onorevole Nesci ed altri – nel premettere che la legge n. 56 del 2014 ha assegnato alle province funzioni fondamentali in materia di pianificazione territoriale, valorizzazione dell'ambiente, assistenza agli enti locali ed altro – segnalano che negli anni le risorse finanziarie assegnate alle province sono drasticamente diminuite, determinando, per alcuni enti, una situazione di mancanza di liquidità. Chiedono, quindi, quali iniziative si intendano assumere per intervenire in via straordinaria nei casi di mancata liquidità degli enti e se non ritenga indispensabile promuovere un aumento dei trasferimenti centrali per l'espletamento delle funzioni spettanti alle province.
  Al riguardo, nel precisare che il comma 150, dell'articolo unico della legge n. 56 del 2014 ha stabilito che dall'attuazione della legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, si Pag. 27fa presente che un aumento dei trasferimenti erariali spettanti alle province necessita di un intervento normativo, che individui i relativi mezzi di copertura finanziaria.
  Pertanto, eventuali situazioni straordinarie, quale quella citata nel testo dell'interpellanza, saranno valutate attentamente, al fine di individuare con le amministrazioni competenti le possibili soluzioni, nel rispetto, comunque, delle vigenti disposizioni e degli obiettivi stabiliti dal programma di Governo.
  Sulla questione il Ministero dell'interno ha comunicato che, con proprio decreto, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, del 24 ottobre 2014, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 260 dell'8 novembre 2014, è stata operata la ripartizione, sempre per l'anno 2014, del Fondo sperimentale di riequilibrio delle province ricomprese nelle regioni a statuto ordinario.
  La dotazione del Fondo è rimasta inalterata negli ultimi anni, ovvero pari ad euro 1.046.917.823 ed è risultata, per la maggior parte delle province, inferiore pro quota, agli importi delle riduzioni della spesa corrente previste dai diversi provvedimenti della cosiddetta spending review degli ultimi anni.
  Il provvedimento è stato emanato ai sensi dell'articolo 10 del decreto-legge n. 16 del 2014, disposizione legislativa che ha confermato, per l'anno 2014, le stesse modalità di riparto del Fondo sperimentale di riequilibrio già adottate con precedente decreto del 4 maggio 2012, a favore delle province ricadenti nei territori delle regioni a statuto ordinario.
  A decorrere dall'anno 2015, a seguito della citata legge n. 56 del 2014 e del minore ruolo istituzionale già attribuito alle province, nel quadro della prevista riforma costituzionale, gli stessi enti dovranno limitarsi ad assicurare le strette necessità connesse alle esigenze di continuità dei servizi fondamentali, nel rispetto dei vincoli finanziari, del Patto di stabilità interno e della vigente normativa di contenimento della spesa complessiva di personale; personale che, in parte, potrà essere interessato da processi di mobilità.
  Pertanto, anche la legge di stabilità per l'anno 2015 ha previsto ulteriori riduzioni della spesa corrente a carico delle province e delle città metropolitane per l'importo aggiuntivo di 1 miliardo di euro per l'anno 2015, di 2 miliardi di euro per l'anno 2016 e di 3 miliardi di euro a decorrere dall'anno 2017, sempre nell'ambito delle misure di cosiddetta spending review, per stabilire le misure del concorso degli enti locali al contenimento della spesa pubblica.
  Inoltre, per l'anno 2015 anche le riduzioni della spesa corrente già operate a carico delle province per l'anno 2014, con decreto del Ministro dell'interno del 10 ottobre 2014, in applicazione dell'articolo 47 del decreto-legge n. 66 del 2014, sono previste per importi complessivamente più elevati, per l'ulteriore cifra di 172,2 milioni di euro.
  Per quanto attiene alla segnalata situazione di generalizzata difficoltà finanziaria ed alla conseguente possibilità che un numero rilevante di province possa trovarsi in dissesto finanziario, si fa presente che alcune province non hanno ancora approvato il bilancio di previsione per l'anno 2014, nonostante che il termine, più volte differito, fosse già scaduto dal 30 settembre 2014.
  Come più volte emerso anche in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali, la riduzione di risorse operate in applicazione del citato decreto-legge n. 66 del 2014 e la costante flessione delle entrate proprie, in concomitanza con il processo di trasformazione delle province in enti di area vasta, hanno infatti determinato diffuse difficoltà nell'adozione del fondamentale documento di programmazione finanziaria.
  Per tali motivi, l'articolo 4, comma 5, del recente decreto-legge cosiddetto «milleproroghe» (decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192) ha in via eccezionale posticipato fino al 28 febbraio 2015 il termine per l'approvazione del bilancio per l'anno 2014 da parte delle province. Solo allo Pag. 28scadere di tale termine si potrà avere un quadro definitivo degli enti in dissesto.
  Infine, il Ministero per gli affari regionali e le autonomie ha comunicato che il comma 430 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato», al fine di assicurare la liquidità necessaria a province e città metropolitane, prevede la possibilità di rinegoziare la rata di ammortamento dei mutui in scadenza nel 2015 per le province e città metropolitane interessate dal processo di trasferimento delle funzioni di cui alla già citata legge 7 aprile 2014, n. 56.
  Inoltre, sul piano amministrativo è in fase di studio, con l'ausilio dei Ministeri competenti, la possibilità di costituire un fondo immobiliare, che farà capo a Investimenti Immobiliari Italiani SGR Spa, nel quale far confluire immobili di pregio di proprietà delle province, già individuati dall'Agenzia del demanio.

  PRESIDENTE. La deputata Nesci ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  DALILA NESCI. Non sono soddisfatta, perché, ancora una volta, ci sta dicendo che saranno valutate possibili soluzioni. Quindi, vi rendete conto che ci sono problemi sostanziali; soprattutto, nel «milleproroghe» inserite la proroga per l'approvazione dei bilanci delle province. Quindi, avete fatto una riforma senza calibrare poi l'impatto che questa avrebbe avuto sulla province e anche sui dipendenti di queste province, perché poi, di fatto, già nei mesi scorsi il disagio lo avete creato, soprattutto nelle province che già sono andate in dissesto, perché i dipendenti, per diversi mesi, non si vedevano erogati i loro stipendi.
  È facile, poi, ogni volta prevedere proroghe, fondi che funzioneranno successivamente. Nel frattempo, il disagio lo create, non solo, appunto, ai dipendenti delle province, che voi stessi avete assunto negli anni con i vostri amministratori, ma, soprattutto, lo create ai cittadini che vivono le province, vivono i territori, e che subiscono disservizi.
  Quindi, non ci riteniamo soddisfatti, anzi, siamo convinti che voi siete semplicemente l'espressione dei potentati finanziari, perché avete stravolto le basi dell'ordinamento. Avete intaccato il meccanismo di revisione costituzionale, inserendo, prima di tutto, il pareggio di bilancio in Costituzione, ratificando il fiscal compact.
  Questi hanno di fatto cancellato i diritti fondamentali e il futuro delle persone comuni, proprio con queste riforme che continuate a promulgare per assecondare la trojka ed i potentati europei. Quando si è trattato appunto di abolire le province non lo avete mai fatto, però i titoloni sui giornali sono usciti e, anzi, avete semplicemente sottratto al popolo la possibilità di scegliere i suoi rappresentanti. Avete moltiplicato gli enti, dato più potere alla casta, in modo che i governi delle province, eletti da cordate tra consiglieri comunali, non rispondano che a segretari e dirigenti di partito. Nel frattempo avete di fatto diminuito le risorse per le funzioni assegnate che sono tante e rimangono comunque complesse.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SIMONE BALDELLI (ore 11.35)

  DALILA NESCI. Il vostro è un piano chiaro. Con la riforma fittizia delle province avete puntato ad aumentare i disagi, i disservizi, la paralisi amministrativa, così da moltiplicare la sfiducia e anche la rassegnazione dei cittadini. Avete cominciato ad abituare il popolo alla perdita di sovranità a vantaggio ovviamente della burocrazia finanziaria, che già decide i parametri europei e costruisce i debiti dei singoli popoli. Per ottenere un risultato definitivo vi state servendo anche della crisi della pubblica amministrazione italiana che, com’è noto, ha conosciuto sprechi, eccessi di risorse umane, di spese e dotazioni. Intanto una vera evoluzione strutturale, organizzativa, informatica è stata volutamente rinviata ogni volta. Vi siete mossi nello stesso modo per smantellare Pag. 29il patrimonio pubblico in favore dei privati, sia consentendo gli sperperi e riducendo gli investimenti nella RAI, in modo da giustificare la svendita dei ponti trasmissione, sia la vicenda della compagnia di bandiera Alitalia, già regalata al vostro amico Roberto Colaninno, come fu già per Telecom: lo ricorderà bene l'ex Presidente del Consiglio Massimo D'Alema. I vostri sistemi sono noti, sono note anche le vostre reti e le vostre pratiche, che mirano a sfasciare il sistema pubblico moltiplicando i danni e le vittime. È già successo con i cosiddetti «esodati», creati dalla riforma Fornero, che, nonostante fosse docente universitario, sbagliò i conti a discapito di migliaia di lavoratori che avevano anticipato il pensionamento. Avete ridotto l'organismo pubblico a un mero conteggio e calcolo disumano, mentre per causa della corruzione e degli scandali cui partecipate – gli scandali Mose, Expo, Mafia Capitale – si struttura così la stessa idea dello Stato come soggetto deputato a riconoscere, a promuovere i diritti della Costituzione. Avete riformato le province in modo parziale, irrazionale, peggiorativo, secondo noi, senza considerare gli effetti dei tagli miliardari. Avevate ovviamente la necessità di sbandierare apparenze e siete andati avanti, malgrado gli appunti della Corte dei conti, gli appelli degli esperti e anche le nostre denunce in Commissione, in Aula. Ciò nonostante vi siete anche limitati nel decreto-legge «milleproroghe» a spostare in avanti il recupero effettivo dei fondi per il funzionamento delle province, subordinandolo ad una ricognizione delle risorse da reindirizzare. Ma la cosa più grave è che avete creato l'ennesima guerra tra poveri, togliendo risorse per nuove assunzioni nella pubblica amministrazione e indirizzandola a percorsi di mobilità per i dipendenti provinciali in eccesso. Avete dunque paralizzato gli uffici mentendo spudoratamente anche sullo sblocco del turnover. In conclusione il Governo Renzi nasce per far dimenticare la rivalutazione miliardaria, da parte del Governo Letta, delle quote della Banca d'Italia in possesso delle banche commerciali che, di fatto impedisce la proprietà dello Stato. Il Governo Renzi prosegue con la scure tagliando l'inverosimile, spappolando i diritti essenziali dei lavoratori, mentre sulle province permette la sopravvivenza dei «basisti» di partito – questo ormai è chiaro – a scapito della democrazia, della rappresentanza e dei servizi per i cittadini. In questo disordine ovviamente voluto, oggi il Governo non fornisce risposte su come le province potranno proseguire nello svolgimento effettivo delle funzioni.

  PRESIDENTE. Grazie. Salutiamo gli studenti e gli insegnanti della Scuola primaria «Leonardo Da Vinci» di Roma, che assistono ai nostri lavori dalla tribuna.

(Chiarimenti in ordine alla politica fiscale del Governo e all'attuazione della delega fiscale prevista dalla legge 11 marzo 2014, n. 23 – n. 2-00811)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente n. 2-00811 degli onorevoli Pesco ed altri, concernente chiarimenti in ordine alla politica fiscale del Governo e all'attuazione della delega fiscale prevista dalla legge 11 marzo 2014, n. 23 (vedi l'Allegato A – Interpellanze urgenti). Onorevole Alberti, può illustrarla, prego.

  FERDINANDO ALBERTI. Grazie, Presidente. L'interpellanza parte dai fatti avvenuti il 24 dicembre, cioè il giorno in cui il Governo ha deliberato l'adozione dello schema di decreto legislativo in materia di abuso del diritto e riforma del sistema sanzionatorio penale tributario, cioè il quarto decreto legislativo derivante dalla conversione in legge della delega fiscale del marzo dell'anno scorso.
  Come tutti sanno, a seguito dell'introduzione del tanto discusso articolo 19-bis, il cosiddetto «salva Silvio», il Governo ha ritenuto di ritirare lo schema di decreto legislativo rinviandone la presentazione e confermando la fondatezza delle contestazioni circa l'inopportunità della disposizione normativa apparentemente – passatemi l'eufemismo – ad personam.Pag. 30
  Infatti, a nulla è servito il tentativo del MoVimento 5 Stelle di provocare, in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo, l'audizione in Aula del Ministro dell'economia e delle finanze, il quale ha sempre rifiutato. Va ricordato che, a pochi mesi dalla scadenza del termine annuale fissato per l'attuazione della delega fiscale, il Governo si è limitato all'adozione di soli due decreti, il decreto legislativo n. 188 ed il decreto legislativo n. 175, attuando quindi soltanto in minima parte, per circa il 15 per cento, l'oggetto della delega.
  Da oggi e fino al termine di scadenza del 27 marzo 2015, dunque, è prevedibile una spedita e proficua produzione legislativa del Governo diretta all'attuazione della restante parte del contenuto della delega fiscale; tuttavia, come dichiarato dallo stesso Governo, la presentazione alle Commissioni competenti del prossimo schema di decreto legislativo (quello del 24 dicembre ritirato e revisionato) è prevista solo per il prossimo 20 febbraio, ovvero all'esito dell'elezione del Presidente della Repubblica e, cosa ancor più importante, a distanza di soli 35 giorni dal termine di scadenza fissato per l'attuazione della delega fiscale.
  Per non parlare della prospettata e inaccettabile proroga dei termini della legge delega. Tale eventualità costituirebbe una rimessione in termini per il Governo, che si è dimostrato incapace di rispettare il termine fissato.
  Ma, entrando nel merito dello schema di decreto, è contenuta una definizione base di «abuso del diritto» di non chiara comprensione, che lascia all'interprete il compito di riempirne il contenuto. Il rischio è quello di generare incertezze applicative ancor più rilevanti rispetto a quelle derivanti dalla vigente disciplina.
  Quanto invece alla riforma del sistema sanzionatorio, le scelte appaiono del tutto prive di senso logico e giuridico: la previsione del tetto di mille euro, sotto il quale non sono punibili le fatture relative a operazioni inesistenti e le nuove regole sulle dichiarazioni fraudolente, in base a cui – cito – «non costituiscono operazioni simulate quelle che hanno dato luogo ad effettivi flussi finanziari annotati nelle scritture contabili obbligatorie», creano una inquietante e ingiustificata area di non punibilità a tutto vantaggio dei grandi evasori.
  A ridurre ulteriormente l'area della punibilità è poi la previsione che considera penalmente rilevanti solo le condotte che si avvalgono di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei, non solo «ad ostacolare l'accertamento», ma anche – e congiuntamente – a «indurre in errore l'amministrazione finanziaria» (mentre non assumono più alcun rilievo le falsità presenti nelle scritture contabili).
  Per non parlare poi della depenalizzazione della dichiarazione infedele sotto il tetto dei 150 mila euro, triplicato rispetto alle norme ora in vigore, sotto il quale non sarà più reato evadere le imposte sui redditi o l'IVA. Misure, queste, che non trovano alcuna razionale giustificazione e finiscono per favorire i soliti noti, i grandi evasori e amici degli amici.
  A confermare la nostra perplessità sull'operato del Governo, ci sono istituzioni autorevoli come la Guardia di finanza e la stessa Agenzia delle entrate. In occasione del seminario sul contrasto all'evasione, tenutosi il 6 novembre scorso presso la VI Commissione Finanze della Camera dei deputati, il comando generale della Guardia di finanza raccomanda – e cito testualmente –: «Con riguardo alla modifica della normativa penale tributaria, in attuazione dell'articolo 8 della legge delega per la riforma del sistema fiscale, si stima opportuno confermare gli attuali presidi sanzionatori riguardanti l'utilizzo e l'emissione di fatture per operazioni inesistenti, nonché la dichiarazione fraudolenta nei termini indicati dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 74 del 2000».
  Quindi, la Guardia di finanza vi aveva già messo – scusate il gioco di parole – in guardia. Ma ancora più interessante è stata la reazione dell'Agenzia delle entrate che, esaminando il contenuto del decreto e le scelte adottate dal Governo, ha paventato il concreto rischio di una perdita di gettito stimabile in ben 16 miliardi di Pag. 31euro, conseguenti in particolar modo alle disposizioni in tema di raddoppio dei termini di accertamento.
  Tutto ciò premesso, chiediamo al Governo semplicemente una cosa: perché ? Ma soprattutto chiediamo, e voglio rivolgermi personalmente al sottosegretario Zanetti: cosa è successo quella mattina del 24 dicembre in Consiglio dei ministri ? Avete votato una cosa che non è stata pubblicata e ne è stata pubblicata un'altra ? Se e quali modifiche sono state introdotte dopo la chiusura del Consiglio ? Chi è il responsabile e chi è il mandante di queste azioni ? Come valuta il comportamento del Presidente del Consiglio ? Infine, non la indigna il solo sospetto che possa esserci una correlazione tra la norma «salva Silvio», l'elezione del Presidente della Repubblica e il patto del Nazareno (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) ?

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Enrico Zanetti, ha facoltà di rispondere.

  ENRICO ZANETTI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Grazie Presidente, ringrazio il collega per le domande a titolo personale, ma io mi attengo, ovviamente, nella risposta alle domande che sono presenti, viceversa, in via formale nell'interpellanza, nell'ambito della quale gli onorevoli proponenti hanno chiesto di sapere: quali ragioni di politica sanzionatoria e fiscale abbiano indotto il Governo all'adozione delle misure contenute nello schema di decreto legislativo in materia fiscale presentato in sede di Consiglio dei Ministri il 24 dicembre 2014 e quali siano le valutazioni con riguardo alla possibile perdita di gettito che, secondo i proponenti medesimi, sarebbe stata paventata dall'Agenzia delle entrate; se siano stati considerati gli effetti derivanti dall'inserimento delle nuove soglie di punibilità, con particolare riguardo alla cosiddetta «soglia del 3 per cento»; in quale modo possa giustificarsi la scelta di rinviare al 20 febbraio la presentazione del citato schema di decreto legislativo in materia di abuso del diritto e di riforma del sistema sanzionatorio penale tributario, tenuto conto dell'approssimarsi del termine di scadenza dell'esercizio della delega.
  Quanto al primo punto, si evidenzia quanto segue. Lo schema di decreto legislativo presentato in sede di Consiglio dei Ministri il 24 dicembre 2014 si propone di attuare alcuni importanti aspetti della legge 11 marzo 2014, n. 23, che delega il Governo ad introdurre disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita. In particolare, si tratta delle parti della delega che concernono la disciplina del cosiddetto «abuso del diritto» e la revisione del sistema sanzionatorio penale tributario. Per quanto concerne la disciplina dell'abuso del diritto, giova ricordare che l'opportunità di una sua più puntuale definizione si è resa necessaria a seguito delle nuove prospettive ermeneutiche tracciate dalla Corte di Cassazione con tre sentenze a sezioni unite alla fine del 2008. È da allora, infatti, che il Paese sconta, sia rispetto ai propri contribuenti, sia rispetto a potenziali investitori esteri, un gap di incertezza che solo una puntuale codificazione del principio, nei suoi presupposti e nelle sue cause esimenti, può colmare, riportando il livello di incertezza patologica che ha contraddistinto gli ultimi sei anni al grado di incertezza fisiologica che comunque caratterizza, inevitabilmente, una fattispecie così complessa.
  Per quanto concerne la revisione del sistema penale tributario, le scelte compiute sono andate nel senso della applicazione del criterio di proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti, tenuto conto di adeguate soglie di non punibilità. È appena il caso di sottolineare che le soglie di non punibilità penale non rappresentano affatto «franchigie di libera evasione», come talvolta viene strumentalmente banalizzato nel dibattito che sempre accompagna questi delicati temi, posto che il recupero dell'evasione e l'applicazione delle relative sanzioni amministrative, particolarmente gravose nel sistema Pag. 32italiano, scatta sempre e comunque a partire dal primo euro di mancata corresponsione del dovuto.
  Per quanto concerne l'ulteriore aspetto sollevato nell'ambito del primo interrogativo posto dagli onorevoli presentatori dell'interpellanza, ossia i paventati rischi in termini di perdita di gettito, si evidenzia anzitutto che trattasi di questione che discende dal diverso aspetto della disciplina transitoria riguardante il cosiddetto «raddoppio» dei termini di accertamento in presenza di reati penali, relativamente alla quale si conferma sin d'ora che saranno apportati necessari correttivi di natura tecnica, anche per rendere assolutamente stringente il contenuto della disposizione rispetto ai criteri e ai principi direttivi della delega.
  Quanto al secondo punto, si evidenzia quanto segue. L'effetto che si era inteso perseguire con la soglia del 3 per cento per tutti i reati fiscali, in un contesto, come già sottolineato, di scelte di revisione del sistema sanzionatorio penale tributario, nel senso della applicazione del criterio di proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti, tenuto conto di adeguate soglie di punibilità, era anzitutto quello di procedere in modo coerente ad una delle altre direttrici della riforma fiscale nel suo complesso, ossia la semplificazione del quadro normativo. A tale proposito, giova infatti sottolineare che, fatta eccezione per il reato di frode documentale, di cui all'articolo 2 del decreto legislativo n. 74 del 2000, nell'attuale disciplina sono già previste soglie di non punibilità tra loro differenziate relativamente a tutti gli altri reati.
  Soglie di punibilità tra loro differenziate, relativamente a fattispecie di reato talvolta tendenti a confondersi e sovrapporsi nella prassi applicativa, come non di rado accade, a titolo meramente esemplificativo, tra la fattispecie di frode mediante altri artifizi, ex articolo 3 del decreto legislativo n. 74 del 2000 e quella di dichiarazione infedele, ex articolo 4 del decreto legislativo n. 74 del 2000, possono senza dubbio rendere ragionevole ipotizzare, ai fini di una semplificazione applicativa della disciplina e di una maggiore certezza del diritto, un allineamento delle differenti soglie di punibilità. Da questo punto di vista, la scelta di procedere a questo allineamento attraverso lo strumento di una soglia di non punibilità espressa in termini percentuali, avrebbe potuto costituire, al netto di migliorie tecniche apportabili dal punto di vista della costruzione normativa, un'opzione praticabile tanto quanto quella di procedervi attraverso lo strumento di una soglia di non punibilità espressa in termini fissi.
  Diverso rimane naturalmente il discorso relativamente allo specifico reato di frode documentale, di cui all'articolo 2 del decreto legislativo n. 74 del 2000, relativamente al quale l'introduzione di soglie di non punibilità, in termini fissi o percentuali, avrebbe rappresentato una novità in termini di principio e non già un mero adeguamento quantitativo di principi già pacificamente facenti parte del nostro ordinamento penale tributario.
  Tutto ciò premesso, comunque, il Governo ribadisce, in risposta alla presente interpellanza, quanto già più volte dichiarato in altre sedi, circa la volontà di tornare a valutare nel suo complesso la disciplina in materia di soglie di non punibilità penali in occasione del nuovo schema di decreto, che sarà presentato in occasione del Consiglio dei ministri del 20 febbraio prossimo venturo.
  Quanto al terzo punto, si evidenzia quanto segue. La decisione di rinviare al 20 febbraio l'esame da parte del Consiglio dei ministri dello schema di decreto è stata presa allo scopo di apportare necessari correttivi di natura tecnica per rendere assolutamente stringente il contenuto del decreto rispetto ai criteri e ai principi direttivi della delega e non deve suscitare preoccupazione dal momento che tale data è pienamente compatibile con il termine di trenta giorni, concesso alle Commissioni parlamentari per esprimere il prescritto parere, senza alcun rischio di compromissione dei loro lavori, e con quello dell'esercizio della delega, fissato dalla legge 11 marzo 2014, n. 23 al 27 marzo 2015.Pag. 33
  Nella medesima seduta, peraltro, il Consiglio dei ministri esaminerà anche altri decreti attuativi. In merito, si rammenta che risultano pubblicati in Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175, in materia di semplificazioni e dichiarazione precompilata, il decreto legislativo 15 dicembre 2014, n. 188, in materia di tassazione sui tabacchi e il decreto legislativo 17 dicembre 2014, n. 198, in materia di commissioni censuarie, attuativi rispettivamente degli articoli 7, 13 e 2 della legge delega fiscale e che il decreto sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente è volto a dare attuazione agli articoli 5,6 e 8 della stessa legge.
  Altri aspetti della delega fiscale sono stati disciplinati nella legge di stabilità, in particolare la previsione di regimi forfetari per i contribuenti di minori dimensioni ed il ravvedimento in forma collaborativa con l'amministrazione finanziaria.
  Lo stato di attuazione della delega fiscale, pur essendo indubitabilmente ad uno stadio meno avanzato rispetto a quello che si sarebbe auspicato per la data odierna lo scorso 26 marzo 2014, è tuttavia molto più avanzato di quanto paventato dagli onorevoli interpellanti.

  PRESIDENTE. L'onorevole Pesco, ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  DANIELE PESCO. Grazie, sottosegretario Zanetti. Signor Presidente, non siamo per nulla soddisfatti, ma anzi siamo veramente offesi, ma non offesi come parlamentari, offesi come cittadini.
  L'onorevole sottosegretario Zanetti ci ha appena detto che queste soglie del 3 per cento sono riferite al fatto che in delega fiscale sono stati previsti decreti riferiti alla semplificazione fiscale. Ma la semplificazione fiscale di cui si parla nella delega è la semplificazione riguardante gli adempimenti, volta a rendere il fisco semplice, a fare pagare le tasse in modo semplice, a non fare impazzire i cittadini, non a fare chiarezza su quello che dovevano essere le soglie di punibilità ! Perché per quello ci sono reati diversi ed è giusto che ci siano soglie diverse ! Non ha per niente senso !
  Ma, infatti, lei aveva fatto bene, onorevole Zanetti, a dire che quelle soglie non c'entravano niente e che non condivideva l'articolo 19-bis, come hanno riportato i giornali. Perché quello è indicato nel 19-bis, ovvero che sotto al 3 per cento, inteso come soglia, in pratica, non sono punibili i reati fiscali. Noi siamo veramente indignati come cittadini e lo ribadisco.
  Ma entriamo un attimo nello specifico di quello che è successo quel giorno, perché tutti devono sapere. I giornali lo hanno riportato, ma forse non tutti ancora sanno quello che è successo. Ebbene, dai giornali si è appreso che quel giorno è stato discusso un testo, probabilmente sono state proposte e approvate delle modifiche, sono state ritirate le «cartelle». Forse la votazione è avvenuta prima o dopo il ritiro delle «cartelle», fatto sta che è stato pubblicato un testo diverso e questa è una cosa gravissima.
  Abbiamo un Governo, un Primo Ministro che dà l'autorizzazione a pubblicare una cosa che non c'entra con quello che è stato deciso in Consiglio dei ministri e questo è un atto di autorità troppo elevato per un Paese civile, troppo elevato. Ma dove viviamo ? Ma ci rendiamo conto di quello che è successo ? È una cosa gravissima.
  E poi per cosa ? Probabilmente per quel famoso patto del Nazareno, con cui probabilmente due persone si sono messe d'accordo, anche sull'elezione del Presidente della Repubblica, l'elezione più importante che c’è in Italia. Si sono messe d'accordo patteggiando e approvando praticamente questa soglia del 3 per cento. E sappiamo benissimo quali sono gli effetti e le conseguenze. Molti processi, molte condanne saranno annullate, cancellate, saranno tolte, eliminate. Lo volete capire ? Verranno eliminate. Quindi, che cosa vuol dire ? Che l'ex senatore Silvio Berlusconi, indagato e condannato per frode fiscale, potrà avere l'accesso al Senato, potrà ritornare, potrà essere di nuovo eleggibile. Ma ci rendiamo conto ? Quanta fatica Pag. 34abbiamo fatto per riuscire a mandarlo fuori e adesso rientrerà. Questo non ha veramente senso, non ha senso. O forse sì: ha senso per gli interessi di qualcuno, per gli interessi delle persone che ho nominato e questo è veramente scandaloso, scandaloso.
  Per non parlare poi delle cose che ci hanno riportato la Guardia di finanza e l'Agenzia delle entrate. Certe cose non vanno toccate. In Italia abbiamo un'evasione fiscale troppo alta, troppo elevata: tutti si devono rendere conto di questo. Andare ad alzare le soglie di impunibilità in questo modo fa un danno al Paese, perché tutti si sentiranno più legittimati ad evadere le tasse. È semplice, è chiaro, è naturale, è trasparente, sarà così.
  No, Presidente, veramente, noi non ci stiamo, non riusciamo ad andare avanti a lavorare in questo modo. Abbiamo partecipato, sì, ai lavori sulla delega fiscale e quasi mi sento complice di aver fatto una legge delega che alla fine ha portato a questi risultati, ovvero a decreti attuativi scandalosi, che sono ancora lì, tra l'altro. Una parte del decreto è stata disconosciuta da tutti, però il decreto è ancora lì, non è stato ancora annullato, è lì che fluttua a Palazzo Chigi. Verrà trasmesso ? Non verrà trasmesso ? Non lo sappiamo. Verrà modificato ? Ci sono solo le parole del Primo Ministro, di un Primo Ministro di cui non ci fidiamo, perché se si è macchiato di cose così gravi come facciamo a fidarci, come fanno a fidarsi i cittadini ? Come fanno a fidarsi i cittadini che hanno votato il Partito Democratico ? Ma come fanno ? Come fanno a continuare a fidarsi ? È veramente grave, è inaudito. Non siamo più un Paese civile.
  È successo qualcosa di grave quel giorno, la vigilia di Natale. La vigilia di Natale, ma vi rendete conto ? La vigilia di Natale avete portato avanti un decreto così. No, io non ci sto, Presidente, non ci sto, non ci stanno neanche i miei colleghi, è una cosa troppo grave.
  Ma poi cosa è successo ancora ? È successo che al Senato nel decreto sull'anticorruzione è spuntato un emendamento governativo e, guarda caso, anche in quel caso, sul falso in bilancio, c’è un altro favore: vengono reintrodotti quei livelli di impunibilità, introdotti una volta e poi forse cancellati, perché la previsione del decreto era quella, era quella di cancellare quei limiti, i quali erano già stati introdotti all'epoca da Silvio Berlusconi. Ebbene, ora vengono reintrodotti o vengono mantenuti e dove stiamo andando ? Dove sta andando la nostra nazione ? Noi vogliamo una nazione diversa, uno Stato diverso, uno Stato che pensa ai cittadini. Noi innanzitutto vogliamo uno Stato che pensi agli interessi di tutti i cittadini, all'interesse di poter guardare al futuro con serenità e, invece, non ci riusciamo con queste misure, non ci riusciamo.
  Noi vogliamo garantire un reddito a tutti, per questo parliamo sempre di reddito di cittadinanza fino ad impazzire, perché tutti hanno bisogno di un reddito per riuscire ad alzarsi sereni la mattina e godersi la propria giornata come tutti. E invece no. Pensiamo a misure per i giovani ! I giovani devono essere invogliati a creare nuove imprese. E invece no, continuiamo a tartassarli. Avete nuovamente cambiato la legge sui minimi, così dovranno pagare più tasse e, quindi, saranno meno invogliati ad aprire nuove attività.
  Dobbiamo pensare alle persone di quaranta, cinquanta anni, escluse magari dal mondo del lavoro, che hanno molte difficoltà ad aprire nuove aziende. Dobbiamo pensare a dei presidi per riuscire a tutelarle. Dobbiamo pensare a strumenti per aprire delle partite IVA in modo più facile, in modo più semplice, magari delle partite IVA prova. Sempre sul fisco, pensiamo a partite IVA nuove, che lavorino veramente in modo digitale, anche per quanto riguarda i redditi. Facciamo delle partite IVA con le quali si può utilizzare solo la fattura elettronica così il fisco è rispettato e vengono rispettati i presidi fiscali. Proviamoci a pensare a cose nuove. Purtroppo, quando in Italia ci sono delle cose buone, che possono andare bene, questo Governo o le agenzie collegate al Governo fanno delle cose diverse che, guarda caso, ledono gli interessi dei cittadini come, ad esempio, il crowdfunding, una misura semplice Pag. 35che c’è in tutto il mondo, che serve a raccogliere soldi per nuove imprese in modo facile. Ebbene, cosa fa la Consob ? Un regolamento che non serve a nulla, anzi penalizza, che fa rientrare gli interessi bancari anche nel crowdfunding. Ebbene, tutte le cose che fa questo Governo sono cose sbagliate, praticamente. Sono cose sbagliate. Dobbiamo pensare a rilanciare l'economia, eppure non succede.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARINA SERENI (ore 12,10)

  DANIELE PESCO. Sempre nella nostra proposta sul reddito di cittadinanza, ci sono misure che proprio incentivano i giovani a mettersi d'accordo, tramite il centro per l'impiego, che non va dimenticato. Il centro per l'impiego è una struttura importante che va mantenuta e va utilizzata per riuscire a creare cose buone per i giovani, per riuscire a far creare nuove imprese. Eppure, anche qua non si sa che fine faranno i centri per l'impiego. Presidente, veramente siamo sconcertati dalle risposte che ci ha dato il sottosegretario Zanetti. Mi dispiace perché l'ho sempre rispettata come una buona persona. Probabilmente, le avranno scritto quella risposta e ha dovuto leggerla. Veramente, però, siamo sconcertati dalla risposta che ci ha dato. Il fatto che il 3 per cento, ovvero questa soglia di impunibilità, sia legato a principi di semplificazione fiscale, veramente ci indigna. Presidente, ci indigna veramente (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Salutiamo gli alunni e le alunne dell'Istituto comprensivo statale «Bachelet» di Latina, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune. Buongiorno ragazzi (Applausi).

(Iniziative di competenza in merito all'applicazione del regime carcerario previsto dall'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario nei confronti del detenuto Aldo Ercolano – n. 2-00810)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Fava n. 2-00810, concernente iniziative di competenza in merito all'applicazione del regime carcerario previsto dall'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario nei confronti del detenuto Aldo Ercolano (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo al deputato Fava se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  CLAUDIO FAVA. Grazie Presidente, ringrazio il Governo per la risposta che vorrà darci. L'interpellanza è molto semplice, riepiloga i fatti così come li conosciamo. Nell'aprile dell'anno scorso, contestualmente a un'interrogazione che è stata presentata dal sottoscritto, veniva ricordata l'estrema pericolosità, non a giudizio del sottoscritto, ma della Direzione nazionale antimafia, del capomafia Aldo Ercolano, che si trovava invece restituito al regime carcerario ordinario. Ci si chiedeva se non si ritenesse opportuno assecondare la preoccupazione e la richiesta che la DNA aveva fatto e che era stata sollecitata anche dalla procura della Repubblica di Catania. In effetti, contestualmente, come ricordato, alla nostra interrogazione, il Ministro Orlando ha disposto la proroga per altri due anni del regime carcerario del 41-bis. Cinque mesi dopo il tribunale di sorveglianza ha deciso la revoca, in un contesto che, dal punto di vista della pericolosità criminale e degli altri elementi di valutazione, certamente non era cambiato. Anzi, abbiamo assunto che ci fossero altri elementi di preoccupazione che arrivavano dalle evidenze e dai risultati delle inchieste in corso a Catania, ed è la ragione per cui abbiamo sottoposto al Governo questa nostra domanda chiedendo se intenda intervenire, se intenda reiterare il provvedimento dell'aprile dello scorso anno.
  Vorrei ricordare ciò che per brevità non è stato scritto nell'interpellanza e cioè che nel rapporto, nella relazione semestrale della Direzione Nazionale Antimafia – che noi consideriamo da questo punto di vista un riferimento di certezza sulle valutazioni Pag. 36che vengono fatte a proposito della pericolosità dei contesti criminali e di coloro che li dirigono – si scriveva che il venir meno del regime di cui all'articolo 41-bis nei confronti di Aldo Ercolano, nipote di Benedetto Santapaola e da questi designato alla successione, anche per l'autorevolezza di cui gode all'interno della famiglia, rende particolarmente preoccupante e meritevole di un attento monitoraggio la situazione che può determinarsi all'interno delle carceri in cui sono reclusi gli associati a tale cosca mafiosa, in quanto appare assai verosimile – scrive la DNA – che possano essere effettuati, con la regia dell'Aldo Ercolano, nuovi reclutamenti e che vengano impartite importanti indicazioni strategiche sull'operatività della cosca da veicolare all'esterno.
  Sono parole nette, chiare, puntuali e che naturalmente provocano un allarme, nel momento in cui si ritiene che la caratura criminale di Ercolano, restituito alle condizioni di agibilità di un regime carcerario ordinario, possano davvero determinare l'aumento della soglia di rischio. E peraltro, con un'inchiesta successiva a questa relazione della DNA, l'operazione «Caronte» del novembre 2014, leggo dal rapporto dei ROS (che rappresenta l'architrave di questa operazione, che ha portato in carcere anche il fratello di Aldo Ercolano, Vincenzo Ercolano, sempre per associazione di stampo mafioso) che l'autotrasporto, che è l'attività economica di facciata ed allo stesso tempo di penetrazione e l'investimento economico principale, tradizionale e storico della famiglia Ercolano, continua ad essere il business criminale incontrastato degli Ercolano che, per accrescere i propri affari, «avrebbero utilizzato la forza intimidatrice» del loro cognome. Un potere criminale recentemente consolidato anche attraverso alleanze eccellenti della criminalità organizzata palermitana e con imprenditori collegati alla mafia agrigentina.
  Questa ed altre valutazioni che abbiamo nella loro essenzialità proposto nella nostra interpellanza sono la ragione della domanda che abbiamo fatto al Governo e adesso aspetto la vostra risposta.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Cosimo Maria Ferri, ha facoltà di rispondere.

  COSIMO MARIA FERRI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, rispondo all'interpellanza dell'onorevole Fava e degli altri onorevoli interpellanti. Ricostruisco un po’ da un punto di vista anche giuridico la situazione dei provvedimenti che erano stati emessi sia dall'autorità giudiziaria che dal Ministero della giustizia.
  Le vicende relative alla sospensione del regime di cui all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario a carico di Aldo Ercolano, già note agli onorevoli interroganti, hanno registrato una successione di provvedimenti restrittivi revocati dall'autorità giudiziaria. La sospensione del normale regime penitenziario e dunque l'applicazione del regime speciale ex articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario nei confronti di Ercolano Aldo, disposta sin dall'anno 1994, è stata successivamente prorogata ad ogni scadenza fino al 2009.
  Il decreto di proroga, in data 4 novembre 2009, veniva revocato dal tribunale di sorveglianza di Roma, investito in sede di reclamo dal detenuto, con ordinanza dell'8 giugno 2010, avverso la quale il procuratore nazionale antimafia proponeva ricorso per Cassazione, che però aveva esito negativo.
  In seguito a tale revoca, il Ministro della giustizia disponeva ex novo, con decreto del 18 giugno 2010, integrato poi il successivo 31 luglio, l'applicazione del regime restrittivo, sul presupposto della sopravvenienza di elementi nuovi, come tali non valutati dal tribunale di sorveglianza e che si assumevano tali da dimostrare l'attuale qualificata pericolosità del soggetto.
  Anche quest'ultimo decreto emesso dal Ministro della giustizia veniva revocato, con ordinanza del tribunale di sorveglianza di Roma del 25 novembre 2011. In particolare, valutate le dichiarazioni di 3 collaboratori di giustizia, il tribunale riteneva che esse non offrissero elementi di novità, rispetto al quadro delineato dal Pag. 37decreto ministeriale già revocato, tali da consentire una decisione diversa da quella adottata nella pronuncia dell'8 giugno 2010.
  Su espressa richiesta della DDA di Catania il detenuto, con decreto del Ministro in data 3 aprile 2014, è stato nuovamente sottoposto a regime detentivo speciale di cui all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario, in relazione a più recenti dichiarazioni di altro collaboratore di giustizia.
  Quindi, qui già entriamo nella fase che riguarda il Dicastero con questo Governo. Quindi il 3 aprile 2014, ripetiamo, il Ministro reitera questo provvedimento e utilizza queste dichiarazioni di un altro collaboratore di giustizia, che ritiene siano un elemento importante che giustifica i presupposti che consentono l'applicazione dell'articolo 41-bis.
  Anche tale provvedimento è stato tuttavia revocato con ordinanza in data 19 settembre 2014. Le date hanno significato, perché, poi, come giustamente ha sottolineato l'onorevole Fava, riprendendo anche una parte del rapporto dei ROS dell'operazione «Caronte», l'onorevole Fava ha parlato non a caso – bene ha fatto a sottolinearlo – di novembre e, quindi, le date hanno un significato importante. Infatti, questo provvedimento del Ministro Orlando del 3 aprile 2014 è stato revocato dal tribunale di sorveglianza con ordinanza in data 19 settembre 2014. L'autorità giudiziaria ha ritenuto sostanzialmente immutato il quadro già delineato e apprezzato nei precedenti provvedimenti revocatori, riferendosi le dichiarazioni del collaboratore di giustizia che avevano giustificato l'emissione dell'ultimo provvedimento ministeriale a fatti comunque non posteriori all'anno 2007. Questa è in parte la motivazione del provvedimento datato 19 settembre 2014 con cui è stato revocato il decreto del Ministro della giustizia. Da quest'ultima ordinanza di revoca definitiva, in esito al mancato esperimento del ricorso per Cassazione da parte dei soggetti legittimati – quindi di fronte a questo provvedimento non c’è stato un ricorso in Cassazione –, il provvedimento è passato in giudicato.
  L'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario conferisce al Ministro Guardasigilli la facoltà di adottare la misura di restrizione quando ricorrano gravi motivi di ordine pubblico o altre gravi situazioni di emergenza, purché sussistano concreti elementi che fondino la dimostrazione dell'attuale sussistenza di collegamenti del detenuto con un'associazione criminale qualificata.
  In riferimento al caso evocato dagli onorevoli interpellanti, a fronte del tenore del provvedimento di revoca emesso dall'autorità giudiziaria competente, poi divenuto irrevocabile, non risultano fatti nuovi suscettibili di nuova valutazione, però occorre chiarire su questo che lo stesso Ministero, proprio a seguito di questa interpellanza, vuole sviluppare e ha chiesto alla procura di Catania della DDA di fornire elementi aggiuntivi perché sono importanti i tempi: infatti, fino a settembre 2014 la situazione è cristallizzata, c’è un provvedimento passato in giudicato che annulla un decreto del Ministro e, quindi, dobbiamo rispettare la decisione dell'autorità giudiziaria. Tuttavia, potrebbero esserci elementi nuovi e quindi va ora verificato, con la dovuta attenzione e nel rispetto di tutte le regole giuridiche, che elementi emergono dal rapporto dei ROS dell'operazione «Caronte» citato nell'interpellanza e quindi, a questo fine, lo stesso Ministero ha chiesto all'organo competente, che poi fa l'istruttoria, che è il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria cioè la direzione generale che completa l'istruttoria per quanto riguarda l'applicazione del 41-bis, di capire dalla magistratura requirente titolare di queste indagini quali siano questi elementi nuovi e se ci siano i presupposti per rivedere la decisione.
  Allo stato, non avendo questi elementi, non ci sono i presupposti per reintervenire, però, lo voglio sottolineare nuovamente, dobbiamo sviluppare questi elementi che sono stati indicati oggi dall'onorevole Fava.Pag. 38
  L'ordinanza emessa dal tribunale di sorveglianza in data 19 settembre 2014, infatti, non è stata impugnata dal procuratore nazionale antimafia, né da altri soggetti legittimati e, quindi, le circostanze evidenziate nell'atto ispettivo risultavano già valutate per l'adozione dei provvedimenti adottati. Consta altresì, però, che il provvedimento revocatorio emesso dal tribunale di sorveglianza di Roma in data 19 settembre 2014 sia stato comunicato al procuratore nazionale antimafia nonché ai procuratori della Repubblica presso i tribunali di Catania e Palermo per le valutazioni di competenza.
  Quindi, ricordo che, in base al comma 2-sexies dell'articolo 41-bis, quando il reclamo del detenuto viene accolto e il provvedimento è revocato dall'autorità giudiziaria, il Ministro, per disporre un nuovo provvedimento, deve evidenziare elementi nuovi o non valutati. La Cassazione ha precisato che per elemento nuovo deve intendersi un fatto riferibile alla condotta del recluso e manifestatosi in un momento successivo a quello della decisione di revoca, oppure prima di quest'ultima, ma non conosciuto né valutato in tale sede. Ricordo a me stesso, sezione V della Cassazione, la sentenza n. 26399 dell'11 giugno 2004.
  Più in generale la Cassazione ha specificato che non solo i provvedimenti ex articolo 41-bis, comma secondo, dell'ordinamento penitenziario devono essere concretamente giustificati in relazione alle esigenze di ordine e sicurezza per l'effettivo pericolo della permanenza di collegamenti, ma finanche per i decreti di proroga, si richiede un'autonoma e congrua motivazione in ordine alla permanenza attuale dei pericoli per l'ordine e la sicurezza che le misure medesime mirano a prevenire, non potendosi ammettere semplici proroghe immotivate del regime differenziato, né motivazioni apparenti o stereotipe inidonee a giustificare in termini di attualità le misure disposte. Cito, ancora, Cassazione penale, sezione III, la sentenza n. 2698 dell'8 settembre 1999.
  Quindi, sulla base di questa giurisprudenza – scusate se sono entrato molto nel tecnico, ma è una questione che merita una particolare attenzione e occorre capire la giurisprudenza che deve guidare anche il Ministero nell'adottare il provvedimento – e sulla base di queste linee che la giurisprudenza detta, se la valutazione corrisponde a questi principi consolidati della giurisprudenza, il Ministero ha il potere e l'opportunità di reintervenire.
  Quindi, allo stato, non abbiamo elementi ulteriori; devono essere approfonditi e quindi il Ministro, comunque, non solo valuterà attentamente ogni altro elemento che, sopravvenuto e diverso da quelli già fondanti precedenti provvedimenti revocati dall'autorità giudiziaria, dovesse emergere ad integrare i presupposti per il ripristino del regime di detenzione ex articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario a carico del detenuto Aldo Ercolano, ma si è già attivato, come dicevo prima, per stimolare gli uffici competenti ad acquisire e comunicare ogni eventuale nuova notizia utile.
  Quindi, ringrazio l'onorevole Fava, perché ha posto all'attenzione del nostro Dicastero una questione molto delicata, sulla quale abbiamo chiesto approfondimento su questi nuovi elementi.
  Qualora la risposta sia nei termini che ho delineato ed indicati anche dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, sarà cura del Ministro rivalutare e prendere i provvedimenti idonei e giusti, così come richiedono le norme dell'ordinamento penitenziario. Quindi, siamo disponibili, anche a seguito di questo ulteriore istruttoria, di integrare anche la nostra risposta.
  Allo stato, penso di aver fornito tutti gli elementi utili in nostro possesso e di poter dire che, comunque, tutti gli elementi fino al 19 settembre 2014 sono stati ormai valutati e cristallizzati da provvedimenti dell'autorità giudiziaria, sui quali chiaramente non si può fare più niente. Quindi, dobbiamo lavorare sugli elementi nuovi, da settembre in poi, così come delineato dalla Corte di Cassazione.

Pag. 39

  PRESIDENTE. Il deputato Fava ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  CLAUDIO FAVA. Presidente, mi ritengo moderatamente soddisfatto, nel senso che apprezzo ed apprezziamo (parlo anche a nome dei colleghi che hanno firmato con me l'interpellanza urgente) l'intenzione del Governo di voler approfondire elementi nuovi occorsi dopo la pronuncia del tribunale di qualche mese fa. Alcuni elementi li abbiamo forniti nell'interpellanza, come un riferimento all'inchiesta «Caronte». Un secondo riferimento, non contenuto esplicitamente nell'interpellanza, ma per il quale colgo questa occasione per proporlo al sottosegretario, è l'operazione «Reset».
  Sottosegretario, la giurisprudenza naturalmente, poi, è agita, interpretata ed applicata da esseri umani, quindi con un'attenzione, anche di sensibilità, alla qualità dei comportamenti, non soltanto agli atti giudiziari e ai fatti. L'operazione «Reset», per esempio, ha raccolto alcune intercettazioni ambientali e una di queste è particolarmente significativa, anche per una dimensione quasi «cinematografica» in cui si propone. Si tratta di una conversazione di una riunione tra affiliati alle cosche mafiose di Catania, nel corso della quale si decide la gestione di alcuni traffici criminali (gioco d'azzardo, strozzinaggio, e così via), e questa riunione, come se fosse un fatto dovuto, si conclude con una sorta di relazione della persona più alta in grado in questo consesso criminale, che ricorda ai presenti – conversazione intercettata dall'autorità giudiziaria – che ciascuno di loro deve tutto in termini di devozione, obbedienza e rispetto anzitutto a due persone: una è Nitto Santapaola e l'altra è Aldo Ercolano. E quando il nome di Aldo Ercolano viene fatto nel corso di questo consesso criminale, come in un film di Tarantino, scoppia un applauso di tutti gli affiliati a Cosa nostra.
  Tutto questo non accade vent'anni fa, ma accade pochi mesi fa. Ho letto la motivazione della decisione del tribunale sulla revoca del 41-bis e naturalmente non c’è traccia di questa notizia, non c’è traccia di questa inchiesta, non c’è traccia di questo fotogramma che ci vede consegnato. Io lo consegno al Ministro, perché poi c’è anche una responsabilità della politica, in questo caso del potere esecutivo, nell'applicazione di uno strumento delicato come il 41-bis. Ci sono fatti giudiziari certi, poi c’è l'eco sinistra di quell'applauso che, nella Catania del 2014, ci dice chi comanda e chi continua a comandare, nonostante sia detenuto in condizioni anche di regime carcerario duro, come Nitto Santapaola, e in condizioni diverse, come Aldo Ercolano.
  Lo consegno alla sensibilità di questo Ministro, con una precisazione: chi vi parla non è un sostenitore accanito del 41-bis. Io ritengo che il carcere duro sia comunque un segno di debolezza dello Stato, che non è in condizione di garantire, attraverso la carcerazione ordinaria, che ci sia non soltanto una capacità di rieducazione e di reinserimento sociale, ma soprattutto che il carcere non venga utilizzato come platea dalla quale dare ordini e governare traffici sui vivi e sui morti da parte di Cosa nostra.
  Sappiamo che l'esperienza ci insegna che così non è stato e quindi siamo stati costretti a ricorrere in questi anni al 41-bis. È stato un elemento di necessità, ma fino a quando questo elemento di necessità esiste e ne abbiamo necessità, credo che occorra applicarlo, quando queste condizioni di pericolosità vi sono. Lei parlava giustamente di elementi non valutati della giurisprudenza.
  È stato deciso, nei confronti di Bernardo Provenzano, che è quasi in fin di vita, è quasi infermo totale, di prorogare ancora una volta il carcere duro. Crediamo tutti che non sia in condizione di governare i destini di Cosa nostra. Siamo in presenza di un capomafia al cui nome scatta l'applauso in una conversazione che viene, per fortuna, registrata e ascoltata dagli organi inquirenti.
  Di fronte a tutto questo, chiedo che questo approfondimento sia serio, attento e dovuto anche riportando le parole del procuratore della Repubblica che abbiamo Pag. 40avuto la fortuna di ascoltare ieri in Commissione antimafia, che ci ha ricordato come l'attenzione su Catania, sugli assetti criminali di questa città, che rappresenta un modello criminale pressoché perfetto, perché ha trovato insieme in una confluenza geometrica potere mafioso, potere politico e potere imprenditoriale, sia un'attenzione molto meno – come dire – vibrante e intensa rispetto a quella che c’è su Palermo e anche sugli elementi e sulle persone che rappresentano a Catania e a Palermo le sorti di Cosa nostra.
  Catania è l'unica città italiana in cui, se lei deve raccontare oggi la storia di Cosa nostra, la cronaca di Cosa nostra, il quadro delle gerarchie criminali che governano e comandano Cosa nostra, è costretto a declinare gli stessi nomi e stessi cognomi di trent'anni fa. Oggi come trent'anni fa comandano gli Ercolano e i Santapaola. Se lei va a Palermo, troverà che non comandano i Bontade, gli Inzerillo, i Badalamenti, come a Napoli le gerarchie criminali sono profondamente cambiate. A Catania, le gerarchie criminali sono la fotocopia di ciò che era il potere criminale trent'anni fa e anche la capacità di impunità che ieri il procuratore della Repubblica ci ricordava.
  Vorrei ricordare che il padre di Ercolano, Giuseppe Ercolano, è una delle ragioni per cui il più grande imprenditore del Mezzogiorno, Mario Cianci, è in questo momento indagato per concorso in associazione mafiosa, avendo ricevuto amichevolmente e accolto i consigli e i suggerimenti che gli venivano offerti dal capomafia Giuseppe Ercolano. Il fratello Vincenzo Ercolano è stato arrestato, la sua azienda è stata confiscata; il cugino, Angelo Ercolano, si trova con l'azienda sotto sequestro preventivo. Siamo di fronte a una filiera criminale che, certo, ha bisogno naturalmente, perché parliamo della libertà personale di un detenuto, di fatti nuovi; ma vorrei ricordare che i fatti nuovi non sono soltanto quelli giudiziariamente accertati, stanno anche nel clima quotidiano che si respira e che la procura della Repubblica raccoglie a Catania.
  Per cui prego caldamente il Ministro e questo Governo di considerare nella loro oggettività questi fatti; le note che io sto consegnando alla vostra conoscenza da parte dell'inchiesta rese fanno impallidire, perché l'idea che in questo Paese, nell'anno di grazia 2015, si assista ancora a riunioni mafiose in cui i nomi dei capi, che sono detenuti, vengono applauditi e celebrati come se fossero realmente le persone da rispettare e da portare in palmo di mano, perché sono coloro che rivestono la funzione di padroni dei destini dei vivi e dei morti, ecco questa è una dimensione preoccupante. Per cui vorrei che, da questo punto di vista, l'attenzione, l'approfondimento del Governo non fosse formale, ma fosse sostanziale, come lo è stato, alcuni mesi fa, quando il Ministro ha deciso di intervenire sulla proroga del 41-bis nei confronti di Ercolano.

(Rinvio dell'interpellanza urgente – n. 2-00796)

  PRESIDENTE. Dovremmo ora passare all'interpellanza urgente Faenzi e Palese n. 2-00796.
  Avverto che su richiesta dei presentatori e con il consenso del Governo lo svolgimento dell'interpellanza è rinviato ad altra seduta.

(Chiarimenti in merito alla possibilità che la Sardegna sia individuata come sito idoneo per la realizzazione del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi – n. 2-00809)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza Piras n. 2-00809, concernente chiarimenti in merito alla possibilità che la Sardegna sia individuata come sito idoneo per la realizzazione del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo al deputato Piras se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

Pag. 41

  MICHELE PIRAS. Grazie, Presidente, proverò ad essere il più sintetico possibile, anche per agevolare l'interpellanza successiva alla mia rispettando il tempo previsto per le comunicazioni del Ministro Gentiloni.
  Secondo il programma per la collocazione dei residui radioattivi definito dal decreto legislativo n. 31 del 2010, il 3 gennaio 2015 si sarebbe dovuta inoltrare al Ministero dello sviluppo economico e a quello dell'ambiente la proposta della carta delle aree idonee all'ubicazione del sito nazionale di stoccaggio delle cosiddette scorie nucleari, ovvero quelle prodotte dalle nostre centrali nucleari dismesse, quelle prodotte in medicina e nei siti industriali per le analisi produttive di parti metalliche.
  Si tratta di 75 mila metri cubi di rifiuti a bassa e media attività e di 15 mila metri cubi di rifiuti ad alta attività.
  Tale proposta risulta essere stata consegnata il 2 gennaio scorso dalla Sogin all'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. Il 6 aprile dell'anno scorso, l'ISPRA ha definito i criteri di localizzazione, elencando quindici condizioni di esclusione, fra le quali: l'elevata sismicità, le zone aventi pendenza inferiore al 10 per cento, quelle interessate dai fenomeni carsici, la prossimità di infrastrutture civili, strade extraurbane principali, aeroporti, parchi, riserve naturali e dighe, la presenza di falde acquifere, la densità demografica, le aree al di sopra dei 700 metri di altezza sul livello del mare. Lei, sottosegretaria, già certamente conosce i timori più che giustificati delle popolazioni locali. Anche due giorni fa è stata discussa una interrogazione al question time sulla questione proposta da due colleghi della Camera, non fosse altro affinché si ricordassero le tragedie di Chernobyl e la più recente di Fukushima. Nella mia regione, su questo tema, si è immediatamente sviluppato un fortissimo dibattito pubblico, che ha visto esprimersi con nettezza tutte le forze politiche, la società civile, le rappresentanze del Governo e del consiglio regionale avverso l'ipotesi che la Sardegna potesse essere la regione prescelta. Ricordo anche che il 15 e il 16 maggio del 2011, il 97 per cento dei sardi, 849 mila su 887 mila votanti, il 60 per cento degli aventi diritto tra l'altro, che si sono recati alle urne per il referendum sulle scorie nucleari, si sono espressi per il «no». Chiaramente, si trattava di un referendum consultivo, ma credo che questo dato basti a chiarire gli umori di un popolo.
  Vorrei essere chiaro sul fatto che non si tratta né di espressione di una forma di localismo né di una volontà di sottrarsi ad un dovere nazionale. Tutto si può dire del popolo sardo, ma non certo sostenere che esso si sia mai sottratto ai suoi doveri. Basterebbe ricordare il tributo pagato alle guerre di indipendenza per l'unità nazionale, quello di sangue, magistralmente narrato da Emilio Lussu, nelle trincee della prima guerra mondiale sul Carso e non solo, oppure, se si volesse andare ulteriormente a ritroso, basterebbe pensare a quelli che erano un tempo i nostri boschi, che dall'Ottocento in poi poggiano lungo le linee ferroviarie del Nord-est d'Italia e sono andati a sostenere il processo di prima industrializzazione del Paese. Stando ai giorni nostri, ricorderei che il 65 per cento delle servitù militari del territorio nazionale sono ospitate in Sardegna ed insieme ad esse i tre poligoni di tiro più estesi d'Europa. Nessuna rinuncia ai propri doveri perciò si è mai potuta registrare in Sardegna. Se una frequente rinuncia c’è sempre stata, semmai è quella ai diritti, primo fra tutti quello alla sovranità. La Sardegna ha già dato e continua a dare tanto, troppo, all'interesse nazionale, e mi si consenta di dire invece che riceve poco, se solo volessimo inoltrarci nelle cifre drammatiche della disoccupazione, della povertà, della spoliazione economica, che la mia terra ha subito nell'ultimo ventennio. E non si tratta di localismo, perché sono e siamo ugualmente preoccupati per altri territori, come la Lucania, come altre regioni d'Italia, che già in passato sono state interessate dalle nefaste attenzioni dello Stato centrale. In conclusione, le chiediamo per quale ragione la mappa consegnata dalla Pag. 42Sogin all'ISPRA il 2 gennaio scorso sia secretata, per quale ragione non si ritenga di dovere rendere pubblici i ragionamenti che si stanno svolgendo, perché si ritenga preferibile alla trasparenza la scelta di generare un clima di timori e di sospetti.
  Una democrazia compiuta non ha bisogno di segreti né di sotterfugi, ad ognuno va data la possibilità di conoscere e esercitare liberamente il proprio diritto di opinione sul tema, far valere il principio inalienabile all'autodeterminazione delle comunità di popolo. Quindi, le chiedo se non ritenga che sia giunto il tempo di rendere pubblici gli atti fin qui prodotti e, per secondo, se la mia regione è inclusa nelle liste delle probabili terre idonee all'ubicazione del sito unico di stoccaggio delle scorie nucleari.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, Silvia Velo, ha facoltà di rispondere.

  SILVIA VELO, Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare. Signor Presidente, riguardo a quanto richiesto dall'interpellante, appare necessario ricordare che il provvedimento normativo che disciplina il percorso procedimentale volto all'individuazione del sito più idoneo per l'ubicazione del deposito nazionale è costituito dal decreto legislativo n. 31 del 2010.
  In particolare, l'articolo 27 istituisce un percorso ampiamente trasparente e partecipativo e ne scandisce le relative tempistiche. Infatti, partendo dalla emanazione di criteri tecnici di idoneità formulati dall'autorità di controllo, sono previsti successivi passaggi per la progressiva selezione dei siti, includendovi una consultazione pubblica, sede nella quale raccogliere le osservazioni formulate da parte di regioni, enti locali e soggetti portatori di interessi qualificati, la promozione di un seminario nazionale, una valutazione di impatto ambientale e la ricerca di un'intesa con le regioni interessate. Questo per quanto riguarda, in generale, la procedura.
  Circa lo stato attuale, abbiamo già ricordato che lo scorso 2 gennaio – l'ho fatto io rispondendo ad alcune interrogazioni, ma anche il Ministro – la Sogin Spa ha consegnato all'ISPRA la carta delle aree potenzialmente idonee, rispettando, in tal modo, il termine di sette mesi decorrente dalla pubblicazione dei pertinenti criteri di localizzazione, definiti lo scorso mese di giugno 2014 dalla stessa ISPRA con il Quaderno n. 29.
  A questo punto, l'ISPRA ha due mesi di tempo per completare le valutazioni di conformità ad essa rimesse, concernenti, in particolare, la validazione dei risultati cartografici e la verifica di coerenza con i criteri indicati nella guida tecnica già citata. Successivamente a questa valutazione che l'ISPRA deve fare – e quindi prima di questa non vi è un documento ufficiale dell'ISPRA – il documento della Sogin verrà inoltrato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e al Mise, unitamente agli esiti delle valutazioni su di esso svolte dall'ISPRA, affinché, entro i successivi trenta giorni, venga reso il necessario nulla-osta al prosieguo della procedura di localizzazione, consistente nella pubblicazione del documento stesso, dando così avvio alla fase finalizzata ad assicurare la massima trasparenza e partecipazione da parte delle competenti istituzioni, a tutti i livelli, nonché della popolazione residente nelle aree di massima individuate.
  È quindi evidente che qualsiasi indicazione o supposizione in merito alla notorietà di aree potenzialmente idonee, eventualmente formulate dagli organi di stampa o altre fonti non ufficiali, sia, al momento, da ritenersi prematura e infondata. Per lo stesso motivo, non trovano riscontro i concreti timori manifestati dagli onorevoli interpellanti circa la possibile individuazione di possibili siti, in questo caso la Sardegna, atteso che, allo stato degli atti, nessuna regione italiana può ritenersi esclusa.
  Valga solo riferire, a questo proposito, che, proprio nella giornata di ieri, ho provveduto a rispondere in maniera analoga all'interrogazione a risposta immediata Pag. 43in VIII Commissione Ambiente, nella quale si era ipotizzata l'individuazione di aree potenzialmente destinate ad ospitare il deposito unico in ben sei regioni, nessuna delle quali, però, in quella interrogazione, veniva identificata con la Sardegna.

  PRESIDENTE. Il deputato Michele Piras ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  MICHELE PIRAS. Signor Presidente, non sono soddisfatto della risposta all'interpellanza per una semplice ragione. Per quanto fossi a conoscenza, ovviamente, documentandomi sul tema, della procedura tracciata per l'individuazione del sito unico per le scorie nucleari, continuo a ritenere che questa fase di secretazione sostanziale degli atti e dei ragionamenti che si sta facendo sia un grosso errore per un Paese democratico e per un Paese che ha bisogno, in una fase drammatica come questa, di coinvolgere quante più persone possibile in una scelta così delicata, che, chiaramente, riveste il rango di una scelta di interesse nazionale e che non può, in una fase di secretazione degli atti, dare vita ad un dibattito scomposto, spesso con principi di isterismo, come sta iniziando a succedere in questo Paese. Credo che la secretazione degli atti sia sempre un errore e che sia un elemento di debolezza, di fragilità, per qualsiasi Governo, certamente per un sistema democratico.
  Attenderemo con pazienza e valuteremo, con la necessaria serenità e la necessaria determinazione, se l'acquisizione delle osservazioni e la fase di ascolto prevista dalla procedura poi si rivelerà in realtà una fase di ascolto ed una attenzione per le osservazioni che verranno espresse. Nel frattempo, mi limito a sottolineare che, su scelte così importanti, su decisioni che possono essere molto rischiose per le popolazioni locali, per l'ambiente, per la tenuta del territorio, bisognerebbe essere più trasparenti. E, quando si dice che il percorso scelto è trasparente e partecipativo, probabilmente – staremo a vedere – lo sarà nella seconda parte: fin qui non lo è certamente stato.

(Iniziative a sostegno dell'integrazione e dell'inclusione scolastica degli alunni stranieri – 2-00808)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Malpezzi n. 2-00808, concernente iniziative a sostegno dell'integrazione e dell'inclusione scolastica degli alunni stranieri (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo alla deputata Rotta se intenda illustrare l'interpellanza, di cui è cofirmataria, o se si riservi di intervenire in sede di replica.
  Chiedo la cortesia a tutti colleghi che interverranno di essere più stringati possibile, perché siamo andati un po’ oltre nei tempi e, tra poco, si svolgerà l'informativa del Ministro Gentiloni. Prego, onorevole Rotta.

  ALESSIA ROTTA. Grazie, signora Presidente. Colleghi, brevemente le ragioni di questa interpellanza urgente al Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca, a seguito delle dichiarazioni, o meglio della circolare partita dall'assessorato all'istruzione del Veneto, in particolare a firma di Elena Donazzan, all'indirizzo di tutti i dirigenti scolastici del Veneto, per chiedere loro di adoperarsi affinché i genitori dei bambini musulmani prendessero apertamente posizione, condannando la strage di Parigi. Riteniamo che questo fatto sia particolarmente grave, perché lesivo dell'autonomia didattica dei dirigenti delle scuole nel Veneto, come di tutta Italia, ed in particolare sia una presa di posizione decisamente fuori ruolo rispetto alle competenze dell'assessore, che peraltro intende – a nostro avviso – in questa occasione fare campagna elettorale inadeguatamente, in particolare in una sede non opportuna quale quella della scuola. È per questo che ci siamo rivolti al Ministero per chiedere chiarimento e ulteriore promozione di politiche scolastiche per l'integrazione, Pag. 44ruolo che però spetta – crediamo – al Ministero e non all'assessore all'istruzione.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Rotta.
  Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, Silvia Velo, ha facoltà di rispondere. Prego.

  SILVIA VELO, Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare. La delicatezza delle questioni oggetto dell'interpellanza richiede una risposta che, in primo luogo, prenda in considerazione i rapporti tra gli uffici scolastici regionali, la Regione con il suo assessorato, i dirigenti scolastici e quindi il Miur. Infatti, la delicatezza dei contenuti della lettera dell'assessore regionale all'istruzione della Regione Veneto appare frutto di una chiara prevaricazione delle funzioni proprie. Se è vero che l'assessorato regionale, a mente dei principi costituzionali, ha voce e competenza per la definizione delle reti di scuola e dell'offerta formativa, è pur vero che le direttive e gli indirizzi che riguardano la didattica esorbitano dalle competenze dell'assessorato, facendo capo alle scuole, agli uffici scolastici regionali e, quindi, a questo Ministero. Tanto si evidenzia in premessa, proprio perché è importante chiarire anche formalmente come l'invito dell'assessore ai dirigenti scolastici della Regione Veneto non può che essere valutato come un'esternazione personale e non attinente ai compiti che istituzionalmente riguardano i rapporti tra scuola e regioni. A conferma di tanto, si evidenzia che la trasmissione della lettera a firma dell'assessore è avvenuta attraverso una casella di posta elettronica della Regione stessa, con propria mailing list. A quello che risulta al Ministero, infatti, non è stato informato né coinvolto l'ufficio scolastico regionale del Veneto. Ciò posto, si condivide in linea generale quanto oggetto dell'interpellanza, considerata la fase complessa e delicata che vive il Paese e l'intera Europa dopo la tragedia di Parigi, a fronte della quale l'impatto sulle scuole è determinante. Proprio in considerazione dell'importanza nella formazione degli studenti di tutte quelle attività finalizzate all'integrazione degli alunni con cittadinanza non italiana, questo Ministero, già da tempo, attua politiche di accoglienza e di inclusione. Nel 2006, il Ministero ha emanato le «Linee guida per l'accoglienza e l'integrazione degli alunni stranieri». Tali Linee guida sono state aggiornate lo scorso anno per riconsiderare la realtà del mondo dei migranti, nella società odierna profondamente cambiata, nell'ottica di una via interculturale all'integrazione, offrendo alle scuole strumenti metodologici più appropriati per un reale inserimento e per attivare politiche di peer education.
  A tal proposito, sarà avviata un'azione di peer education in contesti multiculturali che coinvolgerà studenti stranieri di seconda generazione come tutor di studenti appena giunti nel nostro Paese. Inoltre, con il recente decreto ministeriale n. 718 del settembre 2014 è stato costituito l'Osservatorio nazionale per l'integrazione degli alunni stranieri e l'educazione interculturale. Esso si propone: il monitoraggio dei processi di integrazione; la formulazione di proposte e la diffusione delle migliori pratiche al riguardo.
  Lo scorso 18 dicembre sono state trasmesse le «Linee di indirizzo per favorire il diritto allo studio degli alunni adottati» per fornire conoscenze e linee di indirizzo teorico-metodologiche. Lo strumento prescelto mira anche ad aiutare i bambini e i ragazzi giunti in Italia tramite l'adozione internazionale, le loro famiglie e le istituzioni scolastiche che li accolgono.
  Il prossimo 17 febbraio inoltre sarà presentato il nuovo rapporto nazionale sugli alunni con cittadinanza non italiana. Infine, sono tutt'ora in corso iniziative per la formazione dedicata ai dirigenti scolastici che operano in contesti multiculturali di grande complessità.
  Per quanto riguarda il Veneto, si sottolinea che questo territorio è, dopo la Lombardia, la regione che registra il più alto numero di studenti con cittadinanza non italiana (lo scorso anno scolastico oltre 90 mila).Pag. 45
  Ad oggi la percentuale degli alunni non italiani si attesta intorno al 12,7 per cento. A testimonianza delle politiche di integrazione e inclusione, intraprese da tempo nel sistema scolastico anche in Veneto, i dati confermano l'equità complessiva degli esiti degli scrutini e dei risultati negli apprendimenti degli studenti veneti.
  I risultati degli alunni di seconda generazione, soprattutto a partire dalla scuola secondaria di primo grado, tendono a discostarsi meno col progredire degli anni, segno di una politica scolastica relativa all'integrazione costante, diffusa e di qualità. In particolare, al fine di utilizzare nel modo più efficace tutte le risorse umane e finanziarie disponibili presenti e le collaborazioni offerte nel territorio da enti locali ed associazioni, le scuole venete hanno operato, sotto l'egida dell'Ufficio scolastico regionale, con una «logica sistemica» nella realizzazione delle azioni, con la diffusione ed il mantenimento di ben quarantotto reti di scuole autonome per l'integrazione, distribuite su tutto il territorio, nonché di «patti educativi territoriali».
  L'Ufficio scolastico regionale attesta che, nel Veneto, sono stati approvati e realizzati 613 progetti di integrazione; gli alunni con cittadinanza non italiana coinvolti nelle azioni sono stati pari a 79.650; 359 sono i docenti formati e/o esperti anche nell'insegnamento di L2.
  In conclusione, così come sancito dall'articolo 3 della nostra Costituzione, questo Ministero è costantemente impegnato a garantire che, ad ogni alunno, sia assicurata la possibilità di ottenere i più elevati livelli di apprendimento indipendentemente dalle sue condizioni di partenza e di origine, nella piena convinzione che solo un politica educativa basata sull'integrazione e l'inclusione sociale possa concorrere al progresso di una comunità pacifica.

  PRESIDENTE. La deputata Malpezzi ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  SIMONA FLAVIA MALPEZZI. Grazie, Presidente. Sono soddisfatta e siamo soddisfatti perché, nella risposta del Ministero, c’è quello che noi ci aspettavamo e che già conoscevamo, ma che evidentemente l'assessore Donazzan ha dimostrato ancora una volta di non conoscere.
  La sua interferenza è stata grave, dal nostro punto di vista, per ben tre motivi. Il primo è perché, assolutamente, l'assessore non era a conoscenza di quello che è il proprio ambito di competenza e, quindi, si è andata a invischiare in un meccanismo che non le compete, l'approccio didattico che non è appunto tipico di chi si occupa di istruzione a livello regionale.
  Il secondo motivo, dal nostro punto di vista, è altrettanto grave perché l'assessore all'istruzione della regione Veneto dimostra di non conoscere le scuole del Veneto, dimostra di non conoscere i progetti che sono presenti in queste scuole, dimostra di non conoscere gli insegnanti di queste scuole, che, da anni, portano avanti dei progetti di integrazione.
  Lo abbiamo sentito dalla risposta che ci giunge dalla sottosegretaria, da anni il Veneto è all'avanguardia ed è addirittura la seconda regione con il numero più alto di alunni stranieri che, però, appunto, sono già stati inclusi, grazie al buon lavoro degli insegnanti.
  Il terzo motivo per cui, per noi, l'interferenza dell'assessore era assolutamente grave e abbiamo deciso di intervenire in questo modo è che il modello, o presunto tale, di integrazione che l'assessore proporrebbe con la sua circolare è, invece, quel modello fallimentare che mira soprattutto all'esclusione, che punta a sottolineare le diversità, le disuguaglianze, le diverse appartenenze, e non mira, piuttosto, a quello che è l'obiettivo che il Ministero sta portando avanti, da anni, con i progetti che ci sono stati segnalati e che noi ci aspettiamo che possano essere ulteriormente potenziati. Anche all'interno della «buono scuola» e della legge delega, noi stiamo spingendo affinché anche la multicultura, l'integrazione e l'intercultura possano avere un peso notevole. Quello che noi proponiamo è un processo di Pag. 46integrazione che vada per aggiunta e non per esclusione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico) !

  PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.
  Sospendiamo brevemente la seduta, che riprenderà tra cinque minuti per lo svolgimento dell'informativa urgente del Ministro Gentiloni Silveri.
  La seduta è sospesa.

  La seduta, sospesa alle 13, è ripresa alle 13,10.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LAURA BOLDRINI

Informativa urgente del Governo sulla liberazione delle due volontarie italiane rapite in Siria nel luglio 2014.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di un'informativa urgente del Governo sulla liberazione delle due volontarie italiane rapite in Siria nel luglio 2014.
  Dopo l'intervento del rappresentante del Governo interverranno i rappresentanti dei gruppi in ordine decrescente secondo la rispettiva consistenza numerica, per cinque minuti ciascuno. Un tempo aggiuntivo è attribuito al gruppo Misto.

(Intervento del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Paolo Gentiloni Silveri.

  PAOLO GENTILONI SILVERI, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Signora Presidente, onorevoli colleghi, questa mattina, poco dopo le 4, all'aeroporto di Ciampino ho dato il bentornato a Greta Ramelli e Vanessa Marzullo e penso di averlo fatto, oltre che a nome del Governo, a nome dell'Italia intera (Applausi).
  Le due volontarie sono molto provate. Si tratta di una vicenda che non dimenticheranno facilmente, ma sono libere, circondate dall'affetto dei loro familiari, con i quali si sono ricongiunte pochi minuti dopo l'atterraggio del volo proveniente dalla Turchia. Un grande Paese si impegna a proteggere e a salvare la vita dei propri cittadini sequestrati e, quando riesce a liberarli, si unisce anzitutto nel ringraziare chi ha reso possibile la loro liberazione. Voglio, quindi, ringraziare in particolare i servizi d’intelligence, che hanno lavorato con coraggio e professionalità, l'unità di crisi della Farnesina e tutte le autorità coinvolte con un gioco di squadra che ha prodotto un risultato importantissimo.
  La vicenda si è conclusa da meno di nove ore e, quindi, vi fornirò gli elementi raccolti finora, ricordando a tutti noi che, come da prassi, sul sequestro c’è un'indagine della magistratura, che sta muovendo in queste ore i primi passi.
  Risulta che le due ragazze siano entrate in Siria dalla Turchia, dal valico di Bab al-Hawa, il 28 luglio. Per effettuare un ulteriore sopralluogo, si erano già recate in Siria, in due precedenti occasioni, per l'avvio del progetto socio-sanitario denominato Horryaty. Nel corso dei loro spostamenti sino all'area di Aleppo sarebbero state sempre accompagnate e scortate da elementi siriani, con i quali avevano precedentemente stabilito contatti diretti. Sottolineo che le due connazionali non hanno, purtroppo, mai informato le autorità italiane della loro intenzione di raggiungere la Siria né del loro avvenuto ingresso nel Paese.
  Le connazionali sono state rapite nella notte tra il 31 luglio e il 1o agosto 2014, mentre si trovavano ad Abizmu, piccolo villaggio nei pressi di Aleppo, nell'abitazione di un loro conoscente del luogo. Il sequestro è stato effettuato da un nutrito gruppo di uomini armati, che ha fatto irruzione all'interno dell'abitazione, prelevando Pag. 47Greta e Vanessa e facendo perdere immediatamente le loro tracce. A seguito della segnalazione della scomparsa, ricevuta nella prima mattina del 1o agosto, il Ministero degli affari esteri si è immediatamente mobilitato in stretto coordinamento con i servizi d’intelligence, avviando le necessarie verifiche ed attivando gli opportuni canali di ricerca. Contestualmente, come di consueto avviene in tali circostanze, è stato stabilito un canale diretto con le famiglie per informarle della situazione. I familiari delle due cooperanti sono stati ripetutamente ricevuti presso l'unità di crisi per un punto di situazione e con loro sono stati sempre mantenuti in questi cinque mesi costanti contatti.
  Onorevoli colleghi, signora Presidente, circa il gruppo che ha gestito il sequestro, ancorché esso si sia verificato in una zona in larga misura controllata da al Nusra, risulta arduo segnare un preciso confine tra le assai diffuse attività criminali ed iniziative caratterizzate da matrice politico-religiosa, intraprese da gruppi e sottogruppi spesso in conflitto tra loro per il controllo del territorio. In tale contesto è importante prendere atto che anche nel corso di questa vicenda si è poi, come di consueto, sviluppata una sorta di guerra mediatica tra gruppi terroristici, che non esitano a fare opera di disinformazione, attribuendosi rivendicazioni e facendo filtrare indiscrezioni prive di fondamento.
  Posso anche aggiungere che attorno a questo specifico sequestro è gravitata, inoltre, un'ampia serie di personaggi, che hanno tentato a più riprese di accreditarsi come mediatori o come canali privilegiati e alla cui attività di intossicazione si deve una impropria azione di vero e proprio depistaggio, con riferimenti iniziali all'ISIS, minacce all'incolumità delle due ragazze, entità di supposti riscatti. Anche la loro, peraltro non facile, esclusione dai circuiti operativi è verosimilmente all'origine di una serie di recentissime e ingiustificate illazioni sulla vicenda.
  Quanto al tema dei riscatti, ho letto riferimenti e indiscrezioni privi di reale fondamento e, in qualche caso, addirittura veicolati da gruppi terroristici. E mi sorprende che a queste illazioni e queste fonti sia stato dato da taluno credito senza alcuna verifica. Io voglio qui ribadire che in tema di rapimenti l'Italia si attiene a regole e a comportamenti condivisi sul piano internazionale e che abbiamo operato in continuità con la linea seguita nel tempo dai Governi che si sono succeduti: non è la linea di questo Governo, è la linea dell'Italia.
  Vi ricordo che in Siria, con Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, sono tre i connazionali liberati da un anno a questa parte. Sempre in Siria, nello stesso periodo, è nota la liberazione di otto ostaggi provenienti dalla Francia, dalla Spagna, dalla Danimarca e dagli Stati Uniti. Noi siamo contrari al pagamento di riscatti e partecipiamo, come i Paesi che ho sopra citato, al contrasto multilaterale del fenomeno dei sequestri di persona a scopo di riscatto e, nei confronti degli italiani presi in ostaggio, la nostra priorità è in ogni modo indirizzata alla tutela della vita e dell'integrità fisica dei nostri connazionali.
  Signora Presidente, onorevoli colleghi, leggo in queste ore di molti inviti alla prudenza e li condivido. Penso che la situazione li giustifichi pienamente e so che Greta Ramelli e Vanessa Marzullo saranno le prime a condividere questi inviti alla prudenza, dopo la drammatica esperienza che hanno vissuto. Vorrei dire, tuttavia, che tali inviti valgono per tutti: cooperanti e lavoratori, turisti, missionari e giornalisti. Considero inaccettabile che in questo caso qualcuno si sia spinto a dire: «Se la sono cercata», magari perché si tratta di due giovani donne cooperanti (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, MoVimento 5 Stelle, Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente, Area Popolare (NCD-UDC), Sinistra Ecologia Libertà, Scelta Civica per l'Italia, Per l'Italia – Centro Democratico).
  E aggiungo che, accanto alla prudenza, altre virtù non possono essere sottovalutate nel discorso pubblico: parlo della generosità e del coraggio (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Pag. 48MoVimento 5 Stelle, Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente, Area Popolare (NCD-UDC), Sinistra Ecologia Libertà, Scelta Civica per l'Italia, Per l'Italia – Centro Democratico). Generosità e coraggio che in queste settimane ho visto in tanti campi profughi, incontrando molti volontari e volontarie italiani che danno il loro contributo per la soluzione di tante vertenze umanitarie. L'Italia ha bisogno di questi cooperanti e di questi volontari e credo che il Parlamento unito deve ringraziare questa generosità e questo coraggio che naturalmente devono coordinarsi con l'azione dello Stato e delle sue rappresentanze all'estero (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, MoVimento 5 Stelle, Sinistra Ecologia Libertà, Scelta Civica per l'Italia).
  L'Italia, onorevoli colleghi, nella lotta al terrorismo non accetta lezioni da nessuno. Siamo in prima fila, lo siamo da tantissimi anni, dall'11 settembre certamente, e lo ribadiremo nella conferenza ministeriale a Londra, alla quale parteciperò giovedì prossimo, insieme ai miei omologhi Ministri degli esteri dei principali Paesi della coalizione anti ISIS: ventuno Paesi tra Paesi occidentali e Paesi arabi, una conferenza che intende rafforzare le strategie operative nella lotta che la coalizione sta portando avanti contro il Daesh. Siamo in prima fila.
  Infine, so di interpretare un sentimento comune, signora Presidente, onorevoli colleghi, nel rivolgere un pensiero speciale alle famiglie di padre Paolo Dall'Oglio e di Giovanni Lo Porto (Applausi), sequestrati rispettivamente in Siria e in Pakistan il 29 luglio 2013 e il 19 gennaio 2012. Ancora due vicende che hanno bisogno dell'Italia, due vicende alle quali stiamo lavorando con il massimo impegno e con discrezione, giorno per giorno (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente, Area Popolare (NCD-UDC), Sinistra Ecologia Libertà, Scelta Civica per l'Italia, Per l'Italia – Centro Democratico e di deputati del gruppo Misto).

(Interventi)

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Manciulli. Ne ha facoltà.

  ANDREA MANCIULLI. Signor Presidente, Ministro, colleghi, io sono molto soddisfatto del suo intervento e vorrei partire esattamente da dove ha cominciato, cioè nel dire «grazie» e nel dire «bravi» ai nostri servizi in primo luogo, perché hanno fatto un'operazione difficile. Hanno fatto un'operazione difficile in un momento difficile. Tutto ciò è evidente dopo il video di dicembre ed è altrettanto evidente dopo i fatti di questi giorni. Purtroppo, proprio mentre ho iniziato a parlare, mi è arrivato un messaggio che forse a Parigi stiamo assistendo ad un'ulteriore presa di ostaggi. È evidente che trattare e occuparsi della vicenda di due ostaggi mentre il clima intorno a te è più difficile, è più teso, comporta il rischio che il tempo non sia abbastanza e rappresenta, per gli operatori del settore, non soltanto una fonte di rischio molto più grande, ma anche la possibilità di esporsi a una cosa che non riesce e che finisce male. E io penso che un Paese intero, che ha cognizione di sé e senso di sé, quando le proprie forze dello Stato riescono in una cosa di questo genere, debba prima di tutto dirgli «grazie» insieme (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
  Come abbiamo avuto modo di dire quando il Ministro Alfano è venuto in quest'Aula, questa sfida sarà lunga e dura. Stanotte ci sono state operazioni in Belgio, in Germania e sono in corso operazioni in Francia. Il Ministro dell'interno francese ha parlato poco fa. Serve grande unità, senso delle cose che si dicono e di come si dicono. Io, in tutta sincerità, non ho molto apprezzato che un minuto dopo la riuscita dell'operazione ci fosse già un dibattito su un riscatto ipotetico (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico) che gli stessi che hanno denunciato ieri, smentiscono oggi. Stessa fonte, stessa dichiarazione. È il frutto di una disinformazione, è il frutto di un nuovo tipo di Pag. 49guerra perché la guerra mediatica alla quale stiamo assistendo ci ha fatto vedere le immagini anche di quei due agenti russi uccisi da un bambino e ci fa vedere in diretta – perché c’è anche chi purtroppo deve guardare queste cose – le esecuzioni per i reati come l'adulterio o l'omofobia che lo Stato Islamico fa ogni giorno. Tutto ciò ci dovrebbe dare il senso delle cose. E, in tutta sincerità, togliamoci l'ipocrisia di dentro perché se quelle ragazze le avessimo viste in un video con persone vestite d'arancione, oggi faremmo un'altra discussione. E io credo che da questo punto di vista noi dobbiamo tenere il senso delle cose.
  Io ho molto apprezzato le parole del presidente Stucchi, sia ieri, che oggi, che ha detto cose sagge nel senso dell'interesse del Paese. E io penso che, se quello è lo spirito, siamo sulla buona strada perché il nostro Paese possa affrontare la lotta al terrorismo. Vorrei, però, che non distogliessimo l'azione che è stata compiuta dal quadro nel quale siamo. E da questo punto di vista a me pare – e mi avvio a concludere – che senza dubbio i prossimi mesi saranno mesi nei quali anche il nostro Paese, oltre alle vicende che lo riguardano più direttamente come questa, dovrà misurarsi con una crescita dell'intensità della lotta allo Stato Islamico e alle altre fonti di terrorismo. Per farlo, a mio avviso, a cominciare da oggi, diamo il senso che l'Italia c’è, che è un Paese unito, che si ricorda cosa ha fatto.
  Io vorrei qui ricordare una vicenda di quando noi eravamo all'opposizione: ci fu la vicenda della Sgrena, che purtroppo portò alla morte di un eroe nazionale come Nicola Calipari (Applausi), di come il Paese la seppe affrontare, perché in quel modo lì di affrontare le cose c’è l'Italia, c’è anche il modo in cui questo Paese può farsi rispettare e può partecipare alle sfide della lotta con il terrorismo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Spadoni. Ne ha facoltà.

  MARIA EDERA SPADONI. Signora Presidente, Greta e Vanessa sono finalmente a casa: questa è la notizia più importante e per la quale tiriamo un grande sospiro di sollievo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Ministro, io però sono veramente sconvolta dall'inutilità del suo essere qui quest'oggi: lei non ci ha detto assolutamente nulla. Avete pagato o no ? Questa è la domanda che da ieri sta arrivando ed è costantemente sui social (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), per la quale lei dovrebbe essere qui per farci un'informativa e per darci notizie, per darci informazioni che lei non ha dato. Quindi il suo essere qui, veramente senza averci detto nessuna informazione, è sconvolgente (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle e Commenti dei deputati del gruppo Partito Democratico).
  Oggi la Siria è un Paese che non c’è più. C'era ed era bellissimo prima che diventasse teatro di una delle più sanguinose guerre civili degli ultimi dieci anni. Dall'inizio del conflitto si contano oltre 200 mila vittime e 6,5 milioni di sfollati. Il buio, nient'altro che il buio ed il timore che questo buio potesse calare anche sul destino di Greta e Vanessa è stato per un momento reale. Il Paese, ma prima di tutto le loro famiglie, hanno invece potuto riabbracciarle nuovamente. Di fronte alla vita, alla sopravvivenza ed alla cooperazione in favore delle regioni più in difficoltà del pianeta, afflitte da guerre e carestie interne, da dilanianti crisi alimentari e dall'insorgenza di pericolosi gruppi terroristici, il MoVimento 5 Stelle esprime piena soddisfazione e solidarietà (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Greta e Vanessa erano in Siria per prestare loro soccorso ad un popolo dimenticato, vittima di una violentissima guerra civile che, gentili colleghi, tutti oggi sappiamo non vedrà né vinti né vincitori, ma solo distruzione, continua distruzione.
  Greta e Vanessa hanno dimostrato che il coraggio non si rintraccia in un intervento militare, nella disperata e tutto sommato falsa convinzione che la democrazia sia un prodotto esportabile, quasi fosse una merce di scambio (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), ma si Pag. 50incontra con i valori di solidarietà e supporto, con il dialogo e la comprensione. Non è un caso che il MoVimento 5 Stelle sia stata l'unica forza politica ad avanzare una proposta di legge per il rafforzamento della cooperazione italiana, con l'obiettivo di modernizzare, dare anche più trasparenza ed adeguare le attuali normative alle nuove sfide globali che il nostro Paese è chiamato responsabilmente ad affrontare.
  Di fronte abbiamo invece un Governo che oggi spende parole di entusiasmo per il rientro in Italia di Greta e di Vanessa, ma che nelle stesse ore si appresta ad acquistare strumenti di morte come i cacciabombardieri F35 (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) ed imbarcazioni militari che in futuro finiranno solamente per allargare ancora il divario tra due mondi che, in realtà, non esistono. Lo stesso Governo i cui rappresentanti da settimane promettono che sarà compiuto ogni sforzo possibile per la stabilizzazione della Libia, aprendo così velatamente all'ipotesi che presto potrà presentarsi l'occasione per un secondo intervento militare, dopo i devastanti bombardamenti NATO del 2011. Bombardamenti voluti in primis da Inghilterra e Francia, Paesi che adesso chiedono responsabilità sul tema dell'immigrazione, quando hanno creato loro stessi le basi di una guerra civile che ha creato ingenti flussi migratori (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  L'Europa si deve prendere la responsabilità dei flussi migratori e del problema dell'immigrazione, perché sono le politiche estere dell'Europa stessa che hanno creato questo tipo di problematica. Non deve essere soltanto sulle spalle dell'Italia, ma deve essere una responsabilità europea, che non può chiederci soltanto austerità (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  E ancora, gentili colleghi, abbiamo un Governo che invia velivoli militari d'assalto e ricognizione in Iraq, pronti a bombardare da un momento all'altro, un Governo che tiene in ostaggio i suoi militari in Afghanistan dopo una lunga e sanguinosa guerra, che tutto ha generato fuorché stabilità e sicurezza nel Paese.
  Siamo anche all'interno dell'associazione «Amici della Siria», gentile Ministro. Ministro, lei mi deve spiegare perché facciamo parte di un'organizzazione per ovviare a un veto ONU, organizzazione che finanzia i ribelli siriani in contrapposizione alla legge italiana n. 185 del 1990 che vieta all'Italia di fornire armi a Paesi in conflitto (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Quando c’è da citare l'ONU siamo tutti contenti, quando c’è da ovviare ai suoi veti pure. Si rende conto, Ministro, dell'ipocrisia ? Noi siamo dentro un'associazione che finanzia i ribelli, che magari dà anche armi ai ribelli e proprio per ovviare a un veto ONU e poi parliamo dell'ONU: ma di che cosa state parlando, di che cosa state parlando (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) ? Siete degli ipocriti e lei, signor Ministro, assieme alla Ministra Pinotti, vi prenderete la responsabilità di questa ipocrisia. A tal proposito la Lega, ripeto, ha ieri sollevato una polemica sull'eventuale pagamento di un riscatto di 12 milioni di euro. Lei, Ministro, non ci ha detto se il Governo italiano ha pagato o no. Il Governo italiano ha pagato o no ? Lei deve rispondere a questa domanda, Ministro, cosa che non ha fatto in questa informativa inutile.

  PRESIDENTE. Concluda.

  MARIA EDERA SPADONI. Questo atteggiamento è vergognoso – mi avvio a concludere, grazie Presidente – perché questa maggioranza di larghe intese ha dato la presidenza del Copasir alla Lega, togliendola al MoVimento 5 Stelle. Invece di fare mera propaganda sui social si impegni nei luoghi istituzionali a fare chiarezza. Se il presidente del Copasir ed esponente della Lega Nord è a conoscenza di fatti, che li riferisca chiaramente ...

  PRESIDENTE. Deve concludere, per favore.

Pag. 51

  MARIA EDERA SPADONI. L'ultima frase e concludo: Greta e Vanessa oggi sono a casa sane e salve e non è certo per merito vostro. Prendetene coscienza (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Picchi. Ne ha facoltà.

  GUGLIELMO PICCHI. Grazie Presidente, ringrazio il Governo che prontamente è venuto in Aula a riferire su questa vicenda. Anzitutto, per sgombrare il campo da ogni dubbio, noi siamo assolutamente felici e contenti che Vanessa e Greta siano tornate a casa e ci stringiamo come tutto il Paese intorno a loro e ai loro familiari e per questo rientro in Italia e dobbiamo un grazie alla capacità dello Stato italiano, dei suoi funzionari, dei servizi, della Farnesina per essere riusciti in questo risultato, nonostante il quadro complessivo nelle ultime settimane si sia estremamente complicato dopo quanto è avvenuto a Parigi.
  Il quadro appunto è complesso e per questo se da un lato credo dobbiamo ringraziare, come ha fatto bene il Ministro, tutte le giovani e i giovani, i medici, tutti coloro che sono all'estero nei campi a portare l'aiuto e il conforto italiano, tuttavia dobbiamo anche porci il problema del fatto che il quadro è sempre più complesso e sempre più difficile. Quindi, tutti insieme, dobbiamo aprire una riflessione su quale possa essere il modo più opportuno di essere presenti per le ONG, per i giornalisti stessi che vogliono andare ad operare in quadri complicati, per chiunque, tenendo conto che si va verso una complicazione sempre maggiore e sempre più delicata del quadro affinché episodi, come quello di Vanessa e Greta, possano non dico non verificarsi più, perché questo è certamente impossibile, ma perché sia minimizzato o ridotto il rischio che si possano verificare nuovamente.
  Inoltre vorrei dire al Governo che certamente era giusto ed è giusto impegnarsi per Greta e Vanessa ma, come Stato, dobbiamo ricordare che il nostro faro è sempre salvaguardare la vita dei cittadini italiani ma salvaguardare complessivamente i cittadini italiani, non limitarsi solo ai casi più mediaticamente esposti ma anche seguire i casi di quelle centinaia, talvolta migliaia di cittadini che, poiché non sono in teatri particolarmente rilevanti, vengono dimenticati, si trovano spesso senza capi di imputazione, in carceri in Paesi di secondo piano. Questo è un impegno che chiediamo fortemente al Governo, a non ricordarsi soltanto – qui va la nostra vicinanza sia a padre Dall'Oglio che all'altro cooperante Lo Porto – ma anche di tutti quei cittadini che sono in una situazione complessa.
  L'altra cosa che credo sia necessaria è andare a mettere maggiore attenzione sul comportamento e sui finanziamenti che vanno a riguardare determinate ONG, perché si possono creare situazioni estremamente spiacevoli, e credo che ci possano essere rapporti poco chiari tra i governi che vanno a finanziare queste ONG e poi i fatti che ne possono conseguire nei Paesi dove poi le ONG vanno ad operare.
  Sul metodo, visto che sono state poi ricordate precedenti situazioni di rapimenti dove anche altri governi, compreso il Governo Berlusconi, si sono trovati coinvolti in anni precedenti, come Forza Italia noi chiediamo fortemente al Governo di coinvolgere, seguendo il metodo Berlusconi, come avvenuto nel caso che ha ricordato il collega Manciulli, le opposizioni, in via chiaramente estremamente riservata, ma per avere contezza di quali passi il Governo stia intraprendendo.
  Non al Governo, ma rivolto alla Presidenza, sottolineo che Forza Italia non è rappresentata nel Copasir, quindi siamo costretti ad avere informazioni di seconda mano. È da più di un anno che non siamo rappresentati in questo importante comitato parlamentare, credo che sia giunto il momento di porre rimedio a questa cosa, per far sì che anche noi possiamo partecipare, non solo nei dibattiti pubblici, ma anche nelle sedi opportune, per avere le informazioni per poter contribuire alla sicurezza di questo Paese (Applausi dei Pag. 52deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Alli. Ne ha facoltà.

  PAOLO ALLI. Signora Presidente, intervengo per ribadire anzitutto, come già detto ieri, la grande soddisfazione di Area Popolare per quanto accaduto, una soddisfazione per le due ragazze, per le loro famiglie, per tutti i loro cari e una soddisfazione, come sottolineava bene nel suo intervento l'onorevole Manciulli, intervento che condivido totalmente, per l'efficienza che il nostro Stato, ancora una volta, ha dimostrato in situazioni molto difficili.
  Signor Ministro, abbiamo sentito poco fa riecheggiare la parola «inutilità» riferita al suo intervento; io credo che di inutile in quest'Aula ci siano solo interventi che mettono insieme slogan e luoghi comuni che sono sempre gli stessi, che vengono ripetuti e che servono forse più a qualcuno per giustificare la propria esistenza che non per portare un vero contributo al dibattito (Applausi dei deputati del gruppo Area Popolare (NCD-UDC)). Noi crediamo che il suo intervento sia stato e sia molto utile perché lei è venuto, poche ore dopo la risoluzione di questo problema, a riferirci con chiarezza quale sia la posizione del nostro Stato e lei ci ha detto, anche rispetto al tema del riscatto, parole precise a cui noi diamo credito, cioè che il nostro Paese non cede alla logica di ricatti e riscatti. Ovviamente, se andando avanti dovessero rivelarsi situazioni diverse, bisognerebbe fare una discussione su questo, perché certamente potrebbero costituire precedenti pericolosi, se si rivelassero situazioni diverse. Quindi, in questo momento riteniamo corretta la sua informativa, ne siamo soddisfatti; certamente ho sentito anche dire che non è stato merito dello Stato e del Governo italiano la soluzione di questo problema, vorrei capire di chi è stato il merito, ma questo appartiene ad un altro tipo di dialettica.
  Io, però, vorrei però approfittare di questa occasione per fare anche una parte di lettura critica di quanto è successo. Lei ha detto molto bene che la prudenza deve essere di tutti, ha citato i turisti, ha citato i missionari; sappiamo benissimo che tanti nostri concittadini commettono atti di imprudenza e anche, magari, non necessariamente per le regioni di generosità che hanno accompagnato il caso delle due cooperanti, magari, anche semplicemente per curiosità, e tutto questo crea, spesso, alle nostre strutture diplomatiche e anche ai nostri servizi problemi gravi e seri. Quindi, ben venga il suo richiamo.
  Devo dire però che il coro unanime sulla generosità, al quale certamente anche noi ci uniamo, di queste persone, non può essere disgiunto dal fatto che la generosità non può essere sprovveduta, la generosità non può essere sprovveduta perché, purtroppo, di sola buona volontà, ahimè, sono lastricate le strade dei cimiteri. Allora una domanda in questo caso, per esempio, che a me sorge spontanea è: ma i genitori di queste ragazze non potevano prevedere i rischi ? Non sono uno che fa il dietrologo e mette i se e i ma, ma come mai non hanno pensato al rischio che queste ragazze correvano, non le hanno aiutate a capire meglio che forse la loro azione, certamente lodevole, certamente meritevole, andava coordinata, trattandosi non di una situazione, quella nella quale si andavano a recare, di pace, serenità e tranquillità, ma di gravi rischi.
  Io credo che non si possa facilmente ammettere che leggerezza e imprudenza compromettano l'immagine di un Paese, perché, come diceva Manciulli, se la cosa fosse andata male – lui ha detto: se l'avessimo viste vestite di arancione –, cosa si sarebbe detto dell'Italia ? Che era stata incapace di difendere i propri cittadini. E comunque, essendo pure andata bene, ci saranno tutti questi retroscena e queste discussioni su riscatti o non riscatti. Io credo che sia impossibile prevenire tutto, e non è giusto prevenire la generosità, però bisogna cercare di prevenire l'imprudenza. Allora, credo che ci sia un problema di educazione, soprattutto dei giovani e delle loro famiglie, anche attraverso la scuola. E questo è un suggerimento Pag. 53che mi permetto di dare, cioè che, nei programmi che nelle scuole parlano lodevolmente di pace e di educazione alla pace, si metta in evidenza anche che questa deve essere coniugata con la prudenza e con il rispetto delle regole istituzionali. Anche i mezzi di informazione dovrebbero essere su questo un pochettino più responsabili. Credo, in conclusione del mio intervento, di poter dire che quanto sta succedendo sarà – auspicabilmente io credo che lo sarà – occasione di maturazione per tutti. Il mondo ha bisogno dell'autorevolezza del nostro Paese in questo momento, per cui siamo lieti del positivo esito di questa vicenda anche da questo punto di vista (Applausi dei deputati del gruppo Area Popolare (NCD-UDC)).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Erasmo Palazzotto. Ne ha facoltà.

  ERASMO PALAZZOTTO. Signora Presidente, intanto ho il piacere di esprimere la felicità, penso di tutta quest'Aula, per aver potuto riabbracciare oggi Greta e Vanessa, e a questa felicità vogliamo aggiungere dei ringraziamenti all'unità di Crisi della Farnesina, agli uomini dei servizi di intelligence, che hanno reso possibile tutto ciò; e dei ringraziamenti anche per le parole che lei qui, Ministro Gentiloni, ha speso oggi nei confronti di Greta e Vanessa e di chi, come loro, ogni giorno è pronto a mettere in discussione e a rischio la propria vita per portare un po’ di sollievo a chi soffre in zone di guerra e di conflitto, così come fanno tanti cooperanti che rendono il nostro Paese orgoglioso in tutto il mondo per quello che facciamo. Ed è proprio la cooperazione uno dei fiori all'occhiello del nostro Paese che noi dobbiamo proteggere e difendere in ogni momento. E la cooperazione è rappresentata da tutti quegli uomini e quelle donne che, anche con altre funzioni come padre Dall'Oglio e i missionari, provano a costruire la pace, perché la pace oggi non è qualcosa che si può costruire solo attraverso la sicurezza e le operazioni militari. La pace si costruisce ogni giorno anche attraverso l'opera della società civile che, in quei luoghi, che sembrano ormai dimenticati, portano un messaggio di speranza. Questo è quello che facevano Vanessa e Greta in Siria, quello che stavano provando a fare; questo è quello che faceva padre Dall'Oglio; questo è quello che provava a fare Giovanni Lo Porto. Io penso che adesso l'impegno del nostro Paese debba essere massimo per riportare a casa padre Dall'Oglio e Giovanni Lo Porto, perché sarebbe un altro segnale importantissimo che noi diamo al mondo intero rispetto all'impegno che il nostro Paese mette per tutelare la vita di queste persone coraggiose. E lo dico perché, a proposito della polemica sul riscatto, noi stiamo alle sue parole e prendiamo per buona l'idea che l'Italia non abbia pagato un riscatto per riportare a casa Greta e Vanessa. Ma anche se l'avesse fatto, anche se il nostro Paese avesse pagato un costo più o meno alto per salvare la vita di Greta e Vanessa, noi saremmo orgogliosi del nostro Paese, di un Paese che mette la vita dei propri cittadini e la vita umana al di sopra di ogni ragionamento di natura economica (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).
  Ecco io penso che però questo evento, questo fatto che in qualche modo ha toccato anche la coscienza dell'Italia ci carichi di una responsabilità in più e ci carichi della responsabilità politica di quello che sta accadendo in Siria, in questo Paese che non esiste più e che ha il suo popolo in questo momento ostaggio. Sì, perché ad essere ostaggio in questo momento è il popolo siriano che è ostaggio di una guerra civile che sembra non avere nessun esito possibile ed è ostaggio di bande di terroristi e di barbari tagliagole che in questo momento controllano buona parte del territorio di quel Paese.
  Io penso che noi ci dobbiamo porre delle domande e trovare delle risposte a quella crisi siriana e lo penso perché l'Isis o Daesh, non è la causa della instabilità siriana ma probabilmente ne è figlia. È figlia di quella condizione di un Paese ormai disgregato in cui il proprio Stato non riesce più a controllare assolutamente Pag. 54nulla e di una crisi su cui noi, l'Occidente, a anche il nostro Paese, hanno gravi responsabilità. Io penso che dobbiamo fare uno sforzo maggiore, non basta la riunione dei Ministri degli esteri della coalizione dei volenterosi a controllare l'Isis. La crisi siriana ha una sua peculiarità e non riguarda solo il contrasto a Daesh in questo momento; io penso che noi dobbiamo promuovere un impegno maggiore per arrivare ad una conferenza regionale di pace sulla questione siriana e in questo momento bisogna sostenere in ogni modo l'opera dell'inviato speciale dell'ONU, Staffan De Mistura, e bisogna anche sostenere e provare a unire le iniziative in corso tra l'ONU e anche la conferenza convocata a Mosca per provare a mettere intorno al tavolo tutti gli attori.
  Ma serve di più, serve che il nostro Paese sia protagonista di una nuova conferenza di pace per la regione mediorientale a partire dalla questione siriana, a partire dal capitolo siriano, e che metta intorno a un tavolo tutti gli attori. Io penso che noi non usciamo da quella crisi oggi se non siamo capaci di interloquire anche con Paesi come l'Iran e non siamo capaci di chiamare tutti i soggetti e tutti gli attori di questa oscura vicenda alle proprie responsabilità, a partire anche da Paesi come il Qatar e l'Arabia Saudita che sono nostri alleati, che sono nostri partner economici...

  PRESIDENTE. Concluda.

  ERASMO PALAZZOTTO. ... e che hanno grandi responsabilità su tutto questo. Oggi speriamo di riportare a casa loro anche tutti quei siriani che sono dovuti scappare da una guerra ingiusta (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire la deputata Irene Tinagli. Ne ha facoltà.

  IRENE TINAGLI. Grazie Presidente, grazie Ministro per averci riferito, grazie ai servizi e all’intelligence del nostro Paese per il risultato straordinario. Voglio quindi esprimere tutta la gioia per la liberazione di Greta e Vanessa che per molti mesi ci hanno tenuto in grande apprensione così come gli altri ostaggi ancora purtroppo in territorio straniero nelle mani dei rapitori. Anch'io come lei sono rimasta molto stupita e amareggiata in questi mesi dagli atteggiamenti e dalle illazioni contro proprio queste ragazze che erano le vittime del rapimento. Un clima veramente brutto che ha ignorato, come giustamente ha ricordato lei, l'atto di generosità e di coraggio che molte persone oggi spendono nei territori stranieri dove ci sono persone che soffrono, dove ci sono situazioni che noi troppo spesso ignoriamo.
  Io non saprei dire da quando una parte dell'Italia ha iniziato a chiudersi in questa sorta di cinico egoismo ma è un dato di fatto che negli ultimi anni si avverte un aumento di una specie di provincialismo triste e regressivo che trovo molto dannoso. Io sono fiduciosa che invece questo Governo, che ha messo tanta enfasi sull'importanza di recuperare una visione internazionale, un ruolo, di dare importanza a quella che è la nostra azione in Europa e nel mondo, possa combattere questo clima e restituirci anche l'orgoglio di operare negli scenari internazionali.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARINA SERENI (ore 13,50)

  IRENE TINAGLI. Quindi, chiudo semplicemente dicendo che insieme alla gioia per la liberazione, alle congratulazioni per l'azione efficace che il nostro Governo ha saputo esercitare in questa occasione, vorrei però anche esprimere un po’ di preoccupazione per dei dettagli che sono emersi dal suo discorso ovvero il fatto che ci siano, che esistano delle organizzazioni e delle persone, dei progetti che di fatto sfuggono al monitoraggio dello Stato, del Ministero, della Farnesina, e che consentano quindi a persone di recarsi in questi luoghi, pur con obiettivi e intenzioni lodevoli, ma senza la necessaria comunicazione, senza una necessaria informazione.Pag. 55
  Come ha detto lei, questa generosità e questo coraggio devono coordinarsi con lo Stato e con le sue rappresentanze e ciò sia a difesa delle stesse persone, sia a difesa dei nostri uomini dei servizi e di chi poi opera in questi territori. Quindi, penso che, forse, dovremo svolgere una riflessione e compiere uno sforzo per migliorare questa azione di coordinamento, di monitoraggio, di informazione anche per le famiglie. Io confesso che non apprezzo processi ai genitori; so quanto sia difficile anche, come dire, imporre a delle giovani donne e uomini, determinati e maggiorenni. Non è possibile, ma si può e si deve dare a queste persone e a queste famiglie l'informazione necessaria per operare le proprie scelte nella sicurezza e nella consapevolezza che aiuta a tutelare la loro vita, le nostre persone, i nostri servizi. Questo è importante e fondamentale. Questa è la preoccupazione, l'unica che, secondo me, in questo momento, dovremmo avere per rendere la nostra azione e quella delle nostre giovani donne e uomini che operano in questi territori più sicura (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Gianluca Pini. Ne ha facoltà.

  GIANLUCA PINI. Grazie Presidente, anche il gruppo della Lega chiaramente si unisce ai ringraziamenti nei confronti di tutte quelle persone che hanno reso possibile questa liberazione, in primis chiaramente l’intelligence, i ragazzi, le donne e gli uomini dell’intelligence, che evidentemente hanno individuato immediatamente la strada giusta per poter arrivare a questo risultato. Ringraziamo anche – non l'ho sentito dagli altri miei colleghi, lo faccio e spero che sia una cosa condivisa – le famiglie per aver tenuto un silenzio che probabilmente ha aiutato questo tipo di risultato.
  Finiti i ringraziamenti, però, Ministro, noi ci aspettavamo cinque paroline che lei non ha detto, cioè: non abbiamo pagato alcun riscatto. Lei questo non lo ha detto. Ed è drammatica questa questione, è dirimente, ma non è dirimente solo per questo caso, che fortunatamente si è risolto – poi qualcuno ci dovrà dire come effettivamente – ma è dirimente per il futuro. Infatti, se qualcuno ha pagato questo riscatto, che siano 12 mila euro o 12 milioni di euro, ha compiuto un reato – lei lo sa benissimo – perché il nostro ordinamento lo vieta. Lei ha parlato in maniera molto fumosa del fatto che, comunque, è andato nel solco dei comportamenti sempre tenuti dal nostro Paese, in linea con quelli degli altri Paesi. Mi scusi: questa è una balla. È una balla anche per come è venuta fuori la notizia, che non è stata data, come qualcuno dice, da un nostro esponente; assolutamente ! Anzi il presidente del Copasir, Stucchi, ha detto una cosa molto equilibrata e molto saggia: io ho il Comitato martedì, ritengo che questa cifra sia spropositata. Ma lui non ha gli elementi, che invece lei ha, per poter dire se sono stati pagati o non sono stati pagati questi soldi. È questa la cosa drammatica. Vede, noi le diamo senza polemica, però in punto proprio di diritto e in punto di rapporti istituzionali, l'ultima possibilità, visto che è qui, di dirci se sono stati pagati o meno, perché se non ci chiarisce la questione è chiaro che noi andremo in procura a depositare un esposto per chiedere se le voci che sono uscite sono fondate o meno e per chiedere chi ha pagato questi soldi e chi ha dato l'autorizzazione.
  Ripeto: non è solo il problema specifico di questo caso ed eventualmente dell'utilizzo di fondi pubblici per pagare un riscatto, che è un po’ come se lo Stato, per difendere i commercianti, pagasse il pizzo alla mafia o alla camorra; siamo a questo livello, siamo allo stesso identico livello. Si tratta di soldi che vengono utilizzati, se confermato, per liberare persone sequestrate e certamente lo scopo è assolutamente nobile, per salvare delle vite umane, però ci si dimentica di tutti quelli che, per questioni economiche, rischiano il suicidio. Quelli non vanno tutelati ? Allora, ci deve essere – ripeto – un punto di principio.
  Ma spostandoci sul piano internazionale, se è vero che voi avete pagato il Pag. 56riscatto, siete folli, perché, se è vera questa notizia, voi, con questo pagamento, avete messo in difficoltà e in serio rischio tutti gli italiani che sono in giro per il mondo, non solo in zone potenzialmente a rischio, ma anche in giro per il mondo, anche per motivi di lavoro.
  Infatti, se passa il concetto che l'Italia, qualsiasi suo cittadino venga rapito, è disposta a pagare un riscatto, è chiaro che il livello di attenzione nei confronti dei cittadini italiani si innalza, perché sanno benissimo, soprattutto non tanto i terroristi, ma i criminali, le organizzazioni criminali, che rapire un italiano rende. Sottolineo anche un'altra cosa, Ministro: forse non le è sfuggito che la fonte che, per prima, ha dato la notizia – ripeto, che mi auguro venga smentita, ma che qualcuno, però, ci deve smentire in maniera categorica oppure confermare – del riscatto di 12 milioni è una fonte inglese.
  Inglesi, quelli che hanno lasciato, per loro scelta, non trattando con i terroristi, che i loro cittadini venissero sgozzati in televisione. Che rapporti pensate di avere adesso nei confronti dei nostri Paesi alleati, quando voi pagate i riscatti per liberare i cittadini italiani e loro, invece, non piegano la testa nei confronti di questa gente, di questi terroristi, di questi criminali ? Questo è un tema dirimente, ripeto, non solo per queste due persone.
  Se fosse vero, poi, le loro famiglie dovrebbero rifondere questi soldi, perché comunque almeno evitiamo che, in futuro, possano accadere queste cose, dando un segnale chiaro. Prima il collega Alli diceva: «Come hanno fatto le famiglie a non spiegare a queste persone... ?». Io non penso che le persone diventino intelligenti con una legge, però, in qualche modo, può essere un deterrente applicare quello che è il cosiddetto modello giapponese...

  PRESIDENTE. Concluda.

  GIANLUCA PINI. ... e cioè – finisco, concludo – le persone che si recano in zone a rischio, senza un'autorizzazione, lo fanno a loro rischio e pericolo, e qualsiasi costo per la loro liberazione deve essere posto a loro carico.
  Così come è assolutamente importante, visto che ci sono delle ONG che operano seriamente, e non in maniera improvvisata, come hanno fatto queste due ragazze, improvvisata e incosciente, come hanno fatto queste due ragazze, che quelle che operano devono essere autorizzate con una sorta di nulla osta; tutti gli altri ne devono rispondere personalmente o tramite le loro famiglie (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Fucsia Fitzgerald Nissoli. Ne ha facoltà.

  FUCSIA FITZGERALD NISSOLI. Grazie, Presidente. Signor Ministro, siamo stati felici di vederla accogliere a Ciampino, questa mattina, alle 4,20, le giovani Greta e Vanessa, riportate finalmente a casa dopo essere state rapite il 31 luglio del 2014 nel nord della Siria. Quindi, senza indugio, ci complimentiamo con lei, con l'unità di crisi della Farnesina, con i servizi di intelligence, per le sinergie che si è riusciti ad attivare per raggiungere l'obiettivo della liberazione.
  Tuttavia, la vicenda ci pone all'attenzione dei problemi che vanno affrontati con chiarezza. È lodevole che in Italia vi siano molti giovani mossi da ideali umanitari, e questo va incoraggiato, ma riteniamo che vi debba essere un'informazione più efficace sui pericoli che si corrono e che occorra favorire il coordinamento con le istituzioni anche a livello europeo, senza nulla togliere all'iniziativa bella, lodevole e preziosa del volontariato spontaneo.
  Oggi è un giorno di festa, perché abbiamo due italiane rapite ed ora a casa dalle loro famiglie, nella loro patria, ma non possiamo dimenticare chi è ancora nelle mani dei sequestratori. E il mio pensiero, come ha appena fatto lei, signor Ministro, non può che correre a Giovanni Lo Porto, rapito nel 2012 nel Punjab, e a padre Paolo Dall'Oglio, gesuita, sequestrato a fine luglio 2013, sempre in Siria.Pag. 57
  In particolare, padre Dall'Oglio, uomo di dialogo, proprio in Siria aveva promosso il dialogo interreligioso, e pertanto simbolo chiaro di una pacificazione che il terrore non vuole raggiungere. Dopo avere temuto per la sua esecuzione, le ultime informazioni – che lei, signor Ministro, potrà confermare se attendibili – ci dicono che sarebbe prigioniero dell'ISIS a Raqqa.
  Ecco, signor Ministro, esultiamo per Greta e Vanessa, ma le chiediamo di portarci a casa, il prima possibile, tutti gli ostaggi ancora nelle mani dei rapitori. Inoltre, credo che vada fatta una riflessione approfondita su come aiutare gli operatori umanitari ad esercitare il loro ruolo in sicurezza e con efficacia. A tale proposito, riteniamo opportuno per chi parte un colloquio preventivo con l'unità di crisi della Farnesina e l'istituzione di un apposito registro nazionale, oltre a quello già esistente dei cooperanti. Quindi, signor Ministro, ancora una volta grazie per il lavoro fatto e avanti con determinazione ad attivare tutte quelle innovazioni necessarie per garantire alle organizzazioni umanitarie e al volontariato il difficile equilibrio fra il massimo di efficacia e la sicurezza.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Locatelli. Ne ha facoltà.

  PIA ELDA LOCATELLI. Grazie, Presidente, signor Ministro, voglio dirle subito che ho molto apprezzato il suo intervento. Non poteva usare parole e concetti più convincenti, e di questo la ringrazio. Come ho detto ieri, di fronte a dei tragici eventi che si concludono positivamente, non si può che essere felici. La vita di due ragazze, Greta e Vanessa – che alcuni hanno definito ingenue e sprovvedute ma che, come lei, definisco soprattutto generose e coraggiose – e l'impegno dello Stato per salvarle non devono né passare in secondo piano, né essere svillaneggiati, in nome della fermezza o da considerazioni di tipo economico. Non sappiamo se sia stato pagato o meno un riscatto, ma questo ha poca importanza per noi. Quello che conta è che le ragazze sono tornate a casa, provate ma salve. Come ha detto oggi Domenico Quirico su «La Stampa», non parliamo di riscatto, di soldi; lasciamo la vergogna, tutta, ai loro rapitori. Ha fatto bene però a venire, signor Ministro, ad informarci e ovviamente a raccontarci il raccontabile, sottolineando che la squadra ha operato secondo regole e comportamenti condivisi a livello internazionale. Questo a noi basta. Non possiamo pretendere, come ha fatto qualcuno, di conoscere i dettagli della trattativa perché questo indebolirebbe la capacità di intervenire dello Stato in analoghe tragiche situazioni. Ci interessa questo esito, ma ci interessano anche gli esiti futuri. E quindi siamo grati alla nostra diplomazia, ai servizi di intelligence, alla squadra tutta che hanno svolto al meglio il loro lavoro. E spero che lo stesso metodo utilizzato per portare a casa Vanessa sia utilizzato per portare a casa padre Dall'Oglio, i due Vescovi di Aleppo, Lo Porto e tutte le persone che rischiano o che rischieranno in analoghe situazioni. Ieri, Papa Francesco ha ricordato che non si uccide in nome di Dio e noi aggiungiamo che non si lascia uccidere in nome della fermezza. Qualcuno ha detto anche che non dobbiamo mai piegarci alla logica del riscatto. Noi socialisti rispondiamo a questa affermazione con un'altra affermazione: non dobbiamo vergognarci di essere umani. Per noi l'umanità, sentimento prezioso di solidarietà umana, è un valore a cui ci sforziamo di ispirarci per guidare i nostri comportamenti e chiediamo che pure il Governo lo faccia in tutte le analoghe situazioni. La ringrazio, davvero la ringrazio.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Locatelli. È così esaurita l'informativa urgente del Governo.
  Sospendiamo, a questo punto, la seduta che riprenderà alle ore 15 con la discussione sulle linee generali delle mozioni concernenti iniziative per il riconoscimento dello Stato di Palestina.

  La seduta, sospesa alle 14, è ripresa alle 15.

Pag. 58

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LAURA BOLDRINI

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione alla ripresa pomeridiana della seduta.
  I deputati in missione sono complessivamente settantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione delle mozioni Palazzotto ed altri n. 1-00675, Rizzo ed altri n. 1-00625, Locatelli ed altri n. 1-00627 e Gianluca Pini ed altri n. 1-00699 concernenti iniziative per il riconoscimento dello Stato di Palestina (ore 15,07).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Palazzotto ed altri n. 1-00675, Rizzo ed altri n. 1-00625, Locatelli ed altri n. 1-00627 e Gianluca Pini ed altri n. 1-00699 concernenti iniziative per il riconoscimento dello Stato di Palestina (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritto a parlare il deputato Palazzotto, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00675. Ne ha facoltà.

  ERASMO PALAZZOTTO. Grazie signora Presidente, noi ci troviamo in questa Aula ad affrontare una discussione complessa. Ci troviamo ad affrontare una discussione su un conflitto che potremmo ormai definire secolare, quanto meno nella sua capacità di attraversamento di due secoli della nostra storia. Un conflitto che non è un conflitto geograficamente collocabile, perché il conflitto palestinese è ormai, da molti anni, centrale dentro la regione mediorientale e io penso che sia un conflitto che riguarda oggi tutto la comunità internazionale e, probabilmente, è arrivato il momento che la comunità internazionale si assuma le proprie responsabilità rispetto a questo conflitto. Noi ci troviamo ad affrontare un conflitto che ha radici storiche antiche e che ha attraversato diverse momenti in cui sembrava si fosse ad un passo dalla pace. È utile ricordare che quando più vicini si è stati alla pace, tanta più forte è stata la capacità degli estremismi di colpire e di affondare quel processo di pace. E nel 1994 fu l'omicidio dell'allora Premier israeliano, Yitzhak Rabin, a porre fine a un processo di pace, forse al primo vero processo di pace, che sembrava iniziare un nuovo cammino per il popolo israeliano e per il popolo palestinese. È da tempo, ormai, che le parole e la retorica, su questo conflitto, si sprecano. Tutti ci diciamo a parole disponibili, ci diciamo a parole impegnati, per arrivare ad una soluzione che guardi all'esistenza di due popoli e di due Stati. Al contrario, però, tutti i tentativi, anche di mediazione, della comunità internazionale o del Governo degli Stati Uniti, vani si sono rivelati in questo senso ed ogni volta ci siamo trovati a dovere ricercare le cause del fallimento di questo o di quel negoziato di pace. Noi qui non stiamo discutendo della possibilità, o meno, che in quel conflitto vengano individuati dei responsabili e che quei responsabili siano chiamati davanti ad un tribunale per dare ragione a una parte o all'altra in causa. Noi siamo qui, nel Parlamento italiano, ad aprire una discussione che in qualche modo riporti quel conflitto al centro del dibattito politico del nostro Paese, dell'Europa e di tutta la comunità internazionale e che provi a vedere che cosa, dopo tutto questo tempo, sta accadendo oggi in Palestina, che cosa sta accadendo oggi in Israele, alle mutazioni che, in qualche Pag. 59modo, quel conflitto ha prodotto dentro la società israeliana e dentro la società palestinese. Io credo che, se noi vogliamo realmente affrontare la questione che il conflitto israelo-palestinese pone oggi alla nostra attenzione, dobbiamo partire da qui. Dobbiamo partire da come la radicalizzazione di quel conflitto rischia di cancellare le basi per la sua risoluzione.
  Dobbiamo partire dagli eventi ultimi accaduti e dal fatto che un mutamento anche delle tecniche di conflitto e degli attentati che ci sono stati in questi ultimi mesi a Gerusalemme è in qualche modo avvenuto. Noi per la prima volta abbiamo avuto un attentato dentro una sinagoga. Vorrei ricordare che, al contrario delle strumentalizzazioni politiche che in questi giorni e in questi mesi sono state fatte, nel conflitto israelo-palestinese non c’è mai stato un punto di conflitto religioso o di scontro di civiltà. Quel conflitto si è svolto, in maniera anche molto violenta e cruenta negli anni, sempre su un punto politico, ovvero il diritto all'esistenza dello Stato di Israele, da una parte, e il diritto all'esistenza di uno Stato palestinese dall'altra. Noi abbiamo visto come quel conflitto abbia prodotto un mutamento dentro la società israeliana da una parte e palestinese dall'altra.
  Parlavo degli attentati che per la prima volta si sono rivolti ad una sinagoga e parlavo d'altra parte anche del dibattito, che in questo momento attraversa la politica israeliana. C’è l'idea di una riforma della Costituzione, che cambi anche il nome dello Stato di Israele e che lo trasformi nel focolare del popolo ebraico, trasformando quello Stato, che è uno Stato che garantisce libertà civili e libertà di religione, in uno Stato confessionale. Penso che l'estremizzazione di quella posizione ci debba fare riflettere, esattamente come i sondaggi che ci hanno detto, durante il conflitto di Gaza, che il 93 per cento della popolazione israeliana era d'accordo sull'intervento militare, che il 67 per cento della popolazione israeliana riteneva quell'intervento militare adeguato e che appena un 30 per cento, pur essendo d'accordo con l'intervento militare, lo definiva sproporzionato rispetto all'offensiva che era in corso.
  Dobbiamo riflettere di questo, perché quando oltre il 90 per cento di una società non riesce più ad opporsi ad un conflitto e ad una guerra, come quella che ha vissuto Gaza, c’è un problema. Di questo oggi noi dobbiamo riflettere in quest'Aula. Se da un lato io penso che vada difeso il diritto a vivere in pace e sicurezza del popolo israeliano, dall'altra parte, ritengo che questo diritto non si possa fondare sull'oppressione di un altro popolo, che è il popolo palestinese, che ormai da troppo tempo vive sotto un regime di occupazione e che vede negati la maggior parte dei diritti fondamentali e dei diritti umani. Non voglio stare qui a discutere delle responsabilità dei Governi israeliani, rispetto anche alla violazione dei diritti umani e ai crimini commessi, soprattutto nei recenti interventi a Gaza. Ma vorrei provare a discutere di che cos’è oggi, di come si sviluppa oggi quel conflitto nella sua parte a bassa intensità. Vorrei discutere di che cos’è il muro della vergogna, il muro dell’apartheid, che divide oggi Israele e Palestina, anzi, che annette oggi un pezzo di territorio della Palestina allo Stato israeliano, sottraendo non solo risorse, ma anche dividendo intere famiglie, interi villaggi, isolando intere città, come succede a Qalqilya.
  Vorrei discutere qua di che cosa è l'operazione di colonizzazione nei territori occupati, di che cosa significa, non solo dal punto di vista della sottrazione di territorio dei palestinesi, ma anche dal punto di vista della vita dei palestinesi che vivono in prossimità di quelle colonie. Vorrei discutere della legalità internazionale e di tutte le risoluzioni che le Nazioni Unite hanno emesso nei confronti del conflitto israelo-palestinese e che lo Stato di Israele continua a disattendere.
  Penso che dovremmo provare a guardare a quel conflitto, sapendo che le forze in campo non sono uguali, che c’è una sproporzione e che non è un conflitto paritario e che a quella sproporzione corrisponde anche una diversa responsabilità. Pag. 60Penso che il dibattito che stiamo facendo sul riconoscimento dello Stato palestinese oggi sia un dibattito che riguarda anche la responsabilità della comunità internazionale.
  Noi non possiamo ritenere, da un lato, a parole, che debbano esistere due popoli e due Stati e, dall'altro lato, lasciare che la realizzazione di questo sogno, di questa idea possa essere affidata esclusivamente alle parti in causa. Se vogliamo che un processo di pace sia vero, noi abbiamo bisogno di riequilibrare la proporzione delle forze in campo anche dentro il tavolo negoziale.
  Per questo la proposta che noi sottoponiamo oggi a quest'Aula è una proposta che ha già avuto il vaglio di diversi Parlamenti europei. Ricordiamo che per prima la Svezia ha riconosciuto lo Stato di Palestina; il Parlamento britannico, poi quello francese, poi quello spagnolo si sono espressi impegnando i propri Governi a riconoscere lo Stato di Palestina. Da ultimo si è aggiunto anche il Parlamento europeo, con una risoluzione che dice chiaramente che è il momento in cui l'Europa e i Paesi europei si assumano la responsabilità di riconoscere l'esistenza di uno Stato palestinese.
  E più volte nel dibattito, anche di questi giorni, si è parlato dell'opportunità di avanzare un riconoscimento formale dello Stato palestinese in questo momento. Se ne è discusso impropriamente e strumentalmente a proposito del momento storico, di un collegamento che non trova nessuna ragione logica con gli attentati di Parigi. Se ne è discusso rispetto all'inopportunità in un momento difficile del negoziato. Infatti, siccome questo riconoscimento turba uno dei soggetti in causa e in qualche modo irrigidirebbe le trattative in corso, allora non è opportuno in questo momento affrontare questa discussione.
  Io penso, invece, che sia il contrario. Io penso che riconoscere oggi lo Stato di Palestina sia un modo per dare ai palestinesi un peso diverso e anche una responsabilità maggiore dentro quel tavolo negoziale. E penso che sia il modo per riportare la risoluzione di questo conflitto nell'alveo del diritto internazionale. Infatti, vorrei ricordare che in questo momento il conflitto non è tra due Stati, è tra uno Stato sovrano, con un esercito e, dall'altra parte, un'autorità nazionale che non ha l'uso legittimo della forza, che non possiede un esercito e un popolo che subisce ogni giorno le mortificazioni legate a quelle che Israele definisce misure di sicurezza, ma che in realtà connotano una vera e propria occupazione.
  E allora il riconoscimento formale di uno Stato ai palestinesi e per i palestinesi, il riconoscimento formale di un diritto dei palestinesi ad avere uno Stato diventa anche un modo per garantire a loro dei diritti e dei doveri. Riportando quel negoziato di pace dentro l'alveo del diritto internazionale si iscrivono al popolo palestinese dei diritti aggiuntivi che il diritto internazionale richiama e io penso che da questo punto di vista si dà allo Stato e al Governo israeliano la possibilità di ritornare nell'alveo della legalità internazionale.
  Noi non siamo qui a discutere, come il messaggio che qualcuno in questi giorni ha provato a far passare, dei diritti del popolo palestinese contro quelli del popolo israeliano. Noi siamo qui oggi a discutere della possibilità che quei due popoli possano vivere in pace, in sicurezza e con le relative libertà che la pace e la sicurezza garantiscono.
  Però, vedete, dobbiamo provare a fare un passo avanti, non penso che basti enunciare questi elementi. Io credo che dobbiamo avere la capacità, come anche molti intellettuali israeliani e palestinesi stanno facendo in questi giorni, di provare ad immaginare delle soluzioni, di provare ad andare avanti anche rispetto a quella che è stata l'elaborazione classica. Io penso che noi dobbiamo avere nel cuore l'idea di una sfida che vada oltre il riconoscimento di due Stati che continuano a vivere separatamente e in conflitto. Penso che anche l'idea di due Stati federati possa essere un modo per avanzare un dibattito da questo punto di vista e credo che il riconoscimento dello Stato di Palestina sia un passo ulteriore in questa direzione. Pag. 61Credo che il riconoscimento dello Stato di Palestina, da questo punto di vista, possa in qualche modo agevolare il processo di pace.
  Noi abbiamo oggi questa responsabilità, quella di riconoscere lo Stato di Palestina e dare ai palestinesi finalmente quello che da anni loro rivendicano, ovvero il diritto di essere riconosciuti. Infine, penso che non sia più il momento per la comunità internazionale di rimanere in disparte, di fare l'osservatore, al massimo il mediatore. Io penso che la comunità internazionale debba assumersi la responsabilità – e il nostro Paese e l'Europa devono essere in prima fila in questo – per trovare una soluzione pacifica e avere la capacità di imporla, perché dalla risoluzione del conflitto israeliano inizia il percorso di pacificazione in Medio Oriente. Il Medio Oriente oggi è una terra, come abbiamo modo di vedere nella discussione precedente – e concludo, Presidente –, in cui la parola libertà è una parola che è stata cancellata perché non esistono più le libertà fondamentali in una terra martoriata come quella. E io penso che noi abbiamo bisogno di restituire libertà a un'intera parte del mondo e per restituire la libertà...

  PRESIDENTE. Concluda.

  ERASMO PALAZZOTTO. ... serve la pace, perché non può esistere una libertà senza la pace (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Rizzo, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00625. Ne ha facoltà.

  GIANLUCA RIZZO. Grazie Presidente, gentili colleghi, il MoVimento 5 Stelle è stato il primo gruppo a depositare in quest'Aula la mozione per il riconoscimento dello Stato palestinese da parte dell'Italia. Ma è doveroso premettere che non ci interessano primogeniture, anzi siamo felicissimi che anche altri gruppi e colleghi abbiano presentato mozioni di tenore analogo. Un atto che non assume solo un valore simbolico, ma che è anche carico di pragmatismo. Un gesto coerente con la storia democratica di questo Paese in seguito al critico processo di pace promosso dalla comunità internazionale con gli accordi di Oslo all'inizio degli anni Novanta. Come sempre i processi storici sono lunghi e tortuosi. A volte la violenza annebbia la vista facendo smarrire gli obiettivi. Ma nonostante ciò, decenni di accordi internazionali rappresentano un faro per procedere in questi tortuosi e complessi tempi. Alla recente strage di Parigi occorre reagire con determinazione contrapponendo alla violenza del terrorismo ovviamente la necessaria vigilanza di intelligence e militare, ma anche – e vorremmo dire soprattutto – la forza del diritto. È questa la sfida a cui tutti i Paesi democratici sono chiamati: respingere le isterie islamofobiche e rispondere alle richieste di dignità e libertà dei popoli attraverso la diplomazia e l'ostinata ricerca della pace. Non si può strumentalmente usare la strage alla redazione del settimanale francese Charlie Hebdo per inibire una discussione sulla sacrosanta aspirazione del popolo palestinese di avere una patria e vivere dentro il diritto internazionale. D'altronde, il Presidente dell'Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, era, non a caso, alla grande manifestazione di Parigi di domenica scorsa a portare la solidarietà del popolo palestinese a quello francese. Francia, il cui Parlamento, come ricordo, ha già approvato a larghissima maggioranza una mozione analoga a quella che stiamo discutendo sul riconoscimento dello Stato di Palestina. L'Italia è un Paese cardine del Mediterraneo ed è anche interesse per la nostra sicurezza che la vicenda palestinese si avvii finalmente verso una soluzione normata dal diritto internazionale. Il problema del riconoscimento della Palestina è anzitutto quello di recuperare un ruolo della comunità internazionale nella risoluzione di un conflitto che le parti non sono state in grado di risolvere o che è degenerato in una colonizzazione de facto di una delle due parti contro quella più debole. Il dibattito sul tema degli ultimi Pag. 62mesi ha subito un'accelerazione. Basti pensare all'effetto domino che la scelta della Svezia, primo Paese europeo a riconoscere ufficialmente lo Stato di Palestina, ha positivamente innescato trascinando in pochi mesi ad una scelta analoga da parte del Congresso dei deputati di Spagna, della Camera dei comuni inglese, del Parlamento irlandese e, appunto, dall'Assemblea nazionale francese. Anche il Parlamento europeo ha avuto modo di approvare una risoluzione che chiede agli Stati membri di voler intraprendere questa strada maestra dando dignità di Stato al popolo palestinese. Tutte queste mozioni sono state ispirate ad uno spirito di rispetto del diritto di Israele ad esistere e a vivere in pace. D'altronde, solo la pace è un buon investimento e finché dureranno occupazione di territori, muri divisori, nuove ed illegali colonie, arresti indiscriminati, omicidi mirati, né il popolo di Israele, né il popolo palestinese saranno al sicuro. L'Italia è stata per anni all'avanguardia delle relazioni con il mondo arabo guadagnando sul campo il rispetto reciproco di quei popoli.
  Lo ottenne certo la nostra diplomazia, ma anche i nostri militari in Libano, quando il contingente guidato dal generale Angioni, chiamato a garantire il trasferimento dei guerriglieri dell'OLP a Tunisi, fu l'unico contingente militare internazionale a non essere fatto oggetto di alcuna ostilità.
  Negli ultimi anni, purtroppo, questa vocazione ad essere portatori di pace nel Mediterraneo si è andata via via assottigliando, specialmente da parte della politica che ha preferito schierarsi ideologicamente dalla parte del Governo israeliano – sempre più composto da personalità legate alle colonie illegali – invece di chiedere con la necessaria fermezza il rispetto degli accordi sottoscritti e del diritto internazionale.
  Un tempo saremmo stati i primi ad approvare la mozione per il riconoscimento dello Stato di Palestina ed invece solo oggi abbiamo finalmente questa opportunità.
  Certo la società civile italiana, al contrario, anche in questi anni difficili ha continuato a lavorare con le società civili israeliana e palestinese con progetti di cooperazione dal basso, di sostegno alle popolazioni, di scambio culturale.
  Pensiamo a persone straordinarie come Vittorio Arrigoni, testimone degli orrori israeliani a Gaza ed al contempo ucciso da un gruppo di fondamentalisti. Proprio il suo: stay human, il suo restare umani, oggi impone a noi deputati della Repubblica di approvare questa – e le altre mozioni che hanno analogo contenuto – per riconoscere lo Stato di Palestina.
  Solo la pace e la giustizia – ed entrambi si basano sul diritto internazionale – possono bonificare i pozzi di odio alimentati dal fondamentalismo. Tutti i fondamentalismi intendo: quelli del terrorismo islamico ma anche del terrorismo sionista, quello che, per intenderci, ha armato la mano assassina che ha ucciso Yitzhak Rabin, il Premier israeliano che con quello palestinese, Arafat, aveva firmato la pace.
  I detrattori del non riconoscimento dello Stato di Palestina ci dicono che è prematura, che è troppo presto. Troppo presto ? Prematura ? Dal 1948 il popolo palestinese attende di poter vivere come gli altri popoli sulla sua terra. Sono 67 anni che attendono.
  Si dice – lo dice l'ambasciatore israeliano, ma abbiamo letto anche diverse forze politiche – che riconoscere la Palestina sia un errore che non aiuta la pace.
  È vero l'esatto opposto. Se noi non facciamo capire al governo di Tel Aviv che non sono più accettabili le violazioni del diritto internazionale, se noi non restituiamo anche agli occhi dei palestinesi la credibilità della via diplomatica per la risoluzione dei conflitti, allora dall'una e dall'altra parte si alimenteranno le politiche di guerra.
  Noi, Europa, abbiamo il dovere di stroncare questa spirale.
  Donne, uomini, bambini e bambine palestinesi, vivono oggi in una sorta di Bantusthan sudafricani dei tempi dell’apartheid, oppressi da insediamenti militari Pag. 63e colonie illegali condannate dal diritto internazionale da decine di risoluzioni dell'ONU, un territorio costretto ogni giorno a cedere diritti e dignità di fronte allo strapotere della violenza.
  Tutto ciò non ha portato più sicurezza per gli abitanti di quelle zone: gli israeliani vivono un continuo clima di militarizzazione e terrore, i palestinesi subiscono l'occupazione militare continua e indefinita.
  Centinaia di rapporti delle organizzazioni umanitarie, di Agenzie ONU, della Croce Rossa e dei due Governi, danno le cifre del complesso fenomeno dell'occupazione militare e forse possono darci un'idea, seppur vaga, di cosa sia un'occupazione, ovvero: una sistematica politica di segregazione dei palestinesi.
  Le cifre, infatti, non lasciano alcun dubbio sul carattere fortemente asimmetrico del conflitto israelo-palestinese. È forse poco corretto parlare di conflitto, in quanto presupporrebbe due eserciti che si confrontano.
  Sul lato palestinese, infatti, le organizzazioni combattenti sono formate da qualche migliaio di uomini con armamenti artigianali, spesso enfatizzati dalla propaganda di guerra di entrambe le fazioni, ma nei fatti assolutamente risibili in termini di potenziale militare, rispetto ad un esercito che negli ultimi anni ha ricevuto almeno 30 miliardi di dollari di aiuti militari ufficiali dagli USA e che ne spende altri 6 per incentivare la politica delle colonie, cosa che è illegale e condannata da decine di risoluzioni dell'ONU.
  Drammaticamente parlano le cifre. Dall'agosto del 2005 al luglio del 2014, in totale sono stati uccisi 7.096 palestinesi e 138 israeliani; 7.900 minori sono stati rinchiusi nelle carceri israeliane; dal 2002 Israele ha invaso ben 3 volte le città di Gaza, Ramallah ed altri centri minori ed ha bombardato in maniera massiccia i centri abitati – anche con l'uso di armi proibite come quelle al fosforo bianco – ben 5 volte !
  A queste azioni si aggiungano: i continui rastrellamenti sul territorio palestinese che coinvolgono civili e minori, con migliaia di arresti e la pratica degli omicidi mirati che diffonde odio e terrore.
  La realtà odierna vede un popolo di 9,2 milioni di abitanti, di cui più della metà è in esilio principalmente nei Paesi confinanti. Non passa giorno che alberi secolari di ulivo – simbolo della nostra civiltà – non siano divelti. Considerando una superficie approssimativa di circa 6000 kmq e una densità di 670 abitanti per kmq, incluse le colonie, si può facilmente dedurre quanto questo popolo viva ammassato l'uno sull'altro, situazione aggravata anche dalle 25 mila demolizioni che hanno causato 160 mila senzatetto.
  Le conferenze di pace avevano visto protagoniste le migliori intenzioni: blocco degli insediamenti illegali e un trattato con la prospettiva di due popoli, in due Stati, che avrebbero vissuto in pace o, almeno, in assenza di guerra. Nel 1993 Conferenza di Oslo; poi Oslo II nel 1995; nel 2000 Camp David; nel 2001 Taba; Annapolis nel 2007; Washington nel 2010 e nuovi incontri nel 2013. Ma dal 1993 in poi, la politica di espropri e colonizzazione del territorio, è proceduta in maniera spedita. Almeno 53.000 case costruite dal Governo per i coloni dall'inizio degli anni Novanta a oggi. Le colonie rappresentano il principale ostacolo alla pacificazione dell'area, poiché ad esse sono legati una serie di processi di aggressione e segregazione. Per le colonie illegali, lo Stato spende circa 6 miliardi di dollari all'anno.
  L'acqua è un altro degli strumenti di privazione della sovranità del popolo palestinese sulle proprie risorse. Gli acquedotti sono controllati dal Governo israeliano che stabilisce la razione annuale di acqua per ogni palestinese. Stessa cosa è avvenuta per tutte le infrastrutture civili: la centrale elettrica di Gaza è stata completamente distrutta durante l'operazione militare «Margine protettivo». Tutt'ora i palestinesi di Gaza vivono al buio o con forti problemi di uso dell'energia elettrica.
  La solennità del luogo in cui ci troviamo, gentili colleghi, impone alti valori che troppo spesso – in questa Aula – sono ignorati. In questa Aula, oggi, noi parlamentari Pag. 64abbiamo un'occasione storica per avanzare, in modo significativo, sul terreno della pacificazione del conflitto arabo-israeliano. Noi, oggi, riconoscendo lo Stato palestinese, serviamo la causa dell'Italia perché il nostro Paese, come quelli europei, è il primo a subire l'instabilità che il conflitto produce. Riconoscere lo Stato di Palestina significa porre le basi per una futura e duratura pace. I Palestinesi vogliono vivere in pace, come ogni altro popolo su questo pianeta. Gli Stati che si autodefiniscono «democratici» hanno l'obbligo morale di riconoscere a questa popolazione il diritto ad esistere.
  Signor Presidente, l’apartheid in Sudafrica è ufficialmente iniziata nel 1948, ma è terminata nel 1994 con la liberazione di Nelson Mandela – lo stesso uomo con cui Renzi si è fatto fotografare qualche anno fa; negli Stati Uniti è iniziata nel 1870, per poi essere abolita entro il 1968; in Rhodesia venne istituita nel 1965 per essere abolita nel 1979. In tutti questi casi la discriminazione e l'assoggettamento vennero giustificati con esigenze di sicurezza e di contrasto contro il terrorismo. Questa è la storia e la storia ci insegna che, fu grazie alle mobilitazioni dei popoli europei e del mondo che si creò la pressione necessaria per l'abolizione di questi orrori.
  E allora, colleghi e colleghe, facciamo sì che le parole Salãm e Shalom che significano entrambi pace possano avere le gambe e la forza per marciare compiendo il semplice atto di riconoscere l'entità statuale di una delle due parti in conflitto. Presidente, perché nostro compito è costruire ponti, non elevare muri e quello che è stato innalzato tra israeliani e palestinesi non può che essere abbattuto dalla diplomazia e dalla scelta di una politica coraggiosa (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Locatelli, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00627 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

  PIA ELDA LOCATELLI. Grazie signora Presidente, inizio l'illustrazione della nostra mozione affermando che è interesse primario della politica estera italiana ed europea contribuire a comporre il conflitto israelo-palestinese con una pace giusta e durevole. D'altro canto, a proposito di Europa, il Parlamento europeo ha votato nel dicembre scorso una risoluzione che sostiene l'opportunità di un pieno riconoscimento della Palestina, nei confini che gli sarebbero internazionalmente riconosciuti.
  Non intendo ripercorrere le tappe di questo doloroso conflitto ed elencare tutte le risoluzioni ONU, la cui mancata attuazione ha alimentato scontri e tensioni.
  Ricordo solo che queste risoluzioni hanno sempre indicato una precisa distinzione tra territori di pertinenza dello Stato di Israele e territori di pertinenza di uno Stato palestinese indipendente, a fianco e in pace, di quello israeliano.
  Riassumendo le tappe più importanti, possiamo dire che da quarant'anni si assiste alla progressiva costruzione di un soggetto statale palestinese. Una tappa importantissima furono i negoziati dei primi anni Novanta che portarono agli accordi di Oslo del 1993, sottoscritti dal Primo Ministro israeliano Rabin e dal Presidente palestinese Arafat, che posero le fondamenta per il reciproco riconoscimento tra Israele e Palestina. A partire dall'assassinio di Yitzhak Rabin, nel novembre 1995, il ciclo di violenza si è ulteriormente esacerbato e gli insediamenti israeliani, specialmente attorno a Gerusalemme, continuano ad espandersi, rendendo nei fatti difficilmente praticabile la stessa esistenza dello Stato palestinese. Al tempo stesso, la presenza nel territorio di Gaza di un'amministrazione de facto del movimento Hamas ha costituito un elemento ulteriore di destabilizzazione, così come quelle reazioni israeliane che si sono configurate come un uso eccessivo del diritto di autodifesa, diritto chiaramente legittimo.
  Oggi, il negoziato tra Israele e Palestina è bloccato. Ed è per questo che si è fatta largo, nella comunità diplomatica internazionale, la convinzione che occorresse per lo meno garantire alla parte palestinese la pari dignità sul piano giuridico e diplomatico. Pag. 65La risoluzione dell'Assemblea generale dell'ONU 67/19 del 2012, approvata anche con il voto favorevole dell'Italia, a favore dello status di Stato osservatore non-membro, con la definizione di «Palestina» e successivamente l'uso del nome di «Stato di Palestina», è stata un primo passo in questo senso, a cui è seguito, il 7 gennaio scorso, l'annuncio del Segretario Generale Ban Ki-moon che dal 1o aprile 2015 la Palestina potrà accedere al tribunale penale internazionale.
  Intanto, anche in altri Paesi europei ci si è mossi di conseguenza: la Svezia ha riconosciuto nei mesi scorsi la Palestina in quanto Stato, andando così ad aggiungersi ad altri otto Paesi UE. Hanno preso posizione nella stessa direzione i parlamenti di Francia, Spagna, Irlanda, Regno Unito. L'Italia non può essere assente. Tanto più che già oggi la Palestina ha in Roma una rappresentanza diplomatica riconosciuta, così come l'Italia ha un consolato per la Palestina a Gerusalemme est.
  Perché riteniamo che l'Italia debba unirsi a questo ampio movimento diplomatico internazionale ? In primis noi socialisti riteniamo che sia importante sostenere la leadership legittima del Presidente Abbas e delle istituzioni palestinesi, scongiurando il rischio di un rafforzamento di altre entità politiche che pretendono di rappresentare i palestinesi. Nello spirito della Carta dell'ONU, appare ormai indubbio che esista un popolo palestinese storicamente definito e un diritto di autodeterminazione da riconoscere, mentre sempre negoziabili dovranno essere i suoi confini e le altre condizioni, pur nel quadro delle risoluzioni ONU.
  La posizione dell'attuale governo israeliano che un pieno riconoscimento legale dello Stato di Palestina sia un atto unilaterale di interferenza non ci appare convincente, perché prefigura un diritto di veto non su interessi legittimi di Israele, ma sulla natura dello Stato di Palestina «per se». Ma, soprattutto, al contrario di quanto afferma l'attuale Ministro israeliano, noi riteniamo invece che il riconoscimento aiuterà a far avanzare il processo di pace.
  E mi permetto di dire a coloro che ritengono di condizionare il riconoscimento dello Stato di Palestina alla ripresa dei negoziati, che la ripresa dei negoziati non è, lo sottolineo, non è nelle sole mani del Presidente Abbas, e quindi porre tale condizione è, come posso dire, quasi paradossale. Anche molti esponenti autorevoli della società civile israeliana, come quelli che hanno firmato un appello in questo senso, la pensano come noi e sono scrittori, diplomatici, uomini e donne di prestigio ed esponenti politici israeliani non minori.
  A questo proposito mi permetto di invitarvi all'incontro che abbiamo organizzato, come gruppo PSI-PLI, mercoledì prossimo alle 12 nella sala del mappamondo, dove interverranno due esponenti israeliani e due esponenti palestinesi a parlare di questo tema. Mi avvio a concludere.
  Chiudo dicendo che riconoscere una pari dignità tra le due parti negoziali è, a nostro avviso, precondizione oggi alla ripartenza del negoziato, perché sostiene il potere legale del Governo palestinese legittimo e contribuisce a spingere entrambe le parti verso la strada del negoziato. È poi anche interesse dell'Italia, che deve avere un proprio punto di vista ed una propria agenda nel Mediterraneo.
  Per queste ragioni, con la nostra mozione, sottoscritta anche da colleghi e colleghe di SEL, del PD, del Centro Democratico e del gruppo Misto, chiediamo al Governo di riconoscere in maniera completa e definitiva lo Stato di Palestina e di compiere tutti i passi necessari e possibili affinché la questione venga posta all'ordine del giorno in tutti i Paesi membri dell'Unione europea.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Gianluca Pini, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00699. Ne ha facoltà.

  GIANLUCA PINI. Presidente, prima di illustrare la nostra mozione vorrei, senza polemiche però, puntualizzare, per il suo tramite, appunto la Presidenza, al collega Pag. 66Rizzo, del MoVimento 5 Stelle, che il Governo di Israele non è a Tel Aviv ma a Gerusalemme. Evidentemente, tante inesattezze che ho sentito riportare nell'illustrazione della mozione nascono anche dal fatto che quando si parla di questioni così delicate magari sarebbe bene anche tener conto di quelle che sono non sfumature ma questioni appunto di importanza rilevante. Noi, diversamente da tutti i colleghi che ci hanno preceduto, che rappresento i loro gruppi e probabilmente anche una sensibilità più ampia, abbiamo un approccio totalmente diverso rispetto a quello che potrebbe essere potenzialmente il riconoscimento dello Stato di Palestina.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARINA SERENI (ore 15,40)

  GIANLUCA PINI. Innanzitutto, non ci piacciono (non ci sono mai piaciute) prese di posizioni unilaterali, soprattutto in situazioni così delicate di conflitto continuo e certe volte anche crescente come quelle di quell'area, che, sappiamo benissimo, mai hanno portato a risultati positivi. Anzi, hanno portato sempre più ad allontanamenti. Quindi, chiaramente esprimiamo la nostra profonda preoccupazione per quello che è comunque un aggravarsi della crisi che avvolge la regione mediorientale e non solo, ma anche quella nord africana, dove, guarda caso, cresce pesantemente l'influenza dell'islam politico-radicale e le sue emanazioni jihadiste, che sono dedite, come abbiamo visto, alla lotta armata purtroppo anche all'interno dell'Europa. Va evidenziato come tale situazione di fatto costituisca un'obiettiva preoccupazione che accomuna l'Europa e lo Stato di Israele, che in quell'area, se l'allarghiamo anche al Maghreb, costituisce, insieme alla Tunisia, l'unico presidio democratico della regione.
  Non possiamo non far notare come lo Stato di Israele continui ad essere bersaglio di attacchi terroristici che tendono a negarne il diritto di esistere e a condizionarne il comportamento, sempre con quel meccanismo malato, che si è visto da parte dei terroristi palestinesi, di provocare delle reazioni militari secondo la triste e purtroppo stra-abusata logica del tanto peggio tanto meglio. Va ricordato, inoltre, come i territori appartenenti all'Autorità nazionale palestinese siano soltanto in parte sotto il controllo effettivo di Abu Mazen, non trovandovisi zone, ad esempio, come la Striscia di Gaza. Ci sono qui colleghi, come il collega Palazzotto, di cui apprezzo assolutamente la passione che mette su questo tema, seppur sia assolutamente distante poi il tipo di soluzione che andiamo a proporre o perlomeno la tipologia di percorso.
  È chiaro che la soluzione comune è quella di cercare un punto di caduta che sia sulle parole pace e convivenza. Ma, ripeto, queste fughe in avanti che si sono viste in Svezia, in Inghilterra e in altri Paesi, di un tentativo di riconoscimento unilaterale, senza arrivare in qualche modo a una mediazione con lo Stato di Israele, a un accordo bilaterale con lo Stato di Israele, non possono assolutamente portare a quel punto di caduta. Anzi, possono solo ed esclusivamente accelerare quelle che sono situazioni di crisi e di tensione.
  Dicevamo prima, ad esempio, che la Striscia di Gaza è sotto la predominante influenza di Hamas, che non è sicuramente un attore dialogante in quello che è lo scenario mediorientale, anzi, è di fatto legato all'articolazione locale della Fratellanza Musulmana, ha profondi contatti ed è di ispirazione jihadista e quindi anche qui c’è l'utilizzo della violenza per arrivare in qualche modo a continuare a dividere il mondo in questo due famose fazioni cioè tra i puri e gli impuri. È difficile trattare, negoziare con queste persone.
  Del resto non si può non sottolineare come proprio Hamas sia stato all'origine, nel corso dell'ultimo decennio, di aspri confronti militari con lo Stato ebraico, cosa che permette di concludere, come ragionamento, che l'Esecutivo presieduto da Abu Mazen non possiede sicuramente il monopolio della forza armata nei territori amministrati dall'Autorità nazionale palestinese, infatti dobbiamo anche valutare, e Pag. 67qui è uno scenario che si allarga ancora di più da un punto di vista geopolitica, come Hamas sia a livello internazionale appoggiato dalla Turchia, Paese che, ricordo, ha promosso un tentativo di violare il blocco marittimo imposto nei confronti della Striscia di Gaza con la famosa storia della Freedom Flotilla. La situazione geopolitica mediorientale appare, per noi ma non solo per noi, estremamente delicata e complessa e, torno a ribadirlo, ogni passo unilaterale conseguentemente, per noi, è un azzardo assolutamente inopportuno.
  Apprezziamo, comunque, questo dobbiamo dirlo per onestà intellettuale, che almeno una parte del sistema politico palestinese abbia accettato il metodo diplomatico come principale strumento d'iniziativa, archiviando la stagione del terrorismo che era legata alla vecchia Olp. Però riteniamo che la causa del processo di pace debba avanzare attraverso il dialogo di tutte le parti coinvolte e non, ripeto, con questi sostegni unilaterali che arrivano da Stati membri dell'Unione Europea o addirittura da Stati assolutamente lontani che magari hanno interesse, non di natura geopolitica ma di natura ideologica, a sostenere la creazione dello Stato di Palestina senza un accordo bilaterale con Israele. Noi siamo assolutamente convinti, fra l'altro, che in questo dialogo debba essere inclusa obbligatoriamente, oltre che gli Stati Uniti e l'Unione europea, assolutamente anche la Russia.
  Per questo noi abbiamo proposto nel dispositivo tre punti semplicissimi che, ripeto, al netto di quello che possono essere le valutazioni in premessa, riteniamo possono avere anche con un confronto prima del momento del voto, che avverrà nelle prossime settimane, la più ampia condivisione perché nessuno nega alla Palestina il diritto, dopo avere svolto un percorso veramente democratico e allontanato la parte violenta, di poter in qualche modo assurgere al concetto di Stato, di poter arrivare al punto di sviluppare una pace attraverso una sua costituzione, però questo non può prescindere, come abbiamo messo nel primo punto, da quello che è il dialogo. Cioè a non assecondare né agevolare ulteriori tentativi unilaterali dell'Autorità nazionale palestinese tesi ad ottenere il riconoscimento internazionale dello status di Stato sovrano senza che sia intervenuto un accordo bilaterale preventivo con lo Stato d'Israele.
  Il secondo punto è quello di sostenere la causa del dialogo diretto tra le parti coinvolte, e quindi non bypassarlo in qualche modo attraverso queste forzature, anche con l'apporto dell'Unione europea, degli Stati Uniti e, appunto come ricordavamo in premessa, della Federazione Russa.
  In ultimo, a favorire ogni genere di misura che possa contribuire all'indebolimento di Hamas, la cui presenza noi vediamo come un ostacolo insormontabile a qualsiasi processo di pace, in particolare escludendo il movimento islamista dalla gestione degli aiuti di ricostruzione della Striscia di Gaza.
  Come vedete, non abbiamo predisposto e presentato una mozione che ha una valenza ideologica di contrapposizione, ma consideriamo questa mozione un contributo fattivo a quello che è secondo noi il percorso naturale e più agevole per arrivare effettivamente a quel processo di pace che tutti quanti abbiamo richiamato, perché ancora una volta, e chiudo, le mosse unilaterali in scenari dove gli azzardi non hanno mai pagato, anzi hanno solo creato problemi, rischierebbero di allontanare sempre di più una soluzione pacifica e creare ulteriori tensioni all'interno di uno scacchiere internazionale che è quello mediorientale che già di tensioni ne ha tante, e che si sono già espanse anche nell'Africa e lo vediamo con creazione dello Stato dell'Isis, cioè di questo Stato islamico che sicuramente, se non contrastato adeguatamente, rischia di essere molto più ampio rispetto alla sua dimensione originaria.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Tidei. Ne ha facoltà.

  MARIETTA TIDEI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, io credo che discutendo Pag. 68sul riconoscimento della Palestina in quanto Stato, oggi siamo chiamati a due atti dovuti, di fronte ai quali non è possibile tentennare: uno di fronte alla storia e uno di fronte alle nostre coscienze. La storia ci parla di un popolo, quello palestinese, scacciato dalle proprie terre, costretto all'interno di confini labili e variabili, che vive una condizione di marginalità giuridica, economica e sociale, perennemente esposto ad azioni militari. Per troppi anni in quella martoriata terra la pace è stata invocata ma la pace non può essere solo invocata, va costruita con azioni concrete, ripristinando soprattutto la legalità internazionale e il rispetto delle risoluzioni ONU, per troppo tempo disattese. Abbiamo oggi, in occasione di questa discussione, l'opportunità di riparare in piccolissima parte ai torti della storia, ma è necessario riportare quel doloroso conflitto al centro del dibattito internazionale e la comunità internazionale deve assumersi le proprie responsabilità molto di più rispetto a quanto abbia fatto fino ad oggi. Le nostre coscienze guardano un popolo costretto a vivere in condizioni estremamente precarie: parliamo di campi profughi nati per essere una situazione temporanea, in cui le generazioni si sono susseguite. Parliamo di situazioni in cui servizi essenziali come acqua, elettricità, assistenza sanitaria, sono un terno al lotto per molti. Parliamo di un altissimo tasso di disoccupazione e di un'alta percentuale di dispersione scolastica. Parliamo di una popolazione cui è impedito il diritto al movimento, i check point a volte possono rappresentare la differenza che passa tra la vita e la morte, quelle file interminabili di persone, vecchi, ammalati, donne incinte, che attendono di poter tornare a casa, recarsi al lavoro, all'ospedale. Parliamo di strade precluse al passaggio dei palestinesi; Jimmy Carter qualche anno fa percorrendo quelle strade non esitò a parlare di apartheid. Parliamo di persone povere, un tempo scacciate dalle loro case, costrette ad abbandonare i propri beni, private del loro diritto al ritorno – lo voglio dire – e mai indennizzate per le loro perdite. Parliamo di una nazione, quella palestinese, che vive in uno stato di precarietà e di necessità, che guarda ogni giorno il progresso economico di un popolo vicino, senza poter far nulla per il proprio sviluppo economico. Ci sono zone dei territori e di Gaza dove per motivi di sicurezza – è stati ribadito più volte in quest'Aula – non è possibile coltivare la terra, la pesca a Gaza è consentita solo fino a tre miglia dalla costa, per non parlare del blocco di Gaza e di che cosa è diventata Gaza dopo i bombardamenti dello scorso anno, dei 2.200 morti, in gran parte civili, delle case, delle scuole, degli ospedali distrutti dalle bombe.
  Abbiamo un debito con la storia e uno con la nostra coscienza, dicevo prima, ma abbiamo anche un dovere da compiere, nei confronti della pace e della stabilità del Medio Oriente. Uno Stato palestinese autonomo è il migliore antidoto contro l'integralismo. Quella palestinese è una società che, per quel che riguarda le proprie classi dirigenti, è estremamente laica ed in gran parte si è formata nelle università occidentali. La Palestina potrebbe essere, se noi la aiutiamo, se facciamo sì che le classi dirigenti diano a tutto il Paese un modello di sviluppo economico, sociale e culturale, un avamposto della laicità, dei diritti e delle libertà civili. Il nostro impegno, oltre che al riconoscimento dello Stato palestinese, deve tendere anche verso Israele, di cui va compresa l'ineludibile necessità di sicurezza, ma la storia ci insegna che la sicurezza non si consegue solo attraverso lo strumento militare.
  Va profuso ogni sforzo per la riapertura dei negoziati e mi auguro che il nostro Governo, così come l'Unione europea, assuma un ruolo da protagonista in questo processo. Dobbiamo far comprendere a tutti che la Palestina in quanto Stato è un'opportunità di pace e di stabilità e che questa opportunità va sfruttata per tagliare fuori dalla scena politica quegli elementi radicali che sono i veri nemici di Israele e di tutto l'Occidente.
  La Palestina, senza una voce propria, è stata utilizzata come parola d'ordine e come simbolo di molte delle lotte antioccidentali Pag. 69dell'area. Quando una nazione non ha la possibilità di gridare con forza, autorevolezza ed autonomia la propria volontà di pace e di progresso, decine di protettori improvvisati si appropriano impunemente della sua bandiera. Lo fanno in maniera strumentale con l'unico fine di incitare all'odio. Io credo che questo vada evitato, ma l'unico modo di evitarlo è far si che la Palestina possa parlare, finalmente, con la propria voce.
  Solo un dialogo tra pari, garantito dall'ONU, e mi auguro anche dall'Europa, può mettere fine alla questione palestinese. Israele e Palestina devono risolvere, sedendo ad un tavolo paritario, le loro diatribe, a cominciare dai confini, passando per la cessazione degli insediamenti ebraici nei territori occupati ed il ritiro dei coloni dagli insediamenti già costruiti. Quelli di noi che hanno potuto visitare la Palestina si rendono conto da subito, percorrendo quelle strade e vedendo quegli insediamenti, qual è il senso di ingiustizia in cui sono costretti a vivere i palestinesi.
  Israele non deve vedere queste cose come una resa, perché io credo che la pace sia sempre un'opportunità. All'occupazione militare, allo Stato di polizia nei territori occupati, va sostituita una stagione di collaborazione economica: la Palestina può anche essere una terra di opportunità e potrebbe essere un'occasione di sviluppo per molti. Ma questo ha bisogno di una pace seria e strutturale, di regole certe che possono essere garantite, solo ed esclusivamente, da un partner credibile. Anche per questo c’è bisogno di uno Stato palestinese.
  Il mio auspicio, Presidente, è che si possa giungere ad una mozione condivisa tra più forze politiche per dare ancora più forza all'atto di riconoscimento, e mi auguro, altresì, che si possa arrivare al voto in tempi rapidi, seguendo l'esempio di quanto già fatto da altri Stati europei e dal Parlamento europeo, e raccogliendo l'invito di quei tanti intellettuali israeliani, da Amos Oz a David Grossman, che hanno invitato gli Stati europei a riconoscere la Palestina. Io credo che lo dobbiamo ad un popolo che per troppi anni ha subito ingiustizie atroci e ha visto negati i propri diritti (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. Colgo l'occasione per salutare l'ambasciatrice dell'Autorità nazionale palestinese Mai Al Kaila, che sta assistendo alla nostra discussione dalle tribune (Applausi).
  È iscritto a parlare il deputato Capezzone. Ne ha facoltà.

  DANIELE CAPEZZONE. Signora Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghe, colleghi, consentitemi di esordire ricordando il quadro in cui questo nostro dibattito si inserisce. E permettetemi di farlo citando la circostanza giustamente sottolineata qualche giorno fa a Palazzo Madama dal senatore Compagna, circostanza, invece, a mio avviso, non abbastanza compresa, nel suo drammatico significato materiale e simbolico, dai media, dalla politica e dalla – diciamo – cultura italiana. Il senatore Compagna ricordava che sabato scorso a Parigi, in un giorno di Shabbat, per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale, la Grande sinagoga di Parigi era chiusa. E sappiamo perché. L'Europa farà bene a comprendere e a non dimenticare questa circostanza. Israele e gli ebrei non sono solo Israele e gli ebrei: sono il simbolo stesso del nostro Occidente. Lo sono per noi, e lo sono anche per i nemici dell'Occidente, per i nostri nemici, per i nemici della libertà e della democrazia, ad ogni latitudine.
  Ciò premesso, vengo alla nostra discussione. In quest'Aula, su questo tema abbiamo, com’è naturale, culture, storie e sensibilità diverse tra noi. Ma tutti – credo – abbiamo in comune una valutazione e un obiettivo, cioè che sia interesse strategico dell'Italia e dell'Unione europea che il conflitto israelo-palestinese sia disinnescato una volta per tutte, come passo fondamentale per la pacificazione e la stabilizzazione dell'intero Medio Oriente e dell'area del Mediterraneo.
  Ora, se la via è il rilancio del processo di pace tra israeliani e palestinesi tramite Pag. 70la ripresa di negoziati diretti che portino ad un accordo di pace complessivo e duraturo, nel rispetto del diritto internazionale e nella piena applicazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ciò può essere garantito solo da una forte, credibile, imparziale azione della comunità internazionale attraverso mediazioni costruttive, evitando, quindi, atti e dichiarazioni che rischino solo di apparire come prese di posizione ostili e come condizioni imposte ad una sola delle parti in causa, cioè a Israele, unico Stato davvero democratico dell'area.
  Da questo punto di vista, poiché il linguaggio è lo specchio del nostro pensiero, mi sia consentito di esprimere un disagio rispetto alle formule che a volte sento – lo dico sommessamente: un po’ ipocrite – con cui si pone la questione in termini simmetrici: «entrambe le parti», «da una parte e dall'altra», e così via. Ecco, io non credo che possa esserci simmetria ed equidistanza tra uno Stato che ha scelto da sempre la via della democrazia e della libertà, e chi, invece, non ha ancora saputo, potuto o voluto liberarsi dall'ombra o dall'ipoteca del terrorismo.
  Allora, l'eventuale riconoscimento di uno Stato palestinese al di fuori di un accordo di pace complessivo tra le parti non favorirebbe la ripresa dei negoziati diretti, ma, al contrario, rappresenterebbe un ulteriore ostacolo sulla via della pace, perché avrebbe l'effetto di aumentare il livello di diffidenza tra le parti e, soprattutto, di Israele nei confronti della comunità internazionale, compromettendo e vanificando l'importante ruolo di mediazione che l'Unione europea e in particolare l'Italia stanno da decenni svolgendo e devono continuare a svolgere.
  Ricordo anche che il 30 dicembre 2014 il Consiglio di sicurezza dell'ONU ha bocciato una risoluzione dei Paesi arabi, promossa dall'Autorità nazionale palestinese, in cui si prevedevano unilateralmente termini e tempi di un accordo di pace, tra cui il riconoscimento della piena sovranità statuale palestinese entro il 2017.
  Ma, anche al di là di questo, c’è un punto politico di fondo. La legittima aspirazione palestinese di un riconoscimento statuale non può trovare soddisfazione prima che l'altrettanto legittimo diritto degli israeliani alla sicurezza non sia assicurato attraverso l'abbandono da parte palestinese di qualsiasi aspirazione alla distruzione di Israele e atto di aggressione ai suoi danni.
  Mi si lasci dire una cosa chiara: i popoli israeliano e palestinese hanno entrambi diritto a vivere in pace e in sicurezza, ma ciò può essere garantito, oltre che dalla soluzione «due popoli, due Stati», solo se anche il futuro Stato palestinese sarà uno Stato democratico, in grado di garantire ai suoi cittadini libertà e diritti umani fondamentali.
  E quindi l'eventuale riconoscimento di uno Stato palestinese, senza avere prima sciolto in un negoziato diretto i nodi del complesso contenzioso, e soprattutto in presenza di un forte conflitto tra ANP e Hamas, quest'ultima un'organizzazione terroristica, per il controllo dei territori palestinesi, costituirebbe una minaccia all'esistenza stessa di Israele, ma costituirebbe una minaccia anche nei confronti dello stesso popolo palestinese, che è e sarebbe ancora di più esposto non solo all'oppressione e alle violenze di Hamas, ma anche alle incresciose conseguenze delle legittime azioni difensive di Israele in risposta agli atti di aggressione lanciati dalla Striscia di Gaza o da altre zone dei territori palestinesi.
  Per questo, il gruppo di Forza Italia chiede al Governo tre cose: primo, di evitare di compiere atti e gesti simbolici che possano rappresentare forme di riconoscimento o portare ad un'accelerazione di qualsiasi processo di riconoscimento di uno Stato palestinese al di fuori del negoziato diretto e di un accordo di pace complessivo tra le parti; secondo, di sostenere, in sede sia bilaterale che multilaterale, e di concerto con gli altri Stati membri dell'Unione europea e con gli Stati Uniti d'America, il rilancio del processo di pace tra israeliani e palestinesi attraverso la ripresa del negoziato diretto come via Pag. 71maestra per arrivare alla soluzione «due popoli, due Stati» e per l'attuazione degli Accordi di Oslo e delle relative risoluzioni delle Nazioni Unite; terzo, di evitare di compiere qualsiasi atto e gesto simbolico di legittimazione di organizzazioni terroristiche islamiche, Hamas compresa, e di promuovere nei loro confronti, di concerto con gli Stati membri dell'Unione europea e con gli Stati Uniti d'America, un'azione di intransigente contrasto ad ogni livello (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Alli. Ne ha facoltà.

  PAOLO ALLI. Grazie, Presidente, io devo fare una premessa rispetto a un intervento nel quale cercherò di motivare le ragioni per cui Area Popolare è contraria a un riconoscimento da parte dello Stato italiano, in modo unilaterale e in questo momento, dello Stato di Palestina. La premessa è che anche per noi l'obiettivo finale resta quello della realizzazione di due Stati, ciascuno dei quali abbia il proprio territorio, un proprio sistema di difesa, un proprio Governo legittimo e che, certamente da parte nostra, c’è una forte vicinanza a entrambi questi popoli, al popolo palestinese e al popolo israeliano. E sono contento che ci sia l'ambasciatrice qui presente, perché questa è una premessa assolutamente fondamentale. Però, vede Presidente, vede signor sottosegretario, nella discussione che ha preceduto questa, nella quale era presente il Ministro Gentiloni e dove si è parlato della positiva soluzione del problema delle due cooperanti italiane che sono state liberate, è riecheggiata in quest'aula, molte volte, la parola prudenza. Io credo che la parola prudenza abbia a che vedere non tanto col merito delle discussioni e delle questioni, ma con il metodo con il quale gli obiettivi vengono perseguiti. Noi riteniamo che in questo momento, dal punto di vista del metodo, sia totalmente inopportuno qualsiasi gesto unilaterale di riconoscimento di una realtà che deve essere riconosciuta attraverso processi di altra natura. Noi riteniamo che queste azioni non aiutino il processo di pace in assoluto e, in particolare dopo i fatti di Parigi, che rischino di buttare ulteriore benzina sul fuoco di polemiche, di situazioni che purtroppo stanno caratterizzando sempre più i conflitti, come i conflitti tra identità. Se non vogliamo parlare di conflitti tra civiltà, certamente sono conflitti tra identità contrapposte. Cerco di motivare questo giudizio di inopportunità con la lettura dei fatti accaduti nei recenti mesi dopo l'approvazione, da parte della Svezia e di altri paesi importanti dell'Unione europea, di mozioni o di risoluzioni volte a un riconoscimento dello Stato palestinese. A questi ha fatto seguito una risoluzione dell'Unione europea, che poi analizzerò più in dettaglio, che va sempre nella stessa direzione. A seguito di tutti questi fatti, si è verificato il tentativo, che Abu Mazen ha fatto, di sottoporre al Consiglio di sicurezza dell'ONU una risoluzione che «forzasse» il riconoscimento della sovranità palestinese entro il 2017. Il Consiglio di sicurezza dell'ONU ha respinto questa risoluzione. Successivamente, subito dopo devo dire, Abu Mazen ha manifestato la decisione palestinese di adire la Corte penale internazionale, con il chiaro intento di denunciare Israele per crimini di guerra; e, guarda caso, ieri il Primo Ministro turco, non una persona qualsiasi, che parla quindi a nome di Erdogan evidentemente, ha fatto affermazioni pesantissime nei confronti del Primo Ministro israeliano, dicendo che Israele si è macchiata di crimini di guerra. Allora, la mia lettura di questo percorso, che mi sono permesso di sintetizzare, è che un metodo affrettato e sbagliato non si può certamente dire che abbia creato una facilitazione del percorso di pace, perché il risultato finale di questo percorso è stato una evidente accelerazione delle tensioni; un aumento delle tensioni piuttosto che un'accelerazione del processo di pace.
  Allora mi sono anche domandato perché ci sono tutte queste iniziative a livello europeo, a livello di altri Stati, per il riconoscimento dello Stato palestinese, che Pag. 72ripeto, non sono sbagliate come obiettivo, che anche noi condividiamo, perché si arrivi quanto prima a uno Stato palestinese riconosciuto da tutta la comunità internazionale. Mi è venuto il dubbio, scusatemi se sono forse poco politicamente corretto, che questi tentativi servano più per mettersi a posto la coscienza, per mettere a posto la coscienza nostra e della stessa Unione europea, per dire: noi la nostra parte l'abbiamo fatta, adesso vada avanti qualcun altro, ma non rendendoci conto che in questo modo rischiamo solo di porre degli ulteriori intoppi, delle ulteriori difficoltà rispetto ad un percorso già difficile, lungo e faticoso. Certamente condivido quello che hanno detto alcuni colleghi, sottolineando il fatto che sono molti anni, troppi anni, che il popolo palestinese aspetta la soluzione di questi conflitti, però dobbiamo essere realisti e dobbiamo domandarci, per essere efficaci nella nostra azione, cosa serva in questo momento. Secondo noi, in questo momento, non serve un'accelerazione del tipo di quella che viene proposta dalle tre mozioni che chiedono al Governo il riconoscimento dello Stato palestinese.
  Andando un po’ più nel merito della vicenda, io non spenderò ulteriori parole rispetto a quelle già dette sulle condizioni di vita del popolo palestinese, della sua esigenza di avere una vita normale, così come non mi dilungherò sulla necessità, evidenziata dal collega Capezzone, che anche il popolo d'Israele abbia un diritto alla propria sicurezza. Io mi limito ad analizzare, velocemente per non annoiarvi, il testo della risoluzione del Parlamento europeo che mi sono permesso di definire politicamente strabico, nonostante sia stata approvato a larga maggioranza, e dico il perché. Il documento parte dicendo che si sostiene, in linea di principio, il riconoscimento dello Stato palestinese. Si dice che si sostengono gli sforzi del Presidente Abbas e del Governo di consenso nazionale palestinese. Si manifesta la preoccupazione per la crescente tensione e l'intensificarsi delle violenze, la preoccupazione che il conflitto si possa trasformare in un conflitto religioso (secondo me, se non è già religioso, è perlomeno, come dicevo prima, fortemente identitario, ma questo è un altro ragionamento). Si parla di una soluzione sostenibile e di una pace giusta e duratura. Si sottolinea che debba essere perseguita una soluzione negoziata. Si dice addirittura che le azioni che mettono in dubbio gli impegni assunti a favore di una soluzione negoziata devono essere evitati. Quindi si tratta di tutte cose assolutamente sacrosante. Poi si dice che l'Unione europea deve assumersi le responsabilità di diventare un vero e proprio attore e facilitatore del processo di pace in Medio Oriente. Si parla della necessità di riaprire il processo di pace e del rispetto di tutte le esigenze. Poi si fanno alcune affermazioni, tra cui quella che i confini devono essere quelli del 1967, che mettono i piedi nel piatto della trattativa. Allora io mi domando come può un soggetto importante e autorevole come l'Unione europea dire io voglio fare l'arbitro di questa situazione e poi, prima di dare il calcio d'inizio della partita, mi metto la maglietta di uno dei due contendenti ? È questo il problema. Il problema non è nei contenuti, il problema è che questo tipo di accelerazioni, questo tipo di approccio, è un approccio che non facilita, ancora una volta, l'azione di pace, il negoziato di pace. Poi c’è un altro piccolo capolavoro di strabismo qui dentro laddove, al paragrafo 2, Hamas viene considerata parte di questo disegno di pace. Alcuni osservatori hanno detto che con questo Hamas è stata tolta dalla black list e così via. Io non lo so in termini giuridici se questo sia vero, o meno, so soltanto che in termini politici noi non possiamo, né accreditare in alcun modo Hamas, né cedere ai ricatti di un'organizzazione che tutto il mondo considera terroristica. Qui, purtroppo, c’è uno dei veri nodi, che è anche già stato sottolineato da qualcuno che mi ha preceduto, il riconoscimento di uno Stato deve essere il riconoscimento di un'entità che in tutto e per tutto si caratterizza come uno Stato.
  Quindi non solo perché ha un territorio – e già questo è un problema –, non solo perché ha un Governo, non solo perché ha un esercito, ma perché, soprattutto, sa Pag. 73controllare al proprio interno qualsiasi azione che non vada nella direzione dei processi democratici e perché sa controllare i terroristi al proprio interno, cosa che non avviene. Infatti Hamas, come è noto, agisce in barba al fatto che, comunque, una parte positiva e certamente maggioritaria del popolo palestinese e delle sue autorità abbia accettato la via del dialogo internazionale. Finché il Governo palestinese non sarà in grado di controllare Hamas, non sarà possibile riconoscere uno Stato, che Stato non è perché non è in grado di controllare i terroristi.
  Mi domando anche per quale ragione nelle mozioni che sono state presentate – mi riferisco alle prime tre e non a quella della Lega Nord – ci siano nelle premesse ampi riferimenti a tutte le risoluzioni degli Stati a favore del riconoscimento dello Stato palestinese e non ci sia una parola sul fatto che l'ONU ha respinto la mozione presentata dalla Palestina. Sono sicuro che se la decisione dell'ONU fosse stata contraria, nelle premesse si sarebbe messo in cima «poiché l'ONU ha riconosciuto questa mozione». Allora mi domando: l'ONU va bene quando dice le cose che ci piacciono e non va più bene quando dice le cose che non ci piacciono ? Anche stamattina è stata evocata l'ONU per tutte le vicende internazionali e quant'altro. Allora, ci saranno delle ragioni per cui l'ONU in questo momento abbia fatto prevalere una posizione di ulteriore maggiore prudenza ?
  Io, quindi, mi avvio alla conclusione dicendo che la nostra posizione è molto chiara. Noi siamo a favore della soluzione a due Stati. Noi siamo a favore del rispetto del diritto dei palestinesi e del rispetto della sicurezza del popolo israeliano. Noi siamo perché vi sia una forte azione per una ripresa immediata dei negoziati anche da parte dell'Unione europea, che non può pensare di non fare la fatica che le compete, anche per esempio ripristinando l'inviato speciale per il processo di pace, ma anche chiamando ad un tavolo di partenariato, un partenariato reale con l'Unione europea, entrambe le realtà, quindi, Israele e la Palestina.
  Questo è il percorso e la strada maestra. Non dobbiamo essere, a nostra volta, prigionieri di strabismi politici e di approcci un po’ più, per così dire, tesi a giustificare ed a mettere a posto la nostra coscienza. Non compromettiamo il ruolo e la credibilità che l'Italia ancora ha, in quanto grande amica del popolo palestinese e del popolo israeliano. Se si vuole esercitare una reale funzione di equilibrio, occorre che questa terzietà sia mantenuta. Un'approvazione unilaterale dello Stato palestinese in questo momento da parte del nostro Governo, secondo noi, non fa altro che compromettere questo processo di pace faticoso, sul quale però, invece, ci dobbiamo impegnare e siamo in grado di giocare tutta l'autorevolezza storica del nostro Paese.
  Noi speriamo che la decisione di votare queste mozioni la prossima settimana venga rinviata ad un momento più in là nel tempo, consentendo ulteriori riflessioni. Se così non fosse, Area Popolare presenterà ovviamente una propria mozione, nella quale si sottolineeranno i punti e le posizioni che io, in questo mio intervento, ho cercato di manifestare (Applausi dei deputati del gruppo Area Popolare (NCD-UDC)).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Amendola. Ne ha facoltà.

  VINCENZO AMENDOLA. Signor Presidente, care deputate e cari deputati, il dibattito che stiamo qui svolgendo è figlio di una riflessione, che in queste Aule – intese anche come Commissioni affari esteri con i Ministri competenti – da tempo ci ha visto uniti su un punto. Credo che i presentatori delle mozioni e quanti sono intervenuti anche in questo dibattito di oggi pongano al centro il bisogno di raggiungere un obiettivo comune: due popoli, due Stati, un accordo di pace che determini una condizione di stabilità e chiusura di un lungo conflitto, che dura da più di sessant'anni.
  Allora, io mi permetterò in premessa di fare un ragionamento con voi, di dialogare e di discutere, in vista anche del momento Pag. 74in cui il Parlamento presenterà risoluzioni, che io spero siano le più larghe e unitarie possibili, come anche è avvenuto al Parlamento europeo. Si deve anche riflettere con il Governo italiano e con la nuova commissaria per la politica estera Federica Mogherini, che ha iniziato proprio il suo incarico simbolicamente con una visita a Gerusalemme e a Ramallah. Si deve riflettere su come raggiungere l'obiettivo, su quali sono le condizioni di stallo per cui non si avvia un negoziato, su quali sono le condizioni nel contorno politico e tra i grandi attori che sono decisivi per raggiungere un negoziato che porti a una soluzione, quella dei due popoli e dei due Stati, e su qual è il ruolo che dobbiamo giocare, anche in virtù di un passato recente di questo conflitto che ha visto tanti errori.
  Io vorrei che su questo tema dicessimo parole di verità, non facendo una coltre di argomenti che ci sviano un po’ dalle difficoltà per raggiungere l'obiettivo, senza avere reticenze anche su alcuni legami e analisi fatte in quest'Aula sulla condizione attuale del mondo, del Medio Oriente e anche dell'eversione terroristica. Assolutamente nessuno di noi pensa che ci sia un'equazione rispetto al blocco, rispetto alla condizione di una mancanza di negoziato tra Israele e Palestina. Ma ciò costituisce un contorno, un elemento di contorno su cui dobbiamo riflettere. Sappiamo benissimo che lo stallo e la condizione del popolo palestinese tra Gaza e la Cisgiordania alimenta la rabbia, una rabbia tra il mondo arabo mussulmano per una condizione di ingiustizia, di mancanza di una prospettiva e di dignità.
  Come sappiamo benissimo che in questo contorno, nella storia anche odierna, senza fare equazioni, senza mettere sul piano della bilancia pesi differenti o pesi uguali, quello che sta avvenendo in questi giorni produce nella coscienza del popolo israeliano paure, timori rispetto a quello che si vede non solo in Medio Oriente, ma anche rispetto a quello che si è visto a Parigi.
  Io non lo dico per fare equazioni, ripeto, perché in questa fase della storia moderna le parole vanno pesate. Ma non comprendere che quello che stiamo vivendo, il grande passaggio nella storia del Medio Oriente ha influenze sugli umori di popoli che devono fare la pace potrebbe essere un grande rischio. Non è cautela. Io credo che questo Parlamento, nel votare le mozioni, ma soprattutto nel sostenere l'azione di Governo italiano ed europeo (Paolo Gentiloni e Federica Mogherini) debba comprendere le difficoltà prima di dare delle soluzioni.
  Tutti noi, ripeto, siamo uniti dall'idea di due popoli e due Stati. Il punto nel Medio Oriente di oggi, nella comunità internazionale di oggi è come arrivarci. Partiamo da dei presupposti storici. Noi veniamo tutti da una sconfitta, ossia che l'iconografia del 13 settembre 1993, con Yitzhak Rabin e Yasser Arafat che si stringevano la mano alla presenza di Bill Clinton, era un qualcosa che nel nostro portato ci dava un sollievo. Infatti, pensavamo che finalmente uno dei conflitti centrali anche nella definizione di una coesistenza pacifica al di fuori dei confini di Israele e Palestina aveva avuto una fine e che quella stretta di mano sancisse che la pace è sempre possibile, è sempre necessaria e si può raggiungere. Noi veniamo da quella storia, dal 1993, ma subito dopo abbiamo visto che nel corso degli anni il sollievo provocato da quella stretta di mano tra uomini che sceglievano la pace naufragò lentamente: il naufragio del negoziato tra Arafat e Barak nel luglio del 2000 e poi la ripresa della seconda intifada, quella tra il 2000 e il 2005, che ha visto morti, ha visto esplosioni, ha visto l'erigersi di un muro della divisione e ha visto distanziare la classe dirigente politica palestinese e israeliana, lontano dalle parole, invece, coraggiose che erano state pronunciate.
  E io dico di più, venendo agli anni nostri: questa distanza, questo solco che si è prodotto fino al Medio Oriente di oggi, nell'ultimo decennio, nel decennio delle guerre per esportare la democrazia, nel decennio dei quartetti, nel decennio di un'Europa spesso assente, ha fatto sì che anche il conflitto israelo-palestinese, con Pag. 75la sua rilevante interferenza sul blocco dei rapporti tra il mondo israeliano e arabo nel suo complesso, con la Lega Araba, uscisse dai radar, dall'agenda, venisse derubricato, quasi come fosse un conflitto inarrestabile, irrisolvibile, con altre priorità che si producevano, facendo perdere anche di peso un dibattito internazionale, perché fino ad allora la pace di Camp David era la volta per individuare i meccanismi di risoluzione dei conflitti nel mondo. E quella caduta di peso, quella caduta di quella forza fino al riemergere di uno scontro, ha prodotto che spesso la comunità internazionale ha messo da parte qualcosa che veniva considerato irrisolvibile.
  Noi lo sappiamo bene e penso che questo Parlamento lo sa, non solo nelle immagini della storia di questo conflitto. Una grande immagine è quella dell'8 giugno 2014, con Papa Bergoglio, insieme a Shimon Peres e Abu Mazen, che piantano qui a Roma, in un gesto simbolico, una pianta della pace. Ma sappiamo benissimo, proprio nel seguirsi dei fotogrammi, che pochi mesi dopo, nell'agosto del 2014, abbiamo avuto l'ennesima guerra di Gaza, una guerra simmetrica tra Israele e Hamas, che ha prodotto più di 2 mila morti e ha prodotto tuttora a Gaza, per chi è vittima di uno scontro in cui non è responsabile (i civili, gli ultimi, gli inermi, i bambini) una condizione drammatica in una delle aree del pianeta più povere e più isolate. E noi sappiamo bene che in questa fase anche i tentativi che si sono succeduti sono falliti, come il tentativo di John Kerry, dell'amministrazione americana, che in sei mesi voleva portare a una risoluzione chiudendo le parti in una stanza, quasi prendendo a sé il mandato della comunità internazionale dopo la caduta del quartetto, dopo la caduta di tavoli negoziali aperti. Abbiamo visto che anche quel tentativo, anzi ce l'hanno detto spesso i protagonisti, non ha portato a niente e soprattutto non ha riaperto un margine, una speranza e un muro.
  Ma io vorrei ancora insistere: il Medio Oriente di oggi non può non essere letto per comprendere come noi arriviamo all'obiettivo di due popoli e due Stati. Faccio alcuni esempi. È stato risolutivo, dopo la guerra di Gaza, il ruolo dell'Egitto per cercare, insieme alla comunità internazionale, a Paesi europei, di fermare Hamas, di arrivare a una tregua e di far sì che la comunità potesse, anche con la cooperazione internazionale, dare sollievo in quella terra martoriata. Ma sappiamo anche che dei ruoli di altri Paesi della regione, nel momento in cui gli Stati Uniti hanno costruito un nuovo posizionamento internazionale, spesso molto più lontano dalla tradizionale deterrenza nella risoluzione dei conflitti medio-orientali, spostando l'attenzione e non solo i militari verso altre zone del mondo, con un indebolimento dell'Europa negli ultimi quattro anni. Ciò ha fatto sì che anche altri attori regionali cambiassero prospettiva. È un elemento di analisi. Penso alla Turchia che storicamente era il grande alleato di Israele. Facevano esercitazioni militari comuni. Oggi forse è uno dei Paesi che usa, non solo una retorica, ma anche un'azione politica seriamente e duramente contraria a Israele. E sappiamo benissimo che nel Medio Oriente di oggi quelli che sono gli effetti di una guerra dentro l'Islam fanno sì che, non solo tra il mondo sunnita e il mondo sciita, ma all'interno del mondo sunnita, le priorità, l'agenda, le atrocità delle guerre per procura portano a qualcosa di altro.
  Ci faceva riflettere Domenico Quirico in Commissione esteri, dicendo, con un paradosso: «Il califfato non prevede né Israele, né Palestina, prevede una nuova mappa del Medio Oriente».
  Nel mondo sunnita, cioè, ci sono nuove e convulse vicende, che fanno sì che questo quadro, che ho provato a descrivere, renda l'azione diplomatica e politica dei Governi italiani ed europei molto più complessa anche rispetto al passato, non solo perché il tempo ed il suo scorrere, le difficoltà, le guerre ed i conflitti hanno creato solchi più grandi, ma perché il quadro degli interlocutori con cui noi dobbiamo spingere per arrivare ad un negoziato di pace, cambia. In alcuni aspetti anche migliora, perché l'iniziativa Pag. 76di pace araba, quella spinta dalla Lega Araba, spinta da Paesi come l'Egitto, facilitano il consenso a creare le condizioni perché si firmi un accordo, cosa che non avvenne, per esempio, quando ci furono i tentativi di Arafat, sia con Barack, all'epoca del Camp David 2, e facilita anche la condizione per Israele per arrivare ad un accordo che non solo pacifichi il rapporto con la Palestina, ma con il mondo attorno a sé. Mi riferisco per esempio alla Giordania, che in questo contesto è sospesa tra un conflitto nel mondo sunnita, come dicevo, con Daesh, e si trova anche a dover difendere i luoghi sacri, che sappiamo sono l'epicentro di un nuovo possibile scenario di conflitto.
  Allora, se questo è il contesto in cui noi ci muoviamo, con una positiva ripresa anche dovuta a degli shock e a delle tragedie dell'Unione europea, che riprende coscienza che attorno a sé, nel Mediterraneo, e quindi partendo dai conflitti non risolti, è necessario ricostruire un'azione diplomatica ed un'azione positiva, non solo per i soldi e le risorse che noi spendiamo per la cooperazione e gli aiuti, ma per la necessità di portare pace e stabilità in un contesto che apre a nuovi conflitti, e sappiamo anche che la collaborazione con altre potenze necessarie ed alleate dentro al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è necessaria, ebbene, se questo è il quadro, io credo che le risoluzioni ed il dibattito che facciamo oggi e che continueremo, siano centrali non solo per affermare principi, ma per individuare con il Governo italiano una strategia. Questo è l'augurio mio più grande.
  Io non scendo in polemiche, perché quando si parla di politica estera, a volte, tra i partiti si utilizzano argomenti che non c'entrano niente col merito delle questioni, ma credo che l'utilità di questa nostra spinta debba essere nel rafforzare l'azione del Governo italiano e dell'Unione europea congiuntamente verso una soluzione.
  Noi ci siamo interrogati e continuiamo ad interrogarci, come Partito Democratico. Non a caso abbiamo organizzato un viaggio, come delegazione, proprio in preparazione di questo dibattito, guidato dal nostro capogruppo Speranza e siamo andati lì ad interloquire con gli attori, nel mondo israeliano e nel mondo palestinese, su come riaprire una possibilità tra le classi dirigenti, una possibilità di un negoziato, di uno spiraglio. Infatti ci sono alcuni elementi, figli anche della terza guerra di Gaza, che in un contesto drammatico portano un'urgenza. Li avevamo analizzati anche in un viaggio della Commissione esteri presieduta da Cicchitto proprio a fine luglio, durante la guerra di Gaza.
  Sappiamo benissimo che la destra israeliana guidata da Netanyahu per la prima volta, con le redini del Governo ha portato a compimento uno dei più grandi elementi di divisione col mondo progressista israeliano. Yitzhak Rabin diceva sempre: «Bisogna fare la pace e combattere il terrorismo come se il terrorismo non esistesse e combattere il terrorismo come se la pace non esistesse». Era un elemento fondante della sua scelta, su cui lui ha pagato con la vita. La destra israeliana, invece, ha sempre pensato che la soluzione militare fosse l'ultima e la prima condizione per portare non solo sicurezza, che è sacrosanta per Israele, ma per portare ad una condizione di pacificazione.
  Noi sappiamo benissimo – e purtroppo con la tragedia di questa ennesima guerra lo abbiamo visto – che questa soluzione non va da nessuna parte e ci auguriamo che con le prossime elezioni in Israele, che sono convocate da qui a poche settimane, anche in Israele si apra un dibattito, si apra una discussione, si presentino varie opzioni per il rispetto e per l'affetto che abbiamo per quel Paese, ma soprattutto per far proseguire su un'idea, che io credo sia comune a tutti quanti noi, della soluzione pacifica ai negoziati ed ai conflitti.
  E, allo stesso tempo, in questa delegazione abbiamo discusso con i nostri interlocutori palestinesi una strategia messa in campo dalla dirigenza di Al-Fatah per internazionalizzare gli elementi del conflitto. L'appello al tribunale penale internazionale, il tentativo con una risoluzione Pag. 77al Consiglio dell'ONU che, come sappiamo, nel periodo dicembre-inizio gennaio non ha portato a buon fine.
  Io vorrei fare una riflessione tra di noi perché sembra quasi che in Italia ci sia una certa timidezza a discutere. Lo dico con rispetto anche agli amici che ho sentito, ai colleghi che presenteranno risoluzioni: suggerirei un attimo di riflessione. L'Italia non è timida e suggerirei un attimo di riflessione anche su questa idea secondo la quale noi dovessimo quasi seguire un corso prestabilito. Già il 29 novembre 2012 con il Governo Monti, che non era un Governo di centrosinistra, ma che aveva uno schieramento largo delle forze, ratificando la posizione italiana che portò allo status di osservatore dell'ONU per l'Autorità nazionale palestinese, facemmo un passo enorme verso la risoluzione e, potrei dire, anche nella spinta a una risoluzione, vale a dire che noi non partiamo da zero. Questo Parlamento nel 2012, con le forze che hanno votato nel consesso ONU, ha permesso questo nuovo status per l'Autorità palestinese e ha permesso anche di far sì che le azioni legali e internazionali di diritto legale che adesso Abu Mazen sta portando avanti avessero un effetto. Non lo dico per sminuire il tema del riconoscimento, anzi (e ci verrò da qui a poco) ma perché quel passaggio ha aperto già un canale nella costituzione di una risoluzione anche legale dello Stato. Non partiamo da zero in questo Parlamento e quella scelta del Governo Monti è una scelta che sostenemmo non soltanto come Partito Democratico allora, ma la sostenne anche Forza Italia, la sostennero altre forze politiche.
  Tornando al tema principale, quale direzione, quale azione e quale principio ? Io non sottovaluto la risoluzione del Parlamento europeo perché è stata una risoluzione approvata da tutte le forze politiche ma soprattutto non la sottovaluto perché è un'azione a sostegno di un nuovo operato della Commissione europea di cui noi dovremmo essere orgogliosi per il ruolo di leadership che incarna Federica Mogherini, ma per un nuovo ritrovato spirito di azione. Ritengo che quello che ci debba legare tutti non è la retorica di evocare l'Europa: è la presenza ritrovata dell'Unione europea. Quando siamo stati lì con la nostra delegazione, il rappresentante ci diceva che l'Europa contribuisce alla sussistenza dell'Autorità nazionale palestinese. Adesso inizia a fare politica e lì fare politica significa non avere un ruolo di ingerenza o di mediazione di principio ma di mediazione reale tra le classi dirigenti verso una soluzione, parlando con gli interlocutori e trovando dei campi negoziali che soddisfino le realtà. Questo significa venir meno ai principi del diritto internazionale della legalità ? No, perché il presupposto sia per l'Unione europea sia per il Governo italiano è che l'accordo negoziale debba prevedere anzitutto anche una fotografia dell'esistente. Dico, ad esempio – ed è chiaro e sarà parte della risoluzione – che per il diritto internazionale le colonie, i settlement in territorio di Cisgiordania sono illegali così come anche l'occupazione intesa come presenza militare in Cisgiordania, che limita i diritti e le possibilità del popolo palestinese di muoversi, è illegale. Questo sta scritto nelle risoluzioni dell'ONU ma deve vivere anche in un'azione politica perché deve portare ad un accordo negoziale che rispetti il principio e che trovi anche la possibilità delle parti di arrivare ad una propria soluzione. Guardate, cari colleghi, come voi, anche io ho letto sia la risoluzione inglese sia quella spagnola sia quella francese sia quella del Parlamento europeo.
  I testi sono importanti perché poi gli si dà un titolo generale: riconoscimento. Però i testi che sono stati votati – oserei dire nel caso inglese anche la consequenzialità tra il testo votato da Westminster e il voto espresso nel Consiglio di sicurezza, ma qui apriamo un altro dibattito – parlano tutti di un legame necessario tra accordo di pace e riconoscimento della Palestina. Noi in quel viaggio e nell'interlocuzione che abbiamo quotidianamente anche con gli amici dell'ambasciata israeliana e dell'ambasciata palestinese, che salutiamo, questo tema lo affrontiamo non solo in termini di principio, ma perché sappiamo bene che la Pag. 78spinta vera di tutte quelle mozioni e del dibattito che si è aperto è, innanzitutto, su quando aprire il tavolo negoziale per arrivare a due popoli, due Stati e a soluzioni sui maggiori capitoli del conflitto che possano portare pace e convivenza, soprattutto adesso che il quadro che descrivevo prima, sia del Medio Oriente, sia della comunità internazionale, fanno sì che i confini e le paure che noi abbiamo attorno a questo conflitto si allarghino e si approfondiscano.
  In tutte queste risoluzioni il tema di quando riconoscere lo Stato palestinese, se sia legato temporalmente, dopo l'accordo negoziale o prima, esiste. Io lo provo a spiegare e abbiamo provato, e tentiamo ogni giorno a spiegarlo in un dialogo fecondo con i nostri interlocutori; e mi colpì molto la frase del segretario generale dei laburisti israeliani, capo del gruppo «per due popoli, due Stati» alla Knesset, che mi disse: la mia speranza vera è che Israele riconosca per primo la Palestina, prima di tutti voi Stati europei o della comunità internazionale. Comunque, il tentativo di legare questi due punti con una scansione temporale, capisco che sia un assillo, ma se ci pensiamo bene, se non vengono coordinati, per arrivare alla stessa finalità, rischiano o di diventare una petizione di principio, e dalla petizione di principio magari abbiamo sollievo per la nostra battaglia, per il nostro valore e per la nostra concezione, ma di non essere efficaci per l'obiettivo che ci poniamo.
  Io, e credo tanti di noi del gruppo democratico, ma anche di questo Parlamento, non abbiamo nessuna preclusione, anzi, ne discuteremo nella risoluzione e lo valuteremo bene nella profondità delle parole, ma l'interrogativo non è se il riconoscimento precede o succede all'accordo negoziale, il tema è come ci arriviamo veloci all'accordo negoziale. In questo caso è bene utilizzare la spinta al riconoscimento dello Stato palestinese forti di un'esperienza che è quella del 2012, di quando dichiarammo la Palestina Stato osservatore a livello dell'ONU.
  Io vorrei che su questo non ci fosse un dibattito ideologico che a volte sembra assalirci nella comunicazione quotidiana, ma ci fosse una stretta unitaria del Parlamento attorno al Governo italiano nel sostegno all'azione dell'Unione europea ritrovata per arrivare definitivamente a un accordo negoziale, adesso che ci sarà un risultato elettorale in Israele, adesso che l'azione all'internazionalizzazione anche di Abu Mazen e di Al-Fatah segnano un chiaro discrimine e questo lo dico come lo dicemmo già nei giorni della guerra, con le aspirazioni, le parole d'ordine e anche le scelte dell'organizzazione che invece vive e blocca anche spesso il futuro di Gaza che è Hamas. Allora, per continuare a sostenere questo obiettivo della creazione, io suggerirei che il nostro operato, così come ne abbiamo discusso tante volte, sia finalizzato a promuovere il riconoscimento della Palestina quale stato democratico, secondo un'azione concordata su cui ognuno di noi – ho sentito il dibattito in quest'Aula – non ha assolutamente dubbi che sia la finalità.
  Ci si chiede di ragionare bene, noi lo facciamo, perché è evidente che un Governo e la sua maggioranza parlamentare devono assumere atteggiamenti e azioni concrete, ma se c’è consapevolezza della strategia e se questa strategia non è finalizzata solo a discutere tra di noi, ma a dare atti concreti e seguito concreto, io credo che la forza del nostro dibattito sia superiore.
  Perché, anche durante questo semestre, abbiamo dimostrato che la politica estera può rompere dei tabù burocratici. Prima dell'elezione di Federica Mogherini, il nostro Premier aveva già rotto dei tabù viaggiando a nome dell'Europa nei posti che più sono frutto e figli di guerra, come, ricordo, per esempio, il viaggio a Erbil, in Kurdistan e a Bagdad, durante l'agosto complicato dell'anno scorso con gli attacchi di Daesh sul fronte curdo e dentro l'Iraq. È possibile rompere dei tabù e non farci ricascare in una logica, che abbiamo visto prima, di blocchi, di quartetti che si riunivano o di tavoli che venivano convocati per soluzioni. La nostra amicizia con lo Stato di Israele e con l'Autorità nazionale palestinese non è solo un'amicizia di Pag. 79equidistanza ma di forza, per arrivare ad una risoluzione del conflitto, per arrivare subito alla ripresa di un accordo negoziale. E credo che i tempi e l'urgenza siano molto alti, per il quadro che abbiamo discusso e che abbiamo descritto e anche, se mi permettete, per un elemento che ha preoccupato tanti di noi in questo periodo. Si è detto e alcuni osservatori addirittura descrivono il rischio di una terza intifada che abbia caratteri più religiosi come l'attacco alla sinagoga. Gli scontri che avvengono quotidianamente tra Gerusalemme e la West Bank preoccupano per una caratterizzazione che sarebbe negativa, per le condizioni descritte prima, dando un carattere religioso a un conflitto, che è un conflitto tra popoli, tra destini, per una sola soluzione.
  Noi abbiamo terminato il viaggio simbolicamente, in una scuola alle porte di Gerusalemme, una delle quattro scuole che esistono in tutto Israele dove, dalle scuole elementari fino al liceo, vanno insieme gli arabi di Gerusalemme Est e i ragazzi ebrei di Gerusalemme. Studiano sia in ebraico sia in arabo; studiano la storia dei propri popoli, del destino della storia comune; discutono del futuro, litigano, crescono insieme. Andammo lì, grazie all'ambasciata, perché, poco tempo prima, dei fanatici religiosi avevano attaccato quella scuola con bombe incendiarie. Abbiamo vissuto in quella scuola un'esperienza di normalità, di possibilità. La pace non è una discussione solo tra chi può, tra chi si pone su atti negoziali, ma è una quotidianità che si può realizzare, anche nel concreto e soprattutto nel vissuto delle popolazioni che sono dentro questa storia.
  Per l'urgenza della storia moderna della comunità internazionale del Medio Oriente, per il portato storico e le sofferenze del passato, credo che questo Parlamento, con un'analisi di politica e di vocazione geopolitica del nostro Paese, facendo un dibattito approfondito, come ha chiesto la Commissione esteri, debba ritornare contemporaneamente, ma nello stesso quadro, su una mozione che spero unisca – e noi del Partito Democratico contribuiremo a questo – il tema degli accordi di pace al riconoscimento, come abbiamo già annunciato. Penso che sia un elemento che rafforzi questo Parlamento, la vocazione dell'Italia, ma soprattutto la nostra vocazione pacifica alla soluzione dei conflitti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni. Il Governo ha fatto sapere che si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Grande ed altri n. 1-00383, Zaratti ed altri n. 1-00708 e Tidei ed altri n. 1-00712 concernenti iniziative relative all'impatto ambientale della centrale termoelettrica a carbone di Civitavecchia (ore 16,50).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Grande ed altri n. 1-00383, Zaratti ed altri n. 1-00708 e Tidei ed altri n. 1-00712 concernenti iniziative relative all'impatto ambientale della centrale termoelettrica a carbone di Civitavecchia (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
  Avverto che è stata presentata una nuova formulazione della mozione Grande ed altri n. 1-00383. Il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A – Mozioni).

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritta a parlare la deputata Grande, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00383 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

Pag. 80

  MARTA GRANDE. Presidente, l'esito del voto sulla mozione che presentiamo a questo Parlamento, oggi, rappresenta per il territorio da cui provengo e per i cittadini che mi hanno eletta, un momento cruciale. La città di Civitavecchia, infatti, con il suo comprensorio, è da ormai troppo tempo vittima di invadenti abusi ambientali perpetrati da più di quaranta anni, con la complicità di una politica locale e non solo, tutt'altro che ricettiva rispetto a tematiche quali la salute dei cittadini e la tutela ambientale del territorio.
  Gli esiti di queste scelte scellerate, troppo spesso giustificate dalla presunta emergenza occupazionale (di fatto mai attenuata, dal momento che su Civitavecchia grava un tasso di disoccupazione tra i più alti del Lazio) hanno prodotto i nefasti risultati che sono, purtroppo, sotto gli occhi di tutti. Uno degli elementi di criticità da sempre sottolineato dalle molte associazioni ambientaliste che spontaneamente si sono costituite negli anni sul territorio è proprio la regolarizzazione che il suddetto accordo sancisce, legittimando l'uso delle centinaia di migliaia di tonnellate di carbone in eccesso bruciate rispetto a quanto previsto prima dell'AIA, circa 4 in luogo delle 3,6 consentite.
  Stando poi alle indicazioni dello stesso BREF, secondo cui il range di efficienza deve mantenersi tra il 43 ed il 47 per cento, la centrale di Torrevaldaliga nord risulta essere in assoluto difetto, attestandosi, nel 2011, intorno al 38 per cento. La previsione contenuta nell'attuale AIA di 7500 ore annue di funzionamento con la combustione di 4.500.000 tonnellate di carbone, poi, cristallizza, nel goffo tentativo di sanarla, la violazione, già in atto nel 2012, del decreto VIA 680 del 2003 e che aveva esaminato una centrale con tre gruppi termoelettrici che avrebbe dovuto funzionare 6000 ore annue con l'utilizzo di 3.600.000 tonnellate di carbone. Viene demolita, in particolare, la prescrizione della regione Lazio, inserita nel decreto VIA n. 680 del 2003, per la quale fu imposta la riduzione dei gruppi termoelettrici, da 4 a 3 e quindi del 25 per cento, e si concede all'Enel, con la previsione di 1500 ore di funzionamento in più, l'incremento del 25 per cento della capacità di produzione di energia e, allo stesso tempo, di inquinanti immessi in atmosfera a seguito della combustione di 900.000 tonnellate in più di carbone. L'AIA attuale, siglata nel 2013 dall'allora sindaco di Civitavecchia, perciò ristabilisce, di fatto, lo status quo ante la chiusura del quarto gruppo, una decisione nefasta per tutto l'alto Lazio, già pesantemente colpito nel corso degli anni da vari fattori inquinanti, tra cui primeggia la presenza delle due centrali Enel di Civitavecchia e Montalto.
  Inoltre, approfonditi e dettagliati studi di Greenpeace evidenziano che l'agricoltura locale sia compromessa, arrivando a sostenere la necessità di non poter coltivare nulla nel raggio di 80 chilometri dal luogo di attività di una centrale a carbone che, quasi quanto detto fino ad ora non bastasse, risulta essere tra le 20 centrali più inquinanti d'Europa.
  Con la messa in discussione dell'AIA, Presidente, noi intendiamo puntare ad un obiettivo: ridiscutere un accordo nato male e ripudiato dalla stessa amministrazione che lo ha siglato al punto tale da arrivare ad affermare di voler riaprire la discussione. Il dramma dell'incidenza tumorale maggiore del 10 per cento rispetto al resto del Lazio così come ricordato da uno studio epidemiologico regionale, poi, sottolinea la realtà di un territorio martoriato da un inquinamento che non può più sostenere e che riscontra, oggi un allarmante incremento di arsenico che riguarda indistintamente tutti gli organismi sentinella ed ha raggiunto i suoi picchi massimi nel biennio 2012-2013 così come riportato da un report dell'Osservatorio ambientale locale. Sono temi che non possono più essere passati sotto silenzio.
  Presidente, queste sono le motivazioni che ci hanno spinti a portare qui alla Camera dei deputati, al Parlamento italiano una questione locale con valenze evidentemente nazionali. La sicurezza energetica nazionale deve tener conto delle peculiarità territoriali nelle quali le centrali operano quanto rispettare le popolazioni che li vi abitano.Pag. 81
  La dicotomia tra la salute ed il lavoro, tra la ragione di Stato ed il rispetto ambientale non possono più continuare nell'Italia del 2015. L'AIA deve essere riaperta, una città intera si è espressa anche elettoralmente per il rispetto della salute dei propri cittadini, chiediamo che vengano ripristinati i parametri di esercizio previsti dal decreto di valutazione di impatto ambientale n. 680 del 2003, salvo ulteriori riduzioni, e di applicare l'utilizzo delle migliori tecniche disponibili per le emissioni di monossido di carbonio.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Zaratti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00708. Ne ha facoltà.

  FILIBERTO ZARATTI. Signor Presidente, colleghi e colleghe, ci troviamo di fronte ad una situazione difficile, Civitavecchia rappresenta, insieme al polo nord del Lazio, uno dei maggiori centri energetici del Paese ed è indubbio, perché è dimostrato da studi scientifici ripetuti e reiterati e da una serie di studi epidemiologici, che quella concentrazione di produzione di energia data dalle centrali Enel in modo particolare ha prodotto dei guasti di natura ambientale e alla salute dei cittadini. Quindi mi pare che questa constatazione sia da tener ben presente nei ragionamenti che noi faremo in seguito. Queste centrali erano alimentate ad olio combustibile, intorno al 2000 l'Enel propose di riconvertire la centrale di Torrevaldaliga Nord a combustibile carbone. A quel tempo fu detto che questa scelta era di carattere strategico, fondamentale, determinante per il futuro del nostro Paese perché era necessario diversificare le nostre fonti di approvvigionamento energetico e che quindi il fatto di produrre energia da carbone avrebbe assicurato contemporaneamente un miglioramento della situazione ambientale e il fatto di potersi approvvigionare con un'altra fonte fossile diversa dall'olio combustibile. A distanza di qualche anno, anche la scelta strategica così definita risulta essere abbastanza infondata, io voglio ricordare che l'Enel ha chiuso la centrale a carbone di Porto Tolle e che il carbone non rappresenta più questa scelta strategica così come era stata definita, scelta strategica che comunque al tempo aveva comportato un innalzamento dei livelli di inquinamento e che comunque contrastava palesemente con gli obiettivi di Kyoto per quanto riguarda il rilascio di CO2. Insomma, passato qualche anno, quello che gli ambientalisti e i comitati dei cittadini dicevano in relazione a Torrevaldaliga Nord si sta puntualmente realizzando. Va ricordato che uno studio del 2006 ha evidenziato che «l'analisi dei ricoveri ospedalieri aggiunge informazioni al quadro epidemiologico dell'area, con risultati coerenti con quelli di mortalità e che confermano i risultati di studi precedenti: tumore polmonare pleurico e asma bronchiale sono in eccesso. Una novità rispetto alle conoscenze già note è costituita dall'aumento di incidenza dell'insufficienza renale cronica, rilevato dal registro regionale dialisi».
  Un recente studio condotto dal Dipartimento di epidemiologia della regione Lazio, relativo al periodo 2006-2010, fa emergere dei dati allarmanti: «a Civitavecchia il tasso di mortalità causato da tumori al polmone e alla pleura è il 30 per cento più alto rispetto al resto della regione Lazio». Questo è il quadro nel quale appunto noi ci troviamo ad operare. Cosa è accaduto in questo periodo ? È accaduto che la centrale di Torrevaldaliga Nord è passata da consumare 3 milioni 600 mila tonnellate l'anno di carbone a 4 milioni e mezzo di tonnellate l'anno, quindi ha aumentato il consumo di carbone e le ore di funzionamento sono passate da 6.000 a 7.500 l'anno. In questo quadro era necessario rivedere l'AIA che autorizzava l'esercizio di questa centrale e la rivisitazione di quest'AIA è stata conservata nel 2013.
  Ma intanto va ricordato che la regione Lazio aveva approvato il Piano per la difesa della qualità dell'aria, che peraltro è stato anche emanato durante il periodo in cui facevo l'assessore all'ambiente nella regione Lazio, e tale Piano stabiliva che il carbone da utilizzare doveva avere un Pag. 82tenore di zolfo inferiore allo 0,3 per cento, dato questo ignorato anche dall'AIA del 2013.
  Quindi, io penso che sia doveroso da parte nostra cercare di intervenire e il Parlamento deve intervenire su questo problema, che è un problema molto serio e io penso che il Ministero dell'ambiente ci debba dare qualche risposta.
  Anche il cosiddetto ricatto occupazionale lascia un po’ il tempo che trova; l'ENEL ha ridimensionato tutte le lavorazioni non indispensabili per il normale esercizio dell'impianto e, quindi, tutta una serie di società che lavoravano nell'indotto della centrale sono state fondamentalmente accantonate. Questo ha diminuito consistentemente i livelli occupazionali della città. A tutto ciò va ad aggiungersi, insomma, che è del tutto evidente che le attività agricole della zona di Civitavecchia – io voglio ricordare che i comuni interessati principalmente dall'inquinamento della centrale Torrevaldaliga Nord sono i comuni di Civitavecchia, Santa Marinella, Tarquinia, Allumiere, Tolfa, Cerveteri, Ladispoli, zone importanti dal punto di vista turistico, zone importanti dal punto di vista agricolo – nelle zone limitrofe alla centrale a carbone sono ferocemente colpite. Quindi, da questo punto di vista non solo le attività delle società connesse all'indotto delle lavorazioni della centrale hanno perso smalto e hanno perso occupati, ma non è stato possibile neanche recuperare quel tipo di occupazione nello sviluppo delle attività agricole.
  Noi chiediamo che venga riaperta la conferenza dei servizi dell'AIA sulla centrale di Torrevaldaliga Nord, per giungere a un ridimensionamento delle condizioni di esercizio e a una diminuzione delle ore di lavorazione dell'impianto, e soprattutto ad una diminuzione delle quantità annue di carbone bruciabile e ad un miglioramento della qualità del carbone stesso, che deve essere utilizzato in quella centrale, soprattutto per fare in modo che rientri nei limiti previsti da tutto il Piano per la difesa della qualità dell'aria.
  Chiediamo, inoltre, che si metta in campo finalmente un percorso di uscita dal carbone entro il 2020, che si chiuda questo impianto e che finalmente il nostro Paese, a cominciare da Civitavecchia, cominci a puntare seriamente sull'energia pulita, sulle energie rinnovabili, cosa che francamente in questo Paese non sta accadendo. Se noi pensiamo che in tutta Europa il fatturato legato all'investimento sulle energie rinnovabili sta crescendo in modo significativo, nonostante la crisi economica, e invece nel nostro Paese nell'ultimo anno c’è addirittura un dimezzamento degli investimenti nel settore delle energie rinnovabili, ci rendiamo conto di quanto cieco sia questo Governo, che oltretutto fa una cosa che io penso sia davvero da Paese del terzo mondo. Lo devo dire perché, quando uno Stato garantisce incentivi ad un'azienda che investe e il Governo successivo toglie questi incentivi, io credo che la credibilità sul mercato nazionale e internazionale di questo Paese vada veramente a perdersi.
  Quindi, chiediamo che venga messo in campo un percorso di uscita entro il 2020, che porti alla chiusura di questo impianto. Dopodiché noi chiediamo anche un impegno affinché venga scartata ogni ipotesi di nuova regolarizzazione o utilizzo degli impianti per la produzione di energia elettrica da rifiuti, sia di energia prodotta da CDL sia da combustibile solido secondario. Quindi, io penso che noi dobbiamo contemporaneamente evitare un peggioramento della situazione ambientale di Civitavecchia e delle zone limitrofe, perseguire la strada dell'uscita finalmente dal carbone e garantire la salute dei cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Marietta Tidei, che illustrerà anche la sua mozione numero 1-00712. Ne ha facoltà.

  MARIETTA TIDEI. Presidente, onorevole sottosegretario, onorevoli colleghi, sono particolarmente felice di poter affrontare in quest'Aula il tema della tutela ambientale nel mio territorio, nel territorio di Civitavecchia. Un territorio che, Pag. 83come già ricordato dai colleghi, dal dopoguerra ad oggi ha subito una fortissima pressione ambientale. Ricordo che noi siamo stati sede di tre grandi centrali termoelettriche – erano ad olio combustibile, ora una funziona come un turbogas e l'altra a carbone, come è stato ricordato –, di un cementificio, di depositi costieri di carburanti e di un centro chimico, che ancora conserva gas nervini.
  Oltre a questo, siamo anche sede di un importante porto crocieristico, che vede al suo interno navi da crociera che sono delle vere e proprie città galleggianti, che emettono nel centro della città fumi, perché bruciano olio combustibile, e per di più senza alcun sistema di abbattimento delle emissioni. Quindi, è chiaro che Civitavecchia, così come tutto il suo comprensorio, hanno pagato alla sicurezza del sistema elettrico e del sistema dei trasporti nazionali un tributo altissimo in termini ambientali e in termini di salute pubblica.
  Zaratti ricordava lo studio epidemiologico del servizio sanitario della regione Lazio, che dice che tra il 2006 e il 2010 a Civitavecchia il quadro di mortalità per cause naturali e per tumori maligni eccede di circa il 10 per cento quello della popolazione residente nel Lazio nello stesso periodo.
  È chiaro che la situazione legata all'enorme pressione ambientale è grave, insostenibile, e dobbiamo tutti adoperarci per fare qualcosa. E concordo con l'onorevole Zaratti, quando dice che noi dobbiamo uscire dal carbone: io credo che dovremmo uscire dalle centrali elettriche, per la verità, perché credo che il nostro territorio abbia già dato, e quindi è chiaro che nel periodo di obsolescenza degli impianti si dovrà cercare qualche altra cosa, e sicuramente uno sviluppo alternativo rispetto, forse, anche un po’ alla monocultura dell'Enel, o comunque elettrica, che ha vissuto il nostro territorio.
  Quindi, è per questo che, anche con altri colleghi del PD, soprattutto colleghi della provincia di Roma, abbiamo presentato una mozione per il riesame dell'AIA 2013, secondo gli strumenti che ci fornisce, però, la normativa. Guardate, lo faccio in maniera convinta, perché credo che tutte le volte che si possa ridiscutere e che si possa cercare un miglioramento sui temi ambientali, sui temi della salute pubblica, vada fatto.
  Credo, però, che ci si debba attenere alla normativa, e lo faccio, però, partendo anche da premesse che sono anche un po’ diverse rispetto a quelle dell'onorevole Grande, che non vedo più in Aula. Io dico che oggi, fortunatamente, abbiamo un registro dei tumori, istituito nel 2013, e credo che, grazie a questo strumento, nel giro di qualche anno potremo avere dati certi rispetto all'effettiva incidenza di tutti questi fattori di pressione ambientale sui decessi.
  Oggi, fortunatamente, è stato riorganizzato l'osservatorio ambientale, che opera controlli sulla qualità dell'aria e che ci fornisce dati in parte rassicuranti, ma solo in parte, perché, invece, ci fornisce altri dati che non sono affatto rassicuranti. Secondo l'osservatorio ambientale, la qualità dell'aria rispetta sostanzialmente i criteri di protezione della salute e dell'ambiente dettati dalla normativa. Fa eccezione l'ozono, che fa registrare concentrazioni che superano i limiti di legge o sono ad essi molto vicine.
  La valutazione dell'osservatorio, centrata prioritariamente sulla protezione della salute, ha adottato i riferimenti dell'Organizzazione mondiale della sanità, che, per molti inquinanti, sono più restrittivi di quelli imposti dalla normativa. Questo approccio conferma la criticità dell'ozono, ma suggerisce di prestare attenzione anche al materiale particellare (PM10 e PM2,5), le cui concentrazioni in tutti i siti di rilevamento oscillano intorno ai valori di riferimento dell'Organizzazione mondiale della sanità.
  Dicevo inizialmente che, pur chiedendo al Governo il riesame dell'AIA, al fine di adeguare le emissioni e i riferimenti suggeriti dalle nuove BAT alla luce dei contenuti del BREF in corso di pubblicazione da parte della Comunità europea, faccio questa richiesta partendo da convincimenti diversi da quelli espressi dai miei colleghi.Pag. 84
  E, guardate, credo che questo sia l'unico modo per riaprire l'AIA, lo voglio dire, perché l'AIA non si riapre, ahimè, per una mozione di Tidei, di Zaratti o della Grande: si riapre per legge, se ricorrono alcuni requisiti. E proprio l'aggiornamento delle BAT potrebbe essere un requisito per riesaminare l'AIA. È per questo che chiediamo un impegno al Governo. Credo, però, che il rinnovo dell'autorizzazione integrata ambientale del 2013, rilasciato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, introduca, invece, aspetti migliorativi rispetto al decreto VIA del 2003.
  Per questo credo che la mozione Grandi, in parte, sia suicida, perché se noi dobbiamo riaprire o riesaminare l'AIA, lo dobbiamo fare con l'intento di migliorarla, non di tornare a limiti che erano peggiori, se no sarebbe assurdo chiedere di ritornare in uno stato in cui la salute veniva protetta meno. Nello specifico, l'AIA del 2013 introduce la concentrazione giornaliera in chiave più restrittiva per tutti i macroinquinanti, ad eccezione del monossido di carbonio che resta inalterato; lascia inalterati i limiti orari degli ossidi di azoto e del biossido di zolfo, ma impone a quello delle polveri una riduzione quantificabile tra il 30 per cento ed il 50 per cento circa; interviene sui limiti inerenti le emissioni massiche, riducendo quelli delle polveri e del biossido di zolfo del 60 per cento e del 50 cento rispettivamente; introduce un limite massimo all'emissione del monossido di carbonio che non consentirebbe alla centrale di operare al massimo livello delle emissioni di questo inquinante per più di 10 mesi all'anno circa; fissa alle emissioni di diossine e furani, che non sono trattate nelle Bat, limiti 10 mila volte più bassi di quelli previsti per gli impianti di combustione dal Codice dell'ambiente. Credo, quindi, che invece di chiedere di tornare alle prescrizioni del 2003 noi dobbiamo andare avanti, anche perché ci sono degli aspetti che, secondo noi, sono migliorabili. Tra l'altro, voglio dire all'onorevole Grande, che mi dispiace sia andata via, perché si lancia il sasso e poi si ritira la mano, come spesso avviene da parte del MoVimento 5 Stelle...

  FILIPPO GALLINELLA. È in tribuna !

  MARIETTA TIDEI. ... che l'amministrazione comunale, in sede di Conferenza di servizi, aveva proposto alcune osservazioni, basterebbe rileggersi quei verbali, e credo che quei verbali siano facilmente accessibili, se volete ve ne invio una copia. Erano delle osservazioni anche relative alle quantità di carbone da bruciare e alle ore di funzionamento della centrale. Come tutti sanno l'autorizzazione integrata ambientale non la rilascia il sindaco o il consiglio comunale di Civitavecchia, la rilascia il Ministero e quelle osservazioni – ripeto che sono a verbale – non sono state prese in considerazione, a differenza di altre che invece sono state recepite in sede di Conferenza dei servizi; proprio quelle osservazioni sulla quantità di carbone da utilizzare e da bruciare, anche perché quella non è stata ritenuta una prescrizione della VIA. Abbiamo tutti detto che siamo a favore della riapertura dell'AIA (qui chiaramente lo ribadisco, anche perché c’è scritto nero su bianco sulla nostra mozione) ma continuare a dire che l'AIA del 2013 consente all'Enel di bruciare 900 mila tonnellate di carbone in più, è una falsità, è un atto di disonestà intellettuale senza confini, anche perché basterebbe leggersi i dati di produzione dell'Enel del 2010, 2011, 2012, per capire che l'Enel bruciava già più di quattro milioni di tonnellate. Quindi, questi 3 milioni e 600 mila tonnellate che, secondo voi, erano previsti come prescrizione VIA, in realtà non era una prescrizione della VIA, altrimenti sapete che cosa vorrebbe dire ? Che l'Enel se ne sarebbe discostata di 400 o addirittura di 700 mila tonnellate di carbone in più come nel 2012, perché l'Enel nel 2012 prima della autorizzazione integrata ambientale del 2013, ha bruciato 4 milioni e 300 mila tonnellate di carbone. Allora se così fosse stato, vorrebbe dire, non solo che l'Enel avrebbe commesso un atto sicuramente censurabile sul piano Pag. 85penale, ma che tutti gli organismi di controllo avrebbero fatto una violazione gravissima e lo sapete che c’è l'ISPRA, che c’è l'ARPA. Significherebbe che per anni sarebbe stato consentito all'Enel di bruciare addirittura 700 mila tonnellate di carbone in più rispetto a quello che prevedeva il decreto di autorizzazione. Così non è stato, ma questo non lo dico io che non conto nulla e che onestamente su queste questioni confesso anche ignoranza, perché poi non siamo tutti tuttologi e quindi è chiaro che ognuno fa il suo lavoro, ma lo dice anche la direzione generale valutazione ambiente e non a Marietta Tidei, ma alla procura della Repubblica di Civitavecchia. E la procura della Repubblica di Civitavecchia che cosa fa giustamente ad un certo punto sollecitata dalle associazioni ambientaliste e anche dall'amministrazione locale che sostenevano che comunque l'Enel si discostava dai parametri di funzionamento autorizzati con il VIA del 2003 ? Chiede chiarimenti e accertamenti alla direzione generale valutazione ambiente. E che cosa fa la direzione generale valutazione ambiente ? Riunisce di nuovo la commissione tecnica per la valutazione di impatto ambientale, che nel 2014 tira fuori un bel parere che oggi ha anche la procura chiaramente, dove si dice che gli scostamenti non sono scostamenti relativi alla prescrizioni VIA, ma ai dati di progetto di Enel.
  Perché la VIA si occupa delle prescrizioni relative agli inquinanti in atmosfera. Quindi, continuare a dire questa cosa, non solo è falso, ma io – ripeto – adesso sfido chiunque, compreso il sindaco e l'onorevole Grande, a presentare un altro bell'esposto alla procura della Repubblica. Infatti se è vera questa cosa, che l'Enel in più di tre anni ha bruciato 500 o 700 mila tonnellate, qui saremmo tutti colpevoli, ma sarebbero colpevoli soprattutto quegli organismi preposti al controllo, che non lo hanno fatto. Siccome queste cose le ha chieste il procuratore della Repubblica, che tra l'altro, senza stare a fare nomi, era considerato un procuratore d'assalto sui temi ambientali, quello di Civitavecchia, io penso che, se la direzione generale ambiente dà un parere e risponde a quella nota di richiesta di osservazioni e di delucidazioni da parte della procura della Repubblica in questo modo, lo faccia a ragion dovuta. Non è che lo fa pensando alle scie chimiche, è chiaro ! Lo farà con dati certi, voglio immaginare. Infatti io credo che nei nostri ministeri lavorino tecnici che sicuramente sono più bravi di me o dell'onorevole Grande a vedere queste cose.
  Quindi non credo che ci sia stato un aumento dei limiti, così come mi preme dire alcune cose. Io sono la prima – ma lo dico con il cuore in mano – perché nelle nostre famiglie i malati di tumore o i morti ce li abbiamo avuti tutti. Poi c’è chi li mette su Facebook, e io rispetto il modo con cui ognuno di noi esterna il proprio dolore, e c’è chi non attacca i manifesti, però va rispettato anche questo modo. Quindi questa non è una gara a chi è più ambientalista e a chi di noi è più bravo a tutelare l'ambiente, perché su tanti territori italiani dove c’è tanto inquinamento ci viviamo tutti. Io vivo a Civitavecchia, i miei nipoti vivono a Civitavecchia, di certo non voglio un'aria insalubre. Per questo chiedo la riapertura della VIA, ma lo chiedo rispetto alle nuove tecnologie, alle BAT.
  E un'altra cosa mi preme dire, perché sulle mozioni a volte leggo dei dati che non so, insomma, io leggo la mozione della Grande, che parlava prima dell'agricoltura. Questo è il testo che ho stampato dal sito della Camera. Si dice che questo studio di Greenpeace nell'aprile del 2012 per la centrale di Torrevaldaliga nord di Civitavecchia, riprendendo la stessa metodologia utilizzata dall'Agenzia europea per l'ambiente, stima tra gli impianti sanitari ed ambientali 13 morti premature e 156 miliardi di euro di danni all'agricoltura per l'anno 2009.
  Allora io mi permetto, sommessamente, di fare rilevare che qui si parla di 156 miliardi di euro di danni all'agricoltura per il 2009 e che 300 miliardi di euro è la cifra che Juncker – il Piano Juncker di investimenti – prevede di investire per tutta l'Unione europea. Figuriamoci noi se a Civitavecchia ci possano essere stati 156 Pag. 86miliardi di danni di euro all'agricoltura per l'anno 2009 ! Ora, chi conosce Civitavecchia sa che non siamo né le Langhe né la piana di Mineo e non siamo sicuramente un territorio dove si svolge attività di agricoltura intensiva. Io penso che siano anche pochi quelli che facciano l'agricoltura, anche oggettivamente, proprio per la compromissione già del territorio. Per carità, però se queste fossero le cifre. Credo che sia una cifra falsa quella che sia scritta, perché se questa fosse la cifra e se veramente ci fossero 156 miliardi di euro di danni e l'agricoltura costituisse un valore così importante in termini numerici, noi dovremmo, non chiudere le centrali, ma chiudere il porto e dovremmo metterci tutti a fare gli agricoltori !
  Credo, invece, che noi, al di là di dividere e di dividerci su questa questione, senza starci ad accusare rispetto al passato e rispetto al futuro, dobbiamo chiedere al Governo di riaprire l'AIA, dobbiamo chiedere al Governo maggiore impegno, perché faccia sì che Enel ottemperi alle prescrizioni che ha ottenuto nell'AIA 2013 e soprattutto che l'ottemperanza a queste prescrizioni o meno sia resa pubblica. Infatti quello che non è più consentibile è che comunque in una città non si possa sapere nulla. I dati devono essere pubblici e soprattutto l'Enel, che comunque sul nostro territorio ha fatto affari d'oro – perché questo si deve assolutamente dire –, deve rendere non solo pubblici tutti i dati, ma deve ottemperare a tutte le prescrizioni previste dalla VIA. Allora, questa deve essere la nostra battaglia, oltre al riesame.
  Un'ultimissima cosa, Presidente, – e mi avvio veramente alla conclusione – sulla stessa AIA e, quindi, una cosa per l'amministrazione locale. Infatti, la riapertura e il riesame dell'AIA può essere richiesto anche dall'amministrazione locale. Lo può fare il sindaco, lo può fare assolutamente.
  Però in questi otto mesi, al di là di qualche post su Facebook o di qualche comunicato stampa, io non ho visto nulla, non ho visto richieste ufficiali e un'amministrazione opera attraverso atti amministrativi, non opera attraverso i post su Facebook. In otto mesi l'assessorato all'ambiente ha prodotto due delibere e nessuna delle due è relativa a questo tema. Quindi, prima di dare colpe, adesso il MoVimento 5 Stelle governa la città, è giusto che si dia da fare anche sul tema, avrà la massima collaborazione anche dai rappresentanti istituzionali di altri partiti, tant’è che anche nella mia mozione c’è la richiesta di riesaminare l'AIA.
  Io prego il Governo sul serio, lo faccio di cuore, perché io credo che la mia città abbia pagato un altissimo tributo alla sicurezza del sistema elettrico nazionale, così come lo ha pagato alla sicurezza del sistema dei trasporti – accennavo prima, ha un grande porto –, e sono sicura che il Governo saprà dimostrare la disponibilità in questo caso e, quindi, concederà comunque il riesame dell'AIA, alla luce della revisione delle BAT (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Solo per sua informazione, onorevole Tidei, la deputata Grande è in tribuna. Me lo hanno fatto notare, io da qui non è che ci veda benissimo. Però mi hanno confermato che è in tribuna ad assistere ai nostri lavori. È iscritto a parlare il deputato Massimiliano Bernini. Ne ha facoltà.

  MASSIMILIANO BERNINI. Grazie Presidente. Colleghi, sicuramente ci riserviamo di rispondere in modo puntuale alle osservazioni della collega del Partito Democratico nel corso della prossima seduta in cui verrà discussa la mozione a prima firma Grande. Sono anche convinto che probabilmente ci sia un po’ di livore nelle parole della deputata del Partito Democratico per il fatto che il MoVimento 5 Stelle ha vinto le elezioni amministrative nel comune di Civitavecchia nel corso della scorsa votazione.
  Io intervengo in maniera più generalista sulla tematica. Ricordo che qualche mese fa, dopo un lavoro effettuato in sinergia con i nostri colleghi delle varie Commissioni alla Camera, con gli attivisti presenti sul territorio e con la collaborazione di esperti, come alcuni medici dell'ISDE Pag. 87(l'associazione medici per l'ambiente), sono stati depositati da alcuni deputati del MoVimento 5 Stelle una serie di atti legislativi che riguardano l'annosa vicenda della centrale Enel di Civitavecchia riconvertita per l'utilizzo del carbone, come giustamente è stato ricordato, nel 2008.
  Personalmente, ad aprile scorso, ho presentato al Ministro dell'ambiente un'interrogazione a risposta scritta, della quale attendo tra l'altro risposta, dove richiedo al Ministero di rendere pubbliche le misure al camino relative alle concentrazioni di mercurio, effettuate dall'anno d'avvio ad oggi, nella centrale Enel di Civitavecchia Torrevaldaliga nord, considerando la frazione presente allo stato di vapore condizione vincolante premessa nel documento VIA 680 del 4 novembre 2003.
  Questo per dire che fin dai primi mesi in cui il MoVimento 5 Stelle è approdato in Parlamento, l'interesse che questa giovane forza politica ha dimostrato per le problematiche ambientali è sempre stato alto, anche perché è impossibile negare che fin troppe volte ciò che è legato all'ambiente è legato a sua volta, con un doppio filo, sia alla salute che alla legalità: in una parola al benessere dei cittadini, che, fino a prova contraria, dovrebbe rappresentare il fine ultimo di ogni nostra azione e attività legislativa.
  Nel caso che stiamo esaminando, le ricadute sullo stato di salute della popolazione circostante la centrale è negativo e lo è in modo palese e conclamato. Quindi non stiamo parlando di ipotesi o rischi aleatori. Come riportato nel testo della mozione Grande gli studi di settore hanno stimato tra gli impatti sanitari ed ambientali 13 morti premature e 156 miliardi di euro di danni all'agricoltura per l'anno 2009.
  L'approvazione di questa mozione presentata dalla mia collega Grande comporterebbe la riapertura dell'AIA (Autorizzazione integrata ambientale) per la centrale di Civitavecchia a Torrevaldaliga nord, onde ripristinare i parametri di esercizio previsti dal decreto di valutazione di impatto ambientale n. 680/2003 salvo ulteriori riduzioni, e applicare l'utilizzo delle migliori tecniche disponibili per le emissioni, nonché rendere trasparenti gli atti di discussione e permettere a organizzazioni non governative o comitati legalmente costituiti di partecipare ai tavoli decisionali che, di fatto, hanno influenzato e influenzeranno la salute dei cittadini, i destini e lo sviluppo economico dei territori direttamente interessati.
  Ricordo a quest'Aula che Civitavecchia, oltre a rappresentare un importante scalo marittimo, è situata in un territorio a forte vocazione agricola. I comuni limitrofi basano, infatti, la loro economia, oltre che sul turismo, anche sull'agricoltura, che ne va a occupare una fetta importante. Per questo, è palese l'importanza di far partecipare ai tavoli decisionali le organizzazioni non governative o i comitati legalmente costituiti. Per fin troppo tempo, infatti, in Italia si è permesso che i controllati fossero al contempo controllori di se stessi, causando una situazione di conflitto di interessi che molte volte è sfociata in episodi di illegalità e danni irreversibili per la salute dei cittadini e dei territori. Il MoVimento 5 Stelle è in Parlamento anche per cercare di fermare questo scempio legalizzato dei territori perpetrato da una cricca d'affari che ha nella sua visuale solo il tornaconto economico personale e nulla di più. Un ulteriore controllo, cioè quello dei cittadini uniti in organizzazioni o comitati, che non conoscerebbe nessun conflitto di interessi se non quello che porta delle persone ad attivarsi per salvaguardare la propria salute e il proprio territorio, eviterebbe di gran lunga episodi come quello della centrale Enel di Porto Tolle o dell'Ilva di Taranto.
  Checché ne dica il Premier Renzi, che parla di paradossale arricchimento delle famiglie italiane, noi siamo ben coscienti della grave situazione in cui si trova l'economia nazionale e conosciamo lo stato di vera disperazione di ampie fasce della popolazione che vive sotto il livello di sussistenza, con livelli di disoccupazione di cui non si parla quasi più se non per le statistiche. Ma dietro quelle statistiche, dietro quei numeri, ci sono le persone, le Pag. 88famiglie, i beni primari a cui ogni essere umano ha il diritto ad accedere. Conosciamo, dunque, la situazione di vero e proprio ricatto cui vengono sottoposti i territori e le comunità in relazione all'offerta di lavoro. Sempre più spesso il miraggio del posto di lavoro crea le condizioni per l'accettazione di situazioni del tutto fuori controllo sotto il profilo della sicurezza ambientale e sanitaria. Ma è un ricatto al quale non possiamo e non dobbiamo cedere.
  Colgo l'occasione per portare ancora una volta all'attenzione del Governo e dell'Aula la mancanza nel Paese di un coerente e strategico piano energetico nazionale. È inutile qui ripetere la gravità di questo dato e l'importanza di una strategia energetica nazionale. Una strategia che necessariamente deve inserirsi tra le sfide più importanti del futuro (si pensi agli obiettivi di riduzione delle emissioni del Protocollo di Kyoto e alla strategia Europea 20-20-20) e, non dimentichiamolo, sia sotto il profilo dell'approvvigionamento energetico, che di quello occupazionale.
  E forse vale la pena ricordare alcuni punti in merito a quanto ho appena detto. In Italia, nel 2015, l'attuale sistema energetico è basato su fonti esauribili, ossia inquinanti. In Italia la produzione di energia elettrica avviene in gran parte a partire dall'utilizzo di fonti energetiche non rinnovabili (combustibili fossili quali gas naturale, carbone e petrolio, in gran parte importati dall'estero) e in misura minore con fonti rinnovabili, come lo sfruttamento dell'energia geotermica, dell'energia idroelettrica, dell'energia eolica, delle biomasse e dell'energia solare. Il restante fabbisogno elettrico viene coperto con l'acquisto di energia elettrica dall'estero, trasportata nel Paese attraverso l'utilizzo di elettrodotti e diffusa tramite la rete di trasmissione e la rete di distribuzione elettrica. Inoltre, la combustione di combustibili fossili e le perdite di metano sono causa di circa l'80 per cento del fenomeno clima-alterante denominato «effetto serra», nonché di altre forme inquinanti e, soprattutto, per la popolazione, di patologie gravi e diffuse.
  L'attuale dipendenza energetica comporta una spesa di circa 50 miliardi di euro all'anno verso Paesi extracomunitari. I maggiori esperti in giacimenti di idrocarburi datano, nel breve-medio periodo, l'inizio del declino di estrazione dei combustibili fossili. Il nostro Paese non dispone, se non marginalmente, di giacimenti di fonti energetiche fossili o fissili, ma ha un considerevole potenziale di fonti energetiche rinnovabili. Ultimo punto, lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili e la promozione del risparmio energetico avrebbe un positivo impatto sull'occupazione del nostro Paese.
  Presidente, penso che come legislatori del terzo millennio ci si debba interrogare sulle scelte future della nazione che includano il principio di sostenibilità ambientale e direi sociale ed umana, in un'ottica anticonsumista, perseguendo un altro modello di crescita.
  Il rispetto dell'ambiente e la promozione ed il sostegno di tecnologie non impattanti è fondamentale non solo per il benessere e per la tutela della salute e della sicurezza delle generazioni attuali, ma è soprattutto un «patto generazionale» con il quale noi ci impegniamo a consegnare alle generazioni future un mondo migliore o per lo meno un mondo che non sia peggio di quello attuale.
  È un atteggiamento da «buon padre di famiglia» attraverso il quale assicuriamo ai nostri nipoti, di godere delle risorse di cui, più o meno, tutti noi oggi stiamo godendo: aria pulita, cibo sano, acqua salubre, suolo non cementificato e incontaminato, eccetera.
  Ma se non fosse per questi aspetti diciamo così etici, le istanze della nostra mozione dovrebbero essere accolte almeno per far risparmiare soldi pubblici al Sistema Sanitario Nazionale, visto che la riapertura dell'AIA consentirebbe di fare prevenzione, piuttosto che curare poi migliaia di cittadini affetti da patologie correlate all'inquinamento prodotto dalla centrale elettrica di Civitavecchia.Pag. 89
  Per questo auspichiamo, Presidente, che il nostro atto venga accolto favorevolmente (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  Il Governo ha fatto sapere che si riserva di intervenire successivamente.
  Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Sandra Savino e Palese n. 1-00540, Prodani, Pellegrino ed altri n. 1-00047 Fedriga ed altri n. 1-00704 e Gigli e Dellai n. 1-00705 concernenti iniziative per l'istituzione di zone franche urbane in Friuli Venezia Giulia (ore 17,30).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Sandra Savino e Palese n. 1-00540, Prodani, Pellegrino ed altri n. 1-0047 (nuova formulazione), Fedriga ed altri n. 1-00704 e Gigli e Dellai n. 1-00705 concernenti iniziative per l'istituzione di zone franche urbane in Friuli Venezia Giulia (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritto a parlare la deputata Sandra Savino, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00540. Ne ha facoltà.

  SANDRA SAVINO. Signor Presidente ed onorevoli colleghi, nel presentare questa mia mozione sull'istituzione delle zone franche urbane non posso non ripercorrere sinteticamente quelle che sono le ragioni, principalmente di carattere economico, che fondano questo provvedimento.
  Per farlo debbo necessariamente illustrare all'Aula cosa significhi vivere e fare impresa in una regione periferica sullo scenario italiano, ma centrale in Europa, come il Friuli Venezia Giulia. Una regione a statuto speciale, che della sua autonomia ha fatto un esempio di virtuosità, fin dai tempi della ricostruzione dopo il terremoto del 1976, che proprio a seguito di quella esperienza è riconosciuta, anche a livello internazionale, come modello di ripartenza sociale ed economica.
  Una regione che, dopo gli eventi storici degli anni Novanta e la disgregazione della Jugoslavia, ha dovuto confrontarsi con gli effetti di cambiamenti geopolitici molto veloci e che hanno comportato un nuovo assetto degli equilibri anche economici fra gli Stati.
  In questo modo, quelle che una certa retorica individuava come opportunità si sono invece rivelate essere delle condizioni di svantaggio, che hanno impresso un calo di determinati consumi, come quello del carburante, ed indotto alla delocalizzazione pezzi del sistema produttivo locale.
  A tal riguardo, credo sia più che opportuno citare dei numeri, che oggettivamente rappresentano quella che è la realtà del Friuli Venezia Giulia, che vive una concorrenza territoriale da parte di due Stati dell'Unione europea, Austria e Slovenia, che offrono condizioni sia sul piano fiscale, sia su quello dell'impatto burocratico, di estremo favore rispetto alla situazione italiana.
  Un gap difficilmente sanabile nel breve periodo e che quindi rende necessario un intervento straordinario, a meno di non assistere impotenti al declino di un'intera regione.
  Per tale motivo molte imprese del Friuli Venezia Giulia delocalizzano in questi due Paesi limitrofi a causa di problemi reali, che non possono essere ignorati, a cui lo Stato italiano deve porre rimedio: siamo infatti penalizzati, o meglio giochiamo con Austria e Slovenia una partita Pag. 90persa in partenza sul piano della pressione fiscale, del costo del lavoro e dell'energia, per non parlare infine del peso della burocrazia.
  Per questo è opportuno che il Governo attui degli strumenti atti ad eliminare i significativi squilibri territoriali oggi esistenti e favorire quindi una concorrenza leale tra Paesi integrati all'Unione europea.
  La situazione sta infatti sfuggendo di mano e molte imprese hanno avviato o stanno per avviare un processo di delocalizzazione. A tal proposito basti ricordare che nel 2013 si è registrata una percentuale di più 59 per cento di presenze di imprese italiane in Austria, mentre nel 2014 ben 120 realtà hanno manifestato interesse a spostare la propria attività. In tal senso vi è in atto da parte delle istituzioni austriache una politica di promozione rivolta espressamente alle imprese italiane e del Friuli Venezia Giulia in particolare. Si consideri che non stiamo parlando di un Paese paragonabile ad un cosiddetto paradiso fiscale, ma di uno Stato dell'Unione europea in cui vigono un costo della manodopera e un livello socio-economico superiori agli standard italiani. La vera attrattiva è rappresentata dal fisco: infatti in Carinzia, che è la regione austriaca confinante con il Friuli Venezia Giulia, all'imprenditore è imposta un'aliquota del 25 per cento sugli utili, calcolati su una base imponibile minore del 50 per cento rispetto a quella italiana, in quanto l'insieme dei costi deducibili è molto più alto, mentre Irap e bollo auto non esistono.
  In Slovenia invece il dato che rende interessante quel tipo di economia per l'imprenditore italiano è il costo del lavoro: un operaio base guadagna infatti 700 euro mensili. Non esistono né TFR, né la tredicesima, mentre i contributi sulla paga lorda sono il 22 per cento a carico del lavoratore e il 16 per cento a carico del datore di lavoro.
  Ora questa panoramica, pur essendo un po’ didascalica, ha reso abbastanza chiara la situazione di forte difficoltà che interessa il Friuli Venezia Giulia che, a livello di istituzione regionale, registra un'altra grave penalizzazione dovuta alla concorrenza dei due Paesi confinanti: si chiama il «pendolarismo del pieno» ed è un fenomeno che, oltre ad aver messo in ginocchio un'intera categoria, quella dei gestori della stazioni di servizio, ha comportato – base dati della Confcommercio – nel periodo 2008-2013 in termini di minori introiti per l'erario statale (accise e IVA) un ammontare di 488 milioni di Euro. Ripeto: 488 milioni di Euro che invece di finire allo Stato italiano sono andati a quello sloveno. Ma come detto il contraccolpo ha coinvolto anche la regione che sempre in cinque anni non ha incassato la propria quota per la compartecipazione delle accise: circa 92 milioni di Euro. Da considerare, infine, che la stessa regione sostiene il sistema degli sconti sul carburante, sempre a rischio di un provvedimento di sospensione da parte di Bruxelles: 30 sono i milioni previsti a questa voce nella finanziaria regionale 2015.
  Considerato, quindi, questo pesante disagio sofferto nella regione Friuli Venezia Giulia, un'opportunità di rilancio è rappresentata dall'istituzione delle zone franche urbane (Zfu), che è stata introdotta dall'articolo 1, comma 340, legge 24 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), quale strumento di sostegno all'economia in determinate aree del territorio nazionale, particolarmente in ritardo sul versante dello sviluppo e della crescita, che a seguito dell'espletamento di determinate procedure ed in armonia con il quadro regolatorio comunitario, possono beneficiare di una particolare fiscalità di vantaggio e di una mirata allocazione delle risorse.
  Questo riconoscimento dello status giuridico di zona franca, che prevede specifiche condizioni quali essere territori ultraperiferici, a rischio di spopolamento e con una situazione socio-economica di sottosviluppo viene rafforzato dall'articolo 116 della Costituzione, che attribuisce al Friuli Venezia Giulia, alla Sardegna, alla Sicilia, al Trentino-Alto Adige e alla Valle d'Aosta, la disposizione di forme e condizioni Pag. 91particolari di autonomia, secondo i rispettivi Statuti speciali adottati con legge costituzionale.
  Nell'ambito delle caratteristiche riconducibili all'identificazione dei presupposti indispensabili per rendere operativa la misura d'aiuto, attraverso un regime di speciali agevolazioni, lo strumento della zona franca urbana, istituito nelle fasce confinarie regionali, che subiscono la concorrenza di sistemi fiscali, previdenziali e forme contrattuali di lavoro particolarmente vantaggiose, costituisce un contributo rilevante e moderno per promuovere il rilancio dell'economia territoriale.
  La fascia confinaria della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia con la Slovenia e con l'Austria, rappresentata dalle città di Trieste, Gorizia, Cividale, Tarvisio da diversi anni, come detto, sono contraddistinte negativamente dal punto di vista socioeconomico dall'accresciuta concorrenza, essenzialmente di tipo fiscale, messa in atto dai Paesi confinanti: in Slovenia e in Austria grava sulle società una pressione fiscale in media, rispettivamente, del 20 per cento e del 25 per cento, a differenza del livello di prelievo fiscale in Italia che ha raggiunto il 43,8 per cento del prodotto interno lordo nel 2013.
  Perciò, alla luce di queste considerazioni chiedo al Governo di impegnarsi ad assumere iniziative, per quanto di competenza e in conformità alla disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato, a favore della regione Friuli Venezia Giulia, al fine di contrastare i fenomeni di disagio sociale ed economico causati dalla concorrenza degli Stati confinanti, di interrompere il processo di delocalizzazione degli impianti produttivi in corso, nelle aree oltre confine, e di favorire il rilancio economico e imprenditoriale friulano attraverso l'istituzione in via sperimentale e temporanea, della durata di tre anni, di una disciplina normativa analoga a quella delle zone franche urbane, di cui all'articolo 1, comma 340, della legge 24 dicembre 2006, n. 296, a favore dei territori dei comuni di Trieste, Gorizia, Cividale, Tarvisio e Brennero, finalizzata a prevedere semplificazioni fiscali burocratiche dirette a contrastare la concorrenza dei sistemi più vantaggiosi, dal punto di vista fiscale, dei Paesi confinanti quali Austria e Slovenia.
  La previsione in via sperimentale e temporanea per la durata di cinque anni per i territori dei distretti industriali del Friuli Venezia Giulia dello status di zona franca, ai sensi del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio (UE) n. 952/2013, del 9 ottobre 2013 e del regolamento (CEE) n. 2454/93 della Commissione, del 2 luglio 1993, quale elemento positivo di connessione tra il rilancio dell'economia locale e l'inversione di tendenza alla delocalizzazione degli insediamenti produttivi.
  La previsione di misure di agevolazione fiscale nei riguardi del settore marittimo al fine di favorire lo sviluppo turistico e l'attività portuale di Trieste, attraverso l'esenzione da dazi e formalità doganali, prevedendo la libertà di sbarco, imbarco, trasbordo, deposito, manipolazione e lavorazione anche industriale delle merci in regime estero per estero, con mantenimento dell'origine, senza dazi doganali, tasse, aliquote e diritti marittimi; l'esenzione dalle imposte sui consumi e sui redditi limitatamente a quelli prodotti nelle zone franche; la riduzione degli oneri amministrativi per le società estere e la deregulation bancaria e assicurativa.
  L'introduzione di adeguate misure per l'incremento del commercio di determinati prodotti, in particolare riducendo la tariffa dei carburanti e dei generi di monopolio, i cui prezzi negli Stati confinanti sono particolarmente contenuti.
  Infine, l'introduzione di misure sperimentali per l'incremento della produttività del lavoro, definendo le modalità di detassazione del salario di produttività, con riferimento al settore privato, l'imprenditoria giovanile e i titolari di reddito da lavoro dipendente.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Aris Prodani, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00047 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

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  ARIS PRODANI. Grazie, Presidente Sereni, la legge di riordino della legislazione in materia portuale n. 84, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 4 febbraio 1994, tutt'ora vigente, ha affidato alle autorità portuali italiane compiti di indirizzo, programmazione, promozione, coordinamento e controllo delle operazioni portuali e delle altre attività commerciali e industriali esercitate nei porti, con poteri di regolamentazione e di ordinanza. Istituendo le autorità portuali ed individuandone le relative competenze, all'articolo 6 comma 12, la legge cita testualmente: «È fatta salva la disciplina vigente per i punti franchi compresi nella zona del porto franco di Trieste. Il Ministro dei trasporti e della navigazione, sentita l'autorità portuale di Trieste, con proprio decreto stabilisce l'organizzazione amministrativa per la gestione di detti punti franchi».
  Il perché di questa specifica legislativa, lo si spiega considerando il ruolo peculiare che il porto di Trieste ricopre nel quadro normativo nazionale, essendo un porto franco in regime di extraterritorialità doganale riconosciuto dal Trattato di pace di Parigi del 1947 e disciplinato dall'allegato VIII del suddetto trattato nonché dall'articolo 5 del successivo Memorandum di Londra del 1954 che tratta degli obblighi per l'Italia in relazione agli articoli dall'1 al 20 del sopra citato allegato VIII riguardo il funzionamento del porto triestino.
  Il superamento del Memorandum di Londra avuto da parte del Trattato di Osimo del 1975, in merito ai rapporti tra l'Italia e l'allora Jugoslavia, non ha modificato quanto in precedenza stabilito dal Memorandum stesso in relazione al porto franco di Trieste, mantenendo impregiudicati i precisi impegni dello Stato italiano. Cosa dicono questi 20 punti ? Nell'articolo 1 si stabilisce che sarà creato a Trieste un porto franco doganale e che le merci godranno di libertà di transito. All'articolo 2 si afferma che il porto franco sarà costituito e amministrato come un ente pubblico, avente tutti gli attributi di una persona giuridica e che tutte le proprietà nei limiti del Porto Libero saranno trasferite al Porto Libero stesso.
  All'articolo 3 si stabilisce che la zona del porto franco comprenderà il territorio e gli impianti delle zone franche del porto di Trieste entro i loro confini del 1939, e che, se necessario, potranno venire aumentate di superficie. L'articolo 4 statuisce che le leggi ed i regolamenti in vigore nel territorio libero si applicheranno alle persone e ai beni entro i confini del porto franco. L'articolo 5 stabilisce che le navi mercantili e le merci di tutti i Paesi godranno senza restrizione del diritto di accesso per il carico e lo scarico di merci e che dazi doganali o pagamenti non potranno essere richiesti se non sui servizi prestati. L'articolo 6 precisa che operazioni quali il deposito, il magazzinaggio e l'imballaggio delle merci saranno autorizzate nel porto franco in conformità ai regolamenti generali emanati dal direttore. Nell'articolo 7 si afferma che il direttore potrà autorizzare la lavorazione delle merci oltre all'ingresso di nuove imprese industriali entro i confini del porto. L'articolo 8 precisa che le autorità civili saranno autorizzate a procedere ad ispezioni nel porto franco nella misura necessaria a far rispettare i regolamenti doganali o altri regolamenti per la prevenzione del contrabbando. Nell'articolo 9 si statuisce che le autorità del territorio libero saranno autorizzate a determinare e a percepire i diritti portuali del porto franco. L'articolo 10 dispone che non sarà ammessa alcuna discriminazione basata sulla bandiera delle navi, oppure sulla proprietà delle merci nel determinare i diritti portuali. Nell'articolo 11 si precisa che l'entrata e l'uscita di tutte le persone dal porto franco sarà sottoposta a quelle norme che verranno stabilite dalle autorità civili. L'articolo 12 afferma che le norme e i regolamenti in vigore nel porto franco e le tariffe dei diritti e delle tasse percepite devono essere rese pubbliche. Secondo l'articolo 13, il cabotaggio ed il traffico costiero entro il previsto territorio libero saranno esercitati in conformità alle norme emanate dalle autorità dello stesso territorio Pag. 93libero. L'articolo 14 riguarda provvedimenti sanitari e disposizioni relative alla lotta contro le malattie degli animali e delle piante. L'articolo 15 riguarda la fornitura di servizi pubblici, di polizia e antincendio. L'articolo 16 riguarda la garanzia della libertà di transito delle merci da parte del territorio libero e degli Stati interessati. L'articolo 17, riguarda la garanzia delle libertà di comunicazioni postali, telegrafiche e telefoniche tra la zona del porto franco e qualsiasi altro Paese. L'articolo 18 si occupa dell'amministrazione del porto franco, della figura del direttore e della sua nomina per il cui ruolo è specificata l'esclusione di cittadini italiani e jugoslavi. L'articolo 19 precisa che il direttore adotterà tutte le misure ragionevoli e necessarie per l'amministrazione, il funzionamento, la manutenzione e lo sviluppo del porto franco. L'articolo 20 affida al direttore il potere di emanare leggi e regolamenti interni nell'esercizio delle sue funzioni, oltre a stabilire alcune disposizione in tema di bilancio.
  Appare del tutto evidente che questi articoli, inseriti in maniera adeguata nel decreto ministeriale previsto dalla legge n. 84 del 1994, mai emanato e che ci troviamo, ancora dopo un ventennio, a richiedere attraverso una mozione parlamentare, dovrebbero rappresentare la coniugazione dei contenuti del Trattato di pace all'interno della legislazione portuale italiana, rimarcando la assoluta peculiarità del porto di Trieste e dei suoi punti franchi, non solo nel panorama nazionale, ma addirittura in quello mondiale. Decreto ministeriale che, oltre a mettere fine, una volta per tutte, alle incongruenze e alle incertezze sull'applicazione della normativa di agevolazione riservata allo speciale regime del porto franco di Trieste, darebbe piena attuazione a una riforma, altrimenti incompiuta, del sistema portuale italiano e la necessaria e dovuta chiarezza normativa per il pieno sviluppo della portualità triestina. L'articolo 6, comma 12, della legge n. 84, che sottolinea e ribadisce la specialità del Porto di Trieste e dei suoi punti franchi – lo ripetiamo – risponde ai precisi obblighi assunti dal Governo italiano con la sottoscrizione dei trattati internazionali sopracitati.
  La conferma arriva anche dalla giurisprudenza, dove diversi sono stati i rilievi in tal senso nel corso del tempo. Tra le più recenti, la sentenza del TAR n. 530 del 2013, dove le indicazioni contenute nell'allegato VIII vengono definiti «cogenti» per lo Stato italiano, e la traduzione asseverata dalla lingua originale del Memorandum di Londra promossa lo scorso anno dal tribunale di Trieste, nella quale le disposizioni ivi contenute richiedono una stringente «ottemperanza» al loro rispetto da parte dell'Italia. Ma non solo. La normativa speciale fiscale a cui è sottoposto il porto di Trieste, suffragata da precise disposizioni emanate dal legislatore nazionale, appare, in maniera inequivocabile, confermare il recepimento di un obbligo internazionalmente assunto dall'Italia. Il decreto del Presidente della Repubblica n. 107 del 2009 ed il successivo decreto ministeriale 24 dicembre 2012, però, nell'indicare in via generale i parametri di riferimento per l'adeguamento delle tasse e dei diritti marittimi, ha introdotto una rilevante differenziazione fra il trattamento riservato al complesso degli scali nazionali ed il porto franco di Trieste, nel quale l'aumento delle tasse e dei diritti marittimi è pari al 100 per cento del tasso d'inflazione, anziché del 75 per cento come negli altri porti.
  Questo difforme e discriminante trattamento riservato allo scalo giuliano, che giudichiamo del tutto illegittimo proprio in virtù delle fonti normative e giuridiche cui il Porto di Trieste deve essere sottoposto, oltre a disattendere in maniera palese quanto sopra riportato, è foriero di rilevanti danni economici per tutti coloro che operino nell'ambito dei punti franchi del Porto di Trieste, oltre a mettere in forte discussione la certezza del diritto.
  Chiediamo con forza, su questo punto, un preciso impegno del Governo affinché attraverso un intervento legislativo urgente sani i contenuti del decreto del Presidente della Repubblica n. 107 e del seguente Decreto Ministeriale facendo valere gli Pag. 94impegni assunti a livello internazionale e tutelando in maniera decisa l'unicità del regime dei punti franchi triestini.
  L'Allegato VIII vincola, nelle sue articolazioni, il Governo italiano a mantenere il Porto ben collegato ed in perfetta efficienza. Per quanto concerne la movimentazione interna, la concessione quindicennale del servizio di manovra (servizio di interesse generale di cui all'articolo 6, comma 1 lettera c) della legge n. 84 del 1994 ) è affidata dal 2004 ad Adriafer Srl, società di cui l'Autorità Portuale di Trieste detiene il 100 per cento del capitale sociale. Proprio in questi giorni Adriafer Srl è oggetto di un avviso esplorativo per la manifestazione di interesse a partecipare alla procedura di gara preordinata alla cessione di quote del capitale sociale della società. Procedura di vendita che, siamo convinti, disattenda l'articolo 9, comma 2 e l'articolo 19 dell'Allegato VIII oltre che, svolgendo una funzione strategica fondamentale ed essendo un servizio ed un bene del Porto internazionale di Trieste, debba restare tale. Per Adriafer Srl e per Porto Servizi Spa, società che detiene in concessione diversi servizi primari all'interno del Porto di Trieste e oggetto anche questa di un avviso esplorativo alla vendita, chiediamo che vengano immediatamente sospese le procedure di cessione.
  Altro aspetto, esterno all'area portuale, verte sui collegamenti ferroviari, e riguarda alcune condizioni geopolitiche che sono anche già state spunto per una mia interrogazione del luglio 2014.
  La posizione geografica di Trieste la pone come un appetibile crocevia per sistemi intermodali nave-rotaia, vista la profondità dei terminal portuali presenti e le linee ferroviarie esistenti, anche se queste ultime andrebbero potenziate. Il piano infrastrutturale promosso dalla joint venture cui partecipano le società ferroviarie statali di Russia, Ucraina, Slovacchia e Austria, per la costruzione di una rete ferroviaria a scartamento largo da Kosice a Bratislava e Vienna (Austria), ha come obiettivo quello di potenziare i volumi di traffico, migliorare i collegamenti diretti e ridurre il tempo del trasporto merci Asia-Europa; la nuova linea, proposta in base agli standard dei binari russi a scartamento largo (incompatibili con quelli europei) prevede un'estensione delle infrastrutture ferroviarie di circa 450 chilometri e la costruzione di un nuovo centro logistico, un hub container di grandi dimensioni, nell'area Bratislava-Vienna.
  L'estensione fino a Trieste del progetto ferroviario summenzionato farebbe diventare lo scalo giuliano il principale punto di riferimento per il collegamento meridionale dell’hub ferroviario di Bratislava-Vienna, assumendo così un ruolo di primo piano per il trasporto merci su rotte e tracciati sicuri dall'Asia all'Europa.
  Ho chiesto, nella presente mozione, una chiara e fattiva presa di posizione del Governo rispetto ad un progetto internazionale come quello proposto che permetterebbe uno sviluppo portuale con evidenti ricadute di traffici e di occupazione non certo circoscritti solo all'area triestina, ma di cui potrebbero beneficiare il retroterra regionale e, in diverse forme, l'intero Paese. Gli impegni stringenti che si è assunto il Governo italiano di mantenere il Porto in perfetta efficienza dovrebbero essere, dunque, chiari.
  Il punto franco nord, noto come Porto Vecchio, rappresenta, invece, la dimostrazione di quanto quegli impegni siano stati disattesi. Costruito dopo la metà degli anni ’50 dell'800 ha subito un parziale progressivo abbandono negli ultimi decenni. La mancata valorizzazione dell'area ed il suo progressivo declino si è concretizzata in maniera definitiva qualche settimana fa, durante l'esame della legge di stabilità. Un emendamento già dichiarato inammissibile è riapparso nel maxiemendamento al Senato, ed ha stabilito per legge la sdemanializzazione di gran parte dei 60 ettari del Porto Vecchio, sancendo la fine della pubblica utilità dell'area in assenza di un qualche presa di posizione precedente delle autorità competenti e senza il consenso della popolazione anche attraverso dei pronunciamenti ufficiali degli organi elettivi, nonché, in capo al Commissario di Governo e sentiti Regione Friuli Venezia Giulia e comune, senza il coinvolgimento Pag. 95diretto ed esplicito dell'Autorità Portuale, il trasferimento del punto franco in un'altra area ancora da individuare.
  Esprimendo un giudizio assolutamente negativo sulla modalità di presentazione ed approvazione di un emendamento che abbia come oggetto una questione delicata come la trattazione dei punti franchi triestini, manifestiamo la nostra preoccupazione e la nostra critica sui contenuti di tale provvedimento.
  In particolare, il comune di Trieste, al quale andrà trasferito il comprensorio di scala edilizia e urbanistica di molto superiori alle sue capacità sia strategiche che finanziarie, sarà costretto a sobbarcarsi i costi di ordinaria e straordinaria manutenzione, messa in sicurezza e vigilanza oltre a doversi occupare della vendita dell'area, non è ancora chiaro secondo quali valutazioni economiche.
  Le dichiarazioni provenienti da ambienti comunali secondo le quali si provvederebbe alla modifica parziale a favore dell'edilizia residenziale della destinazione d'uso dell'area prevista nel Piano regolatore, attualmente di «Portualità allargata», nonché l'annunciata comparsa sul mercato immobiliare di quasi 1 milione di nuovi metri cubi, creerà delle criticità sul valore immobiliare dell'intero patrimonio cittadino pubblico e privato, oltre al rischio di trasformarsi in una mera quanto pericolosa operazione speculativa. Chiediamo pertanto che, prima di procedere con la realizzazione di quanto indicato dalla legge di stabilità, si apportino le necessarie e dovute modifiche da inserire nel primo provvedimento disponibile, predisponendo un dovuto e necessario accordo delle istituzioni sul futuro del Porto Vecchio, valutando con grande attenzione i vincoli internazionali che regolano i punti franchi triestini e si propongano, con gli strumenti fiscali di cui l'area beneficia e potrebbe beneficiare, un futuro diverso rispetto ad una semplice vendita sottoprezzo di un importante bene pubblico.
  Presidente, al contrario di quanto accaduto con l'emendamento presentato dalla maggioranza al Senato riguardante il Punto Franco Nord di cui abbiamo parlato, dove i giochi si sono fatti senza che alcuno potesse intervenire o, perlomeno, entrare nel merito della questione, la mozione di oggi ci dà modo di sviscerare in maniera approfondita questioni importanti non solo per una porzione limitata del territorio, ma del Paese intero. Un Paese che dovrebbe considerare l'eccezionalità di un porto, sia dal punto di vista fisico che giuridico che fiscale, quale una importantissima risorsa da valorizzare, una risorsa che, se sostenuta in maniera dovuta e in rispetto agli obblighi internazionali assunti dall'Italia, rappresenterebbe con assoluta certezza un elemento cardine della ripartenza economica di tutto il territorio nazionale.
  Per questo, e concludo, chiediamo la prossima emanazione del decreto ministeriale previsto dalla legge n. 84 del 1994, contenenti le specifiche previste dall'Allegato VIII del Trattato di pace, che rendano certezza amministrativa al Porto Franco Internazionale di Trieste, che mantengano le fondamentali specialità fiscali e che evitino la dispersione di fondamentali strutture operative.
  Chiediamo che il porto di Trieste, evitando sterili contrapposizioni tra scali contermini, venga inserito in una seria visione strategica nazionale che gli permetta di poter competere da protagonista nel panorama mondiale. Vogliamo che Trieste non sia solo menzionata nei servizi televisivi sulle sferzate invernali della Bora o ricordata per i fasti vissuti quando era il principale scalo dell'Impero Asburgico, ma sia riconosciuta quale protagonista di un modello di sviluppo portuale che un territorio e le sue genti attendono, e al quale ambiscono, da troppo. Non c’è più tempo per rimandi, per incertezze, per parzialità. Le nostre richieste sono chiare. Ci aspettiamo risposte altrettanto chiare.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Gigli, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00705. Ne ha facoltà.

  GIAN LUIGI GIGLI. Signor Presidente, signor sottosegretario Zanetti, io alcune cose che avevo in animo di dire le risparmierò Pag. 96perché sono state già dette dai colleghi Savino e Prodani, mi consentirete se partirò invece in una maniera meno paludata, da un'affermazione, da un c'era una volta. C'era una volta un grande porto, che era il porto a sua volta di un grande impero, con linee marittime che lo collegavano al Nord-America, al Sud-America e in particolare all'Oriente. C'era una volta una città come Gorizia, che era capoluogo di una provincia che si estendeva al di qua e al di là delle Alpi. C'era una volta un confine, Tarvisio, con una stazione di dogana estremamente importante e di grande rilievo per quanto riguarda il commercio e il trasporto delle merci. Bene, ad un certo punto c’è stata la guerra e questi territori si sono ritrovati non più al centro di alcune vicende importanti ma all'estrema periferia, in alto a destra, come si dice quando uno deve andare in qualche altro posto. Il Friuli Venezia Giulia è lì, in alto a destra, e questa situazione di estrema periferia ha avuto la speranza di avere una svolta finalmente quando con la caduta della Cortina di ferro nel 1989 è sembrata presentarsi una grande opportunità, l'opportunità di un nuovo mercato che si aprisse all'Europa centrale ed orientale e che mettesse veramente questa regione come il baricentro della nuova Europa.
  Questa speranza è andata presto delusa, perché un'Europa che non è riuscita a darsi una politica fiscale comune ha finito per diventare una condizione di regresso per questo nostro territorio. Quindi, quella che poteva essere un'opportunità ha finito per portare – e sono cifre dell'Istituto per il commercio estero – addirittura ad una fuga, ad una delocalizzazione, con trasferimento delle proprie attività per seicento aziende negli ultimi anni verso la Slovenia e per novecento verso la contermine Carinzia del territorio austriaco. Si tratta di cifre impressionanti per una piccola regione. Vi sono stati periodi nei quali addirittura le camere di commercio organizzavano pullman che si muovevano per andare ad ascoltare quali erano le opportunità che venivano messe a disposizione degli imprenditori appena oltre confine. Con un'ora di viaggio si aveva modo di sentirsi prospettare qualcosa che assomigliava al paradiso per alcune imprese. Perché assomigliava al paradiso ? Perché, a fronte dell'elevata tassazione in Italia, l'Austria e la Slovenia – l'abbiamo già sentito dire – oltre ad avere incentivi, oltre ad avere una burocrazia snella, oltre ad avere un sistema giudiziario particolarmente efficiente – noi solo oggi ci stiamo preoccupando di riformare la giustizia civile, rendendoci conto di come essa sia un ostacolo per lo sviluppo del d'Italia – oltre ad avere un fattore già di competizione in partenza, come il più basso costo delle fonti energetiche, avevano anche – e non voglio ritornarci – un tax rate estremamente più favorevole, estremamente più favorevole. E se a questo si aggiunge che il quadro degli aspetti che li rendono attraenti si poteva completare con convenzioni contro le doppie imposizioni, con un veloce rimborso dell'IVA a credito, con la deducibilità quasi totale dei costi aziendali, con una complessità burocratica ridotta davvero ai minimi, con il recepimento delle normative comunitarie, in modo tale da non far gravare sulle imprese altra burocrazia aggiuntiva e altri costi aggiuntivi, con autorizzazioni amministrative quasi automatiche – si dice che per aprire un'impresa in Carinzia basti meno di una mattinata – con un contenzioso tributario limitato e con un'amministrazione finanziaria non solo efficiente, ma friendly verso le imprese – e abbiamo sentito anche con un costo di lavoro, almeno per la Slovenia, vantaggioso – ebbene allora non deve stupirci se il Friuli si sia trovato a pagare e in modo estremamente pesante, proprio perché regione di confine.
  Semmai stupisce il fatto che oggi qualcuno stia rimettendo addirittura in discussione l'autonomia, le ragioni della specialità dell'autonomia regionale, ragioni che non sono solo quelle della storia, ma sono anche quelle del presente, almeno finché l'Europa non armonizzerà i suoi sistemi fiscali.
  In Friuli Venezia Giulia si sta registrando lo spostamento della residenza Pag. 97fiscale oltre confine e questo è facilitato dal fatto di non richiedere un grande sforzo logistico e permette di evitare, inoltre, la doppia tassazione dei redditi di impresa. I requisiti necessari per le zone franche urbane, che potrebbero essere una risposta a questo tipo di difficoltà – lo sappiamo – di per sé non apparterrebbero a queste zone, perché richiederebbero di essere territori ultraperiferici – e fin qui ci siamo – a rischio di spopolamento – e anche qui ci siamo – ma certamente richiederebbero che si fosse già in una condizione di sottosviluppo.
  E però, a parte gli aspetti di carattere storico richiamati poco fa ampiamente dal collega Prodani e che, almeno per quanto riguarda Trieste, fanno riferimento anche a trattati internazionali, bisogna tenere conto delle specifiche disposizioni legislative dello Stato, rafforzate dall'articolo 116 della Costituzione – che la riforma costituzionale che andiamo a esaminare, peraltro, non mette in discussione, se qualcun altro non vorrà farlo dopo, come dicevo prima –, che attribuiscono al Friuli Venezia Giulia e alle altre regioni a statuto speciale, per fortuna, forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti adottati con legge costituzionale.
  Credo, quindi, che vi siano le precondizioni, tutte, quelle di necessità e quelle ordinamentali, che consentono di pensare all'istituzione delle zone franche urbane anche per i territori, che sono stati già citati, di Trieste, di Gorizia, di Cividale e di Tarvisio; territori che, senza questo tipo di intervento, saranno verosimilmente condannati alla desertificazione industriale, trascinando appresso, in basso con sé, tutta quanta la nostra regione.
  È per questo, e vado a concludere, Presidente, che noi chiediamo che il Governo si impegni ad agire con tempestività per scongiurare il rischio di questo fenomeno di deindustrializzazione che sta colpendo un'area particolarmente attiva, laboriosa, vivace, capace di fare anche innovazione, e si impegni quindi: a considerare l'opportunità, per quanto di competenza e in conformità alla disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato, di introdurre per la regione di confine che ho cercato di descrivere un regime di fiscalità di vantaggio, anche temporaneo, in materia di dazi doganali ed extra-doganali, di imposte sui consumi e sui redditi limitatamente a quelli prodotti nella zona franca, al fine di interrompere il processo di delocalizzazione già in atto per effetto di una concorrenza impari degli Stati confinanti; a sostenere le imprese operanti nell'area sopra individuata attraverso un'incisiva semplificazione fiscale e burocratica, per consentire alle nuove imprese e alle imprese dei giovani di poter competere, oltre che sul piano fiscale, anche su quello organizzativo con le imprese omologhe dei Paesi confinanti in quell'area; infine, a prevedere iniziative volte a contrastare i fenomeni di disagio sociale ed economico causati dalla concorrenza degli Stati confinanti, a interrompere il processo di delocalizzazione degli impianti produttivi in corso nelle aree oltre confine e a favorire il rilancio economico e imprenditoriale di un'intera regione.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Cinzia Maria Fontana. Ne ha facoltà.

  CINZIA MARIA FONTANA. Presidente, intervengo solo per dichiarare che, essendo l'argomento sollevato dalle mozioni presentate di grande rilevanza e avendo ascoltato con attenzione le illustrazioni dei colleghi su un tema che, oltretutto, si inserisce, più in generale, all'interno del sistema Italia, della competitività delle zone del nostro Paese, e quindi del sostegno dello sviluppo economico generale, ci riserviamo di presentare, come gruppo del PD, una mozione sull'argomento e di esprimere, attraverso un intervento, ovviamente, più dettagliato, la posizione del nostro gruppo in sede di dichiarazione di voto.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Rizzetto. Ne ha facoltà.

  WALTER RIZZETTO. Presidente, sottosegretario, dunque, anche sulla scorta di Pag. 98quanto appena annunciato dalla collega Fontana, sono semplicemente, a questo punto, a sottolineare alcuni dati. Parto un po’ dall'alto, nel senso che attualmente vi è più del 43 per cento di disoccupazione giovanile su quasi il 13,4 per cento di disoccupazione globale. Uno studio della CGIA Mestre ha valutato la regione Friuli Venezia Giulia come una delle regioni che, nell'ultimo anno e mezzo, ha perso il maggiore numero di posti di lavoro.
  Tra l'altro, in questi giorni Confindustria, marcando la grave situazione del mercato del lavoro in Friuli Venezia Giulia, stima che circa il 10 per cento della popolazione sia tra disoccupati e cassintegrati. In particolare, i dati della cassa integrazione hanno toccato dati record, visto che la CIG è passata da quasi 7 mila ore nel 2013 a quasi 9 mila ore nel 2014.
  Diciamo che come prima detto, tra l'altro in modo giusto dai miei colleghi, la delocalizzazione delle imprese friulane verso le vicine Austria e Slovenia è un dato di fatto, nel senso che sia l'Austria, che la Slovenia, offrono delle condizioni sicuramente più favorevoli e concorrenziali rispetto a quanto effettivamente noi viviamo dentro il nostro tessuto a livello nazionale. Il dato che preoccupa, oltre al dato di Confindustria, ancor più maggiormente, è quello che negli ultimi tempi l'intenzione delle piccole e medie imprese sarebbe quella di iniziare ulteriormente a trasferirsi verso le regioni oltre confine, andando di fatto a compromettere una ragione, un tessuto imprenditoriale, caratterizzati dalla presenza di PMI piuttosto spesso. L'esame condotto da Confartigianato, nell'anno 2014, sostiene l'impossibilità di competere per le imprese regionali con le dirette concorrenti che operano oltre confine. La nostra l'imposizione fiscale può toccare punte del 66 per cento, mentre sono del 32,5 per cento nella vicina Slovenia e del 52,4 per cento in Austria. Questi sono tutti dati al massimo. Quindi, è del tutto evidente che noi, se è vero – ed è vero – ci troviamo in Europa, per un'azienda del Friuli Venezia Giulia basta fare veramente pochi chilometri, oltre che per andare a fare benzina dell'altra parte, anche per spostare in una mattinata, come ricordato dal collega Gigli, un'azienda, perdendo di fatto e per sempre, sia il know-how di queste illustri aziende, ma soprattutto perdendo lavoro e perdendo manodopera. Dunque, rispetto alle aree in questione di Trieste, Gorizia, Cividale e Treviso, situate lungo la fascia confinaria del Friuli Venezia Giulia con Slovenia ed Austria, come prima accennato, bisogna intervenire con provvedimenti idonei. Allora ben venga, a questo punto, un'analisi più ampia nei confronti di queste aziende che la collega prima ha lanciato come idea a tutte le parti politiche qui sedute. È altrettanto chiaro che, oltre alla concreta attuazione e al potenziamento della zona franca del porto di Trieste, non mi dilungo, va adottato un più ampio progetto che preveda l'attuazione di zone franche urbane nella fascia di confine del Friuli. La regione Friuli Venezia Giulia qualcosa, come ricorderanno i colleghi, aveva cercato di fare, ad esempio con un provvedimento presentato dalla presidente Serracchiani che si chiamava «rilancio impresa», ma che non era assolutamente idoneo e sufficiente per favorire un'incisiva ripresa economica ed occupazionale. Sottosegretario, in Friuli Venezia Giulia non esiste soltanto il caso Electrolux (il caso Electrolux che lei ricorda essere stato in parte, mi permetto di dire, risolto prima della tornata elettorale delle elezioni europee), esistono centinaia e migliaia di piccole aziende che effettivamente soffrono una concorrenza amplissima rispetto alle aziende che stanno dall'altra parte del confine. Non soltanto queste aziende sono, come prima detto, invogliate ad andare ad investire con un semplice ufficio oltre confine per pagare meno tasse, ma addirittura, spesso, le aziende di oltre confine vengono a lavorare nel territorio del Friuli Venezia Giulia, portando via il lavoro ai nostri artigiani alle nostre PMI e a tutti coloro che con fatica, in questi giorni, in questi anni, in questi mesi, stanno cercando di portare avanti microimprese, perché le aziende del Friuli Venezia Giulia sono aziende che mediamente possono contare, parlo di microimprese, Pag. 99quattro, cinque, sei, dipendenti. Quindi, addirittura, si tratta di imprese che non andranno neanche ad essere toccate per quanto riguarda i provvedimenti che il Governo ha appena varato rispetto alla delega sul lavoro. L'istituzione di zone franche urbane in queste aree e l'applicazione di un programma di defiscalizzazione che ne consegue, sono provvedimenti necessari per consentire l'incentivazione, soprattutto, dei consumi, la ripresa economica ed occupazionale, contrastando non soltanto la delocalizzazione delle imprese, ma anche l'emigrazione dei residenti, fenomeno che ormai da tempo, come detto, risulta sempre più preoccupante in queste zone territoriali.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire successivamente.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Fedriga ed altri n. 1-00607 e Pesco ed altri n. 1-00709 concernenti iniziative per la sospensione dell'applicazione degli studi di settore (ore 18,15).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Fedriga ed altri n. 1-00607 (Nuova formulazione) e Pesco ed altri n. 1-00709, concernenti iniziative per la sospensione dell'applicazione degli studi di settore (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
  Avverto che è stata presentata la mozione Paglia ed altri n. 1-00714 (Vedi l'allegato A – Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  Constato l'assenza del deputato Alberti, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
  È iscritta a parlare la deputata Scuvera. Ne ha facoltà.

  CHIARA SCUVERA. Grazie Presidente, quello degli studi di settore è un tema ricorrente e dispiace che sia i colleghi della Lega che i colleghi del MoVimento 5 Stelle, dopo avere proposto una mozione – ed in particolare i deputati della Lega facendo una proposta forte che è quella della sospensione entro tempi rapidissimi di questo istituto che noi invece riteniamo ancora utile – non partecipino a questa discussione. I cittadini e le imprese giudicheranno chi fa politiche concrete per la crescita e chi fa solo demagogia. Benissimo.
  Per quanto riguarda il tema io credo che in questa discussione si sia spesso confusa la questione dell'utilità dell'istituto con quella dell'attualità della configurazione dell'istituto. Credo quindi che sarebbe stato e che sarebbe un errore privare di uno strumento sia l'amministrazione finanziaria che le imprese, uno strumento che ha come ratio quella della semplificazione per consentire una più efficace lotta all'evasione fiscale, utilità che va invece potenziata e attualizzata. Noi sappiamo che questo proprio indebolirebbe tutto il sistema produttivo. Infatti gli studi nascono nel 1993 proprio come strumento per rendere anche il mercato più trasparente e la competizione più leale. Tramite gli studi il contribuente in sede dichiarativa può verificare il proprio posizionamento rispetto ai criteri di congruità e coerenza, rilevando se i ricavi o i compensi dichiarati siano congrui rispetto a quelli stimati dallo studio, tenuto conto delle risultanti derivanti dall'applicazione degli indicatori di normalità economica, e se il proprio comportamento sia coerente con i valori di indicatori economici predeterminati per ciascuna attività.Pag. 100
  Quindi, questo strumento rappresenta un'importante forma di prevenzione dell'infedeltà dichiarativa, potendo indurre comportamenti corretti. Quindi il tema, per noi, non è quello di smantellare questo strumento, come richiede praticamente la mozione della Lega Nord, ma di evitare degli automatismi che inducano ad una sorta di minimum tax per le imprese. Lo strumento, come ci dice autorevole dottrina, si è anche evoluto nella sua funzione, soprattutto con l'avvento e l'aggravarsi della crisi economica, diventando uno dei principali mezzi di compliance. Non è un'ispirazione punitiva, quella che anima gli studi di settore, ma di ausilio all'accertamento e di conoscenza proprio della capacità delle imprese di valutazione anche dell'attendibilità dei modelli fiscali, di incentivo all'adempimento all'autocorrezione.
  In questo senso è stata eloquente la Corte di Cassazione, che nel 2009 non dice, come sostiene la mozione della Lega Nord, che gli studi di settore sono inutili ma, chiarendone proprio la natura di presunzione semplice, stabilisce e chiarisce che, ai fini della prova dell'evasione fiscale, non bastano gli studi di settore. Ciò significa che non è che automaticamente gli studi di settore rappresentano una prova dell'evasione fiscale, la quale può essere confutata anche con altri elementi probatori.
  Quindi, quello che fa la Corte è proprio limitare l'automatismo dell'accertamento fiscale. Si tratta, quindi, di conferire una maggiore efficacia e fruibilità a uno strumento che consente all'impresa di autovalutarsi, nell'ottica di un rapporto nuovo tra l'amministrazione finanziaria e il contribuente, quel rapporto di collaborazione a cui, con i provvedimenti del Governo e del Parlamento, puntiamo come Partito Democratico.
  Gli studi, per esempio, vanno valorizzati come strumento di selezione rispetto all'ulteriore attività di controllo più che finalizzati al mero accertamento diretto ed è quanto sottolineato dagli indirizzi operativi dell'Agenzia delle entrate nell'agosto 2014, con una recente circolare in riferimento ai dati contenuti nei medesimi.
  Per questo, come Partito Democratico, proprio perché riteniamo che è ancora valida sia l'utilità dello strumento, ma che quello che va potenziato è proprio la ratio, chiediamo la semplificazione, la riduzione del numero, una revisione delle modalità di calcolo.
  Presidente, per suo tramite chiederei alla Lega, se fosse presente – purtroppo è assente, quindi non possiamo chiederglielo –, se davvero ritiene che i problemi delle imprese siano rappresentati da strumenti come quelli degli studi di settore e non, invece, da questioni strutturali più complesse, la cui soluzione si è rinviata per troppo tempo.
  Noi crediamo che per rilanciare il sistema Italia, il cui tessuto produttivo sappiamo essere composto largamente da micro, piccole e medie imprese, occorra promuovere investimenti pubblici e privati nell'innovazione e, quindi, nella ricerca, ridurre la pressione fiscale su imprese e lavoratori (questo chiaramente agevola anche gli investimenti ed è il senso delle operazioni che stiamo conducendo sull'IRAP e sull'IRPEF), riformare profondamente il fisco e la giustizia, puntare sulla semplificazione e sulla chiarezza dell'agire amministrativo. Abbiamo cominciato a farlo, a partire dalla delega fiscale e dalla legge di stabilità, dal progetto di riforma della giustizia.
  Per consolidarsi e competere le imprese hanno bisogno di un sistema con regole chiare e solide. Non ci sfugge, poi, che per i contribuenti di minori dimensioni, il cosiddetto «popolo delle partite IVA», rappresentato anche da tanti giovani professionisti, l'elaborazione degli studi possa rappresentare talora un appesantimento burocratico e che questi vadano utilizzati dove effettivamente servono. Ed è per questo che con la nuova disciplina contenuta nell'articolo 1, commi da 54 a 89, della legge di stabilità per il 2015, istituendo, a decorrere dal 1o gennaio 2015, per gli esercenti attività d'impresa e arti e professioni in forma individuale, un regime forfetario di determinazione del reddito Pag. 101da assoggettare a un'unica imposta sostitutiva – sappiamo che, lo ha anche detto il Governo, si dovrà tornare su questa norma per procedere a un aggiustamento, e dirò quale –, si prevede, tra le altre agevolazioni, quella dell'esenzione dagli studi di settore.
  Riteniamo che nel prossimo provvedimento legislativo utile sia necessario innalzare il tetto massimo dei ricavi e compensi previsto per accedere al nuovo regime fiscale agevolato per i settori le cui soglie sono attualmente fissate a valori inferiori a 30 mila euro, a partire dai lavoratori autonomi che esercitano la professione in via esclusiva, coordinando il nuovo regime tributario dei minimi con l'evoluzione temporale prevista per le aliquote contributive pensionistiche di tali categorie, in modo da tenere sotto controllo e evitare l'aumento della pressione fiscale complessiva sulle stesse. Ma la direzione che noi abbiamo disegnato con quella norma è assolutamente giusta.
  Sempre per garantire più efficacia in termini di compliance, la legge di stabilità 2015 ha introdotto norme che rafforzano i flussi informativi tra i contribuenti e l'Agenzia delle entrate e la modifica delle modalità, dei termini e delle agevolazioni connesse all'istituto del ravvedimento operoso.
  Vede, Presidente, noi riteniamo che privare la pubblica amministrazione e le imprese di uno strumento come gli studi di settore, senza peraltro avanzare una proposta alternativa, produrrebbe un irrigidimento del sistema fiscale, uno spreco di risorse.
  Tra l'altro, metterebbe a rischio il focus sull'evasione, ridurrebbe la cultura della prevenzione dell'evasione fiscale e si rischierebbe, da un lato, di indebolire il contrasto all'evasione e, dall'altro, anche di ridurre la cultura di programmazione e di autovalutazione delle imprese. Da riformisti, diciamo: ripensiamo gli studi, aggiorniamoli, ma non cambiamo continuamente le regole. Consolidiamo una nuova cultura di impresa. Noi, quindi, non condividiamo la proposta di sospensione per l'anno il corso, ma riteniamo che sia necessario proseguire nel processo di promozione della collaborazione tra fisco e contribuente, della semplificazione delle procedure, per diffondere il massimo adempimento spontaneo. Come Partito Democratico ci riserviamo di presentare una nostra mozione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Sandra Savino. Ne ha facoltà.

  SANDRA SAVINO. Grazie Presidente, nell'annunciare il voto favorevole di Forza Italia sulla mozione presentata dalla Lega Nord, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni. Il Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Mantero ed altri n. 1-00594, Binetti ed altri n. 1-00702, Rondini ed altri n. 1-00703, Nicchi ed altri n. 1-00706, Palese n. 1-00707 e Garavini ed altri n. 1-00710 concernenti iniziative per il contrasto del gioco d'azzardo (ore 18,25).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Mantero ed altri n. 1-00594 (Nuova formulazione), Binetti ed altri n. 1-00702, Rondini ed altri n. 1-00703, Nicchi ed altri n. 1-00706, Palese n. 1-00707 e Garavini ed altri n. 1-00710 concernenti iniziative per il contrasto del gioco d'azzardo (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

Pag. 102

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritta a parlare l'onorevole Binetti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00702. Ne ha facoltà.

  PAOLA BINETTI. Signor Presidente, com’è noto, vi è un proliferare del gioco d'azzardo, dei luoghi dove si gioca, del numero degli apparecchi con cui si gioca, dei tipi di giochi che vengono proposti costantemente a un pubblico che in parte è uguale e, quindi, deve essere fidelizzato anche sotto forme nuove di attrazione, e in parte cambia continuamente. Tutto ciò costituisce una spina nel fianco di tutto il nostro sistema in questo momento, dal punto di vista sicuramente sociale e socio-sanitario, perché aumentano le persone affette da questa dipendenza. Ma costituisce anche una spina nel fianco per molte famiglie in cui la presenza di persone affette da questa patologia crea condizioni di disagio particolarmente grave.
  Con tutto ciò, intorno al proliferare del gioco d'azzardo, cosiddetto legale, perché va secondo canoni codificati, c’è tutta un'industria, soltanto apparentemente sotterranea, che è quella del gioco d'azzardo illegale. Anzi, davanti a teorie che primariamente pensavano che implementando il gioco d'azzardo legale si sarebbe contenuto il gioco d'azzardo illegale, fino in qualche modo a bloccarlo, anche se non del tutto, però a ridurlo in maniera cospicua e significativa, noi oggi stiamo assistendo a un paradosso: più aumenta la proposta di gioco d'azzardo legale, progressivamente e parallelamente aumenta anche la proposta di gioco d'azzardo illegale, creando, quindi, problemi veramente rilevanti anche sotto il profilo di quello che è l'ordine pubblico e sotto il profilo di quelle che sono varie forme di criminalità organizzata.
  Lo Stato finora ha affrontato questo tema in un modo, se non esclusivamente, direi decisamente e prevalentemente economico, come si può vedere dai Dicasteri che più facilmente se ne sono presi cura negli ultimi tempi. A parte la legislatura precedente, con il decreto Balduzzi, in questa legislatura vi sono stati il decreto della delega fiscale e, più recentemente, la legge di stabilità. Il Governo ha tra le proprie prerogative quella di compiere scelte di politica economica usando dove occorra la leva fiscale. E la legge di stabilità 2015, appena approvata, prevede una riduzione degli introiti per i concessionari di Stato che gestiscono per conto della Repubblica italiana gli apparecchi automatici da intrattenimento, avvalendosi di una rete capillare di aziende individuate come terzi incaricati della raccolta.
  La scelta compiuta dal Governo è quella di attingere al settore del gioco – che, non lo dimentichiamo, rappresenta la terza industria italiana: per molto tempo si è creduto che fosse la seconda, ma comunque diciamo che è tra la seconda e la terza industria italiana – ed in particolare dagli apparecchi da intrattenimento, prelevando un importo pari a 500 milioni di euro, in aggiunta a quelli che ad oggi già vengono prelevati, che sono circa pari a circa 4 miliardi di euro.
  Il Governo ha indicato chiaramente che la somma è dovuta da tutti i soggetti della filiera e non solo dai 13 concessionari.
  Questo è uno dei punti su cui vorrei proprio richiamare l'attenzione.
  Attualmente sembra che l'attenzione del legislatore sia prevalentemente concentrata sulle newslot e su quelle che sono le videolottery. Restano abbastanza ai margini dell'attenzione del legislatore tutto quello che è il gettito che in realtà, per esempio, proviene dall'infinita varietà delle forme di «gratta e vinci».
  Io invito e sollecito chiunque sia incuriosito da questo tema ad entrare in bar, non dico quindi in luoghi predisposti al gioco, ma anche in quei nei bar dove ci sono tabaccherie o dove si entra anche semplicemente per prendere un caffè, per rendersi conto che si sono ricavate delle nicchie, potrei dire quasi delle aree non separate, perché sono abbastanza bene in vista, ma sono delle aree sufficientemente difese e tutelate, anche rispetto alla concentrazione Pag. 103dei giocatori, in cui si resta stupiti della quantità di giochi che vengono offerti.
  Fino a poco tempo fa, uno degli ultimi giochi che veniva offerto era quello della casa, adesso si offrono viaggi di tutti i tipi, generi e specie e la sollecitazione è quella – come dire ? – a tentare la fortuna, sia pure cercando di «pescare» nell'universo dei giocatori occasionali che poi, però, possono facilmente rimanere impigliati nelle maglie tentacolari di una proposta di gioco che si avvale di un'offerta pubblicitaria che in questo momento non ha eguali in Italia.
  La legge di stabilità 2015, in attesa del riordino della disciplina dei giochi pubblici prevista nell'ambito della delega fiscale, con una serie di commi ha messo l'attenzione su alcuni aspetti che mi interessa in questo momento evidenziare, anche perché, parlando della legge di stabilità ancora al mese di dicembre, è talmente complessa ed ampia la quantità di articoli, che effettivamente quelli del gioco sono rimasti un po’ circoscritti, come se fossero una sorta di obiettivo minore, tanto è vero che dobbiamo arrivare fino al comma 644 per trovare quello in cui si parla di contrasto al gioco illegale attraverso l'istituzione di un'apposita banca dati, evidentemente perché soltanto conoscendo la natura, la misura e la tipologia di questo fenomeno si può intervenire in modo più concreto. Ora che non ci fosse una banca dati lo apprendiamo con stupore, pensando che sono oltre vent'anni che di questa cosa si occupano i monopoli di Stato.
  Sono aumentate le imposte sul gioco illegale (e qui ci sono alcuni commi, dal 646 al 648) mentre il comma 649, che è uno di quelli che ha suscitato la maggiore attenzione da parte di alcuni, concretamente dei concessionari, introdotto al Senato, prevede una riduzione pari a 500 milioni di euro dei compensi spettanti ai concessionari ed agli altri operatori di filiera, nell'ambito appunto delle reti di cui dicevo prima, ovvero di newslot e videolottery.
  Il nuovo comma 650 demanda a decreti ministeriali l'adozione di misure di sostegno dell'offerta di gioco. Noi siamo in grande attesa di questi decreti, perché è evidente che senza una serie di decreti attuativi, qualunque disegno di legge resta un po’ confinato nell'area delle belle promesse e dei buoni propositi.
  Quello che ci interessa è che sempre il comma 649 della legge appare a molti degli operatori del settore in contrasto con l'articolo 14 del decreto di delega fiscale.
  Questa sorta di complessità per cui le leggi, attraverso rimandi reciproci, aprono però la strada all'interpretazione, che può risultare un'interpretazione particolarmente riduttiva da parte delle persone che sono interessate a questo fenomeno, ha creato per tutti noi grandi preoccupazioni.
  Infatti sembrava – dico: sembrava – che vi fosse una sorta di normalizzazione di coloro che gestiscono i CTD, cioè i centri di trasmissione dati, che sono quelli che in realtà fanno una raccolta di gioco attraverso i canali internazionali cioè attraverso l'estero e che quindi si trovano a non pagare tasse neanche nel territorio nazionale ma anche a restare come interlocutori sufficientemente misteriosi per il soggetto che gioca proprio per la loro dislocazione all'estero. Questo punto che avrebbe dovuto rappresentare uno degli elementi davvero innovativi, se vogliamo discutibile, attraverso questa sorta di normalizzazione, in realtà viene impugnato dagli operatori del settore i quali ritengono di non poter essere considerati nella filiera di gioco cosiddetto illegale o paralegale ma di essere in realtà inseriti direttamente in quella che è la filiera del gioco legale.
  Questo fa riferimento ad una norma che ancora risale al famoso decreto Bersani, quindi alla XV Legislatura, in cui questo punto non è mai stato sufficientemente chiarito. Quindi una delle istanze più importanti che noi chiediamo rispetto alla normativa del gioco è di fare chiarezza proprio per evitare che l'ambiguità in realtà faccia il gioco del più furbo, faccia il gioco del più forte e, quindi, invece di rappresentare, come dire, una Pag. 104sorta di gettito positivo da cui poter ricavare semmai fondi per quelli che sono gli obiettivi della fiscalità generale, creano soltanto quella che noi chiamiamo l'induzione alla patologia cioè creano soltanto la peggiore delle prospettive che ci si potrebbe presentare cioè una motivazione a giocare da cui, nonostante questa sorta di schizofrenia di Stato come noi la consideriamo per cui aumenta costantemente e continuamente questo offerta dietro la speranza che da questo si possa ricavare gettito fiscale, in realtà noi abbiamo un aumento dell'offerta senza nemmeno avere l'aumento del gettito fiscale. Credo che questo rappresenti non soltanto un'indicazione per la prossima delega fiscale, di cui siamo tutti in attesa, ma anche rispetto alla rivalutazione nei decreti attuativi di una precisazione tale da mettere in condizione perlomeno di capire se è stato fatto un regalo a questi concessionari e, quindi, di fatto loro non pagheranno questa sorta di tassazione del valore della sanatoria e, quindi, gli sia offerta semplicemente un'opportunità di maggiore e ulteriore visibilità o se effettivamente l'interpretazione che loro ne danno è un'interpretazione del tipo Cicero pro domo sua per cui a questo punto, invece, dovrebbe essere abbastanza chiaro che sono sollecitati a muoversi all'interno di un sistema al quale sottostanno diciamo (tra virgolette) tutti i concessionari italiani.
  La norma, infatti, oltre a stabilire il principio che tutti i soggetti della filiera debbono contribuire al reperimento della somma indicata, non chiarisce quanti siano e chi siano questi soggetti. Lei mi ricordo che diceva «tutta la filiera» quindi lo diceva in maniera globalizzante e onnicomprensiva però non sufficientemente specifica. Sarebbe stato sufficiente identificarli facendo riferimento al decreto istitutivo del cosiddetto Ries, il registro dei soggetti abilitati. L'importo di 500 milioni di euro appare come una prestazione patrimoniale obbligatoria, imposta a soggetti sufficientemente identificati se si fa questo sforzo di precisare, utilizzando uno strumento di cui già disponiamo, il registro dei soggetti abilitati. Tuttavia sono sufficientemente identificabili ma non sufficientemente identificati da rendere oggettiva la possibilità del prelievo.
  Pertanto la nuova imposta obbliga i concessionari a versare in aggiunta a quanto versato allo Stato ordinariamente, a titolo di imposta ed altri oneri dovuti a legislazione vigente e sulla base delle convenzioni di concessione, di ulteriori 500 milioni di euro. La ripartizione tra i concessionari dovrebbe essere proporzionale. Questo è un altro aspetto su cui mi interessa di richiamare l'attenzione, in modo particolare l'attenzione del Governo che so sicuramente sensibile a questi aspetti, perché in realtà, dietro a una norma che apparentemente ha soltanto carattere di natura economico-fiscale, in realtà, finisce col creare delle forme di dipendenza ancora più gravi e, dal punto di vista della destabilizzazione delle famiglie ancora più insidiose. Infatti la ripartizione tra i concessionari dovrebbe essere proporzionale al volume di affari e quindi agli apparecchi di cui all'articolo 110, comma 6, lettere a) e b), del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS) gestiti nell'esercizio che si chiude con il 31 dicembre 2014. I 500 milioni di euro riguardano sia il comma 6, lettera a) (new slot), che il comma 6, lettera b) (videolottery). Dal comma 6, lettera a), ogni anno i concessionari percepiscono lo 0,5 per cento di ritorno come deposito cauzionale pari a circa 220 milioni di euro.
  Si veda il decreto direttoriale n. 21213 del 12 marzo 2014, «Individuazione dei criteri e delle modalità di restituzione ai concessionari della rete telematica per la gestione degli apparecchi da divertimento ed intrattenimento del deposito cauzionale versato dai medesimi».
  Secondo il legislatore con la delega fiscale degli aggi e dei compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori di filiera non esisterà categoria di apparecchi a vincita esclusa dall'obbligo di contribuire alla nuova imposta. Qual è il rischio ? Il rischio è che, dal momento che un apparecchio di tipo AWP che rende mille euro al giorno – è un'ipotesi, mille euro al giorno – viene tassato esattamente come Pag. 105un altro apparecchio che, invece, ne incassa cento, i concessionari scelgano di installare gli apparecchi a più alto reddito. Ma in questo modo cresce anche il rischio di indurre in forma ancora più grave una patologia come il gioco d'azzardo patologico, perché si dismetterebbero gli apparecchi che rendono meno, ma garantiscono un intrattenimento meno pericoloso e, invece, si potenzierebbe l'installazione di apparecchi che dal punto di divisa del concessionario sono apparecchi a più alto reddito. Come naturale conseguenza, si innalzerà il livello di malessere sociale derivante dal gioco d'azzardo patologico e la leva fiscale, che avrebbe dovuto contenere il fenomeno negativo delle slot machine, potrebbe ottenere un risultato contrario a ciò che ci si prefiggeva di ottenere. Alla potenziale riduzione del gettito fiscale, si sommerebbe, quindi, la riduzione del numero dei soggetti che lavorano nel comparto del gioco.
  Quindi, noi avremo tre effetti: il primo è che di fatto non assistiamo a un vero aumento di gettito fiscale; il secondo è che il cambio da apparecchi che rendono di meno ad apparecchi che rendono di più effettivamente riduce il numero degli apparecchi e, quindi, riduce anche il numero delle persone che lavorano in questo campo, ma, terza cosa, aumenta il rischio del giocatore, perché in questo modo il giocatore, non solo aumenta il grado di dipendenza, ma anche aumenta il rischio che questa dipendenza diventi veramente l'esemplare sfascio di quella famiglia esposta a una sorta di impoverimento molto più veloce, molto più rapido, con conseguenze questa volta sì molto più pericolose, di consegna al mondo dell'usura, di consegna a quella che è quella macchina infernale di coloro che ti prestano soldi per giocare. È di oggi la notizia che è stata scoperta un'ulteriore, come dire, chiamiamola aggregazione criminale che si incaricava esclusivamente di prestare soldi ai giocatori con sintomi di dipendenza, con la certezza che questi soldi, probabilmente, nella stessa misura in cui venivano prestati sarebbero stati restituiti con un incremento di tutti quelli che sono gli interessi legati a questo e con una situazione veramente drammatica da parte del giocatore.
  Altro aspetto problematico della legge che abbiamo appena approvato è il trattamento riservato al mercato parallelo della distribuzione del gioco al quale è stata, appunto, offerta una sanatoria a condizioni agevolate, è quello di cui dicevo prima parlando dei centri di trasmissione dati che costituiscono una sorta di rete parallela al sistema concessorio dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli di Stato. È un fenomeno che negli anni ha raggiunto proporzioni enormi, soprattutto proporzioni scarsamente controllabili. Sappiamo che ci sono, sappiamo che crescono continuamente, sappiamo che il loro gettito, perlomeno per quelli che ci sono impegnati, è di sicura soddisfazione sotto il profilo economico, però non riusciamo a venire a capo di tutta la complessa rete di raccolta di questa proposta di gioco, di mancata restituzione ai giocatori e, soprattutto, insisto, di obiettivi praticamente fallimentari per quello che riguarda poi anche gli obiettivi che lo Stato da questo punto di vista si propone.
  Tra l'altro, un altro dei rischi di questo canale parallelo è che tra questi soggetti, che in questo momento, giocando sull'ambiguità del fatto che loro rientrano nel canale legale oppure che si muovono ai limiti di quello che è il canale paralegale – pensate che nessuno di loro vuole usare e nemmeno lo Stato usa, nei loro confronti, il termine «illegale», ma ha coniato questo eufemismo linguistico del «paralegale» – potrebbero chiedere di essere legittimati anche una serie di bookmaker che non sono loro stessi così limpidi e così innocenti nel loro curriculum.
  L'abbiamo visto adesso, recentemente, anche a proposito dello scandalo che ha travolto una parte cospicua del sistema Roma. E abbiamo visto che queste persone, a questo punto, addirittura il gestore del gioco illegale, sotto questa forma del CTD, potrebbe in qualche modo risciacquare la propria fedina in modo tale da proporsi come un gestore che appartiene alla dinamica del gioco legale.Pag. 106
  Sono molti i problemi che ci sono, io ho provato soltanto ad accennarne alcuni. Soprattutto, il mio interesse personale più profondo è quello di mettere in evidenza che non basta affrontare il tema né sotto il profilo della legge di stabilità, come abbiamo cercato di fare appunto recentemente, con gli equivoci che ho cercato di illustrare, né sotto forma di quella che sarà la delega fiscale; strumenti peraltro importanti, sia legge stabilità sia la delega fiscale. Perché non bastano ? Perché è un problema che ha ormai raggiunto proporzioni così vaste sotto il profilo sociale; è un problema così profondamente devastante per tante famiglie. È un problema per il quale continuiamo a evocare – e devo dire che ci si secca la lingua a furia di evocarlo – il famoso «decreto Balduzzi», questa sorta di promessa costantemente sospesa dell'inserimento della dipendenza del gioco d'azzardo fra i livelli essenziali di assistenza. Noi continuiamo a parlarne e a spostarlo. A parlarne e a spostarlo, perché l'approccio non è quello immediato e diretto alla soluzione del problema del malato, alla soluzione del problema della sua famiglia, alla soluzione di un problema che è un fenomeno prevalentemente sociale, invasivo, metastatico, progressivo e, per quello che ci riguarda, fino ad adesso praticamente incurabile. No, noi spostiamo l'attenzione su quella che è la dinamica di tipo economico e finanziario, che, insisto, va benissimo, ma è necessaria tanto quanto è insufficiente.
  A me sarebbe molto piaciuto avere qui, accanto al sottosegretario, illustre rappresentante del Ministero dell'economia e delle finanze, una presenza altrettanto forte, perché è pensando ai malati che noi abbiamo scritto questa mozione; l'abbiamo scritta cercando di utilizzare come linguaggio le categorie economiche, ma il nostro è un obiettivo di cura, quindi un obiettivo che prevalentemente parla al Ministro della salute e parla al Ministro del welfare, cioè parla ai Ministri forti che rappresentano nel Paese la dimensione della relazione di cura, la dimensione della presa in carico delle fasce più fragili, anche in un contesto come questo, in cui fragilità significa, prima di tutto, fragilità del carattere. Prima di tutto significa una sorta di dipendenza che poi prende la forma della dipendenza da gioco d'azzardo, anche se sappiamo che le dipendenze sono ormai tutte forme di multidipendenza. Ma è questo l'approccio prevalente, non è l'alchimia numerica che ci viene data e che ci viene proposta anche con il rigore della forza dei numeri e anche con un'eloquenza tale da inchiodare, come abbiamo visto tante volte, la logica. Quante volte sappiamo che non riusciamo a portare avanti la nostra dialettica profonda della presa in cura di questi pazienti perché la domanda inquietante è sapere quanti sono esattamente, per sapere quanto deve essere esattamente il fondo da stanziare, senza renderci conto che il paradosso è che più noi chiediamo quanti sono, più loro crescono ? Per cui, anche se noi avessimo avuto risposta a questa domanda due mesi fa o cinque mesi fa, dando un numero, questo numero oggi sarebbe totalmente superato da una logica, da una politica che volge veramente all'incremento di questo. Ecco perché dico: per una volta tanto – ed è questa una delle richieste che ci sono tra gli impegni posti al Governo – vogliamo provare ad assumere come ottica privilegiata quella della reazione di cura ? Vogliamo provare ? Noi siamo totalmente d'accordo che tutti i gestori devono fare la loro parte e devono pagare la loro quota, ma ci infastidisce pensare che questi dei centri trasmissione dati giochino sul fatto di essere legali o meno per sottrarsi a quella che è una tassazione che probabilmente ricadrà soltanto sui 13 grandi concessionari, mentre noi vorremmo che, anche questo punto di vista, in modo capillare, arrivasse non solo dai concessionari ma arrivasse anche a tutti i gestori. Noi vorremmo che questo gioco d'azzardo pesasse un po’ sulle spalle di tutti coloro che, in qualche modo, dal gioco d'azzardo ricavano. Sappiamo perfettamente che l'Italia è un Paese di crisi globale ed è un Paese che ha una sua leadership.
  L'abbiamo detto tante volte, l'abbiamo detto anche durante il dibattito che c’è Pag. 107stato sulla legge di stabilità, la GTECH ha comprato Las Vegas, voglio dire non stiamo parlando di giocattoli, stiamo parlando di una piccola impresa italiana talmente dinamica sotto il profilo del software, talmente, direi, anche intelligente nella logica di proposta da essersi mangiata un colosso. Non è che noi ignoriamo queste cose, non è che ignoriamo che c’è uno sviluppo economico, non è che ignoriamo che ci sono posti di lavoro, ma per una volta tanto, mentre ci procuriamo una applicazione rigorosa della norma, in modo che chiunque faccia la sua parte, che in questo caso concreto significa che chiunque paghi le sue tasse, vogliamo mettere in primo piano il soggetto malato e occuparci di lui in prima battuta ? Vogliamo fare in modo che quando diciamo «il livello essenziale di assistenza», o i Lea come li si suole chiamare, anche in questo caso noi vorremmo dire che questi Lea non sono mai solo livelli essenziali di assistenza, sono anche livelli importanti che hanno un'implicazione sociale molto forte. Ci piacerebbe poter parlare di livelli essenziali di socio-assistenza, perché pensiamo alle famiglie, pensiamo ai loro problemi.
  Vogliamo per una volta mettere al centro dell'attenzione, come dice anche il Papa, i poveri ? Quando soprattutto questi poveri noi abbiamo contribuito a farli, abbiamo contribuito al fatto che si impoverissero perché non c’è dubbio che c’è una responsabilità forte.
  Fermo restando, e concludo Presidente, il rispetto per gli enti locali non è possibile che noi abbiamo i luoghi in cui si gioca come se fossero dei Pronto soccorsi, come se la dipendenza fosse grave da richiedere una somministrazione di gioco ventiquattr'ore su ventiquattro, cioè una difformità tale nei luoghi, nelle distanze, negli orari di apertura, nelle modalità di controllo.
  Noi lo dicevamo già nel Balduzzi lo stop alla pubblicità, lo dicevamo con chiarezza, lo avevamo chiesto anche nella delega fiscale che poi ci è tornata dal Senato annacquata. Ma l'avevamo chiesto, l'avevamo chiesto anche con una serie di emendamenti nella legge di stabilità, ma sembra che chiedere il contenimento della pubblicità sia un'offesa personale che facciamo al Ministero dell'economia delle finanze, come se noi, a questo punto, diventassimo il vulnus che induce una riduzione delle entrate.
  Io mi fermo qua, comunque la mozione il sottosegretario ce l'ha, contiene i punti su cui noi vogliamo richiamare l'attenzione; noi siamo convinti che serva una legge che riguardi i malati in prima persona senza nulla togliere all'importanza del linguaggio economico.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Mantero che illustrerà anche la sua mozione 1-00594 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

  MATTEO MANTERO. Grazie Presidente, non so quanti sanno che questo palazzo, prima di essere la sede della Camera dei deputati, era la curia pontificia con la sede anche del tribunale dell'inquisizione. E dal balcone che c'era fuori su piazza Montecitorio tutti i sabati venivano proclamati i numeri del lotto. Il gioco del lotto è stato reintrodotto nel 1731 da Papa Clemente XII dopo che molti Papi prima di lui lo avevano interdetto. E veniva volgarmente chiamato la tassa sull'ignoranza. Se non altro però i proventi del gioco del lotto, tolte le vincite, venivano utilizzati per opere pie e per i poveri.
  Al giorno d'oggi invece pare che il gioco d'azzardo sia diventato indispensabile per la nostra economia, il gioco d'azzardo sembra diventato un male inevitabile. Dal 1997 ad oggi praticamente tutti i Governi, di destra e di sinistra, per evitare di scontentare l'opinione pubblica con nuove tasse hanno inventato e dato in concessione costantemente nuovi giochi d'azzardo. Questo ha trasformato un fenomeno di costume in un dramma sociale.
  Dal 1990 ad oggi il raccolto del gioco d'azzardo è aumentato dell'810 per cento; nel 2012 abbiamo raggiunta la cifra record di 88,7 miliardi di euro rendendo il gioco d'azzardo di fatto, come ha detto anche prima la collega, la terza industria italiana dopo l'ENI e la FIAT. Nel 2012 si sono Pag. 108persi 18 miliardi di euro al gioco, siamo il quarto Paese al mondo come perdita al gioco d'azzardo in valore assoluto e il secondo Paese, dopo l'Australia, come perdite in rapporto al PIL.
  Insomma, per fare cassetto, lo Stato ha messo in piedi un meccanismo perverso del quale ha completamente perso il controllo. Così le nostre città sono diventate una sfilata di sale gioco e sale Bingo, affiancate a compro oro o a finanziarie che concedono prestiti a tassi agevolati, quasi tutti i bar sono diventati delle bische legalizzate, è praticamente impossibile uscire di casa senza imbattersi in una slot-machine. Nessuno ovviamente si è chiesto in questi anni cosa avrebbe comportato un aumento così sconsiderato delle concessioni. In Italia giochiamo la cifra folle di 1.700 euro a testa e quelli che giocano di più sono proprio le fasce sociali più deboli. I dati Eurispes dicono che sono il 47 per cento degli indigenti a giocare e addirittura il 56 per cento delle persone appartenenti al ceto medio-basso. I più coinvolti sono i giovani, molto spesso i giovanissimi, anche i minorenni, gli anziani e le fasce di popolazione meno acculturate. Queste persone si trovano completamente abbandonate di fronte a questa crisi valoriale ed economica. Vengono quindi ingannati da una pubblicità mendace che fa leva proprio sulle paure dei cittadini, come ad esempio l'emergenza abitativa con questi nuovi giochi come il «vinci casa» o il desidero di una rivalsa, quindi, «diventa milionario», o di una stabilità economica come «turista per sempre» o altri giochi analoghi. Per colpa di uno Stato che è diventato biscazziere e di un Governo che ostacola in tutti i modi il percorso della proposta di legge che è in lavorazione praticamente da inizio legislatura nella Commissione affari sociali della Camera e che non riesce a vedere la luce perché la Commissione bilancio con la Commissione affari sociali e con i Ministeri dell'economia e della salute si rimbalzano le responsabilità e non si riesce ad avere un parere su questa proposta di legge, è inchiodata lì, è finita ormai da un anno ed è lì, ferma.
  Dicevo, per colpa di uno Stato e un Governo che non fanno nulla, siamo arrivati ad avere migliaia, anzi milioni di persone che sottraggono tempo al lavoro, allo studio e alla famiglia per giocare. Molte di queste, la cifra si aggira attorno a 1 milione, hanno sviluppato una vera e propria malattia, si chiama gioco d'azzardo patologico o GAP, è un disturbo del comportamento rientrante nella categoria diagnostica dei disturbi del controllo degli impulsi, tanto che nell'edizione del 2013 del DSM è stato inquadrato nelle cosiddette «dipendenze comportamentali». Il risultato quindi è 1 milione di persone che passano ore e ore davanti ad una macchinetta, che sono disposte a delinquere pur di procurarsi i soldi per giocare, che dilapidano lo stipendio, che mettono in crisi l'equilibrio familiare, che arrivano ad indebitarsi perdendo tutto, la casa, il lavoro, gli affetti e spesso anche la vita, perché spesso questi giocatori patologici vedono nel suicidio l'unica via d'uscita dalla loro crisi, da questo tunnel in cui sono finiti.
  Come è giustificabile tutto questo sfacelo ? Ci avete raccontato che il gioco d'azzardo è indispensabile al bilancio dello Stato, ma in realtà gli 8 miliardi di euro macchiati della sofferenza delle persone sono assolutamente fittizi. Infatti, se andiamo a calcolare che i 18 miliardi persi, sottratti dal mercato reale, quindi dal commercio, dall'artigianato, dall'industria e di conseguenza sui quali lo Stato perde le imposte dirette come IVA o accise e quelle indirette come IRPEF e IRPEG, capiamo che forse le entrate sono meno delle uscite. Il solo mancato gettito IVA equivale a circa 3 miliardi di euro. A questo vanno poi aggiunti i costi sociali e di cura, i primi ricadono sulle spalle dei servizi sociali dei comuni, che devono sostenere le famiglie di chi si rovina con il gioco, e i secondi sul nostro Servizio sanitario regionale. I ridicoli 50 miliardi che avete destinato alla cura del gioco d'azzardo in sede di legge di stabilità sono stati sottratti ai servizi sanitari regionali, quindi di fatto sono stati sottratti ad altre patologie. La cura di questa nuova malattia Pag. 109causata scientemente dallo Stato la pagheranno di conseguenza, come al solito, gli italiani. La campagna «mettiamoci in gioco» che è promossa da moltissime associazioni, ha presentato uno studio sui costi economici, sociali e sanitari che ricadono sulla collettività e la stima dei costi è appunto tra i 5,5 e i 6,6 miliardi di euro. Quindi è chiaro che i costi superano abbondantemente i benefici. Quindi ha senso a questo punto far ammalare 1 milione di persone per incassare pochi spiccioli ?
  Vi siete giustificati ancora dicendo che era necessario aumentare l'offerta del gioco legale per contrastare il mercato illegale. La realtà è che il gioco d'azzardo legale è stato un vero e proprio terno al lotto per la criminalità organizzata. Vi leggo adesso un passaggio della relazione 2014 della Direzione nazionale antimafia: «La presenza delle mafie nel settore non deve essere intesa come una deriva legata esclusivamente al gioco illegale. Essa si estende, infatti, anche al perimetro delle attività legali. Ciò avviene quando i clan impongono a tutti i bar esistenti nel loro territorio di mettere new slot e di noleggiare dalle ditte ad essi riconducibili, o quando investono i loro capitali acquisendo la gestione di sale gioco o di sale bingo allo scopo di moltiplicare rapidamente l'investimento. Si tratta di attività formalmente legali, gestite però con metodi e capitali criminali. Non vi è dubbio che l'enorme incremento che ha avuto la diffusione del gioco negli ultimi dieci anni, in cui la raccolta è aumentata da 20 a 80 miliardi, ha fatto parallelamente crescere gli appetiti delle mafie, che hanno investito nei settori che incontravano maggior godimento nel pubblico, new slot e scommesse on line. Si deve, dunque, concludere che sono stati del tutto frustrati gli intendimenti del legislatore che, con le liberalizzazioni, intendeva accrescere l'offerta di gioco per attirare e fidelizzare i giocatori al sistema legale e drenare così risorse alla criminalità. La diffusione del gioco è sì aumentata ma progressivamente, ed anzi esponenzialmente è aumentata l'infiltrazione nel settore della criminalità organizzata». Queste sono le conclusioni del magistrato Diana De Martino rispetto alle infiltrazioni della criminalità organizzata nel gioco lecito.
  Il giro d'affari delle mafie rispetto al gioco d'azzardo è stimato in 15 miliardi di euro e si ipotizza che vi siano circa 200 mila slot illegali sul mercato, che sono di fatto mimetizzate da quelle legali, perché io giocatore non posso, vedendo una slot in un bar, sapere se è legale o illegale; le slot poi possono essere modificate in moltissimi modi, possono essere scollegate dalla rete, può essere cambiato il software e così via. Quindi, di fatto, aver legalizzato le slot machine ha permesso alla criminalità organizzata sia di usarle legalmente e, quindi, di darle ai vari gestori, ai bar e così via, sia di immettere in commercio, in giro, slot false.
  A questo punto, viene da chiedersi perché si continui ad investire tanto nel gioco, quando è chiaro che così si aumenta solamente il disagio sociale e si fa un favore alla criminalità. Provo a darvi qualche indizio per vedere se capiamo come mai si continua a concedere così tanto al gioco d'azzardo. Un indizio per esempio sono i 150 mila euro di finanziamento che la SNAI ha dato alla Margherita nel 2006, un altro indizio sono i 30 mila euro dati all'UDC sempre 2006, poi ci sono 60 mila euro sempre della SNAI dati ad Alemanno nella campagna elettorale del 2008, e ancora nel 2009, sempre la SNAI, ha dato 45 mila euro all'allora tesoriere dei DS Sposetti. Ce ne sarebbero magari tanti altri, ma non ci è dato saperlo, perché poi il Governo Berlusconi, con un «mille proroghe», ha aumentato la soglia per la trasparenza dei fondi privati da 6 mila a 50mila euro. Quindi, di fatto non sappiamo se vi sono altre donazioni. Ma non sono solo le donazioni ai partiti un metodo delle lobby del gioco d'azzardo per tenere sotto controllo la politica. Un altro metodo è la pubblicità: ad esempio, durante il Governo Berlusconi, nel periodo 2009-2010, la Sisal ha investito 17,7 milioni di euro di pubblicità nelle reti Mediaset e solo 1,2 in RAI; stessa cosa ha fatto Lottomatica, con 13,1 milioni in Pag. 110Mediaset contro 5,2 milioni in RAI. Ma giusto per essere bipartisan, ci sono anche 30 mila euro che sono stati dati alla rivista Italianieuropei, che è riconducibile a D'Alema, così almeno abbiamo accontentato tutti.
  Non basta neanche questo. Ci sono, infatti, molti politici influenti che, dopo aver ottenuto buoni risultati per le lobby del gioco, casualmente si trovano a ricoprire incarichi molto importanti nel settore. Ne ricordo giusto due: uno è Augusto Fantozzi, ex Ministro delle finanze del Governo Prodi, che ora casualmente è presidente della Sisal; l'altro è Francesco Tolotti dell'Ulivo, che è riuscito a far approvare una modifica al TULPS molto importante per le lobby del gioco d'azzardo, e adesso è stato nominato presidente della Fondazione Unigioco, guarda caso. Sono questi i motivi per cui le concessionarie del gioco d'azzardo vengono così coccolate.
  È per questo che ci spieghiamo l'emendamento, approvato al Senato, che voleva punire i sindaci e i presidenti di regione che cercavano di difendere i loro cittadini dal dilagare del gioco d'azzardo, limitandolo. Se non avessimo scoperto e denunciato quell'emendamento, e non fosse insorta l'opinione pubblica, ora sarebbe legge. Quindi, se non è legge, è solo grazie a noi. È per questo che il divieto di pubblicità che eravamo riusciti a fare approvare nell'articolo 14 della delega fiscale è stato, di fatto, modificato al Senato, rendendolo completamente inutile.
  È per questo che si è fatto uno sconto di 2 miliardi di euro alle concessionarie che hanno cercato di frodare lo Stato, mantenendo 107 mila macchinette scollegate dalla rete. Ed è per questo che si sono rilasciate, nella scorsa legge di stabilità, 5 mila concessioni per nuove VLT. E ancora, è per questo che nell'ultima legge di stabilità si è fatta una maxi sanatoria, come ricordava anche prima la collega, per i centri di trasmissione dati, che utilizzano siti esteri, e quindi non venivano tassati in Italia. Tra l'altro, questi centri di trasmissione dati hanno bellamente evitato di sanarsi, perché, evidentemente, hanno capito che, prima o poi, arriverà, magari, un'altra sanatoria, in cui i prezzi saranno un po’ più bassi, e quindi, di fatto, ci sono questi centri di trasmissione dati che permettono il gioco d'azzardo completamente illegale ed incontrollato.
  È ormai chiaro che dal dilagare del gioco d'azzardo perdono tutti: perdono le persone che si ammalano, perdono le loro famiglie e i comuni che devono sostenerle, perde il commercio, perde l'artigianato, perde l'industria, perde l'agricoltura, perde lo Stato. Gli unici che guadagnano dal gioco d'azzardo sono le concessionarie, la politica e le mafie. Con questa mozione vogliamo impegnare il Governo a fare subito alcune manovre concrete per contrastare la diffusione incontrollata del gioco d'azzardo e di questa patologia.
  Vi elenco quelli che sono gli impegni principali: il divieto di apertura di sale da gioco e di locali commerciali con slot vicino ai luoghi definiti sensibili, frequentati da giovani o da anziani, mantenendo una distanza minima di 500 metri; obbligare i gestori di sale da gioco a chiedere un documento d'identità, per impedire il gioco ai minorenni, oltre a garantire il libero accesso agli ispettori delle ASL in questi luoghi; evitare autorizzazioni di nuove tipologie di gioco, come, ad esempio, quello che citavo prima, il «Vinci Casa», che fanno proprio leva in maniera becera sulle speranze delle persone; assumere iniziative di carattere normativo al fine di evitare il riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite tramite il gioco d'azzardo, principalmente nelle videolottery, che non distinguono tra banconote inserite e vincite, e quindi posso arrivare, inserire 500 euro provenienti dall'attività illegale e ritirarli come vincita, e, di fatto, li ottengo ripuliti.

  PRESIDENTE. Concluda.

  MATTEO MANTERO. Ho quasi finito. Ancora, a valutare la possibilità, in sede di Conferenza unificata, di ridurre i locali del gioco d'azzardo in città, in base al numero degli abitanti; infine, ad avviare uno studio epidemiologico per accertare tutti i costi Pag. 111diretti ed indiretti sostenuti dallo Stato per prevenire e curare la dipendenza da gioco d'azzardo patologico, con particolare riferimento ai costi sociali, economici e psicologici ad essa associati, nonché ai relativi fattori di rischio, in relazione alla salute dei giocatori e all'indebitamento delle famiglie.
  Sul gioco d'azzardo è necessario invertire in fretta la rotta, prima di trovarci invischiati in una tela che ci soffocherà fino a distruggerci. Dobbiamo gradualmente ridurre l'offerta del gioco, così da prevenire la diffusione della malattia e contrastare l'invasione della criminalità. Tutto questo si può ottenere in un solo modo: bloccando immediatamente le nuove concessioni e riducendo gradualmente, ma inesorabilmente, quelle che sono già in essere, fino a riportare il fenomeno ad una dimensione accettabile. Gli impegni che sono presenti in questa mozione possono essere un primo passo in avanti in questa direzione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Marco Rondini, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00703. Ne ha facoltà.

  MARCO RONDINI. Grazie, Presidente. La necessità di prestare attenzione al problema del gioco d'azzardo patologico è ormai evidente per la diffusione che esso ha conosciuto in pochi anni. Questa forma di dipendenza sta evolvendo, assumendo nuove e più gravi connotazioni, che non possono più essere sottovalutate. In molti casi è accertato il poliabuso, che comporta la compresenza di varie forme di dipendenza o abuso sia da comportamenti patologici sia da sostanze psicoattive nella stessa persona. Policonsumatore è colui che fa un uso compulsivo di varie droghe in diverse situazioni, motivando il proprio bisogno con l'incapacità di fare a meno della sostanza e associando il consumo a comportamenti antisociali.
  I più predisposti dei giocatori d'azzardo patologico alla polidipendenza avrebbero una maggiore compromissione a livello neurofisiologico e di personalità, che trova nella predisposizione all'impulsività e all'iperattività, oltre che nei tratti antisociali, un terreno fertile per l'accesso a una serie di comportamenti problematici. Gli aspetti compulsivi della dipendenza prevalgono spesso sulla scelta dell'oggetto da cui dipendere. La stessa persona prova più comportamenti d'abuso nello stesso periodo, oppure in fasi successive della propria storia di vita, come se ogni dipendenza fosse in grado di sostituire la precedente, rispondendo ai medesimi bisogni eccitatori del sistema neuronale e psichico dell'individuo. Per questo motivo non è tanto importante quale sia lo strumento, quanto l'effetto ricercato, una dipendenza vale l'altra, in un turbinio di emozioni tanto forti quanto evanescenti e pertanto da ricaricare costantemente con nuove emozioni. Il gioco d'azzardo patologico ha diverse analogie con la tossicodipendenza sia dal punto di vista clinico che neurobiologico, seppur venga considerato una dipendenza senza sostanza, una dipendenza senza droga.
  In tutti i casi, l'approccio all'oggetto di dipendenza è caratterizzato da compulsività, da uno stato di tensione crescente caratterizzato dall'attrazione incontrollabile verso la sostanza, che dura fino a che il soggetto non mette in atto il comportamento, dà un senso di piacere durante l'azione del comportamento, dà perdita di controllo e persistenza del comportamento, nonostante la sua associazione, con conseguenze negative di diverso genere. Le conseguenze sulla sfera familiare, sociale e lavorativa possono essere altrettanto gravi della tossicodipendenza, e, benché possa apparire sorprendente, anche il gioco d'azzardo compulsivo produce conseguenze fisiche e sulla salute.
  Studi neurofisiologici mettono in evidenza l'attivazione degli stessi sistemi neurobiologici generalmente associati all'abuso di sostanze anche nel caso di altri tipi di comportamenti patologici. È presente, infine, lo sviluppo della tolleranza, il giocatore deve incrementare le giocate o le puntate, per ottenere il livello di eccitazione ricercato e una vera sindrome di Pag. 112astinenza, alla sospensione improvvisa del gioco il soggetto diventa irritabile, irrequieto, manifesta stati di ansietà associati a problemi vegetativi o a comportamenti criminali impulsivi.
  Il frequente riscontro di polidipendenze va a sostegno dell'ipotesi che esista una base comune a tutte le forme di dipendenza. Si stima che il gioco d'azzardo patologico sia presente da otto a dieci volte in più negli alcoldipendenti piuttosto che nella popolazione generale, e che i tossicodipendenti abbiano una probabilità da tre a sei volte maggiore di ingaggiarsi nel gioco problematico. Spesso il gioco rimane un problema considerato come secondario o sottovalutato, per la focalizzazione dell'attenzione sulla dipendenza da sostanze o per la tendenza dei tossicodipendenti a non dichiarare la dipendenza da gioco d'azzardo. A sua volta, chi ha una diagnosi di gioco problematico presenta un concomitante abuso di sostanze in una percentuale che varia dal 25 al 63 per cento a seconda del campione di riferimento. Il gioco d'azzardo patologico presenta un alto livello di comorbilità con una serie di problematiche psicologiche tra cui sono evidenti l'alcolismo e l'uso di sostanze. A tutto ciò, aggiungiamo che le fasce della popolazione più deboli, più esposte, sono gli anziani e i minori. Dati recenti dicono dell'allarmante diffusione del gioco d'azzardo tra gli adolescenti. Come ricordava anche il collega Mantero, il 47 per cento delle persone affette da gioco d'azzardo patologico versano in uno stato d'indigenza. Alla luce di ciò, queste brevi osservazioni dovrebbero indurci comunque ad intervenire per curare, ma anche per prevenire il diffondersi del fenomeno.
  Lo Stato prevede di incassare dal settore dei giochi circa 35,7 miliardi di euro nel triennio 2015-2017 (è quanto chiariscono le tabelle del bilancio pluriennale di previsione dello Stato per il triennio 2015-2017, approvato contestualmente alla legge di stabilità per il 2015). Secondo le tabelle di previsione, nel 2015 dai giochi dovrebbero arrivare oltre 11,85 miliardi, 6,6 dai proventi del lotto, oltre 4,7 dai proventi dei giochi e 480 milioni dalle lotterie.
  La cifra è destinata a salire nel 2016, sino a raggiungere quota 11,88 miliardi (sempre 6,6 miliardi dal lotto, con l'aggiunta dei 484 milioni dalle lotterie e degli oltre 4,81 miliardi di proventi dai giochi). La cifra è ulteriormente in rialzo sino agli 11,95 miliardi nel 2017, grazie al contributo dei 6,6 miliardi del lotto, dei 4,86 miliardi di proventi dei giochi e dei 489 milioni provenienti, invece, dalle lotterie.
  Nel 2013 la Guardia di finanza ha effettuato complessivamente 9.471 interventi nel settore del monopolio del gioco e delle scommesse. Di questi, 3.425 sono stati scoperti irregolari, 3.545 sono le violazioni riscontrate, 10.171 i soggetti verbalizzati. Sono stati sottoposti a controllo 2.035 punti di raccolta scommesse clandestini, collegati a bookmaker privi di concessione in Italia (in crescita del 30 per cento rispetto solo al 2012); sono stati rilevati 6,6 milioni di imposta unica inevasa; sono state sequestrate somme per un totale di 860 mila euro; risultano essere 1.918 gli apparecchi di gioco non conformi sequestrati, il 25 per cento in meno rispetto all'anno precedente. La crescita più significativa si osserva, però, nel sequestro di locali per la raccolta di scommesse senza la concessione ministeriale: sono 557 i punti sequestrati, con un aumento del 240 per cento rispetto all'anno precedente.
  Secondo i dati sempre della Guardia di finanza è di 23 miliardi di euro il valore del giro d'affari del gioco illegale in Italia nel 2013. Di questi 23 miliardi, ben 1,5 proviene direttamente dal gioco online. Il settore del gioco costituisce poco più del 13 per cento del giro d'affari complessivo dell'economia illegale, valutato a circa 175 miliardi di euro per l'anno appena concluso.
  Tra le misure che sono state inserite nella legge di stabilità 2015 in materia di gioco non c’è solo l'innalzamento del prelievo erariale unico, la diminuzione del payout e il recupero di somme dai centri che operano in Italia senza autorizzazione: si prevedono anche misure di contrasto Pag. 113alla ludopatia e, in dettaglio che; nell'ambito delle risorse destinate al finanziamento del Servizio sanitario nazionale, quello relativo all'attuazione del Patto per la salute 2014-2016, a decorrere dal 2015 una quota pari a 50 milioni di euro è annualmente destinata alla cura delle patologie connesse alla dipendenza da gioco d'azzardo. Però, alla ripartizione dell'importo si provvede annualmente all'atto di assegnazione delle risorse spettanti alle regioni e province autonome a titolo di finanziamento del fabbisogno sanitario standard regionale.
  In sostanza quel fondo che andate ad istituire è, comunque, un fondo che dovrà essere ritagliato dai soldi che vengono destinati alle regioni per fare fronte a LEA.
  Quindi chiediamo un maggiore impegno al Governo, perché se è vero come è vero – o come sembra che a parole sia vero – che questo Governo vuole contrastare un fenomeno che ha delle grosse e preoccupanti ricadute dal punto di vista sociale, è altrettanto vero che è necessario, forse, prendere delle decisioni un po’ più forti e soprattutto, magari, non fare gravare il costo della cura da gioco d'azzardo patologico facendolo pagare alle regioni, regioni alle quali, con l'ultima legge di stabilità, avete tagliato ben 4 miliardi di euro.
  Quindi noi chiediamo l'impegno al Governo ad assumere iniziative per sancire il divieto della pubblicità del gioco d'azzardo, che rappresenterebbe un reale contrasto alla ludopatia, destinando i fondi che lo Stato ora chiede ai concessionari del settore alla pubblicità, alla cura e alla prevenzione delle patologie derivati dal gioco.
  Chiediamo un impegno, poi, ad assumere iniziative per modificare la legislazione vigente in modo che venga dato ai sindaci e alle giunte comunali un reale potere di controllo sulla diffusione e sull'utilizzo degli strumenti di gioco sul proprio territorio. Infatti è di tutta evidenza che i primi che si confronteranno con il problema sociale della dipendenza da gioco d'azzardo sono i sindaci, sindaci alle porte dei quali, magari, le famiglie andranno a bussare per chiedere un aiuto. Quindi riteniamo che, da un lato, forse dovrebbe finire quella cattiva abitudine dei tagli agli enti locali come i comuni.
  Dall'altro, crediamo che i sindaci e le giunte che governano i territori debbano poter avere il potere di stabilire se sul proprio territorio devono insistere nuove sale da gioco o meno. Ed ancora la mozione impegna il Governo ad intensificare i controlli contro il gioco clandestino, al fine di contrastare l'attività della criminalità che si è inserita nel settore, recuperando parte delle risorse che sfuggono all'erario e a destinare le medesime alla lotta alle ludopatie, restituendo la quota di 50 milioni di euro al finanziamento del Servizio sanitario nazionale, in maniera tale che si vada a incrementare un fondo non utilizzando i fondi già destinati alle regioni. Infine, la mozione impegna il Governo a promuovere protocolli precisi e stringenti che disciplinino le procedure di intervento per chi si occuperà del sostegno e del recupero sia dei soggetti affetti da ludopatie sia dei loro familiari al fine di evitare abusi e illeciti simili a quelli che sono stati oggetto dell'inchiesta «Mafia Capitale», che ha visto un certo tipo di operatori del terzo settore lucrare sui centri di accoglienza per quelli che voi definite profughi e che per noi rimangono e sono ancora clandestini.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Paolo Beni, che illustrerà la mozione n. 1-00710, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

  PAOLO BENI. Grazie Presidente. Colleghi, la mozione che mi accingo ad illustrare, come del resto le altre che stiamo discutendo, riguarda un tema importante. Stiamo parlando di un settore economico significativo, come è stato detto, che sviluppa il 3 per cento del PIL nazionale, ma al tempo stesso anche di un fenomeno che sta causando problemi rilevanti sul piano sanitario, sul piano sociale.
  Il gioco con vincite in denaro, attraverso l'utilizzo di slot, video lottery, di Pag. 114gioco online, tagliandi delle lotterie istantanee, ha avuto una diffusione impetuosa in Italia negli ultimi anni anche grazie a una pubblicità pervasiva e accattivante, con messaggi talvolta ingannevoli e illusori rispetto alla reale possibilità di vincita.
  Complice anche la grave crisi economica del Paese, sempre più ci si affida alla speranza nel colpo di fortuna. Fatto è che le sale giochi proliferano sempre più nei nostri centri urbani, nelle periferie e si stima che gli italiani brucino nei giochi oltre 80 miliardi di euro l'anno. Siamo il terzo Paese al mondo per spesa pro capite. Va detto che queste forme di intrattenimento non incentivano certo la buona socialità, ma favoriscono, al contrario, la solitudine delle persone e possono avere anche effetti preoccupanti sul piano sanitario.
  La dipendenza da gioco è ormai riconosciuta da tutti gli ambienti scientifici, OMS in testa, come nuova patologia, con le inevitabili conseguenze per la vita delle persone, delle famiglie e i conseguenti costi sociali, come è emerso anche dall'indagine conoscitiva effettuata nella scorsa legislatura dalla nostra Commissione affari sociali.
  Potremmo, inoltre, parlare dei rischi, comprovati da numerosi episodi di cronaca, di infiltrazioni della criminalità organizzata, che sta acquisendo quote di mercato sostanziose nella filiera del gioco, anche attraverso l'utilizzo degli apparecchi di gioco come strumenti di riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite. Oppure potremmo parlare del problema del gioco d'azzardo online, tanto più pericoloso perché, a differenza delle altre forme, difficilmente regolamentabile.
  Ora, la consapevolezza di questi problemi sta crescendo tanto nell'opinione pubblica quanto nelle istituzioni. È ormai diffusa la convinzione che sia necessario intervenire per curare la patologia, ma anche per prevenirne la diffusione adottando regole più rigorose nelle modalità di svolgimento dei giochi. È tema che richiede una discussione complessa, vista l'oggettiva contraddizione tra la rilevanza economica del settore e il gettito fiscale non indifferente che produce, da un lato, e, dall'altro, le conseguenze negative che possono derivare da una diffusione incontrollata del gioco.
  Peraltro, sappiamo anche che la ricerca di opportune soluzioni chiama in causa l'esigenza di conciliare competenze di livelli istituzionali diversi: il Ministero dell'economia e delle finanze e l'Agenzia delle dogane e dei Monopoli, da un lato, i Ministeri della salute, della lavoro e delle politiche sociali e poi le regioni e gli enti locali.
  È nel 2012, con il decreto Balduzzi in materia di sanità, che per la prima volta viene riconosciuta in un testo di legge la patologia da gioco d'azzardo, definita GAP, disponendone l'inserimento nei livelli essenziali del Servizio sanitario nazionale, senza peraltro aver previsto le necessarie coperture economiche e prevedendo misure limitative alla pubblicità del gioco al fine di prevenirne la diffusione della patologia. Importanti novità sulla normativa dei giochi saranno poi introdotte a breve con i decreti attuativi della delega fiscale che approvammo nel marzo 2014. Nel frattempo, diverse regioni hanno legiferato in materia, i comuni hanno emanato regolamenti e in questa legislatura sono state avanzate diverse proposte di legge di iniziativa parlamentare. La proposta di legge unificata tuttora all'esame della XII Commissione interviene in materia di prevenzione, cura della patologia da gioco d'azzardo, istituisce l'Osservatorio nazionale presso il Ministero della salute, prevede campagne di informazione e sensibilizzazione, regole sulle modalità di accesso al gioco, l'apertura di nuovi esercizi, la pubblicità, la disciplina fiscale. Nel frattempo, la legge di stabilità 2015 è nuovamente intervenuta sulla materia, riservando una quota di 50 milioni di euro del Fondo sanitario nazionale alla cura e alla prevenzione della patologia da GAP. È una somma ancora insufficiente, ma rappresenta un primo passo avanti che consente finalmente ai servizi per le dipendenze nell'ambito dei sistemi sanitari regionali di iniziare a operare la presa in carico dei soggetti patologici. Oltre a questo, la legge Pag. 115di stabilità ha introdotto ulteriori disposizioni spostando sotto le competenza del Ministero della salute l'Osservatorio nazionale, prevedendo la predisposizione di un piano nazionale di intervento, di campagne informative e di prevenzione. Ha previsto, infine, un aumento del prelievo fiscale sui giochi destinando le maggiori entrate al Fondo per la riduzione della pressione fiscale e a quello sugli interventi strutturali.
  Contrariamente a quanto sostengono gli operatori del settore, io non credo che un aumento del prelievo fiscale con una lieve riduzione dei premi e del margine dei concessionari comporti un'eccessiva penalizzazione di un settore che, peraltro, ha visto lievitare in questi anni il proprio giro d'affari, né che possa favorire il gioco illegale, che sicuramente va contrastato con maggiore efficacia, rafforzando strumenti di controllo e sanzioni. Sempre in legge di stabilità, è importante che si sia deciso di tassare finalmente gli operatori che operano senza concessione. Il fenomeno dei totem collegati a bookmakers e casinò con sedi all'estero va contrastato, sia perché sottrae una fetta consistente di mercato al controllo dell'Agenzia delle dogane, col conseguente danno erariale, sia perché finisce per eludere su quei giochi le norme di ordine pubblico, le disposizioni per la lotta alla ludopatia e la tutela dei minori e dei soggetti più deboli. Ritengo quindi positive queste novità introdotte dalla legge di stabilità, ma resta il problema dell'eccessiva frammentazione delle norme che insistono sulla materia dei giochi e soprattutto dello stato di incertezza e provvisorietà dovuto a provvedimenti ancora in attesa dei relativi decreti attuativi.
  È necessario che il Governo emani rapidamente i decreti previsti per l'attuazione degli indirizzi tracciati all'articolo 14 dalla delega fiscale, in modo da superare l'attuale frammentazione e andare a comporre un quadro legislativo nazionale più organico, che costituisca la cornice indispensabile in cui possano inserirsi norme e regolamenti di competenza degli enti locali in materia di ubicazione delle sale gioco e di rispetto dei parametri di distanza da luoghi sensibili, ad esempio. C’è bisogno di razionalizzare e dare maggiore uniformità al prelievo fiscale fra le diverse tipologie di gioco, di riordinare il regime concessorio e regolamentativo dei giochi, di adottare misure tese a tutelare i minori e i soggetti più deboli e di ridurre il rischio della dipendenza, anche attraverso limitazioni alla pubblicità e vincoli più stringenti per l'apertura di sale e l'introduzione di nuovi apparecchi e tipologie di gioco.
  C’è bisogno di predisporre, attraverso l'osservatorio nazionale, la raccolta ed un'adeguata divulgazione periodica dei dati statistici relativi al gioco d'azzardo, al numero dei giocatori, alle somme giocate, alla evoluzione del fenomeno. Dobbiamo tenere sotto osservazione l'evoluzione di questo fenomeno pericoloso.
  Finora lo Stato, pur nel giusto intento di contrastare il gioco illegale, si è preoccupato più di favorire il gioco lecito che non di monitorare e di arginare le degenerazioni che avrebbe potuto produrre. Ora è bene trovare un maggiore equilibrio.
  È bene curare il danno, come si è detto, certo, e destinarvi le risorse necessarie. Ma anche questo non basta. Bisogna innanzitutto puntare sulla prevenzione. E prevenzione significa disincentivare l'eccessiva diffusione del gioco d'azzardo ed incentivare le possibili alternative positive, sul piano dei contenuti culturali e della socialità.
  Per questo io penso che sia necessario tenere insieme, in un quadro legislativo unitario, la materia normativa e fiscale relativa ai giochi con le misure di carattere sanitario e le misure sociali legate alla cura ed alla prevenzione delle dipendenze.
  Questo conferirebbe alle norme una maggiore efficacia sul piano del messaggio culturale che trasmettono, della loro capacità di orientare il senso comune, di favorire consapevolezza e comportamenti responsabili, senza che ciò significhi cedere alla tentazione di un approccio proibizionistico che francamente riterrei del tutto fuori luogo.
  Queste sono le proposte e gli impegni che noi chiediamo al Governo con la Pag. 116nostra mozione e sulla base dei quali potremmo fare un deciso passo avanti nel contrasto di questa piaga sociale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Baroni. Ne ha facoltà.

  MASSIMO ENRICO BARONI. Grazie Presidente, ci ritroviamo in questo momento in una discussione generale, in un'aula semivuota o praticamente vuota, ma veramente ho fiducia che il sottosegretario al Ministero dell'economia e delle finanze, oltre che la Presidenza, possa riportare a chi in questo momento ha la delega ai giochi, ovvero al sottosegretario Paola De Micheli, perché è lei, in questo momento – ho un'informazione non corretta ? – ad avere la delega ai giochi, a meno che non sia una delega condivisa.
  Quindi diciamo che, per quanto mi riguarda, se l'informazione è corretta iniziamo male, in quanto sembra che qualsiasi sottosegretario che abbia trattato la delega ai giochi abbia iniziato o in modalità «sottomarino», cercando di apparire molto poco, oppure gli è stata levata molto velocemente questo tipo di delega oppure, nel terzo caso, abbiamo trovato, dopo poco tempo o dopo alcuni anni, sottosegretari o comunque in linea generale dei politici che sono entrati nell'area commerciale delle concessionarie, quindi hanno cambiato lavoro in maniera drastica ed inequivocabile, diventando dei veri e propri esperti e diventando dei veri e propri garanti per quanto riguarda le famose 13 concessionarie.
  Parliamo un attimo di attualità, signor sottosegretario e signora Presidente.
  Abbiamo visto come nell'inchiesta di mafia capitale, questo cosiddetto mondo di mezzo abbia rilevato in maniera inequivocabile ciò che già veniva detto in Commissione antimafia nel 2011, detto dall'onorevole Pisano, in cui l'opacità delle concessionarie era un grandissimo problema e che il gioco illegale era un moltiplicatore, una puleggia... scusate, il gioco legale: ho sbagliato, il gioco legale era un moltiplicatore, una puleggia vera e propria nei confronti del gioco illegale.
  Addirittura Pisano diceva che è quantificabile: 8 euro di gioco illegale per ogni euro speso in gioco legale.
  La Consulta nazionale antiusura nel 2014, a maggio (mi pare), pubblica un documento esclusivamente dedicato al gioco d'azzardo in cui in settanta pagine afferma tre principi. Uno, che siamo in una bolla speculativa. Lei, signor sottosegretario, lo sa bene perché è una persona molto preparata e attenta nel settore del gioco d'azzardo in Italia.
  Il secondo punto è che esiste anche per la Consulta nazionale antiusura questo meccanismo in cui il gioco legale nel momento in cui viene moltiplicato, nel momento in cui aumenta si porta con sé un aumento di tutta quella «terra di mezzo», di quel brodo di coltura dell'illegalità perché è insita nella natura stessa la predisposizione caratteriale o culturale al gioco di un certo tipo, a determinati tipi di giochi di cercare di entrare in rapporto con la criminalità locale. Quando faccio questo tipo di affermazione penso alla via Tiburtina di Roma che è praticamente rinominata la via Las Vegas in cui persone che (tra virgolette) hanno interessi culturali o interessi civici hanno quasi timore a passeggiare all'interno di queste vie e di questi luci, di questa offerta ridondante e ipnotica di giochi e questo è stato possibile con delle politiche ventennali, signor sottosegretario, di grande liberalizzazione, di grande neoliberismo. Questo non lo dico io ma lo affermano degli studi molto importanti che «clusterizzano», che ripartiscono in quattro grandi categorie i Paesi europei e in una di queste categorie c’è l'Italia in cui – si afferma – c’è stata un grandissimo aumento dell'offerta di gioco in questi ultimi anni. Come è stato possibile tutto questo ? Lo abbiamo detto prima: politiche neoliberiste, la vera e propria schiuma del neoliberismo che è riuscita ad infiltrarsi all'interno di una ratio giuridica fondamentalmente orientata alla protezione del cittadino perché il gioco d'azzardo è all'interno del Testo unico di pubblica sicurezza, il codice penale Pag. 117stabilisce che il gioco d'azzardo è una di quelle materie che deve essere monitorato perché può creare instabilità sociale. Prima abbiamo affermato come è stato possibile tutto questo. È stato possibile anche grazie all'Autorità autonoma monopoli dello Stato in cui abbiamo avuto Tino e Tagliaferri che sono stati condannati per dolo, nella multa dei 98 miliardi, per non aver monitorato. La Corte dei conti li ha condannati entrambi ad oltre 2 milioni di euro per dolo nel mancato controllo dell'allaccio delle famose slot machine e lo stesso Tagliaferri (c’è una mozione del MoVimento 5 Stelle) era presente addirittura ad un tavolo di lavoro per la prevenzione sul gioco d'azzardo. Ne abbiamo chiesto la rimozione attraverso una mozione. Fortunatamente sembra che i cittadini italiani non debbano più pagare il suo stipendio di oltre 200 mila euro l'anno tra i dirigenti dell'AAMS. Se ne è uscito alla chetichella e nel silenzio a giugno in quanto risulta non più pagato dall'AAMS tra gli alti dirigenti. Quindi che cos’è quest'AAMS ? È un ente regolatore che si allea con i concessionari per fare pubblicità. Pensiamo che quest'anno venti città italiane con il patrocinio dell'AAMS faranno pubblicità al gioco legale e, quindi, è una pubblicità al gioco e quindi è un incentivo al gioco nel momento in cui la bolla speculativa – l'abbiamo capito – c’è, nel momento in cui il raccolto sta diminuendo ma comunque si mettono in gioco più concessionari, l'offerta di gioco aumenta nonostante il raccolto si stia restringendo, signor sottosegretario.
  Abbiamo una delega importante e gli esattori del fisco sono gli stessi concessionari. Viene delegata ai concessionari la stessa autorità di controllo attraverso l'utilizzo del braccio informatico del MEF.
  Io non credo che questa sia una cosa proprio corretta, dal momento che si parla di tantissimi soldi e, in continuazione, questo settore attira, in maniera cronica, tutte personalità e strutture di personalità, dai colletti bianchi ai mafiosi, che si dedicano nella loro vita alla frode o alla frode legalizzata. Perché tante volte basta cambiare una legge, come fece fare Tolotti, sulla questione dell'alea, signor sottosegretario, perché noi abbiamo una legislazione che prevede che per la definizione di gioco d'azzardo debba essere prevalente l'elemento dell'alea, quindi le scommesse sportive, per esempio, possono uscire da questo tipo di normativa. Appunto ricordiamo che lo Stato fondamentalmente aveva al suo interno Alberto Giorgetti che aveva la delega al settore dei giochi e che non ha mai smentito di aver ricevuto un'offerta per diventare un altissimo dirigente, un top manager della Lottomatica e aveva addirittura consegnato le dimissioni da parlamentare, ritirandole successivamente, anche a fronte di servizi televisivi con videocamere in cui lui si rifiuta di rispondere. Ricordiamo ancora Fantozzi, l'ex Ministro Fantozzi che è diventato alto dirigente di una grande concessionaria. Quindi abbiamo un sistema collusivo, manca una legge anticorruzione che possa prevenire questi conflitti di interesse, anche se in verità la legge Severino prevedrebbe che non sia possibile andare a lavorare per un concessionario se non dopo tre anni. Lo stesso Ministro Poletti, in quanto capo della Lega Cooperative, è andato contro la legge Severino ed è diventato Ministro. Vabbé, queste sono altre questioni, perché sembra che il Governo non abbia alcuna intenzione di farsi carico di questa veramente grande problematicità.
  In particolare prima parlavamo di mafia capitale, le ricordo signor sottosegretario le famiglie impegnate nella raccolta del gioco illegale, attraverso questo gioco di chiari scuri, cioè fino a quando si tratta di lobby dei colletti bianchi e invece quand’è che possiamo parlare di illegalità pura, perché sembra che ci sia una differenza polare tra le due cose, per quanto mi riguarda sono in linea di continuità: i Casalesi, i Mallardo, i Madonia, i Santapaola e la famiglia Fasciani di Ostia. Queste sembra che siano le grandi famiglie impegnate nella raccolta del gioco d'azzardo in Italia, ma, come le ho detto prima, il gioco d'azzardo illegale non è una scusa.Pag. 118
  Cercare di rendere legale il gioco d'azzardo non è il modo per poter gestire questo grandissimo problema in Italia, questo grandissimo problema in cui lo Stato preferisce dare soldi alle lobby, per esempio, in un momento di grande crisi come questo, di grande disoccupazione, in cui lei sa bene, signor sottosegretario, che abbiamo il 45 per cento di disoccupazione per i giovani fino ai 25 anni, dato italiano, e abbiamo il 12,5 per cento di disoccupazione totale italiana. Ebbene, nella legge di stabilità, tra l'altro, su questa materia complessa che è la materia dei giochi, il Governo si è stracciato le vesti dicendo che avrebbe aumentato la tassazione sul gioco. La stessa Lega ci casca e, praticamente casca in questo esercizio di marketing del PD e di Renzi perché porta nelle sue premesse che ci sarà un aumento del PREU nella legge di stabilità e nella legge di bilancio di circa il 4 per cento sulle VLT e sulle slot che doveva portare a un incremento di un miliardo e 8 con un ulteriore incremento di 700 milioni di euro dato dall'autorizzazione in commercio dei famosi centri di trasmissione dati. Ebbene, di questi 600 ne sono rimasti solo 70 ed è sparito quel miliardo e 8.
  Quindi, in totale, lo Stato doveva raccogliere circa 2,4 miliardi di euro dal settore dei giochi, ma, a quanto pare, nel passaggio dal Senato alla Camera, con un maxi emendamento governativo abbiamo avuto questo bellissimo gioco delle tre carte e, di questi 2,4 miliardi di euro annunciati, di questo aumento del Preu su VLT e slot di un raccolto di 45 miliardi, quindi 1,8 miliardi, non è rimasto assolutamente niente. Dal momento che lei è sottosegretario all'economia e delle finanze, non le voglio parlare di giustizia e di illegalità, le parlo di conti: penso veramente che ci sia molto lavoro da parte vostra e, se avete la volontà di fare delle denunce dall'interno di questo sistema lobbistico e grigio, come è stato fatto all'inizio dell'anno per quanto riguarda la legge che aiutava Berlusconi, credo che veramente si possa fare un buon lavoro, perché gli italiani vengono continuamente confusi da queste dichiarazioni di intenti che diventano il nulla.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Rampelli ed altri n. 1-00666, Kronbichler ed altri n. 1-00700, Borghesi ed altri n. 1-00701 e Gallinella ed altri n. 1-00711 concernenti iniziative in sede europea volte a richiedere le dimissioni del Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker (ore 19,45).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Rampelli ed altri n. 1-00666, Kronbichler ed altri n. 1-00700, Borghesi ed altri n. 1-00701 e Gallinella ed altri n. 1-00711 concernenti iniziative in sede europea volte a richiedere le dimissioni del Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritto a parlare il deputato Florian Kronbichler, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00700. Ne ha facoltà.

  FLORIAN KRONBICHLER. Grazie Presidente, egregio rappresentante del Governo, cari colleghi rimasti, avevo paura di arrivare un po’ tardi con la spiegazione di Pag. 119questa mozione. Fino a ieri mi sembrava un po’ stagionata questa mozione che chiede le dimissioni del Presidente della Commissione europea, Juncker, perché la polemica sul suo conflitto di interessi sembrava essersi un po’ attenuata, invece proprio oggi rimbalza sulla grande stampa europea la notizia che la Commissione UE indaga se il Lussemburgo abbia concesso condizioni fiscali a favore del colosso commerciale Internet Amazon. Il modello attuato da questa multinazionale sembra illegale, così lo vede almeno la Commissione europea. Il rapporto dell'Unione europea pubblicato quest'oggi dimostra nei dettagli come e fino a che punto il Lussemburgo sia venuto incontro ad Amazon affinché il colosso economico pagasse meno tasse, considerevolmente meno tasse. I profitti di Amazon vanno a finire in Lussemburgo in misura molto più alta di quanto si pensasse finora. Dovessero rivelarsi fondate le notizie, ciò avrebbe ripercussioni pesanti, in primo luogo su Amazon, molto sicuramente sul Lussemburgo, ma pure su Jean-Claude Juncker. È stato lui stesso all'epoca a far prendere sede ad Amazon nel suo Lussemburgo. Era lui il Primo Ministro, fu lui allora a vantarsi presso i dirigenti Amazon della testuale politica fiscale conveniente. Jean-Claude Juncker ovviamente smentisce qualsiasi coinvolgimento nell'affaire, eppure promette di astenersi, da Presidente della Commissione, da qualsiasi intromissione nelle indagini in corso. Ci mancherebbe !
  Ecco, il Consorzio Internazionale per il Giornalismo investigativo, questo già prima, ha condotto una inchiesta il cui risultato dimostra che 340 aziende hanno spostato negli ultimi anni le loro sedi legali in Lussemburgo per quella pratica di ottimizzazione fiscale che sottintende l'utilizzo di metodi leciti o quasi leciti per pagare meno tasse senza contare fondi di investimento di quasi tremila miliardi di euro di attività nette. Da questa inchiesta si evincono documenti ufficiali che dimostrano come il neo Presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker, nella sua passata vita politica cioè quando ricopriva l'incarico di Primo Ministro del Lussemburgo, è stato responsabile, se non l'artefice, di accordi segreti con grandi multinazionali che, grazie a queste intese, sono riuscite a sottrarre molti miliardi di tasse ai Paesi dell'Unione europea in cui avrebbero dovuto pagarle.
  Per Bloomberg, un'altra delle più note testate finanziarie del mondo, il popolo lussemburghese sarebbe divenuto uno dei più ricchi al mondo, secondo solo al Qatar, perché regole di segreto bancario simili a quelle della Svizzera, come sono state perché anche lì sono nel frattempo cambiate, e meccanismi di elusione fiscale approvati dal Governo, hanno contribuito a garantire un ingente afflusso di capitali. Gli accordi fiscali, descritti nei documenti trapelati, presumibilmente consentivano a multinazionali, come detto appunto della Amazon ma anche di Apple e Deutsche Bank, di ridurre i loro oneri fiscali sui profitti maturati in altri Paesi. Il risultato è che le aliquote fiscali applicate erano minime. Di conseguenza, si potrebbe dire che Juncker abbia reso ricco il proprio Paese andando a borseggiare gli altri Stati, inclusi, soprattutto, quelli dell'Unione Europea che è ora chiamato a servire, così scrive l'agenzia di Bloomberg.
  Il nostro l'Espresso, in contemporanea con altre grandi testate europee come Bbc, Guardian, Le Monde, Stiddeutsche Zeitung, ha pubblicato i documenti riservati che dimostrano come il Lussemburgo di Juncker sia stato un invidiabile paradiso fiscale per tante imprese internazionali, comprese alcune italiane finora emerse. Vantaggi formalmente legittimi in quanto la legislazione europea consente la concorrenza fiscale tra un Paese e l'altro mentre vieta gli aiuti di Stato.
  Tale passato comportamento di Jean Claude Juncker ci sembra del tutto incompatibile con il ruolo assunto di Presidente della Commissione europea che necessita di una personalità autorevole e meritevole di fiducia da parte di tutti i cittadini dell'Unione europea danneggiati dalle politiche condotte durante il suo quasi ventennale incarico di Primo ministro del Lussemburgo.Pag. 120
  La permanenza nell'incarico di Presidente della Unione europea di Juncker non aiuta la causa europea in quanto la sua posizione come capo dell'istituzione che sta indagando ora le pratiche fiscali da lui supervisionate quando era Primo ministro del Lussemburgo, è in evidente conflitto di interesse, e pertanto la credibilità delle istituzioni, se lasciasse l'incarico, ne trarrebbe solo vantaggio.
  Il gruppo di Sinistra Ecologia Libertà vuole impegnare adesso il Governo a promuovere l'attivazione delle procedure volte alla cessazione dalla carica di Presidente della Commissione europea di Jean Claude Juncker per le ragioni che ho esposto, valutando altresì l'ipotesi di ricorrere alla Corte di giustizia europea in base al Trattato dell'Unione europea per chiedere che il Presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker sia dichiarato dimissionario dalla carica ricoperta per incompatibilità con i requisiti richiesti per tale importante ruolo.

  PRESIDENTE. Grazie onorevole Kronbichler, non avevo nessun commento da fare sulla sua mozione, mi ha visto fare un gesto che era indipendente dal suo intervento.
  È iscritto a parlare l'onorevole Filippo Gallinella che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00711. Ne ha facoltà.

  FILIPPO GALLINELLA. Signor Presidente, colleghi, sottosegretario, oggi portiamo in Aula un argomento fondamentale, la nomina di Jean Claude Juncker, ex Primo Ministro ed ex Ministro delle finanze di un Paese, ricordiamolo, che ha applicato pratiche di riduzione, a volte azzeramento, delle tasse e quindi che ha aiutato decine di aziende ad eludere il fisco dei Paesi in cui facevano profitti. Lo ripeto, ha aiutato decine di aziende ad eludere il fisco dei Paesi in cui facevano profitto. Questo è il motivo per il quale siamo qui oggi. Tale nomina appare del tutto inopportuna e inadeguata a garantire l'impegno dell'Unione europea nella lotta alla frode e all'evasione fiscale, specie in un momento così delicato. Siamo oggettivamente in deflazione, vi è una sproporzione tale tra la speculazione e l'economia reale che ha raggiunto livelli preoccupanti così come la distanza tra i cittadini e le istituzioni europee. Voglio ricordare a tal proposito le parole di Monti qualche anno fa sulle istituzioni europee: lontane e più al riparo dal processo elettorale, istituzioni che risultano impegnate ad applicare modelli economico-finanziari che funzionano solo nelle teorie e a perseguire politiche rigoriste che hanno impoverito oltre i due terzi della popolazione europea. Lo vogliamo nuovamente ricordare, tra gli Stati membri dell'Unione europea, il Granducato del Lussemburgo, il cui primo Ministro, per oltre dieci anni, è stato l'attuale Presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, è tristemente balzato agli onori della cronaca per i numerosi accordi fiscali «speciali» stipulati dal Governo con oltre trecento aziende e multinazionali in base ai quali, grazie alla cosiddetta «tax ruling», viene garantito a tali società un trattamento fiscale agevolato. Noi sappiamo che è all'esame delle istituzioni europee la modifica della direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale, al fine, tra l'altro, di ampliare l'ambito di applicazione dello scambio automatico di informazioni a livello dell'Unione su dividendi, plusvalenze e altri redditi a partire dal 2015, anno in cui tale obbligo sarà in vigore anche per redditi da lavoro, compensi per dirigenti, pensioni, assicurazioni sulla vita e proprietà e redditi immobiliari. È d'obbligo altresì ricordare che lo scambio automatico di informazioni è stato introdotto nella direttiva per la tassazione dei risparmi, questa è la 2003/48/CE ed è in vigore dal 2005. Austria e Lussemburgo, il Lussemburgo di Juncker appunto, hanno da sempre goduto di un regime di deroga, scegliendo di adottare una ritenuta d'acconto al 35 per cento invece dello scambio di informazioni e rallentato così l'adozione di normative sulla tassazione delle rendite da risparmio dei cittadini non residenti. È inaccettabile quindi che il 14 ottobre 2014 il Consiglio dei ministri delle finanze, Pag. 121l'Ecofin, che era presieduto dal nostro Padoan, nell'ambito dell'esame della suddetta proposta, abbia concesso al Lussemburgo e all'Austria una dilazione dei tempi entro i quali aderire allo scambio automatico di informazioni sugli evasori fiscali degli Stati membri e pare appunto, così si legge dallo speech, di due anni per il Lussemburgo e tre anni per l'Austria. L'Unione europea nella pratica impone, soprattutto ai Paesi del Sud, misure di austerità sempre più gravose per i cittadini e allo stesso tempo mostra un'attitudine molto più conciliante nei confronti degli evasori fiscali e degli intermediari bancario-finanziari che spesso si adoperano per occultare al fisco consistenti patrimoni. Noi non possiamo accettare questo, mi sembra logico. Nella sostanza, alcuni Governi, attraverso l'avallo di una posizione estremamente conciliante, finiscono di fatto per favorire il sussistere di paradisi fiscali e la costituzione di fondi neri da utilizzare non si sa per quali scopi. Per questo non possiamo accettare che il Governo italiano possa accettare, senza dir nulla, la presidenza di Juncker. Noi abbiamo visto che Renzi ha sponsorizzato l'attuale presidente della Commissione, ma l'unica scusante che posso accettare è che forse in quel momento non lo sapesse, anche se è strano, magari una svista, diciamocelo, ma oggi, dopo le inchieste e gli scandali e le notizie di oggi non potete abbassare la testa. Noi non lo facciamo, quindi vorremmo che anche il Governo lo facesse. Quindi credo che avallando questa mozione, come le altre già presentate, potreste avere forza, per avere anche un'arma di confronto a livello di Unione europea. Ma forse, dietro l'accettazione di questo Presidente, ci sono ragioni di equilibrio politico: Juncker, nonostante sia sotto tiro, è il perno della maggioranza esistente, tiene insieme infatti il centro-destra, il centro-sinistra, la parte liberal-democratica del Parlamento europeo. È la garanzia contro un numero crescente di euroscettici, che sono diventati a questo punto anche anti-europeisti, confondendo magari le cose. Però, oltre le istituzioni e l'apparato c’è la casa europea, ovvero 500 milioni di cittadini. Noi siamo dentro l'Unione europea, vorremmo che le cose funzionassero bene, è chiaro che se al vertice di chi comanda c’è qualcuno con questo sospetto, che è stato Ministro delle finanze, il Primo Ministro del Lussemburgo e adesso dovrebbe decidere su queste cose e concede dilazioni proprio al suo Paese e ad altri, è chiaro che è un'elusione fiscale accettata a livello delle istituzioni, ma chiaramente i cittadini si vogliono ribellare.
  Noi siamo per un'Europa degli onesti, dei giusti, di quelli che pagano le tasse; in Italia le pagano in molti, anche se magari sono anche troppo alte rispetto agli altri Paesi. Poi vediamo che in alcuni Paesi si fanno degli sconti, quindi magari si favorisce l'esportazione delle sedi di alcune aziende e si sottraggono soldi ai Paesi dove poi queste aziende vendono, e questo non ci pare giusto. Io credo a questo punto che si debba fare una scelta: il Governo si impegni, accettando queste mozioni, perché ce n’è più di una, fortunatamente, affinché si attivino tutte le procedure per allontanare Juncker dalla Presidenza della Commissione, perché ci pare quanto meno inopportuno e inadeguato. Viceversa, una vostra morbidezza nel non accettare queste mozioni, vi qualificherebbe.
  Ecco, noi siamo per riuscire insieme a cambiare le cose, però voi ci dovete mettere del vostro. Chiedo un impegno formale nell'accettare queste mozioni, poi magari vedremo anche come operare in seguito. Io ringrazio per l'attenzione, ringrazio il Presidente, che oggi ha fatto una lunga staffetta con tutte queste mozioni, e ci vedremo magari in dichiarazione di voto per sentire anche cosa pensa il Governo di questa posizione (Applausi del deputato Kronbichler).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Bonomo. Ne ha facoltà.

  FRANCESCA BONOMO. Grazie Presidente, grazie sottosegretario Gozi, che è qui presente, onorevoli colleghi, siamo rimasti veramente in pochi. Il gruppo del Partito Democratico voterà convintamente Pag. 122contro queste mozioni prive di senso politico e istituzionale. Come tutti, in quest'Aula e fuori da quest'Aula, sanno, Jean Claude Juncker non era il candidato del Partito Democratico e neanche del gruppo dei Socialisti e Democratici, cui appartengono i nostri parlamentari europei. Ma la politica, e quella europea in forma direi paradigmatica, non è il campo della realizzazione dei propri desiderata, ma è il campo del confronto tra posizioni e visioni differenti, e soprattutto dello sforzo congiunto di addivenire a delle sintesi.
  Proprio nei giorni scorsi, nel Parlamento Europeo, sono state raggiunte le firme necessarie per la costituzione di una Commissione d'inchiesta sul caso Lux Leaks che, secondo il parere di uno dei promotori, il capogruppo dei verdi Philippe Lamberts «non è per tagliare la testa a Juncker», ma «per mettere la parola fine alla guerra fiscale che esiste tra Paesi membri». Quella dunque è la giusta sede politica ed istituzionale chiamata a dare il giudizio politico, che voi, in modo totalmente sconsiderato, volete attribuire al Governo italiano. Ora, si capisce che una forza come Fratelli d'Italia, che è rimasta esclusa dal Parlamento europeo, cerchi in ogni maniera, anche la più scomposta, come con questa mozione, di far sentire la propria voce. Il Governo e la maggioranza non stanno, però, qui a lenire ferite e frustrazioni di forze politiche che, a dispetto del nome, a stento trovano parentele in Italia, figurarsi in Europa.
  Del resto, appare davvero difficile prendere lezioni su chi possiede o non possiede i titoli per ricoprire la carica di Presidente della Commissione europea da chi, come la Lega e sempre Fratelli d'Italia, proprio al momento delle elezioni europee, non è stato in grado di esprimere un nome e un cognome, insomma una biografia credibile e spendibile da porre alla guida del massimo organo esecutivo europeo.
  Ora come allora, voi non siete in grado di tirare fuori un nome alternativo per la Commissione europea, siete in grado solo di demonizzarla. Questo significa giocare allo sfascio, buttarla in caciara, soffiare sul sentimento antieuropeo, oggi prevalente, senza intestarsi alcuna responsabilità.
  E parlando appunto di responsabilità, appare anche alquanto irresponsabile e paradossale il fatto che proprio il gruppo di Fratelli d'Italia, che ha per primo depositato, nella persona del deputato Rampelli, la mozione sul tema, non sia nemmeno presente qua in Aula per illustrarcela e per discuterla insieme a noi. Per questo è davvero difficile spiegare l'inseguimento da parte di SEL – in questo caso mi rivolgo anche al collega Kronbichler – di due iniziative evidentemente estemporanee e populiste, che non hanno a cuore un'altra Europa possibile, ma solo e soltanto la fine dell'Europa, quindi il ritorno alle frontiere, il ritorno dei nazionalismi. Se davvero volevate essere diversi, nuovi, inediti, cari amici di SEL, allora accompagnavate questa mozione di sfiducia indicando una figura con la quale sostituire Jean Claude Juncker, secondo il metodo che la più solida democrazia parlamentare europea, quella tedesca, chiama sfiducia costruttiva. Ma non lo avete fatto. Avete scimmiottato in tutto e per tutto iniziative populiste e disfattiste.
  Ciò detto, non voglio, però, eludere le tematiche che, sebbene con una certa approssimazione, voi avete sottoposto all'esame di quest'Aula. Esiste, in effetti, una questione paradisi fiscali europei, ed esiste, ad esempio, una questione relativa all'evasione fiscale delle multinazionali, come è stato evidenziato dallo scandalo LuxLeaks. È proprio per eliminare questo ostacolo che, per la prima volta, proprio nel nostro semestre italiano di Presidenza, sono stati fatti dei passi avanti, facendo innanzitutto ammettere al Presidente della Commissione Europea l'esistenza di questo problema.
  Tanto è vero che adesso, proprio nel programma di lavoro 2015 della Commissione, sono finalmente inserite iniziative per contrastare il dumping fiscale tra gli Stati membri e la tax avoidance, ovvero l'elusione fiscale delle multinazionali. Ma non solo, grazie alle pressioni del nostro Governo, la Commissione Juncker ha cominciato Pag. 123a prendere anche sul serio la questione della crescita, non più solo quella della stabilità.
  Di qui il piano dei 300 miliardi di investimenti, di cui oltre 40 in Italia, e abbiamo avuto proprio anche ieri modo di confrontarci anche con il Vicepresidente della Commissione Katainen proprio su questo tema. Di qui, quindi, il nostro impegno per un'interpretazione flessibile dei parametri, che non va, però, nella direzione di un'irresponsabilità finanziaria, ma che pone un problema di opportunità delle politiche di austerità in tempi, come stiamo vedendo, di deflazione.
  Di qui anche lo sforzo di affiancare al fiscal compact un’industrial compact: come rilanciare, quindi, una stagione europea delle politiche industriali. Ecco, ci piacerebbe che i nostri colleghi interloquissero con noi proprio su queste tematiche, facendo proposte concrete e realistiche, e non si facessero tentare da campagne di stampa.
  L'Europa così com’è, è vero, non va bene. Noi, quindi, abbiamo provato, abbiamo iniziato a lavorare, e continueremo ad impegnarci per farle cambiare verso, ma certo è un lavoro duro, silenzioso, tenace, che non ha tempo da perdere con velleitarie richieste di dimissioni. Per queste ragioni, quindi, daremo il voto contrario alle mozioni presentate (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della prossima seduta.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

  Lunedì 19 gennaio 2015, alle 9:

  (ore 9, con votazioni non prima delle ore 14)

  1. – Comunicazioni del Ministro della giustizia sull'amministrazione della giustizia, ai sensi dell'articolo 86 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come modificato dall'articolo 2, comma 29, della legge 25 luglio 2005, n. 150.

  (ore 15,30)

  2. – Seguito della discussione del disegno di legge costituzionale:
   S. 1429 – Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione (Approvato, in prima deliberazione, dal Senato) (C. 2613-A).
   e degli abbinati progetti di legge costituzionale: D'INIZIATIVA POPOLARE; D'INIZIATIVA POPOLARE; VIGNALI; CIRIELLI; CIRIELLI; CIRIELLI; CAUSI; PISICCHIO; PISICCHIO; PISICCHIO; PISICCHIO; GIACHETTI; SCOTTO; FRANCESCO SANNA; PELUFFO ed altri; LENZI; LAURICELLA ed altri; BRESSA e DE MENECH; CAPARINI ed altri; CAPARINI ed altri; VACCARO; LAFFRANCO e BIANCONI; PALMIZIO; PALMIZIO; PALMIZIO; PALMIZIO; GIANCARLO GIORGETTI ed altri; GIANCARLO GIORGETTI ed altri; LA RUSSA ed altri; ABRIGNANI ed altri; TONINELLI ed altri; GIANLUCA PINI; LAFFRANCO e BIANCONI; GINEFRA ed altri; GIORGIA MELONI ed altri; MIGLIORE ed altri; D'INIZIATIVA DEL GOVERNO; BONAFEDE e VILLAROSA; PIERDOMENICO MARTINO; BRAMBILLA; GIANCARLO GIORGETTI ed altri; CIRIELLI e GIORGIA MELONI; VALIANTE; QUARANTA ed altri; LACQUANITI ed altri; CIVATI ed altri; BOSSI; LAURICELLA e SIMONI; DADONE ed altri; GIORGIS ed altri; LA RUSSA ed Pag. 124altri; RUBINATO ed altri; D'INIZIATIVA DEL CONSIGLIO REGIONALE DELL'EMILIA-ROMAGNA; MATTEO BRAGANTINI ed altri; CIVATI; FRANCESCO SANNA ed altri (C. 8-14-21-32-33-34-148-177-178-179-180-243-247-284-329-355-357-379-398-399-466-568-579-580-581-582-757-758-839-861-939-1002-1259-1273-1319-1439-1543-1660-1706-1748-1925-1953-2051-2147-2221-2227-2293-2329-2338-2378-2402-2423-2441-2458-2462-2499).
  — Relatori: Fiano e Sisto, per la maggioranza; Toninelli, Matteo Bragantini e Quaranta, di minoranza.

  3. – Seguito della discussione della proposta di legge:
   S. 1070 – D'INIZIATIVA DEI SENATORI: BUEMI ed altri: Disciplina della responsabilità civile dei magistrati (Approvata dal Senato) (C. 2738).
   e delle abbinate proposte di legge: GOZI ed altri; LEVA ed altri; BRUNETTA; CIRIELLI (C. 990-1735-1850-2140).
  — Relatori: Leva, per la maggioranza; Colletti, di minoranza.

  4. – Seguito della discussione delle mozioni Grande ed altri n. 1-00383, Zaratti ed altri n. 1-00708 e Tidei ed altri n. 1-00712 concernenti iniziative relative all'impatto ambientale della centrale termoelettrica a carbone di Civitavecchia.

  5. – Seguito della discussione delle mozioni Sandra Savino e Palese n. 1-00540, Prodani, Pellegrino ed altri n. 1-00047, Fedriga ed altri n. 1-00704 e Gigli e Dellai n. 1-00705 concernenti iniziative per l'istituzione di zone franche urbane in Friuli Venezia Giulia.

  6. – Seguito della discussione delle mozioni Fedriga ed altri n. 1-00607, Pesco ed altri n. 1-00709 e Paglia ed altri n. 1-00714 concernenti iniziative per la sospensione dell'applicazione degli studi di settore.

  7. – Seguito della discussione delle mozioni Mantero ed altri n. 1-00594, Binetti ed altri n. 1-00702, Rondini ed altri n. 1-00703, Nicchi ed altri n. 1-00706, Palese n. 1-00707 e Garavini ed altri n. 1-00710 concernenti iniziative per il contrasto del gioco d'azzardo.

  8. – Seguito della discussione delle mozioni Rampelli ed altri n. 1-00666, Kronbichler ed altri n. 1-00700, Borghesi ed altri n. 1-00701 e Gallinella ed altri n. 1-00711 concernenti iniziative in sede europea volte a richiedere le dimissioni del Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker.

  La seduta termina alle 20,05.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DELLA DEPUTATA SANDRA SAVINO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLE MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER LA SOSPENSIONE DELL'APPLICAZIONE DEGLI STUDI DI SETTORE.

  SANDRA SAVINO. Gli studi di settore, entrati in vigore nel 1998, nell'era del Governo di sinistra Prodi, sin dall'inizio, furono oggetto di interpretazioni ambigue e non corrispondenti alla legge.
  Basati su uno strumento statistico su dati trasmessi dagli stessi contribuenti circa le caratteristiche strutturali dell'attività svolta con l'obiettivo di stimare in maniera attendibile l'effettivo ammontare dei ricavi di ciascuno, al fine di verificare la loro «congruità», tale strumento fiscale si poggiava su un sistema che aspirava a determinare un'adesione di massa da parte dei contribuenti sia perché conveniente, sia perché i «non congrui» avrebbero avuto maggiori probabilità di essere sottoposti ad accertamento. Ma così nella realtà non avvenne. I risultati ben presto dimostrarono il contrario. Le norme, infatti, escludevano esplicitamente che gli esiti degli studi di settore potessero essere considerati una «normalizzazione» dei ricavi (e quindi dei redditi), o una loro Pag. 125forfettizzazione. Infatti le categorie professionali interessate evidenziarono come ogni ipotesi di forfettizzazione equivaleva alla reintroduzione della minimum tax.
  Gli studi di settore, quindi, in base alla legge, forniscono esclusivamente un'indicazione di massima di quanto il fisco si attende da ciascun contribuente, e costituiscono linee guida per l'azione di accertamento degli uffici. In sostanza i contribuenti dovrebbero, in base alla legge, dichiarare i proventi reali e non necessariamente quelli risultanti dallo studio, che sono solo indicativi. Sicché se un'impresa è in perdita è ovvio che essa non deve adeguarsi agli studi, analogamente dovrebbe comportarsi un contribuente strutturalmente non rappresentato dallo studio che lo riguarda.
  Pertanto nella realtà l'interpretazione corrente fatta propria dai contribuenti e consulenti è stata, e rimane, proprio quella di considerarli come evidenziato in precedenza, una sorta di minimum tax dovuta in ogni caso.
  Non di rado lo stesso approccio è stato seguito anche dagli uffici. Ciò è alla base delle polemiche che hanno caratterizzato la vicenda degli studi di settore negli ultimi 10 anni, dato che gli studi sono mediamente molto permissivi.
  Al tempo stesso, poiché per i contribuenti marginali, o con difficoltà congiunturali, possono fornire risultati non corretti, la maggior parte delle associazioni di categoria, li contestano chiedendo sistematicamente correzioni, aggiustamenti e modifiche idonee a svuotarli. In sintesi i contribuenti marginali hanno rappresentato in questi anni una sorta di garanzia implicita, degli «scudi umani», a protezione degli evasori veri.
  Gli studi di settore pertanto rappresentano uno strumento che non va nella direzione dell'equità fiscale. E, certamente, il redditometro rappresenta uno strumento che può misurare il reddito di un contribuente più degli studi, che invece disegnano e fanno emergere una situazione diversa da quella reale che vivono i contribuenti.
  Occorre rimarcare come in questo periodo di crisi economica che affligge da anni il Paese, l'applicazione dello studio di settore si è rivelato troppo spesso uno strumento di vessazione per moltissimi contribuenti che si collocavano al di sotto dei ricavi presunti. Ecco perché occorre intervenire affinché rimanga sullo sfondo o come si prevede attraverso l'esame della mozioni di oggi addirittura sospenderne l'efficacia.
  A tal fine è necessario insistere in un'altra direzione: quella del contraddittorio. Gli interventi dell'Agenzia delle Entrate in cui è stato messo al centro il rapporto amministrazione-contribuente mediante l'utilizzo del contraddittorio, possono certamente produrre più risultati e migliorare il difficilissimo rapporto che persiste tra l'amministrazione finanziaria ed il contribuente.
  In definitiva a mio avviso, le elaborazioni frutto degli studi di settore costituiscono delle mere presunzioni semplici, non fornite dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richieste per l'invio degli avvisi di accertamento, che inducono gli uffici finanziari ad avviare accertamenti nei confronti dei contribuenti sulla base della semplice discordanza tra ricavi dichiarati e risultanze degli studi di settore, determinando in tal modo, una forte conflittualità con le associazioni di categoria, le quali si vedranno presumibilmente costrette a sconfessare le intese raggiunte ai fini della predisposizione dei medesimi studi di settore.
  A fronte di tali considerazioni il gruppo di Forza Italia, concorda con l'impegno richiesto al Governo da parte della mozione della Lega di sospendere dal 1o gennaio di quest'anno l'applicazione degli studi di settore.