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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 351 di mercoledì 17 dicembre 2014

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARINA SERENI

  La seduta comincia alle 9,30.

  RICCARDO FRACCARO, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Ferrara, Marotta, Tofalo, Turco, Villecco Calipari e Vitelli sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente ottantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

  Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Seguito della discussione del disegno di legge costituzionale: S. 1429 – Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione (Approvato, in prima deliberazione, dal Senato) (A.C. 2613-A); e degli abbinati progetti di legge costituzionale: D'iniziativa popolare; D'iniziativa popolare; Vignali; Cirielli; Cirielli; Cirielli; Causi; Pisicchio; Pisicchio; Pisicchio; Pisicchio; Giachetti; Scotto; Francesco Sanna; Peluffo ed altri; Lenzi; Lauricella ed altri; Bressa e De Menech; Caparini ed altri; Caparini ed altri; Vaccaro; Laffranco e Bianconi; Palmizio; Palmizio; Palmizio; Palmizio; Giancarlo Giorgetti ed altri; Giancarlo Giorgetti ed altri; La Russa ed altri; Abrignani ed altri; Toninelli ed altri; Gianluca Pini; Laffranco e Bianconi; Ginefra ed altri; Giorgia Meloni ed altri; Migliore ed altri; D'iniziativa del Governo; Bonafede e Villarosa; Pierdomenico Martino; Brambilla; Giancarlo Giorgetti ed altri; Cirielli e Giorgia Meloni; Valiante; Quaranta ed altri; Lacquaniti ed altri; Civati ed altri; Bossi; Lauricella e Simoni; Dadone ed altri; Giorgis ed altri; La Russa ed altri; Rubinato ed altri; D'iniziativa del consiglio regionale dell'Emilia-Romagna; Matteo Bragantini ed altri; Civati; Francesco Sanna ed altri (A.C. 8-14-21-32-33-34-148-177-178-179-180-243-247-284-329-355-357-379-398-399-466-568-579-580-581-582-757-758-839-861-939-1002-1259-1273-1319-1439-1543-1660-1706-1748-1925-1953-2051-2147-2221-2227-2293-2329-2338-2378-2402-2423-2441-2458-2462-2499) (ore 9,35).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge costituzionale, già approvato in prima deliberazione dal Senato, n. 2613-A: Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL Pag. 2e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione, e degli abbinati progetti di legge costituzionale nn. 8, 14, 21, 32, 33, 34, 148, 177, 178, 179, 180, 243, 247, 284, 329, 355, 357, 379, 398, 399, 466, 568, 579, 580, 581, 582, 757, 758, 839, 861, 939, 1002, 1259, 1273, 1319, 1439, 1543, 1660, 1706, 1748, 1925, 1953, 2051, 2147, 2221, 2227, 2293, 2329, 2338, 2378, 2402, 2423, 2441, 2458, 2462, 2499.
  Ricordo che nella seduta di ieri è iniziata la discussione sulle linee generali.

(Ripresa discussione sulle linee generali – A.C. 2613-A)

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Pisicchio. Ne ha facoltà.

  PINO PISICCHIO. Signor Presidente, onorevole collega, onorevole rappresentante del Governo, credo sia giusto lasciare la traccia in questo dibattito di un punto di vista che intende rifiutare pregiudiziali ideologiche sul tema della fine del bicameralismo simmetrico, una traccia solo per cercare di mettere a verbale alcune valutazioni che tendono ad un'evoluzione di una più larga riforma costituzionale.
  Ci sono cose che mi convincono in questo disegno di legge ed altre che destano in me alcune perplessità di ordine sistemico e non solo. Diciamo subito che condivido la scelta di spezzare una simmetria funzionale tra Camera e Senato che si riproduceva ormai in modo tralatizio, in fondo neanche totalmente rispondente all'originaria ispirazione che i padri costituenti intesero imprimere. Camera e Senato nacquero sì entrambi come organi legislativi, ma furono pensati asimmetrici per vocazione. La stessa legge elettorale al Senato era basata su collegio uninominale per marcare maggiormente l'incardinamento nel territorio regionale del candidato e persino per la durata della legislatura, che prima della riforma del 1963 era di sei anni al Senato.
  Man mano che ci siamo avvicinati al tempo odierno abbiamo assistito, soprattutto dopo la totale omogeneizzazione delle leggi elettorali tra le due Assemblee legislative, ad una perfetta duplicazione della seconda Camera rispetto alla prima, il che evidentemente non era nei conti dei costituenti. La restituzione del Senato ad organo di rappresentanza regionale e di legislazione differenziata dalla Camera, dunque, appare non incoerente con l'impianto complessivo della Costituzione.
  Ciò che mi ha convinto di meno, in verità, è stato intercettare talune motivazioni che sono state addotte per sostenere questa riforma. Una motivazione, ascoltata anche presso autorevoli e responsabili colleghi, è stata quella volta a sostenere che, spezzando la simmetria tra le Camere, avremmo prodotto una necessaria velocità nell'iter legislativo. Io non insisterei troppo su questo tasto. Domandiamo a noi stessi: è proprio di questo che ha bisogno il sistema ? È proprio di una maggiore velocità nel produrre nuove leggi o piuttosto di una vigorosa opera di disboscamento della selva oscura e profonda delle 140 mila leggi che infestano il nostro ordinamento giuridico ?
  Il tema della semplificazione legislativa, giustamente sostenuto dal Governo per affermare il principio della sburocratizzazione del Paese, non combacia con l'argomento velocità della produzione di nuove leggi, velocità che, peraltro, non sempre si sposa con il necessario rigore nella scrittura delle leggi. Più di una volta questo stesso Governo è dovuto intervenire al Senato per correggere i suoi stessi provvedimenti già approvati alla Camera.
  Così come inviterei a qualche prudenza anche nel sostenere, come pure si è sentito dire, che si procede in questo impianto di riforma per risparmiare sull'indennità dei senatori. Forse la cosa può suonare gradevole alla pubblica opinione, ma sarebbe ben poca cosa se fosse questa la ragione per mettere mano a una così radicale riforma di un organo costituzionale. Attenzione a maneggiare con troppa disinvoltura questi argomenti, il rischio è di compiacere per un momento l'opinione pubblica, ma di manomettere per sempre le istituzioni.Pag. 3
  C’è un altro aspetto del disegno di legge che suscita in me alcune riflessioni. La riforma Delrio, come è noto, ha promosso il principio per le province e per le città metropolitane dell'elezione di secondo grado, devolvendo per necessità contingente alla politica la scelta della composizione delle assemblee rappresentative, che invece spetterebbe al corpo elettorale. Avremo altri momenti per discutere degli effetti di quella riforma e delle difficoltà che quegli enti stanno vivendo a causa di alcune incompiutezze. Per il ragionamento che ci riguarda vorrei solo esprimere una considerazione. Spero che questo ricorso alla selezione di secondo grado della rappresentanza non si proponga come una nuova tendenza della democrazia italiana; fuori dall'emergenza non può essere salutata come la via maestra per riconnettere gli elettori agli eletti.
  Sotto un altro profilo, confesso che mi sarei aspettato più coraggio dal disegno di legge governativo. Stiamo guardando al Bundesrat senza però accoglierne veramente la sostanza. La seconda Camera tedesca è espressione dei Länder, che sarebbero le articolazioni territoriali comparabili – non uguali ma comparabili – alle nostre regioni, tuttavia capaci di un profilo istituzionale più saldo e addirittura identitario rispetto alla nostra esperienza.
  Anche qui torna il riferimento alla nostra Costituzione: qual è il compito cui sono chiamate ad attendere le regioni ? Essenzialmente programmazione e legislazione, in realtà si sono tramutate in centri di spesa, una voce decisiva nel nostro debordante deficit, e non sempre di buona amministrazione. Basterebbe solo scorrere le cronache giudiziarie degli ultimi anni per farsene un'idea.
  Allora io chiedo: perché non osare di più ? Perché non mettere mano ad una riforma delle regioni attesa da tempo, che metta a profitto analisi e valutazioni che, da parte della dottrina giuridica, ma anche da parte di importanti istituti di ricerca, da anni si sta auspicando, procedendo, per esempio, anche ad una semplificazione della molteplicità identitaria che oggi divide per venti ciò che può essere ridotto a molto meno ? È giunto il tempo, in materia di riforma delle istituzioni, di immaginare un grande disegno di sistema, un disegno coerente, che ci faccia abbandonare velocemente questa stagione in cui coesistono più cose incompatibili fra loro: una Costituzione formale, incentrata sul Parlamento, ed una Costituzione materiale, che vive nella prassi nutrendosi di leggi elettorali incoerenti con l'impianto della Carta, producendo una forma di presidenzialismo strisciante e senza bilanciamenti.
  La via maestra io ancora credo resti sempre quella di un'assemblea costituente legittimata dal popolo, orientata verso una riforma di impianto. La scelta compiuta che dialoga anche con la riforma elettorale, non sapendo però se originarla o subirla, dunque vivendola solo in uno stesso contesto cronologico, privilegia l'urgenza di un gesto politico che incida sul tessuto costituzionale.
  Non ostacoleremo certamente il processo riformatore, ma vorremmo collaborare a renderlo più coerente e rigoroso. Nei pochi mesi di questa legislatura abbiamo già visto una grande riforma costituzionale annunciarsi, raccogliere i voti delle Camere e poi svanire nel nulla. Stavolta vorremmo compiere un passo più fermo (Applausi).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Melilla. Ne ha facoltà.

  GIANNI MELILLA. Grazie, signora Presidente. La previsione di una nuova specie di legge a data certa è un altro strappo nella storia e nella prassi parlamentare italiana. La Costituzione, come è noto, sinora prevede lo strumento ordinario del disegno di legge ad iniziativa del Governo, dei parlamentari, dei consigli regionali e, a seguito di sottoscrizione di firme, da parte di almeno cinquantamila cittadini, e poi prevede anche una forma straordinaria, motivata dalla necessità e dall'urgenza. Il Governo deve adottare questo strumento, cioè quello del decreto-legge, sotto la sua responsabilità, perché si tratta di provvedimenti provvisori che hanno forza di legge, ma che devono essere convertiti Pag. 4entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione.
  Il Regolamento parlamentare di emanazione costituzionale deve stabilire procedure tali da garantire, attraverso i disegni di legge, le proposte dei legge e i decreti-legge, il diritto del Governo e della maggioranza di approvare in tempi celeri le proprie leggi, ma, nello stesso tempo, il diritto delle minoranze a controllare e a migliorare, attraverso opportune tecniche emendative, le proposte di legge.
  Il decreto-legge già consente ora una velocità abbondantemente usata, e abusata, tant’è che negli ultimi anni sono stati ripetuti i richiami dei vari Presidenti della Repubblica che si sono succeduti ad un uso più proprio rispetto al dettato costituzionale e, come è noto, c’è stato anche un intervento dell'Alta Corte per evitare, addirittura, che i decreti-legge, come succedeva anni fa, venissero riproposti anche dopo la mancata conversione in legge nei sessanta giorni.
  Quindi, c’è un abuso evidente, non solo per il numero dei decreti-legge, ma anche per la violazione sistematica dell'articolo 77 della Costituzione, perché spesso si tratta di decreti che non insistono su materie omogenee e che non hanno i caratteri di necessità e di urgenza che, invece, la Costituzione prescrive.
  Peraltro, la richiesta abnorme di voti di fiducia, con la decadenza di tutte le possibilità migliorative da parte del Parlamento, rende abbastanza difficoltoso il potere legislativo che la Costituzione assegna al Parlamento.
  Ora, praticamente, si vuole legalizzare, con questa invenzione della legge a data certa, l'uso anticostituzionale dei decreti-legge, ampliandoli, praticamente, a tutte le leggi, quindi evitando quel richiamo doveroso che il costituente fece a casi straordinari di necessità e di urgenza, per legittimare l'uso del decreto-legge. Intendiamoci: nessuno nega la necessità di rivedere il Regolamento per evitare che un ostruzionismo inconcludente possa paralizzare Parlamento e, del resto, più volte, il Regolamento è stato cambiato.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  GIANNI MELILLA. Da un anno e mezzo, la Giunta per il Regolamento, purtroppo, per veti incrociati di Forza Italia e del MoVimento 5 Stelle, non può esaminare e decidere su una soluzione condivisa, che era stata individuata, per accelerare il procedimento legislativo. Si era anche trovato lo strumento di un iter preferenziale per disegni di legge urgenti, individuati dal Governo, in un numero limitato e con compensazione per le minoranze, rispettando, quindi, l'articolo 72 della Costituzione.
  Invece, con questa proposta confusa, secondo me, si interviene anche su una materia delicata, che dovrebbe essere proprietà della Giunta per il Regolamento. È il Regolamento, come prevede il comma 2 dell'articolo 72 della Costituzione, che stabilisce i procedimenti abbreviati per i disegni di legge sui quali è stata dichiarata l'urgenza. Si è forzata la Costituzione con la vostra proposta della legge a data certa. Potevate, invece, accelerare i lavori nella Giunta per il Regolamento e proporre un binario privilegiato.
  Così si è creata una confusione istituzionale tra strumenti diversi: uno principe, la Costituzione, e uno di sua emanazione, il Regolamento, ambedue piegati ad una logica che noi riteniamo assolutamente inaccettabile. Il Governo si è comportato come un apprendista stregone, che maneggia con disinvoltura e superficialità procedure delicate e vitali per la democrazia, come la formazione delle leggi, che è il cuore dell'attività parlamentare (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Colletti. Ne ha facoltà.

  ANDREA COLLETTI. Signor Presidente, chiariamo una cosa, prima di addentrarci in un'analisi compiuta di questa riforma costituzionale pasticciata, dalla cui lettura emerge l'incompetenza di coloro che hanno trascritto i principi in norme e leggi. Ebbene, prima di analizzarla, Pag. 5dovremmo riguardare un po’ il passato, il nostro passato, per evitare di fare i medesimi errori che sono stati fatti nel secolo scorso. Proprio per questo, piuttosto che fare un mero discorso di principio, voglio riprendere uno scritto di un illustre giurista, fatto dopo la seconda guerra mondiale, dal titolo: «La funzione parlamentare sotto il fascismo». Il giurista che ha scritto questo libello era Piero Calamandrei. Riprendo alcune frasi perché sono sintomatiche, anche nella loro differenza rispetto ai tempi moderni – poiché i tempi cambiano – di quello che sta succedendo.
  «Le visibili alterazioni giuridiche che in quel ventennio trasformarono, fino a ridurli una mera finzione i congegni esterni del sistema parlamentare, non tanto ebbero importanza considerate in sé, ma valsero soprattutto come sintomo di una più vasta e profonda crisi, che in quel ventennio non solamente sconvolse ogni ordine di organi costituzionali, sovvertendone il tradizionale equilibrio, ma colpì alla base le stesse nozioni, che parevano acquisite per sempre, di sovranità, di legalità e di Stato».
  E, infatti, Calamandrei parla di crisi della legalità, di crisi dello Stato. L'esempio dell'ultimo anno dimostra quanto, purtroppo, con l'attuale maggioranza vi sia questa crisi della legalità e non solo per gli scandali che vedono arrestati e indagati esponenti politici di destra e di sinistra. Quella è, per così dire, la punta dell’iceberg di un fenomeno un pochino più ampio, che visceralmente va ad incidere sulla cultura di un popolo. Però è interessante continuare anche per vedere come è stata fatta anche dai giuristi di questi tempi un'analisi superficiale o magari un'analisi omissiva.
  Infatti, Calamandrei scrive: «Nei commenti scolastici e nei trattati scientifici di quel periodo, anche quando non furono scritti con deliberato proposito di servile esaltazione delle leggi, fu buona regola astenersi dal ricercare dietro le formule giuridiche la realtà politica che vi si celava. I trattati dei giuristi, che correvano per le scuole, continuavano a dissertare sui diritti di libertà del cittadino, come se non fossero stati violentemente soppressi, dello Statuto albertino, come se non fosse stato tradito, dello Stato costituzionale, come se non avesse dovuto cedere il posto al più arbitrario dei regimi di polizia».
  E qui, Presidente, da avvocato, mi sarei aspettato una dura presa di posizione da parte di professori universitari, da parte di giuristi, da parte di coloro che dovrebbero analizzare le norme e le leggi in una più compiuta analisi della realtà. Ciò, invece, che fa più rumore è il silenzio, il silenzio dettato dalle libere professioni, dai media, da coloro che dovrebbero guidare il Paese almeno da un punto di vista culturale. E questo silenzio grida, in realtà.
  «Nello stesso tempo in cui questa legalità illusoria era iscritta come un cartellone pubblicitario sulla facciata, dietro quel muro erano segretamente predisposti dallo stesso legislatore onnipotente i mezzi illegali per ostacolare o per impedire l'applicazione di quelle leggi apparenti. Fu, anzi, una dittatura con molte leggi a doppio fondo, dietro le quali era legalmente organizzato, con molta cura, un ingegnoso apparato di ipocrisia politica, fatto apposta per annullarle impunemente con la violenza o con la frode». In quest'epoca non c’è violenza, Presidente, bensì solo frode.
  Il fascismo si potrebbe, perciò, definire, se non paresse una contradictio in adiecto, il regime dell'illegalismo legale, dell'illegalismo manovrato, o, se meglio piace una parola ora di moda, dell'illegalismo pianificato. Il fascismo inventò il sistema dell'illegalismo di Stato.
  Un carattere tipico fu appunto quello della doppiezza. Dietro agli organi dello Stato, incaricati di mantenere all'esterno l'apparenza della legalità, stavano di rincalzo, in secondo piano, visibili per trasparenza, gli organi del partito, manovratori autorizzati dell'illegalismo. E in questo caso basti vedere, Presidente, dove vengono decise le leggi, dove vengono decise le riforme. In realtà, non esiste neanche più un partito, direi; esiste una piccola Pag. 6cerchia che organizza i lavori e organizza il futuro per renderlo forse ancora più barbaro di quello che è.
  Questo ingegnoso sistema del doppio gioco costituzionale fu adoperato in maniera tipica contro le istituzioni parlamentari, le quali, quantunque una tra le più scoperte correnti ispiratrici del movimento fascista fosse la violenta polemica contro i ludi cartacei e contro il parlamentarismo, non furono soppresse né subito né poi. Si abolì la loro sostanza, la loro ragione di essere costituzionale. Ma in quanto alle forme teatrali e alle degenerazioni dell'eloquenza in vaniloquio – e ne abbiamo avuto un esempio chiaro ieri – esse furono mantenute, anzi coltivate e rese più goffamente solenni fino alla fine del ventennio.
  Ma se il cerimoniale esterno e l'arredamento scenico rimasero intatti, la funzione, l'anima delle istituzioni parlamentari fu subito compromessa e poi, di anno in anno, sempre più profondamente oppressa, fino alla soffocazione totale, di fatto, prima e poi, con cauti e graduali interventi chirurgici nelle leggi, anche di diritto. Ed è interessante spiegare come questo teatro sia l'esempio plastico. È un teatro che in realtà non viene fatto più nei teatri o nelle sedi ivi deputate, viene fatto qui in Parlamento dal Governo e viene fatto attraverso i mass media, nelle televisioni. Ed è per questo che spesso anche noi ci rivolgiamo a questo teatro con una sorta di irriverenza, con dell'ironia. Infatti, Presidente, solo l'ironia può far venir giù questo teatro, questo teatro fatto di burattini.
  E invece di tentare apertamente di sopprimere il Parlamento o, almeno, di instaurare nella legalità un regime costituzionale puro – ricordo che eravamo in epoca di Statuto albertino –, in cui per rimanere al potere il Governo non avesse bisogno della fiducia del Parlamento, il fascismo trovò più semplice servirsi dell'illegalismo come mezzo per ricattare il Parlamento e per forzarlo così a dare pro forma quel consenso del quale il Governo fascista minacciosamente si vantava ad ogni istante di poter fare a meno. E direi che tutti noi possiamo avere un sentore di come questa frase si dimostri ancor più vera con ciò che sta accadendo, con la privazione delle qualità di un Parlamento, di un organo legislativo e con l'appropriazione indebita di dette qualità da parte del Governo, con la complicità ovviamente delle più alte cariche dello Stato.
  Il primo voto di fiducia fu ottenuto con quel noto discorso del 16 novembre, con il quale il nuovo Capo del Governo, con un'altalena dialettica della quale la maggioranza del Parlamento parve non provare sdegno, dichiarava da una parte di volersi appoggiare ad una coalizione, perché non intendeva, finché gli fosse possibile, governare contro la Camera, ma d'altra parte avvertiva brutalmente che il suo Governo era al di fuori, al di sopra e contro ogni designazione del Parlamento e che la Camera doveva sentire la sua particolare posizione, che la rendeva passibile di scioglimento fra due giorni o fra due anni. Con questi argomenti chiedeva la fiducia ed i pieni poteri e la Camera, persuasa da questi argomenti, votò la fiducia e gli dette i pieni poteri.
  Abbiamo ogni settimana il teatro del Presidente del Consiglio che afferma, attraverso i suoi sodali, che le elezioni anticipate sono sempre possibili, e dall'altra parte, sempre su questo palco teatrale, abbiamo invece il Presidente della Repubblica che dice che bisogna arrivare fino alla fine della legislatura. Sono attori di una stessa tragedia, Presidente.
  Poiché di quella maggioranza raccogliticcia ed occasionale, formata per il primo voto di fiducia sotto il reggente della paura, non poteva sentirsi sicuro, portò la lotta contro il Parlamento sul piano della riforma elettorale, cercando un sistema che permettesse alla minoranza fascista di trasformarsi, attraverso nuove elezioni manovrate, in schiacciante maggioranza parlamentare.
  Ricorda nulla la legge elettorale vergognosamente soprannominata Italicum per ridare dignità alla parola Italia e per celarsi dietro a questa parola, ove una Pag. 7minoranza, grazie all'abnorme premio di maggioranza, può diventare maggioranza parlamentare ?
  In questo clima fu presentata la riforma elettorale, che diventò poi la legge del 13 dicembre 1923, con la quale alla lista nazionale che avesse ottenuto un quarto dei voti si assicurava il premio di maggioranza dei due terzi dei seggi. Era il suicidio della Camera rappresentativa. La finzione con la quale per due anni si era figurato di lasciare formalmente immutato l'ordinamento parlamentare, per dominarlo di fatto con la minaccia dell'illegalismo esterno, non poteva essere continuata più a lungo. Alla dittatura, per sopravvivere, altro non rimaneva che sopprimere l'opposizione anche con le leggi.
  E proprio adesso stiamo discutendo della riforma costituzionale non a caso.
  Il procedimento seguito fu molto più complicato e più lungo: qui non si trattò infatti di trasformare con un colpo di forza un re costituzionale in re assoluto, ma si trattò di abolire le garanzie statutarie, simulando il rispetto dello Statuto, di concentrare tutti i poteri effettivi della sovranità in un dittatore, lasciando sul trono, accanto a lui, un altro sovrano nominale, che continuava a professare non solo re, ma re costituzionale.
  Ovviamente noi non abbiamo un re, anche se abbiamo una persona che vorrebbe esserlo.
  Le stesse mete finali che avrebbero potuto essere raggiunte con la proclamazione brutale di un assolutismo personale senza infingimenti furono raggiunte per vie traverse e desuete, con una serie di provvedimenti legislativi che, considerati separatamente, dichiaravano altri scopi, ma che, ricollegati, si approssimavano, senza dichiararlo, al vero scopo voluto, con una funzione molto simile a quella che nel diritto privato hanno i negozi cosiddetti indiretti.
  Si mirò prima di tutto a sopprimere ogni traccia di opposizione legale non soltanto nel Parlamento, ma anche nel Paese. Basti vedere i lavori che vorrebbe fare la Giunta per il Regolamento, anzi la maggioranza all'interno della Giunta per il Regolamento.
  Illudendosi di poter utilmente continuare la battaglia nel Paese, una piccola schiera di oppositori rimase al suo posto – e qui Calamandrei ricorda l'Aventino –, la cosiddetta opposizione nell'Aula, una quindicina di liberali, tra i quali Giolitti, Salandra e Orlando e pochi comunisti. E anche dopo il discorso del 3 gennaio 1925, continuò a partecipare ai lavori parlamentari facendo risuonare in più di un'occasione, in faccia alla canea della maggioranza ululante, gli ultimi dignitosi accenti della libertà. Ma non si deve credere che l'appartenenza al partito unico significasse per gli iscritti libera partecipazione nell'interno del partito al dibattito delle idee. Per la gran massa degli iscritti, l'appartenenza al partito significava, in cambio del pane e del quieto vivere, rinuncia ad avere una propria opinione politica e accettazione supina della disciplina imposta dall'alto.
  Vi è da specificare una cosa, Presidente: i tempi, ovviamente, sono cambiati e di molto. Non c’è quasi più bisogno in realtà della violenza perché siamo in un'epoca più che moderna ormai, contemporanea, un'epoca in cui le masse si gestiscono, si frodano, attraverso l'uso dei mass media. E quando si utilizzano i mass media frodando il pubblico, è palese che non c’è più bisogno di alcuna violenza. In realtà, forse, la violenza si sposta e ne abbiamo avuto dimostrazione, anche nei giorni scorsi, di come la violenza si sposti dall'esterno all'interno forse del Parlamento, quando sono purtroppo avvenuti degli episodi di tipo squadrista in cui parlamentari della maggioranza hanno tentato di aggredire parlamentari dell'opposizione. Anzi, ormai non c’è più opposizione nell'ottica attuale, ma c’è una minoranza, un'opposizione che è diventata minoranza e che deve rimanere minoranza.
  In realtà, come dicevo all'inizio e come emergeva da questo scritto, non si può analizzare questa riforma costituzionale senza analizzare tutte le altre leggi che Pag. 8sono state fatte fino adesso, in primis la legge elettorale, il cosiddetto Porcellum 2.0, in cui si dà ad una minoranza nel Paese la maggioranza in Parlamento. Ma non è solo questo. Basti vedere, ad esempio, come surrettiziamente il Titolo V della Costituzione sia stato modificato con un decreto-legge che il Governo ha soprannominato «sblocca Italia» e che noi giustamente abbiamo chiamato «sfascia Italia». Surrettiziamente poiché si sovrasta il ruolo previsto dalla Costituzione delle regioni e dei comuni nella tutela del proprio territorio. Io, però, vi dico: fate attenzione. Il vero rischio di una riforma del genere è di togliere qualunque parvenza democratica in questo Paese. E anche le parvenze democratiche, quelle più illusorie, servono al regime. Servono perché sono una valvola di sfogo dentro cui il Paese reale può giocare. Senza questa valvola di sfogo, chi detiene il potere rischia e rischia molto di più. Quindi, questo è un consiglio: se davvero volete frodare il nostro regime costituzionale, vi invito ad approntare una parvenza di valvola di sfogo. Purtroppo, mentre nei Paesi emergenti vi è una direzione, secondo cui ci si muove dall'autoritarismo a una democrazia, noi, che siamo e dovremmo essere una liberaldemocrazia, ci stiamo muovendo attraverso un percorso inverso, ossia attraverso una democrazia autoritaria.
  E lì abbiamo letto del teatro tra il gerarca, il dittatore, ed il re, e qui abbiamo il teatro tipico che diventa dell'assurdo tra Renzi e Napolitano, e a questo teatro noi ci sottraiamo pur combattendo, Presidente.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Capezzone. Ne ha facoltà.

  DANIELE CAPEZZONE. Grazie signora Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghe, colleghi, per un intervento che esprime una dissenting opinion rispetto al mio gruppo di appartenenza insieme a tanti colleghi con i quali abbiamo presentato un pacchetto di emendamenti che mi auguro il Governo, i relatori, la maggioranza, le minoranze vogliano considerare e che io valuto come un pacchetto di emendamenti di limpida impronta liberale e riformatrice.
  Vede, signora Presidente, io per mia formazione personale non sono certamente un ammiratore o un difensore dell'attuale assetto costituzionale, della Carta costituzionale così com’è. Ne ritengo necessario un profondo cambiamento e ritengo che, invece, per parlare un istante della sinistra italiana, proprio la sacralizzazione della Carta costituzionale, una specie di dogma di intangibilità della Carta costituzionale, abbia frenato l'evoluzione della sinistra italiana. Detto ciò e quindi non essendo io un conservatore rispetto all'attuale Carta costituzionale, ma iscrivendomi, nel mio piccolissimo, alla schiera di coloro che vorrebbero una profonda modifica dell'attuale assetto costituzionale, tuttavia ritengo come tanti osservatori – ne cito uno per tutti il professor Ricolfi – che il Governo Renzi abbia in questo 2014 in primo luogo sbagliato agenda. Non era questo ciò da cui, a mio avviso, occorreva partire. Il Presidente del Consiglio con espressione efficace nella comunicazione ha detto: ma, la riforma costituzionale era la password, era la parola chiave per entrare nel sistema e poi nel cambiarla. La mia opinione è che voi abbiate sbagliato password: la password non era questa, non era inchiodare il Paese a discutere a giorni alterni di Italicum e di riforma costituzionale. La password era, invece, un'operazione shock che tenesse insieme il trinomio meno tasse, meno spesa, meno debito, ed è su questo terreno, della mancata aggressione alla triplice montagna del debito, della spesa e delle tasse, che sono falliti i Governi che hanno preceduto l'attuale Governo. È su questa sfida, diciamo la verità con serenità che vada al di là delle dispute quotidiane, è su quelle tre sfide – tasse, spesa, debito – che è andata delusa la promessa riformatrice sia del centrosinistra che del centrodestra in tutti questi lustri e, quindi, questa è la premessa di fondo. Non era questa la password, non era questa la chiave per cambiare Pag. 9la situazione italiana, ma questo è il gioco al quale ci avete portato e questo è il gioco al quale occorre giocare.
  Io espongo tre gravi ordini di criticità. Il primo è relativo alla scelta che avete fatto sul Senato. Guardate che raccontare al Paese una cosa e farne un'altra non è mai una buona idea. Avete raccontato al Paese una cosa per tanti e anche per me positiva cioè il superamento del bicameralismo perfetto. Avete raccontato al Paese che si abolisce il Senato. Non è così: si sono abolite – forse – le elezioni per il Senato, ed è per questo che tanti di noi hanno proposto non solo emendamenti, qualora il Senato resti nella nuova riforma che voi volete, almeno per ripristinarne la elettività come elementare presidio democratico, ma soprattutto abbiamo presentato emendamenti – ed è la soluzione principale, quella preferibile – per abolirlo davvero, per sopprimerlo davvero il Senato, per arrivare davvero ad una situazione di monocameralismo. Ma quando i cittadini scopriranno che con la vostra proposta non solo il Senato resta senza elezioni, ma lo si appalta a quelle regioni che sono l'ente principale responsabile, dal 1970 ad oggi, dell'esplosione della spesa pubblica in Italia, e alle quali regioni, nel nuovo Senato, affiderete poteri penetranti proprio sulle leggi di bilancio e di spesa, che scoperta sarà per i cittadini ?
  Io credo che sarà una scoperta molto deludente. E questo è il primo ordine di criticità.
  Il secondo, e più grave, ha a che fare con quello che, a mio avviso, era e doveva essere il nodo vero ed è stato il nodo vero non affrontato per cinquant'anni a causa del compromesso costituzionale, a causa del fatto che in quel compromesso costituzionale del 1946-1948, purtroppo, non si diede retta a chi – penso agli azionisti, penso a Piero Calamandrei – proponeva una limpida soluzione presidenzialista, con pesi e contrappesi. Purtroppo, il compromesso costituzionale del 1946-1948, per ragioni storiche che conosciamo, rifiutò quella scelta.
  E, allora, qual era il nodo che oggi, sessant'anni dopo, bisognava affrontare ? Forma di Stato e forma di Governo. Che riforma costituzionale c’è, se non vai al cuore del problema, cioè la forma di Stato e la forma di Governo ? Voi avete scelto, con la proposta che è in campo, di aggirare il problema con un doppio escamotage: per un verso, con la corsia preferenziale per i provvedimenti del Governo, per altro verso, con il mix tra riforma elettorale e riforma costituzionale, affidando un potere immenso al partito che vince e che prende tutto, ma senza contrappesi, senza checks and balances; un partito che può arrivare a prendere tutta la filiera, fino al Quirinale, senza contrappesi.
  È esattamente il contrario di quello che andava fatto. Nei Paesi che noi amiamo, nelle grandi democrazie – parlo per me: la grande democrazia anglosassone e, in particolare, quella americana –, chi vince prende tanto, prende tantissimo, prende tutto, ma con un adeguato sistema di contrappesi, per cui c’è un Governo fortissimo e c’è un Parlamento fortissimo, c’è un Governo fortissimo e c’è un'opposizione fortissima, soprattutto hai istituzioni forti. Qui avete, invece, scelto di mantenere le istituzioni deboli, così come sono state in questo sessantennio, ma di avere, semmai, una forza immensa del primo partito. Questo è l'errore drammatico.
  Serviva al nostro Paese un dibattito di fondo sul modello al quale puntavamo, senza naturalmente impiccarci ai modelli – i modelli, poi, adattati come un vestito al corpo che li deve portare –, ma qui si doveva discutere su dove volevamo andare. Semplifico: andare a Washington ? Andare a Londra ? Andare a Parigi ? Scegliere un modello istituzionale classico e coerente – una forma di Stato, una forma di Governo –, sulla base di quella scelta, poi, logicamente e cronologicamente, ragionare della legge elettorale più adatta. Scegli un'architettura istituzionale, scegli una forma di Stato e di Governo e, allora, scegli anche un meccanismo elettorale adeguato.
  Non lo avete voluto fare, avete preferito lavorare sugli escamotage che dicevo e, in questa chiave, sistemata la democrazia rappresentativa secondo modelli classici, allora, poi, salvaguardare e valorizzare Pag. 10anche gli istituti di democrazia diretta; dico ciò per la mia storia radicale, ma non solo. Ma quello che volete fare con l'istituto del referendum è molto preoccupante: voi volete azzopparlo o, anche quello, regalarlo soltanto a realtà così forti e maggioritarie, quando quello era, naturaliter, uno strumento di integrazione rispetto alle maggioranze, rispetto alla democrazia rappresentativa.
  Il terzo ordine di criticità e di contestazioni riguarda la parte economica della Costituzione. Tanto per cominciare – lo accennavo prima –, voi attribuite rilevanti, appena mitigati nel passaggio al Senato, poteri al nuovo Senato sulle leggi di bilancio e di spesa. È un errore drammatico, che rischia di esporre i Governi e le maggioranze del futuro a pericolose contrattazioni con il Senato delle regioni...

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  DANIELE CAPEZZONE. ... portando – vado a concludere, signora Presidente – a un gioco di ricatti che farà lievitare necessariamente la spesa pubblica. È un errore drammatico. Io spero che voi valuterete una correzione di questo, che valuterete la nostra proposta di tetto fiscale in Costituzione, che è un elemento di civiltà liberale, che valuterete la nostra proposta di ripristinare l'articolo 81 come era prima del 2012, liberandoci da vincoli e ridando sovranità al nostro Paese, nella versione che noi preferiamo: inserendo un tetto di spesa e, insieme, un tetto fiscale.
  Perché, signori, un conto è il pareggio di bilancio come volete realizzarlo voi con spesa e tasse oltre il 50 per cento, altro conto è un pareggio di bilancio con spesa e tasse ad un terzo del PIL italiano, sono due cose diverse. Il primo è uno scenario di Stato opprimente, il secondo è uno scenario, quello che noi vorremmo, di Stato liberale.

  PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Capezzone.

  DANIELE CAPEZZONE. Signora Presidente, le chiedo 30 secondi per concludere.
  Per queste tre ragioni a noi pare, a me pare, come a tanti colleghi con cui abbiamo presentato emendamenti, che qui non ci sia la grande ambizione che poteva portare a parlare di Terza Repubblica. Vede, in quell'Assemblea costituente che ha prodotto un risultato grande, che non è al centro del mio amore culturale e politico, ma è un risultato, si confrontarono giganti come De Gasperi e Togliatti, come Croce, come Einaudi, come Nenni, come Saragat, come Calamandrei; sessant'anni dopo, parlo per me, ma anche per gli altri, non vedo giganti in giro.
  Quei giganti si presero tempo e approfondirono le questioni; noi che non siamo giganti, voi che non siete giganti, volete procedere, procedere e procedere per raccontare che si abolirà il Senato e non lo si abolisce, che si va avanti e, invece, date più potere alle regioni sulla spesa, per non affrontare la forma di Stato e la forma di Governo, per assegnare tanto potere a un primo partito su cui poi si scaricheranno contraddizioni immense.
  Io dico: pensateci, prendetevi il tempo, non da perdere, ma per approfondire su questi nodi, guardate, con spirito libero dagli schemi e dagli schemini precostituiti, i nostri emendamenti su forma di Stato e di Governo, sul referendum e sulla parte di Costituzione economica, altrimenti, sapete che non faccio polemiche gratuite, vi prenderete non il marchio dei riformatori della Terza Repubblica, ma vi prenderete e ci prenderemo, come ceto politico, il marchio dell'incompetenza, della frettolosità, della superficialità con cui avremo messo qualche «pecetta» che tra qualche anno non coprirà i buchi e le ferite che restano (Applausi di deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Duranti. Ne ha facoltà.

  DONATELLA DURANTI. Signora Presidente, è stato già detto da altri colleghi e da altre colleghe del gruppo Sinistra Ecologia Libertà quali siano le preoccupazioni rispetto al profilo, all'impianto e Pag. 11all'ispirazione di questo disegno di legge costituzionale e quali siano, appunto, i motivi per cui noi siamo contrari. Io stamattina, in questo mio intervento, voglio concentrarmi su un articolo, l'articolo 17.
  Il disegno di legge costituzionale di revisione della parte seconda della Costituzione, infatti, prevede all'articolo 17 un tema che per noi è di grande delicatezza; prevede cioè la modifica dell'articolo 78 della Costituzione che disciplina la deliberazione dello stato di guerra, attribuendo alla sola Camera dei deputati – e non già come ora alle due Camere, cioè alla Camera dei deputati e al Senato – la competenza ad assumere tale deliberazione e a conferire al Governo i poteri necessari. La previsione contenuta all'articolo 17 è un passaggio politico, appunto, assai delicato per noi e, a mio giudizio, è stata trattata, invece, con grande superficialità, quasi completamente assente dalla discussione pubblica e dalla gran parte degli organi di stampa, liquidata in pochi minuti anche dalla Commissione difesa, dove la maggioranza ha votato parere favorevole alla modifica, come se il tema non riguardasse uno dei capisaldi della nostra Costituzione.
  Voglio ricordare che, al contrario, i padri costituenti gli dedicarono molto tempo, lunghe discussioni e grande attenzione; rilevarono che la dichiarazione dello stato di guerra è fatto talmente grave da prevederlo solo in funzione difensiva e individuarono la necessità di un contrappeso istituzionale proprio nel bicameralismo. Si potrà dire, come è stato detto anche in Commissione difesa, che erano altri tempi, che l'Italia usciva da una terribile guerra, che andava affermato il principio della pace e della sua costruzione dopo la Seconda guerra mondiale, è tutto vero, ma i tempi attuali non sono molto diversi da quelli. Certo oggi le guerre non si dichiarano più tramite gli ambasciatori, ma per mezzo di risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'ONU o del Consiglio della NATO, ma non sono diminuite le guerre, riguardano ancora milioni di persone, decine di Stati, intere regioni e si sviluppano con la loro potenza militare e il loro portato di distruzione oggi come guerre cosiddette umanitarie, guerre al terrorismo, missioni militari internazionali.
  Sono in campo gli aerei senza pilota, si parla di operazioni chirurgiche, si utilizzano, insomma, termini diversi (conflitto armato, grave crisi internazionale) che vengono usati come sostituti o surrogati del termine guerra.
  E nel nostro ordinamento sono emersi questi termini a livello normativo; i decreti-legge di autorizzazione e finanziamento delle missioni internazionali ne sono l'esempio, né può rassicurare che le modifiche della seconda parte della Costituzione non incidano sulle ulteriori disposizioni costituzionali quali quelle che riguardano l'articolo 11 della Costituzione italiana, che al primo comma ripudia la guerra, al secondo consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra i popoli. L'Italia, lo voglio ricordare, perché questo è il tema, ha partecipato in questi anni a molteplici guerre che non rispondono affatto alla prevalenza del valore della pace e alla limitazione, prevista costituzionalmente, della partecipazione italiana a sole guerre difensive. Quindi, il tema della dichiarazione di guerra è un tema attinente, contemporaneo.
  La guerra difensiva è stata differita agli organismi internazionali; così è stato per l'Afghanistan, per il Kosovo, per l'Iraq. E allora, questi sarebbero i tempi in cui finalmente aprire una grande discussione pubblica sul tema della guerra; sarebbe necessario un ancoraggio forte allo spirito della Costituzione, che informa l'articolo 11 e l'articolo 78. Invece, la maggioranza compie un'operazione pericolosa, con la modifica dell'articolo 78: trasforma quella che è oggi una prerogativa del Parlamento in una prerogativa del Governo.
  Il combinato disposto tra l'articolo 17 e la riforma della legge elettorale in senso maggioritario o con alto premio di maggioranza attribuirà i poteri di deliberazione dello stato di guerra a chi vincerà le Pag. 12elezioni ed esprimerà il Governo, ma rappresenterà, probabilmente, solo una minoranza del Paese. Siamo fermamente convinti che vada inserito nuovamente il Senato nella decisione prevista dall'articolo 78: non si capisce perché il Senato possa contribuire all'elezione del Capo dello Stato ma non alla dichiarazione dello stato di guerra, o almeno – in questo senso abbiamo degli emendamenti – vada prevista una maggioranza qualificata e non la maggioranza semplice di un'unica Camera.

  PRESIDENTE. Concluda.

  DONATELLA DURANTI. Noi non capiamo perché questa modifica proprio sul tema della guerra, o forse sì: anche rispetto a questo, il Governo vuole a tutti i costi arrogare a sé le decisioni più importanti secondo il paradigma della governabilità a tutti i costi che è alla base delle cosiddette riforme istituzionali e della legge elettorale. Capiamo che il furore renziano di fare carta straccia di tutto quello che è stato alla base della nostra, purtroppo per molti versi ancora incompiuta, Costituzione, che prevede però pesi e contrappesi per evitare la deriva autoritaria, si riversi anche sulla dichiarazione dello stato di guerra.

  PRESIDENTE. Concluda.

  DONATELLA DURANTI. Concludo, signora Presidente, ricordando le parole dei padri costituenti. Noi ci opporremo a questa modifica, ci opporremo perché siamo convinti che c’è una vicenda umana che ci atterrisce e che ci rattrista, questa vicenda umana è la guerra e noi pensiamo che in questo momento vada riaperto un grande dibattito pubblico perché non è possibile far finta che il nostro Paese in questi anni non abbia già modificato la Costituzione... (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Duranti. Ha parlato un minuto e mezzo in più.
  È iscritto a parlare il deputato Ciracì. Ne ha facoltà.

  NICOLA CIRACÌ. Presidente, una riforma costituzionale va pensata per il domani e non certo per la contingenza del momento. Ed è facile rilevare come l'impianto stesso della riforma in discussione segni, invece, un ritorno al passato, dovuto probabilmente alla debolezza della politica e di questo stesso Parlamento. Si ritorna a una visione antecedente a quella del 2001, cioè a un'ispirazione centralista che è esattamente lontana da quella che avevamo immaginato. Ci si allontana fortemente dal federalismo; ci stiamo rimangiando un modello di sviluppo costituzionale che era all'insegna degli Stati federali europei, reintroducendo la supremazia di uno Stato che ritorna ad essere un Leviatano centrale nei confronti di una legislazione regionale, alla quale, invece, vengono sottratte più di venti competenze.
  Questo ritorno allo Stato centrale, senza peraltro chiarire qual è il modello che vogliamo: non c’è una chiara scelta tra forma di Stato e forma di Governo. Si parla di sistema delle autonomie, ma in verità l'unico problema che ci si pone è quello di ridurre le questioni di competenza tra Stato regioni, che vengono spostate – io dico impropriamente – sulla Corte costituzionale in questi anni. Di fatto, nessuno risponde alla domanda se siamo uno Stato centrale o federale, ma è chiaro a tutti, credo, che ormai si ha paura dei controlli verso il basso, verso il popolo. E consentitemi di dire che se si ha paura del proprio popolo c’è qualcosa che non quadra !
  La stessa composizione del Senato è mutuata male dal Bundesrat tedesco, non è per nulla convincente; e scusate, va rammentato a tutti che, nel DNA della nostra democrazia, l'elezione diretta dei rappresentanti è qualcosa di importante. E va rammentato anche che il Senato è nato a Roma ! Io non capisco perché si è voluta eliminare questa Camera di riflessione. Eppure tantissimi, dal Mortati e così via, invece hanno insistito tantissimo sul fatto che ci fosse perlomeno una Camera di Pag. 13controllo. Sarebbe stata una scelta molto più logica mutuare dalla Spagna, dove almeno una parte è eletta direttamente, e l'altra parte rappresenta le autonomie.
  E d'altronde, un Senato come questo, che non ha nemmeno il potere di veto (rammento, il potere di veto è superabile sempre da un voto della Camera), rischia di essere un'altra amministrazione provinciale. Davvero una riforma di basso livello, perché lo stiamo trasformando in un ente di secondo grado, ridotto a vivere nell'impotenza, nel limbo. Bastava la Conferenza tra Stato e regioni ! Se il Senato è un transito temporaneo per consiglieri regionali e sindaci, ovviamente in altre faccende affaccendati, io non credo che questa è la scelta da padri costituenti.
  La vera nota dolens che rilievo è che le competenze andavano ripartite seguendo lo schema americano, dove tutte le clausole del bene comune, del welfare o ambientali sono compartecipate. Andavano individuate quelle concorrenti in numero ragionevole, per impedire l'allargarsi dello Stato. La legge dello Stato non può e non deve dispiegarsi erga omnes, altrimenti che liberali siamo ? Ma va mediata; perché va ricordato che in questa legge non vi è una parola: «il cittadino» è il grande assente. A dire il vero manca proprio la parola ed il concetto, perché nel momento in cui si ritorna al centralismo dal cittadino ovviamente ci si allontana.
  D'altronde il Governo Renzi ha una forte continuità tecnocratica con il Governo Monti. Io ricordo il disegno di legge di riforma del Titolo V del Governo Monti, che cercò a suo dire di rimuovere l'ostacolo alla competitività: tecnocrazia assoluta. Questa riforma, a dire il vero, è destinata più alla troika che agli italiani; e non posso che schierarmi pubblicamente con tutti coloro che hanno contribuito in Commissione all'abolizione dei senatori a vita: questo sì, un orpello medievale. E su questo punto vorrei che le dichiarazioni fatte ieri dal presidente della Commissione e dai relatori, cioè che questa debba essere una riforma parlamentare, tengano in questo Parlamento, e, quando verranno discussi gli emendamenti, si dimostri di avere almeno su qualche argomento la schiena dritta.
  Insisto nella richiesta portata avanti nei nostri emendamenti, di introdurre un tetto costituzionale alla pressione fiscale, per rimettere il cittadino contribuente al centro di questa e di tutte le altre riforme che andremo a fare.
  Ma la mia contrarietà spirituale al disegno di legge nasce da un fatto profondo: e cioè che alla base di partenza di questa discussione doveva esserci il presidenzialismo, che è stato una bandiera della mia area politica; ma è stata anche una bandiera del Partito Democratico, che si è battuto per un semipresidenzialismo alla francese per anni e anni e anni. E oggi qui non c’è presidenzialismo, non c’è semipresidenzialismo, non c’è nulla: c’è una furia tecnocratica di chi vuol fare in fretta i gattini ciechi.
  Eppure erano in tanti, da Pasquino, tanti altri rammentavano al PD quello che è stato il loro percorso, percorso che è stato completamente cancellato. Allora è impensabile poter parlare di una Repubblica nuova, questa è invece una politica gattopardesca: si fa finta di cambiare qualcosa per non cambiare nulla. Io ieri ho ascoltato il rappresentante della maggioranza che parlava come se fossimo nel momento in cui bisognava ricostruire le fondamenta dello Stato nel 1948, una specie di Jefferson, ho sentito parlare di resistenza, di partigiani e così via, probabilmente abbiamo dato troppa importanza al lavoro fatto in Commissione.
  Io volevo dire, soprattutto a lei, che qualche anno fa in Italia c’è stato un referendum voluto dal Governo Berlusconi e che il Governo successivo, che era quello di Prodi, e il suo partito hanno fatto in modo che venisse cassato. Questa perdita di tempo è dovuta esclusivamente al suo partito e proprio ieri sono andato sul sito Internet a rivedere, per esempio, l'intervento del Ministro Lupi, che è un Ministro dell'attuale Governo, che dice: «Chi ha votato “no” al referendum per cambiare la Costituzione ? Tutti dicono che non abbiamo fatto nulla invece il Governo Pag. 14Berlusconi ha riformato la Costituzione ma gli italiani lo hanno bocciato e il Partito Democratico ha le sue responsabilità». Che cosa dice Lupi ? Dice che avremmo finalmente ridotto i parlamentari – da 630 a 500 e rotti – i senatori – da 315 a 252 – finalmente avremmo avuto un bicameralismo imperfetto. La stessa cosa dice un altro Ministro del Governo attuale, il Ministro dell'interno Angelino Alfano, che dice: non si può votare una riforma che non contenga il presidenzialismo, io mi auguro che almeno per una volta vogliano essere coerenti con le loro parole e non votare una riforma che non abbia al suo interno degli elementi forti di presidenzialismo, ciò perché la coerenza non può essere alla bisogna e le scelte politiche, soprattutto quando si tratta di riforme costituzionali, non possono essere alla bisogna.
  Io sono preoccupato per questa introduzione di un monocameralismo senza dissenso, perché questo è il vero termine. Nel momento in cui viene completamente sterilizzato il Senato – che, ripeto, è nato a Roma – nel momento in cui viene additato agli italiani come qualcosa di negativo punto e basta e si rimane solo ed esclusivamente con una Camera e ad oggi non abbiamo una legge elettorale, non sappiamo nemmeno, nel momento in cui io vengo chiamato a votare questo impianto strutturale, l'unica Camera con quale forma elettorale verrà a costituirsi. Potrebbe essere la peggiore del mondo e io quindi avrei delle colpe immense nell'assumermi una responsabilità.
  Nel momento in cui qualcuno vagheggia di partito della nazione, vagheggia di una sola Camera con una maggioranza assoluta dovuta ad un premio elettorale – oggi con il 40 per cento del 50 per cento degli elettori italiani, quindi una minoranza infinita – rischia di conquistare tutto senza avere una Camera di riflessione, senza avere una Camera di compensazione, senza avere la possibilità di dissenso. Scusate ma io lo dico ad alta voce: questa cosa mi impaurisce e mi allontano fortemente dal lavoro fatto dalla Commissione, anzi lo rigetto a meno che non ci saranno emendamenti accolti in maniera profonda che possano far sì che in Italia non ci sia una minoranza, ma che in Italia ci sia la possibilità di una opposizione che possa anche far cadere un Governo. Perché vorrei rammentare a tutti che nel referendum che chi oggi inneggia alle riforme costituzionali ha cassato, avevamo scritto una cosa importante e cioè che non esistono i ribaltoni. Io capisco che per alcuni culturalmente il ribaltone fa parte del DNA, avendolo fatto, però dobbiamo scrivere almeno in maniera forte che non esistono ribaltoni, non esistono trasformismi, che quando un Governo non ha più una maggioranza parlamentare va a casa.
  Io vorrei che il rappresentante del Governo riflettesse su alcune delle mie considerazioni per un motivo semplice, perché noi abbiamo la responsabilità di fare un qualcosa che deve durare cento anni, se la facciamo in questo modo non durerà nemmeno per i mille giorni che questo Governo probabilmente...

  PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole.

  NICOLA CIRACÌ. ... che questo Governo probabilmente non riuscirà ad avere, perché se continuate così io credo che sarete voi stessi ad andare al voto perché davvero non siete più in grado di gestire una politica delle promesse (Applausi di deputati dei gruppi Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente e Lega Nord e Autonomie).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Zaratti. Ne ha facoltà, per cinque minuti.

  FILIBERTO ZARATTI. Signor Presidente, care colleghe e colleghi, non mi rivolgo al rappresentante del Governo, al quale va il mio saluto naturalmente, l'onorevole Scalfarotto, perché io ritengo che sarebbe giusto ricordare e sottolineare che le riforme costituzionali sono competenza del Parlamento e che il protagonismo da parte del Governo su questa materia è stato assolutamente eccessivo. Dispiace Pag. 15constatare che una discussione così importante come quella della riforma della Costituzione, riforma assai approfondita, qualcuno addirittura dice che si tratta della redazione di una nuova Carta costituzionale, avvenga con così poca passione da parte del Parlamento, con così poco coinvolgimento del Paese. Addirittura i tempi contingentati, credo che sia stata una scelta sbagliata. Immaginiamo se durante l'Assemblea costituente qualcuno, i partiti di maggioranza, avessero proposto di contingentare i tempi del dibattito, cosa sarebbe accaduto in quel Paese che davvero era in una situazione di grandi contraddizioni, usciva appena da una guerra, dal conflitto mondiale. Ebbene io credo che non soltanto non si sarebbe redatta quella Carta costituzionale, ma addirittura non si sarebbe redatta alcuna Carta costituzionale se non si fosse scelto invece il metodo del dialogo, del confronto fino in fondo, quello cioè che doveva portare a redigere una Carta costituzionale condivisa. Io penso che noi avremmo avuto bisogno dello stesso metodo. Quando si discute sui diritti fondamentali, sulla Carta fondamentale che deve regolare la vita del Paese è necessario che tutti quanti possano partecipare fino in fondo e che l'obiettivo non sia quello di fare presto ma di fare bene, anche perché la fretta è cattiva consigliera.
  Si discute per esempio della fine del bicameralismo, le motivazioni per cui si vuole mettere fine al bicameralismo sono molte, una di quelle più comunemente gettonate riguarda il fatto che i tempi di approvazione delle leggi con il bicameralismo sono eccessivi. Io vorrei ricordare che purtroppo ormai in questo nostro Parlamento si approvano e si ratificano soltanto i decreti-legge presentati dal Governo e che per la stessa natura dei decreti-legge essi devono essere convertiti entro sessanta giorni. Io non credo che ci sia alcun Parlamento in Europa e nel mondo che abbia una velocità di approvazione di leggi maggiore di quella nostra, quindi è evidente che questa motivazione è debole, anzi devo dire che il bicameralismo ci ha consentito in questi anni di risolvere alcuni degli errori che erano stati fatti nell'approvazione frettolosa della conversione dei decreti legge. Quante volte siamo stati costretti a ritornare sugli errori fatti da questo o quel ramo del Parlamento e anzi da questo punto di vista il bicameralismo è stato un'ancora di salvaguardia per la legislazione del nostro Paese. Quando ci saranno errori dovuti alla fretta, anche nell'approvazione della riforma costituzionale, come faremo ? Chi ci metterà un freno, chi ci permetterà di ripensare e ovviare agli errori fatti ?
  Tra gli errori bisogna dire che uno dei principali è quello del Senato delle autonomie: pare che l'unica grande riforma che viene fatta sia l'abolizione dei cittadini, perché i cittadini non possono scegliere più i propri rappresentanti. È evidente anche la contraddizione tra Senato delle autonomie e riduzione delle autonomie da parte di questo testo. Il Titolo V viene riformato e i poteri delle regioni e degli enti locali vengono totalmente stralciati.
  E allora Senato di quali autonomie, se le autonomie vengono totalmente inficiate ? Di fatto si riduce il Senato ad una mera fotocopia della Conferenza Stato-regioni, privandolo peraltro, come dicevo, della necessaria investitura popolare. La riforma del Senato proposta nel testo che ci viene sottoposto disegna una sorta di Senato delle autonomie, che tiene insieme in modo confuso i sindaci, senza che siano scelti da un'autonoma assemblea regionale di primi cittadini e consiglieri regionali e senza spiegare come dovrebbe conciliarsi il lavoro fra regioni e Senato.
  Vi è poi la grave incoerenza di realizzare un Senato delle regioni e delle autonomie, mentre, come dicevo, di fatto a queste ultime si sottraggono funzioni e poteri con l'eliminazione dal Titolo V della legislazione concorrente, rimessa sostanzialmente tutta in capo allo Stato. Più che Senato delle autonomie assistiamo ad un neocentralismo di competenze da parte dello Stato, dove appunto il sistema delle autonomie, i comuni e le regioni, assurgono a meri esecutori di decisioni prese dall'alto. Da questo punto di vista, forse la Pag. 16riforma bisognava farla in modo più coerente: eliminare totalmente il sistema delle autonomie.

  PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole.

  FILIBERTO ZARATTI. Noi crediamo invece che le autonomie siano un valore fondamentale in grado di consentire una maggiore partecipazione, ed è per questo che riteniamo che forse abbia avuto ragione Indro Montanelli nel 1996, quando disse amaramente: in Italia si può cambiare solo la Costituzione, il resto rimane com’è (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà) !

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Rosy Bindi. Ne ha facoltà.

  ROSY BINDI. Grazie Presidente, con lo spirito di chi ritiene che sia davvero arrivato il tempo per apportare alla nostra Carta costituzionale le riforme necessarie perché possa al meglio esplicare in questo momento le sue potenzialità e le scelte che i costituenti hanno compiuto, con questa convinzione e con il senso di responsabilità che credo appartenga a tutti noi, quello di condividere per la nostra parte, per la nostra piccola parte, la responsabilità di dare alle future generazioni una Carta costituzionale che sia davvero capace di continuare a rappresentare le fondamenta della nostra vita democratica, ci accingiamo a fare insieme questo lavoro, con la consapevolezza che alcuni anni sono stati forse sprecati per fare bene quest'opera e questo lavoro.
  Ci sono, però, anche in questo spreco di tempi e di energie responsabilità precise, alcune delle quali sono anche positive, e forse serve ripercorrere la storia di questi anni. Chi è stato seduto qui, ormai da vent'anni ha assistito al fallimento di una Commissione bicamerale che era arrivata ad un disegno compiuto di riforma della Carta costituzionale, e ricorda chi in quest'Aula dichiarò che in quel lavoro non si riconosceva più: si chiamava Silvio Berlusconi. Chi è qui da vent'anni ricorda anche che il centrosinistra ha contribuito, come hanno contribuito i sindacati, come ha contribuito il Presidente Scàlfaro e tanti costituzionalisti che non sono più tra noi, come Leopoldo Elia, e lo stesso Presidente Napolitano, ad una campagna di difesa della Carta costituzionale da quella riforma fatta dal centrodestra che, a nostro avviso, stravolgeva lo spirito costituente. Io credo che aver fermato quella riforma sia un merito e non una perdita di tempo. Io rivendico di aver fermato una riforma della Carta costituzionale che stravolgeva le scelte dei costituenti. Non voglio che sia ascritto a me e a tutti coloro che hanno vinto quel referendum come una responsabilità negativa. A volte le riforme si fanno e si fanno sbagliate, il popolo italiano fermò quella riforma.
  Chi, come me, è qui da venti anni, ha anche assistito ad una responsabilità che credo sia in capo al centrosinistra. Non so se rivoterei oggi – ero seduta in quella fila – la riforma del Titolo V con un voto di maggioranza. Non solo perché il metodo costituente ci impone di condividere le riforme della Costituzione, ma anche perché fu talmente frettolosa quella riforma, che poi, negli anni, abbiamo dovuto ritornarci spesso sopra per modificarla e adesso, anche in quest'occasione, il Titolo V è oggetto del nostro lavoro. Non posso non sottolineare questo: responsabilità negative e responsabilità positive.
  Mettere mano alla riforma della Costituzione significa anche praticare il metodo e lo spirito della Costituzione. Il metodo ci impone di farlo insieme. Ora, noi non possiamo ignorare l'anomalia di questa fase riformatrice che sta nella proposta fatta dal Governo e sta in una sorta di maggioranza precostituita intorno al progetto che è stato presentato. So bene che questo limite, questa anomalia, sono dettati dalla necessità di non perdere, anche questa volta, un'occasione preziosa, però dobbiamo essere consapevoli che stiamo agendo con un metodo che non è costituente. Dico questo perché a me pare che non siano ore perse quelle della Commissione affari costituzionali a dialogare con quelle che vengono ritenute impropriamente, Pag. 17in un processo di riforma della Costituzione, le minoranze, perché non c’è la categoria della maggioranza e della minoranza, nella riforma della Costituzione, neanche in un tempo originale come quello che stiamo vivendo. Penso che siamo ancora in tempo ad ascoltare le proposte di alcuni gruppi politici che vogliono fare la riforma, ai quali forse non possiamo consentire di stravolgere l'impianto di questa riforma, ma forse nel rispetto di quell'impianto ci sono alcune modifiche che possono essere condivise, anche con quei gruppi che non hanno sottoscritto un patto di riforma per la Costituzione.
  Spirito e metodo costituente significano anche che ciascuno di noi, come parlamentare, più che in altre materie, non è vincolato a nessun mandato. Dico questo perché io sono, anche per aver usato questa parola, disponibile, assolutamente disponibile, non solo a dare a tutto il mio contributo perché questa riforma vada in porto, e sarebbe il coronamento di venti anni di vita parlamentare, ma ad accogliere le parole del Presidente del Consiglio, segretario del mio partito: «non chiedo obbedienza, ma chiedo lealtà»; lealtà, non obbedienza. Ad un parlamentare che si accinge a fare la sua parte per la riforma della Costituzione, si può chiedere lealtà, ma non obbedienza. Riformare la Costituzione significa anche spirito della Costituzione. Ho sentito dire dall'onorevole Capezzone che noi avremmo dovuto procedere alla riforma della forma di Stato e di Governo. Ecco, io credo, invece, che riformare la Costituzione con lo spirito della Costituzione, significa rendere oggi più forte la scelta di forma di Stato e di Governo che hanno fatto i nostri costituenti. Io ritengo che la nostra Costituzione sia rigida, non solo per la procedura che è prevista per il cambiamento della Costituzione, ma anche perché le scelte dei costituenti, in maniera particolare la forma di democrazia parlamentare, non sono a disposizione di una fase ordinaria di modifica della Costituzione, occorrerebbe un'altra Assemblea costituente e, come ci insegnava Dossetti, le Assemblee costituenti sono però legate a momenti di rottura profonda della storia. Oggi non siamo in questa fase e, quindi, io credo che ci siamo mossi bene.
  Io condivido l'impianto del superamento del bicameralismo paritario, perché questo da sempre è stato un elemento debole del funzionamento della stessa democrazia parlamentare. Così come credo che sia stato giusto prendere ed imboccare la strada di affidare alla seconda Camera la rappresentanza del sistema delle autonomie e delle regioni e, quindi, prefigurare una sede in Parlamento, nella quale vi sia una ricerca della sintesi e della cooperazione tra i vari livelli istituzionali. Infatti, la forma di Stato scelta dai costituenti era, appunto, quella di uno Stato unitario, ma fortemente improntato al principio autonomistico e regionalistico.
  In questi anni abbiamo pagato la mancanza di una sede di cooperazione istituzionale, soprattutto sul piano della legislazione. Non possiamo certamente scaricare solo sulla formula della legislazione concorrente e delle fatiche della Corte costituzionale la difficoltà che abbiamo avuto in questi anni.
  Capisco anche che in questo momento si debba fare una riforma della Costituzione, improntata alla diminuzione dei costi delle istituzioni e dei costi della politica. Per raggiungere quest'obiettivo le strade potevano essere molte. Si è scelta quella di rendere sostanzialmente una delle due Camere senza indennità ai loro partecipanti. È una scelta essa stessa che ha una sua spiegazione.
  Però, se ci muoviamo all'interno di questi principi e di questo modello, ci dobbiamo interrogare se quello che il Senato ci ha dato sia davvero coerente e razionale come modello e se ci faccia raggiungere l'obiettivo che io credo noi ci siamo posti alla luce del sole, ovvero quello di rafforzare la democrazia parlamentare, non quello di indebolirla, non quello di renderla meno efficace e meno efficiente.
  È il contrario: andiamo verso una riforma che vuole dare alla nostra democrazia parlamentare più forza e che vuole Pag. 18trovare un equilibrio nuovo anche tra Governo e Parlamento, ma nel quale resti l'impronta della democrazia parlamentare. È il Governo che chiede la fiducia al Parlamento non è il Parlamento che deve ratificare le scelte del Governo. E questo vale anche in tempi nei quali sono richieste decisioni rapide. Ma la rapidità delle decisioni non può, mai e poi mai, smentire il principio fondamentale della centralità del Parlamento nelle scelte che hanno fatto i costituenti e che noi vogliamo rinnovare.
  Altrimenti hanno ragione quelli che dicono di andare verso il presidenzialismo con un progetto chiaro e netto. Basti pensare quante volte il Congresso ha fermato in questi anni straordinarie riforme come quelle proposte dal Presidente Obama, perché quella è una Repubblica presidenziale, ma con un Congresso talmente forte che rappresenta un contrappeso fortissimo allo stesso Presidente, eletto direttamente dal popolo americano. Non si può andare verso forme surrettizie, che indeboliscono il Parlamento e dentro le quali si annidano sempre spinte degenerative di tipo autoritario, demagogico e populistico che certamente in questo momento non ci possiamo permettere.
  Gli emendamenti che sono stati presentati da alcuni di noi non sono emendamenti che vogliono fermare il processo. Tutt'altro, vogliono arrivare presto a conclusione, ma ci vogliono arrivare, come dicevo prima, con un modello davvero funzionante.
  Voglio toccare alcuni punti di questo. Il primo fra tutti è che, se si sceglie il modello della Camera delle autonomie, i modelli sono due: o ci sono i governi delle regioni o è una Camera che nella sua rappresentanza vuole in qualche modo esprimere le politiche delle maggioranze e delle minoranze che governano le regioni. Ma i due modelli devono avere una loro razionalità. Penso che avremmo fatto bene a scegliere il modello cosiddetto tedesco. Avremmo sicuramente eliminato la Conferenza Stato-regioni e in questo momento noi avremmo un'interlocuzione dei legislatori tra di loro e poi avremmo e continueremmo ad avere un'interlocuzione con i governi, che rischiano di essere in conflitto fra di loro.
  Si pensi ancora se ci sono degli spazi e, se non ci sono, si vada sulla coerenza del modello politico.
  Allora, senza aumentare le spese, perché i consiglieri regionali che fanno i senatori resterebbero senza indennità, ma perché mai li dobbiamo eleggere in secondo grado e non decidiamo di affidare agli elettori che eleggono i consiglieri regionali di indicare anche quali tra questi vanno a fare i senatori (Applausi) ? Creeremmo una rappresentanza vera.
  Non è possibile neppure questo ? Mi si spieghi, allora, perché si respingono gli emendamenti che chiedono due cose molto semplici, che almeno i presidenti delle regioni facciano parte di diritto del Senato e che i 21 sindaci non siano scelti dai consigli regionali, perché è una sorta di subalternità della rappresentanza dei comuni ai consigli regionali ed è fuori dalla nostra storia culturale, politica, geografica e istituzionale. Si preveda che i sindaci delle città metropolitane facciano parte di diritto del Senato.
  Si dice che il testo non si può toccare, perché altrimenti torna al Senato e poi si allungano i tempi. Ci possiamo mettere d'accordo con i senatori: loro non lo hanno fatto prima con noi, facciamolo noi con loro. Ma si dia un minimo di razionalità a questa Camera. La Conferenza Stato-regioni a questo punto diventi solo un incontro tra funzionari.
  Le chiedo qualche altro minuto, Presidente, se il mio gruppo è magnanimo con me. Io manterrò questi emendamenti, ma li mantengo nello spirito di fare meglio e di dare a questa riforma maggiore razionalità.
  Rimanendo sul tema delle autonomie, si è voluta abolire la legislazione concorrente adesso che si dà lo strumento per fare la legislazione concorrente. Anche questo è davvero bislacco. Ci si domandi perché. Abbiamo adesso lo strumento per fare insieme le leggi e aboliamo la possibilità di fare la legislazione concorrente, che è lo strumento vero della cooperazione Pag. 19istituzionale. Ma anche in questo caso, se questo significa sconvolgere la riforma, c’è un modo per correggere dentro le materie.
  Parlo di due cose di cui capisco pochino pochino. Non è pensabile che il sistema sanitario e il sistema delle politiche sociali non abbiano già in Costituzione la possibilità che lo Stato detti i principi generali e che le regioni e le autonomie intravedano i modelli organizzativi e la gestione diretta. Anche in questo caso vi faccio un esempio storico. La Turco portò finalmente in fondo la legge sul sistema delle politiche sociali. Il giorno dopo approvammo il nuovo Titolo V e in Italia non abbiamo ancora un sistema di politiche sociali degno di questo nome: nessuna lotta alla povertà, nessuna legge nazionale sull'autosufficienza, nessuna lotta vera a tutte le forme di fragilità e di disagio. Proviamo a pensarci. Basta inserire due parole, due parole.
  Veniamo all'altro aspetto che non mi sta meno a cuore. Io credo che noi che abbiamo voluto questa riforma, e siamo tutti noi, siamo anche tutti convinti che il sistema maggioritario sia un passo avanti rispetto al quale non torneremo indietro nelle leggi elettorali. Anche a me sarebbe piaciuto vederci più chiaro sulla legge elettorale prima di approvare la riforma. Però io credo che non torneremo indietro sul sistema maggioritario.
  Allora, se c’è il sistema maggioritario e se c’è una sola Camera, ci vogliono pesi e contrappesi. Li abbiamo ottenuti con l'elezione del Presidente della Repubblica, con la modifica sulla elezione dei giudici della Corte costituzionale. Bisogna continuare a intervenire sul procedimento legislativo. Anche in quel caso, secondo me, è un grande risultato aver abolito il voto bloccato. È rimasto in Costituzione in maniera un po’ bizzarra solo il voto a data certa. Per quanto mi riguarda, finché non c’è un nuovo Regolamento quell'articolo resta lì, fin quando il Regolamento della Camera non è modificato e preveda l'introduzione del voto a data certa. Infatti, altrimenti la storia ci insegna che noi cominciamo a lavorare in un certo modo, ma in Italia ciò che è precario – a parte i lavoratori – dura in eterno.

  ARCANGELO SANNICANDRO. Anche i lavoratori !

  ROSY BINDI. Come precari... dura in eterno. Ma era per dire che quella non è una cosa positiva. Neanche questa lo sarebbe. Quindi, penso che possiamo.
  E poi c’è un altro tema che ha posto anche precedentemente nel suo intervento la collega di SEL. Su alcune materie, se c’è una sola Camera, essa deve avere la maggioranza qualificata nel prendere le sue decisioni. L'articolo 11 della Costituzione non lo toccheremo, è ancora lì. Non è pensabile per la dichiarazione di guerra; si dice che non avverrà mai e chi ce lo dice ?

  ARCANGELO SANNICANDRO. Anche durante la Seconda guerra mondiale !

  GIANCARLO GIORGETTI. Abbiamo fatto la guerra alla Serbia senza neanche votarla !

  ROSY BINDI. Chi ce lo dice ? Perché non si può prevedere almeno una maggioranza...

  PRESIDENTE. Onorevole Sannicandro, aiuti l'onorevole Bindi a concludere, non la aiuti ad allungare.

  ROSY BINDI. Sto concludendo: almeno una maggioranza qualificata su alcune materie, nell'unica Camera che prenderà decisioni su quella materia, perché ce ne sono alcune che sono davvero troppo importanti perché ci sia – come dire ? – quello strano trucco per cui chi vince le elezioni non ha solo il dovere di governare, ma si arroga il diritto in qualche modo di comandare e di prendere decisioni che non sono appannaggio della maggioranza governativa.
  Io penso che siamo ancora in tempo ad apportare alcune modifiche, io penso che siamo ancora in tempo a rendere in qualche modo, con il nostro lavoro sulla Costituzione, Pag. 20ancora una volta omaggio ai nostri costituenti, che vogliono che noi rendiamo la nostra Costituzione più forte oggi e come tale la confermiamo nel suo impianto fondamentale (Applausi).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Bianconi. Ne ha facoltà.

  MAURIZIO BIANCONI. Grazie Presidente, ieri il presidente Sisto, in un atto di umiltà dovuto, ci ha definito figli costituenti. Lasciamo fare le mamme di questi figlioli ed anche le valutazioni, diciamo così, di patriottismo di attività, nel senso che, essendo Sisto il presidente della I Commissione, «ogni scarrafone è bello a mamma sua» e, quindi, il lavoro che ha fatto è un lavoro degno di ogni attenzione.
  Pensiamo, però, ai padri costituenti. I padri costituenti, nel 1946, si riunirono in un'Assemblea eletta dal popolo e fecero la Costituzione, cioè ci insegnarono una regola, o meglio, confermarono una regola e noi, bravi figlioli, avremmo dovuto seguire questa regola. E qual è questa regola, colleghi ? La regola è che le Costituzioni le fanno le Assemblee, non i Governi. Le Costituzioni le cambiano le Assemblee, non i Governi.
  Voi pensate che avete così tanta dimestichezza, anche affettuosa, come ogni buon italiano, che spesso richiamate nei vostri discorsi la Resistenza, i frutti della Resistenza.
  Voi pensate che in quei tempi perigliosi, con un Governo che aveva tutte le forze antifasciste dentro, perché c'era il Partito d'Azione, lo PSIUP, cioè i socialisti, il Partito Comunista Italiano e la Democrazia Cristiana, col calibro di De Gasperi, Togliatti, Nenni e Lombardi, il Governo De Gasperi rinunciò a fare la Costituzione, pur avendone urgenza, ma fece nominare, anzi eleggere un'Assemblea costituente.
  Oggi siamo in tempi meno perigliosi, forse di un'Assemblea costituente, come ha detto nel suo ottimo intervento la collega Bindi, non c’è bisogno, ma almeno che la proposta di legge fosse assembleare era il minimo che si potesse pretendere.
  Questa è una delle due questioni che voglio affrontare in questo intervento.
  E invece no: invece siamo in presenza di un disegno di legge, cioè di una proposta di legge del Governo, l'Esecutivo che impone le regole.
  Come ha detto – la nomino per una seconda volta, non perché è un viatico ed un timbro di validità dell'osservazione, ma perché vuol dire che questa cosa vale hinc et inde, cioè che si può pensare anche al contrario su molte cose, ma su certi punti fondamentali chi ha un minimo di sensibilità la pensa uguale – la collega Bindi, questo non è un metodo costituente, un metodo nel quale il Governo presenta un disegno di legge e c’è una maggioranza e un'opposizione, c’è chi governa e chi si oppone.
  Le regole non si fanno così, le regole si fanno mutuando le sensibilità di tutti, raccogliendo intorno a delle regole comuni più sensibilità (non si fanno neppure con maggioranze precostituite, con patti ignoti e noti soltanto ai contraenti, che valgono quando vogliono i contraenti) e dopo da lì si costruisce qualche cosa. Ci vuole un mese di più ? Forse a farlo ci vorrà un mese di più, ma ad approvarlo alla Camera o dentro alle Assemblee sicuramente ci vorrà un po’ di meno. Tante volte il presto, come già è stato detto anche questo da banchi opposti ai miei, il che vuol dire che è una regola generale hinc et inde, su queste cose non va d'accordo con il bene.
  Noi siamo stati di fronte a un disegno di legge governativo. Si dice: ma che vuol dire ? Ve lo dico subito, colleghi, che vuol dire. Io ieri ho incontrato qui, sull'uscio di questa porta, che stava uscendo, Matteo Renzi, con il quale ho dimestichezza e familiarità. Abbiamo lavorato in due palazzi, uno davanti all'altro, per anni e anni, ci conosciamo da tanto. Mi ha salutato con la cordialità che gli è propria e ha detto ai giornalisti che erano lì: vi presento il mio miglior nemico, vi presento quello che ha mandato sotto il Governo. Come sapete, infatti, il mio voto decisivo ha fatto passare un emendamento sui senatori a vita in Commissione. Il Presidente Renzi, con questa battuta sincera, ha dimostrato in maniera plastica quello che io voglio dire, ossia che ogni emendamento Pag. 21non è un miglioramento, non è una variazione delle regole, ma è un modo, virgolette, «per mandare sotto il Governo». D'altro canto, la faccia livida del Ministro Boschi quando successe quello che successe in Commissione ne era la prova visiva più assoluta e il silenzio di tomba di certuni lo stesso.
  Quindi, noi non siamo ad approvare le regole, ma siamo a dire che il programma di Governo di Renzi prevede questo. Ma vi rendete conto in che inferno siamo ? E a questo inferno si aggiungono parole autorevoli, ma, mi si perdoni, improvvide, di chi dice che non bisogna fare eccessi emendativi. In altre parole i deputati o i senatori, dopo che sono stati umiliati da un disegno di legge di maggioranza, non dovrebbero neanche fare i loro emendamenti. Anzi, chi è deputato a tenere l'unità della nazione e a rappresentarla, abbiamo visto ieri che invece si è auto deputato a mantenere l'unità dei partiti perché ha anche censurato le eventualità scissionistiche dei partiti.
  Siamo di fronte a un sistema che ha smarrito la bussola. La bussola vuole che le Assemblee facciano le regole, che i Governi non se le intestino, che le opposizioni facciano le opposizioni là dove deve essere, ma che non facciano finta di essere insieme alle regole quando le regole sono programma di Governo.
  E vengo a casa mia. Nel momento nel quale il Presidente del Consiglio dice che abbiamo mandato sotto il Governo perché abbiamo fatto passare un emendamento, dice che l'opposizione ha fatto il suo dovere. Io ho votato per l'approvazione di quell'emendamento contro il Governo; io sono in un partito di opposizione e io ho fatto il mio dovere. Chi non l'ha fatto ? Quelli che si sono alleati con il Governo in una maggioranza di Governo che io chiamo «maggioranza nazarena», che chiude ai contributi di tutti gli altri e che fa di fatto un Governo che non consente all'opposizione di fare opposizione e non consente alle altre forze di opposizione di partecipare alle regole. Noi abbiamo istituzionalmente costituito questo e abbiamo gravemente sbagliato. Bene dirselo. È tanto grave il momento che io queste cose in Commissione le ho messe per iscritto, cosa che non faccio mai. È tanto grave il momento che oggi ho scelto di parlare perché rimanga agli atti il sacrilegio istituzionale che stiamo compiendo.
  Di fronte ad esso, il fatto di prevedere un Senato nel quale 700 consiglieri regionali eleggono 75 di loro più una ventina di sindaci e il re imperatore nomina 5 mandarini a suo piacimento – perché questo è veramente un privilegio da Medioevo – diventa non uno sfregio alla democrazia, diventa semplicemente un'offesa all'intelligenza, perché, dopo aver fatto questo po’ po’ di regole e dopo aver chiuso con il sistema maggioritario, perché così sarà, la questione Parlamento-Camera, nel Senato noi avremo una ristretta lobby che eleggerà 95 persone...

  EMANUELE FIANO. Cento !

  MAURIZIO BIANCONI. ... 5 le eleggerà il Presidente.

  PRESIDENTE. Concluda.

  MAURIZIO BIANCONI. Ho finito. Il che significa che, essendo 51 la maggioranza, basterà mettere le mani su chi elegge quei 51 per avere in mano l'Italia, perché il Senato vota anche la revisione costituzionale e, una volta che ci siamo messi in questa gabbia, questa è una democrazia che non ne uscirà più. Abbiamo 700 persone che hanno in mano l'Italia, con il beneplacito del Presidente del Consiglio, perché pensa che siano tutti del suo partito, perché pensa che la regola sia per domani mattina. La pensi tra dieci anni quando ci saranno altre lobby che prenderanno questi 51 per dirci che fine farà questa democrazia di fronte a questo sacrilegio che oggi si compie (Applausi di deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Gigli. Ne ha facoltà.

Pag. 22

  GIANCARLO GIORGETTI. Non c'ero io ?

  PRESIDENTE. Mi scusi, a me è stato chiesto di spostare l'onorevole Giorgetti al pomeriggio, non per richiesta mia.

  GIANCARLO GIORGETTI. Posso intervenire dopo Gigli ?

  PRESIDENTE. Per noi sì, avevamo chiesto all'onorevole Prataviera di sostituire lei perché non c'era nessuno del suo gruppo in questa mattinata. Per cui se lei ritiene reinseriamo l'onorevole Giorgetti dopo l'onorevole Gigli. C’è stato un equivoco tra gruppi e uffici. Prego onorevole Gigli, per noi è la stessa cosa.

  GIAN LUIGI GIGLI. Mi scuso con il collega, non volevo assolutamente.

  PRESIDENTE. Lei non c'entra nulla, è incolpevole assolutamente. Prego, a lei la parola.

  GIAN LUIGI GIGLI. La nostra riflessione muove da una constatazione, se volete: come, ormai, su alcuni temi fosse impossibile non intervenire, a seguito della trasformazione, che si è verificata sotto i nostri occhi, del ruolo del Parlamento, che ormai legifera soltanto impropriamente, per decreti; a seguito della trasformazione, se vogliamo extracostituzionale, del ruolo del Presidente della Repubblica, per il quale si vorrebbe sempre di più un'investitura diretta legata direttamente al mandato popolare piuttosto che alla mediazione delle forze politiche, e per quanto riguarda, infine, il rapporto spesso conflittuale con le autonomie regionali verificatosi dopo il fallimento della riforma federalista del Titolo V della Costituzione nel 2001. Tutte queste erano buone ragioni per andare avanti su una riforma costituzionale, e abbiamo compreso bene anche quali fossero le linee guida che volevano ispirarla in questa fase da parte del Governo, che l'ha proposta: il superamento del bicameralismo paritario certamente, lo snellimento del procedimento legislativo, bicameralismo e procedimento legislativo che erano da tempo in attesa di essere rinnovati nella direzione di una maggiore capacità di decidere, di far sì che queste decisioni rappresentassero le istanze e le sensibilità della multiforme società italiana, e di facilitare, invece che intralciare, l'azione di Governo, e magari, come ha auspicato questa mattina l'onorevole Pisicchio, di semplificare e sfrondare quella selva oscura delle leggi che copre il nostro Paese, e infine la necessità, la bussola, la direzione di un nuovo rapporto con le autonomie territoriali.
  Il primo obiettivo, il superamento del bicameralismo paritario, è stato perseguito da questa riforma attraverso la differenziazione delle due Camere per quanto riguarda competenze, modalità di elezione e rapporto fiduciario con il Governo, in particolare attraverso la previsione che la fiducia verrà espressa da una sola Camera.
  Il secondo obiettivo – lo snellimento del procedimento legislativo e la facilitazione della governabilità – si vorrebbe raggiunto, oltre che diversificando le competenze tra Camera e Senato, anche attraverso strumenti quali la possibilità per il Governo di presentare disegni di legge con garanzia di completamento della valutazione entro quella che è stata definita una data certa.
  Il terzo obiettivo – il nuovo rapporto con le autonomie territoriali – viene ricercato, invece, oltre che attraverso la composizione stessa e le modalità di elezione del Senato quale rappresentante delle istituzioni territoriali, anche attraverso il superamento della legislazione cosiddetta concorrente tra Stato e regioni, identificandone con più precisione gli ambiti esclusivi e chiarendo, per quelli che esclusivi non sono, che la competenza dello Stato si limiterebbe all'identificazione dei principi generali.
  Si tratta di obiettivi che, per quanto di portata solo pragmatica – certamente, non stiamo rifacendo la Costituzione – non per questo non possono che essere giudicati da noi positivamente e risultano molto condivisibili. Essi, a nostro avviso, sono stati, tuttavia, raggiunti in modo solo parziale. Infatti, se per quanto riguarda il superamento Pag. 23del bicameralismo paritario, l'obiettivo è stato certamente centrato – l'attività del Senato non sarà più la fotocopia di quella della Camera, rispetto alla quale si distinguerà per il potere di iniziativa legislativa, per le competenze, per i poteri stessi –, per quanto riguarda, invece, il procedimento legislativo e la governabilità occorre, a mio avviso, distinguere.
  Sul primo aspetto, infatti, restiamo perplessi nella valutazione dell'esito raggiunto, caratterizzandosi il procedimento per una grande farraginosità. Diversi, infatti, saranno i tipi di competenza tra le due Assemblee e le maggioranze per esse richieste: avremo leggi di esclusiva competenza dei deputati, come quelle di amnistia e di indulto; leggi per le quali è previsto un potere paritario delle due Camere, per esempio, le riforme costituzionali e le leggi costituzionali; leggi su cui il Senato non potrà intervenire, a meno che la richiesta non ottenga un quorum dei due terzi – mi riferisco alle leggi di stabilità e di bilancio –, richiesta alla quale, tuttavia, la Camera potrà opporsi a maggioranza assoluta; su altre leggi il Senato potrà chiedere di mettere mano con un quorum più basso: basterà la maggioranza assoluta dei senatori per intervenire sulle leggi su Roma capitale, sul governo del territorio, sulla Protezione civile, sugli atti normativi dell'Unione europea sui costi e sui fabbisogni standard, sulla finanza locale. A questo tipo di interventi senatoriali la Camera potrà dire di «no» a maggioranza assoluta. Infine, ci saranno leggi che potranno essere richiamate dal Senato a maggioranza semplice, a cui la Camera si potrà opporre a maggioranza semplice.
  Diverse saranno anche le possibilità di avviare il procedimento, così come è facile prevedere che questo impianto potrà essere fonte di problemi. Alcuni esempi: le regioni potrebbero organizzare in Senato una resistenza sulla legge di bilancio e su quella di stabilità, coagulando la maggioranza richiesta dal quorum dei due terzi dell'Assemblea; potranno essere discusse, anche perché una stessa legge e uno stesso tema potrebbero avere aspetti di competenza diversi e, quindi, alcune leggi potrebbero essere fonte di discussione; potrebbe, infine, verificarsi il caso, se volete paradossale, ma non troppo, per cui i due Presidenti di Assemblea non arrivano a raggiungere l'intesa e si finisce direttamente davanti alla Corte costituzionale.
  Per questo, insieme ad altri partiti della maggioranza di Governo, noi avevamo proposto che il procedimento legislativo fosse semplificato, anche al fine di limitare il contenzioso, prevedendo come regola generale che la Camera, sede del rapporto fiduciario, debba approvare in via definitiva le leggi a maggioranza semplice e limitando il ricorso alla maggioranza assoluta soltanto a pochi casi, ben individuati e circoscritti.
  Riguardo al tema della governabilità, giudichiamo, invece, positivamente la possibilità per il Governo di presentare disegni di legge che abbiano possibilità di concludere il loro iter entro una data certa. Questo strumento dovrebbe evitare l'abuso della decretazione d'urgenza, rispetto alla quale è presente il duplice vantaggio di non entrare subito in vigore e di consentire al Parlamento di apportare modifiche con maggiore facilità – è bene, tra l'altro, che in Commissione sia stato emendato il cosiddetto voto bloccato – e di ottenere questi risultati senza costringere a rimediare ex post agli effetti delle eventuali correzioni, mentre permette al Governo di superare i limiti della palude regolamentare e il ricorso improprio all'ostruzionismo.
  Infine, per quanto attiene al rapporto con le autonomie territoriali, oggi, l'Italia non è più, per fortuna, il Paese centralista modellatosi con la conquista sabauda. Basterebbe a testimoniarlo il fatto che la nuova Costituzione identifica il Senato come rappresentanza delle autonomie territoriali. L'Italia è diventata, con molta fatica, un Paese articolato su base regionale, continuando però a restare, per molti aspetti, uno Stato ispirato al modello prefettizio napoleonico. L'Italia, certamente, non è mai diventata in modo compiuto un Pag. 24Paese federale e oggi perde, a nostro avviso, un'altra grande occasione per avvicinarsi a questo modello.
  È difficile pensare, peraltro, che esso possa realizzarsi senza che siano chiariti i limiti della rappresentatività e del mandato dei senatori. Il modo in cui i senatori consiglieri regionali e i senatori sindaci saranno identificati, non creerà, infatti, alcun vincolo di rappresentanza con le istituzioni che essi dovrebbero rappresentare. A nostro avviso, i senatori avrebbero dovuto essere espressioni delle giunte regionali e rispondere ad esse, non è stato possibile, quel che è certo, però, è che il nuovo Senato non è neanche l'ombra del Bundesrat tedesco, perché non vi è rappresentanza senza che si debba rendere conto delle proprie scelte e decisioni a chi si sta rappresentando.
  Su questi temi non risolti, pur senza modificare i criteri di riparto maggioranza e minoranza, il nostro gruppo aveva tentato in Commissione, insieme ai colleghi di altri partiti, di emendare il testo proponendo di includere almeno obbligatoriamente tra i senatori i presidenti delle giunte regionali e di limitare il mandato dei senatori almeno nelle votazioni sulle materie strettamente regionali. Purtroppo non vi è stato spazio per questa iniziativa e ci auguriamo che ce ne possa essere di più in Aula. È presumibile che, se questo non accadrà, le regioni si sentiranno non vincolate politicamente dalle decisioni del Senato e che altri spazi di confronto dovranno essere mantenuti aperti, per esempio la Conferenza Stato-regioni, un istituto che, come è stato poco fa richiamato dalla presidente Bindi, rischia di rimanere in vita come la vera terza Camera paracostituzionale e le cui competenze, invece, noi avevamo proposto di ridurre, fino a limitarle al solo ambito amministrativo.
  Abbiamo quindi timore che le difficoltà di un corretto rapporto tra lo Stato e le autonomie territoriali, lungi dall'essere risolte, potranno trovare nel nuovo schema costituzionale un ulteriore motivo di complicazione e la fonte per nuove tensioni e contenziosi davanti alla Corte costituzionale. Tensioni e contenziosi alimentati anche dall'inevitabile sovrapporsi di temi di competenza esclusiva statale o regionale all'interno delle stesse leggi. La soluzione non può certamente essere quella della clausola di supremazia, cioè la possibilità per lo Stato di scavalcare le regioni nei casi in cui lo richieda la tutela dell'interesse nazionale. Resta dunque, per noi, la preoccupazione che l'obiettivo, decisamente più modesto, della riforma fosse solo quello di correggere alcune distorsioni del regionalismo, senza manifestare nemmeno eccessivo pudore nel mostrare nostalgie centraliste che stanno a monte di questo progetto.
  Per inciso, questo ci richiama a un'osservazione di carattere più generale. Raramente il tema della revisione costituzionale è stato posto in modo corretto, cercando cioè di correlare adeguatamente cause ed effetti e individuando con attenzione le cause delle disfunzioni riscontrate nel funzionamento dei pubblici poteri, finendo così, spesso, per imputare alla Costituzione della Repubblica disfunzioni più propriamente e prevalentemente derivanti da difetti delle leggi ordinarie, non solo quelle elettorali, o dei Regolamenti parlamentari, quando non dalla loro interpretazione o dalle relative prassi applicative. Calandosi nello specifico, questo vuol dire che per correggere alcune distorsioni del regionalismo, come richiamato ieri dal collega Buttiglione, sarebbe bastato togliere alle regioni incapaci o sprecone, per periodi anche prolungati di risanamento, segmenti della loro gestione, anche importanti, come la sanità, procedendo a commissariamenti veri, esterni al potere politico regionale. All'inverso, nell'ambito delle autonomie sarebbe stato opportuno avere il coraggio di riconoscere e promuovere i modelli di regionalismo virtuoso di cui alcune regioni sono state capaci (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie), per esempio, anche se non solo, le regioni a statuto speciale dell'arco alpino. Anche per questo siamo dispiaciuti che non vi sia stata alcuna apertura verso le nostre proposte emendative, miranti a promuovere almeno l'esercizio di un regionalismo Pag. 25a geometria variabile, fondato sull'allargamento degli spazi di sussidiarietà e sull'esercizio di un'autonomia responsabile e solidale.
  Infine, sempre per quanto riguarda le autonomie, non comprendiamo, dopo aver cancellato le province dall'articolo 114 della Costituzione, quale sia stata la logica che abbia condotto a dare comunque rango costituzionale alle aggregazioni di area vasta, richiamandole al comma 4 dell'articolo 40 della legge di riforma, creando, peraltro, voglio dire anche qui, una disparità tra i cittadini. Noi avremo, infatti, i cittadini delle aree metropolitane, che potranno, secondo la legge Delrio, eleggere direttamente i loro rappresentanti, mentre avremo i cittadini delle aree, per esempio, di montagna, i quali dovranno obbligatoriamente delegare, nell'ambito dell'area vasta, il potere di rappresentarli ai loro consiglieri comunali.
  Infine, un'altra sottolineatura. Questa riforma costituzionale, che porta un oggettivo rafforzamento dell'asse Governo-maggioranza parlamentare – non vogliamo dire tout court a un regime presidenziale –, certamente, però, non può essere letta separatamente da quanto avviene sul tavolo parallelo della nuova legge elettorale; una legge elettorale ipermaggioritaria che, proprio per questa sua caratteristica, avrebbe richiesto una maggiore attenzione ai contrappesi, agli organi di garanzia, che non possono e non debbono finire sotto il completo controllo di una maggioranza parlamentare espressa pur sempre da una minoranza del corpo elettorale, soprattutto quando si attiva un meccanismo di stretta identificazione tra l'Esecutivo e il Parlamento che lo sostiene. Ne derivava, a nostro avviso, la necessità di modificare i quorum deliberativi con cui le Camere esprimono o concorrono ad esprimere gli organi di garanzia, ovvero adottano atti di garanzia, dalla revisione costituzionale ai Regolamenti parlamentari. Per questo, mentre non possiamo non apprezzare l'approvazione in extremis dell'emendamento che ha permesso l'elevazione del quorum per l'elezione del Presidente della Repubblica, che non potrà ora mai scendere al di sotto dei tre quinti dei votanti, avevamo proposto, insieme a Scelta Civica e al Nuovo Centrodestra, che accanto all'ampliamento del quorum dei grandi elettori vi fosse anche l'allargamento della platea, ad includere altri delegati delle regioni e gli eurodeputati, visto, tra l'altro, il peso che ha oggi la legislazione europea e il rapporto con l'Unione, per quanto riguarda ovviamente l'Italia. Anche da questo punto di vista, forse l'allargamento alla platea avrebbe evitato meglio il rischio di eventuali impasse che potrebbero crearsi con semplicemente il meccanismo dell'elevazione del quorum nell'elezione del Presidente della Repubblica. Per questo non possiamo non rammaricarci del fatto che in un sistema ipermaggioritario, come dicevo, rimarrà possibile in futuro modificare a maggioranza semplice i Regolamenti parlamentari e le stesse leggi elettorali, fino al paradosso, già richiamato poco fa dalla Bindi, e che ci auguriamo ovviamente non possa mai verificarsi, che ai sensi dell'articolo 17, basterà la maggioranza semplice della sola Camera dei deputati, eletta con il sistema ipermaggioritario, per autorizzare il Governo a entrare in guerra.
  Per analoghe esigenze di garanzia, insieme agli altri alleati del partito di maggioranza relativa, avremmo preferito che venisse accolta la nostra richiesta che anche la legge elettorale, attualmente all'esame del Senato, potesse essere sottoposta a scrutinio preventivo di costituzionalità, se richiesto. E se questo non ce lo chiede di farlo necessariamente il diritto, lo avrebbero tuttavia suggerito ragioni di sensibilità e di opportunità politica, per evitare il rischio che anche la prossima legislatura possa trovarsi nella condizione di rispondere ad una accusa, per quanto infondata, di essere un Parlamento delegittimato; un Parlamento delegittimato, per di più a cui verrebbero riconosciuti poteri regolamentari e di intervento che questo Parlamento oggi ancora non ha. È questa, secondo me, l'ultima cosa di cui il nostro Paese avrebbe bisogno.
  Noi vogliamo augurarci che alcune delle criticità che ho voluto richiamare Pag. 26possano trovare ancora lo spazio, l'opportunità, per una rivalutazione; che ci sia ancora uno spazio, cioè, per un lavoro emendativo vero su un testo non bloccato al di fuori di quest'Aula, che sia possibile fare qualche passo avanti.
  Io non ritengo che ci sia un'opposizione feroce, da questo punto di vista, da parte dei senatori; anche perché credo che ormai sia ben chiaro agli stessi senatori che il Senato che uscirà da questa riforma costituzionale non sarà più quello nel quale loro fino ad oggi si sono trovati ad operare.
  Vi è ormai un consenso direi sufficiente sull'impianto generale di questa riforma. Io spero, voglio sperare che proprio per l'importanza del tema, un tema sul quale noi non rimetteremo mano facilmente nei prossimi anni, un tema che riguarderà il futuro della nostra democrazia, sia i relatori che il Governo vogliano lasciare lo spazio per una ulteriore discussione: che non si abbia timore di rimettere le mani almeno su quelle che sono le stonature e le criticità più evidenti che si sono appalesate nel corso dell'esame. Questo è il nostro auspicio, questo è lo spirito con cui noi collaboreremo, nella speranza che questo progetto vada in porto, ma vada in porto migliorato, secondo le linee di direttiva che ho cercato di indicare (Applausi dei deputati del gruppo Per l'Italia – Centro Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Giancarlo Giorgetti. Ne ha facoltà.

Testo sostituito con errata corrige volante   GIANCARLO GIORGETTI. Presidente, devo dire che non mi sono pentito di avere ceduto il turno al collega Gigli, con cui mi ritrovo per altre questioni, ma devo dire su cui concordo praticamente in ogni parola del suo intervento. Un intervento intellettualmente onesto, da parte di un parlamentare che sostiene la maggioranza governativa; e come ha giustamente ricordato il collega Bianconi precedentemente, questa riforma non dev'essere una riforma del Governo: dev'essere una riforma del Parlamento, dev'essere una riforma partecipata, dev'essere una riforma meditata. Certamente spedita, come ci chiede il Presidente della Repubblica; ma meditata.
  La speditezza non deve in qualche modo confondersi, magari in qualche caso con prepotenza e la presunzione. Noi qui vogliamo porre il tema, come abbiamo cercato di fare in Commissione, del federalismo fiscale; chiaramente ci sono anche altri aspetti che meriterebbero interesse. Io semplicemente ne segnalo uno: francamente il coordinamento di questa riforma con una legge elettorale che presupporrebbe premi di maggioranza sostanziosi, con la possibilità di riconoscere l'amnistia e l'indulto da parte di una sola Camera, mi lascia un attimo preoccupato, nella misura in cui chi viene eletto per governare poi ha, di fatto, la possibilità di autoassolversi dai propri peccati di Governo.
  Detto questo, sul federalismo fiscale: noi abbiamo cercato di fare luce rispetto ad un atteggiamento che chi sembra assolutamente condizionato da vicende di attualità, e che non riflette, in termini intellettualmente onesti, rispetto a quella che è stata l'esperienza del cosiddetto federalismo. Dico cosiddetto, perché in realtà il federalismo scritto nella Carta costituzionale non è stato assolutamente attuato; e il comportamento disdicevole che si è tenuto, i comportamenti e i risultati che si sono verificati in alcune regioni, stanno proprio a testimoniare il fatto che l'incapacità, molto spesso anche del legislatore nazionale, di stabilire le regole, come previsto attualmente dalla Costituzione, ha permesso, ha reso possibili questi comportamenti.
  Noi crediamo invece che l'applicazione del federalismo e del principio di responsabilità in modo diffuso a livello di regioni e di enti locali avrebbe permesso, proprio con questo meccanismo, di valorizzare le esperienze positive e punire e sanzionare le esperienze negative.
  Quello che si vuol fare, e non si dovrebbe mai fare trattando di Costituzione, è di partire da episodi di attualità, costruendo come si è fatto con le province in un disordinato e confuso procedimento legislativo, per arrivare ad un meccanismo Pag. 27accentratore, centralista; noi abbiamo usato in Commissione il termine «reazionario». Reazionario nel senso che va contro la logica e contro quella che è la tendenza universale: il principio di sussidiarietà, che ricordo, è alla base dei Trattati originari dell'Unione europea, è la base costitutiva dell'Unione europea, è un principio che deve essere declinato; deve essere declinato verso l'alto e verso il basso.
  Quello che viene fuori oggi ad una lettura minimamente critica, soltanto attenta al dettato costituzionale, è un tentativo di dare un colpo al cerchio e un colpo alla botte che praticamente causerà dei disastri incredibili. Cosa succede ? Succede che quello che era prima una competenza concorrente tra Stato e regioni, cioè il coordinamento della finanza pubblica viene portato alla competenza esclusiva dello Stato. Viene portato alla competenza esclusiva dello Stato perché in buona sostanza si dice: noi in un momento come questo, in cui in qualche modo dobbiamo rispettare i dettati, le indicazioni, le prescrizioni da parte dell'Unione europea non possiamo tollerare che ci sia una gestione della finanza pubblica non coordinata, confusa, in cui qualcuno non partecipa allo sforzo comune del rispetto di questi indicatori.
  Questo portare alla competenza esclusiva dello Stato potrebbe anche avere un senso nella misura in cui lo Stato legifera non semplicemente con la Camera dei deputati, ma nel momento in cui il Senato delle autonomie in qualche modo viene investito della responsabilità di compartecipare alla definizione della legge di coordinamento della finanza pubblica.
  Invece no, invece no. Il Senato delle autonomie è soltanto una, diciamo così, «Camera finta» in cui non si può discutere di queste questioni, in cui si può mettere in atto – quello che ha richiamato il collega Gigli – magari un atteggiamento vagamente ostruzionistico sulla legge di stabilità o di finanza pubblica, adesso non so se cambierà nome perché ovviamente ci sono le mode del momento che in qualche modo definiscono questi concetti. Il Senato delle autonomie però non può intervenire, al limite potrà intervenire quella terza Camera, quella Conferenza Stato-regioni-città che in modo assolutamente non trasparente e non conosciuto, né conoscibile, va a definire, in base ai rapporti di forza, le questioni finanziarie tra il centro e la periferia.
  Allora questa scelta, che sarebbe stata quella più limpida ed esauriente rispetto alla materia, e cioè di investire il Senato delle autonomie – qualora effettivamente di Senato si trattasse – di questa questione, è stata esclusa, proprio per l'atteggiamento complessivo reazionario e centralista di portare tutto in capo allo Stato.
  Ma non solo questo, non solo si «porta» quello che la Corte costituzionale faticosamente, attraverso una serie di sentenze e di giurisprudenza dal 2004 ad oggi, ha delimitato come competenze: sostanzialmente lo Stato faccia i principi, e le norme di dettaglio toccano alle regioni. No, qui addirittura, se andate a leggere la formulazione dell'articolo 119, non si porta in capo alla Camera dei deputati, organo dello Stato di fatto, il coordinamento della finanza pubblica, come giustamente il professor Gallo, credo il massimo esperto della materia, ha bene evidenziato nel corso della sua audizione. Si dice al secondo comma dell'articolo 119: «(...) in armonia con la Costituzione e secondo quanto disposto dalla legge dello Stato ai fini del coordinamento della finanza pubblica (...)» . Quindi, lo Stato è autorizzato in via costituzionale a intervenire in tutte le norme, anche in quelle di dettaglio, rispetto alla finanza di regioni e comuni.
  Ma perché dico tutto questo, a parte il conato reazionario e centralista ? C’è anche una illogicità complessiva del sistema. Andate a rileggervi l'articolo 119. A questo punto, se questa è la vostra intenzione, abolitelo ! L'articolo 119 parte così: «I Comuni, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare Pag. 28l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea».
  Quindi, autonomia finanziaria di entrata e spesa, ma dov’è l'autonomia di entrata e di spesa nel momento in cui è lo Stato che ne dispone le entrate e le spese ?
  E in subordine, se la preoccupazione vostra, che in qualche modo è condivisibile ma che deve essere coordinata con il nuovo articolo 81 della Costituzione, è il rispetto delle prescrizioni – e c’è stata una lettera del Commissario Moscoviti, indirizzata addirittura al Parlamento – rispetto alla compatibilità della normativa europea per quanto riguarda i bilanci...
  Se questo è vero, non bastava la clausola di supremazia che avete voluto introdurre all'articolo 117 come norma di chiusura e di cautela ? «Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell'interesse nazionale».
  Se il coordinamento, non generale ma di dettaglio, metteva a rischio questo tipo di rispetto delle prescrizioni europee, non bastava la possibilità – per carità, censurabile in ogni aspetto per altro verso – da parte del Governo di intervenire e chiedere in qualche modo di porre rimedio per non pregiudicare questo tipo di rispetto degli equilibri di bilancio complessivi, del Patto di stabilità e di convergenza con l'Europa ? No, non basta neppure questo, si deve andare appunto a scrivere, e guardate qui la contraddizione plastica ed evidente, mi rivolgo al relatore, onorevole Fiano, ma che non si può non leggersi, nel momento in cui si dice «I Comuni, le Città metropolitane» – secondo comma dell'attuale articolo 119 uscito dalla Commissione – «e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri» – ma dove, se è lo Stato che richiama a sé la possibilità di stabilire e definire limiti ? – «e dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio, in armonia con la Costituzione e secondo quanto» – giustamente – «disposto dalla legge dello Stato ai fini del coordinamento della finanza pubblica (...)».
  Ribadisco, clamorosamente, il professor Gallo ha evidenziato tutto ciò nella sua audizione, ma, io dico, la beffa finale, in questa logica qui, è se andate avanti e leggete il quarto comma, che è, diciamo così, «l'epitaffio»: «Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti» – cioè le risorse teoricamente autonome e i tributi teoricamente stabiliti da comuni e regioni – «assicurano» – badate bene – «il finanziamento integrale delle funzioni pubbliche dei Comuni, delle Città metropolitane e delle Regioni (...)». Cioè quei tributi, che non si possono stabilire, secondo voi devono assicurare l'integrale copertura delle pubbliche funzioni che attribuite, in base al dettato costituzionale, a regioni e comuni.
  Ma qui qualcosa non funziona, ma è evidente che qualcosa non funziona ! Non è per una battaglia politica pregiudiziale che noi comunque facciamo rispetto ad una manovra costituzionale reazionaria e centralista, ma semplicemente per coordinare e rendere praticabile questa Costituzione che avete in mente di attuare; altrimenti torneremo davanti alla Corte costituzionale in un infinito rimpallo di responsabilità in cui la Corte costituzionale, in base agli umori dell'opinione pubblica, dirà che dobbiamo andare più verso il centro o più verso la periferia.
  Io voglio chiudere questo mio intervento dicendo che il bilancio e la valutazione dell'esperienza di questi anni, ognuno la fa da sé, certamente il riferimento secondo me non deve essere un dato standard nazionale ma il riferimento deve essere a quelle regioni e a quei comuni virtuosi che dovrebbero essere il modello per tutto il Paese.
  Continuo a pensare che il federalismo, cioè la responsabilità, cioè il principio di sussidiarietà che, ribadisco, è la base fondante dei trattati dell'Unione europea dal momento della sua nascita, debba essere il riferimento a cui ispirarsi. Quindi queste sono norme, che mi sembrano norme Pag. 29costituzionali – lo dico in tutta franchezza – più ispirate dalla preoccupazione di un Ministro dell'economia che scrive la legge di stabilità rispetto al legislatore che scrive una Costituzione. Dico ciò perché queste norme sono scritte con la stessa tensione con cui abbiamo scritto l'articolo 81 della Costituzione e oggi in tanti in qualche modo si rendono conto che scrivere la Costituzione sotto la dettatura delle emozioni o dei problemi imminenti del momento, non è esattamente il modo più corretto di operare. Allora, con gli emendamenti di assoluta ragionevolezza, che noi abbiamo proposto e che riproporremo per l'Aula, si faccia chiarezza; si porti il coordinamento generale della finanza pubblica, come è giusto che sia, per assicurare, se questo è il problema, nei confronti dell'Unione europea la garanzia del rispetto di quegli indicatori che poi originano ovviamente politiche anche di ritorsione.
  Lo si porti presso la competenza statale, ma si lascino gli ambiti di autonomia e di responsabilità agli enti locali e alle regioni, altrimenti siate coerenti: toglietevi la maschera, abolite l'articolo 119 della Costituzione, torniamo, non dico al 1948, torniamo anche a prima del 1948, dove un sano potere reazionario e centralista aveva in qualche modo la garanzia di controllare tutto quello che succedeva in questo Paese e di garantire magari di arrivare anche a «quota 90». Non penso che né il Governo né i relatori vogliano andare in questa direzione e vogliano andare verso la libertà, il federalismo e la sussidiarietà (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord e Autonomie e Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).
  GIANCARLO GIORGETTI. Presidente, devo dire che non mi sono pentito di avere ceduto il turno al collega Gigli, con cui mi ritrovo per altre questioni, ma devo dire su cui concordo praticamente in ogni parola del suo intervento. Un intervento intellettualmente onesto, da parte di un parlamentare che sostiene la maggioranza governativa; e come ha giustamente ricordato il collega Bianconi precedentemente, questa riforma non dev'essere una riforma del Governo: dev'essere una riforma del Parlamento, dev'essere una riforma partecipata, dev'essere una riforma meditata. Certamente spedita, come ci chiede il Presidente della Repubblica; ma meditata.
  La speditezza non deve in qualche modo confondersi, magari in qualche caso con prepotenza e la presunzione. Noi qui vogliamo porre il tema, come abbiamo cercato di fare in Commissione, del federalismo fiscale; chiaramente ci sono anche altri aspetti che meriterebbero interesse. Io semplicemente ne segnalo uno: francamente il coordinamento di questa riforma con una legge elettorale che presupporrebbe premi di maggioranza sostanziosi, con la possibilità di riconoscere l'amnistia e l'indulto da parte di una sola Camera, mi lascia un attimo preoccupato, nella misura in cui chi viene eletto per governare poi ha, di fatto, la possibilità di autoassolversi dai propri peccati di Governo.
  Detto questo, sul federalismo fiscale: noi abbiamo cercato di fare luce rispetto ad un atteggiamento che chi sembra assolutamente condizionato da vicende di attualità, e che non riflette, in termini intellettualmente onesti, rispetto a quella che è stata l'esperienza del cosiddetto federalismo. Dico cosiddetto, perché in realtà il federalismo scritto nella Carta costituzionale non è stato assolutamente attuato; e il comportamento disdicevole che si è tenuto, i comportamenti e i risultati che si sono verificati in alcune regioni, stanno proprio a testimoniare il fatto che l'incapacità, molto spesso anche del legislatore nazionale, di stabilire le regole, come previsto attualmente dalla Costituzione, ha permesso, ha reso possibili questi comportamenti.
  Noi crediamo invece che l'applicazione del federalismo e del principio di responsabilità in modo diffuso a livello di regioni e di enti locali avrebbe permesso, proprio con questo meccanismo, di valorizzare le esperienze positive e punire e sanzionare le esperienze negative.
  Quello che si vuol fare, e non si dovrebbe mai fare trattando di Costituzione, è di partire da episodi di attualità, costruendo come si è fatto con le province in un disordinato e confuso procedimento legislativo, per arrivare ad un meccanismo Pag. 27accentratore, centralista; noi abbiamo usato in Commissione il termine «reazionario». Reazionario nel senso che va contro la logica e contro quella che è la tendenza universale: il principio di sussidiarietà, che ricordo, è alla base dei Trattati originari dell'Unione europea, è la base costitutiva dell'Unione europea, è un principio che deve essere declinato; deve essere declinato verso l'alto e verso il basso.
  Quello che viene fuori oggi ad una lettura minimamente critica, soltanto attenta al dettato costituzionale, è un tentativo di dare un colpo al cerchio e un colpo alla botte che praticamente causerà dei disastri incredibili. Cosa succede ? Succede che quello che era prima una competenza concorrente tra Stato e regioni, cioè il coordinamento della finanza pubblica viene portato alla competenza esclusiva dello Stato. Viene portato alla competenza esclusiva dello Stato perché in buona sostanza si dice: noi in un momento come questo, in cui in qualche modo dobbiamo rispettare i dettati, le indicazioni, le prescrizioni da parte dell'Unione europea non possiamo tollerare che ci sia una gestione della finanza pubblica non coordinata, confusa, in cui qualcuno non partecipa allo sforzo comune del rispetto di questi indicatori.
  Questo portare alla competenza esclusiva dello Stato potrebbe anche avere un senso nella misura in cui lo Stato legifera non semplicemente con la Camera dei deputati, ma nel momento in cui il Senato delle autonomie in qualche modo viene investito della responsabilità di compartecipare alla definizione della legge di coordinamento della finanza pubblica.
  Invece no, invece no. Il Senato delle autonomie è soltanto una, diciamo così, «Camera finta» in cui non si può discutere di queste questioni, in cui si può mettere in atto – quello che ha richiamato il collega Gigli – magari un atteggiamento vagamente ostruzionistico sulla legge di stabilità o di finanza pubblica, adesso non so se cambierà nome perché ovviamente ci sono le mode del momento che in qualche modo definiscono questi concetti. Il Senato delle autonomie però non può intervenire, al limite potrà intervenire quella terza Camera, quella Conferenza Stato-regioni-città che in modo assolutamente non trasparente e non conosciuto, né conoscibile, va a definire, in base ai rapporti di forza, le questioni finanziarie tra il centro e la periferia.
  Allora questa scelta, che sarebbe stata quella più limpida ed esauriente rispetto alla materia, e cioè di investire il Senato delle autonomie – qualora effettivamente di Senato si trattasse – di questa questione, è stata esclusa, proprio per l'atteggiamento complessivo reazionario e centralista di portare tutto in capo allo Stato.
  Ma non solo questo, non solo si «porta» quello che la Corte costituzionale faticosamente, attraverso una serie di sentenze e di giurisprudenza dal 2004 ad oggi, ha delimitato come competenze: sostanzialmente lo Stato faccia i principi, e le norme di dettaglio toccano alle regioni. No, qui addirittura, se andate a leggere la formulazione dell'articolo 119, non si porta in capo alla Camera dei deputati, organo dello Stato di fatto, il coordinamento della finanza pubblica, come giustamente il professor Gallo, credo il massimo esperto della materia, ha bene evidenziato nel corso della sua audizione. Si dice al secondo comma dell'articolo 119: «(...) in armonia con la Costituzione e secondo quanto disposto dalla legge dello Stato ai fini del coordinamento della finanza pubblica (...)» . Quindi, lo Stato è autorizzato in via costituzionale a intervenire in tutte le norme, anche in quelle di dettaglio, rispetto alla finanza di regioni e comuni.
  Ma perché dico tutto questo, a parte il conato reazionario e centralista ? C’è anche una illogicità complessiva del sistema. Andate a rileggervi l'articolo 119. A questo punto, se questa è la vostra intenzione, abolitelo ! L'articolo 119 parte così: «I Comuni, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare Pag. 28l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea».
  Quindi, autonomia finanziaria di entrata e spesa, ma dov’è l'autonomia di entrata e di spesa nel momento in cui è lo Stato che ne dispone le entrate e le spese ?
  E in subordine, se la preoccupazione vostra, che in qualche modo è condivisibile ma che deve essere coordinata con il nuovo articolo 81 della Costituzione, è il rispetto delle prescrizioni – e c’è stata una lettera del Commissario Moscovici, indirizzata addirittura al Parlamento – rispetto alla compatibilità della normativa europea per quanto riguarda i bilanci...
  Se questo è vero, non bastava la clausola di supremazia che avete voluto introdurre all'articolo 117 come norma di chiusura e di cautela ? «Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell'interesse nazionale».
  Se il coordinamento, non generale ma di dettaglio, metteva a rischio questo tipo di rispetto delle prescrizioni europee, non bastava la possibilità – per carità, censurabile in ogni aspetto per altro verso – da parte del Governo di intervenire e chiedere in qualche modo di porre rimedio per non pregiudicare questo tipo di rispetto degli equilibri di bilancio complessivi, del Patto di stabilità e di convergenza con l'Europa ? No, non basta neppure questo, si deve andare appunto a scrivere, e guardate qui la contraddizione plastica ed evidente, mi rivolgo al relatore, onorevole Fiano, ma che non si può non leggersi, nel momento in cui si dice «I Comuni, le Città metropolitane» – secondo comma dell'attuale articolo 119 uscito dalla Commissione – «e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri» – ma dove, se è lo Stato che richiama a sé la possibilità di stabilire e definire limiti ? – «e dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio, in armonia con la Costituzione e secondo quanto» – giustamente – «disposto dalla legge dello Stato ai fini del coordinamento della finanza pubblica (...)».
  Ribadisco, clamorosamente, il professor Gallo ha evidenziato tutto ciò nella sua audizione, ma, io dico, la beffa finale, in questa logica qui, è se andate avanti e leggete il quarto comma, che è, diciamo così, «l'epitaffio»: «Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti» – cioè le risorse teoricamente autonome e i tributi teoricamente stabiliti da comuni e regioni – «assicurano» – badate bene – «il finanziamento integrale delle funzioni pubbliche dei Comuni, delle Città metropolitane e delle Regioni (...)». Cioè quei tributi, che non si possono stabilire, secondo voi devono assicurare l'integrale copertura delle pubbliche funzioni che attribuite, in base al dettato costituzionale, a regioni e comuni.
  Ma qui qualcosa non funziona, ma è evidente che qualcosa non funziona ! Non è per una battaglia politica pregiudiziale che noi comunque facciamo rispetto ad una manovra costituzionale reazionaria e centralista, ma semplicemente per coordinare e rendere praticabile questa Costituzione che avete in mente di attuare; altrimenti torneremo davanti alla Corte costituzionale in un infinito rimpallo di responsabilità in cui la Corte costituzionale, in base agli umori dell'opinione pubblica, dirà che dobbiamo andare più verso il centro o più verso la periferia.
  Io voglio chiudere questo mio intervento dicendo che il bilancio e la valutazione dell'esperienza di questi anni, ognuno la fa da sé, certamente il riferimento secondo me non deve essere un dato standard nazionale ma il riferimento deve essere a quelle regioni e a quei comuni virtuosi che dovrebbero essere il modello per tutto il Paese.
  Continuo a pensare che il federalismo, cioè la responsabilità, cioè il principio di sussidiarietà che, ribadisco, è la base fondante dei trattati dell'Unione europea dal momento della sua nascita, debba essere il riferimento a cui ispirarsi. Quindi queste sono norme, che mi sembrano norme Pag. 29costituzionali – lo dico in tutta franchezza – più ispirate dalla preoccupazione di un Ministro dell'economia che scrive la legge di stabilità rispetto al legislatore che scrive una Costituzione. Dico ciò perché queste norme sono scritte con la stessa tensione con cui abbiamo scritto l'articolo 81 della Costituzione e oggi in tanti in qualche modo si rendono conto che scrivere la Costituzione sotto la dettatura delle emozioni o dei problemi imminenti del momento, non è esattamente il modo più corretto di operare. Allora, con gli emendamenti di assoluta ragionevolezza, che noi abbiamo proposto e che riproporremo per l'Aula, si faccia chiarezza; si porti il coordinamento generale della finanza pubblica, come è giusto che sia, per assicurare, se questo è il problema, nei confronti dell'Unione europea la garanzia del rispetto di quegli indicatori che poi originano ovviamente politiche anche di ritorsione.
  Lo si porti presso la competenza statale, ma si lascino gli ambiti di autonomia e di responsabilità agli enti locali e alle regioni, altrimenti siate coerenti: toglietevi la maschera, abolite l'articolo 119 della Costituzione, torniamo, non dico al 1948, torniamo anche a prima del 1948, dove un sano potere reazionario e centralista aveva in qualche modo la garanzia di controllare tutto quello che succedeva in questo Paese e di garantire magari di arrivare anche a «quota 90». Non penso che né il Governo né i relatori vogliano andare in questa direzione e vogliano andare verso la libertà, il federalismo e la sussidiarietà (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord e Autonomie e Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Nicoletti. Ne ha facoltà.

  MICHELE NICOLETTI. Grazie Presidente, colleghe e colleghi, nella amplissima discussione che accompagna ormai dall'inizio della legislatura i tentativi di riforma costituzionale, ora culminati nel presente disegno di legge di cui discutiamo, c’è un punto, a mio modo di vedere, davvero cruciale, che forse è stato sottovalutato. Ed è invece un punto fondamentale che, se tenuto presente, da un lato, potrebbe anche aiutarci a sdrammatizzare qualche preoccupazione e, dall'altro, renderci consapevoli della reale portata della sfida presente per una Costituzione che non è affatto riducibile al dilemma tra conservazione e modernizzazione, ma che riguarda invece l'articolazione del potere sovrano su livelli diversi, dal livello nazionale a quello sovranazionale.
  Il punto mi pare sia l'orizzonte costituzionale europeo dentro cui ormai da molti anni si situa il nostro ordinamento. Se osserviamo da questo orizzonte la discussione attuale, la nostra discussione assume e manifesta dei tratti piuttosto ideologici e astratti. Si discute cioè di come costituzionalizzare il potere politico nell'Italia del 2014, come se nulla fosse cambiato dal 1948.
  Ora, la grande lezione del costituzionalismo moderno, e mi verrebbe da dire proprio di quello più impregnato di cultura storica, come quello italiano e tedesco, è che chi vuole difendere la grande triade dei diritti umani, Stato di diritto e democrazia, per restare fedeli ai tre pilastri della civiltà europea, così come affermati e custoditi dal Consiglio d'Europa, deve operare uno sforzo costante di costituzionalizzazione del potere politico concretamente esistente e non in astratto di quello che concretamente opera in una società.
  Ora, se ci chiediamo dove è il potere politico, il potere sovrano che opera oggi in Italia non è lo stesso del 1948. Nel 1948 si trattava ancora, almeno in larga parte, del potere sovrano di uno Stato nazionale moderno, e cioè di un'entità quasi a sé stante a fianco di altre entità parimenti sovrane. Nel 2014 si tratta di un potere ormai definitivamente articolantesi su livelli diversi, da quello nazionale a quello europeo. Pensiamo alla classica triade del potere: nel 1948, i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario erano tutti solidamente radicati, e verrebbe da dire esauriti, sul territorio nazionale. Nel 2014 il potere legislativo sta in gran parte nelle mani Pag. 30delle istituzioni europee, Parlamento e Consiglio, il potere esecutivo si articola in un Governo nazionale e in uno europeo, Consiglio e Commissione, il potere giurisdizionale è affidato ad un insieme di corti sovranazionali, come la Corte di Strasburgo e di Lussemburgo, che si accompagnano alla nostra Corte costituzionale, dando vita ad ordinamenti giuridici e amministrazioni della giustizia sempre più integrate.
  Dovrebbe essere, dunque, pacifico a chiunque che, se la sfida di ogni Stato democratico di diritto è quella di costituzionalizzare il potere concretamente esistente e insistente sul proprio territorio e sulla vita dei cittadini, oggi la sfida è quella di costituzionalizzare un potere che si esprime su livelli plurali. Dunque, la nostra preoccupazione dovrebbe essere come stabilire granitiche tutele ai diritti fondamentali, come trovare adeguati bilanciamenti tra i poteri, come inventare istituti e strumenti capaci di rendere sovrana la volontà popolare per onorare l'articolo 1 della nostra Costituzione, dentro un quadro di potere sovrano che, ormai, si articola su più livelli.
  Non è, dunque, quello antico, tutto nazionale, del confronto tra poteri interni, l'orizzonte della sfida costituzionale per eccellenza e, forse, noi oggi soffriamo un po’ di questo provincialismo, per cui ogni mossa che facciamo sembra ledere le prerogative dell'uno o dell'altro organismo, come se non fosse vero che da cinquant'anni a questa parte noi stessi abbiamo costruito, in condizioni di parità con altri Stati, ordinamenti e istituzioni sopranazionali, a cui abbiamo consegnato parte della nostra sovranità. Paradossalmente, i costituenti del 1948, che disegnavano un potere all'interno dei confini nazionali, lo avevano aperto con questa straordinaria clausola di autotrascendimento dell'articolo 11, che prevede esattamente la possibilità di limitare la sovranità ad ordinamenti internazionali. Allora, questo è l'elemento che, forse, dovrebbe farci riflettere maggiormente.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  MICHELE NICOLETTI. Concludo. Oggi, la questione è esattamente questa. Io mi auguro che ci sia ancora spazio, da una parte, per una puntuale e sistematica messa a fuoco nel testo costituzionale di tutta la materia delle relazioni tra l'Italia e l'Unione europea, e dall'altra, di inquadrare anche la riforma della legge elettorale in questo orizzonte, perché non deve sfuggire che il Governo nazionale ha un ruolo fondamentale nel processo legislativo europeo e che, quindi, dobbiamo metterlo in condizione di svolgere un ruolo di protagonista, di soggetto, e non solo oggetto, delle decisioni collettive (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Ravetto. Ne ha facoltà.

  LAURA RAVETTO. Grazie Presidente, onorevoli colleghi, ho sentito affermare anche oggi in quest'Aula, come nei mesi scorsi in Commissione, da parte di molti commentatori politici e accademici, che questa non è la più lineare, completa, stilisticamente perfetta, delle riforme. A questi rispondo che abbiamo avuto oltre trent'anni di discussioni e fallimenti in nome della ricerca del comma perfetto. Le Costituzioni si fanno nel fuoco del Parlamento, nel fuoco della politica, non nella torre eburnea degli angeli. Conseguentemente, esse risponderanno sempre ad una volontà popolare che si è espressa nelle urne e che in questo caso, coinvolgendo molti partiti, anche di opposizione come il mio, rappresenta un'ampia maggioranza.
  La Costituzione del 1948 fu essa stessa figlia di una battaglia politica sorretta da una maggioranza popolare che aveva sconfitto il fascismo. La riforma costituzionale che stiamo varando è una riforma certamente complessa, che interviene su molteplici aspetti della Parte II della Costituzione, e ridisegna l'architettura istituzionale della Repubblica, toccando le funzioni dello Stato, delle regioni, degli enti locali, ed eliminando degli organi a valenza costituzionale, quali il CNEL. La riforma propone il superamento del bicameralismo paritario che da molti anni, Pag. 31ormai, è considerato un rallentamento ed una duplicazione del procedimento legislativo, e anche della rappresentanza politica che, più volte, ha determinato il blocco delle funzioni di Governo, creando maggioranze non coerenti.
  Un altro profilo rilevante della riforma è il ridisegno del riparto delle competenze tra Stato e regioni che, dopo la riforma del 2001, ha determinato un elevato contenzioso, risolto dal lavoro intenso della Corte costituzionale, ma che va anche valutato sotto il profilo del danno economico all'attività economica, procurato all'attività di impresa del nostro Paese.
  Seguendo gli indirizzi consolidati di tale giurisprudenza, il testo della riforma ridisegna in modo più puntuale chi fa e che cosa tra Stato ed enti locali, risolvendo anche talune antinomie e riportando alla responsabilità di ciascun ente quello che gli è più proprio. Penso, ad esempio, al tema dell'energia o della sicurezza sul lavoro. Vogliamo evitare il ripetersi dei conflitti registrati negli ultimi dieci anni, eliminando la legislazione concorrente e definendo una clausola di chiusura del sistema – quella che è stata chiamata la clausola di supremazia – a tutela dell'unità giuridica ed economica del Paese e dell'interesse nazionale.
  La definizione del Parlamento in due Camere differenziate, la prima come rappresentanza delle istituzioni regionali e locali e la seconda come destinataria del rapporto di fiducia con il Governo, allinea il nostro Paese alle più moderne democrazie occidentali e rende più funzionale l'architettura della Repubblica, istituendo nel nuovo Senato la sede di raccordo tra lo Stato e le regioni, quella sede che era mancata alla riforma del 2001.
  In questi anni, infatti, non abbiamo assistito soltanto ad una rivendicazione, non sempre mossa da fini virtuosi tra le diverse competenze istituzionali, ma è altresì mancata un'adeguata sede di raccordo. La Conferenza Stato-regioni, infatti, rappresenta un'istanza di solo carattere amministrativo e non politico. Occorreva, come si è fatto oggi, individuare una sede centrale e politica, che sarà appunto il nuovo Senato della Repubblica e nella quale siederanno i rappresentanti eletti, seppure in forma indiretta, dalle regioni e dalle autonomie locali.
  Nel corso dell'esame in Commissione non ho nascosto le mie perplessità, seppure non totalmente condivise da tutto il mio gruppo, in ordine all'opportunità di prevedere la presenza dei presidenti di regione nel nuovo Senato e questo semplicemente per scongiurare il potenziale rischio di alimentare futuri conflitti politici tra le decisioni assunte dal Senato stesso e, di nuovo, la riproposizione di rivendicazione di potere da parte delle regioni. Va, però, detto che il testo di riforma, cui siamo approdati, lascia comunque impregiudicata la possibilità da parte dei governatori di farsi eleggere tra i delegati della regione nel nuovo Senato.
  Quanto ai punti critici oggetto di discussione in Commissione, mi soffermerò su quello che ritengo maggiormente delicato, che credo verrà ridiscusso anche da quest'Aula. Sempre in ordine alla composizione del Senato, il testo della riforma prevede la facoltà di nomina da parte del Presidente della Repubblica di cinque senatori, che dovremmo iniziare ad imparare a chiamare senatori di nomina presidenziale e non senatori a vita. Questi ultimi, infatti, al di là delle ricostruzioni giornalistiche, già sono stati eliminati dalla riforma stessa, in quanto le nuove figure di nomina presidenziale restano in carica a tempo e cioè sette anni. Sappiamo che in Commissione, con un voto trasversale cui hanno partecipato anche delle minoranze dei rispettivi partiti, è passato un emendamento che potenzialmente avrebbe potuto condurre all'eliminazione anche di questa nuova figura. In questo senso, preciso che io non sono certamente una fan dei ruoli istituzionali di nomina pura. Pur tuttavia credo che la riforma raggiunga comunque un punto di equilibrio accettabile rispetto al testo originario, che ricordo a tutti, prevedeva 21 senatori di nomina presidenziale e non i meri cinque cui siamo approdati.
  La Commissione ha svolto, a mio giudizio, un lavoro molto positivo di approfondimento Pag. 32e anche di miglioramento, come ad esempio quello sulla procedura del voto a data certa o quello sulla semplificazione del procedimento legislativo bicamerale. Resta probabilmente nell'aria – e sarà immagino oggetto di discussione in Aula – la questione del ricorso preventivo alla Corte costituzionale sulla legge elettorale. Sul tema devo ammettere che non ho particolarmente apprezzato l'atteggiamento di resa dei colleghi che propongono l'introduzione di questo meccanismo rafforzato, perché essi mi sono parsi in qualche modo affermare la sostanziale incompetenza ed incapacità del legislatore – e quindi nostra di parlamentari – di evitare nel futuro di costruire delle leggi elettorali, che non siano assolutamente rispondenti al dettato costituzionale. Io vorrei avere più fiducia nel Parlamento e mi sono parsi addirittura in qualche modo – sicuramente non era loro intenzione – messi in discussione la competenza e la capacità del Presidente della Repubblica di operare il vaglio di costituzionalità preventiva delle leggi, come la Costituzione gli assegna.
  Mi pare, infatti, che alcuni si siano dimenticati che già oggi qualsivoglia legge, anche quelle in materia elettorale, sono sottoposte per la promulgazione al Capo dello Stato, che rimane il supremo garante della legalità costituzionale. Ritengo, pertanto, che per non disequilibrare il sistema il ricorso alla Corte costituzionale dovrebbe essere una extrema ratio, assistita perciò necessariamente dall'iniziativa di minoranze qualificate.
  Un tema che altresì mi è stato particolarmente a cuore – ho partecipato al dibattito in Commissione – è quello delle macroregioni. Senza auspicare che si giungesse all'estremo della creazione di tre macroregioni, pensavamo, tuttavia, ipotizzabile almeno un accorpamento delle regioni esistenti, basato su criteri demografici oltre che di prossimità geografica. In tal senso, come Forza Italia, avevamo indicato una soglia minima pari a 5 milioni di abitanti. Sul tema auspichiamo un supplemento di riflessione in Aula, tenuto conto che uno dei principali ostacoli che storicamente si frappongono alla compiuta realizzazione del regionalismo italiano è la scarsa consistenza in termini di popolazione di molte regioni, che non raggiungono la massa critica necessaria all'esercizio dei diversi poteri che ad esse sono devoluti.
  Per concludere, non posso, quindi, che salutare con favore il fatto che dopo lunghi anni la sinistra abbia abbracciato finalmente idee di riforma che, per molti aspetti, hanno costituito la base di pensiero del partito cui appartengo. Certo, non è presente il tema per noi fondante dell'elezione diretta del Presidente della Repubblica, ma c’è nel testo che stiamo varando un indubbio rafforzamento della posizione del Governo, che è sempre stata una delle preoccupazioni di tutti i premier che si sono avvicendati in questo Paese.
  Noi non commetteremo il fatale errore che commise la sinistra cavalcando il referendum del 2005 contro il nuovo assetto costituzionale e non ci faremo muovere da oltranzismo ideologico. Forza Italia è un movimento geneticamente riformista e, comunque, personalmente mi rifiuto di ingrossare la schiera dei benaltristi e dei puristi del diritto, che, nel rivendicare la ricerca continua del sempre meglio, hanno contribuito a bloccare ogni istanza di cambiamento.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Marilena Fabbri. Ne ha facoltà.

  MARILENA FABBRI. Grazie Presidente. Voglio ringraziare, prima del mio intervento, in particolare il presidente della Commissione affari costituzionali Sisto, che in questi giorni si è fatto garante della discussione e del lavoro in I Commissione, salvaguardando e rendendo effettivamente possibile una discussione nel merito che, come ricordava lui ieri nella relazione introduttiva, ha visto mille interventi e 51 ore di discussione nel merito. Voglio anche ringraziarlo come relatore, insieme all'onorevole Fiano, per la disponibilità che hanno dimostrato, nell'agibilità consentita, di modificare questa legge di riforma costituzionale.Pag. 33
  Mantengo invece, delle perplessità rispetto alla presenza del Governo, non tanto sulla sua presenza all'interno della Commissione nelle persone che hanno seguito le riforme, quanto nel fatto di esprimere i pareri che hanno, in più di un'occasione, vincolato l'esito che poteva uscire dalla discussione che si è sviluppata nell'ambito di questi dieci giorni, in particolare, di analisi dei 1.176 emendamenti. Emendamenti che erano fortemente rivolti a migliorare il testo, a dare un contributo di merito nel testo. Magari ognuno di noi è poi convinto che il meglio sia ciò che esprime e non quello che esprime qualcun altro. Ma credo che la positività della discussione che c’è stata, sia stata proprio nel vedere che su più punti, sia per gli emendamenti presentati che per la discussione che si è sviluppata, ci sarebbe stata, in più di un'occasione, l'unanimità dei componenti nell'approvare modifiche al testo, ciò che non sempre è stato possibile.
  Personalmente penso che sarebbe stato meglio, per questo Parlamento, poter proseguire nel lavoro che era stato iniziato ad inizio legislatura, quando già fin dall'inizio si era evidenziata la necessità assoluta di riformare il nostro sistema istituzionale, che – non lo ripeto perché lo hanno già detto tutti – è assolutamente una priorità del nostro sistema ed una responsabilità che ricade su tutti noi.
  Credo che sarebbe stato più appropriato e più opportuno poter lavorare all'interno di un contesto di bicamerale, delle due Commissioni di Camera e Senato che lavoravano insieme per definire un testo. Infatti il testo di riforma della Costituzione non è elaborato gli uni contro gli altri, non è contro i senatori o a favore dei deputati, ma lo è per ridisegnare un sistema più efficiente e più efficace rispetto ai tempi che abbiamo davanti. Così non è stato possibile e ritengo però che il lavoro che in qualche modo è stato fatto sia comunque un lavoro positivo, seppur ne riconosco alcune criticità.
  Quindi rivendico, insieme ai colleghi della Commissione affari costituzionali, di aver dato il massimo, per dare appunto un contributo nel merito e – anche se a volte facendo fare più fatica del solito al nostro relatore – con lo spirito assolutamente di dare un contributo migliorativo alla riforma, riforma che come sappiamo ha toccato diversi punti che vorrei evidenziare, in particolare quelli che sono stati modificati nella Commissione affari costituzionali con il contributo di tanti colleghi del nostro partito, il Partito Democratico, di cui faccio parte e che vorrei ricordare, da Giorgis, D'Attorre, Lattuca, Gasparini, Famiglietti, Lauricella, Di Maio, Piccione ed anche i colleghi delle altre formazioni politiche.
  Li ho contati, sono 65 gli emendamenti accolti ed una ventina i punti toccati, punti che vanno a qualificare, a mio avviso, la riforma, perché vanno a rafforzare gli strumenti di garanzia che devono essere presenti all'interno della Costituzione, soprattutto alla luce della legge elettorale che noi stiamo andando ad approvare nei due rami del Parlamento, una riforma elettorale che prevede un sistema fortemente maggioritario, con un premio di maggioranza che porterà 355 deputati in capo ad un unico partito, qualora le modifiche emendative dovessero andare in questo senso. Il che vuol dire che un unico partito, nel prossimo sistema parlamentare, avrà la maggioranza assoluta del Governo del Paese e questo vuol dire tutto il sistema del procedimento legislativo: avere in mano l'approvazione e la modifica del Regolamento sul funzionamento parlamentare; voleva dire, nelle precedenti previsioni, anche poter eleggere da solo il Presidente della Repubblica. Credo quindi che con le modifiche che sono state introdotte alla luce della discussione che si è sviluppata in Commissione e della disponibilità dei relatori ad accoglierle, invece si è rafforzato questo sistema delle garanzie. In particolare voglio sottolineare l'articolo 6, che prevede che appunto la Costituzione ed il Parlamento devono garantire il ruolo delle minoranze e si prevede in particolare che la Camera si deve far carico di approvare lo statuto delle minoranze. Si prevede, all'articolo 21, un aumento del quorum per l'elezione del Presidente della Repubblica: sino al nono Pag. 34scrutinio i tre quinti dei votanti e questo vuol dire che la maggioranza, in qualche modo, è necessitata ad aprire una discussione ed un dialogo con le forze di minoranza.
  Io sono assolutamente favorevole al fatto che il nostro Paese debba dotarsi di una riforma costituzionale ed una riforma elettorale che garantiscano la governabilità di questo Paese, ma in equilibrio con la rappresentanza e con le garanzie appunto delle minoranze, laddove le minoranze non devono in qualche modo esercitare un veto pregiudiziale ed impedire di fatto al Governo in carica di governare, ma nello stesso tempo non può essere nemmeno ammesso che un'unica forza parlamentare possa avere in mano tutti gli strumenti del Governo e di garanzie e di controllo del Paese.
  Infatti io credo che questo debba fare una forza che legifera e modifica la riforma costituzionale: pensarsi sia nel momento in cui è forza di maggioranza, ma anche pensarsi nel momento in cui potrà essere forza di minoranza e quindi tenere in equilibrio i due sistemi. Ritengo positivo, tra le modifiche fatte, l'aver modificato l'articolo 10, che definisce il nuovo procedimento legislativo monocamerale-bicamerale nel rapporto con il nuovo Senato. Positiva è la modifica e l'eliminazione del voto bloccato ed il mantenimento invece del voto a data certa.
  Infatti, ritengo che se il disegno di legge governativo a data certa diventa uno strumento alternativo alla decretazione d'urgenza, nel rispetto del lavoro parlamentare, ma con la garanzia dei tempi di approvazione finale, ciò sia positivo perché dà uno strumento di celerità e di governo per la maggioranza governativa, ma, nello stesso tempo, non ha l'effetto negativo che può avere la decretazione d'urgenza con immediata efficacia dei suoi effetti. Insomma, sono diversi gli aspetti che siamo riusciti a toccare nella discussione parlamentare. Credo che questo sia positivo perché è sicuramente importante che la riforma costituzionale avvenga in un dialogo fra entrambe le Camere che oggi rappresentano la nazione.
  Sono ancora alcuni i temi aperti. In particolare, voglio sottolineare l'articolo 2 sulla composizione del Senato. Sono fra i parlamentari che hanno votato a favore dell'eliminazione dei senatori di nomina presidenziale perché ritengo che sia un'incongruenza che all'interno del contesto del Senato delle regioni e dei territori, che discuterà di politiche e di organizzazione territoriale e istituzionale degli enti locali e delle associazioni dei comuni, vi siano gli ex Presidenti della Repubblica e i senatori di nomina presidenziale di particolare rilievo per la nazione. Forse, ciò andrebbe invece inserito all'interno della Camera dei deputati.
  Mi rendo conto anche che è stata una forzatura nella discussione, ma io chiedo fermamente al Governo, che si è fatto tramite e mediatore nel rapporto fra Camera e Senato, di proseguire a questo punto tale lavoro e usare il tempo che c’è, che noi abbiamo davanti, tra la discussione sulle linee generali che si concluderà oggi e il momento della discussione effettiva degli emendamenti che avverrà nel mese di gennaio, per verificare l'effettiva possibilità di discutere la composizione del Senato in maniera più appropriata, anche tenendo conto delle considerazioni che sono state svolte nelle giornate di ieri e di oggi in Aula e quelle che sono a verbale della Commissione, per dare una maggiore omogeneità e concretezza al Senato delle regioni, pur sapendo e riconoscendo le difficoltà politiche nel rapporto con il Senato che ci sono state evidenziate. Ma credo che la presenza di questa apertura che è stata fatta sull'articolo 2 possa essere utilizzata proprio per verificare effettivamente l'assenza o invece la presenza di un'opportunità di modifica ulteriore.
  Credo, inoltre, che varie modifiche potranno essere apportate nella discussione dell'Aula e credo che ciò sia importante. E qui voglio ringraziare ancora i due correlatori, Fiano e Sisto, proprio per la disponibilità che hanno dato di affrontare comunque, nel contesto della discussione in Aula, altri temi che eventualmente sono nodi cruciali, per affinare sicuramente il testo e rafforzare le garanzie, ma anche gli Pag. 35strumenti di governabilità del nuovo sistema istituzionale. Spero anche che in Aula si apra l'opportunità di approvare un emendamento all'articolo 38, fra le norme transitorie, che preveda il sindacato preventivo di costituzionalità della legge elettorale. Io non condivido le opinioni della collega Ravetto. Non è una questione di sfiducia in noi stessi o nella qualità del nostro lavoro. È stato introdotto già all'articolo 13 della Costituzione il sindacato preventivo di costituzionalità sulle leggi elettorali a richiesta di un terzo dei parlamentari. Ma è un segnale di voler instaurare di nuovo un rapporto di fiducia fra eletti ed elettori. È evidente che si è incrinata l'autorevolezza delle istituzioni e del Parlamento rispetto ai nostri elettori e rispetto ai cittadini.
  Condivido le considerazioni che svolgeva sempre ieri il presidente Sisto sul fatto che la Costituzione non va scritta nella contingenza dei tempi e, quindi, non deve essere eccessivamente influenzata dalle dinamiche, dalle richieste e dai condizionamenti che vengono dalle criticità che magari noi stiamo vivendo in questa fase storica. Ma è evidente che noi non ci possiamo più permettere una Camera dei deputati eletta con il senso di sfiducia dei cittadini. Noi dobbiamo eliminare questo vulnus.
  E se, all'articolo 13, abbiamo già previsto che le future leggi elettorali, quelle che verranno approvate a seguito della riforma costituzionale, siano assoggettabili alla verifica preventiva di costituzionalità, a maggior ragione abbiamo la responsabilità morale e l'opportunità politica, dobbiamo valutare l'opportunità politica di sottoporre al controllo preventivo proprio la prossima legge elettorale, quella con la quale verrà eletto il prossimo Parlamento perché quello è il primo momento nel quale noi dobbiamo andare a ricucire la sfiducia che si è creata tra le istituzioni e i cittadini.
  Quindi, poiché quell'emendamento non è passato in Commissione non per mancanza di volontà da parte di alcune forze politiche ma, così ci è stato detto, per indisponibilità e mancanza di condizioni esterne alla Commissione, spero vivamente che tali condizioni si possano invece creare positivamente in Aula. Ritengo, infatti, che sarebbe assolutamente importante per dare slancio alla prossima legislatura.
  Pensando a questo intervento, mi sono venute in mente due citazioni, due frasi di personaggi politici, protagonisti politici della nostra storia. Vivo due citazioni che mi accompagnano come un tarlo da quando ho iniziato questa legislatura e vado a leggerle e a concludere. La prima è quella di Aldo Moro il quale, in uno degli ultimi interventi prima del suo rapimento e della sua uccisione, disse in un discorso ai deputati dell'allora Democrazia Cristiana: «Se fosse possibile dire saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a domani, credo che tutti accetteremmo di farlo. Ma non è possibile. Oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso. Si tratta di vivere il tempo che ci è dato vivere con tutte le sue difficoltà». Io vorrei che questo ce lo ricordassimo e capissimo che tutti sentiamo la stessa responsabilità nei confronti del ruolo che abbiamo e nei confronti dei cittadini che rappresentiamo e non c’è qualcuno più responsabile di qualcun altro; e che, quindi, il rispetto che ci si deve dare reciprocamente, a prescindere dai ruoli, è assolutamente fondamentale perché ne risponderemo tutti in modo collettivo di ciò che faremo di buono o di non adeguato in questa legislatura.
  La seconda – ho concluso – è quella di Enrico Berlinguer: «La questione morale esiste da tempo ma ormai essa è diventata la questione politica prima ed essenziale perché dalla sua soluzione dipende la ripresa di fiducia nelle istituzioni, l'effettiva governabilità del Paese e la tenuta del regime democratico». Ritengo che abbiamo la responsabilità di ricostruire la moralità e l'etica di questo Paese che dipende sicuramente da un comportamento individuale di ciascuno di noi ma anche da comportamenti collettivi. Ed io credo che abbiamo la responsabilità di fare presto ma anche bene e che se noi Pag. 36sfruttiamo al meglio le nostre intelligenze e facciamo cadere quel velo di pregiudizio che a volte c’è nei rapporti e nelle discussioni, credo che riusciremo a fare presto e bene per questo Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Costantino. Ne ha facoltà.

  CELESTE COSTANTINO. Grazie Presidente, ci siamo approcciati a questa riforma con l'impegno e la serietà che dobbiamo a chi ha dato vita alla nostra Carta costituzionale. L'abbiamo fatto con responsabilità e, a volte, anche con timore. Fa tremare i polsi, infatti, l'immagine dei padri costituenti mentre si modifica il testo che regola la democrazia del nostro Paese. Però ci siamo stati, non ci siamo tirati indietro, non ci siamo posti con pregiudizio, non ci siamo sottratti al confronto, non abbiamo avuto un atteggiamento conservativo ma, anzi, abbiamo provato, dentro un'impostazione che non ci convince affatto, a dare un contributo vero perché pensiamo che quello che c’è in campo è molto di più del gioco mediatico della politica, della propaganda, della visibilità o di quello che questo Governo sta dichiarando o pensando.
  Mi chiedo ancora adesso se ci sia davvero consapevolezza di questo passo perché vedere come si è proceduto in queste settimane fa venire tanti dubbi. La foga di portare a casa dei risultati, di dimostrare che il Governo fa cose che mai nessuno si era sognato di fare prima sembra essere prevalsa sulla cura, sulla ponderatezza e sulla cautela che si deve alla nostra Carta costituzionale non perché sia un testo sacro, intoccabile o universale, ma banalmente perché avremmo dovuto avere l'ambizione di produrre un testo da far rimanere nel tempo e che non fosse il frutto della contingenza o del contesto umorale della pancia del Paese o, peggio ancora, di questo Governo.
  Il superamento del bicameralismo perfetto è un passo importante: sarebbe stato giusto utilizzare la cultura giuridica presente in sede di audizioni per correggere gli aspetti critici, davvero tantissimi, del testo uscito da Palazzo Madama, ma tutti i consigli sono stati derubricati.
  In queste settimane, sono stati fissati dei termini perentori e si è fatto di tutto per far lavorare i deputati con una spada di Damocle, su cui era scritto: «16 dicembre». Sullo sfondo, il regolamento di conti tra il Premier Renzi, segretario del Partito Democratico, e alcuni dei suoi deputati della corrente di minoranza del partito.
  La Commissione affari costituzionali ha lavorato all'insegna delle sospensioni, degli accantonamenti, dei ritiri per l'Aula; sono state evidenti le brusche frenate e le ingiustificate accelerazioni su alcuni temi. Né i relatori né il Governo hanno spiegato alcune incoerenze del provvedimento, anche su emendamenti che, a vostro dire, erano irrilevanti e che, però, vi hanno spinto, davanti all'approvazione, ad annunciare subito il cambiamento in Aula. Quindi, ancora adesso, per esempio, ci chiediamo le ragioni per cui i senatori nominati dal Presidente della Repubblica debbano far parte del Senato delle autonomie e non della Camera.
  Oggi, in Aula, arriva un provvedimento blindato ed incoerente, per la fretta del Governo e per l'incapacità della maggioranza di avere una posizione unitaria rispetto ad alcune criticità emerse. Quel che risulta dal complesso delle modifiche contenute nel disegno di legge di riforma del Senato è un meccanismo complesso e poco funzionale, che scardina l'architettura costituzionale in favore di iter diversificati per tempi e procedure in base alle materie, nonché alle priorità indicate dal Governo.
  La Costituzione evidenziava quale proprio cardine il concetto in base al quale il potere deve essere ripartito tra più soggetti ed organi, in modo che nessuno di essi sia in condizione di sopraffare gli altri. La pluralità degli organi costituzionali comporta che questi siano reciprocamente indipendenti e possano svolgere le funzioni e il ruolo che a ciascuno di essi è attribuito. I costituenti hanno saputo costruire un sistema fondato su pesi e contrappesi, Pag. 37in grado di funzionare perfettamente, capace di resistere alla prova del tempo e ai contesti profondamente diversi.
  La riforma del Senato, così com’è stata approvata dalla maggioranza in Commissione, è pericolosa, soprattutto se viene associata all'attuale proposta di legge elettorale. Il Parlamento monocamerale si riduce ad un organo di mera ratifica delle decisioni governative, alterando l'intero equilibrio dei poteri e la natura stessa del rapporto tra Governo e Parlamento.
  Il profilo che si è voluto dare al Senato delle autonomie è completamente sbagliato: all'interno, con gravi incoerenze, siederanno 95 membri, tra sindaci e consiglieri regionali. I primi che, come sappiamo, svolgono nelle città delle funzioni amministrative e non legislative, saranno scelti dai consigli regionali e non da un'assemblea di sindaci. I consiglieri regionali e i senatori svolgeranno questo doppio lavoro, forse, dovremmo dire questo dopo lavoro, nella totale ignoranza di come saranno impostate e divise le competenze e i lavori tra consigli regionali e Senato delle autonomie.
  In Commissione abbiamo cercato di dare allo Stato la competenza sulle politiche sociali. Sulla pelle dei cittadini e delle cittadine si è, infatti, realizzato un braccio di ferro tra potestà legislativa sul tema tra Senato delle autonomie e regioni. È stato tra quei pochi emendamenti ad essere veramente dibattuto. Dopo l'invito da parte del sottosegretario per le riforme, Ivan Scalfarotto, a ritirare l'emendamento perché il tema sarà approfondito in Aula, ci siamo voluti fidare. Vedremo se questo impegno verrà realmente mantenuto.
  E, ancora, particolarmente rischiosa è la corsia preferenziale ai disegni di legge indicati dal Governo come prioritari, il cosiddetto voto a data certa: anche questo troppo orientato a privilegiare la governabilità, a scapito della rappresentanza. In sostanza, si introduce un istituto che dà la possibilità al Governo di imporre al Parlamento una delibera entro 70 giorni, incidendo profondamente sugli equilibri costituzionali e rafforzando le prerogative dell'Esecutivo. Siamo davanti ad una formulazione davvero generica, che rimette al Governo stesso l'ampiezza del suo potere.
  Nulla impedirà, infatti, di far ritenere essenziale per l'attuazione del programma ogni disegno di legge; rimandare tutto al Regolamento della Camera e differire di un paio di settimane la risposta del Parlamento non dirada affatto la fitta nebbia su questo istituto che può facilmente degenerare.
  Mi avvio a concludere, Presidente, citando altri due punti della riforma che ci fanno fare, a nostro avviso, ulteriori passi indietro questa volta negli istituti di democrazia diretta. Con la modifica, infatti, apportata all'articolo 71 serviranno 150 mila firme, e non più 50 mila, per la presentazione di proposte di legge di iniziativa popolare. Non è tanto l'innalzamento del numero delle firme che può essere criticato, ma è il rinvio al Regolamento parlamentare delle garanzie di esame e di deliberazione finale che doveva essere evitato. Perché non è stato direttamente previsto almeno l'obbligo di pronunciarsi sulla richiesta da parte del Parlamento ?
  Altra parte critica è sui referendum abrogativi. Una buona notizia è che il quorum necessario per la validità della consultazione elettorale sarà calcolato sulla metà degli elettori che si sono presentati alle elezioni politiche immediatamente precedenti. Quella cattiva è che le sottoscrizioni necessarie per presentare i quesiti sono ottocentomila contro le attuali cinquecentomila. Un altro tassello della visione distorta e degenerata che permea l'intera proposta di riforma. Insomma, è l'esatto contrario di quello che andava fatto. Bisognava assicurare una maggiore efficienza del nostro sistema e garantire che la riforma si traducesse in una maggiore vicinanza delle istituzioni ai cittadini.
  Chiudo veramente con una nota personale, ringraziando il mio collega Stefano Quaranta non solo per il lavoro che abbiamo fatto insieme in Commissione, ma per un sentimento che abbiamo condiviso e cioè la pesantezza e, a volte, il senso di inadeguatezza di modifica di questo Governo; Pag. 38eppure, le assicuro, Presidente, che, nel mio percorso politico, non mi è mai mancato il coraggio, ma, per la prima volta, mi sento piccola davanti a chi crede presuntuosamente di essere a tutti i costi un gigante. Tutto si sposta qui, oggi il dibattito lo possono seguire anche i cittadini e lo possono seguire in diretta; la responsabilità ce l'avete con loro, noi continueremo a fare la nostra parte, ma non ci renderemo mai complici. Lo dobbiamo alla storia di questa Carta, lo dobbiamo alla democrazia, ma soprattutto lo dobbiamo alle nuove generazioni del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Sannicandro. Ne ha facoltà.

  ARCANGELO SANNICANDRO. Signora Presidente, egregi colleghi, do per letta, come dicono gli avvocati, la controriforma proposta dal Presidente Renzi con la forte collaborazione del presidente Berlusconi, questo per non perdere tempo perché i minuti a disposizione sono pochi e, quindi, dobbiamo cercare di andare all'essenziale. L'essenziale qual è, per me ? Quello di capire perché viene portata avanti con tanto impegno questa controriforma. Le ragioni non sono quelle che stancamente vengono ripetute in quest'Aula. L'onorevole Pisicchio questa mattina ne ha fatto giustizia; ha detto che sono argomentazioni fragili quelle che alludono alla necessità di creare una democrazia decidente, perché, nella nostra Costituzione e nel Regolamento parlamentare, ci sono gli strumenti adatti per decidere presto e anche bene. La verità invece è un'altra; la verità è che, con lettura marxiana, ormai viene avanti senza più reticenze; si tratta di adeguare l'assetto istituzionale italiano alle esigenze del mercato. Diciamocelo chiaramente, con onestà intellettuale: il Presidente Renzi rappresenta il punto di arrivo di una dottrina che è quella appunto – che viene da lontano – che è: avendo l'Italia sottoscritto i trattati di Maastricht, essendo l'Italia entrata in Europa, avendo assunto la dottrina liberale e liberista come fondante della nuova Europa, la Costituzione italiana rappresenta una contraddizione.
  Questo è il fatto vero, questa è la ragione vera, la ragione che spinge, che giustifica o meglio che spiega tanto impegno. Ed è giusto, da parte del centrodestra, rivendicarne la primogenitura. Siamo onesti, quello che oggi dice Renzi l'ha detto prima di lui, con molta migliore eleganza, però, con buona educazione – cosa che a lui fa difetto, in verità –, il Presidente Letta, e poi, ancora prima di lui, Monti, e poi, ancora prima di lui, Berlusconi. Essi, senza l'arroganza che contraddistingue il Presidente Renzi, hanno sempre sostenuto che la democrazia sociale, che i nostri padri costituenti ci hanno consegnato, deve essere sepolta. Questa è la questione vera, e non che bisogna realizzare un sistema in cui si decide velocemente, anche perché, detto da noi, che in questo momento storico non abbiamo potuto praticare la vita parlamentare, ma semplicemente ratificare della volontà del Governo, che si manifesta attraverso decreti-legge e imposizione della richiesta di fiducia, insomma, non voglio dire che la nostra sarebbe una posizione ipocrita, o di chi dice queste cose, ma perlomeno è una cosa infondata. Noi siamo il Parlamento più veloce del mondo ! Noi siamo arrivati addirittura a modificare con decreti-legge norme contenute in precedenti decreti-legge che non erano stati ancora convertiti in legge ! Più veloci di così, credo che non si possa affatto essere.
  Ed è evidente che la nostra Costituzione rappresenta un'anomalia che contrasta con le esigenze dell'economia di mercato. Immaginate che noi abbiamo un articolo, o meglio una parte della Costituzione, la prima parte, quella relativa ai rapporti economici, dove addirittura si scrive che la proprietà e l'impresa sono riconosciute, ma devono svolgersi in funzione sociale. Un articolo contrastato già a livello di Assemblea costituente da parte di Einaudi, da parte della dottrina liberale, che allora era minoranza, ma che oggi è riuscita a diventare maggioranza. Questa spiegazione, in verità, negli anni scorsi non Pag. 39è stata mai così ostentata, perché c'era un pudore, in quanto gli eredi di quelle dottrine, della dottrina cattolica, del cristianesimo sociale, dei comunisti, dei socialisti, avevano un certo pudore a esprimerla esplicitamente, anche se hanno avuto e hanno dei padri importanti. Voglio rimandare tutti i colleghi alla dichiarazione, all'intervista rilasciata dal Presidente Napolitano – Napolitano ! – alla rivista Reset in occasione dell'incarico al Presidente Letta, in cui lui, tra socialismo e liberalismo, tra Einaudi e i suoi antenati politici, dichiara espressamente di stare dalla parte di Einaudi. Senza ombra di dubbio ! E lui è il primo sostenitore di questo nuovo corso. D'altra parte, lo dimostrano anche le dichiarazioni recenti, recentissime, che stiamo andando in quella direzione.
  Al di là, quindi, di infingimenti, siamo ad una svolta storica: stiamo per seppellire la Repubblica democratica antifascista fondata sul lavoro. E ricordandomi il Berlusconi di vent'anni fa, bisogna sostituire alla Repubblica democratica fondata sul lavoro la Repubblica dei cittadini. Questa è una cosa che già abbiamo conosciuto; l'abbiamo conosciuta due secoli fa ! Quindi, noi non stiamo andando verso il futuro, stiamo andando indietro. Questo deve essere chiaro. Si può essere d'accordo o non d'accordo, ma non si può negare la realtà.
  La realtà è cioè che con il Governo Renzi noi stiamo andando verso uno ordinamento statuale, verso un tipo di rapporti sociali e politici che ci riconducono indietro di qualche secolo. E si dice comunque che i mercati esigono questo, perché la situazione italiana è grave.
  E qual è la situazione italiana ? Per l'evasione fiscale, dice l'OCSE, siamo al terzo posto. Per corruzione siamo uno dei Paesi più corrotti d'Europa. Altri organismi dicono per esempio che in materia di libertà di stampa siamo al terzo posto in Europa. Per quanto riguarda il consumo di suolo siamo al 2,8 come media europea e 6,9 in Italia senza che ci sia un aumento della crescita della popolazione. La disoccupazione giovanile è al 43,3 per cento, laddove Germania è al 7,9 e in Europa è al 22 per cento in media. Gli investimenti nel campo della cultura in Italia sono praticamente...noi siamo gli ultimi in Europa, noi italiani. I cervelli sono in fuga: nel 2013 soltanto verso l'Inghilterra si sono trasferiti 44 mila italiani. La diseguaglianza economica e sociale è aumentata; così come è aumentata la sfiducia dei cittadini verso la politica: l'astensionismo che si è manifestato anche nelle ultime elezioni ne è una dimostrazione. Domanda: tutto ciò può essere risolto da coloro e dalle teorie di coloro che questo stato di cose hanno causato ? Questo è il punto ! Perché l'Italia è cresciuta quando queste dottrine e i loro protagonisti erano minoranza ! Questa la verità. Questa è la verità storica !
  E badate che questo programma di riforme o controriforme istituzionali ormai – l'hanno citato già dei colleghi in precedenza, ieri, e mi pare anche stamattina – è il programma addirittura di banche e di banchieri a livello internazionale. La Morgan, che è stata citata e chiamata in causa, in un suo report di 16 pagine del 2013 si riferisce espressamente all'Europa. Cioè, dopo essere stata la prima banca responsabile del dissesto economico, prima in America e poi altrove, con la politica nei confronti dei cittadini che si chiama subprime, cioè ferita a coloro che si trovavano sotto il livello proprio della possibilità di pagare i debiti, si permette di dire che se vogliamo uscire da quella condizione dobbiamo buttare al macero le Costituzioni che ancora sopravvivono in Europa nate nel periodo di abbattimento del fascismo, perché in quelle Costituzioni sono previste tra l'altro tutele per i diritti dei lavoratori e soprattutto la tutela del dissenso. L'impianto, la riforma, la controriforma della Costituzione che oggi si sta facendo è in linea precisa con questo programma politico dei banchieri e dei mercati.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  ARCANGELO SANNICANDRO. Avevo...

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  PRESIDENTE. Aveva dieci minuti, onorevole. Li ha usati, anche. Un minuto per concludere, prego.

  ARCANGELO SANNICANDRO. D'accordo. Quindi concludo dicendo: cerchiamo di essere almeno chiari ed espliciti tra di noi, di non ingannarci Ormai avete varcato il Rubicone: state dall'altro lato, colleghi del PD, è inutile che ci prendiamo in giro. È legittimo ! Il revisionismo che vi ha caratterizzato negli ultimi anni vi ha portati al di là della sponda ! C’è poco da nasconderlo. Quindi almeno siamo onesti, e risparmiamoci tutte queste manfrine e questi discorsetti, questi teatrini sulla capacità decisionale del Governo, o cose di questo tipo: che non hanno nulla a che vedere, perché un Governo più veloce di questo e del precedente non ho mai visto (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Giulio Marcon. Ne ha facoltà.

  GIULIO MARCON. Presidente, signori del Governo, colleghi e colleghe, discutiamo oggi la riforma della nostra Costituzione: in particolare affrontiamo alcuni dei termini che sono rilevanti per la Seconda parte, che sono quelli oggetto della riforma.
  Qualche tempo fa con il Vicepresidente Giachetti abbiamo presentato i discorsi di Calamandrei, insieme alla nipote di Piero Calamandrei abbiamo presentato un piccolo libretto, che ho qui con me; e questo libretto contiene uno dei discorsi appunto pronunciati da Piero Calamandrei, Lo spirito della Costituente. E in particolare c’è un passaggio che con il Vicepresidente Giachetti avevamo condiviso, quando Calamandrei dice: «Nella preparazione della Costituzione – dice Calamandrei – il Governo non ha alcuna ingerenza.
  Il Governo può esercitare per delega il potere legislativo ordinario, ma nel campo del potere costituente non può avere alcuna iniziativa neanche preparatoria. Quando l'Assemblea discuterà pubblicamente la nuova Costituzione – e noi potremmo dire, quando discuterà, in questo caso, la riforma della Costituzione – i banchi del Governo dovranno essere vuoti; estraneo del pari deve rimanere il Governo alla formulazione del progetto, se si vuole che questo scaturisca interamente dalla libera determinazione dell'Assemblea sovrana».
  Ora questa frase, questo passaggio di Calamandrei è molto importante anche perché Calamandrei è stato assunto dal Primo Ministro Renzi come uno dei padri ispiratori del pensiero del Partito Democratico. Ecco sarebbe importante che questo Governo assumesse questo passaggio di Calamandrei come ordinatore dei lavori e della preparazione della riforma costituzionale. Sappiamo che purtroppo è stato esattamente l'opposto: il Governo ha messo le mani pesantemente e ha ispirato i cambiamenti della seconda parte della nostra Costituzione e quindi qui c’è un primo vulnus, un primo vizio di origine con il quale dobbiamo fare i conti.
  Ora noi siamo di fronte addirittura ad un passaggio più grave, quello che è avvenuto nell'autunno del 2011, quando con il Governo Monti si mise mano alla Costituzione, all'articolo 81 si introdusse il pareggio di bilancio sotto forma di equilibrio di entrate e di uscite e diciamo che l'indicazione non venne dal Governo, come sta succedendo anche oggi qui per la riforma della seconda parte della Costituzione, ma venne addirittura dalla Commissione europea, e in particolare da quegli accordi denominati come fiscal compact che imponevano ai Paesi di introdurre il pareggio di bilancio. Ma non lo imponevano per la Costituzione, lo imponevano per le politiche che i Governi dovevano seguire.
  Ecco, il Governo Monti e la legislatura di allora andò oltre alle indicazioni della Commissione europea e introdusse il principio del pareggio di bilancio nella Costituzione. Non c'era stato chiesto ma noi l'abbiamo fatto per essere più ligi di quello che bisognava essere. Allora noi crediamo che questo principio del pareggio di bilancio vada rimosso dall'articolo 81 e non è appunto un caso che Sinistra Ecologia e Pag. 41Libertà, ma penso anche altri deputati presenteranno emendamenti che vanno in questa direzione, e pensiamo che nell'articolo 81 oltre ad essere rimosso il principio del pareggio di bilancio vada invece introdotto un altro principio e cioè che tutte le misure di spesa pubblica, che naturalmente devono tener conto dell'equilibrio economico e finanziario del nostro Paese e non possono essere sostenute senza adeguata copertura, devono però tener conto della salvaguardia dei diritti fondamentali previsti dalla nostra Costituzione, in particolare dei diritti civili e sociali. Anche per questo presenteremo un emendamento specifico su questo tema.
  Il pareggio di bilancio è uno dei principi architrave, dei pilastri delle politiche di austerità. Le politiche di austerità hanno fatto aumentare in questi anni la disoccupazione in modo drammatico in tutta Europa, le politiche di austerità hanno aumentato il debito pubblico. Ricordo che nel 2007 mediamente il debito dell'euro zona a rispetto al PIL era al 65 per cento, oggi il debito pubblico nei Paesi dell'euro zona è superiore al 95 per cento. Quindi non solo quelle politiche hanno fatto sprofondare l'Europa nella crisi e nella sofferenza sociale ma non hanno risolto quel problema dalle quali erano nate e cioè combattere l'aumento del debito pubblico. Ci sembra questo fondamentale e ricordo anche che c’è una mobilitazione nel Paese, c’è una raccolta di firme su un progetto di legge di iniziativa popolare che va in questa direzione, progetto che noi sosteniamo e del quale ci facciamo interpreti proponendo appunto nel corso della discussione, già l'abbiamo fatto in Commissione affari costituzionali ma lo faremo in Aula con più forza, una proposta di cambiamento e di modifica dell'articolo 81.
  Ci sembra questa una strada obbligata e tra l'altro al Governo non costa niente, nessuna sanzione ci sarebbe nella modifica dell'articolo 81, sarebbe un segnale politico, e chiudo sul serio, per dire che l'Italia si sta incamminando su un'altra strada che è la strada del superamento delle politiche di austerità ed è la strada dello sviluppo e della crescita del lavoro che è la cosa di cui abbiamo bisogno oggi ed è la strada sulla quale dobbiamo incamminarci.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Zaccagnini. Ne ha facoltà.

  ADRIANO ZACCAGNINI. Grazie Presidente. Ci troviamo in quest'Aula a discutere del «provvedimento madre», la riforma costituzionale. Non voglio ripetere le cose dette da molti colleghi di SEL e delle opposizioni, anche se ce ne sarebbe la necessità, visto il modo avventuroso, ma sarebbe meglio dire superficiale, con cui si vuole cambiare la nostra Carta. Un tentativo riformatore che porterebbe ad una disarticolazione della divisione dei poteri costituzionali, con la prevalenza dell'esecutivo sul legislativo e un Presidente della Repubblica in pratica membro del Governo.
  Ma voglio riprendere l'intervento del collega Fraccaro di ieri, perché il MoVimento 5 Stelle ha contribuito negativamente, con l'irresponsabilità che lo caratterizza, agli eventi politici che hanno portato alla situazioni in cui ci troviamo. Ho trovato molto interessante e pieno di spunti utili il suo intervento, per una riflessione seria su quali principi ci dovrebbero ispirare se volessimo mettere mano alla Carta, con prudenza e con l'intenzione di fare una buona manutenzione di questa, limando e oliando alcuni meccanismi che gli anni hanno portato a non essere più del tutto efficaci. L'intervento di Fraccaro identifica nella divisione dei poteri il necessario meccanismo per avere un potere che sappia governare, ma a cui non sia permesso di essere dispotico; tratta della contestualizzazione delle costituzioni antifasciste e socialiste, nate per arginare i totalitarismi e che oggi sono ancora argine a nuove forme di dittatura, quella finanziaria; infine, giunge a tratteggiare come approdo migliorativo quello di nuovi strumenti di democrazia partecipativa e diretta.
  Il punto è che, nonostante la buona fede, anche se tutta da dimostrare, del Pag. 42collega Fraccaro, il suo MoVimento 5 Stelle nella pratica misconosce tutte queste belle cose che lui ha esposto. Il MoVimento 5 Stelle è quello che ha fornito un bidone, un bluff, ad una fetta di popolazione anelante al riscatto democratico. Ha concesso un surrogato di democrazia diretta, svilendola e svuotandola del suo vero senso e significato innovatore, invitando i suoi iscritti a ratificare decisioni prese altrove, recuperando sostanzialmente il plebiscitarismo di stampo fascista e populista. Il MoVimento 5 Stelle ha individuato sempre un nemico esterno, ha agito denigrando gli avversari esterni, tutti i suoi critici, anche costruttivi, e il dissenso interno, utilizzando liste di proscrizione di fascista memoria. Non c’è alcun dibattito politico interno ma la legge del più forte, mentre, si sa, la democrazia innanzitutto garantisce le minoranze.
  Il MoVimento 5 Stelle ha sostenuto, quindi, per lungo tempo che non ci debbano essere organi decisionali intermedi al proprio interno per giungere, poche settimane fa, a istituire un direttorio, infrangendo le proprie regole interne, un coordinamento politico interno nominato dal proprio guru tecnico della comunicazione e dal suo proprietario, ratificandolo in modo plebiscitario.
  Dunque, dico tutto questo perché voglio fare emergere le contraddizioni fra il dire e il fare del MoVimento 5 Stelle, perché stona troppo in quest'Aula la posizione sulle riforme del MoVimento 5 Stelle, posizione che, ripeto, è a parole condivisibilissima ma che andrebbe anche attuata con i fatti, con il buon senso nella propria quotidianità, per essere credibile e convincente e per inserirsi legittimamente nel dibattito costituzionale. Invece, è una posizione che va decostruita per amore di verità.
  Per tornare al merito della riforma, in particolare alla parte relativa alla partecipazione attiva della cittadinanza, è evidente che, anche per scongiurare un sempre più forte astensionismo, sono necessari nuovi strumenti di democrazia partecipativa, che possano avvicinare il processo decisionale politico alla cittadinanza e renderla maggiormente attiva e responsabile. Invece, l'articolo 11 modifica le firme necessarie per le leggi d'iniziativa popolare, che non vengono, comunque, mai discusse qui in Parlamento, da 50 mila a 150 mila firme. Noi chiedevamo tempi certi per la loro discussione, ma si rimanda tutto ai regolamenti interni delle Camere. Una chiusura che la dice lunga sull'intenzione della maggioranza di arginare l'astensionismo. Diciamo che, invece, si tenta di mandare in fallimento la democrazia, di logorarla lentamente, come succede per le partecipate, in modo poi da poterle privatizzare. Chissà quale configurazione privatistica immaginano i manovratori legislatori per la democrazia: forse i negoziati segreti stile TTIP ?
  Poi i referendum propositivi sono introdotti ma non si specifica, come invece puntigliosamente si fa per altre cose in questa riforma, il meccanismo che li deve regolare e si rimanda tutto nuovamente ai Regolamenti. Infine, all'articolo 15 si definisce il nuovo quorum variabile per il referendum abrogativo, che favorisce la maggioranza invece che rimanere strumento, come risaputo, più facilmente fruibile per le minoranze. Si raccolgono 800 mila firme e non sarà necessario il quorum legato all'effettiva partecipazione, come da noi proposto, ma un quorum ridotto. Vengono, quindi, facilitati coloro che hanno già una grande struttura politica di riferimento per la raccolta delle firme. Sostanzialmente, il referendum diventa ad uso e consumo della maggioranza.
  Quindi, fra esecutivo che sovrasta il legislativo, Presidente della Repubblica membro del Governo, legge elettorale che crea Governi monocolore, a rischio dispotismo, e allontanamento dei cittadini dalla possibilità di partecipare maggiormente ai processi decisionali della politica, ci troviamo di fronte a una controriforma che commissaria la democrazia e ne avvia il fallimento.
  Il tutto rimarrà in mano a pochi, quindi ad un'oligarchia, perché questa è la nuova forma di Stato che ci accingiamo a ratificare in quest'Aula, anzi, che vi accingete Pag. 43a ratificare. Dimenticavo, il referendum finale, un altro voto plebiscitario in cui non vi è reale scelta fra il tutto, come prima, e questa riforma. La cittadinanza sceglierà sull'onda della propaganda e questa, al momento, è saldamente nelle mani dei pochi manovratori.

  PRESIDENTE. Saluto le alunne e gli alunni dell'Istituto comprensivo statale di Casal Velino, in provincia di Salerno, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi). È iscritta a parlare la deputata Piccione. Ne ha facoltà.

  TERESA PICCIONE. Presidente, questo provvedimento che giunge in Aula è sicuramente un provvedimento straordinario, un provvedimento che non capita frequentemente di esaminare. Infatti, scrivere una Carta costituzionale o revisionarla, come noi ci accingiamo a fare, non è cosa che capita tutti i giorni, anche a parlamentari di lungo corso.
  Sessant'anni, infatti, per una Carta costituzionale non sono molti; sappiamo del contesto in cui essa è nata, della sua capacità di mettere insieme la trama, il tessuto che ha retto la nostra democrazia parlamentare e la nostra Repubblica anche in momenti estremamente bui e drammatici. Penso agli anni del terrorismo, della strategia della tensione, delle stragi di mafia, del conflitto tra poteri che questa Carta ha comunque saputo dirimere mantenendo in piedi istituzioni democratiche a garanzia delle libertà dei cittadini.
  Per questo motivo ho avvertito in me, ma anche, devo dire, in tutti i componenti della Commissione affari costituzionali, il senso della responsabilità e della consapevolezza di stare a lavorare su un testo importante, fondamentale, costitutivo, come semanticamente recita la parola stessa «Costituzione», a base e fondamento dello Stato. Questa responsabilità ha in me maturato un atteggiamento che è stato un atteggiamento di grande prudenza, di volontà di miglioramento del testo nella convinzione che il cambiamento epocale a cui noi oggi siamo esposti, che attraversiamo, impone nuovi ritmi e anche nuove categorie, che, senza sovvertire i principi ispiratori, ci possono condurre ad un nuovo assetto organizzativo più idoneo ai tempi. Tuttavia, nonostante noi mettiamo mano soltanto alla seconda parte, anche questa deve essere attenzionata in modo particolare, perché non è altro che l'espressione di quei principi e quei valori fondamentali, ancora tutti dentro il popolo italiano, che costituiscono l'ordito del Preambolo costituzionale. Allora l'obiettivo di mantenere questi equilibri, di garantire l'agibilità democratica rimane tutto sotteso anche a un esercizio apparentemente tecnico che è la revisione della seconda parte della Costituzione. Mi sono venute alla mente – le ho dette in Commissione – le parole con cui Tacito apre gli Annali, «sine ira et studio», senza acrimonia, senza atteggiamenti preconcetti, senza pregiudizi, ma con tanta accortezza mi accingo a scrivere. E io mi accingevo in Commissione e mi accingo qui in Aula a verificare il lavoro che abbiamo fatto e a presentarlo.
  Io credo che questo sia a garanzia, credo che sia stato l'atteggiamento di tutti in Commissione, delle opposizioni e della maggioranza. Io credo che ci sia stata una grande fase costruttiva che, se non è ovviamente costituente nel senso stretto della parola, ha però sentito il vento attraversarla, almeno nella responsabilità delle proposte emendative, che sono state tutte, a mio avviso, volte al miglioramento del testo che il Senato faticosamente ci ha consegnato.
  E credo che a quest'Aula rimanga ancora del lavoro da fare, nonostante la buona volontà dei commissari, quella eccezionale, devo dire pazientemente provata, dei relatori e l'ascolto che il Governo – diciamo – stretto tra esigenze di natura politica e attenzione alle proposte emendative ci ha destinato. Tutto ciò ha concorso a consegnarci un testo grandemente migliorato.
  Questi miglioramenti voglio sottolinearli perché, secondo me, sono estremamente qualificanti. Il primo è l'intervento sulle materie: delle materie che, secondo il nostro punto di vista, erano improprie al Pag. 44Senato sono ora state riportate alla Camera dei deputati perché politiche. Il secondo è quello che una riformulazione ci ha permesso di fare ancora sulle materie che al Senato erano relative alla politica europea e che, invece, diventano più correttamente relative al rapporto fra i territori e le politiche europee. Il terzo intervento è sul procedimento legislativo e la sua razionalizzazione. Il quarto, a mio avviso fondamentale, è sul voto bloccato.
  Vede, Presidente, quella parte mi aveva quasi spaventata: un provvedimento che arriva alla Camera perché urgente – e questo è nel diritto assoluto di chi governa di avere la necessità che qualcosa venga approvato presto e bene – però quel provvedimento arrivava senza possibilità emendative, senza l'esame in una Commissione referente.
  Allora una cosa è il provvedimento a data certa, sul quale io convengo perché dà una maggiore efficienza e sicuramente una maggiore efficacia all'azione governativa e una celerità di cui sicuramente questo Paese ha bisogno, ma il voto a data certa deve essere compatibile con la possibilità per la rappresentanza dei cittadini di intervenire sul testo, di apportare miglioramenti, suggerimenti. Io credo, infatti, sempre e ancora fortemente che la collettività, la collegialità dell'esame valga sempre più dell'idea di uno.
  L'altro intervento è sul quorum dell'elezione del Presidente della Repubblica. Fedeli alla massima che il potere freni il potere, noi non potevamo consegnare a un solo partito, come la legge elettorale pare delineare, la possibilità di eleggere il Presidente della Repubblica, la più alta delle nostre garanzia a tutela dei diritti dei cittadini e dell'agibilità parlamentare. Io credo che avere corretto quel quorum nella modalità che adesso ritroviamo nel testo fino ad una percentuale dei tre quinti dei votanti nell'ultima votazione sia un gesto alto, molto significativo, come pure l'avere riportato l'elezione dei cinque giudici costituzionali all'interno della seduta comune, perché non ci fossero due giudici eletti da una Camera, tre eletti da un'altra, ma l'elezione fosse un gesto unitario di un collegio unico delle Camere riunite in un grande momento di garanzia.
  Io credo che questi sono risultati enormi, frutto della volontà di tutti. Tutti, lo ripeto, dai relatori, a cui va il mio ringraziamento, ai commissari, a cui va la mia condivisione e solidarietà, non foss'altro per il lavoro oneroso e, a volte, anche carico di tensione che si è verificato all'interno della Commissione e che ha trovato soluzioni, a mio avviso, buone, equilibrate, alla disponibilità del Governo chiamato anche ad altre responsabilità di alleanze, di equilibri con l'altra Camera, con le forze stesse della maggioranza e dei partiti che sostengono la riforma, che si è trovato stretto, a volte, in questa difficile posizione.
  Credo che abbiamo raggiunto un testo equilibrato, non è il testo migliore del mondo, ritengo che ancora in Aula ci siano temi che si possono affrontare e il più alto di tutti a me pare sia quello sul sindacato preventivo della Corte costituzionale sulla legge elettorale, rispetto al quale io sarei propensa ad un automatismo, in modo da non tirare per la giacca la Corte in base alla richiesta di forze politiche, anche minoritarie; ma questo è un tema che sarà ovviamente discusso in Aula. C’è, quello che dicevano i colleghi prima di me, il problema di portare le politiche sociali nella competenza della Camera.
  C’è il tema dell'area vasta che è rimasto fuori, ma che ancora ci dà molte preoccupazioni nell'applicazione di questa riforma necessaria, ma che ovviamente ha bisogno di aggiustamenti. Ci sono anche temi che vanno affrontati nel senso della pulizia del testo; non sposta niente in tema di agibilità democratica, ma io trovo inopportuno prevedere in Costituzione che sia una legge a stabilire i parametri degli emolumenti dei consiglieri regionali, omologati a quelli del sindaco della grande città; mi pare impropria la sede, per quanto possa condividere il merito.
  C’è il tema, poi, legato a tutto il Titolo V, in particolare, mi voglio riferire a due articoli. L'articolo 177, lettera e), dove si Pag. 45esplicita l'azione perequativa dello Stato in merito alle risorse finanziarie. È il cuore, lo dico da parlamentare meridionale, da convinta meridionalista. Io sono convinta che tutti i Governi che ci hanno preceduto non hanno fatto abbastanza per superare il divario tra il Nord e il Sud. Io ho presentato un ordine del giorno al disegno di legge stabilità, che il Governo ha accolto, in cui impegno a spendere i fondi del PAC, anche con il potere sostitutivo del Governo, perché non voglio sottrarmi alle responsabilità e alle colpe di governi meridionali inefficienti, ma quei soldi vanno spesi al Sud, non possono essere destinati ad altri territori, perché altrimenti questo divario non finirà mai.
  Non è un problema solo di soldi; anche il tema delle macroregioni mi preoccupa per il Meridione, non perché io sia contraria alle macroregioni – penso che sul piano dell'efficienza siano assolutamente positive – ma cosa farà un coacervo di regioni povere ? I ricchi con i ricchi, e i poveri con i poveri. Avremo una bella società di svantaggiati. Allora se non risolviamo questo problema, mi sembra pericoloso anche parlare di macroregioni.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  TERESA PICCIONE. Credo che all'articolo 119, quando si inserisce il finanziamento degli enti locali, delle risorse che garantiscono i servizi sulla base di indicatori di costo e di fabbisogno che promuovono condizioni di efficienza, vadano aggiunti i livelli essenziali delle prestazioni, perché, come ho già detto in Commissione, una camera iperbarica a Favignana non può avere lo stesso costo della camera iperbarica a Milano o a Palermo.
  Va, a mio avviso, razionalizzata la spesa, ma vanno anche garantiti a tutti i cittadini uguali diritti. Penso che abbiamo fatto un grande lavoro – mi avvio alla conclusione, Presidente – e che siano stati raggiunti alcuni fondamentali obiettivi, già con il testo che consegniamo all'Aula: migliorare l'efficienza della nostra democrazia; mantenere la centralità del Parlamento; consentire allo stesso tempo all'Esecutivo di governare con maggiore forza, ma non a scapito della rappresentanza; garantire l'equilibrio tra i poteri e la terzietà degli organi di garanzia. Buon lavoro a tutti i parlamentari (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico) !

  PRESIDENTE. Saluto gli studenti e le studentesse dell'Istituto comprensivo statale «Via XVI Settembre» di Civitavecchia, in provincia di Roma, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
  Sospendo la seduta, che riprenderà alle 15 per lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata. La discussione sulle linee generali del provvedimento in esame proseguirà a partire dalle ore 16.

  La seduta, sospesa alle 13,10, è ripresa alle 15.

Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata, alle quali risponderanno il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, il Ministro della giustizia, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ed il Ministro dello sviluppo economico.

(Ritiro dell'interrogazione Bosco n. 3-01225)

  PRESIDENTE. La prima interrogazione all'ordine del giorno è la n. 3-01225 del deputato Bosco.
  Avverto che l'interrogazione è stata ritirata dal presentatore.

(Iniziative di competenza in relazione alla situazione dell'azienda Sofiter e misure volte a evitare il rischio di disimpegno dei fondi della politica agricola comune relativi alla programmazione 2007-2013 – n. 3-01226)

  PRESIDENTE. Il deputato Franco Bordo ha facoltà di illustrare per un Pag. 46minuto la sua interrogazione n. 3-01226, concernente iniziative di competenza in relazione alla situazione dell'azienda Sofiter e misure volte a evitare il rischio di disimpegno dei fondi della politica agricola comune relativi alla programmazione 2007-2013 (Vedi l'allegato A – Interrogazioni a risposta immediata).

  FRANCO BORDO. Signora Presidente e signor Ministro, la Sofiter conta 150 dipendenti e da più di vent'anni fornisce servizi per l'erogazione dei fondi comunitari in agricoltura. L'attività di questa società dipende dal rapporto con soggetti pubblici come Agea o società partecipate come Sin Spa. In particolare, i lavoratori svolgono un ruolo fondamentale nella gestione di un servizio complesso, utile a gestire tutto il flusso amministrativo finalizzato all'erogazione dei pagamenti previsti dalla politica agricola comune, coinvolgendo la maggioranza delle regioni. I lavoratori oggi sono stati sottoposti ad un lungo periodo di contratto di solidarietà e cassa integrazione, durante il quale la retribuzione non è mai stata regolare. Nonostante questo, hanno sempre responsabilmente eseguito i loro compiti, operandosi per evitare la perdita dei fondi comunitari; ma a fine novembre hanno dovuto indire uno stato di agitazione per richiedere il pagamento di mensilità arretrate. Ora alcune sono state pagate, lo sciopero è stato interrotto, ma le problematiche sono ancora tutte aperte.

  PRESIDENTE. Grazie onorevole Bordo.
  Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, Maurizio Martina, ha facoltà di rispondere, per tre minuti.

  MAURIZIO MARTINA, Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. Signora Presidente, la Sofiter in effetti versa da tempo in uno stato di crisi. La delicata situazione della società è stata costantemente oggetto di attenzione da parte di Agea nell'anno in corso e, proprio in ragione di queste difficoltà, più volte rappresentate, sono state rivolte direttive a Sin Spa per assicurare alla società la liquidità necessaria, in particolare, per il pagamento degli emolumenti al personale, cui sono seguite deliberazioni in tal senso anche da parte del consiglio di amministrazione di Sin.
  Da ultimo, in seguito alla proclamazione del nuovo stato di agitazione dei dipendenti, l'Agea ha nuovamente richiesto a Sin, rammentando le gravi responsabilità per i danni erariali derivanti dal disimpegno delle somme europee, l'attivazione di ogni iniziativa nei confronti del raggruppamento temporaneo di imprese per l'immediato ripristino dell'operatività dei servizi prestati dalla società.
  A questo riguardo occorre precisare che Sin, per corrispondere alla richiesta dell'Agea e superare le difficoltà rappresentate, ha prontamente attivato iniziative da cui è derivata la cessazione dello stato di agitazione dei dipendenti Sofiter ed il pagamento degli arretrati stipendiali, reso possibile dall'incasso, da parte di Sofiter, di crediti vantati nei confronti di altre società del raggruppamento temporaneo di imprese.
  Inoltre, Sin ha predisposto un piano per recuperare i ritardi, con il rafforzamento degli addetti in aggiunta al gruppo di lavoro, per incrementare l'operatività ed assicurare lo svolgimento delle istruttorie per l'erogazione degli aiuti nel settore dello sviluppo rurale. In questo modo, le problematiche rilevate sono state oggettivamente superate ed i ritardi accumulati sono stati assorbiti.
  Quanto all'ulteriore iniziativa messa in atto per evitare il rischio disimpegno, è bene ricordare che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, anche attraverso l'assistenza tecnica continua assicurata dalla rete rurale nazionale, supporta costantemente le regioni, in particolare le autorità di gestione dei programmi di sviluppo rurale, che in ogni caso rimangono gli unici soggetti responsabili della spesa e dei tempi di attuazione di questi importanti strumenti di intervento nel settore agricolo, cofinanziati dall'Unione europea attraverso i FESR.

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  PRESIDENTE. Il deputato Franco Bordo ha facoltà di replicare.

  FRANCO BORDO. Signor Ministro, la sua risposta è puntuale per quanto riguarda gli aspetti di queste settimane o dei mesi precedenti sulla questione Sofiter.
  Però questa vicenda ci mette in luce la problematica grande e importante del sistema dei pagamenti in agricoltura. Oggi abbiamo una sorta di matrioska. Quasi quasi possiamo dire che ci sono rivoli di denaro pubblico destinati all'agricoltura che forse non sappiamo bene dove vanno. Allora, razionalizzare l'intero sistema di pagamenti eliminando le inefficienze, rendere più efficienti i processi e i servizi resi alle imprese del settore agricolo, in modo da snellire le procedure, rendere più veloci i pagamenti e qualificare la spesa pubblica di settore, riducendo, peraltro, i costi di funzionamento, forse anche quantificabili in più di 10 milioni di euro a regime: questo ci attendiamo da lei, signor Ministro, e dal suo Governo.
  Per quanto riguarda la vicenda Sofiter, però, devo dire che permane l'assoluto silenzio da parte dell'azienda sulle condizioni economiche appunto, anche sulle prossime mensilità, sulla tredicesima, sul collocamento dei lavoratori che erano fino a poco tempo fa in cassa integrazione. Io spero che con questi lavoratori, non da parte sua direttamente, ovviamente, ma comunque lavoratori, uomini e donne in carne e ossa, non si stia e non si voglia anticipare l'effetto del Jobs Act.

(Intendimenti del Ministro della giustizia in merito allo scioglimento del Consiglio dell'ordine degli avvocati di Roma – n. 3-01227)

  PRESIDENTE. Il deputato Mazziotti Di Celso ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-01227, concernente intendimenti del Ministro della giustizia in merito allo scioglimento del Consiglio dell'ordine degli avvocati di Roma (Vedi l'allegato A – Interrogazioni a risposta immediata), per un minuto.

  ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO. Grazie Presidente, signor Ministro, i fatti sono abbastanza semplici. Alla fine del 2012 è stato fatto un esposto al Consiglio nazionale forense che denunciava delle gravi irregolarità del Consiglio dell'ordine di Roma. Il Consiglio ha trasmesso gli atti al Ministero della giustizia, che nel 2013 è stato delegato a portare avanti l'indagine. All'esito di questa indagine, a marzo del 2014, il Consiglio nazionale forense, come previsto dalla legge, ha chiesto lo scioglimento del Consiglio dell'ordine degli avvocati di Roma. La ragione di questa interrogazione è che, essendo trascorsi ormai otto mesi dalla richiesta ed essendo imminenti le elezioni, che sono state indette, tra l'altro, in anticipo rispetto alla tradizione, cioè a metà gennaio, è importante chiarire la situazione. Io sono un iscritto dell'ordine di Roma, tra l'altro, e credo che non si possa andare alle elezioni con l'incertezza su questo tema. Se i fatti sono veri, bisogna sciogliere il Consiglio; se, invece, il Ministero nei suoi accertamenti ha riscontrato qualcosa di diverso, allora provveda in senso negativo perché non si può portare un corpo elettorale a votare con un'incertezza di questo tipo.

  PRESIDENTE. Il Ministro della giustizia, Andrea Orlando, ha facoltà di rispondere.

  ANDREA ORLANDO, Ministro della giustizia. Signor Presidente, la problematica relativa alla proposta di scioglimento dell'ordine forense degli avvocati di Roma è stata oggetto di un'approfondita disamina ministeriale nell'immediatezza dei suoi accadimenti. Il Consiglio nazionale forense, in seguito all'esposto presentato il 4 luglio 2012 da alcuni avvocati romani, ha avviato un'indagine ispettiva nei confronti dell'ordine di Roma. Le risultanze di questi accertamenti sono state sottoposte al vaglio della competente articolazione ministeriale. All'esito di questa istruttoria, non sono state ravvisate le ipotesi di scioglimento del Consiglio previste dalle lettere a) e b) di cui al citato articolo 33 della legge n. 247 del 2012, non ricorrendo Pag. 48né l'impossibilità di funzionamento dell'organo (previsto alla lettera a)), né l'inadempimento di obblighi prescritti dalla legge (lettera b)), attagliandosi quest'ultima previsione alla violazione di specifici obblighi istituzionali dell'organo, enumerati all'articolo 29 della stessa legge, in tema di compiti e prerogative del Consiglio. I fatti, quindi, potrebbero in astratto essere riconducibili alla diversa ipotesi di cui alla lettera c), che prevede lo scioglimento del Consiglio ove ricorrano altri gravi motivi di rilevante interesse pubblico. Tuttavia, pur a fronte dell'obiettiva gravità dei fatti, non è stata riscontrata la ricorrenza di tale presupposto, anche per la mancanza dell'attualità del rilevante interesse pubblico, necessaria all'adozione della misura proposta.
  Inoltre, come emerso dagli atti acquisiti, il tempo necessario alla compiuta istruttoria, istituzionalmente demandata al Consiglio nazionale forense, e alla formulazione della successiva proposta di scioglimento, hanno significativamente ridimensionato il requisito della concretezza ed attualità dei gravi motivi di interesse pubblico. Infatti, medio tempore talune anomalie riscontrate, quali, ad esempio, l'esaurimento degli effetti dei contratti stipulati in violazione di legge, sono venute meno, anche per iniziative assunte dall'ordine stesso che, giungendo anche a sanatoria di alcune irregolarità, hanno ulteriormente escluso l'attualità dell'interesse.
  Ricordo peraltro che lo scioglimento dell'ordine è misura non già sanzionatoria ma funzionalmente legata al perdurare della sussistenza di una situazione di stallo operativo non altrimenti eliminabile. Le sanzioni previste dall'ordinamento sono altre. Lo scioglimento è una misura di carattere funzionale quando ci si trovi di fronte ad un'impossibilità di far operare la struttura. In tale prospettiva è stata positivamente considerata l'intervenuta approvazione da parte dell'ordine di Roma, nell'adunanza del 26 settembre 2013, del regolamento in materia di reclutamento del personale, circostanza questa che evidenzia la ripresa di un'attività funzionale dell'ente. In mancanza, pertanto, dei requisiti di legge previsti per lo scioglimento richiesto, non si è ritenuto di dare corso ulteriore alla proposta del Consiglio nazionale forense.
  Rilevo, peraltro, che anche il procedimento penale a carico del presidente dell'ordine degli avvocati di Roma per il reato di abuso di ufficio contestato in relazione alle vicende rappresentate è stato definito con sentenza di assoluzione dal GUP in data 6 novembre 2014.
  In ogni caso resta ferma l'attenzione del Ministero sull'ordine forense romano tanto più in un passaggio delicato come quello delle prossime elezioni, anche anticipando e mettendo in atto lo spirito del nuovo regolamento che il Ministero ha licenziato. In questo senso assicuro tutta la massima attenzione affinché il passaggio elettorale si realizzi sotto la massima attenzione e secondo i criteri di massima trasparenza.

  PRESIDENTE. Il deputato Mazziotti Di Celso ha facoltà di replicare.

  ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO. Grazie, signor Ministro, in particolare per la chiarezza, perché era necessario fare chiarezza su questi aspetti. Devo dire che l'unico punto che mi lascia perplesso delle considerazioni che ha appena svolto è quello sulla natura del provvedimento perché il fatto stesso che lo scioglimento sia previsto per gravi inadempimenti dei doveri del consiglio dimostra che non si tratta di una misura che ha solo come funzione quella di assicurare proprio il funzionamento dell'ordine, ma anche quella di evitare in via provvisoria quanto meno che il consiglio dell'ordine sia gestito e continui ad essere gestito in presenza di irregolarità. Sulla qualifica, il riferimento alla lettera b) o alla lettera c) non mi risulta che ci sia una giurisprudenza in quel senso, ma questa è una valutazione che il Ministero può fare sicuramente. Credo però che la natura del provvedimento non sia soltanto quella di assicurare il funzionamento di un organo che non funziona perché anche un organo che funziona irregolarmente funziona. Quindi Pag. 49la valutazione del Ministero dovrebbe essere se ci sono state irregolarità oppure no, a prescindere dal fatto che siano state immediatamente sanate o sanate o se se ne protraggano ancora gli effetti. Questo è il tipo di funzione che ha sempre avuto l'intervento di scioglimento nelle interpretazioni che ne sono state date.
  Per quel che riguarda i fatti, non avendo svolto io indagini specifiche sull'argomento, non posso che prendere atto di quello che ha detto il Ministro.

(Iniziative volte a promuovere l'affidamento condiviso dei figli nel caso di separazione dei genitori – n. 3-01228)

  PRESIDENTE. La deputata Binetti ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-01228 concernente iniziative volte a promuovere l'affidamento condiviso dei figli nel caso di separazione dei genitori (Vedi l'allegato A – Interrogazioni a risposta immediata) per un minuto.

  PAOLA BINETTI. Ci sono degli importanti studi che sono stati fatti recentemente sia negli Stati Uniti sia in nord Europa che dimostrano come un affidamento congiunto effettivo in cui vi sia il bilanciamento dell'attenzione, dell'interesse, della presa in carico di ognuno dei due genitori, del padre e della madre, garantisce al bambino un pieno sviluppo delle sue capacità sia nel momento in cui deve affrontare la sua vita d'infanzia sia successivamente quando diventerà adulto. In Italia in realtà questa pratica, anche se esiste formalmente una pratica di affidamento condiviso, di fatto viene sistematicamente disattesa e il bambino viene affidata all'uno o all'altro dei genitori, prevalentemente alla madre, ma senza che possa garantirsi nella prospettiva dei diritti del bambino la possibilità di fare riferimento a entrambi i genitori.

  PRESIDENTE. Il Ministro della giustizia, Andrea Orlando, ha facoltà di rispondere.

  ANDREA ORLANDO, Ministro della giustizia. Signor Presidente, il tema che è stato affrontato dall'onorevole Benetti nel question time di oggi pone in evidenza delle problematiche molto delicate, che attengono alle modalità di affido idonee ad assicurare al minore una bigenitorialità effettivamente paritetica; un assetto tale da garantire, al contempo, le esigenze di crescita in un ambiente sereno ed equilibrato.
  Ad essere messa in discussione non credo sia tanto la portata innovativa della legge n. 54 del 2006, con l'introduzione dell'affidamento condiviso dei figli minori, appunto, come forma legale di affidamento; oggetto di valutazione sono, invece, quelle prassi applicative che, a parere dell'interrogante, sembrerebbero poter snaturare la bigenitorialità, svuotando così di contenuto l'istituto.
  Ritengo opportuno ricordare come l'articolo 337-ter del codice civile, inserito dal decreto legislativo n. 154 del 2013, abbia previsto il diritto per il minore di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, unitamente al diritto di ricevere cure, educazione, istruzione ed assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Questa disposizione istituzionalizza e riconosce una vera e propria posizione soggettiva del minore, che diviene così, iure proprio, titolare dei diritti indicati dalla norma, con la conseguenza di una recessione dell'interesse dei genitori rispetto a quello del minore ad una piena ed integrale ricostruzione dei rapporti pregiudicati dalla conflittualità.
  In questo contesto, la disciplina vigente non prevede un obbligo dell'autorità giudiziaria di disciplinare le concrete modalità dell'affidamento condiviso secondo un modello paritetico, ma assegna al giudice il compito di dettare, caso per caso, una volta sentite le parti del minore, le concrete modalità di affidamento. L'applicazione di modalità paritetiche di affidamento condiviso non è, quindi, riconducibile ad un modello unitario standardizzato, non solo per la peculiarità degli Pag. 50interessi coinvolti e della varietà delle situazioni di fatto che giungono all'attenzione dell'autorità giudiziaria, ma anche perché la decisione perviene a seguito di un'istruttoria nella quale è l'atteggiarsi dell'assetto concreto della fattispecie a determinare la scelta del giudicante. In effetti, le modalità paritetiche di affidamento condiviso risultano essere nella prassi una soluzione minoritaria, tuttavia ciò è connaturato alla necessaria elasticità del modello di affido, in ragione del doveroso adattamento della fattispecie alle risultanze dell'istruttoria compiuta. Ciò non toglie come l'autorità giudiziaria possa sempre disporre, ove all'esito degli elementi acquisiti lo ritenga utile per il benessere del minore, un affidamento condiviso anche secondo modalità paritetiche, condizione questa che presuppone necessariamente la disponibilità e la capacità di entrambi i genitori di farsi carico delle esigenze e dei bisogni materiali ed affettivi del bambino.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  ANDREA ORLANDO, Ministro della giustizia. Dagli elementi in possesso dai miei uffici, risulta, peraltro, che gli studi di specialisti e di esperti psicologi in materia di bigenitorialità sono, allo stato, controversi e non univoci sul tema e che, in ragione della sua delicatezza e rilevanza sociale, assicuro sono alla costante attenzione del mio Ministero. Credo che un'opportuna verifica potrà essere realizzata anche in sede della riforma delle competenze dei tribunali dei minori, che è contenuta nella delega che è stata varata dal Consiglio dei ministri e che prevede la costituzione del tribunale della famiglia e della persona. In quella sede, io credo sarà opportuno, sarà, comunque, mia cura una ricognizione, anche per consentire al Parlamento le più opportune valutazioni, del funzionamento di queste strutture e di come un'innovazione normativa, può, eventualmente, produrre degli effetti positivi.

  PRESIDENTE. La deputata Binetti ha facoltà di replicare.

  PAOLA BINETTI. Signor Presidente, ringrazio il Ministro e sicuramente mi considero soddisfatta della risposta, soprattutto nella prospettiva e nella speranza che il prossimo tribunale della famiglia sia in grado di dare risposte integrate molto più complete e più efficaci. Non c’è dubbio che alcune questioni recenti, per esempio, l'aver ridotto i tempi del divorzio, l'essere approdati ad un divorzio breve e veloce, mette il bambino nella condizione di separazione molto precoce dai due genitori e, quindi, anche la necessità di mantenere la biunivocità delle due figure parentali – la madre e il padre – con specifiche esigenze, con specifici modi di rapportarsi, sia un elemento di particolare importanza rispetto al suo sviluppo concreto.
  Non c’è dubbio che ci siano casi differenti, ha prettamente ragione il Ministro quando dice che bisogna valutare caso per caso. Penso, ad esempio, al caso di un padre abusante: anche soltanto il sospetto di essere un padre abusante, certamente, non rende favorevole non solo l'affidamento condiviso, ma, probabilmente, richiede anche la necessità di porre delle barriere difensive e di tutela nei confronti dei bambini.
  Ogni caso è un caso, però è certo che gli studi attuali che abbiano un fondamento scientifico sufficientemente rigoroso propendono per la garanzia.
  Faccio presente al Ministro che gli studi che sono stati fatti, per esempio, in Svezia, dove, comunque, evidentemente, separazioni e divorzi hanno un indice di diffusione di gran lunga maggiore che da noi, dove pure il numero delle separazioni ha raggiunto quasi il numero dei matrimoni e raggiunge i 164 mila casi di ragazzi analizzati in modo prospettico, confermano in realtà quanto sia importante nello sviluppo del bambino il potere far riferimento in maniera equilibrata all'uno e all'altro dei genitori. Ciò in tempi e in modi forse diversi a seconda dell'età e dello sviluppo, ma sempre e comunque avendo presente che i suoi genitori sono due e che è proprio nella valutazione del rapporto tra entrambi e con entrambi che Pag. 51va maturando il suo livello di autonomia e il suo livello di capacità e di responsabilità, ma anche la sua sicurezza personale sul piano affettivo e, quindi, anche la garanzia di poter essere un soggetto capace di prendere delle decisioni, sentendosi sufficientemente sicuro e garantito.

(Iniziative per favorire la fine della guerra civile e la riconciliazione nazionale in Libia – n. 3-01229)

  PRESIDENTE. Il deputato Nicoletti ha facoltà di illustrare l'interrogazione Amendola n. 3-01229 concernente iniziative per favorire la fine della guerra civile e la riconciliazione nazionale in Libia (Vedi l'allegato A – Interrogazioni a risposta immediata), di cui è cofirmatario, per un minuto.
  Onorevoli Nicoletti, cambi microfono, cambi postazione.

  MICHELE NICOLETTI. Grazie Presidente, signor Ministro, la Libia, un Paese a noi prossimo con il quale condividiamo importanti interessi strategici, si trova ormai da alcuni mesi devastato da una guerra civile in cui si fronteggiano due governi che non riconoscono la reciproca legittimità.
  Autorevoli analisti paventano la possibilità che la Libia orientale possa trasformarsi in un immenso campo di addestramento per miliziani terroristi. L'Italia non ha solo interessi strategici, ma un particolare e delicato ruolo storico in Libia, riconosciuto dalla popolazione e provato dal fatto che è rimasto l'unico Paese occidentale ad aver mantenuto attiva e operativa l'ambasciata di Tripoli, imprescindibile supporto logistico alle iniziative di mediazione da parte dell'ONU. Il nostro Paese è riuscito a mantenere un'interlocuzione viva e credibile con quasi tutti gli attori politici e militari.
  Chiediamo quali iniziative il Governo di fronte a questa situazione intenda intraprendere, autonomamente e/o di concerto con gli altri partner europei, per favorire la fine della guerra civile, un percorso di riconciliazione nazionale e il ristabilimento di istituzioni funzionanti e per assicurare, con la stabilizzazione del Paese, anche la sua unità politica.

  PRESIDENTE. Il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Gentiloni Silveri, ha facoltà di rispondere.

  PAOLO GENTILONI SILVERI, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Grazie Presidente, io condivido la preoccupazione degli interroganti e, naturalmente, condivido quanto diceva l'onorevole Nicoletti sull'importanza che la Libia ha per l'Italia, per ragioni geografiche, storiche, economiche, pensiamo agli approvvigionamenti energetici, e per ragioni legate ai flussi migratori. Non dimentichiamo che circa il 90 per cento dei 170 mila migranti che sono approdati nelle nostre coste quest'anno hanno attraversato la Libia. Lo scontro in atto non produrrà vincitori, una divisione della Libia in due non è accettabile, i rischi di terrorismo in alcune zone e il diffondersi di controllo terrorista su alcune zone ci sono molto presenti.
  Quali iniziative fare ? L'unico gioco che si può svolgere, oggi, è il gioco di sostegno alla mediazione delle Nazioni Unite, eventualmente rilanciandola, rafforzandola, dandogli più peso politico internazionale. Solo un inizio di successo del percorso di riconciliazione avviato dalle Nazioni Unite può consentire, poi, all'Italia o ad altri Paesi, di dare un contributo in termini di monitoraggio o di peacekeeping, ma abbiamo bisogno di una base iniziale per poter poi dare il nostro contributo.

  PRESIDENTE. La deputata Lia Quartapelle, cofirmataria dell'interrogazione, ha facoltà di replicare.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Presidente, Ministro, siamo molto soddisfatti della sua risposta e la ringraziamo per aver delineato in modo così puntuale il ruolo dell'Italia in un contesto tanto delicato e strategico per il nostro Paese.Pag. 52
  Tre sono i punti che ci sembrano particolarmente interessanti della sua risposta. Il primo è il «no» alla tentazione di appoggiarsi solo ad un alleato interno o solo ad un alleato regionale, ma di intraprendere, infatti, un tentativo che tenga insieme tutte le parti, sia regionali che interne; il secondo elemento, il fatto di battere la strada duratura, complessa, della riconciliazione nazionale; e il terzo elemento, il più importante di tutti, il supportare con contenuti, ed eventualmente anche con strumenti più forti rispetto a quelli che sono già oggi in campo, il mandato del mediatore dell'ONU, Bernardino León, eventualmente rafforzandone anche il mandato in sede di Consiglio di sicurezza. Grazie mille.

(Elementi in merito all'attivazione della procedura di arbitrato internazionale in relazione alla vicenda dei due militari italiani sottoposti a procedimento giudiziario in India – n. 3-01230)

  PRESIDENTE. Il deputato Cirielli ha facoltà di illustrare l'interrogazione Rampelli n. 3-01230, concernente elementi in merito all'attivazione della procedura di arbitrato internazionale in relazione alla vicenda dei due militari italiani sottoposti a procedimento giudiziario in India (Vedi l'allegato A – Interrogazioni a risposta immediata), di cui è cofirmatario, per un minuto.

  EDMONDO CIRIELLI. Presidente, signor Ministro, il 12 febbraio saranno tre anni che due nostri militari, Latorre e Girone, sono stati sequestrati ed illegittimamente trattenuti in India. Di fronte a questa palese violazione del diritto internazionale, violazione dei diritti umani, perché sono ancora lì ristretti senza un provvedimento, un capo di imputazione, perfino in violazione del diritto indiano, l'Italia ha avuto un comportamento assolutamente inadeguato.
  Tralascio quello che riteniamo un autentico tradimento del Governo Monti, le cui responsabilità, anche in sede di reati ministeriali, andranno accertate quando questa vicenda sarà chiusa. Di fronte a un ennesimo schiaffo in faccia da parte della giustizia indiana – ma direi della politica indiana –, il nostro Governo ha mantenuto una linea assolutamente insufficiente. Lei è Ministro da un mese e mezzo solo; sappiamo che ha già preso una posizione chiara, ma il detto del Presidente del Consiglio Renzi, un anno fa quasi, «farò semplicemente di tutto» – e invece non ha fatto ancora niente – grida assolutamente giustizia.

  PRESIDENTE. Il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Gentiloni Silveri, ha facoltà di rispondere.

  PAOLO GENTILONI SILVERI, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Presidente, io condivido con gli interroganti la sottolineatura della gravità della situazione in cui ci troviamo. La decisione presa ieri dalla Corte suprema indiana è una decisione grave, anche perché si trattava di richieste di natura evidentemente umanitaria: la richiesta per il fuciliere Latorre di poter continuare a svolgere in Italia le cure a cui è sottoposto e la richiesta per il fuciliere Girone di poter trascorrere un breve periodo di tempo, anche in occasione delle vacanze, in Italia.
  Il fatto che dopo tre anni di ritardi e rinvii la Corte abbia respinto anche queste richieste umanitarie, è per noi davvero grave. Per questo, come ho annunciato stamattina alle Commissioni riunite, il Governo ha deciso di richiamare per consultazioni urgenti il nostro ambasciatore a Nuova Delhi.
  Voglio rassicurare gli interroganti – anche se stiamo parlando di una questione molto difficile e complessa, quindi la rassicurazione è sull'impegno, naturalmente – sul fatto che l'impegno del Governo è totale, che stiamo considerando i passi successivi, che in questi passi successivi considereremo le diverse opzioni, incluso l'arbitrato internazionale, su cui prenderemo una decisione nei prossimi giorni, e che, come concordato stamattina con le Pag. 53Commissioni, il Governo informerà in modo continuo il Parlamento, maggioranza e opposizioni, attraverso gli strumenti che ci daremo, dell'evoluzione di una questione che non riguarda soltanto il Governo ma riguarda il Paese intero.

  PRESIDENTE. Il deputato Cirielli ha facoltà di replicare.

  EDMONDO CIRIELLI. Signor Ministro, io, come ho detto, le do atto che da neanche due mesi si occupa di questo tema e lo sta facendo anche con il piglio giusto, ma sono tre anni che questa linea politica che il Governo Renzi ha continuato e ha proseguito non ha ottenuto nessun risultato.
  Di fatto siamo all'anno zero, dobbiamo iniziare adesso la controversia internazionale, le chiediamo quindi in tempi rapidi non soltanto di denunciare di fronte l'opinione pubblica internazionale il comportamento vergognoso dell'India con l'apertura dell'arbitrato internazionale, ma chiediamo anche passi conseguenti: l'Italia deve assolutamente, in maniera graduale, abbandonare le missioni internazionali, che sono a vantaggio anche dell'India a cominciare da quelle nell'Oceano indiano che sono esclusivamente quasi a vantaggio dell'India.
  Poi abbiamo il dovere, visto che sia la NATO che l'Unione europea e gli alleati americani non hanno fatto abbastanza, anche di portare la vicenda davanti alla legalità internazionale, avanti all'ONU, perché non è che soltanto perché l'Italia è un Paese pacifico e civile può subire, nell'indifferenza generale – probabilmente per una scarsa considerazione dei Governi degli ultimi tre anni da parte della comunità internazionale – l'affronto della indifferenza della comunità internazionale, dell'ONU, dove ricordo noi siamo tra i primi dieci finanziatori.
  Chiediamo giustizia, chiediamo che l'Italia possa far rispettare il diritto internazionale e porre fine a questa autentica violenza ai danni di due nostri militari che erano lì proprio per difendere la legalità e la pace internazionale.

(Iniziative volte a promuovere lo sfruttamento delle risorse geotermiche – n. 3-01231)

  PRESIDENTE. Il deputato Abrignani ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-01231, concernente iniziative volte a promuovere lo sfruttamento delle risorse geotermiche (Vedi l'allegato A – Interrogazioni a risposta immediata).

  IGNAZIO ABRIGNANI. Grazie Presidente, grazie signor Ministro, la geotermia è una energia pulita, così ci dice anche Legambiente, è un'energia che abbiamo nel nostro Paese, è un'energia rinnovabile. Però, essendo anche una energia nuova, ha bisogno di sperimentazione.
  Sono state presentate da tempo istanze che non hanno però, ad oggi, ottenuto autorizzazioni, su risorse geotermiche già note proprio per procedere alla sperimentazione e al rilancio della geotermia in tutto il Paese.
  Bene, chiediamo al Governo, da parte del quale aspettiamo ancora le linee guida proprio sulla geotermia, cosa intende fare, cosa può fare. Noi stessi avevamo presentato un emendamento che aveva cercato di riportare, soltanto per questi impianti pilota, la competenza al centro, cioè al suo Ministero, al fine di farli partire e poi ritornare, così come è previsto oggi, alle regioni, ma questo emendamento non è stato accolto.
  Allora, chiediamo a lei Ministro di sapere, con questa interrogazione, cosa intende fare il Governo per avviare le procedure per un rapido e celere inizio della sperimentazione della geotermia in Italia che riteniamo, tra l'altro, inserita dal Governo tra le energie da sviluppare nel nostro Paese.

  PRESIDENTE. La Ministra dello sviluppo economico, Federica Guidi, ha facoltà di rispondere.

  FEDERICA GUIDI, Ministro dello sviluppo economico. Grazie Presidente, rispondo all'onorevole Abrignani dicendo Pag. 54che, come sa, il decreto legislativo dell'11 febbraio 2010, n. 22, ha previsto che, al fine di promuovere la ricerca e lo sviluppo di nuove centrali geotermoelettriche a ridotto impatto ambientale sono considerati di interesse nazionale i fluidi geotermici a media ed alta entalpia finalizzati alla sperimentazione, su tutto il territorio nazionale, di impianti pilota con reiniezione del fluido geotermico nelle stesse formazioni di provenienza e con potenza nominale installata non superiore ai 5 megawatt per ciascuna centrale. Lo stesso decreto ha stabilito che possono essere conferiti titoli minerari per un impegno complessivo autorizzabile non superiore ai 50 megawatt.
  Allo stato attuale sono state ricevute istanze sino a coprire la potenza massima prevista, nuove istanze possono essere accettate solo con riserva.
  Relativamente ai procedimenti amministrativi, evidenzio che, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del citato decreto, il permesso di ricerca a carattere esclusivo è rilasciato dall'autorità competente ad operatori in possesso di adeguata capacità tecnica ed economica, contestualmente all'approvazione del programma dei lavori allegato alla domanda ed a seguito di un procedimento unico svolto nel rispetto dei principi di semplificazione cui partecipano le amministrazioni interessate.
  Nel caso di sperimentazione di impianti pilota l'autorità competente è il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che acquisiscono anche l'intesa con la regione interessata. Ai sensi dell'articolo 6, comma 1, la concessione per la coltivazione delle risorse geotermiche riconosciute di interesse nazionale o locale è rilasciata dall'autorità competente, analogamente a quanto previsto per il permesso di ricerca, con provvedimento che implica l'esito positivo di un procedimento unico.
  Anche nel caso di sperimentazione di impianti pilota, le autorità competenti sono il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell'ambiente, che acquisiscono l'intesa con la regione interessata.
  Nel caso degli impianti pilota, i relativi titoli minerari sono rilasciati sentita anche la Commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie. Sempre per gli stessi impianti, l'autorità stabilisce anche le condizioni e le modalità con le quali è fatto obbligo al concessionario di procedere alla coltivazione dei fluidi geotermici in caso di esito positivo della ricerca. Ciò introduce, a mio parere, già una certa notevole semplificazione procedurale e consente di accelerare il processo autorizzativo delle istanze presentate e di assicurare pertanto anche un veloce sfruttamento delle risorse geotermiche del Paese.
  Relativamente, infine, all'ulteriore quesito posto, nell'informare che sono in corso di valutazione da parte delle strutture del mio Ministero alcune ipotesi di lavoro per la costituzione di un disciplinare anche tecnico-amministrativo atto a definire le ulteriori e migliori modalità applicative del dispositivo normativo che ho citato e considerato che lo sfruttamento di risorse geotermiche, come lei citava, è sicuramente di interesse nazionale, le garantisco che mi farò anche promotrice personalmente presso le altre amministrazioni coinvolte che ho citato al fine proprio di valorizzare le potenziali aree geotermiche sfruttabili.

  PRESIDENTE. Il deputato Abrignani ha facoltà di replicare.

  IGNAZIO ABRIGNANI. Signor Presidente, signor Ministro, la ringrazio di questo suo ultimo impegno perché è indubbio che quel poco che oggi è stato fatto sulla geotermia in Italia, specialmente nella regione Toscana, ha previsto un impegno di autorizzazione nell'ottica dei 7/10 anni per ogni impianto. Lei capisce da sola che per qualsiasi imprenditore italiano, o ancor meglio straniero, voglia avvicinarsi a questa energia – che, ripeto, Legambiente definisce come energia pulita – l'investimento economico ma l'attesa diventa impossibile da portare avanti.
  Siccome il costo dell'energia nel nostro Paese, lei lo sa bene, è veramente alto sia per le imprese che per i cittadini, provare Pag. 55a ottenere energia interna, visto che abbiamo rinunciato ad altre opzioni, la ritengo una cosa assolutamente necessaria. Per cui mi auguro che, attraverso le linee guida che usciranno dal suo Ministero e attraverso queste forme di semplificazione, riusciremo a ridurre in maniera sostanziale quelle che sono le esigenze di istanze e di autorizzazione per questi imprenditori, che siano pubblici che siano privati, perché anche la stessa Enel, che è un'impresa anche dello Stato, è fra questi. Ritengo che noi dobbiamo cercare di procedere attraverso questi piccoli impianti pilota, questi che indicava lei dei 5 megawatt, proprio perché potrebbero servire come sperimentazione per un rilancio a livello nazionale.
  Noi riteniamo che questo tipo di energia possa aiutare il Paese a crescere, perché è energia italiana, lavoro italiano, occupazione italiana e in un momento del genere anche l'energia, come è stata l'energia verde per tanto tempo, ha dato questo tipo di occupazione.
  Per cui ci auguriamo che, attraverso il suo impegno e attraverso le linee guida che usciranno dal Ministero dello sviluppo economico, in collegamento chiaramente con il Ministero dell'ambiente, ci sia finalmente una reale, veloce autorizzazione celere da parte dello Stato, laddove vediamo che le regioni sono sempre presenti, affinché gli imprenditori italiani possano veramente mettere in piedi questo tipo di energia nel nostro Paese.

(Problematiche relative alla continuità produttiva e occupazionale delle aziende coinvolte nella realizzazione del centro commerciale Tiare Shopping di Villesse (Gorizia) – n. 3-01232)

  PRESIDENTE. Il deputato Prataviera ha facoltà di illustrare l'interrogazione Fedriga n. 3-01232, concernente problematiche relative alla continuità produttiva e occupazionale delle aziende coinvolte nella realizzazione del centro commerciale Tiare Shopping di Villesse (Gorizia) (Vedi l'allegato A – Interrogazioni a risposta immediata), di cui è cofirmatario.

  EMANUELE PRATAVIERA. Grazie Presidente, Tiare Shopping, situata a Villesse, in provincia di Gorizia, è di proprietà di Ikea Italia che, per realizzare questo immobile, ha delegato Immobiliare Arco-Fogliata Spa Alfacontract per subappaltare e realizzare l'opera, tra l'altro impostando i pagamenti alle ditte con una delega passiva di pagamento a trenta giorni dalla fatturazione. Pagamenti che sono sempre stati puntuali, va riconosciuto, ma solamente fino alla data di apertura del centro commerciale, esattamente un anno fa, il 5 dicembre 2013. Da allora i subappaltatori che vantavano ancora dei crediti non sono stati più pagati e in un incontro di febbraio scorso all'interrogante è stato riferito che addirittura Ikea avrebbe proposto di cercare di diluire i pagamenti in 13-15 rate. Di fatto i confronti anche con le autorità locali, i sindaci e il presidente della regione sono stati avviati, ma ancora nessuna soluzione.
  Nel frattempo, quelle aziende stanno per chiudere, ci hanno coinvolto e noi ora le chiediamo quali iniziative il Governo intenda porre in atto per salvare decine e decine di lavoratori.

  PRESIDENTE. La Ministra dello sviluppo economico, Federica Guidi, ha facoltà di rispondere.

  FEDERICA GUIDI, Ministro dello sviluppo economico. Grazie Presidente. In relazione a questo quesito, posto dall'onorevole interrogante, rappresento, appunto, che il Ministero dello sviluppo economico ha in realtà acquisito informazioni presso la regione Friuli-Venezia Giulia, la quale si è interessata alla vicenda, e, da quanto comunicato, risulta che alla regione sono pervenute, nello scorso mese di aprile, diverse segnalazioni dirette, anche a mezzo stampa, da parte di alcune aziende che avevano eseguito opere e lavori presso il centro commerciale Tiare di Villesse e che asserivano di non essere state pagate.
  Conseguentemente, la stessa regione Friuli-Venezia Giulia è intervenuta presso la committente, la società immobiliare Arco, alla quale il gruppo Ikea aveva Pag. 56commissionato la realizzazione del centro, al fine di accertare proprio la situazione relativa ai pagamenti delle imprese ai lavoratori che avevano prestato la loro opera su quell'intervento e, a fronte di questa prima richiesta, la società immobiliare Arco ha fornito una prima articolata risposta, in cui si dettagliava la situazione relativa ai pagamenti effettuati, ai pagamenti in corso, ai pagamenti in sospeso e anche alle eventuali transazioni già sottoscritte.
  Poiché questa situazione, però, non trovava ancora un diretto riscontro nelle imprese, che si erano rivolte alla regione, la presidente della regione, l'onorevole Serracchiani, ha indirizzato una nota formale alla società immobiliare Arco, al fine di meglio precisare la propria posizione e a rendersi anche disponibile a un incontro con le imprese coinvolte. A tale richiesta è seguita un'ulteriore risposta, con un altro aggiornamento sui pagamenti, e la disponibilità ad un incontro. In data 20 maggio si è, quindi, tenuto un incontro presso la sede della direzione infrastrutture mobilità edilizia della regione, alla presenza dei sindaci di Villesse e di Romans d'Isonzo, di altre imprese creditrici e dell'avvocato dell'immobiliare Arco. A seguito di questo incontro si è avviato un percorso che, a quanto risulta, ha portato al pagamento di diverse aziende o alla stipula di accordi transattivi.
  A inizio novembre sono giunte nuove segnalazioni, in particolare da un'azienda del Veneto che, però, non sembrerebbe essere l'unica, che vanta ancora crediti e mancati pagamenti da parte di Alfa contract srl, società del gruppo Fogliata, a cui l'immobiliare Arco ha appaltato i lavori. A fronte di questa nuova segnalazione, sorretta anche da un decreto ingiuntivo, la regione intende nuovamente contattare direttamente l'immobiliare Arco e anche il gruppo Inter Ikea, al fine di un definitivo e rapido chiarimento della situazione.
  Da questo quadro sintetico credo si possa evidenziare che la regione Friuli-Venezia Giulia sta monitorando attentamente la vicenda, fermo restando che il mio Ministero si rende naturalmente comunque disponibile a intervenire laddove si presentassero dei profili istituzionali di nostra competenza.

  PRESIDENTE. Il deputato Prataviera, cofirmatario dell'interrogazione, ha facoltà di replicare.

  EMANUELE PRATAVIERA. Signor Presidente, ringrazio il signor Ministro soprattutto per l'apertura a una disponibilità reale a interessarsi del caso. Lo faccia, perché l'anno solare sta per concludersi e queste sono aziende che stanno realmente per chiudere. C’è bisogno di un intervento, però, anche casomai straordinario. Visto che lei è una donna che ha un'esperienza diretta di azienda e ha trascorso credo tutta la sua vita a contatto con una realtà produttiva, in un'azienda d'imprenditoria, sa perfettamente che i sacrifici di decenni di lavoro non possono andare in frantumi perché qualcuno non onora i debiti.
  Lei sa perfettamente la situazione del Paese qual è e sa perfettamente, nonostante le pagine dei giornali siano piene di notizie relative alle crisi che riguardano aziende di migliaia di lavoratori o centinaia di lavoratori, che c’è una foresta che sta scomparendo in maniera assolutamente silenziosa, una foresta composta da piccolissimi imprenditori, ma anche imprenditori medi, come sono quelli che ci hanno avvicinato per portare alla sua attenzione diretta questo problema.
  Dal nostro punto di vista, non è stato fatto tutto quello che si poteva fare, anche da un punto di vista politico a livello locale. Questo ci sentiamo di dirlo con assoluta tranquillità, perché altrimenti non si sarebbe arrivati a questo punto. Ci sono degli strumenti coercitivi che si potrebbero usare, ma non è questo il senso e non vuole essere questo il senso della mia replica, della mia risposta.
  Vorrei veramente che lei si attivasse, in base al ruolo che lei ha deciso liberamente di assumersi e di rappresentare, in una speranza di crescita dell'economia di questa Paese, per fare in modo che chi non paga venga sanzionato, ma facendo in Pag. 57modo che lo sia chi veramente non vuole pagare e non perché, a sua volta, non viene pagato, perché lei sa perfettamente qual è il problema adesso. Non si può morire di crediti, non si può morire di crediti in un momento, poi, in cui soprattutto le banche non lasciano più lo stesso credito all'imprenditore e all'azienda.

  PRESIDENTE. La prego di concludere.

  EMANUELE PRATAVIERA. Ecco, questo è un appello veramente che noi le rivolgiamo, un grido disperato.
  Ci facciamo carico di migliaia di persone, anche perché, anche quest'anno, dobbiamo registrare che, per le stesse cause per cui io la sto interessando con un caso simbolo, si sono suicidati decine di imprenditori che hanno lasciato soli non solo i propri dipendenti, ma anche le proprie famiglie, e questo non possiamo permettercelo in uno Stato di diritto che dovrebbe tutelare gli onesti.

(Iniziative di competenza nei confronti delle cooperative coinvolte nell'inchiesta giudiziaria nota come «mondo di mezzo» – n. 3-01233)

  PRESIDENTE. Il deputato Baroni ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-01233, concernente iniziative di competenza nei confronti delle cooperative coinvolte nell'inchiesta giudiziaria nota come «mondo di mezzo» (Vedi l'allegato A – Interrogazioni a risposta immediata), per un minuto.

  MASSIMO ENRICO BARONI. Presidente, l'operazione della procura di Roma denominata «mondo di mezzo» ha messo in luce il ruolo centrale della cooperativa «29 giugno» in una nebbia affaristico-mafiosa che avvolge tutta Roma. In questo mondo oscuro è spuntata una piovra dalle molte attività: accoglienza degli immigrati, pulizie, manutenzione del verde, raccolta differenziata, emergenza abitativa. Questa è la parola magica: emergenza. E sotto l'emergenza vi sono le peggiori nefandezze. L'emergenza porta con sé la proroga, così l'accoppiata diventa vincente, ma dov'era il Governo, dov'erano i suoi poteri ispettivi quando Buzzi e company distribuivano commesse e mazzette a destra e a sinistra ? Nessuno ha mai fatto un controllo e, quando qualcuno ha provato a fare delle osservazioni, vi è stato il silenzio. Al MoVimento 5 Stelle non resta che chiedere un'azione ispettiva straordinaria, sperando che i buoi non siano tutti scappati.

  PRESIDENTE. La Ministra dello sviluppo economico, Federica Guidi, ha facoltà di rispondere.

  FEDERICA GUIDI, Ministro dello sviluppo economico. Grazie Presidente, la recente inchiesta della procura della Repubblica di Roma, con i provvedimenti che ne sono scaturiti, pone in evidenza ancora una volta la duplice necessità di valorizzare, da una parte, gli strumenti esistenti e forse anche di rivisitare, dall'altra, il sistema dei controlli pubblici. Il mio Dicastero, fra l'altro, è titolare delle funzioni di promozione e di vigilanza nel sistema cooperativo. L'obiettivo fondamentale della vigilanza è la verifica dell'effettività dello scambio mutualistico all'interno di ogni società cooperativa e l'eventuale adozione di strumenti sanzionatori di natura amministrativa, intesi a salvaguardarne l'integrità ovvero a disporne la liquidazione in caso di irregolarità insanabili. Nel caso di cooperative aderenti alle associazioni nazionali di rappresentanza, come quelle citate nell'atto in esame, il primo livello dei controlli è svolto dalle stesse associazioni, mentre il controllo ministeriale si esplica attraverso un controllo ispettivo attivato sulla base di segnalazioni di pubbliche autorità, esposti di privati o sulla base di specifici programmi ispettivi anche a campione.
  Il Ministero dello sviluppo economico in questo caso si è tempestivamente attivato al fine di ricostruire la mappa delle società cooperative e dei consorzi, la cui governance vede la partecipazione dei soggetti interessati dall'inchiesta. In esito a questi approfondimenti e anche ad eventuali Pag. 58ulteriori notizie che perverranno dagli atti, si darà subito corso ad un programma mirato di ispezioni straordinarie sulle quali sarà anche richiesta la collaborazione del comune di Roma. Devo aggiungere che la gravità dei fatti emersa dall'azione investigativa dei magistrati romani ci dà la misura della straordinarietà della risposta che le istituzioni devono essere in grado di fornire. Ed è di tutta evidenza che le azioni di criminalità economica poste in essere si pongono al di fuori dell'ordinario e impongono una riflessione di tutti i soggetti a vario titolo impegnati nel mondo della cooperazione.
  I temi di intervento sono molteplici ed investono in particolare, a mio modo di vedere, il sistema dei controlli e quello della governance. Quanto ai controlli, occorre intervenire, rafforzando i poteri ispettivi, modificando le misure sanzionatorie per renderle più duttili e efficaci, prevedendo procedure coordinate tra le amministrazioni pubbliche che, a vario titolo, effettuano controlli sugli enti cooperativi e, infine, organizzando la stessa attività di vigilanza in coordinamento con le associazioni di rappresentanza, per portare il controllo lì dove è necessario, nell'intento di prevenire prima ancora che di reprimere.
  Quanto alla governance, mi rendo conto della delicatezza del tema che incide direttamente sull'autonomia di enti privati, ma credo che, attraverso il principio di partecipazione democratica, che è uno dei cardini sui quali si basa il modello cooperativo, si possono ottenere risultati significativi. Il Ministero dello sviluppo economico, quindi, si farà parte attiva proprio a partire dal confronto tra le istituzioni e le associazioni nazionali del mondo della cooperazione affinché si possano assumere iniziative più appropriate, anche di natura normativa, per combattere adeguatamente il fenomeno delle false cooperative e tutelare un settore che occupa una posizione importante nel nostro sistema socio-economico sia in termini di creazione di posti di lavoro che di erogazione di servizi in contesti anche di forte disagio sociale.

  PRESIDENTE. Il deputato Baroni ha facoltà di replicare.

  MASSIMO ENRICO BARONI. Presidente, cerchiamo da tempo di avere chiarimenti dal Governo sulla cooperativa «29 giugno» e tutte le sue affiliate. Fino ad oggi silenzio assoluto: Poletti fugge a Bruxelles in occasione di una nostra interpellanza urgente e la sottosegretaria Bellanova che prova a sviare, con evidente imbarazzo, la responsabilità della domanda.
  D'altronde, un Governo come questo, che svuota il welfare, svuota le politiche sociali, favorisce, con la riforma del terzo settore, il profitto delle cooperative, senza alcuna norma contro il conflitto di interessi, per la trasparenza e contro la corruzione, è un Governo in totale confusione mentale ed etica per poter rispondere.
  Voi siete gli stessi che vi finanziate, con soldi pubblici della partita di giro di Buzzi, le vostre campagne elettorali e di chissà quanti altri che la magistratura ancora non ha scoperto. Voi siete quelli che hanno creato il problema ed è evidente che non siete voi quelli in grado di risolverlo. Se continuate a sostituire interi pezzi di sanità pubblica con cooperative dei vostri clientes, che così foraggiate per essere, a vostra volta, foraggiati, in un terrificante gioco di specchi, è ovvio che gli unici danneggiati sono e saranno sempre i cittadini italiani.
  Renzi continua a spergiurare di voler adottare leggi contro la corruzione, ma cosa fa ? Nulla ! Vi rendete conto che, così facendo, vi andate a schiantare a 200 all'ora contro un muro ? Questo è il muro rappresentato dai cittadini onesti, che resistono, informati e determinati a cambiare questo Paese. Questa non è antipolitica: questa è la vera politica, questa è la vera, inesorabile, rivoluzione a 5 Stelle (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata.
  Sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 16 con il seguito della discussione sulle Pag. 59linee generali del disegno di legge costituzionale recante disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della seconda parte della Costituzione.

  La seduta, sospesa alle 15,50, è ripresa alle 16.

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione alla ripresa pomeridiana della seduta.
  I deputati in missione sono complessivamente ottantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali – A.C. 2613-A)

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Dorina Bianchi. Ne ha facoltà.

  DORINA BIANCHI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario, non posso iniziare questo intervento senza citare le parole pronunciate, ieri, dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: il superamento del bicameralismo paritario, non è un tic da irrefrenabili rottamatori o da vecchi cultori di controversie costituzionali. Parole chiare, nette, che non c’è bisogno di interpretare. Ancora una volta, emerge la determinazione del Capo dello Stato, quale garante e ferro promotore delle riforme, e il suo attaccamento al Paese e alla Costituzione. Viene ribadita la necessità che, dopo anni di inerzia e immobilismo, si porti finalmente a compimento il processo innovatore di cambiamento tanto atteso di cui ha bisogno il nostro Paese. Certo, sarebbe irrispettoso, anche nei confronti dello stesso Presidente Napolitano, dare a queste parole un significato di parte, ma, allo stesso tempo, però, non si possono ignorare le tante difficoltà, le resistenze e anche, alcune volte, gli ostacoli, che stiamo affrontando lungo il cammino delle riforme. Ostacoli che, è bene precisare, nulla, in alcuni casi, hanno a che vedere con un proficuo e franco confronto tra maggioranza e opposizione e all'interno della stessa maggioranza. Il confronto su questo c’è stato, come confermano le tante ore di dibattito in Commissione, e gli oltre 550 emendamenti discussi nel corso dell’iter in Commissione. Il che è necessario, fondamentale, che continui ad esserci, soprattutto su una materia destinata a cambiare e a rinnovare l'assetto istituzionale del nostro Paese. Il confronto, così come il dissenso, fa parte della democrazia e va sostenuto. Alla fine, però, noi siamo chiamati, anche in una riforma costituzionale così importante, a decidere. In quest'ottica, mi preme sottolineare un atteggiamento responsabile e coerente del Nuovo Centrodestra, e di tutta l'Area Popolare, nel portare avanti in maniera compatta questo fondamentale percorso riformatore, sia al Senato, che in questa prima parte dei lavori in Commissione. Un impegno che ci vede protagonisti e che ha già contribuito a migliorare sensibilmente il disegno di legge e ad evitare che il percorso potesse prendere una deriva di controriforma. In particolare, alla Camera abbiamo iniziato il confronto sulla base di un testo approvato al Senato, che ha confermato l'impianto generale già positivo della proposta del Governo. Un impianto che prevede una sola Camera, che accorda o revoca la fiducia al Governo; una seconda Camera rappresentativa delle istituzioni territoriali, come sede di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica; una profonda revisione del Titolo V e la soppressione del CNEL. Al Senato sono stati già compiuti significativi passi avanti rispetto al testo del Governo, con anche il prezioso contributo della nostra parte politica e dei colleghi Pag. 60con i quali oggi ci troviamo all'interno del gruppo di Area Popolare. È stata ridimensionata l'originaria, eccessiva, presenza dei sindaci che, a differenza dei consiglieri regionali, non legiferano. È stato fortemente ridimensionato il numero dei senatori nominati dal Presidente della Repubblica.
  Più in generale siamo riusciti con poche e qualificate proposte emendative ad ottenere maggiore responsabilizzazione delle autonomie territoriali e a rafforzare l'unità nazionale, introducendo i costi standard in Costituzione, rafforzando la clausola di supremazia dello Stato, cioè il principio del supremo interesse nazionale, prevedendo il commissariamento di regioni e comuni in default. Siamo riusciti, inoltre, ad assicurare più rigore nella finanza pubblica con l'approvazione dell'emendamento del senatore Quagliariello per sottrarre i disegni di legge di bilancio alla procedura aggravata.
  In particolare va dato atto al Senato di avere compiuto un fatto storico, mettendo anche fine ad un paradosso ritenuto invalicabile, cioè quello del riformatore che deve riformare se stesso. Oggi con questa discussione inizia una nuova importante fase parlamentare dopo il lavoro che abbiamo svolto in Commissione. Per questo vorrei anche ringraziare l'azione di sintesi dei relatori, sia il presidente Sisto sia il relatore Fiano, con cui siamo riusciti a superare un altro step della riforma del bicameralismo e del Titolo V, che ha consentito di apportare ulteriori significativi miglioramenti al disegno di legge.
  Trasferimento delle competenze sul lavoro dalle regioni allo Stato; «no» al bicameralismo sui temi etici e sensibili; piccolo passo in avanti per la semplificazione dell'iter legislativo a vantaggio della governabilità: sono questi i principali risultati ottenuti da noi in Commissione alla Camera. Siamo ormai a poche miglia dal traguardo per il superamento del bicameralismo perfetto, con la nascita del nuovo Senato e la riforma del Titolo V.
  Ma dopo avere elogiato quelle che sono state le modifiche positive, sia apportate dal Senato sia apportate dalla Camera, vorrei fare alcune considerazioni in questa parte di discussione sulle linee generali, con il convincimento che questo serva poi nell'individuare anche in Aula quelle proposte emendative che potranno ulteriormente portare avanti la riforma costituzionale in senso positivo. Infatti ci è stato detto, nel lungo dibattito in Commissione, che alcune proposte emendative, a cui noi rinunciavamo in Commissione, poi sarebbero state prese in seria considerazione una volta arrivati in Aula.
  Io vorrei anche parlare soprattutto della parte che secondo noi ancora merita un cambiamento. Mi riferisco all'iter di formazione delle leggi previsto dal nuovo articolo 70 della Costituzione, il cuore della riforma costituzionale. Secondo noi è complesso e farraginoso, perché è basato su diversi procedimenti legislativi: bicamerale paritario ordinario, cosiddetto rinforzato, quello ad hoc per i disegni di legge di bilancio, oltre a quelli per i decreti-legge. Sono procedimenti legislativi diversi, in relazione alle diverse materie oggetto dei disegni di legge, materie che, come ci insegna l'esperienza del Titolo V, hanno natura estremamente incerta. Si tratta di una scelta, secondo noi, sbagliata, censurata dalla maggior parte dei costituzionalisti ed esperti che noi abbiamo audito nelle tante audizioni che oggettivamente abbiamo fatto presso la I Commissione della Camera.
  Tra l'altro qualunque cittadino potrebbe ricorrere in via incidentale alla Corte costituzionale, contestando il tipo di procedimento adottato e determinando così un vasto contenzioso di legittimità. In sostanza si riprodurrebbero le patologie del Titolo V nel procedimento legislativo e quel contenzioso costituzionale, che la riforma del Titolo V intende cacciare dalla porta, rientrerebbe dalla finestra. Pertanto, il riferimento alle materie, a nostro parere, va assolutamente eliminato nel testo costituzionale.
  In secondo luogo sarebbe fortemente compromessa la governabilità, perché la Camera dei deputati si vedrebbe molto spesso costretta, diversamente da quanto previsto in tutte le altre democrazie europee, Pag. 61ad approvare le leggi con la maggioranza assoluta dei componenti, qualora non intenda conformarsi alle proposte di modifica del Senato, proposte di modifica che potrebbero essere anche di natura strumentale, cioè appositamente formulate su materie non incluse nel testo della Camera e che comporterebbero l'adozione della procedura aggravata da parte della Camera in terza lettura per l'approvazione definitiva.
  Una legge che, per esempio, ottenga 315 voti favorevoli e solo 50 contrari, sarebbe pertanto considerata respinta.
  Qualsiasi esigua minoranza della maggioranza, purché composta da 25 deputati, potrebbe esercitare un enorme potere di interdizione e di ricatto sul Governo.
  Questi limiti derivano dal testo approvato dal Senato, dal quale era però difficile pretendere di più, in quanto quello che ha fatto l'8 agosto scorso, approvando la propria trasformazione in Camera rappresentativa delle istituzioni territoriali, era già importante ed anche imponente.
  Io credo che questo compito di migliorare il testo e di eliminare i limiti relativi al procedimento legislativo spetti a noi, alla Camera, e devo dire che purtroppo su questo la Commissione affari costituzionali non è riuscita a raggiungere questo obiettivo e dobbiamo in questo senso sforzarci di raggiungerlo all'interno di questa Assemblea.
  La previsione di maggioranze qualificate da parte del Senato, così come previsto dal nuovo articolo 70, non è affatto sufficiente ad evitare i rischi sopra esaminati, perché la richiesta di maggiori risorse finanziarie, in particolare nella situazione di crisi in cui versa il Paese, unirebbe facilmente i senatori e i consiglieri regionali, di destra e di sinistra, dal nord come dal sud, fino a raggiungere qualsiasi maggioranza qualificata.
  Altro che riduzione di spesa pubblica delle regioni !
  Il potere di interdizione di cui usufruirebbe il Senato verrebbe utilizzato probabilmente per farla lievitare.
  Non convince affatto neppure la nuova disposizione aggiunta dopo il quinto comma dell'articolo 70, la quale afferma che il procedimento per l'esame di ciascun disegno di legge da applicare fino alla pronuncia definitiva è predeterminato dai Presidenti delle Camere d'intesa tra di loro, sulla base dei criteri indicati dai rispettivi regolamenti.
  Prevedere un'intesa tra i Presidenti delle due Camere all'inizio dell’iter del disegno di legge presso la Camera comporta un'inammissibile intromissione del Presidente del Senato nelle prerogative dei deputati e dello stesso Governo, che non sarebbero liberi di determinare il contenuto dei provvedimenti che intendono esaminare.
  Ad esempio, se nel corso dell'esame di un disegno di legge da parte della Camera emergesse la necessità di introdurre disposizioni su nuove materie, deputati e Governo non sarebbero liberi di procedere con quel disegno di legge di cui hanno iniziato l'esame in Commissione ed in Assemblea, ma dovrebbero ricominciare da capo l'esame, con un nuovo disegno di legge oggetto di una nuova intesa con il Presidente del Senato.
  Non solo: cosa accadrebbe in caso di mancata intesa tra i Presidenti delle due Camere ? Ne scaturirebbe un conflitto di attribuzione, demandato ancora una volta alla Corte costituzionale, delegata sempre più a dirimere scelte di natura politica.
  E fino alla pronuncia della Corte, il disegno di legge rimarrebbe dove ? Parcheggiato nei cassetti delle Camere e questo sicuramente va a discapito di quello che noi vogliamo raggiungere, che è l'approvazione dei disegni di legge a data certa.
  E se si può ritenere che il conflitto esplicito tra i due Presidenti potrebbe verificarsi solo in pochi casi eccezionali, non si può sottovalutare il probabile costo politico che l'intesa comporterà in termini di maggiore potere da parte delle regioni.
  Io voglio insistere su queste cose, perché non vorrei che su questo si pensasse di aver raggiunto già un risultato e continueremo ad insistere anche nei giorni che ci dividono dall'inizio della votazione degli emendamenti in quest'aula.Pag. 62
  Ed io vorrei anche lanciare delle domande al Presidente Renzi, che oggi non è qui con noi, ma attraverso naturalmente il sottosegretario, e chiedergli se il Presidente del Consiglio sa che, qualora la riforma rimanesse questa, la governabilità non sarebbe affatto migliorata, ma forse peggiorata.
  Se sa che gran parte delle leggi dovranno essere approvate dalla Camera dei deputati con la maggioranza assoluta dei componenti e che, come ripeto, una legge con 315 voti a favore e 50 contro sarà considerata respinta. Lo sa, il Presidente del Consiglio, che con questo procedimento legislativo il Senato avrà un enorme potere di interdizione, che si tradurrà in un accresciuto potere di spesa delle regioni ? Che il Presidente del nuovo Senato diventerà la figura centrale del sistema e che la sua intesa con il Presidente della Camera sarà indispensabile per decidere il tipo di procedimento legislativo (bicamerale, paritario, rinforzato o ordinario) con tutte le conseguenze che ciò comporta sulla governabilità ? E lo sa il Presidente del Consiglio che con tanti procedimenti legislativi differenti in base al riparto di materie qualsiasi cittadino potrà ricorrere in via incidentale alla Corte costituzionale contestando il tipo di procedimento adottato e che, di conseguenza, si produrrà un nuovo contenzioso costituzionale ancora più vasto di quello prodotto dalla sgangherata modifica del Titolo V del 2001, determinando ancora più incertezza del diritto e ancora più fuga degli investimenti dall'Italia ?
  Noi del Nuovo Centrodestra – Area Popolare non intendiamo avallare questa riforma sul procedimento legislativo e, come ripeto, nonostante ci siamo astenuti in Commissione, abbiamo in quell'occasione, come continuiamo a dire, espresso la necessità e la volontà che il procedimento venga affrontato con maggiore serietà. E a questo fine ci rivolgiamo alla maggioranza di cui facciamo parte e al Governo, che sosteniamo con la massima convinzione e lealtà, e a tutta la Camera affinché riflettano su questa scelta ed evitino di compiere un errore così grave sul quarto e quinto comma dell'articolo 70.
  Queste appena esposte sono le nostre fondate perplessità sul provvedimento discusso in Commissione, un provvedimento la cui bontà comunque non si discute. Questo disegno di legge costituzionale, come ribadiamo, per noi rappresenta una svolta epocale, presenta tante norme positive, così come numerosi sono stati i miglioramenti che abbiamo proposto, sostenuto e appoggiato. Sicuramente positiva è la modifica al primo comma dell'articolo 70, laddove si è precisato, per quanto riguarda le funzioni fondamentali dei comuni, che con legge bicamerale paritaria è da approvare solo la disposizione che individua ed elenca le funzioni fondamentali, mentre le singole disposizioni riguardanti l'esercizio di quelle funzioni contenute in tantissime leggi non sono da approvare con leggi bicamerali paritarie. Il Nuovo Centrodestra ha mirato ad ottenere e ha ottenuto un miglioramento relativo al Titolo V, con lo scopo di ripristinare il primato dello Stato unitario e la responsabilità delle autonomie regionali e locali. In particolare, il trasferimento allo Stato della competenza in materia di lavoro che pone le basi per una politica attiva unitaria del lavoro tale da non lasciare soli coloro ai quali il lavoro manca. Lo stesso fallimento del programma «Garanzia giovani» gestito dalle regioni ha indicato, secondo, noi questa strada obbligata.
  L'altro tema è quello della competenza in materia di famiglia, matrimonio e trattamento sanitario obbligatorio, convinti che anche questi temi non possono essere affrontati con leggi bicamerali paritarie. Sul voto a data certa, vorrei dire che è essenziale per fornire al Governo un'alternativa alla decretazione d'urgenza. Abbiamo evitato che il testo approvato dal Senato venisse stravolto rendendo impraticabile questo importante istituto. I correttivi approvati sono accettabili purché non si vada oltre in Assemblea. Occorre finalmente che tutti acquisiscano il principio fondamentale che in democrazia, dopo aver ampiamente discusso, si vota e Pag. 63si decide. E io vorrei dire per quelli che in Commissione hanno portato avanti la tesi che il Governo non possa decidere tutto, che questo è giusto, ma nelle democrazie europee, come la Francia e l'Inghilterra, è il Governo che propone i disegni di legge e sono i Parlamenti che li emendano e poi li votano. Quindi, non credo che noi su questo abbiamo fatto peggio degli altri Parlamenti europei, anzi forse abbiamo fatto molto meglio.
  Per concludere un passaggio vorrei farlo sulle partecipate, anche alla luce dello scenario che abbiamo sotto gli occhi sul taglio e la razionalizzazione di queste società. Infatti non si può più andare avanti a colpi di slogan e noi del Nuovo Centrodestra ci stiamo battendo da mesi su più fronti, attraverso un'azione organica, per un deciso intervento nel recidere queste sacche di sprechi che, come confermato dalle ultime vicende, spesso sono anche presupposto di attività illecita. È necessario adesso che vi sia un'accelerazione, un pieno sostegno di tutte le forze politiche. In merito, in Commissione, abbiamo presentato un emendamento che noi riproporremo all'aula e che prevede che gli enti territoriali possano gestire servizi pubblici attraverso società partecipate solo qualora il fine pubblico non possa essere conseguito in modo altrettanto adeguato e in condizioni di pari efficienza economica da soggetti privati. Ho dato a questo un risalto finale perché è un emendamento a cui il Nuovo Centrodestra crede e a cui tiene. Abbiamo condotto, per concludere, e continueremo a condurre una battaglia di sistema e non di parte sulla quale speriamo ci sia la convergenza di tutte le forze interessate a costruire istituzioni che stiano armonicamente in piedi e che rispondano all'esigenza di tenere il passo e adattarsi ai cambiamenti sempre più veloci che la società ci impone (Applausi).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Roberta Agostini. Ne ha facoltà.

  ROBERTA AGOSTINI. Come molti altri miei colleghi, ringrazio il presidente Sisto per il modo in cui ha condotto il dibattito in Commissione e il relatore Fiano per la pazienza con la quale ha seguito il non facile lavoro e il non facile confronto nella sede della Commissione parlamentare. Sono ormai decenni che il Parlamento discute delle modifiche da apportare per il superamento del bicameralismo paritario e per approdare ad una funzione differenziata dei due rami del Parlamento. È un dibattito che sembra finalmente essere approdato al suo punto di arrivo ma che parte da molto lontano e che forse è anche un po’ datato, come ci ricordava nel suo intervento il collega Nicoletti, alla luce del processo di integrazione europea che abbiamo vissuto in questi anni. Ma ora siamo qui e sembra finalmente a portata di mano la modifica di tanta parte della Costituzione, di tanti articoli della Costituzione: tocchiamo ben 36 articoli. Penso che proprio perché abbiamo un tale dibattito alle nostre spalle e anche un referendum che si è celebrato qualche anno fa, noi possiamo e dobbiamo impiegare al meglio questa nostra occasione che, tra l'altro, costituisce una delle chiavi principali della nostra legislatura. Non stiamo apportando qualche ritocco alla Costituzione ma stiamo affrontando un cambiamento profondo del sistema che non può essere condotto come un fatto ordinario sulla base di esigenze contingenti o sulla base delle convenienze politiche o delle maggioranze o delle minoranze del momento. Il cambiamento che stiamo apportando implica una visione e una strategia per il futuro del Paese nella quale le persone possano riconoscersi, entro la quale noi tutti ci si possa pensare, che si possa spiegare, che si possa motivare, che si possa raccontare anche al Paese, fuori di qui, non una materia per tecnici, per esperti o per legislatori ma una materia viva che tocca la quotidianità di tanti cittadini e cittadine italiani. Questo è stato ed è ciò che è la nostra Costituzione repubblicana, patto fondamentale dell'Italia democratica, che ha consentito il processo di crescita civile, economica e sociale del dopoguerra e che ha rappresentato in quel momento e rappresenta ancora la Pag. 64ricongiunzione fondamentale tra la politica ed il popolo. Questo rapporto, questa congiunzione che oggi è messa profondamente e per tante ragioni in crisi, che è assediata dal populismo. Credo che la crisi economica, sociale e politica non si governa oggi se non c’è quest'ancora rappresentata dai principi fondamentali del patto democratico tra cittadini ed istituzioni.
  E non si governa se questo patto non viene rinnovato e rimotivato, come noi stiamo cercando di fare. Allora, certamente, bisogna correre, perché è da tanti anni che stiamo discutendo e la riforma è da diversi mesi nelle Commissioni parlamentari, ma bisogna anche fare bene. Bisogna correre per approvare i cambiamenti di cui abbiamo bisogno per rendere il nostro sistema più efficiente, più credibile, ma anche fare bene, maneggiare con cura i cambiamenti, perché, Presidente, non c’è un secondo appello a quello che stiamo facendo. E, in primo luogo, c’è un tema di metodo.
  La Costituzione, si diceva, si cambia con il metodo della Costituzione. L'esercizio della discussione parlamentare è un tema di sostanza, non è un tema di forma. È una prerogativa essenziale della democrazia, da difendere, non una perdita di tempo da vivere con fastidio; così come prerogativa essenziale di una democrazia parlamentare è la libertà di scelta dei parlamentari, è quel «senza vincolo di mandato» citato nell'articolo 67 della nostra Costituzione.
  E così, io credo, il Governo, i Governi dovrebbero entrare meno possibile sulla materia delle riforme costituzionali, anche se ringrazio il sottosegretario Scalfarotto e i membri del Governo che sono stati con noi durante lo svolgimento della discussione in Commissione. Tuttavia, in questo caso, noi abbiamo assistito ad un ruolo forte in questo processo riformatore da parte dell'Esecutivo, che, se da un lato ha aiutato il percorso, dall'altro, lo stesso Governo dovrebbe essere molto consapevole che ci sono anche dei limiti da rispettare.
  Io, da questo punto di vista, vorrei rivendicare il lavoro che abbiamo fatto come Commissione, dove abbiamo rispettato alcune scelte fondamentali contenute nel testo che ci è giunto dal Senato, ma dove siamo riusciti a cambiare in meglio alcuni punti del testo, che, francamente, risultavano incoerenti proprio rispetto allo stesso modello che ci è giunto dal Senato, che il Senato ci ha consegnato.
  La scelta del Senato come Camera di rappresentanza delle istituzioni territoriali è comprensibile e condivisibile e potevano esserci altre strade; così come è comprensibile la scelta della non elettività, rispetto alla quale siamo in compagnia di democrazie più antiche della nostra, basti pensare alla Francia o alla Germania; risponde ad un'idea di composizione delle diversità geografiche e territoriali, di valorizzazione delle autonomie locali. E anche la scelta della non elettività, di un'elettività di secondo livello, risponde all'idea di ridurre la conflittualità politica e valorizzare la dimensione territoriale ed istituzionale. Ma, allora, perché non perseguire fino in fondo questo modello e rendere più coerente la composizione del Senato ? Io sono tra i componenti della Commissione che hanno votato, anche in difformità dal parere dei nostri relatori, per eliminare i senatori di nomina presidenziale. Provo a rivendicare e a giustificare quel voto, che non ha toccato un punto fondamentale della riforma, ma ha centrato un punto vero rispetto al quale essere coerenti, che riguarda la composizione del Senato. Che c'entrano con un Senato rappresentativo delle autonomie senatori di nomina presidenziale ? Va bene fare presto, ma io vorrei anche votare un testo che abbia una coerenza interna più forte, perché questa stessa scelta di coerenza ci ha spinto anche a cambiare, a cancellare dal testo la competenza paritaria del Senato sulle materie previste dagli articoli 29 e 32 della Costituzione, che riguardano le questioni della famiglia e le questioni della salute, del trattamento sanitario obbligatorio.
  Io voglio dire che per me c’è un punto invalicabile nel processo di riforma, che è Pag. 65dato dal rispetto di quella scelta compiuta dai costituenti in favore della centralità del Parlamento e di quella scelta di un equilibrio tra i poteri che la Costituzione indica quando distribuisce i poteri senza mai conferire ad alcuno un eccesso, anzi, disegnando un efficace sistema di pesi e di contrappesi.
  Per questo la discussione in Commissione è stata importante, ad esempio, sull'innalzamento dei quorum per l'elezione del Presidente della Repubblica. È chiaro che soprattutto in un sistema maggioritario con un premio alla lista, così come quello proposto dalla legge elettorale in discussione al Senato, una figura come quella del Capo dello Stato, che è una figura di garanzia, va sottratta, io credo, allo strapotere della maggioranza.

  PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Agostini.

  ROBERTA AGOSTINI. Così come penso alla discussione che abbiamo avuto sul tema del voto bloccato a data certa che rischiava di ribaltare, di modificare i rapporti tra Governo e Parlamento ed è stata una discussione positiva che ci ha consentito di tenere una soluzione ragionevole per cui il Governo ha una corsia privilegiata che consente di approvare provvedimenti fondamentali per il suo programma in tempi certi, uno strumento utile anche per superare i problemi della decretazione d'urgenza, ma allo stesso tempo si consente al Parlamento di intervenire nella maniera dovuta nel corso del procedimento legislativo, senza dover prendere o lasciare a scatola chiusa i provvedimenti.
  Ci sono altre questioni di sostanza che restano e sulle quali mi aspetto che il Parlamento faccia un lavoro importante. Penso a un aspetto richiamato da altri che tocca la vita delle persone come quello di richiamare in Costituzione, nel quadro del riparto di competenze tra Stato e regioni, la necessità di stabilire principi chiari e condivisi in materia di politiche sociali, così come fissato dalla legge n. 328 del 2000 che fu votata tanti anni fa e che, per certi versi, è rimasta inapplicata. Penso, ancora, alle leggi elettorali, perché vorrei che mai più le nostre istituzioni rappresentative si possano trovare nella situazione di un ricorso sulle leggi elettorali che ne infici alle fondamenta stabilità e legittimità; penso sia interesse di tutti il ricorso preventivo alla Corte costituzionale.

  PRESIDENTE. Onorevole Agostini, ha terminato il tempo.

  ROBERTA AGOSTINI. Un ultimo punto e chiudo, signora Presidente. Penso che ci sia arrivata una novità molto importante dal Senato sul tema dell'articolo 55 della Costituzione, su quella nuova formulazione dove il testo del Senato dice che si promuove l'equilibrio tra uomini e donne nelle leggi elettorali per le elezioni di Camera e Senato. Si tratta di rendere coerente la nuova previsione costituzionale con le norme transitorie che regolano l'elezione del Senato, perché ancora vi è il rischio, io credo, anche con questa bella formulazione, che il nuovo Senato possa essere un Senato a composizione quasi esclusivamente maschile.
  Mi avvio a concludere; la politica ci chiede di scegliere, ci chiede di essere di parte, perché la politica è conflitto, è maggioranze e minoranze, poi la politica è anche compromesso, è anche mediazione. Qui sopra alla sala della Regina abbiamo inaugurato, qualche giorno fa, una mostra su Togliatti e la Costituzione. Anche in periodi difficili le mediazioni e i compromessi alti sono stati possibili e hanno costruito la nostra Carta costituzionale. Io vorrei che proprio perché parliamo della nostra Carta fondamentale prevalesse il dialogo, il riconoscimento reciproco e il rispetto profondo delle convinzioni di ciascuno, per un compromesso alto sulle nostre regole fondamentali.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mazziotti Di Celso. Ne ha facoltà.

  ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO. Signora Presidente, signor Sottosegretario, onorevoli colleghi, è una grande responsabilità Pag. 66per chi oggi si avvicina a questa riforma lavorare su un testo che dovrebbe portare a modificare, per la prima volta, in modo così profondo, il nostro sistema costituzionale. È una responsabilità altissima che proprio per questo va presa, da una parte, con la massima delicatezza e la massima attenzione, ma, anche, con la massima convinzione su quello che si va a fare. Quando i nostri padri costituenti hanno lavorato e sono arrivati, dopo una lunghissima discussione, all'approvazione del testo di Costituzione su cui stiamo sostanzialmente lavorando, a parte le modifiche che sono state apportate nel tempo su alcune parti, si veniva da una situazione di guerra, di rischio di guerra civile, sicuramente con una spaccatura nel Paese fortissima, con un Paese distrutto e con la necessità di trovare un consenso generale tra tutte le forze che avevano riportato la democrazia nel nostro Paese.
  Ne è uscito il testo costituzionale e il sistema costituzionale che noi oggi viviamo, in particolare il sistema parlamentare che noi oggi viviamo, che si basa, per l'appunto, su una visione oserei dire quasi estrema del sistema dei pesi e contrappesi, nel senso che il bicameralismo paritario che noi abbiamo introdotto nel nostro Paese aveva pochissimi eguali – ha pochissimi eguali – e trovava giustificazione proprio in quella spaccatura, nella divisione che corrispondeva poi alla divisione dei blocchi. Questo lo dico perché oggi viviamo un momento completamente diverso, anche in relazione alla struttura dei partiti. Allora si viveva una contrapposizione, sostanzialmente, tra due grandi blocchi molto ideologizzati e molto coesi al loro interno, quindi si pensava sostanzialmente di creare dei pesi e dei contrappesi sia attraverso strumenti più tradizionali, come il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale, ma anche con la stessa struttura del Parlamento. Il bicameralismo perfetto aveva quella funzione. Quel sistema è andato in crisi negli anni e adesso, direi, anche in questa legislatura, si è visto chiaramente quali sono le cose di questo sistema che non funzionano, che sono caratterizzate dal fatto che i partiti di oggi, oltre alla loro frammentazione, non sono più quelli prima. Ci si ritrova a discutere spesso delle stesse cose, tra gli stessi partiti, in maniera differente tra Camera e Senato. Il problema non è la velocità del procedimento parlamentare, il problema è che spesso le stesse forze politiche si comportano in maniera diversa in una Camera rispetto all'altra, e lo abbiamo vissuto persino sulla riforma costituzionale. Parlando del dibattito che abbiamo avuto, abbiamo dovuto discutere a lungo in Commissione affari costituzionali sull'opportunità di riportare il testo a come era quando è entrato al Senato, dove è stato modificato spesso da aree, componenti e parti politiche all'interno di determinati partiti che in Commissione alla Camera chiedevano di tornare al testo originario. È una dimostrazione plastica del fatto che noi oggi abbiamo un percorso che non è più neanche paritario; è paritario al punto da portare ad una discussione duplice sugli stessi argomenti tra gli stessi partiti e all'interno degli stessi partiti. Il risultato lo vediamo nella qualità dei testi che vengono «palleggiati» tra la Camera e il Senato. Questo per dire che quando si cerca oggi di unificare la discussione e di ridurre le competenze del Senato, di trasformare il Senato in una Camera delle autonomie, quello che si vuole fare è cercare di normalizzare un dibattito politico che di normale non ha più nulla, quando si discute tra Camera e Senato. Per chi, come me, è alla prima legislatura, è stata un'esperienza da una parte illuminante dall'altra scioccante vedere la fiducia posta su testi diversi modificati tra Camera e Senato, con responsabilità del Governo sicuramente, ma anche delle parti politiche, che chiedevano cose diverse nelle due Camere, le stesse parti politiche. Quindi, io considero un grandissimo miglioramento il fatto che oggi si concentri l'attività parlamentare su una delle due Camere e che si arrivi a un sistema molto più simile a quello degli altri parlamenti. Anche il fatto che il Senato non sia più elettivo non lo considero, come è stato già detto da più autorevoli colleghi prima di me, un fatto che Pag. 67infici sicuramente la democrazia di questo Paese. Anche su tutte le discussioni che ho sentito legate alla legge elettorale: noi siamo per una forte rappresentatività del sistema elettorale e pensiamo, allo stesso tempo, che vada tutelata la governabilità; ma quando si arriva a un sistema in cui esiste un livello di governabilità sufficiente a far governare e la rappresentanza di tutti gli altri partiti, non c’è bisogno di avere due Camere. È invece molto utile avere una Camera delle autonomie, come il Senato, che partecipi alla discussione sui temi fondamentali, appunto, delle autonomie. Noi avremmo preferito, come altri hanno detto in quest'Aula, un vero Senato delle autonomie, più simile a quello tedesco, dove fossero rappresentati i governi, ma penso che, comunque, la soluzione che è arrivata sia una soluzione che potrà contribuire al miglioramento del nostro sistema.
  È importante questa riforma perché interviene anche sul procedimento legislativo portando alcuni strumenti, come il sistema del voto a data certa, contro cui molti hanno gridato, ma che interviene anche lì su una anomalia: noi siamo forse l'unico sistema parlamentare dove non esiste la data certa. Noi ci scandalizziamo di un sistema che in realtà in moltissimi altri Paesi è il sistema ordinario. Io ho sentito dire in Commissione: «ma voi volete rendere questo sistema ordinario», in realtà non è così, io non sarei stato scandalizzato del fatto che un provvedimento a una certa data, arrivi alla sua conclusione perché credo che sia un normale segno di efficienza, senza strozzare il dibattito, senza avere un dibattito eccessivamente breve, non sarebbe anormale e per fortuna questo sistema è stato introdotto.
  Sono molto d'accordo con un intervento che c’è stato poco fa, quello dell'onorevole Bianchi, sul fatto che vada corretto il meccanismo di approvazione delle leggi e il rapporto tra Camera e Senato perché temo che il criterio delle materie, che è stato utilizzato, possa condurre a un contenzioso costituzionale come la stessa collega Bianchi ha detto poco fa, e credo che si debba assolutamente evitare di arrivare a questo tipo di situazione che abbiamo vissuto in maniera devastante sul Titolo V, una situazione che potrebbe rivedersi in questo caso. Ma credo che comunque il sistema migliori, e in questo invece non sono d'accordo con la collega, perché credo che oggi sebbene non ci siano i rischi di cui si è parlato prima (di piccole minoranze che bloccano il procedimento legislativo) il percorso Camera-Senato, Camera-Senato, come lo stiamo vivendo anche su queste riforme, sia di una inefficienza e di una farraginosità che sarà difficile replicare in futuro anche con i rischi che la riforma comporta.
  È stato migliorato il testo in Commissione, si è detto, eliminando ad esempio le materie di famiglia e di prestazioni sanitarie obbligatorie che non avevano nulla a che vedere con le competenze del Senato. Sono un'ennesima dimostrazione di come i dibattiti possano essere molto diversi, perché sono entrate al Senato e sono uscite di qua, e capisco che ci può essere un interesse di «Camera» nel senso di una visione diversa da una Camera all'altra, ma era una questione di ragionevolezza e giustamente sono uscite.
  È stato migliorato il testo in Commissione anche sulla parte delle garanzie. Noi avremmo preferito sul Presidente della Repubblica un allargamento della platea; abbiamo chiesto, come Scelta Civica, che venisse estesa in particolare ai parlamentari europei piuttosto che innalzare il quorum perché le esperienze recenti ci dicono che è difficile arrivare a dei consensi molto allargati, tanto più a delle maggioranze qualificate e crediamo che sarebbe stato preferibile, e anche di maggior tutela delle minoranze visto che per le elezioni europee si applica un sistema proporzionale puro. Però questa soluzione non ha trovato il consenso del resto della maggioranza, ci riproveremo in Aula e vedremo se avremo miglior successo.
  Siamo anche molto soddisfatti del fatto che si sia riportata la nomina dei giudici della Corte alla seduta comune delle due Camere e non più tre alla Camera e due Pag. 68al Senato, che era una scelta estremamente «corporativa» che avrebbe identificato dei giudici della Corte come federalisti, non federalisti, autonomisti o non autonomisti con una deviazione di quello che dovrebbe essere il ruolo del giudice della Corte costituzionale, di giudice delle leggi che non ha delle preferenze di statalismo o di autonomia e non viene scelto su quelle basi.
  Sono anche positivi, a nostro modo di vedere, gli interventi sul Titolo V, non sono tutti quelli che noi avremmo voluto, il fatto che siano passati gli emendamenti sul lavoro che avevamo presentato anche noi insieme al Nuovo Centrodestra; gli emendamenti che abbiamo sottoscritto sulla promozione della concorrenza che è un fatto importante e altre modifiche che sono state apportate sono importanti.
  Noi pensiamo che ci siano degli altri temi che sarebbe stato opportuno ricondurre alla competenza statale e, in particolare, se n’è già parlato, quello della gestione dei servizi pubblici locali e delle società municipalizzate, non per regolare nel minimo dettaglio ma per creare una cornice statale che eviti gli abusi che si sono verificati in questi anni che hanno portato alla folle proliferazione di queste società e anche al malaffare di cui leggiamo costantemente sui giornali.
  Torneremo a lavorarci quando riprenderemo la discussione in Aula e siamo convinti che si debba arrivare a un risultato su questo aspetto.
  Varie sono state le altre modifiche importanti. Noi come Scelta Civica abbiamo ottenuto l'inserimento nell'articolo 97 della Costituzione, insieme ai principi di imparzialità e buon andamento, del principio di trasparenza dell'organizzazione dei pubblici uffici. È un principio fondamentale perché tutti gli italiani vivono costantemente il rapporto con l'opacità dei pubblici uffici, con la difficoltà di capire come sono strutturati, chi decide le cose, dove vengono prese le decisioni e dove stanno le responsabilità. Diventa un principio costituzionale e adesso pensiamo che, già a partire dalla riforma della pubblica amministrazione che il Ministro Madia porterà qui alla Camera, dopo aver ottenuto l'approvazione al Senato nei prossimi mesi, si dovrà lavorare per dare la massima attuazione possibile al principio di trasparenza.
  Altre richieste che avevamo proposto come Scelta Civica, invece, non sono state accolte e le riproporremo qui in Aula. Parlo della previsione di un ricorso alla Corte costituzionale contro le decisioni in materia di incompatibilità e decadenza, che riteniamo sia necessario e utile per evitare le mille polemiche che abbiamo vissuto anche quest'anno con la decadenza dell'ex Presidente del Consiglio Berlusconi ed è stato abbastanza sorprendente il voto contrario di Forza Italia su questo emendamento.
  Credo che non sia una buona idea, contrariamente a quello che si è detto, prevedere, come è stato previsto, lo scrutinio preventivo sulle leggi elettorali. Noi riteniamo che sarebbe stato meglio mantenere il sistema precedente, ma se si prevede quel sistema riteniamo che si debba renderlo applicabile anche alla legge elettorale eventualmente approvata in questa legislatura.
  Sono tutte soluzioni che noi abbiamo proposto e proporremo di nuovo, ma con la consapevolezza che siamo in un momento storico per il nostro Paese; si sta lavorando per modificare la Costituzione in un modo radicale sotto certi aspetti, modificando il sistema parlamentare e che ci governerà per molti anni.
  Proprio per questo chi vuole partecipare a questo momento storico deve fare anche dei compromessi, deve accettare delle modifiche e deve rendersi conto delle cose che sono accettabili e di quelle che non sono accettabili per arrivare al risultato complessivo, se lo ritiene complessivamente positivo.
  Noi pensiamo che questa riforma sia complessivamente positiva, continueremo a discutere, porteremo avanti i nostri emendamenti, ma alla fine vogliamo arrivare a un'intesa quanto più ampia possibile per completare questa riforma e arrivare finalmente al rinnovamento del nostro Pag. 69sistema costituzionale (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Prataviera. Ne ha facoltà.

  EMANUELE PRATAVIERA. Grazie Presidente, la politica è il pane che si mangia, la politica è quella cosa che dà la possibilità a ognuno di noi di guadagnarsi quel pane, di arrabbiarsi perché quel pane non ci viene concesso, ci dà la possibilità di auto-prodursi quel pane o ci dà la possibilità di dipendere da qualcun altro perché ci si possa cibare. Questo è l'insegnamento con cui io personalmente sono cresciuto in casa mia e mi sento di iniziare così questo, che è un intervento sicuramente importantissimo e che, per quanto mi riguarda, resterà ben scolpito nella mia memoria.
  Lo dico perché di fatto il problema è come si realizza quel pane. La politica, come dovrebbe funzionare, non viene sicuramente decisa dal Parlamento. Il Parlamento è un organo, le regole fondamentali però di come noi funzioniamo vengono appunto stabilite dalla Costituzione.
  Dico questo, che sicuramente a noi tutti può parere un'ovvietà, per ricordarci tutti di cosa stiamo parlando e del motivo per cui ci stiamo confrontando teoricamente in quest'Aula.
  La mia maggiore critica a questa riforma è che si tratta di una revisione della Carta che, a differenza di quello che si dovrebbe fare, non guarda avanti, ma guarda all'immediato, guarda a oggi, guarda ai rapporti che ci sono, guarda alla presenza di un dominus, che è Renzi, e agli equilibri della maggioranza che compone il suo Governo, la sua maggioranza. Ma bisognerebbe fare presente, come già qualcuno stamane e ieri ha fatto, come una parte di chi sostiene questa riforma fino a pochi anni fa, invece, vedeva le cose in maniera completamente opposta. Questo è importante soprattutto in un momento in cui stiamo, appunto, improntando un discorso che dovrebbe essere costruttivo proprio per stabilire quelle regole fondamentali per una convivenza civile e si spera ancora, non si sa per quanto, pacifica in questo territorio geografico denominato Repubblica italiana.
  La Costituzione è nata dopo vent'anni, bene o male, di guerra interna in questo Paese, vent'anni di fascismo, dopo la guerra, e, come ho ricordato poc'anzi, aveva una grande voglia di riscatto. È un testo che prevede un riscatto e una voglia di dare uno slancio verso il futuro non indifferente. Ma nel frattempo sono cambiate diverse cose: sono cambiate le istituzioni e la società. Le istituzioni, perché al proprio interno quella generazione che ha, bene o male, ricostruito un Paese è stata sostituita, invece, da una o due generazioni che hanno confuso qual era il motivo – in larga parte, ovviamente, perché non voglio fare di tutta l'erba un fascio – per cui è stata fatta quella Carta. Lo dimostrano i rapporti tra lo Stato e la mafia, lo dimostrano gli enormi scandali di corruzione che ciclicamente si sono susseguiti fino ai giorni d'oggi, in cui ci sono stati anche veri e propri voti di scambio. Questo lo denuncia anche la cessione progressiva della sovranità nazionale alla CEE prima e all'UE poi. Lo dimostra l'inadeguatezza delle nostre istituzioni ad adeguarsi ai processi di trasformazione mondiale, con la mondializzazione e la globalizzazione.
  In secondo luogo, a capire che qualcosa è cambiato ci ha pensato anche la società. I costumi, i valori, i consumi stessi, i modelli sociali, i modelli familiari, i modelli produttivi, i cosiddetti stakeholder, i portatori di interesse. Ma è cambiata anche la tecnologia, è cambiata la velocità delle informazioni, è cambiata, insomma, la velocità con cui tutto accade e, nel frattempo, la Costituzione è rimasta immutata.
  È proprio per questo che, a inizio degli anni Novanta, la Lega Nord si è imposta in tutto il territorio nazionale come una forza di estrema rottura e con una voglia di cambiare l'assetto costituzionale e istituzionale di questo Paese, che rappresenta, ancora oggi, la propria ragione di esistenza. È un'esigenza di cambiamento che Pag. 70è stata, appunto, una costante per questi vent'anni, in cui, però, purtroppo sono cambiati i valori basilari, come la mutualità, le garanzie, la rappresentatività, che di fatto hanno due requisiti necessari, come la funzionalità e la dinamicità.
  Questo perché al centro dovrebbe esserci stato in questi vent'anni e dovrebbe esserci ancora oggi, oggi che ci stiamo interrogando su questo, al centro del processo di innovazione il cittadino, inteso non più, però, come un semplice portatore di diritti e di doveri. Questo è dato oramai per assimilato; non siamo nel 1948, siamo nel 2014 e oramai è innegabile che ogni cittadino vanti dei diritti e dei doveri. Ma dovrebbe essere inteso come persona, quindi come qualcosa che va al di là di un'inquadratura da un punto di vista giuridico e le istituzioni dovrebbero essere al servizio di questa impostazione, in cui, appunto, la persona è al centro. Questa è una questione sociale, una visione sociale, in cui le istituzioni, appunto, supportano la persona e in cui lo Stato non è più una presenza coercitiva, come vorrebbe ricordarci la filosofia politica che dovrebbe, appunto, accompagnare anche questo tipo di decisioni. Di fatto, dunque, noi dovremmo interrogarci su come organizzare un'architettura statale che rimetta al centro la persona con le sue aspettative, con le sue aspirazioni di autorealizzazione e così via.
  Noi avevamo individuato questa soluzione attraverso la revisione federalista della Carta, attuando, tra l'altro, quello che era già previsto dai nostri padri e madri costituenti. Eppure, nonostante il federalismo, questa parola, sia stata al centro del dibattito politico per vent'anni e soprattutto nell'ultimo decennio, di fatto delle forze non troppo oscure, ma comunque conservatrici, lo hanno impedito. Lo hanno impedito a tutti i livelli sia in maggioranza che in opposizione. E questo ha portato di fatto ad un immobilismo, che ha condannato e sta condannando tuttora un sistema economico che non è in grado di liberarsi e di poter esprimersi come invece dovrebbe. E se il sistema economico non è in grado di esprimersi come dovrebbe, le persone non sono in grado di crescere come vorrebbero. E questa non è filosofia, questa è la Costituzione; è quello in cui la Costituzione poi si traduce ed è il motivo per cui noi oggi stiamo registrando che non solo stanno scappando i cervelli, ma stanno scappando anche le braccia, stanno scappando anche le gambe dei nostri giovani.
  La Costituzione decide le regole del gioco appunto e la Lega Nord, assieme ai partner della prima coalizione del Governo Berlusconi 2001-2006, aveva proposto, con la cosiddetta devolution, un cambio fattivo. Aveva anticipato per qualche verso i tempi, ma probabilmente – volendola pensare bene, ma volendola anche pensare male – proprio perché qualcuno non ha voluto osare e non ha voluto dare la libertà ai propri cittadini, si è fatta una campagna elettorale, di cui molti esponenti che siedono oggi in maggioranza sono stati tra i principali attori, per affossare quel referendum, il referendum 2006 che avrebbe portato l'evoluzione nella devoluzione, devoluzione dal centro alla periferia.
  Quella su cui ci stiamo interrogando oggi se appoggiare o meno è una riforma che di fatto mette, secondo noi, ancora al centro gli interessi di bottega, mette sempre più distante il controllo delle persone appunto, non più cittadini ma persone, mette distante il loro controllo dalle decisioni, dai centri decisionali, e li allontana ancora di più dalla possibilità di potersi autorealizzare.
  Infatti, se una comunità è libera, io posso decidere chi nella mia comunità è migliore, perché mi dà delle aspettative, e allora posso fare un investimento nella comunità, altrimenti questo non succede. E nel momento in cui voi disegnate una sede istituzionale in cui non solo il centro politico non è più la periferia, ma è il centro, e fate in modo che anche le capacità di spesa, la capacità di autonomia reale delle comunità locali che si esprimono in comuni, in province e in regioni non siano più autonome, ma siano comunque vincolate a dei parametri che vengono decisi all'interno di queste stanze, Pag. 71senza la possibilità diretta di controllo del cittadino, ebbene non è sicuramente un'evoluzione positiva, ma è un'involuzione.
  Questa è stata un'occasione persa per dare più federalismo, per dare più garanzia alla sovranità popolare, soprattutto rafforzando l'istituto del referendum. Era un'occasione per dare più autonomia, ma ci sono due principi che – è bene ricordare – hanno ispirato i padri e le madri costituenti, che voi state demolendo.
  Il primo è il principio della responsabilità tra gli enti locali; i criteri della Carta lasciano la possibilità ai politici di amministrare male senza che ci sia una coercizione da parte dello Stato o meglio lasciano che ci sia quella coercizione solo dopo che il danno è stato provocato. Il secondo è il tradimento concreto del principio di sussidiarietà, quel principio base che è stato tradito da una visione neocentralistica, che ancora una volta non va a premiare i comuni e le amministrazioni amministrate bene, che non vengono presi come riferimento dell'agire politico, ma che al contrario vengono parificati agli altri.
  E, ancora una volta, quando si parla di meritocrazia in questo Paese, lo si fa semplicemente usando gli slogan, ma non poi traducendo quegli slogan in fatti. Il terzo è il principio di autonomia, soprattutto nel momento in cui voi andate a ribadire nuovamente quel fittizio autonomismo di entrata e di spesa degli enti locali.
  In sostanza, voi state obbligando la periferia a svolgere i compiti che qui le assegnate. Date una parvenza di democrazia ai cittadini di poter decidere per la propria comunità attraverso delle elezioni locali per il sindaco, per il presidente della regione (abbiamo visto che per le province non è più così); li obbligate a fare in modo che si possano lamentare direttamente, magari, con il vicino di casa che si candida a consigliere comunale, ma che poi, di fatto, non è in grado di far crescere, con gli strumenti che ha a disposizione, la propria comunità.
  Ecco, questo è, all'esatto opposto, il motivo per cui io personalmente e, sono sicuro, anche tutti i politici che compongono la Lega Nord abbiamo cominciato a occuparci della cosa pubblica. Questo è il punto, signor Presidente: con questa riforma non verranno liberate le migliori energie, non darete la possibilità di liberare quello che rimane buono e delle persone che hanno voglia di convogliare la loro rabbia in processi costruttivi all'interno delle istituzioni.
  È un atto d'accusa, mi rendo ben conto, quello che sto facendo, ma è anche doveroso dirlo, perché poi possa rimanerne anche traccia nel momento in cui, di fatto, la gente capirà che quello che è stato promesso è l'esatto opposto di quello che si è realizzato (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Marco Meloni. Ne ha facoltà.

  MARCO MELONI. Presidente, colleghi, rappresentante del Governo, comincio con alcune considerazioni preliminari. All'inizio di questa legislatura, probabilmente, avevamo ambizioni un po’ più alte. Il 30 marzo del 2013 il Presidente della Repubblica costituì i gruppi di lavoro, dei quali uno si occupava di riforme istituzionali, e, a seguito di quella iniziativa, venne avviato un processo di revisione mediante il lavoro di una commissione incaricata di redigere un unico testo, da sottoporre, poi, all'esame parlamentare.
  Poi, le difficoltà politiche e le responsabilità specifiche di una parte politica, quella guidata da Silvio Berlusconi, hanno interrotto quel processo. Però quelle esigenze erano ineludibili allora e lo sono ancora, a maggior ragione, ora, e dunque, anche riprendendo quel lavoro preparatorio, è bene che il processo a cui stiamo partecipando, a cui stiamo prendendo parte, sia effettivamente e rapidamente portato a compimento.
  La seconda considerazione riguarda il punto di vista: dovremmo rifuggire tutti dalla tentazione di adottare una nostra posizione su questo processo di riforma a Pag. 72seconda della posizione che rivestiamo anche in quest'Aula, in questo momento. Si è avuta, anche da parte mia, l'impressione che il Governo immagini che sia più giusto rafforzare l'Esecutivo e il Parlamento miri solo o principalmente alla difesa delle prerogative parlamentari.
  In realtà – passo alla prima considerazione di merito, che riguarda la forma di Governo e il sistema politico – dovremmo essere tutti capaci, anzitutto, di avere chiaro l'obiettivo, di avere chiara la prospettiva verso la quale tendere; dunque, un sistema che quella commissione sulle riforme, istituita dal Presidente Napolitano, chiamava di parlamentarismo razionalizzato e una democrazia decidente, basata su un principio comunque maggioritario nella legislazione elettorale, credo che siano punti di partenza fondamentali.
  E dunque dobbiamo mirare ad avere un Governo più forte, perlomeno nella capacità di guidare l'organizzazione del processo legislativo, ed è bene quanto abbiamo approvato in materia, e dovremmo dunque puntare ad un Governo che possa essere chiamato responsabile, definito responsabile della sua azione, in questo modo, bilanciato da un Parlamento ugualmente forte ed autorevole.
  L'alternativa per cui alla patologia legata all'eccessiva forza dell'Esecutivo o alla ridotta democraticità del sistema si risponde con un indebolimento dell'Esecutivo produce due esiti che sono entrambi poco desiderabili, secondo me: o l'incapacità di decidere oppure lo scaricarsi della necessità di decidere su altri elementi del sistema. Un esempio è una legge elettorale che prevedesse un eccessivo condizionamento delle forze politiche e di chi le guida sulla composizione del Parlamento.
  Non è un esempio che cito a caso, perché è la condizione nella quale siamo. Un altro esempio è legato al fatto che, forse, negli ultimi venti anni, il bicameralismo paritario è stato un bene per l'Italia, perché ha frenato la possibilità che un Governo, quando era guidato da una persona che aveva molte situazioni complesse, che voleva risolvere attraverso la legge che vale per tutti, realizzasse una violenza sullo Stato di diritto e sulla legalità. Però lì, le patologie riguardavano il conflitto di interessi, il pluralismo dell'informazione, e non devono essere pagate con una inefficienza delle istituzioni, poi pagata da tutti noi, nella capacità di riformare il nostro Paese.
  Dunque, in conclusione: sì al superamento del bicameralismo paritario, sì a una maggiore forza dell'Esecutivo, però è necessario che ci sia, come bilanciamento, una maggiore forza del Parlamento. Io credo che una maggiore forza del Parlamento derivi innanzitutto da una migliore legittimazione dei parlamentari, che devono essere scelti direttamente dai cittadini; ricordiamocelo quando affronteremo la legge elettorale. Credo che sia giusto, per tornare a un tema che abbiamo discusso nelle scorse settimane e che ridiscuteremo qui, che la legge elettorale sia passibile di giudizio di costituzionalità in prima battuta, anche la legge che approveremo, perché il rischio di fare una campagna elettorale con una legge che qualcuno definisce potenzialmente incostituzionale, o quello che poi venga dichiarata nuovamente tale, è un rischio altissimo per la nostra democrazia. Non parlo di cose che in Italia, nel nostro Parlamento, non possono avvenire, perché la legge che è stata approvata nel 2005 è stata dichiarata tale, e quella che abbiamo approvato qui, in prima battuta, contiene ancora troppi elementi dubbi.
  Vi sono altri due punti di merito. Il primo sta sotto il titolo di Europa ed è richiamato nel dibattito che sviluppiamo in merito all'articolo 81. In tanti considerano le modifiche introdotte nel 2012, quelle per cui l'indebitamento è condizionato agli effetti del ciclo economico e al verificarsi di eventi eccezionali, come se, quelle modifiche, fossero l'adesione, non solo all'Unione europea, ma ad un certo tipo di Unione europea, quella fondata sull'austerità. Io penso esattamente il contrario. Anzitutto, dovremmo darci una disciplina della finanza pubblica anche per nostro conto. Un Paese che viaggia tra il 130 e il 140 per cento di debito non può permettersi di gestire in maniera sconsiderata Pag. 73le proprie politiche di indebitamento, perché quelle politiche sono politiche che non riguardano solo la finanza pubblica, ma investono il rapporto intergenerazionale, così diceva Beniamino Andreatta l'11 ottobre del 1984, proprio nella Commissione per le riforme. E quelle scelte, quelle degli anni Ottanta, hanno costruito una montagna di debiti e un sistema pensionistico, per esempio, che paghiamo noi, che pagano la mia generazione e quelle più giovani. Non possiamo più permettercelo e, invece, dobbiamo capire che il rigore dei bilanci nazionali è la via per un'Europa federale, un'Europa che passi dall'unione monetaria a quella bancaria, a quella fiscale e poi a quella politica, perché così, condividendo la sovranità sulle politiche economiche nazionali e, dunque, sui bilanci statali e costruendo un maggiore, un più forte, un più grande, budget europeo, solo così, sarà possibile costruire meccanismi di mutualizzazione degli strumenti di indebitamento e di investimento a livello europeo. Gli altri paesi possono scegliere se fare queste politiche espansive a livello nazionale o a livello europeo, noi no. Se provassimo a sforare il limite del deficit del 3 per cento e arrivassimo a quanto ci pare, noi saremo direttamente in Argentina, non abbiamo alternative. Noi, dunque, dobbiamo essere i principali sostenitori di un'Europa federale, nel senso che ho definito. Questa è l'unica via per sconfiggere il populismo e, soprattutto, la miseria, nella quale potremmo, invece, tutti quanti andare a finire.
  Il terzo punto riguarda i rapporti tra Stato e regioni, in relazione ad alcuni presidi essenziali del nostro welfare, il lavoro, la salute, le politiche sociali, il diritto allo studio. Abbiamo fatto bene, secondo me, a trasferire alla competenza statale le politiche attive del lavoro, però credo sia necessario trovare forme innovative, rispetto al testo attuale, di attribuzione delle competenze tra Stato e regioni che consentano di individuare, a livello statale, i principi fondamentali rispetto alle politiche della salute, alle politiche sociali e del diritto allo studio, lasciando poi ai livelli territoriali l'organizzazione dei servizi.
  Altrimenti faremo pagare due volte ai cittadini delle regioni meno attrezzate il divario nella qualità istituzionale ed amministrativa tra le regioni e anche nel benessere tra le regioni, divario che in Italia è così marcato. Così incideremmo in maniera troppo significativa e troppo dura sulla concreta ed effettiva tutela dei loro diritti.
  In conclusione devo dire che il dibattito che abbiamo svolto in Commissione è stato molto utile e molto interessante. Colgo anche io qua l'occasione per ringraziare i due relatori, il presidente Sisto e il capogruppo Fiano, e tutti i colleghi che hanno dato vita a questo dibattito. Credo che a partire da oggi e poi qui in Aula potremmo dimostrarlo anche a noi stessi e al nostro Paese: sembra che non si riesca mai a fare nulla di così complesso e molti decenni abbiamo impiegato per provare a portare a termine un processo di riforma costituzionale e, invece, è possibile migliorare l'efficienza delle nostre istituzioni e la qualità della nostra democrazia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Pollastrini. Ne ha facoltà.

  BARBARA POLLASTRINI. Grazie Presidente, mi avvicino a questo dibattito con modestia, dinanzi ad una materia che attiene alla carta fondativa del patto repubblicano, seppure nella sua seconda parte. Altri colleghe e colleghi hanno rammentato la vicenda drammatica che fu alla base della nostra Costituzione. In particolare il relatore Fiano, che voglio ringraziare con il relatore Sisto, ha ricordato come l'azione di padri e madri costituenti abbia scolpito articoli nati dal riscatto di una lotta di liberazione contro una dittatura odiosa. Lo fecero, quelle donne e quegli uomini, con uno sguardo presbite, uno sguardo rivolto al futuro ed alla consapevolezza che la democrazia non è mai costruita una volta e per sempre. Oggi Pag. 74quello sguardo risiede nel fare vivere quei principi scolpiti davvero intoccabili, attraverso regole che li rendano popolari nello spirito del nostro tempo.
  È la storia, infatti, a dirci del conflitto mai risolto definitivamente tra la lotta per i diritti e le possibili brusche regressioni. È un insegnamento questo che ci viene confermato persino dalla cronaca. Parlo dell'Occidente e dentro l'Occidente di un'Europa, scossa da una crisi economica drammatica e non ancora archiviata. È una crisi – lo sappiamo bene – che ha prodotto disuguaglianze, disagi sociali, solitudini a volte disperate. È una crisi che in Italia si intreccia con una questione morale indecente, che consuma fiducia e speranze, un groviglio pericoloso, che alimenta rabbia e può sfociare, come ha ricordato ieri il Presidente Napolitano, nello smarrimento di senso della stessa democrazia, spingendosi fino al suo rifiuto.
  Dov’è allora, rispetto al tema che discutiamo oggi, la nostra responsabilità, quella di un gruppo, di un partito e di una coerenza individuale ? Credo sia nel tenere il nesso tra la prima e la seconda parte della Carta, produrre cioè innovazioni che aiutino a rendere vitale, esigibile e comprensibile un'uguaglianza di diritti e doveri per un numero crescente di persone. È una questione, quindi, di efficienza, certo, ma ancora una volta di socialità e di trasparenza.
  Lo so, non basta il passo che compiamo con queste nuove regole. Solo un insieme coraggioso di riforme può restituire davvero dignità a chi è stato spogliato di una parte della sua dignità. Ma la scrittura di queste regole deve potere aiutare. Ecco perché, dopo trent'anni di promesse mancate, non è rinviabile un nuovo ordinamento dello Stato e del Parlamento, che chiuda una transizione troppo lunga.
  Il tema è realizzare cioè un incontro tra governabilità, rappresentanza e partecipazione e, in questo contesto, inserire appunto il superamento del bicameralismo attuale. La legge elettorale avrà l'onere di ricucire la tela tra eletti ed elettori e, così, più autenticamente rappresentarli. Questa riforma deve, invece, farsi carico di un'efficacia dello Stato, anche per recuperare l'autorevolezza dell'autonomia nazionale in rapporto ad un'Europa che vogliamo, però, rinnovata e politicamente integrata.
  Perciò, la riforma ha il compito di una rappresentanza territoriale che possa unire il Paese, fare camminare una solidarietà ed uno spirito autonomistico.
  L'impegno in Commissione – è stato detto – è stato davvero intenso e attento. Io ho vissuto quelle giornate con timidezza ed ascolto. Come altri, ho sottoscritto emendamenti ed ho votato quello sui senatori di nomina presidenziale, voto descritto da alcuni come esempio di una presunta volontà di boicottare le riforme e addirittura di boicottare il Governo.
  Per me, e voglio ripeterlo qui, quel voto è stato solo il modo per sanare una delle incongruenze.
  Semmai, lo dico con altrettanta schiettezza, vorrei riforme più nette, più esigenti, magari con il ridisegno delle regioni e l'abolizione di quelle a statuto speciale, ma so che il Parlamento è sovrano e rispetto profondamente il lavoro svolto finora.
  Io credo che il confronto arricchisca ed infatti il dibattito in Commissione ha prodotto risultati importanti, frutto del dialogo, ad esempio la correzione dell'articolo 1 sulla collocazione e l'indivisibilità dei diritti umani, civili e sociali oppure l'abolizione del voto bloccato e l'innalzamento del quorum per l'elezione del Capo dello Stato.
  Quest'Aula ha ora una grande responsabilità nel licenziare il testo e nel farlo nei tempi previsti.
  E allora mi chiedo e chiedo: è possibile lavorare ancora sulla composizione del Senato, rendere più limpida la sua funzione ?
  Il Governo può farsi tramite ed impulso di un impegno in questo senso con l'altro ramo del Parlamento ? Il Governo sa essere guida, ma al contempo ascoltare il Parlamento e mettersi insieme e metterci insieme in una volontà di miglioramento ?
  Riflettiamo insieme su come sarebbe cosa buona dare maggiore autorevolezza Pag. 75al nuovo Senato e superare eventuali contenziosi con la Conferenza Stato-regioni, senza ricorrere a successive norme di aggiustamento.
  E ancora: possiamo impegnarci per prevedere il riconoscimento, tramite una delega sempre reversibile, delle regioni virtuose o correggere le norme sul referendum, in una logica che voglia estendere i canali di partecipazione ?
  Colleghe e colleghi, termino con una personale certezza e con un dilemma: io credo nell'autonomia della politica, ma oggi un'autonomia che sia tale e sia stimabile fuori da qui va riguadagnata.
  Lo si fa con uno stile di umiltà, perché la politica, per troppo tempo, non ha saputo dare il meglio di sé.
  Anche per questo io penso sia indispensabile estendere il sindacato preventivo di costituzionalità alla futura legge elettorale e credo che sarebbe saggio se tutti i gruppi e i singoli parlamentari se ne facessero carico.
  Il dilemma, invece, è riproposto anche oggi e a ciascuno di noi.
  Il mondo è scosso.
  È di ieri la tragedia del terrore in Pakistan. La nostra Costituzione ripudia la guerra.
  Nulla appare per le coscienze irrisolvibile come il confine tra una guerra ed azioni mirate a difesa della sicurezza di popolazioni intere.
  Parliamo comunque di un uso della forza, anche quando quel ricorso avviene nel nome dei diritti umani.
  In questi casi – ecco la domanda – è utile – ed io credo di sì – elevare a maggioranza qualificata, su questi temi, il voto della Camera ?
  Colleghe e colleghi, io ho ascoltato tutti con attenzione e profondo rispetto, ho ascoltato i relatori di minoranza.
  Vedo le distanze, ma spero di interpretare almeno in parte lo spirito del mio gruppo nel dire che davvero non possiamo rinunciare ad ascoltarci, a lavorare insieme.
  Mi rivolgo in particolare ai colleghi Quaranta e Costantino di SEL, perché penso che sia più forte, su molti temi, ciò che ci unisce rispetto a quanto ci divide.
  E mi rivolgo al collega Bragantini, che ho ascoltato tante volte in Commissione, che sul legame con il territorio ha fondato la sua identità. O al presidente Toninelli che, se lasciasse da parte i toni offensivi di ieri, potrebbe dare un contributo serio in un passaggio importante. Forse sono un'incorreggibile ottimista, ma se quest'Aula saprà dare, nelle differenze che animano e arricchiscono sempre la democrazia, più solennità e più condivisione alla riforma, ne guadagnerà almeno di un gradino il prestigio della politica e di questi tempi non è poco. E prima di ogni cosa, renderemo merito al Paese.
  Signora Presidente, nel minuto che mi resta mi lasci fare accenno ad una notizia che abbiamo avuto in questi momenti dal Parlamento europeo. Oggi il Parlamento europeo ha votato a favore dello Stato palestinese e ha proposto un'esortazione a ogni Governo perché ci sia un'iniziativa autorevole di ogni Parlamento per il riconoscimento di due popoli in due Stati. È vero, non c'entra con il dibattito di oggi, ma mi lasci dire che questa notizia ha dato una speranza in giornate che sono davvero difficili per tutti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Dadone. Ne ha facoltà.

  FABIANA DADONE. Presidente, colleghi, «Mio Dio aiutami a sopravvivere a questo amore mortale»: si intitola così il celebre murales che campeggiava sul muro di Berlino. Tutti sicuramente in quest'Aula sapranno molto bene di che cosa sto parlando. Mi riferisco in particolar modo a quella famosa immagine che ritraeva il bacio, peraltro realmente accaduto, tra i due più famosi leader comunisti protagonisti di quell'epoca. Ecco, quell'immagine è diventata il simbolo della Guerra Fredda e mi spaventa l'idea che, tra venti o trent'anni, il simbolo di questa epocale riforma costituzionale sarà rappresentato dalla foto dell'abbraccio tra il Ministro Boschi e il senatore di Forza Italia Paolo Pag. 76Romani nell'Aula di Palazzo Madama immediatamente dopo l'approvazione del disegno di legge costituzionale. Mi preoccupa perché questo disegno di legge costituzionale è passato con 183 voti a favore, dopo un dibattito molto lungo, che ha visto le opposizioni in netta rivolta contro la maggioranza e un Governo e anche una maggioranza totalmente sordi di fronte ai rilievi sollevati dalle opposizioni. 183 voti favorevoli su 315. Una maggioranza che rasenta quello che era il quorum che doveva raggiungere, quando dovrebbe essere invece una riforma volta ad ottenere la più ampia condivisione possibile, non solo del Parlamento, ma soprattutto di tutto il Paese.
  Questa riforma, a mio parere, nasce sotto una cattiva stella; nasce da un accordo extraparlamentare, cui ha fatto seguito, tra gli altri accordi, questo tipo di disegno di legge. Chi ci ascolta da fuori, ha capito benissimo: si tratta di un disegno di legge. In altre parole, il Governo si è arrogato la facoltà di stravolgere la Carta costituzionale quando la competenza in una materia così delicata spetterebbe al Parlamento, finché perlomeno ancora resisterà. Ed è iniziata sotto il segno della minima condivisione ed è giunta finora sotto il segno della minima condivisione possibile. La strada si è avviata il 15 aprile scorso in Commissione al Senato ed è finita dopo quarantacinque sedute di Commissione e ventisei d'Aula. Ha superato tutte le difficoltà legittime poste dalle opposizioni grazie alla forzatura regolamentare posta in atto dal Presidente Grasso. E nonostante tutti gli sforzi dell'opposizione, anche molto costruttivi, il testo è arrivato alla Camera con gli stessi profili critici del tutto inaccettabili che erano presenti nel momento in cui è stato emanato dal Governo. Perché ha gli stessi approcci critici ed inaccettabili ? Perché si potrebbe esprimere un parere favorevole se si avesse un'ottica presidenzialista oppure un approccio orientato ad uno strapotere del Governo. Non è il mio caso, per cui ho dei seri problemi a ritenere favorevole questo tipo di riforma, soprattutto nei confronti dello strapotere del Governo perché in Italia l'Esecutivo non è eletto direttamente dal popolo, né tantomeno legittimato dalla votazione popolare.
  Quindi una riforma di questo genere non è coerente con l'assetto istituzionale che i padri costituenti ci avevano regalato. Ebbene questo testo così corposo – si tratta di circa 40 articoli su 139 – è giunto alla Camera. In Commissione affari costituzionali si sono tenute circa 25 sedute ed in aula il dibattito, invece, rischia di rimanere ancora più strozzato di quanto non lo sia stato in Commissione. La decisione di calendarizzarlo il 16 dicembre è stata presa dalla Presidente Boldrini e di fatto ha compromesso la discussione in Commissione perché ha raccorciato i tempi e ha spalancato le porte al contingentamento. Che orrore, Presidente, il contingentamento sulle riforme costituzionali ! Oggi in Conferenza dei presidenti di gruppo si sono riaperti i termini per le proposte emendative, come richiesto dalle opposizioni, fermo restando il contingentamento dei tempi, condicio sine qua non. Spero veramente che i padri costituenti non abbiano assistito dall'aldilà a questa scena perché era veramente, veramente pietosa.
  Tornando al merito del disegno di legge, questo testo ha in sé la modifica del Titolo V, la modifica delle procedure legislative e dell'assetto istituzionale con una riforma radicale del Senato e del bicameralismo e un forte sbilanciamento della Carta verso un sistema politico-istituzionale che ha ben poco a che vedere con quello originario. Sarebbe stato opportuno e rispettoso dei principi democratici e soprattutto del necessario e dovuto coinvolgimento dei cittadini inaugurare una fase costituente: 40 articoli su 139 utilizzando la procedura dell'articolo 138 è qualcosa di quanto meno inopportuno soprattutto se si considera la ratio della norma. Si sarebbe potuto fare un lavoro più dignitoso in questo senso. Il percorso, come dicevo prima, è stato accidentato ma, in realtà, accidentato è un eufemismo. È stato un percorso sbilenco sia nella forma che nei contenuti e completamente distorto nei pesi e nei contrappesi politici Pag. 77che sottendono a questo Governo e ai giochi che lo caratterizzano. Questo Governo di fatto, con questa riforma, ha condotto una vera e propria crociata contro la Carta costituzionale e contro la democrazia quanto meno la democrazia di carattere occidentale, quella dall'impianto liberale, rappresentativo e partecipativo, quella che noi vorremmo ampliare il più possibile coinvolgendo la cittadinanza, non tagliandola fuori ancor più di quanto non sia già tagliata fuori. Un esempio di che cosa non funzioni per nulla in questa riforma: il procedimento legislativo che viene completamente stravolto a favore dell'Esecutivo, ossia del Governo: perché tendo a puntare l'attenzione su questo fatto ? Perché si è parlato moltissimo di tanti punti soprattutto sulle testate giornalistiche o nelle trasmissioni televisive, di alcuni aspetti di questa modifica che riguardavano in particolar modo la composizione del Senato oppure ho sentito anche accesi dibattiti oggi, in aula, sulla dichiarazione dello stato di guerra conferita solo alla Camera con una maggioranza semplice. Questi, sì, sono punti critici ma il vero nodo sta proprio nello sbilanciamento dei poteri in favore del Governo perché il bello viene proprio lì, dal combinato disposto della legge elettorale, l'Italicum adesso in discussione al Senato, e questa riforma. Disposizioni costituzionali di questo genere, un impianto di questo genere, abbinato ad un sistema elettorale che quanto meno quello in discussione fino ad oggi è ancora maggioritario di fatto creerebbe una dittatura del Governo e della sua fida maggioranza, tralasciando poi l'opportunità di iniziare una legge elettorale da un ramo del Parlamento e una riforma costituzionale dall'altro quando poi sono strettamente connesse e legate, senza valutare il rischio che se si sceglierà un sistema proporzionale, da un lato, e cambieranno gli obiettivi di questa riforma oppure se si deciderà in questa sede di mantenere il bicameralismo perfetto, la legge elettorale che di là prevede le elezioni solo per la Camera sarà un po’ poco utilizzabile. Quindi o lo si fa con il chiaro intento di fregarsene di cosa si dice nelle aule parlamentari, altrimenti è un piano quanto meno goffo.
  Torniamo agli elementi dirimenti e assai discutibili, molto meno noti ma molto, molto più discutibili. L'articolo 10 del provvedimento modifica l'articolo 70 della Costituzione, una modifica radicale che muta totalmente l'ordinamento parlamentare e che per questa ragione ha ricevuto moltissime critiche dagli auditi in Commissione che avevano colto l'occasione, tra l'altro, per definire la compressione del ruolo del Parlamento nella formazione delle leggi, un mero strumento populistico oltre che illogico e contraddittorio.
  Un procedimento legislativo che, secondo voi membri del Governo, viene semplificato aumentando la tipologia di procedure fino a quattro, ma eliminando la doppia lettura e limitando il potere del Senato con votazioni a maggioranze estese. Il problema qui – ce lo siamo detti dal primo giorno in Commissione – non è la produttività del Parlamento: il problema è dell'ingerenza del Governo nella funzione del Parlamento e l'eccessiva produttività di quest'ultimo che, di fatto, ingolfa totalmente i lavori parlamentari.
  Altra insidia, che non si può per nulla trascurare, si trova nell'articolo 12 del disegno di legge, che modifica l'articolo 72 della Costituzione, laddove si è cercato di imporre a questa Camera, che sarà l'ultima che rimarrà, un voto bloccato, cioè un termine entro il quale si dovranno esaminare e, poi, votare i disegni di legge del Governo. Altro tassello non da poco è l'assoluta incongruenza di questo testo: è stato sottolineato da auditi, che non erano assolutamente del MoVimento 5 Stelle, ma, anzi, costituzionalisti di livello, che non sono stati per nulla ascoltati.
  Però io ricordo che, ad ottobre, il Ministro Boschi disse che si sarebbero tenute in conto le opinioni degli auditi durante i lavori, che sareste stati collaborativi. Allora, la domanda che sorge spontanea è: a quello opinioni si riferiva il Ministro Boschi ? Sicuramente, non a quelle di tutti gli auditi che sono stati presso la Commissione affari costituzionali, Pag. 78perché hanno sollevato dei dubbi sull'assetto monocamerale, così come l'avete costruito voi, sullo sbilanciamento pro governativo, così come lo avete stabilito voi, sulla compressione dei lavori parlamentari, e così via, così come lo avete pensato voi. Quelle opinioni sono cadute nel vuoto, probabilmente perché opinioni scomode.
  D'altronde, io ricordo anche, qualche mese fa, che il Ministro Boschi lanciò su Twitter una splendida idea, che era la seguente: la riforma sarà, comunque, sottoposta a referendum confermativo. È chiaro, perché al Senato era difficile riuscire ad ottenere la maggioranza dei due terzi e, quindi, si è lanciata in questa esternazione. Io sono assolutamente, tutti noi siamo assolutamente favorevoli a consultare i cittadini, ma trattarli con quella superficialità, in quella maniera, significa svuotare ancora di più le competenze del Parlamento su questo tipo di riforma. È come dire: indipendentemente dalla maggioranza che mi date, tanto, poi, io vado a chiedere alla gente fuori.
  Il punto è anche l'approccio nei confronti della Carta costituzionale di tutto il resto del Paese, perché, se li si tratta a quella stregua, significa che si dà anche degli sciocchi ai cittadini, perché si dà per scontato un plebiscito. E questa non è democrazia diretta, questo non è coinvolgimento dei cittadini: questo è un plebiscito veicolato.
  Io vi sembrerò allarmista, ma il fatto è che, per me, la Costituzione è alla base della vita di ogni cittadino, anche se, molto spesso, da fuori è percepita assai distante. La base dei diritti che permette la vita quotidiana – così com’è la democrazia e la libertà –, quella che conosciamo oggi, è garantita da questa Carta costituzionale. Per cui io sono notevolmente – sì, sono notevolmente – spaventata da questa riforma pastrocchiata.
  Ne verrà fuori un Senato non rappresentativo con dei senatori part-time, che avranno anche altre funzioni, con un vincolo nelle decisioni e un peso legislativo differente e un Governo abnorme, che potrà fare e disfare in base alle proprie maggioranze: questo, poi, dipenderà dalla capacità del Governo di far passare la legge elettorale che più gli farà comodo.
  Questo disegno di legge, come hanno già detto in questi giorni i miei colleghi, ma anche colleghi di altri partiti, presenta una serie di limiti ai principi democratici, che non possono essere cancellati con un colpo di spugna ottenendo il favore di un voto plebiscitario così. Se il Governo avesse avuto davvero l'intenzione di far partecipare cittadini attivamente, allora li avrebbe informati prima, avrebbe veramente reso questo Parlamento una casa di vetro, si sarebbe aperta la discussione in tutto il Paese, li si sarebbe informati, consultati, ma fatta così – lo dicevo prima – è un plebiscito e una presa in giro.
  Per me, la Carta costituzionale è il riassunto della storia del nostro Paese, la base della democrazia e della libertà e non è affatto un pezzo di carta, su cui si è posata troppa polvere, che deve essere modificato e stravolto a piacimento dalla maggioranza di turno per poter fare ciò che si vuole del nostro Paese.
  Peraltro, questo è un dettaglio non da poco, anche se poco citato in quest'Aula: questo Parlamento è stato eletto con una legge elettorale dichiarata incostituzionale; per cui ci si può appigliare all'infinito, sia da un lato che dall'altro, a dire che siamo politicamente legittimati, sì, lo siamo, no, non lo siamo; sicuramente su questo argomento avremmo, anzi, avreste, come Governo, come maggioranza, dovuto fare un passo indietro, perché a fronte di una composizione di un Parlamento di fatto «drogato» da una legge elettorale con un premio che è distorsivo non si sarebbe dovuto potere utilizzare quella maggioranza per approvare una riforma a proprio comodo. Assolutamente non si sarebbe dovuto fare; forse io sarò conservatrice, può essere.
  Stamattina il mio collega Colletti ha citato uno dei nostri padri costituenti – nonostante siamo molto giovani siamo molto attaccati alle radici del nostro Paese – lui ha citato un discorso, io invece ne vorrei citare un altro che è quello che ha fatto agli studenti milanesi nel 1955, è Pag. 79stato un discorso interessante, ve ne leggo giusto una parte far farvi avere qualche spunto di riflessione. In questa Costituzione c’è dentro tutta la storia del nostro Paese, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure e le nostre gioie, sono tutti sfociati qui, in questi articoli. Dietro questi articoli si sentono delle voci lontane, quando io leggo, nell'articolo 2, l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, o l'articolo 11, beh, questo è Mazzini; quando io leggo l'articolo 8, questo è Cavour; leggo l'articolo 5, è Cattaneo, il 52 è Garibaldi, l'articolo 27 è Beccaria. Ecco, quando dovremo andare a raccontare ai giovani di domani questa riforma, che cosa dovremo dirgli ? Quando leggeranno il nuovo articolo 55, dovremo dirgli: io ci vedo dietro Licio Gelli ? Non penso... o dietro al nuovo articolo 70, io ci vedo l'accordo Berlusconi-Renzi, dietro il 72, Boschi e Romani, dietro il 58 non modificato – perché quegli articoli badiamo bene a non toccarli, anche se se ne toccano quaranta – ci dovrei vedere tutti i casi di non concessione agli arresti che ci sono stati in quest'Aula o quelli concessi perché c'era l'attenzione mediatica addosso ? Sulla non modifica dell'articolo 66, idem, il conflitto di interessi; sull'articolo 77 dovremmo andare a dire che ci vediamo dietro il Presidente Napolitano ?
  Tornando a Calamandrei – e mi avvio a concludere, Presidente – quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Carta costituzionale, quella che state stralciando, non quella che volete modificare: «Dietro ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa Carta». Dietro gli articoli di questa nuova Carta costituzionale, cosa c’è ? C’è propaganda, opportunismo politico, populismo, ci sono i selfie del Presidente, ci sono gli hashtag ?
  Presidente, concludo veramente, una persona che stimo molto mi ha insegnato che le Costituzioni sono fatte in tempi di saggezza per durare in tempi di crisi. In questo momento, secondo voi, l'Italia che tipo di periodo sta affrontando ? A voi la risposta (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Giovanni Cuperlo. Ne ha facoltà.

  GIOVANNI CUPERLO. Signora Presidente, penso anch'io, è stato già detto da numerosi colleghi in questi due giorni, che la volontà di tagliare il traguardo storico di una riforma del bicameralismo abbia oggi una ragione di fondo, almeno se pensiamo che una recessione senza precedenti della nostra economia, sommata al declino delle rappresentanza, produce una crisi della democrazia molto più evidente nel nostro Paese che altrove.
  E non è una questione di percentuali nelle urne – in fondo la Francia ha consegnato la maggioranza al Fronte Nazionale, mentre qui il partito che guida il Paese ha superato qualche mese fa il 40 per cento dei consensi –, è proprio la tenuta di un ordine politico-istituzionale che va messo al centro. Ed è questo motivo che mi porta a sostenere il bisogno di una buona riforma. Naturalmente è giusto avere cura del modello che questa stagione è destinata a partorire, perché noi stiamo parlando dell'assetto dello Stato e degli equilibri istituzionali destinati a chiudere una transizione durata più o meno vent'anni, che, per una democrazia, è un tempo infinitamente lungo. Allora, sul merito, io penso che la sequenza delle audizioni ha avuto il merito di suggerire alcune modifiche che hanno portato ad un miglioramento del testo giunto al nostro esame. Ed è stato certamente un merito dei relatori, che anch'io ringrazio, avere raccolto quelle indicazioni, a cominciare dal fatto che parliamo di una Camera destinata a divenire sei volte più numerosa del Senato; e questo ha indotto giustamente una modifica al quorum per l'elezione del Capo dello Stato. Personalmente Pag. 80lo considero un risultato positivo, e anche la conferma – mi permetto di dirlo ai banchi del Governo – che su questa materia è giusto aprirsi alle correzioni, quando lo spirito sia teso a costruire. Lo dico, colleghi, perché nei giorni scorsi vi è stata una discussione dai toni anche accesi attorno al voto che ha rimosso dall'articolo 2 la previsione dei cinque senatori di nomina presidenziale. Io non torno sul merito se non per dire che riterrei saggio, nell'assoluto rispetto dell'Aula, confermare quell'orientamento, recependo anche in questo caso le osservazioni avanzate da più parti sulla coerenza del modello che scegliamo di adottare. Mi limito ad osservare che nessuno, ma davvero nessuno, né prima né adesso, ha voluto minacciare l'obiettivo finale. Cioè, non si tratta di rallentare il processo avviato, e la conferma è venuta dalla scelta di non incrinare i pilastri di questa nuova architettura che stiamo discutendo. In questa direzione si è mossa la conferma di un Senato non elettivo, pur sapendo che sul punto esistevano delle opinioni diverse. Ma dal Senato stesso era uscita un'indicazione nitida e a quel punto l'appello del Governo a non azzerare il percorso compiuto, a non ricominciare da capo, è parso un appello del tutto ragionevole, il che però rende ancora più decisivo fissare la cornice adatta a rendere quel modello realmente funzionante. In questo senso credo sia giusto collegare la revisione costituzionale alla legge elettorale, che oggi è all'esame dell'altro ramo del Parlamento. Ed è giusto farlo perché alcuni dei nodi che si vogliono aggredire non paiono ancora sciolti. Le questioni sono quelle note. La prima: per quasi un decennio noi abbiamo detto che gli elettori dovevano conoscere e scegliere i propri rappresentanti. Ora, la combinazione tra riforma del Senato e legge elettorale, ad oggi, questo principio lo rinvia una volta di più, nel senso che i cittadini continueranno a non scegliere una maggioranza dei deputati, a meno di modifiche al testo ora all'esame del Senato. Sappiamo anche che i cittadini non eleggeranno più i senatori né il presidente della città metropolitana né i consiglieri della provincia, che rivive con il nome di area vasta; in compenso sceglieranno con le primarie il segretario del partito ad oggi più votato, in uno schema che trasferisce il meccanismo di base della democrazia rappresentativa dalle istituzioni ad una singola formazione, forse in futuro più di una (Applausi di deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie). Il rischio è che il ceto politico selezioni una volta di più il ceto politico, mentre l'appello al popolo e alla sua responsabilità transiterebbe dal confronto interno ad uno o più partiti. Per parte mia, continuo a ritenere un limite restringere i confini della rappresentanza proprio quando tra società e istituzioni viviamo la frattura più grave dell'intera vicenda, parabola repubblicana.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SIMONE BALDELLI (ore 17,45)

  GIOVANNI CUPERLO. Seconda questione: noi sappiamo che negli ultimi 10-15 anni la tendenza, non solamente in Italia ma in generale nelle democrazie più mature, più avanzate, è stata di spostare il perno dell'azione legislativa dal Parlamento ai Governi. Le ragioni di questa tendenza, di questo processo sono molteplici e hanno riempito saggi e numerosi studi analitici, però vi è stato modo e modo di procedere, nel senso che un po’ ovunque si è tenuto conto dei contrappesi per un funzionamento corretto dei diversi sistemi. Per dire, in Francia – un Paese a noi vicino – il Senato ha acquisito un maggiore carico nel processo legislativo come contrappeso dell'Assemblea nazionale e in Germania la maggiore forza decisionale, il potere decisionale dell'Esecutivo, è stata compensata da un maggiore radicamento dell'impianto federale.
  Ora, letta così, la nostra riforma non sembra ancora del tutto coerente con la tendenza che si va affermando in altre grandi democrazie; cioè, nel nostro caso, rischiamo di produrre un po’ un unicum dove la riduzione delle prerogative di un ramo del Parlamento non è compensata adeguatamente da un ampliamento dei Pag. 81controlli da parte di altri poteri dello Stato.
  Diciamo che il pericolo è rafforzare il peso del Governo dentro il Parlamento con i decreti che continueranno a esercitare i loro effetti, con le deleghe che sappiamo a volte prive di chiari principi direttivi, ma in questo senso è importante il ruolo, il compito che l'attività di quest'Aula svolgerà nelle prossime settimane. E dico subito che in questo senso – ancora una volta ringrazio i relatori – io considero positive le correzioni introdotte sulla corsia preferenziale del Governo, il cosiddetto voto a data certa, allo scopo di prevedere una reale potestà della Camera sulla propria attività.
  Infine, sulla questione del Titolo V, diciamo così, la riforma che noi stiamo discutendo supera l'ispirazione del federalismo cooperativo che ha segnato il dibattito degli anni Novanta in questo Paese ma che oggettivamente, se siamo sinceri in questa sede, non ha dato una prova brillantissima di sé. Però, se noi consideriamo questo ritorno, insieme alle modifiche apportate all'articolo 81 della Carta, quella che emerge è una perdita di autonomia, prima di tutto sul versante della finanza pubblica, da parte di comuni e regioni. È un bene ? È un male ? Si possono avere, in questa Aula ci sono sicuramente, opinioni diverse, ma rimane il fatto in sé: è così. Per noi, a questo punto, conta moltissimo come si governa questo processo.
  Nello specifico la riforma ha scelto di prevedere due elenchi di materie, le prime di competenza statale e le altre di competenza regionale, e tra questi due elenchi non c’è omogeneità perché mentre le regioni non possono entrare nel dominio esclusivo e riservato allo Stato, lo Stato può entrare in quello regionale quando lo richiedano l'unità del Paese o l'interesse nazionale. Unità del Paese, interesse nazionale sono requisiti da tutelare, ma che forse potrebbero essere garantiti meglio dalla vecchia tecnica delle materie concorrenti dove lo Stato fissa i principi e le regioni li attuano con le proprie leggi. Infatti, in questo modo, noi non comprometteremmo l'ispirazione di una cooperazione efficace tra le istituzioni e i diversi livelli istituzionali. Lo dico anche perché io credo sia ragionevole evitare il rischio sollevato, non voglio dire dalla maggioranza ma da un numero significativo di costituzionalisti, attorno al pericolo concreto di un aumento futuro del contenzioso costituzionale.
  Detto tutto ciò, se io posso permettermi una considerazione finale di ordine più politico, resto dell'idea che la crisi italiana non sia oggi prevalentemente una crisi istituzionale. La nostra, a tutti gli effetti, è una profonda crisi politica, oggi anche economica e sociale, si sarebbe detto un tempo una crisi più sistemica, come si vede anche in questo passaggio. Penso agli indicatori di una recessione che ha già cambiato la morfologia sociale, le fasce dell'inclusione e della marginalità. Poi, certo, molti dei nostri problemi vengono da prima, alcuni vengono persino da lontano. Il punto è che noi abbiamo alle spalle almeno un decennio dove la rivendicazione di maggiore potere decisionale non è riuscita a compensare una crisi della rappresentanza e della stessa coesione sociale.
  E il risultato è stata un'inflazione di atti normativi, ma nessuna vera riforma, il che rende ancora più prezioso e urgente il tentativo e il lavoro che noi siamo chiamati a compiere.
  Il nostro obiettivo, dunque, deve tendere alla creazione di un ordinamento stabile e dotato dei contrappesi che rendono solide le democrazie. In questo senso il superamento del bicameralismo deve servire a rafforzare la democrazia parlamentare di questo Paese, non certo ad indebolirla. Cioè, dobbiamo evitare, tutti assieme credo, che il potere legislativo venga semplicemente adattato, un po’ come un abito sartoriale che si cuce su misura, ad un Esecutivo – non quello di oggi, quello di domani, quello di dopodomani – che potrebbe cedere alla tentazione di utilizzare il premio di maggioranza non solo per governare il Paese, come è del tutto legittimo, anzi doveroso, ma per intervenire su leggi fondamentali, Pag. 82che si tratti dell'autonomia della magistratura, delle libertà personali o della stessa legge elettorale.
  Come è stato ricordato in questa discussione da più colleghi, potrebbe diventare di parte persino la decisione più grave, più solenne, l'impegno militare fuori dai confini nazionali e questo di fronte ad un'agenda che non mette oggi la guerra fuori dalla storia, il che suggerisce di riflettere ancora, lo dico anche al Governo, e molto seriamente sulle proposte che tendono, sul punto specifico, ad un innalzamento del quorum previsto nel voto della Camera.
  Infine, davvero, io considero assai opportuno che quest'Aula sia chiamata a riflettere sul punto che la Commissione ha esaminato con un dibattito di notevole profondità, grazie a un intervento pregevole dell'onorevole Giorgis nella parte conclusiva dei suoi lavori, a tarda ora sabato sera. Parlo della norma transitoria sul sindacato preventivo di costituzionalità della nuova legge elettorale. Lo dico perché sarebbe una ferita non rimarginabile se le regole elettorali dovessero incorrere ex post in una nuova bocciatura della Consulta. E allora prevedere, come del resto avviene in altri ordinamenti, un giudizio preventivo su quelle regole io credo si debba considerare una garanzia in più che queste riforme possano ricostruire il legame di fiducia tra i cittadini e il Parlamento.
  Se mi è permesso – e ho concluso – avrei solo un piccolo «fuori sacco», ma mi ha molto colpito un passaggio delle nostre audizioni in Commissione ed è questo: «Una Costituzione non si scrive con la penna e con la lingua di una qualunque legge, perché una Costituzione ha un'altra natura e, soprattutto, coltiva una diversa ambizione, che è quella di durare nel tempo e di limitare qualunque conflitto interpretativo». Non per caso, la nostra Carta è stata scritta molti anni fa da mani magistrali e, non per caso, alla fine dei lavori dell'Assemblea costituente fu chiesto ad uno dei maggiori latinisti di quell'epoca di revisionarne il testo, naturalmente non per una banale questione di coordinamento formale, ma per garantire ad esso quella sintesi e quella potenza espressiva che noi abbiamo ricevuto in eredità.
  Ora, il testo che stiamo discutendo è più ampio di circa un terzo rispetto alla Costituzione attuale. Ci è stato detto, con un certo garbo ma anche senza una particolare reticenza, che contiene ancora dei passaggi e delle espressioni lunghe e ridonanti. Ecco, non è solamente un problema di stile.

  PRESIDENTE. La prego di concludere.

  GIOVANNI CUPERLO. Ho finito. È che noi dobbiamo scrivere degli articoli destinati ad essere letti e giudicati tra dieci, venti, forse trent'anni e questo, al di là di tutto, dovrebbe incuterci quel sacro timore di non essere, in un domani lontano, all'altezza della memoria dei posteri.
  Cari colleghe e colleghi, anche ascoltando le relazioni e gli interventi in quest'Aula, è chiara, almeno a me ma credo a tutti voi, la responsabilità che ci compete. Io ho iniziato dicendo che nessuno vuole scommettere sul fallimento di questo percorso e ne sono profondamente convinto. Dare all'esterno una lettura del nostro confronto o piegato a modeste beghe di parte, o peggio di partito, è una caricatura che offende ciascuno di noi, indipendentemente dal posto dove siamo seduti all'interno di quest'Aula.
  Anche per questo, però, io mi auguro che tutti assieme, forze di maggioranza e di opposizione, si possa accettare l'idea che alcune correzioni sono frutto esclusivo, sottosegretario, della volontà di migliorare questa riforma, così da fornire all'Italia un quadro di regole all'altezza del tempo storico che ci è dato di attraversare. È un tempo tutt'altro che facile, ma questo è l'impegno che noi ci assumiamo oggi qui, questa è la volontà che dichiariamo nella solennità di quest'Aula, nel Parlamento della Repubblica, questo è il traguardo per il quale alla fine tutti saremo giudicati (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cecconi. Ne ha facoltà.

Pag. 83

  ANDREA CECCONI. Signor Presidente, io non sono certamente un giurista e non ho fatto studi approfonditi sulla Costituzione, però oggi faccio questo intervento in Aula per dare un contributo e anche per dichiarare un po’ a tutti i colleghi che quello che oggi stiamo facendo servirà al presente, ma soprattutto al futuro del nostro Paese. E non mi pare che il metodo, il tempo dedicato e i modi con cui si sta cercando di modificare la nostra Carta costituzionale siano giusti, ma non nei confronti dell'opposizione, delle minoranze o delle minoranze all'interno dei partiti, che in qualche modo esprimono un dissenso o delle preoccupazioni nei confronti di questa riforma, ma nei confronti dei cittadini e anche nei confronti di ciò che esternamente diamo come immagine del nostro Paese.
  Noi stiamo modificando la Costituzione pesantemente: quaranta articoli su centotrentanove sono un'enormità rispetto a quello che è il contenuto stesso. Quasi tutto il Titolo II viene pesantemente modificato. E se prendiamo come assunto che la nostra Costituzione – e io lo credo – è una delle più belle e migliori di questo mondo, nel momento in cui decidiamo di metterci le mani, dovremmo farlo con molta premura e con molta cura, premura e cura che purtroppo non si sono viste né al Senato né qui alla Camera. Infatti, nonostante l'impegno di tutti i colleghi, anche in Commissione affari costituzionali, e il tempo dedicato ad approfondire e a cercare di migliorare il testo, questo è stato purtroppo pesantemente deviato da questioni puramente politiche, da accordi politici non fatti all'interno di questo Parlamento, da dissidi politici che non dovrebbero riguardare la Carta costituzionale, che è la legge più importante che abbiamo, e con continui rimandi dei punti principali.
  Infatti – diciamocelo seriamente – questa riforma costituzionale, per come è uscita dalla Commissione affari costituzionali, è piena di buchi, piena di difetti, piena di cose da dover assolutamente modificare e sistemare, perché non è possibile pensare di fare una riforma costituzionale lasciando una legge che non è chiara, che non è certa, che non è leggibile da chiunque e che non dà certezze.
  Molti punti sono stati certamente affrontati da tutti i colleghi, ma è chiaro che si richiede a questo punto a tutto il Parlamento, sia alla Camera che al Senato, di svolgere il suo compito pienamente, approfondito nella dovuta maniera, affinché si possa certo cambiare la Costituzione, perché nessuno dice che debba essere immutabile, ma per fare una Costituzione migliore di quella che avevamo e non certamente peggiore.
  Poi ci si può soffermare su scelte politiche che vengono fatte: se mantenere il bicameralismo o non mantenerlo, se il Senato deve rimanere elettivo o non elettivo, e di certo ci si può confrontare. Però, fare modifiche di così alto peso senza prevedere i dovuti contrappesi costituzionali, che erano ben stabiliti, certi e garantiti, lascia un vuoto che, in qualche modo, deve essere colmato e non può essere colmato, come si sta cercando di fare in quest'Aula, arrivando di corsa a gennaio con le riforme costituzionali perché ci sono altri impegni istituzionali: probabilmente il Presidente della Repubblica che si dimetterà e una legge elettorale al Senato che procede zoppicante.
  E, allora, perché noi dobbiamo correre per dare una certezza che certezza non è ? Infatti, una Carta costituzionale cambiata male non dà alcuna certezza e deve essere assolutamente, poi, rivista in un'altra Aula.
  A me dispiace, francamente, che, rispetto al Senato, si sia data alla Camera un'importanza inferiore rispetto al lavoro che è stato svolto nell'altro ramo del Parlamento: il Ministro Boschi molto meno presente, anzi, direi quasi assente; quasi sempre presente il sottosegretario, che è anche presente qui. Certamente, egli è espressione del Governo, però mi aspetto dal Ministro, primo firmatario del disegno di legge, che venga qui a difenderlo, a spiegarlo e a intervenire, quando viene interpellato su passi fondamentali.
  Questo non è avvenuto quasi mai in Commissione affari costituzionali e, da quelli che sono i presupposti, credo che Pag. 84non avverrà mai neanche durante i lavori d'Aula, e questo mi dispiace. Mi spiace perché, se devo ripensare a quando è stata scritta la Costituzione, ormai 70 anni fa, quando vi era un'Assemblea costituente che ha lavorato per anni, per mesi, solo per elaborarla, quello che vedo oggi in questo Parlamento non è assolutamente degno di quello che è stato fatto in questo Paese da grandi uomini, che hanno accompagnato questa Repubblica per lunghi anni e che meritano rispetto anche negli anni presenti e negli anni futuri.
  Ora, si può stare a discutere se le 80 ore a disposizione per le riforme costituzionali che ci vengono date a disposizione siano sufficienti o meno, e già questo è un errore. Non c’è tempo sufficiente: è un tempo necessario. Se è necessario parlare per 100 ore, per 180 ore o per 10 mila ore, questo è un tempo che noi dobbiamo riservare alla modifica della nostra Costituzione, ed è chiaro che quello che è successo al Senato, il modo, l'irruenza e i termini, ma anche le forzature da parte del Governo, ci auguriamo non si debbano ripetere in quest'Aula.
  E credo che, come rappresentanti delle minoranze, delle opposizioni, abbiamo dimostrato che non è quella la strada che noi vogliamo seguire. Il lavoro in Commissione è stato certamente proficuo e approfondito, non a sufficienza, dal nostro punto di vista: troppo intervallato e troppo guidato da interessi esterni alla Camera dei deputati. Però, ci aspettiamo che in Aula si possa effettivamente fare quel lavoro che in Commissione non si è potuto fare.
  Se vi sono dei gravi errori, delle gravi pecche all'interno di questa riforma, devono essere modificate. Non è possibile pensare di licenziare un documento zoppicante con la speranza che poi, al Senato, questo venga sistemato, ricorretto, per ritornare alla Camera nuovamente. Dobbiamo saper dimostrare ai cittadini che questa Camera è in grado di produrre, con l'operato e l'impegno di tutti, una riforma costituzionale degna di essere chiamata con questo nome, perché è una dignità che questo Parlamento si deve riservare, e, francamente, sapere, leggere sui giornali o, comunque, percepire che questa riforma è fatta più da due partiti fuori da qui o da due persone o poche più di due persone, tra l'altro anche discutibili, rende tutto questo operato praticamente nullo.
  Ma nullo, ripeto, non soltanto per il sottoscritto, ma per i cittadini, che percepiscono questa riforma come non propria, non condivisa; e non sono stati neanche messi al corrente, francamente, di quello che, effettivamente, questa Repubblica diventerà, se questa riforma mai dovesse vedere la luce. Vi devo dire la verità: se è questa la riforma che deve venire approvata sia alla Camera che al Senato, mi auguro che questo non succeda mai, perché, in questo modo, sembra più un documento scritto con i piedi, piuttosto che con qualcos'altro, che una riforma che sia utile a questo Paese. Infatti, è possibile pensare che, dopo 70 anni, ci possa essere qualche correzione da fare alla Costituzione italiana, la più bella del mondo: questo, ovviamente, è più che accettabile.
  Però, la correzione deve essere fatta per dare utilità a questo Paese ed anche un sistema di Governo nuovo, anche se può essere contestato, ma non può essere un sistema che lascia nell'incertezza, perché sembra quasi che qui si stia riformando il sistema delle province per creare un Senato che assomiglia tanto ad una qualsiasi provincia italiana, senza poi sapere che cosa è, cosa farà, come funzionerà; con un sistema legislativo che, attualmente, è abbastanza pacifico e semplice, ma che diventerà molto più complicato e anche molto poco chiaro, con un'elezione del Presidente della Repubblica ancora tutta da definire, anzi, proprio perché ben definita, a questo punto pericolosa, con una dichiarazione dello stato di guerra ancor più pericolosa, perché, se è vero che oggi «siamo tutti galantuomini», lo dico tra virgolette, e possiamo garantire, l'uno l'altro, che chi eleggiamo come Presidente della Repubblica, come Presidente del Consiglio, come Presidente della Camera, sono brave persone, questo non è possibile definirlo per il futuro.Pag. 85
  Quindi, chiedo un impegno alla Presidenza e anche ai deputati di questa Camera di utilizzare i giorni a venire, nel mese di gennaio, affinché non ci sia una preclusione preconcetta, da parte della maggioranza, a chiudere qualsiasi porta alla discussione e al cambiamento di questa Carta costituzionale, perché anche le minoranze, e anche le minoranze interne ai propri partiti, possono dare un contributo vero, affinché questa riforma costituzionale prenda la strada giusta. E se abbiamo la necessità, e se c’è bisogno, in questo Paese, di prendersi delle settimane, dei mesi, o anche degli anni, in più, per fare un lavoro utile per questo Paese, allora, è bene che, per questo Paese, noi lo facciamo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Nicchi. Ne ha facoltà.

  MARISA NICCHI. Signor Presidente, per noi la prima urgenza, direi l'impellenza, è uscire dalla crisi con più diritti. Sentiamo meno il tempo che urge su un’ ambizione che condividiamo, certo, di riforme, ma che pensiamo debba avere tempi di condivisione e di confronto più maturi, più capaci di un confronto che possa permettere un esito positivo, quello auspicato come ho sentito anche nel corso di molti interventi durante questa discussione. Comunque, una cosa la diciamo: noi vogliamo valutare questa riforma, questo progetto di riforma, proprio nell'ottica dei diritti; in quest'ottica la vogliamo valutare, proprio perché il testo che noi stiamo discutendo interviene, tra l'altro, su molti diritti, e su uno di quelli fondamentali per noi, il diritto alla salute. Il testo approvato dal Senato, che è approdato ieri in quest'Aula, attribuisce allo Stato le disposizioni generali e comuni, per la tutela della salute e lascia alle regioni la competenza esclusiva in materia di organizzazione e programmazione dei servizi sanitari e sociali. Diciamo che cogliamo in questo un cambiamento sostanziale, perché si conferisce un peso maggiore allo Stato centrale, si dice per porre fine ad una balcanizzazione, ad una eccessiva regionalizzazione della sanità frammentata in venti diversi sistemi sanitari. Partiamo da qui. Se è così per la sanità, se lo Stato si riprende queste potestà, allora noi diciamo che è profondamente sbagliata, come del resto ha scritto e sottolineato la XII Commissione, nel suo parere inascoltato nella discussione svolta in Commissione, l'attribuzione, in via esclusiva, alle regioni della potestà legislativa per le politiche sociali, perché si separa ciò che, invece, deve essere profondamente integrato. Su questo noi abbiamo presentato un emendamento che vorremmo che, poi, fosse valutato con libertà, in un confronto serio nella discussione che svolgeremo nei prossimi giorni.
  È un emendamento che ha uno scopo, che vuole garantire degli indirizzi uniformi per integrare le politiche sociali con quelle sanitarie, perché queste sono profondamente intrecciate: separarle sarebbe un grave danno, sarebbe un grave ritorno indietro.
  L'altra novità significativa riguarda la cosiddetta clausola di supremazia, cioè la possibilità per lo Stato di intervenire, in caso di inadempienza, a livello locale con più facilità, per incidere anche su materie di competenza regionale al fine di fare valere un interesse collettivo. Per noi questa clausola di supremazia ha solo un senso: deve valere per tutelare i livelli essenziali di assistenza, quei livelli che concernono i diritti civili e sociali, laddove cioè una regione, per problemi di bilancio, decida di eliminare alcuni di questi diritti garantiti dallo Stato e sanciti dalla nostra Costituzione. Questo è il senso del nostro emendamento ed è importante per noi che vogliamo valutare questa materia sulla base dei diritti, perché non sono rare le regioni che fanno quadrare i conti a spese dei diritti, che non producono salute come ricchezza primaria, che non contrastano le diseconomie.
  Diritti prima di tutto. Ecco, ma per questo serviva un percorso tutt'altro da quello scelto. Questo scelto è un percorso che stravolge la nostra Costituzione, voluto da un Governo e da una maggioranza, che hanno intrapreso una delle tappe che Pag. 86rispondono a colpi di machete, con tempi forzati, in una materia che deve essere affrontata con la massima serietà e con la massima delicatezza e che, al massimo, può essere sottoposta ad una buona manutenzione: la materia costituzionale.
  Si potevano scegliere modalità e pensiamo che ancora questo sia possibile e chiediamo che in tutta questa discussione si facciano i conti su un punto che ancora non è stato ben evidenziato e che chiediamo alla maggioranza di evidenziare: modificare la riscrittura dell'articolo 81 della Costituzione, quell'articolo che oggi implica l'obbligo di pareggio del bilancio e che noi vogliamo assolutamente superare, perché, solo superando questo vincolo, si possono affermare quei diritti fondamentali e, in primis, quel diritto alla salute, che noi mettiamo al primo posto nella valutazione della bontà di un progetto riformatore (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Migliore. Ne ha facoltà.

  GENNARO MIGLIORE. Signor Presidente, colleghe e colleghi, signor sottosegretario, innanzitutto vorrei partire da un sentito ringraziamento nei confronti di chi ha contribuito concretamente all'evoluzione di questa discussione, al presidente Sisto, al relatore Fiano, alle colleghe e ai colleghi con i quali ho condiviso, almeno fino a qualche tempo fa, la presenza nella Commissione affari costituzionali.
  Vorrei dire grazie per il modo attraverso il quale la crescita dell'opinione libera di ciascuno di noi si è conformata poi ad un mandato al relatore, che ha portato in quest'Aula un'impegnativa riforma, della quale abbiamo discusso non solamente nel corso delle lunghe ore in Commissione, ma anche fin dalla discussione pubblica che si è animata dopo la presentazione al Senato.
  Voglio dirlo senza nessuna iattanza. Credo che il maggiore rispetto nei confronti dei padri costituenti non sia la contemplazione inerme di un monumento, magari snocciolando delle citazioni che, per quando mi riguarda, sono parte integrante della mia cultura democratica e anche del mio bagaglio politico.
  Il rispetto politico, il rispetto dovuto a questa gigantesca opera di legislatori, qual è stata quella dei costituenti, è quello proprio di attendere ad un compito difficile, ma impegnativo e necessario come quello della riforma della Carta costituzionale, con l'umiltà di chi sa perfettamente di porsi di fronte ad un testo così impegnativo, ma, nello stesso tempo, di avere la possibilità di mettere in pratica quegli insegnamenti che sono già contenuti all'interno della Carta costituzionale, che prevede, ovviamente nei metodi che sono segnalati dall'articolo 138, essa stessa le sue modalità di revisione.
  Una Costituzione che, per quanto ci riguarda, ci guida nei suoi principi fondamentali, negli articoli che descrivono i rapporti sociali e che largamente è ancora inattuata, tant’è che si è parlato per lungo tempo – ed oggi bisognerebbe riprendere questo tema – di una Costituzione formale e di una Costituzione sostanziale nel nostro Paese.
  Io però vorrei innanzitutto partire da un dato, che per quanto mi riguarda è fondamentale, e cioè dal procedimento che è stato scelto per la revisione costituzionale.
  L'ho sentito citare solo en passant, ma per me, che sono stato tra quelli che il 2 giugno del 2013 manifestava contro l'idea che si potesse derogare all'articolo 138, il ripristino della corretta procedura costituzionale è stato un passo fondamentale nel riprendere quella strada che attribuisce la sovranità al Parlamento e nonostante vi siano state – come è comprensibile – anche delle discussioni sul fatto che la presentazione sia avvenuta per iniziativa e da parte del Governo, penso che questo rispetto sacrosanto dell'articolo 138 ci abbia messo al riparo da tentativi che potevano essere più ampi di revisione e più discrezionali, oserei dire fino ad essere arbitrari.
  Noi oggi dobbiamo valutare il punto politico ed anche istituzionale, oserei dire il quantum di innovazione che mette in Pag. 87contrapposizione ed in relazione quello che è richiesto innovare e quanto è sopportabile dalla Costituzione, in termini di innovazione, affinché essa non sia stravolta.
  Il punto che abbiamo raggiunto, a mio giudizio, è un punto di equilibrio felice, sebbene ancora migliorabile e sebbene non sia ovviamente quello più perfetto.
  Vorrei dirlo con grande chiarezza: questa riforma non è un antipasto, non è una riduzione del danno e non è uno sfregio alla Costituzione.
  Non è un antipasto per coloro i quali si aspettano che vi sia un secondo tempo, quello che magari adegui la forma di Governo ad un carattere presidenziale, perché questa riforma deve essere pensata ed è pensata, sicuramente da chi vi sta parlando, come un'affermazione del primato e dell'essenzialità di Repubblica parlamentare che è iscritta nella nostra Costituzione.
  Non è una riduzione del danno perché bisogna fare presto e quindi accettiamo un testo così come viene, perché, nello stesso tempo in cui abbiamo ragionato della possibilità di cambiare la Costituzione, ci siamo anche posti responsabilmente il problema di come essa fosse possibile, come strumento per migliorare l'efficacia e l'efficienza democratica del nostro Paese.
  E non è uno sbrego della Costituzione, non è una violazione dei principi fondamentali: lo dico a chi l'ha invocato, dentro quest'aula ed anche fuori dall'aula, perché l'idea che vi possa essere un'enfasi rispetto alla delegittimazione del processo di revisione costituzionale mette in difficoltà la stessa comprensione di larga parte della cittadinanza.
  Vi sono da molti anni i progetti che si susseguono alla ricerca di un punto di equilibrio rispetto al superamento del bicameralismo perfetto e sicuramente per una revisione critica di quella riforma del titolo V che non ha dato, come ha detto giustamente il collega Cuperlo, buona prova di sé nel corso di questi anni.
  Ma noi abbiamo tutta l'intenzione che la possibilità del mutamento costituzionale dovrà essere davvero misurata rispetto alla possibilità del rafforzamento della democrazia.
  Ma cos’è, almeno per me, che modestamente cerco di misurarmi con questo grande tema, la democrazia, se non un combinato tra equilibrio di poteri, rappresentanza e capacità di decidere ?
  Se noi non mettiamo insieme questi argomenti e non li mettiamo in relazione tra loro, la natura stessa del sistema bicamerale sarebbe male interpretata, soprattutto alla luce di quanto è stato novellato nel corso di questi anni. In effetti, il sistema bicamerale si è trasformato da equilibrio di poteri in un sistema effettivamente inefficiente. E non dico tanto per i tempi, quanto per quelle leggi per esempio che, nella navetta tra Camera e Senato, si sono arenate per la difficoltà di rappresentare una volontà generale del popolo. Quello che noi dobbiamo rappresentare, la nazione, in una forma così disarticolata, come è stato dimostrato anche nel corso di questi anni – si pensi alla legge sull'omofobia, solo per fare l'ultimo e più recente esempio di ciò –, porta ad avere un'incongruenza anche di che cosa voglia dire la volontà della nazione e la volontà popolare. Quindi, la mia riflessione, che a qualcuno potrà apparire eccentrica, la voglio rivendicare proprio sul punto che il superamento del bicameralismo paritario rafforza la democrazia parlamentare perché la rende più equilibrata rispetto all'assunzione delle responsabilità che ciascun ramo del Parlamento si assume.
  Allora, io credo che, in questo rafforzamento, non ci sia da guardare solo dal lato, che effettivamente può apparire come quello più sconcertante o comunque preoccupante, di una previsione di un maggiore potere del Governo. In questo c’è stata una discussione molto articolata, che è andata sotto il nome un po’ da leguleio di combinato disposto, ossia quello determinato dalla riforma del bicameralismo e dall'introduzione della nuova legge elettorale. Vorrei solo ricordare a me stesso che la legge elettorale maggioritaria è stata una scelta compiuta oltre vent'anni fa e questa è una scelta che in questa fase Pag. 88storica non è più reversibile, almeno, come ripeto, in questa fase storica. Ed è stata accettata da tutti i partiti che sono presenti in questo Parlamento, persino con delle promozioni di referendum che andavano nella direzione della reintroduzione di uno dei sistemi maggioritari, quello del cosiddetto Mattarellum, del quale io stesso fui promotore, tra gli altri, nel 2011. Penso che, da questo punto di vista, le garanzie, che sono state introdotte per esempio per l'elezione delle figure di garanzia, a partire dal Presidente della Repubblica, tengano conto di questa previsione maggioritaria, molto di più di quanto sia avvenuto materialmente nel corso di questi anni. E da questo punto di vista anche l'idea di introdurre uno Statuto delle opposizioni rappresenta un elemento che contribuisce alla chiarezza e alla crescita anche dei rapporti parlamentari.
  Però, mi si faccia fare una riflessione più generale. Si dice che bisogna garantire i contrappesi. So che questo è un tema, e sono sicuro che sia così, di carattere sicuramente formale. Ma vorrei anche aggiungere che è un tema eminentemente di carattere politico nel rapporto e nella forza che i partiti politici possono rappresentare come rappresentanti effettivi della volontà popolare. Una legge sui partiti politici sarà sempre più necessaria di qui in avanti, per garantire che essi siano delle strutture democratiche pronte a raccogliere le esigenze di partecipazione che ci sono nel nostro Paese. E quando mi si dice: vedete quello che succede nel Congresso degli Stati Uniti con il forte potere di bilanciamento persino in un sistema presidenziale, vorrei, allo stesso modo e sommessamente, ricordare che ci sono altri sistemi dove il Parlamento non ha lo stesso potere, proprio per la natura intrinseca dell'asimmetria di poteri dei partiti politici. Penso a quello francese. Invece, con questa nuova riorganizzazione dei poteri, il Senato effettivamente, come ha ricordato qui, seppure su un versante critico, la collega Dorina Bianchi, ha un forte potere di intervento che non è semplicemente un potere di veto, ma è un potere di riconsiderazione sulla base della natura territoriale e di rappresentanza, sebbene politica e non dei governi delle regioni, che può andare nella direzione di rafforzare il sistema parlamentare in quanto tale.
  E allora, in questo caso, è giusto e non è semplicemente un espediente quello che ci sia un'elezione di secondo grado perché la rappresentanza va di pari passo con chi la emana e, quindi, se qualcuno è espressione del suffragio universale, deve rappresentare la nazione; mentre, invece, se è il rappresentante di un organismo di secondo livello può rappresentare quella istituzione ed è questa la ratio che presiede anche alle elezioni di questa natura, alle elezioni di secondo grado. Per questo motivo penso che ci siano dei passi in avanti importanti anche nel procedimento legislativo anche se mi aspetto che su questo si faccia qualche passo in più. Penso, ad esempio, al voto cosiddetto a data fissa, che io preferisco chiamare di pronuncia in via definitiva, perché rappresenta meglio il processo legislativo che sottende alla scelta di mettere una data finale al voto ma che consente al Parlamento di esprimersi compiutamente sul progetto di legge. Io penso che, da questo punto di vista, avendo superato anche il testo del Senato che parlava di un voto bloccato, noi dovremmo introdurre dei limiti quantitativi perché, se da un lato è assai positivo il fatto che si possa superare quella «negoziazione opaca» che spesso è stata alla base anche di quella cosiddetta degenerazione del processo legislativo che è stata segnalata anche in tante sentenze della Corte costituzionale e da tanti richiami del Presidente della Repubblica, dall'altra noi dobbiamo intervenire perché vi sia sempre di più – e questo avverrà anche nell'intreccio con i Regolamenti parlamentari – un abbandono del ricorso della cosiddetta fiducia tecnica, che ha portato a distorsioni che politicamente sono inaccettabili come il fatto di poter votare per la fiducia e contro il provvedimento o viceversa. Infatti questo non è comprensibile all'esterno. Allo stesso modo sul referendum forse qualche sforzo Pag. 89in più si può fare, anche sulle firme. Tuttavia lasciatemi dire una cosa, per me che di campagne referendarie ne ho fatte in questi anni a decine, il fatto che si possa immaginare che si consegue un quorum per la metà degli effettivi partecipanti alla precedente elezione politica è un risultato straordinario che consentirà davvero l'esercizio democratico e, se devo dare un'indicazione o un suggerimento, si faccia una legge attuativa del referendum che estenda – mi avvio alla conclusione – il tempo nel quale si possano raggiungere queste cifre di firme. Infatti sia su questa che sulla legge di iniziativa popolare, il tema è stato l'inefficacia dell'iniziativa cosiddetta secondaria o comunque indiretta, non quello del mancato raggiungimento dei requisiti e dei compiti.
  Vedete per me è fondamentale che questa nostra discussione esca all'esterno. Lo è stata in una breve stagione, poi è diventata materia soprattutto per addetti ai lavori. Mi piacerebbe una discussione, come si dice, for dummies, per persone magari che non se ne intendono, per giungere all'approvazione della riforma qualora, come è molto probabile, si ricorra al referendum confermativo costituzionale dopo un approfondito ed efficace dibattito nella società italiana. Già nel 2006 – io fui tra quelli che lo bocciarono – ci fu un referendum che bocciò una riforma costituzionale. Noi oggi abbiamo la sfida in definitiva di stare dentro questa discussione sia dentro il testo, direi con linguaggio antico, «in sé», sia fuori dal testo cioè «per sé». «In sé» per la qualità della riforma, per come la portiamo avanti e «in sé e per sé» per la capacità di questa classe dirigente di riconquistare il legame di fiducia che anche qui è stato ricordato come essenziale per ricostituire un rapporto – ho concluso davvero – nelle certezze che devono animare la qualità dell'iniziativa e della rappresentanza politica. Noi, componenti pro tempore di questo ufficio così importante che è quello della rappresentanza parlamentare, a questa sfida ci dobbiamo predisporre: a quella non solamente di ottenere i numeri qui dentro ma di raccontare che questa riforma serve a migliorare la qualità della democrazia dei nostri cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Richetti. Ne ha facoltà.

  MATTEO RICHETTI. Signor Presidente, ringrazio i colleghi preventivamente per l'attenzione. Lo dico fuor di retorica: il lavoro in Commissione e anche la discussione delle giornate di ieri e oggi restituiscono come il contributo parlamentare non sia stato né di forma né di facciata. Io sono tra quelli convinti che già con questo testo, che probabilmente non sarà quello definitivo, rimandiamo al Senato un testo migliore di quello che questa Camera si è trovata a discutere, ad emendare e, io spero in fretta, anche ad approvare. Migliore per la discussione che abbiamo fatto con il contributo di tutti, migliore perché mantiene i capisaldi che stanno dentro agli obiettivi di questa riforma della Costituzione, che non sono togliere alla Carta costituzionale – lo dico perché ho ascoltato con attenzione anche il contributo dei colleghi del MoVimento 5 Stelle –, non sono mettere in discussione i principi fondamentali e nemmeno togliere quella tensione ideale che era contenuta nel lavoro dei nostri padri, ma, da figli responsabili, provare a rendere questa Carta più aggiornata, più appropriata e più rispondente ai bisogni della società italiana.
  I capisaldi sono quelli che molti colleghi hanno ricordato: il superamento del bicameralismo perfetto, la riduzione del numero dei parlamentari, la riduzione del costo della politica, ma non la riduzione della qualità delle nostre istituzioni. Questo fine alla quarta lettura deve essere un obiettivo perseguito con tenacia.
  Alcune sottolineature che voglio fare a temi che sono già stati evidenziati dai colleghi, in particolar modo, anche dai colleghi del Partito Democratico: più volte si è discusso di forma di Governo, che non viene messa in discussione. Ci siamo mossi consapevolmente nel solco della democrazia Pag. 90parlamentare, del rispetto della democrazia parlamentare, non voleva e non vuole essere uno degli obiettivi di questa riforma ridiscutere la forma di Governo. Credo, però, che abbiamo aumentato – e dirò in fretta perché dal mio punto di vista – la capacità complessiva delle nostre istituzioni, anche di questo Parlamento, di dare risposte in modi e tempi certi. Il ringraziamento che faccia al relatore, onorevole Fiano, è un ringraziamento non di forma, ma di sostanza, anche per il merito con cui ha accompagnato la discussione e i lavori della Commissione.
  Si è più volte fatto cenno al cosiddetto passaggio – perdonatemi la superficialità – dal voto bloccato al voto a data certa. Questo non è un elemento di forma. Noi abbiamo ricevuto un testo che prevedeva, ad un certo punto, il voto bloccato sul testo che arrivava dal Governo, annullando il lavoro parlamentare: lo facciamo diventare un voto che esalta l'attività del Parlamento nella sua funzione legislativa e dà certezza di esame del provvedimento; esame, perché l'approvazione o il respingimento sono sempre a carico del Parlamento.
  Lo dico perché di questo punto si esaspera molto spesso la relazione tra Parlamento e Governo e non affrontiamo con una sufficiente attenzione quanto questo può migliorare, anche all'interno di quest'Aula, la relazione tra maggioranza e opposizioni. Se un'opposizione è legata ad un iter che, ad un certo punto, ti porta, al di là dell'attività parlamentare, al voto sul testo del Governo, sarà un'opposizione portata a vanificare il tentativo di migliorare quel testo.
  Se apriamo alla possibilità di andare ad un voto a data certa, tenendo conto e facendo parte di quel testo il lavoro parlamentare, allora io credo che possa diventare una relazione molto più costruttiva, anche in ambito propositivo, perché ciò che intercorre nei giorni nei quali il Parlamento esamina il testo è elemento in considerazione del voto, che viene considerato nel momento del voto. Guardate, questo non è solo un bon ton di relazione tra Governo e Parlamento: sta dentro alla qualità dei lavori parlamentari e alla qualità di ciò che questo Parlamento può produrre.
  Si è spesso discusso, anche tra di noi, anche nei lavori in Commissione, anche nella dialettica, nell'interlocuzione all'interno del gruppo del Partito Democratico.
  Lo voglio dire perché, ovviamente, questa discussione ha avuto rilevanza anche pubblica: non c’è collega nel quale ci sia stato atteggiamento né di frenatore, né di sabotatore, non c’è stato collega di quest'Aula e di questa Commissione, là dove eravamo, che sia stato mosso da elementi con l'obiettivo di non farle queste riforme. Lo voglio dire a testimonianza dei nostri lavori, a testimonianza di questo dibattito e, da questo punto di vista, prendo a riferimento la discussione sulla composizione del Senato. Su questo punto c’è stato un dibattito ampio, io stesso avrei considerato un Senato delle regioni che impegnasse maggiormente gli esecutivi delle regioni a portare la posizione di quel livello istituzionale nella discussione parlamentare. Io stesso avrei acceduto all'idea di un Senato maggiormente procedimentalizzante la relazione tra regioni e Senato, ma siccome quando si cambia la Costituzione – e non lo dico io, lo ha ricordato meglio di me, oggi, la collega Rosy Bindi che ho ascoltato con grande attenzione, quando ci ha ricordato: non riapproverei il Titolo V a maggioranza – non può essere solo un dato di forma quello che si cerca il dialogo e l'intesa di forze più ampie di quelle della sola maggioranza, ciò non vale a targhe alterne.
  Lo dico davvero come elemento di discussione e non come elemento di critica tra di noi. Il fatto che una modifica possa ridurre il numero delle forze politiche che continuano il percorso delle riforme è un elemento non di metodo, ma di merito, quella modifica va messa sotto i riflettori dell'opportunità, laddove riduce, non il numero dei contraenti del patto, ma le forze parlamentari che condividono una riforma. Stiamo alla dinamica parlamentare. Da questo punto di vista la composizione che ci arriva dal Senato – che è una composizione sulla quale, lo ripeto, Pag. 91abbiamo riflettuto e io stesso ho ragionato in termini critici – è la composizione che ci porta alla sintesi più condivisa possibile tra le forze politiche. Questo è l'elemento che guida la modalità con cui, secondo me, vanno fatte le riforme.
  C’è un altro elemento sul quale voglio fare una veloce considerazione, perché anche questo è stato oggetto di riflessioni molto profonde da parte di colleghi e anche molto sofferte, il giudizio preventivo della Corte costituzionale sulla legge elettorale. Non c’è dubbio che abbiano, non solo, diritto di cittadinanza, non glielo devo riconoscere io, ma pertinenza quelle considerazioni che dicono: rendiamo più facile il ricorso alla Corte, fino anche a quelle che dicono: rendiamo automatico il ricorso alla Corte. Non accetto però che non ci sia la considerazione del fatto che oggi abbiamo una Carta che è la migliore del mondo, secondo molti di noi, e lo dico anche per quanto quella Carta ha condotto la vita politica e istituzionale del Paese fino a qui, oggi, abbiamo una Carta che non prevede il ricorso alla Corte e quegli irresponsabili dei figli dei padri che sono stati ricordati restituiscono alla società italiana una Carta che prevede e istituzionalizza il ricorso alla Corte. È fatto con modalità, procedure, numeri, condizioni sbagliati ? Di questo possiamo discutere, ma è indubbio che introduciamo quella possibilità che viene ancora una volta data al Parlamento con una modalità e una procedura formalizzata. Da questo punto di vista ritengo che sia un dato oggettivo riconoscere il miglioramento del testo che andiamo a restituire.
  C’è un ultimo punto – e poi mi avvio alle conclusioni – che è un punto centrale, lo dico perché qui c’è qualcuno che il regionalismo lo ha conosciuto, fatto e agito per davvero, ed è il tema delle competenze. Competenze e competitività sono due termini che hanno la stessa radice e io sono convinto che competenze sbagliate tra le istituzioni producano complessivamente minore competitività di un Paese. Anche sul Titolo V sarei un pochino più riflessivo, ci sono molte cose corrette nel portare in prossimità delle comunità la gestione delle competenze, ma non c’è dubbio che occorra ripensare a quelle competenze più a carattere, se mi passate il termine, industriale, quelle che attingono a venti piani energetici regionali diversi, quelle che attingono a una promozione delle attività turistiche che non può essere frammentata, quelle che attingono a segmenti nelle quali le regioni hanno avuto protagonismo, ma non sufficiente per creare e per tenere la competitività complessiva del Paese, perché mentre il mondo investe nel nord Africa sulle alternative noi siamo all'autosufficienza delle comunità regionali.
  Su questo, non c’è dubbio che quella parte del Titolo V sia profondamente condivisibile. Ce n’è una seconda, che è quella che attiene a quanto le regioni siano state fondamentali nella cura dei bisogni delle persone. Lo dice uno che viene dalla scuola di Ermanno Gorrieri, del quale proprio quest'anno ricordiamo i dieci anni della sua scomparsa, e quanto quella scuola, quell'idea, quel pensiero abbia a cuore l'universalismo dei servizi, cioè l'universalismo della risposta ai bisogni delle persone. E fino a qui, nei confronti delle regioni, che avevano un unicum tra disabilità, formazione, inserimento lavorativo, welfare e cura delle persone, un unicum che consentiva quella che noi chiamiamo la presa in carico complessiva del soggetto, nel momento in cui accediamo a questa idea ed eliminiamo la modalità concorrente, perché non esiste più e c’è quella esclusiva, è evidente che si rompe quella possibilità, dentro alla concorrenza, di avere indirizzi nazionali in una gestione e in una risposta regionale. Allora quel problema te lo devi porre. Cioè, devi regolamentare il fatto che, se scegli la strada della mancata concorrenza – e io sono d'accordo, io accedo – nella divisione tra le competenze esclusive, devi differenziare l'indirizzo della gestione, altrimenti tutte le volte che una regione legifera su una materia che è ritenuta esclusiva dello Stato è un'invasione di campo ma tutte le volte che concedi una materia esclusiva rompi l'unitarietà dell'universalismo della risposta. Questo è un Pag. 92tema delicatissimo, sul quale non basta un emendamento che inserisce una funzione, serve un ripensamento complessivo di quell'equilibrio, perché stiamo toccando, tra l'altro, la parte di maggiore fragilità delle comunità. Credo che la discussione che abbiamo fatto fin qui sia stata una discussione importante, che, ripeto, ha visto contributi veri. Questo è un pezzo che rimane aperto, tra l'altro: c’è un impegno della Commissione verso l'Aula ed è terreno che prosegue nelle quattro letture di questa riforma. Sono convinto che, se il lavoro procede con questa modalità, allora noi, figli, un po’ come diciamo a Modena, «scarlancati», stiamo davvero rendendo più appropriata una Costituzione che non solo viene stravolta ma ha profondamente bisogno di un adeguamento e di un'appropriatezza alla dimensione della società e delle comunità di oggi. Credo anche che già nel lavoro fatto fino a qui noi restituiamo agli italiani, oggi, una Costituzione migliore di quella che abbiamo trovato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sanna. Ne ha facoltà.

  FRANCESCO SANNA. Presidente, colleghi, rappresentante del Governo, credo che questi ultimi scampoli della nostra discussione sulle linee generali servano, più che per esporre in maniera sistematica quello che è venuto fuori dal lavoro del Senato prima e della Commissione affari costituzionali della Camera dopo, un'interlocuzione vera tra di noi, secondo uno spirito costituente, secondo uno spirito parlamentare, cioè semplicemente secondo uno spirito di chi dice, di chi ascolta e di chi interagisce con gli argomenti. Sarebbe infatti abbastanza triste, come in parte questo dibattito ha dimostrato, che noi fossimo semplicemente capaci di una riaffermazione stanca e, in quanto stanca, sempre più gridata dei nostri teoremi, delle nostre ideologie. Voglio dire, anche se non è più presente in Aula nessuno del MoVimento 5 Stelle – e questo è un po’ la simbologia della loro partecipazione alla fase di revisione costituzionale –, che sarebbe stato certamente molto meglio, per un'accuratezza dei nostri lavori, per una migliore loro pubblicità, per una loro capacità di essere discussi anche nell'opinione pubblica, nelle università, nelle amministrazioni locali, nei luoghi dove si realizza la democrazia, nella rete, la possibilità di fare quello che il disegno di revisione provvisoria dell'articolo 138 aveva suggerito di fare.
  Eravamo arrivati sino all'ultimo miglio e cioè una bicamerale che, insieme ai colleghi del Senato e similmente a quanto fece la Commissione dei settantacinque nella Costituente, redigesse un primo testo poi da consegnare alla discussione di entrambi i rami del Parlamento, ma con una concentrazione di riflessione e con una capacità di rendere evidenti i grumi problematici dalle cose che dovevamo cambiare e che dobbiamo cambiare che, devo dire, la navette a cui stiamo sottoponendo questo testo con il Senato e la impossibilità per noi della Camera di essere lì a Palazzo Madama e per loro oggi di essere qui, ci ha sostanzialmente impedito e che rende molto più faticoso questo nostro lavoro.
  Lì c'era anche la possibilità, da una parte, senza bisogno di ricorrere allo stratagemma di far mancare un voto ai due terzi, di procedere al referendum popolare confermativo per far diventare efficace la riforma costituzionale, lo si prevedeva direttamente nella modifica dell'articolo 138 provvisorio; e c'era una cosa importantissima e cioè l'eliminazione, non tutta ma tendenzialmente quasi tutta, dell'effetto del premio di maggioranza nella composizione di quella Commissione.
  Chi in questa Aula ha parlato della mancanza dello spirito costituente e chi fuori da questa Aula ha scritto appelli contro l'autoritarismo strisciante e sulla impossibilità per questo Parlamento di ricorrere ad una fase di revisione costituzionale profonda, anche se non tocca i principi fondamentali della nostra Carta, deve riconoscere che quello è stato un tentativo positivo per eliminare gli effetti del maggioritario nella fase di revisione Pag. 93della Costituzione, di rendere più razionale il nostro lavoro. E se quello non si è potuto fare lo si deve a chi si è sottratto al dibattito e al voto finale, come ha fatto il MoVimento 5 Stelle e alla deriva, direi un po’ irrazionale, non nel dibattito ma al voto finale, di Forza Italia. Le politiche costituzionali anche su singoli punti manifestate nel dibattito e nel voto anche in questa Camera io sinceramente non sono riuscito proprio a capirle.
  È, comunque, una costante che, quando si discute di Costituzione, ci sia sempre qualcuno che dica che bisogna fare di più, ed è giusto, che bisogna fare meglio, ed è giusto, e che chi se ne occupa è sempre malfermo, è sempre incapace, è sempre alla fine non perfettamente affidabile rispetto alla materia che gli è assegnata.
  Nel marzo del 1947 un signore anziano ma molto importante nella cultura italiana, Benedetto Croce – perché le Costituzioni le hanno scritte le classi dirigenti giovani dell'Italia del dopoguerra ma alcuni sigilli li hanno messi anche i grandi vecchi della cultura italiana – si riferiva al lavoro fatto dalla Commissione dei settantacinque presieduta da Terracini e dove c'erano Moro, Dossetti, La Pira, Togliatti, il meglio della cultura politica dell'Italia uscita dalla Resistenza. E per Benedetto Croce la redazione di quel progetto di Costituzione non era felicemente riuscita proprio per essere stata, diceva così, «scritta da più persone in concorso» e, inoltre, egli accusava la «partitomania», la causa ben trasparente dei negoziati accaduti tra i rappresentanti dei partiti che hanno messo capo a un reciproco concedere ed ottenere, appagando alla meglio o alla peggio le richieste di ciascuno.
  Io dico che se Benedetto Croce, rispetto a quel tipo di lavoro che noi oggi consideriamo alla base di quella che per molti di noi è una grande Costituzione, un grande esempio del costituzionalismo occidentale, lo degradava sostanzialmente ad un, non voglio dire mercimonio, ma sicuramente ad un effetto mediocre di un negoziato tra i partiti di allora, io credo che la costante che oggi ci vede, si licet parva ovviamente, essere accomunati a quelli che hanno alla fine prodotto un risultato non all'altezza delle richieste del nostro sistema politico, della modernizzazione del nostro sistema politico, forse vada considerata con una qualche indulgenza da parte di chi, invece, si è voluto cimentare in questo lavoro e che ha prodotto un lavoro, direi, positivo nell'ottica invece di quel compromesso costituzionale che già alla Costituente abbiamo sperimentato.
  Infatti, non basta dire che un punto dell'elaborazione costituzionale va male, che quell'istituto può essere criticamente migliorato, può essere reso meglio rispetto a un'idea di democrazia e a un'idea di funzionamento delle istituzioni della democrazia. Bisogna, poi, essere capaci di una sintesi finale nel voto. Una sintesi finale nel voto vuole dire che noi, forze politiche qui dentro, possiamo e dobbiamo fare accordi, nel senso del compromesso costituzionale con le forze politiche che alla fine votano a favore e rendono possibile l'approvazione della revisione costituzionale.
  È per questo motivo che, fermandomi ad alcuni brevissimi accenni su punti ancora poco condivisi dalla totalità di chi ha avuto modo di cimentarsi con l'elaborazione della revisione costituzionale, e alcuni di questi punti, come ricordava prima il collega, sono oggetto di una discussione anche interna al Partito Democratico, nell'assenza di idee di altri, così come diceva un grande della nostra democrazia, Aldo Moro, rispetto al suo partito, abbiamo dovuto essere, a volte, alternativi a noi stessi. Abbiamo dovuto fare il ruolo della maggioranza e il ruolo di un'opposizione su questi temi costituzionali, ed è stato un ruolo positivo e utile per tutti.
  Però, lo voglio dire ai colleghi, come Gianni Cuperlo, che, per esempio, hanno messo in discussione e in contrapposizione l'autorevolezza del nuovo Senato, in quanto eletto indirettamente, che non possiamo sostenere che questa sia una causa di mancanza di autorevolezza se poi tutti noi insieme eravamo, come opzione principale, quelli che volevano il Senato delle regioni sul modello del Bundesrat tedesco, Pag. 94perché il Senato delle regioni, secondo il modello del Bundesrat italiano, è un Senato non eletto da nessuno, ma nominato dai venti presidenti delle regioni italiane. Essi sì sono eletti, ma le loro giunte sono tutte nominate, secondo uno schema puro di sistema presidenziale che forse in altri pezzi d'Europa non esiste.
  Quindi, noi volevamo quel tipo di Senato delle regioni, ma dobbiamo essere consapevoli che quel Senato, autorevolissimo in Germania, qui rischiava di essere monocolore, monocolore del Partito Democratico; e per questo non ricevere il consenso di tutte le forze di opposizione che qui volevano e hanno imposto un Senato con una colorazione politica differente, tramite un'elezione di secondo grado con la rappresentanza delle minoranze dei consigli regionali e con una rappresentanza delle autonomie locali; perché in questo nostro Paese, dove le regioni le abbiamo inventate 60 anni fa ma i comuni li ha inventati Dio, purtroppo per alcuni che volevano semplicemente dire che i sindaci non ci facevano nulla, gli 8 mila sindaci italiani, le municipalità e le storie delle nostre comunità pesano nelle nostre istituzioni, e meno male che pesano ! Evitare, quindi, queste contrapposizioni, diciamo con argomenti differenti.
  In ordine alla valutazione preventiva della Corte costituzionale sulla legge elettorale sono molto d'accordo quando noi lo inseriamo in Costituzione come sistema eccezionale che addirittura blocca la promulgazione della legge, cioè come diritto di una minoranza di dire che in quella legge elettorale c’è un baco di illegittimità costituzionale. È onere della minoranza di dire, persuasivamente, che c’è un motivo di illegittimità, non dire genericamente che quella legge non mi piace, come il presepe di Eduardo De Filippo nel Natale in casa Cupiello.
  Non è possibile ridurre la Corte costituzionale a camera suprema dell'indirizzo politico, perché così avverrebbe se vi fosse, questa è la mia opinione, una valutazione automatica e senza motivi di contestazione della legge elettorale. Cosa imporrebbe alla Corte costituzionale di forgiarsi un suo modello ideale e astratto, però, di optimum dei sistemi elettorali e imporlo, con il crisma del criterio di legittimità costituzionale, ad un Parlamento che, invece, lo ha elaborato in maniera differente ?
  Molto meglio quello che abbiamo scritto concordemente nella modifica della Costituzione e molto meglio, a mio avviso, lasciare così le cose per la nuova legge elettorale, perché quella nuova legge elettorale, che arriverà prima della riforma della Costituzione, sarà una legge elettorale promulgata, efficace, ma che ciascun cittadino – ne basta uno, secondo quello che ci ha spiegato la Corte costituzionale nella sentenza n. 1 del 2014, che vada davanti a un giudice e gli chieda se il suo diritto di cittadino italiano è potenzialmente leso, non concretamente leso, non serve che arriviamo alle elezioni, ma potenzialmente leso da quelle disposizioni elettorali – potrà mandare davanti alla Corte, che a quel punto la giudicherebbe così come ha giudicato la precedente legge elettorale.
  Questi sono tutti punti, colleghi, che avremo modo di vedere quando discuteremo le proposte emendative insieme a tanti altri. Io credo che dal lavoro che abbiamo fatto venga fuori una democrazia più matura, una democrazia più forte, una democrazia non governata, come diceva Leopoldo Elia, ma governante: non governata perché non c’è un potere esorbitante dell'Esecutivo, ma c’è un equilibrio tra i poteri; democrazia governante perché noi usciamo dall'ideologia e dalla prudenza dei nostri costituenti, dei nostri padri di settant'anni fa, quando fecero una forma di Governo eccessivamente mirata a contrastare le possibilità di governo di chi vinceva e uno non si fidava degli altri sotto il profilo democratico e, quindi, lo doveva indebolire.
  Oggi i tempi sono cambiati, oggi siamo in un contesto di democrazia matura e ci possiamo permettere più Governo e ci possiamo permettere più Parlamento, però tra noi parlamentari dobbiamo fidarci di più di noi stessi, non siamo poveri burattini nelle mani di quattro capi partito e, quando ragioniamo del Parlamento e del Pag. 95Governo, ragioniamo di poteri in dialogo, ma anche in possibile contrasto tra loro, e vince il Parlamento.

  PRESIDENTE. Onorevole Sanna, la prego di concludere.

  FRANCESCO SANNA. Concludo, Presidente, ritornando a quel Benedetto Croce che, quando doveva criticare il risultato della rielaborazione costituzionale di quei mesi importanti per la storia futura della nostra politica, lo contestava – direi – con la cultura e con la testa rivolta al passato, e però concludeva il suo intervento chiedendo, in alternativa a quel metodo e a quelle sintesi provvisoriamente raggiunte, lui laico, addirittura la discesa dello spirito santo su chi tocca queste materie. Veni, Creator Spiritus, mentes tuorum visita, diceva Benedetto Croce.
  Io credo che non bisogna rivolgersi alla capacità di Dio di infondere nelle nostre menti l'illuminazione politica e basta. Dobbiamo far riferimento alla nostra cultura, alla nostra capacità, alla nostra storia, quella che io credo che nelle prossime settimane questo Parlamento, questo Paese, questi parlamentari, che hanno preso in mano questa delicatissima materia, riusciranno ancora una volta a dimostrare di essere all'altezza di poter fare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Naccarato. Ne ha facoltà.

  ALESSANDRO NACCARATO. Signor Presidente, colleghi, la riforma costituzionale affronta temi irrisolti da anni, rafforza la democrazia parlamentare e riordina il sistema delle autonomie locali. Il disegno di legge è una risposta alla crisi delle istituzioni e interviene per superare i limiti del nostro sistema democratico. Il disegno di legge supera il bicameralismo paritario perfetto e disegna un sistema legislativo monocamerale. Il Senato diventa un organo di secondo grado eletto dai consigli regionali, che rappresenta le istituzioni territoriali. Il Senato è escluso dalla compartecipazione all'indirizzo politico e dalla relazione fiduciaria con un Governo, che è assegnata alla sola Camera dei deputati.
  Sul piano politico, il nuovo Senato richiama – e questo è un elemento di soddisfazione – l'impianto programmatico del Senato delle autonomie al centro della proposta della coalizione dell'Ulivo del 1996, di cui si è tanto parlato; evidentemente c'erano diverse cose giuste in quella proposta programmatica e si tratta di riuscire a realizzarle.
  Il testo originale è stato in parte peggiorato nel corso dell'esame dell'attuale Senato, dove è stata assegnata al nuovo Senato delle autonomie locali la competenza sugli articoli 29 e 32 della Costituzione su famiglia e trattamenti sanitari obbligatori e sono stati inseriti, sempre nel nuovo Senato, i cinque senatori di nomina presidenziale.
  Ora, la prima questione è stata corretta durante l'esame in Commissione affari costituzionali. Sulla seconda c’è stato un confronto – molti colleghi lo hanno ricordato – che penso vada approfondito, senza alcuna intenzione di stravolgere o, peggio, bloccare la riforma, perché la presenza dei cinque senatori di nomina presidenziale, secondo molti esperti ascoltati nel corso delle audizioni, non pare né coordinata né appropriata al nuovo Senato, mentre tale presenza sembra a molti più adeguata ad essere inserita all'interno della Camera dei deputati.
  L'altro punto importante su cui mi soffermerò di più è il Titolo V. Ora, alla luce della riforma del 2001, ritengo necessario correggere i limiti profondi emersi in 14 anni di esperienza, che sono evidenti in tre aspetti principali. Il primo: la confusione nell'attribuzione delle funzioni e delle materie tra Stato e regioni e i conseguenti ricorsi alla Corte costituzionale. Tale confusione ha prodotto la moltiplicazione delle leggi regionali in diverse materie, generando costi crescenti e incertezze e ostacoli per le attività economiche.
  Secondo: i risultati economici negativi di molte regioni e delle autonomie locali. Sul punto risulta di grande interesse l'analisi Pag. 96della sezione autonomie della Corte dei conti sull'andamento dei bilanci delle regioni, introdotta dalla legge n. 213 del 2012, che evidenzia il fatto che dal 2001 i bilanci delle regioni hanno presentato difficoltà crescenti e un ricorso eccessivo all'indebitamento.
  Terzo: la paralisi nell'assunzione di decisioni strategiche su materie fondamentali, come la politica energetica e le infrastrutture, dove i veti incrociati delle regioni e degli enti locali hanno bloccato la realizzazione di opere decisive per lo sviluppo del Paese. Sul primo punto è utile leggere con attenzione un eccellente lavoro di ricerca del Servizio studi della Commissione affari costituzionali, che esamina l'attività della Consulta dal 2001 a oggi ed evidenzia lo spazio assunto dal giudizio in via principale, sia in termini assoluti sia in termini percentuali.
  Nel periodo analizzato, il giudizio in via principale è aumentato dal 7,6 al 45,7 per cento delle pronunce della Corte. Sull'esito, poi, di tali ricorsi, uno studio recente sugli ultimi tre anni indica che sui ricorsi regionali o provinciali contro leggi statali le dichiarazioni di incostituzionalità costituiscono un quinto del totale, mentre, per quanto riguarda i ricorsi dello Stato, le pronunce di incostituzionalità sono state il 62 per cento nel 2013 e il 55 per cento nel 2012.
  Sull'andamento economico-finanziario delle autonomie locali è intervenuta la legge costituzionale n. 1 del 2012, che ha modificato gli articoli 81, 97, 117 e 119 e ha introdotto il principio del pareggio di bilancio, corrrelandolo a un vincolo di sostenibilità del debito di tutte le pubbliche amministrazioni, nel rispetto delle regole derivanti dall'ordinamento europeo. La legge del 2012 ha delimitato, finalmente, l'autonomia finanziaria degli enti territoriali e ha spostato l'armonizzazione dei bilanci pubblici dall'ambito delle materie concorrenti a quello delle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato.
  La Corte ha fotografato il fallimento della riforma del 2001 con la sentenza n. 62 dell'anno scorso, che ha affermato che la crisi economico-sociale ha «ampliato i confini entro i quali lo Stato deve esercitare la competenza esclusiva nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale».
  È un punto importante da evidenziare, perché segnala che i limiti della riforma del 2001 hanno prodotto effetti negativi sui conti pubblici statali, hanno indebolitole le istituzioni di fronte alla drammatica crisi economica in corso e indica la necessità che le giuste modifiche costituzionali della legge del 2012 siano ora completate dalle coerenti modifiche ordinamentali presenti nel disegno di legge in discussione.
  Sul Titolo V abbiamo assistito in questi anni – e ve ne è stata una ripresa anche nel dibattito in Aula di questi giorni – alla demagogia sul federalismo, che, anziché favorire lo sviluppo delle pratiche virtuose di autonomia del governo locale, ha prodotto risultati negativi sul piano economico-finanziario e sul piano normativo, e ha causato la deresponsabilizzazione dei livelli locali di governo e un aumento delle differenze e delle distanze tra le varie zone del Paese.
  Basta pensare al sistema sanitario, che presenta bilanci fortemente indebitati e prestazioni diverse nelle diverse regioni. Basta pensare all'uso propagandistico che si è fatto dell'articolo 116 della Costituzione, quello che prevede le tanto decantate forme e condizioni particolari di autonomia per le regioni. Nessuna regione, neppure quelle governate dalla Lega, ha mai utilizzato fino in fondo questa previsione; neppure negli anni, e sono stati tanti, dei Governi di centrodestra.
  Si deve partire, penso, dalla constatazione che il federalismo fiscale è stato un fallimento, sia per come è stato disegnato nel 2001 sia per come è stato realizzato con la legge n. 42 del 2009, che venne presentata con enfasi dall'allora Governo di centrodestra. Il federalismo è stato alimentato da un'ideologia che non ha retto alla prova dei Governi nazionali e locali, neppure a quelli a guida leghista.Pag. 97
  La tesi di fondo assegnava al federalismo fiscale una superiorità miracolosa: la pressione fiscale sarebbe diminuita e la spesa pubblica sarebbe diventata più efficiente, con un semplice colpo di bacchetta magica, magari di colore verde. Vi ricordate, penso tutti, lo slogan: «pago, vedo, voto». Come si è tradotto sul piano legislativo questo slogan accattivante ? Con un disastro. Infatti, con la legge n. 42 del 2009, i Governi di centrodestra hanno realizzato un federalismo completamente diverso: la pressione fiscale è cresciuta a livello locale, l'indebitamento degli enti territoriali è aumentato. Infatti, quella legge e i conseguenti decreti legislativi, che hanno portato con sé, in realtà, varie strutture burocratiche costose e inconcludenti, che spesso danno l'impressione di volersi autoalimentare, hanno determinato un modello fondato su due aspetti. Da un lato, un assetto basato su tributi, come l'IRAP, raccolti dallo Stato, e sul ricorso alla compartecipazione dei prelievi statali, anziché sui tributi locali e sulle addizionali. Dall'altro, le regioni hanno avuto, in determinate materie, autonomia tributaria e di spesa e hanno allargato la sfera dei servizi gestiti direttamente o mediante costosissime società partecipate. Le regioni sono diventate, in contrasto con le previsioni costituzionali, enti gestori e hanno costruito una sorta di centralismo regionale finanziato con le compartecipazioni a danno dei tanto sbandierati principi di autonomia locale e di responsabilità. Dove erano i leghisti mentre si realizzava il centralismo regionale e la pressione fiscale locale cresceva ? Perché a sentire il dibattito sembra che questi aspetti siano scomparsi dalla nostra discussione, mentre questo è accaduto sotto i nostri occhi, inneggiando al federalismo in maniera inconcludente. Io credo che questo punto debba essere analizzato con attenzione alla luce delle esperienze concrete di questi anni. La legge n. 213 del 2012 ha affidato, come ricordavo prima, alla sezione autonomie della Corte dei conti il controllo sui bilanci delle regioni, e in base a quella legge la Corte presenta una relazione al Parlamento ogni anno. La relazione deve essere letta, io credo con attenzione particolare, perché descrive, in maniera plastica, lo stato fallimentare del federalismo realizzato con la legge n. 42 del 2009. I dati sono allarmanti e riguardano quasi tutte le regioni, anche quelle che si sono autoproclamate virtuose. Si va dai prestiti del Governo per pagare gli arretrati alle imprese fornitrici della sanità erogati alla regione Piemonte, all'epoca a guida leghista, che sono stati utilizzati per pagare altri debiti e passività pregresse extrabilancio, ai controlli inesistenti in Calabria e in Campania, agli errori di contabilizzazione dell'indebitamento e alle rappresentazioni contabili scorrette del Veneto, altra regione a guida leghista. Poi ci sono le regioni a statuto speciale, che non vengono toccate dalla riforma, secondo me sbagliando. In Sicilia solo metà delle leggi sono accompagnate dalla relazione tecnica con gli effetti che si possono facilmente immaginare. In Sardegna, nel 2010, 2011 e 2013, si sono approvate leggi prive di copertura finanziaria, anche qui lascio immaginare gli effetti. In Friuli vengono segnalati, cito dalla relazione della Corte dei conti: 1.700 dipendenti che lavorano fuori bilancio in un sistema satellitare composto da enti, agenzie, aziende, società ed enti funzionali. Qui si pone un aspetto che merita una riflessione ulteriore sul principio di responsabilità degli amministratori delle regioni. Ritengo che sia necessario valutare la possibilità di estendere l'applicazione della clausola di supremazia, e su questo sono stati presentati emendamenti che spero verranno esaminati con la dovuta attenzione, anche alle regioni speciali e di rendere più incisive le previsioni dell'articolo 120 della Costituzione sul commissariamento delle regioni, altrimenti assistiamo al paradosso che diventano commissari i presidenti delle regioni che hanno creato i debiti che hanno portato al dissesto finanziario delle regioni stesse. Allora, al di là dell'approccio ideologico, che ancora ritorna in molti interventi, dobbiamo interrogarci sul fallimento del federalismo fin qui realizzato. La delocalizzazione e la decentralizzazione dei tributi non è stata utilizzata nel modo Pag. 98migliore e molti enti territoriali si sono dimostrati impreparati e incapaci nella gestione delle funzioni di accertamento e riscossione. Allo stesso tempo, la moltiplicazione dei centri decisionali sulla spesa ha prodotto un aumento dei costi senza controlli adeguati. Attenzione, però, e concludo, il fallimento del federalismo del centrodestra non può, e non deve diventare un alibi per cancellare la giusta richiesta di maggiore autonomia e maggiori poteri da parte degli enti territoriali, purché agganciati a una serie di aspetti di bilancio che rendano praticabili queste richieste. Per questo, la riforma va nella direzione giusta; attribuisce, in modo più appropriato, le funzioni tra Stato e regioni, corregge alcune storture e limiti che hanno prodotto la situazione appena descritta.
  La riforma contiene gli elementi per riprendere con coraggio il percorso verso una Repubblica, in cui Stato ed autonomie locali cooperano e collaborano tra loro, rafforzando le regioni con competenze ben definite e attraverso il superamento della finanza derivata, con effettive entrate proprie e controlli più incisivi in un quadro di maggiori responsabilità.
  Su questo io credo che una riflessione ulteriore serva farla sullo spostamento delle materie che si è proposto, in maniera seria io credo, nel disegno di legge di riforma. Tra queste, a mio parere, sono di fondamentale importanza l'ordinamento scolastico, l'istruzione universitaria e la programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica. Si tratta di temi di assoluto rilievo, infatti tutti riconoscono a parole che scuola, università, conoscenza e ricerca sono settori decisivi per la formazione delle persone, per aumentare i saperi, per affrontare la crisi economica e per rilanciare la crescita. Il Governo ha deciso giustamente con la legge di stabilità di investire maggiori risorse, dopo anni di tagli lineari, nella pubblica istruzione.
  Queste scelte devono essere accompagnate ora da una definizione certa delle competenze, superando le incertezze e le confusioni presenti nell'attuale assetto definito dal Titolo V. Infatti oggi lo Stato ha competenza esclusiva sulle norme generali sull'istruzione, mentre l'istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche, è compresa tra le materie di legislazione concorrente e l'istruzione e la formazione professionale sono affidate alla competenza residuale delle regioni. Il disegno di legge di riforma assegna allo Stato in via definitiva le disposizioni generali e comuni sull'istruzione e l'ordinamento scolastico e assegna alle regioni, fatta sempre salva l'autonomia scolastica, i servizi scolastici, l'istruzione e la formazione professionale. È certamente un assetto più appropriato, che consente di lavorare per dare maggiore importanza e ruolo alla scuola ed alla istruzione.
  Concludo con un'ultima considerazione su un'altra materia, che viene ridefinita in modo appropriato, che è la ricerca scientifica e tecnologica. Oggi questa materia è di competenza concorrente con gli effetti drammatici che vediamo. Come non rendersi conto che la ricerca non può essere sostenuta e sviluppata se non all'interno di piani e finanziamenti nazionali ? Tante delle lamentele e delle proteste sui mancati finanziamenti e sui mancati investimenti in questi settori derivano da una scelta allora sbagliata, nel 2001, che non definiva in maniera precisa a chi fare svolgere questo tipo di funzione. Ora con la riforma, in maniera appunto quanto mai opportuna, questa materia diventa di competenza esclusiva dello Stato. Mi pare sia un altro segnale importante nella ridefinizione di materie e poteri, che penso vada nella direzione giusta per la riforma del Titolo V della Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giorgis. Ne ha facoltà.

  ANDREA GIORGIS. Presidente, onorevoli colleghi, nell'ambito della discussione sulla legge elettorale, che abbiamo svolto durante lo scorso marzo, sottolineai come quella che sembrava una missione impossibile era a portata di mano: riscrittura della legge elettorale, modifica del Titolo V Pag. 99e revisione del Senato. Tre riforme tra loro strettamente collegate e utili per rendere le nostre istituzioni politiche meglio capaci di affrontare la crisi economica e meglio capaci di superare le disuguaglianze sempre più marcate che si sono venute consolidando. Tre riforme – dissi allora e oggi ripeto – che occorre fare presto e occorre fare bene, molto bene, perché c’è in gioco l'effettività dei principi costituzionali che strutturano il nostro assetto democratico e definiscono le condizioni materiali e culturali che dovrebbero essere garantite ad ogni persona.
  Del resto, quanto le istituzioni repubblicane fatichino ad adempiere a quel compito che gli assegna l'articolo 3, comma 2, è sotto gli occhi di tutti. Molti sono, infatti, oggi gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Occorre, dunque, riformare la Costituzione, non contro la Costituzione, ma per far sì che la Repubblica e le sue istituzioni rappresentative possano meglio attuarla. Occorre rivedere alcuni istituti della seconda parte per fare meglio vivere la prima parte e i principi di libertà e uguaglianza che in essa sono contenuti. Occorre, insomma, riformare il bicameralismo paritario non per ulteriormente marginalizzare il ruolo del Parlamento e dei corpi intermedi, ma al contrario per rafforzarne la capacità di decisione e per razionalizzare e consolidare la forma di Governo parlamentare. Per fare ciò credo che occorra avere cura di approfondire nel merito ogni aspetto, cercando di superare i limiti del vigente assetto costituzionale e i limiti del testo approvato dal Senato.
  In Commissione il confronto talvolta – occorre riconoscerlo – è stato difficile. Nonostante alcuni significativi passi in avanti siano stati fatti, grazie anche al prezioso impegno del capogruppo e relatore Emanuele Fiano (penso all'innalzamento del quorum per l'elezione del Presidente della Repubblica, alla soppressione del voto bloccato o alla riscrittura delle norme per l'elezione dei giudici costituzionali), molte questioni sono rimaste aperte.
  Il Senato (come è stato osservato da numerosi studiosi), per poter operare come Senato delle regioni e delle autonomie territoriali, dovrebbe essere in grado di esprimere il punto di vista dei territori singolarmente considerati (non come un indistinto e unitario «mondo delle autonomie») e soprattutto non dovrebbe ripetere le dinamiche delle appartenenze politiche: i senatori, per essere espressione dei territori, non dovrebbero perciò essere eletti con la regola del voto limitato e non dovrebbero poter votare in modo distinto.
  Del resto, una solida e convincente spiegazione del perché sarebbe ragionevole differenziare il ruolo delle due Camere e riservare alla sola Camera dei deputati il rapporto di fiducia con il Governo può essere rintracciata, più che nell'esigenza di velocizzare il procedimento legislativo, nella perdurante necessità di rafforzare i meccanismi di integrazione politica e in particolare di integrazione fra realtà territoriali (le regioni per esempio) che sono tuttora molto eterogenee: l'unità nazionale rimane un problema prioritario per il nostro Paese.
  Se però non si accoglie la logica del cosiddetto modello tedesco e ci si muove – come parrebbe essersi fatto – nella diversa prospettiva di un Senato politico, nel quale si rispecchia il pluralismo presente in ogni regione, occorrerebbe riconsiderare il numero complessivo dei senatori e i presupposti del loro elettorato passivo, proprio per assicurare a un tale Senato coerenza interna ed efficacia di azione.
  E in questa stessa prospettiva credo che occorrerebbe riconsiderare se sia davvero ragionevole continuare a prevedere (in un Senato che vorrebbe comunque rappresentare le istituzioni territoriali, come recita il nuovo articolo 55) la presenza di cinque senatori di nomina presidenziale.
  Da riconsiderare e semplificare è inoltre il procedimento legislativo: il criterio delle materie rischia di dar vita ad incertezze procedurali e quindi a contenzioso e, Pag. 100per come al momento è configurato, rischia al tempo stesso di svalutare oltre ogni misura il ruolo del Senato.
  Per quanto riguarda il titolo V, occorrerebbe approfondire la scelta di sopprimere la cosiddetta potestà legislativa concorrente. Come ha sottolineato la maggior parte dei commentatori la tecnica della concorrenza (all'italiana o meglio alla tedesca) è la più coerente con le esigenze del federalismo cooperativo e con l'esigenza di ridurre il contenzioso politico e giurisdizionale.
  Ampliare e specificare l'ambito delle materie di competenza esclusiva statale e regionale e al tempo stesso reintrodurre la clausola dell'interesse nazionale rischia infatti di accrescere le situazioni di incertezza e di conflitto.
  E in ogni caso, per quanto riguarda la clausola di supremazia, occorrerebbe rimuovere un inutile ed inopportuno limite all'iniziativa legislativa dei deputati.
  In tema di titolo V, peraltro, se fossimo coraggiosi e conseguenti rispetto agli ambiziosi obiettivi che ci si è dati, forse proveremmo a riconsiderare anche l'attuale configurazione delle regioni, nonché la specificità delle regioni a statuto speciale.
  In tema di garanzie invece, per bilanciare la torsione maggioritaria del sistema politico e garantire l'effettività dei principi costituzionali (che – dobbiamo ricordarci – sono finalizzati, in ultima analisi, proprio a limitare il potere della maggioranza), oltre alle modifiche approvate in Commissione, occorrerà riconsiderare la maggioranza richiesta per deliberare lo stato di guerra.
  Ma un'attenzione particolare dovremo inoltre dedicarla all'istituto del controllo preventivo sulle leggi elettorali che il Senato, con l'articolo 13, ha voluto introdurre nel nostro ordinamento.
  Con la sentenza n. 1 del 2014 la Corte costituzionale, superando la nozione stessa di incidentalità come progressivamente definita dalla sua consolidata giurisprudenza, ha ritenuto ammissibile la questione sollevata dalla Corte di cassazione nei confronti delle modifiche alla legislazione elettorale introdotte dalla legge n. 270 del 2005 e ha dichiarato illegittime parti significative di tali modifiche. L'esigenza costituzionale che sta all'origine della recente sentenza della Corte e della svolta processuale che in essa si è compiuta, l'esigenza cioè di coprire una «zona franca» del giudizio di costituzionalità ed evitare che una materia così importante com’è quella elettorale possa essere sottratta a verifica e a tutela giurisdizionale quando si teme che confligga con fondamentali principi costituzionali, non è stata però del tutto soddisfatta, perché sulle leggi elettorali un giudizio di costituzionalità successivo, dopo che la legge è entrata in vigore ed è stata applicata, è comunque un giudizio insufficiente a garantire la piena effettività dei principi costituzionali.
  L'eventuale decisione di annullamento (di una parte) della disciplina elettorale – come ha infatti sottolineato la Consulta – «produce i suoi effetti esclusivamente in occasione di una nuova (e successiva) consultazione elettorale (...). Le elezioni che si sono svolte in applicazione anche delle norme elettorali dichiarate costituzionalmente illegittime costituiscono un fatto concluso», ha detto la Corte, che, in ossequio al principio fondamentale della continuità dello Stato, non può in alcun modo essere rimosso. Al fine di porre rimedio a simile lacuna del vigente sistema di giustizia costituzionale e garantire che anche le regole che disciplinano le elezioni politiche e strutturano l'assetto democratico rappresentativo della Repubblica possano essere sindacate prima che abbiano dispiegato ogni loro effetto, il testo approvato dal Senato prevede l'introduzione di un sindacato preventivo di legittimità nei confronti delle leggi elettorali delle due Camere. Il testo approvato prevede, però, che possa promuovere il ricorso alla Corte soltanto una minoranza molto consistente, pari ad almeno un terzo dei componenti di ciascuna Camera. Ciò, a mio avviso, è palesemente irragionevole e rischia di vanificare la ratio stessa della previsione che è quella di consentire alle minoranze, che siano escluse da un accordo sulla riforma della legge elettorale e soprattutto che Pag. 101siano penalizzate da una riforma, di ottenere tutela presso la Corte. Si pensi al caso di una legge elettorale che introducesse una soglia di sbarramento del 10 o del 15 per cento. Le forze politiche penalizzate da tale previsione, stando al testo approvato dal Senato, non potrebbero da sole, in quanto minoranze, adire la Corte costituzionale. Il controllo preventivo sulle leggi elettorali, se non viene previsto in via automatica, dovrebbe insomma essere promuovibile da parte delle minoranze più esigue. E ciò, del resto, eviterebbe di caricare il ricorso di un eccessivo valore politico.
  Ma il tema del controllo preventivo sulle leggi elettorali, che occorrerà riconsiderare a mio avviso, è soprattutto quello che riguarda una disposizione transitoria, che non è stata accolta in Commissione e che ha di fatto escluso tale controllo nei confronti della nuova legge elettorale. Legge elettorale che abbiamo deciso, con un voto di quest'Aula, di collegare alla riforma costituzionale e di approvare prima dell'entrata in vigore di quest'ultima. Perché mai si dovrebbe escludere un giudizio della Corte sulla nuova legge elettorale prima che essa venga applicata ? Prevedere, come ipotizzato in alcuni emendamenti, che la Corte possa essere chiamata a pronunciarsi non ritarda di un solo giorno l'entrata in vigore della nuova legge.
  Molte questioni sono dunque rimaste aperte e consegnate all'Aula. Al confronto, che in essa quest'oggi si avvia, spetterà trovare le soluzioni ed apportare le correzioni e le integrazioni necessarie, non per ostacolare o rallentare il processo delle riforme, sia chiaro, ma esattamente al contrario, per garantirne il buon esito. E a tal fine occorrerà che il Governo non restringa oltre il ragionevole l'autonomia e il protagonismo del Parlamento. Un disegno di legge costituzionale non può essere discusso e approvato come un qualsiasi altro disegno di legge che il Governo assume come essenziale per l'attuazione del proprio programma.
  Infine, una considerazione sui tempi. Dobbiamo fare in fretta, lo so bene, la difficile situazione del Paese lo impone. Ma dobbiamo anche conservare la lucidità e l'equilibrio per valutare se offrire al Senato la possibilità di ritornare su alcune questioni, come ad esempio quella della composizione di cui agli articoli 2 e 3, se comprometta davvero la riforma, come alcuni temono, o non costituisca invece un modo per prendere sul serio la procedura di cui all'articolo 138 e, soprattutto, un modo per consegnare ai cittadini un migliore e più efficace assetto del Parlamento.
  Nel corso del dibattito sulla legge elettorale conclusi con una citazione di Bertolt Brecht che vorrei riprendere, perché credo davvero che, quando sono in gioco principi fondamentali, occorra muovere, fino all'ultimo e anche contro le opposte evidenze, dalla convinzione che faceva dire a Galileo: «Solo i morti non si lasciano smuovere da un argomento valido (...). Sì, io credo alla dolce violenza che la ragione usa agli uomini. A lungo andare non le sanno resistere». Ecco come dobbiamo agire nel prosieguo dei nostri lavori, come il Galileo che credeva fermamente nella forza degli argomenti e nella possibilità di persuadere anche i più riottosi e non riusciva neanche a immaginare di dover un giorno essere costretto ad abiurare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Rubinato. Ne ha facoltà.

  SIMONETTA RUBINATO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, intervengo con grande umiltà nel processo di riforma della nostra Carta fondamentale e anche con grande rispetto per il lavoro svolto dai relatori e dai colleghi della I Commissione. Intervengo limitatamente al nuovo punto di equilibrio che si sta cercando di trovare nel rapporto tra sovranità statale e autonomie territoriali, sia attraverso il superamento del bicameralismo paritario, assolutamente necessario, sia attraverso la modifica, non di poco conto, dell'assetto regionalista uscito dalla riforma costituzionale del 2001.Pag. 102
  Da un lato credo sia da salutare con grande favore lo sforzo, all'interno di un ordinamento regionalista come quello italiano, di dare finalmente al Senato la funzione di strumento per la cooperazione, nella fase legislativa, delle istituzioni locali con le istituzioni nazionali. Certo, forse si può ancora migliorare questo esito, a mio avviso, importantissimo, come ha suggerito il professor Bin durante le audizioni, per assicurarsi che il Senato divenga davvero il luogo della rappresentanza delle istituzioni locali e non risponda, invece, a divisioni, non riproduca invece le divisioni politiche, perché deve servire a creare una sede di confronto vera ed effettiva tra le rappresentanze non dei diversi livelli di Governo ma dei diversi territori, facendo emergere e risolvendo anche quei conflitti territoriali come accade nel Bundesrat tedesco.
  Dall'altro lato, però, non si può ignorare che la scelta di fondo di questa riforma, mentre introduce il Senato della Repubblica come Senato delle autonomie, consiste in un forte processo di riaccentramento delle competenze, al di là del fatto che ragionevolmente, a giudizio pressoché unanime degli stessi costituzionalisti, si ritiene debbano essere riaccentrate. Sbagliare, sia pure con le migliori intenzioni, il punto di equilibrio tra sovranità statale e autonomie territoriali, non possiamo permettercelo nella situazione economica, sociale ed istituzionale attuale.
  Provo a richiamare con grande umiltà quello che, secondo me, è concetto di autonomia e sovranità statale che ci hanno consegnato i padri costituenti, richiamando i principi della Carta fondamentale, i primi articoli, e ricordando qui una citazione del Cattaneo: «È principio tutto ciò che genera conseguenza» e «Tale è la virtù dei principi che, fuor di essi, ogni sforzo di valore e di sacrificio è vano». Secondo i padri costituenti – l'articolo 5, che viene dopo l'articolo 2, diritti inviolabili, e dopo l'articolo 3, la necessità che la Repubblica rimuova gli ostacoli di ordine economico e sociale alla libertà e all'uguaglianza dei cittadini – sia la sovranità statale che l'autonomia sono degli strumenti fondamentali per la realizzazione della persona e dei sui diritti fondamentali. Le autonomie per i costituenti sono degli strumenti a garanzia delle comunità locali affinché possano entrare nelle istituzioni, sono strumenti di democratizzazione dello Stato in quanto naturalmente più adatte a realizzare quel collegamento tra persone cittadine, società ed istituzioni civiche. Insomma sono veicoli di partecipazione della società alla sovranità. Secondo il principio di sussidiarietà le istituzioni territoriali sono più vicine ai cittadini, ne conoscono le esigenze meglio e consentono di soddisfarle in modo più efficace che non quello che potrebbe fare una legge generale dello Stato, tanto più in un Paese così diverso alle diverse latitudini come è l'Italia. Perciò il nucleo del principio autonomistico non è la garanzia della collettività o di una collettività di autogovernarsi e punto. È la garanzia della collettività di autogovernarsi al fine di soddisfare meglio i diritti ma vorrei anche dire le aspirazioni, i progetti, il sogno comune delle persone che costituiscono la collettività. A tutt'oggi è evidente che qualcosa non ha funzionato anche dopo la riforma del Titolo V del 2001 che doveva attuare molto di più questo obiettivo dei padri costituenti. Anzi l'ultima esperienza, l'esperienza degli ultimi anni ci dice che più che consentire una nuova modalità di esercizio della sovranità, altra e più democratica rispetto a quella statale astratta, le autonomie hanno finito con il rappresentare anch'essa, come lo Stato che dovevano democratizzare, enti le cui istituzioni sin sono separate dalla società e ne sono testimonianza le vicende di gravissima malapolitica che riguardano regioni ma anche comuni e province, per cui le stesse istituzioni locali anziché strumento di maggiore democrazia e partecipazione sono diventate oggetto di fortissima critica, sfiducia, richiesta di processi più trasparenti da parte dei cittadini.
  La risposta qual è ? È semplicemente riaccentrare ? Credo di no, vorrei citare qui quanto ha dichiarato il Viceministro Morando, il 23 luglio scorso, in occasione della relazione annuale al Parlamento e al Pag. 103Governo da parte del CNEL sui livelli e qualità dei servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni centrali e locali a imprese e cittadini che poi è l'obiettivo che i costituenti danno a questi strumenti della sovranità statale e delle autonomie. Dice il viceministro Morando: i dati ci dicono che la sanità italiana è di eccellenza mondiale – salto le precisazioni e vado solo ai punti fondamentali – questo contrasta con una marea di luoghi comuni; sicuramente quando si parla di sanità italiana si parla di un risultato medio che all'interno del Paese presenta grandi disparità e anche possibilità di miglioramento, ma è sicuro che se c’è un settore della pubblica amministrazione, in Italia, che regge magnificamente la comparazione internazionale è la sanità, mentre c’è un settore come la giustizia che ci dice che siamo in un disastro mondiale. Il cattivo funzionamento della giustizia poi fa abbassare tragicamente la produttività totale dei fattori e la performance del sistema economico nel suo complesso.
  Allora, e lo dice il Viceministro Morando, è un luogo comune che questo decentramento, questo nuovo Titolo V non funzioni. Io non ho ragioni per difendere le regioni ma se guardiamo la sanità e la giustizia dobbiamo comparare costi e risultati: la giustizia è un servizio assolutamente centralizzato, organizzato alla dimensione dello Stato centrale per tutti i suoi aspetti fondamentali; per la sanità, obiettivamente, è vero il contrario. Ora la teoria secondo cui in periferia non funziona niente, mentre un servizio centralizzato sarà perciò stesso magnifico è un classico pregiudizio. In questo pregiudizio non dobbiamo assolutamente cadere mentre riformiamo il Titolo V della Costituzione e, anche qua, richiamando un personaggio che mi sta particolarmente a cuore; come diceva il Cattaneo, non si tratta qui di trovare una risposta ai diritti fondamentali dei cittadini semplicemente accentrando o decentrando di più, ma «si tratta di coordinare la vera e attuale vita legislativa degli Stati italiani – diceva lui allora, oggi potremmo dire delle regioni e dello Stato – a un principio di progresso comune e nazionale finalmente».
  Invece, anche per quanto riguarda la normativa che negli ultimi anni, sotto la pressione della crisi della finanza pubblica, abbiamo dovuto adottare anche da questo Parlamento, ci troviamo in una situazione di stagnazione istituzionale che sta determinando una vera e propria disfunzione del sistema repubblicano. Mentre approvavamo nominalmente il principio del federalismo fiscale nelle scelte finanziarie e negli ordinamenti concreti si attuava, in questo Paese, una legislazione nazionale già improntata alla ricentralizzazione dei poteri, all'uniformità legislativa, sulla base di una visione che considera le regioni e le autonomie locali solo un problema della politica fiscale e di bilancio, mentre in realtà un grande cambiamento viene richiesto nel principio di autonomia allo stesso Stato centrale. Uno Stato regionalista, come ha detto bene il professor Bin che cito, uno Stato delle autonomie, tanto più con un Senato delle autonomie, ed efficiente, dovrebbe ridursi a tre fondamentali funzioni: la definizione di politiche pubbliche, il monitoraggio della loro implementazione e, sottolineo «e», la sostituzione, qui sì ci vuole lo Stato forte, delle amministrazioni inadempienti. Tutto questo comporta che vadano riconvertite le strutture burocratiche dei ministeri, mentre invece ancora nel 2009 il 59 per cento dei dipendenti pubblici stavano nelle strutture ministeriali e invece i ministeri vanno riconvertiti a svolgere funzioni molto diverse da quella a cui sono oggi abituati. Bisogna, per riconvertire però la burocrazia, avere una forte politica.
  Io credo che quello di cui abbiamo bisogno sia riprendere un percorso serio autonomistico, perché un assetto regionalista è l'ordinamento più consono ad una comunità politica organizzata nell'ambito di un processo di integrazione europea e di un sistema di economia internazionalizzata nel quale i compiti dello Stato crescono sul versante esterno delle negoziazioni internazionali ed europee e si Pag. 104riducono su quello interno, prevalentemente dovrebbero essere volti alla funzione perequativa e promozionale dei territori. Come ? Tutto questo richiede di sostituire l'attuale regionalismo a geometria rigida, di fatto limitato per le regioni a statuto ordinario a una mera delega di spesa su un numero di materie assolutamente contenuto, senza una responsabilità reale che favorisca la crescita di una nuova classe dirigente locale di qualità, con un assetto di Governo che sappia graduare e responsabilizzare in modo adeguato i diversi concorrenti livelli tra loro in leale collaborazione e in cui a poteri locali reali corrisponda una sorta di obbligo alla virtù per fattori non solo soggettivi, ma strutturali, prefigurando un'architettura a geometrie variabili e concertate, ivi compresa la necessaria connessione che va finalmente attuata tra capacità di spesa e prelievo fiscale.
  Da questo punto di vista, il disegno della riforma, che cerca comunque di andare in questa direzione anche semplificando il lavoro importante fatto al Senato di semplificare le possibilità per un'autonomia differenziata anche per le regioni ordinarie, presenta tuttavia alcuni punti critici, sui quali io credo e mi auguro possa l'Aula migliorare il lavoro fatto sia dal Senato che dalla I Commissione.
  I punti critici sono – ne ricordo solo alcuni – innanzitutto, la clausola di supremazia, introdotta dalla nuova formulazione dell'articolo 117, quarto comma, che stabilisce che lo Stato può avocare in via generale a sé anche le materie che non gli sono riservate in via esclusiva – e la concorrente se ne è andata – quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica ed economica della Repubblica, che così com’è costruita uno dei professori auditi in Commissione l'ha definita una «clausola vampiro», nel senso che qualsiasi materia, e senza differenze tra regione e regione, può essere accentrata senza alcuna valutazione della necessità di farlo per il raggiungimento di un migliore e buon andamento della pubblica amministrazione. C’è il tema della materia del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, che secondo la nuova formulazione dell'articolo 117, secondo comma, lettera e), viene riportata nella competenza esclusiva dello Stato, con l'effetto diretto di eliminare la potestà primaria e legislativa delle regioni in materia fiscale, come ci ha spiegato in Commissione bicamerale per il federalismo il professor Gallo, già Presidente della Corte costituzionale, ma anche con l'effetto indiretto di legittimare i tagli lineari e con l'effetto ancor più paradossale di legittimare ancora meccanismi di governo della spesa pubblica che sono deresponsabilizzanti sia per lo Stato che per gli enti locali, rafforzando la finanza di trasferimento invece di dare attuazione al federalismo fiscale.
  Infine, il terzo punto critico è la non applicazione allo stato di questa riforma alle regioni speciali, ma solo a seguito di intese, cosa che farà sì che avremo un aumento della differenza del divario fra le regioni speciali, che rimangono più di prima speciali, e le regioni ordinarie, che, dopo questa riforma, saranno ancora più ordinarie, senza alcuna differenza tra chi ha dimostrato di esercitare in modo responsabile l'autonomia e chi no. Anche questo è un punto molto critico, in particolare per regioni – io vengo dal Veneto – che si trovano tra due regioni a statuto speciale, confinano con uno Stato straniero e soffrono moltissimo il divario di diritti che sono possibili grazie all'autonomia finanziaria delle regioni confinanti e anche il divario di competitività per le imprese.
  Quindi, da questo punto di vista, lo strumento, per non buttare via il bambino con l'acqua sporca e per rafforzare l'impianto di questa riforma, è quello di un regionalismo differenziato e a geometria variabile, che può consentire di dare, attraverso un negoziato, tra singole regioni e Governo, più autonomia alle regioni in grado di gestirla con responsabilità. Da questo punto di vista, va rafforzato, secondo me, l'articolo 116, per evitare, nei prossimi anni, di raggiungere un punto di non sostenibilità per il sistema.Pag. 105
  Concludo con una citazione. Al di là di ogni norma che andremo a scrivere, bene o male, certamente speriamo di farlo bene, come diceva il Calamandrei, la Costituzione è solo un pezzo di carta se le classi dirigenti di un Paese, ma anche tutti i cittadini non la animano con la loro intelligenza, la loro passione, la loro virtù civica, il senso e l'impegno per un comune destino. Al Paese serve una fase costituente anche fuori dal Parlamento, di cui deve essere per prima portatrice la classe dirigente. Occorre riscoprire i principi fondamentali della nostra Carta fondamentale; forse bisognerebbe farlo aprendo un dibattito nel nostro Paese e portando questa discussione il più possibile fuori, in mezzo al popolo.
  Chiudo, infine – oggi mi sono ripetuta, è la terza volta che cito Carlo Cattaneo –, con una sua citazione.
  Dal testo Il diritto federale, nel Proemio all'Archivio triennale delle cose d'Italia: «Ogni popolo, e la Carta costituzionale è questione di popolo, è una cosa che interessa al popolo; ogni popolo può avere molti interessi da trattare in comune con altri popoli – lui si riferiva ai popoli italiani, agli Stati che si stavano unificando, noi potremmo parlare delle nostre regioni – ma vi sono interessi che può trattare egli solo, perché egli solo popolo li sente, perché egli solo li intende e v’è inoltre in ogni popolo anche la coscienza del suo essere, anche la superbia del suo nome, anche la gelosia dell'avita sua terra. Di là il diritto federale, da qui il diritto federale, ossia il diritto dei popoli il quale – e ho concluso – deve avere il suo luogo, accanto al diritto della nazione, accanto al diritto dell'umanità». Grazie Presidente (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole La Russa. Ne ha facoltà.

  IGNAZIO LA RUSSA. Signor Presidente, io a differenza degli interventi precedenti non mi sono preparato un testo scritto, anche perché un testo scritto, nello squallore di queste assenze di oggi in Aula, mi suonerebbe male. Almeno uno parla a braccio e ha la cortesia sua, non quella di avermi fatto parlare quando toccava al mio turno, ma almeno di avermi dato la voce per ultimo e la ringrazio di questo perché...

  PRESIDENTE. Onorevole La Russa, al suo turno lei non era presente in Aula.

  IGNAZIO LA RUSSA. Non mi interrompa Presidente.

  PRESIDENTE. No, no la interrompo perché lei...

  IGNAZIO LA RUSSA. No, non mi interrompa, mi toglie il filo del discorso, non mi interrompa, grazie. Poi alla fine lei mi potrà dire quello che pensa in proposito. È una mia opinione, non c’è bisogno che lei interloquisca.
  La ringrazio, peraltro la sto ringraziando, perché mi piace concludere questa seduta che dovrebbe essere dedicata a dare il nostro contributo a questa importantissima riforma della nostra Costituzione. Pensate da quanti anni cerchiamo di riformarla la Costituzione in tutti i modi, con l'articolo che la stessa Costituzione prevede come necessario e utile per riformarla, con Commissioni speciali, con bicamerali, in tutti i modi, nei dibattiti. Questa montagna sta partorendo un topolino e lo sta partorendo con l'accordo di larghissima parte di questa Assemblea.
  E io mi sono chiesto: ma se c’è un accordo così ampio, se davvero c’è finalmente quel clima a lungo atteso perché la Costituzione potesse essere riformata, se l'unico intento delle parti che, essendo vicino al Natale, in forma «nazzarena» hanno in qualche modo dato vita al clima di intesa, com’è che non c’è nessun accenno, nessuna discussione anche per arrivare a un'ipotesi negativa, nessun momento di dibattito che riguardi quella che a giudizio – secondo i sondaggi per carità – di almeno l'80 per cento – c’è chi dice l'84 per cento – degli italiani, è considerata la riforma migliore, più utile, più adatta ad affrontare i problemi del nostro Paese.Pag. 106
  A quale riforma mi riferisco ? Lei che è, prima che Presidente di turno, di Forza Italia dovrebbe conoscerla perché era nel programma del suo partito come è nel programma del mio partito, Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale, eppure sono solo io che ne sto parlando in questo lungo dibattito.
  Parlo dell'elezione diretta del Capo dello Stato. Parlo della introduzione della Repubblica presidenziale che troneggia in tutti i programmi di centrodestra dal 1994 in poi. La Destra aveva anticipato questi temi con Almirante, con l'onorevole Franchi, qualcuno forse chissà della mia età lo ricorderà, quando ancora parlare di Repubblica presidenziale era qualcosa che assomigliava all'eversivo, al volere in qualche modo riesumare momenti della storia passata in cui comandava solo uno e gli altri dovevano obbedire. Poi il dibattito si è allargato, si è visto che non era così anche perché quando questo c’è in America, c’è in Francia non si può certo dire che sia in qualche modo privativo della libertà dei cittadini anzi, a vedere come vengono eletti i Presidenti la gente si è convinta che quello è il modo giusto.
  Poi, per fortuna, a volte i Presidenti vengono bene lo stesso, come il nostro Presidente attuale, perlomeno in relazione alla sua storia di provenienza. Io non ho nessuna... anzi, ho sempre avuto ammirazione per il suo tentativo, spesso riuscito, di essere al di sopra delle parti. Qualche volta vengono male, penso a Scàlfaro per esempio, che è venuto malissimo, sempre secondo la mia valutazione politica che non sarà la stessa degli altri. A volte vengono come non ti aspetti, e penso al Presidente precedente all'attuale che ha rilanciato l'identità nazionale quando era stata la sinistra a volerlo e certamente non aveva come core business – si dice così – quel tema tra i suoi.
  Certo è che di Repubblica presidenziale, di elezione diretta del popolo non se ne parla più. E, allora, mi viene il sospetto che questa non sia una riforma costituzionale frutto di un dibattito, perché poi può anche darsi che quest'Aula la consideri non adatta. Può darsi che la maggioranza di quest'Aula consideri che eleggere un Presidente... con Renzi che intanto va a trovare Prodi. È il primo atto, no ? Ancora c’è il Presidente in carica e Renzi è andato a trovare Prodi, per ricominciare le conventicole. Poi vedremo già se ci sono... ieri ero alla riunione del Presidente della Repubblica con le alte cariche dello Stato e io cosa c'entrassi lì in mezzo me lo sono chiesto, dato che non sono altissimo, 1,73. Quindi, insomma, le alte cariche dovranno essere sicuramente più alte. Me li guardavo tutti e mi chiedevo: chissà quanti tra quelle alte cariche in cuor loro sperano di poter entrare in qualche gioco che li metta, almeno per una tornata, almeno per una votazione, nella speranza di essere citati come potenziali Presidenti della Repubblica.
  Ma gli italiani quanti ne avrebbero votati di quelli ? Magari qualcuno, magari nessuno. Eppure, e io ce l'ho con il centrodestra, l'elezione diretta del Capo dello Stato è scomparsa. Se non fosse per Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale che presenta un emendamento e vedremo chi voterà in tal senso e sicuramente pezzi della sinistra no (Commenti del deputato Fiano)... ma caro amico che sei alla mia destra per tua sventura, perché dovevi stare alla mia sinistra, ma che oggi sei seduto alla mia destra, sappi che anche a sinistra ci sono molti che hanno sempre sostenuto, gente che tu chiami o che altri hanno chiamato nel tempo «compagni», la bontà dell'elezione diretta del Capo dello Stato. Lo dico perché sennò quell'80 per cento di italiani dovremmo rappresentarli solo noi, invece qualcuno di sinistra c’è stato. Per carità ! Capiamo che questo farebbe venire meno la possibilità di contrattazioni, di baratti, di accordi, di indebite ingerenze, garantite però dal dettato costituzionale attuale. Per cui, Presidente, questa è la mia lamentela, su cui vorrei alzare una voce in quest'Aula abbastanza vuota, mi sembra, per l'importanza della materia.
  Così come vorrei dire anche che salvo qualcosa di questa riforma, perché altrimenti sembra che non ci sia niente. Solo che non sono molte cose. Mi pare che Pag. 107venga introdotto il referendum propositivo, se non sbaglio, che è l'unica cosa che va in direzione di un maggiore potere ai cittadini e anche il vaglio preventivo della legge elettorale da parte della Corte costituzionale. Come vede, cerco di essere obiettivo: due cosette ci sono. Ma ti pare che si possa risolvere a questo ? O ti pare, vi pare, che davvero il nuovo procedimento legislativo, così farraginoso, così complesso, così inquadrabile soltanto in una sorta di contrattazione continua tra Camera e Senato, come fossero soggetti di natura diversa, figli di chissà quali mondi diversi, vi pare, dicevo, che sia migliore dell'attuale ? Noi eliminiamo un bicameralismo perfetto, che non mi piace, e lo sostituiamo con un «inciucetto»: a meno che quelli non chiedano che la legge venga votata, a meno che il consiglio regionale non dica questo o quello.
  Cioè, ci sarà una confusione e la avranno adesso gli italiani, che già non sapevano chi fa le leggi, sebbene fosse facile spiegarglielo, perché le fanno Camera e Senato quando con passaggi successivi si trovano d'accordo. Come glielo spieghi, con una frase sola, come si svolge adesso il procedimento legislativo ? Ai ragazzini, non dico all'università, dove comunque spesso sono abbastanza ignorantelli anche lì.
  Ma ai ragazzi che studiano diritto a scuola ci vorrà un capitolo intero per spiegare come è il nuovo Parlamento, fatto da Camera e Senato. E sarebbe un miglioramento ? Poi c’è una cosa che dico solo io qui – ed è lecito che gli altri non siano d'accordo, anche questo è lecito – ma insomma qui voglio dire che capisco che gli altri possano non essere d'accordo. Io ho una storia politica culturale che nasce lontano, nell'immediato dopoguerra, quando sono nato, e che era contraria alle regioni. Ci fu un parlamentare che parlò ore, ore e ore, quando questo era consentito dal Regolamento, contro le regioni, perché sosteneva – pensate un po’: nell'immediato dopoguerra – che non fosse vero quello che si diceva – non era immediato, quando è stato ? – che non fosse vero che non sarebbero costate un soldo, che fosse una bugia dire che la provincia avrebbe fornito tutto il personale, che fosse una bugia dire che non avrebbero avuto bisogno di una nuova sede e che ci avrebbe pensato la sede della provincia ad alternare le sedute tra provincia e regione.
  Guardate cosa è successo e non solo gli scandali, guardate gli sprechi. Gli scandali possono essere bloccati con buone leggi e con persone di moralità alta, gli sprechi congeniti no. E allora, pur avendo un altissimo desiderio di dare autonomia, noi crediamo che l'organo intermedio tra i comuni, che sono nella storia d'Italia, nella cultura d'Italia, e lo Stato centrale non possano essere né le province, che avete fatto finta di cancellare – avete solo cancellato l'elezione da parte dei cittadini per sostituirla con l'elezione da parte degli uomini di partito – né le regioni. La potestà legislativa delle regioni, secondo un emendamento di Fratelli d'Italia, va abolita. Le regioni vanno abolite e sostituite con che cosa ? Con un organo – ci vuole, a parte le città metropolitane – con i distretti, che la Società geografica italiana ha individuato in un numero congruo, che sono gruppi di comuni messi insieme secondo una necessità, una valutazione socio-economica, cioè una realtà uguale, simile, compatibile, che abbiano il compito di coordinare i comuni.
  Certo, lo capisco: vogliamo abolire le regioni ? Si arrabbia la Lega, si arrabbia il PCI, pardon il PD, si arrabbia un po’ tutto il Parlamento, però poi pronti a dire: i guai, i guasti, la politica. Creiamo le condizioni perché la politica possa essere di nuovo moralità, ma, se siamo i primi a fare leggi farraginose, come quelle sugli appalti, come i trattamenti «favoritistici» – ho creato un neologismo forse – verso le cooperative, ma qui entriamo in un altro campo, se creiamo leggi che non consentono poi ai virtuosi di prevalere sui meno virtuosi, la colpa è anche di quei virtuosi, che io continuo a credere siano presenti in tutti i partiti, anche in questo Parlamento.
  Abbiamo fatto sì, con queste finte riforme e senza riforme fino ad oggi, che gli Pag. 108italiani considerassero la scelta di chi fa politica una scelta quasi affaristica, quasi di sopravvivenza, anziché, come è capitato a quelli della mia generazione, a destra e a sinistra, una scelta di amore per le proprie idee, di amore per la propria comunità, di amore per la propria terra. La colpa è nostra, mica di chi ci considera male. Queste riforme di oggi non migliorano questa situazione, la peggiorano.
  Io vorrei che, in queste riforme, ci fosse anche un tetto – e anche su questo c’è un emendamento di Fratelli d'Italia – alle tasse che ciascuno può umanamente sopportare. Abbiamo individuato nel 40 per cento del PIL il tetto massimo che uno Stato degno di questo nome possa imporre ai propri cittadini, perché il ragionamento deve essere al contrario, e non c’è in questa riforma. Non deve essere: quanto mi costa lo Stato ? Mi costa mille, allora faccio 1.100 giusto di buon peso di tasse. Il ragionamento deve essere al contrario.
  Quante tasse posso imporre senza strozzare l'economia italiana ? E, in base a quella cifra di ciò che posso umanamente imporre alla comunità italiana, su quella stabilire il costo dello Stato. Sembra una cosa così drammatica ? È roba di buonsenso, ma il buonsenso, a volte, fa a pugni; fa a pugni con questa realtà parlamentare e politica italiana; fa a pugni, soprattutto, con riforme che non sono il frutto di un dialogo, di un dibattito, di un confronto tra maggioranza e opposizione, ma sono figli illegittimi di patti segreti, di patti all'oscuro o di patti nelle conventicole, anche tra amici miei, ma che sempre patti inaccettabili rimangono.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole La Russa. Giusto per la precisione, la Presidenza non le ha dato la parola durante il suo turno perché lei non c'era, e, anche avendo preavvisato la Presidenza, abbiamo salvaguardato il suo posto alla fine...

  IGNAZIO LA RUSSA. Eravamo d'accordo così con il Presidente precedente !

  PRESIDENTE. È così, onorevole La Russa.

  IGNAZIO LA RUSSA. Si informi !

  PRESIDENTE. La ringrazio, sono molto informato.
  Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Annunzio di questioni pregiudiziali – A.C. 2613-A)

  PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate le questioni pregiudiziali di costituzionalità Scotto ed altri n. 1 e Toninelli ed altri n. 2 che, non essendo state preannunziate in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo, saranno esaminate e poste in votazione nella seduta di domani, prima di passare all'esame degli articoli.
  Secondo le intese intercorse tra i gruppi, interrompiamo a questo punto l'esame del provvedimento, che riprenderà nella seduta di domani, a partire dalle ore 9, per lo svolgimento delle repliche da parte dei relatori e del rappresentante del Governo.

Sui lavori dell'Assemblea.

  PRESIDENTE. Comunico che, a seguito della odierna riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, si è convenuto che i lavori proseguano poi secondo la seguente articolazione:

  Giovedì 18 dicembre (ore 10 e pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna) (con votazioni)
  Seguito dell'esame delle mozioni Nicoletti ed altri n. 1-00603, Santerini ed altri n. 1-00604, Manlio Di Stefano ed altri n. 1-00605, Palazzotto ed altri n. 1-00616, Dorina Bianchi ed altri n. 1-00617, Matteo Bragantini ed altri n. 1-00618, Brunetta ed altri n. 1-00619 e Rampelli ed altri n. 1-00654 concernenti iniziative in materia di diritti dei richiedenti asilo e dei Pag. 109rifugiati, con particolare riferimento alla revisione del regolamento dell'Unione europea noto come «Dublino III»;
  Seguito dell'esame del disegno di legge costituzionale n. 2613 e abbinati – Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione (approvato, in prima deliberazione, dal Senato) (previa votazione delle questioni pregiudiziali presentate).
  Seguito dell'esame della proposta di legge n. 2295 e abbinate – Modifica all'articolo 635 del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, e altre disposizioni in materia di parametri fisici per l'ammissione ai concorsi per il reclutamento nelle Forze armate, nelle Forze di polizia e nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco (approvata dal Senato).
  Seguito dell'esame dei disegni di legge di ratifica:
   n. 2276 – Accordo di cooperazione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Turchia sulla lotta ai reati gravi, in particolare contro il terrorismo e la criminalità organizzata, fatto a Roma l'8 maggio 2012 (approvato dal Senato) (previa votazione della questione sospensiva presentata);
   n. 2279 – Protocollo di modifica alla Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo degli Stati uniti messicani per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni fiscali, con Protocollo, dell'8 luglio 1991, fatto a Città del Messico il 23 giugno 2011 (Approvato dal Senato);
   n. 2577 – Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo degli Stati Uniti d'America finalizzato a migliorare la compliance fiscale internazionale e ad applicare la normativa F.A.T.C.A. (Foreign Account Tax Compliance Act), con Allegati, fatto a Roma il 10 gennaio 2014, nonché disposizioni concernenti gli adempimenti delle istituzioni finanziarie italiane ai fini dell'attuazione dello scambio automatico di informazioni derivanti dal predetto Accordo e da accordi tra l'Italia e altri Stati esteri.

  Seguito dell'esame della proposta di legge n. 348 e abbinata – Disposizioni per la tutela e la valorizzazione della biodiversità agraria e alimentare;

  Venerdì 19 dicembre (antimeridiana e pomeridiana).

  Svolgimento di interpellanze urgenti.

  Per quanto riguarda l'esame del disegno di legge costituzionale n. 2613 e abbinati – Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione (Approvato, in prima deliberazione, dal Senato), è stato stabilito all'unanimità che:
  potranno essere presentati alla ripresa dei lavori a gennaio ulteriori emendamenti nella misura del 15 per cento del numero degli emendamenti già presentati da ciascun gruppo alle ore 12 di oggi;
  il seguito dell'esame a gennaio avrà luogo con tempi contingentati;
  la ripresa dell'esame è prevista per giovedì 8 gennaio (ore 11 e pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna) (con votazioni);
  il termine per la presentazione degli eventuali ulteriori emendamenti è fissato alle ore 12 di mercoledì 7 gennaio.

Pag. 110

Modifica nella composizione di gruppi parlamentari.

  PRESIDENTE. Comunico il deputato Tommaso Currò, già iscritto al gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle, ha dichiarato di aderire al gruppo parlamentare Misto, cui risulta pertanto iscritto.

Modifica nella composizione del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione.

  PRESIDENTE. Comunico che, in data 17 dicembre, il Presidente del Senato ha chiamato a far parte del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione la senatrice Laura Fasiolo, in sostituzione del senatore Carlo Pegorer, dimissionario.

Per la risposta a uno strumento del sindacato ispettivo (ore 20).

  RICCARDO FRACCARO. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  RICCARDO FRACCARO. Signor Presidente, dopo il sollecito del 25 settembre 2014, risollecito una risposta all'interrogazione n. 4-04106, presentata nella seduta n. 193 del 19 marzo 2014, sullo smembramento del parco dello Stelvio, che personalmente trovo intollerabile. Il giorno successivo alla seduta della commissione paritetica Trentino-Alto Adige del 10 dicembre, in un articolo pubblicato sul giornale trentino, risulta che Lorenzo Dellai, presidente della cosiddetta «Commissione dei 12», abbia pronunciato le seguenti parole: «La norma di attuazione sul parco dello Stelvio l'abbiamo già approvata a luglio. Ora serve che il Ministro dell'ambiente dia il suo assenso all'intesa operativa tra Trento, Bolzano e la Lombardia. Il nostro compito è finito», dice Lorenzo Dellai, aggiungendo: «Avevamo già acquisito alcune osservazioni degli ambientalisti, per esempio sulla loro presenza nel comitato di coordinamento e sui principi guida cui dovranno attenersi i vari piani per il parco».
  Il senatore SVP Karl Zeller ha, invece, affermato: «l'appello – si riferiva alle associazioni ambientaliste – è arrivato fuori tempo massimo. Ora, per il via libera definitivo, basta l'ok del Ministro. Noi potremmo anche non occuparcene più».
  Infine, Franca Penasa, membro della commissione di nomina governativa, ha detto «È una svendita del Parco che passa sopra la testa di tutti. Il centrosinistra se ne deve assumere piena responsabilità».
  Alla luce di queste dichiarazioni, appare sempre più inquietante il silenzio del Governo in merito ai rumors che danno la soppressione del Parco Nazionale dello Stelvio come inevitabile. Tutto ciò senza aver garantito la benché minima trasparenza sul processo decisionale in corso, senza aver dato alcuna risposta alle considerazioni espresse dalle associazioni ambientaliste e senza alcuna assicurazione che le finalità e i principi dell'ordinamento giuridico nazionale – concludo – in materia di aree protette e della normativa comunitaria relativa alla Rete Natura 2000 siano rispettati.
  Attendo e pretendo che il Governo risponda prontamente in modo esaustivo: ciò, non solo per garantire il rispetto e la dignità del Parlamento e delle forze politiche che lo rappresentano, ma soprattutto per garantire il rispetto dei cittadini e di uno dei parchi più antichi dal punto di vista nazionale che è stato istituito nel 1935 e che non possiamo perdere, Presidente.

  PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Fraccaro.

Pag. 111

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Giovedì 18 dicembre 2014, alle 9:

  1. – Seguito della discussione del disegno di legge costituzionale (per lo svolgimento delle repliche dei relatori e del rappresentante del Governo):
  S. 1429 – Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione (Approvato, in prima deliberazione, dal Senato) (C. 2613-A).

  e degli abbinati progetti di legge costituzionale: D'INIZIATIVA POPOLARE; D'INIZIATIVA POPOLARE; VIGNALI; CIRIELLI; CIRIELLI; CIRIELLI; CAUSI; PISICCHIO; PISICCHIO; PISICCHIO; PISICCHIO; GIACHETTI; SCOTTO; FRANCESCO SANNA; PELUFFO ed altri; LENZI; LAURICELLA ed altri; BRESSA e DE MENECH; CAPARINI ed altri; CAPARINI ed altri; VACCARO; LAFFRANCO e BIANCONI; PALMIZIO; PALMIZIO; PALMIZIO; PALMIZIO; GIANCARLO GIORGETTI ed altri; GIANCARLO GIORGETTI ed altri; LA RUSSA ed altri; ABRIGNANI ed altri; TONINELLI ed altri; GIANLUCA PINI; LAFFRANCO e BIANCONI; GINEFRA ed altri; GIORGIA MELONI ed altri; MIGLIORE ed altri; D'INIZIATIVA DEL GOVERNO; BONAFEDE e VILLAROSA; PIERDOMENICO MARTINO; BRAMBILLA; GIANCARLO GIORGETTI ed altri; CIRIELLI e GIORGIA MELONI; VALIANTE; QUARANTA ed altri; LACQUANITI ed altri; CIVATI ed altri; BOSSI; LAURICELLA e SIMONI; DADONE ed altri; GIORGIS ed altri; LA RUSSA ed altri; RUBINATO ed altri; D'INIZIATIVA DEL CONSIGLIO REGIONALE DELL'EMILIA-ROMAGNA; MATTEO BRAGANTINI ed altri; CIVATI; FRANCESCO SANNA ed altri (C. 8-14-21-32-33-34-148-177-178-179-180-243-247-284-329-355-357-379-398-399-466-568-579-580-581-582-757-758-839-861-939-1002-1259-1273-1319-1439-1543-1660-1706-1748-1925-1953-2051-2147-2221-2227-2293-2329-2338-2378-2402-2423-2441-2458-2462-2499).
  — Relatori: Fiano e Sisto, per la maggioranza; Toninelli, Matteo Bragantini e Quaranta, di minoranza.

  (ore 10)

  2. – Seguito della discussione delle mozioni Nicoletti ed altri n. 1-00603, Santerini ed altri n. 1-00604, Manlio Di Stefano ed altri n. 1-00605, Palazzotto ed altri n. 1-00616, Dorina Bianchi ed altri n. 1-00617, Matteo Bragantini ed altri n. 1-00618, Brunetta ed altri n. 1-00619 e Rampelli ed altri n. 1-00654 concernenti iniziative in materia di diritti dei richiedenti asilo e dei rifugiati, con particolare riferimento alla revisione del regolamento dell'Unione europea noto come «Dublino III».

  3. – Seguito della discussione del disegno di legge costituzionale (per l'esame e la votazione delle questioni pregiudiziali di costituzionalità presentate e per il seguito dell'esame):
  S. 1429 – Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione (Approvato, in prima deliberazione, dal Senato) (C. 2613-A).

  e degli abbinati progetti di legge costituzionale: D'INIZIATIVA POPOLARE; D'INIZIATIVA POPOLARE; VIGNALI; CIRIELLI; CIRIELLI; CIRIELLI; CAUSI; PISICCHIO; PISICCHIO; PISICCHIO; PISICCHIO; Pag. 112GIACHETTI; SCOTTO; FRANCE-SCO SANNA; PELUFFO ed altri; LENZI; LAURICELLA ed altri; BRESSA e DE MENECH; CAPARINI ed altri; CAPARINI ed altri; VACCARO; LAFFRANCO e BIANCONI; PALMIZIO; PALMIZIO; PALMIZIO; PALMIZIO; GIANCARLO GIORGETTI ed altri; GIANCARLO GIORGETTI ed altri; LA RUSSA ed altri; ABRIGNANI ed altri; TONINELLI ed altri; GIANLUCA PINI; LAFFRANCO e BIANCONI; GINEFRA ed altri; GIORGIA MELONI ed altri; MIGLIORE ed altri; D'INIZIATIVA DEL GOVERNO; BONAFEDE e VILLAROSA; PIERDOMENICO MARTINO; BRAMBILLA; GIANCARLO GIORGETTI ed altri; CIRIELLI e GIORGIA MELONI; VALIANTE; QUARANTA ed altri; LACQUANITI ed altri; CIVATI ed altri; BOSSI; LAURICELLA e SIMONI; DADONE ed altri; GIORGIS ed altri; LA RUSSA ed altri; RUBINATO ed altri; D'INIZIATIVA DEL CONSIGLIO REGIONALE DELL'EMILIA-ROMAGNA; MATTEO BRAGANTINI ed altri; CIVATI; FRANCESCO SANNA ed altri (C. 8-14-21-32-33-34-148-177-178-179-180-243-247-284-329-355-357-379-398-399-466-568-579-580-581-582-757-758-839-861-939-1002-1259-1273-1319-1439-1543-1660-1706-1748-1925-1953-2051-2147-2221-2227-2293-2329-2338-2378-2402-2423-2441-2458-2462-2499).

  — Relatori: Fiano e Sisto, per la maggioranza; Toninelli, Matteo Bragantini e Quaranta, di minoranza.

  4. – Seguito della discussione della proposta di legge:
  S. 733 – D'INIZIATIVA DEI SENATORI: AMATI ed altri: Modifica all'articolo 635 del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, e altre disposizioni in materia di parametri fisici per l'ammissione ai concorsi per il reclutamento nelle Forze armate, nelle Forze di polizia e nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco (Approvata dal Senato) (C. 2295).

  e delle abbinate proposte di legge: CIRIELLI; CICU (C. 109-145).

  — Relatori: Marco Di Maio, per la I Commissione; Scopelliti, per la IV Commissione.

  5. – Seguito della discussione dei disegni di legge:
  S. 1241 – Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Turchia sulla lotta ai reati gravi, in particolare contro il terrorismo e la criminalità organizzata, fatto a Roma l'8 maggio 2012 (Approvato dal Senato) (previo esame e votazione della questione sospensiva presentata) (C. 2276).
  — Relatore: Amendola.
  S. 1243 – Ratifica ed esecuzione del Protocollo di modifica alla Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo degli Stati uniti messicani per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni fiscali, con Protocollo, dell'8 luglio 1991, fatto a Città del Messico il 23 giugno 2011 (Approvato del Senato) (C. 2279).
  — Relatore: Fitzgerald Nissoli.
  Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo degli Stati Uniti d'America finalizzato a migliorare la compliance fiscale internazionale e ad applicare la normativa F.A.T.C.A. (Foreign Account Tax Compliance Act), con Allegati, fatto a Roma il 10 gennaio 2014, nonché disposizioni concernenti gli adempimenti delle istituzioni finanziarie italiane ai fini dell'attuazione dello scambio automatico di informazioni derivanti dal predetto Accordo e da accordi tra l'Italia e altri Stati esteri (C. 2577).Pag. 113
  — Relatori: Amendola, per la III Commissione; Sanga, per la VI Commissione.

  6. – Seguito della discussione della proposta di legge:
  CENNI ed altri: Disposizioni per la tutela e la valorizzazione della biodiversità agraria e alimentare (C. 348-A).

  e dell'abbinata proposta di legge: VERINI (C. 1162).

  — Relatori: Fiorio, per la maggioranza; Caon e Zaccagnini, di minoranza.

  La seduta termina alle 20,05.

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