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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 258 di lunedì 7 luglio 2014

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI

  La seduta comincia alle 15.

  FERDINANDO ADORNATO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 1o luglio 2014.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amici, Baldelli, Balduzzi, Bellanova, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Bressa, Brunetta, Caparini, Capezzone, Carinelli, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, Costa, Dambruoso, De Girolamo, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Fratoianni, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Legnini, Leone, Lorenzin, Lotti, Lupi, Manciulli, Mattiello, Merlo, Mogherini, Orlando, Pes, Gianluca Pini, Pisicchio, Pistelli, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Rughetti, Sani, Sarti, Sisto, Speranza, Tabacci, Taglialatela, Tofalo, Valentini, Velo, Vignali, Vito e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente settantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

  Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio del conferimento del titolo di Viceministro a sottosegretari di Stato.

  PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Consiglio dei ministri ha inviato, in data 4 luglio 2014, la seguente lettera:

«Onorevole Presidente,
  informo la S.V. che, con decreti del Presidente della Repubblica, in data 25 giugno 2014, adottati su mia proposta, previa approvazione da parte del Consiglio dei Ministri, a norma dell'articolo 10, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, delle deleghe di funzioni conferite dai Ministri dell'economia e delle finanze, dello sviluppo economico, dell'interno, delle infrastrutture e dei trasporti, della giustizia, degli affari esteri e delle politiche agricole, alimentari e forestali, è stato attribuito il titolo di Viceministro ai rispettivi sottosegretari di Stato presso i medesimi Dicasteri, onorevole dottor Luigi Casero, dottor Enrico Morando, dottor Carlo Calenda, professor Claudio De Vincenti, senatore dottor Filippo Bubbico, senatore Riccardo Nencini, onorevole dottor Enrico Costa, onorevole dottor Lapo Pistelli e senatore professor Andrea Olivero.
  Firmato: Matteo Renzi».

Discussione della proposta di legge: Cancelleri ed altri: Soppressione della società Equitalia Spa e trasferimento delle funzioni in materia di riscossione all'Agenzia delle entrate, nonché determinazione del limite massimo degli oneri a carico dei contribuenti nei procedimenti di riscossione (A.C. 2299-A) (ore 15,02).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge Pag. 2n. 2299-A di iniziativa dei deputati Cancelleri ed altri: Soppressione della società Equitalia Spa e trasferimento delle funzioni in materia di riscossione all'Agenzia delle entrate, nonché determinazione del limite massimo degli oneri a carico dei contribuenti nei procedimenti di riscossione.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 4 luglio 2014.
  Ricordo che la Commissione propone la reiezione della proposta di legge.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2299-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che il presidente del gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la VI Commissione (Finanze) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, onorevole Michele Pelillo.

  MICHELE PELILLO, Relatore per la maggioranza. Grazie Presidente, signor Viceministro, colleghe e colleghi, è stata recentemente rinvenuta un'iscrizione datata più o meno 6 mila anni avanti Cristo: «L'esattore delle imposte è il vero despota». È un'iscrizione che risale alla civiltà dei sumeri.
  In tempi decisamente più moderni, l'odioso rapporto tra esattore e popolo non è affidato solo al ricordo della vicenda dello Sceriffo di Nottingham e all'epopea di Robin Hood, ma la rappresentazione del popolo perseguitato dagli esattori si snoda tra letteratura, cinema e tradizione popolare. Parla dell'esattore Dickens nel suo David Copperfield; lo fa, nella nostra letteratura, Pratolini nel Metello e Pasolini negli Scritti Corsari. Nel nostro cinema sono ferme le immagini su una seducente Sofia Loren assediata dagli esattori lungo i vicoli di Napoli e ci ricordiamo anche dell'ossessione di Fantozzi, prigioniero dell'incubo delle tasse.
  Questa rappresentazione è così profonda e così antica che ha dato materia anche alla tradizione popolare. Mi piace ricordare un tipico ballo folkloristico della tradizione popolare calabrese, u camiuzzu i focu, il cammello di fuoco, che rappresenta il cammello utilizzato dagli esattori musulmani per riscuotere le tasse.
  Ogni anno si ricorda la liberazione dall'occupazione saracena, bruciando in piazza proprio il cammello, simbolo della persona più odiata dal popolo, ovvero l'esattore. È evidente che l'atavico e odioso rapporto tra esattore e popolo talvolta può «tentare» la politica. Così è accaduto in questa circostanza: i proponenti sono caduti in tentazione, nella tentazione di lucrare un po’ di facile consenso.
  Perché la maggioranza pensa questo ? Perché la proposta di legge è costruita sul «dagli all'esattore e a chi lavora con lui», ma ha l'evidente torto di pensare che, tolta di mezzo Equitalia – ricordiamolo, recente frutto di un processo di pubblicizzazione della riscossione in Italia – e precarizzata almeno metà dei suoi dipendenti, l'antico problema sia risolto. Invero, se le modalità di riscossione in Italia possono davvero ritenersi vessatorie e, nel contempo, poco efficaci, e avrebbero aumentato la distanza fra il cittadino e le istituzioni, così come recita la relazione alla proposta di legge, di certo la colpa non sarebbe di Equitalia, ma sarebbe ascrivibile certamente alla legislazione vigente in materia di riscossione.
  Equitalia agisce in forza di leggi e agisce su richiesta degli enti impositori: l'Agenzia delle entrate, gli enti territoriali o gli altri enti pubblici. Nella legislazione italiana, la figura dell'accertatore e la figura dell'esattore non sono mai coincise; i proponenti propongono di farlo. Cosa accadrebbe se, improvvisamente, nella nostra legislazione tributaria, decidessimo un'inversione di rotta così netta ? Innanzitutto, la confusione di ruoli tra l'accertatore e l'esattore indebolirebbe il contribuente. Pag. 3Noi stiamo provando, con la legge di delega fiscale, a rafforzare il contribuente nel rapporto con il fisco, per trovare un migliore equilibrio; in questo caso, riusciremmo a fare esattamente il contrario. La legittimità degli atti, nel momento in cui le due fasi della riscossione e dell'accertamento non sono ben distinte, è più difficile da essere colta nella difesa del contribuente.
  In verità, vi sono Paesi europei molto importanti e molto vicini – Francia, Germania, Regno Unito – dove questa funzione viene accentrata nelle mani di quella che in Italia è l'Agenzia delle entrate; però, proprio per l'esigenza di una maggiore tutela nei confronti del cittadino, la fase esecutiva della riscossione coattiva ricade sulla giustizia civile.
  Quindi, in Francia, in Germania e nel Regno Unito, effettivamente, l'Agenzia delle entrate svolge anche il ruolo di riscossione, ma si ferma nel momento di aggredire il patrimonio del contribuente e si affida a quelli che in Italia sono gli ufficiali giudiziari e, comunque, a quelle che sono le sezioni dei tribunali che si occupano di procedure esecutive. È evidente che una condizione del genere, riversata tout court nel nostro ordinamento giudiziario, creerebbe danni straordinari e ulteriori alla nostra giustizia civile.
  È da sottolineare l'impreparazione funzionale e logistica dell'Agenzia, se fosse raccolta questa proposta di legge. E ancora, l'Agenzia, che non ha mai riscosso direttamente i tributi erariali, dovrebbe d'un tratto riscuotere non solo i suoi crediti, ma anche i crediti degli altri enti. La conclusione sarebbe facile da immaginare: Agenzia in tilt e contribuenti meno tutelati.
  E ancora, nella proposta di legge si fa un po’ di confusione. Si fa un po’ di confusione, perché si confondono gli interessi con altre partite. Si confondono gli interessi con le spese di esecuzione, si confondono gli interessi con alcune sanzioni che sono previste, non tanto nel sistema tributario, quanto in quello previdenziale. Insomma, non si fa un buon lavoro, perché in un ginepraio di norme che è il nostro sistema tributario lo si arricchisce di ulteriore confusione. Anche la maxi rottamazione dei ruoli che viene proposta non convince perché creerebbe una diseguaglianza evidente tra il passato e il futuro e non convince anche perché odora molto di condono. Il problema allora, Presidente, non è l'esattore, ma è la legislazione in materia di riscossione. Va cambiata, ragioniamoci senza nessuna caccia all'untore. Noi pensiamo di sì, la maggioranza pensa che uno degli argomenti sul quale concentrare la nostra attenzione di legislatori sia la materia della riscossione dei tributi soprattutto quella coattiva, anche perché la riscossione coattiva è uno snodo ineludibile nel rapporto Stato-contribuente. Se vogliamo raggiungere l'ambizioso obiettivo di cambiare tale rapporto, come questo Governo si è proposto, di costruire un fisco amico, o almeno un fisco percepito come non nemico, non ostile, c’è qualcosa da fare, noi lo sappiamo da tempo. Abbiamo cominciato; abbiamo cominciato ad ammorbidire l'impatto della riscossione coattiva in un momento di grande difficoltà economica e sociale come questo, abbiamo cominciato l'anno scorso, incidendo sulla rateizzazione nella fase della riscossione e tutelando la prima casa. Lo abbiamo scritto nella legge delega, abbiamo chiesto al Governo di rivedere la governance di Equitalia e soprattutto di riportarla sotto il controllo del MEF e non più sotto quello dell'Agenzia. Abbiamo chiesto al Governo di disciplinare in modo omogeneo le rateizzazioni dei debiti tributari. Abbiamo chiesto al Governo di riordinare l'intera disciplina della riscossione, in modo particolare, guardando verso quella dei tributi locali che certamente ha creato negli anni scorsi i maggiori problemi e che ha bisogno di maggiore attenzione. Il Partito Democratico, in particolare, aggiunge un argomento: vorrebbe superare lo strumento dell'aggio esattoriale per sostituirlo con quello dei costi di gestione da ribaltare, ovviamente, nella riscossione coattiva. Uno Stato perfetto non ha bisogno dell'esattore in quanto i suoi cittadini adempiono spontaneamente al dovere di pagare le tasse. La storia dell'uomo, però, Pag. 4ci ha insegnato che, fino ad oggi, questo Paese perfetto non è mai esistito e che la figura dell'esattore, purtroppo, è necessaria oggi come ieri. Allora, e mi avvio a concludere, evitiamo di cadere in tentazioni populiste, diamo piena attuazione alla legge di delega fiscale e concentriamo la nostra riflessione sul modello possibile di riscossione dei tributi nella nostra epoca storica.
  Per tutte queste ragioni, la maggioranza, nella Commissione finanze, mi ha dato l'incarico di esprimere, signor Presidente, parere contrario.

  PRESIDENTE. Ha facoltà ora di intervenire la relatrice di minoranza, onorevole Cancelleri.

  AZZURRA PIA MARIA CANCELLERI, Relatore di minoranza. Signor Presidente, Viceministro, colleghi deputati, oggi arriva in Aula la nostra proposta di legge, con la quale chiediamo di abolire Equitalia Spa e di affidare la riscossione ad un'agenzia statale.
  I motivi che ci hanno portato a presentare questa proposta di legge sono numerosi e di vario genere. Riassumendoli in un concetto, direi che lo Stato ha valutato male le potenzialità di una società per azioni come ente riscossore ed ha creato un sistema inefficiente ed inumano.
  L'articolo 1 della presente proposta di legge prevede l'abolizione di Equitalia a decorrere dal 1o gennaio 2015 ed il passaggio delle relative funzioni all'Agenzia delle entrate. Al comma 3 viene stabilito che la Direzione centrale per la riscossione subentra integralmente nei diritti e negli oneri relativi all'esercizio delle funzioni di riscossione della società Equitalia Spa e delle società pubbliche ad essa collegate.
  Ma facciamo un passo indietro. Il servizio della riscossione dei tributi, fino al 2006, è stato gestito da un sistema privato costituito da 37 società, controllate dai principali istituti di credito. In tutti questi anni, il costo del servizio fu finanziato a pioggia con soldi pubblici, senza nessun criterio di controllo reale del servizio reso ai privati e relativa selezione e filtro dei flussi finanziari. Gli istituti di credito anticipavano allo Stato le somme che erano incaricati a raccogliere dai contribuenti. Successivamente, con una semplice autocertificazione, si facevano restituire dallo Stato le somme che dichiaravano impossibili da riscuotere. Sulle somme raccolte e restituite allo Stato, lo stesso pagava una differenza – quindi un aggio –, che era il guadagno degli istituti di credito concessionari del servizio di riscossione.
  Dal 1o ottobre 2006, il servizio è passato in mano a Riscossione Spa con il Governo Berlusconi, poi diventata Equitalia Spa con il decreto-legge Bersani-Visco. Quindi, una società pubblica con pacchetto azionario, diviso tra Agenzia delle entrate per il 51 per cento ed Inps per il restante 49 per cento, ma gestita con criteri privatistici, tipici di una società per azioni.
  Per permettere il decollo delle attività di finanziamento – quindi in una fase di start up – della nuova società, lo Stato ha finanziato con 940 milioni di euro – quindi soldi pubblici – l'attività di Equitalia per i primi due anni di vita della stessa, il 2007 e il 2008. Dal 1o gennaio 2009 Equitalia è finanziariamente autonoma dai contributi pubblici. Il suo costo di esercizio da allora viene finanziato da un sistema multiplo di costi aggiuntivi, che la società aggiunge sul debito dei contribuenti inadempienti. In particolare, gli elementi della riscossione sono a vantaggio ingiustificato ed irrazionale della società Equitalia Spa, la quale applica i seguenti tassi: diritto all'aggio del 9 o dell'8 per cento per i ruoli emessi dal 1o gennaio 2013, la percentuale sull'interesse di mora, il diritto delle spese di esecuzione ed il diritto al rimborso delle quote inesigibili. Queste somme fanno lievitare notevolmente le somme dovute dal debitore, al punto da renderle insostenibili e, in concomitanza con la profonda crisi economica che sta vivendo il nostro Paese, praticamente non pagabili.
  Proponiamo per questo il passaggio ad un'agenzia pubblica per eliminare queste componenti d'interesse che sono dettate Pag. 5dalla forma Spa, che caratterizza Equitalia. L'articolo 2 prevede disposizioni in materia di riscossione. Viene stabilito che la quota di interesse dovuta per il ritardo o mancato pagamento delle cartelle esattoriali, maturate fino al 31 marzo 2014, è annullata e sostituita dal pagamento di un interesse pari alla quotazione dell'Euribor a dodici mesi. Nonostante la maggioranza parli di un condono, come è scritto nella relazione in questa proposta di legge, questa disposizione è stata prevista per alleggerire il carico di crediti non ancora riscossi, che con l'abolizione di Equitalia ricadranno sugli enti creditori. Si chiarisce, inoltre, che la presente disposizione non si applica alle cartelle esattoriali in relazione alle quali sia stata pronunciata una sentenza passata in giudicato, avente ad oggetto i reati previsti dagli articoli 2 e 11 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74.
  Il comma 4 disciplina le modalità di creazione delle cartelle esattoriali, a decorrere dall'entrata in vigore della presente legge. Questa legge, infatti, ha come finalità quella di riformare l'ente riscossore nel nostro Paese.
  Riteniamo ugualmente urgente rivedere anche i criteri della riscossione e con questo comma poniamo un principio base: né per entità, né a seguito di modalità di calcolo applicate, l'interesse può superare il tasso di usura previsto per legge.
  L'articolo 3 prevede delle norme in materia di personale della nuova direzione centrale per la riscossione e vorrei chiarire che non abbiamo previsto l'assunzione solo di metà del personale di Equitalia. Vorrei anche precisare che la notizia diramata anche tramite i sindacati sulla contrarietà del MoVimento 5 Stelle verso i lavoratori di Equitalia è assolutamente falsa. Questa proposta di legge non nasce per colpire o denigrare il lavoro svolto soprattutto dagli agenti di riscossione, ma a seguito di casi di pericolo in cui gli stessi si sono trovati. Riteniamo che siano proprio gli episodi di corruzione dentro il sistema Equitalia a denigrare il lavoro svolto da chi, invece, lavora onestamente.
  Infine, l'articolo 4 contiene disposizioni finali che regolano il passaggio dei crediti non riscossi agli enti locali.
  Riteniamo che il passaggio fittizio da un sistema privato (gli istituti di credito) a un sistema di società per azioni completamente pubbliche, dirette con normativa pubblica, ma gestito in una commistione pubblico-privato in modalità privatistiche, non abbia portato particolare valore aggiunto né alla qualità né alla quantità della riscossione, ma che anzi abbia deteriorato il rapporto ed aumentato la distanza tra il cittadino e le istituzioni, anche per la vessatorietà dei suoi ricarichi sul debito del contribuente, utilizzata fondamentalmente per il mantenimento e gli sprechi delle suddette società.
  Questo è dimostrato dalla percentuale del riscosso: nonostante strumenti operativi nuovi, come il fermo amministrativo, o vecchi, ma resi più aggressivi, come le iscrizioni ipotecarie, di cui queste società hanno potuto usufruire, a differenza del vecchio sistema di concessioni fino al 2006, queste non hanno raggiunto i risultati sperati, come riportato anche dal rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2013 della Corte dei conti e nella relazione sullo stato dell'attività di riscossione nel 2011, presentato dall'allora Ministro dell'economia Grilli.
  Le percentuali del riscosso, infatti, dopo i primi due anni in cui sono praticamente raddoppiate, passando da circa un 3,5 per cento ad un 7 per cento del carico montante, si sono da anni ormai stabilizzate su quel valore, con un lieve calo negli ultimi 2-3 anni, a riprova che il problema non è solo nell'utilizzo indiscriminato e vessatorio degli strumenti di riscossione, ma è anche nel sistema fiscale da riformare.
  Negli ultimi anni, sotto i colpi della crisi economica imperante e sotto il montare della protesta popolare, la società Equitalia Spa ha rallentato la sua azione e piccole modifiche sono state apportate: riduzione dell'aggio dal 9 all'8 per cento, la riduzione degli interessi di mora dal 5,22 al 5,14 per cento, aumento di rate, per le quali, però, si pagano interessi molto superiori Pag. 6a quelli che la stessa amministrazione finanziaria centrale stabilisce per i suoi debiti, quando è lo stesso Stato a regolare la sua morosità nei confronti di crediti, rimborsi o per servizi non pagati al cittadino contribuente, trattandoli di fatto come sudditi e non come cittadini quali sono. Credevamo che, essendo in Parlamento, si potesse utilizzare una proposta di legge parlamentare per continuare questi lavori che, come ci dite, da anni portate avanti.
  Per i motivi esposti, riteniamo opportuno il passaggio dell'attività di riscossione da Equitalia Spa all'Agenzia delle entrate, secondo le modalità contenute nella presente proposta di legge.
  Concludo dicendo che, a seguito del dibattito in Commissione finanze, in cui il MoVimento 5 Stelle si è dichiarato favorevole a modifiche condivise della presente proposta di legge, non avendo riscontrato dalle altre forze politiche di maggioranza la volontà di condividere il tema dell'abolizione di Equitalia, preferendo denigrare il nostro lavoro e quindi non lavorare insieme sul testo da noi proposto, abbiamo ritenuto opportuno fare un ultimo tentativo di collaborazione, presentando noi stessi degli emendamenti che riprendano le osservazioni avanzate durante il breve dibattito in Commissione, sperando che almeno questo tentativo possa andare a buon fine (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

  LUIGI CASERO, Viceministro dell'economia e delle finanze. Signor Presidente, il Governo si riserva di intervenire alla fine della discussione.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Petrini. Ne ha facoltà.

  PAOLO PETRINI. Signor Presidente, Viceministro, colleghi, non so se oggi siamo qui per valutare l'efficacia propagandistica di questa proposta di legge oppure la sua appropriatezza in direzione di un reale miglioramento del nostro sistema di riscossione dei tributi. Quello dell'abolizione di Equitalia è stato uno dei temi principali intorno al quale il MoVimento 5 Stelle ha organizzato e montato la piazza durante l'ultima campagna elettorale. Una proposta di legge che utilizza il disagio sociale come prodotto di facile vendita su un mercato in espansione come quello dell'indignazione e che ha registrato un'inedita mancanza di scrupoli da parte di diversi rappresentanti del MoVimento 5 Stelle nello strumentalizzare persino morti e suicidi, indotti, a loro dire, dall'agente della riscossione.
  Un marketing non convenzionale che ha ossessivamente alimentato lo spazio virtuale, ma che ha prodotto scarsi risultati, direi anzi risultati fallimentari in termini di consenso reale. Malgrado la proposta sia stata quindi congegnata con una finalità chiaramente elettoralistica, dobbiamo discutere in Aula, vista la perseveranza nel volercela portare, facendo finta di dimenticare che avevamo tutti condiviso di riformare la riscossione attraverso la delega fiscale che contiene una specifica previsione tale da consentire al Governo e al Parlamento di aprire una discussione seria sul funzionamento dell'apparato erariale. Perché questo è la delega fiscale, una completa riorganizzazione strutturale del fisco. E dentro questa riorganizzazione ci sta l'attività di accertamento e riscossione, dove si è rappresentato, agli occhi dell'opinione pubblica, uno Stato spietato, che insegue i propri debitori contribuenti, li spreme fino all'ultimo e li abbandona a loro stessi. Non solo lo Stato ed Equitalia, ma anche quello delle commissioni tributarie, sulla cui indipendenza e terzietà si sono sollevati molti dubbi. E lo stato dei processi tributari, irragionevolmente lunghi e privi di adeguate garanzie costituzionali.
  Su questi temi arriveranno presto i decreti legislativi. Il Governo ha il potere di trasformare Equitalia da società per azioni in ente pubblico in senso stretto e di eliminare l'aggio esattoriale, il vero spauracchio degli imprenditori e dei cittadini in lotta con il fisco. Anche se Pag. 7bisognerà comunque trovare il modo, magari all'interno di un contratto di servizio, di far pagare le spese sostenute per l'incasso delle tasse non pagate su coloro che non hanno adempiuto alla prestazione tributaria. Troverei ingiusto che questi costi gravassero in ugual misura sui contribuenti onesti, che a volte affrontano anche rinunce pur di pagare puntualmente le tasse.
  Un altro aspetto qualificante è poi la riorganizzazione della riscossione dei tributi locali – parlo sempre, ovviamente della delega fiscale – affidata in via provvisoria ad Equitalia. È da anni che il suo scorporo viene di volta in volta rinviato. In questo ambito, Equitalia non ha prodotto le sue migliori performance. La riscossione nazionale va certamente divisa da quella locale, ma va comunque ripensato lo strumento per la riscossione. Che senso ha averne due, il ruolo e l'ingiunzione ? E perché Equitalia deve avere uno strumento diverso e più efficace rispetto a quello che utilizzano gli altri concessionari ? Credo sia opportuno, visto che sull'ingiunzione abbiamo soltanto un regio decreto di cento anni fa, disciplinare con legge la materia, adeguandola al mutamento dei tempi. E comunque va rafforzata l'indipendenza dell'agenzia dalla riscossione, soggetti distinti con funzioni separate e con vertici non coincidenti nella medesima persona. Sarebbe in ogni caso sbagliato che allo stesso soggetto competesse, sia la fase dell'accertamento dell'imposta, sia quella della riscossione.
  Riesce difficile credere che chi sbaglia un accertamento solo cambiando abito riconosca l'errore. La rilettura di Equitalia rientra, dunque, nel più ampio progetto di fisco amico in ambito di accertamento e di riscossione.
  Concentrare le strategie di sviluppo della tax compliance unicamente sulla deterrenza non soltanto è sbagliato ma può essere addirittura controproducente. La deterrenza va usata con consapevolezza ed è efficace solo se accompagna o rafforza un sistema di valori e di norme. Vorremmo si attualizzasse una dichiarazione del vicepresidente di Equitalia, il dottor Di Capua. Metà della nostra azione – dichiarava Di Capua – è finalizzata ad assistenza e servizio, l'altra metà al contrasto dell'evasione, improntando – va aggiunto – l'approccio al contribuente ai principi di imparzialità, rispetto e collaborazione.
  Vanno in definitiva aumentate le opportunità di adempiere spontaneamente, rendendo al contempo più difficile evadere. L'amministrazione fiscale si è concentrata di più su questo secondo versante mentre sarebbe certamente proficuo agevolare il pagamento delle tasse, riducendo gli ostacoli che il contribuente incontra in termini di complessità delle procedure e di tempo da impiegare. Ad esempio, è possibile incrementare la compliance con un linguaggio comprensibile anche ai non addetti ai lavori o attraverso siti Internet accessibili o ancora ricorrendo a modelli di dichiarazione di facile compilazione o addirittura precompilati, come già proposto dal Governo.
  Con questa proposta prenderemmo una scorciatoia che non ci porterebbe da nessuna parte. Anzi, con la restituzione dei ruoli già in essere ai creditori, allo Stato e agli enti locali si aprirebbe una voragine. Forse, involontariamente, gli estensori di questa proposta di legge hanno fatto questa previsione, visto che da un attento esame di ciò che comporterebbe dar seguito a quello che prevedono, in particolare all'articolo 2, avremmo un abbattimento complessivo di 144,2 miliardi. Questo per il fatto che il carico relativo a sanzioni iscritte a ruolo oggetto di estinzione è il 35 per cento del carico affidato; il carico relativo di interessi iscritti a ruolo oggetto di estinzione è il 7 per cento del carico affidato e, in ogni caso, la proposta comporterebbe un sicuro abbattimento delle voci relative agli interessi di mora, all'aggio di riscossione e, presumibilmente, agli interessi per dilazione di pagamento.
  Voglio fare anch'io una citazione come il mio collega Pelillo. Sisto V, un Papa marchigiano del Seicento, riformò a sorpresa il fisco dello Stato pontificio e si avvalse, come esattori, di marchigiani come me che ancora oggi sono inseguiti dal detto: meglio un morto in casa che un Pag. 8marchigiano alla porta. Non vorrei che gli esattori di oggi, vista l'agitazione con la quale si sventolano determinati argomenti, facessero la fine dei marchigiani di allora che furono gettati dalle mura di Perugia.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Paglia. Ne ha facoltà.

  GIOVANNI PAGLIA. Signor Presidente, Ravenna non aveva mura abbastanza alte per gettare gli esattori marchigiani...

  PRESIDENTE. Però, c’è un telefonino che fa «gracchiare» il telefono da qualche parte al banco del Comitato dei nove, quindi suggerirei...

  GIOVANNI PAGLIA. Non è il mio. Ma il desiderio l'avremmo avuto e quindi era una cosa abbastanza diffusa. I marchigiani presenti ce ne scuseranno con qualche secolo di ritardo !
  Quando questa proposta di legge si è affacciata per la prima volta in quest'Aula, noi votammo contro la procedura di urgenza non ritenendo allora che l'emergenza di questo Paese fosse abolire Equitalia, peraltro mantenendone in piedi tutte le prerogative. Occorre, infatti, chiarire da subito che questo testo, anche qualora approvato, non interverrebbe su tutte le questioni, dall'aggio alle presunte pratiche vessatorie che fanno la gioia di una parte dell'informazione di questo Paese, ma semplicemente trasferirebbe quelle questioni da Equitalia all'Agenzia delle entrate.
  Non un grande risultato, ci sembra, trasferire poteri e funzioni dall'ente controllato all'ente controllante, dato che esattamente in questo reciproco rapporto stanno, in questo momento, l'Agenzia ed Equitalia.
  E non vale a nulla venire qui a fare la lista degli errori o, persino degli orrori, delle omissioni, degli abusi, degli episodi di corruzione legati all'attuale modalità di riscossione coatta dei tributi. Con tutte queste cose, infatti, la legge che ci viene proposta non ha nulla a che fare, non prova nemmeno ad entrare nel merito di come potrebbero essere affrontate e risolte, ma si limita, come farebbe un bambino, ad identificare i problemi in un volto, in un'immagine, e a chiedere che quell'immagine sia allontanata dalla lista.
  Se i meccanismi della riscossione hanno dei problemi e la riscossione è ad appannaggio di Equitalia, si cancelli la sigla «Equitalia» e tutto sarà risolto. Soprattutto, sarà risolto il problema di Beppe Grillo, che ha urlato per tutte le piazze d'Italia «aboliremo Equitalia» e con questo testo sballato potrà dire che abbiamo proposto di abolire Equitalia, ma i delinquenti dei partiti di destra e sinistra ce l'hanno evitato. Amen. Se non fosse che questo è esattamente uno di quei casi in cui il populismo mostra con più evidenza il suo volto, fatto, appunto, di semplificazione, approssimazione e totale, assoluta assenza di qualsiasi volontà di assumere non una funzione, ma nemmeno uno sguardo di Governo.
  Non c’è bisogno di assumere nei confronti di questa proposta di legge un atteggiamento di apertura o di cogliere l'occasione per un dialogo, che pure sui temi della riscossione sarebbe indispensabile e urgente. Questa proposta di legge, per favorire la rapida apertura di una fase di ricerca e individuazione di soluzioni, avrebbe potuto dare un solo contributo, a mio modo di vedere: essere tolta di mezzo, ritirata prima di arrivare in Aula, come noi avevamo consigliato di fare pubblicamente in Commissione ai proponenti, dopo che una discussione di appena mezz'ora era stata sufficiente ad evidenziarne impietosamente tutti i limiti ineliminabili, se non attraverso un'integrale riscrittura.
  Il consiglio, come spesso accade con quelli indirizzati al MoVimento 5 Stelle, soprattutto se disinteressati, non è stato ovviamente colto e, quindi, siamo qui ad iniziare, e rapidamente concludere, l'iter di una legge che si presenta in Aula con un mandato negativo al relatore e una relazione di minoranza di chi quella proposta di legge ha scritto. E questo, devo dire, non è un grande esordio.
  Per quanto ci riguarda, devo dire che non sarebbe stato molto difficile convincerci Pag. 9che l'attuale Equitalia fosse da riformare e, persino, da cancellare nel suo attuale assetto societario – lo abbiamo detto, lo ripetiamo anche oggi – e abbiamo presentato anche un emendamento utile a capire quale sia la direzione che noi auspichiamo.
  Noi crediamo che si possa e si debba andare nella direzione di ricondurre la struttura di Equitalia all'interno del perimetro del MEF, come dipartimento o funzione diretta del potere pubblico, uscendo dal regime di società per azioni, rafforzando, quindi, la matrice pubblicistica, eliminando i costi intermedi della catena di controllo, a partire da quello degli amministratori, mantenendo ben distinte le funzioni di accertamento e di riscossione. Crediamo, tuttavia, che anche questa nostra proposta debba essere attentamente vagliata sotto ogni aspetto e siamo fin da ora disponibili a modificarla o, addirittura, a rinunciarvi se dovessero emergere criticità.
  Siamo, infatti, consapevoli che, quando si tratta di riformare funzioni necessariamente impopolari come quella della riscossione tributaria, c’è sempre il rischio che si affacci la tentazione di fare periodicamente qualcosa per rispondere ad un'opinione pubblica negativa, senza risolvere nulla, ma, anzi, peggiorando le cose. Ad esempio, sappiamo fin da ora che esempi di riscossione diretta, anche quando condotti nell'ambito di amministrazioni considerate virtuose – parliamo di enti locali –, non si sono sempre dimostrati all'altezza, né in termini di risultati né di onerosità reale per i cittadini coinvolti. E sappiamo anche che, se si andasse nella direzione da noi auspicata, si dovrebbe tuttavia prestare molta attenzione a che, come spesso accade in Italia, l'attribuzione alla macchina pubblica di funzioni economiche non diventi il pretesto per lassismo e gestione condotta secondo criteri più politici che tecnici.
  Non potremmo certamente permettercelo, in un campo, la riscossione, che per essere efficace ha, invece, bisogno di trasparenza, evidenza, assoluta assenza di qualsiasi discrezionalità nel trattamento, ovvero fattori che la cronaca ci dice mancare talvolta anche nell'attuale sistema per ragioni che andrebbero indagate e risolte e che io sospetto abbiano a che fare con la qualità della normativa, prima che con quella dell'amministrazione. Non sarà un caso, temo, se i casi di presunta corruzione che la stampa periodicamente ci propone abbiano, per esempio, a che fare quasi sempre con il tema della rateazione, che, evidentemente e come noi denunciammo ancora un anno fa, ha margini di discrezionalità sempre più ampi; e, come sappiamo, è nella discrezionalità che si producono elementi corruttivi.
  Ma di questo, appunto, oggi, non parliamo, perché, oggi, facciamo come quello che, se viaggia con una macchina in riserva di carburante, con le gomme sgonfie e il radiatore forato, si preoccupa esclusivamente del graffio alla carrozzeria che, in effetti, è la prima e unica cosa che nota l'occhio del passante, se non fosse che noi, qui, avremmo la responsabilità di chi guida.
  Intanto, dobbiamo, comunque, riscontrare con piacere che il Governo si è detto disponibile ad affrontare tutti i temi connessi a Equitalia, compreso quello di un'eventuale riduzione al MEF, nell'ambito della delega fiscale e, quindi, in tempi non superiori ai sei mesi. Non è un tempo eccessivo, considerando la complessità del tema, e noi ci dichiariamo da ora disponibili ad un confronto di merito, che vorremo scevro da ogni demagogia. Sappiamo, infatti, tre cose: la prima è che stiamo parlando di un'attività odiosa agli uomini da quando esiste un'autorità tale da esigere tributi e che quindi non c’è nulla che possiamo fare per renderla amata da tutti, dato che ci sarà sempre chi evaderà il fisco e non accoglierà con favore chi si presenta alla sua porta per avere il maltolto con gli interessi; la seconda è che viviamo in un Paese in cui l'evasione fiscale è una piaga nazionale, ma con un chiaro connotato di classe, nel senso storico e tradizionale del termine, se è vero come è vero che i lavoratori dipendenti pagano sempre e fino all'ultimo, una parte di lavoratori autonomi paga Pag. 10anche più di quanto dovrebbe e il resto del mondo paga a propria discrezione, contando sulla debolezza dello Stato nel riscuotere, ma anche nella generosità dello Stato quando si tratta di partecipare all'offerta di welfare; la terza è che Equitalia sarà pure brutta, soprattutto dove si guardi alla differenza tra evasione accertata e riscossa, ma nulla è brutto come il vecchio regime della concessione a privati dell'attività di riscossione. E questo, credo, faremmo bene a ricordarlo tutti e a tenerlo come patrimonio condiviso, anche se certamente non lo sarà, condiviso, da chi era abituato a non pagare senza nemmeno dover temere il rischio di una cartella esattoriale.
  Quindi, nessuno mette in discussione il carattere pubblico della riscossione; facciamo attenzione a non creare mostri nella devoluzione di attività agli enti locali, interroghiamoci prioritariamente su come migliorare efficacia e efficienza del sistema, leghiamo una volta per tutte l'aggio alle spese effettivamente sostenute, riduciamo i margini di discrezionalità degli operatori e aumentiamo la trasparenza dell'attività. Credo che con queste linee guida, semplici, daremo risposte ai cittadini che temono vessazioni, ma non a quelli che pretendono l'impunità per l'evasione fiscale, che è, e rimane, il peggiore fra i delitti contro la proprietà.
  Torniamo, quindi, alla proposta di legge presente, che non interseca, nemmeno per sbaglio, queste linee guida. Si propone di sciogliere Equitalia nell'Agenzia delle entrate, ignorando o fingendo di ignorare che è beve tenere una barriera, netta, fra attività di accertamento e riscossione, a tutela dei cittadini e contribuenti, e che già l'attuale relazione di controllo è eccessiva sotto questo punto di vista. Si deve infatti evitare il rischio che l'accertamento sia subordinato, nei suoi indirizzi, alla capacità effettiva di riscossione e venga, quindi, deviato di fatto verso la ricerca della piccola evasione, forse persino dalla semplice irregolarità, più facile da individuare, ma soprattutto più facile da condurre a buon esito sul piano della cassa. È più facile, infatti, inseguire gli scontrini farmaceutici dei lavoratori dipendenti, magari richiedendone copia a distanza di anni o indagare fenomeni complessi, magari sapendo in partenza che potrebbero portare a zero sul piano delle entrate, anche laddove positivamente riscontrati ? Però, l'altra domanda che ci dobbiamo fare è se incida più positivamente sul funzionamento del sistema economico e fiscale nel suo complesso la prima o la seconda di queste attività.
  Questa proposta di legge, nata dall'idea, se capisco bene, che Equitalia si accanisca sull'evasione da cortile, avrebbe come primo effetto proprio quello di rafforzare questa possibilità, ma evidentemente la fretta e l'improvvisazione quando si applicano per produrre norme, anziché grida, producono questi effetti; sine ira ac studio, si diceva, non a caso.
  Andando oltre, si produce un massiccio condono fiscale proprio su chi per evasione è già stato sanzionato. Cosa vuol dire che me la cavo pagando il dovuto maggiorato degli interessi legali ? Che l'artigiano che si è svenato per pagare regolarmente le imposte in questi anni di crisi, magari, anzi, certamente ricorrendo a credito bancario, pagato salatissimo, probabilmente più del 10 per cento, è un fesso, perché avrebbe fatto meglio ad autoattribuirsi credito dallo Stato a costo quasi zero ? Oppure che meglio sarebbe stato per un ragazzo a partita IVA comprarsi casa con i soldi sottratti al fisco, anziché facendo il giro di tutti i parenti per chiedere una qualche firma di garanzia per il mutuo che costa peraltro più del prestito di Stato ? Dei lavoratori dipendenti non posso dire nulla, perché per loro la cassa dello Stato è sempre unidirezionale, funziona solo in uscita. A loro questo speciale Bancomat in dotazione non è dato.
  Quindi, è questo il vostro concetto di legalità, quello per cui vale sempre la pena provarci perché prima o poi interverrà qualcuno a dire che è meglio chiuderla qui, chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto, e la ruota dei furbi può ripartire ? Nei prossimi giorni il MoVimento 5 Stelle sarà al nostro fianco nel denunciare il condono del Governo, meglio noto come voluntary disclosure, e sono sicuro che qui Pag. 11dentro, come sempre, sentiremo parole di fuoco sopra le righe e anche sopra l'immaginazione. Però mi chiedo con che faccia lo si farà, dopo che la prima legge che viene portata in Aula non è che un megacondono a condizioni mai tentate prima, roba che la sanzione complessiva è inferiore a quanto si sarebbe guadagnato investendo quei soldi in bund tedeschi, non in bond italiani. Stiamo parlando del dovuto più il tasso Euribor dodici mesi, ad oggi pari allo 0,486 per cento, che sostituisce sanzioni, aggi e interessi e more, ovvero tutto. Praticamente, chi ha evaso ha avuto credito al tasso dello 0,486 per cento: non c’è male, conviene, avanti così. Però, poi, non lamentatevi di un Governo che si limita a ridurre di un terzo le sanzioni nei suoi provvedimenti.
  Veniamo infine alla terza e ultima questione, perché la proposta di legge ha almeno il pregio della brevità. Equitalia ha circa 8 mila dipendenti, di questi, all'atto dello scioglimento, prevedete il mantenimento in servizio per un massimo del 50 per cento, ovvero sostenete di dare il benservito a 4 mila lavoratori. Sarei curioso di sapere sulla base di quali considerazioni e di quali approfondite analisi voi, o il blog di Beppe, o la Casaleggio Associati, o chi altri abbia stabilito che la riscossione pubblica italiana abbia oggi il doppio del personale necessario alla sua attività. Leggo dalla relazione alla proposta di legge che la spiegazione che viene data all'articolo 3 è: «L'articolo 3 reca disposizioni in materia di assunzioni presso l'Agenzia delle entrate, direzione generale centrale per la riscossione, prevedendo una riserva di assunzioni pari al 50 per cento per il personale impiegato presso la società Equitalia Spa». Tutto qui. Non vi pare un po’ scarna come giusta causa di licenziamento per oltre 4 mila persone, che magari avrebbero il diritto di sapere perché il loro lavoro di questi anni sia stato talmente scadente ed inefficiente da poter essere svolto con la metà dell'organico ? Stiamo parlando di quegli stessi lavoratori che hanno dovuto in questi anni ultimi affrontare letteralmente le bombe sul posto del lavoro, anche grazie a campagne di denigrazione violenta della loro attività, che hanno sempre trovato orecchie e bocche attente nella parte peggiore della politica nazionale. Per quanto mi riguarda, a loro, a quelli che ogni giorno si recano in ufficio per compiere un dovere pubblico che nulla hanno a che fare con chi invece abusa del proprio ruolo, va invece il mio ringraziamento, e credo dovrebbe andare anche quello di tutta l'Italia onesta. Forse – immagino – mi si dirà che i 4 mila fantasmi andrebbero in carico alle agenzie locali di riscossione del futuro. Il problema è che una legge non può fare affidamento sull'immaginazione, perché produce effetti ora e qui non c’è traccia di nulla se non di 4 mila lavoratori a casa e di un condono per gli evasori.
  Niente di buono, niente di cui avrei voluto parlare in questi termini qui dentro, niente che fosse necessario affrontare così in Aula. Non fa onore alle istituzioni portare alla discussione testi confusi nella forma quanto forieri nella sostanza di risultati perversi. Si è passato un anno a sparare la sciocchezza clamorosa del MoVimento 5 Stelle come unica opposizione: ancora una volta fortunatamente devo dire che non è così, e a noi tocca fare parte sia dell'opposizione dell'opposizione che dell'opposizione del Governo.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pesco. Ne ha facoltà.

  DANIELE PESCO. Presidente, il sistema di riscossione adottato dalla nostra nazione non va bene. Non lo dice il MoVimento 5 Stelle, ma lo dicono i cittadini. Equitalia è una società per azioni di proprietà pubblica che però, in pratica, opera in regime privatistico. I cittadini sono vessati da Equitalia e leggi micidiali e mal fatte danno la possibilità a questa società di estorcere il pagamento delle imposte maggiorato di interessi, more, aggi e chi più ne ha più ne metta; il tutto a danno di quei cittadini che magari non hanno né lavoro né reddito e quindi non sono in grado di far fronte ai pagamenti neanche con le pluriratezioni introdotte lo scorso anno. La situazione è di vera emergenza. Pag. 12Equitalia riscuote per lo Stato e per alcuni enti locali. Per fortuna non tutti: molti hanno già detto «no» a Equitalia, molti hanno fatto marcia indietro, molti non condividono i modi utilizzati da questa società per riscuotere le tasse.
  La riscossione va fatta, lo sappiamo e lo sosteniamo tutti, ma va fatta in modo responsabile e rispettoso dei diritti dei cittadini, in primis il diritto alla sopravvivenza. Il MoVimento 5 Stelle ha deciso di fare un «punto zero», di creare un nuovo punto di partenza, e propone di riformare il sistema di riscossione partendo dalla soppressione di questa società e l'internalizzazione del servizio. I soldi delle tasse sono soldi pubblici e il pubblico, cioè lo Stato, che è rappresentato dalla pubblica amministrazione, deve essere in grado di riuscire a farlo. C’è lo strumento dell'iscrizione a ruolo, e nessuno vuole toccare questo istituto, ma deve essere la pubblica amministrazione a farlo.
  Equitalia può essere visto come un esperimento e, bisogna ammetterlo, l'esperimento è venuto male. Sì, perché anche i 500 miliardi dichiarati pochi mesi fa dall'ex direttore dell'Agenzia delle entrate Befera ne sono la prova. Il nostro ordinamento non è pronto per una società che riceve gli ordini di pagamento e li riscuote; non ce la fa, il sistema è imperfetto e il contribuente paga, con il rischio che la stessa cartella venga duplicata e il pagamento richiesto nuovamente.
  Non vi è un'adeguata comunicazione tra ente impositore e società Equitalia, i due lavorano e viaggiano su binari diversi; il fenomeno «cartelle pazze» non è una trovata giornalistica, non è neanche un malcostume italiano, è la realtà. E a farne le conseguenze sono logicamente i cittadini italiani. Non auguriamo a nessuno di imbattersi nel documentario di aver pagato un tributo all'amministrazione richiedente magari con cartella già emessa da Equitalia: impossibile uscirne. Ma non ci sono le «cartelle pazze», ossia nulla nel contenuto, vi sono anche quelle nulle nel metodo; sì, perché sia Equitalia che l'Agenzia delle entrate per le loro comunicazioni – nel caso dell'Agenzia delle entrate, degli accertamenti ad Equitalia; e nel caso di Equitalia nella comunicazione proprio della cartella esattoriale – si sono avvalse di dirigenti non assunti tramite concorso, ma nominati, nominati. Ce l'ha svelato il TAR del Lazio, con la sentenza n. 7636 del 2011 che la trasmissione dei ruoli ad Equitalia per la loro riscossione, prerogativa un tempo affidata alla competenza esclusiva degli intendenti di finanza, in questi ultimi dieci anni è stata illegittimamente effettuata anche da semplici impiegati, spesso privi del diploma di laurea. Difatti su 1.200 dirigenti del Ministero solo 400 posti risultano coperti da dirigenti abilitati ossia assunti tramite regolare concorso, gli altri 800 sono stati nominati. E la stessa cosa vale per Equitalia, così come sostiene il Consiglio di Stato, il quale afferma che Equitalia Spa agendo in qualità di agente della riscossione, in quanto concessionaria di un pubblico servizio, deve utilizzare per tutte le incombenze personale che opera in regime di diritto pubblico, ossia dirigenti della pubblica amministrazione così come prevede la legge.
  Poi una legge del 2012, o meglio, l'articolo 8, comma 24 della legge n. 44 del 2012 aveva cercato di rimediare con una sanatoria, convalidando gli incarichi affidati senza concorso e in attesa di espletare le nuove procedure concorsuali utilizzando anche l'attribuzione di ulteriori incarichi dirigenziali a funzionari delle stesse agenzie. Per fortuna certi rimedi barbari sono quantomeno smascherati dal Consiglio di Stato che, tramite la sentenza n. 5451 del 2013, definisce incostituzionale la sanatoria e chiede alla Corte costituzionale di esprimersi affinché valuti se cancellare per sempre questo scempio.
  Per non parlare dei sistemi incentivanti utilizzati da Equitalia, o meglio da certe filiali di Equitalia. Una delle tante notizie in merito a questo è riportata da diverse testate giornalistiche sul sistema incentivante adottato da Equitalia Marche nel 2008 con il quale venivano premiati i dipendenti Equitalia sia sul dato oggettivo-quantitativo, quindi più fai incassare la società maggiore è il premio che incassi; Pag. 13ma il secondo criterio è ancora più vergognoso, in quanto premiava secondo il comportamento del lavoratore nel convincere i cittadini a pagare, quindi più il sistema utilizzato è insistente, vessatorio, coercitivo per non dire minaccioso, maggiore è il premio per lo stesso lavoratore.
  Per non parlare dello scandalo più vergognoso di tutti: il famoso o famigerato «disco dell'estate». Si perché proprio così è chiamato il cd-rom contenente l'elenco dei risparmiati da Equitalia, ovvero gli amici degli amici, gli amici dei potenti, gli amici anche dei politici, quelli per i quali le cartelle Equitalia restano sospese, magari neanche stampate. Certo, non sono le cartelle del comune cittadino, che se non paga gli pignorano la casa, nel caso possieda immobili. Per fortuna, alcune indagini sono in corso.
  Concludo, Presidente, rinnovando a tutti i colleghi: basta Equitalia, basta con la logica del profitto per riscuotere le tasse, fissiamo questo punto zero con l'abolizione di Equitalia e ripartiamo daccapo, utilizziamo questa proposta di legge per fare del bene ai cittadini.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare presenti e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 2299-A)

  PRESIDENTE. Prendo atto che i relatori ed il rappresentante del Governo rinunciano alle repliche. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge: Causi e Misiani: Modifica all'articolo 11-quaterdecies del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, in materia di disciplina del prestito vitalizio ipotecario (A.C. 1752-A) (ore 15,55).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 1752-A, di iniziativa dei deputati Causi e Misiani: Modifica all'articolo 11-quaterdecies del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, in materia di disciplina del prestito vitalizio ipotecario.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 4 luglio 2014.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1752-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la VI Commissione (Finanze) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Il relatore, onorevole Paolo Petrini, ha facoltà di svolgere la relazione.

  PAOLO PETRINI, Relatore. Signor Presidente, Viceministro, colleghi, la proposta di legge di cui discutiamo è costituita da un unico articolo e intende integrare e modificare la disciplina del prestito vitalizio ipotecario recata dall'articolo 11-quaterdecies, comma 12, del decreto-legge n. 203 del 2005, la quale risulta formulata in termini eccessivamente scarni, che non hanno consentito l'affermarsi di tale meccanismo di finanziamento.
  In sintesi, lo scopo del prestito vitalizio ipotecario è quello di smobilizzare il valore della proprietà fondiaria e di rispondere al soddisfacimento di esigenze diverse, consumi che comportano spese anche rilevanti, la necessità di integrare il proprio reddito, ovvero di avere immediate disponibilità economiche e l'esigenza di supportare i figli nell'acquisto di una casa d'abitazione attraverso il versamento nel necessario anticipo in contanti. Infatti tale istituto consentirebbe al proprietario di Pag. 14età superiore a 65 anni di convertire in contanti, tramite un finanziamento garantito da una proprietà immobiliare residenziale, parte del valore dello stesso immobile per soddisfare esigenze di liquidità, senza che lo stesso proprietario sia tenuto a lasciare l'abitazione, ovvero a ripagare il capitale degli interessi sul prestito fino alla scadenza del contratto.
  Merita evidenziare come rispetto al meccanismo della vendita della nuda proprietà il prestito vitalizio ipotecario offrirebbe al mutuatario il vantaggio di non perdere la proprietà dell'immobile e pertanto di non precludere la possibilità per gli eredi di recuperare l'immobile dato in garanzia, lasciando a questi ultimi la scelta di rimborsare il credito della banca ed estinguere la relativa ipoteca. Si segnala inoltre come il contenuto della proposta di legge prenda spunto dalle elaborazioni in materia presentate dalla ABI e da altre associazioni dei consumatori e che abbia trovato già accettazione da parte del Parlamento in una analoga proposta a firma Mancuso, proposta che poi era stata dichiarata inammissibile per estraneità di materia in quella sede.
  Illustrando nel dettaglio il contenuto della proposta, l'articolo unico di cui questa si compone sostituisce il comma 12 dell'articolo 11-quaterdecies del decreto-legge n. 203 del 2005 con sei nuovi commi, dal 12 al 12-sexies. In particolare, il nuovo comma 12 conferma le previsioni della vigente normativa in materia secondo cui il prestito vitalizio ipotecario ha per oggetto la concessione da parte di aziende e istituti di credito e di intermediari finanziari regolamentati dal testo unico bancario di finanziamenti a medio e lungo termine riservati a persone fisiche con età superiore a 65 anni compiuti, con capitalizzazione annuale di interessi e spese e rimborso integrale in unica soluzione alla scadenza, assistiti da ipoteca di primo grado su immobili residenziali.
  In tale contesto, il nuovo comma 12 dell'articolo unico aggiunge ulteriori eventi che possono dar vita al rimborso integrale del debito in un'unica soluzione e cioè la morte del soggetto finanziato, il trasferimento in tutto o in parte della proprietà o di altri diritti reali di godimento dell'immobile dato in garanzia, il compimento di atti che ne riducano significativamente il valore, inclusa la costituzione di diritti reali di garanzia a favore di terzi che vadano a gravare sull'immobile. La ratio di tale integrazione è quella di evitare che durante il periodo di finanziamento il mutuatario possa alterare le condizioni iniziali alla base delle quali il finanziamento era stato concesso, nonché il valore dell'immobile in garanzia, potendo ledere il diritto e la capacità del finanziatore a vendere l'immobile. In questo modo si intendono eliminati una serie di timori che possono scoraggiare i finanziatori dal praticare tale forma di finanziamento.
  Ai sensi del nuovo comma 12-bis si fa salva la possibilità di concordare, al momento della stipulazione del contratto, una modalità di rimborso graduale della quota di interessi e delle spese, in deroga al principio generale secondo cui interessi e spese sono rimborsabili al termine del contratto prima del verificarsi degli eventi indicati al nuovo comma 12, che danno luogo a rimborso integrale.
  Al riguardo si prevede che su tale quota non si applica la capitalizzazione annuale degli interessi, cioè il meccanismo in base al quale annualmente gli interessi maturati sono computati in aumento del capitale. La norma specifica che, in caso di inadempimento, si applica l'articolo 40, comma 2, del testo unico bancario, ai sensi del quale la banca può invocare il ritardato pagamento come causa di risoluzione del contratto, quando lo stesso si sia verificato almeno sette volte anche non consecutive. Costituisce ritardato pagamento quello effettuato tra il trentesimo e il centottantesimo giorno dalla scadenza della rata.
  Il nuovo comma 12-ter dispone l'applicazione delle agevolazioni fiscali previste per le operazioni di credito a medio e lungo termine disciplinate dagli articoli 15 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica n. 601, indipendentemente dalla data di rimborso del finanziamento.Pag. 15
  Al riguardo, si ricorda che, per effetto del combinato disposto degli articoli 15 e 17 del decreto del Presidente della Repubblica n. 601 del 1973 sono esenti dall'imposta di registro, dall'imposta di bollo, dall'imposta ipotecaria e catastale e dalle tasse sulle concessioni governative le operazioni relative ai finanziamenti e tutti i provvedimenti, atti contratti e formalità inerenti alle operazioni medesime, nonché alle relative garanzie purché effettuati da aziende, istituti di credito e da loro sezioni o gestioni che esercitino il credito a medio e lungo termine, nonché quelle effettuate dalla Cassa depositi e prestiti per finanziare opere, impianti, reti e dotazioni, destinati alla fornitura di servizi pubblici ed altre bonifiche, utilizzando fondi provenienti dall'emissione di titoli, dall'assunzione di finanziamenti e da altre operazioni finanziarie, senza garanzia dello Stato e con preclusione dalla raccolta di fondi a vista.
  Tuttavia, gli enti che effettuano le predette operazioni sono tenuti a corrispondere un'imposta sostitutiva in luogo dell'imposta di registro, di bollo, ipotecaria e catastale e delle tasse sulle concessioni governative. L'imposta sostitutiva si applica in ragione dello 0,25 per cento dell'ammontare complessivo dei finanziamenti agevolati erogati in ciascun esercizio.
  Il nuovo comma 12-quater disciplina il grado dell'ipoteca iscrivibile sull'immobile e specifica alcune regole per il realizzo del credito. In tale ambito, si prevede che il prestito vitalizio e ipotecario è garantito da ipoteca di primo grado sugli immobili residenziali. Di conseguenza, agli stessi immobili, si applicano le norme in materia di ipoteca bancaria; si stabilisce, inoltre, che qualora il finanziamento non sia interamente rimborsato entro 12 mesi dal verificarsi degli eventi che ne comportano l'obbligo di rimborso, il finanziatore vende l'immobile a un valore pari di quello di mercato, determinato da un perito indipendente incaricato dal finanziatore, utilizzando le somme ricavate dalla vendita per estinguere il credito vantato in dipendenza del finanziamento stesso.
  Trascorsi ulteriori 12 mesi senza che sia stata perfezionata la vendita, tale valore viene decurtato del 15 per cento per ognuno dei 12 mesi successivi fino al perfezionamento della vendita dell'immobile; in alternativa, l'erede può provvedere alla vendita dell'immobile in accordo con il finanziatore purché la compravendita si perfezioni entro 12 mesi dal conferimento dello stesso. Le eventuali somme rimanenti, ricavate dalla vendita e non portate a estinzione del predetto credito sono riconosciute al soggetto finanziato o ai suoi aventi causa.
  La disposizione esclude comunque che al mutuatario siano richieste somme superiori al valore di vendita dell'immobile, specificandosi a tal fine che l'importo del debito residuo non può superare il ricavato della vendita dell'immobile al netto delle spese sostenute.
  La norma tutela inoltre il terzo acquirente dell'immobile disponendo l'inefficacia delle domande giudiziali opponibili alla vendita. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della disposizione, il Ministero adotta un regolamento nel quale sono stabilite le regole per l'offerta dei prestiti vitalizi ipotecari.
  In definitiva, signor Presidente, questo è un prodotto finanziario che costituisce una nuova opportunità per gli anziani, al fine di integrare la loro pensione, al fine di far fronte a spese impreviste e, soprattutto, anche con l'obiettivo di aiutare i propri figli ad acquistare la prima casa anticipando il necessario contante.
  Attraverso questo prodotto finanziario in altri Stati anche europei, come in Inghilterra, sono state smobilizzate ingenti risorse che hanno contribuito alla ripresa del mercato immobiliare.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, se lo ritiene.

  LUIGI CASERO, Viceministro dell'economia e delle finanze. Mi riservo di intervenire in seguito.

Pag. 16

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marco Di Stefano. Ne ha facoltà.

  MARCO DI STEFANO. Grazie Presidente. Noi sappiamo benissimo che il risparmio degli italiani è tendenzialmente concentrato nella fascia di popolazione più anziana ed è caratterizzato da una significativa illiquidità, in quanto rappresentato soprattutto da immobili.
  In particolare, gli over 65, i nostri cittadini che hanno più di 65 anni, in Italia sono oltre 12 milioni e con una crescente aspettativa di vita necessitano di maggiore assistenza, sempre meno garantita, in questo momento, dalla rete familiare. Sono più attivi anche a causa del welfare familiare; devono aiutare economicamente i figli, hanno un ruolo essenziale nella crescita dei nipoti e, quindi, in generale hanno esigenze finanziarie che sono sempre più crescenti.
  Al tempo stesso, le loro fonti di reddito, le pensioni, perdono continuamente potere di acquisto e, come già detto, la maggior parte del loro patrimonio è illiquido, in quanto rappresentato da immobili. Il divario fra le esigenze e le disponibilità di liquidità tende ad ampliarsi sempre di più, creando un certo disagio sociale ed ulteriori richieste di assistenza da parte dello Stato e degli enti pubblici, in genere con un conseguente incremento di oneri sociali che si riflettono su tutta la collettività.
  A questa fascia di popolazione è praticamente preclusa qualsiasi forma di credito, tranne quella al consumo. L'alternativa più concreta, che si presenta a questi soggetti, è quella della vendita della nuda proprietà, con evidente pregiudizio per i figli e per i nipoti, che si vedono così privare, in maniera irreversibile, degli immobili di famiglia. Il problema è avvertito anche a livello mondiale e in molti Paesi evoluti si sono diffusi i prestiti vitalizi, che non prevedono rate di rimborso, in modo da evitare ogni contenzioso con gli anziani. Rispetto alla nuda proprietà, che oggi va molto di moda, questa soluzione consente agli anziani di non vendere la propria casa, evitando così di perderne anche la rivalutazione.
  Le recenti stime degli anziani, già oggi potenzialmente interessati, individuano circa 200 mila soggetti che possono produrre un volano finanziario di diversi miliardi di euro, da rimettere nel circuito finanziario, e l'analisi dei dati mondiali dimostra che, mediamente, il 30 per cento di questi importi viene usato per aiutare i figli a comprare una casa o a dare supporto alle loro attività commerciali. Questa soluzione potrebbe, quindi, rappresentare un importante aiuto economico e finanziario per diverse generazioni.
  Però, tale potenziale ad oggi rimane totalmente inespresso, in quanto il sistema bancario, le associazioni dei proprietari immobiliari e dei consumatori richiedono una normativa meglio definita. Una volta avviata, il potenziale indicato potrà progressivamente trovare risposte alle proprie esigenze. Potrà, inoltre, aumentare il bacino degli anziani interessati, grazie ad attività di informazione istituzionale che seguirà a queste attese integrazioni legislative. Nel nostro ordinamento questo sistema esiste già dal 2005, ma a causa di una non chiara disciplina non ha avuto la diffusione che avrebbe meritato.
  Nel corso delle audizioni intercorse in Commissione, durante la discussione del provvedimento di legge delega sul fisco più equo, è emersa la necessità, avanzata dall'ABI e anche dall'associazione dei proprietari immobiliari e da quelle dei consumatori, di disciplinare, in maniera più organica, chiara e garantista, sia nei confronti dei finanziatori sia nei confronti dei cittadini, la materia in oggetto. Il rischio concreto che si è manifestato in questi nove anni è quello che, a causa di alcune incertezze normative, le banche non hanno mai concesso questo tipo di credito.
  Affinché i prestiti vitalizi vengano effettivamente offerti dalle banche e utilizzati dagli anziani è necessario che la normativa porti un equilibrio tra la tutela degli anziani e dei loro eredi, da un lato, e la possibilità, da parte delle banche, di rientrare, anche dopo tanti anni, delle Pag. 17somme erogate e degli interessi maturati, riducendo il più possibile gli elementi di incertezza. La mancanza di un tale equilibrio renderebbe il provvedimento inutile per gli anziani, in quanto le banche non offrirebbero di fatto il prodotto e gli anziani continuerebbero a rimanere privi di un accesso al credito bancario ed istituzionale.
  La proposta in esame intende consentire alle parti di concordare modalità di rimborso graduale di interessi e spese, anziché corrisponderli contestualmente alla scadenza del finanziamento. Inoltre, la proposta in esame lascia agli eredi del beneficiario, nel caso il proprietario non decida di rimborsare anticipatamente il finanziamento, la scelta tra l'estinguere il debito nei confronti della banca, la vendita dell'immobile ipotecato oppure, in un'ultima ipotesi, l'affidamento della vendita alla banca mutuataria per rimborsarne il credito.
  Rispetto agli schemi della cosiddetta nuda proprietà, che hanno finalità analoghe, il prestito ipotecario vitalizio offrirebbe al mutuatario il vantaggio di non perdere la proprietà dell'immobile e, pertanto, di non precludere la possibilità per gli eredi di recuperare l'immobile dato in garanzia, lasciando a questi ultimi la scelta di rimborsare il credito alla banca e di estinguere la relativa ipoteca.
  Il nuovo comma 12 dell'articolo unico chiarisce quali eventi possono dar vita al rimborso integrale del debito in un'unica soluzione, cioè la morte del soggetto finanziato, il trasferimento, in tutto o in parte, della proprietà o di altri diritti reali o di godimento sull'immobile dato in garanzia e il compimento di atti che ne riducano significativamente il valore, inclusa la costituzione di diritti reali di garanzia a favore di terzi che vadano a gravare sull'immobile. In tal modo, si intende evitare che, durante il periodo di finanziamento, il mutuatario possa modificare le condizioni iniziali sulla base delle quali il finanziamento era stato concesso, creando un pregiudizio per il creditore.
  Il prestito vitalizio, non avendo rate, si basa sul valore della garanzia immobiliare. Pertanto, ove l'anziano riduca intenzionalmente tale valore, in maniera quindi non corretta, ad esempio vendendo l'immobile o cedendone a terzi l'usufrutto o affittandolo, la banca deve poter chiedere il rimborso. In assenza di tale condizione, è facile prevedere che le banche si assumerebbero troppi rischi nell'erogazione del finanziamento.
  Il comma 12-bis fa salva la possibilità di concordare, al momento della stipula del contratto, modalità di rimborso graduale della quota di interessi e delle spese, prima del verificarsi degli eventi che danno luogo al rimborso integrale di cui al comma 12 nel testo modificato della proposta in esame. Su tale quota non si applica la capitalizzazione annuale degli interessi. In particolare, si prevede la possibilità, al momento della stipula, di prevedere il rimborso degli interessi; in tal modo, si consente all'anziano di prevenire l'incremento e la capitalizzazione degli interessi. Viene così realizzato un finanziamento a durata vitalizia.
  Questa opzione, limitando la crescita del debito, tutela maggiormente soprattutto gli eredi. Bisogna comunque tenere presente che, in caso di mancato pagamento degli interessi, il prestito vitalizio potrà subire lo stesso procedimento di recupero forzoso su qualsiasi mutuo. Si può ritenere, pertanto, una soluzione integrativa più adatta a over 65 che abbiano comunque un reddito disponibile in grado di coprire agevolmente il pagamento della quota di interessi.
  Il comma 12-ter fa chiarezza su alcune interpretazioni del profilo fiscale del finanziamento. Questa parte del provvedimento è molto importante, perché consolida gli orientamenti prevalenti circa l'applicazione dell'imposta sostitutiva. Tale opportunità risulta un'importante agevolazione a favore degli anziani, evitando così inutili penalizzazioni a loro danno. Il comma 12-quater disciplina il grado dell'ipoteca iscrivibile sull'immobile e declina alcune regole per il realizzo del credito. In particolare, il prestito vitalizio ipotecario è garantito da ipoteche di primo grado sugli immobili residenziali. Si introduce una Pag. 18clausola a tutela degli eredi: non saranno mai chiamati a rimborsare un importo maggiore del ricavato della vendita dell'immobile, ma la banca, che in questo caso è l'unica che rischia di perdere soldi, deve poter vendere l'immobile direttamente per minimizzare le perdite.
  Questo è veramente uno snodo chiave, un ottimo bilanciamento tra la tutela degli eredi e della banca. È questo equilibrio che, limitando i rischi della banca, consente a quest'ultima di allargare il perimetro di accesso a queste forme di finanziamento. In assenza di tali previsioni, in realtà il pretesto vitalizio non si svilupperà mai in modo significativo, privando, di fatto, gli anziani di questa importante soluzione bancaria.
  Il comma 12-quinquies affida al Ministro dello sviluppo economico il compito di adottare, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della disposizione in esame, un regolamento nel quale siano stabilite le regole per l'offerta dei prestiti vitalizi ipotecari e individuati i casi e le formalità che comportino una riduzione significativa del valore di mercato dell'immobile tali da giustificare la richiesta di rimborso integrale del finanziamento.
  Nel corso dell'esame in sede referente è stato chiarito che il regolamento viene adottato previa consultazione dell'ABI e delle associazioni dei consumatori e che deve garantire trasparenza e certezza dell'importo oggetto del finanziamento, dei termini di pagamento, degli interessi e di ogni altra spesa dovuta. A tutela dei rapporti contrattuali esistenti, il comma 12-sexies specifica che la nuova disciplina si applica al finanziamento stipulato successivamente alla data di entrata in vigore della stessa norma. Alla scadenza, il creditore del credito non pagato ha diritto di promuovere la vendita forzata del bene, anche nei confronti del terzo acquirente.
  Questi, per evitare la vendita forzata, ha tre possibilità: egli stesso paga i creditori ipotecari, liberando il bene dall'ipoteca; effettua il rilascio del bene ipotecato, ossia rinuncia alla proprietà con un'apposita dichiarazione resa presso la cancelleria del tribunale, in modo che l'esecuzione non avvenga contro di lui, ma contro l'amministratore nominato dal tribunale; libera il bene dall'ipoteca: offre ai creditori una somma pari al prezzo di acquisto del bene; se nessun creditore si offre di acquistare per un prezzo superiore di almeno un decimo, il bene è liberato dall'ipoteca contro il pagamento della somma offerta dal terzo acquirente.
  Il terzo acquirente, che subisca l'esecuzione forzata, che liberi il bene o che rilasci il bene, ha azione di regresso verso il debitore principale. Il terzo datore di ipoteca si trova in posizione analoga: egli non può invocare nei confronti del creditore procedente il beneficio della preventiva escussione del debitore, se il beneficio non è stato convenuto. È direttamente esposto all'azione esecutiva. Per evitarla, deve pagare i creditori ipotecari. Anch'egli ha azione di regresso verso il debitore e diritto di surrogazione nell'ipoteca del creditore.
  Infine, questa è una buona proposta di legge.
  Con questo provvedimento si cerca di monetizzare un patrimonio immobiliare senza, tuttavia, perderne il possesso e la titolarità, rimettere in circolo denaro per le famiglie che potranno così tamponare situazioni economiche immediate, le quali nel futuro potranno avere un risvolto positivo, come per esempio l'inserimento lavorativo di un figlio disoccupato o un'attività commerciale, e nel contempo questo provvedimento è anche uno strumento, indubbiamente, che rilancia la nostra economia.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palese. Ne ha facoltà.

  ROCCO PALESE. Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il contenuto della proposta di legge prende spunto dalle elaborazioni in materia presentate dall'ABI e da altre associazioni di consumatori in occasione delle audizioni tenutesi presso le Commissioni bilancio e finanze della Camera lo scorso 13 settembre 2013, nell'ambito dell'esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 102 del 2013.Pag. 19
  Si tratta di un provvedimento volto ad integrare e modificare la disciplina del prestito vitalizio ipotecario, recata dall'articolo 11-quaterdecies, comma 12, del decreto-legge n. 203 del 2005, la quale così com’è attualmente formulata risulta in termini eccessivamente ridotti, non avendo consentito l'affermarsi di tale meccanismo di finanziamento.
  Lo scopo principale che si prefigge il suo impianto normativo consiste, pertanto, nello smobilizzare il valore della proprietà fondiaria e rispondere al soddisfacimento di esigenze diverse dettate molto spesso dai consumi che comportano spese anche rilevanti, oppure dalla necessità di integrare il proprio reddito, ovvero di ottenere immediate disponibilità economiche o, ancora, dall'esigenza di supportare i propri figli nell'acquisto della casa di abitazione attraverso il versamento del necessario anticipo in contanti.
  L'introduzione di tale istituto è finalizzato a consentire, pertanto, al proprietario di età superiore a 65 anni di convertire in contanti, in liquidità, tramite un finanziamento garantito da una proprietà immobiliare residenziale, parte del valore dello stesso immobile per soddisfare le esigenze di liquidità, senza che lo stesso sia tenuto a lasciare l'abitazione ovvero a ripagare il capitale e gli interessi sul prestito fino alla scadenza del contratto.
  In termini più espliciti, rispetto al meccanismo della vendita della nuda proprietà, il prestito vitalizio ipotecario offrirebbe al mutuatario il vantaggio di non perdere la proprietà dell'immobile e, pertanto, di non precludere la possibilità per gli eredi di recuperare l'immobile dato in garanzia, lasciando a questi ultimi la scelta di rimborsare il credito della banca ed estinguere la relativa ipoteca.
  La proposta di legge giunge, pertanto, all'esame dell'Assemblea a seguito di un'approfondita, quanto spedita, analisi della valutazione delle disposizioni in essa contenute, la cui analogia delle misure si rinviene in alcuni articoli aggiuntivi, sostenuti praticamente da tutte le parti politiche, e sulle quali il Governo si era espresso favorevolmente, presentati al Senato in occasione della discussione del decreto-legge n. 47 del 2013, recante misure urgenti per l'emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015, che erano stati dichiarati in quella sede inammissibili per estraneità di materia.
  Passando ad illustrare in dettaglio il contenuto della proposta composta da un unico articolo che sostituisce il comma 12, dell'articolo 11-quaterdecies, del decreto-legge n. 203 del 2005 con sei nuovi commi, dal 12 al 12-sexies, si stabilisce attraverso il nuovo comma 12 la conferma delle previsioni della vigente normativa in materia, secondo cui il prestito vitalizio ipotecario ha per oggetto la concessione, da parte di aziende ed istituti di credito e di intermediari finanziari regolamentati dal testo unico bancario, di finanziamenti a medio e lungo termine riservati a persone fisiche con età superiore ai 65 anni compiuti, con capitalizzazione annuale di interessi e spese e rimborso integrale in un'unica soluzione alla scadenza, assistiti da ipoteca di primo grado su immobili residenziali.
  In tale contesto il nuovo comma 12 dell'articolo unico aggiunge ulteriori eventi che possono dar vita al rimborso integrale del debito in un'unica soluzione, ovvero: la morte del soggetto finanziato; il trasferimento, in tutto o in parte, della proprietà o di altri diritti reali o di godimento sull'immobile dato in garanzia; il compimento di atti che ne riducano significativamente il valore, inclusa la costituzione di diritti reali di garanzia a favore di terzi che vadano a gravare sull'immobile.
  La ratio di tale integrazione consiste nell'evitare che, durante il periodo di finanziamento, il mutuatario possa alterare le condizioni iniziali alla base delle quali il finanziamento era stato concesso, nonché il valore dell'immobile in garanzia, potendo ledere il diritto e la capacità del finanziatore a vendere l'immobile. A tale riguardo, evidenzio come in questo modo si intenda eliminare una serie di diffidenze che possono scoraggiare i finanziatori nel praticare tale forma di finanziamento.Pag. 20
  Si specifica, inoltre, come ai sensi del nuova comma 12-bis si faccia salva la possibilità di concordare, al momento della stipulazione del contratto, modalità di rimborso graduale della quota di interessi e delle spese – in deroga al principio generale secondo cui interessi e spese sono rimborsati al termine del contratto – prima del verificarsi degli eventi indicati al nuovo comma 12, che danno luogo al rimborso integrale, rilevando altresì come si prevedeva di non applicare su tale quota la capitalizzazione annuale degli interessi, cioè il meccanismo in base al quale annualmente gli interessi maturati sono computati in aumento del capitale.
  La norma chiarisce, altresì, che in caso di inadempimento si applica l'articolo 40, comma 2, del Testo unico bancario, ai sensi del quale la banca può invocare il ritardato pagamento, quello effettuato tra il trentesimo e il centottantesimo giorno dalla scadenza della rata, come causa di risoluzione del contratto, quando lo stesso si sia verificato almeno sette volte, anche non consecutive.
  Il nuovo comma 12-ter – modificato a seguito dell'approvazione di una proposta emendativa – dispone che ai fini dell'applicazione del prestito vitalizio ipotecario e delle agevolazioni fiscali previste per le operazioni di credito a medio o lungo termine, di cui agli articoli 15 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica n. 601 del 1973, consistenti nell'esenzione dalle imposte di registro e di bollo, ipotecarie e catastali e dalle tasse sulle concessioni governative, non rileva la data di rimborso del medesima prestito. La disposizione al riguardo sembrerebbe non innovare sostanzialmente rispetto a quanto già previsto dalla normativa vigente. Si ritiene tuttavia opportuno acquisire una conferma da parte del Governo.
  Per effetto del combinato disposto degli articoli 15 e 17 del decreto del Presidente della Repubblica n. 601 del 1973, sono esenti dall'imposta di registro, dall'imposta di bollo, dalle imposte ipotecarie e catastali e dalle tasse sulle concessioni governative le operazioni relative ai finanziamenti e tutti i provvedimenti, atti, contratti e formalità inerenti alle operazioni medesime, nonché alle relative garanzie (ivi comprese le cessioni di credito stipulate in relazione a tali finanziamenti), purché effettuati da aziende e istituti di credito e da loro sezioni o gestioni che esercitano il credito a medio e lungo termine, nonché quelle effettuate dalla Cassa depositi e prestiti Spa per finanziare opere, impianti, reti e dotazioni destinati alla fornitura di servizi pubblici ed alle bonifiche, utilizzando fondi provenienti dall'emissione di titoli, dall'assunzione di finanziamenti e da altre operazioni finanziarie, senza garanzia dello Stato e con preclusione della raccolta di fondi a vista.
  Occorre evidenziare a tale fine che gli enti che effettuano le predette operazioni sono tenuti a corrispondere un'imposta sostitutiva in luogo delle imposte di registro, di bollo, ipotecarie e catastali e delle tasse sulle concessioni governative. L'imposta sostitutiva si applica in ragione dello 0,25 per cento dell'ammontare complessivo dei finanziamenti agevolati erogati in ciascun esercizio.
  Ricordo, inoltre, che l'articolo 12, commi 4 e 5, del decreto-legge n. 145 del 2013 ha reso opzionale, anziché obbligatorio, il versamento dell'imposta sostitutiva, in quanto è possibile optare per iscritto, nell'atto di finanziamento, per il pagamento della predetta imposta sostitutiva. In mancanza delle indicazioni nell'atto, verranno invece versate le imposte di registro, di bollo, ipotecarie e catastali e le tasse sulle concessioni governative in relazione a dette operazioni di finanziamento.
  Il nuovo comma 12-quater disciplina il grado dell'ipoteca iscrivibile sull'immobile e specifica alcune regole per il realizzo del credito. In tale ambito rilevo la previsione in base alla quale il prestito vitalizio ipotecario è garantito da ipoteca di primo grado sugli immobili residenziali. Di conseguenza agli stessi immobili si applicano le norme in materia di ipoteca bancaria. In alternativa l'erede può provvedere alla vendita dell'immobile, in accordo con il finanziatore, purché la compravendita si perfezioni entro dodici mesi dal conferimento Pag. 21dello stesso. Le eventuali somme rimanenti, ricavate dalla vendita e non portate a estinzione del predetto credito, sono riconosciute al soggetto finanziato o ai suoi aventi causa.
  La norma esclude comunque che al mutuatario siano richieste somme superiori al valore di vendita dell'immobile, specificando a tal fine che l'importo del debito residuo non può superare il ricavato della vendita dell'immobile al netto della spese sostenute. Aggiungo, inoltre, che la medesima disposizione si prefigge di tutelare il terzo acquirente dell'immobile, disponendo l'inefficacia delle domande giudiziali opponibili alla vendita.
  Il provvedimento con il nuova comma 12-quinquies – anch'esso introdotto a seguito dell'approvazione di un emendamento in sede referente – prevede entro tre mesi l'emanazione di un regolamento del Ministero dello sviluppo economico, previa consultazione dell'ABI e delle associazioni dei consumatori, con proprio decreto, nel quale siano stabilite le regole per l'offerta dei prestiti vitalizi ipotecari e siano individuati i casi e le formalità che comportino una riduzione significativa del valore di mercato dell'immobile, tali da giustificare la richiesta di rimborso integrale del finanziamento, e con il quale garantire trasparenza e certezza dell'importo oggetto del finanziamento, dei termini di pagamento, degli interessi e di ogni altra spesa dovuta.
  Al fine di tutelare i rapporti contrattuali esistenti, il nuovo comma 12-sexies reca una norma di carattere intertemporale, specificando che la nuova disciplina si applica ai finanziamenti stipulati successivamente alla data di entrata in vigore della stessa disciplina.
  In definitiva siamo di fronte ad un provvedimento nel complesso condivisibile, che intende colmare le lacune giuridiche che non hanno consentito negli anni la piena attuazione della normativa, atteso dalle associazioni maggiormente rappresentative dei consumatori e del settore bancario.

  PRESIDENTE. Onorevole Causi, per favore ! Grazie.

  ROCCO PALESE. Si tratta di un insieme di disposizioni finalizzate a favorire la ripresa del mercato dei mutui ipotecari, tuttavia, per un efficace stimolo del mercato immobiliare occorrerebbero comunque interventi di sostegno anche sul lato della domanda, affiancati a misure volte a ridurre il grado di finanziamento delle operazioni di finanziamento, in considerazione della contrazione del numero di compravendite di immobili, legato alla bassa fiducia del consumatore, al rallentamento del mercato del lavoro, all'elevata tassazione interna ed alla nuova fiscalità immobiliare, che contribuisce negativamente a deprimere il mercato delle abitazioni.
  Lo strumento – e concludo – che si intende introdurre deve essere tuttavia valutato positivamente, in quanto rappresenta uno strumento ulteriore a disposizione dei cittadini...

  PRESIDENTE. Concluda onorevole Palese.

  ROCCO PALESE. ... intenzionati ad ottenere un finanziamento da parte delle banche, portando in garanzia una proprietà immobiliare.

  PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Bernardo, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
  È iscritto a parlare l'onorevole Pesco. Ne ha facoltà.

  DANIELE PESCO. Signor Presidente, il prestito vitalizio ipotecario non è stato inventato in quest'aula adesso, ma esiste già dal 2005 e non è stato utilizzato in modo abbastanza ampio: chiediamoci il perché. Probabilmente perché le banche non ci guadagnavano abbastanza.
  Ma veniamo adesso ad ora: perché viene fatto ora ? Viene fatto ora perché probabilmente il nostro sistema italiano non garantisce ai nostri cittadini anziani la possibilità di vivere dignitosamente e Pag. 22quindi si ha bisogno di uno strumento riferito al debito, per permettere a queste persone di vivere in modo dignitoso oppure di far fronte a queste fantomatiche spese, di cui si parla ogni tanto all'interno della relazione nella proposta di legge.
  Ma dobbiamo renderci conto che non abbiamo bisogno di una società costruita sul debito. Non ne abbiamo bisogno e i cittadini, soprattutto i più anziani, non hanno bisogno di essere presi in giro con queste soluzioni, che danno una certa liquidità adesso, ma spostano nel tempo il problema, affidandola agli eredi, chissà quando e chissà con quali importi.
  Infatti, se vogliamo vedere bene, questa proposta di legge crea probabilmente due settori di business per le nostre banche.
  Il primo è riferito agli interessi e qua non posso non parlare dell'anatocismo. Sì, perché proprio in questo sistema, proprio in questa proposta di legge viene data la possibilità alle banche di calcolare gli interessi sugli interessi sul capitale erogato. Ma interessi sugli interessi vuol dire proprio anatocismo e l'anatocismo io ricordo che era stato proprio debellato nella legge di stabilità dell'anno scorso. Tra pochi giorni invece è stato reintrodotto, grazie ad un decreto e in questa proposta di legge viene proprio attuato, viene creato il primo strumento basato sull'anatocismo, ovvero basato sul calcolo degli interessi sugli interessi. E ricordiamo che in pochi anni una somma, una certa liquidità data in cambio di un'ipoteca sull'immobile, è sicuramente una discreta somma, che nel tempo può facilmente raddoppiarsi. In pochi anni, con il calcolo degli interessi sugli interessi – e non sappiamo ancora a quali tassi le banche proporranno questo strumento – la cifra raddoppierà, lasciando agli eredi la facoltà, certo, di ripagare un debito ormai diventato abnorme.
  Ci rendiamo conto di quello che stiamo facendo ? Secondo me no. Secondo me si stanno solo ampliando i poteri, ma soprattutto le possibilità di investimento e di fare business per il settore bancario. E l'altro settore nel quale appunto le banche entrano praticamente a gamba tesa è il settore immobiliare.
  Sì, perché in questo modo le banche possono innanzitutto decidere su quali immobili erogare questo prodotto.
  Sì, perché certo non lo faranno su una catapecchia: sceglieranno logicamente gli immobili più appetibili. Ebbene, i proprietari anziani di immobili appetibili al mercato, avranno quindi la possibilità di ottenere una certa liquidità, che poi verrà restituita agli eredi. Sì, perché la possibilità di ripagare il prestito potrà avvenire in tre momenti, non solo a morte avvenuta del richiedente, bensì anche quando si compiono atti che riducono il valore dell'immobile; e qui mi viene da pensare al rischio, magari, di una cattiva manutenzione dell'immobile, che può comportare quindi la risoluzione del contratto e la vendita dell'immobile, oppure ad un deprezzamento riferito ad una diminuzione della proprietà dell'immobile.
  Insomma, quindi vi sono tre momenti in cui la banca può dire: «Basta, non sono più d'accordo con il servizio che ti ho erogato: devo entrare in possesso del tuo immobile».
  E come lo fa ? È descritto nel comma 12-quater: lo fa in modo molto semplice, ovvero vendendo l'immobile.
  Sì, perché l'erede avrà tempo dodici mesi per ripagare questo debito che, logicamente, se saranno passati diversi anni, sarà diventato, come dicevo prima, una somma abnorme che difficilmente gli eredi potranno pagare, soprattutto gli eredi di una persona proprietaria di un immobile che ha dovuto far fronte al sistema bancario per ottenere una certa cifra. Quindi, pensiamo che difficilmente gli stessi eredi avranno, pochi anni dopo, la possibilità di ripagare questo debito. Ebbene, stavo dicendo che gli eredi in questo momento avranno la possibilità di dover ripagare il debito. Ma il 12-quater cosa dice ? Dice che gli eredi avranno dodici mesi di tempo per ripagare il debito, dopodiché la banca vende l'immobile. Ora, non si è mai visto, in nessun testo di legge, che il possessore di un'ipoteca potesse vendere un immobile Pag. 23a suo piacimento. Stiamo introducendo nel nostro ordinamento un mostro giuridico che, forse, potrebbe anche – adesso non vorrei essere pessimista – essere utilizzato, questo metodo, anche negli altri mutui ipotecari, ma spero vivamente di no, che sia solo un caso veramente limitato e che non verrà utilizzato anche per altri sistemi di mutuo.
  Quindi, cosa succede ? La banca, trascorsi dodici mesi e non essendo stata remunerata da parte degli eredi per il debito, può vendere l'immobile, anzi vende l'immobile, senza neanche chiedere il mandato di pagamento. La proposta di legge non parla di mandato di pagamento. Probabilmente, sarà logicamente insito nel contratto. Perché allora non scriverlo ? Perché scrivere che invece un possessore di un'ipoteca può vendere direttamente un immobile ? A me e al MoVimento 5 Stelle non sembra corretto. Sembra che stiamo veramente andando oltre ciò che prevede il codice civile. Ma, sì, abbiamo già visto in diverse situazioni, come ad esempio l'anatocismo, che il codice civile non viene assolutamente rispettato.
  Insomma, dove stiamo andando ? Stiamo andando verso una società costruita sul debito. Ma, se guardiamo anche il numero di erogazioni di mutui ipotecari, ci rendiamo conto che forse questo è uno strumento che serve alle banche per continuare a fare mutui ipotecari. Sì, perché se prima si riusciva a fare un mutuo ipotecario sulla prima casa utilizzando quell'immobile come garanzia per il mutuo, adesso non servirà più, non basterà più. Adesso serviranno due immobili per potere emettere un mutuo prima casa. Sì, servirà l'immobile sul quale viene acceso il mutuo, ma anche l'immobile di un parente, di uno zio, di un nonno, per continuare a costruire una società costruita sul debito. Fino ad oggi si faceva un mutuo per costruirsi, per vivere e per avere una casa, adesso si fanno dei mutui per poterci continuare a vivere. Ed è la situazione degli anziani che purtroppo non riescono a sopravvivere grazie al nostro Stato sociale praticamente inesistente.
  Vogliamo ottenere tutto questo ? Vogliamo andare avanti in questa strada ? Vogliamo aprire il mercato ad altri strumenti simili a questo ? Io, leggendo questa proposta di legge e studiandola insieme ai colleghi, non posso non pensare ai «compro oro». Mi sembra quasi la stessa cosa. Mi sembra quasi che vi siano appunto le banche che cercano in qualsiasi modo di approfittare delle disgrazie altrui, che offrono soldi in cambio di un pegno molto molto consistente quale appunto l'abitazione. E, badate bene, si parla solo di residenze. Si parla solo di residenze, non si parla di altri immobili, di magazzini, di laboratori. No, solo le residenze perché sono comunque immobili più appetibili sui quali le banche comunque sanno che possono continuare a speculare. Sanno che possono continuare a speculare. Non aggiungo altro, il MoVimento 5 Stelle non è d'accordo con questa proposta di legge (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Villarosa. Ne ha facoltà.

  ALESSIO MATTIA VILLAROSA. Signor Presidente, noi qui non ci stiamo ponendo contro una modalità di finanziamento, bensì contro una prospettiva che si vuole porre in atto. La prospettiva che stiamo portando a termine, come diceva bene il mio collega Pesco, è un mondo basato sul debito. Ed è un mondo basato sul debito, ma basato anche su menzogne. Menzogne perché, se noi andiamo a vedere i dati, le rilevazioni statistiche, le rilevazioni dei tassi, ci rendiamo conto che in tutti questi anni, nonostante la politica, sia a livello nazionale, che europeo, si sia concentrata su enormi erogazioni a favore del sistema bancario, lo stesso, però, poi non si è tramutato in un reale – e lasciatemi passare il termine – aiuto all'economia appunto reale. Non so se vi ricordate i mille miliardi di euro dati con gli LTRO. E i nuovi mille miliardi di euro che daremo con i nuovi TLTRO, questa operazione di finanziamento a lungo termine. Ebbene, questi soldi sono arrivati alle Pag. 24imprese ? No. Sono arrivati ai cittadini ? No. Allora, probabilmente dovremmo cambiare questo modo di affrontare il problema.
  È chiaro già dalla crescita esponenziale del nostro debito pubblico la reale intenzione. Ognuno può avere la propria tesi ma la matematica purtroppo (o per fortuna) non è un'opinione. E la vera crescita del debito pubblico si è avuta dopo la separazione tra Tesoro e Banca d'Italia avvenuta negli anni Ottanta per merito, anzi (fatemi passare anche questo) per disgrazia di quella comunicazione fatta da Andreatta. Poi si è passati nel 1993 (sembra quasi un disegno, sembra quasi un piano architettato) alla privatizzazione totale del sistema bancario. E allora sì, le banche smisero di aiutare le imprese e iniziarono a vivere per fare utili, fregandosene dello sviluppo del Paese. Perché, caro Presidente, una banca se trova un mercato interessante ci entra. Se il mercato non è interessante, non ci partecipa. È inutile che andiamo a raccontare in giro che le banche aiuteranno le imprese perché le vogliono aiutare. Le banche entreranno in quel mercato se vi trovano degli interessi, altrimenti no. Ed infatti quell'inserimento nel comma 12 dell'articolo 11-quaterdecies (cioè ti trovi il prestito vitalizio ipotecario in un provvedimento che non c'entra praticamente niente con il prestito vitalizio ipotecario), era stato scritto di fretta, di getto e non aveva creato un mercato interessate per il sistema bancario, cosa che invece stiamo facendo oggi. Tutto questo per dire che dovremmo veramente smetterla di raccontare in giro che le banche aiutano le imprese, che le banche stanno facendo sacrifici per aiutare i cittadini, che dobbiamo dare più liquidità alle banche per far partire lo sviluppo. Ma di cosa stiamo parlando ? Le banche, come dicevo prima, sono delle Spa e se ritengono florido il mercato, ci parteciperanno; sennò, vanno su altro, vanno sui derivati, vanno sui subprime, vanno nel mercato finanziario che è la loro vera manna. Basilea 3 stabilisce che è meglio che una banca detenga dei derivati all'interno del bilancio piuttosto che titoli di Stato: questo dice Basilea 3. Il prestito vitalizio ipotecario non era conveniente ad oggi, non permetteva alle banche di operare tranquillamente. Avevano bisogno di garanzie che noi stiamo garantendo, anzi voi, perché noi su questo provvedimento non siamo assolutamente d'accordo. Qui si vuole far passare il messaggio che siano state le associazioni dei consumatori a volere questo prestito: l'ABI insieme ad alcune associazioni dei consumatori perché ce ne sono molte, invece, che guardano a questo prestito come un pericolo. Infatti, signor Presidente, io ho lavorato nel settore finanziario e le dico che ormai i clienti non erano più bancabili. Ormai ad oggi non c’è più il cliente che ha la possibilità di ottenere dei finanziamenti perché gli abbiamo fatto una cessione del quinto, gli abbiamo fatto un prestito personale, forse gli abbiamo dato anche una carta di credito revolving e probabilmente, signor Presidente, lo sa che questa carta gliela abbiamo data senza chiedergli che lavoro facesse, senza chiedergli che reddito avesse ? Quali sono le garanzie ? Noi abbiamo creato dei debitori che non riescono più a pagare, e allora che cosa facciamo ? Gli prendiamo l'ultimo bene che gli è rimasto, la casa. Infatti, se apriamo questo mercato, la banca non dovrà più sentire un tribunale per pignorare la casa, per permettersi di prendere la casa se può – ripeto: se può – perché un giudice ha stabilito che può. No, la banca potrà in autonomia vendere la casa. Ma allora chi stiamo aiutando ? I cittadini o le banche realmente ? O era il caso di impegnare una commissione o un'aula in questi giorni visto che non sono queste le misure di cui necessita il Paese in questo momento ? Non è il prestito vitalizio ipotecario ma è un sistema di welfare perché io non posso più sopportare di girare e sentire persone che chiedono e non faccio populismo: è la verità, signor Presidente, lei esce fuori e si accorge da solo di quanta gente chiede anche un euro o due euro, persone di sessanta anni. C’è una signora che più e più volte mi ha fermato perché vive con trecento euro al mese.Pag. 25
  E oggi questo Stato chiude gli occhi, non parla di reddito di cittadinanza, non parla di misure per queste persone, e parla di prestito vitalizio ipotecario. È questa la priorità, Presidente ? Io non credo. Quindi, perché questa fretta ? Sbandierate continuamente questa voglia di creare un sistema di welfare o sono solo fandonie ? A me sembra che le priorità di questo Paese rimangano solo ed esclusivamente le banche. E ripeto che parlo di numeri, perché sentire Draghi, pochi giorni fa, che mi parla di questa nuova operazione, chiamata TLTRO, mediante la quale daremo nuovamente mille miliardi alle banche senza dare uno spicciolo alle imprese né ai cittadini, mi lascia veramente senza parole.
  Quindi, chiedo veramente a tutti di riflettere. Ormai siamo arrivati a questo punto, ancora non siamo alla fine, ancora il voto manca, però il tempo lo abbiamo perso. Quindi, quello che chiedo a quest'Aula è di iniziare ad utilizzare il tempo che abbiamo per creare finalmente un sistema di welfare completo, che non permetta a nessuno di vendere il bene più importante che abbiamo oggi, che è la nostra casa, perché si ha un debito sulle spalle creato da un sistema che lo ha permesso (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo – A.C. 1752-A)

  PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore, onorevole Petrini, e il rappresentante del Governo rinunziano alle repliche.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Fiorio ed altri; Russo e Faenzi; Franco Bordo e Palazzotto; Zaccagnini ed altri; Schullian ed altri: Disposizioni in materia di agricoltura sociale (A.C. 303-760-903-1019-1020-A) (ore 16,43).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge: Fiorio ed altri; Russo e Faenzi; Franco Bordo e Palazzotto; Zaccagnini ed altri; Schullian ed altri: Disposizioni in materia di agricoltura sociale.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 4 luglio 2014.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 303-A ed abbinate)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la XIII Commissione (Agricoltura) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire la relatrice, onorevole Covello.

  STEFANIA COVELLO, Relatore. Signor Presidente, buonasera, cari colleghi, giunti ormai in Aula dopo un percorso approfondito e dettagliato, vorrei dire che per me è stato momento formativo e costruttivo, proprio perché mi è stato dato l'onore di portare avanti un onere, quello di essere relatrice di un provvedimento di legge molto importante. Abbiamo, anzi, proceduto, direi, nei lunghi mesi, perché sappiamo che questo provvedimento, in realtà, è stato presentato già dalla XVI legislatura, per cui oggi, dopo anni, approda finalmente in Aula. E questo è un grande risultato che tutte insieme, le forze politiche, hanno cercato di portare avanti, dicevo prima, con armonia e con spirito costruttivo e del quale, dove possibile, abbiamo tutti cercato maggiormente di condividere al massimo tanti punti.Pag. 26
  Conosciamo l'importanza di questo provvedimento che, dopo tanti anni, approda finalmente in Aula e che con l'espressione «agricoltura sociale» ricomprende un insieme di esperienze concrete, che affondano le loro radici in alcuni aspetti tradizionali dell'agricoltura, come, per esempio, il suo carattere multifunzionale, il legame tra azienda agricola e famiglia rurale, per esaltarne il carattere sociale e proporsi, quindi, come luogo per l'integrazione nell'agricoltura di pratiche rivolte alla terapia e alla riabilitazione delle persone diversamente abili; delle persone diversamente abili dal punto di vista psicofisico, dell'inserimento lavorativo e, quindi, l'inclusione sociale di soggetti svantaggiati, quali naturalmente ex tossicodipendenti, ex alcolisti, detenuti, ma, direi, anche altri ancora; e, quindi, l'offerta di servizi educativi di supporto alle famiglie.
  Ci troviamo di fronte al pieno riconoscimento del principio di sussidiarietà, nell'ottica di rafforzamento del welfare rurale dei soggetti svantaggiati e dei territori svantaggiati, poveri e isolati socialmente ed economicamente, senza però, naturalmente, inficiare le caratteristiche delle imprese.
  Queste esperienze, da un lato, producono servizi di grande valore sociale, dall'altro lato, sono in grado di produrre benefici in termini di sviluppo e di reddito, soprattutto per quelle imprese e per quelle cooperative, come dicevo poc'anzi, che presiedono le zone più svantaggiate, più marginali e che, proprio perché ai margini dei territori e della società, sono caratterizzate, appunto, da scarsa redditività. Addirittura, nel pacchetto di proposte per la riforma, appunto, della PAC, la Politica agricola comune, presentata dalla Commissione europea, la proposta di regolamento sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale, all'articolo 6, individua l'inclusione sociale come una tra le sei priorità. In tale ambito sono indicate le attività volte a favorire, quindi, la riduzione della povertà e lo sviluppo economico nelle zone rurali. Questo il leit motiv delle leggi, così come anche ha dichiarato più volte, per la sua presenza attiva e consueta, devo dire, in Commissione – ormai ci ha abituato alla sua presenza – il qui presente Viceministro Andrea Olivero, che ringrazio. Naturalmente, all'inclusione sociale fa riferimento anche la proposta di regolamento sul programma quadro di ricerca e innovazione (2014-2020) – Orizzonte 2020, che si ricollega alla Strategia Europa 2020.
  Questo provvedimento è arrivato in Aula, come dicevo prima, dopo un'accurata e approfondita indagine conoscitiva e dopo tantissime audizioni degli operatori di settore ed esperti in materia, perché è vero, com’è vero, che la politica e le istituzioni per riuscire ad entrare e quindi a snodare i problemi dal punto di vista, soprattutto, pratico devono entrare in contatto sempre con gli operatori di settore, sempre con coloro i quali si occupano, naturalmente, dei singoli settori. Ciò, al fine di costruire, come dicevo prima, un quadro unitario di riferimento per le legislazioni regionali, di coordinare il complesso delle politiche e delle competenze interessate e di fornire le basi per lo sviluppo di tutte le potenzialità e di tutte le esperienze.
  Potrà sembrare una dizione strana, non comune, ma il provvedimento che oggi l'Aula si appresta a discutere riguarda, forse, una delle pratiche più rivoluzionarie che sta interessando il nostro tempo; il settore primario per eccellenza ha riacquistato, finalmente, la sua centralità in relazione al precipuo connotato sociale. Dopo la sbornia involutiva, direi, se mi è consentito, del modello consumistico, l'acquisizione della centralità della qualità di ciò che arriva sulle nostre tavole ha mutato anche la prospettiva culturale da cui muove, appunto, il titolo di questa proposta di legge che ci apprestiamo, da oggi, ad esaminare in Aula.
  Il processo che porta alla nascita, in Italia, delle prime esperienze legate all'agricoltura sociale parte intorno al 1960 e riguarda prevalentemente progetti di inserimento occupazionale di persone vulnerabili o a rischio di marginalizzazione. Tali sperimentazioni pionieristiche si sono Pag. 27rivelate tra le risposte più efficaci al disagio sociale perché hanno permesso percorsi di riabilitazione e di inserimento lavorativo molto più di altre strade, magari maggiormente ricercate dagli addetti ai lavori o da alcuni sistemi di pensiero prettamente tradizionale.
  Da qualche tempo, anche chi non è esperto del settore, ma semplicemente è una mamma attenta alle cose che i propri figli mangiano a scuola, ha sentito parlare – e conosce – di esperienze territoriali quali aziende agrisociali o fattorie sociali. L'azienda svolge la propria attività agricola e zootecnica per vendere i propri prodotti sul mercato, ma lo fa in maniera integrata e a vantaggio di determinati soggetti come, ad esempio, dicevo prima, portatori di handicap, detenuti, tossicodipendenti, alcolisti, ma anche, perché no, e questo lo dico da mamma, per le mense dei bimbi o per gli anziani residenti negli RSA o, anche, per quei soggetti che risiedono in comprensori complessi. Questo tipo di associazionismo sociale può essere definito anche multifunzionale, così come recita l'articolo 2135 del codice civile, che quindi applicheremo, poiché realizza percorsi terapeutici e riabilitativi di integrazione dei soggetti interessati.
  Tale attività sta assumendo, pertanto, un ruolo sempre più significativo anche alla luce del valore riconosciuto, appunto, della multifunzionalità dell'azienda agricola, nonché della crisi e dell'evoluzione dei tradizionali sistemi di welfare. Riconducendo il ragionamento sulla multifunzionalità – appunto, menzioniamo l'articolo 2135 –, oggi, questo tipo di modello non vanifica affatto la prospettiva imprenditoriale, anzi, molte esperienze in essere testimoniano, infatti, che chi intraprende questa vocazione può innescare un meccanismo virtuoso sul territorio, aprendo prospettive di mercato.
  In Italia, con la legge n. 381 del 1991, siamo stati pionieri di una legislazione tra le più avanzate d'Europa – mi sia consentito dire – nel settore della cooperazione con finalità sociali, e oggi in Italia risultano essere oltre 750 le aziende che operano nel cosiddetto campo dell'agricoltura sociale, di cui oltre la metà, 450, sono cooperative di «tipo B», cioè che possono svolgere e gestire servizi differenti oltre a quelli prettamente sociosanitari ed educativi. Ecco perché è necessario intervenire da un punto di vista legislativo: noi abbiamo assistito in questi anni ad un vero gap, ad un vuoto legislativo in materia di agricoltura sociale, ed è arrivato quindi il momento di legiferare. Come è già stato detto, esiste, infatti, una serie di problematiche a livello nazionale ed europeo che riguarda le attività di agricoltura sociale, a partire dalla mancanza di un quadro normativo di riferimento per gli operatori agricoli e sociosanitari e i livelli istituzionali coinvolti, difficoltà che si palesano soprattutto nella fase di start up delle nuove imprese, difficoltà che si sono accentuate anche per l'assetto istituzionale del Titolo V, per cui, diverse regioni sono intervenute a regolamentare in maniera diversa questo preciso ambito di agricoltura ed altre non lo hanno assolutamente fatto, lasciando margini di incertezza per chi vuole intraprendere questo tipo di attività. Ciò ha evidenziato, quindi, non pochi limiti nei comprensori territoriali di riferimento in regioni nelle quali non si è affatto legiferato in materia, oppure regioni limitrofe che applicano delle leggi diverse tra loro. Quindi, non è possibile continuare ancora in questo modo. Pertanto, le differenti sensibilità da parte dei soggetti istituzionali locali, la nascita di uno spontaneismo di matrice culturale molto significativo, che ha condiviso e supportato progetti innovativi, il difforme quadro normativo regionale e il mancato utilizzo di risorse comunitarie sono le criticità che si sono incontrate in ambito di agricoltura sociale e di fatto ne hanno impedito una piena valorizzazione. Sono state queste le ragioni che hanno animato il lavoro di questi mesi in Commissione e che hanno visto un approdo importante in questo testo unificato, che credo raccolga un punto di caduta molto avanzato e in grado di far fare al nostro Paese un passo in avanti significativo nella coniugazione tra produzioni e profili di welfare.Pag. 28
  Il testo in esame è composto di sette articoli. Il primo concerne le finalità della legge, in quanto mira a definire la promozione dell'agricoltura sociale nel rispetto dei principi previsti anche dall'articolo 117 della Costituzione e nel rispetto delle competenze regionali. Mira a promuoverla nel suo profilo poliedrico, che ricomprende anche lo sviluppo nell'ambito dei servizi sociali, dei servizi sociosanitari, dei servizi educativi e di inserimento socio-lavorativo, allo scopo di facilitare l'accesso adeguato e uniforme alle prestazioni essenziali da garantire alle persone, alle famiglie e alle comunità locali di zone rurali svantaggiate.
  L'articolo 2 punta a dare una declinazione puntuale della definizione di agricoltura sociale, per la quale si intendono: le attività esercitate dagli imprenditori agricoli come da articolo 2135 del codice civile che puntano a realizzare l'inserimento socio-lavorativo di soggetti svantaggiati, molto svantaggiati e disabili; prestazioni e attività sociali e di servizio per le comunità locali, compresi gli agrinido nonché l'accoglienza e il soggiorno di persone in difficoltà appunto come disabili e persone anziane; prestazioni e servizi terapeutici che affiancano e supportano le terapie della medicina tradizionale (pensiamo all'ippoterapia, alla coltivazione di piante, ai progetti finalizzati all'educazione ambientale e alimentare puntando sulla consapevolezza).
  L'articolo 3 concerne il riconoscimento degli operatori in ambito di agricoltura sociale.
  L'articolo 4 riguarda invece l'organizzazione dei produttori, che appunto possono costituirsi in organizzazioni per attività di agricoltura sociale.
  L'articolo 5 riguarda i locali per l'esercizio delle attività di agricoltura sociale, con la previsione di interventi anche da parte delle regioni per il recupero e la valorizzazione di immobili dismessi in ambito rurale che possono essere funzionali alla promozione dell'attività di agricoltura sociale. Basti pensare, nel Mezzogiorno, a quanti immobili – e lo dico da deputato calabrese – possono essere coinvolti in tale progetto, a partire da quelli dell'ente di riforma.
  L'articolo 6 interessa invece le misure di sostegno. Ad esempio, le istituzioni pubbliche che gestiscono mense scolastiche e ospedaliere possono prevedere, nelle gare concernenti i relativi servizi di fornitura, criteri di priorità per l'inserimento di prodotti agro-alimentari provenienti appunto da agricoltura sociale.
  Ma ci sono anche i commi 3 e 4 di questo articolo su cui vorrei spendere una parola in più in Assemblea in quanto prevedono criteri di priorità per favorire l'insediamento e lo sviluppo delle attività di agricoltura sociale anche e soprattutto utilizzando i beni e i terreni confiscati alla mafia, ai sensi del Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo 16 settembre del 2011, n. 159. Così come nel Codice delle leggi antimafia, viene inserito il riconoscimento della funzione degli operatori di agricoltura sociale proprio in relazione alla peculiarità che si intende attribuire a questa forma di iniziativa economica e sociale. Sono profili legislativi profondamente innovativi.
  Infine l'articolo 7 che riguarda la costituzione presso il Ministero dell'Osservatorio nazionale per l'agricoltura sociale che rappresenterà la vera struttura nevralgica per definirne la missione, la funzione, gli ambiti di agricoltura sociale nonché per monitorare buone pratiche, valutarne l'impatto, scorgerne criticità e attenzionare istituzionalmente quelli che sono eventualmente gli interventi da adottare per migliorare l'esercizio di tale strumento.
  L'approdo ed il licenziamento in Aula di questo provvedimento, io sono sicura, signor Presidente, aiuterà il nostro Paese a fare un ulteriore passo in avanti in un ambito molto delicato ed innovativo sia sotto il profilo delle produzioni, ma anche delle pratiche di welfare e avrà un impatto molto significativo soprattutto dal punto di vista culturale, un'altra inversione culturale.
  In un nuovo senso di marcia – quello verso la crescita delle nuove generazioni, Pag. 29avendo degli agrinidi, consentendo di dare un'opportunità a persone svantaggiate, sviluppando una maggiore consapevolezza sul consumo sano, centrando tutto sulla qualità e soprattutto su una qualità dalla forte caratterizzazione etica – è il cuore del provvedimento.
  Da relatrice alla sua prima esperienza parlamentare – e non sono qui oggi a compiere i rituali ringraziamenti perché lo faremo poi a completamento dei lavori appunto di questo provvedimento in Aula – non posso che essere onorata di aver lavorato con la Commissione alla stesura di questo provvedimento, anche perché si tratta di una proposta di iniziativa parlamentare e questo dà vera centralità al nostro lavoro, alla passione che tutti i colleghi, a prescindere dal colore politico, hanno messo per portare avanti questo provvedimento.
  Sono convinta che l'Assemblea consentirà la rapida approvazione di questa proposta di legge e finalmente l'Italia avrà un quadro normativo, certo migliorabile, soprattutto sotto il profilo del sostegno e della fiscalità, ma sicuramente adeguato, moderno e maggiormente rispondente a quelle che fino ad oggi erano semplicemente buone pratiche, spesso isolate, di incrocio tra produzione e sistema di welfare.
  Con questo provvedimento cambia la prospettiva e il nostro Paese fa passo in avanti soprattutto, e questo lo abbiamo sempre detto in Commissione agricoltura, sia nei confronti dei soggetti più deboli e svantaggiati sia verso quelle imprese agricole che hanno puntato tutto sull'investimento in agricoltura ed in particolare in agricoltura sociale.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

  ANDREA OLIVERO, Viceministro per le politiche agricole, alimentari e forestali. Signor Presidente, mi riservo di intervenire successivamente.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicodemo Oliverio. Ne ha facoltà.

  NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Signor Presidente, signor Viceministro, onorevoli colleghi, il testo unificato all'esame dell'Assemblea, derivante da un lungo ed articolato lavoro svolto dalla Commissione agricoltura in sede referente, rispetto alle numerose proposte di legge di iniziativa parlamentare presentate sull'argomento, rappresenta un importante risultato politico, frutto della condivisione dei gruppi di maggioranza e di una costruttiva e approfondita dialettica con i gruppi parlamentari dell'opposizione.
  Già nella scorsa legislatura, bene diceva la relatrice Covello – che ringrazio per la sua attività – la XIII Commissione aveva avviato sul tema un'indagine conoscitiva nell'ambito della quale aveva effettuato una missione visitando l'ottima esperienza della fattoria sociale del Circeo. Questo testo amplia ed ulteriormente valorizza il ruolo multifunzionale dell'impresa agricola, arricchendola di una funzione sociale destinata a preannunciare un nuovo modello di welfare community nel quale il mondo produttivo si incontra con il mondo della sofferenza e della debolezza per creare migliori condizioni di inclusione sociale e di benessere.
  Del resto, l'agricoltura ha storicamente svolto una funzione di crescita, di sviluppo e di promozione civile dell'uomo, ed è proprio grazie all'agricoltura, le sue traduzioni di solidarietà ed assistenza che la famiglia, all'epoca dei grandi cambiamenti sociali, si è tenuta unita e ha superato crisi devastanti conseguenti all'urbanizzazione ed all'industrializzazione del Paese. In quei momenti l'agricoltura sembrava essere ridotta ad una Cenerentola triste, con il tempo si è invece capito quale ruolo fondamentale essa ha continuato a svolgere, soprattutto laddove ha mantenuto una realtà produttiva legata alla qualità e alle tradizioni enogastronomiche del territorio. Ma da sempre l'agricoltura non è stata solo attività produttiva in senso stretto, la letteratura specializzata sin dall'Ottocento, ha considerato il rapporto con la natura e l'aderenza ai ritmi del lavoro legati al susseguirsi delle stagioni elementi capaci di curare e di migliorare i disturbi Pag. 30fisici e psichici di quei soggetti costretti a vivere ai margini della società in quanto in posizione di estremo svantaggio. Rispetto a tutto questo, vi è oggi la necessità di assicurare nuovi servizi sociali per le donne che lavorano e per gli appartenenti alla cosiddetta terza età, categoria destinata ad accrescersi nei prossimi anni a ritmi rilevanti. La società cambia con grande rapidità, ma troppo spesso lo Stato arriva tardi, a volte non adeguatamente e non appare in grado di far fronte alle nuove domande che da essa provengono. D'altra parte, anche il Ministero del lavoro ha sottolineato che le politiche per favorire il maggior inserimento delle donne nel mercato del lavoro sono frenate da problemi di natura strutturale, quali la mancanza di servizi sociali attigui al luogo di residenza. Essi rappresentano barriere all'entrata nel mondo del lavoro che si traducono a volte perfino in una discriminazione. Siamo quindi convinti che politiche efficaci e di supporto all'inclusione possano venire dalla realizzazione di servizi capaci di garantire prossimità al luogo di residenza, flessibilità ed un rapporto più stretto dei cittadini con la natura. Queste politiche, che chiamano l'impresa agricola a svolgere un ruolo sociale, possono quindi integrare e compensare i servizi sociali pubblici volti alla famiglia, alla persona e in particolare ai soggetti deboli.
  Questo provvedimento tiene conto delle esperienze ormai diffuse in molte regioni, dove la realtà agricola ha già incontrato il mondo della cooperazione sociale, creando importanti sinergie in termini di un agire economico eticamente sostenibile. Il testo unificato definisce sotto il profilo civilistico, nel rispetto delle competenze regionali, l'attività di agricoltura sociale esercitata dagli imprenditori agricoli qualificandola come attività agricola per connessione. Valorizza altresì anche le attività del ricco e articolato mondo delle cooperative sociali, il cui fatturato derivante dall'attività agricola è in prevalenza, riconoscendo loro il ruolo sociale svolto nell'inserimento socio-lavorativo dei soggetti svantaggiati e nelle altre prestazioni individuate dall'articolo 2.
  La certezza dell'inquadramento civilistico risponde a due esigenze sentite dall'imprenditore e fornisce altresì elementi di chiarezza anche ai fini della possibilità di ottenere il dovuto riconoscimento da parte degli enti e delle strutture pubbliche.
  La nostra iniziativa legislativa è coerente con gli obiettivi e le azioni della nuova politica europea per lo sviluppo rurale, chiamata ad incentivare la creazione di imprese agricole, soprattutto dei giovani e delle donne, e a valorizzare al contempo il ruolo multi-funzionale della stessa anche attraverso specifiche misure per l'inclusione sociale nelle aree rurali.
  Il testo è un importante supporto che l'agricoltura, come settore economico, fornisce alla comunità, anche in funzione del mantenimento e dell'incremento di servizi alla popolazione. A nessuno può sfuggire che l'agricoltura è una vera e propria sentinella dei territori, che vigila e difende l'ambiente ed evita danni ben più gravi legati all'abbandono delle terre e al dissesto idrogeologico. È grazie all'attività agricola che si evita lo spopolamento, riuscendo anche a fornire servizi alla collettività nelle aree interne, dove lo Stato sembra ritrarsi sempre di più, finendo per non riuscire più a garantire i servizi essenziali come la tutela della salute, l'istruzione pubblica e la formazione professionale. L'attività agricola moderna spinge le nuove generazioni ad investire le proprie capacità intellettuali in un settore economico-produttivo che è stato il primo ad uscire dalla gravissima crisi degli ultimi dieci anni.
  Questo provvedimento consentirà anche la costituzione, compatibilmente con quanto previsto in sede europea, di organizzazioni di produttori di agricoltura sociale e il recupero del patrimonio edilizio esistente per l'esercizio di questa attività attraverso il mantenimento della ruralità, contribuendo così a porre un freno alle nuove costruzioni e al consumo delle superfici agricole.Pag. 31
  Il sostegno all'attività non si realizza in un'ottica assistenzialistica in questo provvedimento, ma con la possibilità di sfruttare nuove opportunità per fare imprese, estendendo agli imprenditori di agricoltura sociale la possibilità di vendere direttamente i prodotti delle aziende, di partecipare, con criteri di preferenza, alle gare di appalto per l'assegnazione di forniture di prodotti agricoli alle mense scolastiche ed ospedaliere e di vedere assegnati prioritariamente i terreni demaniali agricoli o i terreni confiscati alla criminalità.
  In conclusione, riteniamo che l'agricoltura possa dare il via ad una nuova stagione di sviluppo e di crescita economica, nel rispetto dell'ambiente e della natura e nella piena valorizzazione della persona – specialmente di quella che vive una condizione di svantaggio – e lo possa fare dando a tutti la possibilità di accedere alla sua storia, alle sue tradizioni, al suo ritmo lavorativo, legato all'incedere delle stagioni ed al rapporto strettissimo tra l'uomo e il territorio.
  Il comparto agricolo è già oggi – e lo sarà sempre di più – nelle condizioni di creare opportunità di crescita e di lavoro per tutti, riducendo le disuguaglianze e favorendo lo sviluppo economico-sociale del Paese.
  Quello che noi stiamo facendo è, sì, un messaggio positivo per il nostro Paese, ma lo è anche per gli altri Paesi europei, proprio nel momento in cui l'Italia ha assunto la Presidenza dell'Unione europea e si avvia ad applicare la nuova PAC. Il messaggio è netto e chiaro: dall'agricoltura arriva la ripresa economica, dall'agricoltura nascono le nuove condizioni per sviluppare l'economia europea ed è all'agricoltura che i legislatori europei, nazionali e regionali devono guardare con attenzione e con coerenza perché è da qui che inizia il futuro dei nostri giovani ed è da qui che può partire la vera economia (Applausi).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole L'Abbate. Ne ha facoltà.

  GIUSEPPE L'ABBATE. Signor Presidente, gentili colleghe, egregi colleghi, il Regolamento europeo è datato 2008 e, oggi, dopo un lustro e appena due legislature il disegno di legge sull'agricoltura sociale approda finalmente in Aula.
  Mentre il fenomeno è emergente in tutta Europa, dall'Olanda, dove si è sviluppato sin dagli anni Novanta con il boom delle care farms, in cui si offrono servizi di terapia e riabilitativi, alla Gran Bretagna, dove sono numerosi i giardini terapeutici, fino alla Francia e alla Germania, in Italia, sono già più di mille le aziende censite che operano in un coacervo di leggi regionali, spesso in contrasto tra loro. E, proprio per dissipare le divergenti normative territoriali, è necessaria e urgente una disciplina organica in materia di agricoltura sociale, ma ancor più urgente, dato che nella programmazione europea dello sviluppo rurale l'agricoltura sociale è annoverata tra le azioni chiave, volte al miglioramento della qualità della vita nei territori rurali e alla diversificazione dell'economia rurale. Nella programmazione 2014-2020, infatti, l'agricoltura sociale è una delle priorità dell'Accordo di partenariato nell'intento di sfruttare la multifunzionalità delle aziende agricole per sperimentare modelli di welfare in grado di valorizzare il capitale sociale dei territori rurali, un argomento inserito dallo stesso MoVimento 5 Stelle nella risoluzione presentata sull'Accordo di partenariato, dove abbiamo esplicitamente richiesto di promuovere presso centri di ricerche didattici progetti di agricoltura sociale, volti alla formazione ed all'inserimento lavorativo di soggetti disagiati, e di promuovere presso le aziende agricole progetti di agricoltura sociale finalizzati alla formazione e all'inserimento lavorativo di detenuti a fine pena.
  I contributi previsti nel PSR, a valere sulle attività di agricoltura sociale sono volti ad accrescere la competitività delle aziende agricole mediante la diversificazione dei servizi erogati alle comunità rurali, e non.
  È proprio l'approccio integrato tra le potenzialità delle strutture agricole e rurali, a valere sui PSR, e quelle sociali e sanitarie, a valere sul Fondo sociale europeo Pag. 32attraverso la costruzione di partenariati pubblici-privati, è considerato l'elemento chiave per il conseguimento di obiettivi di risultato a significativo impatto, anche economico, sugli imprenditori agricoli.
  Ma entriamo nel merito della questione. Per agricoltura sociale si intende l'utilizzo dell'azienda agricola per il soddisfacimento di bisogni sociali, come il recupero e il reinserimento di soggetti svantaggiati, attività didattiche per le scuole, prestazioni di servizi per le comunità rurali, e via discorrendo. Pur condividendo l'impellente necessità di disciplinare con una normativa organica la multifunzionalità delle imprese agricole e il loro potenziale utilizzo per attività di integrazione o terapeutico-riabilitative, la valutazione complessiva che il MoVimento 5 Stelle dà di questo provvedimento è insoddisfacente. Numerose, infatti, sono state le criticità che sono emerse nel corso della stesura e che hanno trovato sorda la maggioranza, che forse con agricoltura sociale intende ben altro. Un vero peccato e un vero danno all'obiettivo finale che questo provvedimento avrebbe dovuto avere sin dal principio e che ci porta a risollevarne le incongruenze, con il sommo auspicio di vedere cambiare idea dalla maggioranza.
  Innanzitutto, i soggetti fruitori. Si dilata a dismisura la platea di utenti degli interventi di agricoltura sociale, dai lavoratori che non hanno un impiego regolarmente retribuito da oltre sei mesi fino ai condannati ammessi ai lavori esterni; dai disabili in senso fisico-psichico fino ai membri di minoranze nazionali. Anche lo stesso presidente dell'alleanza delle cooperative agroalimentari, Giorgio Mercuri, e il portavoce dell'alleanza delle cooperative sociali, Giuseppe Guerini, hanno dichiarato che «va corretta l'equiparazione dell'inserimento lavorativo di un disabile grave o di una persona con problemi psichiatrici con un giovane neo-diplomato».
  In realtà, parliamo chiaramente: perché dovrei fare lavorare, nella mia azienda agricola, un disabile quando posso, allo stesso costo, fare lavorare uno abile, che per definizione produce di più ? Questo è l'insensato allargamento degli utenti voluto dalla maggioranza, che ha considerato un disoccupato over 50 un soggetto debole nel senso stretto del termine, quando in realtà trattasi, piuttosto, di un soggetto da considerare indebolito da una particolare congiuntura economica sfavorevole. Da un lato, è umiliante, dall'altro, pare una furberia. Peraltro, ciò non ha alcun senso se pensiamo che già nel decreto-legge n. 91 del 2014, definito «crescita» e che al suo interno contiene misure per rilanciare l'agricoltura, si prevedono specifiche agevolazioni a favore degli imprenditori agricoli che assumono lavoratori che siano privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi o che siano privi di un diploma di istruzione secondaria di secondo grado, cioè proprio quelli che qui inseriamo insieme ai disabili. Allora, è chiaro che non ha senso. Come abbiamo sempre sostenuto, chiediamo che detti soggetti siano considerati utenti delle attività dell'agricoltura sociale, dato che non sono né disabili né svantaggiati. Per questi soggetti, piuttosto, servirebbe una misura come il reddito di cittadinanza, da noi richiesto sin da inizio legislatura.
  La maggioranza vuole davvero dare uno strumento per fare agricoltura sociale o vuole fornire una cornice normativa per fare altro ? Questo ampliamento a dismisura della platea di utenti, peraltro, sminuisce la funzione sociale dell'agricoltura, se per funzione sociale intendiamo l'utilizzo del particolare legame che si determina tra la dimensione produttiva e quella relazionale con la natura, le piante e gli animali, in grado di dare valore e dignità alle persone in condizione di dipendenza o portatrici di singolari particolarità. È noto, infatti, che la produzione di un bene agricolo è percepita come il risultato di un impegno personale, prima ancora che come fonte di introito economico, e questo aiuta a conseguire maggiori livelli di autonomia e di senso di sé rispetto all'attività industriale.
  Qui sembra, più che altro, che la maggioranza voglia assegnare all'agricoltura Pag. 33sociale una funzione più assistenziale che sociale in senso proprio. Eppure, è stato ribadito nelle varie audizioni, anche dal professor Andrea Zampetti, docente di scienza dell'educazione all'università pontificia salesiana, che (cito): «L'agricoltura sociale non necessariamente funziona per un percorso lavorativo, ma come percorso terapeutico, invece, è di altissima efficacia. Il lavoro nei campi o con gli animali offre mille spunti terapeutici e per un percorso di crescita».
  È proprio per questo che il professore ha ribadito che l'agricoltura sociale è uno strumento che va usato al momento giusto, nel posto giusto. E continua ancora dicendo che non va bene per qualsiasi persona e non basta un pezzo di terra per fare agricoltura sociale. È uno strumento che va usato con competenza, dove le risorse umane sono fondamentali.
  Altra criticità è quella che prevede che gli operatori dell'agricoltura sociale siano gli imprenditori agricoli e le cooperative sociali il cui fatturato agricolo sia prevalente. Per il MoVimento 5 Stelle, si considerano operatori di agricoltura sociale solo gli imprenditori agricoli, e non anche le cooperative sociali. E ciò è facilmente intuibile: l'attività principale è e deve restare quella agricola, e il fatto che siano riconosciuti come soggetti legittimati ad esercitare l'attività di agricoltura sociale solo gli imprenditori agricoli, come definizione stessa che questa tipologia di agricoltura prevede, non pregiudica affatto la collaborazione con gli altri operatori del sociale; anzi, risulta indispensabile.
  Qui pare si voglia fare agricoltura senza gli agricoltori e farla sociale senza quei soggetti davvero deboli che necessitano di questa attività per risollevarsi psico-fisicamente. Considerare operatori anche le cooperative sociali, che già beneficiano di numerose agevolazioni e che occupano gran parte degli spazi disponibili nel terzo settore, significa sottrarre agli operatori del comparto primario preziose occasioni di diversificazione delle proprie attività. E ogni accusa ad un agricoltore non in grado di occuparsi di sociale è per noi solamente strumentale, perché adesso non si richiede alcuno skill particolare, alcuna capacità professionale in campo sociale, se non quella di essere supervisore, come accade in una delle esperienze europee di maggiore successo, ovvero quella olandese.
  Lì l'agricoltura sociale si è sviluppata prevalentemente in aziende agricole private, le cosiddette care farms, le cui attività generano un'integrazione non secondaria del reddito agricolo nazionale. Grazie ad opportune convenzioni pubblico-privato, il ricavato delle attività terapeutiche deriva dal corrispettivo ottenuto dai servizi sanitari per le prestazioni fornite in azienda. In Italia, invece, la remunerazione degli agricoltori per l'inserimento in azienda dei disabili passa prevalentemente attraverso la vendita dei prodotti ottenuti tramite l'impiego lavorativo di queste persone nelle filiere etico-sociali, nei gruppi di acquisto solidali, nelle forniture a mense scolastiche, e così via.
  Un'ulteriore criticità è quella di riconoscere agli operatori dell'agricoltura sociale la possibilità di costituire organizzazioni di produttori. Consentire alle cooperative sociali di diventare OP configura una fattispecie totalmente, completamente estranea alle loro finalità. Le OP, infatti, hanno finalità esclusivamente sotto il profilo delle strategie di mercato e di natura economica. Quindi, non si comprende la motivazione di questa scelta, che nulla ha a che fare con il fine ultimo dell'agricoltura sociale. Infine, risulta poco chiara l'istituzione presso il Ministero delle politiche agricole di un osservatorio sull'agricoltura sociale. Se pur non arrechi ulteriori danni alle casse dello Stato, non si comprende la necessità di creare un'altra struttura ministeriale e a gestione centralizzata.
  Le stesse identiche finalità, ovvero predisporre linee guida, elaborare informazioni, monitorare le attività e proporre iniziative finalizzate all'integrazione dell'agricoltura sociale nelle altre politiche pubbliche, possono essere raggiunte, ad esempio, con la Rete nazionale per lo sviluppo rurale, creata nell'ambito del programma comunitario Leader, che già finanzia progetti di agricoltura sociale.Pag. 34
  Concludo, Presidente, facendo un sunto dell'articolo 1 di questa proposta di legge: promozione dell'agricoltura sociale quale aspetto del ruolo multifunzionale dell'impresa agricola, chiamata, in tale ambito, a fornire servizi socio-sanitari nelle aree rurali. La chiarezza dei termini appare lapalissiana. Speriamo si ravveda anche la maggioranza, che sollecitiamo a quelle piccole e sostanziali modifiche in grado di rendere concreta e fattiva questa normativa sull'agricoltura sociale.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marazziti. Ne ha facoltà.

  MARIO MARAZZITI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, siamo alla fase di arrivo di un provvedimento che ha visto impegnate due legislature.
  È sempre un motivo di soddisfazione occuparsi di un argomento quando è poi così chiaramente sociale e a favore della collettività come le disposizioni in materia di agricoltura sociale. Per cui ringrazio anche la relatrice Covello di aver fatto un eccellente lavoro nell'unificare i testi e nell'averci dato il senso di questo lavoro.
  Noi stiamo lavorando verso l'approvazione di un provvedimento che propone di promuovere l'agricoltura sociale nel suo aspetto di ruolo multifunzionale dell'impresa agricola chiamata, quindi, anche a fornire servizi socio-sanitari nelle aree rurali.
  Siamo davanti ad un provvedimento che si pone dentro un problema, che si è creato con chiarezza negli ultimi 50-60 anni, di un progressivo squilibrio tra città e campagna; l'Italia, che pure vede parte della sua eccellenza nel mondo legata al suo territorio e alla sua agricoltura, al tempo stesso, la stessa Italia, vede spesso il territorio non più presidiato, non più difeso e quella bellezza dello stile di vita, che nel mondo si accoppia al nome d'Italia, in realtà a volte nelle nostre città e nel panorama urbano si fa durezza e intolleranza.
  Per questo, attraverso questo testo unificato, arrivare ad aiutare i territori rurali a godere di maggiori servizi sociali e sanitari, e al tempo stesso rivolgersi alle fasce più svantaggiate, come volano della ripresa, del recupero del territorio e dell'integrazione sociale, è un passo assolutamente positivo.
  Noi qui possiamo intervenire sia sul problema dello spopolamento delle campagne, sull'umanizzazione, sul tema degli stili di vita e possiamo andare proprio in direzione opposta a ciò che ha fatto della campagna un luogo da cui le giovani generazioni tendono a non fermarsi, a non restare.
  Allora, in questo vedo un messaggio importante, al di là dell'immediato risultato che in tempi brevi questo testo unificato può portare in termini di servizi, di agrinido, di terapia attraverso la vicinanza agli animali e al mondo naturale. Io credo che ci sia un vantaggio più largo, un vantaggio di messaggio culturale, un vantaggio di modello sociale. È un'alleanza per la ripresa e per la riumanizzazione degli stili di vita. Per questo io credo che da qui passi anche un messaggio dall'Italia verso l'Europa come hanno ricordato alcuni colleghi.
  Ricordo poi che il concetto di agricoltura sociale è stato definito a livello europeo, lo dico anche al collega che mi ha preceduto, come una specifica area di intervento delle politiche pubbliche nella programmazione dello sviluppo rurale con riferimento al periodo 2007-2013 e al periodo 2014-2020, nell'ambito della programmazione dei fondi strutturali del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale. Proprio queste norme inseriscono l'inclusione sociale, la lotta alla povertà e lo sviluppo economico nelle aree rurali tra gli obiettivi prioritari delle politiche europee di sviluppo rurale. Quindi, siamo all'interno di quegli obiettivi di lotta alla povertà e di inclusione sociale che per noi sono qualificanti come il riequilibrio tra città e campagna.
  Il testo unificato prevede in maniera equilibrata il contributo necessario delle regioni, il coinvolgimento della Conferenza unificata Stato-regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano, ovviamente Pag. 35i pareri delle Commissioni parlamentari competenti e del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e definisce i requisiti minimi e le modalità delle attività svolte dall'imprenditore agricolo.
  Vorrei però segnalare come sia estremamente opportuno che l'inserimento socio-lavorativo di soggetti svantaggiati, molto svantaggiati e disabili, definiti ai sensi dell'articolo 2 del regolamento n. 800 del 2008 della Commissione europea, sia qualcosa di estremamente utile. Infatti, anche se l'elenco sembra molto vasto – quasi abolendo la distinzione tra chi ha studiato, chi non ha studiato e altre categorie, come ho sentito poco fa – questo non vuol dire l'appiattimento del legislatore, che non capisce le differenze, ma questo vuol dire la volontà del legislatore di non lasciare nessuno fuori. Poi sono i territori, i servizi, le cooperative ed i soggetti sociali ad andare a individuare i percorsi personalizzati più efficaci per rendere tutto questo utile a quanta più gente possibile.
  Allora, il fatto che ci siano dei condannati ammessi al lavoro esterno, gli ex detenuti, e gli immigrati, i nuovi italiani, mi sembra che rappresenti un'alleanza che prefigura come le difficoltà del nostro Paese possano trasformarsi in chance, cioè mi sembra un metodo per immaginare la ripresa e la ricostruzione di un ethos nazionale e di uno stile di vita all'altezza della nostra cultura e del nostro ventunesimo secolo, che io credo sia non solo da incoraggiare, ma di cui bisognerebbe prendere atto con soddisfazione. Se poi questo accade immediatamente nell'attuazione di questo progetto di legge, rischia di essere quasi un sogno, ma che si vada in questa direzione io credo che sia molto importante.
  Concludo dicendo che l'agricoltura sociale si presta ad essere un importante veicolo del rafforzamento del welfare sociale, anche un modo di ripronunciare la parola welfare: welfare sussidiario, welfare sociale. È la strada di un Paese che sta cercando il modo per garantire i servizi per tutti, in assenza di infiniti mezzi finanziari. Siamo dentro la ristrutturazione del concetto di welfare. In questo Parlamento, la nostra forza politica, si è fatta portatrice e si fa portatrice proprio di questa indicazione: dobbiamo lavorare nella direzione di un welfare sociale, di un welfare sussidiario, che superi gli steccati antichi di pubblico e privato, ma lavori con immaginazione con tutti i soggetti attivi, perché ciò che esiste (le capacità, le risorse umane e il capitale umano), diventino la chiave del nuovo welfare sociale e del nuovo welfare sussidiario.
  Allora, mi auguro che questo progetto di legge non solo entri in vigore presto, ma cominci a dare dei risultati presto. A questo fine non vedo assolutamente inutile, ma estremamente positiva, l'istituzione dell'Osservatorio sull'agricoltura sociale. Infatti, esiste il problema di monitorare l'efficacia di questo provvedimento ed è qualcosa che spesso le nostre leggi non contemplano, cioè dopo l'approvazione delle leggi, il monitoraggio dei reali effetti sociali nel Paese.
  Per questo noi lavoreremo per una rapida approvazione e siamo contenti di dare il nostro contributo in tal senso.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Franco Bordo. Ne ha facoltà.

  FRANCO BORDO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'agricoltura sociale si presenta come una strategia complessiva per il miglioramento della qualità della vita, non solo delle singole persone che sono coinvolte nelle diverse pratiche, ma più in generale della comunità locale, secondo quello che possiamo definire un nuovo corso per l'agricoltura europea, capace di garantire processi produttivi multifunzionali e di rispondere alla crescente richiesta di valori, per cui non solo quello economico, che emerge dalla società postmoderna.
  In tale ottica l'agricoltura sociale si pone come elemento di rottura rispetto al paradigma della produzione di massa e del primato della tecnologia, riconoscendo valore alla diversità e alla specificità dei fattori produttivi, strettamente legati ai contesti, alle persone, alle storie.Pag. 36
  Allo stesso modo tale pratica si pone come elemento di innovazione e crescita anche rispetto all'attuale concetto di diritto alla salute, favorendo la ricollocazione di terapie all'interno di processi più complessi, articolati ed integrati di interventi sociosanitari.
  Questa nuova strategia complessiva di relazione con il territorio, con chi lo vive e lo attraversa nella sua esperienza quotidiana, si pone l'obiettivo primario di realizzare strutture e pratiche che rispondano alle esigenze di soggetti a bassa contrattualità come persone con handicap fisico o psichico, soggetti psichiatrici, dipendenti da alcool o droghe, detenuti o ex detenuti o indirizzate a fasce della popolazione quali i bambini o gli anziani, per i quali risulta carente l'offerta di servizi, in modo particolare in alcune aree del Paese.
  Le attività ed i servizi vengono pensati e realizzati in risposta a problematiche ed esigenze locali contestuali, specifiche, impiegando il notevole potenziale che l'agricoltura italiana può e deve poter esprimere nella sua complessa interezza.
  Spesso si ha, quale immagine dell'agricoltura, quella della produzione sic et simpliciter di beni di prima necessità, sfruttando le risorse naturali disponibili: la terra in primis, a qualsiasi condizione, costi quel che costi, oppure quale elemento bucolico dei bei paesaggi, della buona aria che si respira, dell'ambiente assolutamente incontaminato.
  Fortunatamente questo modello produttivo ed il relativo stereotipo sociale, con il passare degli anni, è cominciato ad essere messo seriamente in discussione.
  È un bene l'essere giunti in Commissione agricoltura della Camera dei deputati ad adottare un testo unificato su questo tema. Si pensi che ce n'erano ben cinque di proposte di legge dei diversi gruppi parlamentari, tra cui quella di Sinistra Ecologia Libertà, di iniziativa del sottoscritto e dell'onorevole Palazzotto, e questo è indicativo del grande interesse nei confronti di un'agricoltura coniugata con il tessuto reale dei territori.
  Il settore primario ha delle potenzialità inespresse enormi: si potrebbe partire da qui per reinventare una dialettica sociale con e per il territorio e per chi lo vive, avendo sempre in mente che chi lo attraversa è un ospite diuturno, che non ha il diritto di bistrattare, umiliare, ferire le orografie dei paesaggi delle campagne.
  Le diverse attività riconducibili all'agricoltura sociale sono varie: si va dall'inserimento lavorativo di persone in difficoltà temporanee o permanenti in aziende agricole o cooperative sociali agricole, con forme contrattuali differenti, dal tirocinio al contratto a tempo indeterminato o, nel caso delle cooperative, come soci lavoratori, all'attività di formazione, soprattutto con forme come la borsa lavoro, il tirocinio per soggetti a bassa contrattualità finalizzato all'inserimento lavorativo, all'offerta di attività di coterapia, in collaborazione con i servizi sociosanitari per persone con difficoltà temporanee e permanenti, all'offerta, in collaborazione con gli enti locali, di servizi alla popolazione, in modo particolare per i bambini, tipo agrinidi, agriasili, attività ricreative, campi scuola, centri estivi o, per i meno giovani, attività per il tempo libero, gli orti sociali, cura e tutela dell'ambiente. Ma anche attività formative e didattiche con progetti da realizzarsi in collaborazione con le scuole, finalizzati all'educazione ambientale e alimentare, alla salvaguardia della biodiversità, nonché alla diffusione e conoscenza del territorio.
  Se analizziamo le realtà già oggi attive nelle diverse regioni, si nota la presenza di esperienze svolte in aziende agricole produttive (imprese familiari, cooperative sociali agricole, imprese singole), ma anche attività realizzate in altri contesti, come è testimoniato dalla presenza di orti terapeutici presso gli ospedali e i centri diurni, attività agricole presso le istituzioni carcerarie o aziende annesse alle università agrarie o agli istituti tecnici agrari.
  L'agricoltura sociale si caratterizza per la presenza attiva di più soggetti che concorrono nella progettazione e gestione dell'impresa, dove spesso il partenariato fra i diversi soggetti si basa su accordi realizzati a livello locale, con piani sociosanitari di zona, protocolli di intesa, accordi Pag. 37di programma, che rispondono ad esigenze specifiche mettendo in sinergia competenze e professionalità disponibili, ottenendo ottimi risultati anche con costi più contenuti.
  In sostanza, le pratiche di agricoltura sociale, che sono numerose ed in costante aumento, hanno generato un autonomo processo di emersione di iniziative e progetti che, fino ad oggi, venivano gestiti in modo volontario ed al di fuori di una specifica collocazione sociogiuridica.
  Considerata l'estrema varietà delle esperienze riconducibili all'ambito di intervento dell'agricoltura sociale, vista soprattutto la carenza normativa a livello nazionale, ad oggi risulta estremamente difficile tracciare un quadro esaustivo di tale attività in Italia.
  Oggi, attraverso l'attuazione di programmi di sviluppo rurale, l'agricoltura sociale è stata inserita all'interno di politiche di sviluppo rurale da alcune singole regioni. Tra queste, alcune si sono già dotate anche di una legge, una legge regionale, ma ciò non ha garantito una uniformità di pensiero ed una visione strategica condivisa. L'unico elemento comune nell'attuazione di progetti di agricoltura sociale è quello che riguarda l'utilizzo delle misure messe a disposizione dai programmi di sviluppo rurale, in modo particolare la cosiddetta «misura 311», diversificazione verso attività non agricole, che si pone l'obiettivo generale di incentivare la diversificazione delle attività dell'imprenditore agricolo.
  L'agricoltura sociale viene, quindi, considerata come pratica innovativa ed elemento caratterizzante il ruolo multifunzionale dell'agricoltura. A seconda delle regioni, tale obiettivo viene perseguito attraverso differenti set di azioni che prevedono il finanziamento di attività non tradizionalmente agricole legate alla creazione di opportunità di impiego nelle aree rurali. Tra queste, oltre ad azioni che interessano principalmente l'attività agrituristica o quelle che concernono la produzione di energia rinnovabile, troviamo tipologie di interventi che mirano direttamente all'incentivazione del ruolo sociale delle aziende agricole.
  Ma importanti novità e questa volta positive stanno arrivando dall'Europa. Infatti, ad inizio anno il Comitato economico e sociale europeo, il CESE, ha deciso di elaborare un parere di strategia sul tema dell'agricoltura sociale dove vengono tracciate necessità e azioni da intraprendere. Il parere è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea e ha raggiunto l'obiettivo di dare visibilità al settore. Nel documento si evidenzia la necessità di predisporre una definizione di agricoltura sociale per avere un quadro delle attività, dei criteri di qualità standardizzati e un quadro normativo di riferimento senza essere limitativo ad una realtà in continua trasformazione. Lo scopo è di garantire ad un'iniziativa la possibilità di beneficiare di un sostegno a titolo delle varie politiche dell'UE.
  Il CESE suggerisce alcune azioni da intraprendere: riconoscimento dell'agricoltura sociale a livello europeo e adozione di un quadro normativo; creazione di una banca dati a livello europeo; promuovere l'inserimento dell'agricoltura sociale nei programmi di ricerca; promuovere l'inserimento dell'agricoltura sociale in programmi di formazione; un ruolo rafforzato per la società civile e un maggiore sviluppo del collegamento in rete.
  Insomma, il nuovo periodo di programmazione dei fondi strutturali apre nuove prospettive per questa pratica poiché tra gli obiettivi espliciti della politica di attuazione dei fondi figurano la lotta alla povertà, l'inclusione sociale e la diversificazione delle attività agricole. L'agricoltura sociale, con la nuova programmazione, può e sono certo potrà utilizzare risorse finanziarie provenienti da più fondi e su un periodo di diversi anni. Anche per questo è utile e importante che il Parlamento italiano approvi quanto prima questa legge. Una legge che prevede, grazie anche all'impegno profuso da Sinistra Ecologia Libertà in questo anno di predisposizione del testo che oggi è all'attenzione di questa Assemblea, forme di sostegno. Pag. 38Infatti, l'articolo 6 afferma che le istituzioni pubbliche che gestiscono le mense scolastiche e ospedaliere possono prevedere nelle gare concernenti i relativi servizi di fornitura criteri di priorità per l'inserimento di prodotti agroalimentari provenienti da operatori di agricoltura sociale.
  Si definiscono le modalità idonee di presenza e valorizzazione dei prodotti provenienti da agricoltura sociale per la vendita sulle aree pubbliche. Si prevede che, nell'ambito delle operazioni di alienazione e locazione di terreni demaniali agricoli e di quelli appartenenti agli enti pubblici territoriali e non territoriali, sono previsti criteri di priorità per favorire l'inserimento e lo sviluppo delle attività di agricoltura sociale, anche utilizzando i beni e terreni confiscati ai sensi del codice delle leggi antimafia.
  Il comma 5 prevede, inoltre, che con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze vengano definiti i requisiti e i criteri ulteriori per agevolazioni a interventi di sostegno di tale attività. Si indica anche che nei piani regionali di sviluppo rurale, che sono parte integrante della politica agricola comune, vengono definiti specifici programmi finalizzati allo sviluppo dell'impresa agricola sociale.
  Ricordo che l'articolo 5, infine, dispone che acquisiscono il requisito di ruralità i fabbricati e le porzioni di fabbricati destinati all'esercizio dell'agricoltura sociale. Noi siamo convinti che il combinato di queste forme di sostegno con quelle derivate dai fondi europei potrà permettere lo sviluppo di una pratica agricola più attenta ai bisogni del suo territorio e di coloro che lo abitano e rappresenti una forma concreta di sostenibilità economica per l'azienda agricola sensibile a questi bisogni, come per la cooperativa sociale, così come per l'ente locale che deve dare un servizio pubblico tra quelli sopra citati.
  Signor Presidente, mi corre l'obbligo e il piacere in questa fase conclusiva del mio intervento ringraziare chi in modo particolare ha seguito il provvedimento, l'onorevole relatrice Covello, che sappiamo aver lavorato veramente bene, convinta della necessità di portare a compimento questo lavoro; il presidente della Commissione, l'onorevole Sani; tutti i componenti della Commissione che hanno creduto fino in fondo a questo obiettivo. Ma soprattutto vorrei ricordare tutti gli imprenditori agricoli, le cooperative sociali, i volontari, le associazioni che, com’è stato detto, sono senza dubbio pionieri, come ci ha ricordato anche nel suo ultimo incontro in Commissione il rappresentante del Governo qui presente che ha sostenuto la nostra proposta di legge, e a cui noi dobbiamo rivolgere il nostro ringraziamento e oggi il nostro supporto (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palese. Ne ha facoltà.

  ROCCO PALESE. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo e onorevoli colleghi, l'agricoltura sociale è stata oggetto di particolare attenzione sia nella scorsa legislatura che nella presente in quanto interessa diversi settori che riguardano le politiche sociali e sanitarie e si propone come un nuovo modello di sviluppo del territorio che genera una sinergia tra ambiente rurale e urbano attraverso rapporti di partenariato tra pubblico e privato nonché l'offerta da parte delle imprese agricole di attività riabilitative e integrative per le fasce vulnerabili della popolazione. In tale ambito il provvedimento, che giunge oggi all'attenzione dell'Assemblea, riprende una serie di disposizioni volte a definire un intervento normativo che individui a livello nazionale i principi regolatori dell'attività al fine di costruire un quadro unitario di riferimento per la legislazione regionale, di coordinare il complesso delle politiche e delle competenze interessate e di fornire le basi per lo sviluppo di tutte le potenzialità di queste esperienze. Il testo risultante da un insieme di proposte di legge, tra cui quella del collega Russo, è il risultato di un lungo e approfondito esame presso la Commissione agricoltura iniziato il 20 maggio 2013 anche attraverso il coinvolgimento Pag. 39degli operatori del settore e delle organizzazioni professionali delle cooperative agricole che hanno contribuito ad approfondire meglio quali possono essere le proprie esigenze al fine di fornire le basi per lo sviluppo di tutte le potenzialità di queste esperienze. Tali esperienze, da un lato, producono servizi di grande valore sociale, dall'altro sono in grado di produrre benefici in termini di sviluppo e di reddito soprattutto per quelle imprese che presidiano le zone più svantaggiate e marginali e che appaiono pertanto caratterizzate da scarsa redditività. L'agricoltura sociale si caratterizza, quindi, per l'espressione di un ruolo multifunzionale dell'agricoltura nel campo dei servizi alla persona, affiancando alla tradizionale funzione produttiva la capacità di generare benefici per fasce vulnerabili della popolazione, dando luogo a servizi innovativi che possono rispondere efficacemente alla crisi dei tradizionali sistemi di assistenza sociale, alla crescente richiesta di personalizzazione e qualificazione dei servizi sociali. Ricollegandomi a quanto è stato segnalato nella scorsa legislatura, rilevo che dal documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sull'agricoltura sociale, finalizzato all'acquisizione di un quadro informativo qualificato su un fenomeno che sta riscontrando significativi sviluppi nella realtà italiana ed europea ma che tuttavia risulta ancora privo di un quadro giuridico di riferimento a livello nazionale, sono emerse nell'ambito dei più articolati aspetti proposte specifiche per risolvere sul piano normativo alcune specifiche esigenze per affrontare sul piano degli interventi non legislativi le questioni connesse all'utilizzo dei fondi europei.
  In ambito europeo occorre evidenziare come l'agricoltura sociale abbia trovato una sua prima definizione come specifica area di intervento delle politiche pubbliche nella programmazione dei fondi legati allo sviluppo rurale. Al riguardo l'agricoltura sociale nel piano strategico nazionale 2007-2013 è annoverata tra le azioni chiave dell'Asse 3 relativo al miglioramento della qualità della vita e della diversificazione dell'economia rurale. In tale contesto e soprattutto all'interno della nuova politica agricola comunitaria (PAC) l'agricoltura sociale nazionale, attraverso una nuova e definitiva governance, nonostante le differenze nelle pratiche europee e al tempo stesso dei significativi processi di convergenza se non nei modelli di welfare nei principi che connotano le esperienze, pur nella difficoltà della situazione economico-finanziaria attuale, nel trovare i modi per riorganizzare le risorse disponibili e immobilizzarle in funzione del sostegno all'innovazione sociale, può contribuire a determinare processi più rapidi di innovazione sociale capaci di offrire risposte utili per la società ed una piena valorizzazione delle risorse di cui i territori rurali dispongono per disegnare i percorsi in cui la parola «futuro» continui ad avere un significato positivo.
  Introducendomi in una più approfondita analisi del provvedimento attraverso l'analisi delle disposizioni che compongono l'articolato, il nuovo testo unificato adottato dalla Commissione agricoltura, approvato in sede referente dalla XIII Commissione in data 26 giugno 2014, a seguito anche delle proposte emendative approvate, si compone di sette articoli.
  Fra le misure più significative evidenzio come l'articolo 1 definisca le finalità dell'intervento normativo, individuate nella promozione dell'agricoltura sociale quale aspetto del ruolo multifunzionale dell'impresa agricola, chiamata, in tale ambito, a fornire servizi socio-sanitari nelle aree rurali. L'intervento normativo viene riferito alla competenza statale definita dall'articolo 117, terzo comma, lettera m), della Costituzione, relativa alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.
  Con l'articolo 2 si definisce l'agricoltura sociale. Ai sensi del comma 1, sono tali le attività svolte dall'imprenditore agricolo, di cui all'articolo 2135 del codice civile, volte a realizzare: l'inserimento socio-lavorativo di soggetti svantaggiati, disabili e minori in età lavorativa inseriti in progetti di riabilitazione sociale; i servizi sociali Pag. 40per le comunità locali, tra i quali gli agri-asili e servizi di accoglienza di persone in difficoltà fisica e psichica; le prestazioni e i servizi terapeutici, anche attraverso l'ausilio di animali e la coltivazione delle piante; le iniziative di educazione ambientale ed alimentare, di salvaguardia della biodiversità animale, anche attraverso l'organizzazione di fattorie sociali e didattiche.
  Si precisa che le attività elencate in precedenza possono essere svolte anche dalle cooperative sociali, purché il fatturato derivante dall'esercizio dell'attività agricola sia prevalente. Nel caso in cui esso sia compreso tra il 30 e il 50 per cento sono considerate operatori dell'agricoltura sociale in proporzione allo stesso fatturato agricolo.
  L'imprenditore agricolo potrà inoltre svolgere l'attività di agricoltura sociale in associazione con le cooperative, le imprese sociali, le associazioni di promozione sociale, i soggetti pubblici, intesi quali organismi della cooperazione, di volontariato, associazioni ed enti di promozione sociale, fondazioni, enti di patronato e altri soggetti privati. Gli enti pubblici territoriali saranno chiamati a predisporre i piani territoriali di sostegno a tali attività, in forza delle attività promosse per l'agricoltura sociale che saranno realizzate in collaborazione con i servizi socio-sanitari.
  L'articolo 3 prevede che le regioni adeguino le proprie disposizioni in materia, al fine di permettere il riconoscimento degli operatori dell'agricoltura sociale presso gli enti preposti, stabilendo che per coloro che già svolgono tale attività da due anni, le medesime provvedono ad un riconoscimento provvisorio. In caso di inadempienza, si applicano le disposizioni relative al potere sostitutivo dello Stato nei confronti delle regioni.
  Con l'articolo 4 si stabilisce che possono essere riconosciute le organizzazioni di produttori per prodotti dell'agricoltura sociale. Acquisiscono il requisito della ruralità – secondo quanto disposto dall'articolo 5 – i fabbricati o le porzioni di fabbricati destinati all'esercizio dell'agricoltura sociale. Le regioni sono chiamate a valorizzare il patrimonio edilizio esistente ai fini di un recupero e di un'utilizzazione dello stesso per le attività in esame.
  L'articolo 6 reca taluni interventi di sostegno, che si sostanziano nella facoltà: per le istituzioni pubbliche che gestiscono mense scolastiche ed ospedaliere, di inserire come criteri di priorità per l'assegnazione delle gare di fornitura, la provenienza dei prodotti agroalimentari da operatori di agricoltura sociale; per i comuni, di prevedere specifiche misure di valorizzazione dei prodotti in esame nel commercio su aree pubbliche; per gli enti pubblici territoriali e non, di prevedere criteri di priorità per favorire lo sviluppo delle attività in esame nell'ambito delle procedure di alienazione e locazione dei terreni pubblici agricoli; per gli enti pubblici territoriali, di poter dare in concessione a titolo gratuito anche agli operatori dell'agricoltura sociale i beni immobili confiscati alla criminalità organizzata.
  I criteri e i requisiti per l'accesso ad ulteriori agevolazioni ed interventi di sostegno saranno definiti con un decreto interministeriale. Anche le regioni, inoltre, saranno chiamate ad adottare provvedimenti per la concessione di agevolazioni.
  Al comma 6 viene stabilito che nei piani regionali di sviluppo rurale vengano definiti specifici programmi finalizzati allo sviluppo dell'impresa di agricoltura sociale.
  Infine, l'articolo 7 istituisce l'Osservatorio sull'agricoltura sociale, che avrà vari compiti. Così come in Commissione, anche in sede di esame e di approvazione, è fin troppo evidente che anche il nostro gruppo di Forza Italia è fortemente a favore di questa innovazione, di questa nuova legislazione, regolamentazione, che ha un grande valore non solo per quanto riguarda gli aspetti prettamente dell'agricoltura, ma, soprattutto, nel campo sociale e della difesa delle persone e dei più deboli.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Binetti. Ne ha facoltà.

  PAOLA BINETTI. Signor Presidente, illustri rappresentanti del Governo, colleghi, Pag. 41con molto piacere svolgo questa mia relazione su un provvedimento di iniziativa parlamentare; soltanto per questo aspetto e per la ricchezza delle esigenze che in qualche modo si riflettono in questa scelta, vale la pena prestare particolare attenzione a queste esigenze che nascono da una visione della politica particolarmente attenta al mondo del welfare, particolarmente attenta al mondo delle fragilità e del disagio di tutte quelle che sono le classi sociali più deboli.
  L'agricoltura sociale costituisce un incontro tra quelle che sono le politiche per la salute e quelle che sono le politiche agricole. Se per salute si intende lo stato di completo benessere fisico, mentale e sociale dell'individuo e non la semplice assenza dello stato di malattia e di infermità – come già nel lontano 1978, circa 35 anni fa, da Alma Ata, l'OMS affermava –, noi possiamo dire che a pieno titolo le politiche agricole e, quindi, da questo punto di vista, l'agricoltura sociale, danno un contributo forte e significativo a quello che possiamo considerare il vero e proprio benessere sociale. L'agricoltura sociale comprende, infatti, una pluralità di esperienze riconducibili non ad un modello unitario quanto a tipo di organizzazione, di attività svolta, di destinatari o di fonti di finanziamento, ma piuttosto una pluralità di esperienze accomunate dalla caratteristica di integrare nell'attività agricola attività di carattere socio-sanitario, educativo, di formazione, di inserimento lavorativo e di ricreazione, anche, dirette in particolare a fasce di popolazione svantaggiate o a rischio di marginalizzazione.
  L'agricoltura sociale, in altri termini, costituisce un nuovo welfare creativo, aperto a nuove opportunità, un welfare di opportunità, come abbiamo detto tante volte, e non soltanto un welfare meramente assistenziale. Possiamo definire l'agricoltura sociale come quell'attività che impiega le risorse dell'agricoltura e della zootecnia in presenza di piccoli gruppi familiari e non che operano nelle aziende agricole per promuovere azioni terapeutiche, di riabilitazione, di inclusione sociale e lavorativa, di ricreazione, di educazione, oltre a tutta una serie di servizi utili per la vita quotidiana.
  L'agricoltura improntata a criteri di sostenibilità concorre al benessere della popolazione non solo attraverso il naturale svolgimento della propria attività principale, e cioè la coltivazione e manutenzione del terreno, ma anche attraverso l'erogazione diretta di servizi sociali a beneficio delle fasce deboli della popolazione. La sua qualità e le sue ricadute sono spesso superiori ad analoghi servizi realizzati in ambiente urbano, proprio per il valore aggiunto apportato dall'ambiente rurale, in cui spazi e tempi risultano più a misura d'uomo e, quindi, particolarmente adatti alle categorie fragili.
  La pluralità di setting che il contesto agricolo mette a disposizione accresce le possibilità degli operatori dei servizi e innalza la qualità dell'offerta in una fase come quella odierna di riduzione complessiva delle risorse disponibili. Cito alcune di queste pluralità di setting che, a mio avviso, sono particolarmente interessanti. Prima di tutto, consente lo sviluppo dello spirito solidaristico, ossia l'attivazione di meccanismi e di strumenti che facciano leva e valorizzino la capacità inclusiva del territorio e della comunità che lo abita in una logica di responsabilità diffusa e non di delega esclusiva ai servizi professionali. L'agricoltura sociale incentiva la nascita di servizi di prossimità, di volontariato con nuovi approcci solidaristici molto più vicini ai bisogni reali delle persone. Consente, inoltre, un potenziamento delle capacità di inclusione sociale, aiuta a sviluppare azioni e progetti finalizzati all'inclusione sociale di fasce deboli di popolazione, ponendo la persona, nella sua unicità e nella sua individualità, al centro del sistema dei servizi, come componente attiva. Consente, inoltre, il rafforzamento dei processi di integrazione, integrazione delle politiche, degli attori e delle risorse disponibili a livello locale, in una prospettiva matura di corresponsabilità dell'intera comunità locale, azionando largamente forme di sussidiarietà verticale ed orizzontale.Pag. 42
  Consente, inoltre, un investimento sulla qualità delle produzioni e dei servizi (agricoltura sociale di filiera corta, manifatture e terziario tecnologicamente avanzati, turismo sostenibile) attraverso lo sviluppo di marchi, di piattaforme distributive, di recupero di competenze, con una formazione mirata e con percorsi innovativi di inserimento al lavoro. Infine, permette la valorizzazione degli spazi rurali per incentivare il ruolo dell'agricoltura come presidio del territorio e funzione erogatrice di servizi ambientali e sociali per il benessere in generale.
  L'agricoltura sociale, in definitiva, comprende l'insieme di pratiche svolte sul territorio da imprese agricole, da cooperative sociali e da altre organizzazioni che coniugano l'utilizzo delle risorse agricole con attività sociali finalizzate a generare benefici inclusivi, a favorire percorsi terapeutici riabilitativi e di cura, a sostenere l'inserimento sociale e lavorativo delle fasce di popolazione svantaggiata e a rischio di marginalizzazione, a favorire, infine, la coesione sociale in modo sostanziale e continuativo. Le attività sono realizzate sempre in cooperazione con i servizi socio-sanitari e gli enti pubblici competenti del territorio e sono sottoposte a verifiche periodiche. Quindi, rappresentano davvero un punto di vista multiculturale e multiprofessionale fortemente integrato, per raggiungere obiettivi che sono obiettivi unitari, obiettivi specifici, ma che richiedono dietro un'ampia convergenza di competenze.
  Per questo l'agricoltura sociale consente nuove possibilità occupazionali. Potremmo addirittura dire che è possibile solo alla luce di nuove possibilità occupazionali. Oggi il settore agricolo è un ambiente professionale che sta assumendo un volto sempre più innovativo e multifunzionale, capace di proporre una risposta realistica all'attuale crisi dei mercati attraverso l'offerta di una molteplicità di prodotti che arricchiscono l'offerta tradizionale e soprattutto la proposta di servizi alla collettività che rendono il mondo agricolo una vera palestra di innovazione sul territorio.
  Ambito di recente e interessante sviluppo è proprio questo dell'agricoltura sociale, che vede la collaborazione tra le imprese agricole e il mondo della cooperazione sociale, delle associazioni e delle istituzioni. Nello specifico, quindi, per agricoltura sociale si intende un'insieme di attività che impiega le risorse dell'agricoltura e della zootecnia, la presenza di piccoli gruppi familiari e non che operano nelle aziende agricole per promuovere, per l'appunto, azioni terapeutiche, di abilitazione, di capacitazione, di inclusione sociale, di ricreazione di servizi utili per la vita quotidiana.
  Gli agricoltori si propongono, quindi, come interlocutori attivi della società e contribuiscono a fornire servizi differenziati per la collettività che possono essere classificati nelle seguenti categorie. Insisto sul fatto che sono gli agricoltori a svolgere questa funzione di tutor, questa funzione di affiancamento, questa funzione che, da un lato, richiede una specificità di competenze acquisite da parte loro sotto il profilo, per esempio, psicopedagogico, ma dall'altra parte sarebbe impossibile attuarle senza la specifica competenza tipica degli agricoltori. Se si vogliono ottenere dei risultati che siano tangibili o che siano concreti servono persone che sappiano che cos’è l'agricoltura. Certamente servono persone anche che sappiano chi è un disabile e che sappiano rapportarsi correttamente e concretamente a questi soggetti.
  Dal punto di vista dei servizi educativi, quindi, il principio pedagogico di base è l'interdipendenza tra la persona e la natura, tra la persona e la funzione che si svolgerà. Le attività educative prevedono il diretto contatto con la natura, l'utilizzo degli animali e delle piante, la sperimentazione delle tecniche agricole, il rispetto della stagionalità nella somministrazione dei pasti. Per questo nascono in maniera molto interessante iniziative di cui hanno già parlato i colleghi che mi hanno preceduto, tipo gli agrinido, laddove si tratta di asili nido tradizionali collocati, però, in una fattoria. I bambini sono ospitati in uno spazio appositamente attrezzato dove Pag. 43la fattoria rappresenta un grande laboratorio didattico in cui realizzare le attività educative. Non ci servono più gli zoo, oggi noi abbiamo bisogni che i bambini familiarizzino con gli animali più semplici: con la gallina, con l'asino, con il cavallo, con le mucche, ma devono essere a contatto diretto con l'esperienza che ognuno di loro gli offre. Ci sono i centri estivi adesso, e sappiamo quanto è importante per i genitori che continuano l'attività professionale appoggiare i propri figli in tali contesti. Sappiamo che le scuole di calcio vanno per la maggiore, ma io ritengo che i centri estivi a diretto contatto con la natura rappresentano una fonte di esperienza straordinaria per i ragazzi, un vero e proprio laboratorio didattico.
  Da questo punto di vista i servizi di inclusione sociale e lavorativa – e mi avvio alla conclusione, Presidente – permettono dei servizi di co-terapia con il verde e con gli animali.
  Mi piace ricordare alcune esperienze straordinarie che molti conoscono in cui, per esempio, sono coinvolti i bambini; mi riferisco in particolare ai bambini autistici e ad un'esperienza straordinaria che è quella di Cascina Rossago, in provincia di Pavia, dove i bambini autistici arrivano a coltivare, realizzando non soltanto quella che potremmo definire l'esperienza dell'agricoltura...

  PRESIDENTE. Deve concludere.

  PAOLA BINETTI. ... ma anche ad allevare gli alpaca, e l'allevamento degli alpaca che si fa in questa zona del nord Italia è diventata una fonte di reddito anche particolarmente interessante per le aziende locali. Quindi, a parte esprimere tutto l'interesse positivo nel sostenere la proposta di legge...

  PRESIDENTE. Onorevole Binetti, non mi metta in difficoltà, deve concludere.

  PAOLA BINETTI. ... ci auguriamo che le risorse economiche che verranno messe a disposizione siano proporzionate agli obiettivi che si possono raggiungere con questa proposta.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo – A.C. 303-A ed abbinate)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Covello.

  STEFANIA COVELLO, Relatore. Signor Presidente, rinuncio alla replica.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

  ANDREA OLIVERO, Viceministro per le politiche agricole, alimentari e forestali. Signor Presidente, rinuncio alla replica.

  PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Bergamini ed altri n. 1-00524, Fratoianni ed altri n. 1-00525 e Fantinati ed altri n. 1-00526 concernenti iniziative per la tutela del made in Italy (ore 17,55).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Bergamini ed altri n. 1-00524, Fratoianni ed altri n. 1-00525 e Fantinati ed altri n. 1-00526 concernenti iniziative per la tutela del made in Italy (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la organizzazione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi calendario).
  Avverto che sono state, altresì, presentate le mozioni Fitzgerald Nissoli ed altri 1-00527, Dorina Bianchi ed altri n. 1-00528 e Senaldi ed altri 1-00529 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione (Vedi l'allegato A – Mozioni).

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(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritto a parlare l'onorevole Rocco Palese, che illustrerà anche la mozione Bergamini n. 1-00524, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

  ROCCO PALESE. Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, la nostra battaglia a favore della tutela del made in Italy ha cominciato a dare dei risultati. L'impegno che Forza Italia ha sempre profuso in questo particolare settore si è trasformato in un impegno sia sul fronte europeo che su quello nazionale. La recente istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo, che da noi è stata chiesta attraverso la presentazione di una apposita proposta di legge tra i primi atti di questa legislatura, ne è prova concreta.
  Sul fronte europeo, e mi riferisco in particolare alle norme sull'etichettatura e alla campagna portata avanti dal Commissario europeo per l'industria e l'imprenditoria, Antonio Tajani, che nel suo mandato ha ottenuto che quella per il «made in» diventasse una battaglia condivisa da altri Paesi europei, in primis Francia e Spagna.
  Il 15 aprile 2014 il Parlamento europeo ha approvato, con 485 voti a favore, 130 contrari e 27 astensioni, le norme per rendere obbligatorie le etichette «made in» sui prodotti non alimentari venduti sul mercato comunitario, ed è stato approvato anche un regolamento (con 573 voti a favore, 18 contrari e 52 astensioni) che chiede pene più severe per le imprese che non rispettano le norme di sicurezza e vendono prodotti potenzialmente pericolosi.
  In particolare, la maggioranza degli eurodeputati ha votato contro l'emendamento che puntava a cancellare l'etichetta obbligatoria dal testo della proposta Tajani-Borg sulla direttiva per la sicurezza dei consumatori, e la relatrice danese, Christel Schaldemose, ha criticato con forza il fatto che gli Stati membri non siano stati in grado di concordare una posizione comune sulla questione, bloccando così i negoziati sul regolamento nel suo complesso, a scapito della sicurezza dei consumatori in Europa.
  Sarà compito della nuova Commissione, e in particolare del Commissario italiano, continuare i negoziati tra gli Stati membri del Consiglio europeo affinché il provvedimento approvato entri in vigore tramite l'adozione del regolamento ad hoc. Non sarà facile e l'impegno che chiediamo al Governo è fondamentale per evitare che tutto il lavoro svolto fin qui vada perduto, come già successo in passato.
  Un provvedimento sul «made in» era stato già approvato dal Parlamento europeo nel 2010 ma, nell'ottobre del 2012, il Commissario europeo per il commercio, Karel De Gucht, aveva comunicato di aver rinunciato a portare a compimento la proposta di regolamento sul «made in» a causa dell'impossibilità di raggiungere il necessario consenso con gli Stati membri, in quanto avversato dai Paesi nordici, dal Regno Unito, da Olanda e da Germania, poiché si intendeva introdurre l'obbligo di specificare sui prodotti extracomunitari il luogo di produzione in modo da fornire al consumatore una chiara indicazione: indicazione premiante per i produttori europei che non delocalizzano.
  Il voto a favore del «made in» da parte del Parlamento europeo, del 15 aprile scorso, ha segnato comunque la vittoria del fronte composto da Italia, Spagna e Francia, particolarmente interessato ad avere un'etichetta che certifichi le origini delle loro merci, in particolare nel settore della moda, del lusso e in quello calzaturiero e la sconfitta del fronte opposto, composto dai Paesi del nord e dell'est Europa, tra cui la Germania, importatori e assemblatori di materiali prodotti da Paesi non europei.
  L'altro fronte rimasto aperto riguarda i prodotti alimentari. La Camera ha impegnato il Governo, nel gennaio scorso, sulla tutela dell'agroalimentare e tuttavia Pag. 45riteniamo necessario, all'inizio del semestre di Presidenza italiano, ribadire la necessità di predisporre un quadro di misure organico nell'ambito del quale definire una puntuale articolazione e un maggior dettaglio del sistema di etichettatura, da adottare ai sensi dell'articolo 39 del Regolamento dell'Unione europea n. 1169/2011, ricordando che ai fini di una maggiore tutela della qualità esiste la possibilità di utilizzare le ulteriori disposizioni richiamate dall'articolo 39 del Regolamento stesso, in particolare per ciò che attiene alla tutela delle denominazioni di origine controllata e alle indicazioni di provenienza dei prodotti agroalimentari, nonché alla repressione di fenomeni diffusi di concorrenza sleale. Anche su questo impegniamo il Governo a farsi promotore, in forza delle disposizioni che, entreranno in vigore il 13 dicembre 2014, di iniziative che, in base all'articolo 39 del Regolamento dell'Unione europea 1169/2011, prevedano la possibilità per gli Stati membri di dotarsi di un maggior dettaglio del sistema di etichettatura, introducendo ulteriori disposizioni, in particolare per ciò che attiene all'indicazione obbligatoria del Paese di origine e del luogo di provenienza degli alimenti, ove esista un nesso comprovato tra talune qualità dell'alimento e la sua origine o provenienza.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ferrara, che illustrerà anche la mozione Fratoianni n. 1-00525, di cui è cofirmatario.

  FRANCESCO detto CICCIO FERRARA. Signor Presidente, nonostante gli anni duri della crisi che continua a colpire il nostro Paese e le continue sfide che la globalizzazione ci pone davanti, la manifattura italiana rimane un punto di eccellenza della nostra economia, direi che ne costituisce ancora il cuore pulsante, e per questo dobbiamo intervenire per sostenerla e rilanciarla.
  L'attività manifatturiera ha inciso vistosamente sull'organizzazione economica e territoriale del nostro Paese. Il patrimonio manifatturiero italiano è rappresentato da 596.230 imprese, con 16.274.335 addetti, di cui il 47,2 per cento in micro imprese sotto i 9 addetti, il 58,1 per cento in micro e piccole imprese fino a 20 addetti e il 67,9 per cento in piccole imprese sotto i 50 addetti. In Europa siamo ancora il secondo Paese manifatturiero, mentre sullo scenario internazionale siamo scivolati in sei anni dal quinto all'ottavo posto nella graduatoria delle principali nazioni industriali, e per questo dobbiamo interrogarci su quali strumenti adottare per invertire la tendenza e ricominciare a risalire la china facendo i conti con le nuove economie emergenti nel mondo.
  Dobbiamo intervenire prima che sia troppo tardi per porre rimedio all'erosione che progressivamente si va manifestando nel campo del manifatturiero. Pur difendendo ancora il primato mondiale in settori come il tessile, l'abbigliamento, il cuoio, la pelletteria e le calzature, nella meccanica e nei manufatti, tra il 2007 e il 2013 la produzione in Italia è diminuita in media del 5 per cento l'anno, una contrazione senza uguali rispetto ai competitori internazionali.
  È questo il quadro complicato con cui l'Italia si trova a fare i conti, da un lato punta di eccellenze e un grande patrimonio manifatturiero fatto di conoscenze, maestranze e professionalità di alto profilo, e dall'altro il diffuso stato di sofferenza in cui versa il nostro sistema produttivo. In questa cornice si inserisce la nostra battaglia per la difesa, la tutela e il rilancio del made in Italy, che non può essere ridotto a un timbro da apporre su un prodotto che transita in Italia prima di finire sul mercato, ma deve diventare il biglietto da visita di un prodotto di qualità che contenga al suo interno la storia, la tradizione e il saper fare italiano.
  Una vera battaglia sul made in Italy e quindi su una maggiore qualità dei prodotti si vince solo se si sgombra il campo da qualsiasi furberia.
  Finché le aziende potranno produrre in giro per il mondo, e in particolar modo in Paesi dove il costo del lavoro è tra i più bassi e senza tutele per le lavoratrici e i Pag. 46lavoratori, e all'Italia lasceranno solo la parte residuale e finale della produzione, così da poter aggiungere solo un marchio a prodotti che per questo potranno essere considerati made in Italy, saremmo di fronte a un falso, perché un qualsiasi prodotto per essere definito veramente italiano deve utilizzare in tutte le fasi di produzione, dalle materie prime, alla trasformazione, alla distribuzione, materiali, mano d'opera e industrie presenti nel nostro territorio.
  Per questo, serve al nostro Paese un'idea di politica industriale che investa sulla ricerca, attraverso una definizione di politiche strategiche nazionali in materia di tecnologia, sulla pianificazione, sulle infrastrutture, su una maggiore interazione con i principali poli universitari, sulla formazione di manodopera di qualità. Serve una politica industriale che aiuti le imprese ad affrontare la concorrenza internazionale, che le incentivi a mantenere in Italia le produzioni, ponendo un freno alle tante delocalizzazioni all'estero che già stanno avvenendo e che impoveriscono progressivamente tutto il nostro sistema produttivo, quanto il nostro tessuto sociale, con posti di lavoro che si perdono e interi distretti che si desertificano.
  In Italia, ancora oggi, le piccole imprese detengono un numero di occupati maggiore di quello delle grandi imprese. L'affermazione della piccola impresa si è fondata sulla valorizzazione di imprese locali, capaci di attivare relazioni con ambiti più vasti nazionali ed internazionali. È a questo mondo che dobbiamo guardare se vogliamo continuare ad affermare in Italia e nel mondo le produzioni locali, dall'agroalimentare, alla pelletteria, al tessile e, allo stesso tempo, salvare la nostra industria dalla concorrenza internazionale lecita o meno lecita che sia.
  Chiarito quindi che un prodotto made in Italy è tale solo se l'intero ciclo produttivo, dalle materie prime alla commercializzazione, avviene realmente nel nostro Paese, siamo consapevoli come la contraffazione e la concorrenza sleale sul costo del lavoro e sulla qualità delle materie utilizzate contribuiscano a danneggiare il nostro sistema manifatturiero, specialmente quelle medie e piccole realtà che in questi anni hanno resistito tra mille difficoltà al peso della crisi e alla competizione internazionale. Infatti, è chiaro che le imprese che producono merce contraffatta sfuggono a qualsiasi controllo da parte dello Stato, sia dal punto di vista fiscale, che da quello più strettamente legato alle condizioni di lavoro, ai salari delle lavoratrici e dei lavoratori, il più delle volte costretti a lavorare in nero, all'assenza di norme sulla sicurezza sul lavoro. I capitali che poi vengono utilizzati spesso sono di dubbia provenienza e legati alla criminalità organizzata, che gestisce sia le produzioni locali, spesso fatiscenti e al di fuori di ogni norma, che la messa sul mercato e la vendita per strada dei prodotti contraffatti, costruendo un'economia parallela, fatturando miliardi di euro sullo sfruttamento delle persone e sull'utilizzo di materie di cui non si conosce la provenienza. Il contraffattore non ha nessun interesse ad investire nella buona qualità dei materiali impiegati, nei sistemi di controllo, nella qualità degli oggetti e prodotti, nella ricerca e nello sviluppo volti alla continua innovazione e infine nello sviluppo di tecniche di comunicazione e vendita volte a proporre i propri prodotti.
  Questo è il terreno privilegiato sul quale il Governo deve sfidare i produttori di merci contraffatte, quello della lotta agli interessi della criminalità, che hanno dietro questo ampio mercato, non consegnando le imprese alla malavita organizzata, e lavorando all'emersione del lavoro nero e al ripristino di diritti oggi negati dalla condizione di schiavitù a cui sono sottoposti tanto gli operai che producono merce contraffatta, quanto i venditori ambulanti spesso abusivi che incrociamo nelle nostre strade.
  Occorre inoltre un intervento di tipo culturale, che metta il consumatore nelle condizioni di prestare più attenzione alla merce che acquista, valutando la reale qualità del prodotto e, in alcuni casi, anche le controindicazioni che tali prodotti di scarsa qualità e di ignota provenienza Pag. 47possono avere sulla salute e sulla sicurezza, specialmente quando si tratta di prodotti più delicati, come i farmaci, il cibo o i giocattoli per bambini.
  Per tutte queste ragioni chiediamo al Governo di impegnarsi ad adottare gli opportuni provvedimenti tesi a potenziare le campagne informative, nelle scuole di istruzione primaria e secondaria, sulla gravità del fenomeno della contraffazione, rafforzando, al contempo, gli strumenti di sensibilizzazione dei consumatori italiani utilizzati sino ad oggi dalle istituzioni pubbliche; ad assumere ogni iniziativa volta a potenziare il controllo della diffusione delle merci contraffatte su Internet; ad adottare con urgenza ogni atto di competenza, anche presso le competenti sedi europee, volto ad arginare il dirompente fenomeno della contraffazione, che contribuisce a danneggiare le imprese del nostro Paese, sollecitando gli Stati membri dell'Unione europea ad attuare un efficace e continuo monitoraggio in tempo reale delle importazioni extracomunitarie, così da garantire la piena attuazione dei divieti e delle correlative sanzioni previste a livello nazionale ed europeo.
  Chiediamo, inoltre, al Governo di impegnarsi affinché adotti ogni atto di competenza volto a dotare le dogane italiane di strumenti tecnologici adeguati al controllo qualitativo delle merci, al fine di individuare la presenza di sostanze vietate per legge e pericolose per la salute pubblica; ad individuare specifici indirizzi per sostenere e tutelare il made in Italy, promuovendo l'immagine dell'Italia all'estero, anche attraverso l'implementazione di strumenti efficaci a contrastare gli abusi di mercato e la contraffazione; ad implementare le risorse finanziarie attualmente previste per il sostegno alla competitività e allo sviluppo delle imprese; a potenziare i sistemi di vigilanza e di repressione dei fenomeni di contraffazione dell'agroalimentare e del made in Italy, a tutela della qualità e della sicurezza agroalimentare, in linea con le politiche pubbliche che attribuiscono ai prodotti di qualità un'importanza strategica per accrescere la capacità di penetrazione nei mercati internazionali.
  Infine, chiediamo che il Governo ponga in essere ogni atto di competenza finalizzato, nel contesto della Presidenza italiana dell'Unione europea, a far approvare in via definitiva le disposizioni del regolamento del «made in», già approvate dal Parlamento europeo in data 15 aprile 2014, che rende obbligatoria l'indicazione di origine controllata in etichetta per garantire la piena tracciabilità del prodotto e a porre in essere ogni atto di competenza finalizzato a garantire la piena attuazione della legge, approvata all'unanimità dal Parlamento italiano nel 2011, che individua nell'indicazione in etichetta del luogo di origine del prodotto lo strumento idoneo a informare correttamente il consumatore su ciò che acquista.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fantinati, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00526. Ne ha facoltà.

  MATTIA FANTINATI. Grazie Presidente. Onorevoli pochi colleghi, 6 miliardi e mezzo di euro: questo è il valore della contraffazione per il mercato italiano secondo Confesercenti, dato che sale a 7 secondo Confindustria, che ha stimato il valore complessivo dei prodotti contraffatti nel Paese. Allargando lo sguardo, per la Banca mondiale il volume d'affari della contraffazione si aggirerebbe intorno ai 350 miliardi di euro, pari al prodotto interno lordo dei 150 Paesi meno ricchi.
  Ma non serve andare così lontano per capire quanto il fenomeno, anche solo in Italia, sia davvero allarmante. Lo è per le entrate fiscali dello Stato, perché la contraffazione provoca una perdita per il bilancio di circa 5 miliardi di euro l'anno, una quota pari al 2,5 per cento del gettito dello Stato. È un fenomeno drammatico anche in termini sociali, se si considera che la totale sconfitta del fenomeno garantirebbe in Italia quasi 130 mila posti di lavoro.
  Quali sono le cause ? Intanto, una principale è la delocalizzazione (io e il nostro gruppo parlamentare lo ripetiamo sempre). È una vera piaga per l'economia Pag. 48nazionale e non solo. Perché ? Perché sottrae agli italiani posti di lavoro preziosi. Delocalizzare alcune o intere fasi di un processo produttivo comporta un allungamento della filiera produttiva oltre i confini nazionali.
  Significa che segmenti sempre più consistenti di lavorazione vengono realizzati in luoghi esterni all'azienda madre, in alcuni casi a migliaia di chilometri di distanza da essa. Significa, soprattutto, che il know-how originario relativo alla produzione di un determinato bene viene condiviso da un numero sempre maggiore di individui, che diventano così capaci di realizzare prodotti del tutto identici a quello originale.
  La delocalizzazione, spesso, è un regalo che noi facciamo all'industria della contraffazione. Quando si parla di delocalizzazione, non siamo assolutamente contrari alla delocalizzazione «buona», quando si parla di aprire nuovi siti produttivi, magari, per andare incontro alle esigenze di determinati prodotti, commercializzati nei Paesi dove poi il prodotto viene venduto. Tuttavia, quando, invece, si delocalizza e si chiude in Italia, noi, purtroppo, anzi, per fortuna, siamo assolutamente contrari. È una cosa che per l'industria italiana sicuramente provoca un calo di posti di lavoro, un calo di giro di affari e anche un calo di entrate economiche per lo Stato.
  Un'industria che ha imparato bene come sfruttare questa occasione. All'interno dei laboratori che producono per le imprese legali viene realizzata merce sotto forma di sovrapproduzione degli ordinativi; merce che viene venduta, poi, attraverso il mercato nero. Oppure sono gli operai stessi che, dopo avere acquisito know-how dentro ai laboratori che producono per l'impresa madre, prestano le loro conoscenze per la creazione di prodotti contraffatti. Infine, ad alimentare quell'industria, possono essere individui che semplicemente entrano in possesso di un bene e cercano di riprodurlo.
  Allora, quando si parla di lotta alla contraffazione, quando si parla di difesa del made in Italy, dobbiamo partire da qui, dal nostro Paese. Ma questo scenario dimostra come non siano sufficienti soltanto le leggi italiane. Questa lotta deve essere, innanzitutto, attuata a livello comunitario. Il Consiglio europeo non ha mai discusso la proposta di regolamento relativa all'indicazione del Paese di origine di alcuni prodotti industriali.
  È vero, ha approvato qualche risoluzione, questo sì, ribadendo il diritto dei consumatori europei ad un accesso immediato alle informazioni relative agli acquisti, invitando la Commissione e il Consiglio ad istituire meccanismi di vigilanza, chiedendo che alcuni beni importati da Paesi extra Unione europea indichino chiaramente il Paese di origine. È stata approvata anche un'ulteriore risoluzione del Consiglio europeo, che prevede l'uso obbligatorio del marchio d'origine per quei prodotti importati nell'Unione europea da Paesi terzi quali abiti, scarpe e gioielli, ma è evidente che tutto ciò non basta.
  I numeri crescenti di questo fenomeno lo dimostrano. In Italia le cose non vanno meglio, anzi, invece di andare avanti con strumenti in grado di combattere la contraffazione, si fanno passi indietro. Degli esempi: una legge, la n. 350 del 2003 (legge finanziaria 2004), è stata modificata dall'articolo 17 della legge n. 99 del 2009, trasformando la fallace indicazione da illecito penale ad amministrativo. Inoltre, ha disposto che il titolare di marchio registrato che importi prodotti realizzati in Paesi terzi ha dall'obbligo di fornire una dichiarazione con cui si impegna ad assicurare un'idonea informazione sul luogo di produzione delle merci in fase di commercializzazione. In questo modo, l'eventuale controllo viene posticipato ad una fase successiva, quella dell'effettiva commercializzazione.
  Una modifica gravissima quella fatta dalla legge n. 99 del 2009, che ha fortemente indebolito la norma in termini di deterrenza e ha, soprattutto, consentito di eludere, rendendolo inefficace, il «momento doganale» quale focus dell'azione di controllo nei punti di entrata italiani nell'Unione europea. Questa gravità è stata segnalata anche dall'Agenzia delle dogane, che ha chiesto con urgenza una riscrittura Pag. 49di questa legge. La Commissione attività produttive sta lavorando su questa emergenza, richiedendo, a seguito dell'audizione con l'Agenzia delle dogane, una riscrittura della legge n. 350 del 2003. In Commissione, inoltre, è in discussione una proposta di legge, la n. 1454, recante «Agevolazioni per l'introduzione di sistemi anticontraffazione».
  Il MoVimento 5 Stelle ha più volte espresso in diversi atti di indirizzo la necessità di misure efficaci a tutela del made in Italy, sia a livello europeo che nazionale, e questa è l'ennesima azione che facciamo per sollecitare interventi urgenti nella lotta alla contraffazione.
  Questa mozione, quindi, impegna il Governo: ad utilizzare, in sede di Unione europea, sfruttando anche l'occasione offerta dal semestre italiano, tutti gli strumenti idonei a far sì che venga adottato il regolamento per la denominazione dei prodotti extraeuropei e l'etichettatura obbligatoria sul «made in»; lo scopo è la tutela delle imprese, dei lavoratori, dei consumatori e delle loro famiglie. E ancora: ad adoperarsi in sede europea affinché venga adottata un'iniziativa legislativa che abbia lo scopo di istituire opportuni meccanismi di vigilanza e di lotta contro la frode in campo doganale, ad individuare misure volte all'adozione di campagne informative sul made in Italy nei confronti di consumatori esteri e ad intensificare i controlli oltre frontiera. E, fondamentale, la mozione impegna il Governo a riscrivere la legge n. 350 del 2003, secondo le indicazioni date dall'Agenzia delle dogane e, infine, a riordinare e razionalizzare il sistema degli incentivi che attualmente sono fermi presso gli enti per l'internazionalizzazione, con particolare attenzione al credito e all’export. Il marchio made in Italy non è un marchio come tutti gli altri che descrive la mera provenienza. Ricordiamo che il marchio made in Italy è il terzo marchio a livello mondiale, dopo Visa e Coca Cola. È un valore aggiunto che fornisce alla merce quella qualità e creatività che a noi italiani ci hanno resi famosi in tutto il mondo.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fitzgerald Nissoli, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00527. Ne ha facoltà.

  FUCSIA FITZGERALD NISSOLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori rappresentanti del Governo, in questi giorni si è dibattuto sul cosiddetto «decreto cultura», considerando anche il ruolo essenziale della cultura per il nostro Paese e il suo valore economico, un valore elevato tanto che la filiera culturale italiana vale il 15 per cento del PIL italiano, generando, di conseguenza, un importante indotto occupazionale. Oggi ci confrontiamo sulla difesa del made in Italy e ritengo che le due cose hanno strette connessioni. Il nostro patrimonio culturale, infatti, ha influenzato – oserei dire – il made in Italy e si coniuga egregiamente con il nostro sistema economico e produttivo, contribuendo a costruire l'immagine del brand Italia nel mondo e influenzando in maniera positiva la percezione che gli stranieri hanno dello stile e del gusto italiani. Il made in Italy ha assunto nel nostro sistema Paese una centralità strategica, sia comunicativa, che commerciale, tale da qualificarsi come metabrand, piuttosto che come semplice marca-territorio. Ora tocca a noi compiere i passi necessari per difenderlo, mantenendo saldo il legame che tale brand ha con il prodotto italiano oggi esposto alla concorrenza del mercato globalizzato e agli attacchi della contraffazione.
  Signori rappresentanti del Governo, difendere il made in Italy allora significa difendere l'immagine del vivere italiano nella percezione degli stranieri e ancora di più dobbiamo farlo alla vigilia di Expo 2015 che verrà posta al centro delle azioni tese a rilanciare il progetto di internazionalizzazione delle nostre imprese. Se da un lato abbiamo il persistere della crisi economica, in Italia, in Europa e sul piano mondiale si registra un incremento della classe media mondiale con 800 mila persone in più nei prossimi 15 anni, secondo Pag. 50alcune stime, pronte a fruire di quei beni e di quello stile che è sinonimo di benessere e di cui l'Italia è espressione. Si stima addirittura un potenziale incremento dell’export per 50,5 miliardi di euro, un mercato da intercettare con il nostro brand, incrociando, oltre i luoghi classici di esportazione, la domanda che viene dai Paesi ad economia emergente sul piano globale come Cina, Messico, Turchia, Brasile ed altri, ma anche sapendo venire incontro ai nuovi Paesi che si affacciano con forza sulla finestra dell'economia mondiale come il Qatar. Abbiamo di fronte una grande opportunità che possiamo cogliere valorizzando in termini di rete anche le comunità italiane nel mondo e migliorando il funzionamento di quei sistemi sinergici di promozione del nostro sistema Paese all'estero, di cui abbiamo spesso parlato, ma gli sforzi sarebbero vani se non riuscissimo a porre in essere un'efficace strategia di tutela del prodotto made in Italy; e questo è quello che chiediamo con questa mozione.
  Sappiamo tutti che il made in Italy abbraccia un vasto campo dell'attività produttiva del nostro Paese, con punte in quei settori notoriamente definiti con le quattro “a” (abbigliamento-moda, arredo, alimentare e automazione). Dunque, proprio per questo, il danno che può provocare la contraffazione è ancora più pesante, in considerazione del fatto che gli introiti da esportazioni mondiali di prodotti made in Italy nel 2013 sono stati di oltre 68 miliardi di euro.
  Ma la contraffazione non fa male solo all’export, infatti danneggia di pari grado anche il mercato interno, allorché non si è in grado di distinguere la differenza tra il prodotto italiano e quello dell’italian sounding, che a livello mondiale rappresenta un giro di affari pari a 147 milioni di euro al giorno, oppure quello completamente contraffatto, se non dopo averlo usato o, se è un prodotto alimentare, averne constatato le caratteristiche organolettiche, cioè dopo che ce lo siamo mangiato.
  Voglio ricordare a tale proposito che uno dei punti fondamentali della promozione del made in Italy è costituito dai prodotti agroalimentari, di cui il successo della ristorazione italiana all'estero è espressione concreta. Pertanto, deve tornare ad assumere un ruolo centrale nelle strategie promozionali integrate, come chiediamo nella nostra mozione, anche attingendo al patrimonio costituito dall'attività dell'associazione «Ciao Italia», che per ben trent'anni ha rappresentato la volontà di migliorare la qualità della ristorazione italiana, facendo conoscere i prodotti di qualità con una rete che si inquadra nella più genuina tradizione culturale italiana.
  Si è già fatto parecchio per tutelare il «made in Italy», ma non basta. Bisogna proseguire su questa strada e vogliamo sostenere il Governo a farlo. Nella nostra mozione abbiamo chiesto al Governo di operare, durante il semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea, per fare approvare in via definitiva le disposizioni del regolamento del made in, disposizioni già approvate dal Parlamento europeo. Vogliamo costruire attorno al prodotto «made in Italy» una rete amica, che sia parte effettiva del nostro sistema Paese e, pertanto, abbiamo chiesto di valorizzare le nostre comunità all'estero, in funzione promozionale e di garanzia del prodotto italiano di qualità, a fianco di una struttura di vigilanza anticontraffazione, da istituire presso le nostre rappresentanze diplomatiche, in grado di tutelare il made in Italy in sede estera, in accordo con le norme interne del Paese in questione.
  Allo stesso tempo, chiediamo di operare per attivare filiere di qualità, riconoscibili a tutti attraverso la certezza dell'origine dei prodotti, e di difendere il made in Italy dalle possibili aggressioni celate nelle trattative sui negoziati di libero scambio, in essere e a venire, tra l'Unione europea e i suoi partner commerciali.
  In fondo, signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, certa della vostra sensibilità al riguardo, chiediamo una maggiore attenzione al nostro prodotto di qualità, difendendolo dalle aggressioni. Facendo questo, non facciamo altro che Pag. 51chiedervi di lavorare per lo sviluppo sostenibile del nostro Paese e la promozione del nostro patrimonio culturale, in un contesto di inesorabile globalizzazione economica nell'inscindibile binomio diplomazia culturale-diplomazia economica.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Senaldi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00529. Ne ha facoltà.

  ANGELO SENALDI. Signor Presidente, egregi colleghi, rappresentanti del Governo, attraverso la presentazione delle mozioni oggi all'ordine del giorno, si intende porre in evidenza una problematica assolutamente prioritaria per le prospettive del futuro del nostro Paese in termini di ricadute economiche ed occupazionali.
  Ma direi di più. Il made in Italy rappresenta la caratteristica della nostra gente, il gusto, la qualità del vivere, la bellezza, la capacità di intraprendere della nostra terra. Il mondo vede il marchio made in Italy come espressione di qualità, impegno, creatività e capacità di fare, sia intellettuale che manuale. Stiamo giocando una partita decisiva anche in termini culturali. Quest'aspetto deve essere fatto pesare nella discussione al livello europeo, discussione che sappiamo essere poco accettata e compresa da altre nazioni dell'Unione.
  I dati della contraffazione al livello globale sono impressionanti. Come segnalano la Commissione europea e l'Organizzazione mondiale delle dogane, il commercio di prodotti contraffatti rappresenta più del 7 per cento delle merci scambiate al livello mondiale, per un valore tra 300 e 350 miliardi, con un incremento, secondo alcune stime, nel decennio passato di più del 1.500 per cento.
  Se concentriamo l'attenzione sui prodotti italiani, il fenomeno contraffattivo incide per decine di miliardi di minor fatturato, con una perdita di almeno 130 mila posti di lavoro. Considerando il cosiddetto effetto dell’italian sounding, presente nel settore agroalimentare, che non si configura propriamente come una contraffazione di marchio o di prodotto, dobbiamo aggiungere altri 60 miliardi di perdita di fatturato, più del doppio delle attuali esportazioni agroalimentari. Inoltre, i dati dei sequestri effettuati dalla Guardia di finanza nel 2013, pari ad oltre 130 milioni di pezzi, indicano il nostro Paese come luogo sia di importazione che di produzione di merce falsa.
  Oltre alle perdite economiche, si innestano problematiche che riguardano la salute e la sicurezza dei cittadini: farmaci non controllati, tessuti, borse ed occhiali contenenti sostanze tossiche o cancerogene. Pensiamo solo all'esplosione delle dermatiti e delle malattie della pelle. Così come altri prodotti, come i giocattoli per bambini, contenenti metalli pesanti, sono sempre più presenti sul mercato interno, come conseguenza anche del moltiplicarsi degli acquisti via Internet, altro campo da monitorare con grandissima attenzione.
  In questi ultimi anni, attraverso l'introduzione di nuove normative sulle etichettature, si è cercato di contrastare il problema e di valorizzare il luogo di provenienza e produzione delle merci, assumendo la provenienza come indice di qualità. Ma la tutela del made in Italy si attua soprattutto attraverso la reale produzione di qualità e la consapevolezza degli acquirenti.
  La recente costituzione della Commissione di inchiesta sulla contraffazione intende supportare la crescita della percezione che la contraffazione ed il falso rappresentano un danno sia per l'economia che per il consumatore.
  È un fenomeno mutevole ed in continuo cambiamento ed aggiornamento nelle sue modalità di azione, e per questo anche difficile da cogliere in tutti i suoi aspetti.
  In questo quadro complesso, la mozione presentata intende sollecitare e sostenere il Governo, all'inizio anche del semestre di Presidenza del Consiglio europeo, affinché si possa procedere a monitorare l'iter del regolamento europeo relativo al «made in»; ad attivarsi per negoziare l'aggiornamento delle norme europee in materia agroalimentare, a partire dalla legge italiana del 3 febbraio 2011, n. 4; a sviluppare una lotta efficace ai Pag. 52fenomeni della contraffazione, anche potenziando la rete di vigilanza e delle analisi chimiche e fisiche e la repressione degli abusi in ambito europeo, con un controllo dei punti di entrata attraverso il sistema doganale; a sostenere la diffusione di tecnologie in grado di offrire una tracciabilità certa dei prodotti; a prevedere campagne assidue di informazione sui rischi e sui danni di prodotti non autentici.
  Infine, ribadisco che, insieme alle normative di etichettatura, è la consapevolezza del consumatore che può favorire la tutela del nostro made in Italy, sia sul mercato esterno che sul mercato globale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  Avverto che è stata testé presentata la mozione Rampelli ed altri n. 1-00530, il cui relativo testo è in distribuzione.

(Intervento del Governo)

  PRESIDENTE. Ora chiedo al Governo se intende intervenire in replica al dibattito.

  CARLO CALENDA, Viceministro dello sviluppo economico. Signor Presidente, con riferimento alle mozioni si riscontra quanto segue. Il Governo ha sempre posto un costante impegno alla tutela del made in Italy, sia per i prodotti alimentari che per quelli non alimentari. Per i profili di competenza, il Ministero dello sviluppo economico segue attentamente i lavori comunitari per la definizione di nuove regole per la tutela dell'origine dei prodotti.
  Allo stato, come ricorda anche l'onorevole Bergamini, sono aperti due tavoli di lavoro presso le istituzioni comunitarie: il primo sul regolamento della sicurezza generale dei prodotti non alimentari, il secondo relativo all'attuazione del regolamento UE n. 1169/2011, che disciplina l'etichettatura dei prodotti alimentari. Lo schema di regolamento per la sicurezza dei prodotti, all'esame del Consiglio dell'Unione europea, reca, all'articolo 7, previsioni per la tutela del «made in» e l'obbligo dell'indicazione di origine.
  Il Ministero ha sempre sostenuto tale orientamento, nella convinzione che l'indicazione di origine obbligatoria sia un tema cruciale per la sicurezza dei prodotti e per il corretto funzionamento del mercato interno, andando a colmare un vuoto legislativo a livello europeo.
  Infatti, l'indicazione del Paese di origine contribuisce a migliorare la tracciabilità del prodotto a beneficio delle autorità di sorveglianza del mercato; a rafforzare la fiducia dei consumatori nei confronti del mercato interno; a favorire il contrasto delle false indicazioni di origine; a rafforzare la competitività delle produzioni europee; a stabilire regole condivise e parità di condizioni tra gli operatori economici europei e non europei (level playing field), nel rispetto degli accordi WTO.
  La tracciabilità del prodotto nella catena di fornitura è un aspetto fondamentale del regolamento sulla sicurezza. In ragione della complessità crescente della distribuzione delle produzioni nell'economia globalizzata, nonché per le crescenti importazioni dai Paesi emergenti, è urgente la messa in atto di meccanismi efficaci di tracciabilità di origine per garantire l'effettiva sicurezza dei prodotti. L'indicazione di origine facilita, infatti, l'identificazione del luogo effettivo di produzione in tutti quei casi in cui non è possibile rintracciare tale informazione, o perché il fabbricante non è contattabile, o perché l'informazione non è reperibile, per esempio a causa dell'assenza della confezione del prodotto.
  Si tratta, inoltre, di un'informazione complementare a beneficio delle autorità di vigilanza del mercato, che potranno rafforzare la loro azione attraverso la cooperazione con le autorità del Paese di origine, nell'ambito della cooperazione bilaterale o multilaterale. I consumatori, grazie all'indicazione di origine, potranno servirsi di un'informazione che ne rafforzerebbe la fiducia, nell'ottica della trasparenza del Pag. 53mercato. Potranno, inoltre, trarre beneficio dai vantaggi associati alle produzioni europee in termini di elevati standard di sicurezza e qualità dei prodotti, nonché di standard sociali e ambientali.
  La proposta di regolamento ha ricevuto la sua approvazione nella seduta plenaria del Parlamento europeo dello scorso 15 aprile, confermando così il voto della Commissione parlamentare mercato interno (IMCO) del 17 ottobre 2013. Nel corso dell'esame in Consiglio, si sono invece venuti a contrapporre due fronti diversi sul tema dell'articolo 7: i Paesi favorevoli, tra cui Italia e Francia, e i Paesi contrari, in primis la Germania e i Paesi nordici. In questa sede, la Presidenza di turno greca non ha potuto finalizzare una posizione di compromesso tra i due gruppi di Paesi. In tutto il processo di esame in Consiglio, il Ministero dello sviluppo economico e la rappresentanza italiana a Bruxelles hanno sostenuto l'indicazione di origine, anche promuovendo alleanze bilaterali, in particolare, ma non solo, con la Francia. Anche in occasione di incontri su altri tavoli europei, come il gruppo EPG dei direttori generali per la politica industriale, sono stati portati avanti colloqui bilaterali per ampliare il gruppo dei Paesi favorevoli. Forte sostegno al «made in» è stato anche dato dal Ministro dello sviluppo economico in occasione di incontri bilaterali con omologhi europei. In tutto il processo si è collaborato con le associazioni di categoria e con i parlamentari italiani che siedono al Parlamento europeo per agire in sinergia e superare le resistenze. La proposta di regolamento tornerà ora al Consiglio per l'approvazione definitiva e rientrerà tra i temi d'interesse primario del Governo nel semestre di Presidenza italiana dell'UE.
  L'attuazione del regolamento (UE) n. 1169/2011 rappresenta anche il contesto normativo entro cui dare attuazione alla legge n. 4 del 2011, nello specifico all'articolo 4, che introduce l'obbligo della doppia indicazione di origine (materia prima e luogo dell'ultima sostanziale trasformazione) per i prodotti alimentari, rinviando a decreti attuativi le modalità di indicazione per ciascun prodotto alimentare. Com’è noto, infatti, nell'ambito della procedura di notifica del disegno di legge, poi divenuto legge n. 4 del 2011, la Commissione europea ha rilevato la non conformità della doppia indicazione d'origine al diritto comunitario, osservazione successivamente ribadita nel progetto pilota 5938/13/SNCO vertente sulla medesima materia.
  L'idoneo contesto normativo in cui operare per raggiungere le medesime finalità della legge n. 4 del 2011 è rappresentato, invece, dall'articolo 39 del regolamento (UE) n. 1169/2011, il quale prevede che gli Stati membri possano introdurre ulteriori disposizioni in particolare per ciò che attiene all'indicazione obbligatoria del Paese di origine e del luogo di provenienza degli alimenti, ove esista un nesso comprovato tra talune qualità dell'alimento e la sua origine o provenienza. Tale disposizione richiede che lo Stato membro dia corso all'indicazione obbligatoria di origine, non in via generale, ma per specifici prodotti, e solo dopo aver dimostrato che la maggior parte dei consumatori attribuisce un valore significativo alla fornitura di tali informazioni, tenendo conto, come prescritto nelle indagini comunitarie sulle indicazioni obbligatorie dell'origine di cui all'articolo 26, anche della disponibilità da parte del consumatore a pagare tali informazioni aggiuntive in termini di maggior prezzo del prodotto finale.
  Il regolamento (UE) n. 1169/2011, e in particolare il suo articolo 39, rappresenta, dunque, la strada per il superamento delle criticità incontrate in corso di notifica dell'articolo 4 della legge n. 4 del 2011 e dei decreti attuativi ivi previsti.
  Al riguardo, infine, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali riferisce che la legge 3 febbraio 2011, n. 4, venne a suo tempo notificata alla Commissione e che la relativa procedura di notifica si è conclusa favorevolmente per l'Italia, in quanto ritenuta non produttiva di effetti giuridici, stante l'articolo 4, ove è previsto che le modalità per l'indicazione di origine obbligatoria siano definite con appositi decreti interministeriali relativi a ciascuna filiera agroalimentare. Tuttavia, è Pag. 54intendimento del medesimo Ministero dare seguito all'impegno assunto e procedere a una piena attuazione del già citato articolo 4 della legge n. 4 del 2011 (così come richiesto nella mozione dell'onorevole Bergamini).
  Al riguardo, il medesimo Ministero ricorda che il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, all'articolo 3, comma 7, prevede che «il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali svolge, attraverso il proprio sito istituzionale, una consultazione pubblica tra i consumatori per valutare in quale misura, nelle informazioni relative ai prodotti alimentari, venga percepita come significativa l'indicazione relativa al luogo di origine o di provenienza dei prodotti alimentari e della materia prima agricola utilizzata nella preparazione o nella produzione degli stessi e quando l'omissione delle medesime indicazioni sia ritenuta ingannevole».
  Ai sensi dell'articolo 39, paragrafo 2, del citato regolamento (UE) n. 1169/2011, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, in collaborazione con il Centro di ricerca per gli alimenti e la nutrizione, svolge studi diretti a individuare, su scala territoriale, i legami tra talune qualità dei prodotti alimentari e la loro origine o provenienza.
  Giova evidenziare, inoltre, che l'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF), organo tecnico di controllo ufficiale di questo Ministero, al fine di salvaguardare i consumatori dall'eventuale commercializzazione di alimenti contraffatti, è impegnato frequentemente per garantire il rispetto delle regole nelle diverse fasi della filiera produttiva, attraverso verifiche continue e costanti nel comparto agroalimentare.
  Per tali motivi, l'ICQRF ha intrapreso misure di collaborazione con l'Agenzia delle dogane e le capitanerie di porto, per migliorare l'attività di monitoraggio dei flussi di introduzione dei prodotti agroalimentari provenienti da Paesi terzi ed evitare fraudolente commercializzazioni di alimenti falsamente dichiarati «italiani» sul territorio nazionale.
  Si evidenzia, inoltre, che il decreto 14 ottobre 2013, attuativo del regolamento dell'Unione europea n. 1151 del 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari «Pacchetto qualità», all'articolo 16 (protezione ex officio), ha individuato l'Ispettorato (ICQRF) quale autorità nazionale incaricata ad adottare le misure per prevenire o far cessare l'uso illegale delle denominazioni tutelate DOP-IGP prodotte o commercializzate in Italia.
  Nell'ambito della contraffazione, ulteriore tema inserito nella mozione dell'onorevole Fratoianni ed altri n. 1-00525 in esame, ovviamente collegato per un'efficace tutela del «made in», il MISE ha affiancato alle azioni di rilascio e promozione dei titoli di proprietà industriale le attività volte a ridurre le conseguenze negative dei fenomeni di concorrenza sleale e di contraffazione sul mondo produttivo e sui consumatori. L'obiettivo di lungo periodo è quello di giungere a una revisione critica dei modelli di consumo, utile al depotenziamento della domanda di prodotti contraffatti, anche attraverso delle attività di sensibilizzazione sui principali mezzi di comunicazione. Segnalo che nei primi mesi dell'anno, proprio per la rilevanza che ha il contrasto a tale fenomeno, è stata avviata una campagna di comunicazione contro la contraffazione. Tale campagna si è sviluppata attraverso spot televisivi e radiofonici e una presenza articolata su diversi mezzi di comunicazione, grazie anche al supporto del Dipartimento dell'editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri.
  Una particolare attenzione è stata rivolta alle nuove generazioni attraverso un protocollo d'intesa tra il MISE e il MIUR, con l'obiettivo di informare e formare, sulle tematiche in discorso, il corpo docente delle scuole del primo e secondo ciclo d'istruzione e stimolare gli allievi delle scuole di ogni ordine e grado del territorio nazionale.
  Il tema della contraffazione online, invece, e in particolare le caratteristiche che lo stesso assume e le pratiche con le quali si manifesta, è diventato negli ultimi anni Pag. 55oggetto di studio specifico da parte delle strutture del Ministero.
  Ad esso è dedicato un filone di ricerca nell'ambito dell'Osservatorio nazionale sul fenomeno della contraffazione, che si sostanzia in: un filone macroeconomico, con il cosiddetto rapporto Censis, che studia l'impatto della contraffazione a livello di sistema Paese; un'analisi settoriale, con lo stesso rapporto Censis, che calcola l'impatto su tutti i settori produttivi italiani, e con l'ulteriore l'indagine condotta con Unioncamere, relativamente ai settori calzature e occhiali, tesa a valutare la perdita di fatturato per le aziende dei due comparti; la misurazione dei risultati di enforcement, con il rapporto IPERICO, che annualmente fa il punto sui sequestri di prodotti contraffatti compiuti in Italia dalle varie forze dell'ordine; la ricerca realizzata con UNICRI, che analizza il coinvolgimento della criminalità organizzata transnazionale nella contraffazione; l'approccio psico-sociale, con le indagini qualitative e quantitative sui consumi di prodotti contraffatti, nonché sulla percezione e il vissuto dei consumatori nei confronti dell'acquisto di tali prodotti.
  Il filone di ricerca sulla contraffazione via Internet è stato avviato nel 2013 e si è concretizzato in uno studio realizzato insieme a Convey, presentato lo scorso gennaio.
  Il tema della contraffazione online rientra nelle priorità in materia di lotta alla contraffazione per il biennio 2014-2015. Sono, infatti, state assunte tre grandi aree prioritarie – tutela del made in Italy; enforcement; lotta alla contraffazione via Internet –, trattate da specifiche commissioni tematiche al momento al lavoro, il cui approfondimento fornirà elementi di riflessione e indicazioni operative per la Presidenza italiana del semestre europeo e in vista di Expo 2015, come momenti topici di attenzione sulla materia.
  Aggiungo due punti a braccio, se me lo consente, Presidente, per toccare i temi sollevati dall'onorevole Fitzgerald Nissoli sull’italian sounding e sui desk anticontraffazione. L’italian sounding è un fenomeno che, talvolta, ha a che fare con la contraffazione e, molto più spesso, ha a che fare con il non riconoscimento delle nostre indicazioni geografiche. In particolare, il fenomeno del riconoscimento delle nostre indicazioni geografiche è il punto del riconoscimento incluso in tutte le negoziazioni che stiamo portando avanti attraverso la Commissione europea nei trattati di libero scambio. Il Canada ha riconosciuto per la prima volta – uno dei primi Paesi anglosassoni – molte nostre indicazioni geografiche; la madre di tutte le discussioni sarà quella con gli Stati Uniti, che stiamo conducendo proprio in questo periodo e sotto Presidenza italiana.
  Concludo dicendo che i desk anticontraffazione sono stati riaperti presso le ambasciate, ma sono stati riaperti in cinque Paesi per verificare il funzionamento e fare un test sul loro funzionamento prima di estenderlo a tutte le altre rappresentanze.

  PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Annunzio della formazione di una componente politica nell'ambito del gruppo parlamentare Misto (ore 18,52)

  PRESIDENTE. Comunico che, a seguito della richiesta pervenuta in data 4 luglio 2014, è stata autorizzata, a sensi dell'articolo 14, comma 5, del Regolamento, la formazione della componente politica denominata «Libertà e Diritti-Socialisti europei (LED)» nell'ambito del gruppo parlamentare Misto, cui aderiscono i deputati Titti Di Salvo, Claudio Fava, Vincenza Labriola, Luigi Lacquaniti, Fabio Lavagno, Gennaro Migliore, Martina Nardi, Ileana Cathia Piazzoni, Nazzareno Pilozzi e Alessandro Zan.
  La deputata Titti Di Salvo è stata designata quale rappresentante della nuova componente.

Per la risposta a strumenti del sindacato ispettivo (ore 18,53).

  GIUSEPPE L'ABBATE. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

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  GIUSEPPE L'ABBATE. Signor Presidente, ai sensi del comma 2 dell'articolo 134 del Regolamento, visto che sono trascorsi i termini stabiliti dallo stesso Regolamento dalla presentazione, chiedo che vengano poste all'ordine del giorno della prossima seduta delle Commissioni assegnatarie le seguenti interrogazioni a risposta scritta: n. 4-00614 del 28 maggio 2013, n. 4-02423 del 6 novembre 2013, a cui ho già sollecitato risposta in data 18 marzo 2014, n. 4-03028 del 20 dicembre 2013, a cui ho già sollecitato risposta in data 18 marzo 2014, n. 4-03810 del 4 marzo 2014 e n. 4-03968 dell'11 marzo 2014 e n. 4-04022 del 14 marzo 2014.

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì 8 luglio 2014, alle 9,30:

  1. – Svolgimento di una interpellanza e di interrogazioni.

  (ore 11 e al termine del punto 7)

  2. – Seguito della discussione del disegno di legge:
   Conversione in legge del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, recante disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo (C. 2426-A).
  — Relatori: Coscia, per la VII Commissione; Petitti, per la X Commissione.

  3. – Seguito della discussione della proposta di legge:
   CAUSI e MISIANI: Modifica all'articolo 11-quaterdecies del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, in materia di disciplina del prestito vitalizio ipotecario (C. 1752-A).
  — Relatore: Petrini.
  4. – Seguito della discussione della proposta di legge:
   CANCELLERI ed altri: Soppressione della società Equitalia Spa e trasferimento delle funzioni in materia di riscossione all'Agenzia delle entrate, nonché determinazione del limite massimo degli oneri a carico dei contribuenti nei procedimenti di riscossione (C. 2299-A).
  — Relatori: Pelillo, per la maggioranza; Cancelleri, di minoranza.

  5. – Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
   FIORIO ed altri; RUSSO e FAENZI; FRANCO BORDO e PALAZZOTTO; ZACCAGNINI ed altri; SCHULLIAN ed altri: Disposizioni in materia di agricoltura sociale (C. 303-760-903-1019-1020-A).
  — Relatore: Covello.

  6. – Seguito della discussione delle mozioni Bergamini ed altri n. 1-00524, Fratoianni ed altri n. 1-00525, Fantinati ed altri n. 1-00526, Fitzgerald Nissoli ed altri n. 1-00527, Dorina Bianchi ed altri n. 1-00528, Senaldi ed altri n. 1-00529 e Rampelli ed altri n. 1-00530 concernenti iniziative per la tutela del made in Italy.

  (ore 15)

  7. – Esame e votazione delle questioni pregiudiziali riferite al disegno di legge:
   Conversione in legge del decreto-legge 26 giugno 2014, n. 92, recante disposizioni urgenti in materia di rimedi risarcitori in favore dei detenuti e degli internati che hanno subito un trattamento in violazione dell'articolo 3 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nonché di modifiche al codice di procedura penale e alle disposizioni di attuazione, all'ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria e all'ordinamento penitenziario, anche minorile (C. 2496).

  La seduta termina alle 18,55.

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ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI DI ESAME DELLE MOZIONI 1-00524 E ABB.
Mozioni n. 1-00524 e abb. – Iniziative per la tutela del made in Italy
Tempo complessivo, comprese le dichiarazioni di voto: 6 ore (*).

Governo 25 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 5 minuti
Interventi a titolo personale 1 ora (con il limite massimo di 7 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 4 ore e 20 minuti
 Partito Democratico 1 ora e 13 minuti
 MoVimento 5 Stelle 35 minuti
 Forza Italia – Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente 27 minuti
 Nuovo Centrodestra 19 minuti
 Scelta civica per l'Italia 19 minuti
 Sinistra Ecologia Libertà 19 minuti
 Lega Nord e Autonomie 18 minuti
 Per l'Italia 17 minuti
 Fratelli d'Italia – Alleanza Nazionale 15 minuti
 Misto: 18 minuti
  Libertà e Diritti – Socialisti europei (LED) 6 minuti
  Minoranze Linguistiche 3 minuti
  Centro Democratico 3 minuti
  MAIE – Movimento Associativo italiani all'estero – Alleanza per l'Italia (API) 3 minuti
  Partito Socialista Italiano (PSI) – Li berali per l'Italia (PLI) 3 minuti

(*) Al tempo sopra indicato si aggiungono 5 minuti per l'illustrazione di ciascuna mozione.

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