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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 249 di giovedì 19 giugno 2014

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARINA SERENI

  La seduta comincia alle 9,30.

  RAFFAELLO VIGNALI, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Alfreider, Bindi, Biondelli, Boschi, Brescia, Caparini, Corda, Dambruoso, Del Basso De Caro, Duranti, Epifani, Ferranti, Gregorio Fontana, Fontanelli, Carlo Galli, Marazziti, Meta, Migliore, Ottobre, Pes, Piras, Pisicchio, Portas, Ravetto, Ricciatti, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Scopelliti, Speranza, Tabacci e Valeria Valente sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente centouno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

  Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione delle mozioni Binetti ed altri n. 1-00209, Palese ed altri n. 1-00497, Dall'Osso ed altri n. 1-00498, Zampa ed altri n. 1-00501, Palazzotto ed altri n. 1-00502, Rondini ed altri n. 1-00504 e Dorina Bianchi ed altri n. 1-00506 concernenti iniziative in relazione al fenomeno dei minori stranieri non accompagnati (ore 9,40).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Binetti ed altri n. 1-00209, Palese ed altri n. 1-00497, Dall'Osso ed altri n. 1-00498, Zampa ed altri n. 1-00501, Palazzotto ed altri n. 1-00502, Rondini ed altri n. 1-00504 e Dorina Bianchi ed altri n. 1-00506 concernenti iniziative in relazione al fenomeno dei minori stranieri non accompagnati (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritta a parlare la deputata Paola Binetti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00209. Ne ha facoltà.

  PAOLA BINETTI. Signor Presidente, rappresentante del Governo, il tema dei minori non accompagnati ci raggiunge in questi giorni ogni volta con una evidenza, con una forza e con una drammaticità che fanno sì che questa mia mozione, che era stata presentata nell'ottobre scorso, sembri quasi scritta ieri, tenendo conto delle ultime notizie che ci raggiungono continuamente.
  Mi riferisco a queste ondate costanti e continue per cui, dalle coste dell'Africa in Pag. 2modo particolare, ma anche dal vicino Medio Oriente, ma anche dall'interno, poi, dei Paesi europei, arrivano costantemente in Italia minori stranieri non accompagnati. Diverse sono le loro fasce di età, diversi sono i Paesi di provenienza, eterogenee le motivazioni che inducono a tentare l'avventura migratoria. Molti di loro lasciano i propri Paesi, come accade per i ragazzi che vengono dalla Siria, per le minacce concrete alla loro vita. Altri, invece, risalgono dal centro Africa verso le coste africane e nord-africane, attraverso dislocazioni territoriali forzate, nella speranza di poter raggiungere condizioni di vita migliori. Altri ancora provengono da condizioni di precarietà economiche e sociali, o di vero e proprio sfruttamento.
  Ci sono ragazzi che arrivano per fenomeni di maltrattamento in ambito familiare, per la perdita dei parenti adulti, per spirito di avventura che spinge all'esplorazione di contesti nuovi. Per molti di loro c’è la volontà concreta di accedere a una speranza, di accedere a condizioni di vita migliori o anche ad un mercato che permetta loro di avere condizioni prima professionali e successivamente anche di stili di vita migliori di quelli che lasciano.
  Ci sono, quindi, tante cause diverse e tanti Paesi diversi, anche tante fasce di età diverse. Ed è per questo che sono diversi i loro bisogni, che vanno individuati con molta concretezza per poter rispondere a quello che è l'obiettivo principale: il supremo interesse del minore.
  Per fare un esempio, per dare qualche numero, sono state circa 7 mila, quasi 2 al giorno, le persone che sono morte negli ultimi anni nel tentativo di attraversare il canale di Sicilia in cerca di asilo. Tra queste, i bambini morti sui barconi sono quelli che, in un certo senso, hanno retto meno alla precarietà di un viaggio faticoso. Ma questo rende anche difficile a volte ripercorrere le condizioni concrete dell'identità di questi soggetti. Alcuni viaggiano con documenti corretti, altri viaggiano con documenti falsificati e, tra la falsificazione dei dati, c’è anche la falsificazione del dato relativo all'età, perché è evidente che, dichiarando un'età minore, aumentano le prospettive, maggiori e migliori, per questi ragazzi di poter essere inseriti e di poter godere di una serie di privilegi. Ma proprio per questo è necessario che le indagini che si svolgono per accertare sia la loro identità e, come parametro fondamentale dell'identità, anche l'età, siano tempestive e capaci di garantire davvero a queste persone la possibilità di essere poste nella migliore situazione concreta di cui possano far parte.
  Bisogna anche tenere conto che spesso le famiglie da cui provengono questi soggetti non sono famiglie che li hanno abbandonati. Sono famiglie che si sono sottoposte a sacrifici enormi per poter mettere nelle mani degli scafisti una cifra non indifferente, che supera i mille euro e qualche volta raggiunge anche i duemila dollari, per potergli permettere soltanto di salire su quel barcone, che non sempre sarà fonte di vita migliore, ma a volte può essere, appunto, una sorta di tomba anticipata.
  Noi abbiamo una normativa abbastanza interessante, abbiamo una normativa italiana: il Governo, nel 1998, ha apportato alcune modifiche alla condizione giuridica del minore straniero non accompagnato, per definire meglio le diverse problematiche dell'affidamento, della tutela e della accoglienza. Tra la normativa internazionale, vale la pena ricordare la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, la Convenzione di Lussemburgo, la Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli del 1996 e la direttiva del 2003 della Comunità europea. E questo perché ci interessa ? Perché in questo lungo processo vengono tutelati con chiarezza – a me sembra di poterli identificare – soprattutto tre diritti fondamentali dei minori: il diritto ad avere una famiglia, il diritto ad essere inseriti in un contesto familiare in cui il supremo interesse del minore sia davvero al centro delle scelte e delle decisioni e per questo, proprio perché il supremo interesse del minore sia al centro di qualunque decisione, tutta la normativa tende a coinvolgere sempre di più il minore nei processi decisionali che Pag. 3lo riguardano. C’è, proprio in funzione di questo, anche il diritto all'istruzione, perché possa, davvero, ricevere quelle condizioni di formazione e di istruzione che gli permetteranno, domani, vuoi di proseguire gli studi, vuoi di accedere ad un lavoro; e per questo c’è anche l'impedimento a essere inseriti nel lavoro prima del sedicesimo anno di età, e poi c’è il diritto alla salute, diritto alla salute che prescinde totalmente anche dal permesso di soggiorno. Questi ragazzi sono naturalmente e, direi, giuridicamente iscritti nel nostro sistema sanitario nazionale perché possano godere di tutte le condizioni che, in qualche modo, garantiscono qualità di vita.
  Famiglia, istruzione e salute sono considerati diritti fondamentali di cui questi ragazzi debbono godere. Certamente sono ragazzi che portano dietro di loro delle ferite, ferite legate alle loro storie, ferite legate ai loro viaggi, ferite comunque legate ad una sorta di abbandono, oltre anche alle difficoltà concrete ad inserirsi nel contesto in cui si vive, contesto che non sempre è così amabile, contesto che non sempre è così favorevole, contesto che, a volte, può presentare delle punte di ostilità che rinnovano il dolore, la sofferenza e il disagio di questi ragazzi.
  Quello che è interessante sottolineare è che recentemente sono stati talmente numerosi i ragazzi arrivati che non si è riusciti a inserirli nelle famiglie e li si è piuttosto inseriti all'interno di piccole comunità educative. La comunità educativa, che ha sicuramente la possibilità di rispondere ad alcuni bisogni fondamentali del minore, non risponde certamente a quel bisogno di famiglia che è fatto da un contesto di relazioni privilegiate, quel contesto in cui l'anonimato della persona viene totalmente rimosso a favore della centralità dei suoi desideri, dei suoi diritti, dei suoi gusti e delle sue esigenze.
  Ricordo pochi numeri per tutti: su 1150 presenti nel centro di Lampedusa, 31 erano bambini tra uno e quattro anni – pensate al dramma di una madre che affida un bambino in mani estranee nella speranza che possa ottenere condizioni di vita migliori –, 78 avevano tra i 5 e i 14 anni e 453 di questi ragazzi avevano tra i 15 e i 24 anni. Tenete presente che l'età di 15 anni è un'età emblematica, perché questi ragazzi per poter poi ottenere al diciottesimo anno di età un permesso di soggiorno devono essere già residenti in Italia da tre anni e devono aver partecipato ad un progetto su misura per loro. Chiaramente, se arrivano dopo i 15 anni, quando arriveranno al diciottesimo anno di età non saranno trascorsi i tre anni. Questo ci dà la ragione del perché tante volte si bara un po’ sull'età: lo si fa semplicemente nella misura di una prospettiva che possa essere migliore per loro.
  Questa nostra mozione – ho letto anche le mozioni delle colleghe e posso, davvero, soltanto rallegrarmi della convergenza dei valori, del riconoscimento dei diritti e del desiderio di raggiungere, nella misura del possibile, una visione più unitaria possibile – ci porta a dire, sicuramente, che desideriamo che l'iter della legge che li riguarda possa avere un cammino più veloce, ma poi chiediamo che cosa ? Chiediamo di facilitare, per quanto di competenza, l'adozione di questi bambini, da parte delle coppie che sono state già dichiarate idonee. È un peccato non far coincidere la richiesta di famiglia di questi bambini con la richiesta di bambini che già molti nuclei familiari hanno espresso in Italia. Vogliamo poi proporre al Governo di assumere iniziative per introdurre l'istituto dell'affidamento familiare sulla base delle norme internazionali, finalizzato al compimento di uno specifico progetto di carattere familiare, umanitario, sanitario, di studio o di formazione professionale.
  Ma io voglio sottolineare soprattutto la dimensione familiare, perché oggi che si parla tanto del diritto ad avere un figlio vorrei sottolineare soprattutto il diritto del figlio ad avere una famiglia. Poi, dopo, certamente c’è bisogno di monitorare questi ragazzi in stato di abbandono. In un recente intervento, peraltro fatto qui alla Camera, dal Garante per l'infanzia, Spadafora, insieme a Save the Children, appariva con evidenza come molti di questi Pag. 4minori a un certo punto scompaiano, scompaiano dal nostro orizzonte. Non sappiamo, tra virgolette, che fine facciano. Ci sono anche dei sospetti molto importanti, sospetti che possano essere finiti in reti che hanno tutt'altro che garanzie di qualità di vita per loro. Ma noi abbiamo il dovere morale di sapere dove sono questi ragazzi, non per un bisogno di fiscalizzazione o di un controllo, ma proprio per un bisogno di qualificare la relazione di aiuto nei loro confronti.
  Anche per questo, secondo me, è fondamentale sostenere e promuovere la rete delle famiglie volontarie. Ogni bambino ha bisogno di una rete intorno, di un contesto allargato; questo può essere di grande aiuto. Poi c’è l'idea, che è già presente nel disegno di legge, che si possa creare una sorta di albo in cui le famiglie (le famiglie potenzialmente adottanti, le famiglie potenzialmente affidatarie e le famiglie volontarie) possano trovare la loro collocazione in modo che le risposte possano essere tempestive e non si debba ricorrere a mandare questi bambini in comunità. Lo sappiamo perché è un problema che in Italia abbiamo vissuto, anche pochi anni fa – io lo ricordo perfettamente –, quando sono stati chiusi totalmente tutti i cosiddetti orfanotrofi, che altro non erano che piccole comunità in cui i bambini senza famiglia – in questo caso erano bambini italiani – venivano accolti. Conosciamo le patologie che derivano da tutto questo.
  Ecco, noi non vorremmo offrire una soluzione che abbiamo già archiviato e considerato conclusa per i bambini italiani a questi bambini stranieri. Desideriamo davvero che il nostro Paese dimostri fino in fondo che la cifra della sua civiltà è la qualità dell'accoglienza che offre.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Rocco Palese, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00497. Ne ha facoltà.

  ROCCO PALESE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario, quotidianamente apprendiamo dei continui sbarchi di immigrati sulle nostre coste. Sono ormai dati da vero e proprio esodo, che si trasforma in emergenza umanitaria se solo si pensa che molti immigrati sono minori non accompagnati.
  Le cifre parlano di circa 25 mila migranti giunti nel nostro Paese dall'inizio del 2014, e secondo i dati del Ministero dell'interno centinaia di migliaia sarebbero già pronti a salpare verso l'Italia. Persone di cui non si conoscono la vera provenienza, le condizioni sanitarie e gli eventuali precedenti penali. Contestualmente agli sbarchi stanno crescendo anche le fughe dai centri di prima accoglienza e il dato più allarmante è quello secondo il quale a fuggire sono i propri minori, di cui si perdono completamente tracce.
  Il terzo rapporto ANCI sui minori stranieri non accompagnati, realizzato dal dipartimento immigrazione dell'ANCI, presenta i dati riferiti all'ultimo biennio raccolti dall'indagine rivolta a tutti i comuni italiani e a cui hanno risposto 5.784 amministrazioni, il 71,4 per cento del totale. Dai dati diffusi dall'ANCI si evince che su 5.784 amministrazioni sono 1.023 i comuni che hanno dichiarato di aver preso in carico minori non accompagnati, per un totale di 7.216 minori presi in carico nel 2008, e che a prendere in carico i minori non accompagnati sono principalmente le città con più di centomila abitanti, ma anche i comuni medi, che ne hanno accolto il 23 per cento e quelli medio-piccoli. Si legge, inoltre, nel rapporto ANCI, che l'aumento maggiore ha riguardato i minori originari dall'Afghanistan, che sono quasi triplicati. Sono poi sempre più consistenti gli incrementi di minori che giungono da Paesi africani instabili o in conflitto (Nigeria, Somalia, Eritrea), e dunque potenziali richiedenti asilo, ai quali si aggiungono coloro che provengono dall'Egitto. Alcuni di loro raccontano che il viaggio in mare è durato circa una settimana, durante il quale sono rimasti all'interno della cella frigorifera del peschereccio che li ha portati fino a qui, con cibo insufficiente distribuito a giorni alterni.
  La maggior parte dei minori stranieri non accompagnati ha un progetto migratorio ben definito: cercano per sé o per le Pag. 5proprie famiglie, in Italia o più spesso in Europa, un futuro migliore di quello che ritengono che il loro Paese di origine possa offrire. La loro condizione, il più delle volte, è triste conseguenza umanitaria della guerra, dalla quale cercano di fuggire nella speranza di un futuro. È il caso dei bambini siriani, ma anche di quelli provenienti dalla Somalia, dall'Etiopia e dall'Eritrea, dove ci sono scenari di guerra o comunque di guerre civili più o meno striscianti oppure scenari di assoluta povertà, per noi nemmeno immaginabili.
  L'attuale situazione di grave emergenza non è stata gestita come avrebbe meritato. Abbiamo già discusso della fallimentare esperienza della missione Mare nostrum, che il Ministro della difesa pro tempore quantificò in un milione di euro al mese, e che attualmente costa invece, sommate le indennità spettanti al personale e i costi di manutenzione necessari per l'uso straordinario dei mezzi, tra i 10 e i 14 milioni di euro al mese. La missione, vogliamo ribadirlo, doveva costituire un deterrente per organizzazioni criminali che gestiscono i viaggi dei migranti sulle coste dell'Africa territoriale verso l'Italia: e invece Mare nostrum incentiva fortemente la partenza dei migranti verso le nostre coste, favorendo quindi gli illeciti profitti di tali organizzazioni.
  Da gennaio ad aprile 2014 si sono registrati 25.650 arrivi in Sicilia e 660 in Puglia e Calabria; ed è un fenomeno che continuerà, perché già abbiamo la certezza, confermata da Frontex, che ci sono numerosissimi migranti sulle coste libiche che stanno cercando di partire. Sappiamo tutti, inoltre, che nel Regolamento di Dublino III rimane invariato il principio secondo cui il primo Stato di arrivo è quello competente a valutare le richieste di asilo e a sostenere gli oneri sociali ed economici corrispondenti, e che l'Italia è e rimane il primo Paese di accoglienza per l'Unione europea rispetto alla sponda nordafricana. È inoltre fatto noto che Frontex ha fatto sapere che il budget del 2014 è inferiore a quello per il 2013, e nonostante fosse stata richiesta una riserva del denaro extra budget, la Commissione europea ha negato: un punto sul quale è intervenuto il portavoce del Commissario agli affari interni Cecilia Malmström, Michele Cercone, spiegando che in realtà il bilancio ha subito un aumento di 4 milioni di euro circa.
  È di chiara evidenza, dunque, che questa situazione non va gestita in questo modo, con così tanta approssimazione: e non solo perché sono i cittadini di Lampedusa o della Puglia a chiedercelo, non solo perché non possiamo più essere la porta di un'Europa che intanto resta a guardare dalla finestra, ma soprattutto perché a chiederci un cambio di passo sono le centinaia di migliaia di ragazzini che giungono qua in Italia sperando in qualcosa di meglio, e che, ben che gli vada, restano per mesi dentro i centri di accoglienza promiscui e sovraffollati.
  L'attuale normativa italiana a protezione dei minori stranieri non accompagnati è ormai inattuale rispetto all'enorme mole emergenziale che il nostro Paese deve affrontare: si rendono necessarie pertanto delle migliorie atte a colmare tali lacune e ad aggiornare le procedure di accoglienza. È in questi giorni in discussione presso la I Commissione di questo ramo del Parlamento una proposta di legge di matrice trasversale volta proprio al miglioramento della fase di accoglienza, identificazione e primo conforto ai minori stranieri non accompagnati. Non è più rimandabile l'adozione il prima possibile di una procedura armonizzata, nell'interesse superiore del bambino, per trattare con minori non accompagnati allo stesso modo in tutto il territorio nazionale; ma la normativa rischia di rimanere in parte lettera vuota senza un parallelo impegno serio del Governo, che non può continuare ad ignorare quanto sta accadendo lungo le nostre coste. È necessario creare appositi centri speciali di accoglienza riservati ai minori non accompagnati, con particolare attenzione per quelli che sono vittime di traffico o sfruttamento sessuale, in conformità con i basilari principi di etica sociale e in accordo con i principi delle disposizioni della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo.Pag. 6
  È inoltre necessario che il Governo prenda in carico tutte le opportune iniziative, anche normative, affinché la permanenza in questi centri sia per il minore la più breve possibile e l'accesso all'istruzione e alla sanità siano garantiti durante e dopo la permanenza nei centri di accoglienza; ed è altrettanto necessario assicurare che sia previsto il rimpatrio assistito quando ciò corrisponda al superiore interesse del bambino, garantendo a questi stessi bambini l'assistenza per tutto il periodo successivo. A tal fine auspichiamo la creazione, d'intesa con il Ministero degli affari esteri ed in collaborazione con le organizzazioni internazionali accreditate, di percorsi di immigrazione assistiti per quei minori non accompagnati che transitano attraverso l'Italia manifestando l'intenzione di raggiungere altri Paesi europei dove hanno residenza loro familiari, al fine di porre in essere gli opportuni controlli che in tal senso eviterebbero a questi minori viaggi rischiosissimi e l'incertezza del futuro.
  Come possibilità alternativa, ma altrettanto auspicabile, auspichiamo che il Governo avvii tutte le opportune iniziative volte ad agevolare l'inserimento nel nostro ordinamento dell'istituto dell'affidamento familiare internazionale: un istituto che senz'altro potrebbe garantire, adeguatamente monitorato, le migliori condizioni per assicurare ai minori stranieri rispetto e il diritto a vivere e crescere in una famiglia. È inoltre di buon senso per tutti, sia per la sicurezza dei cittadini italiani che per quella dei minori stranieri non accompagnati, che il Governo assicuri l'espletamento di una procedura di accertamento di identità certa e uniforme su tutto il territorio nazionale, registrata nelle banche dati degli organi competenti alla gestione delle presenze di minori stranieri.
  Per questi, come per altri fini, è inoltre necessario che il Governo ponga in essere tutte le opportune iniziative di formazione ad hoc per il personale, sia militare che non, impiegato presso i luoghi più strategici per i flussi migratori, come porti e frontiere, in collaborazione con il personale delle organizzazioni internazionali accreditate.
  Per i fini elencati e per permettere al Parlamento italiano di condividere con il Governo quanto prima un'agenda europea per il semestre di Presidenza italiana che ponga come prioritario punto una collaborazione concreta sulla questione dell'immigrazione, con particolare riguardo per i minori, auspichiamo una celere e concorde approvazione della mozione odierna affinché sia dato un segnale forte ai cittadini italiani di impegno da parte delle istituzioni sulla tutela dei minori e degli indifesi.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Dall'Osso, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00498. Ne ha facoltà.

  MATTEO DALL'OSSO. Presidente, colleghi, la Convenzione dei diritti del fanciullo del 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge n. 176 del 1991, esprime sin dall’incipit, dall'articolo 1, la ratio relativa alla tutela del soggetto considerato fanciullo.
  Recito testualmente gli articoli maggiormente esplicativi. Articolo 1: «Ai sensi della presente Convenzione, si intende per fanciullo ogni essere umano avente un'età inferiore a diciotto anni». Articolo 2: «Gli Stati parti si impegnano a rispettare i diritti enunciati nella presente Convenzione e a garantirli a ogni fanciullo che dipende dalla loro giurisdizione, senza distinzione di sorta e a prescindere da ogni considerazione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o altra del fanciullo o dei suoi genitori o rappresentanti legali, dalla loro origine nazionale, etnica o sociale, dalla loro situazione finanziaria, dalla loro incapacità, dalla loro nascita o da ogni altra circostanza». Punto 2: «Gli Stati parti adottano tutti i provvedimenti appropriati affinché il fanciullo sia effettivamente tutelato contro ogni forma di discriminazione o di sanzione motivate dalla condizione sociale, dalle attività, opinioni professate o convinzioni dei suoi genitori, dei Pag. 7suoi rappresentanti legali o dei suoi familiari». Articolo 3: «In ogni legge, provvedimento, iniziativa pubblica o privata e in ogni situazione problematica, l'interesse del bambino adolescente deve avere la priorità». Articolo 6: «Gli Stati devono impegnare il massimo delle risorse disponibili per tutelare la vita, il sano sviluppo dei bambini anche tramite la cooperazione degli Stati». L'articolo 12 prevede il diritto dei bambini a essere ascoltati in tutti i processi decisionali che li riguardano e il corrispondente dovere anche per gli adulti di tenerne in adeguata considerazione le opinioni.
  Da questi 5 articoli della sopra citata Convenzione si evincono palesemente i principi di non discriminazione, superiore interesse, diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo, ascolto delle opinioni del minore; ma non solo la certezza del diritto dovrebbe essere super omnibus e tutti dovrebbero poter liberamente attingere, ma anche le tre religioni monoteiste esprimono con forza il ruolo del bambino.
  La Sacra Bibbia (Matteo, capitolo 18, versetti dall'1 al 5) recita: «In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: chi è dunque il più grande del Regno dei cieli ? Allora, Gesù chiamò a se un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: in verità, vi dico, se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei cieli. Perciò, chiunque diventerà piccolo come questo bambino sarà il più grande nel Regno dei cieli e chi accoglie uno solo di questi bambini in nome mio accoglie anche me».
  Nel Corano invece (Sura, capitolo 6, versetto 151): «Venite e vi reciterò quello che il vostro Signore vi ha proibito e cioè: non associategli alcunché, siate buoni con i genitori, non uccidete i vostri bambini in caso di carestia, il cibo lo provvederemo a voi e a loro. Non avvicinatevi alle cose turpi, siano esse palesi o nascoste. E, a parte il buon diritto, non uccidete nessuno di coloro che Allah ha reso sacri».
  Ecco quello che vi comanda, affinché comprendiate. Nella Torah si esplica quanto e come un fanciullo entri a far parte della comunità religiosa con il Bar Mitzvah. Raggiungere l'età del Bar Mitzvah significa diventare un membro a pieno titolo della comunità ebraica con le responsabilità che ne derivano. Queste includono la responsabilità morale delle proprie azioni, l'ammissibilità ad essere chiamato a leggere la Torah e condurre o partecipare a un Minian. Si possono possedere proprietà personali, si può essere legalmente sposati secondo la legge ebraica, si devono seguire le 613 leggi della Torah e osservare la Halakhah, si può presenziare come testimone in un caso del Beth Din (tribunale rabbinico).
  Quello che vi ho appena detto è semplicemente per dire che sono un ingegnere e per giunta ateo. Il diritto alla fede tutela il fanciullo finché non si ritenga esso abbia una maturità tale da essere considerato adulto nella sfera religiosa, da una parte, e nella società globale, dall'altra, ma fino ad allora nessuna quaestio in merito. E allora che cosa accade in realtà ? È spaventoso ! Ogni anno, secondo le statistiche ufficiali, arrivano in Italia circa 7 mila minori stranieri soli, lontani dalla famiglia e senza adulti di riferimento, ma questa cifra è da ritenersi sottostimata, in quanto si riferisce ai soli minori non accompagnati identificati, mentre esiste un numero non quantificabile di minori non identificati. Nell'ambito delle migrazioni, essi rappresentano un gruppo particolarmente vulnerabile; infatti, i minori stranieri hanno alle spalle viaggi che talvolta sono durati anni e arrivano in Italia dopo aver vissuto anche violenze di ogni tipo e con il problema di dover restituire il denaro che si sono fatti prestare per il viaggio. Ve l'immaginate ? Questa diventa occasione per farli diventare preda dei circuiti di illegalità, soprattutto quando non si attiva, fin dal loro arrivo, una rete coordinata di protezione e di sostegno efficace ed efficiente.
  Negli ultimi anni, il flusso maggiore di minori stranieri non accompagnati ha riguardato in particolare quelli provenienti dall'Afghanistan, dal Bangladesh, dall'Egitto, dalla Tunisia, dalla Nigeria, dalla Somalia e dall'Eritrea e, in questi ultimi Pag. 8mesi, anche dalla Siria. Si tratta soprattutto di adolescenti tra i quindici e i diciassette anni di età, prevalentemente maschi, ma si registrano anche ragazzi e ragazze di tredici-quattordici anni; le ragazze sono, in particolare, provenienti dalla Nigeria.
  Secondo gli ultimi dati ufficiali disponibili forniti dal Ministero dell'interno ai partner del progetto Praesidium, UNHCR (United Nations High Commissioner for Refugees) e Save the Children – entrambi che mi onoro di sostenere e invito davvero tutti i membri di quest'Aula a farne parte, perché davvero, come dissi un anno fa alla Presidentessa, onorevole, dottoressa e gentile Boldrini, non sono i bambini ad essere il nostro futuro, perché questa frase è semplice, ma siamo noi oggi nel mondo degli adulti ad essere il loro, e sono le nostre scelte ad impattare sul loro futuro (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) –, nei primi otto mesi del 2013 sono giunti via mare in Italia 4.050 minori, per la maggior parte non accompagnati. Vi immaginate ?
  Un altro dato utile a comprendere l'entità di questo fenomeno riguarda il numero dei minori non accompagnati che arrivano sulle coste italiane in modo più visibile, ovvero, via mare, con i cosiddetti sbarchi. Ogni anno, secondo le statistiche ufficiali, sono in media circa 2 mila, pari al 10-15 per cento dei migranti in arrivo via mare. Anche in questo caso i minori non accompagnati rischiano la propria vita, come hanno purtroppo dimostrato i recenti naufragi che si sono verificati al largo delle coste di Lampedusa e del Salento.
  Nel 2012 sono stati 13.267 i migranti arrivati via mare lungo le coste italiane, la maggior parte dei quali in Sicilia (6.444) e, in particolare, sull'isola di Lampedusa (5.034). Le donne sono state 1.136 e i minori 2.279, di cui 1.999 non accompagnati. Secondo i dati ufficiali, dall'inizio del 2013 al giorno 8 luglio 2013 risultano essere arrivati via mare sulle coste italiane 9.070 migranti, di cui 799 donne e 1.424 minori, per la maggior parte (1.257) non accompagnati, e ne parlo come se fossero un'entità astratta. Nello stesso periodo del 2012, gli arrivi via mare erano stati circa la metà, sia complessivamente (4.515), che di donne (322) e minori (776, di cui 628 non accompagnati).
  Sulla base di segnalazioni provenienti dalle comunità, sono circa 1.400 i minori non accompagnati che sarebbero irreperibili; in particolare, si tratta di minori afgani, egiziani e somali. Le regioni dove si segnala la presenza di un più alto numero di minori irreperibili sono la Sicilia, la Puglia e la Calabria. Dove sono questi bambini ? Nonostante il notevole afflusso di minori stranieri non accompagnati, l'Italia continua ad affrontare l'accoglienza di questi minori stranieri in termini di emergenza, senza aver proceduto ad alcuna definizione di competenze e di responsabilità degli attori coinvolti.
  Esistono in Italia esperienze di eccellenza nell'accoglienza dei minori migranti, ma, nonostante l'impegno di molti, sia all'interno delle istituzioni che nelle reti associative e di volontariato, ancora oggi i diritti essenziali dei minori stranieri non accompagnati non sono sempre rispettati: dal diritto al riconoscimento della minore età a quello ad un'accoglienza decorosa, dal diritto alla nomina di un tutore alla possibilità di essere ascoltati nelle scelte che li riguardano.
  Quindi, appare improcrastinabile, tra l'altro: la necessità di uniformare le procedure di identificazione e di accertamento dell'età; l'istituzione di un sistema nazionale di accoglienza, con un numero adeguato di posti e con standard qualitativi garantiti; l'attivazione di una banca dati nazionale per disciplinare l'invio dei minori che giungono in Italia nelle strutture di accoglienza dislocate in tutte le regioni, sulla base delle disponibilità di posti e di eventuali necessità e bisogni specifici degli stessi minori; continuità e certezza del finanziamento di un fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati che non gravi sui bilanci dei comuni e che sia una delle voci del Fondo per le politiche pubbliche sociali; la partecipazione attiva e diretta dei minori stranieri non accompagnati a Pag. 9tutti i procedimenti che li riguardano, nel rispetto dei principi della Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, resa esecutiva dalla legge n. 176 del 1991; la promozione della presa in carico e di un sostegno continuativo dei minori stranieri in condizioni di particolare vulnerabilità, quali, ad esempio, vittime di tratta e di sfruttamento, richiedenti asilo ed altri; il sostegno organico all'integrazione sociale, scolastica e lavorativa dei minori stranieri non accompagnati, anche vicini al compimento della maggiore età; il coinvolgimento attivo delle comunità nell'accoglienza e nell'integrazione dei minori stranieri non accompagnati, sviluppando l'affido familiare come alternativa alla comunità e la figura dei tutori volontari in rete con i garanti per l'infanzia e l'adolescenza.
  Colleghi, rappresentante del Governo, l'urgenza è tale che non si può, né si deve rimandare la decisione e l'impegno a far sì che venga approvato anche un provvedimento normativo atto a tutelare quanto più possibile il fanciullo: con un sistema di protezione per tutti i minori, colmando le lacune che l'acuirsi del fenomeno migratorio dei minori ha evidenziato; rafforzando il sistema di tutela dei diritti e rispondendo agli specifici bisogni dei minori migranti; definendo minori stranieri non accompagnati anche i minori richiedenti protezione internazionale, in linea con la risoluzione n. 97/C211/03 del Consiglio del 26 giugno 1997 in materia, finora, invece, non considerati di competenza del Comitato per i minori stranieri, le cui funzioni sono state recentemente trasferite alla direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali; prevedendo il divieto del respingimento alla frontiera dei minori non accompagnati, esclusivamente nei casi in cui sia nel loro superiore interesse e sia finalizzato al loro riaffidamento ai familiari; con modalità di contatto e di informazione nei riguardi dei minori stranieri non accompagnati presso i valichi di frontiera, garantendo l'accesso alle organizzazioni di tutela anche ai presunti minori prima della loro identificazione e garantendo, inoltre, a tutti i presunti minori un servizio di prima assistenza, che faccia fronte, anche prima dell'identificazione, ai bisogni primari degli stessi, nonché il collocamento in una struttura adeguata nelle more della definizione delle operazioni di identificazione; l'armonizzazione del sistema delle segnalazioni della presenza di un minore nel territorio, affinché gli uffici di frontiera segnalino, al pari di ogni altro pubblico ufficiale, la presenza di minori stranieri non accompagnati alle autorità competenti, tra cui il tribunale per i minorenni, chiamato ad adottare opportuni provvedimenti temporanei nell'interesse dello stesso minore; il rendere la procedura di identificazione omogenea nel territorio ed adatta all'età del presunto minore, e basata, in particolare, su un approfondito colloquio personale e tale che, in caso di dubbio sull'età contestata, consenta di esperire ogni opportuno tentativo di identificare la persona senza ricorrere a procedure mediche; facendo in modo che eventuali procedure mediche possano essere disposte dall'autorità giudiziaria solo come extrema ratio e, in caso di presunto minore, quest'ultimo sia sempre informato e acconsenta a sottoporsi agli esami medici, così come la persona che esercita i poteri tutelari sullo stesso; procedendo all'accertamento dell'età secondo un approccio multidisciplinare e il referto medico riporti un range di età, non potendo, come gli studi scientifici dimostrano, l'età essere determinata esattamente attraverso alcun esame medico, né tantomeno attraverso un insieme di esami medici; prevedendo che la pubblica autorità emetta un provvedimento di attribuzione dell'età, ricorribile al pari degli altri provvedimenti amministrativi o giudiziali, sancendo il principio, già richiamato da atti amministrativi, della presunzione dell'età minore in caso permangano dubbi anche dopo gli accertamenti medici, in linea con quanto già disposto in tal senso dalle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988 in materia di procedimento penale a Pag. 10carico di imputati minorenni; con l'attivazione di indagini familiari non solo in Italia, ma anche in altri Paesi europei o in Paesi terzi, stabilendo che l'affidamento a familiari idonei sia sempre preferito al collocamento in comunità; con la promozione dell'istituto dell'affidamento familiare, di cui alla legge n. 184 del 1983 anche per i minori non accompagnati; con la disciplina dell'istituto del rimpatrio assistito, spostando la competenza all'adozione del provvedimento dalla direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali al tribunale per i minorenni, che è l'organo a cui la Costituzione assegna istituzionalmente il compito di promuovere e tutelare il superiore interesse dei minori; prevedendo che il minore straniero non accompagnato sia dotato di una storia personale nel territorio italiano, per permettere a ogni operatore che entra in contatto con lo stesso di prendere decisioni in linea con il percorso già fatto e per evitare di sottoporre il minore a procedure alle quali è già stato sottoposto, fatta salva comunque la tutela espressa dalla normativa in vigore sulla privacy; con la disciplina organica del rilascio del permesso di soggiorno per i minorenni, che può essere concesso anche prima della nomina formale del tutore e che deve essere rilasciato per motivi familiari quando il minore non è collocato in casa-famiglia, ma è affidato a un cittadino italiano o straniero, abrogando contestualmente il permesso di soggiorno previsto per i progetti di integrazione sociale e civile gestiti da un ente pubblico o privato, istituito dall'articolo 25 della legge n. 189 del 2002; con l'adozione di una disciplina organica e omogenea delle norme che garantisca uguali tutele su tutto il territorio nazionale, definendo al contempo un sistema stabile di accoglienza con regole certe, volto a garantire condizioni di accesso a tutti i minori stranieri non accompagnati, stabilità e qualità nelle rete di accoglienza e ottimizzazione delle risorse pubbliche; con l'istituzione di elenchi di tutori volontari presso ogni tribunale ordinario, al fine di scongiurare la cattiva prassi segnalata da diversi territori di un tutore che ha in carico decine di minori stranieri non accompagnati (ditemi voi come sia possibile); con l'istituzione del sistema nazionale di accoglienza per i minori stranieri non accompagnati, finalizzando il sistema a garantire per ogni minore una valutazione approfondita in merito al luogo dove può essere collocato e che le strutture deputate all'accoglienza prevedano servizi specifici rispondenti ai bisogni dei minori non accompagnati; con lo snellimento degli adempimenti e l'indicazione dei tempi certi della pubblica amministrazione nel rilascio del parere necessario alla conversione del permesso di soggiorno al compimento della maggiore età; con il recepimento dell'accordo Stato-regioni che prevede l'iscrizione al Servizio sanitario nazionale anche per i minori privi di permesso di soggiorno, stabilendo procedure operative per l'attuazione di tale misura; con misure per favorire l'esercizio del diritto all'istruzione per i minori non accompagnati, prevedendo che possano conseguire il titolo di studio, anche quando sono divenuti maggiorenni nelle more del percorso di istruzione, nonché per sostenere accordi tesi alla promozione dell'apprendistato; prevedendo la garanzia, anche per i minori stranieri non accompagnati, di un sistema di giustizia child friendly, come raccomandato dalle linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa del 17 novembre 2010, al fine di promuovere una partecipazione attiva degli stessi minori in tutti i procedimenti giurisdizionali e amministrativi che li riguardano; con il rafforzamento del sistema di protezione per tutti i minori stranieri non accompagnati e maggiormente vulnerabili, vittime di tratta, richiedenti protezione internazionale e minori coinvolti in attività illecite, per i quali prevedere misure specifiche di tutela, in relazione all'accoglienza, che è garantita anche ai minori autori di reato che partecipano attivamente a un percorso di reinserimento sociale, ai servizi offerti e ai procedimenti giudiziari e amministrativi Pag. 11che li riguardano; favorendo la promozione dell'intervento in giudizio delle associazioni di tutela, anche per l'annullamento di atti illegittimi che riguardano minori stranieri non accompagnati; attraverso la costituzione di un tavolo tecnico avente finalità di indirizzo delle politiche di protezione e tutela dei minori stranieri non accompagnati, composto da rappresentanti di tutte le autorità interessate, nonché da rappresentanti delle organizzazioni di tutela e delle comunità di accoglienza; favorendo la promozione della cooperazione internazionale ed europea al fine di armonizzare i sistemi di protezione dei minori stranieri non accompagnati nei diversi Stati di origine, di transito e di destinazione; prevedendo l'incremento in misura sostanziale del Fondo nazionale minori non accompagnati, oggi finanziato con risorse insufficienti e soggette a spending review: inconcepibile !
  Infine, un mio appello personale. Come recitava uno slogan: «I bambini prima di tutto» (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Sandra Zampa, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00501. Ne ha facoltà.

  SANDRA ZAMPA. Signor Presidente, ringrazio vivamente la sottosegretario Biondelli, a cui rivolgo i miei auguri per le sue deleghe e, in particolare, per la soluzione di questo tema, o almeno per una buona gestione di questo problema, che da molto tempo ci occupa e occupa questo dibattito e quest'Aula.
  Questa in realtà è una nuova mozione. Ci troviamo a discutere nuove mozioni su una questione che, però, si trascina ormai da diversi anni. In queste settimane, così come d'altra parte nei mesi più recenti, questo problema dei minori stranieri non accompagnati si è riproposto, dopo che è andata crescendo un po’ ovunque l'attenzione dell'opinione pubblica sul fenomeno degli sbarchi via mare, ripresi ovviamente con il bel tempo, con il tempo clemente e favorevole, e quindi molto intensificati.
  Una particolare attenzione dell'opinione pubblica e dei media ha cominciato a concentrarsi e a riservarsi, comprensibilmente, sulla presenza, tra questi migranti adulti, di giovani e giovanissime persone, con un'età media che va dai 16 ai 17 anni, 17 anni e mezzo. Ma tra loro non sono pochi i tredicenni, i quattordicenni, i quindicenni. Si tratta di persone di età minore e che sono sole, cioè arrivano a sbarcare o arrivano via mare dall'Afghanistan e da altri Paesi – come la Romania, per esempio, che comincia anche a riservare, da questo punto di vista, numeri significativi – non accompagnati, cioè senza la presenza di adulti con loro, di genitori o di parenti di primo o di secondo grado.
  Nel meritevole lavoro di informazione su questo fenomeno non è stato infrequente imbattersi nel termine «emergenza»: ebbene, si parla di «emergenza minori». Potrei fare l'elenco dei quotidiani e dei periodici che hanno parlato di emergenza, ma in realtà, come ho cercato già di accennare, la verità è parecchio distante da ciò che questo termine evoca. Tutto è, infatti, quello che sta avvenendo fuorché emergenza. Dopo la cosiddetta «emergenza Nord Africa» del 2011, era, infatti, del tutto prevedibile il ripetersi di questo fenomeno, che ormai tutte le analisi ci dicono essere un fenomeno assolutamente strutturale.
  I minori stranieri non accompagnati sbarcati per lo più sulle coste delle regioni meridionali, in particolare in Sicilia, dal 1o gennaio al 31 maggio 2014 sono poco meno di 5 mila. Ci sono stati dati numeri diversi e anche questo è un fatto preoccupante, di cui non riusciamo ad avere una cognizione precisa, ma certamente la stima di circa 5 mila è corretta.
  Save the Children, che fa parte di Praesidium, che è l'organizzazione non governativa che si occupa della gestione del fenomeno dei minori dentro quello più complesso degli immigrati e dell'immigrazione in arrivo, ci dice che più o meno questo è il dato e credo che sia quello più attendibile.Pag. 12
  Al 31 gennaio 2014, però, i minori stranieri non accompagnati presenti, quindi censiti in Italia e segnalati dalle comunità al Ministero del lavoro, sono circa 7 mila 800, circa 8 mila, ma di questi, come è stato già ricordato, molti – troppi – risultano irreperibili: si stima, secondo i dati ufficiali del Ministero, che siano 1.872 gli irreperibili a quella data. La maggior parte dei minori stranieri segnalati, come ho detto, è in età compresa tra i 16 e i 17 anni e mezzo e sappiamo che i numeri sono sottostimati, in ragione del fatto che moltissimi sono quelli che fuggono appena sbarcati.
  Era il 2009, quando la Commissione per l'infanzia e l'adolescenza, nel suo insieme, propose a questo Parlamento l'approvazione di una risoluzione che aveva per oggetto, appunto, il fenomeno di questi ragazzini che lasciano i propri Paesi per cercare un destino e una vita migliore, per sé e per le famiglie che lasciano a casa, o per mettersi al riparo da guerre e comunque da violenze nei propri Paesi. Con quella risoluzione, chiedevamo al Governo di mettere in campo azioni di sistema nella gestione del fenomeno, con procedure rapide e non invasive per l'attribuzione dell'età, l'identificazione, l'abbreviazione di quella che resta la fase più delicata e più complicata di questa vicenda, cioè la prima accoglienza, che resta appunto, da questo punto di vista, la più rischiosa anche per il pericolo di fuga e di scomparsa di questi ragazzi.
  Duole dire che proprio due settimane fa ce lo ha dovuto ricordare di nuovo il presidente della commissione regionale antimafia, Nello Musumeci, che, in un'intervista molto allarmante, con riguardo alla scomparsa dai centri di prima accoglienza dell'isola di più di mille ragazzini, quindi avvenuta in questi mesi, dice testualmente che sono tutti potenziali arruolabili dalle organizzazioni criminali mafiose e che questo rappresenta un grande rischio per loro, ovviamente, per le loro vite, ma anche per noi; e questo è uno dei punti su cui occorre assolutamente che non solo il Governo, ma il Paese rifletta.
  È facile integrare dei giovanissimi cittadini stranieri e non è così costoso. Certamente è meno costoso che ritrovarsi poi queste persone dentro ad un circuito di criminalità o di malavita, incontrarle nelle carceri minorili, come mi è capitato pochi mesi fa, in una visita al carcere minorile di Bologna, dove io risiedo (erano tutti stranieri i ragazzi presenti) o ritrovarli in un CIE. È un circuito pericoloso, costoso, nel quale noi entriamo perché non siamo stati capaci di gestire il fenomeno.
  E io credo che occorra anche confrontarsi con i dati, che ci parlano di una crescita demografica bassissima in Italia, e riflettere sul fatto che questi ragazzi siano avviati o eventualmente accompagnati dove vogliono andare, perché molti di loro fuggono perché proprio non vogliono restare in Italia. E in questo momento il regolamento Dublino III ci dice che è possibile aiutarli a raggiungere il nucleo familiare non più solo di parenti di primo grado, ma anche di secondo e di terzo grado. Quindi, è un regolamento più favorevole, che dovrebbe insegnarci, appunto, a metterli in sicurezza e ad accompagnarli o a farli accompagnare dove vogliono andare. Ma, certamente, lavorare per la loro integrazione non è soltanto un costo, ma evita costi molto gravi successivi.
  Dicevo che Nello Musumeci ci ha ricordato questo rischio che, peraltro, ci è ben presente. Ma di recente l'Human Rights Council, che ha al suo interno un gruppo di lavoro, l'InterAgency working group on children on the move, ha licenziato un documento assai significativo su questo tema, con cui si salutava con favore la decisione assunta, appunto, dall'Human Rights Council di sollecitare un'ampia discussione sui diritti dei minori stranieri da svolgersi in occasione della sessione di lavoro dedicata ai diritti umani dei migranti.
  Tra i dati forniti, colpisce quello relativo ai più giovani tra i migranti che attraversano il mondo. Si stima che il 16 per cento del totale della popolazione migrante sia ormai in un'età giovanissima, al di sotto dei 20 anni. Sono circa 11 milioni i migranti che stanno tra i 15 e i Pag. 1319 anni di età e che, appunto, attraversano ogni luogo del mondo alla ricerca di una soluzione per le proprie vite. Le ragioni della loro migrazione sono diverse e complesse, come detto mi pare da chi mi ha preceduto, dalla collega Binetti, fino al collega del MoVimento 5 Stelle, con il quale, tra gli altri, ma non solo, abbiamo depositato una proposta di legge, che ha già avviato il proprio iter in I Commissione, su tale questione dei minori stranieri non accompagnati.
  Dicevo che le ragioni della loro migrazione sono diverse e complesse. Ma i Paesi da cui provengono ci suggeriscono da soli e semplicemente la risposta, perché sono Paesi come la Somalia, l'Eritrea, l'Egitto, la Siria, il Mali e l'Afghanistan, sono Paesi lacerati da violenze e da guerre. Ma di recente si aggiungono anche l'Albania e, appunto, come dicevo, la Romania, con numeri più contenuti, ma significativi.
  Ed è ancora il report dell'InterAgency working group on children on the move a denunciare l'assenza di servizi di protezione e di sostegno per questi ragazzi. In particolare, mi ha molto colpito, proprio ieri, un report che riguardava gli Stati Uniti d'America, dove il Presidente Obama è stato costretto a parlare di ritorno del fenomeno dei minori stranieri che lì, negli Stati Uniti d'America, arrivano dal Messico e che, a differenza di quanto avviene per noi, non sono tutelati dalla Convenzione ONU, cosa che, invece, riguarda per fortuna quasi tutti i Paesi dell'Europa e l'Italia che l'ha sottoscritta. Quindi, questa Convenzione, come è stato ricordato poco fa dal collega Dall'Osso, deve restare per noi il faro. Non che manchino in Italia buone esperienze da questo punto di vista, ma ancora molto, molto, molto resta da fare.
  Per tornare al documento dell'InterAgency working group on children on the move, esso ci ricorda che i minori stranieri sono ad alto rischio di abuso, di violenza fisica, di traffico anche di organi, di sfruttamento sessuale e anche di lavoro forzato, sia durante il viaggio, che nei luoghi di arrivo. Ed è triste dover dire che ciò avviene anche nel nostro Paese. Anche avendo diritto a protezione, come nel caso dei Paesi sottoscrittori della Convenzione ONU, possono trovare e trovano difficoltà nell'accesso a procedure di asilo, ed è purtroppo documentato che le Forze di polizia al controllo degli ingressi non rispondono adeguatamente alla necessità di questi minori e, comunque, non in modo corrispondente a quello che deve essere il criterio che ci deve guidare, cioè il superiore interesse del minore.
  Sono documentati dall'associazione Medu, ma anche dall'associazione Don Oreste Benzi, che lo ha testimoniato in audizione qualche tempo fa nella Commissione bicamerale per l'infanzia e l'adolescenza (ma faccio questi due nomi tra gli altri), casi di respingimento alle frontiere e nei porti che hanno avuto luogo, a mia memoria, durante il Governo Berlusconi e che ancora rappresentano una ragione di vergogna. Respingere un minore e magari costringerlo a nascondersi, come avviene e com’è avvenuto in un passato molto recente, magari su camion frigorifero e ritrovare i cadaveri scaricati per strada, come avvenuto in Emilia Romagna qualche tempo fa, credo che sia una cosa della quale ancora oggi dovremmo vergognarci.
  Ho concluso, signora Presidente, in particolare il mio auspicio è (ma sarà ricordato nelle dichiarazione di voto) che si possano sbloccare immediatamente le risorse che sono state finalmente messe a disposizione in un apposito fondo che è stato creato, e questo è stato certamente un passo avanti che dobbiamo riconoscere. Ci sono 40 milioni già impegnati; noi chiederemo al Governo che vengano sbloccati al più presto per la gestione di questo problema, affinché non cada sulle spalle dei comuni che, da soli, non possono assolutamente farvi fronte.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Erasmo Palazzotto, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00502. Ne ha facoltà.

  ERASMO PALAZZOTTO. Signora Presidente, la ringrazio, signor sottosegretario, per essere qui.Pag. 14
  È già stato ricordato in quest'Aula che la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo è stata ratificata in Italia nel 1991. Questa Convenzione prevede, tra le altre cose, che le decisioni riguardanti i minori devono essere prese considerando sempre preminente l'interesse superiore del minore e che al minore vanno garantite protezione, salute, istruzione, tutela dallo sfruttamento e il diritto all'unità familiare.
  La nostra legislazione prevede un complesso sistema di norme a tutela dei minori ed in particolare dei minori stranieri non accompagnati. La legislazione italiana, però, si sta rivelando non adeguata a garantire tutti i diritti previsti da quella Convenzione davanti allo straordinario flusso legato anche ai mutamenti dei flussi migratori verso il nostro Paese. Quello che sta accadendo sulle nostre coste è al centro del dibattito politico quotidiano e spesso anche oggetto di strumentalizzazione politica, cui sino a ieri abbiamo assistito in quest'Aula. Invece noi in quest'Aula, questo Parlamento e il Governo di questo Paese, dovremmo cominciare a valutare seriamente che cosa sta accadendo oggi nel Mediterraneo e cosa sta accadendo su scala globale perché la mutazione dei flussi migratori, che attraversa soprattutto il nostro Paese, è legata ormai principalmente all'instabilità politica, economica e sociale dei Paesi del bacino del Mediterraneo, di quelli medio-orientali e di quelli sub-sahariani.
  In questo ci sono grandi responsabilità del nostro Paese, dei Paesi dell'Unione europea e anche dei Paesi alleati nell'Organizzazione della NATO che noi non possiamo non riconoscere. Lo dico perché, in questi giorni, quello che sta accadendo in Iraq probabilmente avrà ulteriori ripercussioni rispetto all'aumento dei flussi migratori verso il nostro Paese, e questa è una previsione semplice. Non serve essere Nostradamus per immaginare che l'acuirsi di un conflitto come quello che oggi sta di nuovo investendo l'Iraq produrrà questo.
  E sicuramente le responsabilità su quella situazione, su quello che sta accadendo lì, il nostro Paese ce l'ha eccome e, quindi, io penso che dovremmo, prima di tutto, se vogliamo anche limitare il dato dei flussi migratori verso il nostro Paese, cominciare a ripensare le politiche internazionali e il modo con cui noi pensiamo di intervenire davanti a situazioni complesse. E questo, ovviamente, è un caso prevedibile per il futuro.
  Ma credo che la maggior parte dei dati in nostro possesso ci dicono che uno dei punti centrali dello smistamento è lo Stato libico, dove noi negli anni, prima con il Governo Berlusconi, abbiamo finanziato un vasto sistema anche di reclusione di migranti e poi dopo, attraverso un intervento militare, abbiamo devastato completamente quel Paese, rendendo difficile anche oggi trovare un'interlocuzione.
  È per questo che io, in quest'Aula, vorrei rappresentare le nostre preoccupazioni riguardo alle dichiarazioni di alcuni Ministri di questo Governo, in particolar modo il Ministro della difesa, che ci dicono di come possiamo provare ad aprire dei centri di accoglienza in territorio libico, di come dobbiamo rafforzare il sistema di collaborazione con lo Stato libico. In questo momento è difficile immaginare quali possano essere gli interlocutori in Libia e i racconti che tutte le organizzazioni internazionali, a partire dall'ONU, ci fanno, di quale sia il trattamento riservato ai migranti in Libia, ci dicono che quello è un Paese che non rispetta i principali diritti umani e che, quindi, il nostro Paese dovrebbe di corsa rivedere i trattati con la Libia e non immaginare di potere continuare a finanziare lo Stato libico nei sistemi di repressione, perché tali sono, dei fenomeni migratori, né immaginare collaborazioni dal punto di vista dell'accoglienza.
  In più, ovviamente, queste cose che ci dicono rendono palese come il fenomeno migratorio non può essere più considerato un'emergenza per il nostro Paese, ma un fenomeno strutturale. E se queste parole sono state pronunciate in quest'Aula anche dal Ministro dell'interno, dal punto di vista dei fatti non abbiamo visto una conseguenza rispetto al sistema di accoglienza. Cioè, se è vero che da una parte Pag. 15l'operazione Mare Nostrum sta salvando delle vite, e tra queste anche quelle dei minori, di molti minori che sbarcano in questi giorni sulle coste della Sicilia, della Puglia e della Calabria, è vero, dall'altra parte, che il nostro sistema di accoglienza è assolutamente inadeguato a fare fronte all'afflusso di migranti.
  I dati e i numeri ci dicono che l'afflusso non è straordinariamente più grande di quello che abbiamo avuto negli anni precedenti. Per intenderci, ad oggi non abbiamo raggiunto i livelli numerici di afflusso di migranti nel nostro territorio che abbiamo avuto durante l'emergenza Nord Africa del 2011, e siamo in una fase di crisi. Questo ci interroga rispetto alle ragioni per cui in tre anni, per non parlare di quelli precedenti, ma negli anni che vanno dal 2011, con «l'emergenza Nord Africa», ad oggi, nel 2014, con l'attuale cosiddetta «emergenza» – e non si capisce perché continuiamo a chiamarla «emergenza» –, non è stato permesso a questo Paese di dotarsi di un sistema di accoglienza dignitoso e strutturato.
  La sensazione che si ha, anche alla luce dell'enorme quantità di denaro che arriva per il nostro sistema di accoglienza, è che probabilmente in regime di emergenza si possano costruire delle grandi speculazioni. Qualcuno può costruire le sue fortune politiche, spiegando come rubiamo i soldi ai nostri cittadini; qualcuno può costruire delle grandi speculazioni economiche, e tante sono all'ordine del giorno delle cronache quotidiane e alcune anche di interrogazioni parlamentari – presentate da diversi colleghi e molte anche da me, che non hanno ancora avuto una risposta – su come vengono spese le risorse in molti centri che sono al centro di proteste da parte dei migranti, per esempio rispetto alle vicende legate al pocket money che il nostro sistema garantisce.
  Ma vorrei tornare a parlare della questione che riguarda specificamente i minori, non prima, però, di avere fatto notare come oggi noi ci troviamo davanti a una situazione per cui abbiamo posto rimedio, da una parte, al sistema di salvataggio in mare e abbiamo evitato ulteriori tragedie, come quelle avvenute a Lampedusa. Vorrei che da questo punto di vista non si strumentalizzasse anche questa vicenda, come sta accadendo, perché, se è giusto chiedere all'Europa di farsi carico, come fa l'Italia, di un sistema di civiltà, che è quello di salvare le persone in mare, penso che trasformare l'agenzia Frontex, su cui vengono spesi diversi miliardi dall'Unione europea e che è assolutamente inutile, perché fa un monitoraggio e teoricamente dei respingimenti dei migranti, trasformare quell'agenzia, dicevo, e affidargli le competenze oggi date alla missione Mare Nostrum, sarebbe un fatto di civiltà.
  Come dicevo, noi abbiamo un problema, che è legato principalmente alla tutela dei minori non accompagnati nel nostro Paese. E questo è ovvio, perché, se il nostro sistema di accoglienza è basato ancora fondamentalmente sulla cosiddetta «legge Puglia» del 1995, che prevede la possibilità per i prefetti, in via emergenziale, di aprire e di istituire centri temporanei in palestre, in grandi capannoni, in tensostrutture costruite nei nostri porti, e ormai i comuni della Sicilia hanno, di fatto, esaurito le strutture pubbliche dove poter alloggiare i migranti, possiamo immaginare che queste strutture, non adeguate ad ospitare i migranti adulti, siano assolutamente inadeguate per i soggetti più vulnerabili, che sono i minori non accompagnati.
  Pertanto, noi abbiamo bisogno, da un lato, di rafforzare il nostro sistema di prima accoglienza e di rendere le strutture idonee a ospitare i minori non accompagnati. Io in questi mesi ho girato quasi tutti i centri della Sicilia e ho trovato situazioni imbarazzanti, li ho trovati in regime di promiscuità: penso al CPSA di Pozzallo, dove i minori non accompagnati – a differenza degli adulti che permangono meno tempo perché poi vengono dirottati verso i centri di seconda accoglienza e verso i CARA – restano per mesi perché non sono disponibili posti nelle strutture di accoglienza territoriali e, quindi, paradossalmente, il minore, che Pag. 16dovrebbe essere più tutelato, rimane in questi centri, che dovrebbero essere temporanei, in regime di promiscuità con popolazione adulta e senza possibilità di uscire da questo limbo per molti mesi.
  Noi abbiamo bisogno, quindi, di mettere in campo un sistema di accoglienza dignitoso. Io ho presentato una interrogazione, anche questa senza risposta, dove segnalavo che a Priolo era stato aperto, in maniera del tutto arbitraria da parte del prefetto per far fronte all'emergenza, un centro di accoglienza per minori, in una struttura improvvisata in una campagna; e da questo centro, dove stavano più di cento minori, io stesso ho potuto raccogliere le testimonianze di alcuni operatori, che ci dicevano come dei minori erano spariti ed erano stati visti salire su delle auto che passavano la mattina cercando di reclutarne qualcuno. Io penso che un Paese civile non possa permettersi di avere in affidamento dei minori, spesso anche di età inferiore ai quindici anni, e permettersi che, senza nessun controllo, questi minori entrino dentro un sistema di tratta, di sfruttamento; e, spesso, parliamo di un accesso diretto alla tratta della prostituzione per quanto riguarda le ragazze e, spesso, anche i ragazzini.
  Dunque, io penso che la prima emergenza vera di questo Paese non si chiama immigrazione, ma si chiama dignità delle nostre strutture di accoglienza, in particolar modo per i minori. Poi, abbiamo bisogno sicuramente di far fronte ad alcune emergenze normative. Veniva ricordato che è già stata presentata ed è incardinata in I Commissione una proposta di legge sui minori non accompagnati: io spero che questo Governo ne faciliti l'iter – ed è una delle cose che noi chiediamo – e che questo iter possa proseguire, magari facendo qualche decreto-legge in meno, dato che stanno intasando l'azione legislativa del Parlamento, e permettendo a questo Parlamento di portare avanti delle proposte di legge utili, che sono incardinate nelle nostre Commissioni.
  Come dicevo, noi abbiamo bisogno, da questo punto di vista, di mettere in campo alcuni elementi normativi. La prima cosa che bisognerebbe fare è quella di sistemare il sistema di accoglienza, per esempio avendo un albo che permetta di individuare i posti liberi nelle comunità su tutto il territorio nazionale. L'emergenza Nord Africa ha permesso finalmente che i minori potessero essere accolti anche in comunità fuori dal territorio regionale in cui venivano ricevuti e in cui sbarcavano. Tuttavia, da questo punto di vista, riscontriamo la difficoltà delle strutture territoriali e dei comuni a cui vengono dati in affidamento di individuare, di avere, anche, i numeri di telefono delle comunità, spesso del proprio territorio, figuriamoci dei territori più distanti.
  Poi, abbiamo la necessità, anche, di rivedere – ma questo riguarda non solo i minori non accompagnati – gli standard delle comunità di accoglienza. In questo, credo possa tornare utile che il sistema di accreditamento subisca una modificazione, magari istituendo un albo unico regionale, un sistema di accreditamento regionale, perché ad oggi le comunità di accoglienza per i minori vengono accreditate dai servizi sociali dei comuni e, spesso, questo, soprattutto nei piccoli comuni, facilita la possibilità di non avere standard minimi e requisiti minimi per poter accogliere dei minori.
  Il problema più grande che noi, oggi, ci troviamo ad affrontare – ed è quello che sta determinando l'emergenza più grande – è il fatto però che, ad oggi, il costo dell'accoglienza dei minori nelle comunità è sopportato quasi integralmente dai comuni. La parte che viene posta a carico dello Stato, molto spesso, arriva con anni, addirittura, di ritardo e quindi i comuni devono far fronte da soli all'approntamento di queste risorse. Dati i continui tagli che negli anni i comuni hanno subito, ad oggi, i bilanci comunali, penso in particolar modo a quelli della mia terra, la Sicilia, non sono più in grado di far fronte a queste emergenze. Una delle prime cose che questo Governo dovrebbe fare è incrementare il Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori. È stato già incrementato fino a 20 milioni di euro, ma non Pag. 17sono sufficienti; mi auguro che questa cosa, appunto, avvenga prima possibile.
  Mi avvio a concludere, dicendo che l'ultima cosa che noi chiediamo oggi è che vengano garantiti i diritti dei minori anche nel sistema di riconoscimento. Il Protocollo Ascone ha individuato una direzione e purtroppo è rimasto inapplicato; spesso i minori vengono sottoposti a trattamenti medici per l'accertamento dell'età che sono disomogenei e spesso nocivi per la salute, quando esistono sistemi molto meno invasivi. Penso che anche questo debba far parte dell'intervento normativo e legislativo che stiamo facendo, e per questo mi appello ancora perché ci sia un canale prioritario per questa emergenza.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Marco Rondini, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00504. Ne ha facoltà.

  MARCO RONDINI. Signora Presidente, è interessante notare come, anche attraverso queste mozioni che paiono informate alla buona fede, si tenda a minare la capacità di reazione di fronte agli effetti collaterali del fenomeno migratorio, che va assumendo le proporzioni di una vera e propria invasione. Lo stato di minore età dello straniero che arriva da noi è occasione utile, offerta dal momento che stiamo subendo, a farci abbassare la guardia nei confronti di un minore volutamente e irresponsabilmente abbandonato, affinché sia qualcun altro ad occuparsene.
  Per noi, questo aspetto del fenomeno migratorio è un escamotage per bypassare norme e leggi ormai totalmente disapplicate con le quali si dovrebbe, invece, governare il fenomeno in generale dell'immigrazione. Tutti i vostri provvedimenti in materia di immigrazione e le vostre proposte sono informate al politicamente corretto, che si esplicita con affermazioni inaudite come quelle che abbiamo sentito anche oggi in Aula, secondo cui la cifra della civiltà è dimostrata dalla capacità di accoglienza, non ci dite però a quale costo, quale costo abbia questa accoglienza.
  Esempi di esternazioni ne potremmo citare migliaia, amplificate ad arte dal circo mediatico e che sono accompagnate dalle immagini che inducono alla pietà di donne e bambini, portate sulle nostre coste da quella sorta di traghetto per l'Italia che è diventata l'operazione Mare nostrum, per un costo, vale la pena sempre ricordarlo, di 9 milione e trecentomila euro al mese, solo per l'impiego di uomini e mezzi.
  Ebbene, il combinato disposto di esternazioni e immagini hanno come obiettivo quello di disarmare l'opinione pubblica e la sua legittima capacità di resistenza a fenomeni pervasivi che minano la pace sociale che regge se vi è un comune sentire e valori condivisi. Vedete, noi riteniamo che le differenze non si possano cancellare con leggi e proclami, ma questi possono invece tendere a disarticolare le nostre comunità che nel corso di millenni si sono realizzate e quel sistema di protezione sociale costruito nel corso dei decenni dalle generazioni che ci hanno preceduto ed oggi sacrificato sull'altare del politicamente corretto a garantire i diritti di chi quel sistema non ha contribuito a crearlo ma oggi lo dissangua: l'immigrato. A voi il compito di addormentare le coscienze, a noi quello di chi mantenerle deste. Voi forti di utopie visionarie che rasentano la patologia, noi del gentil comune sentire genuino capace di ascoltare la voce disperata resa labile dal vostro circo mediatico asservito alla peggiore delle tirannie che mira semplicemente a pretendere una resa incondizionata. Voi responsabili morali di quello che noi riteniamo un crimine: l'annientamento della normale e legittima capacità di resistenza ad un piano privo di capacità di lungimiranza.
  Ebbene, è alla luce anche di alcuni dati e di queste considerazioni che noi siamo stati spinti a presentare una mozione che va nella direzione completamente opposta rispetto alle altre presentate. Noi sappiamo oggi che il fenomeno dei minori stranieri affidati ai servizi sociali ha assunto negli ultimi anni proporzioni vastissime e incontrollabili a causa delle massicce ondate migratorie che hanno investito il nostro Paese. Nel mondo industrializzato i problemi dell'infanzia sono spesso Pag. 18connessi all'ondata dei flussi migratori. I minori sradicati dal proprio ambiente naturale e in condizioni di povertà diventano facilmente preda di violazione dei diritti fondamentali, dallo sfruttamento del lavoro minorile all'accattonaggio, dallo sfruttamento sessuale all'utilizzo a fini di microcriminalità. Se nel 2013 gli sbarchi sono stati 42.925, solo dall'inizio del 2014 gli arrivi hanno già superato quota 20 mila e il Viminale ha fatto sapere che il dato è di oltre 10 volte maggiore a quello registrato nello stesso periodo del 2013, un vero e proprio record. Secondo i dati del Ministero dell'Interno, dal gennaio 2014 i minori arrivati in Italia sono stati 6.722 di cui 4.598 non accompagnati, per la maggior parte di nazionalità eritrea, somala ed egiziana. Il quinto rapporto ANCI 2011-2012 sui minori non accompagnati rileva che il problema sta assumendo dimensioni emergenziali. La Commissione antimafia della regione Sicilia, nel maggio 2014, ha riportato un dato di non trascurabile importanza relativo alla fuga dai centri di prima accoglienza dell'isola di 1.030 minori immigrati. Non è più accettabile l'atteggiamento ipocrita di questo Governo, il quale continua a non volere attuare una corretta gestione dei flussi migratori verso il nostro Paese e si limita a scaricare le proprie responsabilità sugli enti locali che, già fortemente penalizzati dai tagli di risorse provocate dalla perdurante crisi e dalla mancata attuazione del federalismo fiscale, devono, in aggiunta, accollarsi spese enormi per l'erogazione di tali servizi socio-assistenziali, a scapito dei cittadini residenti. Il piano di accordi bilaterali elaborato al principio della XVI legislatura, al fine di impedire le partenze dai Paesi costieri dell'Africa, prima di essere interrotto, aveva contribuito in modo drastico a far diminuire gli sbarchi di immigrati sulle nostre coste, quella politica dei respingimenti che voi criticate fortemente ma che noi riteniamo fosse l'unica soluzione per governare questo fenomeno.
  Il dramma dell'immigrazione e dei suoi risvolti sociali sta toccando picchi emergenziali. I poteri dello Stato si trovano spesso senza mezzi tecnici economici e giuridici per fronteggiarne le derive più estreme. Come è avvenuto in passato in altre situazioni emergenziali (ad esempio nei fenomeni di contrasto al terrorismo negli anni di piombo, di contrasto alla mafia, di contrasto al terrorismo islamico) soltanto una legislazione speciale, accompagnata da deroghe ai trattati internazionali finalizzata alla sicurezza interna e accompagnata da una politica di accordi stabili bilaterali può consentire la reale tutela dell'interesse dei cittadini e degli stranieri regolarmente presenti nonché diminuire realmente la pressione migratoria e, quindi, le tragedie umanitarie degli sbarchi e quelle dei minori non accompagnati preda delle organizzazioni criminali.
  Se da un lato è necessario quindi operare al fine di garantire la presa in carico dei minori stranieri non accompagnati presenti nel territorio italiano, dall'altro lato è fondamentale avviare una politica reale di contrasto all'immigrazione clandestina. È necessario quindi evitare, anche solo sotto il profilo esclusivamente culturale, la diffusione di un'apertura indiscussa all'accoglienza, ipotizzando l'introduzione di misure assurde che rischierebbero di alimentare il problema, rappresentando nella disperazione vissuta dalle popolazioni colpite dalla povertà e dalla guerra una soluzione, una soluzione che nella migliore delle ipotesi può garantire il futuro del singolo ma nei fatti rappresenta la negazione del futuro di un popolo.
  Ebbene, alla luce di queste considerazioni, abbiamo presentato la nostra mozione a nome e per conto delle fasce deboli della nostra popolazione, che non si vedono spesso garantiti gli stessi diritti che invece andate garantendo sempre solo e soltanto a chi è arrivato per ultimo; soprattutto in una situazione come questa dove le nostre fasce deboli sono fortemente provate, però si vedono sempre superate dal garantire i diritti agli ultimi arrivati: veramente una cosa incredibile.
  Bene, noi chiediamo allora di promuovere progetti di aiuto per le popolazioni del sud del mondo, volti in primo luogo alla presa in carico dei minori. Nella Pag. 19consapevolezza della necessità di tutelare i diritti dei minori, vittime delle organizzazioni criminali dedite alla tratta di persone, a farsi promotori in tutte le sedi competenti di una strategia europea comune per il contrasto del fenomeno emergenziale degli sbarchi di immigrati sulle coste del Mediterraneo europeo, atta ad avanzare, in qualità di Stati coalizzati, una richiesta di autorizzazione al Consiglio delle Nazioni Unite per un intervento finalizzato al pattugliamento e al controllo delle coste africane interessate dal fenomeno migratorio; al contrasto delle associazioni criminali dedite alla tratta di persone; alla costituzione nelle località sensibili al fenomeno migratorio di aree territoriali sotto il controllo delle Nazioni Unite per la presa in carico dei rifugiati umanitari e politici; all'attivazione, nelle aree territoriali sotto il controllo delle Nazioni Unite, di rappresentanze diplomatiche ed uffici consolari per recepire, valutare e contingentare le richieste dei permessi di soggiorno per motivi umanitari; e ad istituire una commissione, formata da rappresentati dei diversi Stati, finalizzata allo studio e all'analisi della capacità recettiva degli Stati, in rapporto alle singole realtà territoriali, per l'ingresso degli immigrati richiedenti permesso di soggiorno per motivi umanitari e politici. Ed infine ad adottare, fino a quando non verrà condivisa dall'Unione Europea una politica di intervento comune, anche attraverso l'utilizzo della normativa di urgenza, norme speciali per contrastare i flussi migratori verso il nostro Paese; e ad assumere iniziative per prevedere la continuità del finanziamento di un Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, che in questo modo non andrebbe a gravare sui bilanci dei comuni.
  Questi impegni li chiediamo perché noi riteniamo che l'unico diritto che non hanno quelli che voi definite migranti, ma che noi continuiamo a chiamare con l'unica definizione logica, e cioè clandestini, ebbene, l'unico diritto che non hanno è quello di entrare in casa nostra come e quando vogliono.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Alessandro Pagano, che illustrerà la mozione Dorina Bianchi ed altri n. 1-00506, di cui è cofirmatario.

  ALESSANDRO PAGANO. Signor Presidente, la mozione che stiamo affrontando è un tema che ormai possiamo definire di carattere strutturale. Non può più appartenere, questo tipo di argomento, ad una congiuntura occasionale e a un momento particolare di difficoltà: ormai i dati statistici, oltre che le cose che si osservano tutti i giorni dai mass media, ci fanno dire che questo tema va affrontato in maniera determinata e con uno spirito e programmazione molto forte. Si pensi soltanto che questo fenomeno, che dieci anni fa era pressoché sconosciuto, poi pian piano è cominciato a crescere sempre più nelle dimensioni, e soltanto negli ultimi tre anni abbiamo avuto 5.800 minori non accompagnati giunti in Italia nel 2012, oltre 7.000 nel 2013, e soltanto nei primi mesi del 2014 siamo a 6.700 minori.
  Quindi, è evidente che siamo in presenza di un fenomeno vero, che produce dei potenziali rischi. I rischi infatti di questa società industrializzata ed estremamente complessa, come ormai viene definito il nostro tipo di società, creano la condizione perché, se va bene, questi ragazzi e questi bambini, se non vengono adeguatamente seguiti, rischiano di finire nelle mafie dello sfruttamento minorile, dell'accattonaggio e dello sfruttamento sessuale. Quindi, è un fenomeno che, al di là del buonsenso, non può essere taciuto, non può essere più tenuto ai margini del dibattito politico, ma deve trovare una centralità.
  Già nella passata legislatura, la Commissione speciale per l'infanzia e l'adolescenza di cui ho fatto parte si occupò concretamente di questo tipo di problemi e i risultati sono stati quelli che ovviamente in parte stiamo anche citando in questa relazione.
  Ebbene, l'Italia – che in termini di altruismo e di una solidarietà non pelosa è in prima linea da sempre – deve per forza di cose intervenire, anche perché Pag. 20questi bambini e questi ragazzi arrivano non perché abbiamo l’hobby dei viaggi, ma perché temono per la loro vita, oppure perché sanno che le loro condizioni sono di autentico sfruttamento, o comunque marginali rispetto alla qualità di una vita auspicabile. Non escludiamo anche che ci sia – anzi ne siamo certi – l'istigazione da parte di taluni a far sì che ragazzi border line possano venire da noi.
  Quest'ultimo aspetto ovviamente va rimarcato perché i dati statistici ci dicono che il 37 per cento degli arrivi sono ragazzi a mala pena al di sotto dei 18 anni, cioè questi che ovviamente vengono senza documenti dichiarano nel 37 per cento dei casi – quindi un dato imponente – uno su tre, che sono vicini ai 17, 18 anni, il che fa pensare che siano a conoscenza di come noi abbiamo una legislazione soft e che non possono essere espulsi e, quindi, come tali, si dichiarano minori.
  Da questo punto di vista, il problema lo sto sollevando perché tra gli impegni che chiediamo al Governo c’è anche questo. C’è anche un altro 20 per cento che dichiara di essere intorno ai sedici anni e la cifra a quel punto diventa importante perché 37 più 20 fa oltre il 57 per cento: oltre la metà sono in quella fascia di popolazione minorile che ovviamente, non essendo controllata da nessun documento, può far pensare a non veridicità.
  Però il dato certo è che l'altro 40 per cento è assolutamente minore, nel senso che si tratta proprio di bambini, di adolescenti e quindi la nostra attenzione deve essere totale, soprattutto in funzione delle nostre prerogative principali, che ricordo perfettamente appartenere a due ordini di fattori. In primo luogo, le convenzioni internazionali, di cui l'Italia non è soltanto una firmataria tout court ma un'autentica ispiratrice perché su queste cose certamente da sempre non siamo gli ultimi, anzi il contrario. Poi, c’è l'autentica solidarietà che ci deve caratterizzare, per cui siamo convinti che, a parte i bari che ovviamente devono essere bene identificati, cioè coloro che dichiarano di essere minori senza esserlo, per tutti gli altri ovviamente noi dobbiamo garantire il massimo in termini di istruzione e di salute, non fosse altro anche perché abbiamo una crisi demografica che potrebbe anche creare le condizioni perché questi adolescenti e questi bambini, opportunamente inseriti in contesti familiari positivi, possano dare il loro contributo alla nostra nazione e al nostro Paese anche in termini di esperienze umane, che ovviamente sono sempre una forma di arricchimento.
  Per cui l'invito concreto con questa mozione è quello di uscire dall'emergenza, è quello di programmare, è quello di far un ragionamento che non è affidato alla precarietà e al caso, ma attraverso una serie di elementi di discussione, arrivare anche a una vision delle soluzioni anche concrete, quali sono quelle che noi abbiamo identificato con il nostro documento.
  E qui sostanzialmente mi avvio alla conclusione, perché è ovvio che tutto il resto apparterrebbe alla sterile retorica e non è sicuramente questo il momento e questo l'argomento per fare questo tipo di ragionamenti. In primo luogo, riteniamo che bisogna portare avanti – lo dico al Governo – una seria politica di identificazione, perché i minori che sono tali vanno accolti, vanno aiutati, vanno istruiti, vanno portati nelle migliori condizioni. Vedremo ora negli altri punti che stiamo suggerendo, ma certamente coloro che hanno più di diciotto anni, che sono borderline, è evidente che si dichiarano minori, perché hanno interesse ad utilizzare le nostre leggi, forse fin troppo tolleranti da questo punto di vista. Allora il primo aspetto è l'identificazione.
  La seconda cosa sono le adozioni facili. Noi sappiamo che siamo il regno della burocrazia: l'Italia ha la capacità di complicare tutto a tutti, in qualunque ambito, e lo sappiamo e non c’è bisogno di snocciolare le varie dinamiche sociali dove la burocrazia crea problemi spaventosi. Uno di questi aspetti è anche legato alle adozioni. Sappiamo bene che le adozioni, in questo caso adozioni internazionali, vengono frenate spesso da una insufficienza o una inadeguatezza da parte di taluni che, in termini di consulenza, devono dare Pag. 21supporto ai magistrati e che, invece, da questo punto di vista, sembra che abbiano quasi la vocazione a creare problemi e ad allungare i tempi. Per cui noi riteniamo che le adozioni debbano essere facilitate. Il Governo deve intervenire concretamente perché nell'ambito delle adozioni internazionali, a cui sicuramente attiene questo profilo di cui oggi stiamo parlando, intervenga una legislazione più snella, più agile, capace di venire incontro alle esigenze, in questo caso non soltanto del minore, non soltanto dell'adolescente, ma anche di una famiglia che vuole accogliere quel bambino, che lo vuole amare, che vuole creare le condizioni per un inserimento e un'integrazione totale e assoluta.
  Ovviamente non può mancare un terzo aspetto, che è quello dell'affido familiare, che è una fattispecie diversa, come è noto, e non mi dilungherò assolutamente, ma che è largamente presente come una delle soluzioni ottimali per processi virtuosi di crescita culturale, umana e sociale del bambino stesso. Anche qui forse è necessaria una fattispecie ben precisa, un orientamento legislativo ben preciso, che vada ad identificare percorsi agili per la soluzione di questo problema.
  C’è anche l'aspetto statistico che noi vogliamo sollevare con questa mozione, perché è chiaro che qui abbiamo una domanda e un'offerta, ovvero famiglie e bambini, che ovviamente devono trovare una giusta conclusione, nel senso di buon e lieto fine. Ma noi non sappiamo questa quant’è e allora noi chiediamo espressamente che ci sia anche una sorta di statistica finale che ovviamente crei le condizioni per dare dei risultati certi, così come anche la maggiore collaborazione con i Paesi europei. Questa è una cosa che diciamo a tutti livelli. E infine ci consenta anche un aiuto all'associazionismo che si occupa delle adozioni, che sono una grande risorsa di questo Paese, che dimostra di essere lasciato troppo solo.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Amoddio. Ne ha facoltà.

  SOFIA AMODDIO. Signor Presidente, colleghi, sottosegretario, per quanto riguarda la situazione dei minori stranieri, io cercherò di intervenire anche su altri dati e altri aspetti che non sono stati toccati e, in particolare, per la mozione Zampa ed altri 1-00501, per la situazione caratteristica che abbiamo in Sicilia.
  La situazione dei minori stranieri non accompagnati che arrivano nel nostro Paese rischia, come è stato detto da tutte le parti, di collassare il sistema accoglienza e, soprattutto, i bilanci dei comuni interessati, perché da ormai un anno, con cadenza regolare, assistiamo allo sbarco, dapprima con barconi fatiscenti, adesso accompagnati dalla Marina militare, dalle navi di Mare Nostrum, di migliaia, dico migliaia, di minori, di cui il 40 per cento sono minori non accompagnati, ovvero da soli, dei quali non si conosce se hanno o meno una famiglia, se hanno parenti.
  Con il mio intervento vorrei contestualizzare le richieste al Governo che noi facciamo con la mozione Zampa ed altri n. 1-00501, soprattutto focalizzando quanto avviene, in particolare, nei comuni della provincia di Siracusa, che stanno fronteggiando numeri troppo imponenti per queste comunità. Per questo, chiediamo l'impegno al Governo di prevedere la continuità del Fondo nazionale per i minori non accompagnati oppure di ampliare il sistema degli SPRAR, importantissima richiesta che noi mettiamo nella mozione.
  Infatti, nella provincia di Siracusa mancano le strutture e la maggior parte dei centri di accoglienza non è affatto idonea ad ospitare minori non accompagnati, né dal punto vista strutturale né dal punto di vista professionale. Il comune di Augusta, uno per tutti, è un comune commissariato e da troppi mesi affronta da solo l'emergenza, senza alcuna riserva, perché ha esaurito i bilanci comunali. La mancanza di fondi fa sì che i minori stranieri siano ospiti in un centro sportivo privato, privato, in una ex scuola elementare, senza un congruo numero di personale specializzato che possa seguirli in maniera adeguata. Pensate che è accaduto che, dopo che i dipendenti del comune erano ritornati a casa, anche effettuando Pag. 22straordinario non pagato, quindi a titolo di volontariato, i minori, lasciati in balia di se stessi, esasperati dalle condizioni di vita e dalle lungaggini burocratiche, abbiano provocato scontri all'interno delle strutture, perché, ovviamente, sono di nazionalità straniere diverse, di culture diverse, e occorrono necessariamente mediatori culturali, che allo stato non vi sono. Diversi minori, come è stato detto anche da altri colleghi, scappano e non fanno più ritorno, ed è notizia di due giorni fa che nella zona industriale di Siracusa, a Priolo, sono stati trovati tre minorenni stranieri con i vestiti inzuppati di acqua: si erano buttati in mare da un barcone e camminavano impauriti in mezzo alle ciminiere e alle raffinerie degli impianti industriali, con grave pericolo, come potete immaginare tutti.
  Quindi, diversi minori scappano e non fanno più ritorno, come è stato detto. Augusta, Siracusa, Portopalo e gli altri comuni non possono rimanere ignorati: solo ad Augusta sono avvenuti 62 sbarchi, con 26.107 migranti, di cui oltre tremila minori (dati di ieri, comunicati dal prefetto Librizzi al Ministro Alfano). È di qualche settimana fa, poi, la notizia che minori, ospiti in una struttura allestita a Portopalo, stremati dai giorni di permanenza, hanno messo in atto una protesta per chiedere di essere trasferiti in una struttura più idonea.
  Quindi, questa accoglienza di così vaste proporzioni – mi preme dirlo, in diverse occasioni l'ho detto – non sarebbe possibile senza l'impegno – lo ricordo qui, in questa sede – di tutte le forze dell'ordine, dei sindaci, degli amministratori locali, ma non sarebbe possibile nemmeno senza il grande sforzo di umanità e di sacrificio delle parrocchie e delle associazioni, che, al posto dello Stato, si stanno accollando questo grande fenomeno, e dei medici che, oltre quelli pagati dall'ASP, prestano il loro servizio gratuito in aiuto ai migranti non accompagnati. E, soprattutto, non sarebbe possibile senza l'aiuto della popolazione, che ha mostrato un grande slancio di solidarietà, anche nella raccolta di vestiario, al di là di pochissime manifestazioni di protesta o di xenofobia, se così vogliamo chiamarla, ma veramente pochissime rispetto alla vastità delle difficoltà che si affrontano in ogni singolo comune. A Siracusa, per esempio, è stato fondamentale l'intervento dell'Asgi e dell'Arci, perché, in seguito ad una campagna di grande sensibilizzazione, anche in contatto con il tribunale, hanno accelerato le procedure per individuare i tutori per i minori non accompagnati.
  Solo che, purtroppo, adesso, Presidente, signori colleghi, dato l'aumento dei flussi migratori, tendono a scarseggiare anche persone che vogliano impegnarsi nel divenire tutori dei minori. Ecco perché, con la nostra mozione, impegniamo il Governo a sviluppare l'affido familiare come alternativa alle comunità e la figura dei tutori volontari in rete con i garanti per l'infanzia e l'adolescenza.
  Questo sistema è oggi basato sull'emergenza e carente da tutti i punti di vista. Basti pensare alle visite mediche: nella provincia di Siracusa, e nella maggior parte dei comuni italiani, nelle migliori delle ipotesi un medico dell'ASP visita i centri di accoglienza una volta a settimana. Anche su questo punto nella provincia di Siracusa è stato fondamentale l'aiuto di Emergency, che con la sua clinica mobile ha visitato i migranti non accompagnati almeno due volte a settimana. Ecco, per ritornare al fenomeno italiano: ma cosa succede in Italia, mi domando, se un minore ha urgente bisogno di cure mediche al di fuori del centro ? Chi è autorizzato a trasportarlo in ospedale ? Molto spesso il personale dei centri si rifiuta di farlo perché non è autorizzato, e non tutti i minori stranieri non accompagnati hanno accanto la figura del tutore legale, proprio per la difficoltà di reperirli. Che cosa accade se un minore deve essere operato urgentemente ? Chi firma per lui ? Questo è un problema serissimo, che solamente un sistema legislativo serio e concreto può colmare.
  Quindi, come sollecitiamo con la mozione, occorre prevedere continuità – come abbiamo già detto – di finanziamento del Fondo nazionale per l'accoglienza Pag. 23dei minori, che non gravi più sui comuni, creare una normativa ad hoc, sviluppare un affido familiare alternativo alla comunità, creare un'organizzazione generale stabile attraverso una chiara normativa con procedure d'identificazione e di accertamento dell'età non invasive, istituire un sistema nazionale di accoglienza anche attraverso l'ampliamento dei posti SPRAR. E non dimentichiamo, altro dato importante di grande sensibilità, che anche il semplice trasferimento dei minori nelle varie strutture oggi, in tutta Italia, avviene senza una logica, proprio perché manca una legge seria. Può capitare che due minori che hanno intrapreso un viaggio insieme, che hanno affrontato diverse disavventure enormi per la loro giovane età, vengano inspiegabilmente divisi, uno mandato in un centro al nord, l'altro mandato in un centro in mezzo all'Italia; inspiegabilmente divisi perché non c’è una logica, non c’è un criterio. Non c’è un criterio perché manca una legge certa e, quindi, è chiaro che è rimesso alla sensibilità, o alla non sensibilità, degli operatori. E ciò non certo per cattiveria avviene, ma proprio per una cronica carenza di mediazione culturale. Ricordiamoci che spesso queste persone una volta sbarcate non conoscono i loro diritti, non conoscono quali possibilità mette lo Stato a loro disposizione e solo una mediazione culturale potrebbe permettere di conoscere un po’ più della loro storia, se hanno viaggiato con qualcuno, se ci sono parenti in Italia o all'estero, perché anche questo diventa un problema serio. Lo Stato deve individuare se hanno parenti, anche se non sono i loro genitori, ma parenti collaterali, in Italia e all'estero. Quindi nascondersi dietro l'emergenza, quando ormai ci troviamo di fronte a fenomeni strutturali come quello dei migranti non accompagnati, è dannoso prima di tutto per i minori non accompagnati e in secondo luogo è dannoso allo Stato da un punto di vista finanziario, perché è evidente la carenza normativa comporta sempre un aumento di spese.
  Per concludere, sono convinta che non occorre che il Presidente del Consiglio vada in Sicilia, come sollecita la Lega in questi giorni sui giornali, Renzi non può essere dappertutto, ma è lì dove deve essere, nel Consiglio dei ministri per sollecitare queste misure che noi sollecitiamo con la nostra mozione idonee a passare dall'emergenza alla norma stabile. È lì che deve essere: a tenere continui contatti con l'Europa per ottenere risposte serie, concrete ed efficaci, perché la frontiera non è la Sicilia, la frontiera non è l'Italia, la frontiera è l'Europa, perché noi non siamo solo cittadini italiani o siciliani, siamo cittadini europei.

  PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.
  Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Sull'ordine dei lavori (ore 11,25).

  SANDRA ZAMPA. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  SANDRA ZAMPA. Grazie signora Presidente di avermi dato la parola per ricordare che, nella mia veste di presidente dell'Associazione amici della Birmania, oggi compie gli anni, 69 anni, Aung San Suu Kyi, premio Nobel. Voglio ricordare la sua recentissima visita a questo Parlamento e l'incontro che la premio Nobel ha avuto con la Presidente della Camera dei deputati e anche con una nutrita delegazione di parlamentare.
  In questo momento in Birmania c’è un importante nodo all'attenzione del Parlamento, che è la modifica della Costituzione. Si chiede da più parti che la Costituzione venga emendata, laddove prevede la presenza del 25 per cento di militari e anche l'impossibilità di candidarsi Pag. 24per chi abbia legami di parentela all'estero, che è il caso appunto di Aung San Suu Kyi.
  Sembra che il Comitato abbia dato un parere negativo a questi cambiamenti e, quindi, occorre davvero che, in questo momento, l'Italia insieme alla comunità internazionale faccia arrivare in qualche modo al Governo del Myanmar e al Parlamento l'auspicio che invece la democrazia diventi una democrazia piena e perciò si arrivi ad emendare la Costituzione. È una battaglia a cui Aung San Suu Kyi ha dedicato una grandissima parte della propria vita e mi piace l'idea che oggi la ricordiamo proprio nel giorno del suo compleanno.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Zampa, la Presidenza non può che associarsi a questa sua sottolineatura. Abbiamo peraltro di recente ospitato Aung San Suu Kyi in questo Palazzo e abbiamo avuto modo di parlare con questa donna straordinaria e, quindi, è chiaro che tutti quanti ci associamo al suo auspicio.

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, fatta all'Aja il 19 ottobre 1996, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno (A.C. 1589-A) (ore 11,30).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 1589-A: Ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, fatta all'Aja il 19 ottobre 1996, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 13 giugno 2014.

(Annunzio della presentazione di una questione pregiudiziale – A.C. 1589-A)

  PRESIDENTE. Avverto che, a norma dell'articolo 40, comma 1, del Regolamento, è stata presentata la questione pregiudiziale di costituzionalità Rondini ed altri n. 1 che, non essendo stata preannunciata in Conferenza dei presidenti di gruppo, sarà esaminata e posta in votazione prima di passare all'esame degli articoli del provvedimento.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1589-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che le Commissioni II (Giustizia) e III (Affari esteri) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore per la III Commissione (Affari esteri), deputato Nicoletti.

  MICHELE NICOLETTI, Relatore per la III Commissione. Signor Presidente, il disegno di legge in esame si propone la ratifica della Convenzione dell'Aja del 1996 sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori e detta norme di adeguamento dell'ordinamento interno ai principi espressi dalla Convenzione.
  La Convenzione dell'Aja è stata firmata dall'Italia il 10 aprile 2003, ossia più di undici anni fa. Mentre apprezziamo vivamente l'impegno del Governo in questa legislatura affinché il Parlamento proceda al più presto alla sua ratifica, non possiamo non rilevare ancora una volta l'inaccettabilità di tempi così lunghi per l'adeguamento del nostro ordinamento interno ai principi del diritto internazionale ed europeo. Tanto più quando sono in gioco i diritti delle persone e in particolare di quelle più deboli e, dunque, maggiormente degne di tutela, come i minori, di cui si occupa la Convenzione.Pag. 25
  Di fronte a quanti in questi giorni esprimono preoccupazioni sui rischi che un'eventuale riforma delle nostre istituzioni parlamentari potrebbe comportare in ordine alla garanzia dei diritti fondamentali, sarebbe forse opportuno ricordare che il sistema delle garanzie oggi, sia per le persone che per le minoranze, riposa in larga parte, più che sulla farraginosità dei meccanismi interni, su quel diritto internazionale e sulle istituzioni internazionali a cui noi stessi, a partire dagli articoli 10 e 11 della nostra Costituzione, abbiamo dato vita.
  Per questo dovremmo sentirci impegnati a rendere sempre più effettivo e rispondente ai bisogni dei cittadini l'insieme dei principi e delle previsioni del diritto internazionale, riservando alla loro trattazione nei lavori parlamentari uno spazio specifico e privilegiato, al riparo dall'improvvisazione che spesso caratterizza il nostro procedimento legislativo. Se in ogni ambito della vita sociale l'incertezza del diritto esercita un'influenza nefasta, sul piano dei diritti delle persone tale influenza assume contorni ancora più negativi, per la sua immediata valenza esistenziale.
  La Convenzione dell'Aja del 1996 mira esattamente a introdurre elementi di maggiore certezza e definizione nel campo della tutela dei minori rispetto alla precedente Convenzione del 1961, che, se da un lato aveva chiaramente individuato i principi fondamentali dei diritti dei minori e gli obblighi degli Stati nei loro confronti, dall'altro lato aveva lasciato margini di incertezza nella definizione univoca dell'autorità competente a provvedere alla protezione della persona e dei beni del minore nel caso in cui quest'ultimo si trovasse in un Paese diverso dal proprio. Poteva così accadere, ed è di fatto accaduto, che la responsabilità della tutela del minore venisse di volta in volta addossata allo Stato di provenienza piuttosto che allo Stato di residenza, lasciando il minore in una condizione di incertezza e di esposizione al rischio. È noto, infatti, che nel corso degli ultimi decenni la condizione di molti minori nel mondo si è trovata sempre più esposta a possibilità di sfruttamento, violenza e abusi e che l'imponente crescita del fenomeno migratorio, connessa a guerre civili, oppressioni, carestie, persecuzioni, ha visto coinvolto in prima fila un grandissimo numero di bambini e minori. Una chiara definizione dei soggetti a cui la tutela dei minori è in carico è dunque fondamentale per evitare il più possibile violenze e abusi e per consentire anche a quanti – famiglie, associazioni o Stati – si fanno carico della loro accoglienza di operare in un quadro chiaro e trasparente.
  Per queste ragioni la ratifica di questa Convenzione è un atto non solo dovuto in quanto obbligo comunitario, ma è fortemente sostenuta da quanti si occupano dei minori stranieri in difficoltà, siano essi associazioni o magistrati o avvocati, costretti ad operare in una situazione confusa e talvolta contraddittoria, come testimonia la stessa giurisprudenza recente in materia nel nostro Paese.
  Il principio fondamentale che regge la Convenzione è quello chiaramente enunciato dal diritto internazionale in materia di infanzia, ossia quello del best interest del minore, che deve sempre prevalere sia rispetto alla sua appartenenza a una determinata nazionalità, sia rispetto alla rigida applicazione della legislazione nazionale del Paese ospitante. In questo senso, la Convenzione stabilisce con chiarezza che l'autorità competente in materia di tutela è quella dello Stato in cui concretamente si svolge la vita del minore, ossia dove si trovano i suoi interessi e i suoi legami familiari, indipendentemente dalla sua nazionalità. È evidente, in questo caso di tutela di un soggetto debole, rispetto al quale il fattore tempestività ed efficacia rileva in modo singolare, l'importanza che la responsabilità di proteggere sia in capo all'autorità più vicina al soggetto interessato, secondo quel principio di prossimità che ha radici antiche sul piano dei principi morali e che trova sempre maggiore accoglienza nel diritto europeo e secondo quell'attenzione al radicamento del minore nel suo ambito vitale.Pag. 26
  Sull'altro fronte, la ricerca del best interest del minore, nonché la natura pattizia della Convenzione, basata sul reciproco riconoscimento dei soggetti contraenti, impone ad ogni Stato di riconoscere le misure di protezione adottate dalle autorità di uno Stato contraente – salvo eccezioni dettagliatamente indicate – come se fossero state adottate dalle proprie autorità. Questo riconoscimento dell'ordinamento straniero, dell'ordinamento «altro da sé» è espressione concreta di quella visione del pluralismo degli ordinamenti giuridici che è alla base del diritto internazionale e dello stesso diritto europeo e che si rende particolarmente significativo in materia di diritto di famiglia, ossia di quel diritto che regolamenta le relazioni più intime tra le persone e che, dunque, più di ogni altro ha a che fare con la sfera delle convinzioni soggettive in ambito morale e religioso, delle tradizioni, dei costumi degli individui e dei popoli.
  Ciò è reso esplicito dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (articolo 9) e dai numerosi pronunciamenti della Corte europea dei diritti umani in materia. Non si tratta semplicemente di riconoscere la validità di istituti giuridici di altri Paesi all'interno del nostro ordinamento, ma più profondamente di coglierne il significato, i valori e le relazioni che essi mettono in forma, per farli positivamente interagire, da un lato, con i principi fondamentali dei diritti umani e, dall'altro, con gli istituti e le norme della nostra tradizione giuridica.
  In quest'ottica, la Convenzione dell'Aja prevede il riconoscimento non solo di quelle forme di responsabilità genitoriale codificate negli istituti dell'adozione o dell'affido tipici dei nostri ordinamenti, ma anche di quelle forme di tutela dei minori in stato di difficoltà o di abbandono previsti da altre tradizioni come, nel caso dei Paesi islamici, la kafala.
  Nei Paesi che ispirano la propria legislazione ai precetti coranici non esiste rapporto di filiazione diverso dal legame biologico di discendenza che derivi da un'unione lecita. La legge islamica, dunque, non ammette in senso stretto l'istituto dell'adozione. Tuttavia, per evitare che figli senza genitori restino del tutto sprovvisti di tutela, il diritto islamico prevede lo specifico istituto della kafala, per effetto del quale un adulto musulmano (o una coppia di coniugi) ottiene la custodia del minorenne, in stato di abbandono, che non sia stato possibile affidare alle cure di parenti, nell'ambito della famiglia. La disciplina dell'istituto assume connotazioni specifiche nei diversi ordinamenti islamici; è, però, possibile individuare i tratti essenziali e comuni di questa particolare forma di affidamento. Il rapporto che si instaura tra affidatario e minore non crea vincoli ulteriori rispetto all'obbligo del primo di provvedere al mantenimento e all'educazione del secondo, fino a quando questi raggiunga la maggiore età.
  La ratifica della Convenzione, che riconosce esplicitamente la kafala, impone quindi di trovare figure giuridiche capaci di contenere in sé la tipicità di questo istituto e per questo il disegno di legge in esame ha formulato la proposta di inserire questo riconoscimento all'interno della forma giuridica dell'assistenza legale al minore, intendendo con questa espressione l'assistenza giuridica, morale e materiale, nonché la cura affettiva di un minore, secondo quanto fanno altri ordinamenti, dove si parla di accoglienza o di «permanent care».
  In questo modo si apre la possibilità di riconoscere all'interno del nostro ordinamento giuridico forme di protezione dei minori, in stato di abbandono o meno, che siano debitamente prospettate dalle competenti autorità straniere e accuratamente vagliate dalle autorità italiane, secondo i criteri più oltre descritti.
  Deposito agli atti il testo completo della relazione, che chiedo venga pubblicato in calce al resoconto della seduta con l'esposizione di diversi articoli della convenzione e del disegno di legge, ed integrerà poi questa relazione la presidente della Commissione giustizia per la parte di sua competenza (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti).

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  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la relatrice, presidente della Commissione giustizia, Donatella Ferranti.

  DONATELLA FERRANTI, Relatore per la II Commissione. Signora Presidente e onorevoli colleghi, ovviamente mi riporto e faccio mie anche le dichiarazioni che ha reso il collega Nicoletti e la parte della relazione scritta in cui abbiamo cercato dettagliatamente di illustrare i momenti salienti del provvedimento in esame.
  Poche riflessioni, io credo necessarie, in quanto questa Convenzione, stipulata nel 1996, ancora deve essere ratificata dall'Italia ed è un ritardo che ha creato e che crea problemi anche nei rapporti con gli altri Stati e che mal si giustifica, considerato appunto che da altri Paesi dell'Europa vi è stata adesione e vi è stata applicazione, in alcuni casi in maniera diciamo così «secca» e in altri in maniera più dettagliata, come nel nostro caso.
  La kafala è un istituto antico del diritto di famiglia della tradizione islamica che disciplina l'assunzione da parte del kafil di obblighi di nutrimento, educazione, cura e crescita propri dei genitori. È temporanea per natura e, quindi, senza effetti ereditari, senza modificazioni dello status civile. E si basa su un principio solidaristico, quello di assicurare un supporto sociale al minore che necessiti appunto di protezione. È riconosciuta dal diritto internazionale, dall'articolo 20 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989 e dalla Convenzione, appunto, dell'Aja del 1996 di cui stiamo parlando e che stiamo cercando di ratificare dandole attuazione attraverso questo disegno di legge. Ma già nell'orientamento giurisprudenziale in tutti questi anni in cui appunto non vi è stato il perfezionamento di questa ratifica, la kafala è stata sostanzialmente assimilata dalla giurisprudenza all'affidamento eterofamiliare e la giurisprudenza ha operato, come spesso accade, purtroppo, in assenza di un intervento del legislatore, in via di supplenza e in via ermeneutica cercando, nei casi dove fosse particolare interesse preminente del minore e non ci fosse la possibilità di un riconoscimento dell'atto dello Stato straniero, di aggirare l'ostacolo attraverso le norme sul ricongiungimento familiare.
  Ma qui, invece, c’è la necessità di mettere a punto una normativa che disciplini il riconoscimento del provvedimento di uno Stato estero nel diritto interno. E questa Convenzione introduce il principio generale del riconoscimento automatico della misura di protezione adottata dall'autorità in uno Stato appunto contraente. Per la kafala vi è un necessario vaglio dell'autorità centrale, dell'autorità competente dello Stato che deve ricevere il minore. Di qui le norme di adeguamento contenute in questo disegno di legge.
  In particolare, io credo – e questa è stata la linea tenuta dai relatori e dalle Commissioni – che, sia pur tenendo conto di quella che è stata l'impostazione del disegno di legge, che si fonda soprattutto sugli articoli 4 e 5 del testo, si è voluto cercare di mantenere e riconoscere la natura, l'origine appunto, della kafala senza snaturare l'istituto e cercando di adattarlo alla normativa e ai principi del nostro ordinamento. Ecco, quindi, che è importante avere individuato all'articolo 3 gli organi di riferimento, cioè il Ministero della giustizia – Dipartimento per la giustizia minorile come autorità centrale incaricata di adempiere agli obblighi derivanti dalla Convenzione, e la Commissione per le adozioni internazionali come autorità competente italiana.
  Gli articoli 4 e 5, poi, individuano quali sono le situazioni in cui dovrà procedersi al riconoscimento del provvedimento dello Stato estero, in particolare appunto per ciò che attiene alla kafala. E, quindi, all'articolo 4 si disciplina la procedura da seguire quando è collocato in Italia un minore straniero che non si trovi in stato di abbandono. Il disegno di legge, quindi, delinea il percorso specifico. C’è un provvedimento dell'autorità straniera che lo propone all'autorità centrale italiana; poi, vi è il Ministero della giustizia che trasmette gli atti al tribunale per i minorenni e l'autorità giudiziaria competente è individuata in base alla residenza della famiglia o della struttura di accoglienza. Ci Pag. 28sono anche degli approfondimenti che il tribunale per i minorenni potrà chiedere, proprio sul minore, sulle persone e la struttura individuata per l'assistenza, tramite i servizi sociali e le ASL. Si è anche introdotto, rispetto al disegno di legge, su indicazione pure del Governo, il fatto che si possa e si debba procedere all'ascolto del minore laddove appunto è compatibile con le normative anche del Paese di origine.
  Ecco che, poi, all'articolo 5, invece, si disciplina l'altro istituto, quello che attiene sempre al riconoscimento di un provvedimento di uno Stato estero nel caso in cui c’è un minore in stato di abbandono. E anche qui vi è il compito, da parte della Commissione per le adozioni internazionali, appunto l'autorità competente italiana, di approvare la proposta di assistenza legale e, nel caso in cui un minore è in stato di abbandono, verificare la documentazione trasmessa e che, tenuto conto del superiore interesse del minore, risultino tutte le circostanze espressamente richieste dalla norma.
  E sono previsti requisiti dettagliati, un sistema di garanzie analogo a quello che in linea di principio è richiesto per le adozioni internazionali, ma tutti finalizzati ad evitare che proprio queste normative, questi casi si tramutino in una via che possa consentire di aggirare le disposizioni in materia di adozione. E l'intera procedura deve essere realizzata con l'intermediazione degli enti autorizzati e del servizio pubblico proprio per evitare rapporti diretti tra il minore e i potenziali kafil.
  Si è adombrato, da parte di alcuni e l'ho letto anche nella pregiudiziale di costituzionalità che è stata depositata, un possibile contrasto con norme di ordine pubblico. Ma, in realtà, – questo mi preme rappresentarlo anche in questa sede – tutto questo non tiene conto proprio di quello che è stato lo spirito, la ratio di questo disegno di legge che, tra l'altro, è frutto di una commissione interministeriale che ha cominciato a lavorare dal 2008 e che, quindi, ha cercato vari aggiustamenti proprio per rendere tutta la procedura sempre più conforme proprio al nostro diritto interno.
  Ma potrebbe ipotizzarsi una contrarietà o elusione della disciplina, quindi una contrarietà all'ordine pubblico e una contrarietà proprio ai nostri principi fondamentali, solo allorché fosse ipotizzabile che dalla kafala si volessero far derivare nel nostro ordinamento effetti identici o analoghi a quelli dell'adozione, ma non nel caso in cui, com’è il testo attuale (e siamo stati accorti a mantenerlo proprio nella sua linea portante, non accettando quindi proposte di emendamento che, invece, andavano in altro senso), nel rispetto della disciplina vigente del Paese di provenienza del minore affidato, il riferimento alla kafala, anche dopo l'avvenuto ricongiungimento con il cittadino italiano che quindi diventa kafil, non svolga altra funzione che quella di giustificare l'attività di cura materiale e affettiva del minore, con esclusione di ogni vincolo di natura parentale e anche solo di rappresentanza legale.
  Tutto questo non fa che far capire come ci sia la necessità assoluta, proprio anche per creare certezza nei rapporti giuridici, dell'approvazione finalmente di questo disegno di legge di ratifica, anche perché c’è una procedura di infrazione che sta per essere aperta, l'ennesima nei confronti del nostro Paese, ed è evidente che la ratifica di questa Convenzione da parte dell'Italia risolve molte delle questioni e dei problemi interpretativi che finora ha dovuto risolvere la giurisprudenza e che, in qualche caso, hanno creato e creano incertezza in una materia dove c’è la necessità sia di mantenere quei rapporti internazionali con gli Stati ma anche e soprattutto di stabilire quello che deve essere un interesse preminente come quello di salvaguardare e tener conto dell'interesse prioritario che è quello del minore bisognevole di protezione.

  PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
  È iscritta a parlare la deputata Giuliani. Ne ha facoltà.

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  FABRIZIA GIULIANI. Signor Presidente, colleghi, membri del Governo, io credo che, come molte delle questioni che abbiamo discusso anche prima di questo atto legislativo, anche la norma stessa che andiamo a discutere tocca questioni davvero molto delicate e credo dunque che sia necessario, più che opportuno per affrontare il confronto, sgombrare il campo da giudizi affrettati, quando non veri e propri pregiudizi, cornici ideologiche superate per evitare semplificazioni e strumentalizzazioni che non aiutano in alcun modo.
  Credo che sia necessario, invece, conoscere e approfondire con attenzione e sensibilità – ripeto: sensibilità – data la materia, per consentire a processi legislativi di natura internazionale, come quelli che oggi discutiamo e dei quali ci occupiamo, di giungere finalmente a compimento e, quindi, di risolvere i problemi che ci si prefigge di risolvere.
  Il richiamo è alle parole del collega Nicoletti. I valori di certezza e determinazione che rappresentano specificamente l'obiettivo di questo provvedimento, a mio avviso, debbono rappresentare una vera e propria stella polare; devono essere i principi ai quali ci ispiriamo per riuscire a portare a compimento e, quindi, ratificare la norma in oggetto. Solo così, io credo, concretamente si evita quell'esposizione al rischio e allo sfruttamento a cui il contesto internazionale espone i minori e che credo, senza distinzioni di sorta in quest'Aula, vogliamo perseguire, perché rappresenta il nostro obiettivo.
  Vado a sintetizzare, perché molte delle ragioni che ci spingono, appunto, a questa ratifica sono state già ben riassunte dai relatori. Io credo che le ragioni che sono alla base della necessità di questa ratifica siano essenzialmente tre: in prima istanza, la nostra comune appartenenza europea. Lo ripetiamo spesso: l'Europa non è soltanto austerità, fiscal compact o emergenze di natura sociale ed economica. Non solo l'Europa, alla quale guardiamo, è l'Europa dei diritti, ma io credo che la storia che attraversa il nostro continente contenga davvero fino in fondo la capacità di perseguire valori come quelli dell'uguaglianza, tenendo conto del riconoscimento delle differenze, differenze di natura religiosa, di natura culturale e politica. La capacità di mediare concretamente, a livello giuridico, tra queste differenze è il compito che ci spetta, la responsabilità che abbiamo sulle spalle. Per questa ragione, dunque, richiamo l'Europa.
  La seconda istanza è quella di continuare nello sforzo inaugurato dal Governo Letta e proseguito oggi dal Governo Renzi, perché questa legislatura prova a portare il segno – e a mio avviso lo porta – di un avanzamento sul terreno della partecipazione ai processi democratici, della promozione di una democrazia partecipativa che riesce a riconoscere i bisogni delle persone anche quando con la nozione di persona noi ci riferiamo ai minori, ai bambini. Le istanze dei minori, oltre davvero ogni retorica, non possono rimanere inascoltate. È importante sostenere lo sforzo del diritto di accompagnare il riconoscimento dei bisogni dei bambini in un contesto internazionale, come quello che hanno evocato i colleghi prima di me, che li espone davvero a molti rischi e a molte opportunità. Insomma, i movimenti che attraversano i nostri continenti danno molte opportunità, ma espongono a molti rischi e con molta laicità dobbiamo essere in grado di identificarli.
  Vengo al punto. Si tratta di una Convenzione davvero rilevante che – appunto lo hanno ricordato anche altri prima di me – è entrata in vigore dal 1o gennaio 2002 e finora è stata ratificata da più di 30 Paesi. L'Italia è però in ritardo. Risulta, appunto, tra gli ultimi Paesi dell'Unione ad avviare questo processo, nonostante i moniti della Commissione. Oggi io credo che, dopo la riforma del diritto di famiglia, che ha comportato pienamente il superamento del concetto, del principio, di potestà genitoriale, ancora così fortemente radicato nel nostro senso comune, io credo che dobbiamo essere capaci di affrancarci da questo senso comune e non possiamo esimerci dal muovere un ulteriore passo, nel senso della tutela e della promozione dei diritti dell'infanzia e dei minori.Pag. 30
  Del resto, l'articolo 3 della Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza afferma con chiarezza come in tutte le decisioni relative ai minori, di competenza delle istituzioni pubbliche o private, di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative e degli organi legislativi, l'interesse superiore debba essere preminente. Il lavoro che abbiamo svolto all'interno delle Commissioni è andato con decisione in questo senso, ossia quello del riconoscimento dei diritti dell'infanzia al netto di qualunque discriminazione.
  Io credo che la lotta proprio per il contrasto a queste discriminazioni non deve conoscere né confini né frontiere. Del resto, per dire quanto è stato grande lo sforzo dei lavori delle Commissioni competenti, basta verificare quante sono le proposte di emendamenti alle quali si è lavorato e quante sono state le audizioni. Non mi soffermo su di esse per ragioni di tempo e perché io credo che siano stati presenti anche a tutti i colleghi che vi hanno partecipato e, quindi, a questa Assemblea.
  Perché la proposta ha avuto bisogno di tutto questo dibattito ? Perché coinvolge i provvedimenti di kafala, sui quali si sono soffermati sia la presidente Ferranti che il collega Nicoletti, e perché la misura di protezione dell'infanzia disposta all'estero nei Paesi di tradizione islamica, come sappiamo, ha posto anche qualche problema, non riconoscendo altro legame oltre quello della consanguineità.
  La kafala, se dovessimo dirlo in parole molto semplici, è un affidamento che si protrae fino alla maggiore età e non trova, ad oggi, corrispondenze all'interno dell'ordinamento giuridico italiano. È espressamente citata nella Convenzione internazionale dei diritti dei minori del 1989, ratificata in Italia nel 1991. In essa si legge come ogni fanciullo, il quale è temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente familiare, oppure non può essere lasciato in tale ambiente, ha diritto a protezione e ad aiuti speciali dello Stato. Gli Stati che prevedono per questo minore una protezione sostitutiva in conformità con la loro legislazione nazionale, possono provare a tradurre questa norma concretamente attraverso la sistemazione in una famiglia, la kafala di diritto islamico, l'adozione o, in caso di necessità, il collocamento in un adeguato istituto per l'infanzia.
  Nell'effettuare una selezione tra queste soluzioni si terrà debitamente conto della necessità della continuità nell'educazione e nei bisogni del minore, nonché della sua cultura, della sua origine etnica, religiosa, culturale e linguistica. Del resto, i fenomeni di migrazione, con i quali sempre più frequentemente anche questa Assemblea legislativa si confronta, sanno quanto sia difficile mediare fra tradizioni diverse e, dunque, nell'effettuare una selezione tra queste soluzioni si deve tenere conto di questa continuità.
  Ora, io credo che il disegno di legge che si propone la ratifica della Convenzione dell'Aja sulla competenza, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori e di adeguamento dell'ordinamento interno ai principi espressi dalla Convenzione, per dare veste giuridica a quella sorta di affidamento familiare, debba misurarsi con queste mediazioni. È un provvedimento atteso e fortemente voluto dal Governo...

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  FABRIZIA GIULIANI. Mi avvio a concludere, Presidente. È un provvedimento importante su cui le Sezioni unite della Corte di cassazione si sono espresse con la sentenza n. 21108 del 2013, che voglio rapidamente richiamare: «non può essere rifiutato il nulla osta all'ingresso nel territorio nazionale, per ricongiungimento familiare, richiesto nell'interesse di minore cittadino extracomunitario affidato a cittadino italiano residente in Italia con provvedimento di kafala pronunciato dal giudice straniero nel caso in cui il minore stesso sia a carico o conviva nel paese di provenienza con il cittadino italiano ovvero gravi motivi di salute impongano che Pag. 31debba essere da questi personalmente assistito». Credo che debba essere questa una traduzione che non possiamo esimerci dal compiere (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Constato l'assenza del deputato Rocco Palese, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
  È iscritta a parlare la deputata Donatella Agostinelli. Ne ha facoltà.

  DONATELLA AGOSTINELLI. Signor Presidente, colleghi, la discussione delle ratifiche internazionali, si sa, viene purtroppo relegata al sottoscala dei lavori del Parlamento, laddove i temi oggetto del convenire tra il nostro Paese ed i soggetti esteri rispondenti, attengono a peculiari cooperazioni economiche o giuridiche che transitano dall'Aula in una sorta di sede deliberante mascherata, verrebbe da dire, per pochi eletti.
  Ancora la scorsa settimana, nel calendario, si sono viste numerose ratifiche concentrate in una sola seduta di Assemblea, il cui svolgimento ha dato luogo ad una babele di argomenti disparati per temi e per geografie di riferimento. Ragionamenti, impegni economici, su temi cruciali per la politica estera dello Stato, schiacciati sullo sfondo del via-vai di decreti che il Governo fa transitare tra Camera e Senato.
  Il problema che si pone, allora, non sarebbe solo di carattere procedurale, circa l'opportunità di svolgere ordinariamente la discussione di questi atti piuttosto che in un'apposita sede deliberante, ma è piuttosto politico. Poiché, tra le pieghe di un disegno di legge di ratifica possano celarsi, dietro la formula del «prendere o lasciare», aspetti che difficilmente la totalità dell'Aula è in grado di valutare con il dovuto grado di approfondimento e, soprattutto, gli adeguati strumenti di modifica.
  In questo caso, sia per la riunita competenza delle Commissioni esteri e giustizia in sede referente, sia per il pregresso iter politico parlamentare dell'atto al nostro esame, l'Assemblea ha invece davanti a sé l'opportunità di esaminare, a ragion veduta, una questione che, al di là della sua oggettiva complessità tecnica, contiene un impegno piuttosto chiaro. Oggi si discute, infatti, dell'effettiva volontà politica di garantire ai minori stranieri legati a soggetti soggiornanti in Italia, non solo il godimento della totalità delle misure di protezione e tutela messe a loro disposizione dall'ordinamento nazionale, ma, qualora queste siano insufficienti, della possibilità di introdurne di nuove, sempre e solo nell'interesse esclusivo di quei minori che risultino momentaneamente o permanentemente privi delle proprie famiglie di origine.
  La Convenzione dell'Aja sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori del 19 ottobre 1996 parla sostanzialmente di questo, ma è proprio per via dell'introduzione nell'ordinamento nazionale di un nuovo istituto per la protezione del minore, quella tutela giuridico legale diffusa nei paesi di tradizione islamica e meglio conosciuta come kafala, che l'Italia si trova oggi nella condizione di essere l'ultimo dei Paesi europei a non averla ancora ratificata. A nulla sono valsi, infatti, i tentativi esperiti nella scorsa legislatura, in entrambi i rami del Parlamento, nonostante la decisione del Consiglio d'Europa del 2008 avesse già tassativamente fissato in due anni il termine per la ratifica della Convenzione dell'Aja del 1996 da parte degli Stati membri.
  Lasciando, come è giusto che sia, ai colleghi della Commissione esteri la possibilità di illustrare nel merito i contenuti della Convenzione, mi limiterò ad affrontare la parte relativa all'introduzione della kafala per capire in che cosa consista questo ostacolo politico-sociale che paralizza da anni un'intera legge di ratifica a danno delle misure di tutela dei minori altrimenti contenute nella Convenzione. Innanzitutto, è stato già detto, la kafala, accoglimento, è un istituto giuridico derivato dal diritto islamico. Attraverso tale negozio giuridico, un giudice affida la Pag. 32protezione e la cura di un minore ad un altro soggetto, detto kafile, che non ne sia il genitore naturale. Tale soggetto, affidatario della kafala è per lo più un parente che curerà la crescita e l'istruzione del minore. Ciò perché nei Paesi di fondamento giuridico islamico, ove l'adozione non viene consentita per motivi dottrinali, fu indispensabile evitare che i figli senza genitori, orfani o abbandonati, restassero del tutto sprovvisti di tutela. Vale quindi la pena ricordare che dall'istituto della kafala tra il minore sottoposto a tutela e l'affidatario non si determina alcun rapporto di filiazione, né, tanto meno, al compimento della maggiore età si producono effetti legittimanti. In pratica, questi non acquista il cognome di chi ne ha ottenuto la custodia, non rientra nella successione, non instaura legami giuridici con la famiglia di accoglienza, né recide i rapporti con il proprio nucleo familiare di origine, qualora reperibile.
  In un certo senso è da quest'ultima affermazione, che insiste sulla finitezza del rapporto tra il minore e il soggetto esercitante tutela, che si deve partire per capire in che modo la kafala possa, tramite la ratifica della Convenzione, venire introdotta nel nostro ordinamento senza cagionare alcun nocumento al complesso della legislazione nazionale dedicato alla responsabilità genitoriale. L'istituto, già riconosciuto dalla giurisprudenza italiana che con le sentenze del tribunale di Torino del 2007 e della Cassazione del 2008 aveva indicato la kafala ai fini del ricongiungimento familiare equiparabile all'affidamento, viene così introdotto per legge con una speciale procedura che fissa alcuni paletti, limiti tesi a verificare l'effettiva temporaneità dell'uso, i requisiti in capo agli aspiranti accoglienti, stabilendo altresì una precisa catena di comando burocratica per la concessione del riconoscimento ed esecuzione di tale specifica misura di protezione del minore. Non si tratta, quindi, di una ratifica secca della Convenzione – come peraltro avvenuto in Spagna e in Francia – bensì di una modulazione attraverso l'ordinamento a tutela, come detto, sia del minore, ma anche delle regole vigenti, incluse quelle migratorie, laddove la cosiddetta assistenza giuridico-legale di un minore in stato di abbandono non può – lo vediamo gli articoli 5 e 6 – commutarsi in una strada per ottenere, per le vie brevi, la cittadinanza italiana.
  Tramite la richiesta di un'assistenza legale, sia allora chiaro, non si possono aggirare le disposizioni delle leggi sulle adozioni internazionali. Il MoVimento 5 Stelle, ha subito accolto con grande attenzione il provvedimento oggi al nostro esame, ritenendolo un atto la cui ratifica sia da considerarsi indispensabile sul piano internazionale. Abbiamo lavorato nell'interesse di rendere l'assistenza legale del minore il più possibile efficace ed equilibrata presentando numerosi emendamenti in Commissioni riunite, molti dei quali sono stati approvati.
  Mi riferisco all'introduzione, onde evitare abusi, del requisito dell'ascolto del minore interessato al provvedimento; la trasformazione, sempre al medesimo fine di evitare utilizzi impropri della legge e per una maggiore tutela nei confronti del minorenne interessato, della locuzione «assistenza legale di un minore» in «assistenza giuridica, morale e materiale, nonché cura affettiva» dello stesso, definendo, allo stesso tempo gli interessati all'assistenza giuridica del minore in stato di abbandono in «aspiranti all'assistenza», così da circoscrivere ai soli coniugi richiedenti la titolarità del provvedimento di accoglienza, evitando, anche qui, eventuali irregolarità in capo a chi possa giuridicamente proporsi per il perfezionamento della pratica.
  Abbiamo potuto inserire passaggi introducenti la reclamabilità presso la Corte di Appello della decisione di assistenza legale, nonché norme di coordinamento procedurale per una migliore comunicazione fra le autorità decidenti individuate nel disegno di legge di ratifica.
  Conclusivamente, per il nostro gruppo, la ratifica della Convenzione dell'Aja del 1996, in materia di responsabilità genitoriale e di protezione dei minori, è da considerarsi una via obbligata, sufficientemente ponderata nel suo recepimento Pag. 33nel contesto giuridico italiano, che potrà finalmente fornire nuovi ed aggiornati strumenti per la salvaguardia dei minori in un quadro normativo nazionale ancora sostanzialmente fermo alla precedente Convenzione Aja del 1961 (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Daniele Farina. Ne ha facoltà.

  DANIELE FARINA. Signor Presidente, altri colleghi hanno fatto riferimento al tempo di questa Convenzione, che risale al 1996, e al tempo nostro, il tempo di un ritardo che vale purtroppo per moltissime ratifiche mancate da queste Camere. Ci sarebbe da interrogarsi sul perché un tema così delicato, negli anni passati – nei decenni passati, direi –, non sia stato portato al punto in cui oggi noi siamo; e non potremmo che far riferimento alle maggioranze che si sono succedute in questo lungo periodo. A me duole che la questione pregiudiziale di costituzionalità avanzata dal partito della Lega Nord, per questioni nostre di carattere procedurale, debba essere affrontata dopo questo dibattito generale che stiamo appunto svolgendo, perché lì avremmo avuto probabilmente l'occasione di misurare i valori fondamentali – se di valori si può parlare – con cui ci confrontiamo quando si parla del tema dell'immigrazione, che siano minori o maggiorenni poco importa. Credo che i fatti di cronaca di questi giorni, gravi, gravissimi fatti di cronaca – ce ne sono diversi – in confronto al dibattito che c’è stato anche in quest'Aula, potrebbero raccontarci molto su una visione differenziale di questi stessi fatti di cronaca a seconda che gli autori di quei delitti, perché di delitti parliamo, siano di nazionalità italiana piuttosto che straniera. Ma qua mi fermo. Immagino che avremo modo in quella sede, di discussione della questione pregiudiziale, di ingaggiare ancora una volta questo tema che credo sia dirimente della nostra vita civile e convivenza.
  Tuttavia, nel merito, la Convenzione dell'Aja, come detto e ripetuto più volte, risale al 1996 – noi l'abbiamo firmata nel lontano 2003 – ed è una revisione di un testo più antico, del 1961, sulla competenza delle autorità e la legge applicabile nel campo della protezione dei minori. Consentirebbe, con tantissimi anni di ritardo, di superare le criticità emerse in seguito all'entrata in vigore della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo di New York del 1989, peraltro già ratificata dall'Italia nel lontanissimo 1991, in base alla quale è intervenuto un profondo mutamento d'approccio del diritto internazionale a tutela dell'infanzia.
  La principale novità rispetto a quella Convenzione del 1961 consiste nella creazione di un'autorità centrale e nell'istituzione di una procedura di consultazione fra le autorità dei due Paesi di residenza attuale e di residenza futura del minore: ciò garantirà – contiamo – alle decisioni in materia minorile un riconoscimento il più possibile uniforme nei vari Stati, con il superamento del limite territoriale dello Stato in cui il provvedimento è stato emesso. Viene, poi (ma questo in estrema sintesi), introdotto un nuovo criterio principale di collegamento per l'individuazione dell'autorità competente a emettere le misure di protezione: quello del luogo di residenza abituale del minore, ove si radicano i suoi interessi e il suo ambiente familiare.
  È evidente che la ratifica della Convenzione di cui stiamo discutendo consentirebbe al nostro Paese di dare finalmente una risposta a molteplici, tante, difficili situazioni che coinvolgono i minori presenti nel Paese e che si trascinano da tempo senza alcuna soluzione. Migliaia sono infatti i minori che vivono oggi in Italia in condizioni di difficoltà familiari: minori non accompagnati, bambini che provengono da Paesi colpiti da catastrofi naturali o da conflitti, tema che credo abbia una soverchiante attualità; minori in kafala, unico strumento di protezione e tutela dell'infanzia in molti Paesi, e su cui magari tratterò brevemente, perché tantissimi altri colleghi si sono lungamente soffermati su questo tema.Pag. 34
  In particolare, però, il mancato riconoscimento dell'istituto della kafala non consente ai minori abbandonati di religione musulmana di essere accolti dalle aspiranti famiglie adottive in Italia. La Convenzione dell'Aja del 1996, la sua ratifica, aprirebbe invece la strada al riconoscimento delle misure di protezione che non hanno un corrispondente in Italia, con ciò contribuendo a fondare uno spazio giuridico comune. Questo io credo sia il punto fondamentale di questo nostro provvedimento: uno spazio giuridico comune.
  Oggi la kafala è l'unico istituto giuridico che fornisce una protezione sostitutiva alla famiglia naturale, al minore in molti Paesi arabi, o Paesi musulmani. Crediamo che attraverso il monitoraggio dell'autorità, prevista dalla Convenzione, e nella legge di ratifica identificata nel Ministero della giustizia e nel Dipartimento per la giustizia minorile quale autorità centrale, e nella Commissione per le adozioni internazionali costituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, quale autorità competente italiana ad approvare la proposta di assistenza legale, tramite kafala o istituto analogo, di un minore in stato di abbandono, emessa dall'autorità giudiziaria di un altro Stato contraente la Convenzione, sarà possibile affrontare caso per caso le delicate questioni di compatibilità con il sistema giuridico italiano, dai risvolti umani drammatici, e distinguere fra i vari provvedimenti di kafala previsti dagli ordinamenti di matrice islamica.
  L'obiettivo della Convenzione è del tutto condivisibile, ed è che le autorità dei due Paesi prendano contatti e concordino sulle misure di protezione prima della sua realizzazione, proprio in considerazione del fatto che essa è disposta in uno Stato ma dovrà essere eseguita in un altro, e che si tratta di una misura di protezione di lungo periodo.
  In questi anni – e vado velocemente a concludere –, a causa della mancata firma, l'Italia è già stata sollecitata dalla Commissione europea, che ora chiede ai Paesi dell'Unione europea di seguire il percorso fatto da molti altri Paesi, a partire da Spagna e Gran Bretagna. Non si può ignorare che la decisione del Consiglio dell'Unione europea è vincolante e la Commissione europea, in applicazione dei poteri riconosciuti dall'articolo 226 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, ha il potere di valutare l'inerzia da parte degli Stati membri, oppure la mancanza di volontà di procedere alla ratifica, al fine di attuare la procedura prevista dall'articolo 258 del medesimo Trattato contro la violazione. Esiste quindi il rischio che la Commissione europea attivi questa procedura contro l'Italia per la violazione dei Trattati, che prevede una fase giudiziale davanti alla Corte di giustizia delle Comunità europee, e che potrebbe anche comportare una sanzione pecuniaria per il mancato rispetto del diritto comunitario. Ma questo è veramente l'ultimo dei problemi che abbiamo sul tappeto: il nostro Paese non può più rinviare tale adempimento, e deve procedere in tempi brevi alla ratifica della Convenzione in esame, che ci porterebbe indubbiamente a compiere un passo in avanti nella protezione dei minori.
  Ripeto, chiudendo questo intervento in dibattito generale per Sinistra Ecologia Libertà, che duole che il dibattito vero, quello sui fondamentali, quello sulle cose che dividono, lo dovremo affrontare successivamente a questa nostra odierna seduta.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Milena Santerini. Ne ha facoltà.

  MILENA SANTERINI. Signor Presidente, colleghi, come è stato già detto, questo provvedimento, la ratifica di questa importante Convenzione, è piuttosto delicato. Sappiamo che stiamo arrivando con un forte ritardo alla ratifica e il campo di cui ci stiamo occupando, in particolare l'affidamento e l'assistenza legale di minore, la protezione e la tutela legale di minori, in particolare di alcuni Paesi riguardo ai quali fino adesso non c'era una esplicita legislazione da parte nostra, è piuttosto delicato. Con questa nuova versione la Convenzione introduce alcuni criteri che vorrei mettere in luce.Pag. 35
  Una puntuale individuazione dell'autorità competente ad emettere le misure di protezione è quella del luogo di residenza abituale del minore, ove si radicano i suoi interessi, il suo ambiente familiare. Questo, salvo casi particolari, elimina le difficoltà operative che emergevano ogni volta che veniva applicato il diritto di uno Stato diverso da quello in cui si trova l'autorità competente a emettere misure.
  Per questo noi riteniamo assolutamente necessario, per escludere le incertezze ed eventuali contrasti, che sia espressamente individuata l'autorità giudiziaria italiana funzionalmente competente per l'emissione dei provvedimenti urgenti di protezione previsti dalla Convenzione.
  Con questa ratifica si interviene nel nostro ordinamento dando una veste normativa all'unico istituito giuridico di diritto islamico in grado di consentire l'accoglienza in famiglia dei minori il cui Paese di origine non conosce l'adozione, la cosiddetta kafala, richiamata già nella Convenzione. Si tratta di una risposta, anche se parziale, alle richieste di tutela dei minori abbandonati, che sono sempre più numerosi; basti pensare ai conflitti che in questo momento stanno agitando in particolare una parte dell'Africa e del Medio Oriente.
  Nel corso dell'esame il provvedimento è stato modificato e migliorato; alcune nostre proposte emendative sono state pienamente accolte, altre parzialmente, altre ancora respinte. Vorrei focalizzare l'attenzione su queste: prendiamo atto con soddisfazione – il gruppo Per L'Italia – che abbiamo proposto che il tribunale dei minorenni verifichi che il minore sia stato informato e sia stato raccolto il suo consenso, se previsto dalla legislazione del Paese d'origine. Ma riteniamo però che ci sia un aspetto molto problematico rispetto alla limitazione dell'istituto giuridico che si vuole introdurre con l'articolo 4 del disegno di legge. Cioè, noi stiamo configurando una forma di affidamento internazionale e riteniamo che occorrerebbe davvero approfondire il problema di non escludere almeno la fascia di età prescolare. Perché ? Perché questa limitazione nasce dall'esperienza degli altri affidamenti nazionali, in cui il collocamento del bambino che non si trova in condizione di abbandono, fuori dal contesto familiare di appartenenza, normalmente viene limitata al massimo quando è ancora sotto i 6, 7, 8 anni, cioè negli anni in cui si strutturano i legami fondamentali.
  Il collocamento del minore in una famiglia di accoglienza è espressamente previsto dall'articolo 3 della Convenzione e la possibilità di limitare l'istituto in ragione di una soglia minima di età non è esclusa dalla Convenzione; del resto questo disegno di legge contiene altre integrazioni e limitazioni, per esempio sui requisiti soggettivi delle famiglie. Abbiamo poi posto l'attenzione sull'attuale formulazione del primo comma dell'articolo 5, sull'assistenza legale dei minori in situazione di abbandono e mettiamo l'accento sulla eventuale possibile contraddizione con l'attuale disciplina delle adozioni internazionali, che consente che tutto l'iter adottivo, che inizia con il decreto di idoneità e si conclude con la dichiarazione di conformità, sia effettuato non solo da una coppia coniugata ma, quando si chiede di adottare un minore con gli effetti propri dell'adozione prevista per esempio dall'articolo 44, la cosiddetta adozione in casi singoli, anche appunto da una persona singola.
  Questa possibilità è stata espressamente prevista dall'ordinanza della Corte costituzionale n. 347 del 2005 e la legge n. 184, all'articolo 31, si riferisce appunto all'adozione in casi particolari, perché in questo caso temiamo che, poiché noi ci impegniamo come Italia ad assicurare protezione ai minori, tutte le volte in cui l'autorità straniera abbia emesso un provvedimento di kafala, noi potremmo essere in difficoltà ad assicurare tale protezione del minore quando la kafala sia stata pronunciata nei confronti di una persona singola.
  Chiudo dicendo che avremmo voluto fortemente ed è stata presa in considerazione dai relatori e dalla Commissione Pag. 36la richiesta di facilitare l'acquisto della cittadinanza, per i minori che rientrino nella fattispecie di cui abbiamo parlato, al compimento della maggiore età, perché abbiamo chiesto fortemente che al minore non in possesso della cittadinanza in uno Stato membro dell'Unione europea, al compimento della maggiore età, si applichino le disposizioni di cui all'articolo 3 della legge n. 92 sulla cittadinanza.
  Ci è stato rivolto un invito al ritiro di questo emendamento, noi lo riteniamo un auspicio e che questo significhi che il Parlamento finalmente si assume complessivamente l'onere e il dovere di rilegiferare sull'acquisto della cittadinanza da parte dei minori immigrati nel nostro Paese, modificando una legge ormai vetusta come quella del 1992.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 1589-A)

  PRESIDENTE. Prendo atto che la relatrice, presidente della Commissione giustizia, Donatella Ferranti, il relatore per la Commissione affari esteri, Michele Nicoletti, ed il rappresentante del Governo rinunciano alla replica.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Organizzazione dei tempi di discussione dei disegni di legge di ratifica.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione dei disegni di legge di ratifica nn. 1743-A e 1927.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati all'esame dei disegni di legge di ratifica all'ordine del giorno è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica islamica dell'Afghanistan in materia di prevenzione e contrasto al traffico illecito di stupefacenti, sostanze psicotrope e loro precursori, fatto a Roma il 2 giugno 2011 (A.C. 1743-A) (ore 12,25).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica islamica dell'Afghanistan in materia di prevenzione e contrasto al traffico illecito di stupefacenti, sostanze psicotrope e loro precursori, fatto a Roma il 2 giugno 2011.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1743-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Rabino.

  MARIANO RABINO, Relatore. Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il provvedimento si pone l'obiettivo, in mancanza di un accordo quadro di riferimento, di creare uno strumento giuridico per intensificare una collaborazione operativa tra gli organismi omologhi italo-afghani impegnati nella lotta al narcotraffico, con riguardo sia al traffico illecito di stupefacenti, che di sostanze psicotrope e loro precursori chimici.
  Vorrei sottolineare la peculiarità dell'Afghanistan, già considerato uno dei maggiori produttori al mondo di sostanze cannabinoidi, in quanto nel Paese insistono aree più remote di confine che registrano un proliferare di laboratori mobili di raffinazione, nonché la presenza di Pag. 37immigrati con esperienza nel settore chimico, che fanno presumere un collegamento a mercati illeciti. Il flusso di precursori chimici non controllabili che giungono nel Paese, attraverso le frontiere pakistane e dei Paesi centro-asiatici, aumenta la necessità del controllo di un loro probabile utilizzo nel mercato illecito.
  È superfluo sottolineare come il presente accordo costituisca un'ulteriore, decisivo tassello nell'assistenza che l'Italia presta da oltre dieci anni all'Afghanistan, non solo sotto il profilo militare, ma anche sotto il profilo civile, che ha condotto, peraltro, alla ratifica di un trattato bilaterale di amicizia e di partenariato. Proprio la lotta alle coltivazioni di droga ha rappresentato uno degli obiettivi della presenza internazionale in Afghanistan, un obiettivo purtroppo solo parzialmente raggiunto, che occorre ribadire rafforzando gli strumenti di contrasto.
  Ritengo a questo punto opportuno rinviare all'esame svolto in sede referente per l'analitica descrizione del contenuto dell'Accordo, limitandomi in questa sede ad alcune osservazioni relative all'articolato.
  L'articolo 4 definisce le aree di cooperazione dell'Accordo, con particolare attenzione alla prevenzione e al contrasto al traffico illecito, allo studio e all'analisi congiunta sulle organizzazioni criminali dedite al narcotraffico, all'eventuale pianificazione di mirate strategie di intervento, all'aggiornamento reciproco sui fenomeni delittuosi legati al narcotraffico, alla formazione ed addestramento del personale impiegato nell'attività antidroga, alle tecniche investigative e all'informazione aggiornata sulle norme e sulle procedure operative.
  L'articolo 5 individua le modalità di attuazione della cooperazione, quali lo scambio delle informazioni, anche di natura operativa, sulla situazione della droga e la minaccia criminale nei rispettivi Paesi, l'adozione delle misure necessarie per l'esecuzione di speciali tecniche investigative, come le consegne controllate e le operazioni sotto copertura, l'assistenza tecnica e giuridica tra le parti, la costituzione di gruppi di lavoro comuni e lo scambio di esperti, nonché l'organizzazione di riunioni periodiche per la valutazione dello stato della collaborazione.
  L'articolo 8 regola il trattamento dei dati personali sensibili contenuti nell'ambito delle informazioni e dei documenti trasmessi ai sensi dell'Accordo. Si stabilisce che i dati possono esser utilizzati unicamente per gli scopi e le finalità previste dall'Accordo, nel rispetto delle Convenzioni internazionali sui diritti umani, conformemente al diritto interno di ciascuna parte e, da ultimo, utilizzati ai fini di polizia esclusivamente per le ragioni espressamente contenute nella richiesta.
  L'articolo 11 prevede strumenti di verifica dello stato di attuazione dell'Accordo, dei risultati della collaborazione e del miglioramento dell'efficacia; a tal fine è prevista l'organizzazione di gruppi di lavoro congiunti e di incontri.
  Con riferimento al contenuto del disegno di legge di ratifica, ricordo che il provvedimento consta di quattro articoli. Gli articoli 1 e 2 contengono, rispettivamente, l'autorizzazione alla ratifica e l'ordine di esecuzione dell'Accordo. L'articolo 3 reca la norma di copertura finanziaria, individuando al comma 1 gli oneri del provvedimento in 100.563 euro annui.
  Auspico conclusivamente la rapida conclusione della procedura di ratifica. Il controverso andamento dello spoglio del recente ballottaggio per il nuovo Presidente della Repubblica conferma l'esigenza che la comunità internazionale continui ad assistere l'evoluzione democratica dell'Afghanistan.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, che rinuncia.
  È iscritto a parlare il deputato Amendola. Ne ha facoltà.

  VINCENZO AMENDOLA. Signor Presidente, cari deputati, caro rappresentante del Governo, intervengo per sostenere le motivazioni che in Commissione affari esteri abbiamo discusso e che anche qui il relatore ha riproposto rispetto a questa ratifica con un Paese a cui siamo legati in Pag. 38una vicenda che, da tanti anni, ha fatto sì che l'Italia sia impegnata in quel contesto difficile e drammatico per gli esiti di una guerra e di una missione internazionale.
  La ratifica ha un duplice obiettivo. Il primo è quello di debellare lo spaccio e l'uso di stupefacenti anche nella comunità e nel nostro Paese. Il secondo è quello di colpire i trafficanti di droghe nelle zone di produzione delle stesse, aiutando e formando sul campo le forze di polizia locale, che è un impegno che da tanto tempo ci siamo assunti come comunità internazionale.
  Il quadro è chiaro oramai da anni. Nella cosiddetta Mezza Luna d'oro (il triangolo tra Afghanistan, Pakistan e Iran) si produce circa il 90 per cento degli oppiacei, dell'eroina e delle droghe leggere consumate sul mercato europeo, quindi anche in Italia. Dopo la fine della guerra, la principale industria in quelle zone al confine tra Afghanistan e Pakistan è diventata la coltivazione di piante per la fabbricazione di sostanze illecite e le locali forze di polizia da sole non riescono a contrastare i potenti e sempre più ricchi produttori, che riescono ad inviare le droghe nel nostro continente e nel nostro Paese attraverso le rotte dell'est Europa e dell'Africa.
  Aggiungo, e credo sia utile sottolineare l'importante lavoro svolto dalle nostre forze, non solo armate nella missione internazionale, ma anche civili, in questi anni nel teatro afgano e nei Paesi confinanti, anche per la lotta alla produzione di droghe. Ne è testimonianza anche una visita che abbiamo effettuato come gruppo di amicizia proprio in un Paese confinante come l'Iran, dove abbiamo visto la grande capacità di intervento e collaborazione delle nostre forze che sono impiegate nell’intelligence riguardo proprio al combattere la produzione e le rotte della droga.
  I negoziati alla base di questo Accordo, che stamattina esaminiamo e di cui passeremo alla ratifica, hanno avuto inizio nel 2009 su proposta della Direzione centrale per i servizi antidroga, dopo la guida italiana del progetto europeo COSPOL per il controllo del traffico illecito di droghe, e il testo base è stato sottoscritto dall'Italia e dall'Afghanistan il 2 giugno 2011. Questo Accordo, inoltre, cari colleghi, tiene pienamente conto della Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transazionale, firmata a Palermo il 12 dicembre 2000.
  Con questa ratifica rafforzeremo la collaborazione tra le due Forze di polizia, in un periodo che, come sappiamo, è decisivo per il futuro dell'Afghanistan, dopo le elezioni, verso la fine della missione internazionale che, da tanti anni, ha visto tanti soldati italiani pagare un tributo forte di presenza e anche un tributo a cui noi prestiamo memoria.
  Il legame con l'Afghanistan, in questa fase, sarà anche più decisivo, nel passaggio da una missione ad un'altra, perché prioritario sarà lo sforzo, come il Governo ha annunciato, di cooperazione e di sostegno a un'autonoma forza di sicurezza, ovviamente che sostenga la nascente democrazia afgana, e il tema del contrasto e della lotta alla produzione e al traffico delle sostanze stupefacenti che vengono prodotte in quell'area sarà fondamentale. In questo senso, ovviamente, come abbiamo espresso in Commissione, la nostra posizione è di sostegno a questa ratifica (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Manlio Di Stefano. Ne ha facoltà.

  MANLIO DI STEFANO. Signor Presidente, con l'Accordo in esame il Governo italiano, di concerto con quello afgano, sancisce l'impegno dei due Paesi a rafforzare la collaborazione e la reciproca assistenza al fine di prevenire e di contrastare il traffico illecito di stupefacenti, sostanze psicotrope e loro precursori chimici. L'obiettivo che l'Accordo si pone, in mancanza di un accordo quadro di riferimento, è creare uno strumento giuridico per regolamentare la collaborazione operativa e intensificare i rapporti tra gli omologhi organismi impegnati nella lotta al narcotraffico.
  La collaborazione è fondamentale per la sicurezza e il benessere della comunità internazionale. L'Afghanistan è una realtà Pag. 39particolare: le aree più remote di confine registrano un proliferare di laboratori mobili di raffinazione, nonché la presenza di immigrati con esperienza nel settore chimico, che fanno presumere un collegamento con mercati illeciti. Il flusso di precursori chimici, non controllabili, che giungono in quel Paese attraverso le frontiere pakistane e dei Paesi centro-asiatici, pone l'attenzione sul controllo circa il rischio di una probabile diversione verso il mercato illecito. A ciò si aggiunga l'aumento dell'estensione delle coltivazioni di cannabis, che fanno dell'Afghanistan uno dei maggiori produttori al mondo di sostanze cannabinoidi.
  L'intesa, quindi, mira a realizzare una cooperazione bilaterale di polizia in materia di lotta al narcotraffico ben strutturata, in modo da renderla più attraente alle parti e alle attuali esigenze di entrambi i Paesi. Al fine di conseguire i predetti obiettivi, le parti si impegnano a cooperare attraverso scambi di informazioni tecniche e investigative, studi, ricerche e analisi congiunte sulle organizzazioni criminali dedite al narcotraffico, per pianificare strategie mirate di intervento.
  Il MoVimento 5 Stelle si è già espresso in Commissione in senso, ovviamente, favorevole, sia perché la lotta al narcotraffico, sicuramente, è un nostro interesse sia perché la collaborazione, sostanzialmente, ha un quasi nullo impatto economico. Quello su cui ci siamo soffermati, però, anche in Commissione, ed è una battaglia che portiamo avanti ormai da un anno e mezzo in tutte le occasioni, dal «decreto missioni» in avanti, è che, ancora una volta, visti i trend in Afghanistan, chiediamo di combattere le conseguenze e mai le cause.
  Perché dico questo ? Perché, nonostante l'Afghanistan sia ovviamente e storicamente produttore di sostanze cannabinoidi e oppiacei, se guardiamo i trend di produzione dal 2001, quindi dall'ingresso della missione ISAF in Afghanistan, la produzione è aumentata e si raggiungono cifre di quasi il 90 per cento di aumento. Non voglio, ovviamente, fare una relazione diretta tra le due cose, però è assolutamente innegabile che, laddove si crea instabilità sociale e politica, e, soprattutto, si crea impossibilità di collaborare con i Paesi limitrofi, è lì che proliferano, ovviamente, le delinquenze e le criminalità.
  Non a caso i territori dove c’è la produzione maggiore di queste sostanze sono quelli più remoti, dove non abbiamo possibilità di fare un controllo diretto con le truppe e dove non c’è più neanche uno Stato di fatto. Noi abbiamo avuto l'occasione – dico occasione perché per noi è sempre un momento di crescita incontrare qualunque rappresentanza di altri Governi – di parlare con l'ambasciatore iraniano tempo fa. Lo stesso ci ha detto sostanzialmente che al netto, ovviamente, di tutte le considerazioni che si possono fare sul ruolo dell'Iran nei rapporti con l'Afghanistan, anche loro registrano una quasi totale impossibilità di dialogare con il Paese afgano relativamente ai controlli frontalieri. Controlli che esistevano, a suo dire, prima dell'inizio della guerra in Afghanistan, perché per una ragione o per un'altra, ma comunque d'accordo tra i due Paesi, si facevano dei controlli mirati per bloccare il traffico di sostanze attraverso l'Iran. Ora questo non c’è più e uno dei problemi principali, probabilmente, è proprio che non c’è più un Paese, non c’è più un Governo, uno Stato, in Afghanistan. Allora, noi diciamo: siamo d'accordo, facciamo tutte le ratifiche che si possono fare per migliorare la situazione del Paese, soprattutto per bloccare il narcotraffico, ma vorremmo che, e questo sicuramente si farà, lo ripeteremo anche al prossimo «decreto missioni», ci si chiedesse quali sono le cause principali della degenerazione di un Paese e ci accorgeremo probabilmente che tra queste cause ci siamo anche noi, che oggi ci facciamo soluzione.
  Credo che il Governo dovrebbe, una volta tanto, aprirsi a chi chiede di rivedere completamente il nostro impegno in Afghanistan, lo abbiamo già chiesto durante l'esame del «decreto missioni». Noi siamo convinti che l'attuale composizione del nostro sforzo militare in Afghanistan non sia risolutiva di nulla, anzi in molti casi peggiori la situazione. È per questo che abbiamo sempre chiesto nel «decreto missioni» Pag. 40l'annullamento della missione in Afghanistan. Vorremmo che – ed è possibile, chiunque abbia un minimo di esperienza in cooperazione allo sviluppo sa che è fattibile – queste cose fossero affrontate dalle ONG, possibilmente con la copertura delle Nazioni Unite, e del Governo, ma comunque dalle ONG piuttosto che dall'Esercito. Farlo significherebbe dare un reale segnale, anche alle popolazioni locali, che quello che vogliamo è fare cooperazione allo sviluppo e non controllo militare. Se andremo in quella direzione, sicuramente le cose cambieranno, ma occorre l'intesa di tutto il Parlamento, sopratutto del Governo, che poi se ne occupa direttamente.
  Noi, come dicevo, siamo favorevoli a questo Accordo, speriamo che sia semplicemente un tassello e soprattutto che possa portare a dei frutti. Un tassello di un percorso molto più lungo che dovrebbe coinvolgere l'intero Parlamento su una risoluzione che punti alla cooperazione in Afghanistan (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo – A.C. 1743-A)

  PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo rinunziano alla replica.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: S. 1053 – Ratifica ed esecuzione dell'Accordo fra il Governo della Repubblica italiana e il Governo degli Stati Uniti d'America sul rafforzamento della cooperazione nella prevenzione e lotta alle forme gravi di criminalità, fatto a Roma il 28 maggio 2009 (Approvato dal Senato) (A.C. 1927) (ore 12,40).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 1927: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo fra il Governo della Repubblica italiana e il Governo degli Stati Uniti d'America sul rafforzamento della cooperazione nella prevenzione e lotta alle forme gravi di criminalità, fatto a Roma il 28 maggio 2009.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1927)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Il relatore, deputato Alli, ha facoltà di svolgere la relazione.

  PAOLO ALLI. Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento al nostro esame, già approvato in prima lettura dalla Camera nella scorsa legislatura ed in quella corrente trasmesso dal Senato, reca l'autorizzazione alla ratifica dell'Accordo italo-statunitense del 28 maggio 2009, con il quale i due Paesi si sono impegnati a collaborare nell'azione di prevenzione ed attività investigativa di contrasto alle forme gravi di criminalità, attraverso la facoltà di interrogazioni automatizzate dei dati dattiloscopici e dei profili del DNA.
  L'Intesa, nel suo articolato, concentra la propria portata applicativa sulla prevenzione e sulla lotta contro le forme gravi di criminalità transfrontaliera ed il terrorismo, ispirandosi al Trattato, fatto a Prüm il 27 maggio 2005, fra diversi Paesi europei, tra cui il nostro. Ai fini dell'attuazione dell'Intesa, le parti garantiscono la disponibilità dei dati di riferimento, cioè profili del DNA e dati identificativi, incentrandosi sulle nuove metodologie di contrasto al crimine.
  Passando sinteticamente ai contenuti dell'Accordo, particolare rilievo assume l'articolo 3, che tratta dei dati dattiloscopici, rispetto ai quali le parti garantiscono Pag. 41la disponibilità di quelli contenuti nei sistemi nazionali automatizzati di identificazione delle impronte digitali.
  Ai sensi del successivo articolo 4, comma 1, le parti autorizzano i punti di contatto nazionali individuati in base al successivo articolo 5 all'accesso ai dati contenuti nei rispettivi sistemi automatizzati di identificazione delle impronte digitali, con facoltà di effettuare interrogazioni automatizzate per mezzo del raffronto dei dati dattiloscopici. Tali attività trovano un limite nel rispetto della legislazione nazionale delle parti. Inoltre, vige indirettamente un divieto di raffronti collettivi, poiché le interrogazioni possono essere effettuate solo caso per caso.
  In base all'articolo 5, comma 1, ciascuna delle due parti dell'Accordo designa uno o più punti di contatto nazionali per l'accesso alle banche dati, stabilendone altresì secondo la legislazione nazionale le competenze e le modalità per l'accesso.
  Il comma 2 prevede successive intese di attuazione concernenti le modalità delle interrogazioni alle banche dati, inclusi eventuali limiti quantitativi ad esse. In dette intese verrà anche enumerato un gruppo esaustivo di reati punibili con una pena edittale massima superiore a un anno, i quali formeranno oggetto di cooperazione sempre in base alle rispettive legislazioni.
  L'articolo 6 disciplina la trasmissione di ulteriori dati personali e informazioni conseguente all'eventuale concordanza dei dati dattiloscopici. Tale trasmissione avverrà in base alle procedure e nel rispetto della legge nazionale della parte richiesta.
  Gli articoli 7-9 ribadiscono il contenuto dei precedenti articoli 4-6, ma in riferimento all'interrogazione di dati concernenti i profili del DNA contenuti nelle rispettive banche dati. Gli organi preposti all'applicazione dell'Accordo saranno, per l'Italia, il Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno e, per il Governo americano, il Dipartimento di giustizia e il Dipartimento per la sicurezza interna.
  Infine l'articolo 24 disciplina l'entrata in vigore dell'Accordo, precisando altresì che le disposizioni degli articoli da 7 a 9, cioè quelle relative ai dati sui profili del DNA, non si applicano fino alla conclusione delle intese di attuazione previste dall'articolo 8.
  Quanto al disegno di legge in esame, va segnalato che l'articolo 2 riporta un secondo comma, il quale, come rileva la relazione introduttiva al disegno di legge, mira a rispondere ad una preoccupazione del Garante per i dati personali in ordine alla compatibilità dell'Accordo italo-statunitense con le norme europee ed internazionali. A tale fine, il comma 2 stabilisce un termine di 150 giorni dall'entrata in vigore della legge di autorizzazione alla ratifica per l'adozione dei decreti previsti dagli articoli 46, 49, 53 e 57 del Codice sulla protezione dei dati personali. È così superato l'unico elemento di obiezione che era stato sollevato dal Garante per la protezione dei dati personali.
  Quanto alla copertura finanziaria, per il solo anno iniziale dell'applicazione dell'Accordo risulta necessario destinarvi l'importo di 10.248.000 euro, riformulato dalla Commissione bilancio del Senato per adeguare la valutazione degli oneri alle nuove aliquote IVA, vigenti dallo scorso 1o ottobre. Il rilevante importo deriva dall'esigenza di dotarsi dei più moderni sistemi informatici anche ai fini della massima tutela della sicurezza.
  Concludo auspicando una rapida conclusione dell'autorizzazione di questo Accordo, i cui negoziati hanno avuto inizio nel 2009. L'Intesa è già entrata in vigore nell'ordinamento statunitense nel quadro del Visa waiver program. Si tratta quindi di adempiere, con cinque anni di ritardo, rispetto ad un'Intesa che riveste un'importanza strategica fondamentale nell'azione di prevenzione e nell'attività investigativa di contrasto delle forme gravi di criminalità, considerato soprattutto il fatto che essa si fonda sulla condivisione di informazioni delicate, proprio perché questa condivisione è componente essenziale in questo settore.

Pag. 42

  PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
  È iscritto a parlare il deputato Amendola. Ne ha facoltà.

  VINCENZO AMENDOLA. Signora Presidente, confermo anch'io le valutazioni fatte dal relatore, sia in Commissione che qui in Aula. Ci troviamo spesso a ratificare accordi con anni di ritardo e credo che un ringraziamento vada alla Presidenza della Camera e ai gruppi per aver facilitato e velocizzato, in questa sessione di questi ultimi mesi, alcune ratifiche, perché riguardano, come il caso di questa ratifica tra il Governo italiano e il Governo degli Stati Uniti, emergenze anche di lotta alla criminalità e a fenomeni internazionali.
  La ratifica, come diceva il relatore, deputato Alli, è stata già approvata dal Senato il 7 gennaio scorso e si ispira alla Convenzione sulla cooperazione transfrontaliera di Prüm del 27 maggio 2005, che amplia i punti del Trattato di Schengen ed è stata ratificata dall'Italia, come detto in apertura, nel 2009.
  La lotta alla criminalità organizzata e anche a fenomeni che riguardano forme di evoluzione dell'esperienza terroristica rientra tra le priorità del nostro Paese e del Paese in attenzione. Le vigilanze sono state aumentate per possibili attacchi di frange estremiste o forme nuove di criminalità organizzata transfrontaliera, che hanno dimostrato negli ultimi tempi ancora una persistenza e una forza militare ed economica.
  È ormai chiaro a tutti i singoli Stati che non si può agire da soli, senza coordinamento e senza nuove ed innovative tecnologie, innanzitutto come forma di prevenzione a questi fenomeni radicati in maniera globale. In questo quadro sono fondamentali la velocità e il trasferimento di informazioni, che danno la possibilità alle forze dell'ordine di agire nel minor tempo possibile per evitare e prevenire attacchi.
  E, se l'importanza di una maggiore collaborazione è rilevante tra i diversi Governi europei, credo che valga a maggior ragione anche verso gli Stati Uniti, con i quali ratifichiamo questo Accordo – e altri sono in preparazione –, che riguarda lo scambio di informazioni su presunti terroristi e criminali, sulla base di criteri di disponibilità delle informative e di reciprocità, sempre in conformità – è evidente – alle legislazioni nazionali, soprattutto per quanto riguarda il trattamento dei dati personali e la privacy, anche rispondendo a casi eclatanti della cronaca internazionale degli ultimi tempi.
  In particolare, questo Accordo prevede lo scambio di informazioni e confronti sui profili del DNA – aspetto da non sottovalutare per la cattura di criminali, come evidenziato dalle ultime vicende della cronaca – e lo scambio di dati personali di terroristi, criminali o presunti tali. Il tutto avverrà, secondo quanto stabilito nel 2009 dal nostro Governo e da quello statunitense, attraverso punti di contatto nazionali descritti dal relatore, per accesso alle banche dati digitalizzate, create appositamente attraverso software e hardware dedicati e che saranno criptati e utilizzabili solo per lo scambio concordato di informazioni, utilizzando sempre le più moderne forme di tecnologia.
  Per queste ragioni, e anche per il ritardo su una lotta a un fenomeno che riguarda il continente europeo, il nostro Paese e gli Stati Uniti, io credo che bisogna andare spediti verso una ratifica e prepararsi ad eventuali ed ulteriori progetti di ratifica che, come abbiamo visto anche in precedenza per quanto riguardava l'Afghanistan, ci diano una mano coordinata e globale a combattere fenomeni che minano il nostro futuro.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo – A.C. 1927)

  PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il Governo non intendono replicare.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Pag. 43

Sull'ordine dei lavori (ore 12,50).

  ETTORE ROSATO. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  ETTORE ROSATO. Signor Presidente, intervengo solo brevemente per ricordare che domenica è morto Stefano Beltrame, un consigliere comunale del Partito Democratico di Trieste. Era un cittadino vero della nostra città, vero delle nostre terre, perché lui era nato a Colugna di Tavagnacco, nel Friuli, ed era stato adottato da Trieste. Lo ricordo, in particolare: lui è morto sul monte Plauris in un drammatico incidente in montagna, che ha colpito un uomo che la montagna amava veramente e profondamente. Un ragazzo, come lo consideravamo noi, suoi amici, anche se non lo era più per l'anagrafe, benvoluto da tutti in città.
  Era stato impegnato nelle istituzioni, rispettato e stimato da tutti, fin dal suo inizio negli organismi universitari, dove aveva appunto iniziato il suo percorso politico e di servizio alla collettività. Ma lo voglio ricordare in particolare per una cosa: per l'esempio che lui ha dato a tanti di noi. Aveva, con la sua grinta, con il suo sorriso, con la sua determinazione combattuto una gravissima malattia, che aveva vinto. Nemmeno i medici ci credevano, per le cose e la capacità che aveva messo per essere attaccato alla vita. E quella sua voglia di vivere era stata più forte della malattia, che aveva sconfitto.
  Lo vorrei ricordare in particolare per questo, lo vorrei ricordare così, Stefano Beltrame, lo vorrei ricordare con il suo sorriso, esprimendo da parte mia e del Partito Democratico le sentite condoglianze alla sua famiglia, ai suoi amici e a chi lo aveva conosciuto, per quel senso di grande capacità di coinvolgimento e di stima che ha saputo raccogliere e costruire nella sua vita. Una persona che mancherà a tanti di noi, che hanno vissuto con lui momenti importanti, momenti belli e anche a momenti di gioia (Applausi).

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Rosato.
  Sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 15, con lo svolgimento di interpellanze urgenti.

  La seduta, sospesa alle 12,55, è ripresa alle 15.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SIMONE BALDELLI

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione alla ripresa pomeridiana della seduta.
  I deputati in missione sono quindi complessivamente novantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

  Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 15,01).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Chiarimenti in merito alla vicenda delle quote latte, con particolare riferimento ai contributi comunitari e alla relativa titolarità delle quote – n. 2-00490)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Cova n. 2-00490, concernente chiarimenti in merito alla vicenda delle quote latte, con particolare riferimento ai contributi comunitari e alla relativa titolarità delle quote (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Cova se intenda illustrare la sua interpellanza o se si Pag. 44riservi di intervenire in sede di replica. Considerando il numero importante delle interpellanze all'ordine del giorno di oggi, la Presidenza si permette anche di invitare i colleghi alla sintesi. Prego, onorevole Cova.

  PAOLO COVA. Signor Presidente, onorevole Viceministro e onorevoli colleghi, mi trovo ad affrontare ancora una volta il tema delle quote latte. In particolare, la relazione della Commissione europea consegnata in questi giorni sullo stato dei pagamenti delle multe per gli esuberi del latte chiede proprio all'Italia di spiegare le motivazioni dei ritardi dei pagamenti delle multe. Da questa relazione risulta estremamente chiaro come una mancata riscossione delle multe sia ancora legata ai diversi contenziosi aperti.
  Dubbi ne restano ancora tanti e credo che solo con una sentenza di un giudice si possa arrivare veramente a fare chiarezza su questa vicenda. Infatti, certamente non può bastare un interesse nazionale o un bene superiore dello Stato per evitarci una brutta figura con gli altri Stati europei per arrivare a risolvere questa vicenda. Deve essere realmente affrontata e verificata. Mi permetto anche di osservare come la stampa abbia riportato nei mesi scorsi l'intervento di un ex Ministro dell'agricoltura – e mi riferisco all'ex Ministro Alemanno –, il quale a Bari ha dichiarato: la questione delle quote latte è stato un errore dello Stato italiano, che ha sbagliato il calcolo delle quote. Ripartendo in maniera sbagliata il carico di produzione ha fatto sì che gli allevatori italiani producessero di più di quanto richiesto. Un errore dello Stato che stanno pagando i cittadini. Pertanto, egli stesso, che ha avuto questa gestione e che ha emanato la famosa legge n. 119 del 2003, pone dei dubbi su questa vicenda.
  Entro nel merito invece di questa interpellanza, che è rivolta in particolare a 1.593 aziende che hanno presentato un modello L1, cioè la dichiarazione di produzione di latte annuale, che era uguale a zero, il che voleva dire aziende che non avevano prodotto un litro di latte in tutto l'anno. Queste aziende sono state però nel contempo assegnatarie di quote latte. La legge, proprio la n. 119 del 2003 di Alemanno, dice che chi non produce il latte o produce meno del 70 per cento si vede revocare la propria quota. L'esempio di queste 1.593 aziende è un'occasione per cercare di capire che cosa è avvenuto in parte e in piccolo nella vicenda delle quote latte.
  Mi permetto di fare la prima osservazione di questa interpellanza: quello che mi stupisce è proprio il ritardo nella risposta che ho avuto. Io mi scuso con il Viceministro, ma avevo fatto una richiesta su questa vicenda a gennaio e non avevo ricevuto nessuna risposta. Ho dovuto ripresentare un'altra interpellanza ad aprile e solo ora ho questa risposta. È vero, e devo metterlo agli atti, che nelle ultime due settimane c’è stato un problema anche personale che ha ritardato la risposta. Siamo a giugno, però, e noi stiamo parlando di una vicenda di gennaio.
  Perché faccio questa osservazione ? Non tanto per il ritardo, ma perché chi aveva il compito di controllare avrebbe dovuto rispondere immediatamente su questa vicenda. AGEA, che aveva questa responsabilità e questa funzione, avrebbe dovuto sapere immediatamente qual era la situazione di queste aziende. Perché faccio anche questa osservazione ?
  Io sto parlando di 1.593 aziende che non hanno prodotto latte nel 2003-2004. Questa è una vicenda che va indietro di dieci anni. Allora, chi è deputato al controllo non può non avere un'immediata risposta su questa vicenda e aspettare ancora mesi perché deve andare a verificare. Mi permetto di fare questa osservazione perché, se vado a vedere il decreto ministeriale attuativo della legge n. 119 del 2003, all'articolo 16, si dice espressamente che, entro il 30 settembre successivo al termine di ciascun periodo, l'AGEA, sulla base dell'analisi del rischio di cui al predetto articolo 12, comma 1, del regolamento CE, individua le aziende da sottoporre a controllo e determina le modalità operative per la rendicontazione dei controlli stessi, in accordo con le regioni. Pag. 45Stiamo parlando del 30 giugno, e doveva essere fatto nel 2004: per cui questa vicenda doveva essere ben nota e ben chiara da allora. Mi stupisce allora perché, presentando questa interpellanza urgente, abbia dovuto aspettare così tanti mesi. Chi aveva questi compiti doveva verificare.
  Inoltre, per quanto riguarda il vigilare e il controllare, è importante soprattutto capire anche chi aveva la responsabilità di revocare poi queste quote. L'ho detto in precedenza: AGEA aveva la responsabilità di segnalare alle regioni questa mancanza, queste difficoltà e questo problema; le regioni dovevano verificare ma doveva esserci una segnalazione, poi segnalava alle regioni quanto fare. La stessa AGEA in una circolare che avevo già citato anche nell'interpellanza del 14 giugno 2004, che è protocollo n. DPAU/4507, dice: «Per l'individuazione delle aziende interessate ed il calcolo del quantitativo non utilizzato questa Agenzia ha messo a disposizione il supporto delle procedure del SIAN come previsto dall'articolo 4». Per cui c'era tutto un sistema di controllo che mi sembra vada con estrema lentezza e non riesca poi a dare delle risposte.
  Inoltre, sempre sul problema dei controlli, e questo riguarda anche queste aziende e tutto il sistema – su questo ho presentato anche un'altra interrogazione alla quale non ho avuto alcuna risposta –, esiste una tracciabilità di chi è entrato nel sistema informatico, di chi ha assegnato queste quote, di chi ha fatto queste variazioni, di chi ha segnalato quanto latte è stato prodotto e di tutto quello che è avvenuto. Questo non avviene. Per quello che ho potuto capire io, da quello che ho potuto leggere, non c’è una certificazione o una tracciabilità di quali sono le persone che hanno fatto tutti questi movimenti. Perché faccio questa affermazione ? Perché, nel dispositivo della dottoressa Proto che rinvia al pm le indagini, si dice espressamente che sono stati falsati dei dati, che sono stati fatti dei falsi; allora, automaticamente, chi ha gestito tutta questa situazione ? Abbiamo una certezza di questi dati ? Per cui i controlli sono stati lenti, la risposta è arrivata in ritardo: vuol dire che probabilmente non si conosceva, perché altrimenti immediatamente avreste dovuto rispondermi.
  Perché faccio anche questo esempio delle 1.593 aziende ? Perché sono un aspetto importante ? Perché queste aziende potrebbero – e io mi aspetto anche una risposta – o hanno ricevuto i contributi PAC. Perché a chi ha prodotto un L1, anche zero, ma non gli è stata revocata la quota, come viene segnalato dal comando dei Carabinieri nella relazione presentata al pm, non è stata revocata questa quota, e dobbiamo anche fare la segnalazione di questa quota non revocata nel 2003-2004 ed entra a fare il titolo e i titoli di ogni singola azienda, a partire dal 2006.
  A gennaio del 2006, Agea mandava questa lettera a tutte le organizzazioni sindacali, al Ministero, dicendo chiaramente che, per l'anno 2006, anche il pagamento supplementare sarebbe stato commisurato al quantitativo individuale di riferimento disponibile al 31 marzo 2006 e non al quantitativo effettivamente prodotto. Allora, vuol dire che potrebbero essere stati pagati dei contributi PAC a delle aziende che non avevano prodotto latte, ma che avevano solo il titolo.
  E se queste 1.593 aziende non avevano il titolo perché non avevano quota, noi a questo punto abbiamo pagato dei contributi PAC a gente che non aveva titolo, oltre al danno che queste quote sono state conteggiate nel bacino nazionale. Questo ha creato effettivamente un problema. Questo è un meccanismo di truffa ai danni dello Stato italiano, ma anche ai danni di tutta la comunità europea e ai danni degli allevatori italiani.
  Mi sembrava importante – è quello che chiedo nell'interpellanza – proprio arrivare a capire se effettivamente queste aziende hanno ricevuto dei contributi PAC. Io credo che, in qualche caso – e lo abbiamo visto in altre indagini –, gli stessi allevatori non sapevano di questa situazione, non erano a conoscenza, ignoravano questa situazione, eppure sono stati dati contributi, sono stati fatti cadere dei titoli Pag. 46su queste aziende, su alcune aziende. Allora, è importante capire se hanno ricevuto un premio PAC.
  Inoltre, l'altro aspetto – quello che danneggia ancora di più tutto il mercato del latte – è se queste aziende hanno venduto o affittato delle quote che non avevano mai prodotto. Questo è l'altro grosso problema: cioè, se aziende che non avevano diritto a mantenere la propria quota, negli anni successivi – vuol dire dopo il 2006 –, avendo messo nel proprio titolo PAC questi contributi, si sono anche potute permettere di vendere queste quote, danneggiando ancora di più tutti gli allevatori italiani.
  Infine, mi ero soffermato anche sul numero dei parti che sono avvenuti in Italia in quegli anni, 2007, 2008, 2009: questa non è una domanda malsana o strana, anche perché sul numero della presenza delle vacche in Italia noi andiamo a quantificare il numero della quota di latte prodotto. Nell'interpellanza che avevo fatto a gennaio era stata data un'indicazione, ma ci sono delle discrepanze fra la media produttiva delle vacche e il numero della presenza delle vacche.
  Allora, è importante capire quanti sono stati i parti in quegli anni, perché bisogna andare anche a capire se effettivamente tutte le vacche sono presenti. Al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole e al Ministro della salute ho presentato anche un'interrogazione, perché in Italia ogni anno spariscono 30 mila vacche in quattro regioni italiane. Trentamila vacche, con una produzione media, come mi è stato detto l'altra volta, di 6 tonnellate o di 60 quintali, che diciamo è proprio ridicola, vuol dire un quantitativo eccessivo di latte. Trentamila vacche, fate voi il conto. Queste vacche fanno parte, poi, del bacino nazionale. Questo ogni anno, regioni estremamente più produttive non riescono a raggiungere lo stesso quantitativo di vacche sparite, disperse, rubate. Allora, è importante arrivare anche a capire quale sia il numero di queste vacche.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per le politiche agricole, alimentari e forestali, Andrea Olivero, ha facoltà di rispondere.

  ANDREA OLIVERO, Sottosegretario di Stato per le politiche agricole, alimentari e forestali. Signor Presidente, onorevoli colleghi, innanzitutto, come premessa, voglio sottolineare quanto le osservazioni testé fatte dal collega siano attinenti a questioni nella prima parte di carattere generale e di natura prettamente politica.
  Le valutazioni fatte dal Ministro Alemanno rispetto all'annosa e drammatica vicenda delle quote latte, la sua gestione del nostro Paese, credo che siano questioni assolutamente pertinenti alle valutazioni in quest'Aula, ma credo che debba risponderne politicamente e per gli atti compiuti, appunto, il Ministro che ha svolto queste funzioni.
  Naturalmente, sono meritevoli le affermazioni, che lei ha riportato, di una attenta disamina da parte delle forze politiche e credo, anche, di una ulteriore valutazione da parte del nostro Ministero e pertanto naturalmente le stiamo valutando, ma, appunto, con quella valutazione e con quella precisa responsabilità che è in carico a chi ha assunto le responsabilità, a chi ha svolto determinati atti in una determinata fase, assumendo l'incarico apicale.
  Mi preme, in secondo luogo, ribadire che certamente sarà personalmente anche mia grande cura evitare che si accumulino ritardi, come quelli che il collega ha evidenziato, nella risposta a interpellanze ed interrogazioni. Naturalmente il periodo non è stato un periodo di attività normale, come voi ben sapete, sia per il cambio di Governo sia anche per la grande attività che è stata svolta e si sta svolgendo all'interno del nostro Ministero, in quanto siamo nella fase di partenza e di attuazione della nuova PAC, quindi, con conseguente sovraffaticamento delle nostre strutture interne. Tuttavia stiamo provvedendo affinché ulteriormente non si vadano a generare ritardi rispetto ad interpellanze come quella che è in oggetto oggi, Pag. 47che ha naturalmente rilevanza per gli interessi comuni.
  Andando allo specifico dell'interpellanza, vorrei innanzitutto far presente che in considerazione del fatto che le informazioni richieste dagli interpellanti sul percepimento dei contributi PAC da parte di 1.593 aziende da latte bovino non sono supportate da corrispettivo elenco atto ad identificarle, è stato necessario chiedere al Comando carabinieri politiche agricole e alimentari di rendere disponibile l'allegato 11 all'annotazione di Polizia giudiziaria n. 169/75-12-2009 del 21 febbraio, svolta, su delega di indagini della procura della Repubblica di Roma, dal predetto Comando sulla base dei dati forniti da Agea.
  Da tale documento sono state estratte le posizioni di interesse, che appunto sono risultate 1.597, ed individuata quale campagna da esaminare quella relativa agli anni 2003-2004. Pertanto, sulla base di questi elementi sono state reperite le informazioni richieste, per quanto disponibili nelle banche dati dell'Agea.
  Dall'analisi eseguita è emerso che, tra i soggetti sopra individuati, due risultano privi di quota già a fine della campagna 2003-2004, mentre in capo ai restanti 1.595, a fine campagna 2003-2004, risulta la disponibilità di una quota e nessuna produzione commercializzata. Di queste aziende, 79 hanno un giustificativo di mancata produzione iscritto nel registro pubblico; sei hanno ricevuto il riconoscimento di un piano di sviluppo regionale iscritto nel registro pubblico – pertanto, in linea con quanto previsto dalla legge n. 119 del 2003, non hanno subito la revoca della quota – e per 132 aziende è registrata una revoca della quota consegne, con decorrenza di legge dal 1o aprile 2005. Risultano, inoltre, registrate, e successivamente annullate dalla competente amministrazione regionale, revoche della quota consegne per altri nove casi. Per altri dodici casi, invece, si è rilevata un'attività esclusiva delle competenti amministrazioni regionali, cui compete, pertanto, l'eventuale approfondimento.
  Per le restanti 1.357 aziende, la revoca non è stata applicata per intervenuta indisponibilità della quota consegne in quanto, alla decorrenza della revoca, cioè il 1o aprile del 2005, ne sono risultate già prive. In particolare, per 688 casi, la cessazione dell'attività, almeno per le consegne, è avvenuta già nel corso della campagna 2003-2004, e all'apertura della campagna 2004-2005 non erano più titolari di quota; negli altri 669 casi, invece, la cessazione dell'attività, almeno per le consegne, è avvenuta nella campagna 2004-2005.
  Tra queste ultime 669 aziende, 658 hanno venduto la quota per un quantitativo di 20.406 tonnellate.
  Segnalo, inoltre, che l'attività di commercializzazione in consegne, per alcune aziende, non risulta mai neanche avviata; si tratta, in effetti, di quote assegnate dalla regione, o acquisite in altro modo, la cui disponibilità iniziale era sì per le consegne, ma subito trasferite per la commercializzazione in vendite dirette.
  Per quanto concerne l'erogazione dei premi-latte, preciso che la campagna 2004 ha coinvolto 38 aziende, con l'erogazione di 35.752,48 euro, in quanto aziende con una commercializzazione in vendite dirette oppure con un giustificativo di mancata produzione; mentre la campagna 2005 ha interessato 39 aziende con un importo erogato di 57.037,93 euro, 19 delle quali con una commercializzazione in consegne per la campagna 2004-2005.
  Nella campagna 2006, con il disaccoppiamento del premio, risultano assegnatari di titoli per la produzione di latte, per un importo di 228.730,04 euro, 112 soggetti. Tra questi, 74 hanno presentato domanda di fissazione e, quindi, di pagamento per un importo di 187.563,58 euro, che rappresentano pertanto il totale dei titoli assegnati ai produttori di interesse.
  Per quanto riguarda, infine, il numero di parti e di vitelli nati negli anni 2007, 2008 e 2009 evidenzio – ho sentito che il collega ne aveva esatta cognizione – che la competenza gestionale di tali dati è del Ministero della salute quale detentore della pertinente banca dati nazionale situata a Teramo.

Pag. 48

  PRESIDENTE. L'onorevole Cova ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  PAOLO COVA. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario e ribadisco anch'io che ci troviamo qui ed ora in questa situazione: non eravamo presenti negli anni passati per cui non possiamo rispondere di quello che è avvenuto e di chi ha fatto il resto.
  Ringrazio anche per aver specificato i vari casi. In questo, però, non mi è chiaro dalla risposta che fine hanno fatto le quote delle 650 aziende e delle 669 che hanno cessato o interrotto l'attività. Cioè, il tema è: le quote di queste aziende vendute prima del 2004 ormai sono state vendute, ma per le successive, visto che, se non sbaglio, da quello che è stato segnalato, 669 erano ancora in capo, queste quote sono andate a fare titolo effettivamente per l'azienda ? Questo è il problema che rimane, secondo me, e che andrebbe approfondito proprio perché potrebbero essere delle aziende che hanno effettivamente smesso o interrotto di produrre, ma questi titoli comunque sono stati mantenuti sulla stessa azienda o trasferiti su altre aziende in modo fraudolento.

(Messa in sicurezza della strada statale n. 36 del Lago di Como e dello Spluga – n. 2-00528)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Tentori n. 2-00528, concernente la messa in sicurezza della strada statale n. 36 del Lago di Como e dello Spluga (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo alla deputata Tentori se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  VERONICA TENTORI. Signor Presidente, signor sottosegretario, la presente interpellanza urgente al Governo arriva in seguito ad una serie ormai infinita di situazioni emergenziali che hanno coinvolto la strada statale n. 36 del Lago di Como e dello Spluga, che è la principale arteria di collegamento tra Lecco e la Valtellina, attraversata quotidianamente da migliaia di veicoli, lavoratori pendolari, autotrasportatori e turisti. Queste situazioni emergenziali che portano al blocco totale o parziale del traffico sulla SS 36 ormai si ripetono continuamente in maniera ciclica, con conseguenze disastrose sulla viabilità, sull'economia lariana e sul turismo e, dunque, sulla qualità della vita dei cittadini che abitano il territorio.
  Ci troviamo pressoché in una condizione di emergenza permanente. Dall'inizio della legislatura è la quarta volta che porto all'attenzione del Ministro delle infrastrutture, attraverso interrogazioni parlamentari, la questione della messa in sicurezza della strada statale n. 36 o di opere ad essa connesse non ancora completate. Inoltre, la drammatica situazione relativa al sistema viabilistico lariano è stata sollevata più volte anche dai colleghi delle vicine province di Como e di Sondrio, territori che subiscono pesantemente le ripercussioni delle emergenze della strada statale n. 36; mi riferisco, ad esempio, alla strada Regina che percorre la sponda occidentale del lago.
  Dunque, mi pare ormai evidente che il problema non può più essere ignorato ed è necessario intervenire per risolvere in maniera definitiva queste criticità. L'ultima, alla fine dello scorso mese di aprile, quando la strada statale n. 36 è stata chiusa in entrambe le direzioni di marcia nel tratto tra Lecco ed Abbadia Lariana in seguito ad una frana che si è staccata dal monte San Martino, causando ancora una volta una situazione viabilistica critica con traffico bloccato e code insostenibili di mezzi nell'intero territorio lariano anche sulla sponda comasca oltre al rischio per interi comuni rivieraschi, per la Valtellina e l'intera provincia di Sondrio di restare pressoché isolati. Se, oltre a tutto questo, si fosse verificata la necessità di interrompere anche il traffico ferroviario la situazione sarebbe diventata insostenibile.
  Vorrei ricordare che solo nel mese di maggio 2013 la strada statale n. 36 era già stata interessata da un gravissimo blocco Pag. 49del traffico dovuto alla chiusura della galleria Monte Piazzo disposta da ANAS che è rimasta completamente interdetta al traffico per 43 giorni. I veicoli erano stati dirottati sulla strada provinciale n. 72 già a partire da Abbadia Lariana, strada che attualmente risulta essere l'unico collegamento alternativo, in particolare per i mezzi pesanti e che ha quindi dovuto sopportare un carico decisamente sovradimensionato per le caratteristiche della strada. Tutto questo aveva provocato enormi disagi ai comuni attraversati e ai cittadini che li abitano, fortissimi ritardi sia al traffico turistico che a quello commerciale e costi aggiuntivi per le imprese, con rallentamento dei trasporti merce, logistica in tilt e carenza di materie prime.
  La situazione era stata critica al punto che gli enti avevano attivato la Protezione civile ed inoltre la polizia locale era stata impegnata su tutti i fronti possibili. La galleria Monte Piazzo necessitava da tempo di un intervento strutturale e, nonostante questo, ci si è trovati a dover contrastare una situazione di emergenza con tutti i disagi e gli ingenti costi sopraggiunti a carico della collettività.
  Superata poi la fase critica una canna della galleria è stata aperta alla circolazione mentre l'altra è tuttora chiusa per consentire il completamento delle opere di consolidamento già programmate.
  Inoltre, con lo svincolo per la Val Marrone chiuso, che costringe i cittadini della valle ad uscire a Bellano, il territorio risulta ulteriormente penalizzato. La Monte Piazzo avrebbe dovuto tornare alla normalità con doppio senso di circolazione entro metà giugno, ma le notizie che giungono dicono che le opere non si completeranno prima di metà luglio e che la strada statale n. 36 resterà quindi a metà servizio con crescente preoccupazione da parte di commercianti e amministratori che si vedono un'altra stagione turistica persa a causa dei disagi viabilistici.
  La frana del San Martino è stata, quindi, un ulteriore pesante aggravamento per la già critica situazione di questa arteria stradale. Sebbene credo che siano in corso gli accertamenti dei geologi sul tratto di versante interessato dalla frana, è noto da tempo il problema legato al rischio idrogeologico del versante montuoso adiacente la strada statale n. 36 e del monte San Martino. Questo pericolo che potrebbe mettere a rischio l'incolumità delle persone è uno degli aspetti che mi preoccupa fortemente e sul quale chiedo al Governo approfondimenti e rassicurazioni sulla messa in sicurezza.
  Non possiamo accettare che ogni volta che si verificano alcuni giorni di precipitazioni atmosferiche abbondanti poi ci sia il rischio di frane e smottamenti.
  Oltre a questo ci sono molti altri problemi aperti relativi alla strada statale n. 36 e all'interconnessione tra l'asse portante della strada e la rete viaria provinciale. A giugno 2013 ho interrogato il Governo in merito al cosiddetto peduncolo di Dervio che collegherebbe la strada statale n. 36 e la strada provinciale n. 72 evitando ai veicoli in uscita dallo svincolo di attraversare le strette strade interne al centro del paese per potersi immettere sulla provinciale.
  Questo è solo un esempio dei problemi oggettivi di interconnessione della strada statale n. 36 con la rete viaria provinciale che riguardano il traffico pesante durante tutto l'anno e si manifestano ancora con più forza nei casi in cui la strada statale n. 36 deve essere chiusa per lavori o per cause di forza maggiore, come ciclicamente avviene.
  Confido, dunque, in un interessamento del Ministero in merito a tutte quelle opere di cui si parla da anni senza esito, fra cui il superamento del passaggio a livello di Bellano, il completamento dello svincolo di Piona, lo svincolo di Mandello e molte altre ipotesi volte a garantire una viabilità alternativa in caso di emergenza sulla strada statale n. 36. Non è possibile continuare in una situazione di incertezza, è necessaria una programmazione puntuale degli interventi per far fronte alla situazione critica della strada statale.
  Inoltre, non mi soffermo in questa sede sulla vicenda della pista ciclabile che si affianca alla strada statale tra Lecco e Abbadia Lariana, il cui cantiere è in stato Pag. 50di abbandono da mesi. Ormai si stanno perdendo le speranze che le opere si possano concludere. Il Ministro è certamente a conoscenza della situazione, visto che in merito ho depositato un'interrogazione e mi è stato risposto che le opere non potranno riprendere sino alla conclusione dei contenziosi pendenti, lasciandoci in un perenne stato di incertezza.
  Sottosegretario, credo che si debba fare tutto il possibile per uscire dalla continua emergenza. Si passa da un problema all'altro, si mettono delle pezze, ma non si risolve in maniera definitiva la situazione della viabilità e del collegamento tra Lecco e la Valtellina, che è indispensabile per l'intera regione Lombardia.
  È chiara l'esigenza di un adeguamento della rete viaria e dell'intero sistema della mobilità del territorio lariano, nel quale la strada statale n. 36 è centrale. Non dimentichiamo che tra poco la nostra regione vedrà la presenza di un evento globale, Expo 2015: cosa succederebbe se si verificasse un disastro come quello appena accaduto con la frana del monte San Martino durante i sei mesi dell'evento ? Quali conseguenze dal punto di vista economico ?
  Concludo e chiedo al Governo dei chiarimenti sulle prospettive relative alla strada statale n. 36 e al sistema viabilistico lariano.
  Il primo punto da chiarire è se è possibile intervenire, anche di concerto con ANAS, al fine di affrontare in maniera definitiva la messa in sicurezza del territorio nel tratto di interesse della strada statale n. 36, con particolare attenzione al monte San Martino. Il secondo punto è se non reputi necessario mettere in campo un'attenta programmazione degli interventi per poter così garantire la viabilità ed evitare situazioni emergenziali che si ripetono ormai da troppi anni in maniera ciclica.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti, Umberto Del Basso De Caro, ha facoltà di rispondere.

  UMBERTO DEL BASSO de CARO, Sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti. Signor Presidente, onorevoli colleghi, gli onorevoli interpellanti segnalano i disagi connessi al dissesto idrogeologico del versante montuoso adiacente la strada statale n. 36. Al riguardo, devo preliminarmente far presente che il fenomeno franoso ha avuto origine su terreni demaniali della regione Lombardia. Tuttavia, sono state assunte informazioni presso la società ANAS, considerato che il dissesto ha comportato ripercussioni sulla circolazione stradale.
  Detta società riferisce che, in seguito alla frana del 23 aprile scorso, originatasi come detto su territorio di competenza della regione Lombardia, materiale detritico si è riversato a ridosso della strada statale n. 36 del Lago di Como e dello Spluga in prossimità del km 57. La stessa ANAS ha fatto presente che, per assicurare la tutela e la sicurezza degli utenti stradali, ha provveduto ad interdire il traffico sulla statale, effettuando i necessari sopralluoghi, anche con il personale della Protezione civile e dei Vigili del fuoco, al fine di valutare l'entità del fenomeno e stabilire le eventuali azioni da intraprendere.
  La società ha quindi deciso di convogliare il traffico veicolare, a doppio senso di marcia, sulla carreggiata sud della strada statale n. 36, iniziando, nel contempo, i lavori di messa in sicurezza del fronte. Ultimati i lavori, il 30 aprile si è provveduto a ripristinare la normale circolazione sull'arteria stradale.
  Purtroppo, analoghi eventi franosi si sono già verificati in passato, come l'onorevole interpellante ha esattamente ricostruito, e risultano imputabili, secondo gli esperti dell'ANAS, al degrado del territorio montano sovrastante la strada statale n. 36, sottoposto nel corso degli anni a violente azioni di gelo-disgelo e ad abbondanti precipitazioni piovose.
  Segnalo al riguardo che le conseguenze avrebbero potuto essere ben più gravi se l'ANAS non avesse provveduto in precedenza ad installare apposite barriere paramassi Pag. 51sui versanti del monte San Martino che sono riuscite a trattenere gran parte del materiale detritico franato.

  PRESIDENTE. L'onorevole Tentori ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  VERONICA TENTORI. Signor Presidente, signor sottosegretario, la ringrazio innanzitutto per la puntualità della risposta e della ricostruzione, ma ci tengo a richiamare l'attenzione su alcuni punti sui quali ritengo di dover ribadire la richiesta di un impegno da parte del Governo.
  In particolare, torno a sottolineare la richiesta che il Ministero possa assumere un'iniziativa verso gli enti territoriali competenti – si è citata appunto la regione Lombardia, proprietaria dei terreni demaniali sui quali è avvenuto l'evento franoso – per una verifica per quanto riguarda la programmazione degli interventi.
  Ci tengo a sottolineare nuovamente che la strada statale n. 36 non è solamente un'importante arteria stradale, ma è l'unica arteria strategica che collega Lecco e i comuni del litorale alla provincia di Sondrio, esclusi ovviamente i valichi alpini, che non considero.
  In primo luogo, abbiamo una certezza, che è quella che fino a metà luglio una delle due canne della galleria Monte Piazzo resterà chiusa e, quindi, un intero territorio resterà ancora per almeno un mese – un mese che, ribadisco, ricade nel pieno della stagione turistica – collegato al resto del Paese attraverso un'arteria depotenziata, con tutto ciò che ne consegue.
  Un altro fatto certo ed evidente è che serve maggiore attenzione anche riguardo alla cantierizzazione delle opere perché troppo spesso capitano emergenze e non è più possibile sostenere questa situazione di instabilità.
   Ritengo che sia necessario un lavoro di verifica e coordinamento con gli enti locali per mettere in campo un'attenta programmazione degli interventi infrastrutturali sul tratto Lecco-Colico della strada statale n. 36.
  Ho citato prima alcune questioni oggetto di discussione in tutte le sedi istituzionali da tempo: il peduncolo di Dervio, lo svincolo di Piona, il superamento del passaggio a livello di Bellano, lo svincolo di Mandello, oltre al completamento della pista ciclabile di Abbadia Lariana. Quest'ultima in particolare sarebbe strategica anche nell'ottica di un sistema di mobilità sostenibile e alternativo che guarda anche all'attrattività turistica, ma ripeto che attualmente le opere sono ferme con un cantiere aperto e tutti i problemi anche di sicurezza che ne conseguono.
  E aggiungo anche la possibilità di valutare specifiche corse, ad esempio, per il servizio di auto-traghetto verso le città capoluogo di Lecco e Como o il potenziamento della linea ferroviaria Lecco-Sondrio, che sarebbero d'aiuto per garantire i collegamenti interprovinciali e regionali anche in un'ottica di riduzione del traffico su gomma e di una viabilità alternativa nel caso di nuove emergenze che riguardassero la strada statale n. 36.
  Sono tutte opere che permetterebbero di pianificare e attuare, appunto, in caso di emergenza una viabilità alternativa efficace per non isolare un intero territorio, peraltro a vocazione turistica, ed evitare quindi conseguenze anche dal punto di vista economico che potrebbero essere davvero pesanti e disastrose.
  Sottolineo nuovamente anche l'imminente inizio di Expo 2015, che ci impone, a parere dell'interpellante, di mettere in campo una strategia atta a garantire in maniera stabile, per tutto il periodo interessato e oltre, l'efficienza dell'intera rete di trasporto regionale, in particolare della zona lacuale della Valtellina, che per i notevoli punti di interesse turistico culturale ed enogastronomico potranno essere raggiunti e visitati da un sempre maggior numero di visitatori.
  Aggiungo, inoltre, una considerazione per quanto riguarda il piano di emergenza da adottare, che forse necessita di una verifica da parte del Governo perché vi sia un coordinamento e sia promosso un piano di emergenza efficace e tempestivo, che possa evitare situazioni drammatiche e la paralisi dell'intero territorio in caso di interruzione della strada statale n. 36.Pag. 52
  Infine, resta da capire se permangano delle incognite gravi sulle condizioni di sicurezza dell'arteria stradale, insistendo sulla fase di controllo e monitoraggio circa la stabilità delle strutture delle gallerie e dei versanti montuosi, data la persistente preoccupazione e gli effetti delle spinte sulle strutture e data la criticità del tratto di montagna nel quale ci troviamo ad operare, come è stato appunto evidenziato anche dalla risposta del sottosegretario.
  Dunque, in conclusione, io confido che il Governo possa seguire la situazione con la massima attenzione e non mancherò di continuare a vigilare in tal senso.

(Iniziative di competenza volte a garantire il funzionamento dei collegamenti ferroviari in Calabria – n. 2-00583)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Oliverio n. 2-00583, concernente iniziative di competenza volte a garantire il funzionamento dei collegamenti ferroviari in Calabria (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Oliverio se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Signor Presidente, signori del Governo, onorevoli colleghi, la nostra preoccupazione, quella di tanti colleghi del PD di diverse regioni italiane e quella di tantissimi cittadini e di diverse organizzazioni economiche e sociali che ci hanno chiesto di intervenire, è veramente grande e mai come ora si sta trasformando, sempre di più, in un grido di rabbia e di dolore, che parte dal sud Italia e arriva fino al resto del Paese.
  Per questo abbiamo deciso di presentare l'interpellanza urgente che in quest'Aula ora illustriamo e discutiamo, perché è necessario che il Parlamento e il Governo sappiano come si stiano ulteriormente aggravando le condizioni infrastrutturali del Mezzogiorno. In particolar modo, quelle del versante ionico calabrese, che ormai è sprofondato in un vero e proprio isolamento strutturale, economico, sociale, che non riguarda solo la Calabria e il Sud ma che tocca gli interessi vitali di grande parte del Paese.
  Entriamo nello specifico. Noi ci permettiamo di chiedere attraverso lei, signor Presidente, al sottosegretario per le infrastrutture e i trasporti, con forza e dignità, senza il cappello in mano, se corrisponda al vero che, in occasione dell'entrata in vigore del nuovo orario ferroviario estivo previsto per la regione Calabria, verranno effettuati tagli significativi su numerose tratte e, in particolare, ai treni della linea ionica calabrese.
  Chiediamo, inoltre, al Ministro e al sottosegretario qui presente quali misure di carattere ordinario e straordinario intendano mettere in atto per perseguire un'efficiente politica dei trasporti della regione Calabria, in particolare della zona ionica attualmente in condizione di un vero e proprio isolamento geografico rispetto al resto d'Italia. Chiediamo quali iniziative intenda adottare il Governo al fine di effettuare una puntuale ricognizione sullo stato dei lavori di ammodernamento e di adeguamento delle infrastrutture in Calabria, per ripristinare e potenziare l'offerta attuale di mezzi pubblici.
  Signor Presidente, vogliamo inoltre chiedere al Ministro e al sottosegretario, qui presente, quali provvedimenti intendono assumere, qualora ciò corrispondesse al vero, per scongiurare che i predetti tagli vengano effettuati e quali iniziative intendano ad ogni modo intraprendere affinché, non solo in occasione del nuovo orario ferroviario estivo ma per il futuro, non siano programmati ulteriori ridimensionamenti del sistema pubblico calabrese dei trasporti, già segnato dalle incapacità dei governi regionali di gestire le risorse disponibili e dalla mancata copertura dei contributi di esercizio degli esercenti. Conseguentemente, chiediamo se il Governo non intenda attivare, nell'ambito delle proprie prerogative, un tavolo istituzionale di confronto tra Trenitalia e regione Calabria, per affrontare l'urgente necessità del trasporto ferroviario calabrese, in risposta Pag. 53alle esigenze della popolazione e a tutela del fondamentale diritto di collegamento con il resto del Paese. Infine, se corrisponde al vero la notizia che ieri, in occasione di un importante pre-CIPE, si sia approvato il finanziamento del nono lotto della statale n. 106 Ionica, che collega Crotone con Mandatoriccio.
  Signor Presidente, senza una vera e moderna rete infrastrutturale, a servizio del sistema delle comunicazioni e dei trasporti, non vi sarà mai alcuna possibilità di sviluppo per un'area regionale e nazionale, in particolar modo per regioni come la Calabria, che è periferica non solo all'Italia ma è periferica anche rispetto all'Europa e al mercato internazionale.
  La Calabria, la costa ionica-calabrese e, in modo particolare, la provincia di Crotone sono del tutto tagliate fuori dai collegamenti locali e nazionali. La nostra regione non ha collegamenti efficienti tra comuni, anche contermini, ed è completamente tagliata fuori da ogni collegamento con il nord del Paese e con importanti nodi ferroviari come Roma, Bologna, Milano, Torino, e persino Napoli e Bari. Molti residenti di questo vitale e popoloso territorio dell'entroterra ionico-calabrese sono, tra l'altro, emigrati, nella seconda metà del Novecento, in Germania e nell'Italia settentrionale. L'attuale condizione di gravissimo deficit infrastrutturale è destinata a peggiorare, tenuto conto che i servizi ferroviari statali e regionali restano impostati su logiche incomprensibili.
  Nel tempo non si è realizzata, di contro, nemmeno l'annunciata concertazione delle risorse Fas su interventi di rilevanza strategica nazionale, quali i corridoi transeuropei intermodali di trasporto. Per quanto riguarda i collegamenti ferroviari, vengono, di anno in anno, effettuati tagli di collegamenti, a cui corrispondono, paradossalmente, gli aumenti delle tariffe. Quindi, oltre al danno, la beffa: sempre meno treni e sempre maggiori prezzi, meno servizi e più alte tariffe, tanto è vero che, dal 1o luglio 2014, come dicevamo, se le prime indiscrezioni venissero confermate, i tagli proposti da Trenitalia nella regione Calabria interesserebbero numerose corse.
  Lascio immaginare a lei, signor Presidente, e soprattutto al Governo, come le conseguenze di questi tagli siano, questa volta, davvero insostenibili, tanto da far emergere una forte e considerevole violazione del diritto universale alla mobilità. I cittadini del sud Italia, e quelli calabresi in particolare, si troveranno dal 1o luglio più poveri, più isolati, più deboli e più lontani da ogni possibilità di reinserirsi in una nuova logica di crescita e di sviluppo, che il Governo Renzi ha impostato sin dalla sua nascita e che, anche con i recenti provvedimenti, ha confermato. A questo quadro, di per sé sconsolante, si aggiunge anche la totale assenza di risorse finanziarie destinate alla sicurezza e alla manutenzione degli impianti ferroviari: è di pochi giorni fa la notizia di un grande incidente ferroviario.
  Il servizio ferroviario di trasporto notturno ha un ruolo essenziale nel collegamento tra il nord e il sud del Paese, anche per i ricongiungimenti familiari: interessa, in particolare, relazioni di pendolarismo non giornaliero. Peraltro, il trasporto notturno implica costi elevati, sia in termini di personale che di materiale, che, per la valenza sociale del servizio, non possono essere compensati da tariffe elevate. La soppressione del servizio ferroviario notturno di lunga percorrenza non sembra poter essere sostituita dal trasporto aereo low cost.
  Vi è ancora da segnalare come il trasporto di passeggeri e merci, nonché l'intero sistema della viabilità della Calabria, sconti un pesantissimo ritardo, frutto di inefficienze nei lavori di ammodernamento e sviluppo della rete infrastrutturale regionale, con responsabilità gravi anche dei diversi governi regionali che nel tempo si sono succeduti, i quali non hanno avuto una visione moderna, funzionale ed efficiente del sistema locale dei trasporti.
  Vorrei, in particolare, segnalare, signor Presidente, come l'intera fascia del crotonese, insieme alla più ampia e strategica fascia ionica-calabrese, sia stata definitivamente Pag. 54tagliata fuori dalle direttrici strategiche dei collegamenti ferroviari gestiti da Trenitalia. Per chi non ne fosse a conoscenza, vi è da segnalare come questa parte della Calabria veda la presenza di importanti centri urbani, molti dei quali a vocazione turistica, e la connessione con Taranto, considerata la volontà di procedere con l'alta velocità fino a Bari, assicurerebbe a questo territorio un trasporto ferroviario allineato agli standard minimi che un servizio pubblico di mobilità dovrebbe garantire.
  Il casello autostradale più vicino a Crotone dista 120 chilometri dalla città e l'unica possibilità di collegamento per i cittadini resta il servizio di autobus, messo ora in discussione dai tagli e dalla riprogrammazione regionale. L'aeroporto civile Sant'Anna di Crotone non vive certo un momento felice. La società aeroportuale è in concordato preventivo e l'Enac evidenzia spesso criticità: pochi sono i voli, nessuno, per esempio, da e per Roma.
  Con le scelte riguardanti il sistema dei trasporti, pertanto, viene preclusa all'economia calabrese ogni ragionevole prospettiva di sviluppo. Basti pensare che l'attivazione dei treni ad alta velocità Frecciarossa ha riguardato solo le tratte del centronord, per cui la Calabria risulta esclusa dalla rimodulazione dei corridoi europei per i prossimi anni. Nel corso di una recente audizione in Commissione trasporti della Camera, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul trasporto pubblico locale, il Ministro per le infrastrutture e i trasporti ha affermato che l'esplosione della domanda dei servizi di trasporto pubblico degli ultimi anni mette in evidenza l'inefficienza del sistema.
  Signor Presidente, il sud del Paese e la Calabria in particolare hanno bisogno di sollevarsi rapidamente dalle condizioni di arretratezza infrastrutturale, economica e sociale in cui sono scivolati negli ultimi trent'anni. Una condizione che, aggravandosi, pone il sud fuori dal contesto politico e culturale nazionale ed europeo con rischi seri per la stessa tenuta dell'istituzione democratica. La mancanza di investimenti produttivi provoca nelle regioni fortemente a rischio come la Calabria una crisi gravissima dalla quale non sarà più possibile uscire. Noi non siamo qui per difendere piccoli e banali interessi di bottega, siamo invece qui per difendere il Mezzogiorno, la Calabria e in particolare i territori della costa ionica, dal definitivo declino, nella certezza che questo porterebbe al declino dell'intero Paese, perché il Paese esce dalla crisi e dalla recessione solo se cresce il sud e si sviluppano le zone più deboli ed emarginate.
  Per questo motivo chiediamo che si investa nella crescita del sud, che si mettano in piedi investimenti produttivi e si potenzi la rete stradale, autostradale, ferroviaria e aeroportuale, che si punti anche sulle autostrade del mare e si rilancino settori strategici come l'agricoltura e il turismo. È in questo contesto che l'intero settore delle infrastrutture diventa fondamentale per salvare il Mezzogiorno e rilanciare l'economia nazionale.
  Noi su questo facciamo appello al Governo: non abbandonate il sud dell'Italia, non lasciatelo solo, perché è anche grazie al sud che si gioca la ripresa economica di tutto il Paese e il Mezzogiorno e la costa ionica calabrese credo che devono diventare protagoniste di questa scelta. Noi contiamo moltissimo anche sugli investimenti che questo Governo vorrà e dovrà fare.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti, Del Basso De Caro, ha facoltà di rispondere.

  UMBERTO DEL BASSO de CARO, Sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti. Signor Presidente, onorevoli colleghi, gli onorevoli interpellanti pongono all'attenzione la delicata questione del trasporto pubblico locale, con particolare riferimento alla regione Calabria. La problematica segnalata è stata oggetto di diversi atti di sindacato ispettivo sui quali il Governo ha già avuto modo di riferire.
  In primo luogo, per quanto riguarda gli specifici rilievi sulla temuta riduzione di alcuni collegamenti regionali, devo ricordare che secondo la normativa vigente Pag. 55(decreto legislativo n. 422 del 1997) la programmazione dei servizi ferroviari regionali è di competenza delle singole regioni, i cui rapporti con Trenitalia sono disciplinati da un contratto di servizio, nell'ambito del quale vengono definiti, tra l'altro, il volume e le caratteristiche dei servizi da effettuare, sulla base delle risorse economiche rese disponibili da ciascuna regione.
  Nel caso specifico, la regione Calabria, con propria deliberazione di giunta n. 124 dell'8 aprile 2014, ha stabilito, fra l'altro, «l'adeguamento dei programmi di esercizio dei servizi affidati a Trenitalia, con riduzioni dei servizi sulle linee a più bassa domanda servita», ciò per effetto di una minore disponibilità di risorse economiche. Pertanto, sulla base delle indicazioni della regione Calabria, Trenitalia ha predisposto un piano di riorganizzazione dell'offerta regionale, tenendo conto, in particolare, del livello di frequentazione rilevato su ciascuna linea. Il suddetto piano, approvato dalla regione stessa, si è concretizzato con l'orario entrato in vigore lo scorso 15 giugno.
  Tra i collegamenti oggetto di riorganizzazione rientrano anche i servizi citati dagli interpellanti, ad eccezione dei treni regionali n. 3696 e n. 3697 da Cosenza a Sapri (e viceversa) e del regionale n. 3740 da Reggio Calabria a Crotone, che vengono attualmente effettuati.
  Tengo inoltre ad evidenziare che la regione Calabria ha recentemente comunicato l'intendimento di destinare fondi aggiuntivi per i servizi di trasporto pubblico locale. Pertanto, Ferrovie dello Stato sta predisponendo un programma di ulteriore rimodulazione dell'offerta regionale, prevedendo, a partire dalla metà del prossimo mese di luglio, l'eventuale reintroduzione di alcuni servizi, tra cui quelli attualmente sospesi e citati dagli interpellanti.
  Al riguardo è doveroso segnalare che, per consentire la rimozione dello squilibrio finanziario derivante dagli oneri relativi all'esercizio 2013 posti a carico del bilancio della regione Calabria, relativi a servizi di trasporto pubblico locale già erogati, nonché al fine di assicurare per il biennio 2014-2015 un contributo straordinario per la copertura dei costi del sistema di mobilità regionale di trasporto pubblico locale, da sostenere per garantire la continuità di adeguati livelli di servizio, nelle more della piena implementazione delle misure di efficientamento previste dall'articolo 16-bis del decreto-legge n. 95 del 2012 ed al fine di consentire un rapido raggiungimento degli obiettivi di riduzione del rapporto costi-ricavi, così come previsto dal citato decreto legislativo n. 422 del 1997, a livello parlamentare è stato predisposto un apposito emendamento che consentirebbe alla regione Calabria di utilizzare le risorse ad essa assegnate a valere sul Fondo per lo sviluppo e la coesione per il periodo di programmazione 2007-2013, nel limite massimo di 40 milioni di euro per il 2014, di cui 20 milioni a copertura degli oneri relativi all'esercizio 2013 e 20 milioni di euro per il 2015. Tale emendamento, già contenuto nei disegni di legge di conversione dei primi due decreti-legge, i cosiddetti «salva Roma», decaduti (decreti-legge n. 126 e n. 151 del 2013), è da ultimo confluito nell'atto Senato n. 1322, approvato dalla V Commissione del Senato in sede deliberante ed è attualmente in corso di esame da parte della V Commissione della Camera dei deputati in sede referente (atto Camera n. 2256).
  Per quanto concerne, poi, l'offerta di servizi ferroviaria di media-lunga percorrenza, Ferrovie dello Stato ha fatto presente che, ad eccezione di due coppie di Frecciabianca e di una coppia di Frecciargento, in servizio sulla tratta Roma-Reggio Calabria (e viceversa), che vengono effettuate in regime di mercato, tutti i treni di media e lunga percorrenza che servono il territorio calabrese sono inseriti nel contratto di servizio stipulato tra Trenitalia e lo Stato.
  Giova ricordare che la caratteristica dei treni oggetto del contratto è quella di non essere economicamente sostenibili da parte di Trenitalia e, pertanto, i Ministeri contraenti, MIT e MEF, nell'ambito delle risorse di cui dispongono, erogano corrispettivi Pag. 56in coerenza con quanto stabilito nel piano economico-finanziario, anch'esso inserito nel contratto.
  In particolare, per quanto concerne l'offerta da e per la Calabria ionica, già con l'entrata in vigore dell'orario di giugno 2013, su richiesta del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, è stato istituito un nuovo collegamento Intercity tra Reggio Calabria e Taranto (e viceversa), che effettua fermata nelle principali stazioni del versante ionico ed è in connessione, a Taranto, con la coppia di Intercity Notte n. 765 e n. 758 da e per Milano, migliorando così il collegamento tra l'area ionica calabrese e il centro-nord.
  Peraltro, in merito ai temuti ridimensionamenti, posso assicurare che con l'orario entrato in vigore lo scorso 15 giugno l'offerta di media-lunga percorrenza della Calabria non è stata interessata da alcuna modifica.
  Per quanto concerne, poi, i lavori di ammodernamento e di adeguamento delle infrastrutture ferroviarie, ricordo che nel 2012 è stato sottoscritto dal Governo (MIT e Ministro per la coesione territoriale), con le regioni Calabria, Basilicata e Campania, Ferrovie dello Stato e Rete ferroviaria italiana, il contratto istituzionale di sviluppo (CIS) per il completamento della direttrice ferroviaria Salerno-Reggio Calabria. Evidenzio, in proposito, che il CIS, istituito dall'articolo 6 del decreto legislativo n. 88 del 2011, costituisce un atto innovativo ed efficace, finalizzato ad imprimere una accelerazione ai processi di realizzazione delle infrastrutture di rilievo strategico nazionale. Con tale strumento Governo, regioni, Ferrovie dello Stato e Rete ferroviaria italiana si impegnano, tra l'altro, a collaborare e a coordinarsi, ad eseguire un monitoraggio periodico degli impegni assunti e a rimuovere gli ostacoli che dovessero sorgere nel corso della realizzazione degli interventi, accettando, in caso di inerzie, ritardi o inadempienze accertate, le misure sanzionatorie previste dal contratto stesso.
  Il programma prevede cinque interventi, di cui tre sull'asse ferroviario Salerno-Reggio Calabria, uno sulla linea Lamezia-Catanzaro Lido e uno sulla trasversale ferroviaria Taranto-Sibari-Reggio Calabria, per un importo complessivo di 500 milioni di euro, con totale copertura finanziaria. Di fondamentale importanza per velocizzare la dorsale ionica sono i tratti ferroviari Metaponto-Paola e Lamezia-Catanzaro. Nel dettaglio, le risorse sono previste a carico del Fondo sviluppo e coesione (40 milioni di euro), a carico del Piano di azione e coesione (80 milioni di euro), a carico dei fondi comunitari (353 milioni di euro) e a carico del contratto di programma RFI (31 milioni di euro).
  Gli interventi previsti consentiranno di incrementare la velocità di progetto, ridurre i tempi di percorrenza e garantire una migliore offerta di servizi lungo tutta la direttrice da Salerno a Reggio Calabria. Gli interventi risultano tutti avviati, sia per quanto riguarda gli studi di fattibilità e i progetti sia per gran parte dell'esecuzione dei lavori.
  Vi è, peraltro, un pezzo ellittico della relazione che ha svolto l'interpellante che non è contenuto – perciò l'ho definito ellittico rispetto al testo e al contenuto dell'interpellanza, che è interamente riferita al trasporto pubblico locale della Calabria – ed è il tema posto dall'onorevole interpellante sulla strada statale n. 106 ionica per la tratta Crotone-Mandatoriccio. Posso riferire – e posso farlo perché ieri ho partecipato, per delega del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al pre-CIPE; credo che il CIPE ci sarà mercoledì prossimo, credo, ma sono sicuro di quello a cui ho partecipato ieri – che vi è stata un'approvazione – ripeto – preliminare del nono lotto, che si chiama «megalotto», Crotone-Mandatoriccio, con una previsione finanziaria di oltre 2 miliardi di euro. Quindi, anche su questo ho avuto piacere di rispondere all'interpellante, che mi aveva posto il problema, al di là e al di fuori dell'interpellanza.

  PRESIDENTE. L'onorevole Oliverio ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

Pag. 57

  NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Signor Presidente, ringrazio veramente di cuore il sottosegretario Del Basso De Caro per aver gentilmente risposto alla nostra interpellanza, per averlo fatto con attenzione rispetto ad una condizione grave e non più tollerabile, quale è quella delle infrastrutture del Mezzogiorno e, in particolar modo, della Calabria. E vorrei ringraziarlo anche per queste rassicurazioni ellittiche che ci ha voluto dare sulla strada statale n. 106, che è veramente un'emergenza. La chiamano la «strada della morte» in Calabria. Quindi, quest'impegno del Governo Renzi e del sottosegretario va nel segno di una garanzia di sviluppo anche per questo tratto della Calabria.
  Sono in parte soddisfatto, quindi, per l'attenzione mostrata, ma sono, allo stesso tempo, molto preoccupato, perché non si intravedono a breve termine possibilità di una rapida inversione di tendenza sulle ferrovie. Quello che io, anche a nome di tutti i colleghi che hanno sottoscritto l'interpellanza, intendevo e intendo tuttora sottolineare è la necessità di inquadrare il gravissimo problema dei ritardi infrastrutturali nel Mezzogiorno nella più ampia e fondamentale necessità di rilancio dell'intera economia nazionale.
  E come ormai abbiamo capito tutti, non riparte l'Italia se non riparte il sud. Un importante vescovo italiano diceva che esisterà la questione meridionale fino a quando si impiegheranno 50 minuti per andare da Bologna a Milano e 3 ore per andare da Palermo a Catania. Noi purtroppo, nella stessa costa ionica, per percorrere soltanto cento chilometri, impiegheremmo, con le Ferrovie dello Stato, oltre 3 ore. Questa è una condizione che non può essere tollerata.
  Nel sud vi sono potenzialità enormi non utilizzate, perché nel sud sono possibili investimenti produttivi in settori come l'agricoltura, il turismo e l'ambiente, che sono in grado di produrre ricchezza e nuova occupazione. Ma tutto questo sarà possibile se il sud sarà messo nelle stesse condizioni di altre regioni italiane, soprattutto nel sistema dei trasporti, dei collegamenti, delle infrastrutture, dove si registrano ritardi trentennali, errori gravissimi e soprattutto è mancata una visione moderna e strategica delle potenzialità immense del sud, un sud che non chiede assistenza o compassione, un sud che chiede rispetto.
  Quello che intendiamo chiedere al Governo, che senza alcun dubbio si muove con un atteggiamento diverso rispetto al passato, è di non trattare il Mezzogiorno d'Italia con quel senso di sufficienza e quasi di fastidio che è molto diffuso nel Paese.
  Il sud d'Italia ha una voglia straordinaria di crescere e di svilupparsi, di contribuire con determinazione alla ripresa economica del Paese e di mettersi in discussione con le sue energie migliori, le sue eccellenze, la sua storia e la sua cultura. Il sud ha bisogno di mezzi, di investimenti e di infrastrutture per crescere, ha bisogno di collegamenti rapidi e sicuri, ha bisogno di moderne tecnologie e di reti informatiche e soprattutto di superare il ritardo tecnologico.
  Per restare nel merito dell'interpellanza, sottolineo con ancora più forza la necessità di garantire al sud ed alla Calabria in particolare collegamenti ferroviari adeguati, in grado di evitare l'isolamento in cui sta precipitando la regione. Non è possibile assistere ad un continuo ed incessante taglio di convogli, anche quelli a lunghe percorrenze, perché così si impedisce la crescita e lo sviluppo di questa terra. Occorre quindi fermare a tutti i costi la fuga di giovani dal sud e dalla Calabria in particolare, una fuga che sta svuotando città e paesi in modo impressionante. Nel quinquennio 2008-2012 al sud si sono persi oltre 500 mila posti di lavoro, un numero che mostra in maniera evidente come per un giovane del sud rimanere nel proprio paese di nascita significa non avere prospettive di lavoro.
  A ciò si aggiunga il dato della disoccupazione giovanile, che nel sud sfiora il 50 per cento, un dato devastante, che dà l'idea della drammatica condizione in cui si vive dalle nostre parti.Pag. 58
  Noi tutto questo non ce lo possiamo più permettere, non lo possiamo accettare, non si può in alcun modo tollerare.
  Ringrazio pertanto il sottosegretario per questo impegno, anche quello ellittico, e per questo vorrei ringraziare tutto il Governo. Impegniamoci per il sud, impegniamoci per le infrastrutture del sud, perché soltanto con le infrastrutture si possono creare le condizioni di sviluppo di questo territorio. Grazie, signor Presidente.

(Iniziative di competenza a tutela delle donne colpite da diabete gestazionale – n. 2-00556)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Binetti n. 2-00556, concernente iniziative di competenza a tutela delle donne colpite da diabete gestazionale (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Binetti se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  PAOLA BINETTI. Signor Presidente, è un fatto che constatano con grande preoccupazione i ginecologi un po’ di tutta Italia: l'aumento del diabete gestazionale, che rappresenta per tutti loro, sicuramente, una condizione di rischio. Noi ci troviamo davanti ad una situazione in cui i mutati stili di vita e concretamente la tendenza, che in Italia si sta un po’ instaurando, all'obesità, che comincia evidentemente con una tendenza iniziale al sovraccarico di peso, finiscono con il creare, nel momento della gravidanza, una condizione di rischio per la madre ed una condizione di rischio per il bambino.
  In questa situazione ed in questa circostanza, a cui chiaramente fa un po’ da elemento che accentua la condizione di pericolosità l'età più avanzata della madre, quindi anche una tendenza ad un diabete che si configura spesso come un momento delicato, un passaggio delicato, noi abbiamo un diabete di tipo 2 che sta diventando sempre più difficile controllare, nel momento in cui viene messo a fuoco quando già la gravidanza è in atto.
  Viceversa, se si riuscisse ad assumere delle misure di prevenzione, oltre all'intervento sugli stili di vita e, quindi, alla riduzione del diabete di tipo 2, noi potremmo avere una preparazione alla gravidanza che si accompagna con una normalizzazione di quelle che sono le curve glicemiche. Detto questo, credo che tutti quanti noi conosciamo le conseguenze per il bambino e le conseguenze per la madre. Molti dei casi in cui la donna perisce subito dopo la gravidanza o anche molte situazioni di gestosi a cui si va incontro quando è appena nato il bambino, con una sindrome difficile sotto il profilo relazionale, del reinserimento professionale, ma, soprattutto, sotto il profilo dell'equilibrio della donna, potrebbero essere prevenuti o comunque potrebbero essere trattati precocemente e potrebbero essere normalizzati anche con il ricorso ai nuovi farmaci che ci sono in questo campo.
  La richiesta che noi facciamo al sottosegretario è sostanzialmente questa: perché non lanciare un'operazione autentica di informazione e di educazione alla gravidanza in cui la componente della sensibilizzazione al diabete occupa un posto importante ? Si fanno tanti test durante la gravidanza: perché non monitorare adeguatamente anche da questo punto di vista le curve glicemiche per seguire l'insorgere di forme precoci o comunque l'accentuarsi di situazioni magari pregresse ? Perché in qualche modo non intervenire con un monitoraggio, con un follow-up, che accompagni le donne subito dopo il parto e in qualche modo prevenga, limiti e contenga i rischi che ci sono ? Sono misure non difficili. Sono misure che non sono care sotto il profilo dell'investimento economico. Sono misure che si giocano molto nel profilo dell'educazione alla salute e che si inseriscono all'interno di questa cultura della nascita che sta a cuore a tutti quanti noi, soprattutto se teniamo conto che soltanto pochi giorni fa l'ISTAT ha pubblicato dei dati in cui conferma una sorta di «inverno demografico» in Italia. Ma questo inverno demografico è tanto Pag. 59più triste in quanto, in fondo, sotto alcuni aspetti, poteva essere prevenuto, contenuto e risolto.

  PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Binetti, anche per la sintesi. Il sottosegretario di Stato per la salute, Vito De Filippo, ha facoltà di rispondere.

  VITO DE FILIPPO, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, onorevole interpellante, va detto preliminarmente che modalità diverse di screening nel diabete gestazionale, differenti criteri diagnostici e la conseguente rilevante variabilità clinica hanno per lungo tempo caratterizzato le procedure assistenziali per questa condizione, in Italia e anche nel mondo. Inoltre, la contemporanea presenza di documenti di riferimento non concordanti ha generato in Italia comportamenti difformi in diverse regioni e fra i diversi professionisti coinvolti nell'assistenza in gravidanza. Per affrontare e risolvere questa disomogeneità assistenziale, l'Istituto superiore di sanità, che nell'ambito del Sistema nazionale linee guida aveva già prodotto, nel 2010, le Linee guida per la gravidanza fisiologica, già nel 2011 ha esteso questa disamina anche alle raccomandazioni in merito al diabete.
  L'attività è stata svolta secondo la metodologia tipica del citato sistema ed è stato convocato un gruppo di lavoro costituito dai rappresentanti delle società scientifiche coinvolte nel management del diabete gestazionale (Associazione medici diabetologi, Società italiana di diabetologia), da rappresentanti del panel della Linea guida gravidanza fisiologica, dai membri dello stesso Istituto superiore di sanità e del Centro per la valutazione dell'efficacia dell'assistenza sanitaria. Il gruppo di lavoro ha considerato ed esaminato le prove disponibili, le posizioni di istituzioni e di gruppi di ricerca, le linee guida, i documenti di consenso nazionali e internazionali e i documenti di riferimento utilizzati dai medici italiani per la diagnosi del diabete gestazionale. Il gruppo di lavoro ha prodotto un aggiornamento delle raccomandazioni su screening e diagnosi dello stesso diabete, che è stato successivamente approvato dal panel della Linea guida gravidanza fisiologica e dalle citate società scientifiche. La Linea guida sulla gravidanza fisiologica è consultabile sullo stesso sito istituzionale dell'Istituto superiore di sanità.
  Le raccomandazioni formulate sono le seguenti, sinteticamente: al primo appuntamento in gravidanza, a tutte le donne che non riportano indagini precedenti, va offerta l'indagine della glicemia plasmatica per identificare le donne con diabete preesistente alla gravidanza. Nelle donne con gravidanza fisiologica è raccomandato uno screening per il diabete gestazionale.
  Viene definita la tipologia di esami clinici per lo screening. Vengono identificate le informazioni che i professionisti devono fornire alle donne in gravidanza sui rischi legati al diabete gestazionale. Alle donne cui è stato diagnosticato un diabete di questo tipo deve essere offerto un ulteriore esame non prima che siano trascorse sei settimane dal parto.
  Inoltre, nella Linea Guida viene anche formulata la raccomandazione per la ricerca: condurre studi clinici controllati randomizzati multicentrici, per confrontare efficacia e costo-efficacia delle diverse modalità di screening del diabete gestazionale.
  Il Ministero della salute ha predisposto, nel frattempo, anche il piano nazionale sulla malattia diabetica (approvato, com’è noto, dalla Conferenza Stato-Regioni già il 6 dicembre 2012), che prevede, come specifico obiettivo per le regioni, quello di «raggiungere outcome materni e del bambino equivalenti a quelli delle donne non diabetiche; promuovere iniziative finalizzate alla diagnosi precoce nelle donne a rischio; assicurare la diagnosi e l'assistenza alle donne con diabete gestazionale».
  Oltre a questi, gli altri obiettivi del piano prevedono altri punti: 1) mettere in pratica le raccomandazioni della linea guida che ho citato; 2) migliorare l'efficacia e l'accessibilità dei servizi per l'assistenza alle donne con diabete gestazionale Pag. 60e alle donne diabetiche in gravidanza; 3) promuovere l'integrazione tra team diabetologico e le altre figure professionali coinvolte nell'assistenza alla gravidanza; 4) fornire alla donna con pregresso diabete gestazionale consigli circa lo stile di vita, per ridurre la possibilità di sviluppare un diabete di tipo 2; 5) aumentare la conoscenza dei rischi associati alla gravidanza per la donna con diabete; 6) migliorare l'accessibilità ai servizi per l'assistenza della donna con diabete durante la gravidanza.
  Nel piano sono previsti indirizzi strategici: miglioramento dell'assistenza, ottenibile attraverso l'adozione di percorsi assistenziali specifici; sviluppo di programmi per la gestione integrata del diabete gestazionale; raccolta dati sul diabete gestazionale; raccolta dati sulle donne gravide con questo tipo di diabete; corretta informazione rivolta alle donne, finalizzata a diffondere e a migliorare la conoscenza della malattia; formazione e informazione di tutti gli operatori sanitari e non sanitari coinvolti, dei pazienti e dei loro familiari, finalizzata alla gestione integrata della gravidanza; sviluppo di programmi nazionali per incrementare la conoscenza della popolazione con questo tipo di diabete; promozione di consultazione in fase di pre-gravidanza e ottimizzazione del controllo del diabete per tutte le donne con diabete, prima, durante e dopo la gravidanza; sviluppo di programmi per il «management» integrato della donna diabetica in gravidanza; sviluppo di programmi a livello nazionale che migliorino la formazione dei professionisti.
  Nel piano citato sono inoltre previste Linee di indirizzo anche prioritarie: sviluppare e applicare standard di assistenza per il «management» clinico del diabete; sviluppare sistemi di richiamo per le donne con pregresso diabete; attuare le raccomandazioni definite anche a livello nazionale; assicurare che la donna diabetica in giovane età abbia accesso alla consultazione prima della gravidanza e ottimizzare il controllo del diabete; promuovere la programmazione della gravidanza nelle donne diabetiche; monitorare gli «outcome» della gravidanza; assicurare la presenza di team multiprofessionali ed interdisciplinari e prevedere percorsi dedicati in modo specifico alle donne diabetiche in gravidanza o con diabete gestazionale.
  Il Ministero della salute sta, inoltre, procedendo all'aggiornamento dell'elenco degli esami esenti da ticket in gravidanza (come è ben noto gli attuali sono stati emanati nel 1998): sono inoltre in corso progetti per l'assistenza alle donne in gravidanza nei servizi territoriali, progetti sull'adeguamento dei flussi di dati sulla mortalità materna (oggi sottostimata) e sui «near miss» ostetrici.
  In merito alle campagne informative ed educative sul diabete gestazionale, rassicuro che il Ministero della salute è costantemente impegnato a realizzare attività di comunicazione rivolte a promuovere, sia presso la popolazione generale che presso target specifici, l'adozione di stili di vita salutari, con particolare riferimento all'attività fisica e alla corretta alimentazione, anche al fine di prevenire il sovrappeso, l'obesità e il diabete.
  Anche in considerazione della rilevanza che la tematica sull'alimentazione rivestirà nei prossimi appuntamenti internazionali, in particolare in sede, per esempio, di Expo 2015, l'attività di comunicazione del Ministero della salute è volta a promuovere l'adozione degli stili di vita salutari e proseguirà e si intensificherà attraverso una serie di iniziative che riguarderanno strumenti e mezzi diversificati in relazione ai target, che riguarderanno anche il diabete e che saranno realizzate in collaborazione con enti pubblici territoriali ed anche con strutture scientifiche nazionali.
  Inoltre, in occasione della prossima campagna del 2014 che il Ministero intende organizzare per promuovere l'allattamento al seno, è prevista la realizzazione e la distribuzione di materiale informativo, per sensibilizzare le future mamme sui rischi della gravidanza nella donna obesa e per promuovere un corretto stile di vita prima della gravidanza, onde migliorare il peso della donna prima del parto.Pag. 61
  Da ultimo, segnalo che il Ministero della salute ha proprio in questi giorni presentato presso l'Auditorium dello stesso Ministero i progetti scientifici e le campagne di comunicazione dell'Agenzia italiana del farmaco, dedicate ai temi «Farmaci e gravidanza» e «Farmaci e pediatria». In particolare, la campagna di comunicazione «Farmaci e gravidanza» è volta ad informare le donne sull'importanza che un uso corretto e appropriato del farmaco riveste in gravidanza, per tutelare la salute del bambino e della mamma.
  Il cuore del progetto è costituito dalle schede consultabili già ora nel sito dell'Aifa, destinate agli operatori sanitari e alle mamme e predisposte in base alle diverse esigenze informative di tali target, relative alle principali patologie intercorrenti, ricorrenti e croniche in gravidanza, tra le quali sicuramente il diabete gestazionale.

  PRESIDENTE. L'onorevole Binetti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  PAOLA BINETTI. Signor Presidente, la risposta del sottosegretario non solo è pienamente soddisfacente, ma va sicuramente ben oltre anche gli interrogativi che io avevo posto. Mi sembra, però, che eluda due punti molto concreti: il primo è che il diabete gestazionale è in aumento. Nonostante tutte le cose straordinarie fatte, indicate sul piano educativo, sul piano degli screening – addirittura, se ho ben capito, cosa di cui ci rallegreremo molto, c’è l'idea di estendere la possibilità delle indagini da fare in gravidanza senza pagare il ticket (con le notizie che ci sono oggi sui giornali questa sicuramente è una notizia che farà piacere a tutte le mamme in attesa) –, noi ci troviamo davanti al fatto che, nonostante tutti, non solo i buoni propositi, ma nonostante tutte le azioni positive che il Ministero fa, qualcosa si deve perdere per strada. Perché, evidentemente, i dati contundenti con cui noi ci confrontiamo sono: aumento del diabete gestazionale, aumento delle conseguenze relative al diabete, aumento del rischio in gravidanza, che è un rischio che si gioca tutto sotto il profilo clinico e, quindi, che si gioca poi tutto, anche successivamente, sul piano della relazione madre-bambino. Infatti non ci dimentichiamo che il diabete gestazionale, in qualche modo, induce anche nel bambino delle risposte di tipo ormonale, delle risposte comunque che toccano il metabolismo del glucosio, per cui quei bambini nascono molto spesso sovrappeso. Anzi, addirittura, quando c’è un bambino – un bel bambino – che nasce con un peso tutto sommato significativo, di quelli che ti danno l'idea di un bambino che è in perfetta salute, in realtà, il sospetto che ci possa essere sotto uno stigma diabetico viene facilmente a coloro che sono esperti della materia.
  Quindi, la mia domanda – non è una domanda, perché il sottosegretario ha già abbondantemente risposto –, però la mia provocazione è: perché tutte queste iniziative positive, ampie, articolate, integrate, capaci di coinvolgere la comunità scientifica, capaci di coinvolgere l'Istituto superiore di sanità, capaci di coinvolgere anche tutto il complesso mondo non solo dei ginecologi, ma anche dei diabetologi, che significa sostanzialmente degli endocrinologi, e anche quello dei nutrizionisti – quindi, abbiamo un team multidimensionale, che ruota attorno al grande tema della maternità e, in questo caso specifico, della maternità in una donna diabetica –, perché, però, questo non raggiunge gli obiettivi che sarebbero auspicabili ?
  Perché la curva di tendenza mostra che, nonostante tutto, di questo c’è un aumento ? Questa è la domanda che io credo, a questo punto, il Ministro possa porsi autorevolmente: perché faccio tutto ciò che è possibile e, invece di ottenere un risultato migliore, l'obiettivo a cui tendo mostra un evidente dato di peggioramento ? Non funziona l'educazione del paziente ? Non funziona nonostante tutto quello che riguarda il grande tema degli stili di vita; come giustamente ha detto il sottosegretario, si tratta di integrare quella che è l'esperienza fisica, l'esperienza motoria con quella che è l'esperienza nutrizionale. Pag. 62Che cosa accade, perché ? Perché le donne in gravidanza mangiano male ? Perché le donne in gravidanza fanno poco movimento ? Che cosa accade se già dal punto di vista dello stile di vita e nonostante tutto io non riesco ad ottenere questo ? Forse è una domanda interessante, perché come ha detto giustamente il sottosegretario questo è il grande tema di Expo. Expo 2015 ha come tematica generale nutrire il pianeta e noi qui ci troviamo davanti a un problema che non è solo quello di nutrire, ma è ben nutrire, perché come sarebbe se nutrissimo male fino a provocare, chiamiamola così, un'ulteriore accentuazione del peso ponderale, un ulteriore rischio dell'obesità ? In Inghilterra sappiamo che tra le donne che muoiono di parto circa un 30 per cento sono donne obese e, quindi, erano donne afflitte da questo tipo di patologia, perché il diabete, non lo dimentichiamo, è una patologia sistemica, è una patologia che tocca tutto l'organismo.
  Quindi, io chiedo soltanto questo; mentre riaffermo la soddisfazione per la risposta avuta, esprimo la perplessità per i risultati di campo che tutto questo insieme di iniziative riesce ad ottenere. Probabilmente è solo una diversa modalità di condurre il tema, chiamiamolo così, dell'educazione del paziente. Probabilmente tutta l'azione sullo stile di vita va giocata prima, probabilmente la maternità si deve ricollocare in una prospettiva di responsabilità che restituisca ulteriormente alla donna la consapevolezza che tutto ciò che tocca il suo equilibrio biologico tocca anche, lo sappiamo benissimo, il suo equilibrio emotivo e tocca, anche, poi dopo, l'esercizio e lo sviluppo di questa maternità relazionale.
  Quindi, ringrazio il sottosegretario delle cose che ha detto, mi viene voglia soltanto di dire: facciamole, verifichiamo che si facciano, verifichiamo che si facciano bene, cerchiamo di capire dove c’è un buco. Forse probabilmente è il monitoraggio di tutte queste iniziative che pone qualche dubbio. Io non mi sentirei di aggiungere nulla a quello che già si fa, perché mi sembra già molto, mi sembra giusto però aggiungere questo: attenzione, che si faccia davvero e che gli obiettivi a cui si dice di voler tendere siano gli obiettivi che concretamente investono, davvero, le donne e coinvolgono adeguatamente il team degli endocrinologi, dei ginecologi e dei nutrizionisti.

(Iniziative per garantire i livelli essenziali di assistenza in Calabria, con particolare riguardo alla concessione di deroghe al blocco del turnover – n. 2-00574)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Censore n. 2-00574, concernente iniziative per garantire i livelli essenziali di assistenza in Calabria, con particolare riguardo alla concessione di deroghe al blocco del turnover (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Bruno Censore se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  BRUNO CENSORE. Signor Presidente, signor sottosegretario, la questione odierna chiama in causa un principio fondamentale della nostra Carta costituzionale ed è proprio per l'esigenza di preservare la centralità di tale principio che richiedo l'attenzione di tutti gli onorevoli colleghi e del rappresentante del Governo. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, mi trovo costretto, ancora una volta, a sottoporre alla vostra attenzione una questione ormai nota tempo, certificata da tutti gli indicatori e dai tavoli tecnici di verifica. Lo sa benissimo l'onorevole rappresentante del Governo, in Calabria è stato messo in discussione il diritto costituzionale alla salute. Non sono io a dirlo, è stato il tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali con il comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza a certificare puntualmente la scarsa omogeneità dei livelli LEA, con una forte sperequazione dell'offerta sanitaria.
  Che dire poi della recente analisi condotta dall'università di Göteborg, che ha confermato che il sistema sanitario calabrese Pag. 63è il peggiore che ci sia in Europa ? Ed è stato il Governo, nel settembre scorso, attraverso un'esaustiva risposta dell'allora sottosegretario di Stato per la salute Paolo Fadda ad una mia precedente interpellanza, a confermare le criticità ormai note a tutti, perché anche in quest'Aula è ormai noto che in Calabria la rete emergenza e urgenza è poco funzionale, le liste di attesa si sono sempre più allungate, la dotazione di posti letto per la riabilitazione e la lungodegenza post-acuzie risulta inferiore al valore di riferimento fissato dal decreto-legge n. 95 del 6 luglio 2012. Risulta carente anche l'assistenza domiciliare e l'assistenza residenziale e semiresidenziale rivolta ad anziani, disabili e ai malati terminali. Inoltre, si è in ritardo sul cronoprogramma per il processo di riconversione delle strutture ospedaliere in più di appropriate strutture e, come se ciò non bastasse, ci sono criticità nell'erogazione dei servizi afferenti all'area della prevenzione, con particolare riferimento al settore degli screening oncologici. Insomma, i fallimenti del piano di rientro gestito da Scopelliti hanno sostanzialmente messo in discussione il diritto costituzionale alla salute, in una Calabria dove la visione miope e la logica puramente e dissennatamente contabile che hanno contraddistinto le politiche sanitarie del commissario ad acta hanno cagionato un'autentica desertificazione sanitaria, con servizi sulla solo sulla carta, posti letto del tutto inesistenti, ospedali depotenziati e lasciati con grave carenza di personale e di risorse tecniche e strumentali.
  A rendere ancora più complicata la difficile accettazione c’è poi il blocco del turnover, aspetto sul quale mi soffermo quest'oggi. Da lungo tempo ormai, in Calabria gli operatori sanitari continuano ad evidenziare ritmi e carichi di lavoro insostenibili e ingestibili, stante l'esiguo numero di medici e di operatori. È da quattro anni che a fronte di tanti pensionamenti di importanti figure professionali non si è fatta una sola assunzione. Penso a figure come anestesisti, penso a figure come chirurghi. Eppure il tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali ha negato alla struttura commissariale la deroga del blocco del turnover prevista dal cosiddetto decreto Balduzzi, chiedendo ulteriore documentazione, quindi una risposta burocratica rispetto ad una criticità ormai cronica.
  Signor Presidente, gentili colleghi, onorevole rappresentante del Governo, mi sia consentito ricordare che l'articolo 32 della Costituzione, oltre a stabilire che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo, ha, da un lato, una valenza programmatica, poiché impegna il legislatore a promuovere iniziative idonee volte all'attuazione di un compiuto sistema di tutela adeguato alle esigenze di una società che cresce e progredisce, e, dall'altro, ha una valenza precettiva, in quanto implica che l'individuo, come cittadino, vanti nei confronti dello Stato un vero e proprio diritto soggettivo alla tutela della propria salute intesa non solo come bene personale, ma anche come bene della collettività.
  Concludo ricordando le risultanze di una recentissima indagine conoscitiva condotta congiuntamente dalle Commissioni bilancio e affari sociali, dalla quale è emerso che il perdurare del blocco del turnover e la necessità di assicurare comunque i LEA rende indifferibile una diversa regolamentazione delle politiche di reclutamento del personale dei servizi sanitari in quelle regioni, tra cui la Calabria, in piano di rientro.
  Mi appello all'onorevole rappresentante del Governo per sapere cosa il Ministro della salute intenda fare, vista la gravità della situazione e le criticità evidenziate in premessa, per evitare il collasso della sistema sanitario calabrese e se nell'ambito delle proprie competenze intenda intraprendere provvedimenti normativi per porre rimedio al blocco del turnover e alla situazione sopraesposta.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la salute, Vito De Filippo, ha facoltà di rispondere.

  VITO DE FILIPPO, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, onorevole Pag. 64Censore, il tema che pone è noto a me personalmente e al Ministero. La regione Calabria è sottoposta, fino al 31 dicembre 2015, al blocco automatico del turnover del personale del Servizio sanitario regionale, ai sensi del comma 174, dell’ articolo 1, della legge n. 311 del 2004, il quale prevede tale misura per le regioni, come è stato già segnalato dall'onorevole Censore, sottoposte a Piano di rientro dai disavanzi sanitari – molto noto quello calabrese – nelle quali si prospetti, in esito al monitoraggio trimestrale, una situazione di squilibrio economico-finanziario del settore sanitario, non tempestivamente ed adeguatamente corretta.
  Con l'articolo 4-bis del decreto-legge n. 158 del 2012, convertito, con modificazioni, in legge n. 189 del 2012, il legislatore ha previsto la possibilità, per le regioni sottoposte ai piani di rientro, nelle quali fosse scattato per l'anno 2012 il blocco automatico del turnover, come è stato ancora una volta riferito dall'onorevole interpellante, ai sensi dell'articolo 1, comma 174, della citata legge n. 311 del 2004. che tale blocco possa essere disapplicato, nel limite del 15 per cento e in correlazione alla necessità di garantire l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza.
  Nella riunione di verifica del piano di rientro tenutasi nel mese di luglio 2013, i tavoli di verifica hanno accertato per la regione Calabria, a differenza di quanto verificatosi per la regione Campania, la perdurante presenza delle condizioni previste ancora dal già citato comma 174 che vieterebbe lo sblocco del turnover. Ciò ha nuovamente determinato quindi il blocco del turnover.
  Il 21 marzo 2014 la regione Calabria ha richiesto ai Ministeri affiancanti – che sono il Ministero dell'economia e finanze e Ministero della salute – la possibilità di derogare al blocco del turnover, allegando alla richiesta in questione la documentazione di dettaglio per rappresentare le criticità ed i rischi di possibile compromissione dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza in ragione della carenza proprio del personale. Relativamente a tale questione si è svolto, in data 28 maggio 2014, presso il Ministero della salute, un incontro tecnico di affiancamento, convocato nello specifico per chiedere chiarimenti sulla documentazione inviata dalla regione e, nel corso del quale, si è ritenuto utile ripercorrere, insieme ai tecnici della regione, le disposizioni normative vigenti in materia, che non avevano consentito fino ad ora alla regione Calabria di poter usufruire di quanto disposto dall'articolo 4-bis del decreto-legge n. 158 del 2012, meglio conosciuto come «decreto Balduzzi».
  La questione è attualmente all'attenzione dei Ministeri affiancanti, cioè del Ministero dell'economia e finanze e del Ministero della salute, che stanno valutando la sussistenza di quelle condizioni di cui al comma 80, articolo 2, della legge n. 191 del 2009, che prevede che «qualora sia verificato che il rispetto degli obiettivi intermedi sia stato conseguito con risultati quantitativamente migliori, di riduzione delle aliquote fiscali nell'esercizio successivo per la quota corrispondente al miglior risultato ottenuto, analoga misura di attenuazione si può applicare anche al blocco del turnover e al divieto di effettuare spese non obbligatorie in presenza delle medesime condizioni di attuazione del piano».
  Quindi, ho citato testualmente, mi scuserà l'onorevole interpellante, anche per essere stato troppo pedante nella citazione. Per uscire fuori anche da questo ermetismo, come potrebbe apparire in termini legislativi, vorrei comunicare che il percorso dei Ministeri affiancanti è codificato esattamente da quella norma e la regione deve dimostrare – cosa che sta facendo non da sola, ma anche con l'affiancamento tecnico operativo da parte del Ministero della salute – con la documentazione, che non sono rispettati uniformemente e universalmente i livelli essenziali di assistenza proprio in ragione della mancanza di personale.
  Questo semplice e conseguente risultato, che potrebbe apparire, come diceva l'interpellante, burocratico, pretende dimostrazioni abbastanza puntuali per evitare che la regione Calabria e gli stessi Pag. 65Ministeri affiancanti possano in qualche modo non rispettare una norma, che ho dovuto testualmente riferire anche nella mia risposta.
  Tali misure di attenuazione, tra le quali anche il blocco del turnover, trovano applicazione qualora si sia verificato ed accertato proprio in quel tavolo di monitoraggio un risultato economico migliore rispetto agli obiettivi intermedi del piano di rientro o dello stesso programma operativo.
  Nello specifico, il Ministero della salute sta procedendo a questa istruttoria volta ad accertare che la presunta carenza di personale rappresentata dalla regione Calabria comprometta – è un tema che il Ministero della salute specificamente e particolarmente ha nel proprio interesse – l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza.
  La regione Calabria, di fatto il dipartimento tutela della salute e politiche sanitarie, ha comunicato, proprio in queste ore direi, di aver completato la documentazione richiesta dal Ministero della salute nell'incontro di affiancamento sullo sblocco del turnover del 28 maggio. Nei prossimi giorni i rappresentanti ministeriali saranno pronti ad incontrare i tecnici regionali per fornire tutti i chiarimenti, riunione che – posso assicurare all'interpellante – si svolgerà in un contesto e in un clima non burocratico, avendo anche personalmente potuto verificare con visite in quella regione qual è la situazione di difficoltà che quella regione sta vivendo e che non può essere sottovalutata in nessun modo.
  Io rassicuro che questo interesse sarà prevalente rispetto ad una valutazione di impostazione meramente finanziaria e burocratica.
  Da ultimo e a carattere generale comunico che la tematica delle regioni in fase di rientro sarà oggetto anche di approfondite valutazioni ai fini di specifiche ulteriori iniziative nell'ambito anche del confronto tecnico che il Ministero della salute e il Ministero dell'economia e delle finanze e le regioni stanno svolgendo per la definizione del nuovo Patto per la salute.
  Proprio in questo senso un miglioramento dei rapporti nazionali e regionali e anche un aggiornamento di questa metodica, che in questi anni si è rivelata sicuramente fruttuosa per il rispetto dell'equilibrio di bilancio ma non sempre veloce in termini di istruttoria, ha consentito e ha determinato un cambiamento anche di impostazione del Ministero della salute che, proprio al tavolo del Patto per la salute, sta proponendo elementi di ragionamento in questa relazione fra Governo e regioni in fase di rientro.
  Proprio nella giornata di ieri il Ministro Lorenzin, riferendo alla XII Commissione sul Piano della salute – vorrei citare soltanto questa frase che mi sembra molto importante per dare una risposta completa all'interpellante – ha affermato che, relativamente ai piani di rientro dai disavanzi sanitari, si intende rafforzare la capacità delle regioni di raggiungere gli obiettivi non solo strettamente finanziari, ma soprattutto gli obiettivi rivolti alla riqualificazione dei servizi e promuovere una nuova visione dei piani di rientro ed un nuovo paradigma che li concepisca come piani di rilancio e di riqualificazione dei servizi sanitari regionali.
  Ritengo necessario che sia innalzato, quindi, il livello istituzionale della verifica, in particolare nelle regioni commissariate, in considerazione del fatto che i commissari ad acta sono organi straordinari nominati dal Governo, e nel contempo si ritiene necessario impegnare risorse e le agenzie nazionali – da Agenas all'Istituto superiore di sanità – per produrre un migliore lavoro di affiancamento e consentire a queste difficili situazioni regionali di uscire più velocemente da una condizione che è sì finanziaria, ma che determina, come giustamente ha riferito l'interpellante, effetti negativi e a volte devastanti su diritti inviolabili quali quelli della salute, che sono di tutti i cittadini, compresi i calabresi.

Pag. 66

  PRESIDENTE. L'onorevole Censore ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  BRUNO CENSORE. Signor Presidente, ho ascoltato con vivo interesse la risposta del signor sottosegretario, anche perché i tanti cittadini calabresi che ho l'onore di rappresentare non sono più da tempo interessati a difese campanilistiche, a lotte senza confine per avere strutture improduttive che si sono rilevate nel tempo pericolose, ma sono consapevoli delle difficoltà che vive il nostro Paese, delle difficoltà economiche e finanziarie e della quantificazione della spesa sanitaria che incombe sul bilancio dello Stato.
  Ma i miei concittadini chiedono la presenza di un'offerta sanitaria dignitosa, almeno per quanto riguarda alcune patologie e almeno per quanto riguarda le emergenze. Però oggi, di fronte alla mancanza di alcune figure professionali, soprattutto come gli anestesisti e i chirurghi, i miei concittadini sono in apprensione, sono preoccupati e pensano che questa loro domanda di bisogni sanitari sia un po’ negata.
  Vede, signor sottosegretario, io ho colto positivamente tra le righe del suo discorso un'apertura, quindi una risposta non burocratica, anche se non intravedo la soluzione del problema. Ho capito che chiaramente la questione, oltre al suo Ministero, interessa anche altri Ministeri, i Ministeri «affiancanti» e, quindi, capisco che la situazione non è una situazione facile perché il «decreto Balduzzi» richiede, per lo sblocco del 15 per cento, il raggiungimento di alcuni obiettivi; obiettivi che la regione Calabria non ha raggiunto perché ha chiesto – come ha ricordato lei – lo sblocco del turnover il 21 marzo dello scorso anno e poi c’è stata una riunione il 28 maggio e sono stati chiesti chiarimenti alla regione.
  Però, io ho colto nella sua risposta – come le dicevo prima – questa sua apertura, questa consapevolezza delle difficoltà, difficoltà che sono note anche al Ministero e, quindi, anche una percezione della necessità di dare una risposta non burocratica.
  Il fatto che c’è un'istruttoria in corso che chiaramente vuole verificare se sono effettivamente compromessi i LEA, i livelli essenziali di assistenza, mi fa ben sperare che possiamo essere sulla strada giusta e che, quindi, in breve tempo si possa pervenire ad una soluzione utile a quanti richiedono assistenza sanitaria nella mia regione.
  Io mi ritengo in parte soddisfatto, signor sottosegretario, e auspico che lei, essendo anche lei un uomo che viene dal sud, da regioni che vivono mille criticità e che rischiano anche di implodere dal punto di vista della tenuta sociale – abbiamo assistito poco prima all'interpellanza del mio collega, onorevole Oliverio, che riguardava il sistema dei trasporti in Calabria –, segua di persona questa vicenda e che in un breve termine, che può essere un mese, si arrivi a sbloccare in parte il turnover, anche perché la regione Calabria è una regione turistica e non vorrei che nel mese di agosto, proprio mentre ci sono tanti vacanzieri che scelgono la nostra bella regione, ci trovassimo di fronte a una situazione in cui non riusciamo a garantire l'assistenza sanitaria non solo ai cittadini, ma anche ai tanti che vengono da fuori.
  Quindi, io la ringrazio e confido in un proficuo lavoro da parte sua e da parte del Ministero.

(Iniziative, anche in ambito europeo, in relazione all’«emergenza sbarchi» e per efficaci politiche di accoglienza e di asilo nei confronti di migranti e rifugiati – n. 2-00553)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Lorefice n. 2-00553, concernente iniziative, anche in ambito europeo, in relazione all’«emergenza sbarchi» e per efficaci politiche di accoglienza e di asilo nei confronti di migranti e rifugiati (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Marialucia Lorefice se intenda illustrare la sua interpellanza Pag. 67o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  MARIALUCIA LOREFICE. Signor Presidente, signor sottosegretario, l'errore che viene troppo spesso commesso è quello di considerare l'immigrazione un'emergenza. In realtà, è un fenomeno periodico, perché i flussi migratori sono continui, solo che stampa e telegiornali ne parlano con poca continuità. I migranti sperano in un futuro migliore, che nella loro terra non hanno potuto avere.
  C’è da chiedersi: perché scappano ? I motivi sono tanti: sono le guerre tra tribù, per esempio; sono i regimi dittatoriali e – perché no ? – la speculazione finanziaria, frutto di uno spietato processo di globalizzazione che ha radicalmente trasformato il continente più ricco del mondo nella terra più povera o, meglio, con la popolazione più povera e sfruttata al mondo e su questo, forse, dovremmo farci tutti un bell'esame di coscienza.
  Lampedusa, Pozzallo, Scicli, Augusta: molti, moltissimi comuni siciliani vengono lasciati letteralmente soli nella gestione di questa emergenza umanitaria permanente. I centri di prima accoglienza, lo dice il termine stesso, dovrebbero essere luoghi destinati ad un'accoglienza momentanea e logisticamente, infatti, sono strutturati per svolgere questa funzione. E, invece, diventano luoghi di confinamento territoriale. Quindi, se conosciamo già le criticità che contraddistinguono questi centri, perché non renderli quanto meno ospitali e con tutti i servizi necessari a soggiorni prolungati ?
  Signor sottosegretario, noi siamo stati più volte in visita presso questi centri e l'abbiamo fatto anche in tempi non sospetti. Abbiamo stabilito un dialogo anche con le prefetture. Invece, quello che abbiamo visto, in questo periodo di campagna pre-elettorale, sono state delle vere e proprie passerelle, con tanto di promesse fatte davanti alle emittenti locali. Queste non ci devono interessare. Credo che potrei immaginare quanto difficile diventi, in un contesto come quello di un centro di accoglienza, la convivenza tra migranti di etnie diverse, e cosa significhi dormire su materassini sottili, messi per terra l'uno accanto all'altro. Credo sappia cosa vuole dire condividere i pochi servizi igienici, uomini, donne e bambini, o non avere un tavolo e delle sedie per potere consumare decentemente i pasti che poi, a dirla tutta, questo sicuramente è l'ultimo dei problemi.
  L'unica cosa che il Governo Letta ha saputo fare, dopo l'onda emotiva dei 300 migranti morti nel naufragio di Lampedusa qualche tempo fa, è stato varare l'operazione Mare Nostrum. Si pensava di fare fronte all'emergenza immigrati illegali provenienti dalla Libia, di prevenire gli incidenti soccorrendo in alto mare i migranti, di costituire un deterrente contro i traffici di esseri umani e l'immigrazione illegale. Probabilmente questa operazione è riuscita ad evitare tante tragedie del mare, ma certamente non ha impedito né l'incremento dei flussi migratori illegali né la tratta di esseri umani, perché migliaia di migranti continuano ad arrivare sulle nostre coste e si stima che, da qui all'estate, ne arriveranno ancora tra i 300 mila e i 700 mila. Stiamo parlando di un'operazione che costa ben 9 milioni di euro al mese, che impiega potenti navi da guerra per operazioni di puro soccorso.
  Il Ministro della difesa pro tempore, Mario Mauro, aveva riferito che con Mare Nostrum i migranti raccolti in mare sarebbero stati trasferiti nel porto vicino più sicuro, ma non necessariamente italiano. Invece, l'Italia oggi continua ad essere l'unico Paese che accoglie di fatto chiunque arrivi. Quindi, quello che ci chiediamo è: dove è l'Europa ? Quell'Europa che è sempre pronta a dirci quello che dobbiamo fare, ma che non viene in nostro aiuto in situazioni come queste.
  Il Ministro Alfano dice di avere fatto delle richieste ben precise e di avere chiesto, per esempio, che l'accoglienza umanitaria venga fatta in Africa. Dice di avere chiesto che il soccorso in mare venga fatto dall'Europa tramite Frontex, che l'Italia possa ospitare Frontex e che i migranti abbiano la possibilità di ricevere asilo politico in tutti i Paesi europei e non Pag. 68solo in Italia. Poi, però, il commissario europeo per gli affari interni, Cecilia Malmström, sostiene che l'Unione europea già due mesi fa aveva chiesto all'Italia di cosa aveva bisogno per dare il proprio sostegno all'emergenza sbarchi, ma non ci fu risposta.
  Adesso noi non sappiamo dove sta la verità e non è nostra intenzione stare qui a sindacare in questa sede. Quello che sappiamo è che la Commissione, comunque, si è detta pronta ad ascoltare le nuove richieste per la gestione dell'immigrazione. Voi, in quanto membri del Governo, avete le chiavi per affrontare concretamente questo dramma, perché si tratta di un dramma. Provate ad ascoltare loro, i migranti, i cittadini di quei comuni che si trovano ad ospitarne centinaia, migliaia. Provate ad ascoltare i volontari, le prefetture, i medici e gli infermieri, e portate la loro voce in Europa.
  Lo stato di continua emergenza rende difficili i controlli e la gestione delle presenze. Il sistema di accoglienza è al collasso: non abbiamo più i luoghi dove portare i migranti e le popolazioni locali sono indispettite dal continuo arrivo di migranti. Non basta evitare che vi siano vittime in mare: occorre occuparsi del sistema di accoglienza, e questo è l'aspetto fondamentale da gestire.
  Tutti i Governi italiani, fino ad oggi, non sono stati in grado di porre con determinazione al centro del dibattito europeo l'emergenza del flusso migratorio verso la Sicilia. Anzi, quella che si è registrata è una resistenza da parte degli altri Paesi, che non intendono assumersi gli oneri necessari per la soluzione del problema, e noi speriamo che, con il nuovo semestre europeo, qualcosa cambi. Poi vi è la questione dei minori stranieri non accompagnati e le problematiche legate a questa fascia di età.
  E ancora, la promiscuità inevitabile fra maggiorenni e minorenni all'interno dei centri, non avendo strutture adeguate, e la difficoltà di reperire strutture accreditate, poiché molte sono già sature. E poi l'altra emergenza, forse anche una delle più importanti, che è l'emergenza sanitaria, quella che preoccupa i cittadini. Noi abbiamo, per esempio, avuto modo di parlare con la prefettura di Ragusa, che ci ha tranquillizzato su questo aspetto, dicendoci che i controlli sanitari vengono effettuati in mare, poi una volta giunti sulla terraferma e poi periodicamente.
  Ma ci domandiamo: ovunque è così ? Possiamo stare sicuri che la situazione sanitaria sia tenuta sotto controllo ? Noi ce lo auguriamo, naturalmente, e confidiamo anche nella competenza e nel buon lavoro sia di medici che di infermieri. Ora, sottosegretario, noi sappiamo che questa interpellanza altro non è che un ennesimo atto legislativo, forse anche di poco conto, che non basterà a risolvere il problema, ma, quantomeno, è un modo per capire cosa vuole fare questo Governo e quali azioni intenda intraprendere per dare risposte ai cittadini, e noi vigileremo perché tutto ciò che avrà modo di dirci trovi, poi, reale applicazione.
  Le domande con le quali oggi la interpelliamo vertono proprio attorno a tutti questi argomenti, e quindi la gestione dei flussi migratori, l'aspetto sanitario, la trasparenza delle procedure e anche la gestione dei fondi. Per cui, quello che mi sento di dire, per concludere, è che vi è sicuramente bisogno di un immediato cambio di indirizzo politico in materia, perché le misure adottate finora si sono rivelate sbagliate e controproducenti.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'interno, Gianpiero Bocci, ha facoltà di rispondere.

  GIANPIERO BOCCI, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, con l'interpellanza all'ordine del giorno, unitamente ad altri onorevoli, l'onorevole Lorefice, nel porre all'attenzione del Governo il problema della ripresa massiccia degli sbarchi degli ultimi mesi, che ha messo a dura prova, come la stessa ha ricordato, il sistema dell'accoglienza, chiede quali iniziative si intendano adottare per affrontare la situazione sotto ogni profilo, ivi compreso quello sanitario.
  Il problema della gestione dei flussi migratori sarà al centro dell'agenda del Pag. 69prossimo semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea. Uno dei temi sul tappeto sarà senz'altro Mare Nostrum, operazione di grande civiltà e solidarietà, senza la quale, certamente, registreremmo, ora, nel Mediterraneo, perdite di vite umane ancora più imponenti di quelle che, purtroppo, si sono già verificate.
  Al di là dei meriti umanitari dell'operazione, è di tutta evidenza che si ponga ora l'esigenza di un suo superamento, atteso che essa era stata concepita come missione di breve periodo, diretta a fronteggiare una situazione di emergenza contingente, mentre lo scenario internazionale conduce a ritenere che i flussi migratori nel Mediterraneo siano diventati ormai un fenomeno strutturale.
  Del resto, sono le stesse riflessioni che l'onorevole Lorefice ha fatto nel presentare la sua interpellanza. Quindi, non è possibile che l'Italia continui ad essere lasciata a gestire così a lungo, e da sola, la frontiera meridionale dell'intera Europa, sopportando per di più costi elevatissimi, certamente insostenibili nell'attuale situazione di prolungata difficoltà della finanza pubblica.
  Ci saremmo attesi dalle autorità di Bruxelles e dai Paesi membri risposte adeguate e tempestive alle nostre richieste, sia di compartecipazione organizzativa e finanziaria dell'Unione europea, sia di un maggiore coinvolgimento di altri Paesi nelle operazioni di pattugliamento delle acque del Mediterraneo e di protezione delle frontiere esterne. E siamo ancora fiduciosi che queste risposte arriveranno, ma poiché il prosieguo di Mare Nostrum sta determinando criticità non più rinviabili, siamo già impegnati come Governo – e il semestre di Presidenza italiana dell'Unione sarà l'occasione per concretizzare questo impegno – a verificare ogni necessaria iniziativa che possa consentire un'uscita strategica dall'operazione.
  Un ulteriore obiettivo sarà costituito dal rilancio dell'azione di Frontex, quale Agenzia dell'Unione, deputata insieme ad Europol a dare risposte analitico-operative alle questioni migratorie, nell'intento di veder rafforzato il suo ruolo di regia e di coordinamento delle attività svolte in materia dagli Stati membri. In proposito, proporremo anche lo spostamento della sede dell'Agenzia in Italia, augurandoci di raccogliere intorno a questa idea il largo consenso degli Stati membri.
  Ci concentreremo, inoltre, sulle problematiche poste dal Regolamento di Dublino. L'eccezionale ondata migratoria verso il nostro Paese riguarda in gran parte persone che chiedono protezione internazionale, fuggendo dalle drammatiche condizioni di instabilità politica e di violenza esistenti nei loro Paesi. L'approntamento di tutte le misure necessarie all'accoglienza di questa peculiare tipologia di migrante è un compito che spetta all'Europa, come soggetto politico ed istituzionale, e non può essere riversato su un singolo Paese per il solo fatto che questi si trova a presidiare una frontiera marittima comune.
  Per questi motivi è da considerare prioritaria una modifica del principio del Paese di primo ingresso enunciato dal predetto regolamento, che rivela tutta la sua inadeguatezza, ove si pensi che, nella maggioranza dei casi, la volontà del migrante non è quella di concludere in Italia il suo percorso, ma di proseguire verso altri Paesi attratto dalla presenza di legami familiari o amicali, e, in definitiva, da migliori prospettive di vita. D'altra parte, fino a quando non si permetterà al richiedente asilo o al rifugiato di spostarsi all'interno dell'Europa, secondo la propria volontà, continueremo a subire una condizione troppo svantaggiosa; condizione che, peraltro, alimenta flussi incontrollati verso altri Stati membri e onerosi ritrasferimenti nel nostro Paese.
  Lo scenario appena delineato ci pone di fronte alla necessità di riorganizzare l'intero sistema dell'accoglienza. Un punto cardine da cui dipende il buon funzionamento di tale sistema è quello dell'integrazione tra la rete dei centri governativi e il circuito dell'assistenza diffusa gestito dagli enti locali. In questa prospettiva è programmato l'ampliamento del sistema SPRAR dagli attuali 9 mila circa fino a 19 mila posti. In attesa della completa attivazione Pag. 70dei nuovi posti nella rete SPRAR, dallo scorso mese di dicembre, in sede di tavolo nazionale di coordinamento, che ha visto la partecipazione di rappresentanti della Conferenza delle Regioni, dell'ANCI e dell'UPI, sono stati avviati, e sono tuttora operativi, piani di distribuzione dei migranti su tutto il territorio nazionale, basati sul concetto di un'equa ripartizione sul territorio.
  I predetti piani, attuati con il coordinamento dei prefetti dei capoluoghi di regione, d'intesa con i prefetti delle altre province, secondo una valutazione delle peculiarità dei rispettivi territori, garantiscono le attività di prima assistenza e accoglienza.
  Relativamente all'aspetto sanitario, al momento dello sbarco, gli stranieri sono sottoposti ad un triage medico da parte delle ASL, in collaborazione anche con la Croce Rossa Italiana, nell'ambito del progetto Praesidium. All'atto d'ingresso nei centri di accoglienza, è effettuato uno screening diretto a verificare se sussistono patologie o sospetti di patologie che non consentono la permanenza nelle strutture, richiedendo invece il ricovero in presidi ospedalieri. Agli immigrati, durante la permanenza nei centri, è comunque assicurata l'assistenza sanitaria con le modalità previste dall'accordo Stato-regioni del dicembre 2012, in collegamento con le strutture del sistema sanitario della regione competente per territorio. Voglio anche ricordare che particolare attenzione sarà data all'aspetto sanitario anche nell'ambito della revisione del capitolato generale d'appalto relativo alle prestazioni da erogare nei centri governativi, in un'ottica di razionalizzazione e miglioramento dei servizi resi.
  Al fine di garantire un tempestivo ed efficace intervento in favore dei migranti è stato, inoltre, realizzato il progetto SAR, finanziato e approvato dalla Commissione europea. Il progetto assicura la prestazione di assistenza sanitaria da parte di personale medico e paramedico a bordo delle imbarcazioni della Guardia costiera e della Guardia di finanza, impiegate nelle operazioni di soccorso in occasione di eventi migratori nel Canale di Sicilia e sulla terraferma. Le attività svolte mirano ad assicurare interventi tempestivi ed efficaci già nella fase del soccorso in mare, consentendo di individuare possibili casi di particolare gravità che richiedono un trasferimento immediato dei migranti presso ospedali collocati sulla terraferma.
  Il pieno coinvolgimento delle ASL nell'assistenza sanitaria dei migranti può determinare situazioni di particolare criticità, come quelle segnalate dall'onorevole interpellante con riferimento all'ospedale di Modica. E, in effetti, l'eccezionale afflusso di migranti giunti al porto di Pozzallo in questi mesi ha determinato il sovraffollamento delle unità operative di pronta emergenza e soccorso del predetto ospedale nonché di quelli di Ragusa e Vittoria.
  Relativamente alle patologie infettive, cui si fa cenno nell'interpellanza, si fa presente che le citate strutture hanno accertato un modesto numero di episodi di tubercolosi e di scabbia e un caso di AIDS. Per far fronte a tale situazione, con il concorso delle componenti istituzionali interessate, è stato avviato l'aggiornamento del piano provinciale di primo soccorso ai migranti, in modo da individuare adeguate misure organizzative sul versante sanitario che consentano al personale medico, ordinariamente impegnato nelle operazioni di sbarco e nelle attività di triage nei confronti dei migranti nello scalo portuale di Pozzallo, di assicurare tempestivi interventi di primo soccorso sulla banchina, evitando nel contempo eventuali disservizi nei reparti di emergenza dei citati ospedali.
  In merito alle disponibilità dell'Italia nel nuovo quadro finanziario 2014-2020, le medesime ammontano a 310 milioni di euro, cui si aggiungerà un ulteriore cofinanziamento nazionale. La concreta disponibilità di tali risorse passa attraverso l'approvazione di una programmazione nazionale e la conseguente presentazione di specifici progetti, secondo l'iter procedurale previsto dal regolamento comunitario, Pag. 71di recentissima emanazione, istitutivo del Fondo asilo migrazione e integrazione.
  Riferisco inoltre che, a seguito dell'incontro espressamente citato dall'onorevole interpellante tra funzionari del Ministero dell'interno e della Banca europea degli investimenti, non è stato dato corso ad alcun prestito.
  Per quanto riguarda, infine, le azioni messe in atto dall'Agenzia europea di supporto all'asilo, voglio ricordare che il piano di supporto speciale per l'Italia prevede l'assistenza tecnica e operativa dell'EASO fino alla fine del corrente anno, con l'obiettivo di rafforzare i livelli qualitativi del sistema nazionale di asilo e di accoglienza, attraverso il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati.
  I settori di intervento sono: il monitoraggio delle procedure di asilo e il potenziamento delle capacità di analisi dei dati, l'ampliamento del sistema di informazione sui Paesi di origine, la formazione capillare sulle procedure previste dal Regolamento di Dublino, nonché il monitoraggio del sistema di accoglienza, il potenziamento delle capacità di analisi dei dati, la gestione dell'emergenza. Tali attività, già avviate, sono attualmente in corso.

  PRESIDENTE. L'onorevole Lorefice ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  MARIALUCIA LOREFICE. Signor Presidente, sottosegretario, ho ascoltato con attenzione la sua risposta e mi ritengo parzialmente soddisfatta, perché per alcuni aspetti ci saremmo aspettati delle risposte più dettagliate, però sicuramente ci ha dato altre informazioni delle quali noi non eravamo in possesso, quindi di questo la ringrazio.
  Io approfitto anche di questo momento e di questi minuti che ho a disposizione proprio per far presente altri aspetti e altre criticità che sono naturalmente frutto di un costante rapporto con il territorio, perché io vengo da quella terra e, quindi, conosco benissimo i problemi che ci sono in quella terra, legati al fenomeno immigrazione.
  La realtà, sottosegretario, è che, al di là dei buoni propositi che spesso vengono espressi solo a parole – ritorno sempre sullo stesso discorso –, la macchina dell'accoglienza è ormai sotto una costante pressione. La buona volontà e lo spirito di sacrificio degli addetti ai lavori non bastano più e i sindaci sono tutti preoccupati, perché le condizioni diventano sempre più precarie e ingestibili. Nonostante – le posso assicurare – la storica e consolidata cultura dell'accoglienza, che ha reso negli anni il nostro territorio un modello, non siamo più in grado di reggere completamente da soli e il peso sta creando un'emergenza senza precedenti.
  Signor sottosegretario, le posso assicurare – e lo faccio appunto – da cittadina che vive in quella terra, a contatto con quella realtà, che ormai siamo stanchi delle promesse: promesse che abbiamo sentito migliaia di volte. Quello che noi le chiediamo sono azioni concrete. Spesso, anche scherzandoci su, diciamo sempre che siete il «Governo del fare» e, quindi, io vi invito davvero a fare qualcosa per questo problema.
  Vorrei solo ricordarvi che non ci troviamo di fronte a una novità o a qualcosa da inquadrare ancora per bene; stiamo parlando di un fenomeno che si ripete da anni e l'emergenza è diventata ormai cronica. Sedete al Governo e se aveste voluto affrontare seriamente la gestione dei flussi migratori, avreste avuto tutto il tempo necessario per poterlo fare. E, invece, ci mettete sempre di fronte ai soliti «faremo», «abbiamo in programma di», «ci stiamo adoperando per».
  Quello che vi chiedo è se sapete – e credo che lo sappiate – cosa significhi vivere in queste condizioni. Abbiamo parlato anche con migranti e quello che loro ci hanno detto è che condizioni del genere li logorano nel fisico e nella mente. Nella mente. Questi migranti fuggono dalla guerra e sanno che scappando rischiano di morire in mare oppure prima, ma sono anche disposti a correre questo rischio, perché nella loro terra loro morirebbero comunque a causa della guerra.Pag. 72
  Quindi, ci chiediamo che senso ha stanziare tanti soldi, milioni e milioni di euro, se poi i problemi rimangono irrisolti, se lenta e farraginosa continua ad essere la gestione burocratica, che costringe centinaia di migranti a lunghe permanenze nei centri di prima accoglienza, e se vengono ripetutamente trasgrediti i limiti di capienza che le strutture potrebbero sostenere. Occorre capacità di pianificazione e assoluta trasparenza.
  I cittadini sono persone accoglienti ed aperte, meritano risposte ben diverse da quelle che le istituzioni danno e, talvolta, non danno. Servono più forze dell'ordine per garantire sicurezza nei centri e sul territorio. Io qualche tempo fa avevo rivolto, sempre al Ministro dell'interno, un'interrogazione che riguardava proprio le forze dell'ordine. Infatti, nel nostro territorio c’è carenza di forze dell'ordine. Il Ministero mi ha risposto dicendo che sarebbero stati inviati 15 nuovi agenti di Polizia. Io non so se possano bastare 15 agenti di Polizia in più per affrontare problemi quali possono essere la sicurezza pubblica, i centri di prima accoglienza e adesso anche l'aeroporto di Comiso, che ha aperto da poco.
  È palese la mancanza di volontà di affrontare questa questione con professionalità. Non basta più il solito contentino per scrollarsi di dosso certe responsabilità, perché in concreto non si possono risolvere i problemi fin quando non si eliminano le cause che portano queste persone ad affrontare viaggi inimmaginabili, tra pericoli e torture, per arrivare fino in Italia che, come abbiamo detto tante volte, spesso è solo la porta per l'Europa. Infatti, queste persone sono alla ricerca di un futuro migliore che noi in questo momento non possiamo garantire nemmeno a noi stessi. E, se ci sforzassimo di analizzare più a fondo le cause che determinano fenomeni come l'immigrazione, in qualche modo ci renderemmo conto che hanno sempre a che fare con grandi interessi economici di una qualche potenza straniera e talvolta anche dell'Italia. Siamo tutti stanchi di essere presi in giro e di aspettare che qualcosa cambi e poi non cambia mai. Siamo stanchi delle promesse, se rimangono solo promesse.
  Detto ciò, signor sottosegretario, le posso suggerire una serie di spunti sui quali, se vuole, si può anche intervenire. Sono appunto osservazioni frutto del confronto con i cittadini. I cittadini hanno bisogno di sapere, come ho detto in illustrazione, e di essere ascoltati, perché dobbiamo smetterla di pensare di essere «tuttologi» e di avere una risposta a tutto. Dobbiamo ascoltare chi vive in quel contesto perché sa quali sono i problemi e come vanno affrontati. I cittadini chiedono chiarezza, innanzitutto.
  Abbiamo bisogno appunto di sapere come funzionano le profilassi sanitarie, i piani di emergenza e di contenimento di epidemia e pandemia. Abbiamo bisogno di strutture territoriali che siano adeguatamente attrezzate per gestire i flussi e dare assistenza sanitaria e di aumentare il numero delle forze dell'ordine per garantire la sicurezza pubblica. Non si può pretendere che fenomeni del genere vengano gestiti come se non ci fossero rischi per i migranti e per la popolazione. Non si può credere che basti parcheggiare per interi mesi questa gente in apposite strutture per aver risolto il problema, né si può pensare di aumentare i centri di prima accoglienza nelle località costiere quando in realtà quello che si favorisce, purtroppo, è indirettamente anche il business di chi li gestisce. Lo Stato e l'Europa non possono aspettarsi che pochi comuni siciliani si facciano carico di questo problema perché ormai siamo arrivati proprio al limite.
  Pretendiamo, quindi, una presa di posizione forte da parte delle istituzioni e di tutte le forze politiche, affinché vengano accolte e rispettate le istanze e la voce dei cittadini italiani e dei migranti. Il nostro Paese si è dimostrato maturo e ospitale nei confronti di queste persone, ma se accoglienza dobbiamo dare, accoglienza deve essere, nella misura in cui siamo in grado di sostenerla, perché questa insostenibile Pag. 73quanto drammatica situazione nazionale e internazionale invece rischia di minare la pace e la coesione sociale.

(Intendimenti del Governo circa la possibilità di prorogare i termini per la trasformazione della provincia di Venezia in città metropolitana – n. 2-00585)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Giancarlo Giorgetti n. 2-00585, concernente intendimenti del Governo circa la possibilità di prorogare i termini per la trasformazione della provincia di Venezia in città metropolitana (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Prataviera se intenda illustrare l'interpellanza, di cui è cofirmatario, o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  EMANUELE PRATAVIERA. Signor Presidente, è noto ciò che è successo a Venezia. Credo che siano ovviamente arrivati anche l'attenzione del Governo i recenti sviluppi della questione Mose e delle ricadute sull'amministrazione veneziana.
  È notizia di oggi, data dalla stampa ma molto attendibile, che lunedì decadrà anche il consiglio comunale, con le dimissioni in massa dei consiglieri comunali di maggioranza. Quindi, a seguito di questi sviluppi e a seguito delle dimissioni del sindaco di Venezia, ai sensi dell'articolo 141 del decreto legislativo n. 267 del 2000, potrebbe essere nominato un commissario straordinario per la gestione dell'ente locale. La legge 7 aprile 2014, n. 56, recante disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni, all'articolo 1, affida un ruolo determinante al sindaco del capoluogo di provincia nella gestione del periodo transitorio tra la scadenza degli organi delle province attuali e l'insediamento degli organi delle città metropolitane.
  La legge, infatti, prevede: le elezioni immediate, indette dal sindaco del comune capoluogo all'entrata in vigore della legge, di una conferenza statutaria che deve provvedere alla trasmissione di una proposta di statuto al consiglio metropolitano entro il 30 settembre 2014; la proroga del presidente della provincia e della giunta, a titolo gratuito, o del commissario in carica, della provincia ovviamente, per la gestione ordinaria dell'amministrazione provinciale fino al 31 dicembre 2014; l'elezione del consiglio metropolitano entro il 30 settembre 2014, che è l'organo che dovrà adottare lo statuto e approvare il bilancio dell'ente.
  Per la nascita della città metropolitana un ruolo centrale assume lo statuto, nel quale si stabiliscono le norme fondamentali dell'organizzazione dell'ente, le relazioni con i comuni e le unioni di comuni del territorio, nonché l'eventualità che si possa prevedere l'elezione diretta a suffragio universale dei futuri organi di governo delle città metropolitane, previa articolazione del comune capoluogo in comuni metropolitani (o in zone omogenee per le città metropolitane superiori a 3 milioni di abitanti) e previa approvazione di una specifica legge elettorale.
  Nella legge 7 aprile 2014, n. 56, sono state previste norme particolari per l'istituzione della città metropolitana di Reggio Calabria in considerazione del commissariamento in atto, quindi già attuale, del comune capoluogo e della scadenza al 2016 della provincia. Un fatto che era anomalo rispetto al panorama delle altre costituenti città metropolitane e che quindi è stato normato ad hoc.
  Per Reggio Calabria, dove il comune capoluogo è stato ed è attualmente commissariato, sono previsti, infatti, termini speciali per la prima istituzione della città metropolitana. L'istituzione della città metropolitana avviene alla scadenza naturale degli organi provinciali o comunque entro trenta giorni dalla decadenza o scioglimento anticipato degli stessi, con ingresso nelle funzioni comunque successivo al rinnovo degli organi del comune di Reggio Calabria. Il termine del 30 settembre 2014 per l'elezione del consiglio metropolitano è, quindi, sostituito dal centottantesimo giorno dalla costituzione della città metropolitana; il termine del 31 dicembre Pag. 742014, valido per tutte le altre città metropolitane e fino all'altro ieri, ipoteticamente parlando, anche per Venezia, è, invece, per la città metropolitana di Reggio Calabria, sostituito dal duecentoquarantesimo giorno dalla scadenza degli organi provinciali; il termine del 30 giugno 2015 per l'esercizio del potere sostitutivo statale è sostituito dal trecentosessantacinquesimo giorno dalla scadenza medesima, quindi di fatto la proroga è tout court di un anno, grosso modo.
  Ai sensi dell'articolo 1 della Costituzione, la sovranità appartiene al popolo e il popolo esercita tale sovranità nelle forme e nei limiti previsti dalla stessa Costituzione. Il riconoscimento del diritto di voto e le sue caratteristiche, enunciate nel secondo comma dell'articolo 48, concorrono pertanto alla definizione dello Stato come Stato democratico. Attraverso di esso si realizza, infatti, il principio di organizzazione che caratterizza ogni democrazia, in forza del quale ogni decisione deve essere direttamente o indirettamente ricondotta alle scelte compiute dal popolo, detentore della sovranità.
  Il principio fondamentale della rappresentanza elettorale sancito nella nostra Costituzione è garantito anche dal diritto dell'Unione europea. Il Trattato di Lisbona riunisce in un apposito titolo, il Titolo II, Disposizioni relative ai principi democratici, le disposizioni intese a conferire maggiore visibilità al principio democratico insito nel funzionamento dell'Unione europea. Tale principio viene affermato e specificato nelle sue diverse configurazioni: la democrazia come rappresentanza e la democrazia come partecipazione all'attività pubblica.
  Queste premesse le faccio perché erano il perno della nostra azione politica nel territorio provinciale come partito della Lega Nord ed è stato coerentemente anche il fulcro della nostra azione di contrapposizione al decreto, che voi avete tanto voluto, di istituzione della città metropolitana, proprio perché abbiamo denunciato il fatto che il potere di democrazia e quindi anche di rappresentanza del popolo venisse negato con i principi che voi avete trasformato in legge nella città metropolitana.
  I cittadini della provincia di Venezia, in questa importante fase di trasformazione dell'area vasta provinciale nella città metropolitana, non possono essere rappresentati da un commissario, come avverrà nel momento in cui si sostituirà al sindaco, perché esso non è eletto ma è nominato, non risponde delle proprie scelte agli elettori ma risponde al Ministro dell'interno che lo ha delegato. Tutto ciò determinerebbe un grave vulnus al sistema democratico ed al diritto di elettorato attivo. La questione non è da poco perché le ricadute di queste scelte potrebbero essere, anzi saranno, interamente a carico delle famiglie contribuenti e delle aziende e del futuro stesso, perché costruire male dalle fondamenta una casa significa anche pregiudicare la sua stabilità e la sua durata nel tempo, e la scelta che il Governo sta per compiere è per noi importante.
  Visto che ancora non è stata proferita parola da parte del Ministro Alfano né del sottosegretario Delrio né del Premier Renzi, noi chiediamo se il Ministro interpellato, alla luce delle considerazioni che abbiamo espresso e qualora si dovesse provvedere ai sensi del Testo unico degli enti locali al commissariamento del comune di Venezia, non ritenga opportuno farsi promotore, in sede di Consiglio dei ministri, di un'iniziativa normativa, straordinaria sicuramente, ma finalizzata a prorogare i termini per la trasformazione dell'ente provincia in città metropolitana di Venezia.

  PRESIDENTE. La ringrazio, anche per la sintesi.
  Il sottosegretario di Stato per l'interno, Gianpiero Bocci, ha facoltà di rispondere.

  GIANPIERO BOCCI, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, l'interpellanza riguarda, come è stato ricordato, il processo costituente della città metropolitana di Venezia e pone la necessità che tale processo veda pienamente partecipi gli organi elettivi del capoluogo Pag. 75veneto recentemente interessato dalle dimissioni del sindaco.
  Diversamente, in caso di scioglimento dell'ente locale e di conseguente commissariamento, ipotesi che verrebbe a concretizzarsi con il consolidamento delle dimissioni del primo cittadino, si verrebbe a determinare, come è stato ricordato, un vulnus sotto il profilo del rispetto del principio autonomistico. Vulnus tanto più grave in quanto, per un caso non dissimile riguardante l'istituzione della città metropolitana di Reggio Calabria, l'articolo 1, comma 18, della legge n. 56 del 2014 ha disposto il differimento dei termini di costituzione, evitando che ad occuparsi della trasformazione della provincia reggina nel nuovo ente territoriale di area vasta fosse l'organo commissariale e non quello elettivo.
  L'interpellante chiede, pertanto, se il Ministero dell'interno non ravvisi la necessità di un intervento normativo dello stesso tipo.
  Effettivamente, il caso di Venezia presenta dei tratti di analogia con quello di Reggio Calabria, pur non essendo a esso completamente sovrapponibile. Anche per Reggio Calabria, infatti, si era in presenza di un comune capoluogo commissariato, interessato dalla complessa procedura prevista dalla legge n. 56 del 2014 per la costituzione delle città metropolitane. Per Reggio Calabria il legislatore ha fatto ricorso ad una soluzione rispettosa del principio autonomistico – corrispondente agli auspici dell'interpellante – collegando il funzionamento della città metropolitana al rinnovo elettivo degli organi ordinari del comune capoluogo.
  Con riguardo al caso di Venezia, è evidente che, al consolidamento della fattispecie dissolutoria, ragioni di coerenza ordinamentale giustificherebbero l'inserimento di disposizioni modellate su quelle già introdotte per Reggio Calabria. È allo studio, pertanto, la possibilità di intervenire in via normativa, introducendo meccanismi costitutivi che riproducano, per l'istituzione della città metropolitana di Venezia, il percorso che la citata legge n. 56 già prevede per l'omologo ente calabrese.

  PRESIDENTE. L'onorevole Prataviera ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta all'interpellanza Giancarlo Giorgetti n. 2-00585, di cui è cofirmatario.

  EMANUELE PRATAVIERA. Signor Presidente, ringraziamo e fedele, a differenza di qualche altro intervento, come quello del collega che mi ha preceduto, anche ad un principio non scritto di brevità d'intervento, mi dichiaro soddisfatto, parzialmente ovviamente, perché non ho avuto ancora una rassicurazione precisa e puntuale che si interverrà. Ma già sentirsi dire, più da cittadino che da parlamentare, che il Governo sta studiando di poter intervenire come si è già intervenuto per il caso di Reggio Calabria è sicuramente rassicurante.
  Ora sarà da definire anche la data delle elezioni – ovviamente, seguirà un decreto ministeriale –, perché anche questa non è una partita da tenere in secondo ordine, proprio per capire anche gli sviluppi della questione che ha travolto Venezia e le indagini che, ovviamente, si stanno sviluppando. Quindi, ringrazio per la disponibilità all'accoglimento dell'interpellanza urgente e anche per la risposta abbastanza puntuale e rimando la questione a successive attività parlamentari.

  PRESIDENTE. La ringrazio moltissimo, onorevole Prataviera.

(Elementi ed iniziative di competenza in merito ad esercitazioni militari svoltesi nel sito di interesse comunitario «Isola Rossa – Capo Teulada», nel comune di Cagliari – n. 2-00582)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Pili e Pisicchio n. 2-00582, concernente elementi ed iniziative di competenza in merito ad esercitazioni militari svoltesi nel sito di interesse comunitario Pag. 76«Isola Rossa – Capo Teulada», nel comune di Cagliari (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Pili se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  MAURO PILI. Signor Presidente, l'argomento di questa interpellanza è talmente delicato che cercherò, nei modi e nelle parole, di essere chiaro ed esplicito, auspicio che, ovviamente, rivolgo anche al rappresentante del Governo, perché faccia altrettanto su un tema dove sembra essere calato un muro di omertà. In queste ore, a Roma, dentro una caserma di Stato, alla Cecchignola, si sta discutendo di servitù militari per quella che è stata chiamata, pomposamente, la conferenza sulle servitù militari in Italia. Ovviamente è una conferenza a senso unico; ieri hanno parlato i più grandi produttori di armi del nostro Paese, i generali, oggi i Ministri e alcuni rappresentanti di regione, esclusi totalmente i sindaci, totalmente le comunità locali. È un fatto eloquente il fatto stesso che sia stato scelto un luogo come la caserma della Cecchignola per svolgere questo tipo di azione; segreto blindato perché nessuno sappia quello che lì dentro si discute. Tuttavia, sappiamo quelli che saranno gli esiti stasera, osservatori, nuovi osservatori, comitati, nuove commissioni, ma niente sarà realizzato rispetto a quell'auspicio, che invece in Sardegna è molto chiaro e molto netto, di cancellare questa servitù di Stato che occupa oltre il 60 per cento delle servitù nazionali scaricate, appunto, in Sardegna. Tutto questo è inaccettabile ed è soprattutto inaccettabile che, dentro questo tipo di conferenza, prevalgano gli affari blindati dei venditori di armi piuttosto che gli interessi del diritto, della norma e delle leggi che devono essere applicati in un territorio come la Sardegna che è protetta da leggi nazionali, regionali e, anche, e soprattutto, da direttive comunitarie.
  In queste ore, alcuni utilizzano i militari come scudi umani per dire che bisogna tenere in piedi questi poligoni; in realtà, si usano come scudi umani i militari per tenere in piedi questo mercato illimitato degli armamenti, di bombe e di missili che si comprano dalle grandi società belliche, senza dimenticare che questi vengono consumati impunemente sul territorio della Sardegna. Nel contempo, questi scudi umani, i militari, vengono trattati a stipendi da fame, senza alcun rispetto, senza nessuna prospettiva di vita concreta, rispetto anche alle condizioni sanitarie che in quel tipo di realtà si verificano.
  Spese folli, e nel poligono di Teulada le spese folli diventano strumento per colpire a colpi di bombe e di missili i più importanti siti ambientali della nostra regione. Non è questa, onorevole Presidente e onorevole rappresentante del Governo, la sede per discutere se siamo o meno a favore delle basi militari, delle servitù militari. Io personalmente sono storicamente contrario, le ritengo anacronistiche rispetto alle nuove tecniche anche di tecnologie avanzate che si sono messe in campo a livello mondiale per le esercitazioni e le stesse sperimentazioni. Sono anacronistiche sotto ogni punto di vista.
  Oggi il tema su cui il Governo è chiamato a dare delle risposte compiute, chiare, evidenti, senza tergiversare, senza sfuggire dagli argomenti è esplicito nel quesito. Il Governo è consapevole di quello che sta succedendo a Teulada ? Il tema è soprattutto: qual è la condizione di rispetto delle norme vigenti in quell'area ? Queste basi militari che stanno generando distruzione ambientale, naturale e anche archeologica nelle aree dei poligoni di Teulada, innanzitutto, permettono di dire che probabilmente il Governo anche in questo caso, come i precedenti, del resto, è latitante.
  Nelle scorse settimane su una interrogazione analoga il Governo ha scelto di mandare qui a rispondere il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, il quale ha affrontato in maniera sfuggente l'argomento, ma hanno dichiarato sostanzialmente, il Ministro e il suo rappresentante, che non è stato possibile accedere in quelle aree, che sono consapevoli, al Ministero dei beni e delle attività culturali e Pag. 77del turismo, che lì dentro ci sono presidi archeologici rilevanti, ma che il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha trovato il muro di gomma della difesa che non gli ha consentito di entrare.
  Ebbene, oggi si sceglie il Ministero dell'ambiente per dare la risposta a questo tema delicato. Io vorrei sperare che non sia una scelta di ripiego, quella del Presidente del Consiglio dei ministri, di rivolgersi al Ministero dell'ambiente, anche perché vi è una pregnante competenza dell'Ambiente rispetto a quello che sta avvenendo in Sardegna, ma che quindi rappresenti, da parte della Presidenza del Consiglio, una presa di coscienza su ciò che realmente sta accadendo in queste ore, in questi giorni e in questi anni nel poligono di Teulada così come negli altri poligoni sardi. E lo voglio sintetizzare con un numero: 733-bis, che è un articolo del codice penale che questo Parlamento nel 2011 ha introdotto e che afferma sostanzialmente che bisogna perseguire tutti i danneggiamenti e le distruzioni che avvengono all'interno di habitat di siti protetti. La domanda è esplicita al Ministro dell'ambiente: il poligono ricade, sì o no, all'interno di un sito protetto ? La risposta è sì. Ricade per due siti di importanza comunitaria, quello delle Dune e quello dell'Isola Rossa. Mi domando e domando al Presidente «ideale» del Consiglio dei ministri, Renzi: se bombardassero sulle colline di Capalbio, se sparassero missili e bombe sulle Alpi Apuane o se i carri prendessero di mira i parchi della Maremma, qualcuno si indignerebbe in questo Paese ? Il Presidente del Consiglio interverrebbe per bloccare la distruzione ambientale in quei siti di interesse comunitario, di importanza comunitaria ? Penso di sì, perché un Presidente del Consiglio onesto con la propria terra e con il proprio Paese ha il dovere di bloccare la distruzione ambientale. Ebbene, in Sardegna questo sta avvenendo: si sta demolendo realmente, non in maniera figurata. C’è la sovrapposizione che io ho proposto in queste ultime ore dei rilievi aerofotogrammetrici e satellitari del 1954 con quelli del 2008: sono scomparsi isolotti, le coste sono state cambiate sul piano morfologico a colpi di missili e di bombe, è stata cambiata la geografia della Sardegna, è stato modificato il confine e ci sono ancora le bombe e i missili incastonati nei costoni. Per esempio, quanto agli isolotti, quello di fronte a Punta Tonnara è stato cancellato. Nelle carte nautiche c’è ancora scritto «isolotto» davanti a Punta Tonnara, ma non c’è più, è stato raso al suolo con gli attacchi da terra, da mare e da aria; cancellato per sempre in un territorio protetto in base alle direttive comunitarie, che sono quelle che hanno visto nel 2008 il Governo italiano recepire i siti di importanza comunitaria e le zone di protezione speciale ancora di più dei siti di importanza comunitaria.
  Ebbene, ci sono costoni cancellati per sempre. L'intero soprassuolo di quell'area, del poligono, è stato cancellato dai tracciati dei carri armati; basta prendere la sovrapposizione satellitare del 1954 e del 2014 per rendersi conto che ginepri e tutto quello che è protetto e non si può toccare, dai ginepri ai lentischi, in Sardegna è stato raso al suolo e che le bombe incendiano i territori – ogni giorno vi è un incendio nuovo – devastando e provocando crateri, con altri elementi di distruzione, mentre i tracciati di carri armati lasciano il solco ovunque. E poi c’è l'altro versante, quello archeologico, e un altro numero, il 733 del codice penale: danneggiamento di patrimonio archeologico. Vi sono sedici nuraghi, villaggi nuragici complessi, dentro quel sito del poligono militare; persino villaggi neolitici. Ieri, nel corso della controconferenza sarda, quella vera, sulle servitù militari in Sardegna, ci sono state testimonianze agghiaccianti: l'erede dell'accademico dei Lincei, Giovanni Lilliu, il professore Giovanni Ugas, ha denunciato di avere individuato all'interno un sito neolitico e che gli è stato impedito dalle sovraintendenze e dai Ministeri competenti l'accesso per verificare lo stato della situazione e per poterlo collocare sul piano storico-archeologico. Un ex sindaco di Teulada ieri ha denunciato che all'interno di quella base ci sono stati villaggi nuragici cancellati, spianati a colpi di Pag. 78ruspa. A colpi di ruspa ! Tutto questo è un reato ? Sì, è un reato, ed è un reato che si è reiterato nella storia, ma oggi, che se ne siamo a conoscenza per la prima volta, si ha il dovere di intervenire per bloccare questa devastante situazione.
  Ma c’è un altro elemento che mi induce a chiedere al Governo chiarezza e lealtà istituzionale, verso il Parlamento innanzitutto. Il Capo di stato maggiore della difesa qualche giorno fa, nella austera Commissione difesa della Camera ha dichiarato quanto segue: A Capo Teulada – dice – sono stati eseguiti monitoraggi ambientali che in alcune aree delle zone di «arrivo colpi» hanno segnalato una contaminazione da torio – lo dice il Capo di stato maggiore della difesa – per la quale saranno avviate le bonifiche; saranno avviate le bonifiche ! Al momento – dice l'ammiraglio Capo di stato maggiore – l'autorità giudiziaria non ha autorizzato l'esercito italiano ad iniziare le bonifiche in quanto il territorio è sottoposto a sequestro preventivo per l'ipotesi di inquinamento ambientale.
  È vero ? Non è vero ? La Procura di Cagliari ha fatto un comunicato ufficiale in cui smentisce il fatto che sia stato sequestrato. Due sono i casi: o ha mentito il Capo di stato maggiore della difesa dichiarando nel Parlamento italiano che quel territorio è sotto sequestro, e, quindi, non può fare le bonifiche, oppure ha dichiarato il falso la magistratura cagliaritana. Io propendo più per pensare che l'ammiraglio abbia detto qualcosa che non corrisponde alla realtà, o meglio abbia detto il falso.
  Questo Governo, rappresentante del Governo, ha il dovere di dirci in maniera chiara se l'ammiraglio ha detto il falso o meno, e se ne traggano le conseguenze della gravità di un uomo di Stato che viene nella Commissione difesa e dichiara che quel sito è stato messo sotto sequestro per aver rinvenuto torio e che per questo motivo non ha potuto realizzare le bonifiche di Stato in una zona totalmente devastata.
  Si potrebbe aprire il capitolo delle indagini fatte dalla NATO. La NATO con i soldi del Ministero dell'ambiente e della regione sarda ha ispezionato davanti all'Isola Rossa per cercare in quell'area missili e quant'altro. In realtà, è un'area dove non si spara. Hanno speso oltre 400 mila euro di soldi pubblici per investigare su un'area dove non si è mai sparato e, infatti, hanno trovato qualche residuo di rete di pescatori. Però hanno nascosto tutto quello che realmente succede invece dall'altro versante, dove si usano armamenti, dove si consumano armamenti, dove l'industria pesante italiana e non solo, anche quella mondiale, scaraventano il maggior numero di bombe e di missili per provare e per testare qualsiasi tipo di sostanza.
  Tutto questo avviene in Sardegna, nella terra della natura, nella terra dell'ambiente, che è gravata da mille protezioni ambientali nazionali e regionali e di qualsiasi genere. Ebbene, tutto questo non può più avvenire. Bisogna che il Governo, questo Governo, così come avrebbero dovuto fare tutti gli altri, intervenga.
  In queste ore si discute se limitare o meno le zone militari: questa è una delle proposte minimali fatte in Sardegna. In realtà, bisogna bloccare perché bisogna rispettare le leggi; se c’è devastazione e distruzione ambientale il Ministero dell'ambiente e il Governo hanno il dovere e l'obbligo morale e di diritto di bloccare questa distruzione di una Sardegna che viene colpita quotidianamente dallo Stato.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, Silvia Velo, ha facoltà di rispondere.

  SILVIA VELO, Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare. Signor Presidente, con l'atto di sindacato ispettivo concernente le problematiche ambientali derivanti dall'uso del poligono militare di Capo Teulada da parte dell'esercito italiano e della NATO, gli interpellanti chiedono alle competenti amministrazioni se non intendano verificare la sussistenza di responsabilità in ordine a possibili ipotesi di distruzione e deterioramento Pag. 79dell'habitat all'interno di un sito protetto, distruzione e deturpamento di bellezze naturali e danneggiamento del patrimonio archeologico.
  Tanto premesso e stante la rilevanza della questione, non si può innanzitutto non richiamare – l'interpellante l'ha fatto – la risposta già fornita ai medesimi interpellanti dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo in precedenza, precisando che, pur rinviando ad essa per la posizione specifica del predetto Dicastero in ordine alle questioni più di propria competenza, sarà inevitabile riprodurre in questa sede parte degli elementi conoscitivi già allora forniti.
  Il Poligono interforze di Capo Teulada è stato istituito dalla NATO nel 1956 e, pertanto, risulta operativo ben prima dell'emanazione della direttiva 92/43/CEE, conosciuta anche come «direttiva Habitat». Sul territorio interessato, pari a oltre 7 mila ettari di demanio militare, si svolgono ininterrottamente, da settembre a giugno, le relative esercitazioni militari. La zona di addestramento richiamata ricomprende al suo interno, com’è noto, il sito di importanza comunitaria, SIC, ITB040024, Isola Rossa e Capo Teulada, la cui prima perimetrazione risale al 1997. Detto sito è interamente compreso nel territorio del Comune di Teulada (Cagliari) e si estende per 3.713 ettari, sviluppati soprattutto a terra, anche se comprende una parte a mare prospiciente la costa. La quasi totalità del sito è sottoposta a vincolo militare.
  Sul punto, la regione Sardegna ha ricordato che, dal 2000 al 2005, è stato in vigore il Disciplinare d'uso del poligono, sottoscritto dal presidente della giunta regionale e dal Comando generale della regione militare della Sardegna. In tale disciplinare venivano, tra l'altro, definiti gli enti utilizzatori dell'area, le esercitazioni effettuate, i limiti temporali e il modo di utilizzo, nonché le servitù imposte ed i benefici per la popolazione locale. L'autorità regionale ha sottolineato, altresì, che l'aggiornamento e l'eventuale sottoscrizione da parte delle autorità competenti di un nuovo disciplinare potranno essere opportunamente subordinate alle valutazioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 e al rispetto della direttiva 92/43/CEE suddetta. Tale direttiva, infatti, non ammette deroghe alla procedura di valutazione di incidenza ambientale, in quanto vi risultano assoggettati anche gli interventi di interesse militare.
  Quanto appena affermato trova, peraltro, conferma dalla Procedura di infrazione 2003/2209 relativa all'ampliamento della base militare dell'isola de La Maddalena, che la Commissione europea ha ritenuto di avviare.
  Non sarà inutile ricordare che in Italia la valutazione di incidenza ambientale è stata introdotta nel 1997 con il decreto n. 357, il quale ha previsto che per la realizzazione di qualsiasi intervento non direttamente connesso e necessario al mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente delle specie e degli habitat presenti nel sito, ma che possa avere incidenze significative sul sito stesso, singolarmente o congiuntamente ad altri interventi, deve essere prodotto un apposito studio, da sottoporre alla valutazione di incidenza, volto ad individuare e valutare i principali effetti che detti interventi possono avere sul sito interessato, tenuto conto dei relativi obiettivi di conservazione.
  Peraltro, ha sottolineato ancora la predetta amministrazione regionale, in quanto nei suoi confronti risulta incardinata la competenza in materia di gestione e conservazione dei siti Natura 2000, ai sensi degli articolo 3 e 5 del ripetuto decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, con particolare riferimento all'articolo 6, paragrafi 2, 3 e 4 della direttiva 92/43/CEE, che il piano di gestione del SIC di cui trattasi, già approvato con decreto n. 103 del 26 novembre 2008, è attualmente in fase di revisione e aggiornamento (la cui approvazione è prevista entro il termine del corrente anno) anche in considerazione della problematica derivante appunto dalla presenza nel sito Natura 2000 di un poligono interforze.Pag. 80
  Fin qui siamo alla competenza regionale. Per quanto attiene più particolarmente al contributo fornito dal Ministero della difesa, è stato da questi riferito e adeguatamente sottolineato che le attività a fuoco vengono condotte in sicurezza nel rispetto delle normative vigenti in materia e non è previsto che le zone arrivo colpi inglobino, in alcun modo, gli insediamenti nuragici richiamati dagli interpellanti. Nessun insediamento è mai stato danneggiato durante le attività a fuoco né lesionato dai mezzi ruotati e corazzati utilizzati dalle unità in addestramento.
  È stato riferito, altresì, sempre dal Ministero della difesa, che a seguito dei lavori delle Commissioni parlamentari d'inchiesta della XIV e della XV legislatura si è provveduto ad adottare e/o proporre, ai fini della tutela ambientale, i sotto elencati temperamenti: proposta di costituzione di uno specifico Comitato permanente per la tutela ambientale composto da membri civili e militari allo scopo di assicurare il monitoraggio ambientale delle aree; integrazione del regolamento del poligono al fine di realizzare specifiche attività volte alla salvaguardia della tutela ambientale.
  In tale quadro, in ambito difesa è stato elaborato uno specifico Disciplinare per la tutela ambientale finalizzato a comprimere l'impatto ambientale dell'area addestrativa, il quale dispone: il monitoraggio di tutte le componenti proprie dei poligoni (acqua, aria, suolo, flora e fauna); il censimento dei vari materiali di armamento in servizio/sperimentazione impiegati nei poligoni; le misurazioni ambientali per la verifica dei livelli d'inquinamento, a cura di enti specializzati (CETLI, CISAM).
  È in atto, altresì, una proficua collaborazione tra i predetti enti tecnici della difesa e l'Agenzia regionale per la protezione ambientale, ARPA Sardegna, e l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), per il monitoraggio radiologico delle zone «arrivo colpi». In particolare, il censimento dei materiali di armamento si estrinseca attraverso una scheda di sicurezza ambientale dove sono riportate le specifiche tecniche di ogni tipo di munizionamento da impiegare, così da valutare a monte la sostenibilità delle varie attività in riferimento alla tutela della salute e dell'ambiente circostante.
  Con riferimento alle indagini connesse con il procedimento penale avviato contro ignoti dalla procura di Cagliari, l'esercito fornisce, su richiesta della procura stessa, il concorso di proprio personale tecnico che opera a supporto e sotto il controllo dell'ISPRA e dell'ARPA Sardegna, incaricati delle indagini, in quanto enti istituzionalmente preposti alla vigilanza in materia di tutela ambientale. L'ente consegnatario del poligono ha provveduto alla delimitazione e all'interdizione delle aree in cui è stata rilevata la presenza di torio, in accordo alle misure di radio-protezione decretate dall'esperto qualificato del CISAM. Tali aree, assicurate dal punto di vista radio-protezionistico, si estendono su una porzione ristretta e non presentano pericoli di contaminazione per la popolazione.
  Relativamente, poi, alle affermazioni del Capo di stato maggiore della difesa, è stato chiarito che il termine «sequestro» è stato utilizzato in modo atecnico – e in un contesto che, pur nell'ufficialità di un'audizione resa innanzi ad una Commissione parlamentare, era, comunque, colloquiale – volendo significare l'impedimento a modificare lo stato dei luoghi prima dell'esito degli accertamenti necessari. L'informazione era, di fatto, finalizzata a dare atto della circostanza che la bonifica di competenza dell'ente militare non è stata ancora avviata, in quanto la procura della Repubblica di Cagliari non ha ancora concesso il nulla osta, ritenendo necessario che il piano di bonifica venga coordinato con l'ARPA-Sardegna e con l'ISPRA e che l'intervento potrà essere avviato solo dopo la conclusione delle indagini strumentali tuttora in corso di svolgimento. E questo nell'ottica di non alterare il quadro conoscitivo delle aree.
  Il pubblico ministero, infatti, in merito alla richiesta di nulla osta allo svolgimento di attività di bonifica, ha osservato che, affinché possa rendere la propria Pag. 81autorizzazione all'espletamento di attività di bonifica radiologica, è indispensabile prendere cognizione del piano di dettaglio dell'intervento. Ciò in quanto, ogni eventuale operazione di bonifica, qualora effettuata prima della conclusione dei predetti accertamenti, rischierebbe non solo di alterare il quadro conoscitivo delle aree stesse, ma, soprattutto, di pregiudicare l'efficacia dell'azione di bonifica, la quale non può prescindere dalla completa consapevolezza del grado di contaminazione e della sua esatta dimensione e localizzazione. Da parte sua, la procura della Repubblica presso il tribunale di Cagliari, ha fatto presente che le indagini preliminari riguardanti il poligono militare di Teulada sono ancora in corso e riguardano principalmente fattispecie di reato a tutela della salute pubblica e dell'ambiente.
  Al fine di acquisire dati conoscitivi sullo stato ambientale del sito, sono state delegate le indagini al NOE dei carabinieri, all'ISPRA ed all'ARPA Sardegna, mirate all'effettuazione anche di accertamenti tecnici volti a verificare la presenza di fonti contaminanti. Tali accertamenti risultano ancora in corso.
  Inoltre, l'autorità giudiziaria ha precisato che non ha emesso alcun provvedimento di sequestro preventivo dell'area del poligono o di parti di esso, mentre ha disposto il sequestro probatorio di parti di armamenti, ove è stata rilevata la presenza di sostanze contaminanti e radioattive, quali il torio, benché in misura contenuta.
  Da quanto sopra riferito, quindi, a nostro avviso, emerge una sostanziale tenuta nei controlli rimessi alle varie amministrazioni, sia centrali sia territoriali, a vario titolo preposte alla gestione e alla tutela, sotto i diversi profili, appunto, sul territorio interessato. In ogni caso questa amministrazione, in sinergia con le altre amministrazioni interessate, provvederà a rafforzare le attività di controllo e tutela, pur nel rispetto delle esigenze della difesa nazionale e della appartenenza alle organizzazioni sovranazionali.

  PRESIDENTE. L'onorevole Pili ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  MAURO PILI. Signor Presidente, non posso che ritenermi indignato per la risposta del Governo e non uso una parola fuori luogo. Ascoltare le parole del rappresentante del Governo, a sostengono della tesi che quelle aree rientrano nelle direttive comunitarie di qualche anno fa e che la base militare sia del 1956 è la dimostrazione di come si voglia coprire tutto quello che sta avvenendo a Teulada.
  Se c’è scritto, nelle direttive comunitarie, che tutto quello che succede a Teulada in questi giorni, in questi mesi, in questi anni, è vietato, non c’è ragione d'essere, è un principio legislativo fondante. La legge va attuata rispetto al riferimento temporale della stessa e se nel 2011 è intervenuta una norma di questo Parlamento, che ha scritto che si tratta di disastro ambientale in un sito protetto, vuol dire che ha tenuto conto che quei siti sono stati dichiarati come tali dalla Commissione europea e dal Governo dello Stato italiano, in maniera chiara e netta, successivamente a quello che succede in quel poligono.
  Mi chiedo come si possa dire che non risponde, quello che succede dentro quel poligono, a quella data del 1992, quando è stata varata la direttiva, e poi successivamente a quella adottata nel 2008 dal Parlamento italiano.
  C’è una connivenza in questa risposta del Governo italiano. Non l'attribuisco certamente solo al Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare ma, nel complesso, al Ministero della difesa e alla Presidenza del Consiglio, che ha la responsabilità politica, cogente e fondante, di questa risposta. Si vuole proteggere e nascondere, con un muro di gomma, quello che sta avvenendo lì dentro, perché se è vero, come è vero, che dentro il piano di gestione che si vorrebbe modificare c’è scritto che bisogna tenere conto della presenza dei militari, non c’è scritto, nel piano di gestione, che si può demolire la costa di quella parte della Sardegna che è all'interno di un sito protetto, perché ci Pag. 82sono le dune di Porto Pino, per esempio, che sono area protetta e che hanno una valenza rispetto all'habitat naturalistico e all'habitat «Natura 2000» e che sono, in maniera puntuale, bene individuate con i divieti che tutto questo comporta.
  Ma come si possono dire e affermare in questo Parlamento tali parole ? È offensivo per questo Parlamento riportare le parole gratuite del Ministero della difesa, in cui si dice che le esercitazioni sono condotte in sicurezza. Ma in quale sicurezza, se il comandante, l'ammiraglio, avantieri in Commissione ha detto che si può sbagliare anche la traiettoria di un missile e farlo finire sulle popolazioni ? Ma quale sicurezza ? Ma quale sicurezza rispetto alle affermazioni secondo le quali si dice che c’è presenza di torio nelle aree di tiro ? Torio !
  Si dice questo e il sottosegretario ha citato interventi di bonifica radiologica. Questo significa radioattiva. Non significa che è arrivato un po’ di zolfo in quell'area. Si dice che c’è un pericolo e fare una delimitazione di radioprotezione significa che si sta facendo una delimitazione sul piano radioattivo, di rilevanza importante.
  E lo dice il comando fondamentale della difesa del nostro Paese, riferendo una notizia in maniera talmente gratuita. Il termine richiamato di un «sequestro atecnico», pur essendo da molti anni nelle istituzioni, non l'ho mai sentito. Un ammiraglio, un capo di stato maggiore, che alla Commissione difesa della Camera dice in maniera chiara: «al momento l'autorità non ha autorizzato l'Esercito italiano a iniziare la bonifica in quanto il territorio è sottoposto a sequestro preventivo per l'ipotesi di reato di inquinamento ambientale».
  O non conoscono le leggi o non sono in grado di leggere nemmeno quello che c’è scritto, perché non si può arrivare qui, nel Parlamento, e dare una risposta talmente ingiustificata di sequestro atecnico. Ma chi si vuole prendere in giro, la popolazione o il Parlamento ? Sequestro atecnico ! E dice che è una soluzione colloquiale, è un termine colloquiale. Ma di cosa stiamo parlando ? Stiamo parlando di bombe, di missili, di radioattività.
  Non si possono fare affermazioni di questa natura, in termini colloquiali, durante una seduta parlamentare, e non si può arrivare a dire che quel sequestro probatorio di armi all'interno del poligono non coincida con il nulla osta per fare le bonifiche. Se non vi è il nulla osta per fare le bonifiche, vuole dire che quella formulazione che è stata utilizzata di «esercitazioni condotte in sicurezza» crolla come un castello di sabbia. Come si può affermare, nella stessa risposta, nello stesso momento in cui siamo in questo Parlamento, che, da una parte, vi è la messa in sicurezza e, dall'altra, vi è un potenziale atecnico sequestro di quell'area perché vi è torio, perché ci sono sentenze che dicono che il torio potrebbe nuocere alla vita umana.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO (ore 18)

  MAURO PILI. Però, tutto in sicurezza ! La realtà è che non si tiene conto degli aspetti fondanti del 2011, della modifica del codice penale. È reato demolire, perché, se si va a demolire un qualsiasi contesto ambientale di un sito di importanza comunitaria nel nostro Paese, scattano le denunce. In realtà, avete pensato, e pensa anche questo Governo, come gli altri, che la Sardegna sia una colonia, che tutto sia consentito, che vi sia un muro di omertà che vi consente di fare quello che volete.
  E lo fate con complicità, tra Ministeri, perché un Ministero dell'ambiente che si rispetti va sul posto e vede la distruzione ambientale. Per quale motivo, se un sardo spezza un pezzo di lentisco, finisce in carcere, e qui, invece, vi sono i missili conficcati sui costoni e nessuno dice niente ? Per quale motivo ? Per quale motivo si utilizza, come ha fatto qualcuno, la minaccia secondo la quale, se non si arriva a tenere in piedi i poligoni, viene chiusa la Brigata Sassari ?
  La Brigata Sassari non è merce di scambio con nessuno ! È la storia della Pag. 83Brigata Sassari che ci insegna a rispettare quelli che hanno difeso i confini della patria, ma che non pensavano certamente che i confini di quella patria avrebbero vietato ai sardi di utilizzare le proprie terre e di poter gestire il proprio patrimonio naturalistico.
  Ieri sono stato nelle dune di Porto Pino, in quella base, circondato da elicotteri dei carabinieri, da militari, da forze dell'ordine, perché sono andato a piantare in quella duna la bandiera del mio popolo (Espone la bandiera della regione Sardegna), la stessa bandiera che ha portato i cittadini della Sardegna a combattere, nel 1915-1918, per i confini della Sardegna e dell'Italia nel nord del Paese. Ebbene, sono stato denunciato perché sono entrato in casa mia, in casa del popolo sardo. Tutto questo non è assolutamente accettabile, non si può consentire...

  PRESIDENTE. Tolga la bandiera, per favore.

  MAURO PILI. ... che tutto questo avvenga in una terra e in un confine che non è più accettabile, un confine di Stato che ci impedisce di dire quello che oggi succede nella nostra terra: una violenza quotidiana di bombe, di missili, che stanno distruggendo la Sardegna, con la complicità anche di questo Governo.

(Iniziative urgenti volte a garantire il rispetto della normativa in materia di semina di mais geneticamente modificato nella regione Friuli-Venezia Giulia – n. 2-00584)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Migliore ed altri n. 2-00584, concernente iniziative urgenti volte a garantire il rispetto della normativa in materia di semina di mais geneticamente modificato nella regione Friuli-Venezia Giulia (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo al deputato Franco Bordo se intenda illustrare l'interpellanza, di cui è cofirmatario, o se si riservi di intervenire in sede di replica.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SIMONE BALDELLI (ore 18,05)

  FRANCO BORDO. Intendo illustrarla. Signor Presidente, signor sottosegretario, è opportuno ricostruire la cornice politica e giuridica per affrontare, ancora una volta, in quest'Aula, la questione dell'uso, o meglio, dell'abuso di organismi geneticamente modificati nel nostro Paese.
  Nel maggio dello scorso anno, il Senato della Repubblica ha approvato una mozione di indirizzo per vietare in Italia l'utilizzo e la coltivazione di prodotti OGM. Tale atto è stato sostanzialmente confermato da questa Camera in data 3 luglio 2013, con l'approvazione di una mozione unitaria che impegnava il Governo ad emanare un decreto ministeriale di divieto di coltivazione di tali prodotti. Il Governo italiano ha adottato, in effetti, un decreto interministeriale, il 12 luglio 2013, che vieta la coltivazione delle sementi OGM in Italia per 18 mesi; decreto emanato ai sensi del combinato disposto degli articoli 54 del regolamento (CE) n. 178/2002 e dell'articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003. L'articolo 54 stabilisce che, nelle more delle decisioni da parte della Commissione, lo Stato membro può provvisoriamente adottare misure cautelari, tra cui la sospensione, limitatamente al territorio del proprio Stato, sintanto che la Commissione non decida; è questo il caso che si è verificato in Italia con il decreto suddetto. Com’è noto, detto provvedimento ha avuto la sua motivazione come misura di cautela in considerazione del fatto che il mais MON 810 è stato utilizzato nel 1998 ai sensi della direttiva 90/220/CE del 23 aprile 1990, in base alle quale i requisiti in materia di valutazione dei rischi sono molto inferiori a quelli stabiliti dalla direttiva 2001/18/CE del 12 marzo 2001 dell'Unione stessa, che abroga e sostituisce la previgente direttiva.
  Inoltre, nessuna misura di gestione è attualmente imposta dalla decisione di autorizzazione della Commissione europea per il mais MON 810 destinata a limitare i rischi per l'ambiente dando seguito alle Pag. 84raccomandazioni dell'Agenzia europea per la sicurezza alimentare. È evidente che la misura assunta unilateralmente dallo Stato membro, ai sensi del citato articolo 54, seppur limitata ad un solo Stato membro, ha proprio la finalità di sortire il medesimo effetto pratico e giuridico, seppur dichiaratamente provvisorio, della sospensione dell'autorizzazione che potrebbe essere adottata dalla Commissione ai sensi del precedente articolo 53, nel presupposto dell'inerzia della Commissione medesima.
  Il termine di 18 mesi fissato per l'efficacia del richiamato decreto era funzionale anche allo scopo di costruire le condizioni per l'adozione di misure regionali atte ad evitare la presenza involontaria di OGM in altri prodotti, previste dall'articolo 26-bis della direttiva 2001/18/CE, come modificata e integrata dal regolamento (CE) n. 1829/2003, garantendo al contempo l'allineamento delle disposizioni nazionali in tema di coltivazioni geneticamente modificate alla normativa dell'Unione europea e alla massima tutela dell'agrobiodiversità e dell'ambiente. Peraltro, sul succitato provvedimento, il decreto interministeriale, si è recentemente espresso il TAR del Lazio con la sentenza n. 4410 del 2014, pronunciata lo scorso 23 aprile, confermando nella sostanza l'impianto motivazionale del decreto stesso. Inoltre, il Consiglio di Stato in data 12 giugno – recentissimamente – ha rigettato la richiesta di sospensiva di tale sentenza.
  In data 11 novembre 2013, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in una missiva indirizzata alla regione Friuli-Venezia Giulia, ha ribadito che per assicurare la piena attuazione del divieto di coltivazione del mais MON 810, imposto dal decreto suddetto, la normativa nazionale preveda un apparato sanzionatorio, ribadito con riferimento specifico agli articoli 35 e 36 del decreto legislativo n. 224 del 2003 e dal decreto legislativo n. 70 del 2005. Ricordo inoltre che, peraltro, è venuta recentemente la legge regionale n. 5 del 28 marzo 2014, del Friuli-Venezia Giulia che, nel ribadire per 12 mesi il divieto di coltivazione degli OGM ha previsto specifiche sanzioni amministrative in caso di una sua inosservanza.
  All'interno di questo quadro giuridico sono accaduti i seguenti fatti. In data 17 aprile 2014, nella ripartizione amministrativa del comune di Vivaro, provincia di Pordenone, avveniva un'altra semina di mais geneticamente modificato. Alla regione Friuli-Venezia Giulia perveniva in data 2 maggio 2014 la notifica, trasmessa a mezzo raccomandata, e a sua volta l'amministrazione regionale informava, in data 7 maggio 2014, ufficialmente il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali dell'avvenuta semina di mais geneticamente modificato della categoria DKC 666YG.
  Secondo punto. Nel mese di aprile 2014, nel comune di Colloredo di Monte Albano, in provincia di Udine, avveniva la semina di 6.500 metri quadrati di mais transgenico MON 810. In questa specifica circostanza, la semina parrebbe essere una sorta di dimostrazione scientifica – che io definisco una vera e propria sfida politica e legale allo Stato italiano –, posta in essere con il sostegno di un biologo, che vorrebbe dimostrare che il polline geneticamente modificato non danneggia l'ecosistema. A tal riguardo non è dato sapere se sia stata data comunicazione alla regione Friuli-Venezia Giulia.
  Terzo episodio: nei primi giorni del mese di maggio 2014, nel comune di Mereto di Tomba, avveniva la semina di altri 4.500 metri quadrati di mais.
  Tali semine sono avvenute – e vado a concludere – in aperta violazione del decreto interministeriale, che vieta la coltivazione di sementi OGM in Italia, e della legge regionale del 28 marzo 2014.
  In mancanza di notizie di interventi, da parte dell'amministrazione dello Stato, finalizzati al rispetto del decreto interministeriale citato, mentre risulta un intervento sanzionatorio da parte del Corpo forestale regionale finalizzato al rispetto della legge regionale, in data 16 giugno, il sottoscritto e la collega onorevole Pellegrino Serena hanno provveduto a depositare presso le procure della Repubblica di Pag. 85Pordenone e di Udine appositi esposti alla magistratura, finalizzati a chiedere che venga esercitata l'azione penale nei confronti di chiunque abbia commesso reato in merito alle suddette semine.
  Premesso ciò, come deputati di Sinistra Ecologia Libertà, siamo a chiedere: quali interventi urgenti i ministri interpellati hanno inteso adottare e intendano adottare al fine di ripristinare il principio di legalità, che è stato violato nel nostro Paese, specificatamente nella regione Friuli-Venezia Giulia, interessata nel corso del corrente anno da ulteriori semine di mais OGM e quali azioni il Governo intenda attivare al fine di evitare un'ulteriore contaminazione ambientale presso colture tradizionali e biologiche da parte dei suddetti organismi.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, Silvia Velo, ha facoltà di rispondere.

  SILVIA VELO, Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare. Signor Presidente, con riferimento all'interpellanza, si rappresenta quanto segue.
  Le notifiche di semina di mais OGM, ai sensi dell'articolo 30 del decreto legislativo n. 224 del 2003, effettuate dal signor Fidenato Giorgio, titolare dell'azienda agricola «in Trois» di Arba (Pordenone) e pervenute all'Agenzia regionale per lo sviluppo rurale (ERSA) in qualità di struttura regionale che gestisce il registro regionale delle localizzazioni degli organismi geneticamente modificati coltivati, ad oggi hanno interessato: un terreno nel comune di Vivaro di superficie non dichiarata; un terreno nel comune di Colloredo di Monte Albano (Udine) di superficie complessiva di 6.500 metri quadri; un terreno nel comune di Mereto di Tomba di superficie complessiva di circa 1.000 metri quadri; un terreno nel comune di Colloredo di Monte Albano di superficie complessiva di 540 metri quadri. Sono state tutte notificate all'ERSA.
  Consta che le prime due notifiche sono state formalmente comunicate, il 20 maggio 2014, alla Direzione centrale attività produttive, commercio, cooperazione, risorse agricole e forestali ed al Servizio Corpo forestale regionale, mentre la terza notifica è seguita agli enti predetti il successivo 30 maggio 2014. Il Servizio Corpo forestale regionale, a sua volta, ha provveduto ad informare tempestivamente il coordinamento regionale veneto del Corpo forestale dello Stato, a Padova.
  A seguito di tali comunicazioni, il personale del Corpo forestale regionale, congiuntamente a quello statale e ai tecnici dell'ERSA, ha provveduto ad effettuare un campionamento delle piante di mais coltivate nei quattro appezzamenti citati, per accertarne l'effettiva origine OGM, anche ai fini dell'applicazione della sanzione amministrativa prevista dalle norme, in particolare dall'articolo 1, comma 1, della legge regionale 28 marzo 2014, n. 5, che ha disposto il divieto di coltivazione di mais geneticamente modificato, fino all'approvazione definitiva delle misure di coesistenza e comunque per un periodo non superiore a dodici mesi.
  Le analisi di laboratorio hanno confermato che tutte le foglie dei campioni raccolti sono riferibili ad una varietà transgenica contenente l'evento MON 810 e di ciò l'ERSA, in data 6 giugno 2014, ha dato comunicazione alla Direzione centrale ed al Servizio Corpo forestale regionale, nonché alla controparte con nota separata.
  Per tali fatti, il 13 giugno 2014, il Corpo forestale dello Stato ha redatto quattro processi verbali di accertamento, uno per ogni appezzamento agricolo, per la violazione dell'articolo 1, comma 1, della legge regionale n. 5 del 2014, sanzionata dal comma 2 del medesimo articolo. Tali atti sono stati notificati al trasgressore responsabile in solido, lo stesso giorno.
  Tutta la vicenda è stata segnalata, il 16 giugno 2014, alle competenti procure della Repubblica presso i tribunali di Udine e Pordenone, anche in ottemperanza a quanto disposto dalla legge regionale suddetta, per l'applicazione delle misure di emergenza di cui al decreto interministeriale 12 luglio 2013, poiché, come già specificato in passato dal precedente Ministro, Pag. 86la normativa nazionale in materia di OGM è garantita da un apparato sanzionatorio previsto dagli articoli 35 e 36 del decreto legislativo n. 224 del 2003 e dal decreto legislativo n. 70 del 2005.
  Presso il tribunale di Udine risultano iscritti tre diversi procedimenti penali, attualmente in fase di indagini preliminari, che sono affidati ad un unico sostituto procuratore e che saranno a breve riuniti in un solo procedimento. Sugli stessi vige il segreto istruttorio.
  Il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Pordenone ha comunicato che l'esposto presentato dagli onorevoli Bordo e Pellegrino, relativo ai fatti oggetto dell'interpellanza urgente, è stato iscritto nel registro generale delle notizie di reato in relazione alle ipotesi di reato previste dagli articoli 650 del codice penale (inosservanza dei provvedimenti dell'autorità), 35 del decreto legislativo n. 224 del 2003 (sanzioni per le violazioni in materia di immissione sul mercato di OGM come tali o contenuti in prodotti) e 36 del medesimo decreto legislativo (sanzioni per danni provocati alla salute umana e all'ambiente, bonifica e ripristino ambientale e risarcimento del danno ambientale) e del decreto legislativo n. 224 del 2003 (attuazione della direttiva 2001/18/CE, concernente l'emissione deliberata nell'ambiente di organismi genericamente modificati).
  Attualmente sono in corso di predisposizione gli ordini di rimozione delle condizioni che determinano l'inosservanza della legge regionale predetta, come disposto dall'articolo 1, comma 2, del predetto provvedimento.
  Da ultimo, si rappresenta che questa Amministrazione sta continuando un'attività di coordinamento con le altre due Amministrazioni centrali titolate, ossia il Ministero delle politiche agricole e il Ministero della salute, per un'iniziativa congiunta volta all'introduzione di una modifica legislativa da applicarsi nel pieno rispetto della cornice comunitaria, che consentirebbe alle regioni di affrontare la problematica dei rischi di contaminazione delle colture tradizionali e biologiche con le colture genericamente modificate, anche mediante l'adozione di strumenti amministrativi di urgenza.

  PRESIDENTE. L'onorevole Franco Bordo ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta all'interpellanza Migliore n. 2-00584, di cui è cofirmatario.

  FRANCO BORDO. Signor Presidente, signor sottosegretario, sono soddisfatto della risposta, un pochettino meno della tempistica di intervento. È passato, dal mio punto di vista, qualche giorno di troppo, però prendo atto che l'Amministrazione ha attivato tutti gli strumenti che sono in suo possesso.
  Colgo l'occasione per ricordare al Governo l'impegno preso con questo Parlamento, che – io penso – verrà ribadito anche nel corso della prossima settimana, quando ci sarà la comunicazione da parte del Presidente del Consiglio inerente al semestre di gestione dell'Unione europea da parte della Presidenza italiana, relativamente al fatto che il dossier relativo agli OGM in Europa abbia una conclusione positiva, effettivamente nel senso di dare agli Stati membri la piena potestà in merito alla decisione se adottare o meno l'utilizzo nel proprio territorio dei prodotti geneticamente modificati.
  Questa sarà la chiave di volta definitiva per poter permettere alla nostra agricoltura le scelte in piena autonomia.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Franco Bordo, anche per la sintesi.

(Stato di applicazione dell'analisi dell'impatto della regolamentazione (AIR) e tempi di presentazione al Parlamento della relativa relazione – n. 2-00572)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Toninelli n. 2-00572, concernente lo stato di applicazione dell'analisi dell'impatto della regolamentazione (AIR) e tempi di presentazione al Parlamento della relativa relazione (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).Pag. 87
  Chiedo all'onorevole Toninelli se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  DANILO TONINELLI. Signor Presidente, il miglioramento della qualità della regolamentazione costituisce dal 2005 parte integrante della Strategia di Lisbona a favore della crescita e dell'occupazione. È cioè considerato strumentale al miglioramento della competitività e dello sviluppo economico.
  A seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, la semplificazione e la qualità della legislazione sono diventate un obiettivo che deve necessariamente coinvolgere lo Stato e le regioni. L'idea secondo cui il ridimensionamento della quantità degli atti normativi vigenti e il conseguimento di un soddisfacente livello di qualità degli stessi corrispondano ad obiettivi primari di una sana democrazia è oggi largamente diffusa, stando almeno alle numerose dichiarazioni programmatiche e alle enunciazioni simboliche contenute anche in fonti da tempo vigenti nel nostro ordinamento. Tale pratica di ridimensionamento e semplificazione sottende innanzitutto alla primaria esigenza della certezza del diritto. Secondariamente, ma di rilevanza analoga, è la valenza che la semplificazione normativa ha dal punto di vista economico.
  Alla semplificazione normativa il Governo Berlusconi IV, in apertura della XVI legislatura, ha dedicato un apposito Ministero che ha assunto le funzioni del Dipartimento per la funzione pubblica, per confluire successivamente nello stesso Dipartimento del Governo Monti I. Con l'introduzione del cosiddetto taglia-leggi, di cui all'articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246, rubricato «Semplificazione della legislazione», strumento volto alla riduzione del numero delle leggi presenti nel nostro ordinamento, si è dato il via alla riduzione del complesso legislativo, in particolare con il procedimento di cui ai commi 12 e seguenti del suddetto articolo, attraverso l'applicazione del quale, mediante vari provvedimenti adottati sotto il Governo Berlusconi, il numero totale delle leggi attualmente in vigore sarebbe stato ridotto, secondo quanto riportato dal sito ufficiale del Governo, a 10 mila.
  Tuttavia, ben più rilevanti sono gli interventi volti alla pratica di una normazione, non solo quantitativamente ridotta, ma qualitativamente migliore, vera chiave per affrontare il problema della complessità legislativa del nostro ordinamento. A tal proposito, l'articolo 14 citato, al comma 1, afferma che l'analisi dell'impatto della regolamentazione (AIR) consiste nella valutazione preventiva degli effetti di ipotesi di intervento normativo ricadenti sulle attività dei cittadini e delle imprese e sull'organizzazione e sul funzionamento delle pubbliche amministrazioni, mediante comparazione di opzioni alternative. Mentre il successivo comma 2 stabilisce che l'AIR costituisce un supporto alle decisioni dell'organo politico di vertice dell'amministrazione in ordine all'opportunità dell'intervento normativo.
  In questa sede, si vuole richiamare il Governo all'applicazione del comma 10 dell'articolo 14 della legge n. 246 del 2005, il quale stabilisce che, entro il 31 marzo di ogni anno, le amministrazioni comunicano al DAGL i dati e gli elementi informativi necessari per la presentazione al Parlamento, entro il 30 aprile, della relazione annuale del Presidente del Consiglio dei ministri sullo stato di applicazione dell'AIR. Tale relazione dovrebbe essere ampiamente analizzata e discussa da parte delle Camere e, in particolare, la I Commissione e il Comitato per la legislazione dovrebbero aprire un dibattito su tale relazione, verificare la veridicità dei dati riportati e in questo modo spingere il Governo all'effettiva e non meramente formale attuazione degli obblighi di better regulation assunti anche a livello europeo.
  Si evidenzia, altresì, che presso il sito ufficiale del competente Dipartimento della funzione di pubblica, nell'apposita pagina che dovrebbe contenere le pubblicazioni realizzate dal Dipartimento sulla semplificazione e la qualità della regolamentazione, la pubblicazione più recente risale addirittura all'anno 2005. Tra le 48 proposte per la riforma della pubblica Pag. 88amministrazione, di cui alla tanto pubblicizzata lettera del Presidente del Consiglio e del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, ce n’è in particolare una, la ventiduesima, molto vaga e del tutto generica, come tutte le altre, che parla di leggi autoapplicative, decreti attuativi da emanare entro tempi certi solo se strettamente necessari. Una previsione del genere, ammesso che sia effettivamente realizzabile e non sia uno dei tanti spot che caratterizzano l'azione di questo Governo, presuppone un'adeguata e approfondita analisi dell'impatto di simili leggi autoapplicative, che nella fattispecie manca del tutto.
  Ed infatti delle sue possibili forme di attuazione non vi è traccia nel primo progetto elaborato dal Governo per essere licenziato in Consiglio dei ministri. Ciò è tanto più rilevante se si considera come quella della qualità della normazione è oggi in Italia una questione che riguarda prevalentemente gli atti normativi dell'Esecutivo perché, dal punto di vista quantitativo, questi ultimi rappresentano la maggior parte dei prodotti dell'attività di normazione statale, e oltretutto la gran parte delle leggi sono di iniziativa del Governo. Le proposte oggetto della riforma del Governo vengono, quindi, ignorate dal Governo stesso.
  L'ipertrofia normativa e lo svilimento dell'istituzione parlamentare quale sede di elaborazione delle leggi ha caratterizzato anche l'azione del Governo Renzi. Si pensi che, se il precedente Governo Letta, che pure aveva abusato come i suoi predecessori dell'istituto della fiducia, ha posto la questione di fiducia dieci volte nell'arco di dieci mesi della sua durata, il Governo Renzi ne ha poste già altrettante, pur essendo in carica soltanto da fine febbraio.
  Sul piano dei controlli sui costi, sulla qualità della normazione governativa si riscontra, quindi, un significativo paradosso. Da un lato, negli ultimi anni l'introduzione degli strumenti di analisi di valutazione di impatto della regolamentazione, quelli volti a promuovere la buona redazione dei testi normativi, ha avuto luogo anche e soprattutto per opera di atti governativi. Dall'altro lato, nella prassi, proprio il Governo, abusando della possibilità di assumere il ruolo di legislatore invece del Parlamento, manifesta in tale ambito una netta tendenza alla fuga dai controlli, eludendo continuamente le predette verifiche sulla sua stessa attività di produzione normativa. La mancata attuazione delle prescrizioni qui richiamata è la riprova della incapacità del Governo di adeguarsi alle stesse regole, il perseguimento delle quali è alla base della sua azione asseritamente riformatrice.
  Nelle relazioni sullo stato dell'applicazione dell'analisi di impatto della regolamentazione relativa agli anni precedenti sono già stati prospettati i seguenti problemi: l'assenza di professionalità adeguate all'interno delle strutture ministeriali che siano in grado di gestire con piena contezza l'attività istruttoria; l'eccessiva descrittività delle AIR; l'assenza di appositi indicatori quantitativi di impatto e la difficoltà a reperire dati per la conoscenza del settore di intervento; l'esiguità dello spazio per la descrizione di scenari alternativi, limitandosi solo a considerare le eventuali applicazioni di strumenti normativi differenti; l'eccessiva ristrettezza dei tempi per la predisposizione dell'AIR riconducibile alla complessità della procedura e legata anche alla tipologia del provvedimento. È il caso, ad esempio, dei decreti-legge, per i quali può comunque valere la clausola di esclusione generale dall'obbligo di redigere l'AIR.
  Oltre a tali circostanze, altri sono i fattori dai quali si fa dipendere la resa insufficiente dello strumento in esame: il carattere residuale del tempo dedicato all'AIR da parte di chi se ne occupa; il fatto che le relazioni inerenti alle analisi di impatto sono spesso curate soltanto dagli uffici legislativi, specializzati più sui profili puramente giuridici che su quelli tecnici di merito. La presenza di pregiudizi nei confronti dell'utilità delle consultazioni è legata ad una visione distorta del procedimento normativo.
  A ciò si devono aggiungere numerose richieste di integrazione da parte del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi Pag. 89delle analisi di impatto svolte dalle amministrazioni per l'insufficienza delle relazioni da queste ultime prodotte. Nel 2010, i casi di integrazione sono stati 152, corrispondenti a ben il 73 per cento del totale nonché, di contro, altrettante numerose richieste di esenzione provenienti dalle stesse amministrazioni alle quali, per la verità, il Dipartimento ha opposto un atteggiamento piuttosto restrittivo, concedendo soltanto cinque esenzioni sui provvedimenti comunque di primaria importanza, che si aggiungono ai 17 casi di esclusione comunicati nello stesso periodo. Per ovviare alle criticità appena menzionate, le relazioni formulavano le seguenti proposte: l'avvio di iniziative di formazione continua interna per le unità operative referenti per lo svolgimento di AIR; la riconsiderazione dei tempi di svolgimento dell'AIR e la sua collocazione nella fase genetica dell'atto e non in uno stato di elaborazione avanzato, al fine di incrementare gli eventuali margini di intervento correttivo.
  Inoltre, nella relazione relativa al 2011, che pure ha dato conto di un generale consolidamento dell'istruttoria normativa in ambito governativo, è stata sostenuta l'opportunità di circoscrivere l'AIR a un numero più ridotto di provvedimenti ma di preponderante rilievo, al fine di razionalizzare l'uso delle risorse di tempo e di professionalità nelle amministrazioni ed evitare le dispersioni su questioni frammentarie di portata contenuta.
  Tutto quanto ciò premesso, con la presente interpellanza urgente si chiede al Ministro interpellato di riferire quale sia lo stato complessivo dell'applicazione dell'AIR e, in particolare, quale sia lo stato di avanzamento della relazione, per la cui presentazione annuale al Parlamento il termine è spirato lo scorso 30 aprile; quali iniziative il Governo intenda assumere per l'implementazione dello strumento dell'analisi dell'impatto della regolamentazione, anche alla luce dello stridente contrasto tra l'abuso della propria potestà normativa e l'esigenza di un innalzamento della qualità normativa.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Ivan Scalfarotto, ha facoltà di rispondere.

  IVAN SCALFAROTTO, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, con riferimento a quanto rappresentato dall'onorevole Toninelli circa l'analisi di impatto della regolamentazione (AIR), si rappresenta quanto segue.
  Come noto, l'analisi di impatto è richiesta per gli atti normativi del Governo, fatti salvi i casi di esclusione ed esenzione previsti dalla disciplina in vigore. L'amministrazione competente a presentare l'iniziativa normativa provvede all'AIR e ne riporta i risultati in apposita relazione, inviata al Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi (DAGL) della Presidenza del Consiglio del ministri. Come noto la finalità dell'AIR è di fornire al decisore informazioni utili a valutare preventivamente l'efficacia dell'intervento proposto e l'impatto sociale ed economico che lo stesso potrà produrre.
  In generale, si riscontra sul piano formale un'elevata rispondenza delle relazioni prodotte al modello delineato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri l'11 settembre 2008, n. 170. Tuttavia, permangono alcuni profili di criticità riguardo ad un'analitica valutazione degli effetti attesi, e difatti, nonostante le iniziative di sensibilizzazione e supporto alle amministrazioni realizzate anche nel corso del 2013, non vengono adeguatamente sfruttate le potenzialità che l'AIR può offrire al processo decisionale. Ancora, è da considerare che le questioni di necessità ed urgenza che richiedono tempi immediati di intervento, mediante adozione di decreti-legge, non agevolano l'adeguata effettuazione delle analisi d'impatto.
  Inoltre, il campo dei provvedimenti normativi da sottoporre ad AIR è molto esteso, anche a confronto con le altre esperienze europee; e tale ampiezza applicativa è incompatibile con le ridotte risorse disponibili e con le esigenze ed i tempi dell'istruttoria normativa.Pag. 90
  Si ricorda che, nel corso del 2013, sono state introdotte alcune rilevanti modifiche alla disciplina dell'AIR, quali l'adozione della direttiva 16 gennaio 2013 relativa al rispetto dei livelli minimi di regolazione previsti dalle direttive UE, che mira a ridurre il rischio di introduzione, in fase di recepimento, di adempimenti non previsti dalla normativa europea (il cosiddetto gold-plating); la stima, all'interno dell'AIR, degli oneri informativi introdotti ed eliminati ai fini della redazione di un bilancio annuale di tali oneri; l'aggiornamento del modello di relazione AIR, incluso il cosiddetto «test PMI».
  Il Governo ritiene necessario garantire un confronto con le amministrazioni regionali e locali in materia di qualità della regolazione. Come ha ricordato l'onorevole Toninelli, è stato costituito presso la Conferenza unificata un Gruppo di lavoro tecnico in materia di AIR e VIR. L'attività del Gruppo ha registrato una crescente partecipazione di amministrazioni regionali e locali ed ha prodotto un proficuo scambio di esperienze e di condivisione tecnica di documenti metodologici. Tali documenti sono stati resi disponibili sul portale «www.qualitanormazione.gov.it».
  Dal 2010, il DAGL ha gestito il «Progetto operativo di assistenza tecnica alle regioni dell'obiettivo convergenza per il rafforzamento delle capacità di normazione» (POAT), che si è inserito nel quadro del Programma operativo nazionale «Governance e Assistenza Tecnica» 2007- 2013. Si tratta di un'importante iniziativa volta a promuovere il recepimento e la diffusione nelle quattro regioni dell'obiettivo convergenza degli strumenti della better regulation, inclusa l'AIR.
  Nelle attività in ambito POAT, fino al 2013, sono state realizzate complessivamente novanta attività di laboratorio sui temi e sugli strumenti della qualità della regolazione, cui hanno partecipato oltre mille tra funzionari e dirigenti delle quattro regioni. Ai dodici eventi di workshop, a supporto delle diciassette sperimentazioni effettuate, hanno partecipato oltre cinquecento funzionari. Le attività proseguono nell'anno in corso con la nuova fase del POAT, più mirata a metodologie sul test PMI, e con ulteriori laboratori, seminari e sperimentazioni.
  Venendo, infine, al quesito posto dall'onorevole Toninelli circa lo stato di avanzamento della Relazione annuale del Presidente del Consiglio dei ministri sullo stato di applicazione dell'analisi di impatto della regolamentazione, di cui all'articolo 14, comma 10, della legge n. 246 del 2005, faccio presente che tale relazione relativa all'anno 2013, predisposta sulla base di elementi in possesso della Presidenza del Consiglio dei ministri e raccolti anche da autorità indipendenti e da altre amministrazioni interessate, comprese quelle regionali, è pronta e sarà trasmessa nei prossimi giorni alle Camere, come già fatto per le annualità precedenti.
  Il contenuto allungamento dei tempi è dovuto alla complessità della fase di raccolta e riscontro degli elementi informativi, sulla quale hanno oltre tutto inciso le vicende organizzative interne alle amministrazioni collegate al passaggio di Governo.

  PRESIDENTE. L'onorevole Toninelli ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  DANILO TONINELLI. Signor Presidente, non possiamo certo dirci soddisfatti della risposta del Governo; tale risposta, infatti, è un'ulteriore conferma della profonda incoerenza tra quanto annunciato e quanto concretamente fattibile. È un Governo che da un lato afferma che le regole ci sono, ma il problema sono le persone, e dall'altro non rispetta esso stesso le regole presenti da ormai un decennio che consentirebbero, se attuate, una ricaduta positiva non solo per l'amministrazione nel suo complesso, ma anche e soprattutto per le imprese ed i cittadini.
  L'interpellante è consapevole che l'attuazione delle regole elaborate, e certamente perfettibili, ma solo alla prova della concreta implementazione a presidio della buona qualità della normazione a tutti i livelli, non è a costo zero; essa, infatti, pur incidendo direttamente sulle finanze pubbliche, Pag. 91comporta un aggravio organizzativo e un dispendio di risorse nell'elaborazione della legislazione a monte, cioè direttamente dalla fonte principale – come già si è detto, appunto, l'Esecutivo – della legislazione. Siamo, tuttavia, altrettanto convinti che tale aggravio iniziale per l'analisi dell'impatto della regolamentazione, sempre tenendo presente la tanto invocata assenza di aggravi diretti sulla finanza pubblica, possa avere effetti positivi a valle esponenzialmente superiori rispetto al costo iniziale.
  Rinnoviamo, pertanto, l'invito al Governo, specialmente fintanto che continuerà ad abusare della sua potestà legislativa e continuerà ad espropriare il Parlamento dal ruolo di principale legislatore in ambito statale, ad attenersi alle regole già presenti, eventualmente migliorandole, così come prescritto dalle citate relazioni, e ad intervenire in una materia così importante per l'effettività e l'efficienza del sistema, anche se più tecnica e dunque meno pubblicizzabile delle iniziative con le quali sta occupando l'agenda politica.

(Iniziative per il finanziamento del Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere – n. 2-00579)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Giuliani n. 2-00579, concernente iniziative per il finanziamento del Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Giuliani se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  FABRIZIA GIULIANI. Signor Presidente, per prima cosa voglio dire che sono solidale con il sottosegretario Scalfarotto, perché è stato più volte convocato nelle Aule parlamentari e anche nelle Commissioni per dare conto di ciò che il Governo intende fare sul terreno delle strategie di contrasto alla violenza di genere. Segnatamente, sul terreno della prevenzione, chiedevamo a che punto fosse lo stato dell'arte, il piano antiviolenza e le risorse che lo debbono sostenere.
  Soltanto la settimana scorsa abbiamo convocato qui il Ministero della giustizia, nella persona del sottosegretario Ferri, per rispondere ad un caso specifico, quello di Chiara Insidioso, una diciannovenne romana ridotta in fin di vita dal proprio compagno, nonostante i rischi a cui la esponeva quella relazione fossero ben presenti al padre, che aveva chiesto aiuto allo Stato, presentando diverse denunce e, attraverso queste, denunciando la vulnerabilità emotiva e cognitiva della ragazza e i comportamenti pericolosi del convivente; ma queste denunce sono, appunto, rimaste inascoltate. Cosa vuol dire questo ? Vuol dire che la prevenzione nonostante, appunto, il lavoro che noi abbiamo fatto nella conversione del decreto-legge, volto a contrastare la violenza di genere, non riesce a diventare operativa.
  Ho citato questo caso come caso esemplare, perché non si riesce ad arrivare prima e questo è l'obiettivo di qualunque strategia, volta a contrastare la violenza, arrivare prima che l'abuso e la violenza si consumi; prima, anche, che arrivi la morte. Non debbo richiamare i casi di cronaca, perché dobbiamo tenere il discorso su un piano razionale e allontanarlo quanto più possibile da derive emotive, ma i casi di questi giorni, che hanno così tanto scosso l'opinione pubblica, toccano proprio questo terreno. Perché li richiamo ? Perché, invece, questo Parlamento era stato protagonista di un percorso, a mio avviso, a nostro avviso, assolutamente esemplare. Non le sarà sfuggito, infatti, che questa interpellanza è stata firmata da un numero ampio di parlamentari, appartenenti a forze politiche diverse, proprio a dimostrare la trasversalità di questi intenti. Richiamo questo per dire cosa ? Che questo Parlamento aveva agito in modo esemplare, prima ratificando in tempi molto rapidi la Convenzione di Istanbul; siamo stati tra i primi a ratificare quella Convenzione; abbiamo poi fatto, sempre a livello trasversale, qui in Parlamento, una mozione Pag. 92unitaria che ne sollecitava l'attuazione, abbiamo alzato la palla e se mi passa la metafora, in qualche modo il Governo ha schiacciato, perché ha convertito in decreto-legge molte delle norme e delle misure che noi avevamo sollecitato e, attraverso quel decreto-legge che poi è stato varato, ha invertito la rotta rispetto ad una serie di ritardi e di resistenze che, fino ad ora, queste misure avevano incontrato. A mio avviso questo percorso è stato esemplare.
  Perché ? Perché ha convertito in decreto molte delle norme, delle misure che noi avevamo sollecitato e, attraverso quel decreto che poi è stato varato, ha invertito la rotta rispetto ad una serie di ritardi e di resistenze che fino ad ora queste misure avevano incontrato.
  A mio avviso, questo percorso è stato esemplare perché finalmente la violenza di genere è stata identificata come priorità politica, non come un'emergenza sociale da delegare alla sussidiarietà, ma come priorità politica. Qual è il punto che vogliamo sollecitare ? Nella premessa dell'interpellanza urgente che abbiamo presentato abbiamo sostenuto come i continui delitti commessi sulle donne riportati dalla cronaca hanno determinato nell'opinione pubblica una percezione diffusa, e questa percezione è diventata via via consapevolezza e questa consapevolezza è ciò che ha dato forza alla politica per agire nel modo che prima abbiamo richiamato, attraverso appunto la ratifica della Convenzione di Istanbul, che, lo voglio sottolineare, è ad oggi lo strumento giuridico più avanzato per la tutela delle donne, a proposito di contrasto alla violenza. E, a seguito della ratifica, raggiunta anche grazie all'intensa opera di sensibilizzazione nel nostro Paese, il 1o agosto 2014 questa Convenzione entrerà finalmente in vigore.
  Riprendo solo un passaggio, l'articolo 8 della Convenzione, che dice: «Le Parti stanziano le risorse finanziarie e umane appropriate per un'adeguata attuazione di politiche integrate, di misure e di programmi destinati a prevenire e combattere ogni forma di violenza rientrante nel campo di applicazione della presente Convenzione, ivi compresi quelli realizzati dalle ONG e dalla società civile». Ora, ripercorrendo sempre il cammino legislativo che è stato compiuto in questi mesi, questa sollecitazione è stata recepita e assunta nell'articolo 5 del decreto-legge che prima citavamo, ossia quello relativo alle disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di Protezione civile e di commissariamento delle province, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119. Questo articolo demanda al Ministro per le pari opportunità il compito di elaborare un piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere, in sinergia – in sinergia, lo voglio sottolineare, perché è un dato di grande rilievo – con la nuova programmazione dell'Unione europea per il periodo 2014-2020. Il medesimo articolo prevede, inoltre, un finanziamento di 10 milioni di euro per l'anno 2013 per la realizzazione di azioni a sostegno delle donne vittime di violenza.
  Ancora, nelle disposizioni di bilancio il comma 217 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 14, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014), incrementa di 10 milioni di euro, per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016, la dotazione del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità precisamente allo scopo di finanziare il Piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere.
  Dunque, per effetto del combinato disposto dalla predetta disposizione con gli articoli 5 e 5-bis, nonché in virtù del cosiddetto istituto del «riporto», che prevede la facoltà per la Presidenza del Consiglio, diversamente dalle altre amministrazioni, di mantenere in bilancio anche le risorse non utilizzate nell'anno precedente, nel 2014 risulta disponibile per il già citato piano straordinario la somma di 18 milioni di euro. Questo è il punto.
  Tale somma, secondo quanto si legge nella nota preliminare al bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio dei ministri, è ripartita destinando 10 milioni di euro per il miglioramento degli interventi Pag. 93delle istituzioni nel contrasto alla violenza sulle donne attraverso l'elaborazione di un piano d'azione straordinario contro la violenza, 7 milioni di euro all'attuazione dell'articolo 5-bis del decreto-legge n. 93 del 2013, relativo ad interventi di assistenza e sostegno territoriale a donne vittime di violenza e ai minori e 300.000 euro per la stipula di convenzioni o accordi finalizzati all'aggiornamento di statistiche sulla criminalità contro le donne nonché all'istituzione di una banca dati – dato a mio avviso rilevantissimo – sui servizi offerti attraverso la rete collegata al numero di pubblica utilità 1522 e, infine, 700.000 euro per la prosecuzione delle attività del servizio del 1522.
  Riteniamo urgente che una finalizzazione del piano diventi quanto prima concreta e attuativa, prima della scadenza prevista per il mese di ottobre.
  Questa urgenza è direttamente legata alla necessità, come previsto, di allocare le somme stanziate a tal fine dallo stesso decreto-legge e dalla legge di stabilità. È necessario agire velocemente per l'importanza del tema in questione, per la concretizzazione dello sforzo di questo Governo che così tanto sta facendo anche per la promozione della cittadinanza femminile e per riaccostare l'Italia in Europa. È, infatti, dall'Europa che provengono, e mi avvio a concludere, moniti a lavorare sulle tematiche delle pari opportunità e sappiamo bene che la violenza non è questione, appunto, sociale ma attiene direttamente alla cittadinanza.
  La maggior parte dei progetti regionali e provinciali di contrasto alla violenza sulle donne vengono dai fondi europei, cito soltanto il progetto Daphne, e ai trasferimenti diretti si sono poi aggiunti quelli indiretti attraverso i piani operativi regionali.
  Ora, alla luce anche dell'impegno che ha preso l'Europa attraverso non solo il progetto Daphne ma anche attraverso il monitoraggio che ha fatto e che ha reso noto come per il nostro Paese sia ancora così difficile per le donne denunciare la violenza, riteniamo che misurarsi concretamente per dare attuazione alle strategie di contrasto e per sostenerle finanziariamente debba diventare una priorità assolutamente in coerenza con l'azione innovativa di questo Governo.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ivan Scalfarotto, ha facoltà di rispondere.

  IVAN SCALFAROTTO, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Signor Presidente, io ringrazio anche l'onorevole Giuliani per la solidarietà e in realtà non ce n’è alcun bisogno, perché io sono molto onorato di poter rappresentare il Governo nel rispondere a interpellanze che riguardano un argomento che è di assoluta importanza e che non dobbiamo mai perdere di vista.
  Lei diceva giustamente che con le azioni che si sono intraprese durante questa legislatura si è fatto un salto di qualità, si è passati da considerare la violenza contro le donne un problema sociale a farlo diventare una priorità politica. Io penso che sia assolutamente la linea giusta e, quindi, credo che il lavoro che stiamo facendo insieme sia assolutamente di primaria importanza, non soltanto per le donne di questo Paese ma per il Paese nella sua interezza.
  Ho già risposto in altre occasioni a interrogazioni e interpellanze simili, voglio soltanto ripercorrere le tappe che, in parte anche lei, onorevole Giuliani, ha ripercorso nell'illustrazione della sua interpellanza. Sappiamo che l'Italia è stato uno dei primi Paesi a ratificare la Convenzione di Istanbul, Convenzione che appunto tra l'altro entra in vigore il 1o agosto perché finalmente abbiamo raggiunto anche il decimo Stato a ratificare questa Convenzione.
  Abbiamo convertito in legge il decreto-legge n. 93, che recava «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province», che prevedeva delle azioni molto precise tra cui la creazione di un piano straordinario contro la Pag. 94violenza sessuale e di genere, da elaborarsi con il contributo di tutte le amministrazioni interessate e delle associazioni di donne impegnate nella lotta contro la violenza e dei centri antiviolenza, proprio come diceva lei giustamente, in sinergia con la nuova programmazione dell'Unione europea per il periodo 2014-2020.
  Ora, si tratta di interventi molto complessi e per questo si è costituita una task force interistituzionale che ha visto la partecipazione di una serie di Ministeri interessati (Pari opportunità, Giustizia, Interno, Salute, Istruzione, Esteri, Difesa, Economia e Finanze, Lavoro, Sviluppo economico), quindi anche a testimonianza dell'ampiezza del raggio di azione di questo piano. Ovviamente task force integrata dai rappresentanti delle autonomie territoriali e dal mondo dell'associazionismo, con il coordinamento del Dipartimento per le pari opportunità.
  Un Piano molto complesso che ha, quindi, previsto la formazione di sette sottogruppi tematici che hanno anche qui preso a lavorare su azioni finalizzate a interventi molto ampi. Faccio giusto qualche esempio: si va dal sostegno delle vittime di violenza mediante il loro reinserimento sociale e lavorativo, al recupero dei soggetti responsabili di atti di violenza nelle relazioni affettive; alla formazione dei diversi soggetti coinvolti nella presa in carico delle vittime (come gli operatori socio sanitari, le forze dell'ordine, i volontari del soccorso, gli operatori dei centri antiviolenza e così via); alla valutazione dei fattori di rischio cui sono esposte le vittime di violenza; a un'azione, che a me pare tra l'altro molto importante, che è la corretta rappresentazione dei generi nel sistema dei media della comunicazione e via via l'elenco è ancora molto lungo e glielo risparmio perché so che l'onorevole interpellante lo conosce bene.
  Quindi, all'ultimazione dei lavori di questi sottogruppi, coordinati come ho detto dal Dipartimento per le pari opportunità, poi sarà compito del Dipartimento investire la task force per la condivisione del piano. Ora – questa è la parte importante – attesa la complessità delle azioni che si intendono perseguire con il Piano, il Governo quindi conta di poter adottare lo stesso entro il mese di ottobre, questa è la scadenza che ci siamo dati.
  Passiamo, invece, alla parte finanziaria. In ordine alle risorse stanziate per l'attuazione del Piano d'azione straordinario, è stato incrementato per l'anno 2013 il Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità di 10 milioni di euro (questo sulla base dell'articolo 5, comma 4, del decreto legge n. 93 del 2013), stanziando, successivamente, con l'articolo 1, comma 217, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (che poi è la legge di stabilità del 2014), risorse finanziarie aggiuntive pari a 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016. Tali risorse saranno allocate sulle diverse aree d'intervento una volta che il Piano di azione sarà completato.
  Per quanto, invece, riguarda il potenziamento delle forme di assistenza e di sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli attraverso modalità omogenee di rafforzamento della rete dei servizi territoriali, dei centri antiviolenza e dei servizi di assistenza alle donne vittime di violenza, secondo quanto previsto dal sopra richiamato articolo 5, comma 2, lettera d), del decreto-legge n. 93 del 2013, sono stati inoltre stanziati ed assegnati dall'articolo 5-bis, comma 1, dello stesso decreto-legge, 10 milioni di euro per l'anno 2013 e 7 milioni di euro per l'anno 2014, nonché 10 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015.
  Tali risorse, secondo quanto previsto dall'articolo 5-bis, comma 2, del sopracitato decreto-legge, devono essere annualmente ripartite tra le regioni dal Ministro delegato per le pari opportunità, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, tenendo conto dei criteri stabiliti nella disposizione stessa.
  Al fine di accelerare i tempi del riparto delle risorse da trasferire alle regioni per il finanziamento dei centri antiviolenza, il Governo ha predisposto la bozza di decreto, accorpando le risorse riferite agli Pag. 95esercizi finanziari 2013 e 2014, per un complessivo importo pari ad euro 17 milioni. La suddetta bozza è stata già trasmessa alla Conferenza Stato-regioni affinché esprima la prevista intesa nella prima seduta utile. È intenzione del Governo, infatti, erogare le suddette risorse entro il mese di luglio.
  Io concludo, ancora, ripeto, con un apprezzamento e un ringraziamento alle onorevoli interpellanti, comunque sottolineando l'attenzione continua del Governo su questo tema, come ho avuto occasione di dire all'inizio.

  PRESIDENTE. L'onorevole Ferranti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  DONATELLA FERRANTI. Signor Presidente, signor sottosegretario, noi siamo sufficientemente soddisfatti, ma nel senso che sostanzialmente abbiamo capito, non solo da questa risposta ma anche dagli altri interventi che ci sono stati del Governo, che c’è un impegno a riprendere e a dare concretezza al piano, quel piano che a nostro avviso rappresentava, insieme appunto alle altre norme che sono state varate con la legge n. 119 del 2013, contro la violenza alle donne, il momento più qualificante della parte di prevenzione della violenza.
  Quindi, noi siamo soddisfatti nel senso che queste scadenze e questi obiettivi, diciamo così, sono stati posti concretamente, prefissati dal Governo; mi riferisco al mese di ottobre, per l'attuazione e la messa a punto del piano e all'erogazione entro luglio delle risorse.
  Questo ci può confortare, anche se riteniamo che forse ci sia bisogno effettivamente di una sinergia – fermo restando che il nuovo Governo si è da poco insediato – più attiva e concreta. Ci permettiamo anche di sottolineare, considerato che ancora questa parte è in capo sostanzialmente al Presidente del Consiglio, l'opportunità di valutare – e lo rappresentiamo al Presidente del Consiglio – se questo settore non possa essere oggetto di una delega specifica per poter avere, anche da parte del Parlamento, un referente operativo per iniziative che vadano in direzione dell'attuazione ma anche della sensibilizzazione.
  Questo perché anche recentemente, da monitoraggi che sono stati fatti sull'applicazione di questa legge dal punto di vista proprio delle nuove norme in materia di repressione del fenomeno della violenza domestica e della violenza sulle donne e comunque sui soggetti deboli in genere, noi ci siamo resi conto – e questo è un po’ il dato emerso – che gli strumenti normativi ci sono; vanno sicuramente perfezionati anche nel quadro dell'attuazione della direttiva riguardante la tutela della vittima del reato.
  Però, ancora il sistema stenta ad agire in sinergia, proprio perché quelle azioni – che devono essere di sensibilizzazione degli operatori nei settori della comunicazione, di assistenza e sostegno delle donne attraverso anche il rafforzamento della rete territoriale, obiettivi ambiziosi ma necessari, al fine di garantire la formazione di tutte le professionalità che entrano in contatto con la violenza di genere e lo stalking e ad accrescere quindi la protezione della vittima attraverso un rafforzamento della collaborazione tra tutte le istituzioni coinvolte – si possono realizzare solo e soltanto se c’è un indirizzo unitario, cioè se c’è un impulso sinergico, ma autorevole che giustamente fa capo alla Presidenza del Consiglio; a un certo punto, però, deve, a nostro avviso, avere un referente stabile e permanente che possa dare proprio il senso di questa azione, senza la quale tutti gli strumenti avanzati e sinergici che abbiamo messo in campo rischiano di non poter essere operativi.
  La soddisfazione – come diceva il sottosegretario Scalfarotto – è che in realtà siamo partiti con un finanziamento abbastanza sobrio in quella legge dell'agosto scorso, ma il fatto che nella legge di stabilità sostanzialmente la dotazione del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità sia proprio la somma di 18 milioni di euro ci conforta dell'impegno concreto, ma anche della necessità Pag. 96che questi fondi siano effettivamente erogati e destinati non con interventi a pioggia, ma secondo un programma razionale e degli obiettivi certi e sinergici proprio per l'attuazione del piano.
  Comunque, ringraziamo il Governo in ogni caso per lo sforzo che sta facendo di recuperare anche quello che ha fatto il precedente Governo uscente.

(Iniziative per assicurare la piena conoscibilità della normativa vigente in materia di sostanze stupefacenti e psicotrope – n. 2-00581)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Daniele Farina n. 2-00581, concernente iniziative per assicurare la piena conoscibilità della normativa vigente in materia di sostanze stupefacenti e psicotrope (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Daniele Farina se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  DANIELE FARINA. Signor Presidente, il sottosegretario Scalfarotto avrà sicuramente notato che abbiamo presentato un'interpellanza piuttosto articolata, molto dettagliata. Cercherò qui di riassumerla per grazia nostra e di chi eventualmente ci sta ascoltando.
  Il decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 è stato negli scorsi mesi più volte modificato. Tra queste modifiche, spicca l'azione della Corte costituzionale che, con la sentenza n. 32 del 2014 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli articoli 4-bis e 4-vices ter del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, come convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2006, per semplicità degli ascoltatori la «Fini-Giovanardi».
  Altro passaggio importante: da ultimo, il decreto-legge 20 marzo 2014, n. 36, convertito dalla legge 16 maggio 2014, n. 79, recante «disposizioni urgenti in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonché di impiego di medicinali», noto come «decreto Lorenzin».
  Ora, in forza del combinato disposto dell'articolo 27 della Costituzione, che stabilisce il principio per il quale la responsabilità penale è personale e dell'articolo 25 della Costituzione che garantisce il diritto di difesa e di quanto espressamente stabilito dall'articolo 5 del codice penale secondo il quale «nessuno può invocare a propria scusa l'ignoranza della legge penale» è assolutamente necessaria la chiarezza e l'effettiva conoscibilità delle norme in vigore.
  È indubbio che una lacuna in termini di chiarezza ed effettiva conoscibilità della legge è ancor più grave in materia penale che, come noto, disciplina i fatti costituenti reato e a cui si riconnettono sanzioni molto incisive sulla sfera individuale.
  Rispetto alla disciplina sugli stupefacenti, quanto stabilito a livello costituzionale e dal codice penale non pare, tuttavia, aver trovato adeguata attuazione.
  E veniamo al punto dell'interpellanza urgente. Sulla Gazzetta Ufficiale del 20 maggio 2014, n. 115, infatti, in occasione della pubblicazione della legge 16 maggio 2014, n. 79, di conversione del decreto-legge cosiddetto «Lorenzin», oltre alla legge è stato anche pubblicato, a partire da pagina 64 della Gazzetta Ufficiale, come sempre, il testo del decreto-legge 20 marzo 2014, n. 36, coordinato con la legge di conversione 16 maggio 2014, n. 79, recante «Disposizioni urgenti (...)».
  Nell'ambito degli usuali elementi di chiarimento, pubblicati unitamente al testo coordinato, è stato inoltre pubblicato anche l'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, che il citato decreto modificava parzialmente. Con riferimento a tale pubblicazione veniva rilevato il fatto che il comma 1 dell'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, era presente nel testo dichiarato illegittimo con la sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014. Questo articolo 73, che è il cuore del testo Pag. 97unico sugli stupefacenti, è stato nel tempo oggetto di ben sette riformulazioni e modifiche ed è, come dicevo, il cuore, in quanto fondamentale e fissa la pena per la produzione, il traffico e la detenzione illecita delle sostanze stupefacenti.
  Il fatto che al comma 1 dell'articolo si riporti ancora la pena della reclusione da sei a venti anni, in luogo di quella vigente da otto a venti anni, nonché un comma 4 dell'articolo 73, relativo ai medicinali previsti in tabella II, sezione A, B, C e D, che invece attiene alla disciplina penale delle sostanze inserite nelle tabelle (nuove) II e IV e che prevede, alla luce della pronuncia della Corte costituzionale, pene differenti, ingenera, a prescindere – a prescindere – dalla correttezza o meno della pubblicazione, evidenti incertezze tra i comuni cittadini, privi di competenze specificamente giuridiche.
  Sarebbe evidentemente auspicabile che un testo attualizzato del decreto del Presidente della Repubblica del 9 ottobre 1990, n. 309, venisse ricostruito e pubblicato quanto meno sul sito del Dipartimento delle politiche antidroga, perché allo stato sul sito del Dipartimento delle politiche antidroga, nella sezione «Normativa», in relazione al testo unico sugli stupefacenti vengono riportati gli interventi normativi del decreto-legge, nella formulazione riportata anche nel testo coordinato e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale già citata del 20 maggio 2014, senza che sia considerata la reviviscenza delle norme precedenti la cosiddetta legge «Fini-Giovanardi», conseguente alla pronuncia della Consulta n. 32 del 2014 più volte richiamata. Ciò contribuisce ad alimentare, secondo noi interpellanti, la confusione nonché la possibile ignoranza, in perfetta buona fede, sulla legge vigente.
  È preciso dovere di un organo governativo, qual è il Dipartimento delle politiche antidroga, che proprio di quei temi si occupa, fornire un'informazione aggiornata e corretta delle effettive modifiche intervenute nella legislazione, tenendo conto che gli utenti non sempre sono specializzati in discipline giuridiche e possono, quindi, non comprendere immediatamente la normativa effettivamente in essere. La normativa, così come è ordinariamente illustrata, inevitabilmente può indurre nell'errore i cittadini sulla conoscenza della legge penale, poiché può indurli, in modo fuorviante, a ritenere che l'intervento della Corte costituzionale sia stato vanificato, sul piano legislativo, con il decreto-legge n. 36 del 2014, ovvero il cosiddetto «decreto Lorenzin».
  Ad avviso degli interpellanti si tratta di una questione rispetto alla quale occorrerebbe porre rimedio immediato – ed ecco l'urgenza di questa interpellanza –, ad esempio valutando la possibilità di assumere le necessarie iniziative al fine di pubblicare in Gazzetta Ufficiale la versione del testo unico sugli stupefacenti effettivamente vigente alla data di oggi. Nelle more, sarebbe comunque indispensabile provvedere a pubblicare, per favorire un'agevole comprensione del testo, sul sito del Dipartimento delle politiche antidroga, il testo realmente vigente del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.
  La nostra interpellanza urgente, dunque, è volta a sapere e a interrogare il Governo su quali siano le informazioni e gli orientamenti dei Ministri interrogati su quanto riportato in premessa (cioè, su quanto abbiamo testé esposto); se non ritengano i medesimi di intervenire quanto prima per la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale di un testo coordinato, come anticipato; e se nell'ambito delle proprie competenze, non reputino necessario al più presto fare riportare, nell'apposita sezione «Normativa» del sito del Dipartimento delle politiche antidroga, le norme vigenti in tema di stupefacenti, eliminando qualunque formulazione, ad oggi presente nella sezione, che possa fuorviare i cittadini e gli utenti del sito stesso.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato, Ivan Scalfarotto, ha facoltà di rispondere.

  IVAN SCALFAROTTO, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.Pag. 98Signor Presidente, in realtà rispondo cominciando con il ringraziare l'onorevole Farina, l'onorevole interpellante, per questa interpellanza, perché, effettivamente, solleva un problema importante e il Governo condivide le giuste osservazioni circa la necessità di garantire ai cittadini un'informazione chiara, trasparente e aggiornata, soprattutto in un settore così sensibile e delicato come quello rappresentato dall'onorevole Farina.
  Ha ragione, effettivamente la sovrapposizione tra la sentenza della Corte costituzionale n.  32 del 2014 e, poi, la successiva approvazione della legge di conversione del decreto-legge 20 marzo 2014, n. 36, ha ingenerato profili di criticità e di confusione, che rendono assolutamente ineludibile e impellente, quanto meno, l'aggiornamento della sezione «Normativa» del sito del Dipartimento per le politiche antidroga, in modo che sia reso fruibile alla platea degli utenti e dei cittadini, e affinché si porti chiarezza e comprensione di qual è la normativa vigente in questo momento.
  Posso dirle che è sicuramente intenzione dell'Esecutivo, attraverso la Presidenza del Consiglio e il Dipartimento per le politiche antidroga, di provvedere nei tempi più brevi possibili alla stesura di un testo coordinato, ovviamente in stretto contatto con i competenti Ministeri della salute e della giustizia.

  PRESIDENTE. L'onorevole Daniele Farina ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  DANIELE FARINA. Signor Presidente, diciamo che la risposta del Governo è breve, molto breve, ma sensata. Spero che anche questa mia brevissima replica sia altrettanto sensata, perché in questa materia dovrebbe farci riflettere il fatto che oggi, a fronte delle numerose modifiche normative che sono intervenute, ragioniamo di un testo, nei fatti, quello che ci viene detto dal Governo sarà a breve disponibile sul sito del Dipartimento per le politiche antidroga, che, ormai, nelle sue parti quanto meno salienti, è stato ideato e scritto un quarto di secolo fa.
  Il «decreto Lorenzin» ha di fatto – e questo è un dato, secondo me, poco contestabile – tacitato le proposte incardinate nelle competenti Commissioni parlamentari, al punto che la mia sensazione è che buona parte dei partiti delle forze politiche di maggioranza ritengano sufficienti le modifiche apportate al testo unico negli ultimi mesi. Per noi questo non è vero, cioè non è così, ma approfitto di questa occasione per annunciare anche la ripresa dell'azione parlamentare su questi temi; azione parlamentare che, però, ha bisogno, per essere adeguatamente sostenuta, di riferimenti chiari di carattere normativo (ecco il perché di questa interpellanza); chiari anche per la pubblica opinione, senza la quale ogni azione politica risulta, diciamo, poco utile.
  Apprezzo, pertanto, la risposta del Governo, che ci facilita nel lavoro che dovremo svolgere. Mi permetto solo due ultime notazioni, qualche secondo. L'opacità che abbiamo evidenziato e che il Governo, anch'esso, mi sembra abbia colto, trova motivazioni, o meglio, trova amplificazione nelle reiterate affermazioni del relatore di maggioranza al Senato al cosiddetto «decreto Lorenzin», Carlo Giovanardi, circa la continuità tra il testo vigente oggi e la legge sventurata del 2006 che porta il suo nome.
  Come non ha giovato, forse, alla chiarezza la perdurante confusione in cui versa il Dipartimento per le politiche antidroga, di cui ancora non è dato sapere che cosa voglia fare il Governo: se dargli un nuovo ruolo e una nuova missione, in linea con quanto sta accadendo nel mondo, o scioglierlo e riattribuire le deleghe ai Ministeri di tradizionale competenza. Detto questo, ringrazio ancora il Presidente e il Governo.

(Problematiche riguardanti gli incentivi per l'assunzione dei lavoratori iscritti nelle liste di mobilità – n. 2-00571)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Rostellato ed altri n. 2-00571, Pag. 99concernente problematiche riguardanti gli incentivi per l'assunzione dei lavoratori iscritti nelle liste di mobilità (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Rostellato se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  GESSICA ROSTELLATO. Signor Presidente, la presente interpellanza tende a risollevare la questione, già arrivata agli onori della cronaca l'anno scorso, relativa al mancato rifinanziamento delle agevolazioni per l'assunzione di dipendenti nelle liste della cosiddetta piccola mobilità ai sensi della legge n. 236 del 1993. Come sappiamo fino al 2012 esistevano due tipi di liste di mobilità, la prima, quella relativa alla legge n. 223 del 1991, raccoglie i lavoratori licenziati dalle grandi aziende, la seconda, quella relativa alla legge n. 236 del 1993, raccoglie i lavoratori licenziati dalla piccole aziende artigiane del commercio. In entrambi casi, se un'azienda assumeva uno di questi dipendenti, indipendentemente dalla lista di appartenenza, poteva fruire di agevolazioni contributive pari a meno della metà dell'aliquota prevista per un lavoratore normale. Una norma che andava ovviamente nella direzione di premiare quelle imprese che assumevano lavoratori disoccupati, facendoli rientrare nel mondo del lavoro. Nonostante la crisi questo tipo di agevolazione era stata utilizzata da molte piccole e medie aziende sane che, visto anche il costo ridotto, potevano permettersi di prendersi in carico un nuovo dipendente e di toglierlo dallo status di disoccupato, dando così beneficio anche allo Stato e alla società tutta.
  Con la legge n. 92 del 2012, l'allora ministro Fornero decise di eliminare la possibilità per i lavoratori licenziati di iscriversi alle liste della piccola mobilità. Come spesso avviene, però, essendo la legge poco chiara, ci si affidò all'interpretazione di ciascuno e ad una circolare INPS, la n. 13 del 2013, altrettanto poco chiara, che assicurava il fatto che non fosse più possibile assumere dal 2013 i disoccupati iscritti alle liste di piccola morbilità, lasciando, però, altrettanti dubbi sui contratti già in essere. Ricordo che le agevolazioni per la mobilità possono durare dai 12 mesi, prorogabili per altri 12, quindi 24 complessivi, o per 18 mesi in base al tipo di contratto, determinato o indeterminato stipulato con il dipendente. È ovvio, quindi, che dal 1o gennaio 2013 vi erano molte aziende che avevano in forza dipendenti assunti nel 2012, se non addirittura nel 2013, e per cui stavano godendo ancora di agevolazioni. La logica avrebbe voluto che le agevolazioni per i contratti in essere fossero mantenute tali fino al termine naturale, ma così, ovviamente, non è stato. Con la circolare n. 150 dell’ ottobre 2013, quindi con ben dieci mesi di ritardo rispetto alla data in cui erano partite le disposizioni, l'INPS chiarì che nessuna azienda avrebbe potuto più fruire delle agevolazioni per la piccola mobilità anche per contratti stipulati prima del 1o gennaio 2013. Con successivo messaggio l'istituto chiedeva alle sedi locali di effettuare i dovuti controlli per il recupero dei contributi non versati. Era inevitabile che con questa circolare scattasse il caos e che le aziende iniziassero a chiedere all'INPS e allo Stato se veramente si voleva procedere a quella che si può definire in qualche modo una truffa. Le aziende, infatti, al momento dell'assunzione del dipendente avevano previsto un determinato costo del lavoro e su tale si erano basate per la gestione della propria attività per un intero anno. Se ora lo Stato chiedesse di pagare i contributi restanti, probabilmente, alcune aziende non ce la farebbero. Non è possibile fare ancora una stima definitiva, ma le richieste di INPS potrebbero aggirarsi da poche centinaia di euro a decine di migliaia di euro in base ai mesi in cui si è fruito di agevolazioni, allo stipendio lordo dei dipendenti e al numero dei dipendenti assunti con questa agevolazione. Alla fine dello scorso anno, l'allora Ministro del lavoro Giovannini aveva assicurato che, per il momento, l'INPS non avrebbe proceduto al recupero delle somme. Le aziende sono ancora in attesa di avere conferma chiara che nulla verrà loro richiesto. Per quanto tempo ancora Pag. 100dobbiamo lasciare questa spada di Damocle pendere sulla loro testa ? È possibile che questo Stato non riesca a dare risposte concrete ai suoi cittadini e alle sue imprese ? Siamo, quindi, oggi qui a chiedere al Governo se vi siano novità e aggiornamenti in merito alla vicenda e se il Governo non ritenga che sia il caso di rivedere la disposizione prevista dalla legge n. 92 del 2012 e di ripristinare le agevolazioni per la piccola mobilità come chiedono a gran voce le piccole e medie aziende.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Ivan Scalfarotto, ha facoltà di rispondere.

  IVAN SCALFAROTTO, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, rispondo all'interpellanza con cui l'onorevole Rostellato chiede di conoscere gli intendimenti del Governo in ordine alla situazione che si è venuta a creare a seguito della mancata proroga da parte della legge di stabilità per il 2013 delle norme che prevedevano l'iscrizione nelle liste di mobilità dei lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo e degli incentivi relativi al loro reimpiego (la cosiddetta piccola mobilità), previsti dal decreto-legge n. 148 del 1993.
  L'effetto della predetta mancata proroga si sostanzia essenzialmente nel fatto che non è possibile riconoscere le agevolazioni per le assunzioni, proroghe e trasformazioni a tempo indeterminato, effettuate nel 2013, nei confronti di lavoratori licenziati nel medesimo anno.
  Inoltre, come precisato anche dall'INPS, non è risultato più possibile riconoscere le agevolazioni per le assunzioni effettuate nel 2013 di lavoratori licenziati prima del 2013, né riconoscere le agevolazioni per le proroghe e le trasformazioni a tempo indeterminato, effettuate nel 2013, di rapporti agevolati instaurati prima del 2013.
  Infine, a causa della mancata proroga della normativa in questione, è stato necessario fissare al 31 dicembre 2012 la scadenza dei benefici connessi ai rapporti di lavoro agevolati instaurati prima del 2013.
  La mancata proroga della norma ha determinato la necessità di recuperare i contribuiti che, seppur fruiti dalle imprese beneficiarie, non risultano più dovuti. La soluzione di quest'ultima problematica non può prescindere da uno specifico intervento normativo per il quale occorre reperire la relativa copertura finanziaria. In ogni caso, l'INPS ha reso noto, con messaggio del 18 novembre 2013, di aver disposto la sospensione delle iniziative volte al recupero dei benefici eventualmente fruiti dai datori di lavoro in attesa di ulteriori chiarimenti.
  Tuttavia, tengo a precisare che, al fine precipuo di attenuare gli effetti della mancata proroga, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha ritenuto opportuno disporre, in via amministrativa, un intervento a favore dei datori di lavoro che abbiano assunto, nel corso del 2013, lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo.
  In particolare, con Decreto direttoriale del 19 aprile 2013, successivamente modificato il 3 giugno 2013, il Ministero del lavoro ha concesso, per il 2013 e nel limite di 20 milioni di euro, un beneficio a favore dei datori di lavoro privati che, nel corso del medesimo anno, abbiano assunto, a tempo determinato o indeterminato anche part time o a scopo di somministrazione, lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo nei dodici mesi precedenti l'assunzione, da imprese che occupano anche meno di quindici dipendenti.
  Il beneficio – pari a euro 190 mensili per dodici mesi, per i lavoratori assunti a tempo indeterminato, e per sei mesi, in favore di quelli assunti a tempo determinato – è posto a valere sul Fondo di rotazione per la formazione professionale e per l'accesso al Fondo sociale europeo, previsto dall'articolo 25 della legge n. 845 del 1978.
  Preciso infine, che l'articolo 9, comma 3-ter, del decreto-legge n. 148 del 1993, come modificato dalla legge di stabilità per Pag. 101il 2014, ha introdotto stabilmente la possibilità di disporre di interventi analoghi. In particolare, tale norma stabilisce che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali può prevedere misure di sostegno al reddito per lavoratori disoccupati o a rischio di esclusione dal mercato del lavoro, nonché incentivi per favorire l'occupazione dei medesimi lavoratori, definiti ai sensi del decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 264 del 19 aprile 2013.

  PRESIDENTE. L'onorevole Rostellato ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  GESSICA ROSTELLATO. Signor Presidente, signor sottosegretario, purtroppo mi devo ritenere insoddisfatta di questa risposta, perché mi auguravo e speravo veramente che il Governo mi desse una speranza che effettivamente l'INPS avrebbe rivisto questa disposizione e non avrebbe chiesto queste somme alle aziende.
  Però, purtroppo, dobbiamo notare che il Governo conferma questa volontà di punire queste aziende che hanno avuto come unica colpa quella di avere assunto dei disoccupati e di avere agito sostanzialmente in buona fede. Perché ? Perché in quella legge non è scritto assolutamente che i contratti già in essere al 1o gennaio 2013 non potevano usufruire più di agevolazioni. È scritto in modo esplicito che non si potevano più fare assunzioni da parte delle aziende, prelevando dei lavoratori da quella lista, ma non che questa disposizione avrebbe avuto effetto retroattivo sulle assunzioni già in essere.
  Tra l'altro io credo che questo Governo non si renda conto della gravità di questa situazione e per questo chiedo al sottosegretario di farsi nuovamente portatore di questo problema nei confronti del Premier Renzi. Infatti, purtroppo, secondo me non è stato capito quanto grave può diventare questa situazione, perché molte aziende in questo momento di crisi non riusciranno a restituire queste somme.
  Io ho parlato con alcuni imprenditori e alcuni dovranno restituire somme anche fino a 20 mila euro o 35 mila euro e le piccole aziende in questo momento non sono assolutamente in grado di restituire queste somme.
  Tra l'altro, se questi imprenditori non saranno in grado di restituire le somme, si creerà un circolo vizioso che porterà alla chiusura delle aziende probabilmente o, comunque, al licenziamento di molti dipendenti, anche degli stessi dipendenti che sono stati assunti con queste agevolazioni. Perché ? Perché, se le aziende non pagheranno gli avvisi bonari che arriveranno dall'INPS, purtroppo, avranno anche il DURC irregolare e, come sa anche lei, sottosegretario, quando hanno il DURC irregolare, le aziende non possono più essere pagate per i lavori, magari già effettuati, e non possono partecipare ai bandi di gara. Per cui magari un'azienda che è sana, ma che si ritrova con questa problematica solo per aver assunto dei disoccupati, si troverà a non poter più lavorare. Questa mi sembra una cosa totalmente ingiusta. Per cui, veramente chiedo al Governo di ripensare a questa disposizione.
  Rischiamo veramente che queste aziende chiudano, che licenzino anche tutti i dipendenti e, in questo momento in cui abbiamo una disoccupazione che ha superato da poco il 13,5 per cento, non mi sembra sicuramente una soluzione ideale.
  Tra l'altro, purtroppo, non escluderei che questa situazione possa portare anche a un nuovo ciclo di suicidi. Infatti, gli imprenditori che si ritrovano nella situazione di non poter pagare il debito con lo Stato, di avere il DURC irregolare, di non poter più lavorare, si potrebbero trovare anche nella situazione di disperazione tale da arrivare a delle scelte drastiche. Infatti, gli imprenditori non si ammazzano perché non vogliono rispondere delle loro azioni, ma perché si vergognano di lavorare affianco ai loro dipendenti e di sapere che, per quel mese, non potranno pagare loro la retribuzione; si vergognano di dover dire ai dipendenti che non hanno più soldi per pagarli e che dovranno licenziarli, perché magari ci lavorano insieme da trent'anni. L'imprenditore, soprattutto il Pag. 102piccolo imprenditore, che lavora insieme ai suoi dipendenti da tanti anni, non ha a cuore solo la sua attività e la sua vita, ma anche la vita dei suoi dipendenti e quella delle famiglie.
  Per cui, credo che i suicidi che ci sono già stati nel 2013, che sono stati 68 solo di imprenditori, non debbano assolutamente aumentare e questa, secondo me, è una situazione che potrebbe creare anche queste distorsioni.
  Tra l'altro, io ho avuto notizia della data in cui questi avvisi bonari dell'INPS verranno emessi, sarà la fine di questa estate. Purtroppo, lei, sottosegretario, non lo ha specificato, ma io so che quella sarà la data. Quindi, avremmo in realtà tre mesi per lavorare su questo problema, Governo e Parlamento insieme. E tre mesi sono sufficienti per trovare le coperture che servono per questa misura. Infatti, è stato fatto un calcolo e dovrebbero servire circa 40 o 50 milioni di euro per coprire queste agevolazioni per il 2013 e, come ha detto lei, sono già stati stanziati 20 milioni di euro per le nuove misure per la piccola mobilità, che io la ringrazio per averci ricordato che esistono. Però, purtroppo non possono servire per coprire questa situazione perché si tratta di assunzioni del 2011 e del 2012, mentre la disposizione di cui parla lei è solo per le nuove assunzioni del 2013. Ed è anche una disposizione che, purtroppo, non aiuta molto, perché 190 euro di agevolazioni in questo momento di crisi non sono sufficienti rispetto soprattutto alle agevolazioni che c'erano prima.
  Comunque, questo stanziamento di 20 milioni di euro effettivamente, visto che in realtà è stato non utilizzato per il momento, potrebbe diventare una base per raggiungere poi quei 40 o 50 milioni di euro che ci servono. Io credo che, nel bilancio dello Stato, possiamo trovare altri 20 milioni di euro. Non sono una somma così difficile da trovare.
  Per cui io chiedo veramente al Governo di lavorare insieme al Parlamento. Io porterò questa richiesta anche in Commissione lavoro, attraverso una risoluzione, affinché lavoriamo insieme per arrivare al 15 settembre, che è la data prevista per l'invio degli avvisi bonari, con una soluzione a questo problema, per evitare situazioni veramente disastrose per il nostro Paese e per le nostre aziende. Mi auguro che il Governo si renda disponibile ad aiutarci a risolvere questa problematica per il bene di tutte le aziende italiane.

  PRESIDENTE. È con sommo gaudio che annuncio che è così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.

Modifica nella composizione della Giunta delle elezioni.

  PRESIDENTE. Comunico che il Presidente della Camera ha chiamato a far parte della Giunta delle elezioni il deputato Luigi Famiglietti in sostituzione del deputato Dario Nardella, cessato dal mandato parlamentare.

Modifica nella composizione di gruppi parlamentari.

  PRESIDENTE. Comunico che, con lettere pervenute in data odierna, i deputati Ferdinando Aiello e Michele Ragosta, già iscritti al gruppo parlamentare Sinistra Ecologia Libertà, hanno dichiarato di aderire al gruppo parlamentare Partito Democratico.
  La Presidenza di tale gruppo, con lettera pervenuta in data odierna, ha comunicato di aver accolto la richiesta.

Ordine del giorno della prossima seduta.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

  Lunedì 23 giugno 2014, alle 14:

  1. – Discussione sulle linee generali del disegno di legge:
   S. 1479 – Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 maggio Pag. 1032014, n. 73, recante misure urgenti di proroga di Commissari per il completamento di opere pubbliche (Approvato dal Senato) (C. 2447).
  — Relatori: Gadda, per la maggioranza; Grimoldi, di minoranza.

  2. – Discussione sulle linee generali della mozione Palazzotto, Rizzo, Beni, Sberna ed altri n. 1-00344 concernente iniziative in ordine alla realizzazione del sistema di trasmissione satellitare denominato MUOS nella base militare di Niscemi.

  La seduta termina alle 19,25.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO MICHELE NICOLETTI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI RATIFICA N. 1589-A

  MICHELE NICOLETTI, Relatore per la III Commissione. Presidente, colleghe e colleghi, il disegno di legge in esame si propone la ratifica della Convenzione dell'Aja del 1996 sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori e detta norme di adeguamento dell'ordinamento interno ai principi espressi dalla Convenzione.
  La Convenzione dell'Aja è stata firmata dall'Italia il 10 aprile 2003, ossia più di undici anni fa. Mentre apprezziamo vivamente l'impegno del Governo in questa legislatura a che il Parlamento proceda al più presto alla sua ratifica, non possiamo non rilevare ancora una volta l'inaccettabilità di tempi così lunghi per l'adeguamento del nostro ordinamento interno ai principi del diritto internazionale ed europeo. Tanto più quando sono in gioco i diritti delle persone e in particolare di quelle più deboli e dunque maggiormente degne di tutela come i minori, di cui si occupa la Convenzione. Di fronte a quanti in questi giorni favoleggiano sui rischi che una eventuale riforma delle nostre istituzioni parlamentari potrebbe comportare in ordine alla garanzia dei diritti fondamentali, è opportuno ricordare che il sistema delle garanzie oggi, sia per le persone che per le minoranze, riposa in larga parte, più che sulla farraginosità dei meccanismi interni, su quel diritto internazionale e quelle istituzioni internazionali a cui noi stessi, a partire dagli articoli 10 e 11 della nostra Costituzione, abbiamo dato vita. Per questo dovremmo sentirci impegnati a rendere sempre più effettivo e rispondente ai bisogni dei cittadini l'insieme dei principi e delle previsioni del diritto internazionale, riservando alla loro trattazione nei lavori parlamentari uno spazio specifico e privilegiato, al riparo dall'insopportabile improvvisazione che caratterizza il nostro procedimento legislativo. Se in ogni ambito della vita sociale l'incertezza del diritto esercita un'influenza nefasta, sul piano dei diritti delle persone tale influenza assume contorni ancor più negativi per la sua immediata valenza esistenziale.
  La Convenzione dell'Aja del 1996 mira esattamente a introdurre elementi di maggiore certezza e definizione nel campo della tutela dei minori rispetto alla precedente Convenzione del 1961, che, se da un lato aveva chiaramente individuato i principi fondamentali dei diritti dei minori e gli obblighi degli Stati nei loro confronti, d'altro lato aveva lasciato margini di incertezza nella definizione univoca dell'autorità competente a provvedere alla protezione della persona e dei beni del minore nel caso in cui quest'ultimo si trovasse in un Paese diverso dal proprio. Poteva così accadere, ed è di fatto accaduto, che la responsabilità della tutela del minore venisse di volta in volta addossata allo Stato di provenienza piuttosto che allo Stato di residenza, lasciando il minore in una condizione di incertezza e di esposizione al rischio.
  È noto infatti che nel corso degli ultimi decenni la condizione di molti minori nel mondo si è trovata sempre più esposta a possibilità di sfruttamento, violenza e abusi e che l'imponente crescita del fenomeno Pag. 104migratorio, connessa a guerre civili, oppressioni, carestie, persecuzioni, ha visto coinvolto in prima fila un grandissimo numero di bambini e minori. Una chiara definizione dei soggetti, a cui la tutela dei minori è in carico, è dunque fondamentale per evitare il più possibile violenze e abusi e per consentire anche a quanti – famiglie, associazioni o Stati – si fanno carico della loro accoglienza di operare in un quadro chiaro e trasparente. Per queste ragioni la ratifica di questa Convenzione è un atto non solo dovuto in quanto obbligo comunitario, ma è fortemente sostenuta da quanti si occupano dei minori stranieri in difficoltà, siano esse associazioni o magistrati o avvocati costretti ad operare in una situazione confusa e talvolta contraddittoria, come testimonia la stessa giurisprudenza recente in materia nel nostro Paese.
  Il principio fondamentale che regge la Convenzione è quello chiaramente enunciato dal diritto internazionale in materia di infanzia, ossia quello del best interest del minore (cfr. ONU, Convenzione sui diritti dell'infanzia, articolo 3 comma 1), che deve sempre prevalere sia rispetto alla sua appartenenza a una determinata nazionalità, sia rispetto alla rigida applicazione della legislazione nazionale del Paese ospitante.
  In questo senso la Convenzione stabilisce con chiarezza che l'autorità competente in materia di tutela è quella dello Stato in cui concretamente si svolge la vita del minore, ossia dove si trovano i suoi interessi e i suoi legami familiari, indipendentemente dalla sua nazionalità. È evidente – in questo caso di tutela di un soggetto debole, rispetto al quale il fattore tempestività ed efficacia rileva in modo singolare –, l'importanza che la responsibility to protect sia in capo all'autorità più vicina al soggetto interessato secondo quel principio di prossimità che ha radici antiche sul piano dei principi morali e che trova sempre maggiore accoglienza nel diritto europeo e secondo quell'attenzione al radicamento del minore nel suo ambito vitale.
  Sull'altro fronte, la ricerca del best interest del minore, nonché la natura pattizia della Convenzione basata sul reciproco riconoscimento dei soggetti contraenti, impone ad ogni Stato di «riconoscere» le misure di protezione adottate dalle autorità di uno Stato contraente – salvo eccezioni dettagliatamente indicate – «come se fossero state adottate dalle proprie autorità». Questo riconoscimento dell'ordinamento «altro da sé» è espressione concreta di quella visione del pluralismo degli ordinamenti giuridici che è alla base del diritto internazionale e dello stesso diritto europeo e che si rende particolarmente significativo in materia di diritto di famiglia, ossia di quel diritto che regolamenta le relazioni più intime tra le persone e che dunque più di ogni altro ha a che fare con la sfera delle convinzioni soggettive in ambito morale e religioso, delle tradizioni, dei costumi degli individui e dei popoli. Ciò è reso esplicito dalla Carta dei diritti fondamentali dell'UE (articolo 9) e dai numerosi pronunciamenti della Corte Europea dei Diritti Umani in materia. Non si tratta semplicemente di riconoscere la validità di istituti giuridici di altri Paesi all'interno del nostro ordinamento, ma più profondamente di coglierne il significato, i valori e le relazioni che essi mettono in forma, per farli positivamente interagire da un lato con i principi fondamentali dei diritti umani indisponibili, dall'altro con gli istituti e le norme della nostra tradizione giuridica in modo da realizzare al meglio, attraverso gli strumenti del diritto, quel rispetto della dignità di ogni persona che sta alla base di ogni iniziativa volta alla tutela dei minori.
  In quest'ottica la Convenzione dell'Aja prevede il riconoscimento non solo di quelle forme di responsabilità genitoriale codificate negli istituti dell'adozione o dell'affido tipici dei nostri ordinamenti, ma anche di quelle forme di tutela dei minori in stato di difficoltà o di abbandono previsti da altre tradizioni come, nel caso dei Paesi islamici, la kafala.
  Nei Paesi che ispirano la propria legislazione ai precetti coranici non esiste rapporto di filiazione diverso dal legame Pag. 105biologico di discendenza che derivi da una unione lecita. La legge islamica, dunque, non ammette l'istituto dell'adozione in senso stretto. Tuttavia, per evitare che figli senza genitori restino del tutto sprovvisti di tutela, il diritto islamico prevede lo specifico istituto della kafala, per effetto del quale un adulto musulmano (o una coppia di coniugi) ottiene la custodia del minorenne, in stato di abbandono, che non sia stato possibile affidare alle cure di parenti, nell'ambito della famiglia. La disciplina dell'istituto assume connotazioni specifiche nei diversi ordinamenti islamici; è, però, possibile individuare i tratti essenziali e comuni di questa particolare forma di affidamento. Il rapporto che si instaura tra affidatario (kafil) e minore (makfoul) non crea vincoli ulteriori rispetto all'obbligo del primo di provvedere al mantenimento e all'educazione del secondo, fino a quando questi raggiunga la maggiore età. Tra i due non si determina alcun rapporto di filiazione e, quindi, non si producono effetti legittimanti: il bambino non assume il cognome di chi ne ha ottenuto la custodia; non acquista diritti né aspettative successorie nei suoi confronti; non instaura legami giuridici con la famiglia di accoglienza, né interrompe i rapporti con il proprio nucleo familiare di origine. La kafala è in sostanza un affidamento che si protrae fino alla maggiore età, e non trova ad oggi espresse corrispondenze nell'ordinamento giuridico italiano.
  La ratifica della Convenzione, che riconosce esplicitamente la kafala, impone quindi di trovare figure giuridiche capaci di contenere in sé la tipicità di questo istituto in modo da conciliare due esigenze: da un lato, il bisogno di tutela del minore in condizione di kafala alla pari di altri minori per evitare ingiuste e irragionevoli discriminazioni sulla base di motivazioni etniche o religiose; dall'altro, l'esigenza di rispettare la cultura e gli ordinamenti dei Paesi di origine, che, avendo vietato esplicitamente l'adozione, si troverebbero costretti a respingere misure di solidarietà nei confronti di minori, a cui fosse impossibile fornire assistenza nel Paese di origine, laddove tali misure si potessero configurare esclusivamente come «adozioni». Di qui la necessità che il diritto si allarghi in forme plurali a riconoscere e disciplinare quelle forme di tutela dei minori in stato di difficoltà o di abbandono che rispondono nelle diverse tradizioni religiose e culturali alla comune obbligazione morale della protezione dei minori abbandonati (tra i molti esempi Codice di Hammurabi 177; Esodo 22, 21; Giacomo 1, 27; Corano sur. IV).
  Una chiara definizione della questione si rende anche necessaria per superare la situazione di incertezza creatasi da una giurisprudenza italiana che in materia non è univoca, in quanto si registrano sia pronunce che negano il riconoscimento della kafala nel nostro ordinamento (Cass. n. 19450 del 2011) sia pronunce che ne riconoscono la rilevanza a determinati fini (Cass. n. 7472 del 2008). Di qui l'esigenza, più che di assimilare la kafala ad uno degli istituti esistenti, di «inventare (nel senso dell’inventio iuris) la figura giuridica corrispondente alla kafala riunendo caratteristiche e rationes di diversi istituti disciplinati in Italia» (M. Nisticò, Kafala islamica e condizione del figlio minore. La rilevanza della kafala nell'ordinamento italiano, 2013). Ciò si è fatto con il presente disegno di legge che riconosce e inquadra la kafala entro le forme di «assistenza legale» al minore, intendendo con questa espressione «l'assistenza giuridica, morale e materiale, nonché la cura affettiva di un minore». In altri ordinamenti si parla di «accueil» o di «permanent care». In questo modo si apre la possibilità di riconoscere all'interno del nostro ordinamento giuridico forme di protezione dei minori, in stato di abbandono o meno, che siano debitamente prospettate dalle competenti autorità straniere e accuratamente vagliate dalle autorità italiane secondo i criteri più oltre descritti.
  La forma dell’«assistenza legale» non aggira in alcun modo l'istituto dell'adozione internazionale e le sue procedure. La Convenzione infatti esclude esplicitamente Pag. 106dal proprio ambito la materia dell'adozione, né l'assistenza legale produce effetti simili ad essa. Come si è detto la sua ratio risiede proprio nel cercare di fornire protezione a quelle situazioni a cui l'istituto dell'adozione non può provvedere per ragioni di rispetto degli ordinamenti dei Paesi di origine e delle culture di provenienza. Anche in questo caso si deve ricordare come l'interesse fondamentale sia sempre quello del minore rispetto alle aspettative di coloro che lo accolgono. Su questo punto non si può che ribadire quanto la Corte Europea dei Diritti Umani ha affermato con chiarezza dicendo che non vi è un «diritto ad adottare in quanto tale» e che anche in caso di adozione lo scopo «è quello di “dare al bambino una famiglia” e non “alla famiglia un bambino”» (CEDO, Frette c. France, requéte no 36515/97, 26 febbraio 2002).
  La Convenzione – che interviene in un ambito già trattato dalla precedente Convenzione dell'Aja del 1961 di cui intende superare alcune difficoltà applicative – è stata firmata dall'Italia il 1o aprile 2003 e consta di 63 articoli.
  Gli articoli 1- 4 (capitolo I) ne delineano il campo di azione. In particolare, l'articolo 1 della Convenzione ne individua le finalità, che sono la determinazione dello Stato le cui autorità sono competenti ad adottare le misure volte alla protezione della persona o dei beni del minore; la determinazione della legge applicabile da tali autorità nell'esercizio della loro competenza; la determinazione della legge applicabile alla responsabilità genitoriale; la garanzia del riconoscimento e dell'esecuzione delle misure di protezione del minore in tutti gli Stati contraenti; lo stabilimento, fra le autorità degli Stati contraenti, della cooperazione necessaria alla realizzazione degli obiettivi della Convenzione.
  L'articolo 2 dispone l'applicazione della Convenzione ai minori dal momento della nascita fino al compimento dei 18 anni.
  Ai sensi dell'articolo 3 rientrano nel campo di applicazione della Convenzione l'attribuzione, l'esercizio e la revoca – totale o parziale – della responsabilità genitoriale; il diritto di affidamento; la tutela, la curatela e gli istituti analoghi; la designazione e le funzioni di qualsiasi persona od organismo incaricato di occuparsi del minore o dei suoi beni; il collocamento del minore in famiglia di accoglienza o in istituto anche mediante Kafala o istituto analogo; la supervisione da parte delle autorità pubbliche dell'assistenza fornita al minore da qualsiasi persona se ne faccia carico; l'amministrazione, conservazione o disposizione dei beni del minore.
  Sono esclusi dal campo della Convenzione l'accertamento e la contestazione della filiazione; la decisione e la revoca sull'adozione e le misure preparatorie; il cognome e nome del minore; l'emancipazione; gli obblighi agli alimenti; le amministrazioni fiduciarie e le successioni; la previdenza sociale; le misure pubbliche generali in materia di istruzione e sanità; le misure adottate in conseguenza della commissione di reati da parte del minore; le decisioni in materia di diritto d'asilo e di immigrazione (articolo 4).
  Gli articoli 5-14 (capitolo II) della Convenzione in esame riguardano la competenza.
  In particolare l'articolo 5 individua nelle autorità giudiziarie ed amministrative dello Stato contraente di residenza abituale del minore quelle competenti all'adozione di misure tendenti alla protezione della sua persona e dei suoi beni.
  Con gli articoli 15-22 (capitolo III) si dettano disposizioni in materia di legge applicabile.
  Gli articoli 23-28 (capitolo IV) si incentrano su riconoscimento ed esecuzione. In particolare con l'articolo 23 è stabilito che le misure adottate dalle autorità di uno Stato contraente saranno riconosciute di pieno diritto negli altri Stati contraenti. La norma prevede, tuttavia, una serie di ipotesi all'inverarsi delle quali il riconoscimento potrà essere negato.
  La cooperazione è considerata dagli articoli 29-39 (capitolo V). L'articolo 29 prevede che ogni Stato contraente designi Pag. 107un'autorità centrale incaricata di adempiere gli obblighi derivanti dalla Convenzione. Le Autorità centrali devono cooperare fra loro e promuovere la cooperazione fra le autorità competenti del proprio Stato per realizzare gli obiettivi della Convenzione. Esse, nell'ambito dell'applicazione della Convenzione, adottano le disposizioni idonee a fornire informazioni sulla loro legislazione, nonché sui servizi disponibili nel loro Stato in materia di protezione del minore (articolo 30).
  Gli articoli 40-56 (capitolo VI) recano le disposizioni generali.
  Gli articoli 57-63 (capitolo VII) recano le clausole finali.
  Passando all'esame del disegno di legge, occorre premettere come le Commissioni riunite II e III hanno svolto un'istruttoria particolarmente approfondita, procedendo anche all'audizione del Presidente della Commissione per le adozioni internazionali presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, del Capo del Dipartimento per la giustizia minorile del Ministero della Giustizia, di rappresentanti dell'Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e per la famiglia, dell'Associazione CamMiNo-Camera nazionale avvocati per la famiglia ed i minorenni, dell'Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori, dell'Associazione amici dei bambini, dell'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie
  Le audizioni hanno fornito dei contributi molto rilevanti, dei quali si è tenuto conto al fine di apportare alcune modifiche al testo.
  Vi è stata comunque, da parte dei relatori e delle Commissioni, una sostanziale condivisione dell'impostazione di base del provvedimento, che configura gli istituti di cui agli articoli 4 e 5 (qualificati come «affidamento» o «assistenza legale» di minori) come forme di affidamento sui generis, che si protraggono fino alla maggiore età. Si è condiviso, segnatamente, il riferimento contenuto nell'articolo 4, comma 7, e nell'articolo 5, comma 11 al rapporto tipicamente scaturente dall'affidamento familiare e, di conseguenza, non sono state accolte le proposte emendative volte, con varie formulazioni, ad estendere l'ambito di tale rapporto fino ad equipararlo sostanzialmente al rapporto di filiazione. Ciò anche al fine di evitare che la produzione di effetti legittimanti potesse determinare uno sviamento rispetto allo scopo dell'istituto della kafala nonché l'elusione delle norme sull'adozione internazionale.
  Passando allo specifico esame delle disposizioni, l'articolo 3 è dedicato alle definizioni e consente di individuare nel Ministero della Giustizia, Dipartimento per la Giustizia minorile, l'autorità centrale italiana, incaricata di adempiere gli obblighi derivanti dalla Convenzione e di individuare nella Commissione per le adozioni internazionali l'autorità competente italiana. In particolare il disegno di legge attribuisce alla Commissione l'approvazione della proposta di assistenza legale, tramite kafala o istituto analogo, di un minore in stato di abbandono, emessa dall'autorità giudiziaria di altro Stato contraente.
  Nel corso dell'esame in sede referente, le Commissioni hanno esteso la portata della definizione di «assistenza legale». Si è ritenuto, in particolare, di mantenere il nomen juris «assistenza legale», per qualificare questa forma sui generis di affidamento familiare (tramite kafala o istituto analogo), delineandone però il contenuto con riferimento agli aspetti relativi all'assistenza giuridica, morale, materiale e alla cura affettiva del minore (definizione conforme alla giurisprudenza della Corte di Cassazione).
  Le Commissioni hanno, inoltre, aggiunto una nuova disposizione che individua la competenza del tribunale per i minorenni. In particolare, si è ritenuto opportuno prevedere che l'autorità indicata dagli artt. 6, 11 e 12 della Convenzione e competente ad adottare i provvedimenti di urgenza sia il Tribunale per i minorenni.
  Gli articoli 4 e 5 delineano le diverse procedure da seguire per il collocamento Pag. 108in Italia di minori stranieri a seconda che gli stessi si trovino o meno in stato di abbandono.
  In particolare, l'articolo 4 delinea la procedura da seguire quando debba essere collocato in Italia un minore straniero che non si trovi in stato di abbandono. La disposizione precisa che questa procedura non si applica ai minori che giungono in Italia nell'ambito di programmi solidaristici di accoglienza temporanea (comma 8).
  Il disegno di legge delinea il seguente percorso:
   l'autorità competente straniera propone all'autorità centrale italiana (Ministero della Giustizia) il collocamento o l'assistenza legale del minore presso una persona, una famiglia o una struttura di accoglienza in Italia, motivando la proposta e illustrando la situazione del minore (comma 1);
   il Ministero della Giustizia – Dipartimento per la giustizia minorile trasmette gli atti al tribunale per i minorenni. L'autorità giudiziaria competente è individuata in base alla residenza della famiglia o struttura di accoglienza (comma 1); le Commissioni hanno precisato gli atti vadano trasmessi al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni e il procuratore, valutata la regolarità della proposta, presenti ricorso al tribunale stesso;
   il tribunale per i minorenni può chiedere ulteriori informazioni sul minore, tramite il Ministero, e deve assumere informazioni, tramite i servizi sociali o le ASL, sulle persone o la struttura individuata per l'assistenza (comma 2). In particolare (comma 3), il tribunale dovrà verificare che persone e struttura siano capaci di provvedere all'educazione, all'istruzione e al mantenimento del minore; siano disponibili a favorire il contatto tra il minore e la famiglia e cultura d'origine; rispettino specifici requisiti di onorabilità e relativi alla normativa sull'immigrazione. Le Commissioni hanno precisato al comma 2 che la documentazione debba attestare anche l'ascolto del minore;
   in esito a tale istruttoria, il tribunale per i minorenni approva o respinge con decreto motivato la proposta, comunicando la decisione al Ministero (comma 2); le Commissioni hanno stabilito che il decreto del tribunale sulla proposta misura di protezione sia reclamabile entro 15 giorni dal p.m. e dagli aspiranti all'assistenza legale;
   il Ministero trasmette il decreto del tribunale all'autorità competente straniera, all'ufficio consolare italiano all'estero, al giudice tutelare e ai servizi socio-assistenziali e alla questura del luogo in cui si stabilirà il minore, nonché alla persona, famiglia o struttura di accoglienza identificata (comma 4); le Commissioni hanno previsto che in ogni caso il decreto definitivo debba essere comunicato dal tribunale per i minorenni all'autorità centrale italiana;
   l'ufficio consolare italiano nel paese in cui si trova il minore rilascia il visto d'ingresso (comma 5); spetta al Ministero della giustizia dare comunicazione del visto alle competenti autorità straniere;
   il questore rilascia al minore che non sia cittadino dell'Unione europea un permesso di soggiorno (ai sensi dell'articolo 5 del TU immigrazione) per assistenza legale, della durata di 2 anni, rinnovabile per periodi di uguale durata se permangono le condizioni che ne hanno giustificato il rilascio (comma 6).

  Il minore che entra in Italia in base a questa procedura, come accennato, può beneficiare di tutti i diritti riconosciuti al minore in affidamento familiare.
  L'articolo 5 disciplina invece l'ipotesi di assistenza legale al minore straniero che si trova nel proprio paese in stato di abbandono ed è consentita a coniugi residenti in Italia rispetto ai quali il tribunale abbia emesso un decreto di idoneità all'adozione e in possesso dei requisiti per l'adozione (le Commissioni hanno previsto che siano necessari i soli requisiti per l'adozione).Pag. 109
  In tale ipotesi, il procedimento da seguire è il seguente:
   la richiesta degli interessati è presentata alla Commissione per le adozioni internazionali, con indicazione dell'ente o del servizio che li assistono nelle procedure (ai sensi degli articoli 39-bis e 39-ter della legge n. 184 del 1983); le Commissioni hanno inserito il riferimento agli «aspiranti all'assistenza legale» in luogo degli «interessati»;
   la Commissione per le adozioni internazionali inoltra la richiesta all'autorità competente straniera, unitamente alla documentazione comprovante l'idoneità degli aspiranti all'assistenza legale (comma 3);
   l'ente autorizzato o il servizio pubblico svolgono le attività previste dall'articolo 31 della legge sulle adozioni;
   la Commissione per le adozioni internazionali riceve dall'autorità competente straniera la proposta di accoglienza del minore in regime di assistenza legale, unitamente a tutte le informazioni relative allo stato di abbandono del minore, all'impossibilità di un suo collocamento familiare nel paese di provenienza, al consenso degli interessati, alle informazioni sulla situazione personale del minore, le sue necessità particolari e le informazioni che gli sono state fornite tenendo conto dell'età e della maturità personale (comma 5);
   la Commissione decide dunque, sulla scorta di tali informazioni, di approvare o respingere la richiesta di assistenza legale dandone, in caso di esito positivo, comunicazione all'ente autorizzato (o al servizio pubblico), al tribunale per i minorenni e ai servizi sociali (comma 6);
   la stessa Commissione riceve dall'autorità straniera l'autorizzazione al trasferimento permanente del minore in Italia e ne autorizza a sua volta l'ingresso in Italia (dandone comunicazione all'ufficio consolare, al tribunale per i minorenni, al giudice tutelare, all'ente autorizzato e alla questura (comma 8));
   l'ufficio consolare italiano nel paese in cui si trova il minore rilascia il visto d'ingresso (comma 9);
   il questore rilascia al minore che non sia cittadino dell'Unione europea un permesso di soggiorno (ai sensi dell'articolo 5 del TU immigrazione) per assistenza legale, della durata di 2 anni, rinnovabile per periodi di uguale durata se permangono le condizioni che ne hanno giustificato il rilascio (comma 10);
   anche il minore che entra in Italia in base a questa procedura può beneficiare di tutti i diritti riconosciuti al minore in affidamento familiare (comma 11). I servizi sociali assistono il minore e la famiglia che lo accoglie, riferendo periodicamente al tribunale per i minorenni;
   il giudice tutelare conferisce ai coniugi le funzioni di tutore e di protutore e si applicano, ove compatibili, le disposizioni sulla scelta del tutore previste dall'articolo 348 del codice civile.

  L'articolo 5 specifica che nelle more della procedura non può esservi alcun contatto tra coloro che richiedono l'assistenza legale del minore e i genitori del minore o chiunque altro di cui sia necessario il consenso (comma 8). Con previsione di chiusura, infine, la norma in commento aggiunge che si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni sull'ingresso nel territorio nazionale in possesso di visto (articolo 33), sulle informazioni di salute (articolo 37) e sull'applicazione al minore straniero in stato di abbandono in Italia della nostra normativa su adozione e affidamento (articolo 37-bis) previste dalla legge n. 184 del 1983, Diritto del minore ad una famiglia.
  L'articolo 6 stabilisce quali disposizioni della normativa in tema di immigrazione possano trovare applicazione in caso di minore presente nel nostro paese per assistenza legale. In particolare, il comma 1 dispone che al minore di Paesi non UE, entrato in Italia in base agli articoli 4 e 5, si applicano le disposizioni sulla conversione del permesso di soggiorno di cui all'articolo 32 del TU immigrazione.Pag. 110
  Su tale disposizione sarà forse opportuno riflettere ulteriormente, atteso che, mentre la rubrica dell'articolo 5 si riferisce alla «conversione del permesso di soggiorno», facendo pensare ad una forma di automatismo, il richiamato l'articolo 32 del TU immigrazione prevede la mera «possibilità» del rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di studio o di lavoro.
  Il comma 2 esclude invece che ai medesimi minori si possano applicare le disposizioni dell'articolo 29, commi 2 e 5, del TU immigrazione, in tema di ricongiungimento familiare.
  L'articolo 7 disciplina l'ipotesi in cui il minore che necessita di assistenza legale sia residente in Italia e la sua collocazione debba essere effettuata all'estero, presso una persona, una famiglia o una struttura di accoglienza in un altro Stato contraente. In questo caso l'esigenza di collocamento sarà rilevata dall'autorità giudiziaria italiana che, per il tramite del Ministero della giustizia – Dipartimento per la giustizia minorile, inoltrerà la richiesta e la documentazione all'autorità competente dello Stato estero (comma 1). La stessa autorità centrale italiana, ovvero il Ministero, inoltrerà all'autorità giudiziaria il provvedimento emesso dallo Stato estero (comma 2); l'autorità giudiziaria, adotterà quindi il provvedimento di affidamento del minore (comma 3).
  L'articolo 8 novella le disposizioni penali della legge n. 184 del 1983 al fine di estendere le sanzioni penali – già previste per la violazione della legge in materia di adozione – alle fattispecie commesse in violazione della legge in commento, di ratifica della Convenzione dell'Aja.
  L'articolo 9 novella la legge n. 218 del 1995, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, aggiornando il riferimento alla Convenzione dell'Aja del 1961, che disciplinava la medesima materia, con quello alla Convenzione dell'Aja del 1996, oggetto di ratifica (articolo 42).
  L'articolo 10 riguarda le misure di protezione disposte da Stati non aderenti alla Convenzione, secondo un modello analogo a quello adottato con riguardo alla Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a L'Aja il 29 maggio 1993 (v. articolo 36 della legge n. 184 del 1983, e successive modificazioni). Prevede pertanto che le disposizioni contenute negli articoli 4, 5 e 6 della legge (l'affidamento o l'assistenza legale di un minore non in situazione di abbandono, l'assistenza legale di un minore in stato di abbandono e le norme relative alla conversione, nei casi suddetti, del permesso di soggiorno), si applicheranno, in quanto compatibili, anche alle misure di protezione che comportino il collocamento nel territorio italiano di un minore residente in un Paese non aderente alla Convenzione dell'Aja del 1996, né firmatario di altri accordi bilaterali. Similmente, le disposizioni dell'articolo 7, relative al collocamento all'estero di un minore residente in territorio italiano, si applicheranno – in quanto compatibili – anche qualora il collocamento del minore debba avvenire nel territorio di un Paese non aderente alla Convenzione, né firmatario di accordi bilaterali.
  L'articolo 11 stabilisce che, con regolamenti da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, siano disciplinate le modalità operative per l'attuazione degli articoli 4 e 5. I regolamenti sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con i Ministri degli affari esteri, dell'interno, della giustizia, del lavoro e delle politiche sociali e per l'integrazione.
  L'articolo 12 contiene la clausola di invarianza finanziaria.
  L'articolo 13 detta disposizioni transitorie. L'articolo fa salvo in primo luogo quanto previsto dall'articolo 8 della legge n. 218 del 1995. Prevede poi che si applichino ai giudizi instaurati a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di ratifica le disposizioni di modifica dell'articolo 42 della legge n. 218 del 1995 (articolo 9, comma 1, lettera b), del disegno di legge), nella parte in cui stabilisce Pag. 111che nel nostro diritto internazionale privato la Convenzione dell'Aja del 19 ottobre 1996 sia la fonte regolatrice delle misure di protezione dei minori, con riguardo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento, all'esecuzione e alla cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori. Analogamente, il comma 2 dell'articolo 13 stabilisce che le nuove disposizioni si applicano alle istanze finalizzate all'ingresso di un minore straniero, in affidamento o in assistenza legale, presentate a decorrere dalla data della loro entrata in vigore.
  L'articolo 14 reca la clausola di immediata entrata in vigore della legge.

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