Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 241 di lunedì 9 giugno 2014

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI

  La seduta comincia alle 14.

  RAFFAELLO VIGNALI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 30 maggio 2014.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amici, Baldelli, Bellanova, Mariastella Bianchi, Biondelli, Bobba, Bocci, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Brescia, Bressa, Brunetta, Busto, Caparini, Caruso, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, Costa, Dambruoso, De Girolamo, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Galati, Giacomelli, Gozi, La Russa, Legnini, Leone, Lorenzin, Lotti, Lupi, Marazziti, Giorgia Meloni, Merlo, Migliore, Orlando, Pes, Pisicchio, Pistelli, Portas, Ravetto, Realacci, Rossi, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Sisto, Speranza, Tabacci, Taglialatela, Velo e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente sessantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

  Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Trasmissione dal Senato di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissioni in sede referente (ore 14,02).

  PRESIDENTE. Il Presidente del Senato, con lettera in data 6 giugno 2014, ha trasmesso alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alle Commissioni riunite V (Bilancio) e VI (Finanze):
   S. 1465. – «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, recante misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale. Deleghe al Governo per il completamento della revisione della struttura del bilancio dello Stato, per il riordino della disciplina per la gestione del bilancio e il potenziamento della funzione del bilancio di cassa, nonché per l'adozione di un testo unico in materia di contabilità di Stato e di tesoreria» (2433) – Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), III, IV, VII, VIII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), IX, X (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale), XII, XIII e XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Pag. 2

  Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

In morte dell'onorevole Ugo Marchesi.

  PRESIDENTE. Comunico che è deceduto l'onorevole Ugo Marchesi, già membro della Camera dei deputati dalla III alla IV legislatura.
  La Presidenza della Camera ha già fatto pervenire ai familiari le espressioni della più sentita partecipazione al loro dolore, che desidera ora rinnovare anche a nome dell'Assemblea.

Modifica nella composizione dell'ufficio di presidenza di un gruppo parlamentare.

  PRESIDENTE. Comunico che, con lettera pervenuta in data 6 giugno 2014, il deputato Andrea Romano ha comunicato le sue dimissioni, a decorrere dal 4 giugno 2014, da presidente del gruppo parlamentare Scelta Civica per l'Italia. Con la medesima lettera ha comunicato altresì che, nelle more dell'elezione del nuovo presidente, le relative funzioni saranno esercitate dal deputato Antimo Cesaro, vicepresidente vicario del gruppo.

Discussione del disegno di legge: Disposizioni concernenti partecipazione a Banche multilaterali di sviluppo per l'America latina e i Caraibi (A.C. 2079-A) (ore 14,05).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 2079-A: Disposizioni concernenti partecipazione a Banche multilaterali di sviluppo per l'America latina e i Caraibi.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2079-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore, onorevole Gentiloni Silveri.

  PAOLO GENTILONI SILVERI, Relatore. Signor Presidente, il disegno di legge su cui riferisco riguarda, come il Presidente ci ha ricordato dal titolo, la nostra partecipazione a due banche multilaterali dell'area latino-americana e caraibica. Si tratta in particolare della Banca di sviluppo dei Caraibi e della Banca interamericana di sviluppo. L'Italia partecipa finanziariamente a questi organismi onorando impegni di lunga data, nel caso della Banca dei Caraibi risalenti al 1988, nel caso della Banca interamericana al 1977.
  Direi che con questo provvedimento c’è anche una conferma dell'interesse del nostro Paese allo sviluppo economico in particolare di queste due aree, Carabi e America latina. Con l'America latina, in modo particolare, abbiamo un interscambio molto significativo (22 miliardi, ad esempio, lo scorso anno) e il continente, com’è noto, attraversa una fase di relativa crescita economica. I tassi di crescita del PIL latino-americano sono attorno al 4 per cento nel 2013 e nelle previsioni 2014, anche se restano problemi sociali enormi.
  Credo che vada anche ricordato che queste nostre partecipazioni provocano non solo una ricaduta positiva indiretta sull'economia italiana, come in generale il contributo allo sviluppo provoca, ma anche un effetto diretto, ossia la possibilità per imprese nazionali di partecipare a gare d'appalto finanziate dai prestiti erogati da queste due istituzioni bancarie.Pag. 3
  L'impegno finanziario di cui al provvedimento, che deriva dalle decisioni di ricapitalizzazione prese da queste due banche, è valutato per la Banca di sviluppo dei Caraibi in 3 milioni di euro circa quest'anno, 1 milione e mezzo ciascuno l'anno prossimo e nel 2016, altri 3 milioni di euro nel 2017. Per la Banca interamericana si tratta di sottoscrivere 9.800 azioni, di cui 238 sono quelle a pagamento, per – anche qui – poco meno di 3 milioni di dollari americani. A questa sottoscrizione, per la Banca interamericana, si provvede nei limiti delle risorse già autorizzate per la partecipazione al capitale della stessa e, come ci ha ricordato il Viceministro Morando in audizione, ci si avvale di una plusvalenza di cambio per sottoscrivere queste nuove azioni.
  Se, dunque, Presidente, questo è sinteticamente il contenuto del provvedimento, vorrei dedicare un paio di altri minuti nel riferire delle problematiche che sono emerse nella discussione, nell'esame approfondito che c’è stato in Commissione, dove mi pare siano emersi in particolare tre punti. Il primo: ha senso, vista la situazione della finanza pubblica, confermare impegni di questo genere ? Credo – questo è l'orientamento emerso dalla maggioranza della Commissione – che abbia assolutamente senso, in primo luogo per un principio di continuità nella politica estera, che è fondamentale, cioè gli impegni in questi organismi multilaterali non possono essere soggetti a cambiamenti di anno in anno, a seconda della congiuntura, soprattutto per un grande Paese come l'Italia, che è uno dei Paesi principali per attività di impresa all'estero. E credo che sia importante proseguire anche per i vantaggi che ne ricaviamo. Solo per la Banca interamericana – ci ha riferito il Governo –, ad esempio, nell'ultimo triennio le nostre imprese si sono giovate di investimenti finanziati dalla Banca interamericana per circa 91 milioni di dollari americani: quindi, c’è anche un ritorno immediato.
  Ha senso continuare in questi investimenti, occorre tuttavia – e questo è il secondo punto – rafforzarne l'inquadramento nel quadro della nostra politica estera e di cooperazione. E la riforma della cooperazione – che è in discussione al Senato (credo che si sia praticamente conclusa la discussione in Commissione) –, all'articolo 4, prevede effettivamente una maggiore sinergia tra Ministero dell'economia e delle finanze e Ministero degli affari esteri per questo obiettivo: un obiettivo che credo non sia più rinviabile, mi pare sia questo l'orientamento emerso dalla Commissione, ricordando il fatto che i due terzi dell'aiuto pubblico allo sviluppo italiano consistono in finanziamenti di questi organismi multilaterali, non di questi dell'America latina, della Banca mondiale e di altri grandi organismi.
  E quindi vale, in generale, questa esigenza di maggiore integrazione nelle linee guida della nostra politica estera e vale, in particolare, per il continente latino-americano. Non a caso in Commissione abbiamo addirittura modificato il titolo del provvedimento, per sottolineare – e ne discuteremo, forse, nella fase emendativa, anche in relazione all'idea di collegare questi investimenti alla Conferenza tra Italia e America latina e Carabi –, in sostanza: noi ci siamo, confermiamo i nostri investimenti, ma vogliamo che abbiano sempre più legame con le nostre strategie.
  Infine, signor Presidente – e concludo –, è emersa dal confronto in Commissione l'esigenza di un impegno sempre più puntuale e stringente da parte del Parlamento nella verifica dei risultati di questi finanziamenti e della trasparenza dell'operato di questi organismi multilaterali.
  C’è una relazione annuale del Ministero dell'economia e delle finanze fatta pervenire al Ministero degli affari esteri ma, al di là di questo, dell'occasione della relazione annuale, credo che sia molto importante una verifica sempre più stringente da parte del Parlamento di come funzionano questi organismi e che risultati si ottengono con questi finanziamenti. Su questi temi sono certo che si arricchirà, nell'esame dell'Aula, la valutazione del provvedimento, per arrivare, io credo, ad una positiva approvazione rapidamente.

Pag. 4

  PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
  È iscritto a parlare l'onorevole Amendola. Ne ha facoltà.

  VINCENZO AMENDOLA. Signor Presidente, io utilizzerò pochi minuti del tempo a mia disposizione perché non solo il lavoro preparatorio di questo provvedimento svolto dal relatore, ma anche l'approfondimento fatto in Commissione ci trovano non solo concordi, ma ci indicano anche una strada che dobbiamo seguire per ogni ratifica, soprattutto quando si parla di proiezione del nostro Paese all'estero, di investimenti e anche di lavoro nel sostegno di organizzazioni sovranazionali e multilaterali.
  Quindi, la relazione fatta sia in Commissione sia qui dal relatore Gentiloni Silveri ci trova pienamente concordi non solo sull'ispirazione e sui dati presentati, ma anche per un'elaborazione stessa della Commissione esteri. Infatti, è vero, c’è stato un dibattito tra tutte le forze politiche per evitare una ritualità nella ratifica e per trovare in questi provvedimenti anche degli elementi di novità. Sono ratifiche a sostegno di istituzioni cui il nostro Paese è legato da più di vent'anni, però è evidente che lo stato sia dell'economia sia della diplomazia sia dei rapporti tra il nostro Paese, l'Italia, dentro il quadro europeo, e gli Stati centroamericani e latinoamericani debba subire anche delle modifiche.
  Non è un caso che noi, come il relatore ha introdotto, abbiamo depositato, aperti alla discussione anche con i gruppi dell'opposizione, due emendamenti, su cui c’è stato già un primo confronto in Commissione. Il primo per istituire la Conferenza Italia-America latina e Caraibi, che ha una cadenza biennale senza – aggiungo – oneri aggiuntivi per lo Stato.
  Si tratta di un'esperienza che il nostro Paese fa da molti anni. Siamo l'unico Paese, insieme alla Spagna, che a scadenza biennale o annuale ha una conferenza a cui partecipano tutti i rappresentanti degli Stati latinoamericani e dei Caraibi, che vengono qui in Italia (l'ultima è stata proprio l'anno scorso) a discutere di possibili connessioni, cooperazione e sviluppo e anche di temi legati ai diritti e le libertà. Io credo che sarebbe, ed è, elemento di razionalizzazione di sistema che questa Conferenza non diventi una tantum, ma sia un elemento stabile della nostra politica estera, così come facciamo per altri continenti, e mi riferisco all'Africa.
  Il secondo emendamento nasce anche dalle sollecitazioni dell'opposizione che, come diceva il relatore, erano molto appropriate ed esatte. Infatti, spesso capita che nella sottoscrizione di ratifiche l'Italia faccia investimenti e sottoscriva, come nel caso delle due Banche, una quota; poi l'operatività e anche la possibilità che il nostro Paese ha di una diplomazia economica, anche dei soggetti sociali ed economici che partecipano e sviluppano attività a latere degli accordi, rimane quasi relativa ai soggetti che la estrinsecano.
  Quindi, l'idea di una relazione annuale non sta solo nella contabilità della spesa che facciamo, ma anche per avere un report aggiornato di come vengono utilizzati i soldi dei nostri contribuenti, delle modalità di partecipazione, e per evitare ciò che è stato fatto nel recente passato. Mi riferisco al caso che fu sollevato, ricordo – il relatore mi correggerà –, di operazioni di cooperazione per emergenze del terremoto di Haiti. Quindi, cercare di avere un report aggiornato di quelli che sono i lavori che questi organismi molto importanti di cooperazione e sviluppo mettono in campo.
  Quindi, nel presentare questi due emendamenti che sono integrativi, insieme alla modifica del titolo che abbiamo già fatto unitariamente in Commissione, credo che questa ratifica, che spesso, come capita, viene considerata rituale, abbia degli elementi che fanno sì che la nostra politica e la nostra proiezione verso America latina e Caraibi abbia un elemento di organicità maggiore: sia per quanto riguarda la strutturazione ed il confronto con quei Paesi, ma anche per quanto riguarda l'utilizzo dei fondi che, in una fase – come sottolineava il relatore – di crisi anche Pag. 5della finanza pubblica, possa essere più trasparente e più orientato ad una gestione e ad un intervento con le finalità che diciamo.
  Quindi, nel presentare questi due emendamenti e nel dare pieno sostegno alla relazione, agli argomenti presentati dal relatore, credo che il Parlamento faccia domani o nei giorni in cui si procederà alla votazione, un passaggio potrei dire di miglioramento della nostra proiezione, così come il Ministro Mogherini già da tempo ha organizzato all'inizio del suo mandato, di intervento, di sviluppo e di cooperazione con continenti a cui noi siamo legati, non solo per tradizioni e per legami con le popolazioni che vivono lì, ma anche siamo legati per uno sviluppo possibile di un'economia che sia più interdipendente, ma anche più giusta e orientata allo sviluppo dei diritti e delle libertà.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Picchi. Ne ha facoltà.

  GUGLIELMO PICCHI. Signor Presidente, ringrazio il relatore per la puntuale esposizione di questo provvedimento. Credo sia un buon esempio di come maggioranza e opposizione possano lavorare in Commissione, e quindi anche in Aula, per migliorare i provvedimenti. Credo che su questo provvedimento, anche con gli emendamenti che sono stati annunciati, questo miglioramento effettivamente ci sia stato. Rimane qualche domanda aperta, a cui il relatore ha sicuramente anticipato una risposta, ma manca una risposta definitiva dal Governo.
  Noi facciamo cooperazione a largo spettro, partecipando ad enti multilaterali, a banche multilaterali, facciamo spesso cooperazioni decentrate a più livelli. Sappiamo che la legge sulla cooperazione, che sta andando avanti al Senato, dovrebbe rimettere ordine in materia; rimane però la domanda di fondo: dove e quando noi facciamo cooperazione ? Non abbiamo ancora oggi un censimento di tutti gli interventi di cooperazione, diretta, indiretta, decentrata, che lo Stato e tutti gli enti che ne fanno parte, comprese regioni, province e comuni (anche se le province non ci sono più). Rimane questo fatto, che ci manca un censimento complessivo.
  L'altra domanda è: l'intervento, nello specifico, della ricapitalizzazione della Banca interamericana di sviluppo e della Banca di sviluppo dei Caraibi, se siano coerenti con la nostra proiezione estera come Paese. E qui la domanda ce la dobbiamo porre: è vero che questa ratifica viene da lontano, tuttavia non abbiamo tutte le risposte di cui necessiteremmo per un impegno economico non irrilevante, 10 milioni di euro per l'una e altrettanti per l'altra banca.
  Rimane la nostra convinzione di dover continuare la nostra politica estera con una continuità di linea, però un chiarimento di fondo su dove andiamo e perché ci andiamo si impone. È vero che le nostre imprese, soprattutto nel caso della Banca interamericana di sviluppo riescono a partecipare a progetti, per cui c’è un ritorno economico non indifferente da parte delle imprese italiane.
  Per quello che invece riguarda la Banca dei Caraibi qualche perplessità in più c’è tutta. Tuttavia, crediamo che l'Italia debba chiarirsi le idee su dove deve andare e perché ci deve andare e debba continuare con questo tipo di iniziative; la cooperazione allo sviluppo è fondamentale se si lega alle direttrici della nostra politica estera e soprattutto alla canalizzazione dei nostri investimenti e a portare le nostre imprese fuori. Serve trasparenza e mi sembra che gli emendamenti proposti vadano in questa direzione.
  Quindi, confermiamo una visione positiva sulla ratifica di questo provvedimento e tuttavia la domanda di fondo rimane: la proiezione estera dell'Italia deve essere in queste zone ? Deve avere un impegno economico di questa portata ? Su questo un chiarimento definitivo da parte del Governo si impone, pur tuttavia non faremo mancare l'appoggio a questo provvedimento.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sibilia. Ne ha facoltà.

Pag. 6

  CARLO SIBILIA. Signor Presidente, oggi si discute un provvedimento dal titolo «Disposizioni concernenti le partecipazioni a Banche multilaterali di sviluppo», ossia a delle banche all'interno delle quali molti Paesi investono denaro pubblico per favorire lo sviluppo di altri Paesi, in questo caso i beneficiari.
  Detto così ovviamente non ci sarebbe alcun motivo per sollevare perplessità ma i problemi sono tanti e partono proprio da un concetto fondamentale che è proprio il concetto della parola «sviluppo», cioè che cos’è lo sviluppo, che cosa intendiamo noi per sviluppo. Inoltre, sottolineo che questo non è un disegno di legge di ratifica, questo è un disegno di legge che può essere tranquillamente appunto emendato e noi abbiamo tutte, come parlamentari, le facoltà anche per sopprimere quegli articoli sui quali magari non siamo d'accordo. Perché, che cosa fa questo provvedimento ? Andiamo per gradi, e cominciamo a spiegare un po’ nel dettaglio il contenuto.
  Il disegno di legge consta di un unico articolo che si occupa del rifinanziamento delle quote di pertinenza della CDB, la Banca di sviluppo dei Caraibi il cui scopo è di contribuire alla crescita economica e allo sviluppo sostenibile dei Paesi membri della regione caraibica e di promuovere la cooperazione economica e l'integrazione regionale con particolare attenzione agli Stati meno sviluppati. Una banca fondata nel 1970 con sede nelle isole Barbados nella quale entriamo a far parte nel 1988 quando era Ministro degli esteri un certo Giulio Andreotti.
  Con questo provvedimento il Governo decide di finanziare 56 milioni di dollari, cioè più di 41 milioni di euro, fino al 2017. Questo è il nono aumento di capitale di questa banca: cioè prendiamo 41 milioni di euro dalle casse dello Stato e le diamo ad una Banca di sviluppo ai Caraibi. Quindi, dov’è che prendiamo questi soldi ? Basta andare a leggere l'articolo 171 della Legge di stabilità per il 2013 in cui si specificano nel dettaglio le quote dei contributi dovuti dall'Italia ai fondi multilaterali di sviluppo. Questo il conto: oltre 1 miliardo di euro per la Banca mondiale; 156 milioni per il Fondo globale per l'ambiente; 319,8 milioni per il Fondo africano di sviluppo; 127,6 milioni per il Fondo asiatico di sviluppo; 58 milioni per il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo e in ultimo, appunto, questo fondo di 5 milioni di euro circa per il Fondo speciale per lo sviluppo della Banca di sviluppo dei Caraibi. Banca che annovera tra i beneficiari noti paradisi fiscali come le Bahamas, le Barbados, le isole Cayman e le Vergini Britanniche.
  Il motivo di queste elargizioni qual è ? Il motivo è che, in una relazione del Ministero degli affari esteri di due anni fa, si spiegava che questa partecipazione dell'Italia va intesa come un segnale di sostegno ai Paesi della regione caraibica e, sebbene di modesta entità – per 41 milioni di euro oggi non so fino a che punto si possa parlare di modesta entità – presenta un valore simbolico elevato a favore del nuovo corso della Banca. Quindi noi stiamo dando questi soldi per il nuovo corso della Banca.
  Peccato che poi, quando si cerca di destinare le stesse simboliche cifre agli alluvionati della Sardegna piuttosto che ai terremotati della Emilia, ci sono difficoltà che non sono affatto simboliche, sono difficoltà reali, e quindi succede che gli italiani si trovano in situazioni di emergenza e sempre a bocca asciutta.
  La legge con la quale entriamo a far parte di questa banca multilaterale, la CEB, è la legge 17 maggio 1988, n. 198, anno in cui la politica aveva ancora una funzione decisionale, cioè aveva ancora una funzione che magari sopravanzava quella della finanza, dov'era ancora possibile individuare i responsabili di un provvedimento e il pilota automatico, chiamato Commissione europea o troika, non era stato ancora innestato e attivato. Con quella legge abbiamo sborsato oltre 37 miliardi di dollari, di cui 8,2 interamente versati e 29,3 a chiamata, insomma una montagna di denaro per partecipare ad una istituzione finanziaria con lo scopo di contribuire alla crescita economica e allo sviluppo dei paesi caraibici e di promuovere Pag. 7tra loro la cooperazione e l'integrazione economica, rivolgendo un'attenzione particolare ai bisogni dei Paesi non sviluppati della regione. Questa banca infatti, fra le altre attività, tramite il Fondo per lo sviluppo, concede prestiti anche a micro, piccole e medie imprese caraibiche o ai Governi dell'area per migliorare il settore pubblico e per lanciare programmi sanitari. Insomma, sto dicendo delle cose che spero siano abbastanza chiare, ossia io spero che i cittadini abbiano capito bene che questo provvedimento in sostanza va a finanziare le piccole e medie imprese dei Caraibi, cioè quelle con le palme, le isole da sogno, che i piccoli e medi imprenditori di tutta Italia sognano la notte; magari sognano di racimolare dei soldi per andare in quei paradisi, che vengono identificati come delle mete turistiche speciali, mentre noi andiamo a finanziare gli imprenditori che vivono lì. Evidentemente questo Governo crede che i nostri imprenditori non abbiano una necessità tale da dover essere finanziati, perché crede che i nostri imprenditori non abbiano bisogno di avere un finanziamento, anche se pur di 41 milioni di euro, e quindi pensano anche che si navighi un po’ nell'oro, poi non fa niente se le statistiche di Unioncamere ci dicono che, dall'inizio del 2014, in tre mesi, si sono avuti 3.600 fallimenti – nei primi tre mesi appunto del 2014 – circa 40 al giorno, il che significa più o meno due ogni ora. Ovviamente, abbiamo un aumento dei fallimenti pari al 22 per cento rispetto allo stesso periodo del 2013; questo significa che in Italia ci sono società – sia di capitali, sia di persone, sia imprese individuali – che, con una media del 22 per cento iniziano a fallire di continuo, cioè ogni due ore noi abbiamo una di queste società che in Italia fallisce. Questo giusto per spiegare insomma qual è il paradosso che si viene a creare: noi andiamo a dare dei soldi ad una banca, in un paradiso fiscale probabilmente, quindi alle isole Barbados, e ci dimentichiamo poi sostanzialmente di finanziare gli imprenditori locali italiani. Anche nel 1991 il nostro Paese ha sottoscritto una quota addizionale pari a 12,5 miliardi di dollari, di cui 2,8 subito e i restanti a chiamata. Ma qual è stata la contropartita per tutti questi soldi spesi in oltre vent'anni e che continuiamo naturalmente a versare ? In realtà, non si capisce bene, perché questa sostanzialmente è la prova del fatto che di soldi in realtà ce ne sono quanti se ne vuole, insomma si riesce a trovarli. Il problema è che vengono usati sistematicamente nella maniera sbagliata, cioè se noi andiamo a finanziare questo tipo di attività, facciamoci una domanda. Oggi abbiamo degli imprenditori... uno dei casi che stiamo seguendo da vicino, per esempio, è quello di Silvio Buttiglione, al quale hanno pignorato anche l'ultima casa e stiamo seguendo le aste perché anche Equitalia si è accanita contro questo imprenditore; grazie a Dio le ultime aste sono andate deserte, noi le abbiamo seguite e continueremo a seguirle, però ci rendiamo conto che abbiamo delle difficoltà in Italia e noi andiamo a finanziare delle banche. Partendo da questo presupposto, noi non avremmo nessuna difficoltà ad esempio a sopprimere questo articolo unico e rimandare la nostra partecipazione; in questo momento evidentemente abbiamo dei bisogni interni maggiori di quelli esterni, cioè penso che la priorità in questo momento sia di salvaguardare le piccole e medie imprese italiane e non quella di andare a finanziare le banche di sviluppo ai Caraibi e poi vedremo anche l'altra che è una Banca interamericana di sviluppo. Quindi, dicevamo che la relazione del Ministero degli esteri al Parlamento del 2010 aggiungeva anche un'altra cosa, che, sebbene l'interesse delle imprese italiane verso le operazioni della banca sia in crescita, solo sporadicamente gare internazionali per l'aggiudicazione di progetti finanziati dalla CDB vengono aggiudicate all'Italia, e i cittadini intanto continuano a pagare. Questo significa che i soldi che diamo a questa banca non ci danno in realtà nessun vantaggio oppure dei vantaggi molto esigui rispetto alla quantità di denaro che diamo a queste banche, cioè le nostre imprese in realtà Pag. 8non riescono ad avere un reale vantaggio da questo finanziamento che noi elargiamo.
  Quindi, questo è un punto che avvalora – e questo naturalmente è stato scritto dal Ministero degli affari esteri nel 2010 e non lo diciamo noi – il fatto che non c’è una reale necessità e una reale contropartita economica che arriva alle nostre piccole e medie imprese italiane.
  L'altra banca che beneficerà dei nostri soldi è la Banca interamericana di sviluppo, che è stata fondata nel 1959: è la più grande fonte di finanziamento allo sviluppo della regione latinoamericana e caraibica. L'Italia detiene quote pari all'1,84 per cento, avendo sottoscritto un capitale di circa due miliardi di dollari, su un totale di 116 miliardi dollari.
  Con questo provvedimento, aumenta ancora la nostra quota perché, votando favorevolmente a questo provvedimento, nel caso in cui non vi siano modifiche durante la discussione, i Paesi Bassi e il Venezuela, naturalmente essendosi resi conto che la gente nei loro Paesi moriva di fame, hanno pensato di non essere più interessati al nuovo aumento di capitale di questa banca e quindi naturalmente hanno lasciato libere le quote, hanno lasciato la loro partecipazione. Ovviamente, l'Italia evidentemente si considera in una situazione migliore di quella di Venezuela e Paesi Bassi e sicuramente, con questo provvedimento, ci vogliamo prendere le quote dei Paesi Bassi e del Venezuela. Quindi, pensiamo anche a questo: noi stiamo comprando e quindi aumentiamo il capitale della banca e ci compriamo le quote di Paesi Bassi e Venezuela. Noi già abbiamo una quota, come abbiamo detto, dell'1,84 per cento all'interno di questa banca, quindi già siamo presenti; se la nostra è un'idea di essere simbolicamente presenti, noi già ci siamo. Poi, Paesi Bassi e Venezuela si vendono le quote e noi ce le andiamo a comprare: il pensiero che viene in mente ad un cittadino comune naturalmente, ed io sono qui in questa veste, è il seguente: i Paesi Bassi, che stanno leggermente forse meglio di noi, almeno se andiamo a vedere i parametri macroeconomici, e il Venezuela, ed anche lui si trova in una situazione disagiata, si sono resi conto che forse non è il caso di continuare a contribuire a questo tipo di banche e quindi rilasciano le loro quote, non hanno interesse. Perché noi, Italia, che abbiamo una difficoltà oggettiva – ormai siamo quasi al collasso e stiamo per diventare una Grecia 2 – ci mettiamo ad acquistare queste quote ? Decidete voi questi soldi come possiamo investirli, in quali altri ambiti e in quale altra maniera possono essere investiti.
  Però, c’è da dire che Haiti resta uno dei Paesi nei quali questa banca, la banca interamericana di sviluppo, è maggiormente impegnata e nel 2012 i governatori hanno approvato...

  PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Sibilia. Onorevole Boccuzzi, per favore...

  CARLO SIBILIA. ...hanno approvato un nuovo trasferimento di fondi che ha consentito l'approvazione di sovvenzioni ad Haiti per 245 milioni di dollari, per aiutare il Paese a riprendersi dal devastante terremoto che l'ha colpito nel 2010. Quindi, uno dice: finalmente un senso a questo finanziamento, finalmente qualcosa che funziona; questi soldi che abbiamo dato alla Banca interamericana di sviluppo vengono usati per far riprendere un Paese come Haiti che è stato devastato dal terremoto.
  Benissimo; andiamo a vedere come vengono usati questi soldi. Noto come «progetto 400 per cento» o «400 in cento» in riferimento alla promessa di Martelly, Presidente di Haiti, di costruire 400 abitazioni in 100 giorni, un altro progetto da 30 milioni di dollari finanziato proprio dalla Banca di sviluppo interamericana, che è stato inaugurato il 27 febbraio 2012. L'area dispone di tre chilometri di strade asfaltate, sistema idrico – anche se poi l'acqua è arrivata solo alcuni mesi dopo – sistema elettrico, lampioni e una piazza con un campo di basket. Lasciamo stare questo concetto di sviluppo, magari ne parlerò in dichiarazione di voto di questo concetto di sviluppo astruso: noi Pag. 9andiamo lì, dove magari non c'era neanche la necessità di avere autostrade in cemento, oppure un sistema elettrico di un certo tipo, invece noi andiamo lì, con questi finanziamenti di 30 milioni, li piazziamo sul Paese e indebitiamo nel frattempo il Paese, però diciamo che lo stiamo ricostruendo. Va bene così.
  Ma cosa scopriamo indagando ? In questo progetto cosa succede ? Che non tutti i residenti di tale complesso sono vittime del famoso terremoto, bensì molti sono dipendenti della pubblica amministrazione: cioè hanno costruito un complesso residenziale per le vittime del terremoto e chi ci va ad abitare, molti di questi, non sono vittime del terremoto, ma sono dipendenti della pubblica amministrazione, evidentemente ai quali il Presidente di Haiti ha fatto qualche favore.
  Inoltre, pare proprio – e questo è un altro scandalo assurdo – che le case non siano per niente gratuite, neanche per i terremotati, ma si deve pagare un mutuo di cinque anni di 39, 46 dollari al mese, che non è un prezzo simbolico, ma rapportato alle condizioni di vita di Haiti, è un signor mutuo. Nel contratto, si trova anche una clausola che stabilisce che il mancato pagamento per tre mesi consecutivi comporta una penale del 5 per cento per ogni mese non pagato e potrebbe anche portare allo sfratto.
  Quindi, praticamente, andiamo a finanziare la banca di sviluppo, la banca di sviluppo fa questo progetto, crea le case per terremotati, e i terremotati vanno lì e si comprano la casa, pagando un mutuo. Non abbiamo, cioè, fatto del bene a nessuno; forse, soltanto alla banca, che ci guadagna pure con gli interessi. Ma, addirittura, andiamo ad ascoltare le vive voci di chi è entrato a novembre nel complesso, ascoltiamo il parere di queste persone, che, addirittura, dicono: «Il presidente non ci ha dato una casa, ce la sta vendendo, ma costano troppo. E come si fa in un Paese dove non c’è lavoro ? Dove troviamo i soldi ?».
  Questo è il meccanismo che si è creato. Addirittura, il problema dei pagamenti lo conferma anche il Fondo di assistenza all'economia e al sociale proprio del Governo di Haiti, che conferma che oltre il 30 per cento delle persone che sono all'interno di queste case non riescono a pagare il proprio mutuo, e quindi sono a rischio sfratto. Quando il progetto è stato lanciato, il Governo aveva ricevuto un finanziamento per preparare il terreno, costruire le case, impostare il sistema elettrico, ma non aveva i fondi per i servizi effettivamente necessari.
  Quindi, ecco che fine faranno i nostri soldi, se decidiamo di approvare questo provvedimento. Dobbiamo tenere presente che quello che stiamo facendo è continuare a foraggiare, comunque, delle banche private: facciamo finta che si siano dimenticate della loro funzione primaria, cioè quella di indebitare, in realtà, i Paesi, cioè concedere prestiti, e quindi concedere debiti, perché ci siamo dimenticati. Facciamo finta che vadano anche a finire nel posto giusto, ma questi sono gli esempi che abbiamo, questi sono gli esempi che noi vediamo: finanziamenti dati per delle opere che, magari, non vanno a buon fine.
  Dal mio punto di vista, e dal punto di vista del MoVimento 5 Stelle, approvando questo provvedimento, vi è il rischio che noi getteremo altri milioni di euro che dobbiamo soltanto decidere, da rappresentanti del popolo quali siamo, in quali altri settori investire, perché vi è solo l'imbarazzo della scelta. Poi, non so voi, ma io, onestamente, vedo un paradosso: nell'anno dei sacrifici e della lotta all'evasione per tenere il Paese ancorato all'Eurozona ed evitare un finale in stile Grecia, e quindi per non farlo precipitare nella povertà, si scopre che ben 1,8 miliardi circa, perché ho citato quell'articolo della legge di stabilità, verranno spesi per finanziare i Paesi poveri, ma anche altri che, come abbiamo visto, evidentemente poveri non sono.
  Quindi, adesso ho fatto una breve illustrazione di questo provvedimento. Quello che osservo è: naturalmente, noi abbiamo fatto anche proposte emendative in Commissione, vi è stata un'ottima discussione all'interno della Commissione, e di questo va dato atto a tutti, però, naturalmente, una persona sensata, un padre Pag. 10di famiglia, quando vede che stiamo dando 56 milioni di euro a una banca per cui non si sa bene chi ne beneficerà, perché anche lo stesso fine della Banca di sviluppo dei Caraibi è quello di andare a foraggiare e aiutare le piccole e medie imprese caraibiche, ci si chiede perché questi 56 milioni di euro non li diamo al Fondo per le piccole e medie imprese, che noi, come MoVimento 5 Stelle, abbiamo fatto aprire anche con le donazioni dall'esterno.
  Non ne voglio fare una battaglia politica, non ho alcuna intenzione di polarizzare la discussione qui, però, siccome questo provvedimento non è una ratifica, ma è, di fatto, un disegno di legge, e quindi abbiamo tutto il potere necessario per intervenire, il mio auspicio è che, nel seguito della discussione, presenteremo degli emendamenti per sopprimere questo tipo di finalità. Diremo, cioè, di evitare di dare questi 56 milioni di euro e le altre quote restanti per acquistare ulteriori quote delle banche, sia della Banca interamericana di sviluppo sia della Banca di sviluppo dei Carabi.
  Quindi, il mio auspicio è che tutti all'interno della maggioranza, e anche dell'opposizione, che, magari, non sono totalmente convinti di questo ragionamento, riescano a trovare una sintesi o per tagliare, quanto meno, l'aumento di capitale, e quindi cercare di abbassarlo il più possibile, o, addirittura, se riusciamo, insieme, per sopprimere questo aumento di capitale, che, secondo me, non è e non deve essere, in questo momento storico molto particolare e difficile, una priorità per il Paese.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Scotto. Ne ha facoltà.

  ARTURO SCOTTO. Signor Presidente, onorevole colleghi, con questo disegno di legge si dispone la sottoscrizione di nuove azioni per due banche di sviluppo regionale, la Banca di sviluppo dei Caraibi e la Banca interamericana di sviluppo. La nostra partecipazione finanziaria, le risorse di questi organismi, sono contenute, rispettivamente, nella legge 17 maggio 1988, n. 198, che ha previsto l'adesione, come ci ricordava il relatore, all'Accordo istitutivo della Banca di sviluppo dei Carabi, che data 1969, mentre l'Accordo istitutivo della Banca interamericana di sviluppo viene adottato, invece, nel 1959.
  Principale obiettivo di questa banca è quello della riduzione della povertà nella regione caraibica, mediante concessione di prestiti ai Governi con garanzia sovrana, al settore privato, nonché la capacità di fornire assistenza tecnica ad entrambi.
  Quanto alla Banca interamericana di sviluppo, si tratta della più grande e antica istituzione di sviluppo multilaterale a carattere regionale, istituita con lo scopo di contribuire allo sviluppo economico e sociale dei Paesi dell'America latina. Ora, lo voglio dire con grande attenzione e rispetto, ascoltando le dichiarazioni collega Sibilia, è evidente che ci sono limiti che dopo passerò a illustrare, ma lo scopo di queste istituzioni non è provare a far fare profitti ai nostri piccoli imprenditori, ma è provare a garantire sviluppo, a garantire redistribuzione, a garantire capacità di alleviare le sofferenze di una vasta area dell'America latina. Ed è chiaro che dobbiamo, ogni volta che ci approcciamo a queste ratifiche, guardare oltre la dimensione nazionale, non immaginare che la dimensione dell'Italia sia autarchica.
  L'Italia, invece, si occupa del mondo e prova ad intervenire laddove è giusto farlo; questo è il senso del multilateralismo. Ovviamente questo provvedimento incrocia gli interessi del nostro Paese, ed è l'interesse rispetto ad un'area caraibica, in generale all'America latina, ritenuta, anche sulla base delle relazioni governative che ci sono state presentate, di primaria importanza per la politica estera del nostro Paese, sia sotto il profilo culturale, sia per le relazioni economiche e, consentitemi, anche rispetto alla memoria, al ruolo, alla funzione che tanti immigrati italiani hanno svolto in quelle aree agli inizi del secolo scorso e durante il Novecento.
  Secondo il Governo, molte saranno le ricadute sull'economia italiana derivanti dalle disposizioni del provvedimento in esame, sia per l'effetto indiretto di stimolo Pag. 11sul commercio mondiale, sia rispetto alla partecipazione comunque di imprese nazionali alle gare di appalto. Io credo che su questo terreno bisognerà – lo diceva Amendola – anche fare un'analisi più seria e rigorosa rispetto a cosa è accaduto nel corso degli ultimi vent'anni in quell'area del mondo, in quella regione. Secondo i dati della Banca interamericana di sviluppo, tra il 1990 e il 2010 il tasso di inflazione nell'America latina è sceso di tre cifre, al 5,3 per cento, il debito estero è calato dal 28 al 19 per cento, il reddito pro capite è aumentato da 5 mila euro a 11.400 euro, i livelli di povertà dal 50 al 33 per cento, l'accesso all'acqua potabile e all'elettricità al 93 per cento, la scolarizzazione primaria dall'86 al 94 per cento, il tasso di mortalità infantile è dimezzato e si va formando una classe media molto di più significativa, che oggi raggiunge quota 180 milioni di cittadini. Cioè siamo di fronte ad una regione che sta cambiando ed è chiaro che di fronte a questi cambiamenti così radicali, l'idea di abbandonare istituzioni multilaterali, a mio avviso, sarebbe un errore.
  Ovviamente questo disegno di legge si compone di un solo articolo, come abbiamo detto, e le cifre non sto a ripeterle, perché sono state illustrate le rate che dovremmo dare e quanto peserà la ricapitalizzazione di queste banche.
  Tuttavia, come è emerso dalla discussione in Commissione, oltre alla positività degli interventi finalizzati alla cooperazione ed allo sviluppo – ha ragione il collega Gentiloni – l'appuntamento della legge sulla cooperazione è fondamentale ed ovviamente integra inevitabilmente anche il lavoro che stiamo provando a fare oggi. Ma resta l'esigenza – per cui noi sottoscriveremo le proposte emendative presentate dall'onorevole Amendola – della trasparenza dell'impiego dei fondi da parte delle banche di sviluppo, della rendicontazione, di rendere stabile una relazione tra Italia e America Latina e, quindi, una conferenza che non sia, per così dire, episodica o legata alla sensibilità dei Governi, ma che venga statuita anche per via normativa. Questi, in quanto enti multilaterali, ovviamente hanno proprie regole di rendicontazione ed organismi di controllo, ma l'Italia può valutare la congruità dell'impegno e dell'impiego delle proprie risorse stanziate.
  Quindi, da questo punto di vista, credo che tutti insieme avremo la possibilità, durante la discussione sulle linee generali, oggi, e poi l'esame del provvedimento nei prossimi giorni, di potere migliorare questo testo e renderlo quanto più unitario possibile in questo Parlamento.

  PRESIDENTE. La ringrazio, la discussione sulle linee generali è a questo punto però terminata, lo potremo fare sicuramente nel corso del resto dell'esame del provvedimento.
  Non vi sono altri iscritti a parlare e, pertanto, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo – A.C. 2079-A)

  PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore ed il rappresentante del Governo rinunziano alla replica.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Migliore ed altri n. 1-00440, Bargero ed altri n. 1-00200, Grande ed altri n. 1-00286 e Dorina Bianchi e Piccone n. 1-00484 concernenti iniziative a favore delle vittime dell'amianto (ore 14,50).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Migliore ed altri n. 1-00440 (Nuova formulazione), Bargero ed altri n. 1-00200 (Nuova formulazione) e Grande ed altri n. 1-00286 e Dorina Bianchi e Piccone n. 1-00484 concernenti iniziative a favore delle vittime dell'amianto (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione Pag. 12delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
  Avverto che sono state presentate le mozioni De Mita ed altri n. 1-00485, Palese ed altri n. 1-00486 e Fedriga ed altri n. 1-00488 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto altresì che è stata presentata una nuova formulazione della mozione Grande ed altri n. 1-00286, il cui testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritto a parlare l'onorevole Lavagno, che illustrerà anche la mozione Migliore ed altri n. 1-00440 (Nuova formulazione), di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

  FABIO LAVAGNO. Signor Presidente, parlare dell'amianto in quest'Aula significa parlare di un pezzo di storia del Novecento dal punto di vista di quelle che sono state le relazioni industriali, di quelle che sono state le relazioni e le lotte dei lavoratori, di quello che è stato un avanzamento della cultura dell'ambiente e della bonifica, dei rapporti tra gli enti locali e di un pezzo, non irrilevante anche, della normativa italiana che, per una volta tanto, si pone al centro e si pone come avanguardia rispetto ad altre legislazioni di natura internazionale.
  Sono infatti passati ventidue anni da quando in Italia l'amianto è stato definitivamente messo al bando. Con la legge n. 257 del 1992 infatti l'estrazione, l'importazione, il commercio e l'esportazione di tutti i materiali contenenti amianto non è più consentita in Italia. Come si è arrivati a quello ? Si è arrivati dietro anni in cui è stato celato – coscientemente, non coscienziosamente – il rischio di un tipo di produzione e la lavorazione di materiali contenenti sostanze fortemente dannose per l'ambiente, in particolare per la salute dei lavoratori e dei cittadini italiani.
  E si è arrivati a quella decisione solo dietro lotte, battaglie che hanno avuto il sapore delle battaglie inizialmente sindacali, poi sono diventate battaglie politiche ed infine fanno parte della nostra cultura civile e civica, che ci consente appunto di arrivare fino al 1992 con questo grande passaggio.
  Eppure, da vent'anni, in questo Paese, per quanto non lo si produca, non lo si esporti e non lo si utilizzi più, l'amianto continua a mietere vittime. Si stima che siano poco meno di 10 mila i casi ufficiali di morte per mesotelioma e sono stime, appunto, molto al ribasso rispetto a quella che è la realtà. E molto spesso, dal 1992 ad oggi, abbiamo incontrato notevoli difficoltà per quanto riguarda le bonifiche, per quanto riguarda il sostegno a quegli enti locali che hanno fatto della bonifica una bandiera positiva, non solo per il rispetto dell'ambiente, ma per la qualità della vita e per l'affermazione di uno standard culturale superiore rispetto alla qualità della vita dei propri cittadini.
  Ovviamente i principali esposti, le principali vittime legate all'utilizzo dell'amianto sono e sono stati i lavoratori, ma le indagini epidemiologiche ci dicono, pur nella carenza molto spesso dei dati, che molto spesso incontriamo vittime cosiddette ambientali, ovvero chi viveva in prossimità dei luoghi e dei siti di produzione o dei luoghi dove l'amianto è stato utilizzato. Il dramma è che, andando molto a rilento le bonifiche, molto spesso i siti inquinanti e quindi ancora portatori di malattia e quindi portatori di rischio, sono ancora presenti in misura consistente nel nostro Paese.
  Quella dell'amianto, negli ultimi vent'anni, è stata poi una serie di promesse, di buone intuizioni, ma spesso mancate, come è stato quello per l'istituzione di un fondo presso l'INAIL per le prestazioni aggiuntive agli altri benefici già riconosciuti dalla legge per le vittime dell'amianto, ma che non si estende, appunto, Pag. 13a chi è vittima rispetto ad un inquinamento di tipo ambientale o per i familiari.
  Abbiamo incontrato, come dicevo, notevoli difficoltà rispetto a quanto riguarda le bonifiche, bonifiche sì incentivate, ma spesso legate, per quanto riguarda la capacità di spesa degli enti locali, ai vincoli del Patto di stabilità, che di fatto non consentono né di programmare né di portare a termine in maniera sistematica le bonifiche, così come una parte abbastanza recente, normativa e regolamentare, del piano nazionale amianto, licenziato solo due anni fa e che ancora non ha avuto la completa approvazione attraverso la Conferenza Stato-regioni. Pertanto interventi rispetto a tre linee fondamentali: quella della ricerca e della salute, quella della bonifica dell'ambiente e quella parte previdenziale che, però, non trova ancora applicazione, non solo perché non completamente ratificata e non completamente approvata, ma perché mancante in buona parte, se non per la parte sanitaria, di risorse.
  Ebbene, credo che occorra effettivamente chiudere quella pagina, quella parte del Novecento, quella parte del Novecento che ha fatto parte della storia dell'amianto e che ha rappresentato pertanto un modo di produrre, il cui utile è stato fatto a scapito della salute dei cittadini e dei lavoratori e della salvaguardia dell'ambiente. Occorre pertanto intervenire in maniera seria, ed è l'oggetto di questa mozione, per cui le azioni e gli intenti si traducano da un impianto normativo ad un impianto realmente fattuale. E pertanto è necessario che si avvii quanto prima una completa approvazione del piano nazionale amianto, che consenta, nella parte della relazione con le regioni, il censimento pieno dei siti inquinati, censimento pieno che, ricordo, è tutt'altro che completo nella nostra nazione e ricordo che molte regioni mancano, o nella completezza o in toto, del proprio censimento. Mancano dei piani di bonifica e di smaltimento e qui siamo all'altro grande dramma rispetto alla bonifica: il fatto che non si può dire che si vuole fare la bonifica, se poi non si prevede una seria pianificazione dei luoghi di smaltimento, siano essi discariche o altro.
  Consideriamo che attualmente più del 60 per cento dell'amianto bonificato, quindi rimosso dagli edifici, pubblici o privati, in Italia viene portato all'estero, in particolare in Germania. E occorre finalmente finanziare, se non incrementare, le risorse assegnate al Fondo per le vittime dell'amianto, quello istituito con la finanziaria del 2008, di cui dicevamo. Occorre assumere le iniziative per rendere la possibilità di estendere la prestazione del Fondo, non solo a coloro che abbiano contratto una patologia asbesto-correlata, ma anche ai familiari delle vittime o a coloro che comunque, pur non lavorando direttamente con l'amianto, sono stati esposti, avendo poi contratto patologie. Occorre anche intervenire su una nuova categoria di lavoratori che inevitabilmente viene interessata dal contatto e dalla lavorazione con l'amianto e sono quei nuovi lavoratori che dal 1992, da quando si è iniziata la cultura della bonifica, vengono a contatto con i manufatti contenenti amianto per la rimozione, per la bonifica. Anche qui occorre prevedere protocolli e tutele rispetto a questi lavoratori, perché il lavoro di bonifica non sia esso stesso portatore di rischi e, ahimè, di lutti. Ed è necessario garantire, per quanto di competenza, un'adeguata sorveglianza sanitaria per quanto riguarda gli ex esposti amianto.
  E poi veniamo al punto, che mi pare essere differente rispetto alle altre mozioni, che riguarda la capacità di spesa degli enti locali e dei comuni in particolare, ovvero quell'esclusione dal Patto di stabilità di quelle spese relative alla bonifica.
  Non consentire l'esclusione dal Patto di stabilità interno dei comuni delle spese relative alle bonifiche significa, da un lato, ridurre la capacità programmatoria degli enti locali e, dall'altro, creare gravi danni nei confronti dei rischi dei cittadini, oltre che una ricaduta economica che un inevitabile indotto economico muoverebbe rispetto a questa dinamica. Occorre anche Pag. 14risanare in maniera seria il patrimonio pubblico. Consideriamo che non solo i privati vengono incentivati in varie forme, ma mai stabilizzate, a rimuovere l'amianto. Occorre ricordare che gran parte del patrimonio pubblico ha coperture contenenti amianto. E dove avviene questo ? Soprattutto in quegli edifici, in quei luoghi a più alta frequentazione ahimè e, quindi, parliamo delle scuole, degli ospedali, delle caserme, laddove l'amianto era utilizzato per il suo basso costo e per la sua facilità di messa in posa. Ebbene, è inaccettabile che uno Stato che metta al bando l'amianto e il suo utilizzo vent'anni fa, oggi non riesca a fare un passo avanti, un passo ulteriore, a sanare prima di tutto se stesso. So che su questo occorrono notevoli risorse. È ovvio. È ovvio che, però, da qualche parte occorre partire e occorre partire in maniera programmata, pianificata. Occorre fare un piano ed è per questo che nell'ultimo punto della nostra mozione invitiamo il Governo a partire proprio dalle scuole, a far sì che la priorità sia data negli ambiti rispetto alla messa in sicurezza degli edifici scolastici. Infatti, visti i tempi di latenza – spiace dirlo, occorre fare delle scelte – drammatici che questa fibra killer ha, occorre appunto partire dalla salvaguardia della salute delle giovani generazioni. Allora, se bisogna fare delle scelte, per quanto dolorose, occorre farle in questo senso e partire anche con un'azione di tipo educativo, proprio perché, ripeto, quella dell'amianto è una storia che non tocca raccontare per fare testimonianza delle tante vittime e dei tanti lutti, ma occorre prenderla a monito, a paradigma di un tipo di sviluppo che non può più fare a pugni con l'ambiente o con la salute dei propri cittadini o dei lavoratori. Occorre, invece, saper cogliere lo spunto e l'avanzata rispetto a questo.
  Poco più di un anno fa si è concluso il secondo processo Eternit, quel processo di carattere internazionale che ha visto più di 2 mila parti civili, molte pubbliche, in gran parte private, delle vittime. Siamo giunti al secondo grado e stiamo andando verso il terzo grado. La Cassazione si pronuncerà definitivamente intorno alla metà di dicembre di quest'anno. Spiace che il Governo non abbia sottoscritto e non sia stato parte civile, insieme agli altri enti locali, rispetto a questo procedimento penale, che ha visto per due volte, nel primo e nel secondo grado, condannati gli indagati.
  Proprio perché negare l'esistenza di un pericolo, negare l'esistenza di una fonte di rischio per la salute da parte di chi ne ha tratto profitto, è stato definito, come l'ha definito la magistratura, un danno ambientale permanente e di fatto un omicidio. Spiace che lo Stato non abbia voluto costituirsi parte civile, ma sono convinto che possa riscattare questa sua mancanza rispetto al non essersi costituito parte civile attraverso ciò che sa e dovrebbe fare meglio, ovvero la programmazione, la bonifica e fornire gli strumenti a chi la bonifica la deve fare nel migliore dei modi, non disgiunto – vista la difficoltà che hanno le parti civili, in particolare quelle delle vittime, quelle dei privati, di andare a «pescare» le risorse che sono state loro destinate come risarcimento, magro risarcimento rispetto a vittime perdute – dal fare un'azione di coordinamento, come già aveva tentato non l'Esecutivo precedente, ma quello ancora precedente, il Governo Monti, presso l'INAIL, dall'istituire un tavolo di coordinamento perché le parti civili, soprattutto quelle più deboli – quindi non sto parlando degli enti locali – possano non solo avere giustizia nelle aule dei tribunali, nelle aule delle corti d'appello o speriamo in quelle di Cassazione, ma possano avere effettiva giustizia rispetto al veder realizzata quella che è la compensazione, ancorché di natura economica, che viene loro attribuita.
  Credo che questo sia quanto noi possiamo fare in questo momento, con uno strumento ancorché debole, con una mozione, cioè invitare il Governo a fare rispetto ad impegni concreti. Sono impegni molto puntuali, sono impegni che hanno a che vedere con la sfera della programmazione, che hanno a che vedere con la sfera degli agenti interessati a questa grande Pag. 15opera di bonifica e partono da un punto, quello della salvaguardia della salute, in particolare di quella dei giovani.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Boccuzzi, che illustrerà anche la mozione Bargero ed altri n. 1-00200 (Nuova formulazione), di cui è cofirmatario.

  ANTONIO BOCCUZZI. Signor Presidente, personalmente ho seguito da vicino, e continuo a seguirla, la situazione del comune di Casale Monferrato, ma non solo, molti sono i siti colpiti ancora oggi dagli effetti drammatici della polvere killer. È una storia infinita, raccontata persino a fumetti, perché la stessa venisse conosciuta da tutti oltre i confini dell'Alessandrino, oltre i confini del Piemonte, oltre la nostra meravigliosa nazione, bellissima ma ancora tanto piena di polvere maledetta.
  Lo stabilimento Eternit a Casale è stato demolito, ma i tetti in cemento amianto, il polverino nei cortili e nei sottotetti ci sono ancora, perché tetti in cemento amianto sono dappertutto in Italia e, se non verranno rimossi nei modi dovuti, semineranno morte e dolore ovunque.
  Casale, ma non solo, come dicevo, ha pagato un prezzo elevatissimo ad un'idea di sviluppo che ha messo al primo posto il denaro, senza pensare alle conseguenze sulla salute dei lavoratori e dei cittadini. I morti, troppi, uno alla volta, silenziosi, non farebbero quasi notizia se non ci fossero i genitori, le mogli, i mariti, i figli che parlano, che ricordano, che reagiscono: 1.700 morti su una popolazione di 37 mila abitanti, una tragedia enorme, la città di Casale ha fatto nascere qualcosa di importante. Il dolore non è rimasto chiuso nelle case, è diventato corale, si è trasformato in voglia di reagire, in capacità di lottare insieme, perché la bonifica, e non solo nella cittadina del Monferrato, sia attuata completamente, perché giustizia sia fatta, perché la ricerca scientifica trovi finalmente una cura per il mesotelioma. Il mesotelioma maligno è una neoplasia rara che si forma a partire dal mesotelio, lo strato di cellule che riveste le cavità seriose del corpo quali la pleura, il peritoneo, il pericardio, come conseguenza dell'esposizione all'amianto. Poiché milioni di persone nel mondo sono state potenzialmente esposte ad amianto, c’è un interesse crescente nella comunità medica e nell'opinione pubblica nei confronti del mesotelioma.
  In Italia l'uso dell'amianto è stato bandito dalla legge n. 257 del 1992, tuttavia sono numerosi i materiali che ancora lo contengono e possono costituire un rischio di esposizione per varie categorie di lavoratori e per semplici cittadini. Tali prodotti, infatti, in seguito all'usura o al danneggiamento meccanico, possono rilasciare nell'ambiente microscopiche fibre di asbesto che, attraverso la respirazione, raggiungono il polmone, organo bersaglio delle patologie amianto correlate. Al momento non si è ancora raggiunto il picco massimo relativo appunto al numero di patologie amianto correlate, un picco che si può prevedere attorno al 2020.
  Da un punto di vista puramente teorico, il numero di patologie dovrebbe ripiegare dopo aver superato il picco accennato. Purtroppo quest'ultima previsione non si può ritenere attendibile in quanto il crollo dei consumi di amianto come materia prima non comporta necessariamente il crollo delle situazioni di rischio, atteso che l'inquinante rimane comunque presente nei manufatti immessi sul mercato e le fibre di asbesto, più o meno lentamente, per usura o azioni meccaniche, continueranno ad essere liberate in aria trasformando in tal modo un rischio di esposizione in potenziale pericolo per la salute pubblica.
  Come ho già ricordato nel corso del mio intervento, la vicenda dell'amianto, come tutti dovrebbero sapere e spesso purtroppo non sanno, è storia di lavoratori e di famiglie. È storia di chi ha visto e acquisito le loro ragioni, anche al di fuori della loro quotidianità: comunità scientifica, sindacato, amministratori locali consapevoli delle propria responsabilità e convinti della propria funzione di tutela dei loro amministrati.Pag. 16
  Un materiale praticamente perfetto, l'amianto, con una piccola contraddizione: uccide chi lo lavora e può uccidere anche a distanza di molti anni chi è venuto in contatto, anche in modo limitato e casuale, con qualche sua microscopica fibra. Il suo modo di uccidere è subdolo. Non colpisce solo il cavatore e l'operaio che fabbrica prodotti che lo contengono; uccide l'edile che maneggia le coperture di eternit come la lavoratrice tessile, il fornaio, chi fa riparazioni delle tubature in cemento amianto degli acquedotti, chi fa autoriparazioni, il ferroviere, il portuale, chi movimenta l'amianto. E uccide anche le casalinghe che hanno lavato le tute da lavoro dei loro mariti, i mariti, i bambini che giocano nelle vicinanze di una fonte di inquinamento, una quantità di persone che non sanno neppure quale può essere stato il momento del contatto con la fibra killer.
  Permettetemi una piccola digressione rispetto al contenuto delle mozioni: un aspetto importante in tutta la vicenda amianto è certamente costituito dalla contribuzione previdenziale dei lavoratori esposti. Senza entrare nel merito delle storture, delle ingiustizie, delle leggerezze commesse nel corso degli anni, dal 1992 in poi, anno della legislazione in materia, cosa che comunque farò in ogni provvedimento che me ne darà occasione, abbiamo tra Camera e Senato una moltitudine di proposte di modifica e aggiustamento degli errori commessi nel corso del tempo in materia di previdenza e amianto. Da ultima e non ultima, una evidente contraddizione: dopo avere previsto un coefficiente più alto ai fini delle prestazioni pensionistiche (in virtù di una aspettativa di vita purtroppo ridotta), non viene considerata questa situazione ai fini dei requisiti per l'accesso alla pensione anticipata rispetto ai 62 anni di età, penalizzando di fatto questi lavoratori con la riduzione dell'assegno pensionistico.
  Una penalizzazione che va senza dubbio recuperata, per senso civico, ma anche per un banale, se vogliamo, senso di equità e giustizia, così come andrebbe rivisto e riconsiderato tutto il capitolo legato a coloro che hanno contratto una malattia asbesto correlata, che rischiano purtroppo di non raggiungere neppure il traguardo della pensione; una semplice modifica che potrei definire in una sola parola: civiltà.
  Ma ritorniamo al contenuto delle mozioni di cui ci occupiamo oggi: attraverso la legge n. 93 del 2001 ed il relativo decreto ministeriale n. 101 del 2003, è stata posta in capo al Ministero dell'ambiente la realizzazione, di concerto con le regioni, della mappatura completa della presenza di amianto sul territorio nazionale.
  Le modalità di esecuzione di detta mappatura sono state concordate e definite a livello nazionale con le stesse regioni, coadiuvate da INAIL, che hanno creato un apposito gruppo interregionale sanità ed ambiente. Sono stati così mappati, ad oggi, circa 34.000 siti interessati dalla presenza di amianto in 19 regioni, mentre Calabria e Sicilia non hanno ancora trasmesso alcun dato. I dati pervenuti sono stati trasposti in un sistema informativo territoriale (SIT), predisposto da INAIL, costituito da strumenti hardware e software, che consente di ottenere una corretta catalogazione e gestione delle informazioni sulle reali situazioni di rischio amianto presenti su tutto il territorio nazionale.
  Da tale mappatura è emersa la presenza di numerose situazioni di interesse pubblico quali presenza di amianto in scuole, ospedali e case di cura, caserme, biblioteche e, in generale, uffici aperti al pubblico. Le risorse assegnate alle regioni per tale attività di mappatura risultano esaurite.
  A legislazione vigente, le attività di messa in sicurezza di emergenza, caratterizzazione e bonifica relativamente a detti 34.000 siti, ad eccezione dei siti di interesse nazionale, rimangono di competenza regionale. È stato quindi possibile individuare circa 380 casi di siti a maggior rischio, tra i quali ricordiamo quelli che richiedono interventi più urgenti: 4 impianti industriali tra attivi e dimessi; 319 edifici pubblici e privati. Tra questi ultimi: 37 tra ospedali, case di cura, collegi, case Pag. 17di riposo; 116 scuole di ogni ordine e grado e istituti di ricerca; 86 uffici della pubblica amministrazione; 27 impianti sportivi; 8 biblioteche.
  A tutto ciò si aggiunge un altro grave problema: è nota la drammatica carenza di siti di smaltimento. L'INAIL ha verificato che, a giugno 2013, risultano attivi sul territorio nazionale ventidue impianti di smaltimento (solo uno per rifiuti pericolosi), per una capacità totale e teorica di circa 3,4 milioni di metri cubi. Il 74 per cento circa di tale volumetria è però concentrato in Toscana, Lombardia e Liguria. Solo poco più del 50 per cento della volumetria totale è destinato ai materiali da costruzione contenenti amianto. Risultano in fase di autorizzazione, con esiti ancora incerti, solo circa altri 1,9 milioni di metri cubi. Non può, quindi, sfuggire la necessità impellente di disporre di ulteriori siti di smaltimento diffusi sul territorio nazionale.
  Tutto ciò in attesa che possano trovare applicazione i «Trattamenti che modificano completamente la struttura cristallo-chimica dell'amianto» e che, quindi, ne annullano la pericolosità, di cui al decreto ministeriale 29 luglio 2004, n. 248. Allo stato, non esistono sul territorio nazionale impianti operativi di tale tipologia.
  L'Italia ha, però, un Piano nazionale amianto predisposto dal Governo all'inizio del 2013, oggi praticamente sospeso per mancanza di copertura finanziaria. Dalla Conferenza nazionale sull'amianto promossa del Governo a novembre 2012, dalla quale è scaturita la redazione del Piano nazionale, che prende in considerazione i piani sanitario, ambientale e previdenziale, non si è più affrontato il problema in termini concreti.
  E, purtroppo, ancora molto poco è stato fatto sul fronte del risanamento ambientale e dello smaltimento dei materiali contenenti amianto, dell'avvio di un'efficace sorveglianza sanitaria ed epidemiologica per gli esposti e della garanzia di risarcimento per le vittime.
  Le bonifiche vanno a rilento, il censimento non viene fatto e in tutto il Paese aumentano le discariche abusive e il rischio amianto. Occorre agire subito e in modo concreto: smaltimento e bonifica devono essere le priorità per portare a zero il rischio connesso con l'esposizione alla fibra pericolosa. Sono passati ventidue anni, come dicevo, dall'entrata in vigore della legge che ha proibito l'estrazione, la lavorazione e la commercializzazione dell'amianto e siamo drammaticamente in ritardo rispetto a quello che si sarebbe potuto e dovuto fare per arginare l'emergenza sanitaria provocata dall'esposizione all'amianto.
  Ogni anno, nel nostro Paese, sono 4 mila le vittime a causa dell'esposizione alla pericolosa fibra. Le stime parlano di oltre 34.148 siti ancora da bonificare, per oltre 32 milioni di tonnellate di amianto sparso in tutto il Paese. Come dicevo, di questi, 380 sono i casi a maggior rischio. È necessario avviare le bonifiche immediatamente, tanto sui grandi siti industriali inseriti nel Programma nazionale di bonifica, quanto sulle emergenze locali riguardanti la presenza di amianto in edifici e strutture pubbliche, a partire da scuole e ospedali, e nelle strutture private.
  Occorre completare, come dicevo, il censimento, che ancora oggi procede a macchia di leopardo. Devono inoltre essere utilizzate al meglio tutte le opportunità oggi vigenti per la rimozione dell'amianto dai tetti e dalle altre strutture in cui ancora oggi è presente, nonché si devono ripristinare gli incentivi per la sostituzione delle coperture in cemento-amianto con il fotovoltaico, come riportato nello stesso Piano nazionale. Si stima che un investimento di circa 20 milioni di euro consentirebbe la bonifica di oltre 10 milioni di metri cubi.
  Oggi esportiamo ancora circa il 75 per cento dei rifiuti contenenti amianto soprattutto in Germania e Austria e questo incide molto sugli elevati costi complessivi di bonifica. Una situazione che non può assolutamente continuare.
  Un ruolo importante si gioca anche a livello regionale e locale. È necessario che tutte le regioni si adoperino per l'attuazione dei piani regionali sull'amianto, prevedendo le risorse economiche necessarie Pag. 18per uniformare e calmierare i costi dell'intervento in modo da facilitare la bonifica da parte dei comuni e dei singoli cittadini. Particolare attenzione deve essere infine rivolta all'informazione sui rischi derivanti dall'esposizione alle fibre di amianto, dovuta al deterioramento e allo smaltimento illegale delle strutture in cemento-amianto dismesse, e sul comportamento da adottare quando si ha a che fare con strutture contaminate in casa, a scuola o presso i luoghi di lavoro e sui rischi per la salute connessi.
  Solo cambiando l'approccio dimostrato fino ad oggi nella lotta all'amianto in l'Italia sarà possibile quella svolta auspicabile e quanto mai necessaria, alla luce delle evidenze sanitarie in chi lo ha purtroppo inalato. Sta al Governo centrale e alle regioni dimostrare con atti concreti che questo è un obiettivo condiviso. Mi auguro che la mozione in oggetto che abbiamo presentato possa davvero dare un contributo importante a questa situazione.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zolezzi, che illustrerà anche la mozione Grande ed altri n. 1-00286 (Nuova formulazione), di cui è cofirmatario.

  ALBERTO ZOLEZZI. Signor Presidente, affrontiamo in quest'Aula il tema dell'amianto, un tema davvero importante, se si pensa che, nell'ambito dell'Istituto nazionale assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro, l'INAIL, i tumori professionali legati all'amianto sono l'82 per cento del totale.
  Nei dati fino al 1999 risultavano 598 tumori legati all'amianto: 385 tumori pleurici e 213 tumori polmonari. Non è semplice quantificare il numero degli ammalati per patologie legate all'asbesto, tanto meno il numero dei decessi per queste patologie, ma è comunque importante tentare, anche per capire la misura della gravità di questo problema, che deve poi sollecitare a delle soluzioni su tutto quello che è l'argomento amianto, purtroppo soluzioni che al momento non sono ancora arrivate in maniera congrua.
  I dati internazionali mostrano di solito che, quando c’è un'esposizione all'amianto, si possono verificare, per ogni tumore della pleura del polmone, due tumori del polmone. L'amianto è un problema salito agli onori della cronaca per una particolarità: per un tropismo di localizzazione delle patologie. I tumori della pleura sono provocati da poche altre sostanze per cui, quando si trovava un tumore della pleura, si verificava che la persona aveva in qualche modo respirato o era stata esposta all'amianto. È per questo che sono nati gli studi sulle esposizioni ed il riconoscimento professionale, che è stato probabilmente troppo lento e troppo poco deciso, nonostante la gravità e l'esposizione così chiara.
  I dati di significatività statistica già nel 1960 dimostravano la correlazione tra tumore della pleura (mesotelioma) e amianto. Ma è già dal 1906 che ci sono dati relativi alla patogeneticità delle fibre di amianto; davvero, la normativa è andata troppo a rilento e ci troviamo a discutere di ciò nel 2014. Adesso dobbiamo perlomeno – io spero – raggiungere degli obiettivi importanti con questa mozione, per poi discutere le proposte di legge. Noi ne abbiamo una a prima firma D'Incà: spero che venga presto discussa in Aula per mettere la parola «fine» a questi decessi, anche perché se non si risolve tutta la filiera dell'amianto continueranno ad esserci malattie e morti, e non è questo che dobbiamo offrire ai cittadini.
  Sulle 38 mila nuove diagnosi all'anno di tumori al polmone, con 34 mila decessi, circa il 10 per cento vengono stimate essere dovute all'amianto. Per cui, essendoci circa 1.500 mesoteliomi stimati in Italia, dovrebbero esserci pressappoco, in base anche ai dati di letteratura internazionale, circa 3 mila tumori del polmone correlati all'amianto; se sommati alle patologie fibrosanti, si arriva a circa 5 mila decessi per amianto in Italia, quindi una cifra davvero importante. E dobbiamo tenere conto che ci sono ancora 32 milioni di tonnellate di amianto non stoccate con sicurezza.
  Ci sono addirittura regioni che non hanno neppure comunicato la presenza Pag. 19dell'amianto nelle scuole e troppe regioni non hanno alcun tipo di sito di stoccaggio o di discarica. In pratica, ci sono alcune regioni che contribuiscono a un vero e proprio turismo dell'amianto, che finisce a oltre mille chilometri in Italia e spesso all'estero: l'80 per cento dell'amianto rimosso annualmente (300 mila tonnellate circa su 440 mila), negli ultimi anni, è finito in Germania, con una spesa, uno spreco, di oltre 150 milioni di euro all'anno, che avrebbero potuto a contribuire a migliorare la filiera in Italia con i siti di stoccaggio e le discariche. Ma poi, l'amianto a volte, in Germania, non ci finisce neppure, vedi l'amianto in spiaggia a Civitavecchia (300 tonnellate) e in spiaggia a Sestri Levante (circa 60 tonnellate).
  L'amianto si tratta bene, pratica un turismo balneare. Ma perché si tratta bene ? Perché smaltire l'amianto costa molto; sono costi variabili, costi troppo variabili in Italia. Noi chiediamo, appunto, nella mozione, di uniformare il prezzario. Comunque, mediamente si spendono 550 euro a tonnellata per rimuoverlo, 250 euro per conferirlo in una discarica certificata e circa 100 euro a tonnellata per trasportarlo. Sono 900 euro a tonnellata. Facendo un rapido anche se approssimativo calcolo, si arriva a oltre 900 euro a tonnellata, per gestire l'amianto.
  Quindi, l'amianto è anche un business da oltre 27 miliardi di euro. Se l'amianto continuasse a fare il turista, il business potrebbe salire con la ribonifica: lo metto per un po’ al mare, poi in pianura, poi ai monti e poi magari finisce in Germania, che però sta pensando di chiudere le porte, e non solo all'amianto.
  Gli illeciti vanno sanzionati in maniera più decisa. Montichiari, in provincia di Brescia, è uno degli esempi, un'area già satura di impianti e di discariche impattanti ha concesso l'autorizzazione all'ennesima discarica di amianto.
  Per illeciti legati ai trasporti, poi, la concessione è stata tolta. Dopo che la discarica aveva ospitato circa il 10 per cento dell'amianto che poteva contenere, quindi 100 mila tonnellate sul milione che poteva contenere, è stata tolta l'autorizzazione.
  Ci si è trovati, quindi, senza la possibilità di stivare altro amianto in una zona comunque accettata dalla popolazione e scelta con difficoltà. Praticamente, non si è potuto andare avanti. Poteva ospitare un terzo dell'amianto della Lombardia, non era poco. Non si è andati avanti, in particolare, per reati connessi al trasporto, che non avveniva in condizioni di sicurezza come è stato scoperto dopo un incidente in cui un camion ha sversato dell'amianto che era contenuto al suo interno non in sicurezza. Quindi, il reato probabilmente non è solo quello del trasporto. Io credo che sia molto di più.
  Questi reati devono quindi essere sanzionati in maniera decisa. Nella nostra proposta di legge sui reati ambientali stiamo tentando di introdurre la penalizzazione anche per il reato di frode.
  Se trasporto l'amianto con contraffazione e quant'altro, devo intervenire, anche perché, addirittura, in questa discarica giungeva poi del terriccio che non conteneva neanche amianto, quindi 250 euro per ospitare una tonnellata di terriccio privo di amianto. Anche questo è un illecito davvero grave che deve essere controllato in Italia.
  In questa discarica, poi, arrivava amianto da tutta Italia. L'amianto dovrebbe essere gestito a filiera corta. Questo è quello che chiediamo nella mozione. Si ridurrebbe di molto il rischio di illeciti o incidenti da trasporto.
  Il rischio è davvero forte per chi lo trasporta, se non è in sicurezza, per chi loro carica e per chi lo scarica, quindi, i lavoratori vengono, ancora oggi nel 2014, esposti a un grave rischio; rischio che abbiamo evidenziato anche con nostre interrogazioni al Ministero della difesa dove sugli elicotteri le pratiche di manutenzione venivano svolte senza informazioni e presidi adeguati: questo è gravissimo, e fino al dicembre 2013 ciò stava ancora avvenendo.
  Il settore della cantieristica navale, che ha prodotto anche molti presidi militari, è Pag. 20uno dei più coinvolti dalla patologia. In Liguria su 1.600 mesoteliomi censiti dal registro mesoteliomi circa 800 sono correlabili alla cantieristica Fincantieri dove apparentemente non veniva utilizzato amianto italiano ma amianto che costava ancora meno e che proveniva da altri Stati ed era molto più pericoloso. Quindi, ci sono illeciti su illeciti, ci sono speculazioni su speculazioni nel settore dell'amianto che dobbiamo assolutamente cercare di tamponare. Abbiamo incontrato i principali impresari che si occupano di inertizzazione.
  Stiamo analizzando i dati, l'inertizzazione chimico o termica potrebbe essere il modo per cercare di smaltire l'amianto in maniera definitiva, ma per ora sono dati che andranno analizzati. Saremo ben contenti di discutere anche in Commissione ambiente, abbiamo una risoluzione che dovrebbe proseguire la discussione a breve anche con le audizioni per cercare anche un metodo diverso rispetto a quello della discarica.
  Abbiamo in Italia cure, diagnosi, linee guida terapeutiche da standardizzare. Deve essere offerto il massimo a queste persone che hanno già sofferto per un'offesa di Stato, per aver utilizzato una materia già nota dal 1960, come cancerogena, senza alcuna informazione. Si deve offrire loro il meglio e standardizzare tutto il trattamento. Si deve porre fine al fenomeno della morte al lavoro: troppi lavoratori hanno dovuto lavorare fino all'ultimo giorno di vita visto che non era previsto il pensionamento anticipato, nonostante la chiara correlazione con l'esposizione professionale.
  Intendiamo impegnare il Governo a consentire che almeno i lavoratori affetti da patologie asbesto-correlate, qualora non abbiano ancora raggiunto i requisiti possano arrivare ad avere la pensione.
  Chiediamo che nelle scuole debba essere censito, mappato e rimosso l'amianto al più presto. Il fenomeno della latenza è molto importante, per cui i bambini non devono essere in alcun modo esposti all'amianto: non è possibile che 2.000-3.000 scuole abbiano ancora l'amianto, questa è assolutamente una priorità.
  Per i lavoratori in qualche modo, anche se questo sicuramente è anticostituzionale, un ragionamento deve essere fatto qui in Parlamento sul fatto che il rischio non si può eliminare, si può solamente abbassare per cui i lavoratori più giovani non dovrebbero essere messi a contatto con l'amianto né nello smaltimento né nel trasporto né al livello di discarica. Ricordiamoci che nei cantieri navali gli apprendisti iniziavano a lavorare l'amianto a 14 anni, ed è anche per questo che ci sono state molte vittime e questo sicuramente va tenuto in considerazione.
  Segnaliamo che i materiali da sostituzione dell'amianto dovranno essere materiali sicuri e idonei al recupero e che evitino incidenti: 50 decessi all'anno riguardano cadute da tetti di eternit che si sfondano, e anche questo non è possibile.
  Ogni regione dovrà individuare siti idonei allo stoccaggio, siti sicuri. Ogni regione dovrà farsi carico di questo, non è possibile demandare ad altri territori. Una discarica da un milione di tonnellate non è un'area così vasta. Deve essere messa in sicurezza anche sul suo sottofondo.
  Abbiamo inserito diverse parti, nella mozione, che riguardano la defiscalizzazione che sappiamo che è qualcosa che di solito porta un guadagno allo Stato.
  Per quanto riguarda i trattamenti delle patologie asbesto-correlate, devono essere monitorati i trattamenti chirurgici e chemioterapici, predisponendo adeguate risorse per la valutazione dei risultati e degli outcome clinici e della qualità di vita dei pazienti, incentivando la ricerca clinica e laboratoristica nel settore.

  PRESIDENTE. Avverto che è stata testé presentata la mozione Taglialatela ed altri n. 1-00492; il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  È iscritta a parlare l'onorevole Scopelliti, che illustrerà anche la mozione Dorina Bianchi e Piccone n. 1-00484, che ha sottoscritto in data odierna. Ne ha facoltà.

Pag. 21

  ROSANNA SCOPELLITI. Signor Presidente, l'Italia è stata fino alla fine degli anni Ottanta il secondo maggior produttore europeo di amianto, in particolare di amianto crisotilo, dopo l'ex Unione Sovietica ed il maggiore della Comunità europea, nonché uno dei più grandi utilizzatori.
  A seguito dell'adozione della legge n. 257, a partire dal 1992, l'impiego dell'amianto è stato bandito nei nuovi manufatti. Infatti, la legge citata ne vieta l'uso e la lavorazione, nonché la bonifica degli edifici, delle fabbriche e del territorio e prevede misure per la tutela sanitaria e previdenziale dei lavoratori ex esposti all'amianto e misure per il risanamento degli stessi edifici e per il riconoscimento della qualifica di malattia professionale e del danno biologico.
  Purtroppo in questi anni la legge n. 257 del 1992 è stata solo parzialmente attuata, come pure il decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277, attuativo di direttive comunitarie, in materia di protezione dei lavoratori dai rischi derivanti da esposizione ad agenti climatici, fisici e biologici, mentre sono aumentati progressivamente i decessi per tumore causati da esposizione all'amianto.
  Questo triste fenomeno, infatti, ha prodotto un'enorme quantità di patologie e di decessi per quanti sono entrati in contatto con tale materiale: secondo i dati riportati dall'Osservatorio nazionale amianto, sono circa 5 mila i decessi ogni anno.
  Nei prossimi decenni – stante il lungo periodo di latenza della malattia, anche superiore ai 30 anni – si avrà un forte incremento dei decessi provocati dall'amianto, che raggiungerà l'apice tra il 2015 e il 2025 e, secondo alcuni esperti, persino nel 2040.
  La legge citata prevede, fra le altre cose, il censimento delle aree e delle strutture contaminate, insieme alla predisposizione di piani di bonifica: un compito complesso, da attuarsi attraverso la sinergia tra gli enti locali, i singoli cittadini, le imprese e le ASL.
  Il problema oggi più rilevante, quindi, è che, nonostante la messa al bando del minerale, la sua presenza nella nostra vita quotidiana è ancora altissima e ciò protrae il rischio di ammalarsi anche in futuro. Infatti, l'emergenza amianto non è finita con la chiusura delle fabbriche: le malattie come ricordato hanno un'incubazione che può essere lunghissima e non colpiscono solo gli ex lavoratori, ma anche i loro familiari e i cittadini che vivono nelle vicinanze delle fabbriche.
  Le autorità sanitarie devono confrontarsi con un fenomeno grave, che peraltro non è stato valutato immediatamente come tale ed al quale si è cominciato a porre rimedio, come già detto, solo alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso. Pertanto, anche dopo la cessazione delle lavorazioni, previste dalla legge n. 257 del 1992 resta da gestire la presenza di grandi e diffuse quantità di materiali contenenti amianto.
  Infatti, ancora oggi l'amianto è presente negli edifici pubblici e privati: dagli ospedali alle scuole (circa 3 mila strutture), fino alle abitazioni private. Secondo stime recentemente effettuate, sarebbero presenti sul nostro territorio circa 34 milioni di tonnellate di amianto compatto e altri 3 milioni di amianto friabile.
  In particolare, va rilevata la presenza di amianto nei siti interessati da attività di estrazione di tale materiale, nei siti industriali legati alla produzione di manufatti di amianto, in siti ed aree industriali dismesse che hanno utilizzato amianto nelle rispettive attività produttive dove possono essere ancora stoccati manufatti o altri beni e residui di amianto. Vanno inoltre segnalate le situazioni di contaminazioni diffuse dovute a discariche abusive, suoli e sedimenti contaminati da un illecito sversamento di materiale contenente amianto e siti contaminati da fibre di amianto (ad esempio nelle cave o aree interessate da esecuzione di opere pubbliche). Oltre ad essere variamente diffusi su tutto il territorio nazionale, i materiali contenenti amianto presentano un diverso livello di pericolosità.
  Ai fini della messa in opera di idonei interventi di bonifica e di gestione del rischio è pertanto indispensabile progettare Pag. 22ed attuare specifici interventi da parte dei privati e dei soggetti pubblici. Appare quindi evidente come il contrasto a questa calamità debba costituire uno degli elementi prioritari che lo Stato deve affrontare predisponendo misure idonee e dirette a sostenere i soggetti colpiti da patologie derivanti dall'esposizione all'amianto ed alle loro famiglie, di diagnosi precoce per i soggetti a rischio, di bonifica dei siti, di rimozione integrale del cancerogeno dai luoghi di lavoro e dalle comunità e di mappatura e tracciatura del rifiuto. Un ostacolo sicuramente da superare è poi anche quello relativo alla conoscenza approfondita del fenomeno, infatti non esistono purtroppo campagne che informino i cittadini cosicché le conseguenze derivanti dall'esposizione all'amianto molte volte risultano sottovalutate. Ma esiste anche una colpevole mancanza di chi, sapendo della presenza dell'amianto in una determinata struttura, evita – consciamente – di segnalarlo alla ASL. Incentivi e deterrenti sono ancora scarsi, così come il comportamento delle istituzioni che lamentano la scarsità di mezzi a disposizione. Quello che doveva essere un obbligo di mappatura sancito dalla legge è così affidato alla buona volontà di chi è costretto a lottare con carenze di organico e di finanziamenti.
  La questione non riguarda solo le aree inquinate, ma anche e soprattutto le persone malate o potenzialmente a rischio. Va comunque detto che l'Italia è tra i pochi Paesi a possedere un registro dei mesoteliomi ma le forme tumorali legate all'amianto non si limitano a questa patologia. Neoplasie come quelle al polmone, alla laringe ed alle ovaie sono molto diffuse tra la popolazione e possono in alcuni casi derivare proprio dall'esposizione all'amianto. Esistono poi degli ostacoli burocratici e legislativi che rendono difficoltoso il godimento dei benefici previdenziali e pensionistici in favore dei soggetti che sono stati esposti all'amianto.
  Il Nuovo Centrodestra, quindi, è consapevole che per affrontare il problema amianto e risolverlo occorre avere una visione organica e generale e che è necessario raccogliere la sofferenza e le difficoltà di quanti sono spesso lasciati soli nell'affrontare le conseguenze di un problema che è tanto importante per il nostro Paese, un problema che può e deve essere risolto cercando di dare supporto concreto e sostegno fattivo, secondo direttrici che la nostra mozione indica come impegni al Governo. Infatti è necessario, oltre che intervenire per semplificare le modalità di erogazione delle prestazioni per i soggetti beneficiari e per le vittime dell'amianto, attivarsi anche al fine di dare piena attuazione al Piano nazionale amianto varato dal Governo Monti, valutando la possibilità di incrementare la dotazione economica allo scopo di eliminare i rischi per la salute pubblica derivante dalla presenza di amianto negli edifici pubblici e privati.
  In particolare, occorre rafforzare sull'intero territorio nazionale e specialmente nelle aree più critiche il controllo sull'assoluto rispetto dei divieti di commercializzazione e riutilizzo di prodotti contenenti amianto, individuare e mappare le situazioni di rischio ed attivare idonei interventi di messa in sicurezza e bonifica. Sarebbe inoltre necessario intervenire affinché venga realizzata una «anagrafe dell'edilizia scolastica», anche coinvolgendo gli enti locali che potranno indicare al Governo, e questi quindi riferire in Parlamento, le necessità, le priorità, le emergenze da affrontare al fine di risolvere un allarmante problema che, attualmente, interessa ben duemila edifici scolastici, 342 mila alunni, docenti ed operatori scolastici.
  Risulta, altresì, indispensabile valutare la possibilità di escludere dai saldi rilevanti per la verifica del rispetto del Patto di stabilità interno le spese per la bonifica dell'amianto, in particolare in edifici pubblici, quali scuole, università ed ospedali, prevedendo un finanziamento del Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici, attualmente privo di adeguata dotazione.
  In conclusione, auspichiamo un impegno preciso e diretto del Governo sui punti della nostra mozione affinché si possa avviare un percorso con effettive azioni Pag. 23tese a dare risposte sicure a quanti da anni aspettano soluzioni concrete per eliminare questo pericolosissimo problema.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Binetti, che illustrerà anche la mozione De Mita n. 1-00485, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

  PAOLA BINETTI. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghi, mi piacerebbe, se non fossi parlamentare in questo momento e svolgessi il mio lavoro ordinario, quello di professore di storia della medicina, che gli studenti conoscessero questa pagina e la registrassero sotto il nome «per non dimenticare come ci si ammala e perché ci si ammala».
  Mi piacerebbe che capissero, le nuove classi di medici, come molto spesso non ci si può limitare ad una competenza che matura sui libri di testo, o che cerca nelle cause infettive – la stessa oncologia è oggi una delle patologie più diffuse – come una sfida, come una di quelle situazioni o di quei contesti che richiedono da parte nostra energia intellettuale per andare a fondo dei problemi, capacità davvero di contrastare gli effetti. Ma in questo caso specifico dovrebbero capire, gli studenti di medicina, come alla base molte volte di molte patologie l'ingiustizia sociale si configura come una causa di malattia tra le più gravi, in un certo senso tra le più contagiose e in qualche modo anche tra le più difficili da rimuovere.
  Dico questo perché credo che da questo punto di vista la lotta contro l'asbestosi, contro il mesotelioma, contro i tumori – come è stato ricordato da alcuni colleghi – anche a diversa localizzazione, come sono, per esempio, anche la localizzazione a livello vaginale o a livello delle ovaie, sono sfide che devono cominciare da una consapevolezza di quello che è il bene comune, una consapevolezza integrata tra quella che è la complessità dell'organizzazione del mondo del lavoro, la tempestività con cui si denunciano i casi che sono problematici e poi l'ancora più forte senso di responsabilità nel rimuovere queste cause.
  Il dramma, il vero dramma dell'amianto è stato il silenzio che per molti anni ha accompagnato i primi sospetti, la conoscenza che mano a mano si andava organizzando e la consapevolezza che è maturata. È la complicità del silenzio che rende questo killer a sua volta silenzioso perché è un killer che fa sentire i suoi effetti a distanza di venti anni, anche a distanza di tempi ulteriori, però pesa sulle spalle di quanti hanno cercato in qualche modo di minimizzare.
  È questa – io credo – la lezione più importante che noi oggi dobbiamo trarre da questa riflessione. Dobbiamo capire che il coraggio civile è il coraggio della denuncia e mi creda, signor Presidente, in un momento in cui noi stiamo dibattendo tanto rispetto alla corruzione – valga per tutti l'episodio di questi giorni del Mose – questo non deve farci dimenticare che anche questa è corruzione, anche questa è complicità, anche questa situazione coinvolge il pensiero, coinvolge l'azione, coinvolge interessi economici, coinvolge la superficialità, coinvolge quell'inerzia e quella incapacità di dichiarare una guerra reale a ciò che rappresenta il killer della vita delle persone, delle famiglie e delle aziende.
  L'Italia è stata fino alla fine degli anni Ottanta il secondo maggiore produttore europeo di amianto, in particolare dell'amianto crisotilo, dopo l'ex Unione Sovietica e soprattutto, all'interno di quella che è la Comunità europea, il maggiore produttore.
  Ma ci sono voluti venti anni, tra la legge del 27 marzo del 1992 n. 257, in cui veniva sottolineato il pericolo di contrarre patologie derivanti dall'esposizione o dalla lavorazione di materiali contenenti amianto in Italia, alla prima condanna di famosi manager che a Torino, nel «processo Eternit» furono condannati.
  Ci sono voluti 20 anni perché tra il livello delle conoscenze acquisite, consolidate e maturate in un disegno di legge si passasse all'identificazione di responsabilità personali e concrete. Questa è la lezione che, ancora una volta, desideriamo che si apprenda: vi è un sistema che, Pag. 24effettivamente, è un sistema patologico, è un sistema che induce, perché è un sistema portatore di morte, ma vi sono delle responsabilità personali, e fare trascorrere 20 anni tra l'identificazione della causa, che abbiamo messo a fuoco, e la responsabilità che ne consegue è veramente troppo per un Paese civile, è veramente troppo per un Paese che ha nella cultura scientifica e nella cultura giuridica i suoi fondamenti culturali.
  Sappiamo che il rischio non si estingue con la cessazione delle lavorazioni, in quanto resta da gestire la presenza di grandi e diffuse quantità di materiali contenenti amianto in matrice friabile, negli edifici civili e industriali, negli impianti e nei mezzi di trasporto – in particolare, in quelli navali, ma sappiamo anche nei treni, e ci è stato appena ricordato anche nel trasporto su pullman, su camion, su ruota – e di altrettanto rilevanti presenze di materiali contenenti amianto in matrice compatta, il cui progressivo deterioramento, anche semplicemente dovuto alla vetustà del materiale, può essere causa di rilascio di fibre e di conseguente rischio.
  È questo quello che ci rende profondamente responsabili rispetto alle generazioni future: noi gli consegniamo un'incognita. Possiamo mappare i siti, possiamo mappare tante situazioni e tante circostanze, ma non possiamo calcolare effettivamente quante saranno le vittime di questo sistema, e, in qualche modo, le vittime di questo sistema sono affidate anche alla coscienza del nostro ritardo, alla mancata denuncia, alla mancata energia con cui abbiamo affrontato il tema della gestione dei rifiuti, il tema del trasporto dei rifiuti, ma anche il tema delle bonifiche operative.
  Dopo mi soffermerò, in modo particolare, ovviamente, sulle scuole, perché, in qualche modo, riguardano le future generazioni, però quello che voglio dire è che le fibre di asbesto, se inalate, provocano gravi patologie dell'apparato respiratorio, come è stato già ricordato da molti colleghi, ma provocano anche neoplasie a carico di altri organi, il mesotelioma peritoneale, pericardico e della tunica vaginale del testicolo, il tumore maligno all'ovaio; causano placche pleuriche e inspessimenti pleurici diffusi. Alcuni studi suggeriscono anche che siano causa di tumori maligni in ulteriori sedi, quale l'apparato digerente.
  È evidente che da questo elenco non resti escluso nulla, nulla. Tutto l'organismo umano può essere affetto da questa patologia: è una malattia che ha un carattere sistemico, che coinvolge l'intero organismo umano, e quindi costituisce un fronte di pericolo dal quale è quasi impossibile riuscire a guardarsi. Questo, se affidato alla responsabilità del singolo, è praticamente un obiettivo ingestibile. Nessuna persona, da sola, potrà fare fronte ad un nemico che può aggredirla in uno qualunque dei suoi organi e dei suoi apparati. Ma non è così soltanto.
  Ci è stato detto, ed è stato ricordato anche da alcuni colleghi, come queste fibre di amianto il lavoratore se le porti appiccicate addosso, se le porti sulla sua pelle, se le porti nelle sue tute, se le porti nella sua biancheria, e quindi, in qualche modo, il killer si introduce anche nelle pareti domestiche. Si introduce nella relazione con la moglie, che, fino a che non si dimostrerà una cosa contraria, è colei che si prende cura della sua persona, che si prende cura delle sue cose, che si prende cura della sua biancheria; lei stessa viene esposta a questo.
  Ma possiamo anche immaginare che questo lavoro, come dire, di purificazione del vestiario che si indossa venga fatto anche nelle lavanderie pubbliche. In questo senso, c’è un pericolo di contaminazione, a macchia d'olio, degli ambienti più diversi e disparati.
  Di fatto, oltre ai lavoratori che hanno prestato la loro attività nelle industrie produttrici di amianto, sono potenzialmente esposti a tale rischio sia i lavoratori che inconsapevolmente hanno prestato e prestano la loro attività in luoghi o in situazioni dove persiste la presenza di amianto, che, ed è quello che ci interessa distaccare in questo momento, i familiari dei lavoratori che potevano respirare le fibre portate a casa, ad esempio, con gli Pag. 25abiti da lavoro, i cittadini che vivevano o vivono tuttora in aree dove è possibile inalare fibre aerodisperse; pensate a un colpo di vento, pensate veramente a quello che conosciamo perché lo abbiamo visto con la tragedia analoga dell'ILVA, in cui il vento porta via e dissemina in altri ambienti i germi della patologia. Tutto questo avviene perché noi non siamo stati in grado di applicare attentamente le norme di prevenzione e perché molto spesso i lavoratori impiegati nelle attività di manutenzione, bonifica e gestione dei rifiuti sono loro stessi le nuove vittime potenziali.
  Secondo le stime dell'Organizzazione mondiale della sanità, il numero di casi di malattie legate all'amianto nella sola Unione europea è compreso tra i 20.000 e 30.000 all'anno. Non c’è chi non vede come in molti di questi lavori vengano assorbite anche persone che appartengono a quella complessa categoria che definiamo, in modo semplicistico, degli immigrati. Noi stiamo diffondendo questa patologia proprio a livello di quelle persone che sono anche le persone più semplici, più esposte direttamente nella fabbrica a certi tipi di lavori e a certi tipi di inquinamento. In Italia, secondo quanto pubblicato dal Ministero della salute, il mesotelioma ha un'incidenza di 3,6 casi ogni 100 mila abitanti e della metà, sempre ogni 100 mila abitanti, per le donne. Si riscontrano 4.000 casi per malattie asbesto-correlate e il problema, come ho già accennato, è la latenza della malattia che si è creduto per molti anni che potesse essere ricondotta ai 20 anni, adesso l'epidemiologia ci dice che questi casi possano essere legati a 40 anni e anche a 50 anni. Pensate a quanto è difficile ricostruire la storia naturale di quella malattia quando dopo cinquant'anni si sviluppa un tumore e quel paziente non può ricordare nemmeno quali sono state le cause, le situazioni e le circostanze per cui è stato a contatto con questi materiali.
  Mi preme sottolineare una cosa, perché questa è quella che investe, oggi, la nostra responsabilità di legislatori. Il picco atteso, nonostante tutto, è nel prossimo quinquennio, tra il 2015 e il 2020 e questo noi non possiamo dire che non lo sapevamo. Mi dispiace che oggi l'Aula sia vuota – ma è una sindrome del lunedì – e mi auguro che chi interverrà per fare le dichiarazioni di voto tra domani, dopodomani, quando sarà, sottolinei ancora questa responsabilità: noi non c'eravamo vent'anni fa, probabilmente facevamo cose diverse, meno che mai forse c'eravamo quarant'anni fa, ma ci siamo oggi quando ci si dice: attenta sei nel 2014, quello di cui stai parlando esploderà tra il 2015 e il 2020, non puoi lavartene le mani, non puoi indugiare, non puoi tentennare. Ancora una volta (prima avevamo qui una grande rappresentanza del Ministero dell'economia e delle finanze, adesso c’è il nostro sottosegretario preferito, l'onorevole che è sempre presente qui in Aula insieme noi) voglio dire che non possiamo far sottostare il diritto alla logiche dell'economia. Noi oggi sappiamo che fra il 2015 e il 2020 esploderà il picco, e noi oggi dobbiamo dire, mi auguro davvero con un voto all'unanimità dell'intera Aula, che non è tollerabile che noi lasciamo sole queste persone. Non è tollerabile che accettiamo regole e criteri che vengono oggettivamente da una carenza di risorse. È vero, ma noi di questa mancanza di risorse ne abbiamo fatto una causa di malattia, perché abbiamo continuato, dietro la falsa argomentazione di difendere certi posti di lavoro, certe unità professionali, a creare la sacca della patologia.
  Il tema, quindi, non passa inosservato anche grazie alla II Conferenza governativa sull'amianto organizzata ai sensi della legge n. 257 del 1992, ma realizzata nel 2012, venti anni dopo. Ecco signori, venti anni sono veramente troppi per prendere delle decisioni.
  Sono veramente troppi e questa volta non siamo scusabili. Solo venti anni dopo si sono confrontate tutte le componenti interessate, insieme a giuristi, scienziati, esperti epidemiologici e clinici, università e Sistema sanitario nazionale per giungere ad una proposta di piano operativo, comprensivo delle linee di azione per le diverse problematiche identificate. Al termine della conferenza, che sottolineo fu Pag. 26fatta venti anni dopo la legge – non venti anni dopo che il problema era stato identificato, ma venti anni dopo la legge, quando era già maturata in questo Parlamento una sorta di consapevolezza – al termine della conferenza – insisto – del novembre 2012 è stato elaborato un Piano nazionale amianto, contenente la descrizione degli obiettivi e delle principali linee di attività.
  Ma, colleghi, se il Piano nazionale amianto fosse soddisfacente, se coprisse davvero tutti gli obiettivi e desse ragione alle responsabilità dei singoli e delle istituzioni, questa nostra mozione non avrebbe senso, perché sarebbe già ricompresa all'interno del Piano nazionale amianto. Ma se tutti i gruppi hanno sentito l'esigenza di presentare una mozione, di sollevare ancora una volta il problema e di non dormire davanti a questo segnale di allarme che ci viene da tante persone, allora vuol dire che a quel Piano nazionale manca qualcosa. Forse manca l'energia della politica che dice: basta parole, passiamo ai fatti. È un po’ uno slogan che questo Governo ha assunto in tanti momenti e in tante occasioni. Bene, che questo obiettivo amianto, ovvero lotta all'amianto, bonifica dall'amianto e tutela di questi pazienti, sia davvero tra le priorità di questo Governo proprio alla luce di un'autentica forma di civiltà e di rispetto di quella che è la salute e la dignità umana !
  La legge del 2001, che, attenzione, è quella a cavallo tra la legge del 1992 e poi il Piano nazionale del 2012, recante disposizioni in campo ambientale, aveva già disciplinato il finanziamento per la mappatura delle situazioni con presenza di amianto, all'esito della quale erano stati censiti oltre 34 mila siti contaminati. Signori, 34 mila siti contaminati sembrano un'enormità, ma non sono nulla rispetto al fatto che potrebbero salire a 500 mila al termine della mappatura di tutte le regioni.
  Signori, noi ci muoviamo su un crinale che corre il rischio di essere scientificamente ridicolo, perché la differenza tra 34 mila e 500 mila è una differenza talmente abissale, che non permette nemmeno di essere considerata un'approssimazione, permette soltanto di dire: ma come abbiamo lavorato ? Ma come abbiamo coinvolto le regioni ?
  Si tratta di quelle regioni, riguardo al quale il Titolo V ogni volta sbandieriamo in certi momenti come una conquista, ma che in altri momenti ci fa tremare, come si dice, le vene e i polsi, quando pensiamo alla difformità della tutela della salute che avviene nelle diverse regioni. Ma se io corro il rischio di passare da 34 mila a 500 mila, già sento nelle mie orecchie che cosa ci dirà il MEF: ma cosa volete che stanziamo, se non sapete nemmeno voi quanto il problema può avere orizzonti che si estendono fino all'infinito ? Ecco perché è urgente per noi in questa mozione piantare dei paletti. E mi auguro con tutto il cuore che possiamo piantare questi paletti, come spesso accade, insieme, perché questo non è un obiettivo di centrodestra, non è un obiettivo di centro, non è un obiettivo di centrosinistra, non è un obiettivo di destra e non è un obiettivo di sinistra: questo è l'obiettivo dell'intero Paese.
  Ed è per questo che per noi desta particolare allarme la presenza di un numero elevato, ma imprecisato, di plessi scolastici di materiali, anche datati, contenenti amianto. Il Presidente Renzi quando inaugurò la sua attività di Presidente del Consiglio, inaugurò anche le visite più o meno settimanali nelle diverse scuole. Ne ricordiamo tutti l'eco direi quasi goliardico, il suo simpatico rapporto con gli alunni e la capacità di stabilire un dialogo pieno di ottimismo riguardo al futuro.
  Ma si può stabilire un dialogo ottimistico rispetto al futuro e, nello stesso tempo, tollerare che questi ragazzi vivano in una condizione di rischio che – tra 10, 20, 30, 40 o 50 anni – li esporrà al rischio di un tumore e di un tumore polmonare ? Non credo. Quindi ben venga, Presidente del Consiglio, che anche per questo stesso motivo, anche per una misura preventiva seria e rigorosa, possa intervenire su questo.Pag. 27
  C’è un'altra cosa che mi ha colpito molto, perché mi è sembrata un'ingiustizia inaudita nei confronti dei pazienti: l'idea che siano stati classificati dall'INAIL in base ad una serie di classi che dice se avranno diritto, se non avranno diritto, a che cosa potrebbero avere diritto. Leggo questo: «Si rimarca il fatto che il presupposto per avere diritto al beneficio garantito dal fondo (sto parlando del fondo che è stato stabilito con la finanziaria del 2008) è il godimento di una rendita INAIL con esclusione di ogni altra ipotesi. Rimangono dunque esclusi dal beneficio i soggetti non assicurati». Mi sembra veramente una doppia cattiveria: dopo non essere stati assicurati, non sono nemmeno rimborsati, non sono nemmeno garantiti, non sono nemmeno sostenuti. Veramente, è come dire: al peggio, onestamente sembra proprio che non ci sia mai fine, per coloro ai quali l'INAIL non ha riconosciuto la patologia come malattia professionale. Mi chiedo: ma ad una maestra che ha insegnato vent'anni in una scuola e che in qualche modo è stata esposta ad alcuni tipi di rischi o di malattie professionali, potrà essere riconosciuta l'eventualità di mesotelioma come malattia professionale o una malattia professionale di questo tipo sarà riconosciuta – come è giusto, doveroso, condizione necessaria ma insufficiente – soltanto a coloro che hanno lavorato a contatto diretto con l'amianto, e coloro che sono stati a contatto indiretto con l'amianto si sentiranno preclusi da questo ? Anche su questo noi dobbiamo fare chiarezza, perché anche costoro, le maestre di oggi, gli alunni di domani, anche costoro rientreranno nel picco 2015-2020. Mi piace pensare che...

  PRESIDENTE. Dovrebbe concludere.

  PAOLA BINETTI. Finisco, Presidente: ci sono poi una serie di impegni, impegni – credo di aver visto, guardando le affermazioni dei colleghi – che sono in gran parte convergenti. Ed io faccio mie tutte le richieste che vengono fatte al Governo di tutte le mozioni dei colleghi. Mi auguro che i colleghi facciano loro le nostre e, nello stesso tempo, mi auguro davvero che si apra una nuova strada per questi pazienti (Applausi).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palese, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00486. Ne ha facoltà.

  ROCCO PALESE. Signor Presidente, onorevoli colleghi e rappresentanti del Governo, oggi si affronta uno dei temi più dolorosi della recente storia d'Italia, così come opportunamente altri colleghi che mi hanno preceduto hanno ricordato. Fino alla fine degli anni Ottanta, il nostro Paese è stato uno dei maggiori produttori di amianto. Le industrie estrattive e manifatturiere legate a questo elemento hanno dato lavoro a tanti italiani, hanno prodotto benessere economico, stabilità e contratti di lavoro. L'uso dell'amianto è stato così diffuso da far divenire, nell'immaginario collettivo italiano, il nome della più grande multinazionale produttrice, la Eternit Spa, sinonimo dello stesso amianto. Dunque di Eternit, per un largo decennio, si è fatto un uso e consumo praticamente ovunque: nei fabbricati pubblici, nell'edilizia privata, nei trasporti, grazie alla duttilità della sua composizione organolettica.
  Sono passati ormai anni, da quando importanti studi scientifici nazionali ed internazionali hanno confermato una sicura correlazione tra il mesotelioma e l'amianto. Sono passati ormai anni da quando la parola mesotelioma è stata per la prima volta pronunciata alle vittime, allora ancora ignare, con una sorta di spartiacque esistenziale. Ma ancora oggi le vittime dell'amianto ci riconducono ad una sensazione di impotenza, quell'impotenza provata nel momento in cui questa malattia viene diagnosticata. E questo perché, davanti alle malattie causate da lavoro, il primo sentimento è questo, a cui segue la rabbia per il tradimento subito da parte di un lavoro che ti ha dato il pane, a te ed alla tua famiglia, e che ora ti si ritorce contro.
  Il 28 aprile di ogni anno ricorre la Giornata del ricordo delle vittime dell'amianto, istituita nel 2005, in concomitanza Pag. 28con la ricorrenza della Giornata della salute e della sicurezza: quasi un paradosso per una patologia indotta proprio dalla mancanza di tutela, sia della salute, che della sicurezza. Noi vorremmo che questa giornata non servisse solo a ricordare le vittime, ma che fosse l'occasione per mettere a fuoco i tanti problemi irrisolti con tutto ciò che riguarda l'amianto ed i suoi effetti patologici.
  Bonifica, mappature, piani per lo smaltimento, discariche: sono più di vent'anni che se ne discute e sia pur con ritardo, visto che la legge istitutiva è del 1992, lo Stato sta cercando di mettersi a pari passo con le lotte di una cittadinanza che, ancora prima dei Governi e della politica, si è fatta sentinella attiva, faticosamente. Come è accaduto nella città di Bari, dove recentemente e con l'auspicio di tutta la popolazione sorgerà, al posto della Fibronit – fabbrica che ha prodotto tante, tante, tante, malattie e tanti mesoteliomi, veramente una cosa devastante che si trova proprio nel centro della città, addirittura a 600 metri dalla sede del consiglio regionale – un parco che verrà chiamato «Parco della Rinascita». La regione Puglia ha adottato il piano regionale per l'amianto, ma molte regioni sono ancora troppo indietro.
  È vero che gestire questa calamità vuol dire portare avanti una battaglia sotto un triplice aspetto: l'aspetto ambientale, l'aspetto della tutela della salute e l'aspetto della sicurezza sul lavoro. Ma il rischio da scongiurare, però, non è quello di non avanzare sulla strada della tutela e della messa in sicurezza, ma addirittura di arretrare. Certo, non dobbiamo dimenticare che l'Italia è stata una delle prime nazioni, a livello comunitario, a dotarsi di una normativa di contrasto. Le prime disposizioni che regolamentano l'uso dell'amianto risalgono addirittura al 1986, con l'ordinanza del Ministero della Sanità del 26 giugno 1986 che, in recepimento della direttiva europea n. 83/478/CEE, limitava l'immissione nel mercato dell'amianto. Ma è nel 1992, con la legge n. 257, che l'Italia mette al bando tutti i prodotti contenenti amianto, vietando l'estrazione, l'importazione, la commercializzazione e la produzione di amianto e di prodotti contenenti amianto, secondo un programma di dismissione il cui termine ultimo fu fissato al 28 aprile 1994. In particolare, la legge n. 257 del 1992 ha regolamentato il processo di dismissione, definendo i criteri per il finanziamento delle imprese interessate alla riconversione produttiva e per i benefici previdenziali a favore dei lavoratori occupati nella produzione dell'amianto. Successivamente è poi intervenuta la legge n. 271 del 1993, altra legge che ha esteso tali benefici a tutti i lavoratori professionalmente esposti ad amianto. La norma citata non si limita a prescrivere la cessazione dell'impiego dell'amianto, ma cerca di prendere in esame la complessa tematica dell'amianto nella sua interezza, mettendo in evidenza alcuni problemi considerati particolarmente rilevanti ai fini della tutela della salute pubblica, connessi alla presenza nell'ambiente di prodotti di amianto liberamente commercializzati ed installati in precedenza.
  Proprio in Italia, inoltre, è stata pronunciata quella che potremmo definire, agli occhi non solo del nostro Paese, ma di tutto il mondo, una sentenza storica, emessa dal tribunale di Torino, prima sezione penale, che il 13 febbraio 2012 ha condannato la multinazionale svizzera Eternit ed i suoi vertici per disastro ambientale, pronuncia recentemente confermata dalla corte d'appello che, concludendosi con una condanna più pesante di quella inflitta in primo grado, non lascia dubbi sulla pericolosità della fibra killer. Eppure, nonostante la bontà della norma e l'impegno della giurisprudenza, nonostante il fatto che l'uso dell'amianto sia stato completamente bandito nel 1992, il nostro Paese sopporta ancora oggi le conseguenze dei livelli di esposizione altissimi. E questo soprattutto a causa dei ritardi sui programmi per la dismissione dell'attività estrattiva dell'amianto e sulle relative attività di bonifica, peraltro molto esose, che comportano una casistica ancora allarmante sul numero di casi di esposizione al letale materiale. Con la finanziaria 2008 è Pag. 29stato istituito un Fondo per le vittime dell'amianto, che rischia di non essere abbastanza capiente e che ha già dimenticato le vittime civili, coloro, cioè, che hanno avuto come unica colpa quella di avere una casa vicino alle industrie estrattive e manifatturiere legate all'amianto o, ancora peggio, di aver avuto un familiare che ci lavorava, ignaro portatore in casa delle fibre killer.
  Non possiamo infatti chiudere gli occhi davanti al fatto che, pur essendo le maestranze le prime e principali vittime dell'amianto, questo killer ha rappresentato un rischio oltre che per i lavoratori anche per i loro familiari, che potevano respirare le fibre portate a casa ad esempio con gli abiti da lavoro. Non è un caso, infatti, che nella casistica del Registro nazionale italiano dei mesoteliomi circa 1'8-10 per cento dei casi per i quali sono state ricostruite le cause pregresse di esposizione è risultato essere per motivi ambientali (la residenza) o per motivi familiari (la convivenza con familiari professionalmente esposti). Allo stato attuale, la nostra legislazione configura, quindi, vittime di prima serie e seconda serie. Si riconosce poco, in rapporto alla perdita di una vita umana, agli esposti di tipo professionale e nulla a coloro che perdono la vita a causa di una esposizione di tipo ambientale. Le sofferenze e le patologie – parlo anche da medico, Presidente – sono uguali, cioè questa distinzione è una distinzione totalmente assurda.
  Lo stato dell'arte sulle conoscenze scientifiche sui rischi da amianto e sulle possibilità di diagnosi e terapia, nonché sui meccanismi di tutela assicurativa e prevenzionistica in Italia è stato esaminato nella seconda conferenza governativa amianto, organizzata ai sensi della legge n. 257 del 1992, a Venezia, dove si sono confrontate tutte le componenti interessate, insieme a giuristi, scienziati ed esperti epidemiologi e clinici, dell'Università e del Servizio sanitario nazionale, per poter giungere a una proposta di piano operativo comprensivo delle linee di azione per le diverse problematiche identificate. Il piano è tutt'oggi in attesa del parere della conferenza Stato-regioni e, per tale ritardo, non trova ancora concreta attuazione.
  Anche dopo la cessazione delle lavorazioni, resta da gestire la presenza di grandi e diffuse quantità di materiali contenenti amianto in matrice friabile, negli edifici civili e industriali, negli impianti e nei mezzi di trasporto, in particolare in quelli navali, e di altrettanto rilevanti presenze di materiali contenenti amianto in matrice compatta il cui progressivo deterioramento, anche semplicemente dovuto alla vetustà del materiale, può essere causa di rilascio di fibre e di conseguente rischio. Si stima che ci siano ancora tra le 30 e le 40 milioni di tonnellate di materiale contaminato ancora da smaltire sul territorio nazionale. Oltre questo, non è da sottovalutare l'esposizione a cui siamo sottoposti considerando i manufatti contenenti amianto di cui non fosse nota la presenza provenienti da Paesi dove esso non è stato ancora bandito.
  Ma probabilmente il campanello d'allarme più forte lo avvertiamo per quello che succede nelle nostre scuole. Procura fondato allarme sociale, infatti, lo studio recentemente pubblicato dal Censis sullo stato di salute degli edifici scolastici, secondo il quale in Italia ci sono 2 mila scuole che espongono i loro 342 mila alunni e studenti al rischio amianto. Degli oltre 41 mila edifici scolastici statali, il Censis stima in 24 mila gli impianti elettrici, idraulici, termici che non funzionano, sono insufficienti o non sono a norma. Sono 9 mila le strutture con gli intonaci a pezzi. In 7.200 edifici occorrerebbe rifare tetti e coperture e interventi sulle strutture portanti.
  La recente assegnazione del 95,7 per cento dei 150 milioni di euro stanziati con il cosiddetto decreto del fare del Governo Letta, per l'avvio immediato di 603 progetti di edilizia scolastica rappresenta poca cosa rispetto alla necessità di mettere in sicurezza tutta la platea degli edifici scolastici, tanto è che, sulla base delle risorse stanziate e dei ritardi di spesa accumulati, alla fine del 2013, il Ministero delle infrastrutture stimava in ben 110 anni il Pag. 30tempo necessario per mettere in sicurezza tutti gli edifici scolastici italiani. Stiamo parlando della salubrità degli ambienti in cui i nostri ragazzi trascorrono anche otto ore al giorno. E veramente, Presidente, grida vendetta che, in un Paese in cui sui fondi comunitari 2007-2013 abbiamo una stima pressoché certa che saranno definanziati e perderemo per non averli utilizzati oltre 7 miliardi di euro – spero che non siano di più, ma sicuramente non saranno inferiori a 7 miliardi di euro –, non si sia trovata un'intesa tra Europa, Stato e regioni per poter utilizzare queste risorse, cioè per cercare di ristrutturare, per fare gli interventi di bonifica, di ristrutturazione e di sicurezza all'interno delle scuole.
  C’è un tentativo da parte del Presidente Renzi, con la Presidenza del Consiglio, di cercare in extremis di riuscire a fare qualcosa. Ma noi abbiamo importanti risorse che potevano essere utilizzate trovando un accordo di riprogrammazione tra le regioni che, in maniera non facilmente commentabile, si sono irrigidite e preferiscono non utilizzarle piuttosto che, invece, cercare di utilizzarle in questa maniera.
   Dunque è a tutti evidente che è dovere della politica attivarsi a tutti i livelli per monitorare le questioni ancora insolute a tutela dei lavoratori lesi, delle famiglie delle vittime e di tutti i soggetti danneggiati dal mancato rispetto delle norme sulla sicurezza dei lavoratori e dei luoghi di lavoro, a tutela dei nostri figli.
  Ed è per tale motivo, quindi che chiediamo al Governo di attivarsi, raccordandosi con le regioni, per una rapida conclusione del programma dettagliato di censimento, bonifica e smaltimento dei materiali contaminati, sollecitando le regioni – oppure con provvedimenti sostitutivi, anche se dispiace, ma quando le regioni sono inadempienti da anni: è dal 1992 che le regioni non fanno il piano. Ripeto: dal 1992 – ad una celere adozione dei piani regionali volti al censimento delle imprese che hanno utilizzato l'amianto nelle attività produttive e delle imprese operanti nelle attività di smaltimento e bonifica, nonché volti al censimento degli edifici con presenza di amianto friabile, con priorità per gli edifici pubblici, i locali aperti al pubblico o di utilizzazione collettiva.
  Chiediamo al Governo di adoperarsi per portare a termine quanto più celermente la procedura di esame e di approvazione del piano nazionale amianto.
  Chiediamo ancora al Governo di assumere ogni iniziativa normativa e anche politica volta ad incrementare il Fondo per le vittime dell'amianto estendendone i benefici e la copertura pensionistica anche ai cittadini colpiti da patologie asbesto-correlate non direttamente impiegati nella manifattura del materiale. A tal fine, inoltre, chiediamo al Governo di assumere le opportune iniziative volte ad escludere dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del Patto di stabilità interno le spese relative alla messa in sicurezza e bonifica dell'amianto. Queste risorse necessarie per la messa in sicurezza e bonifica dell'amianto, quelle per le bonifiche e il dissesto idrogeologico e i fondi comunitari stanziati ed assegnati dalla stessa Unione europea, in questo semestre di Presidenza italiana, è l'obiettivo minimo che dobbiamo chiedere e speriamo comunque di essere ascoltati altrimenti parliamo di aria fritta quando parliamo di crescita.
  Infine, chiediamo al Governo di prendere un impegno serio in materia alla luce del prossimo semestre europeo, nel corso del quale, la Presidenza italiana deve impegnarsi per promuovere il potenziamento della ricerca e della sorveglianza epidemiologica a livello nazionale ed internazionale, adoperandosi anche nelle sedi decisionali dell'Unione europea affinché, nell'ambito dell'attuazione della direttiva comunitaria concernente l'applicazione dei diritti relativi all'assistenza transfrontaliera, venga creata una rete di ricerca e prevenzione degli Stati membri, che sia di sicura protezione per tutti i cittadini europei.
  Per tali motivi, auspichiamo la più celere approvazione della mozione discussa, per il bene e per la salute del Pag. 31nostro Paese, senza avere alcun tipo di preclusione, se il Governo poi se ne fa carico, rispetto ad un raccordo di tutte le mozioni, perché sono tutte interessanti e meritevoli di grande attenzione da parte del Governo. Quindi, Forza Italia si adopererà anche in questo senso per eventualmente giungere ad una mozione unitaria.

  PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Palese e, considerato il tema, mi sembra un utile auspicio.
  È iscritta a parlare l'onorevole Bechis. Ne ha facoltà.

  ELEONORA BECHIS. Signor Presidente, da tempo e in più occasioni abbiamo cercato di metter luce su questo sistema socio-economico fallimentare.
  Trent'anni di ferocissima guerra civile nel Nord Irlanda hanno prodotto meno vittime di quante a casa nostra ne faccia l'amianto. Ogni anno in Italia muoiono circa 3 mila persone a causa di malattie amianto correlate. È devastante assistere impotenti ad una strage continua, perpetuata attraverso uno dei tumori più dolorosi: il mesotelioma. Lo studio dei casi rivela che il 69,8 per cento delle persone colpite da malattia amianto-correlata presenta una esposizione professione; il 4,5 per cento familiare e il 4,7 per cento ambientale. Le persone che non sanno dire perché si sono ammalate, ignorano qual è l'arma che le sta per uccidere. Non hanno mai lavorato l'amianto, non hanno mai avuto parenti stretti che l'hanno fatto. Semplicemente, detta in modo brutale, respiravano l'aria senza sapere cosa c'era dentro.
  L'utilizzo di amianto è stato messo al bando nel 1992, eppure ci sono muratori e operai che muoiono di malattie asbesto-correlate. Come mai ? L'amianto è come la famosa pubblicità: «è tutto intorno a te». La latenza della malattia è molto lunga – circa quaranta anni – e sono assai rari i casi per i quali risulta più breve di dieci. La diagnosi precoce serve a poco. Non ci sono cure, questa è la verità, e il picco di casi di mesotelioma si raggiungerà nei 2015.
  Lo scenario che abbiamo di fronte sembra quello di un Paese uscito dalla guerra, ridotto in macerie. È arrivata l'ora di prendere decisioni nette e chiare. La lotta alle patologie correlate all'esposizione delle fibre di amianto, così come il riconoscimento di aiuti e di prestazioni in favore dei lavoratori che hanno contratto specifiche patologie ad esso correlate non hanno più tempo: è urgente dare delle risposte efficaci a chi le aspetta da anni.
  I malati affetti da patologie asbesto-correlate, non avendo raggiunto i requisiti per la maturazione del diritto alla pensione, si vedono costretti a continuare a lavorare per garantire il pane ed un futuro ai propri cari. Ed è per loro che chiediamo un impegno chiaro al Governo. L'impegno di garantire un reddito da pensione a queste vittime di un comportamento scellerato sia dei Governi passati sia degli imprenditori sciacalli, che, pur consapevoli dei rischi all'esposizione da amianto, li hanno mandati al macello.
  «Ho visto la luce !», gridava uno dei Blues Brothers nell'omonimo film: la stessa luce che vogliamo vedere noi. Una luce capace di schiarire le zone d'ombra che permettono alla corruzione, alle eco-mafie e alle menti criminali di agire indisturbate e di uccidere silenziosamente un Paese in agonia.
  Le vittime chiedono trasparenza: vogliamo vedere ogni singolo passo verso la bonifica totale del territorio, vogliamo che ogni centesimo delle nostre tasse venga speso per il bene dei cittadini e che mai più vadano soldi in tasca a ladri assassini che si ingrassano sulla nostra pelle. Trasparenza sull'avanzamento della mappatura dell'amianto presente sul territorio, su dove viene stoccato e in che modo, su chi fa i lavori e sulle misure di sicurezza adottate, sui costi e su chi e come fa i controlli.
  I controlli, sì, quelli di cui spesso si riempiono la bocca i tronfi tromboni della politica, salvo poi tagliare, tagliare e ancora tagliare. Come per gli ispettori del lavoro, figure fondamentali per garantire i controlli necessari e, quindi, evitare costi sociali, economici e le mancate entrate Pag. 32dovute all'annosa questione del lavoro nero. Questi organi di controllo servono a garantire elevati standard di sicurezza, una giusta redistribuzione del reddito e a combattere l'ingerenza delle eco-mafie nel business delle bonifiche: quindi, vanno finanziati, bisogna dotarli degli strumenti idonei a svolgere al meglio il loro compito.
  Il business delle bonifiche è un'occasione per generare lavoro sicuro e far ripartire la domanda interna: lasciarlo in mano alle eco-mafie è un doppio delitto. Primo, perché distoglie le poche risorse pubbliche verso i nemici dello Stato; secondo, perché espone la cittadinanza a rischi ben peggiori di quelli che si vorrebbero evitare, affidandosi a dei criminali per risparmiare quattro soldi. Non è un caso che, spesso, capannoni pieni di amianto vadano a fuoco: e qui rivolgo un pensiero particolare ai vigili del fuoco, che spesso si trovano chiamati a spegnere questi incendi. E sempre in tema di tagli, questi eroi devono provvedere essi stessi al lavaggio delle divise contaminate, rischiando di contaminare le proprie case, mettendo così a rischio i propri cari.
  E ancora soldi, tanti soldi, che spesso sono bloccati dall'assurdo Patto di stabilità, che non tiene conto della salute e della sicurezza delle persone, oltre al lavoro che può essere creato nello spendere correttamente questi fondi. Chiediamo al Governo di impegnarsi ad escludere dal saldo finanziario del Patto di stabilità le spese sostenute dagli enti locali per interventi finalizzati alla bonifica dei SIN, comprendenti le coperture degli edifici pubblici, quali scuole, ospedali e caserme.
  Concludo, ricordando che la regolamentazione sulla sicurezza sul lavoro esiste e deve essere rispettata: un lavoratore non può rischiare la vita nell'accettare un lavoro onesto nel campo dello smaltimento dell'amianto, magari beffato, poi, da uno Stato che non se ne prenderà cura nello sfortunato caso che qualcosa vada storto (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Grande. Ne ha facoltà.

  MARTA GRANDE. Signor Presidente, con questa mozione che ci accingiamo a discutere oggi ci troviamo di fronte alla possibilità di iniziare un percorso volto alla soluzione di un problema tanto annoso quanto radicato nel tessuto connettivo del nostro Paese: la presenza di amianto su tutto il territorio nazionale. Soprattutto, il tasso di mortalità dovuto al mesotelioma, che fino a ieri aveva riguardato prevalentemente, come del resto è ovvio, le aree maggiormente industrializzate del Paese (si cita nel testo Casale Monferrato, dove l'esistenza di un grande impianto per la produzione di manufatti di amianto ha generato un progressivo aumento di mortalità con un'incidenza 40 volte superiore al resto del Piemonte) si sta pericolosamente espandendo, aggiungendo altre zone in cui la mortalità indotta dalla suddetta neoplasia è particolarmente preoccupante. Tra le realtà più note citiamo città come Civitavecchia, Bari, Siracusa, Manfredonia e Avellino. Nel capoluogo irpino è tutt'ora localizzato, ancorché dismesso, uno stabilimento denominato Isochimica nel quale, per quasi dieci anni, circa 300 lavoratori hanno scoibentato 360 carrozze all'anno, piene di amianto, dei treni delle Ferrovie dello Stato. Civitavecchia, città sviluppata negli anni sul polo energetico di una centrale termoelettrica, sulle ferrovie ed il porto, nonché impianti industriali, ha anch'essa subito un forte inquinamento da amianto. Alcuni mesi fa, inoltre, sono state rinvenute 300 tonnellate di amianto interrate in un sito pre-villanoviano, segno inconfutabile del livello di inquinamento ed incuria rispetto alle tematiche sanitarie ed ambientali nell'area.
  Non da ultimo, come del resto si evince nel testo stesso della mozione, il rischio connesso alla pericolosità della dispersione nell'aria delle fibre di amianto nelle zone dove si lavorava questo materiale è altissimo non solo fra i lavoratori: secondo il registro nazionale italiano dei mesoteliomi, oltre l'8 per cento dei casi è stato esposto per motivi ambientali o per motivi familiari.Pag. 33
  Tra gli impegni figurano punti come l'introduzione nel codice penale di specifiche fattispecie di reato che sanzionino la violazione di tali obblighi e prevedano l'inasprimento delle pene per fattispecie penali già vigenti nonché la possibilità di verificare, d'intesa con le regioni, la possibilità di terminare la mappatura dell'amianto nei luoghi dove i lavoratori sono o possono essere esposti alla polvere proveniente da amianto o da materiali contenenti amianto ivi presente, unitamente alla possibilità di determinare la sicurezza delle varie tipologie di siti di stoccaggio preposti, a partire da quelli che consentano una minore dispersione in qualsiasi elemento (ad esempio gallerie stradali o ferroviarie dismesse). Dalla relazione tecnica che precede gli impegni al Governo della mozione in oggetto emerge la palese necessità di regolarizzare, normalizzandolo, un problema che rimane impresso nella storia del nostro Paese come una delle pagine più nere dal punto di vista sanitario-ambientale. Un'occasione da non perdere, quindi, perché si possa iniziare un cammino semplice, finalmente virtuoso, indirizzato verso la giustizia e la volontà di migliaia di lavoratori per troppo tempo martoriati e privati di un reale strumento di difesa (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sibilia. Ne ha facoltà.

  CARLO SIBILIA. Signor Presidente, colleghi, quello dell'amianto è un tema doloroso per tutto il nostro Paese, un problema che è stato affrontato dal legislatore nel 1992 e che ad oggi, tuttavia, non è stato risolto, con tutte le gravissime conseguenze che continuano a pesare sui cittadini e sui territori in tema di salute umana e di inquinamento ambientale. Se la politica è chiamata a risolvere le questioni che rappresentano vere e proprie ferite aperte per l'intera nazione e a porre in essere ogni intervento utile per restituire le condizioni di normalità ai cittadini, il caso della presenza dell'amianto sul territorio nazionale è uno di quelli che richiede uno sforzo in più, richiede la necessità, a distanza di oltre vent'anni da quella legge, di rilanciare un serio impegno degli enti e delle istituzioni pubbliche per chiudere definitivamente con un passato doloroso e prospettare un futuro migliore. E proprio parlando di passato e di futuro da avellinese non posso non ricordare a quest'Aula la drammatica vicenda dell'Isochimica, ormai tristemente nota come la fabbrica dei Veleni di Borgo Ferrovia, popoloso quartiere con scuole e case che convive da circa un trentennio con una bomba ecologica da disinnescare il prima possibile. Era il 1983 quando l'apertura dell'Isochimica fu salutata come una grande chance lavorativa per il territorio irpino e non solo; ed era la verità, perché trovarono occupazione oltre 300 dipendenti impegnati a scoibentare carrozze di proprietà di Ferrovie dello Stato provenienti dalle Grandi Officine di Foligno.
  Su quei vagoni però ben presto ci si rese conto che c'era da grattare amianto a mani nude, respirandolo a pieni polmoni.
  Nessuno strumento di protezione, nessuna profilassi, nemmeno un impianto di aereazione. Nei cinque anni di attività della fabbrica sono state scoibentate 499 elettromotrici e 1.740 normali vetture passeggeri. Gli operai hanno lavorato oltre 20 mila quintali in ambienti in cui l'amianto era presente anche 50 volte in più rispetto al valore soglia fissato dalla Comunità europea.
  Un disastro di natura epocale. Lo stabilimento chiuse i battenti nel 1988 grazie alla grande mobilitazione dei lavoratori e all'inchiesta della procura della Repubblica di Firenze. Oggi a distanza di 26 anni – io ne ho 28 – continuiamo a parlare di Isochimica e dei suoi effetti letali.
  Ad Avellino abbiamo pianto la morte di 100 operai ancora giovani e padri di famiglia e sembra che i decessi dovuti a patologie asbesto correlate siano oltre una trentina. Gli altri dipendenti dello stabilimento sono quasi tutti ammalati e nonostante le difficili condizioni di salute, continuano a lavorare per sbarcare il lunario e crescere i propri figli. Si tratta di Pag. 34persone che sono malate ma devono continuare a lavorare perché si trovano in una condizione di necessità che viene configurata dalla legislazione attuale che non soddisfa determinati criteri. La prima anomalia che brucia sulle nostre coscienze e invoca una vera e propria giustizia.
  Abbiamo un sistema pensionistico che non prevede un trattamento favorevole per chi onorando il proprio lavoro si è ammalato e ha purtroppo un'aspettativa di vita non lunga e si trova in condizioni di non buona salute. È un sistema pensionistico non improntato al rispetto della nostra Carta costituzionale che all'articolo 32 sancisce il diritto alla salute come valore primario dell'ordinamento della Repubblica sia in senso soggettivo, sia nella sua dimensione di interesse della collettività.
  È la società, e quindi la politica che è espressione della società, a doversi fare carico di casi come quello dei lavoratori dell'Isochimica costruendo proposte risolutive per consentire a chi si trova in situazioni di difficoltà di alleggerire il carico di sacrificio e dolore che grava sulle proprie spalle.
  Con questa mozione chiediamo a questo Governo di trovare quanto prima una soluzione definitiva per il prepensionamento di tutti i lavoratori con malattie asbesto correlate in maniera conclamata.
  Il MoVimento 5 Stelle da quando è in Parlamento ha posto in essere ogni azione utile in questa direzione: abbiamo ascoltato i cittadini coinvolti, abbiamo proposto emendamenti, abbiamo presentato ordini del giorno, abbiamo più volte in quest'aula riacceso il faro sulla vicenda, invitando il Governo a fare presto perché l'amianto non dà tempo, non dà scampo.
  Con questa mozione chiediamo al Governo l'impegno, di fronte non solo ai tantissimi lavoratori italiani del settore, ma all'intera nazione, ad adottare ogni provvedimento utile a consentire coloro che sono affetti da patologie asbesto correlate di origine professionale, qualora non abbiano ancora raggiunto i requisiti per la maturazione del diritto alla pensione possano comunque accedere al pensionamento anticipato.
  Questo è un punto fondamentale che non è ad personam, «ad aziendam» o semplicemente di carattere clientelare, ma è un punto di civiltà e di giustizia, un impegno solenne.
  Un impegno come pietra miliare di un percorso che in tempi brevi e con quegli opportuni atti successivi che il MoVimento 5 Stelle sosterrà in maniera trasversale nell'ottica del bene comune, restituisca finalmente una speranza di un futuro un poco più sereno ai tanti lavoratori la cui vita è stata ingiustamente e irreparabilmente deviata.
  Non solo, dicevamo che in base all'articolo 32 della nostra Costituzione la Repubblica tutela la salute anche come interesse della collettività. Allora vi è la necessità di procedere all'immediata bonifica dei siti contaminati dall'amianto, è un'attività improcrastinabile. Anche qui tuttavia scontiamo un colpevole ritardo di decenni e decenni, invece all'indomani della legge del 1992, subito si sarebbe dovuto effettuare un risanamento delle aree inquinate.
  Ancora abbiamo all'interno del cuore vivo della città di Avellino questa bomba ecologica che non dovrebbe esserci più dal 1992 e di cui stiamo ancora parlando nel 2014.
  Purtroppo non è avvenuto questo risanamento che presuppone un lungo ed articolato lavoro di mappatura della presenza dell'amianto nel nostro Paese che ancora non c’è, ancora manca. Per quanto riguarda invece le scuole non ci sono ancora i dati per oltre la metà delle regioni italiane e tornando ad Avellino la Isochimica è ancora lì, nel cuore di uno dei quartieri più popolosi della città. Gran parte del materiale scoibentato fu interrato in buche profonde 4-5 metri all'interno dello stabilimento, e altro fu miscelato con del cemento prima di essere affossato. Quindi anche i requisiti di sicurezza vengono quasi del tutto a mancare.Pag. 35
  Fatto sta che, nel giugno dell'anno scorso, la procura della Repubblica di Avellino ha sottoposto a sequestro l'area perché è stato accertato che lo stato attuale di ammaloramento degli oltre 500 cubi di cemento amianto friabile, illecitamente smaltiti nel cortile della fabbrica, impone una valutazione generalizzata di idoneità a trattenere le fibre di amianto, la cui dispersione, provocando effetti nocivi di natura diffusiva, espone a concreto pericolo l'incolumità di un numero indeterminato di persone.
  Questi sono gli esiti dell'inchiesta della magistratura, che ha iscritto nel registro degli indagati 24 persone, tra cui gli amministratori dell'epoca, cui si contesta, a vario titolo, il reato di disastro ambientale doloso, mentre è notizia di questo mese il paventato rischio del crollo del silos situato a ridosso della fabbrica e contenente materiali nocivi di scarto delle lavorazioni di scoibentazione. Quindi ancora oggi soffriamo di questo tipo di situazione di pericolosità oggettiva e soprattutto urgente.
  Una bomba ecologica, quindi, per cui si è reso necessario, pur con molte difficoltà nell'avvio, un testing medico-sanitario sulla popolazione scolastica per verificare l'insorgenza di malattie collegate all'esposizione all'amianto. E questa è una cosa molto positiva, un monitoraggio che auspichiamo vivamente si effettui anche sui residenti adulti di Borgo Ferrovia, perché lo stesso procuratore di Avellino è stato audito dalla Commissione ambiente del Senato, nell'ambito di un'indagine conoscitiva sul nesso tra inquinamento ambientale ed incidenza di patologie tumorali, con – purtroppo – secretazione dei relativi atti. Quindi, sono state date delle informazioni alle quali noi purtroppo non abbiamo la possibilità di accedere.
  L'emblematico caso della mia città, purtroppo, con tutte le gravi conseguenze per la salute dei cittadini e la salubrità dell'ambiente, è simile ai tanti casi che ci sono in Italia. Io ho preso semplicemente a pretesto questo, diciamo è un esempio.
  Ecco perché è tempo che la politica, se è una buona politica, torni a farsi carico di queste vicende che hanno drammatici risvolti sia individuali sia collettivi. Si assicuri il prepensionamento ai lavoratori dell'ex Isochimica, ex amianto e si proceda ad una mappatura dei siti inquinati con relativi interventi di messa in sicurezza e bonifica. Lo chiede il MoVimento 5 Stelle a questo Esecutivo. Lo chiedono i cittadini a tutte le forze politiche presenti oggi che hanno a cuore il presente e il futuro dell'Italia.
  Inoltre, voglio dire a tutti i colleghi che molte di queste parole che io ho detto l'ho sentite anche pronunciate in questa Aula; quindi penso che è necessario guardarsi un attimo negli occhi e capire quale è il nostro obiettivo. Se questo obiettivo è comune, io penso che in questo momento storico forse abbiamo un'occasione molto importante, una occasione che sicuramente non vogliamo perdere. Il MoVimento 5 Stelle c’è e ci sarà per qualsiasi tipo di azione positiva che possa essere fatta in questo senso.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Sesa Amici.

  SESA AMICI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, prenderò pochi minuti perché mi pare che non sfugga dal dibattito e anche dalle riflessioni che sono state fatte da tutti i colleghi intervenuti sulle mozioni come su questo tema ci sia solo una convergenza di intenti, e per ultimo nell'intervento del deputato Sibilia. Ma soprattutto perché credo che in questo momento occorra da parte del Governo un elemento in più, che non è semplicemente la sensibilità, perché la sensibilità non credo sia più sufficiente rispetto a questo, ma è sicuramente necessaria per affrontare Pag. 36però un tema che è drammatico; ed è drammatico soprattutto perché è venuto alla luce dopo troppi silenzi e complicità, silenzi e complicità legati ad una certa idea dello sviluppo economico a partire dagli anni nei quali chi ha investito in questo Paese – e ne ha fatto anche uno dei produttori maggiori – aveva immediatamente dopo, ma anche già prima, conoscenze rispetto alla pericolosità dell'amianto.
  Su questo noi abbiamo avuto semplicemente la consapevolezza, all'inizio da parte dei lavoratori, di una cultura giuridica che nel frattempo era maturata fino ad arrivare ad una sentenza storica, lo ha ricordato il collega di Sel, quella di Eternit, dove per la prima volta sono stati anche chiamati ad una responsabilità di tipo penale – e non solo penale – i dirigenti di uno dei più grandi stabilimenti di produzione dell'amianto.
  Ma soprattutto questa vicenda non è un caso che venga definita una questione killer, cioè uno di quegli elementi letali che è molto silenzioso e che però, proprio nel suo elemento di silenzio, fa corrispondere un dramma soggettivo di famiglie di lavoratori che è veramente drammatico. Io ho avuto modo ed occasione di conoscere uno degli avvocati che ha contribuito, per quanto riguarda gli elementi anche giuridici – e che nello stesso processo eternit è stato parte di difesa di tantissimi civili –, alla produzione di una serie di libri, soprattutto delle famiglie, delle figlie, di chi aveva scoperto che suo padre era stato malato, ma mentre lo scriveva non si rendeva conto che era diventata anche lei una vittima, una vittima perché, come avete ben detto, questa è una di quelle malattie che si trasmettono non solo in chi sta lavorando ma anche in chi la respira.
  Proprio per questo credo che gli interventi che sono stati fatti in quest'Aula debbano far corrispondere da parte del Governo una serie di impegni che siano molto stringenti. Colgo, e me ne farò carico rispetto alla collega Bellanova, che sarà poi la parte competente nell'espressione del parere sulle mozioni, perché si lavori ad un elemento unitario, con impegni molto precisi e che siano collegati anche a una tempistica. Io credo che sia arrivato il tempo di una tempistica, perché l'attuazione del piano nazionale dopo la conferenza ha la necessità di superare e rimuovere le lentezze che finora ci sono state e riguardano alcuni degli aspetti delle mozioni, ma il secondo aspetto è anche quello di lavorare su due questioni che mi paiono preminenti. La prima è la questione delle bonifiche e di evitare che anche sui siti delle bonifiche corrisponda in questo Paese uno strano elemento, che anche dentro le disgrazie qualcuno pensi di arricchirsi.
  Ecco, io credo che da parte di questo Governo ci sia invece la netta sensazione che su queste questioni, se vogliono essere un elemento anche innovativo e che corrisponda ad un'idea maggiore di futuro, sulla questione dei siti delle bonifiche e sul trasporto attuale avvenga un controllo che sia un controllo vero.
  Il terzo aspetto è la parte legislativa riguardo ai benefici delle vittime, perché nel corso degli anni – anche questo non bisogna mai dimenticarlo – noi abbiamo avuto per la prima volta la costituzione di un Fondo per le vittime dell'amianto. È necessario che quel Fondo non solo venga rimpinguato ma c’è anche la necessità oggettiva che, alla luce proprio della dinamica stessa della malattia, questi benefici vengano messi a disposizione non solo delle vittime e di chi è stato esposto all'amianto, ma anche delle persone che in qualche modo, venendo a contatto con chi lavorava direttamente, hanno subito un danno maggiore.
  Io ho voluto semplicemente dire queste parole per confermare una sensibilità ma anche una determinazione politica, perché questa volta su questa mozione si possano costruire non solo elementi di petizione e di principio, ma impegni stringenti sia per il Parlamento che da parte del Governo.

  PRESIDENTE. Signor sottosegretario, ovviamente la possibilità che questo accada dipende dalle iniziative dei gruppi e ovviamente del Governo, ma, visto il livello e la qualità del dibattito, la Presidenza Pag. 37davvero auspica che su questa materia e su questo dibattito che si è svolto sia possibile fare in modo che le conclusioni siano dello stesso livello della qualità del dibattito che abbiamo appena svolto.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Tabacci, Taricco, Palese, Lavagno, Dorina Bianchi, Monchiero ed altri n. 1-00265 in materia di semplificazione normativa e amministrativa (ore 16,40).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Tabacci, Taricco, Palese, Lavagno, Dorina Bianchi, Monchiero ed altri n. 1-00265 in materia di semplificazione normativa e amministrativa (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel calendario (vedi calendario).
  Avverto che sono state presentate le mozioni Cozzolino ed altri n. 1-00487, Prataviera ed altri n. 1-00491 e Balduzzi ed altri n. 1-00493 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto altresì che la mozione Tabacci, Taricco, Palese, Lavagno, Dorina Bianchi, Monchiero ed altri n. 1-00265 è stata sottoscritta anche dal deputato De Mita che, con il consenso degli altri sottoscrittori, ne diventa il settimo firmatario.

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritta a parlare l'onorevole Covello, che illustrerà anche la mozione Tabacci, Taricco, Palese, Lavagno, Dorina Bianchi, Monchiero, De Mita ed altri n. 1-00265, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

  STEFANIA COVELLO. Signor Presidente, sottosegretario, onorevoli colleghi, è una giornata importante, questa, in merito ad una mozione che sicuramente meritava di approdare in Aula proprio rispetto ad un lavoro lungo che la Commissione ha compiuto, un lavoro dettagliato e puntuale – la Commissione è presieduta dal presidente Tabacci –, che è partito da un'indagine conoscitiva molto approfondita. Sicuramente dalle audizioni che si sono succedute man mano è emerso un quadro drammatico, soprattutto in una prolungata situazione di crisi economico-sociale in cui l'Italia, in cui il nostro Paese si trova, che avrebbe dovuto spronare a porre in essere tutte le misure di semplificazione possibili per dare nuova energia a costo zero, e quindi con evidenti risparmi anche per i cittadini e le imprese.
  Il tutto – io penso, facendo anche una metafora – nasce da una sempre più spiccata tendenza a trasformare spesso gli atti legislativi in una sorta di portaerei, signor Presidente – io così la immaginerei –, sulla cui pista di decollo vengono collocati numerosi aerei, che poi stentano per il congestionamento del traffico a prendere il volo. Gli atti legislativi cioè sono sempre meno autoapplicativi, demandando la loro attuazione ad un numero crescente di adempimenti talora difficilmente riconducibili al sistema delle fonti. Ecco perché ad oggi noi ci troviamo nel pieno di una proliferazione normativa, legislativa, europea, nazionale e anche di legislazioni regionali che a volte si sovrappongono, per non dire che si contrappongono l'una con l'altra.
  Ecco perché l'approdo in Aula di questa mozione, che ho l'onore oggi di illustrare, rappresenta un risultato molto importante nel processo di riforma del Paese, soprattutto per quanto riguarda lo «sfoltimento» delle norme che da strumento di regolamentazione si trasformano in molti casi, purtroppo, in vero strumento di ostacolo alla crescita e all'intrapresa.
  Secondo l'OCSE, la complicazione burocratica è una delle prime cause del nostro gap competitivo, sia nel contesto europeo che in quello globalizzato, ed è per questo che i temi della semplificazione normativa e amministrativa sono da Pag. 38tempo all'attenzione dell'azione di Governo, anche per una legittima pressione della pubblica opinione, che da semplici cittadini vivono quotidianamente la declinazione complicata delle norme. Basti pensare che un semplicissimo comune cittadino o un dipendente di un ente pubblico, per riuscire a completare o ad avere un certificato pubblico o una semplice DIA per dei lavori da fare nella propria abitazione, è costretto spesso e malvolentieri a prendere dei giorni di ferie per poter ottemperare a quelli che sono i propri doveri burocratici da semplice cittadino. Quindi, da una parte, con la semplificazione non andiamo a fare altro che a rendere più amorevole il rapporto tra il cittadino e il rispetto delle regole, oltre che poi – come dirò più avanti – realizzare un risparmio vero e serio anche da un punto di vista finanziario.
  L'atto di indirizzo rivolto al Governo ha quindi l'ambizione di prospettare una visione organica dell'azione di semplificazione, che deve articolarsi in più fasi: la prima, preliminare, è quella di giungere finalmente ad una vera ricognizione della legislazione vigente, anche con la redazione di testi unici che riannodino i fili delle diverse competenze che in questi anni si sono sovrapposte in materie concorrenti. La seconda fase riguarda la ricognizione degli oneri amministrativi derivanti dagli obblighi di legge vigenti. La terza fase deve puntare ad un alleggerimento dei carichi amministrativi in capo a cittadini e imprese.
  Per citare dei numeri, nel corso della XVI legislatura, dando attuazione alla legge n. 246 del 2005, furono abrogati 62.872 atti normativi, come riportato dal documento conclusivo dell'indagine conoscitiva svolta dalla Commissione bicamerale, presentato lo scorso 31 marzo. È stata effettuata anche una ricognizione di tutta la normativa pubblica del nostro Paese. Uno sforzo enorme in cui è facile riscontrare tutte le patologie del sistema legislativo italiano.
  Si evidenzia anche l'enorme questione della mancata attuazione dei provvedimenti di legge, della criticità dei cosiddetti «concerti», della ramificazione periferica del processo di attuazione.
  Tanto per fare degli esempi, sempre in base al documento conclusivo dell'indagine conoscitiva, che ha visto il voto unanime di tutta la Commissione – come discutevamo poc'anzi con la collega Mucci e con il collega di SEL, Lavagno –, risultavano, al febbraio 2014, attuati solamente 405 degli 883 adempimenti previsti da provvedimenti di legge approvati dal Governo Monti e 57 su 394 approvati dal Governo Letta.
  Diventa indispensabile, pertanto, che le norme siano sempre più autoapplicative, e cioè senza l'intervento di ulteriori atti, ma questo può avvenire solo se si attua un vero disboscamento delle norme ancora vigenti. L'elaborazione dei testi unici compilativi ora può essere agevolata dalla presenza della banca dati pubblica e gratuita che troviamo su www.normattiva.it, che ha un doppio compito: quello della consultazione e quello di un vero e proprio strumento di riordino.
  I testi unici dovrebbero, poi, accompagnarsi all'emanazione di regolamenti, sempre a norma dell'articolo 17, comma 4-ter, della legge n. 400 del 1988, mediante i quali procedere al periodico riordino delle disposizioni regolamentari vigenti, alla ricognizione di quelle che sono state oggetto di abrogazione implicita e all'espressa abrogazione di quelle che hanno esaurito la loro funzione o sono prive di effettivo contenuto normativo o comunque superate.
  Per fare questo, bisogna sancire un vero e proprio patto tra le istituzioni e sarà decisivo anche il contributo delle organizzazioni di rappresentanza del mondo del lavoro, della produzione, del commercio, delle organizzazioni di categoria, di quelle professionali, nonché di cittadini e consumatori, perché sappiamo che questa è una problematica che tocca tutti i gangli vitali di tutti i settori della nostra società. Un grande piano che punti, quindi, dicevo, a coinvolgere le università italiane con i suoi docenti e i suoi studenti.Pag. 39
  Il dispositivo di questo atto di indirizzo punta, infatti, ad impegnare il Governo a realizzare tutti gli sforzi possibili per varare un piano di semplificazione legislativa ed amministrativa in grado di partire dalla predisposizione di testi unici compilativi per ciascun settore delle politiche pubbliche, avvalendosi del contributo del Consiglio di Stato e, appunto, di un reclutamento di stagisti provenienti dalle università e dal mondo della ricerca. È un impegno straordinario, che, però, chiama in causa anche le Assemblee parlamentari in merito alla qualità delle norme e della produzione legislativa.
  Nel 1988, per fare un attimo l'iter storico, la Corte Suprema, con sentenza n. 364, si era espressa richiamando il dovere dello Stato a rendere riconoscibili e conoscibili le proprie norme, e questo avviene ben prima del varo del Titolo V del 2001 e della frammentazione legislativa che ne è conseguita.
  Non è un caso che questa mozione vada ad impegnare l'Esecutivo proprio nella fase in cui il Governo, e primo tra tutti il Premier Matteo Renzi, ha deciso, con un disegno di legge costituzionale, di rivisitare il nostro claudicante assetto federalista e di riconsiderare il tema delle materie esclusive e concorrenti.
  Quello di cui stiamo parlando ha costi per il Paese e per i cittadini, come dicevo prima. È emerso, infatti, che, solo per quanto riguarda il sistema della distribuzione, in Italia si perde in burocrazia l'1,15 per cento del fatturato, cioè quasi un miliardo e mezzo di euro, il cui 20 per cento potrebbe essere abbattuto con misure di semplificazione.
  Ma non basta: secondo la Banca Mondiale, nel suo rapporto annuale, in Italia occorrono 18 giorni – questo è significativo per capire quali sono le difficoltà che incontrano i nostri imprenditori; sappiamo bene che il volano vero dell'economia è l'impresa, per l'Italia: se non si rimette in circolo l'economia nazionale, attraverso una ripresa, una riattivazione, dell'impresa, non può partire l'economia, e mi riferisco anche alle imprese agricole, per esempio, che si trovano in difficoltà enormi – per importare una merce e 19 giorni per esportarla, contro i 7 necessari in Olanda, i 9 della Germania e i 10 della Francia.
  Noi, per dirla in termini molto pragmatici e molto pratici, siamo fuori dal mercato in questo contesto, stando a queste condizioni, e non possiamo permetterci il lusso di rimanere poco competitivi in un mercato della globalizzazione in cui, invece, gli altri Paesi diventano, in maniera acerrima, sempre più competitivi.
  Abbiamo l'esperienza dello sportello unico per le imprese che dopo tre lustri è ancora uno strumento che non assolve alle funzioni che ne avevano ispirato la creazione. L'avvento e la diffusione del web impone, inoltre, un'accelerazione nel processo di semplificazione proprio in relazione al tema di strettissima attualità, che è molto cara a tutti gli italiani, molto cara al Governo e alle nuove generazioni, alle giovani generazioni, dell'agenda digitale. Questa infrastruttura è assolutamente strategica per facilitare la consultazione, la partecipazione e l'analisi degli effetti anche in relazione alle norme, al fine di rafforzare la trasparenza dei e nei processi decisionali.
  Siamo ad uno snodo cruciale per il futuro del Paese. L'annunciata riforma del nostro assetto istituzionale, la conseguente revisione della funzione legislativa, l'approdo ad un monocameralismo, a questo punto direi necessario, la riconsiderazione del Titolo V e la sua rivisitazione, la riforma della pubblica amministrazione, la digitalizzazione, sono tutte misure che si tengono insieme tra loro per giungere ad un reale processo di modernizzazione del Paese. E questo lo dico soprattutto da meridionale, da calabrese, conoscendo quanto le medie nazionali da Roma in giù manifestino numeri ancora più drammatici, quanto la burocrazia incida in maniera ancora più invadente su germogli di impresa in un contesto di economia sempre più debole.
  Noi non possiamo permetterci il lusso di continuare in questa situazione stagnante. Pasquale Saraceno affermava, infatti, che la «burocrazia nasce e si sviluppa Pag. 40fuori dai problemi della produzione senza mai confrontarsi con essa». Per queste ragioni bisogna rivedere i processi decisionali reali e procedere con un nuovo patto sociale che parta proprio dall'azione di semplificazione in grado di stabilire una nuova gerarchia degli interessi pubblici e in cui, il cittadino, sia chiamato al rispetto dei doveri sulla base di norme chiare, come in uno Stato autenticamente liberale, consentendo a risorse ed energie di potersi sviluppare nella crescita del benessere.
  Ecco perché l'Italia ha dato ragione a Matteo Renzi che con tutto il suo Governo ed insieme al Ministro Madia puntano alla modernizzazione del Paese anche mediante l'opera dei processi di semplificazione normativa ed amministrativa. La finalità di questo atto di indirizzo è da ricercare proprio in queste ragioni che sono state qui da me illustrate. Il PD è fortemente impegnato a creare in Parlamento e attraverso l'azione del Governo, le basi per un nuovo approccio culturale dopo risultati parziali ottenuti dai vari tentativi espletati a partire dalla metà degli anni Novanta, senza che siano stati in grado di incidere in maniera strutturale ed efficace. Il mio personale ed accorato appello, a questo punto, è a tutte le forze politiche presenti in Parlamento (perché noi siamo partiti da un'indagine conoscitiva, è vero onorevole Mucci, che ha visto l'unanimità di tutta la Commissione bicamerale), compreso il MoVimento 5 Stelle, di approvarlo e di affrontarlo tutti uniti, graniticamente, come un sol uomo, superando le barriere per il bene nostro, dell'Italia e delle prossime generazioni, al di là delle barriere ideologiche, al di là delle barriere dei raggruppamenti, se davvero vogliamo bene al nostro territorio, se davvero vogliamo bene al nostro Paese, per fare in modo che si possa lasciare alle giovani generazioni un testimone importante, quello di un'Italia competitiva, di un'Italia che rivendica l'orgoglio della cultura, ma che rivendica anche l'orgoglio di essere un Paese moderno.
  Con questa mozione puntiamo a dare nuovo impulso e maggiore concretezza ad un processo ineludibile per il futuro del Paese.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cozzolino, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00487. Ne ha facoltà.

  EMANUELE COZZOLINO. Signor Presidente, colleghi, la semplificazione normativa e amministrativa non costituisce uno di quegli argomenti che attirano l'attenzione dei media e dell'opinione pubblica. Non si ottengono i titoli sui giornali e non si finisce nel pastone serale dei Tg. Di questo carattere estremamente settoriale, quasi di nicchia, del tema che affrontiamo oggi, siamo consapevoli e aggiungerei che non ci dispiace più di tanto che sia così, perché lontani dalla luce della ribalta e dai toni accesi delle polemiche del dibattito politico quotidiano, si crea uno spazio maggiore per l'approfondimento, la riflessione e l'interlocuzione reciproca.
  Signor rappresentante del Governo, mi rivolgo soprattutto a lei perché spetterà a lei poi esprimere i pareri sui documenti in esame. In premessa ci tengo a specificare che il nostro gruppo vuole affrontare questo dibattito proprio con spirito costruttivo. Non è questa la sede per alzare i toni o fare polemica e non ci interessa farlo.
  Se il tema della semplificazione normativa, come ho detto, per i più è un qualcosa di poco interessante e utile, per il MoVimento 5 Stelle costituisce invece un argomento di grande rilievo. In questo senso è doveroso rendere merito al collega Tabacci di essere il promotore di questo dibattito, investendo una quota parte del tempo a disposizione del suo gruppo.
  È un dibattito al quale abbiamo ritenuto di partecipare attivamente con la nostra mozione, perché il tema della semplificazione normativa è stata una battaglia sulla quale ci siamo concentrati fin dal nostro ingresso in questo Parlamento, una battaglia nella quale, purtroppo, siamo stati sovente isolati ed in alcuni casi derisi.Pag. 41
  Quando ponevamo questioni quali il rispetto della legge n. 400 del 1988 in tema di decretazione d'urgenza da parte del Governo, quando ponevamo il tema dell'eccessivo ricorso ai decreti non regolamentari o al rimando a provvedimenti attuativi, gli sguardi e i sorrisi di sufficienza erano quelli che si riservano a chi guarda il dito invece della luna. Se, però, mentre tenti di guardare la luna, quel dito te lo cacciano in un occhio, tu la luna non la vedi, comunque, e questo è proprio l'effetto prodotto da molte leggi e molti regolamenti.
  Il fatto che oggi sia in corso in prima Commissione un'indagine conoscitiva proprio sulla decretazione d'urgenza, a seguito di una richiesta di relazione all'Aula da parte della stessa Presidenza della Camera, ci dà in parte ragione, anche se con ritardo. Comprendo che la corposità della mozione che abbiamo presentato possa apparire in apparente contrasto con il fine che si vuole perseguire. In realtà il MoVimento 5 Stelle ha ritenuto di cogliere appieno l'occasione di questo dibattito per affrontare il problema della semplificazione normativa, della semplificazione amministrativa e dello snellimento delle procedure burocratiche a trecento sessanta gradi.
  Se si guarda ai problemi che assillano oggi il nostro Paese è comprensibile individuare i provvedimenti più urgenti nelle politiche macroeconomiche e nelle politiche industriali volte a far ripartire il sistema Paese. La semplificazione, però, non è un aspetto secondario, ma pari a queste soluzioni se non migliore.
  Le politiche in generale e queste in particolare si realizzano attraverso l'approvazione di leggi e regolamenti. Se non si dispone di leggi, regolamenti e procedure amministrative chiare ed efficienti, le politiche non producono alcun effetto. È come quando si vuole progettare una macchina vincente di Formula 1: certamente un motore potente e affidabile è indispensabile al pari di un ottimo pilota, ma senza un telaio valido che, sfruttando appieno l'aerodinamica, consenta di scaricare a terra la potenza traducendola in velocità, quella macchina i gran premi non li vincerà. La semplificazione normativa e amministrativa è proprio il telaio che deve valorizzare politiche adeguate.
  Il fatto che noi oggi discutiamo di come rendere più chiaro, semplice e snello l'ordinamento che noi stessi come Parlamento abbiamo prodotto, è una sorta di autoanalisi, è come sdraiarsi sul divano dello psicologo per fare emergere i problemi nascosti all'interno del nostro inconscio. L'analisi può certamente essere utile a risolvere alcune contraddizioni e schizofrenie, che non riguardano solo il Governo, al quale oggi stiamo ponendo degli impegni, ma noi stessi in qualità di legislatore.
  In particolare qui alla Camera ci siamo dotati di organi che ci segnalano periodicamente, nel caso dell'Osservatorio sulla legislazione, o addirittura provvedimento per provvedimento, come nel caso del Comitato per la legislazione, le anomalie e le tare della legislazione che stiamo producendo. Nonostante l'esistenza di queste valide sentinelle, al momento di schiacciare il bottone in Aula i rilievi tecnici passano sempre in secondo piano rispetto alla valutazione politica sul provvedimento da approvare.
  Se si guarda ai dati delle ultime tre legislature compresa quella in corso, è oggettivo che di fatto l'iniziativa legislativa è in mano al Governo. Al tempo stesso saremmo ipocriti se anche noi non ci considerassimo parte del problema, se non altro perché formalmente l'ultima parola sull'approvazione di una norma spetta al Parlamento e non al Governo.
  Quali sono i problemi sul tappeto e quali le soluzioni per risolverli in tema di semplificazione ? Tra le criticità della legislazione vi è una scarsa qualità delle norme prodotte, un ordinamento eccessivamente affollato di norme e, dunque, difficilmente accessibile ai non addetti ai lavori, procedimenti amministrativi troppo farraginosi e oscuri ed un clamoroso ritardo nell'opera di digitalizzazione della pubblica amministrazione.
  Tra le soluzioni da adottare, almeno per quanto attiene la produzione delle norme, c’è sicuramente la necessità di Pag. 42rispettare, come dicevo, la legge n. 400 del 1988, visto che la quasi totalità delle norme approvate sono di iniziativa governativa. Il fatto che il legislatore nella sua opera di produzione normativa sia il primo a contravvenire ad una legge pienamente vigente sembrerebbe un'aporia, ma è purtroppo la prassi quotidiana. Alla luce di ciò non ci si può meravigliare poi se le leggi prodotte presentano delle criticità.
  Se, dunque, si vuole invertire la tendenza nel lungo periodo, è, a nostro avviso, indispensabile che il Governo, in particolare nella produzione dei decreti-legge si attenga al rispetto dei criteri dettati dall'articolo 15, comma 3 della legge n. 400, in particolare per quanto attiene omogeneità e specificità dei contenuti.
  Decreti monstre come il «decreto del fare» del 2013, o la maggior parte dei decreti-legge varati dal Governo Morti ai fini della semplificazione normativa, sono nocivi per l'ordinamento quanto lo sversamento di rifiuti tossici in una falda acquifera.
  Altro aspetto sul quale chiediamo un impegno al Governo riguarda l'astensione dalla produzione di norme che rinviano la loro attuazione a provvedimenti attuativi di natura non regolamentare o per i quali non è previsto un termine di attuazione. Il fatto che siano circa 700 i provvedimenti amministrativi ancora da adottare in conseguenza dei provvedimenti adottati dai Governi Monti e Letta, crea una sorta di legislazione sospesa, che esiste in principio ma non è traducibile in atto, che contribuisce ad aumentare la confusione dell'ordinamento normativo. Una situazione che va sanata e non aggravata ulteriormente.
  A nostro avviso, riteniamo di dover segnalare altre due criticità in tema di semplificazione normativa quali una legislazione in continua mutazione, a seguito di correzioni e aggiustamenti continui, ed una legislazione la cui entrata in vigore continua ad essere rimandata.
  Nel primo caso ci riferiamo ad un fenomeno che si è fortemente radicato con il Governo Monti e che poi è proseguito con gli esecutivi successivi. Una legislazione che per motivazioni emergenziali, per motivazioni di contrasti politici in seno al Governo ed alla maggioranza oppure per motivazioni di propaganda politica, si compone di norme che vengono continuamente modificate a pochi mesi dalla loro entrata in vigore.
  Nel secondo caso ci riferiamo a quelle leggi la cui applicazione è rinviata da decenni e sono ospiti fissi del Milleproroghe. Un caso di scuola in questo senso è la legge sull'adeguamento delle strutture alberghiere alla normativa antincendio. In questo caso, se una legge la si ritiene inapplicabile da molti anni, delle due l'una: o era sbagliata e la si elimina, oppure la si fa entrare in vigore, magari accompagnata dai provvedimenti necessari per applicarla.
  Tra gli interventi per rendere più accessibile e chiaro il nostro ordinamento è certamente utile procedere alla redazione di testi unici che evitino al cittadino, o all'operatore dei diritto, di procedere ad una sorta di caccia al tesoro normativa per individuare le norme vigenti su un determinato tema. Basti pensare che una normativa su un tema di per sé complesso come quello del finanziamento pubblico ai partiti è polverizzata in 13 provvedimenti diversi, tra leggi e regolamenti, compresa l'ultima riforma, entrata in vigore con la conversione del decreto n. 149 del 2013. Sulla necessità di dare impulso alla redazione dei testi unici credo ci possa essere unanime condivisione non solo tra i gruppi in Parlamento, ma anche con il Governo, dal momento che proprio questa è una delle finalità dell'azione dell'unità per la semplificazione che figurano sul sito del Ministero per la semplificazione.
  Proprio a proposito dell'unità per la semplificazione e di quanto riportato sul sito del Ministero, approfitto di questa occasione, signor sottosegretario, per chiederle un chiarimento in merito al rinnovo degli incarichi di questa struttura, che deve svolgere un ruolo fondamentale proprio in merito al tema del quale ci stiamo occupando. Sulla pagina Internet del Dipartimento della funzione pubblica infatti Pag. 43è riportato il DPCM del 12 giugno 2013 del precedente Governo, e non il DPCM del Governo attuale. Personalmente sono sicuro che si è già proceduto in tal senso e che la mancata pubblicazione del nuovo decreto dipenda proprio dalle procedure amministrative eccessivamente farraginose, che tra il varo di un DPCM, la registrazione alla Corte dei conti e la sua pubblicazione fanno passare molti mesi. Se lei potesse chiarire questo aspetto in sede di replica gliene sarei grato, perché come noto e come previsto dal DPCM 12 giugno 2013 gli incarichi relativi all'unità per la semplificazione terminano con la scadenza del Governo che li ha disposti.
  Un altro tema legato a doppio filo alla chiarezza e alla semplificazione normativa è quello della legalità e del rispetto della legge. Leggi chiare, competenze definite, procedure semplici e trasparenti, infatti, da un lato evitano che chi vuole rispettare la legge contravvenga alle norme involontariamente, perché non essendo chiara la normativa cade in errore. Dall'altro lato rendono più complicata la vita a coloro che, proprio facendosi scudo della farraginosità e dell'oscurità dell'ordinamento, hanno come fine quello della trasgressione della legge senza pagare dazio. Le vicende di questi ultimi giorni rendono purtroppo ben chiaro questo concetto. In questo senso il procuratore di Venezia, Carlo Nordio, è stato molto chiaro. Quando le leggi sono troppe, quando le leggi sono poco chiare, quando le competenze sono ripartite tra un'infinità di soggetti, è molto probabile che si verifichino fenomeni di corruzione.
  Nella nostra mozione, tra i vari temi toccati, abbiamo voluto riservare uno spazio di rilievo, sia nella parte delle premesse che tra i dispositivi, alle ordinanze di protezione civile. Uno strumento che, al di là della sua natura, è strettamente collegato sia alla semplificazione normativa che al rispetto della legalità. Come è noto, le ordinanze costituiscono in origine lo strumento per affrontare situazioni di emergenze quali terremoti, alluvioni e altri disastri ambientali e proprio in ragione dell'emergenza possono prevedere deroghe alla legge ordinaria. È purtroppo storia nota che nel corso degli anni si sia abusato di questo strumento. Nella nostra mozione riportiamo i dati statistici che qui tralascio. E il grande evento, la grande opera gestita come un cataclisma diventa una prassi comune. Prima l'Expo e poi il Mose e sono gli ultimi nodi che stanno venendo al pettine, anche perché, almeno per quanto riguarda i grandi eventi, il regime è finalmente cambiato con la riforma operata dal Governo Monti in tema di protezione civile.
  Resta, però, a nostro avviso il problema costituito dalla pubblicità e dall'accessibilità delle ordinanze di protezione civile, che, ovviamente, continuano ad essere emanate su temi più specifici e pertinenti alla loro natura. Basti pensare che dal 1o gennaio fino alla fine di maggio sono state 31 le ordinanze emanate. Ebbene, l'unica forma di pubblicità di questi atti è quella della loro pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Non esiste, invece, un database pubblico che consenta la ricerca in testo vigente e in testo storico, come avviene per la normativa attraverso il portale Normattiva. La situazione attuale rende molto arduo lo studio e la ricostruzione di una gestione commissariale che magari dura svariati anni e nel corso della quale vengono emanate molteplici ordinanze, successive nel tempo, molte delle quali vanno a novellare parti di quelle precedenti; per non parlare delle ordinanze omnibus. Tutto ciò ha stratificato nel corso degli anni una sorta di ordinamento parallelo che, a differenza dell'ordinamento normativo, è di fatto inaccessibile anche agli esperti del settore. In tema di trasparenza e di ordinanze di protezione civile e maggiore trasparenza delle gestioni commissariali, molto ci sarebbe da dire, ma soprattutto da fare. Come primo passo con la nostra mozione chiediamo al Governo di realizzare un database che renda accessibile gratuitamente al pubblico la consultazione dei testi delle ordinanze di protezione civile in testo storico e vigente attraverso il portale Normattiva.
  Avviandomi alla conclusione, faccio solo un breve cenno ad un aspetto fondamentale Pag. 44della semplificazione amministrativa che è quello della digitalizzazione. Su questo, purtroppo, siamo molto indietro, come dimostra il fatto che il decreto-legge n. 179 del 2012 è ancora oggi praticamente inattuato. Sempre in tema di ritardo nel settore della digitalizzazione della pubblica amministrazione, giova ricordare il dato preoccupante relativo al disaster recovery delle pubbliche amministrazioni, ovvero quel sistema di salvaguardia che, anche in caso di eventi di eccezionale portata, consente alle strutture pubbliche di assicurare la continuità operativa. Su circa 10 mila amministrazioni che avrebbero dovuto sottoporre al parere dell'Agenzia per l'Italia digitale uno studio di fattibilità, hanno assolto questa procedura solo in 770.
  Chiudo con un ultimo esempio estremamente indicativo perché riguarda la semplificazione normativa e il ritardo digitale della pubblica amministrazione. Nel 2012, nel decreto «semplifica Italia» dell'allora Governo Monti, si stabilisce che le amministrazioni comunali possono scambiarsi dati solo per posta elettronica per quanto riguarda l'aggiornamento delle liste elettorali. Ovviamente, è solo un principio che demanda la sua attuazione ad un regolamento. Passano due anni prima che il regolamento sia varato dai Ministri competenti e pubblicato in Gazzetta Ufficiale nel febbraio 2014. Nel regolamento si stabilisce che alla norma del decreto «semplifica Italia» si dia attuazione solo dal 1o gennaio 2015. Tre anni per scambiarsi una mail. Signor rappresentante del Governo, è abbastanza evidente che in tema di semplificazione normativa e amministrativa, soprattutto sul fronte della digitalizzazione della pubblica amministrazione, molto si deve fare e lo si deve fare subito. Noi su questo ci siamo, siamo pronti ad offrire il nostro contributo e riteniamo che la nostra mozione sia un chiaro segnale in questo senso.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palese. Ne ha facoltà.

  ROCCO PALESE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, quando il collega Tabacci mi ha sottoposto questa mozione sulla semplificazione amministrativa, io l'ho letta e immediatamente l'ho sottoscritta. Essa impegna il Governo a semplificare. Detto questo, però, Presidente, noi non possiamo non cercare di fare un'analisi di quello che è successo, di cosa abbiamo di fronte e di cosa parliamo. Noi sono anni che parliamo di semplificazione, di snellimento delle procedure burocratiche, di delegificazione. Se compariamo quanti decreti legislativi venivano emanati 10-15 anni fa e quanti ne vengono varati adesso, non c’è paragone. Abbiamo un'enorme quantità di decreti legislativi che, peraltro, vengono predisposti con gravissimo ritardo e l'attuazione della stragrande maggioranza di essi viene quasi totalmente disattesa dall'intero sistema degli enti pubblici a cui sono anche riferiti. Abbiamo avuto addirittura Ministri della semplificazione, ma i risultati sono stati scarsi e addirittura spesso e ben volentieri e ad oggi opposti. Noi da anni abbiamo una proliferazione di leggi che di fatto, Presidente, hanno bloccato, non solo lo sviluppo, ma la vita del Paese, il futuro del Paese, la speranza del Paese, soprattutto per quanto riguarda il sistema autorizzativo. Io penso anche che vada ricordato, perché lo abbiamo caldo caldo, quanto affermato da Nordio.
  Non è per niente nuovo quello che dice Nordio, che la proliferazione di una quantità enorme di norme è un terreno ideale, fertile per la proliferazione della corruzione. Noi siamo in presenza di un Paese che chiaramente deve recepire la legislazione europea, poi abbiamo la legislazione nazionale, la legislazione regionale, poi siccome ci mancavano un po’ di cose su queste norme e su queste regole spesso e ben volentieri, per non dire quasi sempre, abbiamo l'intervento del TAR, del Consiglio di Stato, della Corte costituzionale, della Cassazione.
  Io penso che il quadro sia davanti agli occhi di tutti, un quadro cioè molto molto complesso e che ha avuto uno spaccato all'interno del Paese. Quando si è concretizzato questo quadro ? Quando ha preso il volo ? Quando è diventato fuori controllo ? Pag. 45È diventato fuori controllo con la modifica del Titolo V del 2001. La modifica del Titolo V del 2001 ha comportato per il Paese più danni delle due guerre mondiali messe insieme. Perché ? Perché intanto ha innescato un conflitto di competenze tra lo Stato e le regioni senza precedenti e per fortuna, indipendentemente dal merito, abbiamo avuto la Corte costituzionale che ha svolto un grandissimo lavoro ed è intervenuta non solo a dirimere i conflitti, ma a colmare il vuoto lasciato dalla politica sulle modifiche del Titolo V, che per gran parte poi è stato anche non completato e completamente disatteso. E siamo in presenza di che cosa ? Che sistema abbiamo creato ? Io non ritengo che il sistema centralistico fosse la cosa migliore del mondo, ma occorreva crearne un altro. E anche in tempi non sospetti ho ritenuto un gravissimo errore che modifiche così profonde della Costituzione del sistema Paese fossero state affrontate a colpi di maggioranza da una parte e dall'altra e non invece dall'Assemblea costituente, che era l'unico organo con cui si sarebbero dovute affrontare modifiche così profonde della Costituzione. E siamo in un contesto in cui per qualsiasi cosa, per qualsiasi opera pubblica, per qualsiasi autorizzazione, per qualsiasi decisione che deve essere assunta, la circoscrizione, la più piccola del mondo, blocca il comune, il comune blocca le province, fintanto che ci sono state, e le regioni bloccano il Governo.
  Poi anche quando tutto questo sistema istituzionale concorda su ciò che c’è da fare o su ciò che c’è da realizzare su un progetto o quant'altro, non manca mai il blocco democratico, giusto o sbagliato, di ambientalisti, verdi, comitati locali, localismi e quant'altro, che ancora bloccano. E quando anche il blocco democratico spesso o qualche volta è d'accordo, arriva il blocco giudiziario.
  E quindi io penso che davanti ad una situazione di questo genere non c’è dubbio che bisogna prendere atto che questa modifica del Titolo V non solo ha devastato completamente tutto ciò che riguardava gli aspetti di semplificazione amministrativa e li ha completamente amplificati, ma ha rotto l'unità legislativa del Paese. La modifica del Titolo V ha rotto l'unità legislativa del Paese. Ha rotto l'unità amministrativa: ognuno fa quello che vuole, tanto la tasca che paga è sempre quella. Ha rotto soprattutto l'unità fiscale del Paese. Quindi noi siamo in un contesto in cui abbiamo tasse provinciali differenziate, tasse comunali differenziate, regionali, tasse centrali e quant'altro. L'unica vittima di tutto questo è la tasca del cittadino. Altro che semplificazione !
  Anche rispetto alla situazione fiscale a me fa piacere vedere che il Presidente del Consiglio insiste continuamente sul fatto che vuole affrontare questo problema e speriamo che riesca almeno a semplificare per il cittadino affinché si vada a pagare le tasse non centinaia di volte ma una sola volta o due volte l'anno.
  Non solo ma noi abbiamo un contesto strano. Presidente l'unica, semplificazione che è andata veramente in porto è quella che non doveva essere fatta cioè l'abolizione totale, tout court dei controlli sugli atti della pubblica amministrazione: quella l'hanno fatta subito senza «se» e senza «ma». C’è stata l'abolizione di controlli che già non funzionavano, che già era necessario rendere più efficaci e più efficienti perché il commissario di Governo, il Co.Re.Co. e quant'altro certamente negli ultimi anni non erano adeguati, ma invece di porsi il problema di come potenziarli, di come modificarli affinché le risorse pubbliche dei cittadini fossero tutelate e controllate, si è proceduto ad una abolizione secca e quindi ognuno ha ritenuto di gestire e di fare nel contesto dell'autonomia e della responsabilità.
  Tuttavia nella stragrande maggioranza del Paese, in quasi la totalità dei casi, l'autonomia e la responsabilità (che sono un valore per una democrazia e un valore per la gestione delle autonomie locali) sono state recepite come anarchia. Sono state recepite come se ognuno potesse fare quello che vuole. In questa maniera e in questo contesto l'unico vero federalismo, Presidente, purtroppo che è andato in onda e che è stato attuato è quello della Pag. 46corruzione. Perché questo ci dicono non solo le cronache ma anche i dati della Corte dei conti e mi riferisco soprattutto a quelli. E davanti a questa situazione ci sono tutte le varie proposte, le sollecitazioni nei confronti del Governo: altro che riforma del Senato ! La modifica del Titolo V per fortuna è stata inserita anche all'interno dello stesso disegno di legge di modifica costituzionale ma la modifica, la correzione del Titolo V è l'emergenza del Paese. È la vera emergenza del Paese sia per quanto riguarda il funzionamento, sia per quello che riguarda anche gli aspetti della tutela delle risorse pubbliche.
  Mi avvio alla conclusione sottolineando che, al di là di tutte le proposte che noi abbiamo messo in campo con queste mozioni, al di là dei propositi, mi fa piacere riscontrare che i colleghi del MoVimento 5 Stelle – non ci sono quelli della Lega – hanno aperto uno spaccato, hanno indicato delle proposte e una strada che va perseguita. La proposta è di rafforzare tutto ciò che riguarda quello che il Paese ha legiferato ventiquattro anni fa sulla trasparenza degli atti. La legge n. 241 è del 1990: sono passati ventiquattro anni ed ancora nel nostro Paese non ne abbiamo la piena attuazione o, perlomeno, non c’è l'adeguata attuazione in riferimento agli strumenti tecnologici che ci sono oggi in campo. Le cose sono certe volte molto strane. Vengono approvati molti provvedimenti che, secondo me, non meritano attenzione, oppure hanno un obiettivo «a», ma alla fine l'obiettivo che si raggiunge è altro.
  Ma nel 1997, se non mi sbaglio, Presidente, il Parlamento ha avuto una grande occasione quella cioè di approvare la cosiddetta proposta di legge Rebuffa. Era semplice e in essa si diceva che il cittadino può fare e può realizzare, rispetto al sistema delle autorizzazioni, tutto ciò che la legge consente. Guarda caso, non so per quale motivo, ci fu un grande conflitto di natura mediatica e politica su questa proposta di legge Rebuffa, che fu affondata con grande soddisfazione di alcuni esponenti della coalizione, ad onor del vero non del partito o del gruppo di cui faccio parte, ma di altri sicuramente.
  E l'altra proposta è il ripristino dei controlli preventivi: i controlli preventivi sugli atti pubblici, sulle spese pubbliche vanno assolutamente ripristinati. Nel migliore dei modi si vedrà come, ma è impossibile che tutta la spesa pubblica sia senza controllo preventivo degli atti della spesa. C’è bisogno che ce lo dica Cantone ? C’è bisogno che ce lo dicano quelli che gestiscono, come lo stesso commissario di Expo 2015, che dice che i controlli non ci sono e che non funzionano ?
  Sta alla politica dare soluzione immediata, perché i controlli sono necessari. E sono controlli necessari i controlli preventivi, perché con i controlli successivi o con le indagini, il danno è già fatto. Servono i controlli preventivi: vanno ripristinati attraverso l'istituzione di comitati di sorveglianza, in cui, caro Presidente, per un'evoluzione culturale, non bastano più i rappresentanti della politica. Nei comitati di sorveglianza – affido a lei questo messaggio, lo porti al Presidente del Consiglio – vanno coinvolti i cittadini, vanno coinvolti direttamente i cittadini, perché, altrimenti, non c’è più credibilità.
  Mi avvio veramente alla conclusione. Siccome, Presidente, noi qui facciamo tante proposte, tutte meritevoli di grande attenzione, colgo l'occasione per dire anche una cosa semplice: iniziamo da noi. Iniziamo da noi e semplifichiamo il funzionamento dell'Aula. Lei, giorni fa, ha fatto una proposta meritevole di grande attenzione, perché è inutile qui fare il gioco delle parti. In tempi anche non sospetti, prima che lei facesse quella proposta, io ho più volte affermato – e sono anche l'ultimo arrivato, più o meno da un anno –, mi sono accorto subito che, per come è fatto il Regolamento di funzionamento di quest'Aula, il giorno che qualsiasi Governo viene qui a chiedere la fiducia, il primo giorno, non inizia la sua attività, inizia il suo funerale. Inizia il suo funerale, perché io ritengo che sia un insulto all'intelligenza il fatto che, nel momento in cui il Governo riceve il voto Pag. 47di fiducia – qualunque sia il Governo – su un provvedimento, diventa tutto immodificabile. Presidente, io non ho saputo spiegarlo a mio padre, che dice: ma come ? Non avete già approvato tutto ? Non c’è stata la fiducia ? Come mai ci vogliono tre, quattro, cinque sei dieci giorni e, forse, decade pure ? È assurdo.
  La proposta che lei ha avanzato è di buonsenso, se vogliamo veramente – lo dico ai colleghi dei 5 Stelle –, diamo come opposizione un contributo reale al Paese, un Paese che sta morendo per la crisi e quant'altro.
  Quindi, diamo noi un esempio modificando a stralcio il Regolamento della Camera, concordando alcune modifiche che vanno nella direzione non di accelerare o agevolare il percorso del Governo e quant'altro, ma soprattutto per dare un funzionamento migliore, comprese anche le proposte che vengono dall'opposizione che, in questa maniera, non vengono mai esaminate. Questa Camera, con questo Regolamento, è costretta soltanto a approvare decreti-legge che il Governo vara continuamente, anche quelli semplici come quello per il terremoto – aumentano di numero, in maniera spaventosa –, con i voti di fiducia. Quindi, noi stiamo qui solamente a votare sì o no, e diventa un «votificio» e basta. Sta diventando un «votificio» e basta.
  Però questa, Presidente, è colpa nostra, perché finora abbiamo parlato del Governo: questa è colpa nostra. Se noi non prendiamo come base la sua proposta e cerchiamo di trovare una sintesi, un accordo – che può essere un patto oppure una modifica a stralcio del Regolamento –, vuol dire che anche noi siamo responsabili, consapevoli ed anche colpevoli, di quello che sta succedendo all'interno del Paese. Quindi, iniziamo con la parte nostra: io penso che il gruppo che in questo momento rappresento darà tutto il contributo possibile e immaginabile, perché il Paese ha bisogno di una vera svolta e noi sulle riforme siamo per una vera svolta.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mucci. Ne ha facoltà.

  MARA MUCCI. Signor Presidente, in parte «quoto» l'intervento del collega Palese e più avanti spiegherò perché. La semplificazione è una battaglia che ci riguarda tutti, sicuramente perché evidenzia quello che è lo stato di salute di questo Paese. La battaglia alla burocrazia nasce nei lontani anni Novanta, quando la consapevolezza del rapporto tra modernizzazione degli apparati pubblici e la competitività dei Paesi, quindi la capacità di attrarre investimenti esteri, era riconosciuta come tale e l'intera comunità internazionale si dedicava a pieno e dedicava attenzione crescente alla qualità della regolazione. La better regulation ha acquistato una posizione di primo piano nell'agenda politica dei Governi di molti Paesi avanzati a partire dalle raccomandazioni OCSE del 1995 fino al programma di azione per la riduzione degli oneri amministrativi dell'Unione europea adottato dalla Commissione europea, che ha posto l'obiettivo della riduzione del 25 per cento degli oneri burocratici entro il 2012. La Commissione europea ha stimato per l'Italia un'incidenza dei costi amministrativi derivanti dai diversi livelli di Governo pari al 4,6 per cento del PIL, che equivale ad un costo complessivo di circa 70 miliardi di euro l'anno. Nel dettaglio, soltanto il 19 per cento degli italiani utilizza Internet per dialogare con le istituzioni e utilizza i servizi amministrativi, contro una media OCSE del 50 per cento. Siamo abbastanza indietro; è numero veramente ridicolo, in più, se paragonato a livelli stranieri, è ancora peggio; un po’ più dei cileni, ma sempre in penultima posizione nella classifica mondiale circa l'interazione fra cittadini e pubblica amministrazione.
  Per quanto riguarda il fronte delle imprese va un po’ meglio: siamo sempre al penultimo posto in graduatoria ma i servizi on-line sono utilizzati per 76 per cento dalle società, mentre la media generale degli altri Paesi si attesta a circa l'88 per cento. È stata fatta una consultazione pubblica – e di questo mi compiaccio, perché è sempre utile ascoltare anche la popolazione che vive su di sé i disagi anche provocati da questa mancata semplificazione Pag. 48– ed è stata stilata la classifica delle cento procedure da semplificare. Il dito è stato approntato in particolar modo sugli adempimenti fiscali, che rappresentano il 33,6 per cento delle richieste pervenute in quanto a semplificazione; al secondo posto gli adempimenti in materia di edilizia. Questo per far vedere un po’ il quadro della situazione.
  L'indagine conoscitiva che abbiamo portato avanti in seno alla Commissione semplificazione e in seguito anche alle consultazioni pubbliche ha fatto però emergere dei dati abbastanza preoccupanti. Le complicazioni, ad esempio, per quanto riguardava le imprese si incentrano sul malfunzionamento del SUAP, lo sportello unico dell'attività produttive, che sarebbe quell'istituto che dovrebbe aiutare le imprese nell'atto iniziale della loro nascita e che però è disatteso: spesso non c’è in molti comuni. Quindi, noi evidenziamo questo problema e l'abbiamo posto anche come impegno al Governo nella mozione proprio perché non deve essere più un auspicio che si rispettino le leggi che sono state approvate, ma deve essere una responsabilità in primis della pubblica amministrazione; stabilire oltremodo tempi e modi di attuazione di un programma di semplificazione a cui regioni e autonomie locali debbono uniformarsi, la famosa standardizzazione della modulistica delle procedure e degli obblighi in capo alle imprese, in modo tale che il cittadino possa contare sull'uniformità e sulla certezza su tutto il territorio nazionale. Qui gli esempi sono stati fatti anche dalla collega Covello: 19 giorni per l'export è una cifra che non è più sostenibile, come i 18 per le importazioni, contro circa un terzo del tempo che invece utilizzano in Germania e in Olanda. Questi sono tutti oneri a carico delle imprese che si tramutano poi in costi per le imprese stesse e anche una mancata competitività Per cui, quando si parla anche di far ripartire l'economia, secondo me, bisogna guardare anche nel piccolo le soluzioni da trovare. Questo è necessario.
  Un altro esempio è rappresentato dalla SCIA: anche in questo caso i moduli e le procedure per richiedere i certificati sono diversi da comune a comune; lo stesso modello a Milano è differente da quello a Roma e differente da quello a Napoli e un'impresa che si trova a lavorare su tutto il territorio nazionale chiaramente subisce un disagio.
  Quindi, secondo me, la prima cosa su cui puntare è chiaramente spingere su un'informatizzazione. Ma di chi è la colpa ? Sono i cittadini che sono pochi informatizzati o la pubblica amministrazione ? Cerchiamo di entrare un po’ nel dettaglio della questione. Sicuramente negli anni abbiamo subito un ballettino che è da ripristinare. Ad esempio, il nome dell'organismo che doveva occuparsi della digitalizzazione è passato in seno all'AIPA, poi all'Autorità per l'informatica, si è passati al CNIPA (centro nazionale per l'informatica), al DigitPA e infine all'Agenzia per l'Italia digitale, l'ultima che avrebbe dovuto rivoluzionare i rapporti tra cittadini ed imprese con la controparte pubblica, per esempio emettendo in rete tutte le amministrazioni e consentendo l'archiviazione di tutti i documenti in formato elettronico.
  Tutto ciò è, ad oggi, fermo. E allora, non ci stupiamo se, per esempio, in Confindustria Squinzi, rammentando come già nel 2011 fosse stata adottata una norma che sanciva il principio dell'acquisizione d'ufficio, oggi si ritrova a dire che è un peccato perché la prassi degli uffici non si sia uniformata a questo principio.
  Manca una mappatura delle reti della pubblica amministrazione. Noi ad oggi non sappiamo quali sono effettivamente le reti che sono collegate tra loro e dove, invece, c’è una mancanza e dove quindi si deve investire per poter risolvere il problema, per evitare – perché il fine è questo – che si richiedano ai cittadini dati che la pubblica amministrazione già ha, già possiede. Ciò perché mettendo in rete i database è ovvio che dopo una amministrazione comunale di un certo comune, ad esempio se arriva un cittadino che ha bisogno di un documento che magari è in possesso di un'altra amministrazione diciamo che è facilmente reperibile il documento Pag. 49stesso perché le amministrazioni sono banalmente in rete. Chiaramente da verificare anche la velocità di banda dei collegamenti tra le reti stesse, e qui apro una parentesi perché, anche dal punto di vista degli investimenti in banda larga, noi siamo abbastanza indietro: neanche l'un per cento della rete a livello nazionale è coperta a livello di banda ultralarga e questo è grave perché all'estero invece le connessioni sono molto più veloci e anche questo si ripercuote sul lavoro e sulla quantità di lavoro che è possibile effettuare.
  Quindi, censimento dei database, perché ad oggi ancora un censimento specifico sui database esistenti non c’è. L'archiviazione puntuale di documenti in formato digitale, non soltanto quelli prodotti da oggi in avanti, ma anche quelli pregressi. Per consentire di effettuare pagamenti on line dei tributi anche questo potrebbe essere l'uovo di Colombo, però se noi tutti potessimo effettuare delle operazioni, soprattutto se chi è più comunque abituato ad utilizzare la rete e i software on line se potesse pagare i tributi on line ciò consentirebbe di sprecare meno energie e soprattutto tempo.
  Consultare la pubblica amministrazione on line, anche banalmente attraverso call center, attraverso altri meccanismi che possono aiutare anche chi non è abituato ad usare il computer per iniziare comunque ad utilizzarlo.
  Acquisire la carta di identità elettronica che è prevista dal lontano 2005 – anche questo è stato detto ed è importante – che non è stata ancora realizzata e collegarla alla tessera sanitaria sullo stesso supporto.
  Accedere a diversi siti pubblici con registrazione semplice ed immediata attraverso PIN, attraverso la carta di identità elettronica. Studiamo un metodo, ma portiamolo avanti.
  Poi c’è tutto il concetto interessante degli open data, cosa significa ? Che i dati sono disponibili in formato aperto quindi in formato che è possibile, dal punto di vista proprio dell'informatica, rielaborare e quindi creare statistiche, creare anche un'economia che si può formare dietro alle consultazioni, dietro ai dati che sono di libero accesso. Questo è a garanzia della trasparenza e deve essere una base fondante su cui si basa la pubblica amministrazione: il concetto di best practices, perché una pubblica amministrazione che sa, laddove magari ha delle lacune, laddove magari l'amministrazione nei pressi ha risolto le lacune stesse, può migliorare il proprio lavoro anche prendendo esempio da chi ha saputo risolvere dei problemi simili ai suoi. Ciò perché alla fine nella pubblica amministrazione i problemi da risolvere sono gli stessi e magari alcune volte vengono trovate delle soluzioni che possono esser anche messe in rete e quindi fatte circolare. Favorire, ad esempio, la fatturazione elettronica: questa è un'altra proposta che è arrivata anche in base alle consultazioni che sono state fatte.
  Ma anche la dichiarazione dei redditi on line, soprattutto per chi ha fatturato basso. Questo succede al di fuori dell'Italia ed è un onere in meno sempre per le imprese soprattutto per coloro che hanno dei bassi fatturati. Ad esempio, un'altra proposta è quella di pagare la tassa di circolazione attraverso l'F24. Sono cose piccole, che però migliorerebbero la vita quotidiana dei cittadini e delle imprese.
  Un altro risvolto che ha l'informatizzazione – e questo anche in seguito alle ultime notizie che arrivano insieme a tutti gli scandali di corruzione e quant'altro – e per il quale si potrebbe anche qui prendere l'esempio da soluzioni già adottate all'estero, ovvero in Gran Bretagna, dove i bandi per le concessioni vengono effettuati on line con un certo tempo di preavviso, dove tutti possono partecipare; questo garantisce trasparenza, ma soprattutto evita accordi sottobanco tra le imprese.
  L'informatizzazione può arrivare in aiuto anche di questo tipo di problematicità, perché comunque la corruzione si annida nella complicazione, nell'eccesso di norme e nella poca trasparenza che questo provoca.
  Infine io vorrei puntare il dito sui dirigenti e sulla problematica dello spoil system. Tra politica ed amministrazione Pag. 50vanno ristabilite le dovute gerarchie e le reciproche responsabilità, anche attraverso un principio fondamentale della pubblica amministrazione, ovvero l'accesso per concorso pubblico. Vi possono essere eccezioni, ma non può essere superato in maniera generalizzata questo concetto. Paradossalmente le politiche legislative volte ad individuare e rafforzare la responsabilità dirigenziale hanno prodotto per molti versi l'effetto opposto, ed è quello di deresponsabilizzare i dirigenti, e le ricadute sono in termini di qualità, di bontà del lavoro effettuato, di produzione normativa, anche l'effetto norma-vetrina, l'amministratore dirigente che si insedia nell'amministrazione vuol far vedere che ha fatto qualcosa rispetto a quello precedente, ma non è detto che questo qualcosa sia migliore rispetto all'amministrazione precedente. Maggiore è la garanzia e l'effettività della terzietà di una norma emanata dalla pubblica amministrazione, maggiore è la probabilità di una sua capacità di rimanere valida nel tempo. Questo è un concetto che comunque dobbiamo riscoprire, la validità delle norme nel tempo, assicurando certezza e stabilità del diritto, oggi unanimemente invocate per restituire attrattività al sistema economico e all'ordinamento italiano. Per quanto riguarda i nuovi dirigenti, io proprio di recente ho avuto un colloquio con un dirigente di secondo livello che mi ha proprio evidenziato questa sua difficoltà di lavoro, anche in termini di valutazione dei suoi sottoposti, dei funzionari che lavorano e per i quali comunque ha una responsabilità. Lei ad esempio deve attribuire dei valori a questi funzionari, delle lettere – «a» piuttosto che «b» – e mi ha detto esplicitamente che quando lei assegna una «b» arriva il sindacato che le fa pressione e le dice: guardi, attenzione, perché se lei assegna una «b», poi dopo si apre un contenzioso e poi dopo è stress psicologico che subisce a fronte di una mancanza di forza che ha dietro le spalle che la pubblica amministrazione le offre, e questo a mio avviso è gravissimo perché i dirigenti vorrebbero, anche in termini di salario in più, premiare chi è bravo, ma far notare anche chi magari ha dei meriti e chi dovrebbe anche migliorare nel proprio ruolo, invece è dato al buon cuore del dirigente o del funzionario il lavoro e la qualità del lavoro che svolge, e questo penalizza il risultato che si ottiene all'interno della pubblica amministrazione e quello che, a fronte, ottengano i cittadini stessi, per cui vorrei puntare un faro proprio sul ruolo della dirigenza: chi in un'azienda privata o in un'associazione o un organismo, anche in un partito politico, assumerebbe un responsabile che non è quotato, che non ha fatto magari un concorso, che non ha valutato effettivamente se è in grado o no di svolgere il suo lavoro e chi, a fronte di errori svolti all'interno della propria dirigenza, in ruoli di responsabilità, gli darebbe un premio, magari la sposterebbe in un ruolo ancora superiore e, a fronte di questo ruolo, magari metterebbe un sottoposto che ancor meno è in grado di svolgere il lavoro. Io credo che sia veramente responsabilità anche della politica, visto che in merito al sistema della dirigenza e delle nomine dei dirigenti c’è una responsabilità in base alla qualità del dirigente.

  PRESIDENTE. Onorevole Mucci, questa è la campanella che dice che ha ancora un minuto.

  MARA MUCCI. Quindi è importante sottolineare – cercherò di essere breve – l'importanza della qualità e riscoprire la qualità e la responsabilità del lavoro svolto.
  In ultimo – mi tocca tagliare – il rapporto Governo e Parlamento. È stato detto, l'hanno ribadito in molti, si emanano troppi decreti-legge. Questo si ripercuote, a mio avviso, sempre sulla bontà dei decreti che vengono emanati, lo vediamo anche perché il Parlamento spesso si ritrova a fare decine e centinaia di emendamenti sui decreti stessi, perché emanati in casi di necessità e urgenza, quindi senza l'adeguata analisi ex ante – non parliamo poi dell'analisi ex post – quindi sarebbe da ristabilire – effettivamente l'ha detto anche il collega Palese – un rapporto tra Pag. 51Parlamento e Governo che ridistribuisca le competenze e gli spazi, cioè il Parlamento rivuole il proprio spazio per fare leggi di origine parlamentare e il Governo magari vuole lavorare, però si deve trovare un compromesso in questo. Io devo concludere, e concludo dicendo che negli impegni della mozione sono evidenziati i nostri punti critici, la Commissione semplificazione per me deve avere un ruolo superiore, nel senso che anche qui, in accordo con il Governo, si dovrebbe dividere i compiti. Ad esempio, se parliamo di testi unici, magari lasciamo alla Commissione semplificazione il compito di dire quali sono le materie più importanti e più impellenti sulle quali legiferare e creare i testi unici, e magari il Governo si occupi di altro.

  PRESIDENTE. Onorevole Mucci, ha consumato anche il tempo residuo dell'onorevole Cozzolino.

  MARA MUCCI. Concludo, ringraziando e sperando che venga presa in considerazione la mozione e si inizi a lavorare sicuramente nell'ottica della semplificazione.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Scopelliti. Ne ha facoltà.

  ROSANNA SCOPELLITI. Signor Presidente, la semplificazione normativa ed amministrativa costituiscono due passaggi fondamentali ed obbligati per lo sviluppo del nostro Paese. Infatti, semplificare significa introdurre elementi di chiarezza e sistematicità nell'ordinamento, intervenendo non soltanto sulla quantità delle leggi, ma sulla loro qualità al fine di contribuire al rilancio della competitività del Paese proprio perché l'eccessiva proliferazione e la stratificazione stessa delle norme costituiscono un costo eccessivo e sempre più insostenibile per i cittadini e le imprese soprattutto in un periodo di crisi socio-economica come quello che sta attraversando l'Italia.
  Le imprese e i cittadini lamentano le lungaggini amministrative derivanti da normative poco chiare, incoerenti o obsolete: la legislazione, infatti, se mal concepita, comporta costi di varia natura e può avere l'effetto di rallentare l'innovazione, la produttività e la crescita. Le piccole e medie imprese del nostro Paese soffrono in maniera rilevante a causa di vincoli legislativi ed amministrativi eccessivi e particolarmente onerosi.
  Il quadro normativo, quindi, richiede norme più semplici ed efficaci. La stratificazione normativa, dunque, costituisce ed è una delle «debolezze» del sistema dell'ordinamento italiano e pregiudica la qualità della legislazione: in ultima istanza, nuoce alla stessa certezza del diritto, provocando anche danni di rilievo ai cittadini e agli operatori economici in modo particolare. È evidente, infatti, come il continuo cambiamento del quadro normativo vigente interferisca con le strategie delle imprese che effettuano investimenti. Non a caso, l'OCSE ritiene che il miglioramento della qualità della legislazione e una maggiore attuazione della normazione adottata siano alcuni degli strumenti da utilizzare al fine di dare slancio alla crescita e alla produttività del nostro Paese.
  In tale contesto, occorre effettuare una precisa analisi dello stato attuale della semplificazione normativa e legislativa prendendo come punto di riferimento i risultati che provengono da un'indagine conoscitiva svolta dalla Commissione sulla semplificazione nel corso della XVI legislatura: indagine che si è conclusa con un documento nel quale sono stati indicati sia i problemi che le possibili soluzioni.
  Dalle audizioni effettuate nel corso della XVI legislatura dalla Commissione per la semplificazione, emerge un quadro grave, per di più in un contesto economico-sociale che dovrebbe, al contrario, spronare a porre in essere tutte le misure di semplificazione possibili per dare nuova energia, a costo zero, al fine di introdurre risparmi ai cittadini ed alle imprese.
  Dal documento conclusivo emergono alcune gravi problematiche che affliggono 1'ordinamento del nostro Paese, come il numero eccessivo di norme, spesso instabili Pag. 52e soggette a continue modifiche. Infatti, la stessa Commissione per la semplificazione, ha evidenziato come non sia possibile una quantificazione sicura delle leggi vigenti a causa soprattutto di una stratificazione normativa, di cui abbiamo parlato precedentemente, accumulata nel corso del tempo, in mancanza spesso dei necessari raccordi con la legislazione vigente.
  Ancora, dall'indagine emerge il disordine normativo caratterizzato da numerosi provvedimenti sempre più spesso a contenuto omnibus o multisettoriale, o la mancata attuazione degli adempimenti previsti e mai adottati, o con gravi ritardi che sono diversi e per lo più riguardanti la semplificazione, le norme che, nonostante l'adozione dei relativi adempimenti, hanno trovato solo parziale attuazione, come ad esempio l'istituzione dello sportello unico per le attività produttive, ormai presente in moltissime realtà, ma funzionante purtroppo in un piccolo numero di casi.
  Un altro problema rilevato, per esempio, è quello relativo al non funzionamento delle norme: l'esempio più ricorrente in questo ambito riguarda la Conferenza dei servizi, pensata come momento risolutore delle controversie tra amministrazioni, ma che ha dimostrato difficoltà di funzionamento determinata dalle procedure complesse e dall'impossibilità di conferire priorità agli interessi in gioco, per le conseguenze derivanti dal dissenso espresso anche da una sola delle amministrazioni in causa.
  Un altro dato costante, che emerge dalle citate audizioni, concerne la frammentazione del quadro regolatorio previsto dalla riforma del Titolo V della Costituzione del 2001. In particolare, la potestà legislativa regionale concorrente con quella dello Stato in una serie di materie strategiche per lo sviluppo competitivo del Paese, unitamente alla potestà regolamentare dei comuni hanno determinato procedure amministrative diverse in alcune regioni del nostro Paese: ciò comporta costi eccessivi per le aziende costrette, ad esempio, a dover approntare moduli diversi e ad acquisire dati diversi con un notevole dispendio, anche economico, in termini lavorativi, nel senso di ore per uomo.
  Osserviamo, altresì, che tutti i soggetti auditi dalla Commissione hanno evidenziato la grande potenzialità che potrebbe offrire la digitalizzazione rispetto ad una semplificazione delle procedure, con conseguente abbattimento dei costi, ponendo in risalto la necessità di rafforzare i collegamenti telematici tra le imprese e la pubblica amministrazione e tra le stesse pubbliche amministrazioni. Questi sono i problemi evidenziati nel corso della scorsa legislatura, che sono, purtroppo, ancora oggi presenti nel nostro ordinamento.
  Nella sua relazione alla Commissione del 28 maggio 2014 sulla semplificazione, il Ministro Madia ha rilanciato e rilevato come la semplificazione costituisca un grande tema italiano e europeo. Ha, infatti, osservato – cosa di cui siamo più che convinti – come la crisi europea sia dovuta anche all'eccessiva burocrazia: troppo spesso, infatti, i cittadini hanno percepito l'Unione europea come un'elefantiaca macchina burocratica, la cui attività regolatoria ha finito per appesantire ulteriormente la vita di persone ed imprese.
  Auspichiamo, quindi, di puntare, con una forte determinazione, ad una riduzione degli oneri e dell'eccesso di regolazione che derivano dalla legislazione UE, e ciò potrà essere discusso già nel corso del prossimo semestre europeo; così come condividiamo l'impegno del Governo di modificare sia il Titolo V della Costituzione sia la struttura e il funzionamento della macchina dello Stato in termini di maggiore efficienza, lotta agli sprechi e al caosamministrativo.
  Va dato atto all'Esecutivo che sta operando bene per recuperare il grande svantaggio competitivo dell'Italia e per cambiare un sistema di regole complicato per i cittadini e le imprese, soggetti ai quali ci si rivolge spesso con norme veramente illeggibili. Da ciò emerge l’ importanza di una strategia che porti ad un'effettiva semplificazione del quadro normativo esistente, che, come abbiamo detto, produce costi eccessivi per i cittadini e le imprese, Pag. 53e siamo pertanto consapevoli che il programma illustrato dal Ministro Madia sia ricco di spunti, che potranno consentire di operare con maggiore determinazione verso un contesto legislativo più semplice e meno gravoso di oneri per i cittadini e le imprese, che sono, poi, i veri destinatari delle norme.
  Pensiamo, quindi, che la mozione presentata e sottoscritta anche dal Nuovo Centrodestra, con la quale si impegna il Governo ad operare per mettere in atto una vasta opera di semplificazione legislativa ed amministrativa, a partire dalla predisposizione di testi unici compilativi per ciascun settore delle politiche pubbliche, sia la strada giusta per avere una legislazione più chiara e più semplice, a tutto vantaggio, finalmente, dei cittadini.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lavagno. Beati gli ultimi ! Ne ha facoltà.

  FABIO LAVAGNO. Signor Presidente, il tema della semplificazione amministrativa nel nostro Paese assume sempre più le sembianze di un mantra; un mantra ripetuto in maniera stanca, stantia, all'insediarsi di ogni nuovo Esecutivo. Un rumore di fondo, lamentoso, inutile, che nutre nella propria frustrazione la propria inefficacia, e specchio di una politica che strizza l'occhio al mal di pancia della gente, che affligge i cittadini, le imprese e le stesse amministrazioni, ma che è incapace di assumere su di sé la responsabilità piena di affrontare in modo sistematico, ordinato e continuativo le riforme necessarie per dare risposte credibili.
  Quando questo è avvenuto, abbiamo assistito ad eventi spot, di natura spettacolare, e più volte alla comunicazione di costume che non ad assumere efficaci rilievi di carattere istituzionale. È questo il quadro che ci viene consegnato ed è il quadro da cui parte la nostra discussione; una discussione frustrata e, a volte, frustrante. È la discussione iniziale da cui sono partiti i lavori della Commissione bicamerale sulla semplificazione, da cui è partita un'indagine conoscitiva lunga, approfondita, che ci ha dato un quadro di una malattia ben nota e ben conosciuta al nostro Paese.
  Una malattia a cui occorre dare, a questo punto, risposte in maniera efficace, senza più rimandare, senza più illudersi che la semplice enunciazione ed elencazione delle caratteristiche della complicazione, delle cause della complicazione, dell'inefficacia e dell'inefficienza, e pertanto della non economicità, del sistema Paese, in qualche modo, possa essere un modo per autoassolvere un'intera classe politica rispetto a queste funzioni.
  Funzioni che devono e dovrebbero rispondere, invece, a principi ben chiari: a quello della legalità, che impone alla pubblica amministrazione il rispetto della legge e dei criteri da questa dettati, alla buona amministrazione, all'obbligo di svolgere la propria attività secondo le modalità più idonee ed opportune al fine di garantire l'efficacia, l'efficienza e l'economicità, alla speditezza, ai comportamenti che si devono assumere nei confronti dei cittadini.
  Spesso tutto ciò, lo abbiamo detto, l'abbiamo evidenziato, illustrato nei lavori dell'indagine conoscitiva, è rimasto un enunciato astratto a causa delle carenze, delle disfunzioni organizzative, dalla sovrabbondanza di norme, di leggi, di regole, dei ritardi della cultura della dirigenza, nelle difficoltà di affermare un sistema di responsabilità rigoroso, nella lentezza endemica della giustizia amministrativa. La semplificazione amministrativa, tuttavia, dovrebbe permettere la concreta attuazione dei principi generali, quelli della legalità e della buona amministrazione, che ricordavo prima, e costituirebbe una soluzione essa stessa a questi problemi ed è sottesa al principio di semplicità che costituisce, a sua volta, un importante corollario dei principi di buon andamento dell'organizzazione dello Stato.
  Occorrerebbe delegificare, deregolamentare, deamministrativizzare, farlo però secondo un ordine e non secondo interventi spot, come abbiamo più volte sottolineato e come è stato fatto in maniera negativa in questo anno. Eppure assistiamo anche in questo caso, come nella Pag. 54discussione precedente, a un ventennio normativo che aveva dato una direzione, che aveva tracciato un solco: nel 1990 la legge apparsa sotto il nome della trasparenza aveva introdotto un nuovo statuto nei rapporti tra le pubbliche amministrazioni e i cittadini, prevedendo per la prima volta in capo a quest'ultime una serie di importanti diritti, tra i quali quello alla certezza dei tempi di conclusione del procedimento amministrativo, la partecipazione allo stesso procedimento, l'accesso ai documenti amministrativi e tante altre cose.
  Questo passaggio avrebbe dovuto rappresentare un passaggio di non ritorno nei rapporti tra i cittadini e amministrazione, purtroppo così non è stato o lo è stato in parte. Lo è stato in parte, perché se negli anni Novanta abbiamo assistito all'introduzione dei testi unici, alle leggi Bassanini, poi all'alba del nuovo millennio, nel 2001, con la riforma del Titolo V, di fatto, abbiamo interrotto quella pratica e abbiamo fatto sì che quella pratica dei testi unici che avevano permesso una semplificazione reale alla capacità di mettere a sistema determinate questioni e determinati temi, determinati ambiti dell'amministrazione della cosa pubblica in qualche modo venisse interrotto in maniera confusa. Questa è una storia che fa il paio con l'introduzione da 20 anni a questa parte del concetto stesso di federalismo. Un federalismo mancato che abbiamo declinato in ogni modo e in ogni forma, ma certamente non con quella aspirazione che era nelle intenzioni dei cittadini che vedevano nel federalismo un avvicinamento della pubblica amministrazione nei confronti delle proprie esigenze e dei propri bisogni.
  In realtà abbiamo, invece, assistito, molto spesso, con una amministrativizzazione di fatto delle regioni, a una scarsa capacità legislativa dal punto di vista qualitativo delle stesse regioni, o a nuovi accentramenti di carattere regionale o molto spesso a un allontanamento e a un'inefficacia nell'azione della pubblica amministrazione. Appare, quindi, consentitemi il gioco di parole, evidente come semplificare sia una questione molto complicata nel nostro Paese; una questione molto complicata, ma che deve venire al pettine. E lo dovremmo fare in ogni ambito della pubblica amministrazione proprio stando alle questioni e all'intervento principale che questa mozione sottoscritta dai componenti della Commissione bicamerale si propone, quella di reintrodurre e di riavviare la stagione dei testi unici come modalità primaria per la semplificazione. Qua non stiamo e non dobbiamo più fare la diagnosi di un malato, dobbiamo iniziare ad individuare quali sono le cure, cure non palliative, quindi non momentanee, non che hanno lo spazio effimero, ma che hanno, invece, la capacità di continuità e soprattutto quella volontà di programmazione e lo dovremmo fare in ogni ambito della pubblica amministrazione.
  Mi limito, ad un esempio, facendo mie le parole di un amico che oggi su Il Sole 24 Ore prova a delineare la grande confusione normativa che avviene sulla materia fiscale, solo sulla materia fiscale relativa agli immobili. Ebbene Cristiano Dell'Oste ci dice: «le continue correzioni alle norme e le definizioni “dimenticate” nei testi di legge sono il segno più evidente del travaglio che ha portato all'attuale disciplina dei tributi immobiliari. Chi vuole ricostruire la disciplina di Imu e Tasi, oggi deve mettere insieme alcune parti del vecchio testo unico sull'Ici, il decreto 23/2011 sul federalismo fiscale, la manovra “salva-Italia” e l'ultima legge di stabilità del 2013. Tutte quante, naturalmente, nelle versioni aggiornate alla legge di conversione del decreto “salva Roma-ter”, licenziata dal Parlamento appena un mese fa, e alle norme messe a punto dal Governo la scorsa settimana per disciplinare le nuove scadenze di pagamento della Tasi».
  Ecco, è evidente come un semplice aspetto, quello della tassazione immobiliare, abbia al suo interno tutte le mancanze della legislazione rispetto alle buone norme di buon senso rispetto alla semplificazione. Gli oneri che ormai si hanno rispetto alla complicazione normativa Pag. 55sono insostenibili per cittadini e per imprese, per le cose che sono state già ricordate dai colleghi precedentemente. La stratificazione di leggi in qualche modo produce e si inserisce pienamente in questo onere e peso notevole a cui assistiamo, non aiuta la comprensione e allontana via via, vieppiù, i cittadini da quella che è la politica, per come la politica è in grado di gestire i processi e governare questi stessi processi.
  Credo che, detto questo, noi dobbiamo fare uno sforzo e dobbiamo chiederlo al Governo. Dobbiamo fare uno sforzo, da un lato, di affermazione di dignità del Parlamento, perché questa Camera, anzi, queste Camere, visto che esistono ancora le due Camere, siano effettivamente Camere legislative, non Camere di ratifica della decretazione d'urgenza, sempre più utilizzata da questo come dai precedenti Esecutivi, con una tendenza alla gestione dell'emergenzialità come norma, che in qualche modo non solo apre la strada alla confusione, ma molto spesso anche – abbiamo visto in epoche precedenti – a fenomeni di corruzione.
  Dobbiamo rivendicare da parte delle Camere nei confronti del Governo un rapporto più serio e più stringente per ciò che concerne il rispetto dei ruoli. L'Esecutivo faccia l'Esecutivo e il Parlamento faccia il Parlamento, nel senso che ciò che viene qua dato come indirizzo, anche legislativo, venga poi rispettato da parte del Governo e insieme, attraverso l'istituto delle Commissioni e soprattutto della Commissione bicamerale sulla semplificazione, non rimanga un luogo anche quello di buone intenzioni, laddove il Governo nelle sue componenti, piuttosto che i commissari, dichiarano buone intenzioni, fanno analisi del programma e non agiscono invece per un programma comune che dia effettiva stabilità.
  Stabilità non vuol dire quella stabilità politica che consente ad un Governo di durare o non durare. Stabilità vuol dire avere quella certezza che i principi fondativi di uno Stato, i principi fondativi del rapporto tra lo Stato, la pubblica amministrazione e i cittadini siano validi oggi e non vengano messi in discussione domani e ciò che è valido oggi non venga vissuto come una truffa da parte dei cittadini.
  Infatti troppo spesso, invece, abbiamo assistito a fenomeni che andavano in direzione opposta, a fenomeni che tendevano a smentire ciò che si dichiarava un giorno e ciò che invece veniva espletato il giorno successivo. Molto spesso è la ricerca di un facile consenso immediato eppure i risultati di questo immediato e facile consenso si sono tradotti, ahimè per tutti noi come classe politica, in una perdita di credibilità.
  Credo che questo della semplificazione non sia un problema dell'Italia, ma come abbiamo più spesso ribadito nella Commissione e come abbiamo ribadito più volte ai membri del Governo, è il problema dell'Italia nei confronti della competitività e della capacità del nostro Paese di stare in un contesto comunitario e internazionale. I ritardi che noi stiamo accumulando rispetto a questo sono ormai insostenibili. Ce lo dicono i rappresentanti datoriali come i rappresentanti dei lavoratori: ce lo dicono tutti. Noi, per essere competitivi, forse una volta in più dovremo fare attenzione a questi elementi strutturali e ragionare sulla competitività, non semplicemente sui maggiori o minori – molto spesso minori – diritti sul mondo del lavoro, quanto sugli elementi strutturali del nostro Paese.
  È al pari di un'infrastruttura avere una legislazione semplice, comprensibile e accessibile, proprio perché non basta dire che esistono i diritti. A questi diritti poi va dato accesso. La semplicità e la chiarezza normativa sono di fatto una garanzia rispetto all'accesso dei diritti nei confronti dei cittadini.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e, pertanto, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
  Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
  Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Pag. 56

Organizzazione dei tempi di discussione dei disegni di legge di ratifica.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione dei disegni di legge di ratifica nn. 2083-A e 2280.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati all'esame dei disegni di legge di ratifica all'ordine del giorno è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 3 giugno 2014 dell'Assemblea (vedi resoconto stenografico dell'Assemblea del 3 giugno 2014).

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo interno tra i rappresentanti dei Governi degli Stati membri dell'Unione europea, riuniti in sede di Consiglio, relativo al finanziamento degli aiuti dell'Unione europea forniti nell'ambito del quadro finanziario pluriennale per il periodo 2014-2020 in applicazione dell'Accordo di partenariato ACP-UE e all'assegnazione di assistenza finanziaria ai Paesi e territori d'oltremare cui si applicano le disposizioni della parte quarta del trattato sul funzionamento dell'UE, fatto a Lussemburgo e a Bruxelles, rispettivamente il 24 giugno e il 26 giugno 2013 (A.C. 2083-A) (ore 18,05).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 2083-A: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo interno tra i rappresentanti dei Governi degli Stati membri dell'Unione europea, riuniti in sede di Consiglio, relativo al finanziamento degli aiuti dell'Unione europea forniti nell'ambito del quadro finanziario pluriennale per il periodo 2014-2020 in applicazione dell'Accordo di partenariato ACP-UE e all'assegnazione di assistenza finanziaria ai Paesi e territori d'oltremare cui si applicano le disposizioni della parte quarta del trattato sul funzionamento dell'UE, fatto a Lussemburgo e a Bruxelles, rispettivamente il 24 giugno e il 26 giugno 2013.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2083-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Informo che il presidente del gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Avverto, inoltre, anche coloro che non sono più interessati a questo argomento – perché abbiamo finito, però magari facciamo in modo che chi è interessato se ne possa occupare –, che, con lettera del 6 giugno scorso, il presidente della Commissione affari esteri ha comunicato che la relatrice Lia Quartapelle Procopio ha rinunciato al suo mandato e che le funzioni di relatore saranno svolte dal deputato Vincenzo Amendola, al quale do immediatamente la parola.

  VINCENZO AMENDOLA, Relatore. Signor Presidente, cari deputati, la cooperazione tra l'Unione europea (UE) ed i Paesi del continente africano, dei Caraibi e del Pacifico, avviata dalla prima Convenzione di Yaoundé nel 1963 e proseguita poi con le cinque Convenzioni di Lomé (tra il 1975 ed il 1995), è attualmente realizzata nel quadro dell'Accordo di Cotonou, firmato il 23 giugno del 2000.
  L'intento dell'Accordo, di durata ventennale, è quello di promuovere lo sviluppo economico, sociale e culturale dei Paesi ACP, di contribuire alla pace, alla sicurezza, all'eliminazione della povertà, di favorire un clima politico stabile e democratico, di assicurare uno sviluppo sostenibile e la graduale integrazione degli Stati ACP nell'economia mondiale, accordando un trattamento specifico ai Paesi meno avanzati.
  Conformemente all'articolo 95 dell'Accordo, che prevede una revisione ogni cinque anni, nel 2005 ne è stata firmata a Lussemburgo la prima. Nel 2010 è stata Pag. 57sottoscritta la seconda revisione che ha apportato modifiche volte ad adattare il partenariato ai grandi cambiamenti occorsi in campo internazionale, in particolare, sui temi della sicurezza, dei cambiamenti climatici, dello sviluppo sostenibile e dell'integrazione regionale.
  Il Fondo europeo di sviluppo (FES) rappresenta lo strumento finanziario tramite cui si realizza la cooperazione con i Paesi ACP. Esso è finanziato dagli Stati membri dell'UE, attraverso contributi obbligatori derivanti dall'Accordo di Cotonou.
  L'Accordo fa seguito alla decisione del Consiglio europeo del 7-8 febbraio 2013, di destinare, nel quadro delle prospettive finanziarie 2014-2020, 30,5 miliardi di euro al finanziamento della cooperazione con i Paesi ACP ed i PTOM. Si tratta di un incremento dello 0,2 per cento rispetto alle risorse del X FES (2008-2013).
  Tale volume di finanziamenti verrà veicolato dagli Stati membri attraverso l'XI FES, mantenuto autonomo dal bilancio dell'UE e pertanto formalmente fondo intergovernativo (ma la Commissione presenterà una proposta di inclusione del FES nel bilancio generale dell'Unione a partire dal 1o gennaio 2020).
  L'Italia continuerà ad essere il quarto contribuente al FES dopo Germania, Francia e Regno Unito, con un contributo obbligatorio nazionale di circa 3 miliardi e 822 milioni di euro su sette anni (che corrispondono al 12,53 per cento del volume totale dell'XI FES, con una diminuzione rispetto alla chiave di contribuzione italiana per il X FES, che è stata pari al 12,86 per cento). Le decisioni sull'uso delle risorse restano affidate al Comitato di gestione del FES, presieduto dalla Commissione, dove all'Italia è attribuito un voto ponderato corrispondente a 125 (Germania 206, Francia 178, Regno Unito 147).
  L'Accordo appare in linea con la posizione comune dell'UE per il quarto forum ad alto livello sull'efficacia degli aiuti (Busan, 29 novembre – 1 dicembre 2011). Segnalo che le Commissioni attività produttive e agricoltura hanno formulato alcune osservazioni di cui il Governo dovrà tenere conto nell'attuare l'accordo vigilando in sede europea contro fenomeni di concorrenza sleale.
  Come evidenziato nella relazione tecnica allegata al disegno di legge, dal momento che non è possibile stimare fin d'ora a quanto ammonterà lo stanziamento annuale necessario, esso non viene quantificato nel disegno di legge e, pertanto, dovrà essere assegnato in sede di disegno di legge di bilancio. La relazione stima, tuttavia, che lo stanziamento medio annuo sia pari a 425 milioni di euro annui per circa 9 anni. Attesa la peculiare rilevanza che riveste per l'aiuto pubblico allo sviluppo del nostro Paese, la cooperazione in ambito multilaterale, segnatamente europeo, nonché alla luce della cooperazione decentrata e della riforma del settore in corso al Senato, auspico una rapida approvazione del provvedimento in esame, anche in vista dell'avvio imminente della Presidenza italiana dell'Unione europea.

  PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
  È iscritto a parlare l'onorevole Picchi. Ne ha facoltà.

  GUGLIELMO PICCHI. Signor Presidente, ringrazio il relatore per la puntuale esposizione dei contenuti di questo provvedimento. Questo è un classico esempio di come ancora una volta somme ingenti vengano destinate alla cooperazione, seppure nella forma non diretta, ma attraverso enti multilaterali, come è il caso. Siamo assolutamente favorevoli alla ratifica di questo provvedimento, però dobbiamo ancora una volta ribadire come i fondi per la cooperazione in Italia siano molto più ingenti di quanto spesso anche in quest'Aula abbiamo sentito dire. La legge di riforma sulla cooperazione è fondamentale e speriamo che il Senato ne concluda quanto prima l'iter affinché possiamo poi approfondire la materia anche qui alla Camera.
  Il punto sulla cooperazione: qui stiamo parlando di 3,8 miliardi di euro, 425 milioni di euro l'anno. Sono tanti. Sono Pag. 58fondi che vanno alla cooperazione e su cui l'Italia, tramite il voto ponderato del 12,5 per cento, può dire la sua. È importante che noi in sede di Commissione europea facciamo sentire la nostra voce e siamo in grado di indirizzare questi fondi là dove ci sono anche i nostri interessi di politica estera. Troppo spesso, come ho già ricordato anche nell'intervento precedente sulla Banca di sviluppo dei Caraibi e la Banca interamericana di sviluppo, spendiamo fondi là dove non abbiamo interessi strategici di politica estera. Credo che il Governo italiano, sotto controllo del Parlamento, debba fare questo sforzo affinché tutte le risorse che mettiamo in cooperazione, diretta, decentrata o tramite organismi multilaterali, siano coerenti con la nostra politica estera. Credo che questo sia l'impegno che come Paese ci dobbiamo prendere. La cooperazione è fondamentale, ma non si può fare ad ogni costo nel momento in cui il nostro Paese sta vivendo delle difficoltà interne. Diventa anche difficile poi andare a spiegare alla nostra opinione pubblica perché può essere importante, come nel caso precedente, andare a finanziare la Banca di sviluppo dei Caraibi e in questo caso perché gli interventi del FES debbano essere diretti in aree geografiche dove magari noi abbiamo una presenza estremamente limitata e salvo l'importanza di aiutare lo sviluppo di certi Paesi. Ricordo che sono aree geografiche, dove sono diretti i finanziamenti, che prevedono anche i territori d'oltremare di alcuni Paesi dell'Unione europea. Allora, non vorrei che Paesi che, come la Gran Bretagna o la Francia, hanno notevoli possedimenti d'oltremare, possano indirizzare là i fondi del FES e l'Italia essere il comitato di pietra che subisce questo tipo di politica.
  Pertanto, ribadiamo il sostegno e l'approvazione alla ratifica di questo Accordo, però chiediamo al Governo di monitorare costantemente che nell'ambito della Commissione europea questi fondi siano utilizzati, non solo nell'interesse delle popolazioni destinatarie, ma anche nell'interesse strategico del nostro Paese.
  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole L'Abbate. Ne ha facoltà.

  GIUSEPPE L'ABBATE. Signor Presidente, colleghi, le politiche di cooperazione allo sviluppo rappresentano una componente fondamentale delle relazioni esterne di un Paese e contribuiscono a definire il suo ruolo nell'ambito della comunità internazionale. È tuttavia indiscutibile la necessità di una profonda revisione dei meccanismi con i quali si gestiscono gli aiuti da parte dei Paesi donatori, a cominciare dalla riforma della legge n. 49 del 1987, al fine di riconoscere alla cooperazione una opportunità di investimento, oltre che un preciso dovere morale. Occorre quindi legare l'aspetto della solidarietà con quello di crescita reciproca mettendo fine alla logica assistenzialista che mette su due piani diversi donatori e beneficiari, logica che, lungi dal produrre sviluppo, perpetua invece dipendenza e disuguaglianza tra Nord e Sud, come dimostra lo scarso conseguimento degli obiettivi del millennio.
  Venendo al provvedimento in esame, sappiamo che la cooperazione dell'Unione europea con i paesi ACP risale ad oltre cinquant'anni fa, quando per l'allora nascente Comunità europea si pose il problema di gestire i rapporti con molte ex colonie di Stati membri e si è poi sviluppata in varie convenzioni, fino all'accordo di Cotonou del 2000, all'interno del quale il Fondo europeo di sviluppo rappresenta lo strumento finanziario con cui, unitamente alle risorse messe a disposizione dalla Banca europea per gli investimenti, si finanzia la cooperazione.
  Il contributo dell'Italia è di circa 3 miliardi di euro in sette anni, pari al 12 per cento del volume totale di questo XI FES. Ora – sia chiaro – noi non siamo contrari a sostenere i processi di sviluppo economico, sociale e culturale dei Paesi poveri né tanto meno siamo contrari all'eliminazione della povertà e delle diseguaglianze. Il punto, signor Presidente, colleghi, sono le modalità con le quali è Pag. 59stato gestito e continua ad essere gestito l'aiuto pubblico allo sviluppo sia a livello bilaterale che multilaterale.
  Ma come è possibile pensare di dover alimentare un Fondo europeo con contribuzioni nazionali obbligatorie e farlo gestire dalla Commissione europea senza alcun controllo del Parlamento europeo ? Com’è possibile che esso mantenga una natura essenzialmente intergovernativa – però lo chiamiamo europeo – restando separato dal bilancio unionale ? E non ci basta sapere che solo dal 2020 probabilmente – ma non è certo – esso sarà incluso nel bilancio generale dell'Unione.
  L'esclusione del controllo parlamentare può infatti essere funzionale ad un sistema di gestione degli interventi non incentrato sull'efficacia, ma improntato ad altre logiche. E non voglio qui affrontare le maggiori criticità del sistema della cooperazione, ovvero la diffusa corruzione e mancanza di trasparenza dei Governi dei Paesi beneficiari, che intaccano il supporto pubblico impedendo una mobilitazione e una allocazione efficace delle risorse, nonché il ruolo determinante, ma delicatissimo, delle ONG e degli altri soggetti no profit, che spesso si pongono come interlocutori privilegiati con le comunità locali e con i Governi locali e dietro le quali spesso si nascondono interessi che nulla hanno a che fare con la solidarietà. E qui indubbiamente occorre individuare più efficaci meccanismi di controllo e monitoraggio basati su indicatori e risultati con incentivi legati alla performance.
  Per quanto concerne invece il merito della cooperazione realizzata con questo FES, le preoccupazioni maggiori riguardano le risorse destinate agli envelopes B e la loro eventuale utilizzazione per sostenere interventi che non hanno a che fare con situazioni di emergenza o nei casi in cui si debbano limitare conseguenze di shock esogeni e gli accordi di partenariato economico che, se rispondono a legittime esigenze di integrazione regionale delle varie aree, rischiano di creare fattispecie di dumping agricolo, a danno dei Paesi beneficiari, in considerazione della scarsa competitività delle loro merci nei mercati mondiali.
  Occorre quindi che la liberalizzazione commerciale sia implementata gradualmente, ma nessuna certezza è data ad oggi e nessun meccanismo è previsto in tal senso.
  Concludo, signor Presidente, annunciando la nostra contrarietà a questo provvedimento, auspicando una riforma urgente della governance del FES, al fine di coinvolgere maggiormente il Parlamento europeo e i Parlamenti nazionali nella ridefinizione di programmi di sviluppo e di sistemi di verifica dell'efficacia degli aiuti, a cominciare da un cambiamento radicale delle politiche spesso ambigue dei Paesi donatori, primo fra tutti l'Unione europea.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo – A.C. 2083-A)

  PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo rinunziano alla replica.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge di ratifica: S. 1315 – Ratifica ed esecuzione dell'Accordo sulla creazione del blocco funzionale dello spazio aereo Blue Med tra la Repubblica italiana, la Repubblica di Cipro, la Repubblica ellenica e la Repubblica di Malta, fatto a Limassol il 12 ottobre 2012 (Approvato dal Senato) (A.C. 2280) (ore 18,20).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge di ratifica n. 2280, già approvato dal Senato: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo sulla creazione del blocco funzionale dello spazio aereo Blue Med tra la Repubblica Pag. 60italiana, la Repubblica di Cipro, la Repubblica ellenica e la Repubblica di Malta, fatto a Limassol il 12 ottobre 2012.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2280)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che il presidente del gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore, onorevole Alli.

  PAOLO ALLI, Relatore. Signor Presidente, il provvedimento di cui discutiamo trae origine dal regolamento (CE) n. 550/2004, che riguarda la fornitura di servizi di navigazione aerea nel cielo unico europeo. In particolare, l'articolo 9-bis di questo regolamento è dedicato ai blocchi funzionali di spazio aereo.
  Si tratta di una fattispecie volta a ridurre la frammentazione nell'utilizzazione degli spazi aerei, data dal fatto che ogni volta che un aereo entra in uno spazio aereo nazionale ricade nell'operatività di un diverso fornitore di servizi di navigazione, sulla base di differenti regole e requisiti operativi. Ognuno di questi fornitori dispone di particolari attrezzature, quando non addirittura di proprie sedi di formazione. Tale frammentazione ha impatto sulla sicurezza, limita le capacità e accresce i costi. Dando vita a blocchi funzionali di spazio aereo, gli Stati membri della Unione europea contigui territorialmente, in una classica cooperazione rafforzata in base al diritto europeo, mirano ad accrescere la cooperazione per giungere ad una più razionale organizzazione dello spazio aereo e della fornitura dei servizi inerenti.
  Questo Accordo fissa le condizioni per avviare all'interno dell'Unione europea una cooperazione rafforzata tra il nostro Paese, Malta, Grecia e Cipro per la creazione di un blocco funzionale di spazio aereo, nel rispetto delle disposizioni riguardanti la fornitura di servizi di navigazione aerea nel cielo unico europeo.
  L'Italia ha assunto un ruolo di leadership all'interno dell'iniziativa Blue Med e, a seguito della conferenza ministeriale del 2008 degli Stati interessati al progetto, ha concluso, il 31 maggio 2012, la fase di definizione propedeutica all'implementazione del blocco funzionale.
  Nel dettaglio, il Blue Med ha lo scopo di facilitare il raggiungimento di livelli ottimali in termini di capacità, efficienza e di prestazione nella resa dei servizi all'interno dello spazio aereo indicato nell'articolo 3 dell'Accordo, mantenendo o migliorando gli attuali livelli di sicurezza, di safety, il tutto in modo armonico con l’European air traffic management network.
  Inoltre, l'Accordo contiene alcuni indirizzi strategici per la definizione di possibili attività di ricerca, studio, gestione congiunta di programmi, nonché scambio di esperienze, specialisti e tecnologie.
  L'Accordo si compone di 38 articoli e di un allegato contenente la lista delle autorità nazionali di supervisione interessate (per l'Italia, si tratta dell'ENAC).
  L'Accordo precisa gli impegni che gli Stati sono chiamati ad assumersi in termini di cooperazione e di attivazione di misure applicative e che riguardano, fra gli altri, l'organizzazione dello spazio aereo, la gestione del traffico, la cooperazione fra civili e militari, la supervisione normativa, la navigazione e la sorveglianza, le informazioni aeronautiche e la meteorologia.
  L'intesa delinea pertanto un'architettura normativa volta alla armonizzazione di regole e procedure nazionali per la gestione della sicurezza e anche per le tariffe. Viene costituito un consiglio di governo Blue Med, composto da membri scelti in qualità di rappresentanti nazionali, che può esperire funzioni decisionali in comune fra i quattro Paesi per l'implementazione dell'operatività e l'ulteriore sviluppo dell'Accordo. A quest'organo si Pag. 61affiancano, in funzione di assistenza tecnica, un comitato di coordinamento civile e militare, un comitato delle autorità nazionali di supervisione e un comitato dei fornitori di servizi di navigazione aerea.
  Altre norme sono, poi, dettate con riferimento alla gestione delle emergenze (articolo 23), della ricerca e del soccorso per la responsabilità civile di riferimento.
  All'Accordo potranno accedere anche altri Stati, ai sensi dell'articolo 28, nonché partner degli associati Blue Med, ai sensi dell'articolo 34.
  Il disegno di legge di ratifica dell'Accordo è composto di quattro articoli, che dispongono l'autorizzazione alla ratifica, l'ordine di esecuzione, le disposizioni di carattere finanziario e l'entrata in vigore.
  L'Accordo, oltre che pienamente coerente con le norme del diritto comunitario, non presenta aspetti di incompatibilità con altri obblighi internazionali e, come precisato all'articolo 3, agli oneri che derivano dall'attuazione dell'Accordo provvedono le risorse dell'ENAC e dell'ENAV, i cui rappresentanti la Commissione ha provveduto ad ogni buon conto ad audire, su richiesta dei colleghi del MoVimento 5 Stelle, ricevendo le rassicurazioni del caso.
  Concludo, auspicando una celere conclusione dell’iter di approvazione della legge di ratifica, già approvata dal Senato il 3 aprile scorso: tale approvazione è tanto più importante in quanto consentirebbe di interrompere una procedura comunitaria di infrazione avviata nel settembre scorso dalla Commissione nei confronti del nostro Paese, ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'UE proprio per la mancata ratifica dell'Accordo. Sottolinea anche che tale opportunità è ulteriormente accresciuta dall'imminente inizio della Presidenza di turno dell'UE da parte italiana.

  PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
  È iscritto a parlare l'onorevole Picchi. Ne ha facoltà.

  GUGLIELMO PICCHI. Signor Presidente, ringrazio il relatore per la puntuale esposizione di questo provvedimento, la cui ratifica è assolutamente importante, da un lato, per uscire, come ha ricordato bene il relatore, dalla procedura di infrazione, dall'altro lato, è un provvedimento utile, seppur nella sua complessità – ricordava bene i 38 articoli che lo compongono –, al fine di raggiungere l'obiettivo finale di semplificare lo spazio aereo europeo.
  Si parte da una cooperazione tra i Paesi – Italia, Cipro, Malta, Grecia – per semplificare e armonizzare la gestione dello spazio aereo. Questo può portare dei benefici non solo in termini di costi, ma anche per la maggiore sicurezza, per uniformare gli standard.
  Questo è solo un passo: l'obiettivo finale è raggiungere uno spazio aereo comune per tutta l'Unione europea, affinché il traffico aereo possa godere dei vantaggi, in termini sia della sicurezza, sia della semplicità che degli standard, per poter garantire il volo ai differenti operatori e ai vari enti che gestiscono il traffico aereo secondo gli stessi standard.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo – A.C. 2280)

  PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo rinunziano alle repliche.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Sull'ordine dei lavori (ore 18,26).

  ANGELO TOFALO. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  ANGELO TOFALO. Signor Presidente, l'Italia è prima nella classifica 2013 dei Paesi più spiati con 605.601 utenze intercettate; segue il Regno Unito con 514.608. Pag. 62Come sempre, il Bel Paese è medaglia d'oro solo quando si tratta di misurare la corruzione o, come in questo caso, subire la potenza degli altri Paesi attraverso lo spionaggio.
  La Vodafone mette nero su bianco questi numeri per non lasciare spazio ad interpretazioni o mistificazioni. Che sia marketing, sensi di colpa o un sussulto di trasparenza non importa, il fatto è che, già nel suo primo «Law Enforcement Disclosure Report», l'azienda ha parlato dei cavi utilizzati dai servizi segreti per intrufolarsi nelle comunicazioni e delle modalità utilizzate dalle agenzie di intelligence per ottenere le chiavi di accesso ai network.
  Da Snowden a Vodafone c’è sempre un filo conduttore: i Governi negano l'evidenza, le zone d'ombra, garantite dallo spauracchio terrorismo, minano quotidianamente le ormai troppo fragili democrazie nazionali. Ricordiamo che la criminalità viene combattuta dalle forze dell'ordine e dai corpi speciali comandati dalle procure, che hanno un iter ben preciso per accedere a determinati fatti. Come facciamo a controllare che i servizi informativi operino nel rispetto delle leggi nazionali ed internazionali ?
  Troppe volte abbiamo sentito parlare di servizi deviati, di gruppi di potere segreti o club esclusivi che hanno utilizzato determinate informazioni per insabbiare la verità. Ora sta a noi, tutti insieme, mettere definitivamente mano a tutte le leggi che regolano il campo d'azione dei servizi di intelligence e spero che almeno questa volta si eviterà di farlo insieme ai Berlusconi, ai Dell'Utri ed altri condannati. O forse, pensando a modo vostro, l'interlocutore giusto questa volta potrebbe essere magari Scajola, che vanta un curriculum di tutto rispetto, magari utilizzando i dati contenuti nel suo schedario per fornire un bel case history. Questi governi che si sono succeduti ed anche quest'ultimo purtroppo, in pieno Datagate (siamo nell'era Datagate), non hanno fatto nulla per mettere al sicuro la privacy dei cittadini. Vi siete mangiati un Paese, ogni appalto, da Expo al Mose, ora ci state rubando anche i pensieri più intimi. Impegniamoci tutti affinché sia fatta chiarezza su questa cosa, che nei prossimi anni diventerà ancora più importante per tutti i cittadini che stanno in rete.

Sui lavori dell'Assemblea (ore 18,28).

  PRESIDENTE. Avverto che all'ordine del giorno della seduta di domani saranno iscritti l'esame e la votazione della questione pregiudiziale riferita al disegno di legge n. 2426, di conversione del decreto legge n. 83 del 2014, recante disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo.

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì 10 giugno 2014, alle 9,30:

  1. – Svolgimento di una interpellanza e di interrogazioni.

  (ore 11 e al termine del punto 9)

  2. – Assegnazione a Commissione in sede legislativa della proposta di legge n. 2344.

  3. – Seguito della discussione del disegno di legge:
   Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea – Legge di delegazione europea 2013 – secondo semestre (C. 1836-A).
  — Relatore: Alli.

Pag. 63

  4. – Seguito della discussione del disegno di legge:
   Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea – Legge europea 2013-bis (C. 1864-A).
  — Relatore: Michele Bordo.

  5. – Seguito della discussione del disegno di legge:
   Disposizioni concernenti partecipazione a Banche multilaterali di sviluppo per l'America latina e i Caraibi (C. 2079-A).
  — Relatore: Gentiloni Silveri.

  6. – Seguito della discussione delle mozioni Migliore ed altri n. 1-00440, Bargero ed altri n. 1-00200, Grande ed altri n. 1-00286, Dorina Bianchi ed altri n. 1-00484, De Mita ed altri n. 1-00485, Palese ed altri n. 1-00486, Fedriga ed altri n. 1-00488 e Taglialatela ed altri n. 1-00492 concernenti iniziative a favore delle vittime dell'amianto.

  7. – Seguito della discussione delle mozioni Tabacci, Taricco, Palese, Lavagno, Dorina Bianchi, Monchiero, De Mita ed altri n. 1-00265, Cozzolino ed altri n. 1-00487, Prataviera ed altri n. 1-00491 e Balduzzi ed altri n. 1-00493 in materia di semplificazione normativa e amministrativa.

  8. – Seguito della discussione dei disegni di legge:
   Ratifica ed esecuzione dell'Accordo interno tra i rappresentanti dei Governi degli Stati membri dell'Unione europea, riuniti in sede di Consiglio, relativo al finanziamento degli aiuti dell'Unione europea forniti nell'ambito del quadro finanziario pluriennale per il periodo 2014-2020 in applicazione dell'Accordo di partenariato ACP-UE e all'assegnazione di assistenza finanziaria ai Paesi e territori d'oltremare cui si applicano le disposizioni della parte quarta del trattato sul funzionamento dell'UE, fatto a Lussemburgo e a Bruxelles, rispettivamente il 24 giugno e il 26 giugno 2013 (C. 2083-A).
  — Relatore: Amendola.
   S. 1315 – Ratifica ed esecuzione dell'Accordo sulla creazione del blocco funzionale dello spazio aereo Blue Med tra la Repubblica italiana, la Repubblica di Cipro, la Repubblica ellenica e la Repubblica di Malta, fatto a Limassol il 12 ottobre 2012 (Approvato dal Senato) (C. 2280).
  — Relatore: Alli.

  (ore 13)

  9. – Esame e votazione della questione pregiudiziale riferita al disegno di legge:
   Conversione in legge del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, recante disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo (C. 2426).

PROPOSTA DI LEGGE DI CUI SI PROPONE L'ASSEGNAZIONE A COMMISSIONE IN SEDE LEGISLATIVA

  alla II Commissione (Giustizia):
   ERMINI e FERRANTI: «Introduzione dell'articolo 15-bis della legge 28 aprile 2014, n. 67, concernente norme transitorie per l'applicazione della disciplina della sospensione del procedimento penale nei confronti degli irreperibili» (2344).

  La seduta termina alle 18,30.

Pag. 64 Pag. 65 Pag. 66