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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 191 di lunedì 17 marzo 2014

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI

  La seduta comincia alle 11.

  ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 14 marzo 2014.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Abrignani, Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Baldelli, Bellanova, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Brunetta, Bruno Bossio, Caparini, Casero, Castiglione, Censore, Cicchitto, Cirielli, Costa, D'Incà, De Girolamo, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Marco Di Maio, Gianni Farina, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Frusone, Galan, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Leone, Lorenzin, Lupi, Antonio Martino, Giorgia Meloni, Merlo, Migliore, Orlando, Pes, Gianluca Pini, Pisicchio, Pistelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Schullian, Speranza, Tabacci, Valentini, Velo, Villecco Calipari, Vitelli e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente settantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

  Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

  PRESIDENTE. Saluto gli alunni e i docenti dell'Istituto «Villa Flaminia» e dell'Istituto comprensivo «Piazza Damiano Sauli» di Roma, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune. Grazie. Ciao ragazzi (Applausi) !

Discussione del disegno di legge: S. 1254 – Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 gennaio 2014, n. 3, recante disposizioni temporanee e urgenti in materia di proroga degli automatismi stipendiali del personale della scuola (Approvato dal Senato) (A.C. 2157) (ore 11,05).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 2157: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 gennaio 2014, n. 3, recante disposizioni temporanee e urgenti in materia di proroga degli automatismi stipendiali del personale della scuola.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2157)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.Pag. 2
  I presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  L'XI Commissione (Lavoro) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire la relatrice per la maggioranza, onorevole Incerti.

  ANTONELLA INCERTI, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghi, oggi avviamo appunto la discussione sulle linee generali sul disegno di legge n. 2157 che converte, come lei stesso ha appena ricordato, il decreto-legge 23 gennaio 2014, n. 3, recante disposizioni temporanee e urgenti in materia di proroga degli automatismi stipendiali del personale della scuola. Ricordo che il decreto-legge stesso è stato approvato in prima lettura al Senato il 5 marzo scorso e, sempre con una disposizione introdotta dal Senato, si è intervenuti anche sulla questione del personale ATA che ha beneficiato di posizioni economiche legate allo svolgimento di nuove funzioni attribuitegli negli anni 2011-2014. Con questo provvedimento si vuole trovare una soluzione e in particolare rimediare a un errore burocratico che di fatto discende poi dalle modalità contraddittorie con cui si è intervenuti in questi anni, a livello di norme, per quanto riguarda il personale scolastico e, aggiungerei, alle continue penalizzazioni di cui questo personale è stato ogetto.
  Per fare un po’ di chiarezza, voglio qui ricordare come sono state regolate in questi anni le progressioni stipendiali del personale della scuola. In passato tutto il personale dello Stato godeva di una progressione stipendiale automatica legata all'anzianità di servizio, cioè agli scatti di anzianità. Poi, alla fine degli anni Novanta, questa progressione è stata abrogata in molti settori, ma non nel comparto della scuola, che è stato lasciato in attesa di una progressione di carriera, progressione che a tutt'oggi manca poiché non c’è una progressione di fascia e non c’è una valutazione. Solo il personale di ruolo, infatti, e gli incaricati di religione possono contare su questa progressione stipendiale automatica. Il personale precario, ad esempio, non gode di incrementi stipendiali collegati all'anzianità di servizio e solo con l'immissione in ruolo per costoro si apre una ricostruzione della carriera, maturata durante gli anni del precariato, che è ricostruita solo in subordine al superamento del periodo di prova e con provvedimenti che possono essere adottati anche dopo lunghi anni di distanza.
  Ricordo, anche per chiarezza, che gli scatti stipendiali nella carriera di un insegnante sono cinque con un differenziale mensile iniziale e finale che varia a seconda dell'ordine delle scuole: si va da 747 euro per gli insegnanti della scuola dell'infanzia e della primaria, a 865 euro per la secondaria di primo grado, fino a 995 per la secondaria di secondo grado.
  Ecco perché, nella situazione del blocco del contratto, gli scatti stipendiali per la scuola sono davvero l'unico strumento di miglioramento retributivo. Tutto poi si è ulteriormente complicato, insieme a queste norme, con il blocco delle progressioni economiche e con il decreto n. 78 del 2010 che, in particolare all'articolo 9, comma 1, ha previsto il blocco degli stipendi per gli anni 2011-2012 e 2013 per tutto il personale della pubblica amministrazione, incluso quindi quello scolastico, nonché il blocco delle progressioni economiche legate ai percorsi di carriera. In specifico, al comma 23, ha previsto, per il personale della scuola, una non utilità ai fini della progressione di stipendio nel triennio 2010-2012. Il successivo decreto-legge n. 98 del 2011 ha poi disposto che questo blocco fosse prorogato per un ulteriore anno, cosa che è puntualmente avvenuta con decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013 che, di fatto, ha causato proprio questo pasticcio sugli scatti della scuola.
  Voglio altresì ricordare che l'articolo 64, comma 9, del decreto-legge n. 112 del 2008 aveva destinato una quota pari al 30 per cento delle economie di spesa derivanti da una pesantissima opera di razionalizzazione Pag. 3della spesa scolastica – voglio ricordare qui che allora la riduzione prevista fu del 17 per cento nel triennio 2009-2011 di tutte le dotazioni organiche della scuola sia docente che personale ATA – quindi questo 30 per cento veniva destinato ad incrementare le risorse contrattuali e alla valorizzazione delle carriere per il personale scuola a partire dal 2012.
  Infatti, il decreto-legge n. 78 consente di destinare queste risorse al recupero degli scatti bloccati: così è stato per il 2010 e così è stato per il 2011. L'utilità 2010 è stata recuperata con il cosiddetto Fondo del 30 per cento per 351 milioni; l'utilità 2011 in parte con il Fondo del 30 per cento per 31 milioni e, in parte, per 350 milioni, il MIUR ha dovuto utilizzare le risorse attinte in parte dal Fondo per il miglioramento dell'offerta formativa, il cosiddetto MOF, riducendo quindi la retribuzione accessoria del personale e con essa le prestazioni aggiuntive a favore degli alunni.
  Per quanto riguarda l'utilità 2012, con la legge di stabilità 2012 si è sancito che le risorse da dedicare al recupero degli scatti potessero essere anche aggiuntive rispetto al 30 per cento dei risparmi attraverso una sessione negoziale senza ulteriore costo per lo Stato. E quindi per il 2012 è in corso una sessione negoziale.
  Poiché, nel 2013, al personale della scuola sono stati pagati gli scatti, poi retroattivamente negati dal decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2013, al personale della scuola, a circa 50 mila persone, è arrivata la famosa lettera «Noi pubblica amministrazione» con cui si chiedeva la restituzione delle somme percepite (si ricordi quei 150 euro). Dunque all'articolo 1 del decreto-legge in esame si prevede, quindi, che le somme percepite non vadano restituite ma vadano a compensazione di quanto sarà recuperato per gli scatti del 2012 a conclusione della sessione negoziale.
  Al comma 2, sempre dell'articolo 1, la copertura di 120 milioni di euro necessari sarà trovata nei residui del Fondo risparmi del 30 per cento e, se questo non dovesse essere sufficiente, come stabilito dai negoziati con le organizzazioni sindacali, quelle risorse saranno sottratte per ben 463 milioni accantonati dal MOF per l'anno 2013-2014. Il comma 3 dispone che le validità sia fino al 30 giugno. Se la sessione non sarà conclusa la somma dovrà essere versata all'erario. Al comma 4, a scanso di ulteriori equivoci e per essere chiari una volta per tutte, si dice che per il personale scuola non vige alcun blocco degli scatti stipendiali nel 2014. Al comma 5 il MEF è autorizzato ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio.
  Per quanto concerne il personale ATA, anche qui si vuole risolvere un equivoco e un pasticcio. Questo personale ha, infatti, percepito per gli anni scolastici 2011-2012, 2012-2013 e per l'anno in corso, somme per aver svolto funzioni aggiuntive. Si tratta di personale che, per queste mansioni, è stato prontamente selezionato e formato, sono mansioni molto importanti e ne voglio ricordare qualcuna per la qualità e l'efficacia della scuola: il sostegno agli studenti con disabilità, oppure il personale amministrativo che si occupa della rendicontazione dei fondi europei.
  L'articolo 1-bis, quindi, prevede l'avvio di una specifica sessione negoziale, non oltre il 30 giugno, e comunque non si provvede al recupero delle somme già corrisposte negli anni scolastici dal 2011 al 2014 del personale ATA interessato; per la copertura, si prevede l'onere di 38 milioni di euro, si fa ricorso al Fondo per l'arricchimento e l'ampliamento dell'offerta formativa. Aggiungo io che questa può essere anche un'occasione per riconoscere ai dirigenti scolastici – visto che abbiamo parlato anche di personale ATA – la non ripetibilità dei compensi erogati a fronte di prestazioni professionali già rese e già riconosciute dai fondi negoziali.
  Ora, su questo io vorrei concludere con la richiesta al Governo, che già in sede di discussione al Senato si è dimostrato aperto e disponibile all'ascolto, soprattutto per quanto riguarda il ripristino dei fondi, che sono così importanti per le autonomie scolastiche, per il loro miglioramento e per il miglioramento dell'offerta formativa. Pag. 4Voglio ricordare che il MOF ammontava complessivamente a 1.480 milioni nel 2010 e nel 2011, e che il decreto-legge n. 78 del 2010 ha ridotto di circa 47 milioni di euro all'anno, a seconda appunto dell'anno, e altri 45 milioni di euro sono stati ridotti con la legge di stabilità del 2013. Oggi siamo a poco più di un milione di euro. Ricordo che sono fondi che servono per attività aggiuntive in favore degli alunni, per remunerare gli insegnanti per il maggiore impegno nei progetti, per le ore eccedenti di pratica sportiva, per i progetti nelle aree a forte rischio sociale o immigratorio, o per la sostituzione di colleghi.
  Lo abbiamo ripetuto più volte, anche dalle parole del Primo Ministro recentemente: l'importanza dell'investimento nel mondo della scuola. Molto a favore è l'attività che si sta svolgendo circa l'edilizia scolastica, quindi sono importanti i contenitori, ma naturalmente molto importante è il personale che vi opera.
  L'obiettivo, e anche la speranza, è che si apra una nuova stagione contrattuale da questo punto di vista, in cui, insieme all'anzianità di servizio, si affianchino anche nuovi criteri di progressione di carriera, legati al riconoscimento del lavoro, del ruolo fondamentale del personale all'interno della scuola, del lavoro molto difficile che stanno facendo, ma assolutamente fondamentale per lo sviluppo della scuola e delle autonomie scolastiche in generale.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la relatrice di minoranza, onorevole Chimienti.

  SILVIA CHIMIENTI., Relatore di minoranza. Signor Presidente, gentile sottosegretario, colleghi, la genesi del decreto-legge in esame risale ai confusi eventi degli ultimi giorni di dicembre e dei primi giorni di gennaio, in cui si sono improvvisamente concretizzati gli effetti derivanti dalla contraddittoria e tardiva sovrapposizione tra un atto normativo, emanato il 9 novembre del 2013, il decreto del Presidente della Repubblica n. 122, e la disciplina delle progressioni stipendiali automatiche collegate all'anzianità di servizio del personale della scuola, contenute all'articolo 9, comma 23, del decreto-legge n. 78 del 2010.
  Il decreto del Presidente della Repubblica emanato lo scorso novembre, proseguendo nell'ormai consueta e miope logica del taglio lineare indiscriminato alle risorse dei vari comparti della pubblica amministrazione inaugurata dal decreto-legge n. 78 del 2010, aveva sancito la proroga dell'applicazione del tetto alle retribuzioni individuali fino al 31 dicembre 2014 per i dipendenti pubblici e, nello specifico, la proroga, fino al 31 dicembre 2013, delle disposizioni contenute dall'articolo 9, comma 23, del decreto-legge n. 78 del 2010, il quale prevede che, per il personale docente e ATA della scuola, gli anni 2010, 2011 e 2012 non sono utili ai fini della maturazione delle posizioni stipendiali e dei relativi incrementi economici previsti dalle disposizioni contrattuali vigenti.
  Fino alla tardiva emanazione del decreto del Presidente della Repubblica n. 122 del 2013, tuttavia, il personale della scuola aveva regolarmente maturato dieci mesi di annualità nel lasso di tempo intercorso tra il 1o gennaio 2013 e il 9 novembre dello stesso anno. Una maturazione legittimata proprio dal vuoto normativo intercorso nel periodo compreso tra la cessazione del blocco degli scatti, sancita dall'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010, che disciplinava il blocco delle progressioni di carriera fino al 31 dicembre 2012, e l'emanazione del suddetto decreto del Presidente della Repubblica n. 122 del 2013.
  Per circa 52 mila lavoratori del mondo scolastico proprio questi dieci mesi sono risultati decisivi ai fini del passaggio alla classe stipendiale successiva e del conseguente riconoscimento del relativo trattamento economico. Improvvisamente, però, il 27 dicembre del 2013, una nota del MEF prende atto, con colpevole ritardo, dell'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica n. 122 del 2013 e sentenzia Pag. 5che l'intera annualità 2013 non è più utile per la maturazione del passaggio di fascia.
  Di conseguenza, in applicazione della suddetta nota, i 52 mila interessati, nel frattempo passati alla classe stipendiale successiva durante il periodo in questione, avrebbero dovuto essere riportati alla posizione stipendiale precedente e, contemporaneamente, avrebbe dovuto essere recuperato, con ritenuta mensile fino a 150 euro, l'ammontare degli aumenti percepiti nei periodi in cui era stato attribuito lo scatto di stipendio successivo. Un vero e proprio prelievo forzoso, dunque, con il Ministero dell'economia e delle finanze pronto ad applicare con inspiegabile ritardo le disposizioni retroattive contenute nel decreto del Presidente della Repubblica n. 122 del 2013.
  Il clamore mediatico attorno alla vicenda esplode in tutta la sua forza durante i primi giorni di gennaio grazie alla denuncia del MoVimento 5 Stelle, prima forza politica a rendere note le incongruenze poc'anzi esposte e a chiarire le drammatiche conseguenze dell'applicazione della nota del MEF sui docenti e sul personale ATA. I giornali e le televisioni si interessano immediatamente della questione e, mentre divampa la protesta del personale scolastico, anche il Governo medita una marcia indietro.
  La nota del MEF, infatti, è parsa un vero e proprio capolavoro di incongruenza e di disorganizzazione, che ha posto in evidenza il gravissimo scollamento tra i due Ministeri – il MEF e il MIUR – e i loro uffici, incapaci di giungere ad una soluzione condivisa prima che la pubblicazione dell'incredibile nota generasse tanto scalpore, peraltro giustificato. I giorni successivi alla denuncia del MoVimento 5 Stelle hanno visto un grottesco rimpallo di responsabilità tra i due Ministeri, con accuse reciproche di inefficienza e scarsa conoscenza delle normative, in un'altalena di conferme e smentite che si sono susseguite fino al definitivo dietrofront dell'allora Ministro Carrozza.
  Il decreto in esame, già discusso al Senato, è il tentativo messo in atto dal Governo per porre rimedio alla surreale vicenda di inizio gennaio e per impedire una clamorosa sollevazione di tutto il personale scolastico. La finalità del decreto consiste, infatti, nell'evitare che si provveda all'assurda e retroattiva retrocessione alla classe stipendiale precedente per i 52 mila soggetti che siano passati, durante il 2013, ad una classe superiore a seguito del riconoscimento dell'utilità del medesimo anno ai fini della maturazione dell'anzianità stipendiale.
  Veniamo alle considerazioni politiche e di merito che il MoVimento 5 Stelle ha formulato sulle misure specifiche adottate nel provvedimento, ma anche sulla problematica degli scatti stipendiali e, più, in generale sul drammatico peggioramento delle condizioni del personale scolastico negli ultimi anni. Il Governo è stato costretto da un errore dei propri uffici a porre urgentemente rimedio ad una situazione gravissima e sconveniente, ma che è stata solo l'ultimo episodio in ordine cronologico di un chiaro e contestabile piano di smantellamento dell'istruzione pubblica, portato avanti con costante dovizia dai vari Ministri dell'istruzione e dell'economia succedutisi negli ultimi anni.
  Risolvere il problema dell'annualità 2012, sempre che la sessione negoziale vada a buon fine, può essere un punto di partenza, una toppa emergenziale posta all'ennesimo sopruso più o meno voluto, ma non è sufficiente. Alla base restano, infatti, una serie di nodi irrisolti che il decreto non affronta e che, invece, devono essere portati con urgenza all'attenzione del nuovo Esecutivo e di quest'Aula.
  Il MoVimento 5 Stelle ritiene, dunque, che si debba cogliere l'occasione offerta da questo decreto per aprire una riflessione più ampia sulle condizioni del personale scolastico e su come le politiche volte alla razionalizzazione della spesa pubblica abbiano drammaticamente colpito il settore della scuola più di tutti gli altri comparti della pubblica amministrazione.
  Prendiamo spunto da uno studio della Fondazione Agnelli apparso sui maggiori quotidiani nazionali nei giorni scorsi che ha analizzato i tagli degli ultimi cinque Pag. 6anni, dal 2007 al 2012. La Fondazione ha incrociato i dati della Ragioneria generale dello Stato e quelli del MIUR e ha fotografato un quadro desolante, in particolare per il personale precario. Il personale della scuola statale, insegnanti e ATA, si legge nel rapporto, è diminuito del 10,9 per cento, una percentuale quasi doppia della media del pubblico impiego che, nello stesso periodo, ha visto nel suo insieme una contrazione del 5,6 per cento. In particolare, mentre nel frattempo la popolazione studentesca è rimasta, a livello nazionale, sostanzialmente stabile, gli insegnanti sono passati da 843 mila a 776 mila, meno 9 per cento, una riduzione che ha toccato in eguale misura tutti i gradi scolastici con l'eccezione della scuola dell'infanzia e ha riguardato in modo più vistoso i docenti con contratto a tempo determinato, meno 25 per cento, mentre quelli di ruolo sono scesi del 6 per cento.
  La contrazione degli insegnanti ha inevitabilmente portato a modificare il rapporto docente-numero di studenti, dal momento che la popolazione dei ragazzi a scuola non è cambiata ed è quindi la prima causa del fenomeno del sovraffollamento delle classi. Tale contrazione si è verificata soprattutto nel triennio 2008-2011, come previsto effetto delle misure volute dai Ministri Gelmini e Tremonti, con la legge n. 133 del 2008. A conclusione del rapporto si evidenzia come in questi anni la scuola italiana abbia, dunque, già contribuito al risanamento della spesa pubblica in misura assai superiore rispetto agli altri comparti del pubblico impiego; il tutto, ancora una volta, a discapito della qualità dell'offerta formativa. Per tutti questi motivi il MoVimento 5 Stelle ritiene il dietrofront sul prelievo forzoso un atto dovuto, ma non sufficiente.
  La specificità del comparto scuola rispetto a tutti gli altri settori della pubblica amministrazione è già stata evidenziata nel rapporto, ma c’è un altro punto fondamentale da porre all'attenzione dei colleghi e del Governo che rafforza detta specificità e avvalora le nostre richieste.
  Partiamo dal già citato piano triennale di razionalizzazione messo in atto da Gelmini e Tremonti, sulla carta volto a rendere più efficiente il sistema scolastico, ma in realtà traducibile unicamente nel taglio di ben 120 mila posti di lavoro. I risparmi conseguiti dai tagli lineari appena descritti ammontavano a circa 8 miliardi e 500 milioni di euro nel triennio in questione; ciò che molti hanno volutamente dimenticato in tutti questi anni è che, secondo quanto stabilito dal comma 9, dell'articolo 64, del medesimo decreto-legge n. 112 del 2008, il 30 per cento di quei risparmi, dunque complessivamente circa due miliardi di euro e oltre 660 milioni di euro l'anno, avrebbe dovuto essere reinvestito per iniziative volte ad incrementare le risorse contrattuali stanziate per le iniziative dirette alla valorizzazione e allo sviluppo professionale della carriera del personale della scuola, a decorrere dall'anno 2010. Purtroppo, dal 2010 ad oggi, una gran parte di quegli ingenti risparmi risulta non essere stata utilizzata per le iniziative per cui era stata preposta.
  Ecco che la discussione del decreto-legge in esame offre lo spunto per chiedere a gran voce di chiarire dove siano finiti quei fondi e per quali finalità siano stati utilizzati fino ad oggi, se è vero che, come dimostrato, le politiche di razionalizzazione e i tagli al comparto scuola non si sono certo arrestati; è infatti del tutto evidente che il mancato reinvestimento di quel 30 per cento per le finalità preposte costituisce una palese violazione di legge che continua tuttora a perpetrarsi. Chi è responsabile di questa violazione ? Come è possibile che la legge sia stata apertamente violata senza che nessuno abbia chiesto delucidazioni in merito ?
  Il chiarimento è doveroso, anche in considerazione della somma di 120 milioni di euro accantonata dal decreto-legge in esame, che risulta insufficiente per ripristinare lo scatto stipendiale del 2012 e, soprattutto, è nettamente inferiore a quel 30 per cento di risparmi che l'articolo 64, comma 9, stanziava appositamente per le progressioni di carriera del personale scolastico (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Pag. 7

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

  GABRIELE TOCCAFONDI, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Signor Presidente, la vicenda che riguarda gli automatismi stipendiali del personale della scuola è meglio conosciuta, come veniva ricordato dalle relatrici stesse, con il titolo di «150 euro richiesti indietro agli insegnanti». Questo titolo fa comprendere bene l'urgenza del decreto-legge che, lo ricordo, ha una scadenza breve, scade il 24 marzo, e la vicenda scoppia a fine novembre, ma per comprendere cos’è accaduto occorre tornare indietro, al 2010.
  In breve, noi abbiamo assistito ad un accavallamento di norme che, di fatto, ha inciso sul blocco degli automatismi stipendiali in modo retroattivo per il 2013, e solo per il comparto del personale della scuola. Da gennaio a ottobre ci sono delle regole, a novembre in maniera retroattiva, diciamo, queste regole cambiano; il tutto, deve essere ricordato, inizia con il decreto-legge n. 78 del 2010, con l'articolo 9, comma 1, si avvia il blocco degli automatismi stipendiali per il triennio 2011-2013 per tutto il personale della pubblica amministrazione. Con lo stesso decreto, sempre articolo 9, ma comma 23, il blocco, solo per il personale scolastico, quindi del comparto scuola, è sempre triennale ma non sul triennio 2011-2013 bensì sul triennio 2010-2012. Con un successivo decreto, il n. 98 del 2011, si prevede la possibilità, attraverso un successivo decreto del Presidente della Repubblica, di aumentare il blocco di una annualità, blocco – come ricordato anche dalle relatrici di maggioranza e di minoranza – arriva con il decreto del Presidente della Repubblica n. 122 del 4 settembre 2013, che entra in vigore a novembre e che proroga il blocco stipendiale di un anno.
  Per tutto il comparto della pubblica amministrazione questo significa che il triennio da 2013 diventa 2014, e quindi un anno ancora da avviarsi, mentre per quanto riguarda il comparto scuola questo triennio diventa 2010-2012, cioé 2013, ossia l'anno in corso e quindi la vicenda della retroattività, per cui, come ricordato, più di 50 mila dipendenti della scuola che avevano lavorato e percepito somme si ritrovano a dover fare i conti con la richiesta, più volte ricordata, di 150 euro.
  La soluzione deve tener conto di alcuni confini normativi che qui vorrei brevemente ricordare. La soluzione prevista, quindi il decreto, sta nell'utilizzo di una apposita sessione negoziale e dei cosiddetti risparmi del decreto-legge n. 122 del 2008, che prevedeva che tali fondi fossero reinvestiti appunto, come ricordato, nella scuola. La soluzione prevede anche il riferimento sempre al decreto n. 78 del 2010, ma all'articolo 8, che aveva previsto l'utilizzo di queste somme, per recuperare gli scatti stipendiali bloccati, cosa che è successa già nel 2010 e che in buona parte e in sostanza è accaduta nel 2011; nel 2011, a copertura integrale dell'accordo, è stata utilizzata quota parte del MOF, cioè del fondo per il miglioramento dell'offerta formativa.
  La soluzione passa anche, questo è il terzo punto fondamentale, attraverso una apposita sessione negoziale come previsto esplicitamente dalla legge di stabilità per il 2012, che prevede anche la formula del «senza oneri da parte dello Stato».
  Questi sono i confini, anche normativi, intorno ai quali occorre muoversi per arrivare a quella che è un'emergenza, come tutti abbiamo ricordato in queste settimane. La copertura del decreto è quindi prevista con il Fondo 30 per cento interno al Ministero, quindi non con fondi extra o con nuovi gettiti, fino ad esaurimento e poi intaccando quota parte necessaria del Fondo MOF. Per arrivare al decreto e a soluzione della non retroattività occorre che lo stesso decreto abbia una copertura certa, chiara, sicura, e in questo momento l'unica soluzione ritrovata all'interno del Ministero dell'istruzione, università e ricerca, per avere una copertura certa, chiara, concreta è stata quella del MOF, oltre ai cosiddetti risparmi del 30 per cento.
  L'attuale decreto quindi è, l'ho ricordato più volte anche in Commissione, un Pag. 8equilibrio: un equilibrio che ci permette di affrontare un'emergenza intaccando dei fondi che sono fondamentali per le attività all'interno delle nostre scuole. La richiesta di trovare in tempi brevi un nuovo equilibrio del MOF, ma anche un nuovo equilibrio della legge n. 440 del 1997 – che va a coprire un'altra delle emergenze che abbiamo dovuto affrontare con questo decreto, ovvero quella delle posizioni economiche del personale ATA –, quindi, dicevo, il nuovo equilibrio dei fondi intaccati per affrontare queste emergenze deve essere trovato non soltanto dal Ministero, che rappresento, ma, come detto anche dallo stesso Ministro Giannini in Senato qualche giorno fa, dall'intero Governo.
  È una richiesta che arriva dal Parlamento; noi abbiamo accolto positivamente l'ordine del giorno presentato al Senato, firmato e sottoscritto da tutti i gruppi, che richiedeva il reintegro nel nuovo equilibrio del MOF, e siamo ben coscienti che la sfida a breve per il Governo tutto è quella, cosa che oggi vogliamo ancora una volta ribadire. È una posizione del Governo e penso sia doveroso qui, oltre che al Senato, ribadire la nostra posizione, cioè quella di ritrovare un equilibrio sia del MOF sia della legge 440 del 1997, perché sono fondi fondamentali per il futuro delle nostre scuole, delle nostre attività all'interno delle scuole e quindi dei nostri ragazzi.

  PRESIDENTE. Saluto gli alunni ed i docenti dell'Istituto Comprensivo statale Gandhi, di Roma, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune. Buongiorno. Ciao, ragazzi (Applausi).
  È iscritta a parlare l'onorevole Calabria. Ne ha facoltà.

  ANNAGRAZIA CALABRIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il disegno di legge di conversione del decreto-legge 23 gennaio 2014, n. 3, che reca disposizioni temporanee e urgenti in materia di proroga degli automatismi stipendiali del personale della scuola, ha l'intento di fare chiarezza e di rimediare a un errore burocratico generato dal modo contraddittorio con cui si è legiferato negli anni, vessando il personale scolastico. Quasi tutto il personale statale ha sempre goduto infatti di una progressione stipendiale automatica collegata all'anzianità di servizio, i cosiddetti scatti di anzianità. Alla fine degli anni Novanta la progressione per anzianità è stata abrogata in molti comparti, ma non nella scuola, in cui è stata lasciata in attesa dell'introduzione di una progressione di carriera presente negli altri comparti.
  A tutt'oggi, purtroppo, non c’è progressione di fasce, non c’è professore senior, non c’è una valutazione, la progressione stipendiale automatica è appannaggio del solo personale di ruolo e degli incaricati di religione, il personale precario non gode di incrementi stipendiali collegati all'anzianità di servizio.
  La situazione degli insegnanti in Italia è effettivamente drammatica di per sé, i dati OCSE dimostrano che nel nostro Paese la spesa per gli studenti di elementari, medie e superiori non cresce dal 1995. Come ampiamente risaputo, i docenti italiani sono tra i meno pagati d'Europa, agli ultimi posti per progressioni stipendiali, e detengono un altro triste, tristissimo primato negativo: sono i più anziani tra quelli che insegnano nei Paesi dell'Unione europea. Il 60 per cento dei professori ha più di cinquant'anni e solo il 9 per cento ha un'età compresa tra i 30 e i 39 anni. La cosiddetta riforma Fornero ha sostituito una insegnante mamma con una insegnante nonna, con le problematiche che ne conseguono, tuttavia il personale precario è, all'atto dell'eventuale immissione in ruolo, oggetto di un provvedimento di ricostruzione della carriera mediante la quale è riconosciuta, sulla base di regole specifiche, l'anzianità di servizio maturata durante gli anni di precariato. La ricostruzione è disposta a seguito del superamento del periodo di prova ed il relativo provvedimento viene di fatto adottato anche ad anni di distanza. Gli scatti stipendiali nell'arco della carriera di un insegnante sono cinque, la differenza tra mensile iniziale e finale è di 747 euro per gli insegnanti della scuola Pag. 9d'infanzia e primaria, di 865 euro per gli insegnanti della secondaria di primo grado, di 995 euro per gli insegnanti della secondaria di secondo grado.
  Gli scatti stipendiali per il settore della scuola nella situazione data sono dunque di fondamentale importanza a causa del blocco del contratto e perché sono l'unico strumento di miglioramento retributivo. Come ben sappiamo, l'articolo 9, comma 1, del decreto-legge n. 78 del 2010 ha disposto il blocco degli automatismi stipendiali per gli anni 2011, 2012 e 2013 per tutto il personale dipendente delle pubbliche amministrazioni inserite nell'elenco ISTAT, comportando quindi che per questi anni la retribuzione del personale dipendente delle amministrazioni pubbliche non poteva essere superiore a ciò che veniva percepito nel 2010.
  Non si può nascondere che alla radice del tema affrontato dal decreto all'esame si è commesso un grave errore. In sintesi, gli incrementi retributivi legati a questo passaggio automatico, che è uno dei passaggi stipendiali per anzianità e che sono dovuti, come sopra esposto, nel passaggio a una classe stipendiale più alta, erano stati bloccati dalla legge finanziaria del 2010 per gli anni 2010 a seguire, 2011 e 2012. Tale blocco stipendiale poi, in virtù del decreto del Presidente della Repubblica n. 122 del 2013, è stato esteso all'anno 2013, portandolo a quattro anni, mentre la normativa originaria primaria prevedeva la possibilità, previo accordo sindacale, di sbloccare per la categoria della scuola questo tipo di provvedimento. In realtà tale accordo c’è stato e, alla luce della normativa complessiva esistente, questo è il quadro complessivo: due annualità già coperte e i relativi scatti pagati, che sono quelli per gli anni 2010 e 2011; il 2012 che viene ora coperto con la sessione negoziale che stiamo discutendo al Senato con questo decreto in conversione; il blocco del 2013, che le forze sindacali chiedono di sbloccare, con fondi che ci sia augura diversi da quelli che costituiscono, direi, il polmone per l'attività di miglioramento dell'offerta formativa, dato importante che dobbiamo prendere in seria considerazione per una valutazione finale di tipo politico; il 2014 invece non è interessato in questo momento da nessun blocco.
  L'articolo 8, comma 14, del decreto-legge n. 78 del 2010 aveva previsto che queste somme potessero essere utilizzate per il recupero degli scatti stipendiali, e così è stato per il 2010 e il 2011, ma già nel 2011, oltre ai risparmi del 30 per cento, il MIUR ha dovuto utilizzare risorse attinte in parte anche dal Fondo per il miglioramento dell'offerta formativa, il MOF, per 350 milioni di euro, riducendo la retribuzione accessoria del personale scolastico e, con essa, le prestazioni aggiuntive a favore degli alunni.
  Il Fondo istituito dalla legge n. 440 del 1997 è nato per consentire la piena realizzazione dell'autonomia scolastica. Purtroppo, dal 1997 ad oggi le dotazioni finanziarie del MOF si sono andate progressivamente riducendo fino al minimo registrato nel 2011. Tale Fondo nel 2009 aveva un miliardo e 400 milioni in attivo, mentre quest'anno ha 900 milioni circa. È ovvio che, se decurtato di 380 milioni, diventerà una cifra modesta rispetto alle molte altre esigenze, che sono importanti almeno tanto quanto quelle sottese al provvedimento che stiamo discutendo.
  Dallo scorso anno, anche per effetto della confluenza del Fondo nel «capitolone» centrale per il funzionamento delle scuole insieme ad altre autorizzazioni di spesa, i fondi destinati all'offerta formativa sono risaliti sensibilmente. È necessario tuttavia non depauperare ulteriormente tale Fondo. La legge di stabilità 2012 ha sancito poi che le risorse da dedicare al recupero degli scatti potessero essere anche aggiuntive rispetto al 30 per cento dei risparmi attraverso una sessione negoziale senza ulteriori oneri per lo Stato. È quindi ad oggi in corso la sessione negoziale per il 2012. Poiché per il 2013 al personale della scuola sono stati pagati gli scatti, poi retroattivamente negati dal decreto del Presidente della Repubblica del 2013, al personale scolastico, ossia circa 50 mila persone, è arrivata la famigerata lettera di NoiPA, in cui si richiedeva la restituzione Pag. 10delle somme percepite. Dunque, all'articolo 1 del decreto si prevede che le somme percepite non vadano restituite, ma vadano a compensazione di quanto sarà recuperato per gli scatti 2012, a conclusione della sessione negoziale.
  Il Ministro Giannini, tuttavia, nel suo intervento al Senato del 5 marzo scorso ha evidenziato che la copertura prevista per il recupero degli scatti stipendiali è stata così concepita: 120 milioni di euro sul Fondo dell'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008 e 380 milioni, a regime naturalmente, sul Fondo per il miglioramento dell'offerta formativa. Per quanto riguarda poi le posizioni economiche del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario, ha posto in evidenza che in corso d'esame del provvedimento al Senato è stato approvato un emendamento che consentirebbe di riconoscere a questa particolare categoria, importante per l'andamento della scuola tanto quanto la docenza, quanto già percepito negli anni scolastici dal 2011 al 2013.
  Si eviterà, quindi, la restituzione di circa 100 euro al mese, che, su stipendi molto modesti, sarebbe una forzatura e una misura molto molto penalizzante. L'onere, in questo caso, è di 38,87 milioni di euro...

  PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Calabria. Colleghi, grazie. Prego, onorevole Calabria.

  ANNAGRAZIA CALABRIA. L'onere, in questo caso, dicevo, è di 38,87 milioni di euro e la relativa copertura è a valere sul fondo di cui alla legge n. 440 del 1997. Ora, colleghi, questo provvedimento ha avuto alcuni momenti di sofferenza nella discussione in Commissione al Senato e credo che ciò sia comprensibile.
  Il Ministro Giannini ha affermato che il provvedimento deve necessariamente essere approvato con queste condizioni, purché vi sia un impegno formale del Governo a restituire tali fondi. Questo non per tamponare un buco, o meglio, una mancanza nel fondo MOF e nel fondo per la formazione degli insegnanti, quanto, piuttosto, per dare un primo vero segnale di inversione di una tendenza politica che negli anni, per ragioni varie e complesse, si è perpetuata.
  Un Governo che mette la scuola al centro dell'azione politica deve assumersi la responsabilità politica, e quindi anche amministrativa, di dare alla scuola quelle risorse che, nello specifico, servono a migliorare l'offerta formativa e a formare gli insegnanti nella giusta misura. Non dimentichiamo, infatti, che il decreto-legge n. 112 del 2008, prevedendo una pesantissima opera di razionalizzazione della spesa scolastica, aveva disposto che il 30 per cento dei cosiddetti risparmi dovesse essere reinvestito nella scuola. Il provvedimento che stiamo esaminando stabilisce che la disposizione ha validità fino al 30 giugno 2014.
  Se la sessione negoziale non dovesse essere conclusa, la somma dovrà essere versata all'erario. Il gruppo parlamentare di Forza Italia è favorevole al provvedimento all'esame di questa Assemblea oggi, ma non è assolutamente d'accordo ad intaccare le risorse del fondo per il miglioramento dell'offerta formativa. Se andiamo a prosciugare tale fondo, vengono meno tutti i discorsi del Presidente del Consiglio, che ha detto di voler puntare sulla scuola.
  Non credo che il Presidente del Consiglio possa pensare che il miglioramento della scuola passi solo dagli edifici scolastici. Certo, è importantissimo dove si fanno le lezioni e lo stato degli edifici scolastici, ma il fatto di andare a prendere le risorse dal fondo per il miglioramento dell'offerta formativa non è la migliore soluzione: le risorse devono essere trovate in maniera diversa.
  Infine, vorrei evidenziare la necessità di favorire anche il personale ATA. Si tratta di quei collaboratori scolastici che stanno svolgendo mansioni, dopo essere stati adeguatamente formati, a sostegno degli studenti con disabilità o del personale tecnico-amministrativo che si sta occupando della rendicontazione dei fondi europei. Il personale ATA ha percepito per gli anni scolastici 2011-2012 e 2012-2013, e per Pag. 11l'anno scolastico in corso, somme per avere svolto mansioni aggiuntive, essendo stato selezionato e formato proprio per questo scopo. Si tratta di funzioni molto importanti e che non vanno trascurate.
  Per concludere, spero che, dopo queste vicissitudini, si possa presto aprire una nuova stagione di discussione contrattuale, in cui vengano affiancati all'anzianità di servizio anche nuovi criteri di progressione di carriera per il personale della scuola basati sul vero riconoscimento del complesso lavoro svolto nell'ambito delle autonomie scolastiche.
  Il problema di fondo, che non viene risolto da questo provvedimento, è che gli scatti stipendiali, bloccati ai sensi del decreto-legge n. 78 del 2010, sono l'unico strumento per il miglioramento retributivo del personale della scuola, mentre, invece, la progressione economica deve essere più snella e più celere (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Marzana. Ne ha facoltà.

  MARIA MARZANA. Signor Presidente, pochi colleghi deputati presenti in Aula, rappresentante del Governo, mi dispiace che non sia presente il Ministro Giannini, ma ne faremo a meno, in questo momento. Oggi ci viene chiesto di esaminare un disegno di legge elaborato tempestivamente e che reca disposizioni urgenti in merito a due strumenti: gli automatismi stipendiali del personale della scuola e la loro proroga. Le due questioni riguardano gli scatti di anzianità del personale docente e del personale amministrativo, tecnico e ausiliario, e le posizioni economiche dello stesso.
  Il provvedimento in esame ha l'obiettivo di rimediare ad un'incomprensione, se così può essere definita, tra il Ministero dell'economia e delle finanze e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, cui si è cercato, in qualche modo, di porre rimedio. Andando per ordine, l'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 dispone il blocco degli automatismi stipendiali, per gli anni 2011, 2012 e 2013, per tutto il personale dipendente delle pubbliche amministrazioni.
  Per questi anni la retribuzione non poteva essere superiore a quella percepita nel 2010. Il blocco, con riferimento al personale della scuola, in realtà si prevede per gli anni 2010, 2011 e 2012. Il decreto-legge n. 98 del 2011 dispone che il blocco poteva essere prorogato un altro anno, e ciò accade con il decreto del Presidente della Repubblica del 4 settembre 2013, n. 122. Ma mentre per tutto il personale della pubblica amministrazione questo decreto proroga il blocco per un anno, ossia per il 2014, per il personale della scuola il blocco ha un effetto retroattivo, dal momento che riguarda anche l'anno 2013, nel corso del quale il personale della scuola ha percepito scatti legittimi. Così, con una lettera di «NOI PA...ghiamo», era stata richiesta la restituzione delle somme ricevute (circa 150 euro) a 50 mila persone, e nel periodo di Natale, quando avete pensato di fare questo sopruso. Scegliete sempre periodi in cui sperate che i cittadini siano occupati da altro per mettere a segno i vostri colpi, come quando, ad agosto, avete tentato di scassinare la nostra Costituzione. Al MoVimento 5 Stelle il compito di denunciare, fuori e dentro le istituzioni. Fortunatamente ora il Governo si ravvede e decide di fare marcia indietro. Ed ecco perché ci troviamo qui ad esaminare un provvedimento di cui, se la correttezza fosse stata di casa nel Governo, non c'era nemmeno la necessità.
  Inoltre, ancora una volta si opta per un palliativo, un rattoppo, che rimedia in modo indegno alla problematica delle progressioni economiche del personale scolastico. Il disegno di legge in oggetto consente di utilizzare il fondo su cui sono affluite le risorse accantonate per le iniziative dirette alla valorizzazione ed allo sviluppo professionale della carriera del personale del settore scolastico accertate nel 2012. Ricordiamo però che il decreto-legge n. 122 del 2008 indica la destinazione di un terzo di queste risorse accantonate. Nel 2011, oltre ai risparmi del 30 per cento, il MIUR, con l'avallo dei sindacati, Pag. 12aveva già utilizzato impropriamente le risorse attinte anche dal MOF per 350 milioni, riducendo la retribuzione accessoria del personale scolastico e con essa le prestazioni aggiuntive a favore degli studenti.
  L'anno successivo questa deprecabile possibilità viene prevista dalla legge di stabilità, che sancirà che le risorse da dedicare al recupero degli scatti potessero essere anche di più rispetto al 30 per cento dei risparmi, attraverso una sessione negoziale, senza ulteriori oneri per lo Stato. E difatti l'articolo 1 del presente disegno di legge prevede la copertura dei 120 milioni necessari con i residui del fondo dei risparmi del 30 per cento e, se non dovesse essere sufficiente, come stabilito dai negoziati con le organizzazioni sindacali, le risorse saranno sottratte ai 463 milioni accantonati dal MOF negli anni 2013-2014.
  L'assalto al MOF (Fondo per il miglioramento dell'offerta formativa) per il pagamento degli scatti stipendiali rappresenta un attentato alla scuola. Questo fondo è già passato da 1,4 miliardi nel 2010 a 500 milioni di euro nel 2013 e sottrarre ulteriori risorse vuol dire rinunciare ai percorsi d'integrazione per gli alunni disabili e per gli alunni provenienti da altri Paesi, ai corsi d'inglese, educazione motoria, musicale, condotti da personale con specifiche competenze; vuol dire rinunciare ad una formazione che si dovrebbe arricchire dell'educazione a tutti quegli stimoli che quotidianamente pervadono la nostra realtà; vuol dire rinunciare alla promozione, alla partecipazione e all'interazione di tutti gli studenti; e se non possiamo garantire le pari opportunità, il welfare, la formazione, ha ancora un senso parlare di Stato ?
  In questo quadro il neo Ministro Giannini parla di superare gli scatti di anzianità e presenta in merito la valutazione come la soluzione a tutti i problemi della scuola, problemi creati in gran parte dai Governi che si sono succeduti. Il Ministro ha dimenticato il valore dell'esperienza, un contratto nazionale bloccato dal 2006, gli stipendi degli insegnanti tra i più bassi di Europa, la classe docente più vecchia d'Europa, tanto per fare qualche esempio.
  Poi, mi perdonerà il Ministro Giannini, ma devo ammettere che distorce anche il significato del termine «valutazione». Adottare anche nel campo dell'istruzione, dopo i pesanti tagli, le logiche manageriali, funzionali all'esigenza di rendere più efficiente la spesa pubblica, può avere un senso solo se la valutazione rappresenta un'importante risorsa diagnostica e terapeutica dei processi formativi, uno strumento per identificare e colmare le carenze e per apprendere e adottare soluzioni didattiche e pedagogiche sperimentate con successo altrove.
  Come ben saprà il Ministro, l'interesse per la valutazione della scuola si è manifestato a seguito della pubblicazione delle prime rilevazioni internazionali PISA dell'OCSE, che evidenziavano i deludenti risultati ottenuti dagli studenti italiani e che suggerivano che la scuola soffrisse di patologie, divari e ritardi tali non solo da far sfigurare nel confronto con gli altri Paesi, ma soprattutto da mettere a rischio il futuro delle nuove generazioni. Una valutazione degli istituti e del sistema scolastico, non dei singoli docenti, può, quindi, consentire di comprendere appieno e porre rimedio alle patologie che affliggono la scuola italiana.
  Concludo ricordando, soprattutto al Ministro Giannini, che la scuola rappresenta il luogo della cultura per eccellenza, un luogo che dovrebbe essere al riparo da tagli, perché contribuisce alla formazione e alla crescita delle generazioni future. E come sosteneva Calamandrei, la scuola è un organo costituzionale, organo centrale della democrazia. La scuola corrisponde a quegli organi che nell'organismo umano hanno la funzione di creare sangue. E, invece, ci troviamo costantemente dinanzi alla situazione in cui sono le famiglie e il personale scolastico che assurgono al ruolo di donatori, sostenendo il sistema scolastico. Ma il sangue non vi basta più e adesso, con fiera ingordigia, puntate agli organi, ancora pulsanti, della scuola statale, con il chiaro intento di estirparli e consegnarli alla scuola paritaria gestita dai Pag. 13privati. Noi non vi lasceremo avvicinare, con il bisturi in mano, al corpo ancora vivo dell'istruzione pubblica statale (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Busin. Ne ha facoltà.

  FILIPPO BUSIN. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, il decreto-legge all'esame si giustifica come un atto dovuto nei confronti degli insegnanti, a seguito di un errore tecnico-burocratico – almeno così è stato definito – intercorso tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Ministero dell'economia e delle finanze, che avrebbe avuto come conseguenza la decurtazione dello stipendio degli insegnanti di 150 euro, percepiti indebitamente nel 2013 a seguito del blocco degli scatti nel pubblico impiego, determinato, a sua volta, dal decreto-legge n. 78 del 2010 e prorogato con decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122.
  Il Ministero dell'economia e delle finanze, in una nota, ha spiegato che il calcolo delle retribuzioni, l'emissione dei cedolini e i successivi flussi di pagamento al personale scolastico vengono effettuati dal MEF quale mero esecutore. Il MIUR, in quanto titolare del rapporto di lavoro con il personale scolastico, avrebbe dovuto gestire la questione del blocco degli scatti di anzianità. Così, dopo giorni di polemiche e scontri tra i Ministri del precedente Governo Letta – il Ministro Carrozza e il Ministro Saccomanni –, la decisione adottata dall'allora Esecutivo è stata quella di soprassedere al recupero degli scatti riconosciuti a partire da gennaio 2013, emanando, per porvi una toppa, il provvedimento ora in esame.
  Per coprire le minori entrate si attinge al fondo del 30 per cento dei risparmi di spesa, conseguenti al decreto-legge n. 112 del 2008, fondo destinato ad essere reinvestito nel settore scolastico, ma dovranno utilizzarsi anche le risorse – per quanto questo non sia capiente – del fondo per il miglioramento dell'offerta formativa, il cosiddetto MOF, per l'anno scolastico 2013/2014.
  Ora, comprendiamo che in quadro di congiuntura economica sfavorevole, con la perdita del potere di acquisto dei salari, conseguente all'aumento dei prezzi, delle tariffe e della tassazione in generale, per una famiglia la decurtazione di 150 euro sullo stipendio è più che rilevante. Ma alcune considerazioni sono comunque doverose.
  Gli insegnanti sapevano del blocco degli scatti di anzianità nel pubblico impiego e, perciò, sapevano di percepire somme non dovute. Perché dunque gridare allo scandalo e così tanto sdegno allorquando, circa tre mesi fa, il MEF aveva diramato la nota per il recupero degli scatti di anzianità ? Lungi dal voler attaccare la categoria degli insegnanti, ma il Governo si è posto la domanda che con questo provvedimento tampone si viola il principio costituzionale della parità di trattamento ? Perché un qualunque altro dipendente pubblico deve essere soggetto al blocco degli automatismi stipendiali e l'insegnante no ?
  Ma, soprattutto, una domanda ci sta a cuore e credo resterà priva di risposta da parte della maggioranza parlamentare e governativa: come pensate di offrire una scuola di qualità, un'istruzione di valore, se sottraete risorse al miglioramento dell'offerta formativa del corpo docente, visto che inevitabilmente si riverbera in maniera negativa sugli studenti ? Insegnanti meno preparati ed aggiornati, infatti, significa studenti meno istruiti.
  Ecco perché manteniamo un sano scetticismo sulle dichiarazioni del Presidente Renzi. La scuola è il luogo da cui riparte la comunità per uscire dalla crisi, ma non con le slide, piuttosto con la centralità della formazione scolastica. Ben vengano gli interventi di edilizia scolastica per la messa in sicurezza degli edifici e la modernizzazione di quelli fatiscenti, ma altri interventi sono necessari e doverosi affinché la scuola italiana licenzi giovani preparati e competenti nel contesto europeo. Pensiamo, ad esempio, alle cosiddette classi ponte, cioè classi di inserimento per gli scolari stranieri che non parlano la Pag. 14nostra lingua. È noto come il diverso grado di alfabetizzazione linguistica si traduce in un ostacolo per tutti. Innanzitutto, per gli alunni stranieri che devono studiare una materia non comprendendola; inoltre, per gli studenti italiani che, loro malgrado, subiscono una penalizzante riduzione dell'offerta formativa a causa di una didattica rallentata; infine, per gli insegnanti che devono far fronte al disomogeneo livello culturale della classe e perciò non riescono a portare avanti il programma di insegnamento nei tempi desiderati. Con l'epilogo, poi, della fuga dei bambini italiani a causa della preoccupazione dei genitori per un abbassamento generale del livello di istruzione.
  Ma, tra gli interventi necessari per rilanciare la scuola, pensiamo anche al cosiddetto buono scuola quale strumento per fare esercitare alle famiglie il sacrosanto diritto di scelta tra scuola pubblica e scuola privata. Solo garantendo il massimo sostegno alla scuola non statale è possibile migliorare quella pubblica, incentivando così la concorrenza tra istituti scolastici che spinge giocoforza la scuola statale a rivedere i programmi, il suo grado di efficienza e la didattica, ma soprattutto la selezione degli insegnanti in base alla meritocrazia. Riteniamo anche sia giunto il momento di rivedere l'accesso all'insegnamento con la previsione di concorsi regionali per insegnanti. E crediamo, infine, in un discorso più ampio di percorso formativo, sia giunto il tempo dell'abolizione del valore legale del titolo di studio. Non tutte le università sono uguali, non tutti i percorsi delle stesse facoltà sono livellati. Questo squilibrio provoca la mancanza di concorrenza degli atenei, ma soprattutto si riflette sul meccanismo dei concorsi pubblici, premiando chi ha conseguito il punteggio più alto a prescindere dal suo livello di preparazione reale.
  Concludo il mio intervento con l'auspicio che questo sia l'ultimo provvedimento tampone che intacca le risorse fondamentali per il miglioramento della scuola e che il prossimo in materia possa essere terreno di confronto delle proposte avanzate.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marcon. Ne ha facoltà.

  GIULIO MARCON. Signor Presidente, signore e signori del Governo, cari colleghi, il decreto-legge oggi in discussione interviene per porre rimedio a ciò che è stato definito come un errore burocratico, mentre si configura come un vero e proprio pasticcio, a voler chiamare le cose con il proprio nome. Dovrebbe servire ad evitare un vero e proprio prelievo forzoso sugli stipendi del personale della scuola, insegnanti e ATA, riconoscendo gli scatti stipendiali e le posizioni economiche. Questo atto per Sinistra Ecologia Libertà è dunque doveroso – è doveroso che il Governo l'abbia promosso e che il Parlamento lo approvi – dal momento che il riconoscimento dell'anzianità di servizio e le posizioni economiche rappresentano le uniche forme di avanzamento di carriera possibili per il personale della scuola, che patisce il blocco dei contratti dal 2008.
  Qui vorrei dire che i provvedimenti che probabilmente discuteremo nelle prossime settimane, ovvero il taglio dell'IRPEF, provvedimenti che noi vogliamo discutere, approfondire e che giudichiamo vadano realizzati per garantire ai lavoratori una maggiore disponibilità di reddito, andrebbero contemperati con le scelte fatte in questi anni e, cioè, con il blocco di quei contratti che hanno tolto di fatto reddito ai lavoratori, in questo caso ai lavoratori della scuola, e hanno costruito un'operazione a rovescio, regressiva, che ha penalizzato, dal punto di vista dei redditi e delle risorse, centinaia di migliaia di lavoratori che si sono trovati così ad avere una minore disponibilità di reddito e una minore capacità di consumare, cosa che ha aggravato e accentuato il peso di questa crisi.
  Chiusa questa parentesi, vorrei dire che appaiono in questo decreto-legge ancora irrisolti alcuni punti, la cui soluzione tra l'altro non si vede nemmeno all'orizzonte. Ci sono alcuni nodi che noi vogliamo proporre come nodi da affrontare e da risolvere e appaiono palesi alcune incongruenze rispetto alle quali sono necessarie Pag. 15delle risposte precise, al momento inevase. La prima: pur ritenendo necessario riparare al pasticcio, che noi vorremmo definire vergognoso, del precedente Governo sui recuperi degli scatti, delle posizioni economiche ATA, non possiamo che dissentire in modo netto sulla scelta di sottrarre ancora fondi al MOF. La scuola pubblica statale ha già pagato dei prezzi ingiusti, dei prezzi enormi e non bisognerebbe continuare sulla stessa strada.
  Secondo: non si evince dal provvedimento in esame né come né con quali fondi si restituisce al personale ATA il maltolto da parte del MEF a partire dal gennaio del 2014.
  Terzo: non è per nulla chiaro cosa accadrà all'annualità 2013 che, per evitare sperequazioni, va sbloccata. Quarto: ancora non sono chiare, anzi sono meno chiare le intenzioni sulle annualità che comprendono e seguono il 2014: dal carattere di misura tampone del provvedimento come dalle formulazioni blande delle discussioni sinora svolte nelle Commissioni si deduce che il sacco dei fondi della scuola non è per nulla scongiurato.
  Tutte queste non sono questioni scollegate bensì sono connesse da un unico filo conduttore. Esso è costituito dalla riduzione, dal contenimento della spesa pubblica che si addossa sempre agli stessi settori, sempre agli stessi comparti della spesa pubblica, sempre alle stesse categorie sociali, con l'aggravante non da poco, che sta diventando ormai normale, un habitus, potremmo definirlo, della normalità dei temi di crisi: quello dei diritti a metà.
  Tra l'altro, vorrei ricordarlo – non c'entra con questo decreto-legge ma è un problema che affligge la scuola – c’è la vicenda «quota 96», quella dei quattromila e oltre lavoratori del settore della scuola che per un errore, per un pasticcio della riforma Fornero non possono andare in pensione. Abbiamo ormai da settimane un provvedimento bloccato nelle Commissioni, che non riesce a sbloccarsi per via delle coperture che il Governo non riesce a garantire, eppure si tratta di riparare a un danno, ad un errore della legge Fornero che colpisce lavoratori della scuola che, per questo errore, devono lavorare fino a sette anni in più e non possono andare in pensione. Chiediamo al Governo di intervenire rapidamente per sbloccare questa vicenda.
  L'idea che sottosta a questo decreto-legge è quella di garantire sostanzialmente il diritto di qualcuno sottraendolo a qualcun altro, quindi una sorta di carta dei diritti a geometria variabile. Ciò che il Governo propone con questo decreto-legge è un'altra versione dello stesso modo di operare nei più disparati campi: parcellizzare i diritti. E questo sottrarre e aggiungere separa, divide e lacera un tessuto che non regge più l'assenza della speranza. Si mettono i padri contro i figli nel mercato del lavoro, si mettono i docenti contro i bambini nel modo dei saperi. Dai ai docenti per togliere ai bambini, da novelli Robin Hood alla rovescia, ed ecco che l'esigibilità di un diritto viene trasformata in una guerra di tutti contro tutti. Lacerare il tessuto sociale di chi opera e di chi fruisce nel campo dei saperi è una responsabilità grave per chi ne è autore.
  Di fronte agli impegni che questo Governo, il Governo Renzi, ha preso a favore della scuola, togliere fondi al MOF è un po’ un paradosso, una beffa. Bisognerebbe anzi rafforzarlo, sostenerlo, incrementarlo, e ci sembra che questo provvedimento che discutiamo vada in controtendenza rispetto a quello che il Governo stesso ci dice, ci promette e dice di voler fare nei prossimi mesi. E questo è un punto di non ritorno per un Paese, ed è vuota retorica dell'interesse e dell'attenzione verso il mondo della scuola se ad esso non corrispondono atti concreti come, ad esempio, andare a recuperare le risorse per pagare gli scatti al di fuori del MOF. Questa che ci viene proposta come misura temporanea sembra in realtà diventare una misura che maleodora di definitività, per la sistematicità con cui si è ripresentata alle scuole negli ultimi anni.
  Questa definitività di prospettiva non è un fatto ragionieristico, perché investe un'idea di scuola o quel che ne rimane. Ogni anno i docenti si chiedono se Pag. 16avranno ciò che spetta loro e le scuole hanno un'unica certezza: non sapere né di quanto né quando potranno disporre di questi fondi nei propri bilanci, bilanci con cui realizzano l'offerta formativa curricolare ed extra-curricolare. L'autonomia scolastica è un'espressione oramai del tutto svuotata semanticamente e finanziariamente.
  La scuola pubblica statale vive da troppi anni ormai una situazione di definanziamento progressivo e ininterrotto: taglio dei fondi ordinari, dei fondi della legge n. 440 del 1997. E come non ricordare il capolavoro targato Gelmini-Tremonti: il più grande licenziamento della storia del nostro Paese, che si è tradotto per gli studenti in una cospicua sottrazione di ore, di offerta formativa e curricolare.
  Vale sempre la pena ricordare ai retori della scuola pubblica, che oggi abbondano come non mai – ci si chiede dove siano stati fino ad oggi –, che quando si tratta di scuola pubblica statale, le risorse finanziarie e strumentali, nonché le risorse umane non rientrano nella categoria del superfluo. Soprattutto, in questo momento sono importanti per cercare di non lasciare nessuno indietro, come chiede l'Europa.
  Qui vorrei chiedere al Governo, che è sempre ligio a voler rispettare i vincoli che Bruxelles ci impone e che noi abbiamo condiviso, come i vincoli relativi al rapporto tra deficit-PIL e i vincoli relativi alla riduzione del debito, che pure sembra vogliamo in qualche modo allentare, come mai, quando si discute il DEF, il Documento di economia e finanza, e quando affrontiamo la parte che riguarda il Programma nazionale di riforme di quel Documento e il tema degli obiettivi posti dall'Europa dal programma Europa 2020, il Governo non si impegni mai a rispettare obiettivi che riguardano l'abbattimento della quota di dispersione scolastica, la percentuale di laureati e così via. Cioè, mi chiedo come mai quegli obiettivi che Europa 2020 ci pone per la scuola, per l'istruzione e per la ricerca, ad esempio, sono, in qualche modo, anche questi, a geometria variabile, sono alla carta, mentre, quando si parla di debito e di deficit, siamo sempre pronti a valutare anche il minimo decimale per stare dentro i parametri che l'Europa ci ha imposto e che dobbiamo tutti insieme ridiscutere.
  Allora, io chiedo che dal prossimo Documento di economia e finanza il Governo si impegni non a stare sotto la media europea, come ha fatto in questi ultimi anni, rispetto agli obiettivi che Europa 2020 ci chiede per la scuola, per l'istruzione e per la ricerca, ma a rispettare gli obiettivi, perlomeno a stare alla media degli altri Paesi europei e investire quindi in un settore che è fondamentale anche per la competitività del nostro sistema economico e per la capacità performativa di un'economia che, purtroppo, a causa dell'assenza di innovazione, di ricerca e di un solido investimento nel capitale umano, rischia un'arretratezza pesante rispetto alle altre economie europee.
  È un'Europa che, appunto, la classe politica italiana al Governo ama ascoltare a corrente alterna, come ricordavo prima, il che si traduce in un «sì» all'austerità e in un «no» alla scuola pubblica statale, ad uno sgretolamento delle strutture formative pubbliche. Le risorse che, con un'operazione che vorrei definire così come SEL la definisce, spregiudicata, oggi scegliete di tagliare, servono a ridurre il disagio scolastico evitando che si trasformi in dispersione, consentono di rendere concreta la prospettiva interculturale e servono a creare un ambiente accogliente per chi è disabile. Di questo parliamo quando parliamo di riduzione del taglio del MOF.
  In definitiva, gli investimenti in istruzione servono a dare forza ad una scuola inclusiva, a una scuola delle opportunità per tutti e per ciascuno, e questo non è poca cosa. È questo o no, il senso della scuola pubblica statale ? È questo o no, il ruolo della Repubblica che la istituisce ? A queste domande il Governo deve rispondere; deve dare una risposta per dare forza e prospettiva all'istruzione pubblica e a un diritto che la nostra Costituzione ha Pag. 17garantito con solennità (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vacca. Ne ha facoltà.

  GIANLUCA VACCA. Signor Presidente, innanzitutto volevo salutare il sottosegretario Toccafondi, che è un po’ un'anomalia, essendo stato riconfermato rispetto al Governo precedente e non essendo stato sballottato da una parte all'altra come molti altri suoi colleghi.
  La storia di questo decreto-legge l'abbiamo sentita un po’ tutti, è una storia emblematica di come la classe politica vuole trattare e di come ha trattato il comparto scuola, e che rivela le reali intenzioni dei Governi precedenti, ma anche, in parte, di questo.
  La vicenda di questo decreto-legge innanzitutto ha mostrato una forte incompetenza da parte del Governo precedente, in particolare degli uffici dei Ministeri, dei Ministri stessi, ha mostrato che c’è un continuo approccio ragionieristico alle questioni che attengono alla scuola e al mondo dell'istruzione.
  Le coperture che sono previste – lo abbiamo detto già precedentemente – sono per noi inaccettabili. È inaccettabile che si continui a trovare, a cercare dei fondi per la scuola facendo il gioco delle tre carte: prendiamo da una parte e li mettiamo dall'altra, sottraendoli sempre, però, al mondo della scuola e dell'istruzione. Rivela una sostanziale disattenzione anche nei confronti del mondo della scuola quello a cui abbiamo assistito in quei mesi, in quei giorni in cui l'ex Ministro Carrozza faceva finta di cadere dalle nuvole, l'ex Ministro Saccomanni dava la colpa al Ministro dell'istruzione e il Ministro dell'istruzione, invece, dava la colpa al Ministro dell'economia; insomma, pare che nessuno si volesse occupare realmente e che non vi fosse una grande attenzione ai problemi che attengono al comparto scuola, in particolare alla situazione dei docenti.
  Dunque, la storia di questo decreto-legge ci ha rivelato l'ennesimo quadro desolante e tragico in cui versa il mondo della scuola. Ricordiamo soltanto alcuni numeri: quasi 8 miliardi di euro circa di tagli negli ultimi anni, tagli che sono stati spacciati per riforme, invece erano tutt'altro che riforme. Un anno fa c’è stato il rapporto della Commissione europea, che evidenziava come negli ultimi 13 anni, dal 2000 al 2013, questi tagli siano stati in controtendenza rispetto a quanto fatto, invece, nella maggior parte degli altri Paesi europei, i quali, in un periodo di crisi, hanno pensato bene di investire, o quanto meno di non tagliare, nel comparto istruzione, mentre noi abbiamo assistito ad un taglio complessivo che si aggira su vari punti percentuali in rapporto al PIL.
  Per non parlare delle continue mortificazioni della classe docente, di tutto il personale che lavora nel mondo della scuola, pensiamo alla vicenda di due Governi fa, del Governo Monti, delle ventiquattro ore: quella farsa che voleva imporre un aumento dell'orario di lavoro ai docenti in un periodo in cui i contratti erano fermi da anni – lo sappiamo benissimo –, con gli scatti stipendiali bloccati, quindi un tentativo che solo grazie alla sollevazione di tutto il mondo della scuola si è riusciti a bloccare. Ci auguriamo francamente che le intenzioni di questo nuovo Ministro non vogliano riproporre questo argomento che ci auguriamo, invece, sia chiuso.
  Il blocco del contratto – abbiamo detto –, il blocco degli aumenti stipendiali, la vicenda degli inidonei, vogliamo ricordare anche loro: una ulteriore mortificazione alla classe docente, un gruppo nutrito di insegnanti non solo penalizzato già per le condizioni fisiche, ma mortificato anche dallo Stato che continua a sballottarlo da una parte all'altra, a minacciare di trasferirlo in altri settori, di fatto comportando, questo, una chiusura delle poche biblioteche che ancora sono aperte nelle nostre scuole.
  Potremmo citare anche la questione degli ATA ex enti locali, un'altra vicenda spinosa che è aperta da tantissimi anni; anche qui lo Stato si dimostrò vessatorio nei confronti di una categoria di personale Pag. 18scolastico che presta il suo servizio dignitosamente e che, invece, non si vede riconoscere dallo Stato quello che le sarebbe dovuto a causa di forzature normative come quelle fatte dall'allora Ministro Tremonti.
  Insomma, una classe docente mortificata da anni, abbandonata a se stessa; è, solo grazie alla tenacia di una buona parte, della maggioranza di questo comparto, che la scuola riesce ad andare avanti ed avere ancora dei punti, dei livelli di eccellenza, nonostante i tagli e nonostante la scarsissima attenzione dei Governi che si sono succeduti. Potremmo ricordare le percentuali, le varie percentuali di spesa in rapporto al PIL: l'Italia è indietro, in tutte le statistiche, a tutte le medie europee – lo sappiamo benissimo – di due punti percentuali quanto a spesa per il comparto istruzione, per non parlare, poi, delle problematiche dell'università, della ricerca, eccetera.
  Di fronte a questo quadro, noi ci aspetteremmo sempre una risposta forte da parte dei Governi. Abbiamo cominciato questa legislatura con il Governo Letta: anche lì, tante belle parole all'inizio, ma i fatti, poi, sostanzialmente, ci hanno detto che c’è stato, con la scorsa manovra finanziaria, un ulteriore taglio, sebbene piccolo, ma un ulteriore taglio dei fondi destinati a tutto il comparto: una trentina di milioni di euro circa. Ci aspettavamo qualcosa di diverso e non c’è stato.
  E adesso abbiamo il duo Renzi-Giannini: parlo di duo, perché non si capisce, alcune volte, chi sia il Ministro dell'istruzione, perché, francamente, vi è l'iperattività del Capo del Governo, che non solo va a rompere – insomma, se si può dire di un Presidente –, va a rompere le scatole in giro per le scuole italiane, facendosi dedicare anche coretti di balilliana memoria, ma si riempie anche la bocca con slogan come «ridiamo dignità alla scuola» o «piano per l'edilizia scolastica», eccetera, che sono ancora degli slogan molto vuoti, perché, di fatto, non abbiamo visto nulla.
  Forse, la Ministra Giannini anche qualcosina prova a dirla, ma, forse, farebbe bene almeno, viste le prime uscite, a stare ancora in silenzio, a pensare prima di pronunciare quelle frasi che ha detto appena eletta Ministra, perché le prime cose che ha detto sono state: «ridiamo fondi alle scuole paritarie», «ridiamo dignità alle scuole paritarie», «bisogna rivedere gli scatti di anzianità», «il liceo a quattro anni indubbiamente è una cosa che bisogna portare avanti». Insomma, una serie di frasi che hanno gettato nello sconforto, hanno gettato nel panico il mondo della scuola: certo, come presentazione non è stata male. Una serie di frasi che hanno rievocato, anche, forse, per assonanza del nome, un periodo molto buio per la scuola italiana: quello della triste Ministra Gelmini.
  Di fronte a queste parole, quali sono i fatti ? Dicevamo prima, nessuno. Non abbiamo visto ancora nulla. Gli unici impegni che abbiamo sentito ad oggi sono degli impegni che derivano dal Governo precedente: pensiamo al fantomatico piano per l'edilizia scolastica, che non è nient'altro che riproporre risorse finanziarie già stanziate, già previste. Quindi, a dispetto dei titoli dei giornali, che parlano di 2 miliardi, 3 miliardi per la scuola, questi erano soldi che già erano stati stanziati e previsti, quindi, il Governo Renzi, ad oggi, non ha stanziato assolutamente niente per il comparto scuola. Poi, c’è tanta confusione – francamente, sembra che questo Governo brancoli un po’ nel buio, non si capisce dove voglia andare – e, soprattutto, ci sembra di rivedere la stessa impostazione che, da anni, abbiamo visto negli ultimi Governi, ovvero il non voler condividere con il mondo della scuola nessuna decisione, cioè voler imporle dall'alto, probabilmente per fini ragionieristici di tagli, e non voler realmente affrontare il problema della scuola condividendo, chiedendo al mondo della scuola quali potrebbero essere le soluzioni a queste problematiche.
  Perché, vedete, le risposte già ci sono, le conosciamo un po’ tutti: basterebbe coinvolgere, fare rete e provare a coinvolgere proprio gli attori che lavorano tutti i giorni nel comparto dell'istruzione. A tal proposito, Pag. 19ricordo un'altra uscita infelice del neo Ministro Giannini, che, di fatto, ha chiuso una delle poche iniziative condivisibili del Ministro Carrozza: quella del questionario online o della consultazione online per le problematiche della scuola. Ecco, il Ministro Giannini ha pensato bene di dire «no, è una cosa che non condividiamo, chiudiamola», perché probabilmente ha paura di sapere cosa ne pensa realmente il mondo della scuola delle sue proposte.
  Allora, francamente, noi non ci illudiamo, non abbiamo false speranze su questo Governo; anche se siamo da poco qua dentro, abbiamo capito come funzionano le cose e questo decreto-legge ne è la prova. Noi vogliamo sfidare il Governo con una proposta: il Governo si impegni a non toccare il MOF, i fondi destinati alle scuole, si impegni a togliere questa copertura tremenda che getterebbe il mondo della scuola, un'altra volta dopo i tagli che ci sono stati già in questi anni, in forti difficoltà; tra i nostri colleghi ci sono dei dirigenti scolastici, e sappiamo benissimo quali sono le difficoltà che il mondo della scuola deve affrontare da anni e gli espedienti a cui stanno ricorrendo, anche, spesso, senza volerlo. Infatti la contribuzione dei genitori, ormai, è arrivata a cifre altissime, la contribuzione dovrebbe essere volontaria ma, di fatto, sta diventando una contribuzione obbligatoria in molte scuole, perché i dirigenti non sanno più come fare, e non è retorica ma è vero, per comprare lo stretto indispensabile per i nostri figli che vanno a scuola.
  Allora, il Governo si impegni a ripristinare i fondi MOF, si impegni a togliere questa copertura ed a metterne un'altra, a stanziare risorse diverse; visto che, a quanto pare, Renzi riesce a trovare miliardi ovunque, troviamo qualche centinaia di milioni di euro necessari per la copertura di questo pasticcio altrove, non tocchiamo i fondi MOF e impegniamoci affinché in futuro si attui un piano di rientro dai tagli dei fondi MOF e si diano più risorse alle scuole, anziché operare ulteriori tagli. Solo allora, magari, potremo iniziare a discutere e ad avere un approccio diverso anche con voi, ma fino ad allora il nostro approccio sarà, purtroppo, quello di sempre (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Maria Grazia Rocchi. Ne ha facoltà.

  MARIA GRAZIA ROCCHI. Signor Presidente, il decreto-legge n. 3 del 2014 è stato ampiamente illustrato dalle relatrici, vorrei però portare in quest'Aula, se mi è consentito, il senso della professione docente e del significato di operare nella scuola, perché probabilmente non se ne parla abbastanza, probabilmente non si affrontano in maniera importante i significati di una complessità.
  Vedete, Presidente, onorevoli colleghi, le ricerche italiane sulla condizione professionale dei docenti mostrano crescenti situazioni di disagio e forti livelli di insoddisfazione. Certo, su questo stato influisce un livello retributivo considerato inadeguato, quantomeno in confronto ai più alti livelli degli altri Paesi europei, inadeguato per una categoria alla quale si chiede sempre di più e sempre più spesso di riannodare i fili di relazioni educative sconvolte da una profonda crisi di valori. I docenti italiani sono tra i meno pagati d'Europa, è già stato detto, un docente di scuola primaria italiana con 15 anni di carriera guadagna il 15 per cento in meno della media UE, il 23 per cento in meno rispetto ai Paesi dell'Europa occidentale.
  Si parla a ragione di mancanza di carriera, di appiattimento retributivo, di abbassamento di ogni risorsa che consenta un pur esiguo riconoscimento – mi riferisco al MOF, appunto – di un maggiore impegno professionale in ambiti delicati, come l'innovazione didattica, il sostegno allo studio, il sostegno ai bisogni educativi speciali, l'organizzazione scolastica. Ma studiando a fondo le ragioni di tale crisi si evidenzia una più generale crisi di identità, di visibilità e di autorevolezza, la difficoltà di ridefinire il proprio ruolo in una società dove sembra che la conoscenza sia facilmente accessibile e la tecnologia possa sostituire funzioni formative ed educative proprie dei docenti.Pag. 20
  È difficile fare scuola oggi, è difficile farlo senza margini di flessibilità, impostando messaggi indifferenziati a classi sempre più plurali, con bambini e ragazzi dai bisogni formativi estremamente differenziati ed esperienze, immaginari sempre più lontani dalla tradizionale cultura scolastica. È difficile fare scuola quando agli insegnanti e alla scuola si richiede sempre di più, non solo di presidiare con professionalità la relazione insegnamento-apprendimento, ma anche di svolgere compiti e funzioni che investono un lavoro educativo più ampio, spesso facendosi carico di disagio, problematiche del comportamento di tipo psicologico, affettivo, sociale, senza peraltro fornire loro adeguati supporti in termini di formazione o nuove figure professionali con specifiche competenze da impiegare in ambiti diversi da quelli della funzione docente, figure peraltro presenti in molte scuole europee.
  Quante volte capita, anche per la crisi di valori e di perdita di ruolo della famiglia, che gli insegnanti si trovino a gestire le complesse problematiche legate allo sviluppo psicopedagogico dei bambini e degli adolescenti, a confrontarsi con situazioni di integrazione sociale di bambini e famiglie con la difficoltà di gestire in positivo nuovi patti formativi. Il tutto in un coro di luoghi comuni che vuole il personale della scuola come quello che lavora poche ore alla settimana, come quello che ha lunghi periodi di ferie e, non solo, come primo responsabile di standard formativi non in linea con quelli europei, incapace di aggredire dispersione e drop out.
  Basta osservare un po’ di dati sui tempi di lavoro, sulle retribuzioni, sulle carriere dei docenti italiani e di quelli di altri Paesi UE, per rendersi conto che non siamo davanti ad una categoria di privilegiati. I tempi di lavoro sono analoghi a quelli degli altri Paesi, ma le retribuzioni no.
  Che dire della poco appropriata relazione tra competenze dei docenti e traguardi formativi degli studenti ? Gli esiti formativi difficilmente sono relazionabili al solo lavoro di un docente, che peraltro opera sempre in una dimensione collettiva. Occorre anche pensare che finalità di apprendimento, tempi, luoghi, strutture, risorse sono riconducibili all'ambito della decisione politica-amministrativa ed il loro peso nell'apprendimento non è poca cosa.
  Presidente, la mia trentennale esperienza mi ha consentito di osservare le molte facce di una professione difficile e delicata, che necessita di continua crescita nelle sue dimensioni essenziali: in quella disciplinare, in quella della responsabilità educativa, in quella della relazione e in quella della consapevolezza professionale che consente una continua capitalizzazione e riflessione, individuale e collettiva, delle esperienze.
  Voglio ricordare i molti che non aspettavano di essere incoraggiati o incentivati per sperimentare innovazione, per sostenere l'apprendimento dei loro studenti, che si confrontavano con nuovi linguaggi e con nuove tecnologie; docenti impegnati a progettare percorsi utili a sostenere la motivazione dei loro ragazzi, a utilizzare il loro tempo libero per riportare a scuola o riorientare i giovani a rischio di dispersione.
  Voglio anche ricordare quei docenti provati da lunghi anni di precariato che, girando ogni anno di scuola in scuola, soffrivano dell'impossibilità di veder crescere i loro bambini e i loro ragazzi. L'esperienza mi permette di confermare una frequente constatazione: quella che la scuola si regge grazie alla buona volontà di un'ampia fetta di categoria, assunto certamente vero ma, mi domando, può un sistema reggersi e migliorarsi sulla buona volontà ?
  Il Presidente del Consiglio, nel suo intervento alla Camera del 24 febbraio, ha voluto giustamente sottolineare l'importanza di restituire autorevolezza e dignità al personale scolastico. Per questo è sempre più urgente mettere in cantiere tutte le misure che consentano di recuperare, su una stagione che ha mortificato l'autonomia delle scuole, la professionalità dei docenti, gli strumenti indispensabili per poterla esercitare. Dovremo operare per una nuova politica della formazione iniziale del reclutamento che, da un lato, ponga gradualmente fine al precariato e, Pag. 21dall'altro, permetta di programmare l'ingresso su fondate stime dei fabbisogni di nuovi docenti.
  C’è ancora bisogno di insegnanti che si prendano cura dei loro allievi, di professionisti autorevoli in classe; la formazione iniziale è solo la premessa per essere buoni insegnanti. Introdurre nuove modalità di sviluppo della carriera dei docenti: può essere aperta una stagione contrattuale che avvii un confronto su una carriera anche svincolata da criteri basati sull'anzianità, e legata a quelli che permettano di riconoscere finalmente l'impegno e la maturazione di professionalità negli ambiti della ricerca educativa, delle funzioni svolte al sostegno dell'autonomia.
  Occorre un piano per la formazione in servizio che superi la visione della formazione diritto-dovere, per diventare attività stabile e permanente, tale da potere essere programmata e da avere un adeguato finanziamento in via ordinaria. Oggi si assiste al paradosso che molti docenti provvedono a proprie spese alla formazione, altri invece, usando il fatto che sono un diritto, si sentono in condizioni di disimpegnarsi. Il risultato è una formazione disomogenea, che non presidia gli obiettivi chiave del sistema.
  Il provvedimento sugli automatismi stipendiali che oggi discutiamo è ancora lontano dal fornire le risposte sul piano del reclutamento, della formazione, della carriera del personale scolastico, ma è un segno di attenzione; è un segno di attenzione a una categoria che, unica a non vedere applicato nessun meccanismo di carriera, ha visto bloccate le proprie retribuzioni e per di più è chiamata a restituire somme già attribuite. Vogliamo leggere il provvedimento come un impegno per poter dire che dopo anni di riduzione della spesa sulla scuola, di tagli sul personale scolastico, di scarsa valorizzazione della funzione dei docenti, si ponga finalmente al centro del problema della politica lo sviluppo professionale e di carriera di ogni insegnante come argomento centrale per riprendere una nuova politica scolastica.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 2157)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore di minoranza, onorevole Chimienti. Le comunico che, avendo concluso il suo tempo, il Presidente le darà qualche minuto per consentirle di replicare.

  SILVIA CHIMIENTI, Relatore di minoranza. Signor Presidente, innanzitutto vorrei replicare alle parole, per noi inaccettabili, del collega Busin, che mi spiace non sia più in Aula, il quale ha parlato di restituzione legittima in riferimento a quella dei 150 euro e di discriminazione rispetto agli altri comparti della pubblica amministrazione che hanno attualmente il blocco degli scatti. Nella relazione di minoranza da me presentata si motiva puntualmente la specificità del comparto scuola rispetto agli altri comparti della pubblica amministrazione. La scuola ha pagato il prezzo più alto in termini di tagli in questi anni e la normativa del 2008, il decreto-legge n. 112, articolo 64, comma 9, è stata puntualmente disattesa fino ad oggi; prevedeva l'investimento, come ho già detto, nelle progressioni di carriera dei docenti del 30 per cento dei cosiddetti tagli Gelmini.
  A questo vorrei aggiungere anche alcune considerazioni fondamentali. Innanzitutto, i 120 milioni accantonati non sono sufficienti per evitare il periodo forzoso ai 52 mila docenti e personale ATA che avevano maturato la progressione stipendiale nel 2013, non garantendo la copertura per il ripristino dello stato 2012 quantificato dallo stesso Ministero dell'economia in circa 370 milioni. È infatti evidente che, anche qualora la sessione negoziale andasse a buon fine e il Ministero trovasse l'accordo con i sindacati per sbloccare l'intero 2012, resterebbe comunque da chiarire quali fondi verrebbero intaccati durante le contrattazioni ai tavoli Pag. 22dell'Aran per colmare la differenza fra i 370 milioni necessari e i 120 milioni accantonati. Il sospetto – anzi, quasi la certezza – è che ci si rivolga ancora una volta ai fondi per il miglioramento dell'offerta formativa, una scelta che il MoVimento 5 Stelle condanna, con convinzione. Noi chiediamo a gran voce che gli scatti del personale scolastico vengano pagati attraverso lo stanziamento di risorse aggiuntive o, in alternativa, utilizzando il Fondo già citato di cui all'articolo 64, comma 9, della legge n. 133 del 2008. Gravare ancora una volta sul MOF, il contenitore che serve a finanziare le attività extrascolastiche degli studenti, significherebbe impoverire ulteriormente la didattica.
  Il MoVimento 5 Stelle vuole poi segnalare un'altra grave carenza presente nel decreto: anche se la sessione negoziale riuscisse finalmente a riconoscere l'annualità 2012, lo scatto 2013 rimarrebbe bloccato e conseguentemente l'intero personale scolastico perderebbe un'ulteriore annualità nella progressione economica, con gravi ripercussioni sui futuri redditi e conseguenti penalizzazioni. L'annualità 2013, stando a quanto delineato dal decreto, continua infatti a risultare inutile ai fini sia della maturazione delle posizioni stipendiali sia dei relativi incrementi economici previsti dalle disposizioni contrattuali vigenti. In Italia un insegnante guadagna mediamente 1.200-1.300 euro al mese, cifra notevolmente inferiore alla media europea, come è già stato detto, e il contratto nazionale della scuola è bloccato dal 2006.
  Continuare a prorogare il blocco degli automatismi, dimenticandosi del 2013, significa semplicemente non tenere conto della realtà economica e del fatto che il criterio dell'anzianità è rimasto di fatto l'unico strumento per difendere il potere d'acquisto dei salari. Il MoVimento 5 Stelle chiede dunque che vengano immediatamente stanziate le risorse, altri 350 milioni, secondo le previsioni del MEF, per chiudere la sessione negoziale anche per il recupero dell'utilità 2013, sessione negoziale che peraltro risulta assolutamente determinante ai fini dello sblocco del 2012. Qualora infatti non si trovasse un accordo entro il 30 giugno e i sindacati non accettassero il «ricatto» della decurtazione del MOF, per arrivare ai 370 milioni necessari, il tavolo salterebbe e i 120 milioni accantonati tornerebbero all'erario e anche il recupero dell'anno 2012 verrebbe meno. Un rischio che non possiamo correre e che può esser scongiurato solo se il Governo stanzierà già nel decreto l'intera somma necessaria.
  Anche per quanto concerne le posizioni economiche del personale ATA, oggetto dell'articolo 1-bis, lo schema proposto dal Governo è il medesimo: vengono sì stanziati 38,87 milioni di euro per il giusto riconoscimento di un emolumento stipendiale a favore di chi abbia acquisito negli anni 2011-2014 le posizioni economiche di cui alla sequenza contrattuale del 25 luglio 2008, ma per la copertura dell'onere si fa ricorso al Fondo per l'arricchimento e l'ampliamento dell'offerta formativa, il solito gioco delle tre carte, a cui il MoVimento 5 Stelle si oppone fermamente. Anche in questo caso si chiede dunque lo stanziamento di risorse aggiuntive senza gravare per l'ennesima volta sulla scuola.
  Presidente, le chiedo qualche minuto per dire ancora una cosa importantissima.

  PRESIDENTE. «Qualche» mi pare eccessivo, un paio di minuti.

  SILVIA CHIMIENTI, Relatore di minoranza. Un minuto, un paio di minuti. Il MoVimento 5 Stelle ci tiene a sottolineare che una consistente categoria dei docenti è stata sistematicamente estromessa da qualsiasi ragionamento sulla valenza giuridica delle annualità di servizio e dunque su qualunque discorso inerente alla progressione di carriera e all'anzianità. Questo assordante silenzio riguarda il personale precario e risulta inconcepibile innanzitutto da un punto di vista sostanziale. I docenti con contratti a termine, perennemente e legittimamente rinnovati, svolgono infatti le stesse identiche mansioni dei colleghi di ruolo, ma in condizioni psicologiche, economiche e logistiche Pag. 23totalmente sfavorevoli. Tutto ciò, oltre che sui docenti, ha evidenti ripercussioni sulla qualità della didattica e sulla continuità dei percorsi formativi degli studenti. Dal punto di vista formale, occorre poi tenere conto della normativa europea e dell'innegabile principio di superiorità delle norme comunitarie rispetto alla disciplina italiana. La direttiva europea n. 9970 prevede espressamente che i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato, a meno che non sussistano ragioni oggettive. Come si può dunque non ritenere discriminatorio il fatto che le progressioni di carriera vengano consentite solo al personale di ruolo, e non ai docenti a tempo determinato ? Il punto di vista esplicitato dalla direttiva è stato poi ribadito da numerose sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea, nonché dall'orientamento giurisprudenziale ormai consolidato anche in Italia. Con la sentenza n. 1129 del 2012 il giudice del lavoro di Venezia ha ritenuto direttamente applicabile la norma comunitaria sulla base dell'indiscutibile superiorità gerarchica delle fonti normative europee e ha riconosciuto ai ricorrenti docenti precari l'anzianità maturata nei periodi di lavoro a termine, condannando di conseguenza il MIUR a ripristinare ai colleghi il livello stipendiale corrispondente all'anzianità di servizio maturata e a pagare le differenze retributive. Alla luce di queste considerazioni, il MoVimento 5 Stelle chiede che al personale precario vengano riconosciute le progressioni di carriera, esattamente come avviene – o meglio dovrebbe avvenire – per i colleghi di ruolo.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare, se lo ritiene, la relatrice per la maggioranza, onorevole Incerti. Le ricordo che ha otto minuti.

  ANTONELLA INCERTI, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, sì, velocissimamente. Ho ascoltato anche con attenzione tutti i temi posti dai colleghi, peraltro condivisi anche nella relazione e che riguardano anche, in particolare, il tema dei fondi legati alla scuola. Faccio comunque riferimento al fatto, come ha ricordato il sottosegretario, che qui c’è anche un problema di tempi. Noi siamo obbligati insomma all'approvazione il 24 marzo e, quindi, conto sul fatto anche – credo – della disponibilità di tutti i colleghi dell'Aula in qualche modo di dare la possibilità dell'approvazione in questi tempi del decreto.
  Ritengo positivo anche l'impegno, che ha sottolineato il sottosegretario, una volta approvato questo, che è effettivamente un elemento di urgenza – vedremo anche in queste ore che ci separano dall'approvazione alcuni ambiti migliorativi di questo decreto –, a rivedere il tema dei fondi scolastici, a rivedere la legge n. 440 del 1997. Questo è l'impegno che tutti noi ci prendiamo per poter non solo migliorare questo decreto-legge, ma per arrivare a una soluzione riguardo ai fondi in merito ai quali tutti hanno sottolineato la necessità che siano rimpinguati nei tempi più brevi possibili.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

  GABRIELE TOCCAFONDI, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Signor Presidente, brevemente, l'urgenza di trovare soluzioni ai punti ribaditi in tutti gli interventi sta in questo decreto-legge. Molti interventi hanno toccato più in generale il mondo della scuola, ma il decreto vuole affrontare e trovare una soluzione a due punti fondamentali: il tema degli scatti del personale docente e ATA della scuola, che è l'oggetto specifico del decreto-legge, e la questione delle posizioni economiche del personale amministrativo, tecnico e ausiliario della scuola, che invece è oggetto, come sappiamo, dell'emendamento parlamentare approvato al Senato.
  Dicevo che le soluzioni adeguate in merito ai due punti, ai due aspetti richiamati negli interventi, sono contenute in questo decreto, sono i due punti del decreto. La soluzione è urgente per i motivi Pag. 24che tutti voi avete richiamato e sottolineo, ancora una volta, la data di scadenza, se ce ne fosse bisogno, che è il 24 marzo.
  La questione della copertura – lo avete ribadito in tutti gli interventi – è forse la nota dolente, sottolineata a più riprese. La copertura prevista dal decreto, per sospendere il recupero dei 150 euro a persona, quindi il primo punto, il tema degli scatti del personale della scuola, per quanto corrisposto nel 2013, è a valere sul fondo dell'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008 e sul fondo MOF, rinviando questo ad una sessione negoziale.
  La copertura per quanto riguarda le posizioni economiche ATA, quindi l'emendamento approvato al Senato, consente di riconoscere al personale ATA quanto già percepito, evitando così, anche per questa categoria, il recupero, e la copertura, pari a 38,87 milioni di euro, è a valere sui fondi di cui alla legge n. 440 del 1997. In entrambi i casi, sebbene per fini altrettanto importanti – lo abbiamo ricordato tutti –, è evidente che le risorse verranno sottratte al potenziamento dell'offerta formativa, e più in generale alla scuola.
  È quindi necessario da ora cercare di cambiare passo e provare ad affrontare i problemi in modo più strutturale, evitando di sottrarre risorse alla scuola, soprattutto in considerazione della loro esiguità. Superata, quindi, l'emergenza, occorre, anche progressivamente, reintegrare sia il MOF sia il fondo della legge n. 440 del 1997.
  Reintegrare tali fondi, per restituirli alla scuola, consentirebbe di garantire il regolare funzionamento del sistema scolastico nel suo complesso. Di questo lo stesso MIUR è cosciente; non a caso, ha dato parere favorevole all'emendamento al Senato, approvato qualche giorno fa, con il quale è previsto un impegno al Governo a ripristinare i fondi del MOF, per garantire le funzioni fondamentali delle autonomie scolastiche.
  Confermiamo l'impegno del MIUR e più in generale del Governo per il reintegro di questi due fondi, fondamentali per il futuro della nostra scuola.

  PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 28 gennaio 2014, n. 4, recante disposizioni urgenti in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all'estero, nonché altre disposizioni urgenti in materia tributaria e contributiva e di rinvio di termini relativi ad adempimenti tributari e contributivi (A.C. 2012-A) (ore 12,48).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 2012-A: Conversione in legge del decreto-legge 28 gennaio 2014, n. 4, recante disposizioni urgenti in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all'estero, nonché altre disposizioni urgenti in materia tributaria e contributiva e di rinvio di termini relativi ad adempimenti tributari e contributivi.
  Ricordo che nella seduta del 6 febbraio 2014 sono state respinte le questioni pregiudiziali Busin ed altri n. 1, Paglia ed altri n. 2, Brunetta ed altri n. 3 e Barbanti ed altri n. 4.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2012-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto che la VI Commissione (Finanze) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, onorevole Sanga.

  GIOVANNI SANGA, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, il disegno di legge che stamattina iniziamo a discutere tratta della conversione in legge del Pag. 25decreto-legge 28 gennaio 2014, n. 4, recante disposizioni urgenti in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all'estero, nonché altre disposizioni urgenti in materia tributaria e contributiva e di rinvio di termini relativi ad adempimenti tributari e contributivi.
  In realtà, Presidente, noi abbiamo avviato una discussione molto approfondita, un confronto serrato, a seguito anche di molte audizioni che in Commissione abbiamo fatto sull'intero decreto e poi abbiamo un po’ tratto unanimemente la conclusione, insieme a tutti i gruppi presenti in Commissione e d'intesa col presidente, di emendare questo decreto, di stralciarne una parte, di riportare cioè tutta la parte che attiene alle disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all'estero in un altro ambito, su un altro percorso, precisamente facendo ricorso ad un disegno di legge ex novo, tenendo conto di alcune proposte di legge autorevoli che nel frattempo sono state anche depositate e quindi di trattare, per la discussione e per l'approvazione, invece, l'altra parte del decreto, che attiene appunto ad alcuni articoli che sono relativi alle detrazioni fiscali e ad alcune agevolazioni invece di natura tributaria per alcuni Paesi che sono stati coinvolti nelle emergenze alluvionali. Quindi, anche la mia relazione terrà conto di questo e si snoderà brevemente sugli articoli 2 e successivi.
  In particolare quindi, dicevo, l'articolo 2 del decreto abroga i commi 575 e 576 della legge di stabilità 2014, contenenti disposizioni finalizzate al riordino delle agevolazioni tributarie. Questi commi prevedevano che, entro il 31 gennaio 2014, fossero adottati dei provvedimenti di razionalizzazione delle detrazioni per gli oneri di cui all'articolo 15 del testo unico delle imposte sul reddito, al fine di assicurare delle maggiori entrate, pari a 488 milioni di euro per l'anno 2014, a 772 milioni per il 2015 e a 564 milioni a decorrere dal 2016.
  In mancanza di tali provvedimenti, che cosa sarebbe avvenuto ? Sarebbe avvenuto che la misura della detrazione prevista per gli oneri appunto di cui all'articolo 15 si sarebbe ridotta dal 19 al 18 per cento per il 2013 e, quindi, al 17 per cento a decorrere dal 2014.
  Lascio a voi immaginare quali potevano essere le conseguenze in questo caso.
  Per rendere meglio l'idea dell'importanza di questo primo passaggio, di questo primo comma dell'articolo 2, vorrei ricordare a tutti che l'articolo 15 del Testo unico relativo alle imposte sui redditi, quando parla di detrazioni per oneri, fa riferimento alle detrazioni per gli oneri connessi agli interessi passivi relativi all'acquisto dell'immobile, delle spese sanitarie che eccedono determinati importi, delle spese veterinarie, delle spese sostenute per i servizi di interpretariato dei soggetti riconosciuti sordomuti, delle spese di frequenza ai corsi di istruzione secondaria e universitaria, dei premi di assicurazione che hanno per oggetto il rischio di morte e di invalidità, delle spese sostenute da soggetti obbligati alla manutenzione, protezione e restauro di strutture vincolate e così potrei andare avanti nell'elencare queste situazioni che, certamente – come dicevo – avrebbero avuto un peso notevole sulla vita delle famiglie e dei contribuenti più in generale. Voglio anche essere preciso su questo tema: è vero che abbiamo molte raccomandazioni, molte segnalazioni anche da parte del Fondo monetario internazionale che consiglia all'Italia, al nostro Paese, di rivedere un poco il sistema delle agevolazioni fiscali, che io ritengo, soprattutto in questa fase, essere comunque agevolazioni giustificate e che rientrano comunque nel quadro del nostro sistema tributario. Per quanto riguarda le parti successive più significative, Presidente, ricorrerei appunto sempre all'articolo 2, a segnalare il comma 3. Il comma 3 che interviene al fine di consentire la rapida attuazione della previsione normativa ancora contenuta nella legge di stabilità che ha disposto una riduzione dei premi e dei contributi per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, limitatamente al 2014 dove vengono differiti i termini al 16 maggio 2014 per Pag. 26quanto riguarda i pagamenti e l'invio telematico delle denunce retributive, termine che in precedenza invece era regolato intorno alla metà di febbraio. Il comma 4 dell'articolo 2 prevede invece una norma di natura interpretativa che riguarda l'applicabilità della tassa di concessione governativa ai contratti di abbonamento per la telefonia cellulare. La norma è importante perché interviene per dirimere un contrasto di natura giurisprudenziale ed orientato nel senso dell'applicabilità ai contratti di abbonamento per i telefoni cellulari della tassa sulle concessioni governative dove peraltro vi è stato un forte dibattito sia in dottrina, ma soprattutto in giurisprudenza, dibattito di natura spesso oscillante che determinava una situazione di grande incertezza. L'articolo 3 è un articolo importante che riguarda l'alluvione dello scorso gennaio 2014 nella provincia di Modena, un territorio che era già stato coinvolto purtroppo nel maggio del 2012 da eventi sismici particolarmente rilevanti, che quindi ha determinato delle situazioni davvero difficili per quelle popolazioni. Ecco, io dico soltanto che l'articolo 3, di fatto, dispone una sospensione dei termini dei versamenti e degli adempimenti tributari e contributivi che scadevano appunto nel periodo che va dal 17 di gennaio al 31 luglio 2014, a favore di soggetti con residenza e sede operativa nei comuni della provincia di Modena che sono stati colpiti da questa alluvione. Quindi, sospensione degli adempimenti tributari e previdenziali per queste situazioni. È stata fatta a mio avviso anche un'attività emendativa in Commissione abbastanza significativa, importante, a seguito di una discussione profonda che ha avuto l'opportunità di raccogliere anche molte sollecitazioni.
  Proprio rispetto anche a questo tema di cui parlavo, degli eventi alluvionali, a seguito appunto di questo confronto in Commissione, siamo riusciti ad estendere importanti benefici sul piano della proroga termini anche a molti altri comuni che erano stati coinvolti in eventi atmosferici nel periodo che va dal 30 gennaio circa al 18 febbraio 2014, che erano comuni relativi alla zona della regione Veneto. E, ancora, abbiamo accolto l'istanza che i comuni italiani ci facevano presente da tempo nel cercare di elevare il limite massimo del ricorso da parte degli enti locali alle anticipazioni di tesoreria, da tre a cinque dodicesimi sino alla data del 31 dicembre 2014, venendo appunto incontro a questa forte richiesta che i comuni di tutta Italia ci ponevano.
  Ancora all'articolo 3, Presidente, si interviene sempre in materia di alluvioni, per quanto riguarda quello che è avvenuto in regione Sardegna nel novembre 2013. Il comma 6 dell'articolo 3 stabilisce che il commissario delegato, nominato per il ripristino della viabilità nelle strade statali e provinciali interrotte e danneggiate per l'alluvione del novembre 2013 in Sardegna, operi con poteri anche derogatori, da definirsi poi con delle ordinanze del capo del Dipartimento della protezione civile. C’è, infatti, uno stato di emergenza dichiarato nella regione Sardegna che nella legge di stabilità del 2014 è stato poi «raccolto» prevedendo una serie di interventi diretti a fronteggiare lo stato di emergenza stesso per quanto riguarda la messa in sicurezza del territorio, l'esclusione dal Patto di stabilità interno di talune spese specifiche e alcune disposizioni importanti per la viabilità interrotta e danneggiata.
  Sempre all'articolo 3, si interviene invece sul personale impiegato nelle attività di protezione civile cercando di riconoscere, per il triennio 2013-2015, delle integrazioni al trattamento economico accessorio al personale non dirigenziale, anche delle Forze armate e delle forze di polizia, personale impiegato nelle strutture del Dipartimento della protezione civile, nel limite di una spesa che è esattamente di 4,5 milioni di euro. Questo riconoscimento opera nelle more del rinnovo della contrattazione integrativa riguardante anche il personale della Presidenza del Consiglio dei ministri e comunque non oltre il 2015.
  L'ultimo articolo, l'articolo 4, riguarda invece la parte delle coperture finanziarie.

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  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, onorevole Busin. Lei ha complessivamente dieci minuti, quindi le consiglio di amministrare il tempo anche per la replica. Prego.

  FILIPPO BUSIN, Relatore di minoranza. Signor Presidente, grazie, me ne bastano molto meno. Presidente, onorevoli colleghi, la Lega Nord presenta questa relazione di minoranza per contestare, non tanto il contenuto del decreto-legge, che per molti aspetti condividiamo, quanto piuttosto per denunciare quella che per il Governo sembra diventata una cattiva abitudine, cioè gestire importanti provvedimenti, di valenza anche strategica, in modo affrettato e superficiale, senza considerare che questo provvedimento rappresenta l'ennesimo abuso della decretazione d'urgenza.
  La deroga assegnata al Governo per ragioni di necessità e urgenza è divenuta in questi ultimi anni una cattiva prassi, una comoda scorciatoia che trasforma il Parlamento nel mero ratificatore di decisioni assunte altrove, una specie di corte di registrazione delle decisioni del Governo, tralasciando, a tal riguardo, il fatto che organi di garanzia, dalla Corte costituzionale al Presidente della Repubblica, hanno a più riprese stigmatizzato proprio l'uso della decretazione d'urgenza, invitando il Governo a un diverso atteggiamento e a un uso più appropriato di questo strumento.
  Questa cattiva prassi viola, non tanto la separazione dei poteri, che almeno formalmente è preservata, quanto il peso dei poteri in ambito istituzionale, creando di fatto una sproporzione fra prerogative del potere esecutivo ai danni di quelle del legislativo.
  La conseguenza dell'aver lasciato completamente nelle mani del Governo l'iniziativa legislativa è spesso una cattiva qualità delle leggi, in questa occasione provvidenzialmente scongiurata dalla soppressione dell'articolo 1, il più importante, che dava il titolo al decreto-legge, e dalla sua trasformazione in disegno di legge. Aggiungiamo che in questa occasione il Governo ha dato il peggio di sé.
  Dopo aver presentato il 28 gennaio il decreto-legge n. 4 del 2014, noto ai più come voluntary disclosure o collaborazione volontaria, e pur conscio che per la complessità e l'importanza dei temi in esso affrontati, con particolare riferimento alla ben nota questione del rientro di capitali, cuore del provvedimento, si sarebbe resa necessaria un'analisi mediata e approfondita, l'Esecutivo ha aspettato oltre un mese per iniziare la discussione dello stesso in Commissione finanze.
  L'esame in Commissione immediatamente, sin dalle prime audizioni, mise in luce le numerose ed evidenti criticità del testo sulla parte riguardante l'emersione e il rientro dei capitali. Soprattutto il confronto con i professionisti ha reso evidente l'altissima probabilità che, per mancanza di chiarezza e convenienza per i soggetti potenzialmente interessati alla collaborazione volontaria, la norma si sarebbe rivelata un fallimento assoluto per le casse dello Stato. A quel punto le argomentazioni sono state così unanimi e ben documentate che il Governo ha deciso saggiamente, a nostro avviso, di sopprimere l'articolo 1 del provvedimento, rimasto così orfano non tanto di un semplice rimando o rinvio ma dell'articolo portante che aveva giustificato la presentazione dello stesso provvedimento d'urgenza.
  Viene da chiedersi se non fosse stato possibile scrivere meglio e da subito il testo, piuttosto, almeno, se non sarebbe stato preferibile iniziare a discuterlo in Commissione qualche settimana prima, così da avere il tempo necessario per apportare le dovute modifiche. Tanto più che l'importanza e la complessità di disposizioni volte a promuovere il contrasto di fenomeni di sottrazione di redditi all'imposizione, realizzata mediante l'allocazione fittizia all'estero della residenza fiscale e l'illecito trasferimento o detenzione all'estero di attività produttive di reddito, presenta profili di complessità fiscale e normativa tali che sarebbe stato più che giustificato un esame preventivo molto accurato e preciso.
  Sono questi, pertanto, i motivi che ci hanno condotto a ritenerci complessivamente Pag. 28insoddisfatti del comportamento del Governo su questo provvedimento, pur riconoscendo il valore positivo di importanti disposizioni, non ultime quelle a favore delle persone fisiche e delle imprese colpite dalle alluvioni di gennaio-febbraio 2014 o quelle concernenti la soppressione delle disposizioni contenute nella recente legge di stabilità al fine di evitare riduzioni automatiche delle detrazioni fiscali in vigore.
  E questo nonostante lo stesso Governo abbia giustamente accettato un nostro emendamento che estende la sospensione del pagamento dei tributi e contributi per l'Emilia Romagna anche ai comuni del Veneto colpiti da eventi atmosferici straordinari: tema sul quale siamo certi l'Esecutivo dovrà garantire, in un prossimo futuro, nuove e più importanti risorse.
  Ci auguriamo pertanto che il dibattito in Aula possa lasciare spazio non solo all'approvazione delle nostre proposte emendative che riteniamo migliorative del testo in esame ma che questo confronto rappresenti il punto di partenza per il riconoscimento dei gravi danni subiti dalla regione Veneto nei primi due mesi di quest'anno e che un rinvio di venti giorni, che giudichiamo scandaloso, di una mozione presentata dalla Lega sull'argomento ci ha impedito sinora di discutere e portare all'attenzione del Parlamento e dell'Esecutivo.
  Auspichiamo infine una seria e costruttiva discussione sulla prossima proposta di legge per il rientro dei capitali, punto soppresso per evidente condotta superficiale e improvvisata dell'Esecutivo.

  PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
  È iscritto a parlare l'onorevole Baruffi. Ne ha facoltà.

  DAVIDE BARUFFI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario, il provvedimento in esame, come ricordato dal relatore, risulta significativamente modificato e anche ridimensionato dallo stralcio del primo articolo relativo all'introduzione nel nostro ordinamento della cosiddetta voluntary disclosure. Si è cioè deciso, come riferito, di affidare ad uno specifico ed autonomo provvedimento questo istituto delicato e complesso per il contrasto dell'evasione e dell'elusione fiscale. Ciò nondimeno il decreto-legge n. 4 del 2014, così come licenziato dal Governo e così come modificato significativamente in alcune parti anche dalla Commissione finanze, contiene norme molto importanti che meritano di essere evidenziate e io dico anche varate con una certa celerità, vista la scadenza imminente, a partire da quelle norme che danno corso e prima attuazione a provvedimenti contenuti nella legge di stabilità di questo anno o a impegni successivamente assunti dal Governo anche in rettifica, modifica della legge di stabilità stessa. Primo fra questi il taglio del cuneo fiscale che assume le vesti nella legge di stabilità, per quanto riguarda il fronte delle imprese, della riduzione di oneri per un miliardo di euro sui premi assicurativi INAIL. Come ricordato, viene posticipata la scadenza quest'anno al 16 maggio anche per consentire non solo di avere più tempo ma di recuperare dentro questo esercizio tale beneficio fiscale che, altrimenti, andrebbe a consuntivo per l'anno prossimo.
  Così come pure sottolineo l'importanza di avere dato tempestiva attuazione all'impegno che il Governo aveva assunto di affidare ad una sede più propria il riordino delle agevolazioni fiscali (la sede è quella naturalmente della delega fiscale) anche per evitare di incorrere in quella clausola di salvaguardia, in quella ghigliottina, che avrebbe decurtato detrazioni importanti e sensibili per quanto riguarda la vita delle famiglie. Bene, quindi, il provvedimento che viene assunto.
  Così come è bene l'estensione della possibilità per gli enti locali di ricorrere, in un momento così complicato, anche ad un'anticipazione di tesoreria più significativa per far fronte ai loro bisogni. All'articolo 3 del provvedimento si provvede, invece, a dare prime e urgenti risposte ai territori che sono stati colpiti da calamità naturali particolarmente significative nel Pag. 29mese di gennaio e febbraio. Su questa parte, davvero, la Commissione finanze ha svolto un ottimo lavoro, lo voglio riconoscere al relatore, al presidente e a tutti quelli che hanno lavorato, sottolineando anche l'atteggiamento collaborativo avuto da tutti i commissari e anche dalle stesse opposizioni. Il decreto-legge sospendeva le scadenze fiscali e contributive, per i comuni alluvionati della provincia di Modena, fino al 31 luglio di quest'anno. Con gli emendamenti che sono stati apportati e accolti dalla VI Commissione, tale riconoscimento è esteso giustamente anche ai centri del Veneto parimenti colpiti da eventi alluvionali, e il termine è spostato al 31 ottobre, quindi tre mesi in più, che sono un segnale significativo per queste comunità.
  Bene anche la sospensione dei ratei dei mutui, che è stata introdotte in sede di esame della Commissione, a beneficio delle famiglie e delle imprese, al fine di consentire una ripresa della normalità e la possibilità concreta di pagare. Ottimo, infine, che si sia recuperata – spero stavolta in via definitiva, siamo al terzo capitolo –, senza ulteriori intoppi, la proroga di tre anni per la restituzione dei finanziamenti ricevuti dalle imprese dell'area del sisma 2012 per il pagamento delle imposte. Siamo al terzo capitolo, spero che sia quello definitivo.
  Terremoto 2012 e alluvione 2014: è questa l'infausta specificità che riguarda alcuni dei comuni oggetto di questo provvedimento, avere cioè subito nel giro di venti mesi due calamità eccezionali per rilevanza e per danni prodotti sull'economia e sulla società, in questo caso modenese. È un doppio colpo durissimo all'apparato produttivo di una delle aree a più alta vocazione manifatturiera del Paese, al comparto dell'agricoltura, che vanta su quel territorio una quantità di eccellenze certificate protette che non ha eguali nel resto del Paese; ma naturalmente anche alle abitazioni private, alle infrastrutture pubbliche, eccetera. Molte aziende e famiglie stanno appunto tentando di rialzarsi dopo il terremoto del 2012 e si vedono arrivare nel mese di gennaio un'ondata di piena che travolge tutto inondando le campagne, i centri urbani, le zone artigiane, i poli dei servizi.
  Il provvedimento in esame ha dato e dà alcune importanti e tempestive risposte. Bene ! Credo occorra ora fare rapidamente il passo successivo riconoscendo fino in fondo lo stato di necessità che ho qui richiamato – e che il Governo ha ben visto anche con i propri occhi – e adottando un provvedimento, in questo caso ad hoc, che dia risposte puntuali e concrete ai bisogni che si sono ormai evidenziati con la conta dei danni. In particolare, che si sblocchino le risorse già previste per la messa in sicurezza del territorio, perché il disastro non abbia a ripetersi; che si mettano immediatamente le famiglie e le imprese nelle condizioni di avere credito dalle banche, per rialzarsi e ripartire; che si riconoscano i danni subiti dagli enti pubblici, dalle imprese e dalle famiglie assicurando anche adeguati indennizzi con procedure snelle e veloci che affidino a regione ed enti locali e sindaci, in particolare, gli strumenti per provvedere; che si consenta alla regioni, alle province e ai comuni di operare per ripristinare opere e servizi in deroga al Patto di stabilità; che si definiscano attraverso idonee e circoscritte leve, anche di fiscalità, in particolare per i centri più colpiti dal sisma e dall'alluvione insieme, quelle misure per scongiurare la desertificazione economica e sociale di un territorio geograficamente circoscritto per estensione ma certamente cruciale per lo sviluppo del Paese.
  Come ho detto, si tratta di risorse, naturalmente, ma soprattutto di leve e di strumenti che possano essere definiti in un provvedimento ad hoc, che diano la possibilità di mettere gli amministratori locali e la regione nelle condizioni di dare delle risposte tempestive, ora che la conta dei danni è stata fatta. È con questo auspicio e con questo impegno che oggi sosteniamo convintamente, come Partito Democratico, questo provvedimento e la sua rapida conversione in legge, anche per i significativi miglioramenti apportati – lo ripeto ancora una volta – dal Parlamento e che ho richiamato.Pag. 30
  Ma, al tempo stesso, ci rimbocchiamo le maniche per lavorare, ancora e da subito, affinché Governo e Parlamento adottino i provvedimenti necessari per le popolazioni alluvionate e terremotate.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Capezzone. Ne ha facoltà.

  DANIELE CAPEZZONE. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghe e colleghi, ringrazio moltissimo il collega Baruffi, che è appena intervenuto, il relatore per la maggioranza Sanga, per la sua analisi puntuale e corretta, e il relatore di minoranza Busin, che, pur esprimendo tutte le sue riserve, lo ha fatto con rigore, civiltà e puntualità.
  Signor Presidente, questo provvedimento è – io credo – un piccolo esempio, anch'esso positivo, di come abbiamo cercato di lavorare in questi dieci mesi nella Commissione finanze, in un clima davvero di concordia discors, in cui naturalmente ognuno fa la propria parte: la maggioranza cerca di dare il meglio di sé, esprimendo, come può e quando può, il suo profilo riformista, e le opposizioni cercano di fare altrettanto, valorizzando il nostro profilo liberale e modernizzatore, cercando sempre di tenere distinta la propaganda, che troppe volte avvolge il dibattito politico nel Paese, dai risultati concreti per il Paese e spesso siamo riusciti anche a coglierli insieme. Voglio citare una riforma storica di Equitalia pro contribuenti e una delega fiscale che è ora consegnata al Governo e su cui potrà attivarsi una sfida in positivo tra maggioranza e opposizione.
  Perché dico che anche questo provvedimento «monco», con una parte soppressa, stralciata, è un esempio positivo ? Perché, sul tema che era rimasto nel titolo, quello del rientro di capitali, ci era giunto un dono non positivo dal Governo precedente, dal Governo Letta-Alfano. Breve cronistoria: in campagna elettorale in tanti – lo avevamo fatto noi di Forza Italia – avevamo posto l'accento sull'utilità di un accordo con la Svizzera e poi di provvedimenti per il rientro dei capitali; naturalmente in campagna elettorale ce ne furono dette di tutti i colori, poi il buon senso si è fatto strada; si stava realizzando l'accordo con la Svizzera e il Governo Letta ha messo un po’ «il carro davanti ai buoi», anticipando tutto con un provvedimento che, dalla nostra analisi, poi confortata – lo dicevano bene il relatore per la maggioranza e il relatore di minoranza – da tante audizioni, emergeva come provvedimento che non avrebbe funzionato.
  Al di là di ogni giudizio politico e morale, questi provvedimenti funzionano se sono chiari, se sono semplici, se sono convenienti. Il testo iniziale del decreto-legge, nell'articolo 1, non era né chiaro, né semplice, né conveniente, e avrebbe determinato risultati di gettito assolutamente insoddisfacenti.
  È stata – io credo – una prova di buon senso del nuovo Governo, della maggioranza, delle opposizioni, senza eccezioni, dire: votiamo per la soppressione dell'articolo 1 e riconduciamo la discussione a delle proposte di legge parlamentare, che naturalmente ci impegniamo tutti a discutere in tempi rapidi e in tempi utili. I capigruppo di maggioranza, correttamente dal loro punto di vista, hanno trasfuso il testo del vecchio decreto-legge in una loro proposta di legge. Io, personalmente, mi sono fatto carico di proporre una proposta alternativa, che spero sia assunta come base di discussione.
  Sarebbe questo – io credo – un segnale importante da parte della maggioranza e del Governo: lavorare nello spirito della delega fiscale. Che senso avrà la proposta che abbiamo presentato noi ? Nessun, nessun, nessun cedimento condonizio, assolutamente, ma cercare di realizzare una norma che abbia quegli elementi di chiarezza, di semplicità, di convenienza, di salvaguardia dei professionisti, di patto onesto tra lo Stato e anche quei contribuenti che non si sono comportati correttamente in passato, che possa – io credo – garantire un buon gettito: questa sarebbe una buona notizia non solo per questo Governo, ma per l'Italia, per il Paese, in una fase in cui si cercano coperture, questo potrà essere un buon risultato. Ma questa è appunto una discussione Pag. 31che consegneremo alla fase successiva, prima del lavoro di Commissione e poi d'Aula.
  Dunque, cosa è rimasto in questo provvedimento ? Io credo alcune misure non negative.
  Abbiamo abrogato alcune norme della legge di stabilità, che intervenivano a gamba tesa su alcune detrazioni: al di là di ogni discussione di merito, è importante il metodo. Noi abbiamo detto: no, questa materia va ricondotta ad un lavoro che abbiamo già fatto bene nella delega fiscale e che io voglio riassumere qui, perché ha un valore per la maggioranza se, come io auguro, la maggioranza sarà capace di farne tesoro, ed è utile alle opposizioni, al MoVimento 5 Stelle, a noi di Forza Italia, alla Lega, se ne saremo anche noi capaci: usare quella delega fiscale.
  Noi che abbiamo detto sulle agevolazioni fiscali, che sono un mare magnum di soldi a pioggia ? Disboschiamo – perché va disboscato –, ma reindichiamo tutto quello che si disbosca in riduzione di tasse in modo sistematico; e lo stesso, per altro verso, sui sussidi alle imprese: disboschiamo anche lì, ma vincoliamo a riduzione di tasse, in questo secondo caso, a favore delle imprese. Quindi, è utile l'abrogazione di queste norme che intervenivano in modo estemporaneo e, invece, ricondurre ai buoni principi, che ho appena ricordato, contenuti nella delega fiscale.
  Sono anche norme di buon senso quelle che differiscono alcuni termini tributari e contributivi e, ancora di più per le ragioni che i colleghi hanno appena spiegato, quelle che sospendono alcuni termini di adempimenti tributari e contributivi per zone che sono state colpite da alluvioni o, comunque, calamità. La norma faceva originariamente riferimento alla realtà del modenese; vi è stato un intervento, io credo, serio, in Commissione per considerare altre realtà, come la realtà del Veneto, alcune realtà toscane, la realtà della Sardegna.
  Attenzione, anche questo io credo lo abbiamo fatto bene, con rigore, perché già nella fase della ammissibilità degli emendamenti e, poi, nel relativo voto e nel rapporto tra Commissione e Governo, abbiamo detto «sì» a tutte le misure di omogeneità e, quindi, di lavoro sugli adempimenti e sui termini degli adempimenti, e abbiamo detto «no» ad altre misure, altri fondi che potevano diventare una specie di refugium peccatorum, magari giustificato, ma, come spesso accade, appena c’è un veicolo, lo si usa anche per altre destinazioni, utili in astratto, ma discutibili. Io credo che abbiamo fatto una buona distinzione fra gli interventi omogenei che abbiamo tenuto dentro e le cose disomogenee che abbiamo tenuto fuori.
  Queste sono le ragioni che ci hanno indotto in Commissione e che ci indurranno in Aula ad un atteggiamento per noi di Forza Italia non contrario, non ostile a questo provvedimento – poi, vedremo le forme, anche alla luce di quello che sarà lo svolgimento d'Aula e l'andamento degli emendamenti, ma, certamente, un approccio non contrario e, ripeto, di appello – non chiediamo risposta oggi, ci mancherebbe altro, ci saranno riflessioni che la maggioranza e il Governo faranno –, un atteggiamento di attenzione, quando riprenderemo la discussione vera sul rientro dei capitali, alla proposta di legge che noi abbiamo presentato e che credo possa essere una base di discussione, di garanzia per tutti, per le opposizioni e per la maggioranza. Grazie, e buon lavoro a noi tutti.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Dall'Osso. Ne ha facoltà.

  MATTEO DALL'OSSO. Gentile Presidente, colleghi, conversione in legge del decreto-legge 28 gennaio 2014, n. 4, recante disposizioni urgenti in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all'estero, nonché altre disposizioni urgenti in materia tributaria e contributiva e di rinvio di termini relativi ad adempimenti tributari e contributivi: davanti ad un titolo del genere, che neanche la mia tesi di laurea undici anni fa, l'occasione è troppo ghiotta per me per chiedervi: ma vi rendete conto ? Signor Renzi – attraverso lei, Presidente, glielo chiedo –, ma si rende Pag. 32conto ? «tirendiconto.it» è il sito dove noi tutti restituiamo parte dei nostri stipendi e diarie, dove tutte le persone, tutti i cittadini possono andare a controllare ciò che sta accadendo qua; cosa che invito anche voi a fare, a restituire tutto il malloppo, perché di questo si tratta: lavorando undici anni da ingegnere non ho mai guadagnato così tanto e mai pensavo di guadagnare così tanto !
  Il mio intervento non vuole essere volto alla mera propaganda; certamente un'analisi della problematica espressa dal decreto-legge sarebbe d'uopo, ma nel dare il corretto inizio, rivolgo un plauso alla Guardia di finanzia e all'Agenzia delle entrate che ogni giorno operano ai fini del rispetto della legalità anche in materia tributaria. Sinceramente è sicuramente d'obbligo e interessante notare come il Governo ormai decaduto, il Governo Letta, avesse previsto, ai fini dei risultati espressi dal decreto-legge, anche una ammissione di colpa, di una contribuzione volontaria di coloro i quali abbiano esportato ed investito capitali all'estero, di certo, aspetto non trascurabile.
  È altresì vero che favorire il rientro di capitali prevedendo il pagamento dell'imposta non è certamente appetibile per soggetti i quali abbiano operato verso altri Paesi; quindi, che fare ? Controllare, rivedere, certamente con un periodo temporale ex tunc, ma con una impostazione nuova di contribuzione verso lo Stato che debba partire ex nunc e che non escluda nessuno, dal benestante a colui il quale necessita dell'ausilio dei servizi sociali. Il rientro dei capitali e la dichiarazione di investimenti operanti all'estero, ovvero il pagamento degli oneri dello Stato, sarebbe, e uso il condizionale anche se mi sarebbe piaciuto utilizzare un futuro prossimo, una via proficua di incremento delle risorse a disposizione del pubblico che andrebbero ad alleviare e a creare ausilio nei confronti di tutti quei cittadini che hanno sofferto e tuttora soffrono e sono in condizioni difficili a causa degli avvenimenti alluvionali che hanno interessato buona parte dell'Emilia Romagna e del Veneto.
  Rivolgo tramite lei, Presidente, l'invito al Presidente del Consiglio di ricordarsi di essere sempre stato, ma credo che nell'animo lo sia sempre, un sindaco e soprattutto in una città perla nel collier dei preziosi del mondo; lei, Presidente del Consiglio, è stato scout e a tal proposito mi piace ricordare che il fondatore del movimento degli scout, Sir Baden Powell utilizzava lo slogan: sii preparato, che tuttora si utilizza nel passaggio da esploratore ad esploratore scelto. Nuovamente, caro Presidente, questa volta dobbiamo esserlo tutti insieme «preparati». E bisogna esserlo come ? Primo, preparati a combattere l'evasione fiscale con maggiore delega alla Guardia di finanza e alla Agenzia delle entrate. Secondo, preparati a far fronte ai bisogni dei cittadini. Il MoVimento 5 Stelle, come ho detto prima, dona ogni mese il surplus non speso a un fondo dedicato alle piccole e medie imprese e vi ricordo che abbiamo lottato tre giorni e tre notti, davanti al MEF, il Ministero dell'economia delle finanze, dopo che il Ministro aveva accettato di aprire tale fondo. Terzo, preparati ad aiutare il prossimo e continuate a tenere ben presente l’«I care» di Don Milani e a non dimenticate mai che fuori da questo palazzo esiste un mondo che è quello dal quale noi proveniamo e di cui facciamo parte, il mondo dei cittadini, ed è bellissimo stare fuori. Quarto, preparati non solo a colpire gli evasori fiscali con ammende, ma a far suscitare anche dentro questi il sentimento di appartenenza che manca ad una comunità, quella degli italiani e degli europei. Quinto, preparati a difendere ciò che abbiamo da investitori stranieri che operano nell'acquisto con finalità diverse dal preservare integro un bene. Dobbiamo essere preparati, però, anche a dare risposte concrete. Emilia Romagna e Veneto stanno attendendo una risposta concreta ed immediata. I relativi presidenti di regione, benché operanti in silenzio, hanno necessità di ausilio dallo Stato; i miei corregionali, i miei amici del Veneto hanno bisogno di una risposta immediata del Governo.Pag. 33
  Sono trascorsi mesi. Anche se fosse uno solo, è trascorso un mese. Ma qui veramente, sono passati due mesi dalle alluvioni ed ancora nessuna risposta. Dovete muovervi per il bene dei cittadini; le popolazioni di Emilia Romagna e Veneto, oltre che delle deroghe in materia contributiva, hanno anche necessità di una attenzione particolare rispetto alla rimessa in produzione di tutto l'apparato industriale, artigianale sia nel settore agrario che manifatturiero.
  Presidente, le ricordo che anche gli amici friulani sono in attesa, dallo scorso mese di settembre, del riconoscimento dello stato di calamità e le rammento che anche gli amici campani e lucani hanno sofferto pesantemente per le avversità atmosferiche di inizio anno.
  A questo punto, Presidente, vorrei raccontarle la mia di esperienza. Come sapete, io sono di Bologna e il mio ricordo sui giorni del terremoto è davvero nitido; mi sembra passato un giorno, invece sono ormai passati due anni. La prima violenta scossa si è avuta nel cuore della notte mentre dormivo e la scossa è stata talmente forte che sono volato giù dal letto. Io non avevo capito di cosa si trattasse, ero caduto per terra, allora accesi la luce e vidi il lampadario oscillare e capii che si trattava di un terremoto e non ci credevo, ma mi mossi subito da quel luogo al fine di raggiungere una postazione sicura ovvero sotto la porta. Poi accesi la tv, la radio per sentire le notizie e capii ciò che stava succedendo, si trattava di un terremoto, con epicentro a Ferrara, una città a 50 chilometri di distanza.
  Pensai ad un incubo, invece il vero incubo doveva ancora arrivare ma l'incubo arrivò e arrivò anche presto, qualche giorno dopo, martedì per la precisione, solo che la differenza è che martedì mi trovavo in quel luogo chiamato lavoro. E devo fare i complimenti alla mia azienda perché tutti quanti, tutti e 500 sono usciti in maniera responsabile dall'azienda, senza mancare a questo loro compito per la loro stessa salvaguardia e tutto questo era già stato studiato prima perché quando ci si trova in quelle condizioni uno deve fare con quello che già sa e già avevamo fatto esercitazioni in tema.
  Ma il vero shock fu dopo, perché la mia azienda non ebbe danni, ma quando accesi la tv capii che cosa era successo e che la scossa era stata a Modena. Tutto era distrutto, tutto, non c'era rimasto più nulla: erano venute giù le case, case sbriciolare, le chiese, le chiese ridotte a brandelli e così le speranze e il futuro di tantissime persone. Quindi, sapete, quello che hanno provato è disperazione di una vita di sacrifici andati in fumo.
  Effettivamente come tutta la Camera mi disse all'1,30 di notte, «Buu, buffone, non sai leggere, ritirati...» Io ? A me ? «Sei ridicolo, ritirati». Non ci posso ancora credere. Quel giorno che ero al lavoro dalle 8,30 a.m. e quando mi attaccarono era l'1,30 a.m. sempre, però era un continuo, una non stop per salvare la Costituzione, la più bella al mondo, mamma mia. Al momento la Costituzione è salva, è vero, ma che cosa conta ? Tanto poi alla fine se si va a vedere nel concreto quello che si fa oggi è un passo oltre, ovviamente in negativo. Semplicemente non la si rispetta. Allora ci penso un attimo e poi mi dico: per fortuna che anche per l'ex Presidente del Consiglio, l'onorevole Letta, come disse qui alla Camera, nessuno deve rimanere indietro, facendo un po’ il nostro controcanto.
  Sapendo benissimo che questo era un nostro cavallo di battaglia, si prese merito di questa frase, facendo infuriare noi, che eravamo di qua attoniti, cioè noi che siamo qui oggi per ribadire il concetto. Come facciamo a fidarci ? Come possiamo fidarci ? E, come disse l'onorevole Letta, nessuno deve rimanere indietro, noi non dobbiamo lasciare nessuno indietro, dobbiamo rimanere uniti nelle avversità e utilizzare uno slogan europeo: uniti nelle diversità per il bene comune. E noi del MoVimento 5 Stelle aggiungeremmo anche: per la comunità europea.

  PRESIDENTE. Saluto gli studenti della Direzione didattica statale del secondo circolo di Termoli, in provincia di Campobasso, Pag. 34che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi). È iscritto a parlare l'onorevole Paglia. Ne ha facoltà.

  GIOVANNI PAGLIA. Signor Presidente, visto che è capitato di rado in questa legislatura, è giusto che io inizi esprimendo un parere positivo su questo decreto, sia per quanto riguarda i contenuti, sia per quanto riguarda in particolare il metodo che ha portato alla sua versione definitiva. Non era scontato infatti che oggi io potessi esprimermi in questo modo, se si pensa che quando, più di un mese fa, è cominciato l'iter parlamentare di questo decreto io stesso illustrai qui dentro una pregiudiziale di costituzionalità, che riterrei tuttora fondata, nonostante venne allora bocciatura della Camera, se non fosse che le ragioni che la ispirarono sono nel frattempo state espunte dal provvedimento. Per questo parlo di metodo positivo, perché, attraverso il confronto, l'acquisizione di pareri, il lavoro della VI Commissione e la disponibilità del Governo, siamo arrivati collettivamente ad una valutazione unanime circa la necessità di non procedere per via di decreto sull'articolo primo della versione originale.
  Parlo ovviamente del rientro volontario dei capitali illecitamente detenuti all'estero, voluntary disclosure per i tanti anglofili, ovvero dell'ipotesi che chi abbia portato del denaro in altri Paesi senza dichiararlo, sottraendosi così agli obblighi con il fisco italiano, possa autodenunciarsi in cambio di uno sconto di pena e di una riduzione delle sanzioni. Tali sconti di pena riguarderebbero anche i reati di evasione fiscale all'origine di quella accumulazione di risorse, che diventerebbero libere e potrebbero rientrare in Italia. Abbiamo discusso se si possa e debba utilizzare il termine condono per un'operazione di questo tipo. Molti, devo dire, erano dell'opinione che non fosse corretto. Io invece devo dire, anche alla fine del dibattito, resto dell'idea che fossimo davanti ad una proposta di condono sostanziale e che quindi fosse necessario ritirarla, perché questo Paese – credo – non avanzerà di un passo, in nessun verso, fino a quando non avrà la forza di rinunciare una volta per sempre all'idea che i reati finanziari non siano una questione minore, per cui si possa periodicamente chiedere e ottenere perdono attraverso il versamento di un obolo, ma un vero attentato alla sicurezza sociale nazionale.
  Si tratta di chiudere una volta per tutte questo mercato dell'indulgenza plenaria costantemente aperto e di assumere quell'atteggiamento che porta in Germania il presidente del Bayern Monaco a pagare e scontare la pena anche in carcere, senza che questo crei scandalo o turbamento. Quindi, se è giusto da un lato liberare magistratura e Guardia di finanza dall'onere di perseguire penalmente questioni di scarso rilievo, altrettanto lo è avere l'atteggiamento opposto per l'evasione reale, quella consapevole, che comincia – io credo – dalle decine di migliaia di euro, quella di cui parliamo quando ci riferiamo ai capitali detenuti all'estero, se è vero che le poche stime disponibili ipotizzano almeno 250 miliardi di euro riferiti a 100 mila persone, ovvero una media di 2 milioni e mezzo di euro ciascuno. Diventa d'altronde chiaro di cosa parliamo se si pensa che la Svizzera considera ogni deposito inferiore a 500 mila euro una questione di relativo, per non dire scarso, interesse per le sue banche. Cifre enormi, quindi, riferibili a furti nei confronti della collettività o ad attività economiche criminali in tutti i sensi, con cui certo dobbiamo porci il tema di fare i conti, e di farlo rapidamente, ma senza l'ossessione di individuare la soluzione più semplice, la solita scorciatoia, quella che punta a fare cassa rapidamente per venire incontro alle esigenze di una politica che deve dare ossigeno a promesse improvvisate.
  A questo punto io vorrei fare un inciso. Noi abbiamo passato lo scorso anno ad inseguire l'abolizione dell'IMU prima casa e le relative risorse necessarie, per cui ogni decreto puntava a coprire i buchi aperti dalle fantasiose coperture di quello che lo precedeva, fino al dramma finale del decreto IMU-Bankitalia, che ci ha messo la chiosa finale. Non vorrei che quest'anno si Pag. 35inaugurasse lo stesso andazzo con gli ipotizzati sgravi fiscali a favore dei lavoratori dipendenti a reddito basso, ma non troppo. Lo dico perché sia chiaro che noi abbiamo accettato che le modalità di voluntary disclosure uscissero da questo decreto per entrare in un progetto di legge da discutere e approvare in novanta giorni, ma non accetteremo mai che questo lasso di tempo sia utilizzato per trovare soldi pochi, maledetti, ma subito, anziché per cercare un equilibrio positivo fra interesse pubblico, tutela della legalità, e possibilità di superare volontariamente situazioni negative.
  Mi spiego meglio. Se oggi noi siamo nelle condizioni di fare questo dibattito senza sprofondare nella vergogna dei vari scudi fiscali è solo per un cambio di atteggiamento a livello internazionale nei confronti dei paradisi fiscali e del segreto bancario. L'Italia d'altronde non è l'alfiere di questo dibattito, ma segue invece quanto già è stato ottenuto, per esempio dagli Stati Uniti e poi, dalla Germania in termini di accordo bilaterale con la Svizzera e quanto in via di definizione in sede OCSE.
  Le ragioni di questo nuovo approccio sono da ricercarsi nella consapevolezza che la stretta nelle politiche di bilancio non è più compatibile con la tolleranza nei confronti di qualsiasi forma di evasione fiscale, consapevolezza che peraltro la politica italiana non sembra ancora aver sufficientemente acquisito, o almeno non tutti. Ora, noi un accordo con la Svizzera sulla trasparenza non l'abbiamo ancora firmato, anche se pare che lo faremo a breve. Allo stesso tempo, non abbiamo ancora previsto l'introduzione del reato di autoriciclaggio, anche se pare anche qui che sia maturata la volontà politica di farlo.
  Io credo quindi che sia in parallelo a questi due provvedimenti che debba marciare la facilitazione di un ravvedimento operoso, che deve tuttavia essere motivato dalla paura di essere scoperti, molto più che dalle facilitazioni introdotte. Noi abbiamo bisogno che si sia indotti ad accettare il male minore, ovvero un rimborso molto sostanziale di quanto sottratto, perché si avvicina la certezza di un male molto peggiore, sia in termini penali che sanzionatori. Dobbiamo invece evitare di allargare le maglie della clemenza di Stato fino alla soglia della necessità, perché pressati dalla volontà di un Governo alla ricerca di risorse da campagna elettorale, o, dall'altro lato, perché inseguenti una cultura che considera l'evasione fiscale una sorta di diritto di resistenza. Io oggi non sono in grado di dire in quale direzione si incamminerà il dibattito e quindi le nostre scelte. Quello che so è che per il momento incasso il risultato di non doverlo chiudere oggi questo dibattito, sapendo che non lo vogliamo rimandare sine die, che non vogliamo derubricarlo a problema inesistente, ma che abbiamo invece la volontà di affrontarlo seriamente e nel giusto contesto politico e temporale, senza rigidità ideologiche e con il pragmatismo necessario, che significa però, questo pragmatismo, la volontà di arrivare nei tempi giusti al massimo risultato possibile per le casse dello Stato, non altro.
  Veniamo quindi a ciò che resta di un decreto che ha perso la testa, ma fortunatamente ha mantenuto la coda, riuscendo anzi a migliorarla, grazie ad un buon lavoro fatto dal Parlamento e grazie anche al Governo. Parlo qui delle misure in favore delle popolazioni colpite dall'alluvione del 19 gennaio, che ha colpito la provincia di Modena e soprattutto i comuni di Bomporto e Bastiglia.
  Noi oggi interveniamo con una serie di misure che garantiscono il rinvio di tutti gli adempimenti tributari a cittadini e imprese, e questo è il minimo indispensabile per garantire di non entrare in crisi di liquidità, nel momento in cui c’è un evidente rallentamento dell'attività economica dovuta a fattori esogeni. Interveniamo anche introducendo la possibilità di individuare di concerto con Associazione bancaria italiana, forme di sospensione temporanea dei pagamenti di mutui e altri prestiti, contratti da aziende e cittadini, e lo facciamo grazie ad nostro un emendamento accolto dal relatore e dal Governo, che ringrazio, come ringrazio anche la Pag. 36collega Ghizzoni per tutto l'impegno messo per migliorare in punti sensibili il provvedimento.
  Spostiamo anche in avanti alcune scadenze, evitandoci così la prassi negativa di dover continuamente intervenire per via legislativa per allungare termini temporali di cui già si conosceva al momento dell'approvazione l'insufficienza. Misure quindi positive, condivise da tutte le forze politiche, dal Governo e anche dagli enti locali interessati, cui dovranno poi seguire le risorse necessarie al risarcimento pieno dei danni, che sono tanti e sono ingenti, e sono dovuti non solo e non tanto ad un evento naturale, ma all'insufficienza dell'azione umana in termini di manutenzione e controllo. Io oggi qui non mi voglio soffermare sulle cause dell'alluvione emiliana, dato che sono già calendarizzate in quest'Aula mozioni che ci daranno a breve la possibilità di discutere dettagliatamente proprio di quell'evento.
  Non posso, tuttavia, non ricordare sin d'ora che, se centinaia di ettari di terreno sono stati invasi dalle acque, è perché si è spezzato un argine, senza che ci fossero cause naturali sufficienti a provocarne la rottura. Questo colpisce particolarmente quando si tratta di una calamità che incide, probabilmente non a caso, su una zona ad alta antropizzazione, dopo anni di calo delle risorse messe a disposizione delle autorità locali per garantire la migliore sicurezza idraulica. E dovremmo ricordare che, in simili condizioni, sicurezza dovrebbe significare eliminare il seppur minimo rischio, dato il livello dei danni che esso immediatamente causerebbe, e non mettersi in una condizione di relativa certezza, salvo casi eccezionali (sono proprio i casi eccezionali a determinare la sicurezza). Quindi, per esempio, bisognerebbe capire che diminuire il livello di attenzione, magari riducendo da due a uno gli interventi annuali in talune aree, non è un virtuoso esempio di risparmio, non è spending review, non sono risorse pubbliche che rientrano, ma è il passaggio, magari stretto, magari apparentemente chiuso, in cui, però, possono infilarsi situazioni come quelle che abbiamo vissuto in Emilia di recente, che, per essere poi recuperate, necessiteranno di risorse ben maggiori di quelle risparmiate al momento.
  Ecco perché, nel momento in cui ci esprimiamo a favore di questo provvedimento del giorno dopo, vorremmo avere la garanzia che sia prossimo il momento in cui vedremo il provvedimento del giorno prima, ovvero quel grande piano di manutenzione del territorio italiano che entra nel dibattito dei giorni dedicati alle chiacchiere, ma poi ne esce puntualmente nei giorni destinati ai fatti.
  Noi una proposta, e concludo, l'abbiamo fatta: si chiama piano per un green new deal. Costa meno di quanto previsto dal Presidente del Consiglio per gli sgravi IRPEF, crea un milione e mezzo di posti di lavoro in tre anni, ha coperture certe e garantisce la salvaguardia dell'Italia dalle catastrofi che ormai accompagnano ogni nostro autunno-inverno. Come credo sappiate, noi non siamo mai gelosi delle nostre idee, ma, anzi, vi invitiamo a copiarle, e anche stavolta facciamo lo stesso (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 2012-A)

  PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore per la maggioranza e il relatore di minoranza rinunziano ad intervenire in sede di replica.
  Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

  ENRICO ZANETTI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, in modo telegrafico, intervengo sui tre articoli. Per quanto riguarda il primo articolo, che è quello legato al rientro dei capitali, il Governo ha accolto positivamente gli inviti, provenienti dai componenti dei gruppi e dalla Commissione, Pag. 37per il suo stralcio, non perché avesse un giudizio negativo sulla misura, che, anzi, ritiene essere una misura importante, o sul testo, per quanto, sicuramente, lo stesso sia perfettibile, anche alla luce delle audizioni che si sono tenute, ma proprio per poter sviluppare, nel modo più armonico possibile, il dibattito su quello che, ribadisco, costituisce un provvedimento comunque importante, da adottarsi in tempi comunque rapidi.
  A questo proposito, aggiungo anche che, siccome questo provvedimento comunque aveva già attivato delle aspettative, tanto che sono alcune decine le istanze che sono state presentate, il Governo invita i relatori, il Comitato dei nove, la Commissione, a valutare la previsione di una norma transitoria che faccia salvi gli effetti per coloro che hanno presentato tali istanze, se non altro nelle more dell'approvazione di un'eventuale nuova disciplina. Su questo, il Governo è pronto a dare tutta la collaborazione alla Commissione.
  Per quanto riguarda l'articolo 2, mi limito a ricordare che il Governo ha positivamente collaborato con la Commissione per dare spazio a quella maggiore flessibilità richiesta dagli enti locali nell'utilizzo delle anticipazioni di tesoreria; è stata una richiesta che abbiamo assolutamente accolto e fatta nostra. Per quanto riguarda l'articolo 3, articolo al quale sono state apportate, in sede di Commissione, varie modifiche, tutte assolutamente condivisibili in termini di volontà di intervento, ricordo, comunque, il contesto in cui si è sviluppato il dibattito in Commissione, cioè un contesto nell'ambito del quale, tra la presentazione degli emendamenti e il dibattito stesso, vi è stato un arco temporale assolutamente minimo, che ha reso particolarmente complessa l'attività non soltanto per gli uffici della Commissione stessa in ordine alla pronuncia delle inammissibilità, ma anche per quanto riguarda gli uffici del MEF in ordine all'individuazione degli emendamenti che risultavano pienamente coperti rispetto a quelli per i quali, magari, qualche problema di copertura poteva esserci.
  E come ho detto in quella sede ribadisco in questa: per alcune misure che non avevano un giudizio già puntuale, definito, chiaro circa gli eventuali problemi di copertura, abbiamo ritenuto di dare spazio, rimettendoci però ovviamente anche a quello che sarà il completamento dell'iter di esame da parte degli uffici, con una tempistica questa volta adeguata, che porterà poi a vedere ciò che accadrà domani anche in Commissione bilancio, posto che potrebbe verificarsi, appunto in relazione ad alcune di queste misure, che si renda necessaria una loro rivisitazione, ove emergesse che gli emendamenti proposti non erano realmente accompagnati da una copertura piena. Questo era l'approccio che abbiamo usato in Commissione, lo ribadisco in questa sede e vedremo domani, cercando naturalmente di operare per il meglio.

  PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
  Sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 14,30 con la discussione sulle linee generali della proposta di legge sull'istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro.

  La seduta, sospesa alle 13,50 è ripresa alle 14,30.

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati La Russa e Lotti sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
  Pertanto i deputati in missione sono complessivamente ottantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Pag. 38

Discussione della proposta di legge: Fioroni ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro (A.C. 1843-A).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge d'iniziativa dei deputati Fioroni ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1843-A )

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore, presidente della Commissione affari costituzionali, onorevole Sisto.

  FRANCESCO PAOLO SISTO, Relatore. Signor Presidente, prendo la parola e non sarò certamente capace quanto lo è stato Gianclaudio Bressa in una memorabile relazione in Commissione. Dico memorabile perché lo è stato davvero in ordine a questa scelta di istituire una Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, perché l'evento è stato mirabilmente disegnato in quell'occasione e, soprattutto, sono state chiarite le ragioni di questa iniziativa.
  Io posso soltanto ricordare che quando accadde questo evento io ero studente universitario e ricordo in quelle aule quanto questo evento anche sugli studenti ebbe la capacità di indurre, per così dire, ad una preoccupazione più che ad un'emozione. Mi sembra che non fu il senso del dramma per il rapimento e poi per la morte, ma il senso di sgomento per l'attacco frontale alle istituzioni e sostanzialmente per l'incapacità dello Stato di rispondere efficacemente a questa aggressione senza pari.
  Ricordo preliminarmente che la I Commissione, nella seduta del 5 novembre 2013 aveva conferito il mandato al relatore a riferire all'Assemblea in senso favorevole su un provvedimento, il Documento XXII n. 13, che istituiva una Commissione analoga a quella del provvedimento oggi all'esame dell'Assemblea, ma monocamerale.
  La I Commissione del Senato inizialmente aveva avviato l'esame di una proposta di legge di istituzione di una Commissione bicamerale di inchiesta sulle stragi avvenute in Italia, che comprendeva anche il rapimento e l'assassinio di Aldo Moro – questa invece è una proposta che riguarda il rapimento e la morte di Aldo Moro, ovviamente per rendere il lavoro della Commissione più proficuo e più centrato su un evento come se fosse una sorta di campionatura assolutamente straordinaria per partire dalla punta dell’iceberg e poi raggiungere il basamento, direi di grande complessità, della stessa vicenda – e ha poi approvato in sede referente un Documento sull'istituzione di una Commissione monocamerale analoga a quella della Camera. È maturata quindi l'esigenza di seguire la strada dell'istituzione di una Commissione bicamerale sul rapimento e la morte di Aldo Moro, per evitare una duplicazione di organi parlamentari.
  La I Commissione ha iniziato l'esame della proposta di legge Atto Camera n. 1843 nella seduta del 10 dicembre 2013; nella seduta del 17 dicembre 2013 è stato approvato l'emendamento Dadone 3.1. Sul testo risultante dall'esame degli emendamenti la II Commissione e la V Commissione hanno espresso parere favorevole.
  Nella seduta del 9 gennaio 2014 la I Commissione ha conferito il mandato al relatore, onorevole Bressa, di riferire in Pag. 39senso favorevole all'Assemblea sul provvedimento. In seguito alla nomina del collega Bressa a sottosegretario di Stato per gli affari regionali, la Commissione, nella seduta del 13 marzo 2014, ha deliberato di sostituirlo attribuendo al presidente della Commissione la funzione di relatore per l'Assemblea.
  La proposta di legge oggi all'esame dell'Assemblea riproduce in sostanza il testo del documento parlamentare approvato in sede referente dalla I Commissione con alcuni adattamenti alla natura diversa (bicamerale) della Commissione che si propone di istituire. A tal proposito, il modello preso come riferimento di istituzione di una Commissione d'inchiesta bicamerale è quello della legge istitutiva della Commissione antimafia per la XVII legislatura.
  Quanto ai contenuti, l'articolo 1 dispone l'istituzione della Commissione e ne definisce compiti e poteri. Compito della Commissione è quello di accertare eventuali nuovi elementi che possano integrare le conoscenze acquisite dalle precedenti Commissioni di inchiesta sui medesimi fatti, nonché di accertare eventuali responsabilità riconducibili ad apparati, strutture e organizzazione comunque denominati ovvero a persone ad essi appartenenti o appartenute. La rassegna stampa di questi giorni dimostra quanto questa esigenza sia viva e sentita.
  L'articolo 2 stabilisce che la Commissione concluda i propri lavori entro diciotto mesi dalla sua costituzione con la presentazione di una relazione alla Camera. In linea con quanto previsto dal Regolamento della Camera, è ammessa la presentazione di relazioni di minoranza.
  L'articolo 3 definisce la composizione della Commissione. Il comma 1 originariamente stabiliva il numero di componenti in venticinque senatori e venticinque deputati.
  La I Commissione, con l'approvazione dell'emendamento Dadone 3.1, ha ridotto il numero di componenti a venti senatori e venti deputati. Il medesimo comma 1 stabilisce che i componenti sono scelti dal Presidente del Senato e dal Presidente della Camera in proporzione al numero di componenti i gruppi parlamentari, assicurando comunque la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo esistente in Parlamento. Il comma 2 prevede che la Commissione sia convocata dal Presidente del Senato e dal Presidente della Camera, d'intesa tra loro, entro dieci giorni dalla nomina dei componenti per la sua costituzione. I commi 3 e 4 dispongono che l'ufficio di presidenza, composto dal presidente, da due vicepresidenti e da due segretari sia eletto con la procedura prevista dall'articolo 20 del Regolamento della Camera per le Commissioni permanenti. Il comma 5 stabilisce che le disposizioni dei commi 3 e 4 si applicano anche per le elezioni suppletive.
  L'articolo 4, al comma 1, statuisce che, ferme restando le competenze dell'autorità giudiziaria, per le audizioni a testimonianza davanti alla Commissione si applicano le disposizioni previste dagli articoli 366, in materia di rifiuto di uffici legalmente dovuti, e 372, in materia di falsa testimonianza, del codice penale. Il comma 2 dispone che si applichino le norme vigenti per il segreto d'ufficio, professionale e bancario. Per il segreto di Stato si dispone l'applicazione delle previsioni della legge n. 124 del 2007. In nessun caso possono essere oggetto di segreto di Stato notizie, documenti o cose relativi a fatti di terrorismo o eversivi dell'ordine costituzionale. Il comma 3 stabilisce che è sempre opponibile il segreto tra difensore e parte processuale nell'ambito del mandato. Il comma 4 dispone l'applicazione dell'articolo 203 del codice penale che prevede che gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, nonché il personale dipendente dai servizi per le informazioni e la sicurezza militare o democratica non possano essere obbligati a rivelare i nomi dei loro informatori e che, nel caso che questi non siano esaminati come testimoni, le informazioni da essi fornite non possano essere acquisite né utilizzate.
  L'articolo 5 concerne poteri e limiti della Commissione. Il comma 1, in particolare, prevede che la Commissione proceda Pag. 40alle indagini e agli esami con le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria. Il comma 2 limita al solo accompagnamento coattivo, di cui all'articolo 133 del codice penale, il potere di adozione di provvedimenti attinenti alla libertà personale, alla libertà e alla segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione. Il comma 3 dispone che la Commissione possa richiedere, anche in deroga al divieto stabilito dall'articolo 329 del codice di procedura penale, copie di atti e documenti riguardanti procedimenti e inchieste in corso presso l'autorità giudiziaria o altri organi inquirenti, nonché copie o atti di documenti concernenti indagini e inchieste parlamentari. Ai sensi del comma 4, la Commissione è tenuta a garantire il mantenimento del regime di segretezza degli atti e documenti trasmessi in copia fino a quando gli stessi siano coperti da segreto. Il comma 6 disciplina le modalità di trasmissione della copia degli atti e dei documenti da parte dell'autorità giudiziaria. Essa deve provvedere tempestivamente alla trasmissione, che può essere ritardata solo per ragioni di natura istruttoria con un decreto motivato che ha efficacia per sei mesi e può essere rinnovato, ma mai oltre la chiusura delle indagini preliminari. Il comma 5 prevede che la Commissione possa acquisire da parte di organi e uffici della pubblica amministrazione copie di atti e documenti attinenti alle finalità di istituzione della Commissione d'inchiesta. Con riguardo agli atti e documenti di altre Commissioni parlamentari di inchiesta assoggettati al vincolo di segreto funzionale, il comma 7 statuisce che tale segreto non possa essere opposto alla Commissione di inchiesta oggetto del provvedimento all'esame dell'Assemblea. Infine, il comma 8 dell'articolo 3 conferisce alla Commissione il potere di determinare quali atti e documenti non debbano essere divulgati.
  L'articolo 6 dispone l'obbligo del segreto per i componenti della Commissione, per i funzionari e il personale e per coloro che collaborano a vario titolo con la Commissione medesima. Il comma 2 prevede una sanzione penale per la violazione del segreto, ai sensi ovviamente dell'articolo 326 del codice penale, mentre il comma 3 prevede l'applicazione delle medesime pene di cui al comma 2 per chiunque diffonda, anche parzialmente, atti e documenti del procedimento di inchiesta sottoposti al divieto di divulgazione.
  L'articolo 7 definisce l'organizzazione interna della Commissione. Il comma 1 dispone, infatti, che l'attività della Commissione sia disciplinata da un regolamento interno approvato dalla Commissione medesima all'inizio dei propri lavori e che ciascun componente possa proporre la modifica delle norme del regolamento medesimo. Il comma 2 prevede che la Commissione possa riunirsi, se lo ritiene opportuno, in seduta segreta. Il comma 3 stabilisce che la Commissione possa avvalersi dell'opera di personale di polizia giudiziaria e delle collaborazioni che ritenga necessarie. In analogia con la legge istitutiva della Commissione antimafia si prevede che il regolamento interno stabilisca il numero massimo di collaborazioni di cui può avvalersi la Commissione. Il comma 4 prevede che per l'adempimento delle proprie funzioni la Commissione fruisca di personale, locali e strumenti operativi messi a disposizione dai Presidenti delle Camere, d'intesa tra di loro. Il comma 5 prevede per il funzionamento della Commissione uno stanziamento a carico per metà del bilancio del Senato e per metà del bilancio della Camera di 60 mila euro, differenziati per gli anni 2014 e 2015. Tale stanziamento, rimanendo inalterato, potrebbe però essere rimodulato tenendo conto della data di effettiva istituzione della Commissione. Ai sensi del comma 6 dell'articolo 7 la Commissione cura l'informatizzazione dei documenti acquisiti o prodotti.
  L'articolo 8, infine, dispone l'entrata in vigore del provvedimento il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
  Presidente, a margine di questa relazione illustrativa del tessuto normativo su cui ci accingiamo a discutere, voglio dire che qualcuno potrebbe pensare che l'istituzione Pag. 41di questa Commissione possa costituire una sorta di ritorno al passato, cioè non abbia attualità.
  Ecco, io credo che questo sia un timore che vada immediatamente fugato perché non c’è niente di più attuale che comprendere le ragioni per cui questo evento, drammatico, ma storicamente ben determinato, è stato causato, soprattutto raffrontandolo con quell'opera di ricognizione delle fonti che soltanto una Commissione parlamentare, perlopiù bicamerale, può consegnare alla storia di questo Parlamento in termini di sicura accettabilità.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, se non si riserva di intervenire in sede di replica.

  VITO DE FILIPPO, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, onorevoli, semplicemente per esprimere un parere nel complesso soddisfacente da parte del Governo sulla proposta che abbiamo ascoltato descritta dal presidente Sisto.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Martella. Ne ha facoltà.

  ANDREA MARTELLA. Signor Presidente, colleghi deputati, sono passati esattamente trentasei anni da quella terribile mattina del 1978. Era il 16 marzo, alle 10: in quest'Aula il Presidente della Camera Pietro Ingrao diede notizia del rapimento di Aldo Moro e della barbara uccisione degli uomini della sua scorta da parte di un commando delle Brigate rosse. Era successo tutto meno di un'ora prima. I nostri colleghi di allora, come sapete, erano già qui pronti ad ascoltare le parole di Giulio Andreotti, incaricato di formare un nuovo Governo. Il Presidente Ingrao, però, prese una decisione: non lesse il discorso che aveva preparato, non aprì il dibattito, sospese la seduta. In quel momento pensai – avrebbe raccontato tempo dopo – che più che le parole, le lacrime o gli appelli era necessario un Governo. Giusto o sbagliato, questo fu il mio assillo, così disse. Era l'unico atto concreto che potevo fare.
  Così avvenne. La fiducia fu votata quel giorno, in piena notte, lo stesso fece il Senato. Fu la prima indispensabile risposta delle istituzioni repubblicane e delle forze politiche. Perché è chiaro, nonostante nelle ricostruzioni successive i brigatisti abbiano sostenuto la casualità della coincidenza tra il rapimento di Moro e la fiducia al nuovo Governo Andreotti, che quel giorno fu anche sferrato un attacco alla strategia della solidarietà nazionale perseguita da Aldo Moro ed Enrico Berlinguer.
  Le Brigate rosse non sapevano in quel momento, che a loro sembrava di trionfo, che il rapimento e soprattutto l'assassinio di Moro avrebbero in realtà segnato la loro sconfitta e quella del loro perverso progetto. La parabola del terrorismo iniziò la sua inesorabile discesa, anche se purtroppo la scia di sangue sarebbe continuata a lungo: da Vittorio Bachelet ad Ezio Tarantelli fino alla follia davvero fuori dal tempo delle uccisioni molti anni dopo di due giuslavoristi, di due veri riformisti come Massimo D'Antona e Marco Biagi.
  Ma se quella pagina buia è chiusa non si è potuto dire davvero lo stesso per la ricerca della verità, per il chiarimento delle ragioni e delle circostanze che, tra marzo e maggio del 1978, condussero ad un esito così tragico per l'uomo Aldo Moro che vide spezzata la sua vita, per lo statista del quale l'Italia fu privata, per la storia del nostro Paese che imboccò una strada diversa da quella che proprio Moro stava faticosamente cercando di costruire.
  Per tutto questo, anche dopo trentasei anni, il gruppo del Partito Democratico ritiene che sia utile ed importante l'istituzione di una Commissione di inchiesta che faccia piena luce sul caso Moro.
  Perché dopo tanti anni cercare ancora la verità ? La domanda è sicuramente legittima ma ad essa si può rispondere riaffermando anzitutto un principio: la forza di uno Stato democratico, di una società libera e coesa sta anche nel riconoscere Pag. 42la propria storia e nel trasmetterla alle nuove generazioni. Fino a quando sul caso Moro non sapremo l'intera verità, da un lato, saremo tutti più deboli, dall'altro, saremo meno attrezzati nella risposta a tanti pericoli che possono addensarsi attorno alla nostra democrazia. Perché una democrazia – non lo si dimentichi mai – è un bene tanto prezioso quanto fragile che va difeso e affermato giorno per giorno.
  Giovanni Moro, nel suo saggio sugli anni Settanta, descritti giustamente come quelli della partecipazione e delle riforme ma anche delle vittime e dei carnefici, scrive che attorno ad essi il silenzio è forse l'atteggiamento più comune, quasi fossero una sorta di intercapedine tra lo sviluppo economico, sociale e culturale degli anni Sessanta e l'individualismo rampante degli anni Ottanta. Bene, se è così, ogni occasione, compreso il dossier sui punti nevralgici e le mancate verità sul caso Moro, preparato dal nostro gruppo per iniziativa, in particolare, dell'onorevole Gero Grassi, che ha fatto un lavoro preziosissimo e davvero importante, può e deve servire a rompere questo silenzio, soprattutto se il quadro che emerge da questo dossier è un'inquietante nebulosa di omissioni, ritardi complicità e deviazioni di organi dello Stato.
  Ecco perché, allora, ha senso l'istituzione della Commissione di inchiesta sul rapimento e l'omicidio di Aldo Moro. È un riconoscimento ulteriore per uno statista che appartiene all'Italia, non a questa o a quella parte politica. Sbaglierebbe chi pensasse di potersene appropriare, farebbe un torto alla sua memoria, che non può essere strumentalizzata a fini di parte.
  L'idea di Moro era quella del confronto e, direi, anche se non è una bella parola, della contaminazione tra diversi. Pochi mesi prima di morire, nel novembre del 1977, Moro osservava: non è mancata in questi anni una reciproca influenza tra la DC e il PCI, e, quale che sia, la posizione nella quale ci si confronta, qualcosa rimane di noi negli altri e degli altri in noi.
  L'impresa più grande alla quale Moro lavorò, pagando il prezzo più alto immaginabile, è quella che abbiamo ancora di fronte a noi, cioè portare a compimento il faticoso processo di evoluzione del processo e del sistema democratico italiano.
  Pensate, cari colleghi, a quanto diceva nel 1974 in quest'Aula, presentando il suo Governo: c’è una sproporzione, una disarmonia, un'incoerenza, tra società civile, ricca di molteplici espressioni ed articolazioni, ed una vita politica stanca, ridotta a sintesi inadeguate e talvolta persino impotente. Sembra di sentire parole di oggi. In lui c'era un'inquietudine crescente per l'approfondirsi del divario tra una società in fermento, in particolare dopo il 1968, e una politica bloccata, una democrazia difficile con ridotte possibilità di un vero e continuo succedersi di forze politiche nella gestione del potere.
  A questo blocco, a queste difficoltà lui contrapponeva l'obiettivo di dare vita ad una democrazia compiuta, ad un sistema fondato su una competizione leale e trasparente tra posizioni politiche e programmatiche alternative. Ed è quasi incredibile constatare che da queste parole ci separano quarant'anni esatti; ma la sostanza del problema che oggi ancora noi abbiamo di fronte è esattamente questa: fare della nostra democrazia una democrazia funzionante e compiuta; portare a compimento le riforme che servono al raggiungimento di questo obiettivo storico.
  La visione di Aldo Moro, come sottolineò lui stesso una volta, era ispirata alla volontà di escludere le cose mediocri per fare posto a cose grandi. Ecco, allora, colleghi, oggi proviamo a fare lo stesso, proviamo con l'istituzione di questa Commissione a mettere al primo posto, nell'interesse del Paese e delle generazioni che verranno, la ricerca della verità e il rispetto della nostra storia comune. Facciamolo, e sarà anche questo un modo, un modo positivo, per contribuire a costruire un futuro migliore (Applausi).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rocco Palese. Ne ha facoltà.

  ROCCO PALESE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, proprio ieri ricorreva Pag. 43l'anniversario del 16 marzo 1978. Trentasei anni ! Trentasei anni dall'eccidio dei cinque uomini della scorta e dal rapimento dell'onorevole Aldo Moro, a cui seguirono 55 terribili giorni. E oggi ancora noi siamo a chiederci che cosa successe prima, durante e dopo quei 55 giorni.
  Molte sono state le ricostruzioni, molte le Commissioni d'inchiesta istituite e i processi penali (sei), tantissimi libri e addirittura filmati, ma ancora ad oggi non abbiamo raggiunto, come Paese, la verità su quell'omicidio e su quella interruzione di percorso politico.
  Poco fa l'onorevole Martella ricordava i discorsi, io aggiungo le lettere dal carcere, che, se noi andiamo a rivedere e a leggere, sono profetiche e quanto mai attuali. Per tutto questo, io penso che l'iniziativa che si è assunta dell'istituzione di una Commissione bicamerale di inchiesta sia fortemente necessaria, per tentare – questa volta in via definitiva – di raggiungere l'obiettivo di fare piena luce su un caso eclatante.
  Ricordo che ero studente a Bologna, città provata già un anno prima con l'incidente con Autonomia Operaia e l'omicidio dello studente Pier Francesco Lorusso e con l'occupazione dell'intera città universitaria con i carri armati. Ma lo sgomento che provò e che vide globalmente la città un anno dopo, quando ci fu il rapimento di Aldo Moro, fu nettamente superiore. Per questo, la costituzione di una Commissione d'inchiesta rappresenta per questo Parlamento un atto di fondamentale importanza e di alto significato.
  Il potere di inchiesta è attribuito a ciascuna Camera dall'articolo 82 della Costituzione e rappresenta un impegno solenne del Parlamento: impegnarsi per ricercare tutta la verità è, infatti, uno dei migliori servizi che come deputati possiamo fare per il rafforzamento e la credibilità delle nostre istituzioni.
  La Commissione di inchiesta di cui con questo provvedimento si propone la costituzione non è nuova alle cronache: ma la cronaca di oggi ci conferma che, a 36 anni di distanza, sono presenti ancora veleni, depistaggi e misteri sull'omicidio di Aldo Moro, e il caso rappresenta tuttora una pagina oscura della storia repubblicana.
  Nel corso degli ultimi mesi, nuove rivelazioni e dichiarazioni hanno riacceso i riflettori sul caso Moro, e sembrano emergere alcuni rilevanti elementi di novità, così come anche riportati, illustrati e messi in evidenza dal corposo dossier che il collega Gero Grassi ha messo in essere e che è sul sito del Partito Democratico.
  In particolare, ha suscitato insieme attenzione e sgomento quanto sostenuto da Ferdinando Imposimato, nel volume I 55 giorni che hanno cambiato l'Italia. Imposimato, ex senatore del PDS prima e del PD dopo, non è persona dedita a scoop facili, ma un magistrato che del caso Moro è stato anche giovane giudice istruttore.
  La scorsa primavera ha avanzato una tesi rivoluzionaria. Leggo il lancio pubblicitario del libro che di fatto è stato anche il lancio dell'idea di questa Commissione d'indagine: «Grazie a nuove testimonianze esclusive e documenti inediti, Ferdinando Imposimato, che ha individuato l'unico covo in cui lo statista democristiano è stato recluso per tutta la durata della sua prigionia, ricostruisce l'agghiacciante scenario del sequestro». Ancora, prosegue: «Il libro si preannuncia come un'autentica svolta, destinata a cambiare le convinzioni che finora hanno dominato l'interpretazione del delitto». Poi, durante una trasmissione televisiva, l'ex magistrato ha alzato il tiro: «L'uccisione di Moro è avvenuta per mano delle Brigate rosse, ma anche e soprattutto per il volere di Giulio Andreotti, Francesco Cossiga e del sottosegretario Nicola Lettieri».
  Questi commenti, seguiti da altre altrettanto potenzialmente sconvolgenti esternazioni, hanno indotto la procura della Repubblica di Roma ad aprire nuovamente il caso Moro e tutti i partiti a depositare, la scorsa estate, due progetti di legge, uno alla Camera e uno al Senato, per istituire una Commissione parlamentare d'inchiesta.
  In autunno, in maniera molto opportuna, tanto la I Commissione della Camera, quanto la I Commissione del Senato, avevano quindi approvato in sede referente Pag. 44provvedimenti volti a istituire Commissioni monocamerali. Si è deciso, quindi, correttamente, di abbandonare l'esame di questi provvedimenti e procedere nel senso dell'istituzione di una Commissione bicamerale.
  Il senatore del Partito Democratico Miguel Gotor, durante la presentazione del progetto di legge sull'istituzione della Commissione parlamentare sul caso Moro, stupendo i presenti, ha più volte dichiarato che lo sguardo andava rivolto verso est e che era necessario andare a rovistare tra gli archivi degli ex Paesi comunisti. La tesi di Miguel Gotor la facciamo nostra. Lo dico a nome dei deputati di Forza Italia.
  Del resto, molti autori di saggi e studi riguardanti il terrorismo non avevano ben digerito la tesi di Ferdinando Imposimato e si era creato un segreto dibattito riguardo all'utilizzo e alla selezione delle fonti.
  È per lo meno curioso che i nomi di Giulio Andreotti e Francesco Cossiga vengano menzionati con tanta convinzione solamente quando entrambi sono passati a miglior vita. Ed è altrettanto curioso scoprire che molti, moltissimi, ex magistrati protagonisti, in veste di pubblico ministero, di vicende che hanno segnato la storia del Paese, dopo aver lasciato le aule dei tribunali ed essere stati eletti nelle fila della sinistra, incominciano a vergare saggi che riguardano tesi il più delle volte discutibili, inchieste che gli stessi con enfasi, entusiasmo e professionalità hanno incardinato durante gli anni giovanili.
  Probabilmente, sarebbe meglio che gli ex magistrati, soprattutto quei tanti noti eletti nelle fila della sinistra, continuino a fare politica nelle opportune sedi e che gli studiosi facciano il loro lavoro, con umiltà e serietà, senza ricercare il successo attraverso il numero delle copie vendute in libreria.
  È necessario, dunque, che il lavoro della Commissione parta dall'acquisizione di documenti, anche da archivi stranieri: ed è più che noto che molti segreti sono custoditi negli archivi dei Paesi dell'Est, che potrebbero creare imbarazzi anche rispetto a tutte le tesi sostenute finora nel nostro Paese. Non dimentichiamo, infatti, le reazioni di molti in seguito alla pubblicazione di alcuni documenti trascritti dall'ex archivista del KGB, Mitrokhin.
  È però fondamentale, per permettere al Parlamento di essere incisivo ed efficace in un'inchiesta che riguarda il caso Moro, saper cogliere l'opportunità che la storia ci offre: l'apertura degli archivi degli ex Paesi comunisti dell'Est Europa. È infatti risaputo che il sistema burocratico comunista comprendeva la scrittura come mezzo di funzionamento del sistema. Quaranta anni di abbondante produzione di documenti sono oggi a nostra disposizione.
  Considerando l'importante ruolo geopolitico che ha avuto e che ha l'Italia, considerando i risultati delle prime timide ricerche effettuate negli archivi menzionati, è necessario volgere lo sguardo anche verso Est. Senza timori e senza acredine, solo per cercare di completare un quadro ancora oggi dai colori sbiaditi. Quindi, non una rivisitazione o una semplice rilettura di quanto fino ad oggi si è fatto, detto e scritto, ma un lavoro serio ed imparziale di ricerca finalizzato al completamento di un quadro non ancora ben definito.
  E mi sembra che questa tesi sia anche politicamente condivisibile, non solo perché la proposta di inchiesta parlamentare è stata presentata con la firma di diverse forze politiche, ma anche alla luce proprio delle recenti affermazioni del senatore Gotor.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  ROCCO PALESE. Crediamo, quindi, che il lavoro della Commissione debba avere anche come compito quello di discernere le tesi con fondamento scientifico da quelle che, più o meno fantasiose – mi avvio alla conclusione, Presidente –, hanno come scopo quello di apparire sulle prime pagine dei quotidiani. Per raggiungere tali ambiziosi risultati i membri della Commissione dovranno avere anche potere per ottenere senza indugi la possibilità di studiare quei documenti su cui è stato posto il vincolo del segreto.
  Non bisogna dimenticare che ricercare tutta la verità vuol dire anche continuare Pag. 45a rendere giustizia ad Aldo Moro, alla sua famiglia e a tutti coloro che credono e amano la democrazia e la libertà e proprio per questo non temono la verità. Non bisogna stancarsi mai di guardare con dolore e chiarezza di giudizio all'assassinio di Aldo Moro. Vale la pena ricordare che l'insegnamento che oggi ci viene da lui è soprattutto quello di perseguire la pacificazione nazionale, rendendola effettiva e stabile attraverso una cultura di coalizione che oggi, specie in certi settori della politica italiana, latita.
  Ci auguriamo, quindi, che questa Commissione d'inchiesta lavori per giungere in maniera concreta, puntuale ed efficace all'obiettivo di ricerca della verità, per poter parlare di giustizia e per proiettare il nostro Paese in un futuro che abbia l'effettiva consapevolezza della sua storia. Solo così il nostro futuro potrà dirsi saldamente ancorato alla libertà e alla democrazia (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cozzolino. Ne ha facoltà.

  EMANUELE COZZOLINO. Signor Presidente, colleghi, iniziamo oggi l'esame in Aula, dopo aver svolto già due esami in Commissione, della proposta di legge che istituisce una Commissione bicamerale d'inchiesta sulle vicende che rientrano in quello che viene comunemente definito il caso Moro. Più precisamente, ci riferiamo ai 55 giorni che vanno dal rapimento dell'onorevole Aldo Moro all'uccisione degli uomini della sua scorta in via Mario Fani, fino al ritrovamento del suo corpo esanime all'interno della R4 posteggiata in via Caetani, a Roma.
  Proprio ieri, il 16 marzo è caduto il trentaseiesimo anniversario dell'agguato di via Fani: non so, non partecipando ai lavori della Conferenza dei presidenti di gruppo, se la calendarizzazione odierna di questo provvedimento sia stata casuale o voluta. Nell'uno e nell'altro caso, ritengo che, comunque, non sia senza significato e, dunque, signor Presidente, colgo l'occasione, a nome del mio gruppo, per ricordare, oltre al presidente Moro, Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi, carabinieri e agenti di Polizia, servitori dello Stato, uccisi nell'esercizio delle loro funzioni.
  I 55 giorni del rapimento Moro costituiscono uno dei momenti più drammatici e anche più bui della storia di questa Repubblica. Il rapimento e l'uccisione del presidente della Democrazia Cristiana rappresentano probabilmente il punto più alto e, dal loro punto di vista, l'azione tragicamente più riuscita dell'attacco al cuore dello Stato portato dall'organizzazione terroristica denominata Brigate Rosse.
  Oltre all'aspetto meramente criminale e terroristico, in cui un commando armato di terroristi rapisce e uccide uno degli uomini politici più autorevoli della politica di allora, in quei 55 giorni e in quelli che seguono, si verificano una serie di eventi e, in alcuni casi, di depistaggi che, in assenza di prove certe, lasciano supporre attività ad un livello superiore a quello meramente militare e terroristico dei brigatisti esecutori materiali del rapimento.
  Fatti strani, a volte inspiegabili, si verificarono immediatamente, addirittura, prima che il commando di via Fani aprisse il fuoco sui due veicoli che formavano il convoglio del Presidente Moro. Già il fatto che membri di questo comando indossassero delle uniformi rappresenta un'incongruenza ad oggi non spiegata.
  Subito dopo l'agguato, in una Roma che nel giro di poche ore è presidiata da posti di blocco quasi in ogni strada, il furgone con i rapitori e Moro si dissolve nel nulla.
  Nel frattempo sulla scena del crimine, come dimostrano anche inconsapevolmente le immagini e la cronaca del servizio ormai storico di Paolo Frajese, si muovono liberamente, come fa lui stesso, soggetti senza alcun controllo, ed infatti sparisce nel nulla la borsa con i documenti di Moro. Lunghissima è, nei giorni seguenti, la lista delle vicende singolari, quali la seduta spiritica o i poliziotti che bussano al covo nel quale Moro è tenuto Pag. 46prigioniero, ma se ne vanno perché nessuno da dentro gli risponde, ed altre che è inutile ricordare in questa sede.
  Giova invece ricordare, per inquadrare storicamente la vicenda e per capire la rilevanza politica di Aldo Moro nel momento in cui viene rapito, il quadro politico in cui si iscrive il 16 marzo 1978. Aldo Moro era il protagonista assoluto, insieme all'allora segretario del PCI Enrico Berlinguer, dell'operazione politica passata alla storia come compromesso storico, ovvero il riavvicinamento del PCI all'area di Governo egemonizzata dalla Democrazia Cristiana.
  In un Paese come l'Italia, chiamata a svolgere un ruolo geopolitico assolutamente peculiare nel contesto della guerra fredda, consistente in una salda collocazione nel campo occidentale, ma con il partito comunista più forte dell'Occidente, un'operazione politica simile non poteva non creare forti tensioni sia all'interno che all'esterno. Tensioni che si erano già prodotte un quindicennio prima, quando l'avvio della politica di centrosinistra, con i socialisti in quell'occasione associati all'area di Governo, provocò quel tintinnare di sciabole avvertito e descritto da Pietro Nenni. Tensioni che immancabilmente si ripresentano nel 1978, e che sono ben testimoniate dalla volontà di Aldo Moro che a guidare il primo Governo al quale, pur non facendone parte, il PCI non avrebbe votato la sfiducia, dovesse essere l'uomo che più rassicurava gli ambienti anticomunisti della Democrazia Cristiana, quale Giulio Andreotti. Il fatto poi che il rapimento dell'onorevole Moro sia stato effettuato nel giorno in cui il Governo Andreotti avrebbe dovuto ottenere la fiducia dalla Camera dei Deputati, con tutta probabilità, non può essere considerato una semplice coincidenza.
  Nonostante vi sia una verità processuale acclarata, in cui gli esecutori materiali del rapimento di Aldo Moro, del suo omicidio e della strage degli uomini della sua scorta, sono noti e sono stati puniti, allo stesso tempo è evidente che la vicenda dei 55 giorni presenti ancora molti lati oscuri, in particolare sul fatto se Moro potesse essere salvato e non lo si volle salvare.
  Alla luce di queste premesse, è legittimo domandarsi perché, di fronte ad una proposta di legge come quella oggi in esame, che prevede l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta, il Movimento 5 Stelle si sia dichiarato contrario in Commissione e ribadisca il suo dissenso anche in questa sede. Ovviamente, la nostra posizione non ha nulla a che vedere con la figura e la storia dell'onorevole Aldo Moro, al quale non facciamo alcuna fatica a riconoscere il ruolo di vero statista. Ad Aldo Moro riconosciamo soprattutto il ruolo svolto, come giovane padre costituente, nell'elaborazione, insieme agli altri giovani professori di diritto eletti dalla DC in quell'Assemblea, ed insieme ad altri costituenti di diverse parti politiche, della nostra Carta fondamentale, la Costituzione.
  Non siamo però convinti, e non lo siamo stati fin dall'inizio, della bontà di dar vita ad una Commissione d'inchiesta perché riteniamo che non vi siano le condizioni concrete che giustifichino anche solo l'ipotesi di poter ottenere risultati positivi. Del caso Moro si occupò immediatamente, dopo i tragici fatti del 1978, un'apposita Commissione di inchiesta istituita nel 1979. Sulla vicenda indagarono successivamente in diverse riprese le Commissioni sul terrorismo prima e sulle stragi poi che si susseguirono dal 1988 al 2001. Purtroppo, in nessuna di queste inchieste sono stati ottenuti risultati concreti che potessero fare luce ulteriore, rispetto a quanto emerso nelle indagini di polizia e nei processi, sui 55 giorni.
  Se, sul fronte giudiziario, in tutti questi anni si è fatta poca strada, florido è stato invece il filone della pubblicistica sul tema. Anche grazie all'opera svolta dalle Commissioni di inchiesta parlamentare, molti libri sono stati dati alle stampe con grande successo editoriale da chi di quegli organi era stato membro. Libri che, a loro volta, ne hanno generati altri, più o meno apprezzabili, più o meno attendibili. Anche il cinema non ha tralasciato la vicenda, Pag. 47dando vita ad opere come «Il Caso Moro» di Giuseppe Ferrara, «Piazza delle Cinque Lune» di Renzo Martinelli e «Buongiorno notte» di Marco Bellocchio.
  L'interesse ancora vivo sulla vicenda, la fortuna della pubblicistica e della filmografia sul tema e sui misteri che avvolgono ancora il caso Moro, sono certamente importanti, ma non sono tali da giustificare, a nostro avviso, l'istituzione di una Commissione di inchiesta a ben 36 anni di distanza, a fronte di una totale assenza di concrete novità, di elementi fino ad oggi sconosciuti che facciano ritenere di poter aggiungere anche un solo tassello in più al quadro del quale oggi disponiamo.
  Purtroppo, l'impressione che abbiamo avuto, fin da quando fu presentata la proposta di istituire una Commissione monocamerale d'inchiesta, è stata proprio quella che ci si volesse muovere solo a fronte di nuovi presunti scoop editoriali. Una sensazione, questa, che emerge leggendo proprio la relazione che accompagna la proposta di legge: «Nuove rivelazioni e nuove dichiarazioni hanno riacceso i riflettori sul caso Moro, rianimando un dibattito che sembrava sopito», scrivono i presentatori di questo atto.
  Sembrano emergere rilevanti elementi di novità, che riguardano azioni ed omissioni e che ruotano sul sospetto, sempre più connotato da certezza, che la morte di Moro poteva essere evitata.
  Il riferimento abbastanza evidente, anche se non viene citato esplicitamente, sembra essere quello del libro di Ferdinando Imposimato, I 55 giorni che hanno cambiato l'Italia, un libro nel quale si afferma la tesi, sulla scorta di dichiarazioni di una fonte inedita, che i servizi segreti avevano individuato dove Moro era tenuto segregato, ma non arrivò mai l'ordine di liberarlo da parte del Presidente del Consiglio di allora e da parte del Ministro dell'interno.
  Tesi che sembra incastrarsi con quella di un altro volume, o meglio di un capitolo di un recente volume nel quale uno degli artificieri chiamati in via Caetani ad aprire il bagagliaio della R4 rivela che le immagini riprese dalla tv sarebbero una messa in scena. O meglio una ripetizione di quanto era stato già svolto, con il Ministro dell'interno presente sul posto, circa tre ore prima. Sorvoliamo sulla disavventura in cui è incorso suo malgrado Imposimato e il suo libro, a seguito dell'inchiesta giudiziaria per calunnia aperta dalla procura di Roma nei confronti della fonte principale di quel libro, ovvero Giovanni Ladu che, spacciandosi per un falso gladiatore e con l'identità falsa di Oscar Puddu, avrebbe ripetuto ad Imposimato e avvalorato le stesse tesi che lui stesso, come Giovanni Ladu, avrebbe raccontato ai magistrati anni prima e sulle quali non era stato trovato riscontro.
  Ma avviare un'inchiesta parlamentare solo sulla base di novità editoriali, e senza la scoperta di elementi concreti emersi da archivi e cassetti segreti, ci pare non solo poco, ma azzardato. A queste obiezioni che abbiamo avanzato in Commissione più volte non sono state date risposte, o sono state fornite risposte frettolose che non riteniamo sufficienti. Ci è stato detto, ad esempio, che, essendo trascorsi ormai molti anni dalla vicenda, tanto materiale si è reso disponibile negli archivi di Stato, in particolare di Paesi esteri. Anche questa motivazione a noi non sembra sufficiente, perché il materiale d'archivio è compito degli storici studiarlo e non delle Commissioni d'inchiesta. Se il fine deve essere quello di scrivere la storia di quei giorni e di quelle vicende, allora questo compito, a maggior ragione, non può e non deve essere di una Commissione parlamentare d'inchiesta, perché la storia la scrivono gli storici con criteri e categorie scientifiche, seppure di scienza sociale si tratta.
  Al contrario, quando è la politica che mette mano alla storia, il rischio, magari inconsapevolmente, è sempre quello di non essere oggettivi, di piegare i fatti passati alla necessità di giustificare un aspetto del presente; in poche parole, il rischio è di dar vita a quello che è definito uso pubblico della storia.
  Un altro elemento che ci induce a guardare con diffidenza l'ipotesi di avviare una Commissione di inchiesta sta nel fatto che, banalizzando e me ne scuso, si potrebbe Pag. 48sostenere che questo progetto è nato male ed è proseguito peggio. È nato male perché, nella prima versione, era stata presentata una proposta per istituire una Commissione della sola Camera dei deputati. Impostazione mantenuta ferma fin quasi all'approdo in Aula, nonostante il Senato avesse depositato una proposta di Commissione bicamerale.
  Anche in quell'occasione noi fummo i primi a segnalare questo aspetto, sia con i nostri interventi, sia con gli emendamenti. Ovviamente, sia gli uni che gli altri furono ignorati, salvo poi ricredersi, come dimostra questa proposta di legge, quando il rischio concreto è stato quello di dover sperimentare per la prima volta e senza precedenti il disposto dell'articolo 141, comma 3, del nostro Regolamento. Ovvero due Commissioni di inchiesta che, operando sullo stesso tema, procedono congiuntamente: una novità.
  Faccio questo riassunto delle puntate precedenti perché i colleghi che non fanno parte della I Commissione magari non se ne sono neppure accorti. In quel caso, come detto, la discussione sulle linee generali era già stata calendarizzata in Aula, ma la proposta tornò in Commissione per decisione direttamente della Conferenza dei capigruppo. Anche questa proposta di legge ha avuto un andamento che potremmo definire carsico, apparendo e ricomparendo a distanza di mesi nei quali tutto sembrava accantonato. Anche questi stop and go prolungati non li abbiamo ben compresi ed anzi hanno fatto aumentare il nostro dissenso nei confronti di questa iniziativa.
  Sempre per rimanere nell'ambito delle sensazioni, colleghi, che magari possono essere sbagliate a causa della nostra inesperienza, ritengo di dover segnalare qualche dichiarazione e qualche intervista dello scorso novembre che, se non vogliamo definire strana, possiamo certamente definire intempestiva. Anche perché è abbastanza singolare proporre all'istituenda Commissione una sintesi del materiale già esistente ed una pista di lavoro già tracciata. Così come sono apprezzabili i dossier già precompilati, come quello pubblicato sul sito del gruppo del Partito Democratico, ma, dal momento che questa Commissione si vuole fare a tutti i costi, è chiaro che, se questa parte, si parte da zero e senza Bignami già pronti da servire per l'uso.
  Ennio Flaiano diceva: »In questo Paese che amo non esiste semplicemente la verità. Paesi molto più piccoli e importanti del nostro hanno una loro verità. Noi ne abbiamo infinite versioni”. La nostra paura è quella di dare ancora una volta ragione a Flaiano, varando l'ennesima Commissione di inchiesta che, dopo i buoni propositi e gli alti e condivisibili ideali espressi oggi, si azzuffa un paio di mesi per stabilire a chi spetta esprimere il presidente. Quindi, come prassi, ognuno indaga sul filone che pensa gli possa fare più comodo e alla fine, si chiude con una relazione di maggioranza, due o tre di minoranza e sul caso Moro continuiamo concretamente a saperne quanto ne sappiamo oggi.
  Colleghi, prima di concludere, vorrei citare un episodio che, a prima vista, può sembrare non essere attinente all'oggetto della nostra discussione, ma, a mio personale avviso, invece è molto indicativo in previsione dell'istituzione di questa Commissione d'inchiesta.
  Mi riferisco ai famosi gas di Mussolini, ovvero alle bombe all'iprite utilizzate massicciamente dall'Aviazione italiana nel corso della guerra in Etiopia il 1935-36. Ebbene, il ricorso alle armi chimiche da parte dell'Italia fu immediatamente denunciato dall'Etiopia e di fatto accertato in sede internazionale. Il nostro Governo ha invece sempre ufficialmente negato il ricorso a quelle armi. Lo fece ovviamente il Governo Mussolini, meno ovviamente continuarono a farlo i Governi repubblicani che succedettero al fascismo. In un primo momento, con De Gasperi Capo del Governo, si pensò di poter salvare qualche piccola parte delle nostre colonie. Successivamente si voleva evitare che ufficiali dell'esercito italiano transitati dal fascismo alla Repubblica potessero finire oggetto di qualche processo internazionale con l'imputazione di crimini di guerra. Infine ed in Pag. 49anni molto più recenti si volle continuare a tutelare il mito degli «italiani brava gente». Arriviamo al 1995, quando ufficialmente il nostro Governo, anche a fronte di prove storiche ormai certe, continua a negare l'uso di armi chimiche. Nel corso di quell'anno, a fronte di un dibattito che si riaccende, uno storico del colonialismo come Angelo Del Boca rischia di essere portato in tribunale, per quello che scrive nei suoi libri, dalle associazioni dei reduci delle colonie. A fronte di questo rischio, si oppone un documento firmato da numerosi storici di chiara fama per chiedere al Governo e allo stato maggiore di fare finalmente chiarezza. Alla fine, scatta il classico interruttore che porta il Governo a ritenere che sia giunto il momento di ufficializzare la verità. Sul tema sono depositate da tempo due interrogazioni a risposta scritta, una dei deputati Emiliani e Spini, l'altra del deputato Novelli. E così una verità negata per anni e custodita gelosamente dallo stato maggiore militare viene accertata formalmente grazie allo strumento più blando ed innocuo possibile del sindacato ispettivo, come l'interrogazione a risposta scritta.
  Tutto questo, colleghi, per dire che, al di là dei poteri di una Commissione di inchiesta e della buona volontà di tutti, su una vicenda come quella Moro, infinitamente più complessa e misteriosa dell'iprite di Mussolini, se qualche foglio non viene fatto scivolare fuori da qualche dossier, se chi può e chi sa non fa scattare la serratura di qualche cassetto, se anche la casualità fortunata non rende disponibile materiale concretamente nuovo, e purtroppo ad oggi così non è, anche questa Commissione servirà al massimo a far scrivere qualche libro di successo a chi tra i futuri commissari è più portato alla scrittura di noir o delle spy story.

  PRESIDENTE. Saluto gli alunni e i docenti dell'istituto «XXV luglio – Bettolo», in provincia di Taranto, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
  È iscritto a parlare l'onorevole Attaguile. Ne ha facoltà.

  ANGELO ATTAGUILE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono passati trentacinque anni dal rapimento e dall'assassinio di Aldo Moro, una delle pagine più buie del nostro Paese. Parlo di Paese e non di Repubblica proprio al fine di rendere più chiaro possibile il mio personale pensiero. Il caso Moro, infatti, non può e non deve essere derubricato soltanto come una ferita interna dal terrorismo rosso alle istituzioni nella stagione degli anni di piombo ma deve essere analizzato come il fatto più eclatante che mostra il distacco tra la politica e i cittadini che si è sviluppato nel corso di tutta la storia della nostra Repubblica.
  È chiaro che, se si fosse trattato esclusivamente di un evento drammatico legato alla degenerazione violenta della lotta armata contro le istituzioni, non avrebbe alcun interesse oggi, dopo tutti questi anni, prevedere, attraverso l'approvazione di una proposta di legge, l'istituzione dell'ennesima Commissione di inchiesta parlamentare, ma così non è; il caso Moro ha dei risvolti ancora oscuri, totalmente aberranti che coinvolgono direttamente personaggi ancora presenti nello scenario della politica attiva, e non possono non essere esaminati nei più minimi particolari e verso i quali abbiamo il dovere, una volta per tutte, di fare chiarezza. Oggi che siamo consapevoli della presa di coscienza dei cittadini nei confronti della cosiddetta «casta», oggi che il senso di disaffezione verso le istituzioni è così palese e manifesto, oggi che fortunatamente il dissenso politico non trova sfogo nella violenza armata, oggi che più che mai tutti noi nell'esercizio del nostro mandato sappiamo di dover fare i conti con i cittadini, che non sono divenuti sentinelle del nostro operato, dobbiamo assumerci responsabilmente il compito di provare a fare luce sui risvolti meno chiari di questa triste vicenda.
  Nel mio intervento non voglio tracciare la cronistoria di una vicenda più che nota. Voglio ragionare con voi a voce alta sul senso profondo che questa Commissione di inchiesta può svolgere. Non sia questa Commissione l'ennesimo organismo autoreferenziale Pag. 50per creare nuove posizioni di privilegio, non sia questa Commissione l'ennesima perdita di tempo nella quale si va a rimestare carte già lette, non sia finalizzata soltanto a rendere giustizia alla memoria dell'uomo Aldo Moro, non sia l'occasione per ingessare la lotta dello Stato contro il terrorismo. Non si perda quindi questa occasione per dare quelle risposte che i cittadini pretendono. Si abbia il coraggio di sviscerare in modo chiaro quei risvolti più nascosti e oggi maggiormente pregni di significato. Questa Commissione spieghi veramente quali responsabilità, pur se indirette, sono attribuibili in questa vicenda all'apparato Stato. Si faccia chiarezza una volta per tutte su quella che è stata la strategia della tensione, come era orchestrata, chi erano gli autori e quale ruolo in questa vicenda hanno avuto anche le organizzazioni internazionali.
  Questa Commissione deve avere il coraggio di andare a leggere i rapporti di complicità diretti e indiretti che i partiti politici presenti nell'arco costituzionale mantenevano con le organizzazioni violente e terroristiche. Deve essere in grado di dire perché lo Stato in quell'occasione fu così integerrimo nel non voler aprire una trattativa con i terroristi. Si facciano i nomi e i cognomi dei responsabili e allora questa Commissione veramente avrà un senso. Se si deciderà di procedere con tutti gli sforzi ad un lavoro che conduca alla verità, questa Commissione e la sua istituzione saranno quanto di meglio fatto in questa legislatura.
  Non lo dico solo guardando al passato, ma con lungimiranza, visto proprio il particolare periodo storico che stiamo vivendo. Io sono convinto di un lavoro importante che potrà portare a termine questa Commissione. Ho avuto l'onore, il privilegio, la fortuna di conoscere Moro, anche di collaborarci. Ero il responsabile del movimento giovanile del mio partito, la Democrazia Cristiana, ed ho avuto il piacere di accogliere a Brescia Moro al nostro congresso nazionale, nel 1977, un anno prima della sua morte; già parlava un linguaggio politico onesto, chiaro e leale, di nuove prospettive. Un personaggio importante, un personaggio che è stato colpito per colpire la democrazia e le istituzioni nel nostro Paese. Io oggi, ancora più convinto di ieri, dico che bisogna andare avanti con chiarezza, con lucidità e con determinazione. Quando ero nel movimento giovanile, quando fu rapito Moro e poi ucciso, allora c'erano tanti dubbi anche all'interno del nostro partito. Nel movimento giovanile, i giovani parlavano, facevano riferimento, si diceva allora: Craxi lo voleva salvare la DC, alcuni della DC, non lo volevano salvare o almeno volevano portare avanti la linea rigida del partito. Tante cose sono rimaste oscure e sono oscure. Io ritengo che oggi sia l'occasione per dare una svolta, per dare un risultato chiaro, per dire e per metterci il nome chiaro della Commissione e per dire: questa è la verità, questa è la storia. Questa è la storia e l'onestà di un uomo politico importante come Aldo Moro (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Kronbichler. Ne ha facoltà.

  FLORIAN KRONBICHLER. Signor Presidente, non ho avuto la fortuna, come chi mi ha preceduto, di avere conosciuto Moro personalmente e non ho nemmeno la grazia, come si dice, della nascita tardiva, come tanti in questo Parlamento, di non essere ancora nato quando fu rapito e ucciso Aldo Moro.
  In ogni caso, non so se sia una felice o una tragica o una triste (in ogni caso è una imbarazzante) coincidenza il fatto che noi iniziamo questa discussione il giorno dopo quel 16 marzo, nel trentaseiesimo anniversario del rapimento del personaggio in merito al quale ci accingiamo a istituire una Commissione d'inchiesta. Questo la dice tutta sul nostro lavoro, anche politico. Mi trovo qui quasi in veste di storico e non di politico, e questo non mi appartiene.
  Per questo, non voglio in alcun caso dare giudizi sulla Commissione che andiamo ad istituire e men che meno anticipare dei risultati. Un magistrato e un Pag. 51giornalista tornano, dopo più di trenta anni, sul caso Moro, scoprendo inediti scenari e raccontando la storia di quei 55 giorni che vanno dalla strage di via Fani, il 16 marzo del 1978, alla morte del presidente democristiano. In sette occasioni Moro poteva essere salvato, per quanto sappiamo oggi, ma nelle stanze del potere qualcuno tramò perché venisse ucciso.
  Ordini di cattura bloccati, i collegamenti comprovati con la RAF tedesca, il ruolo di Cossiga, allora Ministro dell'interno, i verbali del comitato di crisi nascosti per lungo tempo. Trenta anni dopo, più di trenta anni dopo, uno dei magistrati più impegnati a dipanare gli infiniti misteri del caso, ripercorre i meandri dell'inchiesta che egli stesso cominciò nove giorni dopo la morte dello statista e, ricollocando la sua esperienza in un contesto più ampio di avvenimenti, offre testimonianze e rivelazioni decisive.
  Quindi, se ad assassinare il presidente della DC di allora furono le Brigate Rosse, i mandanti vanno verosimilmente cercati altrove. Bugie, omissioni, depistaggi, come la scoperta della prigione di Moro tenuta nascosta alla magistratura. Ferdinando Imposimato racconta chi c'era e chi sapeva, ma chi muoveva i fili dei tre comitati di crisi del Viminale, pieni di uomini della P2 ? Quella di Aldo Moro fu una morte, molto probabilmente, voluta da troppe persone, troppe fazioni in lotta tra loro.
  Noi di SEL, di Sinistra Ecologia Libertà, a differenza di qualche altro gruppo, siamo molto a favore dell'istituzione di questa Commissione. Dopo l'iniziale incardinamento di una proposta di legge, a prima firma Fioroni, sull'istituzione di una Commissione di inchiesta monocamerale, con un iter che ha portato il testo in Aula, su forti pressioni, penso anche del nostro gruppo, se ne è prevista la natura bicamerale.
  SEL non ha trasfuso in emendamenti la richiesta della versione bicamerale, in quanto sarebbero stati giudicati di sicuro inammissibili in quella forma. Infatti, quanto all'atto parlamentare di istituzione, nel caso si tratti di Commissione monocamerale, è previsto un Doc; nel caso si tratti di bicamerale, si prevede la proposta di legge (che abbiamo sottomano adesso). Le proposte per l'istituzione di Commissioni di inchiesta monocamerale sono quindi presentate con atti diversi dalle proposte di legge e per l'esame e la deliberazione da parte della Camera seguono un procedimento non legislativo. Un emendamento sulla diversa natura della Commissione sarebbe quindi stato incongruo rispetto allo strumento legislativo.
  Abbiamo, invece, presentato un emendamento che prevedeva la non opponibilità del segreto di Stato, del segreto d'ufficio e di quello bancario in relazione ai fatti oggetto dell'inchiesta parlamentare (non approvato), pur sapendo che lo stesso avrebbe posto dei problemi rispetto all'articolo 82 della Costituzione, che recita: «Ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse. A tale scopo nomina fra i propri componenti una Commissione formata in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi. La Commissione di inchiesta procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria».
  Oltre a riproporre questo, in Aula abbiamo presentato un emendamento teso ad escludere l'indennità di carica per l'ufficio di presidenza (questo sempre nel senso di contenere i costi della politica, il che è esattamente in linea con i risparmi richiesti ovunque).
  È bene ricordare che, ai sensi del citato articolo 82 della Costituzione, la Commissione procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria. Alla Commissione viene affidato il compito di accertare: a) eventuali nuovi elementi che possono integrare le conoscenze acquisite dalle precedenti Commissioni parlamentari di inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e sull'assassinio di Aldo Moro; b) eventuali responsabilità sui fatti riconducibili ad apparati, strutture ed organizzazioni comunque denominati ovvero a persone ad essi appartenenti o appartenute.Pag. 52
  La Commissione non può adottare provvedimenti attinenti alla libertà e alla segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, nonché alla libertà personale, fatto salvo l'accompagnamento coattivo di cui all'articolo 133 del codice di procedura penale (e questo ci dispiace).
  La Commissione, composta come sappiamo – e anche qui ci siamo espressi a favore appunto di questa riduzione da 25 membri per ogni Camera a 20 per ogni Camera, quindi 40 in tutto –, dovrà concludere i propri lavori entro 18 mesi dalla sua costituzione. Abbiamo apprezzato che si preveda questo termine e speriamo che sia un termine perentorio, almeno questa volta. La composizione numerica è l'unica novità approvata in I Commissione (Affari costituzionali), dall'iniziale – come detto – numero di 50 componenti, si è passati a 40 (20 più 20).
  Ferme restando le competenze dell'autorità giudiziaria, per le audizioni a testimonianza davanti alla Commissione si applicano le disposizioni previste dagli articoli da 366 a 372 del codice penale. In nessun caso può essere opposto il segreto d'ufficio. È sempre opponibile il segreto tra difensore e parte processuale nell'ambito del mandato (e in questi casi non ci sembra superfluo o gratuito questo accenno nella legge, perché troppe volte ci si è rifugiati in questa scusa per non fare luce).
  Per il segreto di Stato si applica quanto previsto dalla legge n. 124 del 2007. Anche in questo caso si è rimasti in linea con quanto previsto per altre Commissioni d'inchiesta e qui si inserisce, appunto, uno degli emendamenti di Sinistra Ecologia Libertà, quello di cui ho parlato, sulla non opponibilità del segreto di Stato.

  PRESIDENTE. Saluto gli alunni e docenti della Direzione didattica statale Circolo di Cimitile – spero di aver pronunciato bene – in provincia di Napoli, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
  È iscritto a parlare l'onorevole Grassi. Ne ha facoltà.

  GERO GRASSI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, quest'anno la solita, ma non rituale, commemorazione che la Camera fa dell'eccidio di via Fani coincide con l'avvio della discussione della proposta di legge tendente ad istruire una Commissione che faccia chiarezza sull'episodio di via Fani, ma anche sull'episodio di via Caetani, cioè sulla morte di Moro.
  La domanda legittima è: perché una Commissione d'inchiesta a trentasei anni da quell'evento ? La risposta semplicissima, ma vera, è perché la verità sul caso Moro non c’è ancora completamente. E non, colleghi, perché lo dicono i libri, ma perché lo dice la magistratura, perché lo dicono la Commissione Moro istituita nel 1980, le quattro Commissioni stragi e terrorismo che hanno seguito il caso Moro e la Commissione P2 che si è interessata del caso Moro.
  Si tratta di una Commissione tendente a far luce su una serie di eventi. E io sarei prudente a dire che non ci sono fatti nuovi. Sarei molto prudente, perché la presunzione che tutto si sappia è sempre sbagliata. Probabilmente qualche cosa sfugge anche a noi.
  Se qualcuno mi avesse detto trentasei anni fa che oggi qui, in quest'Aula, sarei stato a parlare del caso Moro, dopo trentasei anni da quel 16 marzo, sarebbe stato legittimo da parte mia non credergli. Proverò, in questi minuti che il gruppo del Partito Democratico mi ha attribuito, di dimostrare, non sulla base di una presunzione ma sulla base di prove, come noi abbiamo necessità che la Commissione venga istituita e porti a termine i lavori.
  Perché fu rapito Aldo Moro ? Il presunto capo delle Brigate rosse, Mario Moretti, disse che per lui Moro, Andreotti e Fanfani erano la stessa cosa. Poi aggiunse, dopo l'interrogatorio di Moro, che in quel momento capì che Moro era diverso. E perché Moro era diverso ? Perché Moro nel novembre-dicembre 1977 e gennaio-febbraio 1978, nel suo studio di via Savoia, aveva parlato con tante persone della nostra Italia, ceto politico, ceto dirigente e ceto industriale. E per capire cosa ? Per Pag. 53capire come fare uscire l'Italia dalla stagnazione economica, sociale e morale nella quale in quegli anni si trovava. Moro aveva capito prima di altri che esisteva la P2, che ci sarebbe stata la caduta del muro di Berlino e aveva disegnato addirittura un percorso in base al quale dimostra di avere capito che la Democrazia Cristiana era già un partito in decomposizione.
  E perché Moro fa, non il compromesso storico, come volgarmente si dice, ma la politica del confronto con il Partito Comunista ? Lo fa perché ritiene che in uno scontro progettuale tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista si possa poi dire all'elettorato: decidete chi deve governare e chi deve essere alternanza, per un momento. Quindi, Moro arriva al rapimento con una totale centralità nella politica italiana. E quel Governo, che viene chiamato Governo dell'astensione, presieduto da Andreotti, in realtà è il Governo voluto da Moro, con il sostegno leale e convinto di Berlinguer. Andreotti si trova a presiedere quel Governo, ma chi l'ha costruito è stato Aldo Moro con la collaborazione di Enrico Berlinguer. E Moro viene rapito perché incarna in quel periodo il riformismo; incarna in quel momento la volontà di voltare pagina; incarna in quel momento la volontà del popolo italiano di chiudere anni prima – anni prima ! – quelli che erano la continuazione e i postumi della Guerra Fredda. Ciò è, molto brevemente, un appunto, una riflessione sul pensiero di Moro.
  Ma che cosa succede il 16 marzo ? Perché noi del PD, ostinatamente, ma con grande volontà, abbiamo costruito quel dossier reso pubblico a tutti quanti ? Quel dossier non è il canovaccio per la prossima Commissione, ma serve a dire: signori, sinora è successo questo ed è stato detto questo. Non ricominciamo la storia sempre da Adamo ed Eva, cerchiamo di fare un passo avanti. Il 16 marzo, soltanto sul 16 marzo, se io fossi in un tribunale, potrei stare dodici ore a parlare e a dimostrare come, solo sul 16 marzo, noi non abbiamo la verità. Pensate un pò, non sappiamo ancora quanti brigatisti parteciparono all'evento. Non sappiamo ancora chi sparò ai cinque uomini della scorta trucidati in quel modo volgare ed efferato. Non lo sappiamo a distanza di trentasei anni. Non sappiamo, a distanza di trentasei anni, nonostante ci sia stata una sentenza della magistratura, chi guidava la moto Honda e chi stava sopra quella moto Honda. Non sappiamo, a distanza di trentasei anni, dov’è finito il rullino fotografico che ritrae le prime immagini del rapimento Moro. Non sappiamo chi ha preso le borse. Non sappiamo ancora chi ha sparato a 2 cm nel cervello del maresciallo Oreste Leonardi. Chi gli ha sparato ? Franceschini, delle Brigate Rosse, non il Ministro, dice che chi ha sparato al maresciallo Leonardi lo conosceva. E la vedova Leonardi dice che quello del maresciallo è stato un colpo di grazia. Chi gli ha sparato ? L'unico che aveva la pistola 765 nell'attacco di via Fani era il brigatista Bonisoli, ma il brigatista Bonisoli quella pistola non l'ha usata. E, allora, la 765 con la quale è stato ucciso Leonardi, chi l'ha usata ? Perché, all'angolo di via Fani, c'era una macchina dei servizi segreti e non è mai stato individuato chi l'ha portata la macchina là ? Perché noi continuiamo a credere al colonnello Guglielmi del SISMI che all'epoca gestiva Gladio il quale, interrogato sulla sua presenza a 100 metri da via Fani, si ostinò a dire che alle ore 9,30 andava a pranzo da un amico ? Chi è il colonnello Guglielmi ? È la stessa persona che, con il generale Musumeci, entrambi iscritti alla P2, furono condannati per la strage di Bologna. Basta dire questo su via Fani o dobbiamo continuare ? E, quindi, tutti questi interrogativi riguardano via Fani. Poi ci sono gli interrogativi di via Gradoli o di Gradoli. Dice il giudice Priore, giustamente: io non credo che si possa credere alla seduta spiritica dalla quale è venuto fuori il nome di Gradoli. Dice sempre il giudice Priore: se non fossimo andati in via Gradoli a sirene spiegate, la centrale operativa delle Brigate Rosse durante il terrorismo e durante il caso Moro sarebbe stata annientata e la storia d'Italia sarebbe completamente diversa.Pag. 54
  Nessuno dimentichi che Moretti seppe dell'episodio di via Gradoli stando in una casa di Firenze mai individuata di fronte al televisore. Perché è successo questo ? Allora vedete come nel caso Moro ci sono sì omissioni, sì disfunzioni ma ci sono anche responsabilità precise a tutt'oggi non emerse.
  Un altro episodio: il Lago della Duchessa. Ma è normale che un cittadino, non un parlamentare, debba poter sapere non da me ma dagli atti della magistratura che sul Lago della Duchessa, quando il procuratore capo della Repubblica di Roma, con l'elicottero dei carabinieri, si reca al Lago della Duchessa alla ricerca del cadavere di Moro, il sostituto procuratore della Repubblica di Roma non ci va perché sa che un comunicato n. 7 delle Brigate rosse è un evidente falso ? Quindi una magistratura che non interloquisce e che non si parla e una relazione, quella della prima Commissione Moro, che dice come spesso l'azione della magistratura sia stata disturbata all'interno. Possiamo noi accettare, sia pure a distanza di trentasei anni, che il comunicato n. 7 delle Brigate rosse, quello del Lago della Duchessa, sia stato fatto da Tony Chicchiarelli, noto capo della Banda della Magliana di Roma, propaggine della mafia siciliana ? Possiamo noi temere uno Stato nel quale, a distanza di trentasei anni, noi abbiamo le prove evidenti di come la mafia, la camorra, la ’ndrangheta, la banda della Magliana si siano inserite nel caso Moro ? A me piacerebbe sapere se si sono inserite o se qualcuno le ha fatte inserire.
  Possiamo noi accettare come cittadini che credono nella forza rivoluzionaria di uno Stato libero e democratico che su via Gradoli la polizia all'epoca, il Ministero dell'interno all'epoca abbiano detto che non esisteva, perché non c'era sulle pagine gialle, e poi scopriamo che l'UCIGOS aveva appartamenti di sua proprietà all'interno di via Gradoli e che addirittura, a dispetto del rapimento Moro del 16 marzo, la polizia il 18 marzo era già arrivata in via Gradoli infruttuosamente ? Non possiamo accettare queste cose e non c’è scadenza per la verità su queste tematiche perché la verità, quando noi la trovassimo, non ci aiuterebbe a riportare in vita né Aldo Moro né i cinque uomini della scorta né tutti coloro che hanno sofferto per quella vicenda e quelli che hanno sofferto erano sì i parenti delle vittime ma erano anche tanti cittadini italiani di tutti i partiti che credevano nell'idea di uno Stato democratico. Io sono uno di quelli che ha sofferto per quel dramma, dopo aver conosciuto Moro sin da bambino quando avevo cinque anni nel novembre 1963, poco prima che lui diventasse Presidente del Consiglio. Allora noi abbiamo il dovere di scrivere una pagina di verità e consegnarla a quelli che vengono dopo di noi. Lo dobbiamo fare perché la democrazia non è un punto di arrivo ma è un punto di partenza. E la democrazia perché sia sempre tale ha necessità di verità, non di bugie anche verità tragiche e amare, perché sul caso Moro le verità sono tragiche ed amare. Perché sul caso Moro è evidente che non tutto può ridursi al partito della trattativa o al partito dell'antitrattativa. Quella fu una scelta, legittima o meno. Io, ad esempio, ero per il partito della trattativa ma fu una scelta. Non è quello il problema. Il problema è quello che lo Stato non fece, quello che la comunità poteva fare e non fece per arrivare alla liberazione di Moro. Possiamo noi a trentasei anni di distanza sapere che nella tipografia Triaca, dove si stampava il materiale delle Brigate rosse, c'era una stampatrice e una fotocopiatrice che erano di proprietà del Ministero dei trasporti e dei RUS (i RUS erano i nuclei speciali del servizio segreto) ? Non le possiamo sapere queste cose ! Noi possiamo accettare che, a distanza di trentasei anni, Alessio Casimirri, brigatista partecipante all'evento di via Fani sia ancora libero in Nicaragua e che lo Stato italiano non abbia mai chiesto l'estradizione ? Non possiamo accettarlo come non possiamo accettare che i servizi segreti italiani si sono recati in Nicaragua, sono stati due mesi, hanno speso un miliardo e mezzo e non sappiamo che cosa sono andati a fare.
  L'unico brigatista mai arrestato: Alessio Casimirri. Possiamo noi vedere quel bellissimo film in televisione sul rapimento Pag. 55del giudice Sossi e scoprire – non perché lo dico io, ma perché lo dice la magistratura – che quelli che sono andati a rapire il giudice Sossi, 19 brigatisti, sono stati tutti arrestati tranne uno, Francesco Marra, di Quarto Oggiaro, Milano ? E perché non è stato arrestato ? Perché era un infiltrato dei carabinieri. Queste cose noi abbiamo il dovere di sapere; e non c’è scadenza, non siamo in presenza di un prodotto alimentare che scade tra tre mesi, perché la verità non scade mai. Io credo che abbiamo fatto bene ad avviare questo percorso. La dimostrazione che quel percorso legislativo è utile è data anche dal fatto che tutti i gruppi hanno firmato quella proposta, che oltre cento deputati hanno firmato quella proposta, e che da quando quella proposta è in itinere in tutta l'Italia c’è un bisogno di verità, c’è un rifiorire del pensiero di Moro e di quello che è successo sul caso Moro, perché normalmente il nostro Stato parlava di Moro il 16 marzo e il 9 maggio. Noi abbiamo avuto il torto di consentire che di Moro si parlasse anche fuori dal 16 marzo e dal 9 maggio. Se questo è un torto, ce ne assumiamo tutta la responsabilità. Ma noi abbiamo chiara una cosa: se il fascismo ebbe il tragico evento di un grande protagonista di quest'Aula, Giacomo Matteotti, che fu trucidato, e la notizia all'inizio passò in sordina, la Repubblica costituzionale ha avuto il tragico evento di Moro. E noi, con questa Commissione, che è a tempo, abbiamo la necessità di riprendere i lati oscuri, nebulosi, che sono tutti contenuti nel dossier del gruppo del Partito Democratico. Concludo con un altro riferimento: via Monte Nevoso. Provate a raccontare ad un giovane che cosa successe in via Monte Nevoso. Primo ottobre 1978: irruzione dei carabinieri a Milano; viene rintracciato il memoriale di Moro, quello dattiloscritto; per undici anni un nostro ex collega del Senato, il senatore Flamigni, dice alla magistratura, arrivando quasi alle mani con un pubblico ministero di Milano, che in via Monte Nevoso c’è altro materiale, e la magistratura dice e i carabinieri scrivono: via Monte Nevoso è stata scarnificata mattonella per mattonella; i carabinieri si sono fermati per cinque giorni in un appartamento di 100 metri. Dopo 12 anni di sequestro di quell'abitazione un semplice muratore trova dietro il termosifone armi, soldi e le vere lettere di Moro, gli originali. È possibile questo ? È possibile che il giorno in cui viene trovato il dattiloscritto l'obbligo è che quel dattiloscritto non si muova da lì se non in presenza della magistratura quando invece c’è un signore che chiama e si fa portare in caserma il materiale di Moro, dalle 11,15 alle 17,15 del 1o ottobre 1978 ? E il capitano Arlati, che è quello che consegna questo materiale e poi lo riceve, ricevendolo fa notare al datore che il materiale si è obiettivamente ridotto. Queste cose non possiamo accettarle ! Noi non possiamo accettare l'alea di mistero che sta intorno all'omicidio del generale Dalla Chiesa ! Noi non possiamo accettare che tutti quelli che hanno visto le carte di Moro di via Monte Nevoso siano morti, in sei perché uccisi (Dalla Chiesa, Galvaligi, Varisco, Chichiarelli, Ambrosoli) e un altro perché casualmente morto d'infarto, da solo, nel letto di casa, il giorno prima di essere ascoltato dalla magistratura, il colonnello Bonaventura. Certo, sono tutte ipotesi.
  Io vorrei che su queste ipotesi si facesse chiarezza, si facesse un passo avanti, perché – e concludo – una famosa, nota personalità in quest'Aula e nella storia d'Italia – è stata il primo Ministro donna, Tina Anselmi – sostenne, quando è stata presidente della Commissione P2, che quando su un evento così drammatico lo Stato non riesce a raggiungere la verità, significa che quello stesso Stato nelle sue molteplicità e priorità non vuole raggiungerla.
  Dice il presidente della Commissione stragi, l'ex senatore Giovanni Pellegrino: «L'impressione che rimane tale è che il Parlamento, il Paese, la comunità italiana non voglia giungere alla verità sul caso Moro». Noi non dobbiamo fare una resa dei conti con la Commissione; noi dobbiamo trovare la verità, che è cosa diversa. A noi non spetta emettere sentenze: quello è compito della magistratura.Pag. 56
  Ecco perché il Partito Democratico, in prima persona, con tutti i suoi esponenti, dal capogruppo agli altri amici del gruppo del PD, è sceso in campo firmando e intestandosi la volontà di giungere alla verità perché la verità, caro Presidente, – come diceva Moro – è più grande di qualsiasi tornaconto. La verità è sempre illuminante e ci aiuta ad essere coraggiosi, noi abbiamo bisogno di grande coraggio per voltare pagina e per dire ai nostri figli che quello che è successo sul caso Moro non abbia più a ripetersi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo – A.C. 1843-A)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, presidente della Commissione affari costituzionali, onorevole Francesco Paolo Sisto.

  FRANCESCO PAOLO SISTO, Relatore. Signor Presidente, credo che, dopo gli interventi che abbiamo ascoltato, al di là delle diverse posizioni, la necessità di questa Commissione prenda corpo.
  Proprio gli interrogativi posti analiticamente dall'onorevole Grassi, ma direi un po’ da tutti coloro che sono intervenuti a vario titolo, rendono chiaro un passaggio che io trovo assolutamente fondamentale, che chiarire un evento, un momento di attacco alla democrazia così rilevante per il nostro Paese, in altri tempi – diciamo così – addirittura capace di alterare il baricentro delle istituzioni democratiche, non è soltanto un'operazione storica o soltanto un'operazione politica; è un'operazione indispensabile perché il percorso della democrazia sia assolutamente nitido e si comprenda come si è giunti poi immediatamente dopo per cause, per ragioni, per effetti, ma anche per partecipazione psicologica, agli eventi.
  Infatti, non c’è dubbio che coloro che sono stati, volenti o nolenti, protagonisti, nella buona o nella cattiva sorte, di quell'episodio poi hanno continuato, hanno prestato la loro opera ad eventi successivi di grande importanza. E comprendere come quelle responsabilità possano essere attribuite credo che sia un dettaglio non secondario, un passaggio ineliminabile per dare alle funzioni del Parlamento anche quella di una ricognizione attenta a fatti e a documenti che consentano – come diceva Aldo Moro – di dare continuità a quella stagione dei doveri, in cui il dovere di ciascuno diventa respiro importante perché lo Stato possa avere una dimensione assolutamente in linea direi con il portato costituzionale.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

  VITO DE FILIPPO, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, onorevoli, il pathos che abbiamo ascoltato negli interventi conferma il giudizio favorevole che ho dato all'inizio della discussione. Ci sono alcuni nodi di una storia democratica che devono essere sciolti e non bisogna lasciarli – come dire – catalogati nella pur nobile facoltà della memoria, che pure è un elemento fondamentale per la democrazia e la sua forza.
  In questo senso, apprezziamo e valutiamo positivamente questa iniziativa, e il Governo offre tutta la sua collaborazione per i lavori che questa Commissione dovrà svolgere nel prosieguo.

  PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Binetti, Balduzzi ed altri n. 1-00094, Dorina Bianchi ed altri n. 1-00281, Rondini ed altri n. 1-00373, Nicchi ed altri n. 1-00375, Palese e Fucci n. 1-00376, Lenzi ed altri n. 1-00377 e Silvia Giordano ed altri n. 1-00378 concernenti iniziative in materia di malattie rare (ore 15,55).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Binetti, Balduzzi Pag. 57ed altri n. 1-00094, Dorina Bianchi ed altri n. 1-00281 (Nuova Formulazione), Rondini ed altri n. 1-00373, Nicchi ed altri n. 1-00375, Palese e Fucci n. 1-00376, Lenzi ed altri n. 1-00377 e Silvia Giordano ed altri n. 1-00378 concernenti iniziative in materia di malattie rare (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
  Avverto che in data odierna è stata presentata una nuova formulazione della mozione Nicchi ed altri n. 1-00375. Il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A – Mozioni).

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritta a parlare l'onorevole Binetti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00094. Ne ha facoltà.

  PAOLA BINETTI. Signor Presidente, rappresentante del Governo, colleghi, dal 1999 in Europa le malattie rare hanno cominciato ad accrescere la loro importanza nella normativa comunitaria e nella loro visibilità presso le istituzioni e la pubblica opinione.

  PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Binetti. Per favore, lasciate libero il banco del Governo, grazie. Prego.

  PAOLA BINETTI. La normativa ha un peso spesso di forte indirizzo per le scelte politiche dei Paesi dell'Unione europea, come per l'Italia, ma questo primo risultato, se pure storico, non era considerato sufficiente da pazienti, familiari, organizzazioni di volontariato. C'era il rischio che le malattie rare rimanessero un argomento troppo fragile, nascosto nelle pieghe degli articoli di legge, un tema di discussione politica riservata ad una ristretta cerchia di decisori, che avrebbe potuto anche, e senza vincoli, far cadere le cose, lasciarle sfumate in una sorta di anonimato generico.
  La European Organization for Rare Diseases (EURORDIS), l'Organizzazione europea di pazienti che ha avuto un ruolo di primo piano nella pressione verso i massimi organismi politici comunitari al fine di inserire le malattie rare nella normativa europea, ha ascoltato a lungo i bisogni e le idee che, dalla stessa base di pazienti, singoli o associazioni disseminate in tutta Europa, oltre anche i nostri confini, arrivavano fino alla sua sede a Parigi.
  Noi la settimana scorsa, abbiamo ricordato qui la Giornata delle malattie rare ed è in forza di quella giornata, in forza di quell'impegno, che ha visto tutte le componenti politiche, tutte le associazioni raccolte nella federazione di associazioni, che nasce anche questa mozione oggi. In Italia, ricordiamo che la nostra Costituzione, all'articolo 3, afferma che tutti i cittadini, senza distinzioni di alcun tipo, sono uguali davanti alla legge; ma questa potrebbe rimanere un'uguaglianza puramente formale, se non fosse che impegna lo Stato a rimuovere gli ostacoli che di fatto limitano l'uguaglianza dei cittadini per varie ragioni, comprese quelle che riguardano la loro salute: ed è questa l'uguaglianza sostanziale che noi troviamo al comma 2 dell'articolo 3.
  In tal modo, la Costituzione italiana sancisce che tutti i cittadini hanno pari dignità, intendendo la dignità umana come fondamento costituzionale di tutti i diritti. A tale riguardo, è d'obbligo precisare che il bene salute, nella nostra Costituzione il diritto alla salute, è tutelato dall'articolo 32, primo comma, non solo come diritto fondamentale dell'individuo, ma anche come interesse della collettività, e per questo richiede piena ed esaustiva tutela in quanto diritto primario ed assoluto. Ed è per questo che noi ci sentiamo coinvolti, tutti insieme, nella tutela di quei pazienti che vanno sotto il nome di malati rari, laddove noi sappiamo che sono rari ciascuno rispetto alla propria patologia, ma complessivamente sono veramente tanti, Pag. 58tanti al punto tale che, se noi volessimo partire dalla criticità più complessa che si presenta alla nostra osservazione, dovremmo riconoscere che le malattie rare sono patologie debilitanti, fortemente invalidanti, potenzialmente letali, caratterizzate da bassa prevalenza ed elevato grado di complessità, per l'80 per cento di origine genetica, mentre il restante 20 per cento è costituito da malattie che sono acquisite, che comprendono forme tumorali rare, malattie autoimmuni, patologie di ordine infettivo o tossico.
  Noi oggi ci troviamo davanti al fatto che nell'Unione europea sono state riconosciute da 5 mila a 8 mila malattie rare. Non sembri strana questa forbice: da 5 mila a 8 mila sembra quasi un 40 per cento in più di patologie, ma è proprio la complessità della diagnosi il primo ostacolo con cui tutti noi ci dobbiamo misurare: riconoscere una patologia distinguendola da quelle che, pur sembrando simili, non consentono però di utilizzare gli stessi strumenti terapeutici, le stesse misure di presa in carico di quei pazienti.
  Lo slogan utilizzato dai malati di malattie rare recita così: «le malattie sono rare, ma noi siamo tanti !» e l'arbitraria definizione di «rara» infatti non ha favorito il processo di ricerca e di attenzione sulle cause di tali patologie, frenando gli investimenti sia in campo diagnostico che terapeutico, per cui se da un lato sono pochi i centri in cui è possibile ottenere in tempi contenuti una diagnosi esatta – sottolineo che questo resta il primo problema di questi pazienti – è complessivamente scarsa anche la ricerca per la produzione di nuove molecole, con conseguenti ritardi in quello che è, invece, l'aspetto terapeutico, tanto più che noi parliamo in questi casi di farmaci «orfani». Alla malattia rara corrisponde un farmaco orfano; sembra veramente un'associazione particolarmente drammatica e particolarmente pessimistica rispetto alla possibilità di venire fuori da questo tipo di patologie.
  Pur tuttavia nell'Unione europea e in Italia, dal 1999, sono state identificate le malattie rare con un'area di priorità in sanità pubblica; questo ha definito le priorità e gli obiettivi da raggiungere al punto tale che esiste un provvedimento specifico, il decreto ministeriale n. 279 del 2001, che istituisce e regolamenta la Rete nazionale delle malattie rare e per questo prevede anche l'esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie. Questo è uno degli obiettivi di questa mozione, per tutti quanti noi, sono molte le mozioni – potremmo dire che questa volta non sono rare le mozioni – però questo è un obiettivo comune. Il chiedere davvero che le malattie rare riconosciute vengano inserite quanto prima nella lista dei LEA cioè dei livelli essenziali di assistenza per permettere a questi pazienti di poter godere, perlomeno, di quello che è questo vantaggio, l'esenzione dal costo delle prestazioni sanitarie; sembra poco per chi è malato di una malattia da cui finora non si conosce come venirne fuori, ma potrebbe essere l'inizio, in qualche modo, di una sorta di riconciliazione tra i malati e la società che ci circonda.
  Il regolamento (CE) n. 141/2000 stabilisce i criteri per l'assegnazione della qualifica di medicinali orfani nell'Unione europea e prevede incentivi per stimolare la ricerca, lo sviluppo e la commercializzazione dei farmaci per la profilassi, la diagnosi o la terapia delle malattie rare. Il 20 marzo 2008, l'Aifa, l'Agenzia italiana del farmaco, ha stabilito le «Linee guida per la classificazione e conduzione degli studi osservazionali sui farmaci».
  Ad oggi in Italia, nonostante un accordo Stato-regioni datato 8 luglio 2010, non esiste però ancora una normativa adeguata a sostegno dei malati e delle loro famiglie, che incontrano enormi difficoltà di carattere economico assistenziale, soprattutto per ciò che concerne la terapia domiciliare, che si somma alla grave carenza di strutture e farmaci adeguati alla cura di tali patologie. In Francia il Piano nazionale per le malattie rare, in vigore già dal 1994, prevede l'ATU, ossia l'Autorizzazione temporanea di utilizzo dei farmaci, con lo scopo di garantire l'accesso alle cure da parte dei pazienti e l'utilizzo di un farmaco orfano o destinato alla cura Pag. 59di malattie rare o gravi, prima che abbia ottenuto l'autorizzazione all'immissione in commercio, purché il farmaco sia in fase di sviluppo avanzato e non vi sia una valida alternativa terapeutica con un farmaco regolarmente autorizzato.
  Lo schema dell'ATU applicato ai farmaci destinati alla cura di malattie rare o orfane o gravi, consentirebbe ai pazienti di avere a disposizione tali farmaci con largo anticipo rispetto ai tempi necessari alla conclusione degli studi clinici e all'ottenimento dell'autorizzazione alla commercializzazione. All'insistenza delle famiglie occorre poter rispondere con la dovuta solidarietà, ma anche con l'indispensabile razionalità nella valutazione dei processi e delle procedure. Tutti noi abbiamo nel cuore e negli occhi quello che è successo rispetto al caso Stamina; pazienti affetti da malattie rare, pazienti che in qualche modo si sono sentiti lasciati soli e che essendo stati lasciati soli sono incorsi facilmente in quelle che sono delle operazioni ai limiti, veramente, della correttezza scientifica, ai limiti della fraudolenta captatio benevolentiae di questi malati, laddove noi però non siamo stati in grado di garantire tempestivamente quell'aiuto e quella presenza di cui avrebbero bisogno.
  Mi permetto di far notare che tra pochi giorni, il 2 aprile, sarà la Giornata mondiale della consapevolezza dell'autismo, altra patologia che se non si può definire rara perché in questo momento i criteri per la sua diagnosi sono criteri abbastanza estesi, però è una malattia che lo stesso, in qualche modo, lamenta uno stato di solitudine per quello che riguarda le famiglie e chiede un intervento da parte nostra coraggioso, deciso, sul piano della normativa, sul piano dell'assistenza, sul piano di una serie di misure, che non sono soltanto i livelli essenziali di assistenza sanitaria, ma, come molte volte abbiamo cercato di richiedere nella nostra Commissione, i livelli di assistenza sociosanitaria.
  Perché per questi pazienti il bisogno di assistenza non è soltanto sul piano medico, ma è anche sul piano degli interventi sociali.
  Cosa chiede questa mozione ? Chiede di verificare in che modo e fino a che punto ci si prenda cura e ci si stia prendendo cura oggi dei bisogni delle persone affette da malattie rare. Chiede di avere il coraggio di non girare la testa dall'altra parte. Chiede di avere il coraggio di essere accanto a questi malati. Chiede di assumere iniziative dirette ad aggiornare l'allegato n. 1 del regolamento di cui al decreto del Ministero della salute del 2001, contenente l'elenco delle malattie rare esentate dalla partecipazione al costo – quello che si diceva prima – dai livelli essenziali di assistenza e chiede di farlo con una cadenza annuale e non con una cadenza triennale o, come sta succedendo quasi in questo momento, con una cadenza decennale. Chiede di istituire a livello nazionale registri delle patologie di rilevante interesse sanitario, in modo da fare chiarezza sul numero reale dei pazienti che ne sono effetti, consentendo l'utilizzo mirato delle risorse pubbliche.
  Chiede che, all'emissione della prima certificazione di malattia rara, la validità sia illimitata nel tempo e su tutto il territorio nazionale. È ridicolo dover ricertificare una malattia rara, posto che, essendo di natura genetica, è una malattia che uno è destinato a portarsi con sé per tutto l'arco della propria vita. Chiede – e questa forse è una delle cose piccole, concrete e positive che abbiamo fatto in questo Parlamento, quando nella finanziaria è stato inserito un emendamento, a prima firma di colleghi del MoVimento 5 Stelle, ma sicuramente con l'adesione convinta e motivata di tutti quanti noi – un allargamento dello screening neonatale a tutti i pazienti delle diverse regioni.
  Chiede anche che il comitato nazionale delle malattie rare assuma una posizione che non è soltanto sanitarizzata, come accade alla realtà presente, peraltro in maniera più che attenta e sensibile all'interno dell'Istituto superiore di sanità, ma chiede che il tema delle malattie rare, quando investe i problemi anche dell'inserimento nella scuola di questi bambini, problemi dell'inserimento nel mondo del lavoro, quando queste persone diventano Pag. 60adulte, venga considerato a tutto campo e non vi sia una frammentazione dell'area dei servizi.
  Chiede anche che finalmente il piano nazionale delle malattie rare, che come tutti noi sappiamo in questo momento è bloccato presso la Conferenza Stato-regioni, veda finalmente la sua approvazione. Chiede che si assuma la copertura finanziaria della legge n. 648 del 1996 per quello che riguarda l'accesso alle cure innovative.
  Chiede che vi sia una disposizione normativa atta a rendere vincolante la valutazione dell'EMA-European Medicines Agency, considerato che la norma prevede che il farmaco che ha ricevuto la qualifica di «medicinale orfano» possa beneficiare di una procedura accelerata di autorizzazione. Chiede, infine, l'esenzione dei diritti da versare per l'immissione in commercio per i farmaci orfani; questo per incoraggiare le case farmaceutiche ad investire positivamente e concretamente.
  Chiediamo, in altri termini, che questi pazienti non si debbano mai più sentire soli e non si debbano sentire in questo modo sospinti verso soluzioni veramente fantasiose; ma in questa dimensione di «fantasiose» io vorrei dire molto spesso autenticamente fraudolente.

  PRESIDENTE. Sarebbe ora iscritto a parlare l'onorevole Rondini, per illustrare la sua mozione n. 1-00373, che però ha avuto dei problemi, e chiedeva la possibilità di scambiarsi con l'onorevole, Busin: io non ho personalmente problemi e prendo atto che non vi sono obiezioni.
  È iscritto, dunque, a parlare l'onorevole Busin, che illustrerà la mozione Rondini ed altri n. 1-00373, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

  FILIPPO BUSIN. Signor Presidente, colleghi, rappresentante del Governo, in Italia si stimano in centinaia di migliaia i pazienti affetti da patologie rare che affrontano spesso difficoltà così pesanti da pregiudicare la qualità della vita di interi nuclei familiari, la realtà lavorativa dei loro componenti e spesso anche la loro sopravvivenza economica.
  Nel 2001, con il decreto ministeriale n. 279, sono state individuate 583 malattie rare e/o gruppi di malattie aventi diritto all'esenzione delle prestazioni sanitarie correlate alla malattia e incluse nei livelli essenziali di assistenza. Molte malattie rare presenti non sono però incluse nell'elenco ministeriale, con drammatiche conseguenze per i pazienti che, pur avendo una malattia rara, non possono beneficiare di alcuna speciale tutela.
  La giornata delle malattie rare è uno degli appuntamenti più importanti per chi vive questo problema.
  Un momento per far arrivare informazioni a decisori politici e pubblici, operatori sanitari e sociali e opinione pubblica.
  In occasione della Giornata delle malattie rare, durante il convegno organizzato dall'Istituto superiore di sanità «Dalla ricerca scientifica alla tutela delle persone con malattie rare», con cui si è fatto il punto sulla situazione delle malattie rare in Italia, Uniamo – Federazione italiana malattie rare ONLUS ha illustrato i risultati della conferenza nazionale Europlan II, iniziativa per l'adozione dei piani nazionali per le malattie rare nei Paesi dell'Unione Europea. In questo progetto tutti gli attori del sistema nazionale delle malattie rare hanno sviluppato definizioni condivise e strumenti funzionali come contributo all'elaborazione finale del Piano nazionale per le malattie rare, ancora in attesa di adozione dal 2013. L'obiettivo è rendere il piano rispondente alle necessità e ai reali bisogni dei pazienti, tenendo conto anche delle buone pratiche esistenti.
  Anche il Ministro della salute Lorenzin, inviando i saluti al presidente dell'Istituto superiore di sanità, Fabrizio Oleari, ha dichiarato che «il tema dell'assistenza rappresenta un bisogno universale sia per i pazienti che per le loro famiglie e il Dicastero che rappresento ha sempre dimostrato un'attenzione altissima verso questa tematica, nella consapevolezza che le malattie rare necessitano di politiche specificatamente indirizzate. Frutto di questa speciale sensibilità è stato il Piano Pag. 61nazionale delle malattie rare che, a breve, sarà sottoposto al vaglio della Conferenza Stato-regioni».
  C’è la consapevolezza che si sta attraversando una fase di trasformazione del welfare. È fortemente sentita, anche in campo sanitario, la necessità di innovare e di assumersi nuove responsabilità di rischio, che determini una nuova produzione di valore. In questo senso le malattie rare costituiscono in sé una sfida di sanità pubblica e una sfida sociale e possono essere un campo di sperimentazione dove creare e definire significati condivisi.
  I contenuti elaborati e condivisi tra tutti gli attori del «sistema malattie rare» durante le conferenze Europlan devono costituire un impulso per le istituzioni preposte ed essere fonte di indirizzo nell'elaborazione finale del Piano nazionale per le malattie rare e delle politiche socio-sanitarie promosse territorialmente.
  Continuamente cambiano e nascono nuovi bisogni sociali e di salute che rimangono spesso insoddisfatti perché le risposte a questi bisogni sono superate. Sono questi nuovi bisogni ad assumere oggi un maggior valore e costituire il senso della comunità dei malati rari, a cui si devono dare nuove risposte ricche di valore aggiunto. Il valore aggiunto è il grado di soddisfazione e miglioramento del livello di salute ottenuto e percepito dal paziente nel godimento dell'offerta di salute.
  L'Europa ha deciso di puntare sulla costruzione di reti quale principio di un'adeguata offerta di salute per i malati affetti da patologie rare, valorizzando la domanda e con essa assegnando al paziente una piena responsabilità.
  Per questo, impegniamo il Governo ad istituire un comitato nazionale, con la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti nel settore delle malattie rare, comprese le associazioni dei pazienti, con il compito di delineare innanzitutto le linee strategiche e le proposte da attuare nei settori della diagnosi e dell'assistenza, della ricerca, della tutela e della promozione sociale, della formazione e dell'informazione; indicare le priorità di impiego delle risorse dedicate alle malattie rare, tenendo conto anche dei dati di monitoraggio e valutazione; prevedere il coinvolgimento dei rappresentanti associativi delle persone con malattie rare nei coordinamenti regionali sulle malattie rare stesse; individuare uno standard per l'aggiornamento sia dell'elenco delle malattie rare riconosciute che dei livelli essenziali di assistenza, capace di stare al passo con lo sviluppo delle conoscenze scientifiche; ad individuare un meccanismo capace di modificare il sistema di remunerazione delle prestazioni adeguandolo alla quantificazione della complessità multidisciplinare del paziente; a definire i criteri minimi che le strutture abilitate ad effettuare le indagini finalizzate alla diagnosi prenatale devono rispettare; a prevedere che le patologie rare che rientrano nel pannello di screening neonatale debbano essere rivalutate periodicamente in base alle nuove conoscenze tecniche ed epidemiologiche, posto che è necessario che la scelta delle patologie da includere nello screening si basi su criteri a forte evidenza scientifica; a migliorare e accelerare le procedure nazionali per la definizione del prezzo e del rimborso dei farmaci allo scopo di migliorare l'accesso ai farmaci orfani; a favorire l'utilizzo off-label di farmaci di cui è nota l'efficacia, supportata da evidenze scientifiche, al fine di un eventuale inserimento nella lista del decreto-legge n. 536 del 1996, convertito dalla legge n. 648 del 1996, sviluppando da parte dell'Agenzia italiana del farmaco un'attenzione particolare per le malattie rare.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Nicchi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00375 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

  MARISA NICCHI. Signor Presidente, creare nuove cure per le malattie rare ci riconduce ad un tema che ha una grande valenza etica e morale, che rappresenta una sfida nuova per garantire il diritto alla salute per tutti i cittadini e le cittadine. Si tratta, infatti, di patologie che sono potenzialmente letali o croniche e in gran Pag. 62parte di origine genetica, che comprendono rare forme tumorali, malattie autoimmuni, malformazioni congenite o derivate dall'esposizione ambientale durante la gravidanza, patologie di origine infettiva o tossica.
  Sono malattie numerose e molto diverse ed eterogenee fra loro. Richiedono quindi un approccio particolare e molto articolato, complesso, basato su interventi specifici, personali quasi, combinati tra diverse cure e che riescono in qualche modo a migliorare la qualità della vita delle persone colpite. Direi che ogni paziente deve poter disporre della migliore terapia possibile.
  È una frontiera nuova, anche, verso cui devono guardare le politiche sanitarie. Sono infatti stimate dalle 5 alle 8 mila diverse malattie – lo ricordava la collega Binetti – le malattie rare che in ambito europeo colpiscono oltre il 6 per cento della popolazione nelle varie fasi della vita. In Italia si stimano circa due milioni di persone colpite da questa patologia e una larga fetta colpisce i piccoli, i bambini. Poi sono state raggruppate a seconda della maggiore o minore prevalenza, secondo alcune decisioni europee, come la n. 1295 del 1999 del Parlamento europeo e del Consiglio, con cui si è adottato anche un programma di azione comune da parte della Commissione.
  Però, al di là di questi raggruppamenti, vi sono ancora migliaia di patologie molto rare che colpiscono solo poche persone e che risultano, queste sì, inevitabilmente molto colpite perché isolate e quindi più vulnerabili.
  La ricerca scientifica europea ha svolto un ruolo per migliorare la comprensione dei meccanismi di base di queste patologie, ma quello che manca, ed è quello che è oggetto delle mozioni e della mozione che sto illustrando, sono politiche sanitarie adeguate. Questa assenza ha come effetto, per esempio, di arrivare a diagnosi tardive. Producono difficoltà di accesso alle cure, costringono tanti pazienti e le loro famiglie alla difficile ricerca di strutture sanitarie adeguate. Invece, al contrario, noi sappiamo che, almeno per alcune malattie, se diagnosticate e gestite in tempo, la vita delle persone colpite potrebbe scorrere più normalmente.
  La carenza di conoscenza sulle malattie rare contribuisce ad aggravare lo stato di salute dei portatori di queste malattie e conduce, per esempio, a tutto un dispendio di energie e di azioni che vanno rese più razionali e più mirate, per esempio ricoveri inutili, infinite consulenze specialistiche vane, prescrizioni di farmaci e trattamenti inadeguati.
  L'Istituto superiore della sanità ha individuato un elenco di 583 patologie rare che godono di esenzione per le prestazioni, che sono individuate tra i livelli essenziali ed uniformi di assistenza. Sappiamo che diverse regioni hanno dei LEA aggiuntivi per queste malattie rare, hanno percorsi assistenziali istituiti ad hoc.
  Alcune già prevedevano, per esempio, lo screening neonatale, che poi noi abbiamo introdotto, con un emendamento, generalizzandolo, nella legge di stabilità. Poi, il decreto ministeriale n. 279 del 2001 ha previsto l'istituzione della rete nazionale per la prevenzione, la sorveglianza, la diagnosi e la terapia delle malattie rare, che è costituita da tutti i presidi accreditati, preferibilmente ospedalieri, che sono stati appositamente individuati dalle regioni, e anche da centri interregionali di riferimento. La rete è lo strumento per la formulazione della diagnosi della malattia rara, per l'erogazione delle cure in regime di esenzione, per la prevenzione, la sorveglianza, l'informazione e la formazione, per migliorare gli interventi volti alla diagnosi precoce e alla terapia più adeguata.
  Inoltre, il decreto ha istituito il registro nazionale delle malattie rare, istituito proprio presso l'Istituto superiore di sanità con un obiettivo di sorveglianza, di monitoraggio e di studio epidemiologico per la programmazione nazionale e regionale degli interventi per i soggetti che sono affetti da queste rare malattie. È un lavoro utile, importante: serve a definire le dimensioni del problema, ad individuare il ritardo diagnostico, tutti i problemi legati alla migrazione sanitaria, alla ricerca di cure; serve a stimolare il confronto tra operatori Pag. 63sanitari per la definizione di criteri diagnostici e serve a indirizzare la ricerca clinica. Poi, l'accordo Stato-Regioni del 10 maggio 2007, anch'esso già citato, ha stabilito l'impegno, sia da parte del registro nazionale sia da parte delle regioni, teso proprio ad attivare dei registri regionali che, coordinandosi insieme, possono produrre effetti positivi nelle politiche sanitarie da attuare.
  Insomma, qualcosa si è fatto, ma molto poco. Si deve fare molto di più, è una frontiera, assolutamente, che sollecita risposte importanti. Noi abbiamo individuato due priorità di indirizzo.
  Intanto, superare la differenza di trattamento tra le varie regioni, anche relativamente alla mancanza in tutto il territorio nazionale di strutture specialistiche. Il problema della migrazione è un problema serio per i pazienti e per le famiglie che assistono i pazienti. Secondo obiettivo: fornire, individuare e mirare meglio un'assistenza adeguata a questi malati, alle loro famiglie, che troppo spesso rimangono senza un sostegno efficace.
  La mozione che sto illustrando chiede al Governo impegni precisi. Il primo: includere nei livelli essenziali di assistenza, LEA, per questi soggetti, anche prestazioni per le terapie riabilitative, anche prescrizioni non farmacologiche, quali, per esempio, integratori alimentari o specifici alimenti, e anche i farmaci che non sono previsti e il cui costo è interamente a carico dei cittadini e delle cittadine.
  Secondo: aggiornare, almeno ogni due anni, l'elenco delle malattie rare esentate dalla partecipazione al costo. Voglio ricordare il tema, più volte sollevato dal nostro gruppo, tra i tanti che sono aperti e che sono all'esame, del riconoscimento della sensibilità chimica multipla. Terzo obiettivo: valutare periodicamente la qualità dei centri e dei presidi accreditati, con il coinvolgimento delle associazioni dei pazienti e anche degli altri soggetti istituzionali.
  Altro problema: va estesa la sorveglianza effettuata dal registro nazionale delle malattie rare a tutte quelle malattie per le quali non è prevista la gratuità, ma che devono comunque essere oggetto di monitoraggio e di sorveglianza.
  Altro obiettivo: istituire un comitato nazionale delle malattie rare con la partecipazione di tutti i soggetti istituzionali e con il coinvolgimento delle associazioni dei malati, che conoscono dal di dentro i problemi di queste malattie, e coinvolgere queste associazioni ogni qual volta si prendono delle decisioni importanti rispetto alla cura e a quei percorsi assistenziali che li riguardano.
  Altro tema: approvare – sappiamo che è fermo alla Conferenza Stato-regioni – il Piano nazionale delle malattie rare. Implementare poi la formazione e l'aggiornamento per tutti i professionisti sanitari, con particolare riferimento alla possibilità di un riconoscimento precoce della diagnosi, che è il primo passo importante per poter dare cure efficaci.
  L'ultimo tema (tema complesso, ma che viene accennato e che ritornerà nella discussione): accelerare le procedure per autorizzare i nuovi farmaci qualificati come farmaci orfani, quei farmaci che riguardano troppe poche persone e che quindi non hanno alcuna convenienza commerciale; incentivare anche e sostenere, attraverso per esempio una fiscalità di vantaggio, la ricerca scientifica proprio su questo tipo di farmaci e anche per poter sviluppare in questo modo nuove terapie più mirate e più efficaci.
  Insomma, incentivare e facilitare la ricerca e lo sviluppo in questo campo risponde ad un'istanza etica e di equità, di giustizia nella distribuzione e nell'accesso alla salute: significa creare un'alleanza tra risorse pubbliche e private, tra economia ed etica, per fare in modo che non esistano malati di serie A e di serie B, malati che, per quanto pochi o rari, hanno tutti il diritto ad essere curati in modo efficace (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Rocco Palese, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00376. Ne ha facoltà.

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  ROCCO PALESE. Signor Presidente e onorevoli colleghi, le malattie rare affliggono circa 24 milioni di persone in Europa e oltre 2 milioni in Italia (senza contare, in queste patologie gravissime, il coinvolgimento dei familiari dei malati affetti). Si tratta di patologie alquanto eterogenee tra loro sia nell'eziopatogenesi sia nelle manifestazioni sintomatologie, che spesso costituiscono causa di mortalità precoce.
  Ad oggi non esiste una definizione uniforme di malattia rara. L'Organizzazione mondiale della sanità individua come malattie rare un ampio gruppo di patologie (tra le 5 mila e le 6 mila), di cui l'80 per cento circa di origine genetica, caratterizzata dalla bassa prevalenza nella popolazione, alcune delle quali aggregabili in aree clinico-terapeutiche (malattie dismetaboliche, anemie congenite, neuropatie e via dicendo), con particolare concentrazione in determinate aree territoriali e geografiche. Si tratta di malattie croniche e invalidanti, con conseguenti specifiche esigenze assistenziali ed alti costi sanitari e sociali, spesso prive di trattamento (malattie orfane rispetto alla terapia) perché, in assenza di incentivi, le imprese farmaceutiche, le multinazionali, non sono stimolate ad investire in funzione di un mercato che resterebbe comunque molto limitato per il basso numero di pazienti che dovrebbero essere trattati.
  In Italia, purtroppo, non è stata istituita una mappa dei centri di riferimento per le diagnosi e per le cure, con il risultato che la qualità dell'assistenza varia tantissimo tra regione e regione, né esiste un coordinamento tra i registri epidemiologici delle regioni e quelli delle associazioni dei pazienti, con il principale effetto di rendere complicato trovare pazienti arruolabili, se si vuole sperimentare un farmaco potenzialmente utile.
  Le malattie rare rappresentano un importante e complesso problema sociale ed assistenziale, come tutti i colleghi che mi hanno preceduto hanno, in maniera molto pertinente, illustrato. Trattandosi, infatti, di malattie il più delle volte genetiche, esse pongono difficoltà diagnostiche e attendono i principali risultati terapeutici dallo sviluppo di nuovi farmaci ottenuti attraverso l'impiego di metodologie avanzate (biotecnologie, terapia genica e cellulare) non sempre immediatamente disponibili.
  Per quanto riguarda la situazione europea, ci troviamo di fronte ad un quadro di quasi 7 mila tipi di malattie rare, che colpiscono circa 30 milioni di persone, di cui 2 milioni in Italia, e per far fronte a tali malattie sono nate in alcuni Paesi diverse iniziative tese ad incentivare le case farmaceutiche e gli istituti di ricerca nella messa a punto di prodotti o soluzioni specifiche. Gli Stati Uniti, l'Australia, il Giappone e l'Unione Europea si sono dotati di apposite legislazioni che favoriscono, con agevolazioni fiscali e commerciali, la creazione di medicinali orfani, cioè probabilmente abili alla terapia di una malattia rara, ma non prodotti per cause commerciali.
  In particolare, in Europa, il regolamento (CE) n. 141/2000 ha dato avvio alla fase di definizione di interventi atti a ridurre il disagio dei malati rari e ad aumentare la disponibilità di ausili farmacologici, diagnostici e tecnici che ne migliorino la qualità della vita. In Italia, la legge n. 279 del 2001 ha disposto una serie di interventi a livello nazionale, che sono stati recepiti solo in parte dal sistema regionalizzato della sanità, ma l'attenzione per le malattie rare a livello legislativo e amministrativo è relativamente recente, perché il trattamento di tali malattie, quando possibile, ha un costo per paziente molto più elevato di quello di una malattia comune e tende, quindi, a non essere mai inserito tra le priorità, a meno che la gravità della patologia o l'attivismo dei pazienti non la imponga all'attenzione pubblica.
  L'ultima iniziativa dell'Esecutivo, in ordine di tempo, è la cosiddetta «Schengen sanitaria», elaborata nel Consiglio dei ministri del 28 febbraio scorso. In realtà, gli interventi predisposti, pur permettendo ai cittadini comunitari di spostarsi oltreconfine per ricevere un'assistenza sanitaria di qualità o, in alternativa, di usufruire di servizi di telemedicina da altri Stati, non sono tuttavia privi di regole e paletti, Pag. 65autorizzazioni preventive, tariffe e rimborsi limitati e vincoli di ogni genere, che oltretutto escludono dall'applicazione di tale assistenza i servizi long term care, i trapianti d'organo e le vaccinazioni. In pratica, è come se in Italia non ci fosse la possibilità, con riferimento alla direttiva europea, per un paziente che voglia curarsi, di recarsi liberamente nel contesto dei Paesi europei per poterlo fare.
  È auspicabile un maggiore e più solerte impegno di questo Governo ad intervenire per assicurare che l'Italia si doti entro il 2015 di un Piano nazionale per le malattie rare, da sviluppare in coerenza con le linee guida definite in Europa attraverso il progetto Europlan, e ad attivarsi per l'istituzione e l'implementazione di registri delle malattie rare, sviluppati sia su base territoriale (reti regionali di riferimento) che attraverso una catalogazione per patologia.
  È urgente che si crei, su base regionale e nazionale, un'anagrafe dei portatori di malattie rare, così come riconosciute esclusivamente dai centri di riferimento della malattia o del gruppo di malattie abilitati alla diagnosi per i casi di malattie ultrarare, con incidenza inferiore ad uno su 100.000 abitanti. È altresì urgente l'istituzione e l'implementazione di network di ricerca relativi a singole malattie rare o a gruppi di esse, che tengano conto dei criteri già definiti in sede europea per l'identificazione di centri e di network di eccellenza. Tali network, oltre a dimostrare il possesso dei requisiti di eccellenza, potrebbero essere collegati in rete ai rispettivi network europei ed internazionali ed avere dimensione di norma sovraregionale e nazionale.
  Per quanto riguarda le malattie rare pediatriche, sarebbe inoltre utile l'istituzione e l'implementazione di network di ricerca pediatrici, che rispettino la specificità della popolazione infantile, anche in considerazione del fatto che l'80 per cento di tali malattie sono pediatriche e che solo specifiche competenze create in tale ambito ed in collaborazione con i medici del territorio sono potenzialmente in grado di favorire diagnosi precoci e percorsi terapeutici ottimali.
  È inoltre fondamentale identificare e convalidare la rete dei servizi assistenziali e la rete dei laboratori abilitati alla diagnosi di malattia rara nell'ambito dei principali settori clinicoterapeutici identificabili almeno in macroaree: malattie dismetaboliche, malattie oncologiche rare, malattie neurologiche e malattie ematologiche.
  È inoltre sempre più urgente procedere ad una ricognizione delle esistenti biobanche e della loro adeguatezza ad essere utilizzate per la diagnosi precoce ed immediata delle malattie rare, anche attraverso l'identificazione di nuovi biomarker, specie in caso di malattie dovute a difetti congeniti dimostrabili in età perinatale, per le quali l'intervento precoce è essenziale per ridurre e prevenire l'insorgenza di gravi deficit psicosomatici ed invalidità.
  Ci aspettiamo inoltre che venga rivista e sistematizzata tutta la materia relativa all'uso temporaneo di farmaci per portatori di malattie rare, dando attuazione all'articolo 158, comma 10, del decreto legislativo n. 219 del 2006, nonché all'accesso preferenziale all'uso temporaneo dei farmaci per i portatori di malattie rare, definite da una prevalenza di 5 su 10.000, come da regolamento (CE) n. 141/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 1999. E che si renda obbligatorio l'inserimento di questi farmaci con tempi certi nei prontuari regionali e ospedalieri, dove esiste un Far West senza precedenti e ogni regione fa per conto proprio. E sia garantito l'accesso alle procedure off-label, ai sensi del decreto-legge n. 23 del 1998, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 94 del 1998, per singoli pazienti in caso di emergenza terapeutica per patologia rara.
  In pratica, chiediamo al rappresentante del Governo che è qui presente la semplice attuazione delle leggi, il semplice rispetto delle leggi che, sia le regioni, sia le ASL in particolare, disattendono puntualmente.
  Infine, si evidenzia la necessità della creazione di una commissione tecnica Pag. 66presso l'Agenzia italiana del farmaco per la valutazione delle autorizzazioni temporanee di utilizzo, le ATU, che comprenda anche competenze etiche e pediatriche e che si proceda all'esclusione dei farmaci orfani dall'applicazione del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, relativamente alla spesa ospedaliera, defiscalizzando in questo modo le spese sostenute in Italia per la ricerca clinica e pre-clinica relativa ai farmaci orfani e alle malattie rare, con particolare attenzione ai progetti rivolti al territorio delle regioni con disavanzo e sottoposte a piani di rientro (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole D'Incecco, che illustrerà anche la mozione Lenzi ed altri n. 1-00377, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

  VITTORIA D'INCECCO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario, il 28 febbraio 2014, come già detto anche dagli altri colleghi, si è svolta la settima Giornata mondiale delle malattie rare, che ha chiuso la settimana nazionale a sostegno delle persone affette da queste patologie. Nel corso dell'appuntamento è emersa l'esigenza di mettere in campo quanto prima delle iniziative concrete e di sistema. È necessario, infatti, che le istituzioni prevedano delle misure in grado di dare sostegno alle persone affette dalle diverse forme di malattie rare con lo scopo di migliorare la diagnosi, le cure disponibili e l'assistenza, garantendo più in generale un miglioramento della qualità di vita di questi pazienti.
  Una malattia, come è stato già detto, è considerata rara quando colpisce non più di cinque persone ogni dieci mila abitanti. La bassa prevalenza nella popolazione, però, non significa che le persone con le malattie rare siano poche. Si parla, infatti, di un fenomeno che colpisce milioni di persone in Italia e addirittura decine di milioni in tutta l'Europa. Del resto, il numero di malattie rare conosciute e diagnosticate oscilla, come è stato già detto, tra le settemila e le ottomila. Parlare di malattie rare nella loro totalità e non come singole patologie serve ancora di più a mettere in luce e riconoscere una serie di comuni problematiche assistenziali e a progettare interventi di sanità pubblica mirati e non frammentati, che coinvolgano gruppi di popolazione accomunati da bisogni simili, pur salvaguardandone però peculiarità e differenze, perché ci sono.
  Le malattie rare sono definite anche orfane – anche questo è stato già detto – in quanto ad oggi non ricevono le attenzioni e il sostegno economico e sociale adeguati. A livello europeo esistono delle linee di azione per promuovere lo scambio di informazioni attraverso reti europee già esistenti sulle malattie rare e lo sviluppo di strategie e meccanismi per lo scambio di informazioni e il coordinamento a livello comunitario, al fine di incoraggiare la continuità del lavoro e la cooperazione transnazionale. A titolo di esempio, in Francia da tempo è stato adottato un Piano nazionale per le malattie rare e dal 1994 è in vigore l'autorizzazione temporanea di utilizzo dei farmaci orfani, che ha consentito a più di 400 prodotti farmaceutici di ottenere l'autorizzazione temporanea di utilizzo – è stato già detto: l'ATU – permettendo ai pazienti di utilizzarli in media dodici mesi prima dell'ottenimento dell'autorizzazione all'immissione in commercio.
  L’ ATU ha come finalità quella di consentire l'utilizzo di un farmaco orfano e/o destinato alla cura di malattie rare o gravi, prima ancora che lo stesso abbia ottenuto l'autorizzazione all'immissione in commercio, purché il farmaco sia in fase di sviluppo e non vi sia una valida alternativa terapeutica garantita da un farmaco regolarmente autorizzato. A livello nazionale, nonostante l'Italia sia sempre stata sensibile a questo tema, non solo inserendolo tra i punti fondamentali del piano sanitario nazionale già nel triennio 1998-2000, ma anche predisponendo il regolamento con cui si stabilisce l'esenzione dai costi sanitari per circa duecentocinquanta patologie, a tutt'oggi sono molteplici le malattie Pag. 67rare non ancora riconosciute ed inserite nei LEA, livelli essenziali di assistenza.
  Allora, con questa mozione, cosa vogliamo chiedere al Governo ? Che possa assumere un impegno per garantire maggiori tutele alle persone affette da malattie rare, in particolare attraverso la conclusione dell'iter di adozione del piano nazionale sulle malattie rare; l'aggiornamento immediato dell'elenco esistente con l'inserimento delle 109 patologie ad oggi escluse e per questo prive delle esenzioni per le prestazioni fondamentali dalla diagnosi all'assistenza; l'adozione di iniziative per favorire la ricerca clinica e preclinica finalizzata alla produzione dei farmaci orfani attraverso un sistema di incentivi e di agevolazioni fiscali per le spese sostenute per l'avvio e la realizzazione di progetti di ricerca; l'adozione di iniziative che consentano l'accesso allo screening neonatale per la diagnosi precoce nei neonati di malattie metaboliche ereditarie che eviterebbe gravissimi stati di invalidità (e su questo tornerò) e poi infine, al fine di perfezionare il monitoraggio delle patologie e del funzionamento dei servizi, affinché siano resi omogenei su tutto il territorio nazionale l'accesso e l'assistenza ai pazienti, chiediamo di rafforzare le funzioni del Centro nazionale malattie rare presso l'Istituto superiore di sanità e aprire una fase di concertazione con le regioni per l'attuazione del piano nazionale per le malattie rare con monitoraggio periodico delle fasi di attuazione.
  Come dicevo, mi permetto, in qualità di medico, di insistere sull'importanza dello screening neonatale, signor sottosegretario. Vede, data la trasmissione genetica di queste patologie, ne consegue la possibilità di ricorrenza della stessa sintomatologia in più soggetti dello stesso nucleo familiare e, come fattore favorente, la consanguineità dei genitori. Lo studio dei soggetti malati permette non solo di trattare le forme curabili, ma di riconoscere gli altri soggetti affetti nello stesso nucleo familiare. Molte di queste patologie sono curabili attraverso l'eliminazione dalla dieta delle fonti alimentari dei metaboliti interessati dal blocco enzimatico e con l'utilizzazione di farmaci e cofattori enzimatici, vitamine ad alte dosi, in grado di facilitare la depurazione dell'organismo dai prodotti tossici. La prevenzione della comparsa di handicap, quindi, è legata alla tempestività della diagnosi e alla rapidità di inizio della terapia. Il mancato riconoscimento della patologia o il suo trattamento in centri medici non qualificati – perché questo a volte succede per queste patologie – si traduce in un peggioramento della prognosi e della qualità di vita dei pazienti oltre che in un alto costo per i gravi danni neurologici che ne derivano. In Italia i LEA prevedono lo screening neonatale obbligatorio solo per tre patologie: ipotiroidismo congenito, fenilchetonuria, fibrosi cistica, delegando alle regioni la possibilità di ulteriori inclusioni.
  I programmi di screening per queste tre patologie che ho citato hanno dato dei risultati eccezionali con pochi costi, e i costi sostenuti sono stati ampiamente giustificati poi dai vantaggi. La Toscana ha scelto come progetto pilota dal 2001, poi con delibera regionale dal 2004, la strada del massimo ampliamento e oggi addirittura garantisce lo screening su oltre 40 patologie. Qualche regione si è adeguata, alcune però si sono fermate a un numero minore e la maggior parte, ahimè, non ha ancora iniziato. È questo che si intende come postcode lottery: la differenza tra la salute e la disabilità tra due neonati che nascono in posti diversi può essere determinata, appunto, da pochi chilometri di distanza. Per loro le prospettive di vita saranno completamente diverse, e questo, signor sottosegretario, noi non lo possiamo accettare.
  In passato più volte, a livello parlamentare, si è affrontato il tema dello screening neonatale allargato e spesso le iniziative si sono bloccate per paura dei costi di questa politica. Ma si tratta di un falso problema: il costo dello screening inteso come test è intorno ai 40, 50 euro per neonato, circa 1 euro a malattia, in Italia per circa 500 mila nati per anno. Tale scelta è peraltro in linea con le 25 raccomandazioni della Commissione europea del maggio 2004 Pag. 68relative alle malattie rare, che raccomandano che gli Stati membri istituiscano in via prioritaria uno screening neonatale generalizzato per le malattie rare ma gravi, per le quali non esiste una cura.
  Quindi, signor sottosegretario, tutto questo per far capire quanto sia necessario e urgente promuovere concretamente ogni iniziativa finalizzata a tutelare la salute dei pazienti affetti dalla malattia rara, che pure hanno diritto di curarsi. Io la ringrazio per l'attenzione, ma soprattutto per l'attenzione che vorrà riservare ai temi sollevati.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Silvia Giordano, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00378. Ne ha facoltà.

  SILVIA GIORDANO. Signor Presidente, le malattie rare non riconosciute sono un problema mai risolto. Come è noto, l'elenco delle malattie rare riconosciute non è stato aggiornato dal 2001 e non sono mai approdate a realizzazione le varie proposte di aggiornamento, peraltro limitate a loro volta all'inserimento di poco più di un centinaio di patologie, numero largamente obsoleto e superato dalla realtà, come dimostrano le tantissime segnalazioni di patologie rare pervenute negli anni alle istituzioni. Quanto sopra discrimina gravemente tra pazienti tutelati (in termini di esenzione, ma soprattutto di centri di riferimento per la propria patologia) e pazienti privi di ogni tutela, che non trovano accoglienza presso alcun luogo preposto alla salute, poiché una patologia non codificata semplicemente non esiste e quindi non viene presa in carico, né tanto meno studiata.
  Questa situazione, gravosa per i pazienti portatori di patologia non riconosciuta, è altresì estremamente onerosa per i costi di sistema, in quanto amplifica l'iter diagnostico sia in termini temporali che di visite-accertamenti spalmati su molti anni, sovente sovrapponentesi e non sempre utili in quanto non coordinati in un quadro d'insieme. Insomma, un sistema costoso che produce inefficienza oltreché ingiustizia, essendo il diritto alla tutela della salute unitario e inalienabile.
  Aggiungasi che in Italia varie regioni hanno ampliato nel tempo i propri elenchi regionali delle malattie rare, riconoscendo ulteriori patologie rispetto a quelle riconosciute a livello centrale, disegnando così un paesaggio sanitario a macchia di leopardo che costringe i pazienti al nomadismo diagnostico. Per stare ad un esempio recente, la sensibilità chimica multipla è stata riconosciuta dal Veneto, dall'Emilia Romagna, dalla Toscana e dall'Abruzzo, ma a livello nazionale non è stata riconosciuta come malattia. Noi abbiamo presentato al riguardo una proposta di legge al Senato.
  Abbiamo rappresentato quanto sopra alla Commissione Europea Petizioni, tramite una petizione sottoscritta da più di 3700 persone, a seguito della quale la Presidente della Commissione, Erminia Mazzoni ha scritto al ministro Balduzzi sottolineando la gravità della situazione che merita un’ azione da parte del Ministro della Salute italiano, che invita a tenere informata la Commissione delle eventuali iniziative che il Ministero intendesse intraprendere.
  Situazione giudicata iniqua anche da voci autorevoli nell’ ambito della comunità scientifica che si occupa di malattie rare, quale quella del professor Dallapiccola «ogni paziente non diagnosticato è un malato raro e tale dovrebbe essere considerato».
  A nostro avviso, il punto focale della problematica relativa alle malattie rare è quello del loro tempestivo riconoscimento: riconoscimento attualmente assai farraginoso e scarsamente trasparente. Riteniamo invece opportuno che si instauri una procedura pressoché automatica: pertanto, nel momento in cui perviene alle sedi centrali la segnalazione di una nuova malattia rara riscontrata da uno del presidi regionali, la medesima dovrebbe essere inserita nell'elenco, che dovrebbe diventare un elenco dinamico, in continua evoluzione proprio come lo sono le malattie che via via si evidenziano grazie ai continui progressi scientifici. Riconoscimento, Pag. 69dunque, fondato soltanto sull'evidenza medico-scientifica e non sull'opportunità di spesa sanitaria, criterio, quest'ultimo, rivelatosi nel tempo aberrante, oltreché per i pazienti, proprio dal punto di vista della spesa metastatizzatasi per via dell'inefficienza diagnostica e terapeutica.
  Sono state presentate alle Camere varie proposte di legge per migliorare l'impianto complessivo relativo alle malattie rare, la maggior parte delle quali tuttavia non prevede approcci innovativi riguardo all'aggiornamento dell’ elenco, limitandosi a prevedere che la revisione avvenga annualmente anziché ogni tre anni. Secondo il Comitato diritti non regali ogni elenco finito si caratterizza per forza quale strumento ad excludendum ed ogni tentativo di aggiornamento periodico effettuato secondo le modalità sin qui prospettate, quand’ anche avvenisse nei termini temporali previsti, sarebbe soggetto a pressioni inclusive ed esclusive. Per questo riteniamo che al riscontro della patologia da parte dei presidi regionali all'uopo preposti debba seguire automaticamente l’ inserimento a livello nazionale.
  Alla parte politica spetta poi, ovviamente, definire le risorse a fronte, però, di una visione complessiva e realistica che destini a tutti equamente. Sarebbe auspicabile che tale processo avvenisse anche tramite il confronto con rappresentanze di vario orientamento designate dai pazienti, che potrebbero offrire suggerimenti per migliorare, anche in termini di costi, l'efficienza delle prestazioni.
  Vede, signor Presidente, questa è una mail che contiene una lettera ufficiale che il Comitato diritti non regali per le malattie rare ha inviato per ben due volte all'attuale ministro della salute Lorenzin: la prima volta quando era componente del Governo letta e successivamente quando è stata riconfermata nel Governo Renzi.
  Dal momento che queste richieste non hanno avuto alcun tipo di risposta, mi hanno chiesto di consegnarla personalmente nelle mani del ministro Lorenzin che ultimamente è alquanto assente nella Commissione affari sociali: per questa ragione, ho voluto leggerla in Aula in modo che questo appello e questa richiesta di aiuto da parte delle associazioni dei malati rari giungano al ministro Lorenzin sperando che possa essere più presente.
  Il Movimento 5 Stelle vuole richiedere, attraverso questa mozione, che presenta profili comuni alle richieste avanzate dagli altri movimenti politici nonché con la proposta di legge da noi presentata agli inizi della legislatura, che si ponga fine a questa sordità da parte delle istituzioni, in particolare da parte del Governo.
  Sappiamo che qualora presentassimo una proposta di legge, essa non potrebbe essere esaminata perché ci dicono che è stata «incardinata» presso l'altro ramo del Parlamento (anche se non se ne ha notizia); anche qualora presentassimo delle mozioni – e ne sono state presentate 36 a dicembre 2013 – queste vengono approvate dal Parlamento ma poi il Governo non ne recepisce le indicazioni: mi chiedo dunque quale possa essere la funzione del Parlamento.
  Stiamo esaminando soltanto decreti-legge; il presidente del consiglio Renzi ha detto che non ne esamineremo più. Se le mozioni che vengono approvate da questo Parlamento non sono poi recepite dal Governo, comprendete bene che è tutto inutile.
  Allora, vorrei ben capire: se noi dobbiamo fare questo appello, dobbiamo fare questo lavoro, dobbiamo recepire le istanze dai territori dei malati rari, ma, poi, quello che noi facciamo non viene rispettato dal Governo, capite bene che diventa tutto un controsenso, diventa tutto un lavoro inutile. Allora, oltre all'aggiornamento dell'elenco delle malattie rare, vorrei chiedere che questo Parlamento inizi ad avere un po’ più di potere, così che noi riusciamo a dare veramente attenzione, a dare veramente delle risposte ai cittadini che ce lo chiedono, altrimenti tutto viene vanificato (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cecconi. Ne ha facoltà.

  ANDREA CECCONI. Signor Presidente, io riprendo il discorso fatto dalla mia Pag. 70collega, che ha parlato poco prima di me, e faccio un appello anche al sottosegretario per la salute che è qui presente. Infatti, nella precedente legislatura, mozioni simili, anzi direi mozioni identiche, sono già state approvate da questo Parlamento. Poi, il Governo è caduto, sappiamo tutti come è andata la storia del precedente Governo, e ci ritroviamo oggi a ripresentarle: noi siamo qui da questa legislatura, ma sono pressoché identiche, in molti punti combaciano con quanto già il precedente Governo si era impegnato ad eseguire.
  Come ha già detto la mia collega, il discorso delle mozioni viene spesso posto all'attenzione dei cittadini, del Governo e delle istituzioni come un impegno che il Parlamento adotta, che il Governo recepisce e, poi, attua attraverso decreti ministeriali o altri provvedimenti, decreti-legge. Purtroppo, sappiamo bene, dopo un anno che siamo qui dentro, che la maggior parte degli atti di indirizzo che vengono sottoposti insieme agli ordine del giorno al Governo poi non trovano effettiva esecuzione, anzi, spesse volte si va nella direzione opposta. Posso prendere ad esempio le mozioni sulla legge n. 194 del 1978, concernente l'aborto, mozioni che sono state votate ad inizio legislatura; è passato praticamente un anno, quasi un anno, la maggior parte dei punti che erano all'interno di queste mozioni non è stata attuata, è stato istituito – sì è vero – un tavolo tecnico, che però ancora non ha dato nessun esito dopo più di un anno.
  Ecco, se noi siamo oggi qui a esporre le mozioni, a chiedere al Governo di assumere un impegno e, poi, questo impegno puntualmente non viene rispettato, allora è vero che siamo qui a far perdere tempo sia ai cittadini che ci seguono e ci guardano, sia al sottosegretario e a noi deputati, che potremmo fare altro. Infatti, rispetto a tante altre mozioni che sono passate anche in questa Camera in cui si parlava della povertà in senso generale, che è un po’ come parlare della pace nel mondo, questo tipo di mozioni sulle malattie rare vanno proprio a toccare la salute e il dolore di migliaia di cittadini italiani.
  Quindi, riteniamo giusto, riteniamo corretto da parte del Governo che, nel momento in cui si assume un impegno, poi, l'impegno venga effettivamente rispettato, perché sarebbe un problema per voi, ma anche un problema per noi, andare a giustificare ai cittadini che tutto il tempo perso e il lavoro fatto per aumentare i diritti alla salute di tanti cittadini che soffrono, poi vengano archiviati e messi in un cassetto come tanti altri atti che vengono votati ed approvati in questo Parlamento.
  Il punto cardine di tutte le mozioni presentate è che, fondamentalmente, a questo punto, il Governo, lo Stato ci deve mettere del suo, perché non possiamo aspettarci che le case farmaceutiche, che sono niente di più di una qualsiasi altra fabbrica o industria – quindi, lavorano per fini di lucro –, producano dei farmaci e delle terapie che aiutino per malattie che riguardano poche centinaia di pazienti. Un'azienda farmaceutica non impegnerà mai milioni di euro in ricerca per non avere, poi, un riscontro economico ed è, quindi, normale capire e comprendere che il Governo deve obbligatoriamente da questo punto di vista tirare fuori i soldi.
  È vero che dal 2001 i LEA non sono stati più revisionati o implementati, è anche vero che io personalmente, ma il MoVimento 5 Stelle in generale, ha un po’ di timore in questo periodo storico, e con il Governo che ci troviamo di fronte, a rimettere in discussione i LEA, perché più di una volta il Ministro Lorenzin ha sbandierato il fatto che, con il nuovo patto della salute, i LEA verranno rivisti: ma il nostro timore è che i LEA vengano rivisti al ribasso.
  Quindi non temiamo che si diano maggiori tutele e maggiori diritti ai cittadini, ma bensì che alcuni diritti e alcune tutele verranno tolti, con buona pace, poi, di tutti quei cittadini che giornalmente ci mandano mail per avere una tutela aggiuntiva su malattie che attualmente non sono riconosciute e che, temiamo, non verranno riconosciute neanche in futuro. Pag. 71
  L'insieme delle mozioni comunque è corposo, si chiedono al Governo numerosi impegni, numerosi obblighi, non solo la revisione dei LEA, ma anche una serie di azioni e una serie di impegni di spesa. È vero che le regioni hanno, dal punto di vista sanitario, un'autonomia particolare rispetto agli altri enti dello Stato e infatti molte regioni, soprattutto le più virtuose, si sono applicate e tutelano, per quello che possono nei loro bilanci, cercano di aiutare i cittadini che richiedono una assistenza particolare; ciò non toglie che una legislazione nazionale e una revisione dei LEA a livello nazionale non siano diventate un punto fondamentale per questo Paese. Un po’ come il nomenclatore tariffario, i LEA sono più di 12 anni che devono essere rivisti e ciò non avviene, nonostante molti Governi, molti Ministri ne abbiano fatto la loro bandiera per poi fallire miseramente. Ci auguriamo che con questo Governo finalmente – noi da questo punto di vista gli daremo tutto l'appoggio possibile e ci metteremo tutto l'impegno possibile – sia arrivato l'anno giusto, il momento giusto per finalmente definire delle nuove tariffe per i presidi e gli ausili sanitari e dei nuovi LEA che prevedano l'ampliamento delle tutele dei cittadini anche per quelle malattie che negli anni precedenti erano valutate poco o comunque, a seguito di numerosi studi scientifici, non valutate talmente pericolose per la salute dei cittadini mentre ora cominciano ad essere malattie neanche più tanto rare, cominciano a colpire anche diverse migliaia di cittadini e quindi necessitano sicuramente di una forte revisione.
  Ci aspettiamo che l'appello nostro così come l'appello di tutti gli altri partiti possa arrivare al Governo e al Ministro Lorenzin e che nel momento in cui ci ritroveremo in quest'Aula per la votazione finale si possa fare un lavoro, anche insieme, affinché l'Aula sia unita e il Governo accetti quanti più punti possibile.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per la salute, Vito De Filippo.

  VITO DE FILIPPO, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, onorevoli deputati, come è stato già più volte fatto rilevare ho un quadro sinottico di tutti gli impegni che le sette mozioni propongono alla nostra discussione e anche alla valutazione del Governo. Sono tantissimi impegni sui quali saremmo, ovviamente, già in condizione di esprimerci anche in questa circostanza. Molti di questi impegni sono sicuramente accoglibili, altri sono in via anche di implementazione con azioni concrete, però, signor Presidente, colleghi, mi consentano di dare comunque delle valutazioni di carattere generale in questa circostanza che offrono, nel tempo che mi servirebbe, sicuramente dati che in qualche modo consentirebbero...

  PRESIDENTE. Sottosegretario, mi scusi se la interrompo. Le valutazioni devono essere di carattere generale; se entriamo nel parere sulle singole mozioni quello si fa nel momento in cui le affrontiamo, se invece sono questioni di carattere generale assolutamente sì. Volevo solo spiegare che c’è una fase di parere sulle mozioni, adesso invece siamo in sede di replica alla discussione.

  VITO DE FILIPPO, Sottosegretario di Stato per la salute. Ringrazio gli onorevoli che hanno firmato le mozioni oggi in esame perché sono rivolte ad una tematica che, come è stato fatto rilevare, è dentro una discussione dei piani sanitari nazionali fin dal 1998 e quindi c’è sicuramente un tempo anche lungo di discussione e condivido e percepisco anche che vi siano valutazioni di insostenibilità di un tempo così lungo per giungere ad azioni concrete e operative, molte delle quali mi consentano di segnalarle, sintetizzando il mio Pag. 72intervento e recuperando anche le indicazioni del Presidente, e lasciando poi agli atti dell'Aula una più articolata e puntuale definizione delle valutazioni di carattere generale che intendo dare.
  Va detto che il Sistema sanitario nazionale prova ad assicurare in tutti i settori dell'assistenza, compreso nelle malattie rare, standard qualitativi e quantitativi (che verificheremo nella mia esposizione se sono adeguati), sia per le prestazioni, sia per le stesse modalità di erogazione delle prestazioni, che sono indicate come uno dei problemi nelle mozioni. Questi standard come è stato fatto notare, sono parte integrante dei livelli essenziali di assistenza, vero architrave della discussione. Per le ragioni che questo Parlamento conosce di più e meglio di me, quello della revisione o della manutenzione dei livelli essenziali di assistenza è un argomento che purtroppo è collegato ampiamente al tema della sostenibilità finanziaria.
  Il provvedimento che tuttora definisce i livelli essenziali di assistenza è il decreto ministeriale n. 279 del 2001, che richiama e conferma il decreto ministeriale dello stesso anno, quello del maggio del 2001, che regolamenta l'istituzione della rete nazionale delle malattie rare e di esenzione alla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie. Il decreto ministeriale n. 279, che citavo, ha istituito anche la rete nazionale per la prevenzione, la sorveglianza, la diagnosi e la terapia delle malattie rare costituite da presidi accreditati con una geografia non uniforme – mi sentirei di dire – delle regioni che individuano soprattutto i presidi ospedalieri, come punto di riferimento di questa rete, appositamente individuati dalle regioni e il Registro nazionale delle malattie rare, che è detenuto dall'Istituto superiore di sanità; vi daremo alcuni elementi di queste iniziative più puntuali, come è stato anche richiesto nelle mozioni.
  Questi due interventi, la rete e il Registro, dovrebbero consentire di programmare anche a livello nazionale e regionale interventi con una più consapevole consistenza anche dei dati a disposizione dei sistemi sanitari, di quelli regionali, e di quello nazionale. Lo stesso decreto ha disciplinato le modalità di esenzione della partecipazione al costo delle malattie rare per le prestazione di assistenza sanitaria incluse nei livelli essenziali di assistenza. L'attuale elenco, pur se non esaustivo, ricordo che individua ben 284 malattie rare e 47 gruppi di malattie rare. Va anche detto, come è stato indicato, che vi è la possibilità, attraverso atti normativi delle singole regioni, di ampliare nei limiti dei propri bilanci – anche con possibilità aggiuntive rispetto al Fondo sanitario nazionale che viene distribuito alle regioni – l'elenco delle patologie rare, con codice di esenzione, disponendo l'erogazione e l'esenzione di ulteriori prestazioni. Questi provvedimenti sono validi solo all'interno del territorio regionale e, come è noto, solo per i residenti di quella regione. Questo produce quella differente geografia di assistenza che è stata indicata da molti onorevoli nelle mozioni.
  Al fine di contribuire alla programmazione nazionale e regionale degli interventi volti alla tutela delle persone con malattie rare e attuarne la sorveglianza, a partire dal 2001 è stato istituito in Italia un sistema di monitoraggio mediante registri di popolazione regionali afferenti al Registro nazionale delle malattie rare. In queste ore io personalmente ho provato a chiedere i dati all'Istituto superiore di sanità, che vi espongo nella comunicazione che ho ricevuto, rispetto a questi registri, perché è abbastanza noto e ripetitivo, nella purtroppo non sempre felice consuetudine istituzionale, istituire registri che poi alla fine non producono effetti, nemmeno statistici, che erano negli obiettivi principali di queste iniziative.
  Fanno parte integrante del sistema di monitoraggio nazionale, come dicevo, anche i presidi che sono i luoghi principali della rete nazionale destinati alla sorveglianza. Ad oggi, ci riferisce l'Istituto superiore di sanità, il Registro ha raccolto 110 mila casi validi di patologie rare, distribuite sull'intero territorio nazionale; i dati provengono dai registri regionali.Pag. 73
  La procedura in corso prevede che una volta acquisiti, i dati vengano valutati ai fini della valutazione finale e in base all'accordo Stato-regioni del 2007 il registro raccoglie i dati in base ad un data-set definito con le regioni al fine di consentire il calcolo della prevalenza, dell'incidenza di queste patologie, il ritardo delle diagnosi, le immobilità dei pazienti, i dati necessari anche in vista dell'aggiornamento dei LEA. In conclusione, i dati di cui al Registro nazionale consentono di ottenere stime epidemiologiche per garantire anche il miglioramento qualitativo della vita assistenziale delle persone con malattie rare a livello nazionale.
  Secondo punto, quello dello screening metabolico più volte sollevato nelle mozioni in discussione questa sera. Lo screening metabolico neonatale, esteso alle malattie congenite del metabolismo mediante tecnologie di massa tandem, è uno degli strumenti più avanzati della pediatria preventiva, consentendo la diagnosi precoce – come è stato riferito – neonatale di diverse malattie metaboliche congenite prima dell'instaurarsi di danni-cerebrali o organo-irreversibili. La legislazione italiana – è stato anche qui riferito – in vigore rende obbligatorio lo screening neonatale solo per la fenilchetonuria, l'ipotiroidismo congenito e la fibrosi cistica, ma con possibilità per le singole regioni di attivare programmi integrativi di screening per le malattie endocrine e metaboliche congenite. Questo ha determinato l'instaurarsi di una disomogeneità territoriale sul numero di patologie metaboliche incluse nei diversi programmi e nei progetti pilota regionali per lo screening neonatale. La variabilità interregionale in materia di screening neonatale estesa rischia di acuirsi ulteriormente in mancanza di linee generali condivise riguardo all'organizzazione e allo sviluppo degli screening neonatali in ambito sanitario nazionale. Ecco perché – sono due elementi che non ho rilevato dalla descrizione, sempre puntuale, delle mozioni – il Ministro della salute ha finanziato mediante i bandi del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie due progetti su questa delicata tematica, un primo progetto nel 2010, Costruzione di percorsi diagnostici e assistenziali per le malattie oggetto di screening neonatale allargato, curato dall'ospedale Bambin Gesù, i cui risultati sono in attesa di essere ancora valutati, e un secondo progetto di screening neonatale esteso con una proposta di un modello operativo nazionale per ridurre le disuguaglianze di accesso ai servizi sanitari delle diverse regioni.
  In ordine a questo secondo progetto, i risultati sono stati presentati pubblicamente nel dicembre 2013 nell'ambito di un convegno nazionale che si è tenuto proprio presso l'Istituto superiore di sanità. È evidente che i risultati di entrambi questi progetti, che ci preoccuperemo di acquisire anche più velocemente, forniranno orientamenti sui percorsi di diagnosi e cura di un più ampio numero di malattie metaboliche rare. Peraltro, presso l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali è stato già istituito un gruppo di lavoro per l'elaborazione di linee guida cliniche per l'individuazione di protocolli applicativi per lo screening neonatale esteso. Ricordo all'Aula che anche azioni di screening di massa o di screening esteso pretendono organizzazioni operative, a parte la sostenibilità finanziaria, che è stata ampiamente anche riferita da alcuni gruppi, anche considerata non un elemento fondamentale per decisioni così importanti che riguardano e interessano le comunità locali e la comunità nazionale, ma è evidente che per chi ha avuto esperienza nell'organizzazione di screening esteso e screening di massa, pretendono metodiche e operatività che hanno di per sé una complessità; io penso che questi due progetti di ricerca ci offriranno elementi importanti affinché il Ministero possa dettare e indicare linee anche più decisive e incisive, con il sistema delle regioni, su questi temi.
  Inoltre, ricordo che la legge n. 147 del 2013, la legge di stabilità, al comma 229 – anche questo comma è stato citato, ho compreso che è stato un comma nato proprio dal dibattito in seno alla discussione della legge di stabilità in Parlamento Pag. 74– stabilisce che il Ministero della salute adotti un decreto ministeriale, sentito l'Istituto superiore di sanità e la Conferenza Stato-regioni, che preveda – anche in via sperimentale – di effettuare, nel limite di 5 milioni di euro, lo screening neonatale per la diagnosi precoce di patologie metaboliche ereditarie, per la cui terapia farmacologica e dietetica esistono evidenze scientifiche di efficacia terapeutica, e per le quali vi siano evidenze scientifiche che una diagnosi precoce in età neonatale comporti un vantaggio in termini di accesso a terapie in avanzato stato di sperimentazione, anche di tipo dietetico. Lo stesso comma 229 stabilisce che il Ministero della salute deve definire l'elenco delle patologie su cui effettuare detto screening.
  È stato istituito e sta già oggi lavorando un apposito gruppo di lavoro presso il Ministero della salute, al quale partecipano anche i rappresentanti dell'Istituto superiore di sanità, dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari, della Conferenza Stato-regioni, al fine di regolarizzare diverse attività svolte sul territorio nazionale nell'ambito dello screening neonatale esteso, facendo convergere i risultati raggiunti negli atti amministrativi che il Ministero dovrà definire proprio in applicazione di questo comma 229. Per gli aspetti di propria competenza la stessa Agenzia del farmaco ha inteso precisare, con comunicazione che io considero puntuale, le malattie rare ed i farmaci impiegati per il loro trattamento. L'Italia è uno dei Paesi che ha investito e continuerà ad investire molto in questo ambito, promuovendo l'accesso alle terapie per tali tipologie di pazienti. I farmaci orfani ripetutamente citati sono quei medicinali efficaci nel trattamento di alcune malattie per lo più rare, per i quali le aziende farmaceutiche non investono in ricerca e sviluppo in misura corrispondente ai bisogni, a causa della domanda insufficiente a coprire i costi di produzione e di fornitura.
  Lo status di orfano – vorrei ricordare – viene dato ad un determinato farmaco anche al fine di incoraggiarne lo sviluppo, in quanto necessario per curare una determinata patologia. La procedura di autorizzazione centralizzata presso l'Agenzia europea dei medicinali con modalità standard o condizionata è la principale regola di rilascio dell'autorizzazione di questi medicinali. Ricordo anche io che l'Unione europea ha adottato il Regolamento n. 141 del 2000 e un altro Regolamento, sempre del 2000, il n. 847, che stabilisce disposizioni per l'applicazione dei criteri di designazione orfana, definendo i concetti di prodotto o medicinale simile e di superiorità clinica.
  In merito alle iniziative finalizzate a facilitare e a velocizzare l'accesso a farmaci potenzialmente efficaci, di cui si sia rigorosamente accertata la non nocività, il citato Regolamento n. 141 riguardante i farmaci orfani ha individuato i seguenti obiettivi: incentivare le industrie farmaceutiche biotecnologiche a incentivare sviluppare e commercializzare i farmaci orfani, creare un comitato dei farmaci orfani istituito all'interno dell'Agenzia europea dei medicinali, incaricato di esaminare le richieste di designazione e di consigliare e assistere la commissione nelle discussioni relative ai farmaci orfani.
  L'assegnazione dell'autorizzazione all'immissione in commercio della lista dei farmaci orfani commercializzati in Europa non implica l'immediata disponibilità del farmaco in tutti i Paesi dell'Unione europea. I titolari dell'autorizzazione all'immissione in commercio devono decidere in anticipo la modalità di commercializzazione del farmaco in ciascun Paese, anche al fine di stabilire le modalità di rimborso e, di solito, anche il suo costo. Nonostante gli sforzi congiunti, l'eterogeneità di approccio dei diversi Paesi rende ancora oggettivamente problematico l'accesso ai farmaci orfani da parte dei pazienti.
  In Italia sono stati fatti alcuni interventi al fine di facilitare l'accesso ad un farmaco orfano indicato per una malattia rara. Qualora non sia stata rilasciata l'autorizzazione all'immissione in commercio, un paziente può accedere al medicinale attraverso l'attivazione delle procedure Pag. 75previste in alcuni strumenti normativi. Ricordo la legge n. 648 del 1996, che consente l'utilizzo di un farmaco con imputazione dei relativi costi al Servizio sanitario nazionale.

  PRESIDENTE. La prego di concludere.

  VITO DE FILIPPO, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, concludo. Ricordo la legge n. 326 del 2003 e la legge n. 94 del 1998.
  Volevo soltanto indicare che è proprio di questi giorni – vado velocemente alla conclusione – un'iniziativa normativa di carattere di urgenza del Ministero della salute finalizzata a rinnovare il vigente sistema per promuovere ulteriormente l'utilizzo dei cosiddetti farmaci off-label, nel rispetto delle condizioni e di un'apposita procedura individuata da una norma inserita proprio nel decreto-legge approvato lo scorso venerdì dal Consiglio dei ministri.
  Su questo tema dei farmaci, mi preoccuperò di rispondere più puntualmente anche in sede di votazione delle mozioni. Sulle comunicazioni e sulla possibilità di comunicare provvedimenti, sistemi e anche informazioni importanti sulle malattie rare, ricordo che esiste un telefono verde delle malattie rare presso il Centro nazionale delle malattie rare ed esistono anche altri due canali di informazione: una newsletter di supplemento al notiziario dell'Istituto superiore di sanità e un portale web che consente di avere un canale informativo sulle diverse tematiche correlate alle malattie rare: linee guida, farmaci orfani, progetti europei, rete nazionale. Questi strumenti di comunicazione sono, ovviamente, assistiti da équipe che hanno la possibilità di dare elementi puntuali ai cittadini e agli operatori che volessero avere informazioni su questi temi.

  PRESIDENTE. La ringrazio molto. Signor sottosegretario, mi sono permesso di avvisarla perché siamo in una fase di provvedimenti per l'esame dei quali i tempi sono contingentati per tutti. Non volevo, avendo lei già speso 19 minuti, che i suoi 25 minuti complessivi fossero «bruciati» da questo intervento, essendoci poi, ovviamente, da dare i pareri sulle mozioni.
  Ne approfitto, tramite lei, che, ovviamente, si approccia adesso, per la prima volta, ai nostri lavori; magari, gli uffici possono aiutarla. È chiaro che questa è la fase della replica al dibattito, e quindi, tendenzialmente, sarebbe anche utile, nel momento in cui la si fa, raccogliere gli elementi e gli spunti che sono nati dal dibattito. Quello è sicuramente un contributo utilissimo al dibattito, magari per coloro che devono intervenire. Poi vi sarà, domani, la fase del parere sulle mozioni, che non riaprirà, ovviamente, un dibattito, ma sarà un parere diretto e tecnico sui documenti che sono stati presentati. Detto questo, la ringrazio.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Modifica nella composizione della Giunta per il Regolamento.

  PRESIDENTE. Comunico che il Presidente della Camera ha chiamato a far parte della Giunta per il Regolamento, ai sensi dell'articolo 16, comma 1, del Regolamento, il deputato David Ermini in sostituzione del deputato Gianclaudio Bressa, entrato a far parte del Governo.

Modifica nella denominazione di un gruppo parlamentare.

  PRESIDENTE. Comunico che il presidente del gruppo parlamentare Fratelli d'Italia, con lettera pervenuta in data 14 marzo 2014, ha reso noto che il gruppo ha modificato la propria denominazione in «Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale».

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Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Prima di comunicare l'ordine del giorno della seduta di domani, garantisco che non vi sarà la seduta fiume, ma che i provvedimenti che presumibilmente, anzi certamente, non saranno conclusi nella giornata di martedì, andranno a concludersi poi nei giorni successivi, sperando che la settimana sia sufficiente.
  Comunico quindi l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì 18 marzo 2014, alle 11:

  1. – Esame e votazione delle questioni pregiudiziali riferite al disegno di legge:
   Conversione in legge del decreto-legge 6 marzo 2014, n. 16, recante disposizioni urgenti in materia di finanza locale, nonché misure volte a garantire la funzionalità dei servizi svolti nelle istituzioni scolastiche (C. 2162).

  2. – Seguito della discussione del disegno di legge:
   S. 1254 – Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 gennaio 2014, n. 3, recante disposizioni temporanee e urgenti in materia di proroga degli automatismi stipendiali del personale della scuola (Approvato dal Senato) (C. 2157).
  — Relatori: Incerti, per la maggioranza; Chimienti, di minoranza.

  3. – Seguito della discussione del disegno di legge:
   Conversione in legge del decreto-legge 28 gennaio 2014, n. 4, recante disposizioni urgenti in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all'estero, nonché altre disposizioni urgenti in materia tributaria e contributiva e di rinvio di termini relativi ad adempimenti tributari e contributivi (C. 2012-A).
  — Relatori: Sanga, per la maggioranza; Busin, di minoranza.

  4. – Seguito della discussione della proposta di legge:
   FIORONI ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro (C. 1843-A).
  — Relatore: Sisto.

  5. – Seguito della discussione del testo unificato:
   VENDOLA ed altri; BELLANOVA ed altri: Disposizioni in materia di modalità per la risoluzione consensuale del contratto di lavoro per dimissioni volontarie (C. 254-272-A).
Relatore: Maestri.

  6. – Discussione delle mozioni Binetti, Balduzzi ed altri n. 1-00094, Dorina Bianchi ed altri n. 1-00281, Rondini ed altri n. 1-00373, Nicchi ed altri n. 1-00375, Palese e Fucci n. 1-00376, Lenzi ed altri n. 1-00377 e Silvia Giordano ed altri n. 1-00378 concernenti iniziative in materia di malattie rare.

  7. – Discussione delle mozioni Bergamini ed altri n. 1-00217, Schirò ed altri n. 1-00345, Pannarale ed altri n. 1-00353, Gianluca Pini ed altri n. 1-00359, Colonnese ed altri n. 1-00361 e Galgano ed altri n. 1-00366 concernenti iniziative per un efficace utilizzo degli strumenti finanziari messi a disposizione dalla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa e per favorire l'integrazione tra tali risorse e quelle dell'Unione europea.

  8. – Discussione delle mozioni Castelli ed altri n. 1-00348, Marcon ed altri n. 1-00362, Guidesi ed altri n. 1-00363 e Giorgia Meloni ed altri n. 1-00372 concernenti lo scostamento dai parametri europei in materia di deficit pubblico.

  9. – Discussione delle mozioni Giancarlo Giorgetti ed altri n. 1-00340, Zan ed Pag. 77altri n. 1-00354, Gigli ed altri n. 1-00364, Brunetta ed altri n. 1-00365, Ferraresi ed altri n. 1-00367 e Pizzolante e Dorina Bianchi n. 1-00370 concernenti iniziative in merito agli eccezionali eventi meteorologici che hanno colpito di recente il Veneto e l'Emilia Romagna.

  10. – Discussione delle mozioni Brunetta ed altri n. 1-00290, Roberta Agostini ed altri n. 1-00273, Vezzali ed altri n. 1-00319 e Prataviera ed altri n. 1-00379 concernenti iniziative per promuovere la parità di genere nel settore dello sport.

  La seduta termina alle 17,25.

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