Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 134 di lunedì 9 dicembre 2013

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO

  La seduta comincia alle 10,35.

  ANNA ROSSOMANDO, Segretario, legge il processo verbale della seduta di venerdì 6 dicembre 2013.

  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Baldelli, Balduzzi, Baretta, Berretta, Dorina Bianchi, Bindi, Bocci, Boccia, Borletti Dell'Acqua, Brambilla, Bray, Brunetta, Bruno Bossio, Carrozza, Casero, Cicchitto, Cicu, Costa, D'Alia, D'Uva, De Girolamo, Dell'Aringa, Dellai, Di Battista, Di Gioia, Di Lello, Epifani, Faraone, Fassina, Fava, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Galan, Garavini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Kyenge, La Russa, Legnini, Letta, Locatelli, Lorenzin, Lupi, Magorno, Mattiello, Giorgia Meloni, Merlo, Meta, Migliore, Naccarato, Orlando, Pes, Picierno, Gianluca Pini, Pisicchio, Pistelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Sani, Sarti, Schullian, Scopelliti, Sereni, Speranza, Tabacci, Tofalo, Valeria Valente, Vargiu, Vecchio, Villecco Calipari e Vitelli sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente ottantacinque, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

  Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio delle dimissioni di tre sottosegretari di Stato.

  PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Consiglio dei Ministri ha inviato, in data 6 dicembre 2013, la seguente lettera:
   «Onorevole Presidente, La informo che il Presidente della Repubblica con proprio decreto in data odierna, adottato su mia proposta, ha accettato le dimissioni rassegnate dal sottosegretario di Stato agli affari esteri Bruno Archi, deputato al Parlamento, e dai sottosegretari di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri Ferrazza e Micciché. Firmato: Enrico Letta».

Discussione della proposta di legge: Ferranti ed altri: Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali (A.C. 631-A) e delle abbinate proposte di legge: Gozi ed altri; Cirielli; Brunetta ed altri; Brunetta (A.C. 980-1707-1807-1847) (ore 10,40).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 631-A: Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali e delle abbinate proposte di legge nn. 980-1707-1807-1847.Pag. 2
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 5 dicembre 2013.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 631-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che il presidente del gruppo parlamentare del Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Rossomando.

  ANNA ROSSOMANDO, Relatore. Signor Presidente, siamo due relatori, quindi usufruiremo insieme del tempo, cioè dei venti minuti concessi, e ci siamo accordati perché inizi il collega Carlo Sarro. Poi ci discipliniamo noi nell'ambito dei venti minuti.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Sarro.

  CARLO SARRO, Relatore. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il provvedimento di cui oggi l'Aula inizia l'esame affronta uno dei temi più vivi, per così dire, del dibattito politico e istituzionale che ha interessato negli ultimi decenni il nostro Paese e rappresenta sicuramente, in tema di politica legislativa della giustizia, una delle questioni più delicate proprio per le tante implicazioni che a questo tema sono connesse.
  Il principio della libertà individuale e della limitazione delle libertà della persona, come recita il nostro codice di procedura penale, rappresentano un approdo importante nell'ordinamento costituzionale e partono da una visione diametralmente opposta che nel pregresso ordinamento – nell'ordinamento fascista e nel codice Rocco in particolar modo – assegnava alla misura della custodia cautelare una natura eminentemente istruttoria rendendo pressoché obbligatorio il ricorso a questa misura ogni qual volta vi erano imputazioni o contestazioni di un certo tipo.
  Con l'avvento del regime repubblicano e della nostra Costituzione la prospettiva è profondamente mutata, tant’è vero che anche nelle più recenti evoluzioni del testo del codice l'attenzione è stata spostata sul tema della libertà, non solo della libertà della persona ma delle libertà della persona, quindi tutto ciò che attiene non solo alla disponibilità della libertà fisica e dello spazio fisico, per così dire, ma anche le libertà che attengono alla sfera giuridica e quindi le limitazioni che sono connesse, in particolar modo per le misure interdittive, alla capacità giuridica di ogni soggetto.
  Tutte queste limitazioni devono essere amministrate con estrema prudenza e cautela e purtroppo, nonostante il codice di rito avesse già introdotto una serie di limitazioni abbastanza stringenti e penetranti, si è registrato negli ultimi decenni, per ragioni molteplici, un uso non sempre corretto dell'istituto e soprattutto, in taluni casi, è stato denunciato un vero e proprio abuso del ricorso alle misure cautelari che hanno finito per snaturarne la stessa funzione.
  Mi preme qui richiamare due circostanze che hanno particolarmente rimarcato questi profili di criticità, circostanze riferibili entrambe all'inizio di quest'anno, del 2013. La prima è la ormai celeberrima sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, la sentenza Torreggiani del 8 gennaio 2013, che oltre a contestare il nostro sistema carcerario, o meglio le condizioni nelle quali i nostri detenuti spesso vengono a trovarsi, nella sua motivazione affronta anche il tema della custodia cautelare e denuncia come in Italia il ricorso a questo istituto sia sicuramente fuori dalla norma e fuori dalla media rispetto agli standard europei o comunque distante dallo spirito della Convenzione. Pag. 3L'altra circostanza, sempre accaduta nel gennaio di quest'anno, è la relazione del primo presidente della Corte di cassazione pronunciata appunto in occasione dell'anno giudiziario, allorquando il vertice della magistratura ha letteralmente qualificato come inaccettabile una percentuale di detenuti in custodia cautelare pari a circa il 40 per cento, dato che rappresenta un sintomo perdurante di gravi squilibri del sistema processuale penale italiano.
  Sempre nella relazione, il primo presidente ha rappresentato l'esigenza di ricondurre, anche rispetto alla normativa, la disciplina della detenzione carceraria alla sua natura di estrema ratio, quindi di farne ricorso solo in casi davvero eccezionali. Soprattutto dall'esame dei dati statistici è emerso che, nel corso del 2012, su 65.701 detenuti ospitati presso i nostri istituti carcerari, più del 40 per cento non è stato condannato in via definitiva e di questo 40 per cento oltre il 20 per cento vedrà concludersi il percorso processuale con un'assoluzione.
  Dunque il prezzo che viene pagato da questo punto di vista è altissimo e c’è l'esigenza di intervenire su questa materia. La Commissione ha lavorato con grande attenzione soprattutto nella fase delle audizioni, volendo raccogliere quanto più materiale e quante più argomentazioni e riflessioni possibili, e si è cercato di prospettare delle soluzioni attraverso la revisione di una serie di articoli del codice di procedura penale che potesse contemperare, in maniera che alla Commissione è apparsa equilibrata, da un lato, l'esigenza di garantire la libertà individuale, quindi la tutela dell'articolo 13 e dell'articolo 27 della Costituzione, per quanto riguarda la presunzione di innocenza, con le altrettanto meritevoli di attenzione esigenze di protezione della collettività da situazioni di rischio e di pericolo. Il punto di equilibrio è stato ritrovato in una serie di istituti. Si sono meglio definiti i presupposti per la configurazione dell'esigenza della custodia cautelare, estendendo per esempio il requisito dell'attualità oltre che della concretezza in termini di pericolo a tutte le ipotesi contemplate dal codice.
  Si è anche introdotta una serie di limitazioni per quanto riguarda la possibilità di automatismi, non solo eliminando le disposizioni del codice che prevedevano la custodia cautelare rispetto alle condizioni precedenti, quali, ad esempio, negli ultimi cinque anni, il verificarsi dell'evasione, o della violazione delle stesse disposizioni che regolamentavano la custodia cautelare precedentemente concessa o misure alternative, ma anche attraverso un rafforzamento del percorso processuale, in particolar modo dal punto di vista delle garanzie dell'imputato o dell'indagato attraverso il rafforzamento dell'obbligo della motivazione, introducendo il concetto dell'autonoma valutazione anche per porre un freno ad una deprecabile pratica, che purtroppo nel quotidiano si registra, del sostanziale ricorso, attraverso l'espediente della motivazione «ob relationem», ad un integrale e acritico recepimento delle tesi accusatorie.
  Sono stati poi introdotti degli ulteriori temperamenti e siamo certi che, anche attraverso il dibattito parlamentare e soprattutto l'attività emendativa, il testo potrà ulteriormente arricchirsi, ma sicuramente questo provvedimento, che è atteso ed è un provvedimento importante, segnerà una svolta nell'ambito della politica repressiva della legislazione e della repressione delle situazioni di pericolo e di attentato alla sicurezza collettiva, senza venir meno all'esigenza di fondo del rispetto dei principi costituzionali, ma anche riconducendo il nostro sistema processuale e il nostro sistema carcerario a condizioni di maggiore civiltà giuridica.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Anna Rossomando.

  ANNA ROSSOMANDO, Relatore. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, il provvedimento di intervento e di riforma del regime della custodia cautelare tutta risponde – come è già stato illustrato dal mio collega correlatore – ad alcuni principi fondamentali. Pag. 4Innanzitutto, ribadire e dare maggiore concretezza al principio del carcere come extrema ratio.
  Vorrei ricordare, però, che qui interveniamo su tutto il sistema delle misure cautelari e vorrei anche dire che questo intervento certamente ha a che vedere anche con il tema del sovraffollamento delle carceri, ma sarebbe un errore e una limitazione ritenere che si riferisca esclusivamente e sia sovrapponibile a questa pur importantissima emergenza, perché è qualcosa di più ed è un intervento proprio sul sistema di garanzie per la libertà individuale tutta della persona che – come detto – devono avere un punto di equilibrio con la tutela della sicurezza, che è un diritto altrettanto importante della collettività.
  I principi cardine sono i seguenti: quello di dare maggiore incisività al requisito già previsto della concretezza delle esigenze cautelari, aggiungendo il termine dell'attualità, che, in realtà, rafforza e vincola maggiormente il requisito della concretezza; eliminare una serie di automatismi, che si sono sovrapposti a seguito di diversi interventi del legislatore, sui quali è intervenuta più volte la Corte costituzionale; ampliare la gamma di possibilità che il giudice ha nell'irrogare e nel prevedere una misura cautelare, quindi un ampliamento molto innovativo che attiene alle misure interdittive che sono, con spirito innovativo, cumulabili alle misure già previste.
  Infine, tutto questo è collegato ad un altro intervento molto importante e incisivo, che è quello di un rafforzamento della motivazione che deve presiedere al provvedimento che sta alla base della misura cautelare e del giudizio, quindi, che viene dato in sede delle varie occasioni di appello e di impugnazione di questo provvedimento.
  Vorrei dire, a questo proposito, che questa maggiore incisività della motivazione, da un lato, è il perno per rendere effettivi ed efficaci questi interventi, per altro verso, interviene direttamente su un altro principio molto importante, che è il principio del contraddittorio, senza il quale non può sussistere alcuna garanzia effettiva, concreta ed attuale, ovvero non può essere concreto un sistema di garanzie. Aggiungo, su questo punto, che, responsabilizzando il giudice, e quindi l'organo terzo, che non soltanto dà la misura cautelare, ma poi, in sede collegiale, è giudice della fondatezza di questa misura, si dà attuazione e si sta pienamente nel dibattito sull'effettiva concretizzazione della terzietà del giudice.
  Quindi, ritengo che, da questo punto di vista, sia un intervento davvero importante, che sta anche nell'attualità del dibattito di politica giudiziaria. Vengo a enunciare rapidamente quali sono alcuni degli interventi, rinviando poi al testo della relazione scritta che consegnerò. Come si diceva, noi richiamiamo spesso il principio di non colpevolezza e dobbiamo sempre agganciarlo con il principio di adeguatezza e di proporzionalità delle misure cautelari, che sono il baluardo perché non vi sia un uso distorto di questo indirizzo.
  Da questo punto di vista, per la redazione che è uscita dalla Commissione, abbiamo tenuto conto e abbiamo poggiato molto sul lavoro che è emerso dalle audizioni svolte in Commissione, dove un altissimo livello di contributi è diventato, poi, il contenuto di diversi emendamenti. Voglio ricordare, innanzitutto, l'importantissimo contributo dell'elaborato della commissione istituita presso il Ministero della giustizia, presieduta dal presidente della corte d'appello di Milano, Giovanni Canzio, e anche il contributo del professor Glauco Giostra, presidente della commissione ministeriale di studio in tema di ordinamento penitenziario e misure alternative.
  Voglio anche citare il contributo molto importante degli operatori del diritto, inteso sia come magistratura associata che l'avvocatura associata. Sono stati auditi il dottor Rodolfo Maria Sabelli, presidente dell'Associazione nazionale magistrati, l'avvocato Valerio Spigarelli, presidente dell'Unione delle camere penali, nonché l'avvocato Matteo Pinna. Da queste audizioni sono appunto scaturiti numerosi emendamenti. Vi è stato anche il contributo Pag. 5della dottrina: da questo punto di vista, il professor Giorgio Spangher, professore di diritto processuale penale, il professor Enrico Marzaduri, il professor Daniele Negri e il professor Giulio Illuminati.
  Aggiungo che questi interventi, come dicevo, fermi i principi a cui ho fatto cenno, sono stati molto mirati su alcuni punti critici. Innanzitutto, si è innovato sull'articolo 275 del codice di procedura penale sotto vari punti di vista, ma è stata prevista la possibilità di applicare cumulativamente le misure coercitive o interdittive. In questo caso, si è offerto al giudice un più ampio ventaglio di alternative al carcere, rendendo più concreto, quindi, il principio di residualità della restrizione carceraria.
  Il giudice, quindi, su richiesta del pubblico ministero, può anche applicare congiuntamente altra misura coercitiva o interdittiva. Si è, quindi, intervenuti anche specificamente sull'articolo che riguarda le misure interdittive, specificamente e in modo anche sistematico.
  Infatti è stato esteso da due mesi a dodici mesi il periodo di possibile applicazione di queste misure, quindi rendendole più concretamente un punto di riferimento anche alternativo alla misura, appunto, cautelare in carcere.
  Si è intervenuto anche significativamente sul pericolo di fuga e reiterazione dei reati, come dicevo, introducendo il requisito della attualità, e si è intervenuto anche significativamente sul fatto che non basta la gravità del reato per poter applicare la lettera c) dell'articolo 274: devono essere molteplici gli elementi da cui desumere la concretezza e l'attualità del pericolo, quindi non soltanto dalla semplice gravità e dalle modalità del reato, ma facendo riferimento a molteplici indicatori come, tra l'altro, la stessa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo ci ha da tempo indicato.
  Per quanto riguarda la motivazione, il giudice dovrà motivare in maniera approfondita e puntuale e non potrà ricorrere a tautologie, e questo sia con riferimento alla scelta e all'adeguatezza della misura, sia anche con riferimento al fatto di avere escluso altre misure alternative.
  Un altro significativo intervento è quello che prevede che il giudice non deve applicare la misura cautelare non soltanto quando in astratto ritenga che possa essere applicata la sospensione condizionale della pena, ma anche quando, ai sensi dell'articolo 656 del codice di procedura penale, ritenga che non debba essere data esecuzione alla pena. Qui, non si tratta solo di una questione di ampliamento, diciamo così, del range previsto dal punto di vista della pena a cui si fa riferimento, ma anche concettualmente è un passaggio importante, perché quando si ritiene di non dover dare esecuzione alla pena non potrà essere erogata non solo la custodia cautelare in carcere, ma neanche l'altra privazione della libertà, che è quella degli arresti domiciliari.
  Punto molto significativo, come abbiamo detto, anche proprio sotto il profilo dell'ispirazione del nostro intervento, è quello che elimina gli automatismi previsti nel secondo e terzo comma dell'articolo 275. In questo caso, noi dobbiamo ricordare che originariamente l'intervento era stato effettuato per l'associazione a delinquere di stampo mafioso.
  Si trattava di un intervento straordinario per, diciamo così, l'eccezionalità del pericolo e del fenomeno che affligge soprattutto il nostro territorio nazionale, ma, ormai, sappiamo, non soltanto il nostro territorio. Vorrei sottolineare che questo intervento era stato dettato non tanto dalla gravità dal reato – questo era il criterio che aveva preso a riferimento il legislatore – quanto dalla pericolosità e quindi dal tipo di vincolo associativo, cioè quello di stampo mafioso, che si riteneva, nel dettato legislativo, e si ritiene – sto per concludere – fintanto che non venga modificato, un vincolo associativo che dettava una presunzione sia sulla prova della sussistenza dei presupposti, che sull'adeguatezza esclusiva della misura cautelare.
  Si sono sovrapposti numerosi interventi, è intervenuta la Corte costituzionale e l'intervento del testo, che è uscito dalla Pag. 6Commissione, «normativizza» l'intervento della Corte costituzionale tenendo conto anche delle indicazioni specifiche sulla salvaguardia, invece, di quel dettato legislativo per quanto riguarda questo tipo particolare di reato.
  Concludo, signor Presidente, rappresentante del Governo e colleghi – il testo scritto poi analizza più puntualmente tutti i vari aspetti – volendo ricordare che si tratta, dopo anni di dibattito su questi temi che spesso è stato influenzato dalla contingenza di fatti di cronaca o da altro tipo di avvenimenti, finalmente di un intervento sistematico che, nel pieno del dettato costituzionale, dà attuazione al principio di non colpevolezza e contemporaneamente di adeguatezza di interventi a tutela della sicurezza della collettività (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
  Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia relazione (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti).

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

  COSIMO MARIA FERRI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, il Governo ha seguito con grande interesse questa iniziativa legislativa; intendiamo ringraziare, quindi, sia il presidente della Commissione giustizia che i due relatori e tutti i componenti che si sono impegnati nel seguire questo testo.
  Come ha detto poc'anzi l'onorevole Rossomando il Ministero della giustizia proprio su questo tema, ma non solo, ha istituito due commissioni che sono state citate: la commissione presieduta dal presidente della corte d'appello, Giovanni Canzio, e la commissione presieduta dal professor Giostra, attuale membro del CSM. Nel testo sono ripresi alcuni punti affrontati anche dalla commissione Canzio la cui relazione è stata consegnata al Ministro della giustizia.
  Anche secondo il Governo questo testo presenta diversi aspetti positivi, che i relatori hanno già illustrato. Vorrei sottoporre nuovamente all'attenzione di tutti – è chiaro che poi il dibattito parlamentare potrà arricchire il testo e migliorarlo – alcuni punti di questo provvedimento che sono importanti perché riprendono principi sottolineati dalla Corte costituzionale.
  Il legislatore, quindi, si «inserisce» anche seguendo e cogliendo alcuni punti delle motivazioni delle sentenze della Corte costituzionale. Più volte, infatti, la Corte ci ha detto che il carcere deve essere l’extrema ratio, che tutte le misure cautelari devono essere applicate dal giudice seguendo il criterio di scelta del minor sacrificio necessario.
  Ciò costituisce un concetto importante nell'applicazione delle misure e, secondo il mio modesto parere, è stata la «stella polare» di questa proposta di legge; ciò è importante perché deve essere ispirata proprio a questo criterio l'applicazione della misura.
  Questo impegna il legislatore da una parte a strutturare il sistema cautelare secondo il modello della pluralità graduata, predisponendo una gamma alternative di misure connotate da differenti gradi di incidenza sulla libertà personale, dall'altra a prefigurare meccanismi individualizzanti di selezione del trattamento cautelare, coerenti ed adeguati alle esigenze configurabili nelle singole fattispecie concrete.
  Occorre anche evidenziare che il testo in esame prevede la possibilità di applicare cumulativamente altre misure cautelari diverse dal carcere. Attualmente il giudice può scegliere tra le varie misure cautelari quali applicare, ma non può disporre congiuntamente due o più misure, con il testo in discussione si prevede invece la possibilità di applicazione cumulativa di varie misure cautelari e si favorisce – questo è un passaggio secondo noi molto importante – il ricorso a misure diverse dal carcere, fornendo al giudice un'ulteriore opzione consistente nella possibilità di sommare tra loro le prescrizioni oggetto di più misure e combinando anche misure coercitive e misure interdittive, in modo da poter ricorrere ad un nuovo Pag. 7strumento cautelare diverso dal carcere. Questo è importante, così come è importante la norma che impone al giudice, che voglia applicare la custodia cautelare in carcere, di motivare espressamente sul punto della inidoneità della misura degli arresti domiciliari, anche nella forma della loro attuazione con le modalità del braccialetto elettronico. Si riparla, quindi, anche in questo provvedimento, del braccialetto elettronico; si chiede al giudice di motivare il perché non si possa ricorrere agli arresti domiciliari con l'uso del braccialetto elettronico e ricorrere invece alla misura più dura quale è quella della custodia cautelare in carcere. Quindi, il giudice dovrà valutare, nell'applicare la custodia in carcere, tutte queste esigenze e il fatto che non possano essere applicate.
  Sulle misure interdittive già è stato detto. È importante questo aumento – e lo voglio risegnalare – dagli attuali due mesi ai dodici mesi. Quindi i termini di durata delle misure cautelari interdittive sono aumentati e ciò può consentire anche di utilizzarli come strumento e come misura alternativa rispetto al carcere.
  Importante poi è la modifica della valutazione, quindi il fatto di prevedere di non applicare misure di tipo custodiale quando il giudice prevede che, in caso di condanna, l'imputato beneficerà della sospensione condizionale o della sospensione dell'esecuzione. Anche questa è una precisazione importante. Sul pericolo di fuga e sul pericolo di reiterazione già è stato detto.
  Vorrei inoltre sottolineare nuovamente l'importanza in questo progetto di legge di chiedere al giudice una valutazione. Può sembrare ovvio, però è importante anche per evitare – io lo dico anche a tutela della magistratura – quelle, tra virgolette, «accuse» di «copia incolla», talvolta nelle aule di giustizia sia dell'avvocatura sia delle parti. Ci deve essere anche questo messaggio chiaro. Quindi si vuole sottolineare l'autonoma valutazione del giudice del caso concreto e, per evitare che il giudice in qualche modo si possa appiattire sulle richieste del pubblico ministero, si prevede quindi debba invece compiere, sulla base degli atti di indagine, questa autonoma valutazione del caso concreto.
  Così un altro punto importante è quello dei termini. Oggi i termini delle misure cautelari e l'efficacia di tali misure sono riferiti ai termini di durata massima indicati dall'articolo 303 del codice di procedura penale. Altri termini sono inoltre attualmente previsti a garanzia della rapidità della decisione del tribunale del riesame. Tuttavia, però, nella giurisprudenza, si è affermata la prassi secondo cui, mentre il dispositivo del tribunale del riesame viene emesso nel rispetto dei brevi termini perentori già previsti dalla normativa vigente (si parla di dieci giorni dalla ricezione degli atti), invece la motivazione viene depositata solo successivamente alla decisione, ritenendosi ordinatorio il termine di cinque giorni relativo a tale deposito.
  Ciò determina come conseguenza un allungamento dei tempi per poter proporre ricorso in Cassazione, non potendo tale impugnazione ovviamente essere presentata fino a che non è stata depositata la motivazione dell'ordinanza. Anche qui il progetto di legge dà una risposta e pone fine a tale prassi. Seguendo l'orientamento giurisprudenziale il legislatore dice: un momento, qui occorre ridurre i tempi per tutelare chi è destinatario di tali misure, quindi questo orientamento del termine ordinatorio dei cinque giorni non può essere più ammesso. Si dà quindi un segnale di chiarezza e, per porre fine a tale prassi e per assicurare il diritto dell'indagato a poter rapidamente ricorrere in Cassazione, si prevede che la motivazione debba essere depositata dal tribunale del riesame entro trenta giorni dalla decisione, stabilendo altresì che, in caso di superamento di tale termine, la misura perderà efficacia.
  Vi sono anche altri aspetti che meritavano di essere sottolineati, tuttavia non voglio dilungarmi e rubare il tempo previsto da regolamento. Mi riserverò in sede di replica di intervenire nuovamente e seguirò chiaramente tutti i lavori parlamentari.

Pag. 8

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Ermini. Ne ha facoltà.

  DAVID ERMINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la riforma delle misure cautelari si inserisce in un problema ben più ampio, che è quello della giustizia penale nel nostro Paese. La giustizia penale ha subito negli ultimi periodi dei tentativi di riforma senza peraltro avere un successo particolare.
  Mi ricordo che nel 1989, quando entrò in vigore il nuovo codice di procedura penale, molti dicevano che avremmo risolto tantissimi problemi: avremmo risolto il problema della velocità dei processi, avremmo risolto il problema dello svuotamento delle carceri, avremmo risolto il problema di dare ragione alle vittime dei reati che chiedevano giustizia.
  Bene, con il passare degli anni tutto questo si è trasformato in un sogno. È necessario, quindi, da parte del legislatore, intervenire nuovamente nella materia processuale penale. Oggi lo facciamo attraverso una parte, la riforma delle misure cautelari. Una riforma delle misure cautelari, come già è stato illustrato dai relatori, che va ad incidere su alcuni argomenti particolari e che sicuramente aiuterà nel tentare di limitare le misure cautelari agli episodi che veramente necessitano dell'applicazione della misura cautelare, ma, soprattutto, può dare una mano anche al fatto che la misura cautelare non diventi una pena anticipata. Tutto questo, però, potrà avvenire soltanto, in modo completo ed esauriente, quando finalmente anche in Italia saranno dati tempi per un processo penale giusto e limitato nel tempo. Oggigiorno i procedimenti penali occupano un quarto o un quinto della vita di una persona e ciò, in un Paese civile, non è accettabile, per cui dovremmo cominciare a capire che la misura cautelare dovrà essere rapportata al processo, certo, ma se il processo sarà breve, la misura cautelare inciderà in modo minimo, ma se il processo continuerà ad essere così lungo, evidentemente si può anche arrivare ad avere una misura cautelare che va oltre quelle che sono le previsioni e quelle che sono le norme che secondo noi devono essere applicate.
  Le misure carcerarie, come diceva la relatrice Rossomando in modo corretto prima, non possono essere messe in correlazione stretta con il problema dello svuotamento carcerario perché non si può pensare di liberare le persone dai vincoli delle misure cautelari esclusivamente per un problema di svuotamento carcerario. Questa è una battaglia di civiltà di uno Stato. La misura cautelare è una misura eccezionale, è una misura a cui si deve ricorrere quando non vi è altra possibilità di impedire quelle che sono le esigenze previste dall'articolo 274 del codice di procedura penale. Non possiamo fare un raffronto con quello, quindi, anche se dai dati che abbiamo emerge che un terzo dei detenuti nelle nostre carceri sono persone che sono in attesa del primo grado di giudizio. Un altro terzo sono persone che hanno meno di tre anni di carcere da scontare e, quindi, potrebbero tranquillamente utilizzare, se ne avessero i requisiti, le misure alternative al carcere e soltanto un altro terzo è in pena definitiva superiore agli anni tre. Tutto ciò ci fa capire che il problema carcerario, quindi, non riguarda soltanto le carceri, ma è un argomento che va visto in modo più ampio, non solo attraverso una politica giudiziaria, ma anche una politica sociale, soprattutto per le persone che sono in carcere per reati sotto i tre anni, ma non riescono ad ottenere la misura alternativa perché non hanno domicilio o fissa dimora.
  Dicevo che il problema della giustizia penale si inserisce in una più ampia riforma di tutta la giustizia, ma oggi valutiamo le necessità che abbiamo di applicare questa riforma che è stata presentata in modo così preciso, puntuale e anche innovativo. Noi dobbiamo certamente partire dalle modifiche all'articolo 274, alle esigenze cautelari. E ci sono delle norme molto innovative e molto interessanti che vengono proposte con questo provvedimento, soprattutto quelle che riguardano i comportamenti processuali dell'indagato che non possono essere giustificazione per Pag. 9l'applicazione delle esigenze cautelari. Ma, soprattutto, l'inserimento del principio dell'attualità, oltre alla concretezza, per il pericolo di fuga e per la reiterazione dei reati. L'attualità e la concretezza non possono, quindi, essere desunte esclusivamente dalla gravità del reato, nonché dalle modalità e dalle circostanze del fatto addebitato.
  La novità importante è che non vi sarà il divieto di applicazione di misure cautelari soltanto nel caso della possibilità della sospensione condizionale della pena ma questo istituto sarà ampliato anche alla possibilità dell'applicazione della sospensione della pena ex articolo 656, comma quinto, del codice di procedura penale. Credo che questa sia forse la novità più importante.
  Quando questa proposta di legge entrerà in vigore, il giudice potrà svolgere un giudizio prognostico direttamente sul condannato, valutando la possibilità dell'applicazione di una misura alternativa alla detenzione. Si tratta di un elemento che comporterà un onere anche per la difesa: infatti, chi riterrà di essere condannato nelle ipotesi che vengono svolte durante le conclusioni dei difensori, dovrà anche indicare le eventuali possibilità della misura alternativa. Quindi, gli elementi a sostegno di queste istanze possono già essere un elemento per cui la difesa convince il giudice delle indagini preliminari a non applicare le misure cautelari.
  Questo elemento corre sullo stesso binario di quella riforma che abbiamo approvato questa estate. Infatti, lavoriamo proprio perché si possa arrivare anche ad uno svuotamento di quello che è il lavoro successivo, nel momento in cui si arriva alla fase esecutiva della pena, e, quindi, ritengo che questo sia un elemento fondamentale, importante per noi cioè la non applicazione della misura che, spessissimo, già nel momento iniziale del procedimento penale, inquadra la figura del soggetto e, quindi, dà già la possibilità di vedere quale è la sua personalità e quali sono le possibili conclusioni. Non applicare la misura cautelare, attraverso l'articolo 656, comma quinto, del codice di procedura penale, credo che sia una delle novità più importanti di questo provvedimento.
  Del resto, gli altri articoli che fanno parte di questa proposta di legge confermano l'ipotesi residuale del ricorso al carcere solo quando le altre misure coercitive e interdittive risultino inadeguate. Anche sulle misure interdittive ci sono delle norme, come è stato ricordato, molto importanti. È stata ampliata la durata della misura interdittiva proprio per rimarcare che vi può essere la possibilità di non accedere alle misure cautelari più gravi come quella del carcere quando, invece, si può giungere tranquillamente a coprire le esigenze cautelari attraverso delle semplici misure interdittive. E questo è un altro elemento che ritroveremo poi negli articoli finali della proposta di legge.
  Un argomento importante da valutare è quello sulla presunzione di idoneità della sola misura carceraria per i reati di particolare gravità – anche questo è già stato ricordato – cioè l'associazione sovversiva, l'associazione terroristica, l'associazione mafiosa, che hanno una presunzione di idoneità esclusivamente attraverso la misura cautelare in carcere.
  Per altri gravi reati vi è stato un recepimento delle indicazioni della Corte costituzionale – sto parlando dell'omicidio, dell'induzione alla prostituzione minorile alla pornografia minorile, al turismo sessuale, alla violenza sessuale ed altri reati – in cui vi è – sì – la presunzione ma vi è anche una clausola di salvaguardia: vengono applicate, salvo che le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con altre misure. Anche questo è sostanzialmente, come dicevo, l'applicazione e l'adeguamento a ciò che la Corte costituzionale ha detto nelle ultimi recenti sentenze.
  Credo che sia importante poi un'altra norma che, forse, non viene molto considerata, quella relativa all'evasione, alla cancellazione dell'obbligo del giudice di applicare la misura cautelare in carcere nel momento in cui un soggetto si allontana dal proprio domicilio dove vengono concessi gli arresti domiciliari. Spesso chi Pag. 10frequenta i tribunali si rende conto che queste molte volte sono applicazioni estremamente punitive e spesso anche non necessarie e, quindi, è giusto far mantenere al giudice la discrezionalità su questo.
  Credo che questo provvedimento sia permeato, in modo molto importante e decisivo, proprio della possibilità che il magistrato abbia di valutare, in ogni suo aspetto, quelle che sono le particolarità di ogni processo e le particolarità di ogni imputato, perché applicare in modo scientifico e matematico – vorrei dire con la «scure» la legge – spesso porta anche a delle profonde ingiustizie. Invece, questa nuova riforma delle misure cautelari dà la possibilità al magistrato, attraverso gli strumenti che il magistrato può avere – ripeto, sia della difesa sia degli stessi ausiliari del magistrato – e può avere un'applicazione in concreto molto più efficace ed anche, vorrei dire, molto più giusta.
  Sono state ricordate altre norme di questo provvedimento: quella sul riesame e l'obbligo di motivazione. Lo stesso rappresentante del Governo ci ricordava prima che qualche volta vi è stato un appiattimento da parte del giudice, che ha emesso la misura cautelare rispetto alle richieste dell'accusa. Ecco, la riforma, in relazione alla possibilità del riesame di annullare la misura quando manca la motivazione, quando non vi è una motivazione autonoma, porta un elemento di novità importante.
  Io vorrei aggiungere anche un altro elemento perché poi la descrizione del provvedimento è stata già fatta e sarà poi ulteriormente fatta dagli altri colleghi e poi la valuteremo anche nel momento della discussione degli emendamenti. Ma, vorrei dire due cose, una positiva per questo provvedimento ed un'altra relativa al perché non abbiamo inserita un istituto. Parto dalla seconda. Come vedete, non c’è nel provvedimento l'istituto della cauzione, nonostante fosse stato sollecitato. Personalmente, ho ritenuto, come gli altri componenti della Commissione, di non inserire l'elemento della cauzione in questa proposta di legge perché il nostro ordinamento è un ordinamento che non supporta e non sopporta tecnicamente questo istituto. L'istituto della cauzione vive negli ordinamenti di common law, dove vi è l'obbligo, da parte dell'imputato, di presentazione davanti al giudice. Da noi, invece, non vi è l'obbligo e, quindi, sostanzialmente sarebbe andato a incidere esclusivamente nel momento in cui si va a toccare il pericolo di fuga. Quindi, in qualche modo per potere arrivare all'applicazione dell'istituto della cauzione, avremmo dovuto modificare sostanzialmente in modo radicale quello che è il nostro ordinamento in relazione al discorso della contumacia dell'imputato, senza contare poi la possibilità, appunto, dell'ottenimento della cauzione attraverso dei parametri che in Italia ancora non sussistono. Dovremmo, per esempio, ipotizzare un falso ideologico sulle dichiarazioni dei redditi non veritiere, cosa che in Italia non è prevista.
  Per cui, abbiamo deciso di sospendere l'istituto della cauzione e di non inserirlo nella norma oggi in discussione. Ritengo che sia un argomento da potere valutare, ma non ancora pronto.

  PRESIDENTE. La prego di concludere.

  DAVID ERMINI. Ho concluso. Quindi, mi permetto di aggiungere solo questo, visto che ho finito il tempo. Mi piacerebbe potere lavorare sul termine che il giudice per le indagini preliminari ha rispetto alla richiesta del pubblico ministero. Troppe volte oggi vediamo nei nostri tribunali che le richieste del pubblico ministero vengono accolte in tempi lunghissimi da parte del GIP, anche in casi con modifiche delle situazioni. Per cui, io vorrei che la Commissione e tutto il Parlamento potessero lavorare anche su questo: un termine perentorio perché la richiesta del pubblico ministero venga valutata ed eventualmente applicata o meno da parte del giudice per le indagini preliminari.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Tancredi Turco. Ne ha facoltà.

Pag. 11

  TANCREDI TURCO. Signor Presidente, grazie ai membri e ai rappresentanti del Governo presenti e grazie alle colleghe e ai colleghi presenti. L'obiettivo della proposta di legge che viene ad essere discussa in questa Camera oggi è quello di migliorare l'uso della detenzione in chiave preventiva, ossia l'applicazione della restrizione della libertà dell'individuo in forma carceraria prima della conclusione del processo penale e dell'irrevocabilità della decisione stessa.
  La lunghezza e la complessità dei processi rendono meno certa e certamente molto ritardata l'applicazione della sanzione. In questo contesto, la restrizione della libertà nelle forme della custodia cautelare in carcere finisce per essere percepita erroneamente come l'unica vera pena capace di avere un immediato effetto deterrente e preventivo nei confronti della generalità dei consociati. È necessario, dunque, ripristinare una cultura delle cautele penali fondate sul pieno rispetto della presunzione di innocenza e sulla funzione strumentale al processo delle misure di contenimento anticipate. Questo obiettivo richiede una modifica ad alcune delle regole previste dal codice di procedura penale, fondate sulla presunzione di innocenza e sul primato, fin dove ragionevolmente possibile, delle libertà. Si ritiene, quindi, necessario riformulare ed attualizzare alcuni punti critici del disegno codicistico, alla luce delle asperità e lacune riscontrate nell'esercizio della prassi applicativa quotidiana.
  Lo scopo dichiarato in questa proposta di legge è, quindi, quello di un uso residuale delle cautele, in particolare delle cautele detentive, riportando all'insegna del principio del favor libertatis il sacrificio della libertà personale e la sua natura di estrema ratio. In merito a tale concezione della misura cautelare custodiale si rinviene un parere conforme nella relazione del primo Presidente della Corte di cassazione di due anni fa, nel quale si affermava: «È necessario che il legislatore assuma sul serio la natura di estrema ratio della custodia cautelare in carcere e la preveda soltanto in presenza di reati di particolare allarme sociale, e, soprattutto, la inibisca quando la condotta criminosa presa in considerazione sia risalente nel tempo e non accompagnata da manifestazioni concrete ed attuali di pericolosità sociale».
  Tornando, quindi, al provvedimento in questione, questo mira non tanto a ridurre la popolazione carceraria, così contribuendo a dare una concreta ed effettiva risposta alla drammatica situazione in cui versano gli istituti penitenziari italiani ma, anche e soprattutto, a reprimere prassi giudiziarie inclini a forme d'abuso nell'applicazione della custodia cautelare in carcere. L'istituto della custodia cautelare in carcere, nel tempo, ha infatti subito una radicale trasformazione, divenendo da istituto con funzione prettamente cautelare, nell'ottica di un'esigenza di prevenzione dei reati e di tutela da forme di pericolosità sociale, a una vera e propria forma anticipatoria della pena, con violazione del principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza.
  La stessa Corte europea dei diritti dell'uomo, nella sentenza dell'8 gennaio 2013, la cosiddetta «sentenza Torreggiani contro l'Italia», ha evidenziato come il problema del sovraffollamento carcerario sia legato anche all'eccessivo uso della custodia cautelare in carcere. Questi i motivi dei numerosi richiami ai giudici in funzione di un uso più responsabile della misura carceraria, considerando realisticamente le esigenze cautelari e valutandone l'effettiva attualità, nonché adeguando le soluzioni individuate ai principi di proporzionalità e adeguatezza. Il testo di questa riforma impone di applicare la misura della custodia cautelare soltanto qualora le altre misure coercitive, come gli arresti domiciliari, o interdittive, come ad esempio il ritiro del passaporto, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate.
  Altra importante innovazione è costituita dalla proposta di modifica dell'articolo 275 del codice di procedura penale in materia di scelta delle misure cautelari, proponendo la finalità di escludere sia la custodia in carcere, sia gli arresti domiciliari, quando il giudice ritenga che Pag. 12l'eventuale sentenza di condanna non verrà poi materialmente eseguita in carcere.
  Anche i presupposti per il ricorso alle misure cautelari sono resi più stringenti, richiedendosi, sia nella valutazione del pericolo di fuga che in quello di reiterazione del reato, la verifica, oltre che della concretezza, anche dell'attualità del pericolo. In tale direzione, in relazione alla necessità di verificare l'attualità del pericolo di reiterazione del reato, già la Corte di cassazione ha rilevato che il giudice deve «procedere ad individuare, in modo particolarmente specifico e dettagliato, gli elementi concludenti atti a cogliere l'attualità e la concretezza del pericolo di reiterazione criminosa fronteggiabile soltanto con la permanenza in carcere» (questa è la sentenza n. 10673 del 2003 della Corte di Cassazione).
  Tale orientamento giurisprudenziale si riscontra anche nelle decisioni di merito che ritenevano, in larghissima parte, necessario questo elemento.
  Nella valutazione dei presupposti del pericolo di fuga e del pericolo di reiterazione del reato, inoltre, il giudice non può fondarsi unicamente sulla base della gravità del reato attribuito, ovvero delle modalità del fatto-reato, ma l'accertamento dovrà coinvolgere elementi ulteriori quali, ad esempio, i precedenti e la personalità dell'imputato. Questa disposizione mira ad introdurre una limitazione alla discrezionalità del giudice stabilendo, appunto, che le modalità del fatto non bastano a fondare il pericolo di reiterazione del reato, con riferimento a tutti i casi di reiterazione previsti dalla lettera c) dell'articolo 274 del codice di procedura penale, ed anche che le circostanze del fatto non bastano a definire la personalità dell'imputato.
  Dal punto di vista del pericolo di reiterazione del reato, vi sono poi dei reati che, pur gravissimi, a volte però di per sé escludono la possibilità sostanziale di una effettiva reiterazione. Potrebbe perciò accadere che si giunga a delle conseguenze di eccessivo sacrificio delle esigenze di tutela della collettività rispetto alle garanzie pensate e destinate al favor libertatis.
  Si auspica che nella concreta applicazione di tale norma possano, perciò, essere evitate distorsioni interpretative tali da rendere inapplicabile la custodia cautelare anche alla presenza di delitti di grave allarme sociale, poiché perpetrati da soggetti incensurati ovvero la cui personalità da sola non possa essere ritenuta di particolare pericolosità.
  Infatti, la proposta di riforma limita la presunzione di idoneità assoluta della misura carceraria, in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, in ordine ai soli delitti di mafia e a quelli per associazione terroristica prevedendo, invece, per gli altri gravi delitti una presunzione solo relativa: inapplicabilità, quindi, della custodia cautelare in carcere, se si dimostra che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.
  Inoltre, si richiede una valutazione più stringente delle motivazioni a fondamento della misura cautelare, tanto che il giudice che dispone la cautela non potrà, infatti, più limitarsi a richiamare per relationem gli atti del pubblico ministero ma dovrà specificare, con autonoma motivazione, le ragioni per le quali anche le argomentazioni della difesa sono state disattese.
  Al fine, poi, di consentire un effettivo ed efficace utilizzo in alternativa della custodia cautelare in carcere, viene esteso da 2 mesi a 12 mesi il periodo di possibile applicazione da parte del giudice delle misure interdittive, ovvero quelle che incidono sulla sfera giuridica della persona e cioè: la sospensione della potestà genitoriale, la soppressione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali.
  Si sottolinea, inoltre, che l'aumento dell'estensione temporale delle misure interdittive può comportare una maggiore possibilità di ricorrere a soluzioni diverse dalla custodia cautelare, perché una volta rinforzato il sistema delle misure interdittive stesse, sotto il profilo della loro durata, queste potranno essere sicuramente Pag. 13considerate più efficaci e sempre più tendenzialmente si eviterà il ricorso a misure di privazione della libertà.
  Quindi – e mi avvio anche a concludere – in linea generale il parere sulla proposta di legge n. 631-A è sostanzialmente favorevole da parte del MoVimento 5 Stelle. Il testo approdato in quest'Aula, anche grazie al costruttivo confronto ed alla intensa attività di stretta collaborazione svoltasi in seno alla Commissione giustizia, è sicuramente apprezzabile nei suoi intenti di carattere generale perché mira, da un lato, a valorizzare altri tipi di misure – ad esempio le misure interdittive, come già detto, innalzandone la durata sino ad un anno – e, dall'altro, ad evitare che le esigenze cautelari si possano prestare ad un uso disinvolto da anticipazione incostituzionale della pena.
  Pur tuttavia, nel contemperare il valore degli interessi in gioco, ricercando il necessario punto di equilibrio tra il doveroso rigore, che deve sottendere ad ogni limitazione della libertà personale, e l'imprescindibile tutela della sicurezza, ci si augura che questa riforma, anche per alleggerire la situazione carceraria, non tenda a spostare troppo questo punto di equilibrio a detrimento della tutela della sicurezza, con conseguenze che potrebbero essere anche gravi sotto il profilo della tranquillità sociale. Sarebbe forse preferibile un intervento un po’ più complesso, che fosse riferito sia ai profili processuali sia ai profili sostanziali.
  Il MoVimento 5 Stelle – e concludo – si auspica quindi che i propositi riformatori si vogliano a breve indirizzare alla soluzione dei veri problemi e difetti endemici del nostro sistema penale; e cioè, oltre appunto al problema delle misure cautelari, all'eccessiva lentezza dei processi, alla distanza temporale tra condanna ed esecuzione della pena, all'inadeguatezza di un carico sanzionatorio severo per talune fattispecie di reato che il contesto sociale non ritiene oggi così gravi.

  PRESIDENTE. Dovrebbe concludere.

  TANCREDI TURCO. Concludo. Lo scarso utilizzo di percorsi educativi alternativi alla pena, e infine l'eccessivo ricorso all'uso dell'appello.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Daniele Farina. Ne ha facoltà.

  DANIELE FARINA. Signor Presidente, noi siamo chiamati a parlare di custodia cautelare, di misure cautelari personali, e credo che i colleghi che mi hanno preceduto hanno illustrato in maniera anche abbastanza dettagliata il contenuto di questo provvedimento. Ai fini però della comprensione di chi ci sta ascoltando, di chi leggerà i nostri atti, preferisco chiamare tutto questo col proprio nome di battesimo, e cioè con una terminologia che gli italiani capiscono e ricordano assai meglio: parlo di carcerazione preventiva, essenzialmente del nucleo «industriale» delle misure di cui stiamo parlando. Parliamo di cittadini in carcere in attesa di giudizio definitivo, spesso, come è stato già detto, in attesa di un primo grado di giudizio: 24 mila sono attualmente questi cittadini, e le statistiche ci dicono che in buona parte essi risulteranno assolti, ovvero stiamo parlando di innocenti.
  Non credo che, se guardiamo il nostro lavoro da questa prospettiva, si possa far «abboccare» gli italiani alle sirene, come in quest'Aula è successo a volte parlando dei temi di giustizia. Non credo che gli italiani infatti crederanno che stiamo lavorando ad un'amnistia mascherata, ad un indulto mascherato: cose che pure nostro malgrado siamo stati costretti a sentire, pur nella loro evidente falsità. Noi lavoriamo in realtà lungo quella presunzione di non colpevolezza che incardina una parte importante dell'articolo 27 della Costituzione.
  Questo è uno strano Paese, che non ha risorse per garantire un futuro ai propri figli, tamponare le frane o limitare le alluvioni; eppure si permette la galera anche quando essa non serve. E poi, quanti sono – mi chiedo – i carcerati preventivi (per rispondere a qualche obiezione che penso interverrà nel nostro Pag. 14dibattito) per corruzione o frode ? Il Ministero ci informa: nessuno. E già questo ci racconta parecchio di che cosa e di chi stiamo parlando.
  Per identificare meglio uso le parole di una relazione, di un richiamo, che è quello già citato nel nostro dibattito generale del primo presidente uscente della Corte di Cassazione, Ernesto Lupo. Egli ad un certo punto segnala la necessità ormai inderogabile della rivisitazione del catalogo dei reati per i quali è imposto l'arresto; con particolare riguardo a due settori che contribuiscono grandemente all'affollamento carcerario; quello della materia dell'immigrazione clandestina, e quello del piccolo spaccio di sostanze stupefacenti, anche leggere (parliamo del comma 5 dell'articolo 73). Ecco di cosa stiamo essenzialmente parlando !
  E a fianco di queste misure, e di questa riforma modesta (usiamo questa terminologia) che ci accingiamo, spero, ad approvare, noi dovremo con norme di diritto sostanziale intervenire su queste specifiche materie, che il presidente Lupo ci ricordava. Le ultime legislature hanno infatti «infarcito» il codice penale di nuove fattispecie di reato, e modellato in quella misura anche il codice di procedura, nella credenza che più gente mandavamo in galera, e più ce la tenevamo, e più saremmo stati sicuri.
  Il risultato, il bilancio di questa che io chiamo follia, è sconfortante: abbiamo infarcito le carceri spesso di colpevoli di reati di modestissima pericolosità sociale; e in carcere sappiamo tutti cosa si fa: si «impara». Abbiamo tenuto assieme responsabili di reati bagatellari e professionisti, e questo è stato un gravissimo errore. Migliaia di «borse di studio» a Poggioreale come a San Vittore.
  La crisi non ci rende più generosi, ma riformare la carcerazione preventiva non è soltanto un atto di civiltà che riguarda la libertà della persona, ma è anche un atto di intelligente egoismo per la nostra sicurezza. Quest'Aula ha affrontato più volte il tema della carcerazione preventiva, credo fin dal 1870 e dintorni con l'onorevole Lucchini. A volte lo ha fatto in una forma organica, altre volte seguendo un percorso un po’ erratico, ovvero di legislazione, con vari provvedimenti, fino alla legislazione emergenziale.
  Vorrei chiudere questo intervento ricordando certamente Silvio Scaglia, il manager agli onori della cronaca – purtroppo per lui – per la recente e non fondata carcerazione preventiva, ma mi piace ricordare, in tempi più lontani, anche quel Luciano Ferrari Bravo che si fece cinque anni e mezzo di carcerazione preventiva (in parte anche nel tufo del carcere di Favignana), prima di essere assolto.
  Queste è un piccolo ma significativo provvedimento, è meno di quanto vorremmo, ma va nella direzione giusta.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Marazziti. Ne ha facoltà.

  MARIO MARAZZITI. Signor Presidente, Governo, colleghi deputati, limitare la custodia cautelare in carcere, questa carcerazione preventiva, perché ? È una responsabilità costituzionale, un imperativo indicato dal Presidente della Repubblica Napolitano, non solo da oggi, ma già tre anni fa, il quale diceva che è abnorme il ricorso alla custodia cautelare: questa è una realtà che ci umilia in Europa. È la conferma che la politica deve uscire dall'ideologia e fare la cosa giusta, per non far sentire i cittadini prigionieri, per non farli essere prigionieri senza motivo, per riguadagnarci sul campo la responsabilità di essere leadership e non solo fellowship di sondaggi e umori, o di una sovraesposizione mediatica a toni forti. È una richiesta del buonsenso e del buon gusto.
  Personalmente, come forza politica, non voglio e non vogliamo essere tra quelli che hanno avuto la responsabilità di opporsi a un piccolo passaggio di civiltà riconquistata. Questo Parlamento ha la responsabilità di fare la cosa giusta, qualunque sia il dibattito sui giornali, qualunque sia l'ammontare dei click, dei «mi piace» o «non mi piace», dei pro o dei contro, qualunque sia il linguaggio – blando o minaccioso – usato, perché sulla vita, sulla giustizia, sulla dignità umana e Pag. 15di un Paese non si ragiona mai – non si deve mai ragionare in realtà – con la pancia. Dobbiamo difendere ciascuno di noi, ogni italiano, da questo rischio, perché potrebbe accadere a te, a me, a noi, a nostro figlio di finire in carcere senza essere colpevoli. Non voglio e non vogliamo far parte di quelli che di fronte al passaggio pochi mesi fa dell'approvazione di misure alternative al carcere in quest'Aula, cavalcando in maniera immotivata istinti di paura o cattiva informazione, una predicazione semplificata sui buoni e i cattivi o un interesse politico di corto respiro, hanno votato per articoli, emendamenti e ordini del giorno centocinquanta «no» alle misure alternative al carcere. Per questo ho ascoltato con interesse anche l'intervento del collega del MoVimento 5 Stelle perché mi auguro che questa volta non dobbiamo assistere a quella situazione e a quello spettacolo.
  In Italia il 42 per cento dei detenuti si trova in carcere per motivi di carcerazione preventiva, solo la Turchia ci supera con il 60 per cento. Abbiamo il 23,5 per cento in Francia, il 20,8 in Spagna, il 16,7 nel Regno Unito, che però ha un altro tipo di codice penale. C’è una ossessione carcerocentrica che purtroppo in Italia accompagna il nostro tempo senza grandi ambizioni ma con grandi urlatori. Di chi stiamo parlando ? Sappiamo che ci sono ancora 17 mila detenuti in sovrannumero rispetto alla capienza regolare, sappiamo che una parte significativa di chi è in carcere è costituita da soggetti «ristretti» in assenza di giudizio. Ragioniamo sul linguaggio: «ristretti» è uno dei modi garbati del linguaggio giuridico, come quando invece di dire «uccisi» attraverso una pena capitale si dice «giustiziare», oppure in inglese si dice solo «eseguire».
  Ristretti significa, in realtà – gli italiani debbono saperlo – persone che erano e sono libere, che sono indagate, che non sono state condannate e, quando anche non ci sono rischi di reiterare il reato o di inquinare le indagini, finora sono stati tenuti in carcere, vengono marchiati con il carcere, vengono marchiate le loro famiglie e i loro figli, che diventano i figli dei carcerati e sono tenuti accanto ai condannati. In questo carcere – lo sappiamo – si crea oggi ancora più recidiva che redenzione, nel 67 per cento dei casi, due volte su tre. Allora, è un terreno scivoloso questo: riguarda, non solo la legge, ma anche la prassi, e quindi un cambiamento di mentalità.
  Noi oggi sappiamo che abbiamo in carcere, su circa 67 mila detenuti, circa 30 mila ancora non condannati. Di questi, la metà, circa 15 mila, non sono stati condannati neanche in primo grado; molti di questi, verranno rilasciati innocenti. A metà del 2013, la popolazione carceraria, nonostante le misure messe in atto dai due Governi degli ultimi due anni si è, di nuovo, avvicinata ai massimi mai raggiunti nel 2010: siamo a 66 mila presenze al 30 giugno del 2013. Un detenuto su tre è gravemente malato, il 15 per cento ha patologie psichiatriche e molti hanno malattie infettive, tubercolosi, scabbia, AIDS e sifilide. Secondo un'indagine del Ministero della salute del 2012, uno su tre dei malati, cioè un detenuto su dieci, non sa di essere ammalato. Colpevoli accertati e presunti innocenti condividono la stessa esistenza: i posti letto disponibili sono 46 mila e c’è un affollamento del 157, 1 per cento, contro una media europea sotto il 96 per cento.
  Le sindromi depressive sono comuni e sappiamo che in carcere si suicida un detenuto su mille, mentre fuori dal carcere ancora si suicida una persona ogni 20 mila. Ogni dieci detenuti che si suicidano c’è un agente di custodia, il doppio degli altri cittadini italiani. Questo ci racconta qualcosa.
  Ma quello di cui stiamo parlando è una piccola vergogna tutta italiana che diventa un macigno sulla vita di tanti: è il «fenomeno delle porte girevoli»: abbiamo più di 10 mila persone che stanno in carcere meno di tre mesi e che, alla fine, vengono riconosciute innocenti. Non ha significato, non ha senso: cioè, un numero altissimo di persone, 9 mila, sta meno di sette giorni in carcere. Allora, questo provvedimento serve per eliminare questa malattia del sistema giudiziario italiano.Pag. 16
  Concludo: se costringere chi è stato condannato con sentenza definitiva a un regime di questo tipo è, purtroppo, diventato anche una violazione della Carta dei diritti dell'uomo a causa delle condizioni aggiuntive di pena non previste dalla legge, allora assoggettarvi presunti innocenti o futuri innocenti costituisce un'aggravante intollerabile per uno Stato di diritto. Si capisce chiaramente anche dalla raccomandazione della Comunità europea sulla custodia cautelare, la n. 13 del 2006, che dice che i prigionieri in custodia cautelare saranno soggetti a condizioni appropriate al loro stato legale. Questo comporta l'assenza di restrizioni aggiuntive a quelle necessarie per la sola amministrazione della giustizia, la sicurezza dell'istituzione, la sicurezza dei prigionieri e dello staff e la protezione dei diritti degli altri, in particolare, il raggiungimento e il compimento delle regole richieste dal Regolamento delle prigioni europee e dalle altre leggi che sono state stipulate e prescritte dalla parte terza dello stesso testo. In particolare, devono essere garantiti il diritto a cure sanitarie adeguate, nessun controllo sulla corrispondenza (non è garantito), il diritto di voto (non è garantito), il diritto all'istruzione (non è sempre garantito), il diritto all'istruzione (raramente garantito), l'esenzione da misure disciplinari punitive e da qualunque trattamento che comprometta la possibilità di preparare la propria difesa è molto limitato.
  Il diritto a essere controllati da personale carcerario selezionato e formato, affinché tenga pienamente conto dello status particolare e dei bisogni di questa categoria di carcerati, direi che non c’è. Il confronto con le condizioni cui sono sottoposti i soggetti ristretti per misure cautelari in Italia, insomma, è impietoso e pone molte domande. Per questo, è opportuno procedere largamente e rapidamente all'approvazione di questo provvedimento: è una seconda chance, ma direi che è una seconda chance per il Parlamento, non per i detenuti.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Molteni. Ne ha facoltà.

  NICOLA MOLTENI. Signor Presidente, intervengo utilizzando il tempo che il gruppo della Lega Nord ha a disposizione su questo provvedimento facendo anche alcune considerazioni più complessive, non solo legate al provvedimento stesso inerente alla carcerazione preventiva. Credo che questo provvedimento sia l'ennesimo provvedimento, l'ennesimo disegno di legge, che parte da un presupposto che è il problema del sovraffollamento delle carceri.
  Un'emergenza chiara, un'emergenza evidente, che, in questi anni, soprattutto in questi ultimi due o tre anni, è stata affrontata attraverso tutta una serie di provvedimenti d'urgenza che non hanno assolutamente risolto il problema del sovraffollamento delle carceri. In modo particolare, in questi sette mesi di Governo Letta, il tema delle carceri è stato, non solo per quanto riguarda il tema della giustizia in generale, ma anche per quanto riguarda l'azione di governo complessiva dell'Esecutivo, il tema principale, senza vedere e senza tenere in considerazione il fatto che, probabilmente, anzi, sicuramente, le priorità del Paese sono altre.
  Ed è appunto questo l'ennesimo provvedimento, l'ennesimo provvedimento asistematico, che viene portato all'attenzione del Parlamento per cercare di risolvere il tema del sovraffollamento. Ricordo in questi anni tutti i tentativi fatti, cominciando, ad esempio, dal 2010, con la legge dell'ex Ministro della giustizia Angelino Alfano e il successivo decreto-legge n. 211 del 2011: fu uno dei primi provvedimenti che venne utilizzato e adottato per poter affrontare e risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri, problema che non è stato assolutamente risolto; anzi, oggi siamo in pendenza di una sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che obbliga, entro il 28 maggio 2014, il nostro Paese, a pena di infrazione, ad abbassare il numero delle presenze in carcere da 68 mila unità – 64 mila e 500 sono gli ultimi dati in materia di sovraffollamento delle carceri – almeno di 20 mila unità.Pag. 17
  I provvedimenti e le soluzioni che sono state adottate si sono tutte incanalate all'interno di soluzioni che non hanno affrontato in maniera sistematica ed organica il problema del sovraffollamento delle carceri, che è stato affrontato con provvedimenti occasionali, con provvedimenti «tampone», che oggi fanno sì che il problema del sovraffollamento delle carceri persista.
  Tant’è che noi siamo assolutamente convinti che, prima o poi, questo Governo e questa maggioranza, anche sull’input, che più volte viene manifestato, non ultimo la settimana scorsa, da parte del Capo dello Stato, saranno costretti e saranno obbligati a dover adottare quei provvedimenti clemenziali complessivi, ovvero l'indulto o un'amnistia, per poter affrontare il tema del sovraffollamento delle carceri, consapevoli del fatto che tale problema non lo si affronta con provvedimenti di natura emergenziale e con provvedimenti d'urgenza, ma lo si affronta in modo strutturale ed organico, come noi abbiamo sempre proposto e come più avanti ancora, nuovamente, dirò.
  Quindi, voglio ricordare e credo che sia giusto fare un «cappello» introduttivo rispetto a questo ennesimo provvedimento, rispetto al quale anche noi siamo assolutamente convinti che il tema della carcerazione preventiva sia un tema che vada affrontato, e che vada affrontato con grande serietà.
  Siamo assolutamente convinti che oggi assistiamo ad un abuso nell'utilizzo della carcerazione preventiva, che probabilmente dovrebbe portare, e in parte porta, con questo provvedimento, a trovare delle soluzioni e a trovare degli accorgimenti tali per cui l'istituto della carcerazione preventiva non venga, come oggi avviene, assolutamente snaturato rispetto alla funzione dell'istituto stesso. Sappiamo benissimo che la carcerazione preventiva è un istituto che ha evidentemente una funzione cautelare, una funzione di prevenzione dei reati, una funzione di tutela dalla pericolosità sociale, che oggi è diventato purtroppo una sorta di anticipazione dell'espiazione della pena e che meriterebbe, quindi pertanto, alcuni accorgimenti che in parte vengono presi, ma riteniamo che il presupposto rispetto al quale si introduce questo nuovo provvedimento non risolverà nuovamente il problema del sovraffollamento delle carceri.
  Ricordavo prima la legge dell'ex Ministro Alfano del 2010, la possibilità di poter scontare gli ultimi dodici mesi di carcere ai domiciliari, provvedimento poi successivamente modificato attraverso un altro provvedimento da parte dell'ex Ministro Severino, che portò da dodici a diciotto mesi la possibilità di poter scontare gli ultimi diciotto mesi non più in carcere, ma ai domiciliari. Si tratta di provvedimenti che noi abbiamo definito come provvedimenti «svuotacarceri», che non hanno risolto il problema del sovraffollamento delle carceri, ma che hanno creato maggiore insicurezza, che hanno svilito un principio fondamentale che è il principio della certezza della pena, che hanno garantito impunità a chi ha commesso reati, che hanno svilito il lavoro delle forze dell'ordine e che soprattutto non hanno risolto il problema del sovraffollamento delle carceri.
  Noi oggi introduciamo questo ennesimo provvedimento, consapevoli del fatto che al Senato pende un altro provvedimento che era iniziato con l'ex Ministro della giustizia del Governo Monti, il Ministro Severino, proseguito poi con il Ministro Cancellieri. Mi riferisco al disegno di legge sulle pene alternative al carcere e sulla messa alla prova, approvato dalla Camera e che oggi pende al Senato. Nel frattempo, abbiamo approvato un nuovo decreto-legge, sempre da parte del Ministro Cancellieri, in materia di pene alternative al carcere e in materia di domiciliari, provvedimento, anch'esso, che non ha partorito quei risultati inerenti al tema del sovraffollamento delle carceri. Abbiamo avuto nel frattempo il messaggio del Capo dello Stato, il 7 ottobre, che ha portato negli ultimi due mesi la Commissione giustizia ad occuparsi nuovamente e ancora esclusivamente di carceri attraverso tutta una serie di audizioni. È stata elaborata una Pag. 18relazione da parte della maggioranza, vi è una relazione da parte delle opposizioni. Quindi, vi è tutta una serie di provvedimenti.
  Questo è l'ennesimo provvedimento sulla carcerazione preventiva che viene introdotto. Pendono in Commissione giustizia alla Camera delle nuove proposte di legge per poter andare ad incidere – e ce lo ha ricordato prima il collega Farina – in materia di sostanze stupefacenti, prevedendo sostanzialmente lo smantellamento della legge Fini-Giovanardi. Quindi, abbiamo tantissimi provvedimenti, tantissime norme. Nel frattempo, il Ministro Cancellieri ha annunciato che è in corso di elaborazione da parte del Governo un «pacchetto carceri» a cui dovrebbe essere accompagnata anche tutta una serie di riforme in materia di giustizia civile e giustizia penale. Tra l'altro, saremmo anche interessati a capire quando, se e come questo pacchetto carceri verrà portato all'attenzione del Consiglio dei ministri da parte del Ministro. Questo per dire che al tema delle carceri questa maggioranza, questo Governo e la Commissione giustizia stessa in questi mesi hanno dedicato tanto tempo e tanta attenzione. Sono provvedimenti che rappresentano una visione da parte di questo Governo assolutamente sfilacciata rispetto alle finalità e rispetto allo scopo che si vuole introdurre per poter risolvere questo problema, che è un problema assolutamente reale, che è un problema concreto, ma che non può ovviamente esaurire l'azione del Governo in materia di giustizia.
  Contestiamo – lo abbiamo fatto, lo faremo e continueremo a farlo – questa unica ed esclusiva attenzione da parte del Governo, da un lato, del Ministro, dall'altro lato, e anche della Commissione giustizia, con tutto il rispetto per il lavoro che è stato fatto. Io porto ad elogio il Presidente della Commissione giustizia per il lavoro fatto, ma ovviamente non ne condivido le finalità e credo che la Commissione giustizia, ma in modo particolare il Governo, dovrebbero e devono affrontare ben altri problemi che il sistema giustizia ha e che in questi mesi sono rimasti tutti completamente inevasi.
  Quindi sottolineo proprio il fatto che tutti i provvedimenti che sino ad oggi sono stati affrontati in materia di carceri non hanno assolutamente risolto il problema del sovraffollamento delle carceri. Noi abbiamo relazioni dettagliatissime che illustrano il quadro del problema del sovraffollamento delle carceri e crediamo che tutti questi provvedimenti, provvedimenti di natura occasionale, provvedimenti tampone, provvedimenti che vanno in un'unica direzione, che è quella di approvare dei veri e propri «svuotacarceri», non vadano assolutamente nella direzione di risolvere il problema.
  Ci si preoccupa sempre solo ed esclusivamente della situazione dei detenuti. Io credo che i detenuti abbiano assolutamente il diritto di poter scontare con dignità la pena in carcere, però voglio ricordare che mai si è levata una parola, in modo particolare da parte del Governo e da parte del Ministro Cancellieri, nei confronti delle vittime dei reati, una parola nei confronti di chi i reati li subisce, una parola nei confronti delle parti offese, che spesso e volentieri vengono dimenticate e vengono abbandonate. Quindi crediamo che il problema del sovraffollamento delle carceri non lo si risolva con questi provvedimenti – ripeto – occasionali, che danno anche la dimostrazione di una mancanza di visione complessiva e organica da parte del Governo, della maggioranza e di chi sostiene questo Governo nell'affrontare il problema del sovraffollamento delle carceri.
  Certamente la soluzione al problema del sovraffollamento delle carceri non può nemmeno essere ricercata in provvedimenti clemenziali – mi riferisco a questi in modo particolare, visto che ciclicamente vengono riportati all'attenzione e del Parlamento e dell'opinione pubblica –; il problema del sovraffollamento delle carceri non è e non può essere risolto attraverso gli indulti e attraverso le amnistie.
  Ancora la settimana scorsa il Ministro Cancellieri invocava e dimostrava una propria Pag. 19disponibilità – ovviamente la competenza è del Parlamento – ad intraprendere e a intravedere nell'indulto e nell'amnistia l'unica soluzione per poter affrontare il problema del sovraffollamento delle carceri. Noi abbiamo da sempre ribadito la nostra assoluta e netta contrarietà. Voglio ricordare – e ben lo sanno i colleghi – che l'ultimo indulto approvato da questo Parlamento, l'indulto Prodi del 2006, non ha assolutamente risolto il problema del sovraffollamento delle carceri. Con l'indulto del Governo Prodi del 2006, rispetto al quale la Lega fu l'unica forza politica che si oppose, vennero rimessi in libertà civica 26 mila detenuti e nei cinque anni successivi un terzo di questi detenuti tornarono a delinquere e tornarono, quindi, ad occupare le nostre carceri, con un evidente problema in ordine ad un altro tema, un altro valore costituzionale a nostro avviso particolarmente importante, che è il principio della sicurezza dei cittadini. È un principio che riportiamo oggi all'attenzione del Parlamento soprattutto alla luce dei numeri che dicono che, soprattutto con riferimento a determinati reati, e in modo particolare nei confronti dei reati predatori, furti, furti in abitazione e rapine, il numero dei delitti è in netto aumento. Quindi, la risposta che la politica, in questo caso il Governo da un lato e il Parlamento dall'altro, dovrebbero dare con riferimento a questi reati non è e non può essere l'approvazione di indulti e amnistie o di indulti mascherati.
  Prima il collega Daniele Farina, che ascolto sempre con grande attenzione, diceva che siamo stati costretti a sentire che, rispetto ai provvedimenti che abbiamo approvato, sono stati approvati degli «indulti mascherati». Io non credo che siamo stati costretti ad ascoltare, soprattutto da parte della Lega, anzi esclusivamente da parte della Lega, la contestazione che questi provvedimenti dovevano essere «bollati» come degli indulti mascherati. Io credo che siano stati i cittadini italiani, sopratutto le persona oneste, soprattutto le persone perbene, sopratutto le vittime di questi reati, che sono stati costretti a subire questi provvedimenti, che rispetto alla finalità non hanno nemmeno raggiunto lo scopo che si erano prefissi.
  Quindi, la Lega dice «no» a qualunque tipo di politica buonista. La Lega dice «no» – e lo dice nelle aule parlamentari e lo dirà, lo ha detto e lo continuerà a dire anche nelle piazze – a qualunque tipo di atto clemenziale, siano essi indulti o amnistie.
  Voglio ricordare che dal 1942 ad oggi sono stati approvati qualcosa come 30-32 atti di amnistia ed indulto, tra l'altro atti mai accompagnati da vere e proprie riforme della giustizia penale e che non hanno assolutamente prodotto i risultati che ci si aspettava.
  Per cui – ed è l'invito che rivolgo al sottosegretario Ferri – io credo che i problemi della giustizia italiana siano altri, credo che i problemi della giustizia italiana e, conseguentemente, i problemi dei cittadini italiani, che si imbattono quotidianamente nel funzionamento del sistema giustizia, siano altri. Invitiamo il Governo ad approfondire altri temi.
  Come ricordava prima il collega del MoVimento 5 Stelle, noi siamo in un Paese dove abbiamo 9 milioni di processi pendenti (5,5 milioni procedimenti civili e 3,5 penali). Siamo un Paese dove per arrivare ad una sentenza definitiva in terzo grado in ambito civile servono 3 mila giorni e il Doing Business dice che l'Italia è al 168o posto al mondo, dopo Paesi del Terzo mondo, per quanto riguarda il funzionamento e l'efficienza del sistema giustizia. Abbiamo una riforma della geografia giudiziaria che sta creando disfunzioni in ogni angolo del Paese, disfunzioni che ricadono poi inevitabilmente sul funzionamento del sistema giustizia e quindi poi creano disagi a cittadini ed imprese nel momento in cui devono chiedere ed ottenere giustizia.
  Queste sono le riforme rispetto alle quali un Governo dovrebbe impegnarsi, riforme ordinarie e riforme costituzionali che, caduto l'alibi di Berlusconi, devono necessariamente tornare all'attenzione del Parlamento. Credo che questo Parlamento, in modo particolare il Governo non sarà nelle condizioni di affrontare queste riforme, Pag. 20alla luce del dibattito che abbiamo avuto nell'ultimo mese sul Ministro Cancellieri. Credo che per fare le riforme strutturali, serie ed organiche, che il sistema giustizia merita, serva un Ministro forte, serva un Ministro autorevole, serva un Ministro nella pienezza e nella legittimità delle sue funzioni, cosa che oggi il Ministro Cancellieri non è.
  Per cui, con riferimento esclusivo a questo provvedimento, come abbiamo già fatto in Commissione, come faccio adesso nell'illustrazione generale del provvedimento e come faremo poi nella discussione sugli emendamenti – e mi auguro venga fatto precedentemente all'interno del Comitato dei nove – richiamo relatori e maggioranza ad una grande attenzione. In relazione al tema della carcerazione preventiva, come giustamente ricordava il collega Daniele Farina, noi abbiamo 12 mila persone in carcerazione preventiva in attesa di un giudizio anche di primo grado e poi abbiamo altre 12 mila persone che scontano una carcerazione preventiva a seguito di una condanna di primo o secondo grado. È un tema sicuramente delicato, un tema che merita attenzione. Se da un lato vi è sicuramente un problema di abuso nell'utilizzo della carcerazione preventiva, io però invito a fare attenzione, perché questo provvedimento sta andando nella direzione diametralmente opposta, cioè nella direzione di «smantellare» la custodia cautelare in carcere.
  Se è vero, come è vero – e anche il codice attuale lo ribadisce – che la custodia cautelare in carcere è l’extrema ratio, attenzione a non andare – come state facendo tanto con riferimento all'articolo 274 del codice di procedura penale, quanto con riferimento all'articolo 275 in materia di custodia cautelare – a «smantellare» completamente l'istituto della custodia cautelare in carcere.
  Per noi, per la Lega Nord, vi è un'asticella al di sotto della quale a nostro avviso non è possibile scendere.
  Infatti, se è vero che grazie agli emendamenti che sono stati presentati e grazie all'accoglimento della riformulazione di alcuni emendamenti, in modo particolare con riferimento all'articolo 6 della proposta di legge, si è andati a specificare meglio, introducendo alcuni reati, in merito alla presunzione assoluta di idoneità di applicazione della custodia cautelare in carcere, vi sono ancora, con riferimento alla presunzione relativa di idoneità alla custodia cautelare in carcere, alcuni reati di gravissimo allarme sociale, al di là delle sentenze della Corte costituzionale in materia di modifiche all'articolo 275, comma 3.
  Si tratta di sentenze che non condivido. Vi faccio presente che è vero che nella presunzione assoluta viene indicato il reato previsto dall'articolo 416-bis, quindi l'associazione mafiosa, ma vi sono tutta una serie di reati – e i nostri emendamenti andranno a toccare in modo particolare l'articolo 6 della proposta di legge – rispetto ai quali, a nostro avviso, anziché esservi una presunzione relativa di idoneità alla custodia cautelare, debba esserci una presunzione assoluta.
  E vi dico anche quali reati e mi auguro che i relatori e il Comitato dei nove possano accogliere queste nostre proposte. Vi sono alcuni reati di gravissimo allarme sociale e io sfido poi chiunque ad andare a sostenere, rispetto al dibattito con l'opinione pubblica, la necessità di prevedere il carcere solo in via residuale, sebbene carcere preventivo. I reati, ad esempio, di omicidio volontario, previsti dall'articolo 575. Ripeto, questi sono reati rispetto ai quali vi è una presunzione relativa di idoneità alla custodia cautelare e che noi chiediamo vengano messi al primo comma e, quindi, vengano reinseriti all'interno di una presunzione assoluta. Faccio riferimento a reati quali omicidio, violenza sessuale, prostituzione minorile, pornografia minorile, le iniziative turistiche per lo sfruttamento della prostituzione, gli atti sessuali con minorenni, la violenza sessuale di gruppo, il furto in abitazione, il furto con strappo, la rapina.
  Abbiamo tutta una serie di emendamenti sui quali, ovviamente, siamo disponibili ad un confronto e mi auguro che anche i relatori da un lato e il Comitato dei nove dall'altro possano «con noi» Pag. 21essere disponibili ad una revisione. Infatti, come ripeto, a nostro avviso, vi è un'asticella rispetto alla quale non è possibile non prevedere anche in questo caso una vera e propria carcerazione preventiva. Tra l'altro, voglio ricordare che nella presunzione assoluta dell'articolo 275, comma 3, se è vero come è vero che le sentenze della Corte costituzionale parlano della sussistenza di una presunzione assoluta solo e unicamente con riferimento all'articolo 416-bis, non relativamente alla gravità del reato, ma relativamente al vincolo associativo, la scelta che è stata fatta, che io condivido, cioè di introdurre altre due fattispecie di reato, gli articoli 270 e 270-bis, potrebbe tranquillamente portare il Comitato dei nove a bypassare la sentenza della Corte costituzionale e a introdurre, tra le fattispecie di reato rispetto alle quali può essere prevista una presunzione assoluta di idoneità alla custodia cautelare in carcere, anche altri reati di particolare gravità sociale.
  Se ciò non dovesse avvenire, è evidente che da parte nostra ci sarà una «bollinatura» di questo provvedimento come l'ennesimo mini indulto mascherato rispetto al quale le vittime dei reati, le persone offese, i soggetti che subiscono reati di così grave allarme sociale, non potranno che ulteriormente dolersi.
  Stessa considerazione che facciamo anche con riferimento ad altri aspetti della proposta di legge che andiamo a discutere, ad esempio con riferimento all'articolo 274 e, quindi, con riferimento ai criteri che vengono utilizzati per poter applicare le misure cautelari. Vi invito ad avere maggiore attenzione rispetto alla definizione di pericolosità. Non ancorare più la pericolosità alla gravità del reato e al fatto stesso del reato, rischia di decomprimere fortemente una valutazione che può essere fatta in merito all'applicazione delle esigenze cautelari stesse.
  Altri sono aspetti di natura meramente tecnica rispetto ai quali i nostri emendamenti vengono proposti proprio al fine di evitare che vi sia un vero e proprio smantellamento nell'applicazione delle misure cautelari in carcere, ma anche dei domiciliari, visto che alcuni aspetti di questa proposta di legge vanno anche a incidere sull'applicazione delle misure cautelari ai domiciliari.
  Una valutazione, quindi, fino ad oggi complessivamente negativa di questo provvedimento. Questo provvedimento non risolverà per l'ennesima volta il problema del sovraffollamento delle carceri. Come ripeto, è l'ennesimo provvedimento slegato rispetto ad una visione complessiva che questo Governo e questa maggioranza continuano a non avere sul problema del sovraffollamento delle carceri.
  Sappiamo benissimo che il piano carceri approvato nel 2010 dall'ex Ministro Alfano prevedeva uno stanziamento di 650 milioni di euro, poi portato a 450 milioni di euro: quindi, sono stati tagliati sostanzialmente 200 milioni di euro.
  Chiedo, chiediamo, insistiamo affinché questi 200 milioni di euro possano essere recuperati perché il problema del sovraffollamento delle carceri viene risolto, a nostro avviso, in modo sistematico ed organico attraverso l'implementazione degli istituti di pena e attraverso la ristrutturazione e il recupero di quei famosi 38 «carceri fantasma» ancora presenti nel nostro Paese: carceri in disuso, abbandonati, con soldi spesi, anzi oserei dire con soldi sprecati, che potrebbero tranquillamente essere recuperati per insistere rispetto al fatto che è con una seria politica di edilizia carceraria che il problema può essere affrontato in modo organico, senza ridurre e senza abbassare quei livelli di sicurezza che i cittadini oggi ci chiedono che siano mantenuti elevati.
  Ancora, più che dichiarazioni da parte del Ministro non vediamo, ad esempio, con riferimento ad un'altra soluzione alla quale so che il sottosegretario Ferri è particolarmente attento e condivide la posizione della Lega tant’è che, proprio la scorsa estate, rilasciò una dichiarazione, un'intervista al quotidiano della Lega dove spiegò, in maniera estremamente chiara e puntuale, che il problema del sovraffollamento delle carceri lo si affronta anche e in modo particolare facendo scontare la Pag. 22pena ai 24 mila detenuti stranieri presenti nelle nostre carceri nei Paesi di origine.
  Vi è una Convenzione stipulata dal nostro Paese, la Convenzione di Strasburgo del 1983, da lì si può e si deve ripartire per i 23 mila-24 mila detenuti stranieri che costano – lo ribadiamo visto che l'occasione ci porta anche ad affrontare in modo complessivo il problema delle carceri – 130 euro al giorno alle casse del nostro Paese. È lì: invitiamo il sottosegretario, visto che ogni tanto il Ministro della giustizia si ricorda anche che c’è questo aspetto, ricorda anche che abbiamo 24 mila detenuti stranieri, però vediamo che alle parole non seguono i fatti. Ovviamente il Ministro non c’è, quindi mi rivolgo al sottosegretario.
  Crediamo anche che il Ministro si debba astenere, per rispetto nei confronti delle vittime dei reati, da alcune affermazioni o dalla sottoscrizione di alcuni protocolli, come sta facendo in questi giorni, non ultimo il protocollo sottoscritto con il CONI relativo alla possibilità di poter costruire, all'interno delle carceri, degli impianti sportivi.
  Vorremmo che i soldi stanziati per poter costruire degli impianti sportivi all'interno delle carceri venissero utilizzati o per la costruzione delle carceri stesse o per l'ampliamento dei padiglioni all'interno delle carceri o, magari per costruire, palestre all'interno delle scuole.
  Abbiamo ribadito e abbiamo ricordato al Ministro che le carceri non sono delle Spa, non sono dei centri benessere. Il detenuto merita di poter condurre, di poter espiare la propria pena all'interno del carcere nel rispetto della propria dignità umana. È detenuto, ha sbagliato, paga ma la dignità umana è assolutamente un bene e un valore preziosissimo, quindi il detenuto deve scontare evidentemente la propria pena nel rispetto della propria vita umana, però trasformare le carceri, che sono comunque fino a prova contraria un luogo di espiazione della pena, in un centro benessere come vorrebbe il Ministro attraverso le dichiarazioni che ultimamente ha fatto, crediamo che sia la dimostrazione di un Ministro che, sotto questo aspetto specifico e particolare, non vive in maniera compiuta la realtà umana. Diciamo «no», un «no» secco, un «no» risoluto, un «no» determinato a qualunque ipotesi di indulto e a qualunque ipotesi di amnistia.
  Credo che questo Governo nel momento in cui avrà la certificazione, cosa che sta avendo tutt'oggi, del fallimento di tutti i provvedimenti che sino ad oggi sono stati approvati, sarà costretto e sarà obbligato anche a intraprendere quel percorso di clemenza generalizzata nei confronti...
  In quel caso, l'opposizione della Lega sarà dura, durissima all'interno delle Aule parlamentari e sarà durissima anche nelle piazze del Paese, perché crediamo non sia questo lo strumento per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri e sarebbe l'ennesimo nuovo colpo mortale al valore e al principio della sicurezza dell'ordine pubblico dei nostri cittadini; cittadini che oggi ci chiedono più sicurezza e meno indulti. Quindi, questa è l'occasione per noi per poterlo ribadire.
  Concludo, dicendo che, sino ad oggi, le politiche di questo Governo e del precedente in materia di carceri sono state totalmente fallimentari. L'insistenza di adottare nuovi provvedimenti in tale materia non è nulla di più che la certificazione che il problema del sovraffollamento delle carceri non lo si risolve con questi provvedimenti «tampone» ed occasionali, ma con altri tipi di strumenti molto più strutturali e molto più organici. La nostra considerazione – e concludo veramente – sul provvedimento della carcerazione preventiva oggi in discussione è ad oggi di contrarietà rispetto alle modifiche di smantellamento della custodia cautelare in carcere. Siamo disponibili eventualmente ad un confronto, laddove i nostri emendamenti, in modo in particolare quelli riferiti all'articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale dovessero trovare da parte dei relatori, della maggioranza e del Comitato dei nove una corrispondenza, rispetto alla volontà di limitare l'abuso Pag. 23della carcerazione preventiva, ma non quello di smantellare in toto le misure di carcerazione preventiva in carcere.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Morani. Ne ha facoltà.

  ALESSIA MORANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, quella che discutiamo oggi è una riforma di grande civiltà di cui in Italia discutiamo da anni, senza che però nessuna forza politica se ne sia mai fatta carico davvero. Abbiamo vissuto fino ad oggi in un paese in cui si compiono analisi impietose delle questioni che non vanno senza mai però avere il coraggio e la volontà di cambiarle. Oggi invece i nostri cittadini sono stanchi di una politica che fa proclami e non agisce ed il Partito democratico si prende la responsabilità di questa riforma. Il Partito democratico, che è maggioranza in questa Camera, ci mette la faccia perché sono convinta che non ci si può definire riformisti senza farle per davvero le riforme. Dicevo, questa riforma l'aspettiamo da tempo e, a causa di ritardi e di maggioranze politiche incapaci di dare risposte, nel frattempo la Corte europea ha condannato lo Stato italiano per gravi violazioni di diritti umani nel trattamento dei detenuti; del resto, come altro si può chiamare una condizione per la quale moltissimi dei 77 mila esseri umani sono costretti a vivere in meno di tre metri quadrati ciascuno ? Lo dico all'onorevole Molteni: 3 metri quadrati ciascuno non assomiglia per niente ad una spa o ad un centro benessere. Assomiglia più ad un luogo di tortura che ad un luogo dove si sta bene. Ma quando il 40 per cento di questi e cioè circa 26 mila detenuti sono in carcere senza avere ancora ricevuto una condanna definitiva, allora lo Stato non solo si rende colpevole di infliggere condizioni di vita degradanti ma si rende responsabile della violazione di diritti costituzionali e di libertà dell'individuo. Diritti questi su cui si fonda ogni democrazia, degna di questo nome. Per troppi anni ho ascoltato forze politiche riempirsi la bocca con la parola «libertà»; oggi qualcuno ne fa addirittura una missione. Ma la libertà non la si deve affermare: la si deve praticare.
  Onorevoli colleghi, ci troviamo di fronte perciò ad un vulnus, ad una solco profondo che si instaura fra le libertà civili e i poteri dello Stato. Se il 40 per cento dei detenuti presenti nelle nostre carceri è in attesa di giudizio, allora significa che il Parlamento ha il dovere di esprimersi per garantire il rispetto del principio stesso su cui si basa la democrazia e cioè quello della libertà del cittadino.
  Del resto, è significativo che il nostro Presidente della Repubblica abbia voluto esprimere a questo Parlamento tutta la sua preoccupazione per una situazione di enorme gravità e violazione dei principi costituzionali. Desidero, quindi, ringraziare il Capo dello Stato per averci ricordato con il suo alto monito la necessità di porre fine, senza indugio alcuno, a una perdurante incapacità dell'Italia nel garantire i diritti dei detenuti in attesa di giudizio: incapacità, questa, che non solo frustra il principio costituzionale del carattere rieducativo della pena, ma ci pone anche in una condizione umiliante sul piano internazionale.
  Quello in discussione oggi è un provvedimento che rappresenta una riforma strutturale e non occasionale, che non solo inciderà sul sovraffollamento carcerario, ma che ripristinerà anche una cultura delle cautele penali fondata sul pieno rispetto del principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza. L'obiettivo di questa proposta di legge è chiaro: restituire natura di estrema ratio alla carcerazione preventiva, rendendo però più stringenti i presupposti e le motivazioni, e ampliando, al contrario, le misure alternative alla custodia in carcere.
  Oggi, date le tre condizioni per l'imposizione delle esigenze cautelari, e cioè il pericolo di inquinamento della prova, il pericolo di fuga e il pericolo di reiterazione del reato, l'effettiva valutazione della necessità delle stesse dipende in larga misura dalla discrezionalità del giudice. I dati, purtroppo, ci dicono che di questa discrezionalità si è a lungo usato ed in molti casi abusato. Il nostro lavoro in Pag. 24Commissione è andato proprio in questa direzione: limitare la discrezionalità, definendo e sfoltendo gli elementi atti a giustificare le esigenze cautelari.
  Il grande elemento innovativo di questa legislazione è quello di affermare il carattere residuale del ricorso al carcere, specificando che tale misura può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive risultino inadeguate. Tali misure, a differenza di quanto è oggi, potranno però applicarsi cumulativamente, mentre non sarà in alcun modo possibile decretare la custodia in carcere o gli arresti domiciliari qualora il giudice ritenga che l'eventuale sentenza di condanna non verrà eseguita in carcere o sarà concessa la sospensione condizionale della pena, perché è una follia trattenere in carcere una persona in attesa di giudizio quando si sa da principio che quel giudizio finirà con una pena non detentiva.
  Ovviamente, il testo in esame manterrà la presunzione assoluta di idoneità della sola misura carceraria della custodia nei casi di reati di particolare gravità, come l'associazione mafiosa, i delitti di associazione sovversiva e l'associazione finalizzata al terrorismo. Per quanto riguarda, invece, altri gravi reati come l'omicidio, l'induzione alla prostituzione minorile, la violenza sessuale, il rapimento, l'estorsione, varrà una clausola di salvaguardia secondo la quale la custodia in carcere è considerata la via principale, a meno che siano acquisiti elementi dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. Su questo punto voglio essere chiara: qui non si sta mettendo a rischio nessuno, tanto meno le vittime dei reati. Al giudice rimarranno tutti gli strumenti normativi necessari per impedire all'imputato, qualora ve ne fosse il rischio oggettivo, di reiterare il delitto.
  Questo provvedimento nasce dalla necessità di ristabilire un giusto equilibrio tra garanzia della giustizia e l'imperativo della difesa dei diritti inalienabili dell'individuo. In questa ottica è stato, quindi, necessario modificare il codice di procedura penale, prevedendo l'esclusione, dagli elementi che potranno giustificare la carcerazione preventiva, di ogni riferimento a specifici comportamenti dell'individuo nel corso delle indagini preliminari. Questi comportamenti, come il rifiuto di rendere dichiarazioni, i precedenti penali o la personalità dell'indagato, potranno essere considerati solo ed esclusivamente dopo il rinvio a giudizio.
  In secondo luogo, per quello che riguarda il pericolo di fuga e il pericolo di reiterazione del reato, non basterà più il solo elemento della concretezza del pericolo, ma sarà necessario anche quello della sua attualità che non potrà, in alcun caso e in nessun modo, essere desumibile esclusivamente dalla gravità del reato e dalle modalità e circostanze del fatto addebitato. Così come abbiamo escluso che il pericolo di reiterazione del reato possa desumersi dai precedenti comportamenti o dalla personalità dell'imputato.
  Altra misura di garanzia sarà la disciplina che modifica e intensifica l'obbligo di motivazione delle esigenze cautelari. Il giudice che dispone la cautela non potrà più, infatti, limitarsi a richiamare per relationem gli atti del pubblico ministero, ma dovrà dare conto, con autonoma motivazione, delle ragioni per cui anche gli argomenti della difesa sono stati disattesi, pena l'annullamento della misura da parte del tribunale del riesame.
  Infatti, come è emerso nel corso dell'esame e dell'attività conoscitiva svolta dalla Commissione giustizia, troppo spesso le valutazioni del giudice sono appiattite su quelle del pubblico ministero richiedente, quando non addirittura identiche a queste. Se, da un lato, però delimitiamo e rendiamo più stringenti i presupposti e le motivazioni della custodia cautelare, dall'altro rafforziamo e rendiamo più efficaci le misure interdittive diverse dal carcere preventivo. Aumentano dagli attuali 2 mesi a 12 mesi i termini di durata di queste misure come, ad esempio, la sospensione dell'esercizio della potestà genitoriale, la sospensione dell'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, il divieto di esercitare attività professionali o imprenditoriali, Pag. 25proprio per consentire un effettivo utilizzo, quale alternativa alla custodia cautelare in carcere.
  Onorevoli colleghi, oggi stiamo valutando una riforma di grande civiltà e di grande umanità, una riforma che va nella giusta direzione – lo voglio ripetere –, una riforma strutturale per una riforma strutturale del sistema giustizia vera, perché le riforme strutturali non si fanno con i «no» e non si fanno con i «no» a tutto. Non bisogna dire che sono indulti o amnistie mascherate e non bisogna dire «no» a provvedimenti di clemenza quando si dice «no» a tutte le riforme strutturali che vogliamo fare. Credo di condividere con la maggioranza di tutti voi la volontà di cambiare radicalmente il modo di concepire la giustizia e il sistema carcerario nel nostro Paese, una giustizia che non funziona, una giustizia che non funziona.
  Abbiamo iniziato bene con la riforma delle misure detentive non carcerarie e la sospensione del processo con messa alla prova ed il Senato dovrebbe approvare questo provvedimento, dovrebbe sbrigarsi ad approvare questo provvedimento, perché se approvassimo questo provvedimento molti dei problemi che abbiamo oggi, soprattutto sul sovraffollamento carcerario, sarebbero parzialmente risolti.
  Ora proseguiamo con questa riforma della custodia cautelare. Il percorso, però, non può e non deve finire qui. Ne va del grado di civiltà e di democrazia del nostro Paese e – lo voglio dire – lo facciamo a trent'anni dal «caso Tortora». Un uomo innocente detenuto ingiustamente in carcere e agli arresti domiciliari; ci abbiamo messo trent'anni dopo il «caso Tortora».
  Per questo vorrei terminare quest'intervento con alcune delle parole con cui lo stesso Tortora tornò in televisione dopo la sua tristissima e vergognosa vicenda giudiziaria. Disse così a tutti coloro che all'epoca erano fermi davanti alla televisione ad ascoltarlo: «Io sono qui, anche per parlare per conto di quelli che parlare non possono e sono molti e sono troppi. Sarò qui, resterò qui anche per loro». Ecco, questo è il senso di quello che stiamo facendo, perché uomini come Enzo Tortora non siano vissuti ed abbiano sofferto invano.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Mazziotti Di Celso. Ne ha facoltà.

  ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, il provvedimento oggi in discussione è sicuramente, come molti colleghi hanno già detto, un passo molto importante, perché riforma un istituto – quello della custodia cautelare – che è stato oggetto di discussioni, di polemiche e anche di casi molto gravi, come quello appena citato relativo ad Enzo Tortora, di cui si parla molto quest'anno.
  Sicuramente in questi anni c’è stato un grave abuso ed un frequente abuso della custodia cautelare in carcere; e una prima conseguenza è stato altrettanto certamente il problema del sovraffollamento carcerario, di cui abbiamo sentito parlare molto. Il Ministro della giustizia, lo stesso Presidente della Repubblica e anche alcuni colleghi oggi ci hanno ricordato che dei 64 mila detenuti di oggi ce ne sono molti in attesa di giudizio definitivo, circa 25 mila, e addirittura 12 mila in attesa del giudizio di primo grado. Penso quindi che sicuramente un intervento sulla custodia cautelare abbia una rilevanza sul tema del sovraffollamento carcerario; penso però anche che il riferimento a questo sia molto fuorviante, perché il problema in questo momento non è un problema se le carceri sono piene o se le persone che sono in carcere debbano essere oggi liberate da una condizione di custodia cautelare perché esiste il sovraffollamento carcerario.
  Il sovraffollamento carcerario si tratta di vedere se esiste per i motivi sbagliati, perché – oserei dire, anche se so che molti potranno non essere d'accordo – se oggi tutte le persone che sono in carcere sono giustamente in carcere per reati gravi e se sussistono i presupposti per la custodia cautelare, quelle persone in carcere dovrebbero restarci, e di indulto, amnistia, riforme, non ne dovremmo proprio sentir parlare. Il problema è che così non è: il Pag. 26sistema penale italiano, sia dal punto di vista delle fattispecie di reato, delle sanzioni e dei presupposti della custodia cautelare, non è coerente con la Costituzione, non è coerente con la Convenzione dei diritti dell'uomo, e siamo stati puniti più volte. Noi siamo stati puniti per le condizioni delle carceri, ma il problema maggiore che oggi esiste è quello che il rapporto tra gravità del reato e pena e tra presupposti della custodia cautelare e custodia cautelare stessa, non è coerente con la Costituzione, perché il principio di libertà personale è spesso frequentemente violato; tanto che è ormai abbastanza diffusa nei cittadini – anche, devo dire, per le strumentalizzazioni politiche che abbiamo vissuto in questi anni – l'idea che la custodia cautelare costituisca un'anticipazione della pena, o addirittura in taluni casi un mezzo per estorcere confessioni, ammissioni e via seguitando.
  Credo quindi che la prospettiva corretta in cui inquadrare la riforma di oggi è che si tratti di un intervento sostanziale, non di un intervento mirato a risolvere il problema delle carceri: quella può essere una conseguenza, ma non dev'essere mai il presupposto per un intervento nel settore della procedura e del diritto penale sostanziale.
  In questo caso noi siamo favorevoli al provvedimento, perché introduce una serie di principi che sono sicuramente condivisibili: dall'ampliare le motivazioni necessarie per provvedimenti restrittivi, all'eliminare delle presunzioni, al vietare la custodia cautelare quando siano possibili delle soluzioni alternative. Siamo sicuramente d'accordo con questa impostazione. Rispondendo a quello che diceva poco fa il collega della Lega, non si può ragionare soltanto di gravità del reato, perché altrimenti ci si dimentica che chi è oggetto della misura cautelare è un imputato, non è un condannato; e conseguentemente occorre valutare il rischio, occorre valutarlo approfonditamente, occorre che la decisione sia presa dopo questa valutazione, perché non esiste una condanna definitiva. In questo senso quindi il provvedimento è sicuramente utile e con un contenuto condivisibile.
  Due considerazioni. La prima: sarebbe meglio se questo tipo di interventi normativi arrivasse senza bisogno di una sfilza di sentenze della Corte costituzionale che dichiarano incostituzionali norme per come vengono applicate: perché poi spesso il chiarimento normativo che si va ad introdurre serve a scongiurare pratiche giurisprudenziali sbagliate. E anche quando magari non c’è un referendum che incombe, che adesso non ha raggiunto il quorum che sicuramente si pensava o si temeva raggiungesse, e conseguentemente si è andati ad altissima velocità a presentare disegni di legge su questo argomento anche per questo motivo.
  Dicevo, la cosa fondamentale, però, in questo senso è un intervento complessivo. È stato detto da tutti e, in particolare, dal Presidente della Repubblica che quando ha parlato di indulto e amnistia ne ha parlato parlando di un intervento complessivo di riforma del diritto sia sostanziale sia di procedura sia della custodia cautelare. Sono d'accordo su questo con il collega Molteni che ha sottolineato che dal punto di vista dei disegni di legge la situazione in Camera e Senato oramai ha raggiunto un livello di confusione elevatissimo sul numero e sulla qualità degli interventi. Credo, però, che siamo in un momento in cui esiste forse la condizione per arrivare a una riforma complessiva di questi argomenti di giustizia. Ne hanno parlato mille volte il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio, il Ministro della giustizia, il neo-segretario Renzi, il neo-segretario Alfano. Esiste una condivisione generale sul fatto che si debba intervenire su questo argomento, ma bisogna intervenire con una riforma complessiva, evitare di fare decreti-legge in materia penale, presentare disegni di legge possibilmente coerenti tra di loro e fare un lavoro complessivo.
  Questo credo debba essere un impegno che tutti dovrebbero assumere oggi, cioè evitare di trasformare la giustizia nel solito campo di battaglia, perché devo dire Pag. 27che in questi giorni si è ricominciato a parlare di riforma della giustizia ma si passa immediatamente a parlare di responsabilità dei giudici, separazione delle carriere, et cetera, che sono temi molto importanti, alcuni dei quali io condivido. Ma, se non si riesce a trovare un accordo sui temi di interesse generale, come la riforma del diritto penale sostanziale, la custodia cautelare, la giustizia civile, che è un dramma di cui tutti si disinteressano perché basta vedere l'assenza di disegni di legge alla Camera sull'argomento, se non si riesce a trovare un accordo generale su questi temi, dicevo, è impossibile pensare di trovare un accordo sulla responsabilità dei giudici o sulla separazione delle carriere come sento dire da alcune parti, da alcuni di quelli che parlano di riforma della giustizia.
  Credo che sarebbe serio di fronte agli italiani dimostrare che siamo in grado di fare degli interventi complessivi di riforma di ampio respiro sul diritto penale, sulla procedura penale e sulla procedura civile che, ripeto, è un problema drammatico per i cittadini e per le imprese, e poi metterci a occuparsi di temi conflittuali sui quali i partiti si sono accapigliati negli ultimi vent'anni senza mai arrivare a capo di nulla. Altrimenti staremmo facendo soltanto demagogia, continueremo a farla ed i risultati per i carcerati, per le vittime dei reati e per quelli che oggi soffrono delle conseguenze della lentezza e dell'inefficienza della nostra giustizia, la tutela di queste persone sarà sostanzialmente impossibile.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Costa. Ne ha facoltà.

  ENRICO COSTA. Signor Presidente, io reputo che già l'affrontare il tema della custodia cautelare sia un grande passo in avanti per questo Parlamento, perché è un tema che è emerso in molte circostanze come una delle criticità del nostro sistema penale. È stato evidenziato essere anche un elemento di scarsa credibilità del nostro sistema, soprattutto quando la custodia cautelare viene applicata e questa costituisce praticamente la pena definitiva, perché allorché ci sia una condanna definitiva non vi è più una detenzione da parte del soggetto. Abbiamo quindi un sistema contraddittorio, un sistema che porta ad avere un terzo dei detenuti in custodia cautelare, la metà – di più di un terzo – di questi in attesa del giudizio di primo grado e quindi sicuramente, alla luce di quelle che sono le statistiche, molti di questi soggetti incarcerati poi verranno assolti e verranno dichiarati innocenti. Dobbiamo cercare di evitare che tutto questo accada.
  Io prima ho sentito la collega Morani dire che questa è una riforma strutturale. Ebbene, io non sono assolutamente convinto che quella che invece stiamo affrontando oggi sia una riforma strutturale. Si sta cercando e si è cercato di approcciare questo tema con un «intervento chirurgico», con un intervento teso a scalfire quelle criticità che emergono e cercare di evitare che altre criticità possano emergere.
  Sicuramente era necessario, invece, un intervento strutturale, che probabilmente, in questa prima fase, non siamo arrivati a porre in essere.
  Perché dico questo e dico che, molto probabilmente, tutte le modifiche che abbiamo visto oggi – e spiegherò il perché – sono modifiche che risulteranno poi probabilmente inutili ? Lo dico perché, se le norme che disciplinano la custodia cautelare, oggi, nel codice di procedura penale, venissero applicate secondo lo spirito che ha animato il legislatore nel momento in cui le ha redatte e le ha approvate, noi oggi non avremmo bisogno di correzioni. Noi siamo qui perché tutte queste norme sono state interpretate in un modo assolutamente difforme rispetto allo spirito che aveva animato il legislatore, che le ha redatte e le ha approvate.
  È lo stesso discorso parallelo che si può fare – e lo abbiamo fatto in quest'Aula – in tema di intercettazioni telefoniche. Le norme sono precise e puntuali in maniera di intercettazioni telefoniche; l'interpretazione che è data dalla giurisprudenza è un'interpretazione che crea delle criticità e Pag. 28che porta il legislatore a correre dietro a tutti questi fenomeni interpretativi difformi rispetto allo spirito e, chiaramente, correre dietro significherebbe, per essere efficaci, fare una riforma strutturale, cioè ancorare a dei criteri oggettivi alcuni paletti fissi. Il criterio oggettivo non è aggirabile dalla giurisprudenza, il dato oggettivo è un dato che porta il giudice e il magistrato ad adeguarsi: o è bianco o è nero. Noi, invece, che cosa facciamo attraverso queste modifiche, sicuramente apprezzabili, sicuramente studiate e sicuramente portate avanti con i migliori auspici ed i migliori obiettivi ? Noi interveniamo sulla motivazione, ma noi sappiamo benissimo che i magistrati sono bravissimi ad arrivare, nell'articolare le motivazioni, dove vogliono arrivare.
  Io faccio solo un esempio su una norma che ritengo molto importante, che è stata approvata in Commissione e che è in questo testo ed è l'articolo 275, comma 2-bis: «Non può essere applicata la misura della custodia cautelare in carcere o quella degli arresti domiciliari se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena» – e questo c'era già – «o se ritiene che all'esito del giudizio l'esecuzione della pena possa essere sospesa ai sensi dell'articolo 656, comma 5». Quindi, se c'era un giudizio prognostico di applicazione della sospensione condizionale della pena, non si sarebbe dovuta applicare la custodia cautelare in carcere.
  Ebbene, io chiedo al Governo – forse avremo un po’ di tempo prima di arrivare all'approvazione di questo provvedimento – se è possibile avere un monitoraggio e uno studio statistico di quanti sono stati i casi, in un determinato periodo, in cui si è applicata la custodia cautelare, escludendo la prognosi di applicazione della sospensione condizionale della pena e poi, in seguito alla sentenza definitiva, che può essere una sentenza dibattimentale o una sentenza di patteggiamento, si è applicata la sospensione condizionale della pena. Oltretutto, questa norma non prevede una sanzione, ma è una norma che si fonda, risiede e fonda chiaramente le sue ragioni su quello che è il buonsenso da parte dell'interprete e da parte, quindi, del magistrato.
  Quando noi diciamo che il pericolo, oltre che concreto, deve essere attuale, ebbene, il concetto di attualità può essere interpretato soggettivamente e può essere aggirato.
  Quando noi diciamo che non può esserci il «copia e incolla», e quindi diciamo che ci deve essere un'autonoma valutazione da parte del magistrato, è chiaro che ci fidiamo che la giurisprudenza possa interpretare con buonsenso quello che noi scriviamo. Noi non vogliamo la motivazione per relationem, non vogliamo la motivazione che, magari facendosi trasmettere il CD da parte del pubblico ministero, ricopi platealmente le motivazioni che hanno originato la richiesta.
  Però, è chiaro che tutte queste regole sono assolutamente aggirabili. Non abbiamo fissato in questo provvedimento nulla che potesse essere oggettivamente orientato. Quindi, sono convinto che ci ritroveremo o si ritroveranno, nelle prossime legislature, anche se venisse approvata questa legge, a porsi il problema della custodia cautelare. Capiranno che non sono calati i numeri delle persone che sono state poste in custodia cautelare, che non si è modificata la percentuale tra definitivi e persone in custodia cautelare, che continuerà ad esserci la promiscuità, e che vi è quindi un grave problema.
  Un tema che potrebbe essere affrontato anche in sede emendativa – cedo questo ragionamento all'attenzione dei relatori e del Governo – è quello dell'interrogatorio di garanzia. Oggi abbiamo un interrogatorio di garanzia che normalmente è fatto dopo quattro o cinque giorni dall'arresto: è diventato una semplice routine. Ma possiamo pensare di anticipare l'interrogatorio di garanzia ?
  Adesso non so se è possibile (bisognerà adeguare molto), ma una riforma strutturale sarebbe quella di consentire al giudice di sentire le ragioni e le difese della persona che viene tratta in arresto prima di mandarla in carcere, non dopo. Infatti, quante volte, dopo l'interrogatorio di garanzia, Pag. 29la persona viene mandata agli arresti domiciliari ? Si fa cinque giorni di carcere: è il fenomeno delle «porte girevoli».
  Ebbene, penso che questo possa essere un tema di riflessione; ce ne sono sicuramente anche altri. Penso, e lo confermo, che si tratti di un passo in avanti e ringrazio i relatori, che hanno fatto questo percorso per arrivare, quanto meno, a fare presente al Parlamento che vi sono delle forti criticità, e che hanno cercato di risolverle costruttivamente. Il problema è che hanno lasciato il testimone in mano ad altri e questo testimone potranno articolarlo come ritengono e, molto probabilmente, le interpretazioni troveranno sicuramente delle argomentazioni per dribblare i giusti obiettivi che il legislatore si sta ponendo con questo provvedimento.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 631-A)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, deputata Rossomando.

  ANNA ROSSOMANDO, Relatore. Signor Presidente, intervengo soltanto per qualche minuto. Naturalmente, avremo poi tempo e modo di approfondire quanto emerso, ancora oggi, in sede di discussione sulle linee generali anche in sede di Comitato dei nove, però, naturalmente, mi ha in qualche modo stimolato soprattutto l'ultimo intervento.
  Devo dire che, su questo tema, più che su altri, la tecnica normativa, il contenuto normativo, non è una variabile indipendente. Fermi i principi di natura costituzionale che abbiamo enunciato o ricordato, se vogliamo dare concretezza anche ai rilievi che sono stati mossi, non possiamo non ricordare e sottolineare che questo provvedimento è fortemente innovativo e non è assolutamente considerabile in termini di meri ritocchi, senza conseguenze, perché tutto il tema della motivazione è da mettere in relazione con l'intervento sui presupposti, sull'eliminazione degli automatismi.
  Al riguardo, tra i presupposti non c’è soltanto l'attualità, ma anche il tipo di argomentazione puntuale, che deve essere messa a fondamento, e che non può essere esclusivamente basata sulla gravità del reato (sono tutti elementi che abbiamo già sottolineato). Ma l'importanza che viene data alla motivazione e le conseguenze della non sussistenza di questa motivazione sono non soltanto il fulcro e il perno dell'intervento, ma l'unico modo di intervenire. Infatti, vorrei dire al collega Costa che è ovvio che in astratto e in assoluto non c’è niente che possa ovviamente impedire o vincolare in modo assoluto l'interpretazione della legge; altrimenti dovremmo guardare a un sistema, che per fortuna non c’è nelle democrazie liberali moderne, è cioè quello delle prove legali, ad esempio. È un sistema ampiamente superato (dobbiamo guardare all'Ottocento, se vogliamo avere quel tipo di vincolo).
  Importante è proprio il fatto invece di essere vincolati alla concretezza con una serie di parametri indicativi, non soltanto nel rispetto e nella valorizzazione del contraddittorio, ma nell'introduzione di questo contraddittorio. Vorrei ricordare, ad esempio, che abbiamo reso obbligatorio l'intervento dell'imputato e della persona sottoposta alle indagini, se questa lo chiede, per esempio, in sede di riesame, e soprattutto la sanzione di nullità con riferimento al difetto di motivazione. Allora, è evidente che sono aspetti tecnici, ma in questo caso l'aspetto tecnico non è una variabile o un abbellimento, è la sostanza del provvedimento e dà sostanza ai principi costituzionali che abbiamo voluto, appunto, meglio attuare di quanto non fosse stato fatto fino ad ora. I rilievi sono sempre interessanti, ma rischia veramente di essere un richiamo assolutamente retorico quello al fatto che altrimenti si presta a interpretazioni: è ovvio, qualsiasi Pag. 30norma deve essere interpretata, nel solco dei principi e dei paletti che sono stabiliti nella norma stessa.

  PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore Carlo Sarro, e il rappresentante del Governo rinunciano alla replica. Il seguito del dibattito è pertanto rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Rondini ed altri n. 1-00227, Gallinella ed altri n. 1-00274, Mongiello ed altri n. 1-00276 e Franco Bordo ed altri n. 1-00277 sull'etichettatura dei prodotti agroalimentari (ore 13).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Rondini ed altri n. 1-00227, Gallinella ed altri n. 1-00274, Mongiello ed altri n. 1-00276 e Franco Bordo ed altri n. 1-00277 sull'etichettatura dei prodotti agroalimentari (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
  Avverto che sono state presentate le mozioni Zaccagnini e Pisicchio n. 1-00278 e Faenzi ed altri n. 1-00279 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.
  Avverto altresì che è stata presentata una nuova formulazione della mozione Rondini ed altri n. 1-00227. Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritto a parlare il deputato L'Abbate, che illustrerà anche la mozione n. 1-00274, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

  GIUSEPPE L'ABBATE. Grazie Presidente. Gentili colleghe, egregi colleghi, siamo oggi qui per discutere finalmente di etichettatura di prodotti alimentari. Etichette chiare, leggibili e precise sono una conquista di civiltà e una garanzia per tutti i consumatori. In medicina ciò è già accaduto: il consenso informato del paziente è stato una conquista ed ha migliorato il rapporto tra medico e paziente, migliorando a suo modo le prestazioni.
  Allo stesso modo, nell'agroalimentare l'etichetta è il biglietto da vista del prodotto. Il cittadino può divenire finalmente consapevole di ciò che acquista creando un approccio più sereno tra produttore e consumatore. Non ci stancheremo mai di ripetere come un mantra la famosa frase di Feuerbach: «noi siamo quello che mangiamo».
  Ma prima ancora di ingerire qualsiasi prodotto agroalimentare, dobbiamo essere consapevoli di ciò che acquistiamo e mangiamo. Ci sembra doveroso che il consumatore sappia cosa mangia e da dove proviene, per un consumo più ragionato, consapevole, salutare, informato e libero. Mai come in questa occasione l'interesse degli agricoltori e dei consumatori coincide. Proprio pochi giorni fa, sotto Montecitorio, la Coldiretti ha portato in piazza allevatori e maiali, dopo la protesta ai confini del Brennero, per bloccare l'arrivo di prodotti dall'estero. Ma se vogliamo finalmente passare dalle tanto professate parole ai fatti, è il momento di darsi una mossa ed agire. Gli agricoltori e gli allevatori non possono più attendere oltre. I cittadini sono stanchi di non poter ricevere la dovuta informazione su ciò che acquistano. Più dei controlli infatti, serve l'informazione. Ogni cittadino consapevole e informato diviene la prima sentinella e può trasformare l'atto dell'acquisto di un prodotto agroalimentare in un atto non solo agricolo a difesa della propria terra, ma anche economico, sociale, ambientale, legato alla salute e alla conservazione dell'identità dei territori e delle sapienti tecniche di produzione, strettamente legate alle aree geografiche di provenienza.Pag. 31
  È dunque il caso di tutelare gli italiani tutelando il vero made in Italy, dato che circa tre prodotti su quattro sono venduti come made in Italy pur essendo ottenuti da materia prima straniera. Oggi si registra un ultimissimo caso al riguardo: sono appena stati sequestrati 25 mila chili di pasta integrale a Bari perché si tratta di un prodotto falso made in Italy. Oggi ci troviamo dinanzi alla decisione dell'Inghilterra di inserire dal prossimo anno sulle etichette dei prodotti alimentari un semaforo per consentire ai consumatori di fare scelte – a loro dire – più consapevoli e rapide. È uno strumento dannoso per il semplice fatto che non informa ma allarma ! Non rende consapevole il cittadino consumatore ma lo induce ad essere terrorizzato da un semaforo rosso e tranquillo invece dinanzi all'ingurgitare – più e più volte – un prodotto dal simbolo arancio o verde, infischiandosene di come sono composti nel complesso i propri pasti. Questa non è educazione all'alimentazione, questa è un'informazione superficiale ed allarmistica.
  Dice bene Charly Powell direttore del Children's food campaign: non bisogna essere dei geni della matematica per scegliere cibi più sani. Bisogna essere infatti informati, rendersi conto che noi, i nostri corpi e la nostra mente, funzioniamo meglio se adottiamo un'alimentazione migliore e ciò lo si può fare solo con una consapevolezza e una cultura del cibo che non potranno mai risolversi in un superficiale semaforo, che creerà più danni che vantaggi.
  È giunto il momento che l'Italia prenda i propri attributi d'acciaio in mano, se è vero che siamo dotati di tale strumento (anche se, ahimè, non ne abbiamo mai visto l'utilizzo) e li poggi sui tavoli europei, per dare finalmente il giusto peso alla patria della dieta mediterranea, patrimonio dell'umanità: una dieta fatta di consumo semplice, consapevole, genuino e non artefatto. È un obiettivo che si può preservare per il benessere dei cittadini, tramite un informazione chiara e trasparente e non un semplicissimo bollino rosso, verde o arancio, che nulla fornisce alla consapevolezza del consumatore.
  In Italia invece, abbiamo le leggi ma non le applichiamo. È il caso della legge n.4 del 2011, che ha già disposto l'obbligo dell'indicazione in etichetta del luogo di origine o di provenienza dei prodotti alimentari commercializzati, prevedendo adeguate sanzioni in caso di violazione degli obblighi prescritti: un riferimento normativo essenziale in funzione dell'obiettivo di limitare e contrastare i fenomeni di contraffazione e pirateria commerciale. Ma la sua effettiva applicazione risulta al momento sospesa, in attesa dei decreti ministeriali di attuazione.
  Decreti, decreti, riempite la aula di decreti ! Il Parlamento è satollo di decreti e non porta avanti alcuna sua legge, perché è ingolfato di decreti. Ma quando si tratta di decreti attuativi, che i consumatori e i cittadini chiedono, che tutti richiedono, questi non arrivano. Chissà perché ? Decreti che speriamo giungano quanto prima e che dispongono inoltre, per alcune tipologie di prodotto, modalità di inserimento volontario in etichetta di specifici sistemi di sicurezza, realizzanti mediante elementi di identificazione elettronica e telematica.
  È giunto il momento, dunque, che vengano adottati con la massima urgenza i decreti ministeriali di attuazione dell'articolo 4 della legge n. 4 del 2011. È giunto il momento di far sentire la propria voce affinché la Commissione europea avvii una rapida verifica sulla compatibilità del sistema del semaforo inglese con la normativa europea relativa all'indicazione nutrizionale degli alimenti, così come prevede il Regolamento UE n. 1169 del 2011, nonché sul rispetto da parte del Governo britannico dell'obbligo di previa notifica previsto per l'introduzione di nuove regolamentazioni in materia di etichettatura.
  È giunto il momento di tutelare l'immagine ed il valore economico dell’export agroalimentare – come il contrasto all’italian sounding – dei prodotti made in Italy, evitando che i sistemi di etichettatura volontaria siano utilizzati a fini discriminatori Pag. 32e distorsivi del mercato nei confronti delle imprese agricole e agroalimentari italiane.
  Ribadiamo: il consumatore lo rendiamo davvero consapevole solamente con puntuali campagne informative sull'importanza di una dieta varia ed equilibrata e di un sano stile di vita, non confondendolo con sistemi di etichettatura ambigui.
  Particolarmente allarmante è infine il fenomeno della contraffazione online, dato che la rete offre anonimato, costi bassi e la possibilità di una veloce e facile scomparsa dal mercato. Parliamo di un commercio online che nel settore alimentare si stima sia cresciuto del 18 per cento nel 2013. È una situazione che genera ancor più preoccupazione alla luce delle nuove iniziative che potrebbero essere intraprese a breve dalla società americana Icann ovvero l'Autorità che genera il rilascio dei suffissi Internet, che ha attivato le procedure per assegnare, dietro pagamento, a soggetti privati, domini di primo livello generico come wine in inglese o vin in francese, oltre a food e organic, ad esempio, indipendentemente se i privati siano viticoltori o produttori alimentari.
  I nuovi titolari di questi domini potrebbero registrare indirizzi come baroloclassico.wine o prosciuttodiparma.food, sovrapponendoli agli indirizzi originali e generando totale confusione nelle piattaforme di commercio elettronico con danni incalcolabili per il sistema di qualità agroalimentare italiano.
  Per questo chiediamo di intervenire con determinazione nelle competenti sedi internazionali per bloccare l'introduzione di questi domini Internet e la loro assegnazione a soggetti privati non utilizzatori delle denominazioni.
  Un'ultima cosa, Presidente: chiediamo al Governo l'avvio immediato della Commissione anticontraffazione. È urgente, è un'emergenza. Fuori dunque questi fantomatici attributi di acciaio e facciamo pesare l'indiscussa cultura agrico-alimentare italiana in Unione Europea ! Per una volta, una, dettiamo noi la linea e non subiamola passivamente, almeno in un campo dove nessuno, nessuno, può mettere in discussione la nostra leadership, almeno nel cibo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) !

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Taricco, che illustrerà la mozione Mongiello n. 1-00276, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

  MINO TARICCO. Signor Presidente, il tema che stiamo affrontando, quello dell'etichettatura, è un tema che ha molteplici sfaccettature. È un tema fondamentale, come è già stato detto, per offrire trasparenza e conoscenza ai consumatori di ciò che va a finire sulla loro tavola. È un tema fondamentale per una leale concorrenza e per il confronto delle aziende sul piano commerciale. È un tema fondamentale per noi per la tutela del made in Italy, che soltanto per il settore agroalimentare vale circa il 17 per cento del prodotto interno lordo di questo Paese e che soltanto per le produzioni agricole ha un valore che supera i 53 miliardi di euro.
  In Italia sono 820 mila le imprese attive che operano in agricoltura, circa il 15 per cento del totale delle imprese. I nostri prodotti agricoli sono prodotti tra i più controllati e seguiti a livello mondiale per quanto riguarda la qualità dei prodotti: oltre 1 milione di controlli all'anno vanno a verificare tutti gli aspetti, le modalità ed il rispetto delle norme previste per la loro realizzazione.
  Questo lavoro capillare di investimento preventivo e di controllo ci consegna e consegna poi alle tavole dei cittadini italiani, europei e mondiali, che possono utilizzarli, prodotti che hanno al di sotto dello 0,3 per cento di residui superiori alla norma quando, a livello europeo, oltre l'1,5 per cento supera i limiti previsti e, a livello mondiale extracomunitario, oltre l'8 per cento.
  Noi abbiamo la consapevolezza di offrire ai consumatori italiani e del resto del mondo prodotti di altissima qualità. Realizziamo queste produzioni con un rispetto ambientale molto alto, con il rispetto di Pag. 33direttive come quella sui nitrati per la produzione zootecnica, che è unica nel suo genere e ci fornisce un contesto nel quale questi prodotti vengono realizzati di grande compatibilità e sostenibilità ambientali. Abbiamo produzioni che, come nessun altro Paese al mondo, prevedono il riferimento di origine controllata e garantita per quel che riguarda prodotti DOP, DOC, IGP, IGT, produzioni tradizionali garantite. La nostra produzione, complessivamente sotto il nome di «dieta mediterranea», è tutelata dall'UNESCO come un patrimonio culturale dell'umanità.
  Nei giorni scorsi ci sono state manifestazioni, anche qui davanti alla sede del Parlamento, per lamentare molte problematicità legate a tanti settori dell'agricoltura, in particolare al settore suinicolo. Noi siamo il settimo produttore europeo sul piano suinicolo, un settore che in Italia dà lavoro a oltre 100 mila addetti, di cui oltre 50 mila soltanto nell'allevamento. Siamo, come dicevo prima, il settimo Paese in Europa per la produzione, ma – dato che credo possa interessare molto – soltanto il 17 per cento del valore di quella produzione va a finire agli allevamenti che realizzano la materia prima. Il nostro Paese utilizza oltre un milione di tonnellate all'anno di importazione da suinicolture di altri Paesi e nel nostro territorio mediamente i prezzi spuntati dagli allevamenti per le loro produzioni non remunerano i costi di produzione. Parliamo di prodotti che vengono venduti al di sotto di un euro e mezzo al chilogrammo quando i costi di produzione superano abbondantemente un euro e mezzo. La nostra produzione è una delle produzioni che ha il maggiore livello di controlli, anche dal punto di vista della sanità e della salubrità dei prodotti, a livello mondiale complessivo. L'Unione europea negli anni passati ha sempre contrastato in qualche misura l'idea che l'origine dei prodotti fornisse di per se stessa qualcosa che aveva a che fare con la qualità dei prodotti stessi, ad esclusione, come dicevo prima, dei prodotti DOP, DOC, IGT e IGP. Questa logica ha avuto una prima evoluzione con il regolamento comunitario n. 1169 del 2011, laddove sono state previste maggiori informazioni sugli alimenti, sia sull'origine che sulla qualità degli stessi. Questo regolamento comunitario riguarda anche le carni suine. L'applicazione concreta, però, delle misure che dovevano sostanziare il raggiungimento di questi obiettivi prevedeva una serie di atti che dovrebbero essere emanati entro la fine di quest'anno.
  Come forse si ricorderà, noi avevamo già presentato una risoluzione, che è stata approvata il 23 ottobre, relativamente a questo regolamento comunitario n. 1169 del 2011, perché questo regolamento stesso è quello che prevede ulteriori norme possibili sulla qualità degli alimenti ed è la norma sulla base della quale è stato avviato il percorso per la cosiddetta «etichettatura a semaforo» da parte del Regno Unito. Da questo punto di vista, noi ribadiamo tutte le riserve su questa semplificazione eccessiva che quella norma introduce, che finisce per confondere più che fornire strumenti ai consumatori per una loro corretta informazione.
  Molti dei controlli fatti in questi anni e in questi mesi hanno rilevato notevoli violazioni per quel che riguarda latte, carne, cereali, carni suine, pomodori, proprio nell'applicazione degli indirizzi che quella norma prevedeva. Nel 2012 è stato approvato il famoso articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, che, in qualche misura, tendeva ad ovviare alle problematiche legate alla concorrenza sleale e all'abuso di posizioni dominanti da parte di soggetti più forti sul mercato, proprio per evitare che si creassero situazioni di distorsione sostanzialmente dei rapporti commerciali e anche alla luce di quella considerazione cui facevo riferimento prima e cioè che soltanto il 17-18 per cento del valore dei prodotti trasformati viene poi trasferito ai produttori agricoli che realizzano la materia prima di quelle produzioni.
  L'articolo 10 della legge n. 9 del 2013, in materia di olio di oliva, ha introdotto tutta una serie di rafforzamenti del sistema dei controlli e di fornitura di informazioni ai soggetti che devono realizzare i controlli affinché possano meglio Pag. 34verificare anche l'origine delle produzioni e meglio controllare e garantire, diciamo così, ai consumatori qualità e provenienza dei prodotti che accedono alle loro tavole.
  Un'ultima considerazione: nei giorni scorsi è stato siglato in sede di WTO a Bali un Accordo che dovrebbe far ripartire sia accordi generali sulle transazioni commerciali sia accordi bilaterali tra i Paesi. Ci sarà una prima fase di transizione e una gradualità di entrata in vigore delle norme sia per quel riguarda la tutela della sicurezza alimentare dei Paesi con maggiori difficoltà da parte delle popolazioni nell'accesso all'alimentazione umana sia per quel che riguarda la sburocratizzazione e l'abolizione delle barriere e l'aumento della trasparenza negli scambi doganali tra i Paesi.
  Noi crediamo che questo quadro, che ho cercato velocemente di tratteggiare, richieda un atteggiamento molto forte e importante da parte del Governo per una tutela complessiva del made in Italy nelle trasformazioni che sono davanti a noi, anche alla luce della definizione puntuale di regolamenti e di accordi che riguarderanno gli scambi tra prodotti, e in questa questione noi crediamo che il made in Italy e la tutela delle produzioni a definizione puntuale di origine debbano trovare un riconoscimento importante.
  Crediamo che sia fondamentale – ed è questo che chiediamo al Governo – che le norme che mettono in condizione di meglio controllare i soggetti che sono a ciò preposti, che sono state previste per l'olio di oliva, debbano trovare un'estensione anche ai controlli sugli altri prodotti.
  Crediamo che l'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, che ha introdotto le norme sui contratti e sui pagamenti, ma ha introdotto anche, come spirito e principio, il recupero dell'equità nelle transazioni, debba essere oggetto di un'applicazione integrale che rispetti lo spirito e gli obiettivi da cui questo articolo era nato.
  Crediamo che sia fondamentale che gli adempimenti previsti dal regolamento comunitario n. 1169 del 2011, che devono trovare collocazione, la trovino in modo puntuale e che l'Italia trovi gli spazi e le modalità di avvalersi delle ulteriori disposizioni che questo regolamento prevede proprio per poter meglio definire tutte le norme in questo campo.
  Crediamo anche – l'abbiamo chiesto con la nostra mozione – che sia necessario dare massima trasparenza su tutto ciò che riguarda il controllo e il corretto rispetto delle regole relativamente alla etichettatura e cioè alla fornitura ai consumatori di tutti gli elementi per poter scegliere e valutare consapevolmente, anche dando pubblicità, purtroppo negativa, a chi a queste regole non si attiene e non rispetta correttamente queste norme. Chiediamo altresì al Governo di dare un impulso in modo chiaro e forte a tutti i soggetti preposti al controllo perché sul tema del made in Italy vi sia un impegno forte e costante.
  Noi crediamo che, come dicevo in apertura, qui in ballo c’è sicuramente la tutela e il rispetto dei consumatori, del loro diritto a conoscere puntualmente ciò che viene loro presentato sulla loro tavola.
  Crediamo, però, che ci sia in ballo la correttezza di un rapporto commerciale; ricordo soltanto che il nostro Paese – sono state fatte molteplici stime – ha danni, per mancati introiti e per mancata occupazione da tutte le falsificazioni legate al made in Italy, che ammontano a centinaia di miliardi di euro e a centinaia di migliaia di posti di lavoro mancati.
  Crediamo che su questo tema sia necessario il massimo impegno anche perché è in gioco una correttezza commerciale che deve vedere riconosciuto alle nostre imprese – che rispettano correttamente tutte le regole, che fanno il lavoro come deve essere fatto e forniscono un prodotto di grande qualità, di grande salubrità e sicurezza ai consumatori – questo loro lavoro. Lavoro che non deve essere deturpato e rovinato continuamente da prodotti che, relativamente all'origine italiana, hanno soltanto qualche bandierina messa sulle etichette che, tante volte, ha l'unico scopo di traviare la corretta conoscenza di origine e contenuti da parte dei consumatori.

Pag. 35

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Franco Bordo, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00277. Ne ha facoltà.

  FRANCO BORDO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nell'Unione europea sono ancora pochi gli alimenti che hanno l'obbligo di indicare l'origine in etichetta e sono principalmente alimenti non trasformati. In tutti gli altri casi è molto difficile scoprire la provenienza di tali ingredienti, a meno che i produttori non decidano di dichiararla spontaneamente, cosa che succede, in generale, quando questa è percepita come un elemento qualificante del prodotto.
  Inoltre, su questo aspetto il marketing spesso non gioca pulito facendo credere al consumatore provenienze non veritiere. La legge impone di dichiarare in etichetta soltanto l'indirizzo del produttore e del distributore, che non è detto che corrisponda a quello proveniente dalle materie prime; anche il codice a barre, da molti ritenuto fonte di questa preziosa informazione, in realtà non rivela granché, le prime due-tre cifre infatti si riferiscono a Paesi dove è stato registrato il marchio dell'azienda che può benissimo trovarsi a migliaia di chilometri di distanza dal luogo di produzione, di raccolta o di allevamento. Su questo e su molti altri aspetti dell'etichetta, dalle immagini agli slogan sulla confezione si gioca una partita non del tutto corretta. Per questo sono necessarie regole più severe e trasparenti che impediscano al consumatore di cadere nella trappola della pubblicità ingannevole.
  Secondo un'inchiesta svolta in Svezia, Francia, Polonia e Austria, presentata a Bruxelles dall'European Consumers’ Bureau, conoscere l'origine dei prodotti è molto importante per i consumatori; il 70 per cento degli intervistati desiderano avere questa informazione in etichetta. Sapere da dove arriva il prodotto è al 4o posto tra i criteri presi in considerazione nell'acquisto, dietro a fattori quali il gusto, il prezzo e la data di scadenza. La provenienza è ritenuta una discriminante che viene posta prima del marchio. Per quanto riguarda i consumatori di casa nostra un'altra inchiesta rileva che un italiano su due vuole mangiare nostrano e questo è il motivo principale per cui cerca l'indicazione sull'origine.
  L'etichettatura rappresenta dunque un importante strumento di informazione sulle caratteristiche dei prodotti alimentari; informazione che deve essere corretta e trasparente senza indurre in errore il consumatore circa le caratteristiche dell'alimento. Lo scopo deve essere quello di tutelare gli interessi delle parti in un contesto di libero scambio delle merci. Diversi provvedimenti legislativi regolano l'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari. In Italia la norma base è il decreto legislativo n. 109 del 1992, norma più volte modificata in seguito alla promulgazione di altri provvedimenti a partire da quelli di natura comunitaria. Come noi sappiamo, il sistema agroalimentare italiano è una delle più importanti risorse da salvaguardare e potenziare perché rappresenta l'eccellenza dei nostri territori nella misura in cui non è solamente un settore destinato alla produzione di alimenti ma identifica un patrimonio unico di valori e tradizioni di cultura e qualità di notevoli potenzialità.
  Tale valore può essere tutelato solo attraverso la promozione della qualità, della tracciabilità degli alimenti e dall'ampliamento delle informazioni ai consumatori, anche al fine di contrastare il dilagare delle pratiche commerciali sleali e di contraffazione dei prodotti agroalimentari.
  L'Italia vanta il primato, fra i Paesi dell'Unione europea, di una tutela della qualità di produzioni agroalimentari elevate. Si pensi che il nostro Paese ha il maggior numero di prodotti a marchio registrato, come la denominazione di origine protetta, l'indicazione geografica protetta e la specialità tradizionale garantita, che sono oggetto di numerosi e sofisticati tentativi di contraffazione.
  Nella precedente legislatura la Commissione agricoltura alla Camera dei deputati in sede legislativa ha approvato all'unanimità la legge n. 4 del 3 febbraio 2011 in Pag. 36materia di etichettatura di qualità dei prodotti alimentari. Il testo della legge risulta, pertanto, incentrato sull'esigenza di promuovere il sistema produttivo nazionale nel quale la qualità dei prodotti è frutto del legame con i territori di origine e sulla necessità di trasmettere al consumatore le informazioni sull'origine territoriale del prodotto alla base delle dette qualità.
  Il fine di assicurare una completa informazione ai consumatori è alla base delle norme che dispongono l'obbligo di riportare nell'etichetta anche l'indicazione del luogo di origine o di provenienza: specificatamente, per i prodotti alimentari non trasformati, il luogo di origine o di provenienza è il Paese di produzione dei prodotti; per i prodotti trasformati, la provenienza è da intendersi come il luogo in cui è avvenuta l'ultima trasformazione sostanziale, il luogo di coltivazione e l'allevamento della materia prima agricola prevalente utilizzata nella preparazione o nella produzione. L'etichetta deve, altresì, segnalare l'eventuale utilizzazione di ingredienti in cui vi sia presenza di organismi geneticamente modificati (OGM) dal luogo di produzione iniziale fino al consumo finale.
  Le norme che demandano sostanzialmente alle regioni l'attività di controllo sono rafforzate da dispositivi sanzionatori. Le modalità applicative, come già accennato nei precedenti interventi, sono previste da decreti attuativi, ma tali decreti attuativi non sono stati, oggi, ancora emanati proprio a causa della difficile applicazione dell'asserita obbligatorietà delle indicazioni di provenienza, laddove le norme europee prevedono, allo stato, solo regimi facoltativi. Le disposizioni nazionali non possono, infatti, che essere coerenti con la normativa approvata dall'Europa, che ha disciplinato le modalità e i contenuti informativi da trasmettere ai consumatori.
  Recentemente, l'Unione europea ha apportato, in tema di indicazioni, delle modifiche al regime di etichettatura dei prodotti agroalimentari. In particolare, il Regolamento (UE) n. 1169/2011, relativo alla fornitura delle informazioni sugli alimenti ai consumatori, ha modificato la precedente normativa al fine di semplificare e migliorare i livelli di informazione e protezione dei consumatori europei.
  Le nuove disposizioni rispondono alla necessità di aumentare la chiarezza e la leggibilità nelle etichette. Introducono, inoltre, alcune novità di rilievo, quale l'obbligo di indicare la provenienza e l'origine dei prodotti. La leggibilità delle etichette consente agli Stati membri di adottare disposizioni ulteriori per specifici motivi, quali protezione della salute pubblica e dei consumatori, prevenzione delle frodi, repressione della concorrenza sleale, protezione dei diritti di proprietà industriale e commerciale, e tutela delle indicazioni di provenienza e denominazione di origine controllata. Lo Stato membro che voglia introdurre un provvedimento nazionale deve notificare il progetto alla Commissione europea e attendere tre mesi per approvarlo, salvo parere negativo da parte della stessa.
  In virtù di queste nuove norme, il 19 giugno 2013, il Dipartimento della salute britannico ha annunciato l'introduzione di un nuovo sistema volontario di etichettatura nutrizionale, basato sulla colorazione semaforica – verde, giallo o rosso – del packaging dei prodotti alimentari sulla base del contenuto di sale, zucchero, grassi e grassi saturi presenti in 100 grammi di prodotto, che ha destato molte critiche e disapprovazioni. Lo schema inglese del semaforo si basa sulla schedatura degli alimenti – verde uguale cibo buono, rosso uguale cibo cattivo – mettendo a rischio i prodotti di qualità e non considerando il fatto che non esistono cibi buoni o cattivi, ma solo regimi alimentari corretti o scorretti.
  Schedare cibi e bevande in questo modo è pericoloso e fuorviante, perché si offre al consumatore soltanto un'informazione parziale ed erronea, che non tiene più conto della dieta complessiva e soprattutto non considera il regime alimentare nel suo insieme, e quindi il modo in cui gli alimenti vengono integrati tra loro. Contro l'introduzione di questo sistema si sono Pag. 37espresse le maggiori sigle di produttori alimentari e anche associazioni di altri Paesi, in particolare il sud Europa, perché questo scenario vede penalizzati innanzitutto i prodotti alla base della dieta mediterranea, il cui valore come patrimonio immateriale dell'umanità è stato ufficialmente riconosciuto dall'Unesco nel 2010. Insomma, un vero attacco alla tradizione agroalimentare mediterranea, quella più sana e completa dell'intera Europa.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  FRANCO BORDO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il problema della sicurezza alimentare oggigiorno è considerato come un tema di primaria importanza: se è vero che siamo ciò che mangiamo, verrebbe da chiedersi che razza di mostri siamo diventati, vista la diffusione di prodotti geneticamente modificati, storie di mozzarelle blu e cetrioli killer. Sembra che sia diventato sempre più difficile scegliere cosa essere, dal momento che pare difficile essere sicuri di ciò che arriva sulle nostre tavole.
  Per cui il gruppo di Sinistra Ecologia Libertà propone una mozione in cui si chiede di promuovere in sede comunitaria le idonee iniziative per consentire al nostro Paese di tutelare il made in Italy, di avviare, nelle opportune sedi europee, tutte le trattative politico-istituzionali al fine di vedere riconosciuta all'Italia la possibilità di utilizzare le disposizioni ulteriori come sopra illustrate, di procedere speditamente all'emanazione dei decreti attuativi della legge del 3 febbraio 2011, n. 4, affinché si possa applicare la obbligatorietà dell'indicazione di provenienza.

  PRESIDENTE. Dovrebbe concludere.

  FRANCO BORDO. Concludo, ad assumere le opportune iniziative con la Commissione europea sulla compatibilità del sistema di etichettatura inglese, cosiddetta semaforica, con le normative europee. Gli altri punti della mozione verranno illustrati dal collega, onorevole Palazzotto.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Faenzi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00279. Ne ha facoltà.

  MONICA FAENZI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, le iniziative organizzate dalla Coldiretti la scorsa settimana, volte a ribadire ancora una volta il ruolo e l'importanza che riveste il sistema made in Italy dell'agroalimentare nel nostro Paese ed in tutto il mondo, sollecitano nei confronti delle istituzioni una revisione critica degli attuali modelli di tutela. La mobilitazione organizzata al valico, luogo scelto simbolicamente come transito di flussi di importazione di prodotti successivamente falsificati o adulterati, contiene un messaggio molto chiaro: quello di non abbassare la guardia di fronte alle condotte fraudolente della criminalità organizzata verso questo mercato, il cui crescente interesse sta determinando effetti economici pesantissimi sulle imprese agroalimentari sane e anche per l'intera economia nazionale.
  Nel corso dell'audizione dell'Eurispes, svolta lo scorso mese di novembre in Commissione agricoltura del Senato, è emerso un dato numerico che ritengo sconcertante: ovvero il giro d'affari del cosiddetto italian sounding, che risulta essere pari all'iperbolica cifra di 60 miliardi di euro. Si tratta di un fenomeno certamente conosciuto dagli addetti ai lavori, che consiste nell'imitazione e nella falsificazione di prodotti agroalimentari italiani, operati da aziende straniere ma anche da quelle italiane, che attraverso la delocalizzazione e l'utilizzo di materie prime altre sfruttano con richiami semantici e visivi il brand italiano.
  Siamo pertanto di fronte ad uno scenario preoccupante, in cui emerge una formidabile capacità delle mafie di intervenire sull'intera catena agroalimentare – dalla produzione alla distribuzione – nonché i possibili rischi sulla salute e sull'economia che la falsificazione e la contraffazione comportano, anche attraverso il depauperamento del marchio made in Italy. Aggiungo inoltre che il grande lavoro effettuato dalle forze dell'ordine, dal Nucleo Pag. 38dei Carabinieri per la tutela della salute, e gli sforzi quotidiani, encomiabili dell'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi del Ministero fanno da contraltare alle molteplici contraddizioni, e anche ai tanti inaccettabili vincoli dell'Unione europea, che evidentemente non tutela sufficientemente il nostro Paese.
  A ciò aggiungo come la dimensione quantitativa dei sequestri di merce contraffatta, che ormai avviene con cadenza quasi settimanale, attesta palesemente i livelli di estrema gravità, sia in termini di pericolosità sociale sia dei danni arrecati al sistema produttivo legale.
  Tuttavia, non ci stancheremo di chiedere pene più severe, quale vero deterrente per i falsari del cibo.
  A tal proposito, voglio anche segnalare una mia proposta di legge che reca proprio modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di contraffazione e che introduce una nuova fattispecie di reato, quale quella di associazione a delinquere, finalizzata alla realizzazione di condotte di contraffazione delle indicazioni di origine in materia agroalimentare.
  Si tratta di un provvedimento che interviene sul fronte della tutela del consumatore e che consente ai cittadini consumatori di essere messi a conoscenza delle condotte illecite di determinati soggetti che utilizzano l'inganno proprio in chiave commerciale.
  Le questioni della tracciabilità e dell'etichettatura, nonostante i passi avanti nel sistema normativo, rimangono dunque dei nervi ancora scoperti e lasciano ampi spazi d'inserimento alle attività illecite.
  I Paesi in cui entrano i prodotti adulterati e contraffatti si rifanno ad una nuova «verginità», in quanto per l'Unione europea, queste pratiche sono ammesse. La legislazione comunitaria consente, infatti, di secretare i dati delle importazioni, mentre dall'Agenzia delle Entrate, si possono conoscere esclusivamente le quantità e dove vanno le merci. Tuttavia dove e come vengono lavorati i prodotti sono invece considerati dati non rivelabili.
  Pertanto, non siamo qui a sostenere naturalmente che occorra l'embargo per una specifica tipologia di prodotti, ma, tuttavia, non possiamo neppure accettare che merce straniera, che arriva nel nostro territorio, diventi ad un certo punto italiana grazie ad etichette ingannevoli che magari richiamano il tricolore o l'azzurro della Nazionale di calcio e anche altri loghi, pensate all'immagine del Vesuvio sulle finte mozzarelle, per fare un esempio.
  Questa mancanza di trasparenza fa concorrenza sleale alle aziende che, a fatica, noi sappiamo, reggono l'impatto della crisi.
  Ci battiamo, quindi, a fianco della Coldiretti e di tutte le altre associazioni di categoria agricole nazionali, a tutela del made in Italy, affinché nell'etichetta sia indicata la provenienza dei prodotti alimentari. Poi, il consumatore farà la sua scelta.
  Etichette chiare, quindi, leggibili, precise rappresentano certamente una conquista di civiltà ed anche una garanzia per il consumatore. Nell'agroalimentare l'etichettatura rappresenta il biglietto da visita del prodotto e crea un approccio più sereno tra il produttore ed il consumatore.
  I numerosissimi atti di indirizzo e di controllo esaminati nel corso delle passate legislature ed anche nella presente, le diverse proposte di legge presentate, le indagini conoscitive e i documenti acquisiti agli atti dell'inchiesta, oltre a testimoniare l'attenzione delle forze politiche sulla materia e alle caratteristiche del fenomeno, che presenta specifiche peculiarità non riscontrabili in altri comparti dell'industria, hanno fatto emergere un quadro poliedrico e complesso, che si caratterizza soprattutto per l'estensione del fenomeno stesso, che offre opportunità, ma rileva anche limiti diretti e oggettivi alle azioni di contrasto.
  Non posso non ricordare come importanti traguardi – è stata citata anche da altri colleghi – siano stati raggiunti, grazie al Governo Berlusconi, perché la legge di cui si parlava appunto, la legge 3 febbraio 2011, n. 4, è proprio dell'Esecutivo di Pag. 39centrodestra. Con questa si è introdotta una serie di innovative disposizioni in materia etichettatura, anticipando, peraltro, la legislazione europea sulla medesima materia, e successivamente criticate proprio dall'Unione europea, il cui atteggiamento tutt'oggi rimane incomprensibile.
  L'operato e l'attenzione della Commissione europea, anche in questo settore particolarmente importante, procede, lo dobbiamo denunciare, infatti con evidente lentezza e confusione, anche a causa dei Paesi del nord-Europa, nella costruzione di un serio sistema di tracciabilità degli alimenti.
  A tal fine ricordo, fra gli innumerevoli scandali, anche quello della carne di cavallo determinato dalla carenza, anche questo, di un'adeguata legislazione europea in grado di rafforzare i controlli su tutta la catena alimentare.
  Nel corso di una mia interrogazione in Commissione Agricoltura, sull'argomento, ho potuto infatti constatare come emerga una evidente frattura tra le attività di controllo che vengono poste in essere in Italia e che devono essere predisposte nel solco delle disposizioni comunitarie e che non possono dar luogo a provvedimenti unilaterali in contrasto con i Trattati europei e la stessa legislazione europea in materia.
  Tutto questo a mio parere, danneggia evidentemente l'agroalimentare italiano. Pertanto, certificazione, tracciabilità, qualità, garanzie igienico-sanitarie, rappresentano gli elementi che in Italia e in Europa, possono garantire sicurezza e mettere all'angolo le falsificazioni. L'alterazione dei prodotti made in Italy rappresenta dunque una vera e propria emergenza nazionale.
  La mozione in discussione oggi in Assemblea costituisce pertanto un'occasione proprio per svolgere una riflessione ponderata sulle proposte migliorative e sui correttivi possibili che da più parti vengono sollecitati sul piano dell'assetto normativo, dell'azione per esempio coordinata degli apparati istituzionali nazionali e comunitari, della giusta informazione del consumatore e anche del necessario riconoscimento in chiave internazionale.
  Le questioni della tracciabilità e dell'etichettatura rappresentano, infatti, una questione ancora non risolta, come sostenevo in precedenza, nonostante le recenti novità in materia di etichettatura che consentiranno ai cittadini di essere più informati, per una etichetta davvero trasparente, ma è necessario che anche l'origine degli ingredienti primari sia rivelata ai consumatori. Occorre insistere sulle misure in grado di accrescere la sicurezza dei sistemi, capaci di rendere più trasparenti le varie fasi proprio del processo produttivo in modo da raccontare la storia di un dato prodotto, dalla scelta dei sistemi di coltivazione e di allevamento alle diverse fasi di elaborazione, fino all'arrivo sullo scaffale dell'esercizio commerciale.
  L'origine di provenienza, d'altra parte, è il principale elemento costitutivo dell'eccellenza alimentare nei paesi dei prodotti DOP, IGP e BIO, dove la certezza del luogo di produzione è anche il principale elemento costitutivo del disciplinare dell'alimento. L'indicazione del paese d'origine rappresenta infatti l'elemento base della tracciabilità, a cui si è adeguata anche l'Unione europea, lo ricordiamo, con il regolamento n. 1169 del 2011, introducendo anche per le carni suine ed ovine, nonché per quelle di pollame, l'obbligo della relativa indicazione in etichetta. Tuttavia, nonostante la richiesta unanime da parte delle associazioni dei consumatori, le divisioni esistenti tra i vari Paesi europei, tra quelli produttori e quelli distributori di prodotti agroalimentari, rappresentano per l'Italia le principali criticità. Aggiungo inoltre che i passi indietro della Commissione europea in tema di etichettatura, in particolare per i prodotti cento per cento made in Italy, testimoniano a mio avviso una scarsa consapevolezza proprio dell'Esecutivo comunitario su quanto incida il fenomeno della contraffazione in Italia. Sostenere infatti che la tracciabilità rappresenta una misura restrittiva alla libera circolazione delle merci all'interno del Mercato unico europeo ritengo sia francamente risibile oltre che inaccettabile.
  Pertanto, onorevoli colleghi, il punto centrale della controversia è determinato a Pag. 40mio avviso proprio dal comportamento ambiguo ed errato della Commissione europea, che ostacola i regolamenti di attuazione da parte del Governo italiano per due ordini di ragioni: una di carattere procedurale, perché la legge che istituisce il sistema di etichettatura è stata approvata dal Parlamento italiano, prima della comunicazione preventiva prevista dalla direttiva 98/34/CE, ma l'altra è di natura sostanziale, come dicevo, in quanto la Commissione ha ravvisato, come riportato in precedenza, l'incompatibilità proprio con il principio della libera circolazione delle merci tra gli Stati membri.
  La necessità quindi di intervenire nei confronti del Governo e soprattutto in sede europea attraverso la presente mozione è dettata anche dalla comprensibile e pressante richiesta delle assemblee legislative delle regioni italiane che chiedono veramente all'Esecutivo di accelerare l'introduzione dei decreti attuativi in grado di introdurre l'obbligo di etichettatura e di indicazione del Paese d'origine. Il sistema-Italia, il mondo imprenditoriale agroalimentare e le forze politiche unite devono pertanto chiedere maggiore trasparenza all'Unione europea, dove peraltro si continua a discutere la regolamentazione del made in Italy, che vede in prima fila i parlamentari di tutti i gruppi e l'industria italiana.
  L'intervento di oggi, che intende impegnare il Governo affinché si preveda una maggiore attenzione nei riguardi dei consumatori, rappresenta quindi una sorta di fotografia della situazione attuale ed è pertanto finalizzata a quegli accorgimenti migliorativi ed innovativi che si rendono necessari per consentire di attualizzare ed ottimizzare certe procedure o assetti, tenuto conto anche dell'esperienza maturata sul campo e delle mutate esigenze del settore.
  Si tratta quindi di intervenire in ambito europeo e intercontinentale in quanto la vera battaglia per la difesa della nostra agricoltura si gioca in luoghi chiave, come ad esempio a Ginevra, sede dell'Organizzazione mondiale del commercio.
  L'accordo raggiunto, infatti, sabato notte a Bali su un pacchetto di rafforzamento del commercio internazionale, se, da un lato, contiene tre elementi giudicati fondamentali per facilitare gli scambi e le procedure doganali, a cui si guarda con ottimismo, dall'altro, non sappiamo quali ne saranno gli effetti; più che altro, non si prevedono interventi degni di adeguata considerazione per il mercato agricolo europeo, se non un pacchetto di ampliamento dei programmi di distribuzione di aiuti alimentari e misure per indurre i Paesi a portare le proprie produzioni sui mercati mondiali.
  Misure queste certamente condivisibili, ma che non intervengono su questioni impellenti di evidente importanza, quelle che stiamo, ad esempio, esaminando attraverso questa mozione.
  Pertanto, colleghi, ritengo che, in tema di etichettatura, tracciabilità e obbligo d'origine dei prodotti, la strada sia ancora in salita e la partita da vincere si gioca proprio in quei contesti decisionali europei e mondiali che – diciamolo – sono refrattari da anni alla tutela e alla valorizzazione dei prodotti agroalimentari autenticamente italiani.
  In quelle sedi, dobbiamo pretendere la difesa delle denominazioni; dobbiamo reclamare che ci venga chiarita tutta la partita dei vini e dell'olio italiano, e che ci venga anche consentita la possibilità dell'etichettatura e della tracciabilità dei prodotti.
  Sostenere l'intero sistema dell'agroalimentare italiano significa non solo difendere le tante imprese «sane», ma è anche fondamentale per custodire il patrimonio dei sapori e le tipicità dei nostri territori, valorizzandoli in tutto il mondo.
  I prodotti agroalimentari «made in Italy» sono il frutto, infatti, dell'incrocio di ricette e di materie prime selezionate, del rispetto delle tradizioni legate al territorio di riferimento e delle capacità imprenditoriali dei nostri imprenditori.
  Pertanto, concludo rafforzando e ribadendo la necessità che il sistema agroalimentare italiano sia liberato dalle pratiche illecite che invadono il comparto, proprio Pag. 41nelle sedi internazionali, attraverso una rigorosa attività negoziale da parte del Governo italiano.

  PRESIDENTE. Avverto che è stata testé presentata la mozione Dorina Bianchi e Bosco n. 1-00280 (Vedi l'allegato A – Mozioni). Il relativo testo è in distribuzione.
  Per questa ragione, adesso è iscritto a parlare il deputato Antonino Bosco, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00280.
  Non vedo il deputato Bosco: si intende che abbia rinunciato al suo intervento.
  È iscritta a parlare la deputata Benedetti. Ne ha facoltà.

  SILVIA BENEDETTI. Signor Presidente, abbiamo visto, la scorsa settimana, lo svolgersi della protesta di Coldiretti, sia qui in piazza Montecitorio, sia sul confine con il Brennero, sia nella food valley emiliana.
  Reputiamo questa protesta fortemente significativa, dato il suo svolgimento in luoghi simbolo: in particolare, a Montecitorio, sede del potere legislativo italiano; e sul Brennero, che rappresenta il confine di ciò che entra in Italia dall'Unione Europea, ma non soltanto.
  Entrambi questi luoghi rappresentano ciò che dovrebbe, in qualche modo, tutelare e proteggere il mercato dell'agroalimentare italiano, riconosciuto in tutto il mondo e dentro i confini nazionali per la sua qualità.
  Dentro i confini nazionali, nascono prodotti agroalimentari DOP e IGP con un fatturato che si aggira attorno ai 12,6 miliardi di euro, di cui circa 9 realizzati sul mercato nazionale. Nel dettaglio, possiamo ad esempio notare un aumento del fatturato alla produzione e al consumo degli ortofrutticoli (rispettivamente un più 25 per cento e un più 22 per cento).
  Proprio per quanto riguarda gli ortofrutticoli, è interessante uno studio effettuato sui mercati rionali di sette regioni d'Italia (Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Marche, Toscana e Veneto), dove solo due banchi di ortofrutta su dieci sono in regola in materia di etichettatura.
  Questo porta alla ribalta un altro problema, cioè quello della mancanza di etichette regolamentari: se nel 2008 vi era una media di quasi quattro banchi di ortofrutta su dieci in regola, oggi il risultato si è dimezzato, ovvero soltanto un 22 per cento del campione analizzato espone tutte le indicazioni previste dalla legge, che – lo ricordo, per chi non lo sapesse – comprendono la varietà del prodotto, l'origine del prodotto, nonché la categoria.
  Etichette non regolamentari, dunque, che, oltre a non permettere al consumatore di scegliere in maniera consapevole, possono nascondere pratiche illecite, come la frode in commercio per vendita di prodotti ortofrutticoli esteri come italiani, oppure convenzionali come prodotti da agricoltura biologica, oppure di prodotti generici come prodotti a denominazione d'origine.
  La stessa cosa si verifica per quanto riguarda i prosciutti, denuncia da cui ha preso spunto la protesta dei giorni scorsi e di cui accennavo all'inizio. Il consumatore italiano compra prosciutto spacciato per italiano, ma prodotto da cosce di maiali importate dall'estero. Cosce caratterizzate da prezzi bassi e da bassa qualità della carne, che si trasformano in prosciutto italiano, sinonimo inevitabile di qualità agli occhi del consumatore.
  L'aberrazione è anche in termini di mercato: in Italia, nel 2012, sono state importate 57 milioni di cosce di maiali dall'estero, destinate ad essere stagionate o cotte per essere servite come prosciutto italiano, a fronte di una produzione nazionale di 24,5 milioni.
  Il discorso è che non è assolutamente obbligatorio che si debbano produrre solo prodotti di qualità. Però è obbligatorio dare tutte gli elementi possibili perché siano riconosciute e premiate le produzioni virtuose, con scelte ben precise in termini di qualità o di sostenibilità ambientale.
  È obbligatorio debellare questa concorrenza sleale del mercato, nonché la scarsa informazione a portata dei cittadini tramite l'etichetta. Infatti, poi, il problema non è solo del consumatore, che si deve Pag. 42informare, ma è anche dell'operatore, che deve essere competente e osservante della normativa vigente. A proposto di etichettatura, accogliamo favorevolmente le nuove regole europee, che entreranno in vigore il 1o aprile 2015, per le etichette di origine e provenienza delle carni animali, sia fresche che congelate, comprendenti le carni di maiale, pecora, capra e pollame.
  Chi acquista la carne, quindi, potrà sapere da dove viene, e quindi il legame con l'animale dal quale è ottenuta, poiché l'etichetta specificherà dove l'animale è nato, dove è stato allevato e infine macellato. Se questo è un aspetto positivo, purtroppo, nella lotta per la tracciabilità e la correttezza del mercato, abbiamo anche un aspetto negativo, che è quello dell'etichettatura semaforica, che si paventa come attuabile per gli Stati membri dell'Unione europea.
  Ammesso che il Governo britannico abbia rispettato l'obbligo di previa notifica previsto per l'introduzione di nuove regolamentazioni in materia di etichettatura, cosa che con la nostra mozione chiediamo, appunto, di verificare, e ammesso che vi sia un'effettiva compatibilità con la normativa relativa alle indicazioni nutrizionali degli alimenti, assolutamente, classificare gli alimenti con il verde, il giallo o il rosso sulla base del contenuto di sale, zucchero, grassi e grassi saturi presenti in 100 grammi di prodotto non fornisce un quadro reale e oggettivo dell'alimento al suo consumatore finale, poiché non si indica che la salubrità dei cibi dipende dalla loro combinazione e dalla loro quantità all'interno della propria dieta.
  Perciò, finché siamo in tempo, spero che il nostro Governo si farà ascoltare in merito. Non ci siamo fatti ascoltare prima, cominciamo a farci ascoltare da ora, a partire anche da questi argomenti. Il MoVimento 5 Stelle, poi, esorta il Governo ad un'azione decisa contro la problematica dell’italian sounding, cioè del mercato parallelo di prodotti alimentari che si richiamano alla tipicità italiana, senza, ovviamente, avervi alcun nesso. Possiamo ricordare la denuncia emblematica del consorzio tutela formaggio Asiago, DOP veneto-trentina, che, alla fiera mondiale delle Private Label d'Amsterdam, ha denunciato un Asiago contraffatto prodotto da un'azienda statunitense.
  Quindi, laddove si vendono i vari prisecco, parmesan, Parma ham, perdiamo introiti per 60 miliardi di euro all'anno, nonché 300 mila posti di lavoro in più che potrebbero crearsi nel settore. Esiste già una rete, tra Corpo forestale dello Stato, Interpol, Europol e dogane, che lavora congiuntamente con gli omologhi servizi degli altri Paesi coinvolti nelle relazioni commerciali con l'Italia, ma il nostro Paese resta vulnerabile riguardo al fenomeno, ed è proprio questo mancato introito che ce lo fa capire.
  Infatti, il business dell’italian sounding ha un vantaggio rispetto alla contraffazione, perché si muove agevolmente in una zona grigia, e questo si ripercuote sul nostro export, che potrebbe essere tre-quattro volte di più, se le produzioni made in Italy fossero tutelate; tutelate attraverso regole e accordi internazionali che consentano di assicurare una totale trasparenza sulla qualità delle materie prime e sui processi produttivi utilizzati dagli operatori della filiera.
  In questo contesto, l'Italia si rappresenta come vittima, ma anche come carnefice. È stata vittima di un'Unione europea orientata alla concorrenza e al mercato libero, senza considerare i pregi del settore agroalimentare italiano, ma anche carnefice, perché completamente incapace di farsi ascoltare, nelle figure dei rappresentanti italiani sinora presenti in Europa, nell'orientamento delle scelte di mercato europee (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Palazzotto. Ne ha facoltà.

  ERASMO PALAZZOTTO. Signor Presidente, signor sottosegretario, la ringrazio per essere qui. Il settore agroalimentare è un settore che riguarda il 15 per cento della produzione del nostro prodotto interno lordo. Parliamo di cifre che riguardano circa 245 miliardi di euro e, ad Pag. 43oggi, circa il 20 per cento della nostra produzione del made in Italy è destinata all’export.
  Questo per parlare di cifre, per dire la rilevanza degli argomenti che stiamo affrontando qui, oggi, in quest'Aula, e di quanto sia delicato l'impegno che il Governo può e deve mettere a tutela della produzione del made in Italy.
  Lo dico perché questo Parlamento ha già preso delle iniziative per cercare in qualche modo di tutelare le nostre produzioni. Il 25 settembre abbiamo approvato una legge che istituisce una Commissione sui fenomeni della contraffazione. Il tema della contraffazione oggi è un tema di una rilevanza di non poco conto. Lo è per quanto riguarda la salute dei cittadini: noi abbiamo bisogno di proteggere i nostri cittadini dalla possibilità che attraverso merci contraffatte possano assumere e acquistare alimenti che siano anche tossici, che siano insalubri, che non abbiano da questo punto di vista una riconoscibilità rispetto al luogo in cui si è svolto il processo produttivo.
  Dall'altra parte, il tema della contraffazione riguarda un grande danno economico che viene prodotto alle nostre imprese, e quindi pone il tema della concorrenza sleale e pone il tema, in una fase di crisi, anche di chi onestamente produce e cerca di produrre, appunto, prodotti agroalimentari di qualità, a scapito di chi, attraverso la contraffazione, produce un danno alla nostra economia oltre a mettere a repentaglio la salute dei cittadini. Ed è proprio per questo che, dal punto di vista della tutela della salute, assume un'importanza rilevante anche la localizzazione del processo produttivo, e quindi il processo di etichettatura e l'indicazione, nell'etichetta, della localizzazione di dove si svolge il processo produttivo è di fondamentale rilevanza.
  A tal proposito, noi abbiamo un'impostazione dell'Unione europea che fino ad oggi ha tenuto a dare un valore totalmente differente alla localizzazione, nel senso che l'impostazione europea è stata quella di ritenere incompatibile l'obbligatorietà dell'indicazione della localizzazione del processo produttivo con la legislazione europea. Noi abbiamo bisogno invece di invertire questo processo. Finora l'Unione europea ha garantito questo solo per quanto riguarda le produzioni DOP e IGP. Noi abbiamo bisogno di dire che l'indicazione della localizzazione del processo produttivo diventa di fondamentale importanza anche per tutelare la salute, oltre che per dare trasparenza e riconoscibilità dei prodotti ai cittadini. Questo vale a maggior ragione oggi, quando, in molti casi, i processi industriali inquinano anche buona parte dei terreni destinati alle produzioni agricole e quindi molto spesso la filiera di produzione dei prodotti alimentari rischia di avvelenare la salute dei cittadini. Noi abbiamo bisogno quindi, in questo caso, di mettere in campo un'iniziativa adeguata. Lo dico anche rispetto a quello che è stato già qui richiamato, rispetto all'impostazione dell'etichettatura semaforica, approvata il 19 giugno dal Dipartimento della salute britannico, che tende a dare un'impostazione fuorviante rispetto alle capacità e alla qualità dei prodotti agroalimentari, identificandoli in buoni o cattivi in base ai contenuti di grassi, mentre in realtà quella valutazione spetta all'educazione alimentare, e non al prodotto in sé.
  Quindi, da questo punto di vista, noi abbiamo un grande impegno che il Governo deve svolgere nella tutela dei prodotti made in Italy, e nella tutela che anche noi dobbiamo assicurare dell'indicazione della localizzazione. A tal proposito, prima di passare alle indicazioni che noi nella nostra mozione forniamo e alle richieste che avanziamo a questo Governo, mi preme ricordare che il 4 dicembre scorso si è svolta una manifestazione della Coldiretti sul passo del Brennero, che aveva esattamente come obiettivo quello di porre il tema della tutela del made in Italy rispetto a prodotti che vengono da altre parti e spacciati come made in Italy. Coldiretti e i nostri produttori chiedevano un intervento forte da parte del Governo, chiedevano che venissero messe in campo quelle misure che servono a tutelare la produzione del nostro made in Italy, così Pag. 44come non è ancora stato fatto, così come non è stato fatto con i decreti attuativi della legge n. 4 del 2011, che il Governo non ha ancora messo in campo, oggi che anche la legislazione europea permette una facilità maggiore, perché hanno dato delle aperture e quindi la possibilità di richiedere alla Commissione europea che quelle norme vengano accettate e quindi vengano rese compatibili.
  Quello che non abbiamo capito è che cosa sia andato a fare il Ministro a quella manifestazione, perché il Ministro ha avuto, in questi mesi, l'occasione e l'opportunità di intervenire e di mettere in campo le politiche adeguate alla tutela del made in Italy. Allora, forse sarebbe il caso che il Ministro risparmiasse le sue energie partecipando a meno fiere, incontri o anche manifestazioni e che, invece, nell'esercizio delle sue funzioni mettesse in campo le scelte politiche e i decreti attuativi che servono a tutelare realmente il made in Italy.
  Per questo concludo dicendo che noi impegniamo oggi, con questa mozione, il Governo a promuovere, presso le istituzioni europee, tutte le iniziative che sono volte: alla tutela del made in Italy; alla possibilità di attuare subito e di mettere in campo subito i decreti attuativi della legge n. 4 del 2011; a mettere in campo, infine, delle iniziative nei confronti della Commissione europea per verificare la compatibilità della etichettatura semaforica disposta dal Governo britannico ed eventualmente chiederne la sospensione.

  PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per le politiche agricole, alimentari e forestali, Giuseppe Castiglione.

  GIUSEPPE CASTIGLIONE, Sottosegretario di Stato per le politiche agricole, alimentari e forestali. Signor Presidente, il tema dell'etichettatura e della tracciabilità dei nostri prodotti agroalimentari vede un forte impegno del Governo e, in particolare, dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali.
  Ricordo come già nell'audizione svolta dal Ministro sulle linee programmatiche nelle sedute del 12 giugno e del 18 luglio nelle Commissioni agricoltura congiunte di Camera e Senato, sia stata sottolineata la necessità di rafforzare le eccellenze italiane del settore agroalimentare e fare in modo che qualità, affidabilità delle etichette e tracciabilità dei passaggi di filiera verso i mercati finali non siano parole al vento, bensì strumenti di trasparenza e controllo per una concreta tutela sul fronte nazionale e internazionale dei produttori italiani onesti e di tutti i consumatori che amano le eccellenze agroalimentari made ín Italy.
  Desidero, quindi, ringraziare particolarmente i presentatori delle mozioni e il dibattito che in Aula si è svolto, illustrando le mozioni, perché consente di porre all'attenzione di questa Camera il tema con uno spirito costruttivo che rafforzerà la posizione del Governo in un ambito non certamente facile, che spesso ci vede su posizioni contrapposte e non condivise dai nostri partner europei.
  Quindi, occorre preliminarmente ricordare, nell'affrontare la questione delle etichettature e della tracciabilità dei nostri prodotti, che la materia è regolata, a livello europeo, in particolare dal regolamento n. 1169 del 2011 e che pertanto i margini di intervento degli Stati membri, al di fuori di tale cornice, rischiano di esporre il Paese a costose procedure di infrazione e all'inefficacia di decisioni che pure hanno una larghissima condivisione a livello nazionale.
  È, quindi, in quella sede che occorre con forza, come il Governo sta facendo, porre la maggior parte delle questioni sollevate dalle mozioni in discussione e le notizie anche di questi giorni confermano l'impegno e l'efficacia dell'azione del Governo. Ricordo che solo lo scorso giovedì 5 dicembre il Comitato di gestione catena Pag. 45alimentare ha espresso il definitivo parere favorevole sullo schema di regolamento di esecuzione, che implementa quanto disposto dal richiamato regolamento n. 1169 del 2011, dettando le prescrizioni sulle indicazioni obbligatorie in etichetta per l'origine e il luogo di provenienza per le carni suine, pollame e ovicaprine. In particolare, si stabilisce che l'indicazione «origine Italia» può essere utilizzata solo se l'animale è nato, allevato e macellato in Italia. In proposito, tengo ad evidenziare che sono state recepite talune nostre osservazioni sull'allungamento del periodo minimo di allevamento per l'indicazione del Paese di origine.
  Il regolamento, che sarà pubblicato nei prossimi giorni sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea, entrerà in vigore il 1o aprile 2015. Come ha ricordato il Ministro De Girolamo, tale risultato è stato a lungo cercato dall'Italia, che è stata sempre in prima fila nella battaglia per la trasparenza delle informazioni in etichetta. Il Governo ovviamente si adopererà immediatamente per rendere questa norma operativa al più presto nel nostro Paese.
  Questo importante successo, però, non rappresenta un punto di arrivo. Dobbiamo continuare a mantenere alta l'attenzione, soprattutto a livello comunitario, sull'importanza della tutela dei consumatori. Penso, in particolare, anche al latte a lunga conservazione, su cui dobbiamo ancora concentrare i nostri sforzi, ed in tal senso ho apprezzato il riferimento contenuto in una delle mozioni, che potrà essere anche ulteriormente sviluppato.
  Nella stessa direzione va anche la recente normativa approvata dalla Commissione europea sulla trasparenza delle informazioni in etichetta per gli oli di oliva, con la quale sarà possibile verificare con maggiore facilità nella parte frontale della bottiglia caratteristiche ed origine. Insomma, i consumatori potranno capire se l'olio è italiano. Anche in questo caso, l'Italia è stata tra i più attivi promotori di questa nuova regolamentazione, sottolineando la necessità che la trasparenza dell'etichetta diventi un principio fondamentale per tutti gli alimenti, per tutelare il consumatore e garantire la lealtà della concorrenza. Tale decisione, secondo il Governo, costituisce un fondamentale passo in avanti, anche se è ancora molto lungo il percorso da compiere, per migliorare la tracciabilità a carico di un settore di fondamentale importanza per l'economia nazionale.
  Per tali ragioni, il Ministro De Girolamo ha già manifestato alla Commissione europea la necessità di procedere, anche in ambito del Comitato olivicolo internazionale, per apportare alla normativa le modifiche che il mondo produttivo assolutamente richiede e attende. Allo stesso tempo, non posso non sottolineare il fortissimo impegno che, nell'ambito delle rispettive competenze, ogni giorno profondono in materia di controlli e repressione l'Ispettorato per il controllo della qualità e la repressione delle frodi del Ministero, il Corpo forestale dello Stato e i nuclei antifrodi dei carabinieri del comando carabinieri delle politiche agricole.
  In definitiva, rinnovando il ringraziamento ai colleghi per il livello dell'odierna discussione e riservandomi di esprimere successivamente il parere sulle mozioni presentate, desidero ribadire l'assoluto impegno del Governo a difesa del made in Italy e della produzione italiana, di quella qualità che esprime il lavoro di chi contribuisce ogni giorno a realizzare le nostre eccellenze che conquistano i mercati esteri, con la consapevolezza che abbiamo il dovere di garantire anche i consumatori che devono essere messi nella condizione di sapere, in modo chiaro e immediato, ciò che comprano.
  Esprimo anche l'auspicio, quindi, che le diverse questioni sollevate e le diverse mozioni possano essere racchiuse in unico documento, in un'unica mozione, da parte degli onorevoli che le hanno presentate, in maniera da dare maggiore forza a un tema che il Governo ritiene assolutamente importante per la difesa del made in Italy, per la lotta alla contraffazione e per la chiarezza nelle informazioni ai consumatori. Ribadiamo, anche in questa sede, perché più volte è stato sottolineato, che se c’è un messaggio che deve arrivare forte Pag. 46all'esterno è che il sistema dei controlli nel nostro Paese è un sistema assolutamente efficace, un sistema che funziona, un sistema che ha assicurato fino ad oggi la certezza della salubrità delle produzioni che vengono trasformate nel nostro Paese, ma che vengono anche commercializzate.

  PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.
  Sospendo a questo punto la seduta, che riprenderà alle ore 15 con il seguito della discussione delle mozioni concernenti iniziative in merito alla dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali.

  La seduta, sospesa alle 14,10, è ripresa alle 15,05.

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Michele Bordo, Capezzone, Cirielli, Damiano, Gozi, Leone, Sisto e Vito sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
  I deputati in missione sono complessivamente novantadue, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Seguito della discussione delle mozioni Morassut, Saltamartini, Antimo Cesaro, Di Gioia, Santerini ed altri n. 1-00011, Lombardi ed altri n. 1-00092, Piazzoni ed altri n. 1-00149 e Fedriga ed altri n. 1-00252 concernenti iniziative in merito alla dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali (15,07).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione delle mozioni Morassut, Saltamartini, Antimo Cesaro, Di Gioia, Santerini ed altri n. 1-00011 (Ulteriore nuova formulazione), Lombardi ed altri n. 1-00092 (Nuova formulazione), Piazzoni ed altri n. 1-00149 e Fedriga ed altri n. 1-00252 concernenti iniziative in merito alla dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali (Vedi allegato A – Mozioni).
  Avverto che nella seduta di lunedì 19 novembre 2013 si è conclusa la discussione sulle linee generali ed è intervenuto il rappresentante del Governo.
  Avverto, altresì, che nella giornata del 4 dicembre 2013 è stata presentata una nuova formulazione della mozione Morassut ed altri n. 1-00011, che è stata sottoscritta, tra gli altri, anche dai deputati Saltamartini, Antimo Cesaro, Di Gioia e Santerini, che, con il consenso degli altri sottoscrittori, ne sono diventati il secondo, il terzo, il quarto e il quinto firmatario e, contestualmente, sono state ritirate le mozioni Antimo Cesaro ed altri n. 1-00246, Costa ed altri n. 1-00261 e Santerini ed altri n. 1-00275.
  Avverto poi che, in data 5 dicembre 2013, è stata presentata una ulteriore nuova formulazione della mozione Morassut, Saltamartini, Antimo Cesaro, Di Gioia, Santerini ed altri n. 1-00011.

(Parere del Governo)

  PRESIDENTE. Invito il rappresentante del Governo ad esprimere il parere sulle mozioni presentate.

  CARLO DELL'ARINGA, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, il Governo esprime parere favorevole sulla mozione Morassut, Saltamartini, Antimo Cesaro, Di Gioia, Santerini ed altri n. 1-00011 (Ulteriore nuova formulazione).
  Il Governo esprime parere contrario sulle mozioni Lombardi ed altri n. 1-00092 (Nuova formulazione); Piazzoni ed altri n. 1-00149 e Fedriga ed altri n. 1-00252.

(Dichiarazioni di voto)

  PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Di Gioia. Ne ha facoltà.

Pag. 47

  LELLO DI GIOIA. Signor Presidente, ovviamente noi voteremo a favore della mozione a prima firma dell'onorevole Morassut che abbiamo sottoscritto, convinti che vi sia la necessità comunque di fare una verifica puntuale e necessaria per ciò che riguarda gli immobili degli enti previdenziali, sia essi pubblici sia essi privati. Infatti, è giusto che si verifichino alcuni aspetti che sono di carattere economico, aspetti che riguardano non soltanto coloro i quali oggi sono affittuari in questi alloggi e non soltanto coloro i quali sono morosi da un punto di vista dei canoni di affitto e hanno avuto delle difficoltà in quest'ultimo periodo. Ma, come dicevo, abbiamo la necessità di verificare per il semplice motivo che, per ciò che riguarda le casse di previdenza non pubblica, abbiamo verificato negli anni passati che, da parte di questi enti, sono stati effettuati degli investimenti che, ovviamente, hanno determinato alcune situazioni di difficoltà: investimenti non certamente di garanzia per coloro che sono assistiti.
  Basti pensare alle somme che sono state perse su alcuni titoli-spazzatura, ai tempi della Lehman Brothers. E quindi è giusto che vi sia una verifica puntuale, che si sta tentando di fare attraverso la Commissione di competenza che ha il dovere di verificare i bilanci di queste Casse. Riteniamo altresì che vi sia la necessità di chiarire, perché l'ultima sentenza del Consiglio di Stato – che, a mio avviso, è una sentenza particolarmente difficile da interpretare – definisce da un punto di vista squisitamente organizzativo queste Casse delle casse private, ma nel contempo le inserisce nell'elenco ISTAT, e quindi sostanzialmente diventano pubbliche.
  Ecco perché abbiamo la necessità di guardare con estrema attenzione alle Casse di cui parlavo precedentemente, di guardare gli investimenti che fanno.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  LELLO DI GIOIA. E c’è anche la necessità, secondo il nostro punto di vista, che la Commissione che ha questo compito – e mi avvio alle conclusioni – abbia anche la possibilità di verificare ancora meglio gli investimenti che le Casse fanno, sia esse da un punto di vista pubblico sia esse da un punto di vista privato.
  Per ciò che riguarda – e qui ovviamente concludo – le Casse pubbliche (e mi riferisco in modo particolare all'INPS e all'INAIL), noi vogliamo capire, e lo capiremo nei prossimi giorni e nelle prossime settimane, che cosa significa questa SGR, che ha assorbito ed assorbe il patrimonio pubblico per poter poi determinare le condizioni per l'abbattimento del debito pubblico in quanto tale. Vogliamo capirlo, vogliamo guardarci dentro. Credo che sia opportuno farlo, ed è per questo che in seguito la Commissione, che è anche abilitata a guardare con estrema attenzione questi pertugi...

  PRESIDENTE. Dovrebbe concludere.

  LELLO DI GIOIA. ... farà – e concludo – una relazione al Parlamento molto dettagliata, puntuale sugli investimenti, sia essi mobili che immobili, per fare in modo che il Parlamento possa decidere e dare le indicazioni e le direttive per fare in modo che queste Casse possano rispettare i loro principi, e cioè garantire le entità per le pensioni.

  PRESIDENTE. Dovrebbe concludere.

  LELLO DI GIOIA. Con queste motivazioni noi voteremo a favore – come dicevo, e concludo – della mozione che abbiamo sottoscritto.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Fedriga. Ne ha facoltà.

  MASSIMILIANO FEDRIGA. Signor Presidente, in questo clima di disattenzione dell'Aula, e anche di poca presenza, stiamo votando però una mozione, la quale sono convinto i colleghi di diverse forze politiche e gruppi parlamentari presenti in quest'Aula avranno qualche difficoltà a spiegare nei loro territori: perlomeno, per coloro che non sono della Pag. 48circoscrizione che comprende la città di Roma. Perché vorrei ricordare che la mozione di maggioranza, ma anche le mozioni del MoVimento 5 Stelle e di SEL, nella sostanza dicono che ci sono due tipi di emergenze sociali: quelle di Roma, che devono essere fatte pagare da chi paga i propri contributi (i liberi professionisti, i ragionieri, i medici, gli architetti e quant'altro); e quelle di tutte le altre aree del Paese, le quali invece non si devono tutelare o cercare di risolvere con gli enti previdenziali, semplicemente perché quasi l'80 per cento di questi immobili sono presenti nella città di Roma.
  Oltretutto, già negli anni (ed è stato fatto pagare ai lavoratori, ai liberi professionisti di tutto il Paese), sono stati dati degli affitti assolutamente fuori mercato, molto più bassi rispetto a quanto il mercato prevedeva, e sono stati alienati degli immobili con almeno lo sconto del 30 per cento. Questo non fatto pagare alla regione Lazio o al comune di Roma, ma fatto pagare ai lavoratori di tutto il Paese – ai lavoratori –, che con i loro contributi previdenziali speravano di garantirsi una pensione dignitosa.
  Abbiamo visto proprio nelle ultime giornate quanto prenderanno di pensione e quanto stanno prendendo di pensione i liberi professionisti, dati che arrivano alla nostra attenzione.
  Quindi, stiamo veramente mettendo su posizioni diverse, persone che hanno difficoltà economiche da una parte all'altra; oltretutto parliamo – e sullo stato, quindi, ho parlato in assoluta buona fede – di coloro che hanno difficoltà economiche. Ma io voglio ricordare che, all'interno degli immobili, degli enti previdenziali, non sono entrate persone tramite bando o tramite il proprio reddito ISEE; e abbiamo avuto dei casi particolari, in passato, dove persone che potevano permettersi ampiamente di pagare un affitto nel libero mercato sono andate all'interno di questi alloggi, oltretutto, magari, riscattando l'alloggio a prezzi ridicoli.
  Noi stiamo votando quest'oggi una «marchetta elettorale». Dobbiamo dircelo con chiarezza: infatti la Lega è stato l'unico movimento che ha presentato una mozione diversa. E io condivido una parte della mozione presentata dal suo movimento, Presidente, il MoVimento 5 Stelle, dove bisogna monitorare e fare attenzione a cosa hanno fatto alcuni dirigenti delle casse contro i propri iscritti nel gestire le finanze. Ma, in questo modo, noi andiamo a colpire due volte gli iscritti, due volte coloro che pagano i contributi: non soltanto per la mala gestione dell'ente previdenziale, ma anche facendo pagare il costo sociale della crisi a coloro che pagano i contributi.
  Non sono loro, non è chi paga i propri contributi a dover sopperire alle mancanze degli enti che non danno una giusta tutela sociale a chi non può permettersi di pagare un affitto ed avere una casa in cui vivere. Non sono i liberi professionisti, non sono i medici, non sono gli ingegneri, non sono gli architetti che devono sopperire a queste mancanze che ci sono in alcune regioni, particolarmente in alcuni enti locali e in alcuni comuni.
  Dunque, noi chiediamo anche che il Governo sia coerente. Io ricordo che il Governo ha fatto grande pubblicità delle dismissioni e adesso fa votare e dà parere favorevole a una mozione che dice l'esatto opposto. Vi state contraddicendo da soli. E lo chiedo al sottosegretario Dell'Aringa: come si coniuga questo ? È stato approvato un decreto con 500 milioni di dismissioni, bisogna alleggerire, per cercare di far cassa, il patrimonio pubblico, e adesso votano l'esatto opposto, ovviamente facendo pagare a chi versa i contributi.
  Presidente, quindi, io penso che la nostra mozione sia assolutamente equilibrata, una mozione equilibrata che non ripercorre quanto scritto, per esempio, dalla mozione a firma Morassut ed altri dove addirittura – e vorrei un'attenzione da parte dei colleghi su questo – non si va a tutelare solamente chi regolarmente ha preso la casa in affitto da questi enti, ma anche chi occupa la casa sine titulo. È scritto chiaramente nelle mozioni: chi ha occupato la casa non avendone diritto e nemmeno firmando un contratto, ma, in alcuni casi, si è semplicemente preso possesso Pag. 49di quella casa, rimane dentro, viene regolarizzato, bisogna fargli pagare un basso affitto e, nel caso, avere il 40 per cento, il 50 per cento di sconto se compra quella casa. Questo lo stiamo votando oggi.
  Ovviamente, noi con estrema efficienza lo faremo presente a tutti gli elettori dei territori dove siamo rappresentati: come vengono utilizzati, come fate a utilizzare i soldi di chi versa i contributi semplicemente per garantirvi un bacino elettorale? Bisogna avere il coraggio di dire a queste persone – e sono convinto che alcune di queste vivono un'emergenza sociale – che esistono siffatti enti. Che paghi la regione Lazio ! Governate la regione Lazio, trovate i soldi invece di continuare a fare i buchi. I miliardi di buchi del comune di Roma perché non sono stati utilizzati per l'emergenza sociale e, invece, sono stati utilizzati per dare, magari, qualche posto di lavoro in qualche controllata dal comune ?
  Allora, questa è una questione di coerenza, Presidente. Noi non potremmo mai votare, ovviamente votiamo contro le mozioni di maggioranza di SEL, e voteremo anche contro la mozione del MoVimento 5 Stelle, perché non possiamo accettare che si sospendano gli sfratti per chi non paga. Non capisco perché un cittadino in difficoltà, in affitto magari – faccio l'esempio della mia città, a Trieste –, da un privato può essere sbattuto per strada, mentre quelli di Roma dell'ente previdenziale che pagano meno di affitto no ! Per quello bisogna sospendere gli sfratti. E non solo, non posso nemmeno accettare nella mozione del MoVimento 5 Stelle che si voglia portare tutto dentro l'INPS.
  Pensiamo a quelle casse virtuose – e ce ne sono – che hanno tutelato i propri iscritti: improvvisamente dobbiamo riunire tutto perché lo Stato non è in grado di gestire i propri enti di previdenza, che sarebbero molto ricchi se non venisse fatto pagare a loro, per esempio all'INPS, il buco dell'INPDAP. Nove miliardi di buco perché gli enti pubblici non pagano i contributi – la parte di loro spettanza – per i loro dipendenti. Non ci stiamo a farla pagare, questa vergogna, ai liberi professionisti !
  Mi auguro – probabilmente sono un illuso – che ci sia ancora attenzione verso questo Parlamento da parte dei cittadini, da parte di quelle persone che faticano a lavorare con la propria libera professione, che faticano ad arrivare a fine mese, che fanno sempre più fatica a pagare i contributi. Che ci sia un'attenzione perlomeno, poiché esiste ancora una forza politica in questo Parlamento che reclama giustizia e non ricerca continuamente marchette elettorali (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).

  PRESIDENTE. Constato l'assenza della deputata Saltamartini, che aveva chiesto di parlare per dichiarazione di voto: s'intende che vi abbia rinunziato.
  Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Piazzoni. Ne ha facoltà.

  ILEANA CATHIA PIAZZONI. Signor Presidente, colleghe e colleghi, signori del Governo, siamo decisamente molto delusi dal respingimento della nostra mozione perché quello che noi proponevamo – quello su cui ancora ci permettiamo di invitare a ripensarci e, quindi, a votare – riguarda la dignità, le condizioni di vita e i diritti fondamentali di migliaia di persone. Vorrei che questo fosse ben chiaro, perché si rifletta attentamente, questa volta, prima di sciorinare il solito «vorrei ma non posso».
  Non mi soffermo sugli argomenti alla base della nostra mozione e delle altre che ci accingiamo a votare, avendoli illustrati ampiamente assieme ai colleghi intervenuti in sede di discussione.
  Quello che oggi voglio affermare con forza sono le ragioni che muovono le nostre richieste e le conseguenze che scaturiranno dalle nostre decisioni.
  Le vicende che investono le dismissioni immobiliari degli enti previdenziali pubblici e privatizzati si inseriscono a pieno titolo nella drammatica situazione di emergenza abitativa che scuote il Paese, emergenza che solo grazie all'azione dei movimenti per la casa e per il diritto all'abitare ha trovato finalmente spazio sui media e viene ammessa oramai Pag. 50da tutti i componenti di questo Governo quando vengono direttamente interrogati in materia.
  Questa è una mozione specifica che riguarda gli immobili degli enti previdenziali, ma non si può approcciare a questo tema senza tenere in considerazione la situazione generale, perché gli inquilini sfrattati dagli enti si vanno ad aggiungere a una situazione di numeri di sfratti non più tollerabile per un Paese civile.
  E di sicuro, se il blocco degli sfratti – assolutamente indispensabile a nostro modo di vedere – suscita giustamente allarme nei cittadini privati proprietari, proprio non si vede la difficoltà ad attuare un blocco degli sfratti per abitazioni di proprietà di enti che sono o pubblici o privatizzati ma – non ci stancheremo mai di ripeterlo – che mantengono finalità di carattere pubblico o sociale. Una soluzione naturalmente provvisoria, in attesa che siano trovate le necessarie soluzioni. Soluzioni a una situazione di norme contraddittorie, disorganiche e difformi che ha consentito agli enti previdenziali privatizzati di operare dismissioni immobiliari come una qualsiasi società privata interessata solo agli utili, danneggiando gli inquilini a cui sono stati imposti aumenti dei canoni di locazione e dei prezzi di acquisto degli immobili assolutamente spropositati rispetto anche al reale valore catastale, e che hanno subito e continuano a subire sfratti e sgomberi, sempre più spesso per morosità incolpevole, data la crisi economica.
  Se, come ha ribadito il Consiglio di Stato in una sentenza di un anno fa, la trasformazione operata dal decreto legislativo n. 509 del 1994 ha lasciato immutato il carattere pubblicistico dell'attività istituzionale di previdenza e assistenza svolta dalle casse privatizzate, che conservano una funzione strettamente correlata all'interesse pubblico, costituendo la privatizzazione una innovazione di carattere essenzialmente organizzativo, la legge – che non modifica per tali enti l'obbligatorietà dell'iscrizione e della contribuzione, la natura di pubblico servizio, il potere di ingerenza e di vigilanza ministeriale – fa permanere il controllo della Corte dei conti sulla gestione per assicurarne la legalità e l'efficacia.
  Inoltre, il finanziamento connesso con gli sgravi e la fiscalizzazione degli oneri sociali, insieme alla obbligatorietà dell'iscrizione e della contribuzione, garantiti agli enti previdenziali privatizzati dall'articolo 1, comma 3, del predetto decreto legislativo, valgono a configurare un sistema di finanziamento pubblico, sia pure indiretto e mediato attraverso risorse comunque distolte dal cumulo di quelle destinate a fini generali.
  Per essere chiari, non si tratta di attività e investimenti totalmente privati, come si possono quindi giustificare gli avventati investimenti in rischiosissimi fondi speculativi realizzati da alcuni enti che pure esistono per gestire di fatto risorse pubbliche, o per meglio dire, risorse che acquisiscono non attraverso la libera scelta del cittadino, ma attraverso un obbligo imposto dallo Stato ? Sono state in larga parte queste operazioni speculative, che nulla hanno a che fare con la tutela previdenziale, che hanno portato a lucrare sul diritto alla casa degli inquilini per coprire quelle perdite.
  Per questo chiediamo che, tra l'altro in linea con le risoluzioni parlamentari approvate nella scorsa legislatura, si assumano iniziative concrete per chiarire il quadro normativo entro cui deve svolgersi l'alienazione degli immobili degli enti previdenziali privatizzati, perché si stabiliscano finalmente procedure trasparenti ed uniformi, che impediscano irragionevoli e ingiuste disparità di trattamento.
  Un quadro normativo chiaro che parta dall'abrogazione della legge di interpretazione autentica – o meglio, cosiddetta di interpretazione autentica – contenuta nell'articolo 1, comma 38, della legge 243 del 2004, norma che ha consentito agli enti interessati di procedere ad operazioni di dismissione del proprio patrimonio immobiliare a prezzi di mercato e con valori correnti, per cui i conduttori di immobili appartenenti a enti pubblici, anche quando privatizzati successivamente all'entrata in vigore della legge che ha disposto Pag. 51il passaggio a fondazioni o associazioni private, si sono trovati a pagare un prezzo tre o quattro volte superiore rispetto a quello riservato in passato a un altro inquilino che ha acquistato un immobile appartenente ad un ente pubblico con le stesse caratteristiche.
  Tutto ciò non è tollerabile ed è avvenuto non certo per tutelare i contribuenti di categoria, caro collega della Lega, ma per ripianare deficit di cassa e di bilancio diversi, dovuti a gestioni amministrative più o meno oculate.
  La portata normativa innovativa della norma in questione, tra l'altro, è stata dichiarata dalla Corte di cassazione sicuramente non di interpretazione autentica, ma innovativa appunto, e quindi non ci dovrebbero essere dubbi sulla necessità di superare gli effetti pregiudizievoli causati da quest'ultima.
  Noi apprezziamo l'accoglimento degli impegni previsti dalla mozione Morassut per quel che concerne gli immobili degli enti pubblici, pur trovando decisamente troppo blanda la formulazione di impegno per il blocco degli sfratti per questi enti verso cui non dovrebbe esserci alcun dubbio data la situazione di emergenza, ma restiamo veramente attoniti di fronte alla mancata volontà di fare quello che uno Stato dovrebbe avere come compito prioritario: intervenire a tutela dei diritti di coloro che si trovano nella posizione svantaggiata nei rapporti di forza. Che questo non riesca ad essere fatto nemmeno nei confronti di soggetti giuridici che senza lo Stato non esisterebbero, è davvero clamoroso.
  Un esempio illuminante a riguardo può riscontrarsi nel recente pignoramento dei conti correnti, avvenuto nei confronti di inquilini dell'Enpaia da parte della fondazione stessa, per il pagamento delle spese su di un pregresso contenzioso giudiziario. Tutto ciò mentre numerose unità abitative dell'ente rimangono vuote e inutilizzate. Non si venga a raccontare che le ragioni della finanza pubblica e delle categorie previdenziali interessate sono tutelate maggiormente pignorando i conti correnti degli inquilini invece che realizzando una corretta dismissione e locazioni eque degli immobili.
  Siamo convinti che gli stessi che versano obbligatoriamente i loro soldi alle casse previdenziali non siano del tutto indifferenti alle conseguenze sociali degli investimenti che queste effettuano. Chissà, se l'operato dei consigli di amministrazione fosse più trasparente, potrebbe persino succedere che i risparmiatori stessi potrebbero dettare criteri guida gestionali orientati non solo esclusivamente al massimo profitto, tanto più che di solito quel profitto non arriva certo nelle tasche di chi ci si fregia di voler tutelare.
  Insomma, signor Presidente, siamo di fronte ad un'esigenza di giustizia sociale improrogabile, che non può continuare ad essere posta alla pari in un confronto con istanze ragionieristiche di bilancio e di finanza.
  Per questo continueremo a chiedere con forza che si fermino le procedure di alienazione degli immobili degli enti previdenziali privatizzati in corso e che si prevedano prezzi di vendita equi, che si intervenga per bloccare gli aumenti spropositati dei canoni di locazione e soprattutto si intervenga con una moratoria sugli sfratti, specialmente quelli per morosità incolpevole.
  Riteniamo purtroppo che le soluzioni contenute nella mozione di maggioranza, così come riformulata su indicazione del Governo, abbiano tutti i crismi di un compromesso al ribasso. Intravediamo degli sforzi in merito alla ripresa delle alienazioni degli immobili rientranti nel patrimonio degli enti previdenziali pubblici e siamo favorevoli al doveroso richiamo alle garanzie sancite dalla legge n. 410 del 2001.
  E voteremo a favore di questi se ne sarà consentita la votazione separata.
  Restiamo, invece, profondamente contrari al respingimento degli impegni richiesti in merito a provvedimenti ed iniziative capaci di garantire tutele efficaci anche per gli inquilini di immobili appartenenti agli enti previdenziali privatizzati.
  Dalle riformulazioni proposte dal Governo non si evince alcuna volontà di Pag. 52chiarire e uniformare il guazzabuglio normativo che regola le dismissioni in materia. Si manifestano solo delle semplici dichiarazioni di intenti, neanche troppo convinte, dirette più che altro a conservare lo stato delle cose e a rinviare decisioni che impongono risposte concrete. Una pratica ben nota a questo Esecutivo, spesso incapace di intervenire in maniera convinta verso soluzioni di maggiore giustizia sociale.
  Signor Presidente, onorevoli colleghi, la situazione del Paese è di certo molto grave, e la questione che riguarda gli inquilini degli enti è una delle tante tragedie che colpiscono ormai quotidianamente persone che fino a non molto tempo fa potevano condurre una vita dignitosa.
  Concludo subito. Si dice spesso che si vorrebbe tanto intervenire, ma non è possibile per via delle compatibilità economiche. Ecco, in questo caso, basterebbe voler dedicare una seria attenzione alla contemperazione dei vari interessi in campo per trovare soluzioni che porterebbero vantaggio ai cittadini e non provocherebbero affatto disastri nella contabilità pubblica. Farebbero venir meno qualche profitto...

  PRESIDENTE. Dovrebbe concludere.

  ILEANA CATHIA PIAZZONI. ... di chi ama giocare sulla grande giostra della finanza per rimediare con la speculazione alla propria incapacità gestionale. Un Governo serio saprebbe che gli interessi di questi ultimi, degli speculatori, vanno messi all'ultimo posto, e non al primo.

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 15,30).

  PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.

Si riprende la discussione di mozioni (ore 15,31).

(Ripresa dichiarazioni di voto)

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Sberna. Ne ha facoltà.

  MARIO SBERNA. Signor Presidente, l'attuale congiuntura economica rende evidentemente necessario sostenere una strategia di politica abitativa intesa a favorire l'accesso alla proprietà della prima casa da parte delle famiglie, spesso monoreddito, spesso anziane, che, specialmente negli ultimi anni, si trovano a patire l'enorme crescita dei prezzi d'acquisto degli immobili, dal 91 al 366 per cento, già nelle zone periferiche delle principali città e l'aumento spropositato dei canoni delle locazioni, dal 96 a 221 per cento, nonché l'impossibilità di poter disporre del diritto di prelazione a causa della vendita o del conferimento di interi edifici da parte degli enti e delle casse di previdenza e di assistenza. È dunque necessario mettere in atto una vera e propria risposta ad un forte e sentito problema sociale, soprattutto nei grandi centri urbani.
  In concreto, nella mozione, si dice: «provvedendo eventualmente all'alienazione in favore dei conduttori di unità abitative»; noi quell’«eventualmente» vorremmo trasformarlo in un «necessariamente» poiché si tratta dell'alienazione di alcune centinaia di unità abitative, tra l'altro di vecchia costruzione, di oltre quarant'anni e quindi di immobili vetusti, che hanno la necessità tra l'altro di continue e costose manutenzioni straordinarie. Ecco, la cessione ad un prezzo equo, tenendo conto, da un lato, del lungo tempo per il quale l'ente proprietario ha avuto la possibilità di ben remunerare il proprio investimento, peraltro avendolo ammortizzato e goduto con i benefici di legge al momento dell'acquisto dell'immobile, dall'altro, dei significativi obiettivi di politica sociale che si intendono perseguire.Pag. 53
  Le unità abitative in parola, negli ultimi quindici anni, avevano già consentito ai soggetti proprietari di realizzare buoni margini di profitto accentuati dalle locazioni con contratti a patto libero indicizzato, frequentemente derivanti dalla trasformazione dei canoni sociali.
  Si auspica, dunque, in tal modo di consentire l'accesso alla proprietà dei beni in questione unicamente a coloro che ne abbiano diretto ed effettivo interesse, neutralizzando, a sua volta, intenti speculativi da parte dell'ente o dell'acquirente. Perché questo possa succedere, dopo tutto, è sufficiente procedere all'acquisto dell'unità abitativa solo se il conduttore, il coniuge, o altro familiare convivente non siano proprietari di altra unità abitativa libera idonea nell'ambito dello stesso comune, e prevedere che l'immobile acquistato non possa essere alienato, locato, o comunque reso oggetto di cessione a titolo oneroso per almeno dieci anni dall'acquisto.
  Sono consigli che diamo attraverso la mozione in oggetto per poter dare una risposta a questa grave carenza di abitazioni – soprattutto per le famiglie a basso reddito – che auspichiamo venga fatta propria dal Governo.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Antimo Cesaro. Ne ha facoltà.

  ANTIMO CESARO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, il problema della casa è sempre più attuale, soprattutto in questo momento di crisi generalizzata che investe tutto il Paese e che interessa ormai larghi strati della popolazione; sono a rischio, oltre alle tradizionali categorie, anche le fasce di ceto medio. L'emergenza abitativa costituisce dunque uno dei fattori di maggiore e crescente tensione sociale. Coniugare ripresa ed equità sociale con gli obiettivi di risanamento del bilancio pubblico non è certo facile, tanto più che la crisi economica perdura, i prezzi di mercato degli immobili sono previsti in ulteriore calo, il credito non viene concesso e la fiducia delle famiglie è al minimo storico. La mozione che come forze politiche di maggioranza abbiamo presentato in aula mira a risolvere un'annosa questione: la dismissione dell'immenso patrimonio immobiliare degli enti previdenziali, ad oggi in gran parte ancora invenduto. La gravità del problema è stata posta in evidenza anche dal Ministro Saccomanni che ha affermato di voler intervenire «con più decisione nel valorizzare l'immenso patrimonio pubblico immobiliare» (tra virgolette). Il Ministro conferma quindi di voler accelerare con decisione sulle dismissioni immobiliari con un programma straordinario, tale da consentire introiti per gli anni 2014-2016 non inferiori a 500 milioni di euro annui. È opportuno sottolineare che le dismissioni non riguardano solo gli immobili locati da famiglie, ma anche centinaia e centinaia di immobili, cosiddetti strumentali, che si sono liberati a seguito della fusione tra INPS, INPDAP, INPDAI ed ENPALS. Si tratta di immobili molto spesso abbandonati che rappresentano un costo per le eventuali manutenzioni e che sono talvolta esposti ad atti vandalici ed a occupazioni illegali, queste sì veramente sine titulo. Per quanto concerne gli immobili locati riteniamo che non vi sia ad oggi strada migliore che quella di vendere direttamente in tempi rapidi agli inquilini le case in cui essi vivono da decenni e ciò anche al fine di prevenire situazioni di disagio sociale, con particolare riguardo alle famiglie con reddito medio-basso. Per far ciò, è importante adeguare il quadro normativo e regolamentare per consentire e accelerare le dismissioni, affrontando nel concreto tutte le criticità che sono emerse negli anni passati. Le problematiche sono relative sia al blocco delle vendite degli immobili residenziali dell'INPS sia al contenzioso giudiziario e la mozione presentata va in tal senso. Essa impegna il Governo ad uniformare le condizioni di acquisto tra tutti gli inquilini eliminando le disparità e risolvendo il contenzioso giudiziario da esse originato, pur garantendo – mi piace sottolinearlo – un adeguato introito per lo Stato e contemperando così le esigenze di redditività della finanza pubblica dei processi di alienazione con quelli sociali. Pag. 54Tuttavia, il timore è che con questa nuova operazione si allunghino i tempi delle ormai antiche dismissioni immobiliari degli enti previdenziali pubblici e si creino nuove disparità di trattamento tra inquilini degli immobili residenziali ex cartolarizzati.
  È doveroso quindi che vengano considerate le legittime aspettative degli inquilini che dopo diciassette anni dall'avvio del processo di vendita non sono stati ancora messi in condizione di poter acquistare la loro prima abitazione.
  Si tratta in molti casi, come ha ricordato anche il collega Sberna, di famiglie costituite da anziani, ex dipendenti degli enti, pensionati, lavoratori dipendenti e cittadini con reddito medio-basso.
  Il Governo si è impegnato, questo ci fa molto piacere, ad ispirarsi a criteri di tutela e salvaguardia dei nuclei familiari che presentano condizioni di maggiore disagio economico o a rischio di esclusione sociale.
  Dunque, se l'obiettivo è far veramente ripartire le dismissioni, si deve superare innanzitutto la situazione di stallo delle vendite venutesi a creare per le unità immobiliari rimaste invendute e ritrasferite agli enti previdenziali.
  Di queste centinaia e centinaia, migliaia di immobili rimaste invendute, l'80 per cento, dopo i già ricordati accorpamenti, sono abitazioni dell'INPS e fra queste vi sono anche immobili cosiddetti di pregio, per l'ubicazione, e non certo per le loro condizioni, i cui inquilini hanno subito una vera e propria discriminazione, perché, a differenza di tutti gli altri, sono stati esclusi dallo sconto del 30 per cento e dallo «sconto di blocco», e non sono quindi stati messi in condizione di acquistare l'immobile, che rimane a prezzo pieno.
  Riteniamo necessario, poi, come evidenziato nella mozione, poter pervenire a criteri di definizione della natura di pregio degli immobili, intervenendo con precise disposizioni normative per risolvere l'annosa vicenda che li riguarda. Ciò potrà contribuire a sbloccare immediatamente le vendite dirette a favore degli inquilini INPS e INAIL, garantendo, a un prezzo di vendita equo – sottolineo, a un prezzo di vendita equo – e nel rispetto della funzione di garanzia economico-finanziaria che tale patrimonio riveste, l'esigenza dello Stato di incassare risorse significative, utili ai fini del perseguimento degli obiettivi di bilancio ed eventualmente – sarebbe veramente qualcosa che ci fa piacere, sarebbe un bel segnale – da destinarsi alla riduzione della pressione fiscale e magari, perché no, a contrastare il disagio abitativo per le giovani coppie, soprattutto nei centri ad alta densità di popolazione.
  Riteniamo, pertanto, opportuno che il Governo assuma tempestive iniziative al fine di chiarire il quadro normativo che regolerà il processo di alienazione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici. Riteniamo, dunque, opportuno che sia rispettato un giusto equilibrio tra i diritti di prelazione e di equa locazione degli inquilini degli immobili oggetto di dismissione e le esigenze della finanza pubblica, senza svendite e nel rispetto dei principi di piena trasparenza, conoscibilità e rendicontazione, e ciò in coerenza con le finalità pubbliche proprie degli enti previdenziali, ancorché privatizzati.
  Per questi motivi, auspicando una rapida esecuzione degli impegni assunti dal Governo, dichiaro il voto favorevole alla mozione di maggioranza del gruppo di Scelta Civica (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Abrignani. Ne ha facoltà.

  IGNAZIO ABRIGNANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo oggi chiamati a discutere alcune mozioni concernenti uno dei problemi di questo nostro Paese: la casa. Sono ormai decenni che il problema si è trasformato in emergenza, nonostante le notevoli evoluzioni, e ne parlo in modo positivo, a cui abbiamo assistito dal secondo dopoguerra ad oggi, Pag. 55che ci ha visto arrivare ad altissime percentuali di nuclei familiari proprietari di almeno una casa di abitazione. Ma, ahimé, sono tempi passati !
  Oggi l'emergenza abitativa costituisce, nell'attuale crisi economica che colpisce il Paese, uno dei fattori di maggiore e crescente tensione sociale, che interessa larghi strati della popolazione, appartenenti, oltre che alle tradizionali categorie a rischio, anche a fasce di ceto medio, professionisti e famiglie con doppio reddito, con oltre 430 mila famiglie in difficoltà con il pagamento dei mutui.
  Le politiche del passato erano riuscite a dare una significativa attuazione all'articolo 47 della Costituzione, che indirizzava il risparmio verso la proprietà dell'abitazione, in combinato disposto con l'articolo 42, a tutela della proprietà, creando un sistema che poggiava su un sistema fiscale non avverso, un sistema creditizio favorevole ed una serie di ammortizzatori sociali che trovavano negli enti previdenziali pubblici un player importante sul versante dell'acquisto e della messa a disposizione di immobili verso quelle categorie sociali che, specie in questa città, nella città di Roma, necessitavano di abitazione.
  Dalla metà degli anni Novanta vi è stato un vasto piano di dismissione immobiliare degli enti previdenziali pubblici, attraverso l'azione di specifici soggetti societari specificamente costituiti, le famose SCIP 1 e SCIP 2, sfrondando tali enti di gran parte del proprio patrimonio. Non è questa la sede per valutarne gli eventuali risultati e per giudicarne gli effetti da un punto di vista economico, o meglio finanziario; certo, sarebbe bene non dimenticare mai che, quando parliamo del problema abitativo, intendiamo primariamente un problema sociale del nostro Paese.
  Non possiamo però omettere di ricordare come gli enti previdenziali, nelle loro numerose articolazioni anche relative soprattutto ad ordini professionali, banche ed assicurazioni, tendono a calmierare un mercato con canoni di locazione accessibili.
  Infatti, parte essenziale della crisi abitativa è legata alla dismissione del patrimonio abitativo degli enti previdenziali pubblici e privatizzati; processo che ancora oggi, in gran parte concentrato qui a Roma, riguarda circa 100 mila famiglie, in gran parte concentrate in questa capitale, e in questo ambito gli affittuari degli immobili degli enti previdenziali privatizzati vivono una condizione di particolare disagio con aumenti consistenti dei canoni di affitto per il rinnovo dei contratti di locazione, anche a uso commerciale, e con proposte di acquisto dell'alloggio da parte degli enti con prezzi a valore praticamente di mercato.
  Come è oggi indicato nella mozione di maggioranza dei colleghi Morassut ed altri, la condotta degli enti privatizzati per i rinnovi contrattuali e le vendite è regolata da una serie di provvedimenti succedutisi nel tempo, disorganici e a volte contraddittori, che creano molte incertezze e dubbi normativi sulla piena legittimità, oltre che sostenibilità sociale, delle procedure in atto come segnalato dalla Corte di cassazione con la sentenza a Sezioni unite del 22 giugno del 2006, e da un'eterogeneità di situazioni tra ente ed ente che rischia di creare situazioni di iniquità di trattamento, aumentando lo stato di disagio confuso e soprattutto diffuso.
  La nostra impostazione è diversa da quella qui seguita; noi siamo affinché la proprietà privata sia tutelata e incentivata e affinché sia sempre più diffusa, specie per gli immobili con destinazione ad uso abitativo; da qui le nostre battaglie, soprattutto quella per l'abolizione dell'IMU, una tassa iniqua, ingiusta e che di fatto lede un diritto costituzionale, quello di avere una propria abitazione. Però siamo anche consapevoli che, in una fase che vede giustamente un arretramento della sfera pubblica da interventi diretti, siano favoriti gli investitori privati incentivandoli soprattutto con politiche fiscali chiare, certe e inequivocabili.
  Noi siamo perché il diritto alla casa sia garantito, perché i diritti degli inquilini siano garantiti, ma al contempo siano garantiti anche i diritti dei proprietari Pag. 56specie se piccoli, che spesso hanno investito i risparmi frutto di sacrifici di una vita in un'altra abitazione messa a reddito, tutelandoli dalle morosità e garantendo loro tempi certi nelle procedure di sfratto, anche se qui andiamo oltre e tocchiamo un'altra drammatica emergenza sociale che è quella della giustizia civile, ulteriore causa di questa drammatica crisi.
  Passando ad esaminare le mozioni presentate, le stesse non sono per noi condivisibili nelle parti soprattutto in cui tendono ad assimilare gli enti di previdenza pubblica con quelli privati.
  Gli enti privati che gestiscono la previdenza obbligatoria, soprattutto, per esempio, dei liberi professionisti, devono utilizzare il proprio patrimonio immobiliare al solo fine di garantire, nel tempo, le prestazioni assistenziali e pensionistiche dei propri iscritti. L'eventuale vendita di immobili deve dunque essere realizzata per ottimizzarne la gestione e per qualificare ulteriormente il patrimonio di ciascun specifico ente. Spetta dunque a ciascun ente privato la decisione di tempi e modi della eventuale vendita di parte del proprio patrimonio. Imporre vincoli o aprire tavoli di concertazione, seppure ragionevole, è una strada che rischia di aumentare l'incertezza sulle procedure di un'eventuale alienazione immobiliare e più in generale per l'assetto stesso della previdenza obbligatoria gestita da enti privati. Fermo restando l'obbligo che sussiste di vigilanza pubblica sulle procedure di alienazione queste però non possono essere lette come semplice speculazione, ma quale tutela del risparmio di chi ha investito o di chi deve prendere la pensione da questi enti previdenziali.
  Per le medesime ragioni non si può pensare di utilizzare il patrimonio degli enti privati di previdenza per affrontare l'emergenza abitativa, anche se alcune unità immobiliari sono inutilizzate o sfitte. I canoni riconosciuti, nel rispetto delle norme vigenti, non possono inoltre essere vincolati a funzioni che non ricadono sugli enti privati e che, al contrario, devono essere affrontati nell'ambito degli impegni di finanza pubblica.
  Per quanto poi attiene l'ipotesi di ulteriore proroga nel blocco degli sfratti, come qualcuno ha chiesto, non si può non sottolineare che questa interessa una parte minima del quadro complessivo di famiglie in difficoltà abitativa. Difficoltà che può essere superata solo attraverso un rilancio del mercato dell'affitto. Mercato che può ripartire solo se i piccoli proprietari si sentiranno tutelati nei loro diritti e nella possibilità di ritrovare la disponibilità dei loro immobili al termine del contratto o in caso di grave morosità del conduttore: è un diritto che noi comunque dobbiamo tutelare a chi ha dato in affitto o chi – ente pubblico o ente privato – ha permesso ai cittadini di risolvere il problema dell'affitto grazie a questo intervento. Il diritto di riavere la casa in caso di morosità è un diritto che questo Paese, la giustizia civile di questo Paese oggi non consente ed è un diritto sul quale dobbiamo assolutamente riflettere.
  Per quanto riguarda infine gli immobili di pregio degli enti pubblici, è condivisibile il richiamo fatto all'esigenza di accelerare i piani di vendita già approvati ed avviati, per non lasciare, da un lato, l'incertezza delle famiglie e, dall'altro, l'impegno anche economico e finanziario, degli enti. Non si comprende tuttavia perché si debba tornare – così come qualcuno ha chiesto – a modificare la legislazione che già definisce la condizione di pregio. Come per l'intero processo di dismissioni, qui si deve accelerare e portare a compimento il grande piano di privatizzazioni avviato nel 2001 dal Governo Berlusconi e che nelle sue prime fasi ha dato importanti risultati economico-finanziari per la finanza pubblica, nel pieno rispetto dei diritti dei singoli inquilini.
  Le diverse mozioni, in conclusione, contengono alcuni elementi condivisibili, ma ciascuna tende a frammentare ulteriormente una materia già complessa e articolata e che, al contrario, dovrebbe vedere la Camera sollecitare, con crescente forza, il Governo...

  PRESIDENTE. Deputato Abrignani...

Pag. 57

  IGNAZIO ABRIGNANI. Ho concluso...a metterla in pratica e a chiedere eventuali miglioramenti, nel rispetto dell'impianto complessivo.
  Il nostro voto sarà pertanto contrario a queste mozioni, e unicamente di astensione rispetto alla mozione presentata della Lega Nord, che comunque rispetta il principio dell'indipendenza delle finalità degli enti privati di previdenza (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Grillo. Ne ha facoltà.

  GIULIA GRILLO. Gentile Presidente, gentili deputati, siamo stanchi, stanchi di fronteggiare i disastri di cui questo Parlamento è stato più volte protagonista, di cui i partiti ai quali appartenete sono stati più volte responsabili, e non interessa, e poco conta, che voi ci siate dentro con un piede, con un dito, con le vostre mani e con tutti voi stessi. Per me, per noi conta che voi siate nel sistema; un sistema iniquo, disorganizzato, ai limiti del caos, contraddittorio, ipocrita; in soli dieci giorni due organi, la Corte dei Conti e la Consulta hanno dato l'ennesimo colpo alla vostra boria, alla vostra cecità impietosa, tanto impietosa da sembrare persino ridicola, e la storia di questi enti privatizzati è davvero alla vostra altezza, anzi forse dovrei dire, alla bassezza dei vostri partiti: enti di previdenza che avrebbero dovuto essere pubblici, perché pubblico è l'interesse che perseguono, pubblico, sì pubblico, una parola che lasciate nel vocabolario di questo Paese solo perché è lì che voi, con il vostro voto in quest'Aula, consentite che chi vuole, dentro e fuori questo Parlamento, rubi, trafughi e poi, con il bottino scappi per mete esotiche, fiscalmente paradisiache. Enti di previdenza pubblici, dicevamo, che, con un colpo di genio, nel 1994, dall'allora Governo Berlusconi, con gli ottimi Ministri Mastella, Dini, Urbani, Biondi, sono stati privatizzati, regalando a privati senza scrupolo, l'intero patrimonio, mobiliare o immobiliare, conquistato con il sudore del lavoro di cittadini onesti e legittimi. Perché in Italia funziona così: tu lavori, sudi, paghi tasse e contributi, finché qualche gentil signore, qualche bravo comunicatore, come allora era Berlusconi – oggi condannato – come oggi è Renzi – oggi condannato – prende i tuoi sacrifici e li butta via, affinché vadano in paradiso, i tuoi sacrifici: un bel paradiso fiscale, dove tu non hai accesso, perché tu sei il servo, loro i padroni, che giocano con le privatizzazioni come se stessero giocando una banale partita a Monopoli.
  Ma siamo noi che siamo pazzi oggi, oppure è la situazione di questi enti privatizzati, che da una parte oggi – non domani: oggi – sta privando dell'abitazione interi nuclei familiari, centinaia di migliaia di persone, e dall'altra parte domani non sarà in grado di garantire le pensioni a migliaia di lavoratori onesti e probi ? Questa situazione è veramente così grave o ce la stiamo inventando noi ? Quando la mattina vi fate la rassegna stampa, li leggete gli articoli che parlano di queste cose o li saltate a piè pari ? Perché io qui ve ne posso mostrare alcuni, se volete.
  Ma ve ne siete accorti che su questi enti avrebbe dovuto vigilare il Ministero dell'economia e delle finanze dei vostri Governi, che per 20 anni avete avuto voi nelle vostre mani ? Qualcuno se n’è accorto, tant’è che nel 2010 sono state presentate ben tre mozioni: PD, PdL e UdC, tre dei partiti che hanno governato negli ultimi 20 anni e che erano tutti qui quando venne votata quella legge che oggi, a ben vedere, la n. 509 del 1994, se qualcuno avesse fatto ricorso, sarebbe stata dichiarata illegittima proprio come il «porcellum» (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). E chissà quante altre di quelle maledette e inique leggi che avete pensato, votato e varato per distruggere la parte buona di questo Paese potrebbero essere dichiarate illegittime con lo stesso iter.
  È stata approvata anche una risoluzione nel 2010 da parte dell'VIII Commissione della Camera, che non è servita a niente. E non è un caso amici cittadini. Pag. 58Non è un caso, ed è a voi che mi rivolgo: ma pensate davvero che i problemi possano essere risolti dagli stessi partiti che quei problemi li hanno creati ? Ma non solo noi diciamo che quella legge, la n. 509 del 1994, è illegittima per violazione degli articoli 3, 24 e 73 della Costituzione, non solo noi diciamo che è illegittimo l'articolo 1 comma 38 della legge n. 104 del 1996, non solo: siamo, anzi siete, in contrasto con la direttiva europea 2004/18/CE, che annovera chiaramente tali enti come organismi di diritto pubblico; tanto è vero che, tanto è vero che tali organismi sono stati inseriti nel conto economico consolidato delle pubbliche amministrazioni e non invece nel bilancio generale dello Stato. Come mai ?
  La risposta è semplice, e non è quella ipocrita che si dà la maggioranza e il Ministro in persona affermando che, siccome sono enti privatizzati, che rispondono a quella legge obbrobrio che è verosimilmente incostituzionale come affermiamo, non vanno computati nel bilancio statale. No: la verità è che questi enti presentano buchi di bilancio milionari le cui entità non sono neanche note (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  Questo perché anziché perseguire l'interesse pubblico si sono improvvisati giocatori in borsa, investendo in titoli tossici ad alto rischio, quando non glielo aveva chiesto nessuno, nessuno degli iscritti, nessuno dei contribuenti. Quando consiglieri audaci, senza alcun controllo e vigilanza da parte dei vari Ministri dell'economia che dal 1994 ad oggi si sono succeduti, hanno messo a repentaglio i risparmi dei lavoratori creando disavanzi che ora cercano di colmare sopravvalutando il patrimonio immobiliare; chiedendo canoni di affitto pari a 2100-2300 euro al metro quadrato per alloggi ultrapopolari, mai manutenuti, con impianti non a norma, costruiti negli anni Sessanta. Ma lo sapete quanto ci vuole per guadagnare 2 mila euro netti ?
  Ma vi rendete conto che questo è strozzinaggio ? È usura legalizzata da questo Stato, da voi che vi apprestate a bocciare il punto della nostra mozione che prevede proprio che la gestione immobiliare degli enti privatizzati debba seguire le stesse regole degli enti di previdenza pubblici, perché i cittadini sono tutti uguali davanti alla legge. Vi rendete conto che vi chiediamo di analizzare la responsabilità finanziaria del presidente e del CdA di Enasarco e voi fate orecchie da mercante ? Vi rendete conto che di fronte alla legittima e sacrosanta richiesta di verificare, tramite ispezione dell'Agenzia delle entrate, la reale rispondenza delle categorie catastali degli immobili di proprietà Enasarco a quelle denunciate dallo stesso ente, il Governo non ha detto una sola parola ?
  Se non ci fosse nulla da nascondere, perché non votare favorevolmente questo punto della nostra mozione ? Qui stiamo parlando di Enasarco naturalmente, di un ente il cui presidente, per statuto, dovrebbe essere un agente di commercio e invece non lo è; di un ente sui cui vertici indaga la magistratura; di un ente dal quale si è dimesso il vicepresidente Andrea Pozzi che, in una lettera indirizzata al presidente Boco, muove delle accuse pesantissime nei confronti dello stesso. Pozzi che, per il fatto di aver denunciato la rischiosità degli investimenti messi in opera da Enasarco ha verosimilmente subito intimidazione ed è stato costretto alle dimissioni e a sporgere querela. E su cui leggiamo l'ottimo articolo del giornalista Grasso sul Il fatto quotidiano del 29 novembre, perché quando il giornalismo è serio è amico dei cittadini e della verità... (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  Un articolo in cui si parla della nota CMS (ex antrhracite), trasferita nel 2011 per una valore nominale di 780 milioni di euro – briciole per voi, certo – al comparto Res Capital Protection della società di investimento capitale variabile Europa Plus, gestita dalla Gwm di Sigieri Diaz Pallavicini, finanziere legato a Marco Tronchetti Provera e di Massimo Caputi, già alla guida del carrozzone di Stato Sviluppo Italia ed ex rappresentante di – guarda, guarda – Francesco Gaetano Caltagirone Pag. 59al Monte dei Paschi di Siena. L'investimento nella relazione di bilancio finisce nella voce investimenti alternativi dietro cui potrebbero nascondersi perdite potenziali da oltre 500 milioni di euro, ovvero la differenza fra il valore di mercato degli asset, 1,9 miliardi, e quello di mercato, 1,4 miliardi.
  Ma che dire poi degli altri enti che non sono da meno ? Parliamo dell'ENPAM, la cassa di previdenza dei medici; in proposito esaminiamo la storia personale del consigliere Dallocchio, fino al 2010 «consigliere esperto» di ENPAM, che era contemporaneamente docente alla Bocconi, con rettore Monti, amico di Barbara Berlusconi, di Chicco Gnutti e dei Ligresti. Lo stesso «esperto finanziere» due volte sanzionato dalla CONSOB il 9 gennaio 2007 e il 30 settembre 2010 per mancata correttezza e diligenza. Lo stesso guarda caso suggerì e avvalorò l'investimento finanziario ENPAM presso la Lehman Brothers, sponsor della sua cattedra alla Bocconi diretta da Monti. Ma com’è bello questo cerchio che si chiude così ! Ma non finisce qui: l'ENPAM, sempre su suo suggerimento, acquistò 20 milioni in quote del fondo DGPA Capital, che per caso, solo per caso, era di proprietà del Dallocchio, di Girardi, di Pieroni e di Avanzini.
  Potrei stare ore a leggere queste impietose storie che Shakespeare ci avrebbe invidiato, ma mi avvio alla conclusione ed esorto questa maggioranza, ogni singolo deputato, a contraddirmi con il proprio voto, dimostrando che ho detto solo menzogne e che il vostro vero interesse è il destino dei cittadini.
  Voteremo favorevolmente solo due punti della mozione della maggioranza, benché comunque per noi siano parole, parole al vento, parole anche molto generiche, come quelle che dicono di impartire disposizioni affinché nelle more dei provvedimenti da assumere, venga valutata la possibilità di differire l'esecuzione degli sfratti e degli sgomberi. Parole, parole che non hanno prodotto una briciola di risultato fino ad oggi, da cui prendiamo le distanze affinché i cittadini sappiano dove guardare quando dovranno guardare verso un reale punto di riferimento. (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Saluto gli studenti e i docenti del Terzo Circolo di Angri in provincia di Salerno, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
  Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Morassut. Ne ha facoltà.

  ROBERTO MORASSUT. Signor presidente, naturalmente noi voteremo a favore della mozione proposta dalle forze politiche di maggioranza, che è frutto di un lavoro non facile e anche di composizione di diversi punti di vista su questa delicata materia. È una materia che, voglio ricordare, per la prima volta approda in Parlamento, dopo tanti anni di disinteresse e, se posso dire, anche di resistenza da parte dei Governi precedenti, neanche solo degli ultimi, ed è in questo quadro che io non posso che ringraziare anche il lavoro svolto dal Governo attraverso il sottosegretario Dell'Aringa che si è mostrato sensibile alla necessità che il Parlamento finalmente si occupasse di questo tema che riguarda la vita concreta di migliaia di famiglie, non solo a Roma, onorevole Fedriga, ma in tutta Italia, in tutte le grandi città, perché la storia degli insediamenti abitativi di proprietà degli enti, non è una storia locale, è una storia nazionale, che fa parte della lunga storia dello sviluppo dell'edilizia di tipo popolare, di tipo convenzionato, rivolta ai ceti medi e ai ceti medio-bassi. È la prima volta che ne discutiamo e posso dire, senza eccessiva alterigia, che il Partito Democratico ha svolto un ruolo importantissimo perché a questa discussione si arrivasse e si affrontassero anche le complessità che insistono dentro questa ribollente materia. Il tema delle case degli enti si iscrive nel quadro più generale del tema dell'emergenza abitativa in questo Paese.
  È un tema di cui si parla, ne sono pieni i giornali, ne sono piene le discussioni parlamentari, ne sono pieni i dibattiti e i Pag. 60convegni, ma, purtroppo, è un tema del quale non si arriva mai a discutere del nodo fondamentale delle questioni che voglio qui brevemente accennare. L'Italia è un Paese anomalo che ha il 70 per cento circa della proprietà abitativa delle famiglie, ma che ha un mercato dell'affitto inesistente. Una doppia anomalia che non corrisponde al profilo medio dei Paesi europei. Per tanto tempo ci si è illusi che in Italia l'emergenza abitativa fosse scomparsa, ma poi ci si è accorti improvvisamente, quasi come un incubo, negli ultimi 10-15 anni, che stava tornando e stava tornando anche in forme drammaticamente emergenziali. Questo perché il motore fondamentale dell'edilizia pubblica, quella che consente di produrre case per i meno abbienti, si è fermato da troppo tempo e si è fermato e si è impallato, purtroppo irremovibilmente, sul tema del mancato governo del territorio. Non si fa in nessun Paese del mondo, in nessun Paese civile, edilizia per chi sta peggio, se non si affronta il tema del governo dei suoli e della possibilità per le autorità pubbliche di avere suoli a basso costo per fare edilizie a basso costo per i ceti meno abbienti.
  Intorno a questo tema si è consumata la storia del Paese. In questo tema c’è tanta parte del tema del debito pubblico, dei contenziosi che gravano sui comuni per gli espropri non fatti, e c’è il problema dell'indebitamento dei ceti medi, il basso livello dei consumi che viene sostituito dal pagamento delle rette dei mutui. Ed è in questo quadro che si iscrive appunto anche il tema delle case degli enti che ha un doppio profilo. Infatti, la storia di questo Paese – non bisogna mai dimenticarcelo – è una storia complessa, difficile. All'inizio degli anni 2000, intervenne la legge n. 410 del 2001 che, nella mozione, noi rivendichiamo come guida dello smobilizzo a favore degli inquilini, sia per le case degli enti pubblici e ritengo anche per le case degli enti privatizzati. Su questo aspetto avremmo gradito un maggior coraggio da parte del Governo, ma successivamente esaminerò i motivi per cui non ci siamo ancora arrivati debitamente. Infatti, quella è la legge vigente, è la legge che ha regolato la vendita agli inquilini del 90 per cento delle abitazioni, lasciandone fuori appena una quota del 10 per cento che, però, corrisponde a circa 15 mila famiglie italiane.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LAURA BOLDRINI (ore 16,10)

  ROBERTO MORASSUT. Nello stesso tempo, nella mozione noi poniamo la questione dei sine titulo. L'onorevole Fedriga ha ancora sollevato questo tema con particolare polemica. I sine titulo sono famiglie che stanno in quegli alloggi o perché sono subentrate ai familiari o perché, sì, hanno occupato, ma, attenzione, l'INPS o l'INPDAP, gli enti previdenziali pubblici, non è che li hanno sfrattati con la forza pubblica, ma hanno accettato per tanti anni che pagassero l'affitto senza regolarizzare un contratto. E sono situazioni di occupazione che nascono da una condizione di emergenza abitativa incontrollata e crescente di questo Paese e, quindi, gli occupanti hanno diritto che si apra una prospettiva di contrattazione e di regolarizzazione all'interno di un percorso giusto, che dia il «giusto» alle famiglie e al loro diritto e non gravi sui conti dello Stato. La questione degli immobili degli enti di previdenza pubblica, quindi, rappresenta una parte della vicenda che ha un suo binario, la legge n. 410 del 2001, che si è cercato di svellere. Infatti, quando furono fatte le SCIP, la SCIP 1 e la SCIP 2, furono in realtà dei tentativi per far saltare le garanzie e le tutele che erano presenti in quella legge, tant’è che le SCIP sono poi fallite perché i prezzi di vendita stabiliti dalla legge non erano quelli che si erano messi nei conti economici di quelle società di cartolarizzazione immobiliare per gli immobili pubblici.
  E la battaglia degli inquilini e delle forze politiche, anche in modo trasversale, ha mantenuto quel diritto che va conservato anche per le famiglie che non sono state fino ad oggi in condizione di esercitarlo. Diversa è la storia degli enti cosiddetti Pag. 61privatizzati – qui è stata ampiamente narrata – che è una vicenda contraddittoria. Lo dico al Governo perché noi, come Partito Democratico, ci faremo presto latori di una proposta di legge che intervenga sul punto contraddittorio e irrisolto tra quello che prevede il decreto legislativo n. 509 del 1994, che privatizza gli enti, e poi tutte le leggi successive, e le sentenze, ultima delle quali la sentenza n. 6014 del Consiglio di Stato.
  Quest'ultima dice in modo abbastanza sibillino, pur essendo una sentenza amministrativa finale, che questi enti sono enti pubblici perché sono ricompresi all'interno del conto economico definito dall'ISTAT, ma devono essere considerati privatizzati per i loro aspetti organizzativi. Che cosa significa «i loro aspetti organizzativi» ? Significa quindi anche la disponibilità di disporre del loro patrimonio con una gestione in forme privatistiche ? O può essere gestito ai sensi della legge n. 410 come noi chiediamo nella mozione ? Non lo chiediamo con l'esplicitezza che avremmo voluto perché, altrimenti, questa discussione non l'avremmo neanche fatta.
  Voglio ricordare a tanti colleghi che sono intervenuti cercando, su questo, di cogliere una contraddizione, che non esiste da parte della maggioranza: noi abbiamo voluto questa discussione perché finalmente si ponesse anche questo punto e si affrontasse anche la questione di una più chiara definizione giuridica della funzione, del profilo e dei compiti degli enti privatizzati i quali sono enti di gestione, di prestazioni previdenziali, all'interno dei quali i conti vanno visti bene per due aspetti. Mi avvio a concludere rapidamente.
  Il primo è la gestione con le relative politiche di carattere immobiliare, ma soprattutto mobiliare, perché, se è vero che ci sono state gestioni malaccorte, che si è caduti nella tentazione di rincorrere la ventata, l'ondata della borsa internazionale, dell'acquisizione di titoli spesso tossici che mettono in discussione perfino la possibilità di onorare le prestazioni previdenziali nell'arco dei cinquant'anni, questa questione va vista bene da parte degli organi parlamentari, vanno approfonditi quei bilanci, vanno viste quelle scelte e va capito se la gestione di questi enti è stata una gestione malaccorta; va visto fino in fondo e noi lo faremo nelle Commissioni bicamerali e nel Parlamento.
  Il secondo aspetto riguarda anche le strategie di dismissione del patrimonio immobiliare perché c’è qualcosa che non convince. Non tutti questi enti privatizzati si sono mossi nella stessa logica. Chi si è affidato a fondi immobiliari, chi ha seguito altre strategie, chi ha tentato degli accordi sindacali, magari non pienamente condivisi da tutte le sigle ma operanti. Bene quello che andrebbe visto con maggiore lucidità e con maggior chiarezza è il tema delle stime di questi immobili. In molti casi i conti non tornano. In molti casi i conti delle stime dei valori al metro quadro degli immobili che vengono messi in vendita agli inquilini attraverso i fondi immobiliari, sono oggettivamente fuori mercato ed è per questo che, in questa mozione, chiediamo che si attivi immediatamente una vigilanza seria del Governo su quale è l'attività e quali sono le scelte nella politica delle dismissioni immobiliari e della politica e delle scelte nel campo degli investimenti mobiliari.
  Ecco perché la mozione pone un problema, affronta una questione e mette in campo un diritto finalmente non più discutibile: che si discuta di questa materia, che si affronti questa materia con una posizione di riferimento legislativa ben incardinata, che è la legge n. 410 del 2001, per gli enti previdenziali pubblici, sicuramente, ma anche per gli enti previdenziali privatizzati, nella prospettiva di risolvere definitivamente la non chiara vicenda del profilo giuridico di questi enti che oggi ci impedisce di parlare della legge n. 410 anche per loro, ma che resta per noi il vero obiettivo. Per questo votiamo a favore della mozione qui presentata e ci auguriamo che da oggi inizi un percorso ulteriore di scelte concrete che finalmente dia a tante famiglie la certezza e la possibilità Pag. 62di vivere una vita più tranquilla (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e Scelta Civica per l'Italia).

In ricordo di Nelson Mandela (16,20).

  PRESIDENTE. (Si leva in piedi e, con lei, l'intera Assemblea e i membri del Governo). Colleghi, giovedì scorso, 5 dicembre 2013, si è spento a 95 anni Nelson Mandela. Un uomo che con la sua eccezionale testimonianza di vita e con la sua esperienza politica straordinaria ha segnato più di sessanta anni di storia.
  Un uomo che, invertendo il corso della storia del proprio Paese, ha segnato un passaggio decisivo nel cammino di liberazione dal razzismo istituzionalizzato, dalla povertà, dalla privazione, dalla sofferenza e dalle discriminazioni, contribuendo così a cambiare anche il mondo intero. Un simbolo che ha onorato con la sua presenza la Camera dei deputati, presso la quale venne in visita nel 1990 e nel 1998.
  Nato il 18 luglio 1918, gli venne dato un nome dal significato emblematico: «colui che spezza i rami». Rimasto presto orfano di padre, viene indirizzato dalla madre verso gli studi: a 21 anni entra all'Università per i neri di Fort Hare, e consegue una laurea di primo livello nel 1943; intraprende poi gli studi per diventare avvocato in un corso in cui risulta essere l'unico nero iscritto. Negli anni successivi, segnati dalla edificazione dei muri dell'apartheid – attraverso l'adozione del Population Act e del Group Areas Act, che vietarono i matrimoni misti ed imposero la divisione razziale e la segregazione dei neri in zone apposite delle città sudafricane – Mandela venne eletto a capo dei giovani dell’African National Congress. Dopo il massacro di Shaperville nel 1960, nel corso del quale la polizia bianca uccide 60 neri, Mandela subisce un arresto. Datosi successivamente alla clandestinità, viene nuovamente arrestato nel 1962.
  Resterà in carcere per quasi 28 anni, sino all'11 febbraio 1990; per 10 mila giorni. Nell'ultimo periodo di prigionia rifiuta più volte i compromessi che gli vengono offerti, rispondendo che «solo gli uomini liberi possono negoziare».
  Nel 1993 gli viene assegnato il Premio Nobel per la pace, insieme a De Klerk, il Presidente del Sud Africa che liberò Mandela. Il successivo 27 aprile 1994, con 23 milioni di sudafricani che si recano ai seggi, viene eletto primo Presidente «di un Governo unitario, non razziale e non sessista» (sono le sue parole). Resterà in carica fino al 1999, imponendo una svolta epocale, una vera e propria rifondazione dello Stato sudafricano nel segno della riconciliazione e della volontà di volgere lo sguardo verso un futuro di democrazia e giustizia, sostituendo una nuova condivisione nazionale alle devastanti lacerazioni di un recentissimo passato. Disse: «Nessun rancore».
  Nel 2004 si ritira a vita privata, e continuò con questo principio del «nessun rancore».
  Quella di Nelson Mandela è stata una vita di lotta politica, vissuta al servizio del proprio popolo: una vita di sacrificio e di coraggio per l'affermazione di «una società libera e democratica, nella quale le persone vivano insieme in armonia e nell'uguaglianza delle opportunità», come da lui stesso sostenuto in occasione del processo a suo carico nel 1964 e ribadito al momento della sua liberazione dal carcere nel 1990. La sua integrità e il suo impegno, volti a favorire un perdono consapevole anziché la vendetta e l'odio, rappresentano una testimonianza indelebile.
  Ritengo che per tutti noi debbano essere di insegnamento le sue parole, quando sottolineava l'assoluta esigenza «di confrontarsi costantemente con l'avversario, di costringerlo a trovare un terreno comune», perché – sono sempre le parole di Mandela, che richiamava in questo caso un antico detto del suo Paese natale – «una persona è una persona solo attraverso l'altro».
  La scomparsa di Nelson Mandela non può che unire tutti coloro che, nel mondo, credono nei valori della democrazia, della libertà, nelle pari dignità di ogni essere umano, a prescindere dal colore della pelle, della fede religiosa e della condizione Pag. 63sociale. Invito, quindi, l'Assemblea ad osservare un minuto di silenzio (L'Assemblea osserva un minuto di silenzio – Generali applausi cui si associano i membri del Governo).

  ROBERTO SPERANZA. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  ROBERTO SPERANZA. Signor Presidente, giovedì, quando si è diffusa la notizia della morte di Nelson Mandela, i social network di tutto il mondo si sono riempiti di messaggi di cordoglio e di dolore. Ma quelli prevalenti erano due: grazie e ciao. Vorrei partire da qui, da quel ringraziamento e da quel saluto.
  Grazie, perché la vita e l'esempio di Nelson Mandela hanno reso meno ingiusto il nostro mondo e mostrato che si può combattere e vincere battaglie che sembrano impossibili, che si può guardare al perdono senza paura anche dopo aver trascorso 27 anni in un carcere a spaccare pietre. Ha scritto Mandela nella sua autobiografia: «Quando sono uscito di prigione, questa era la mia missione: liberare sia gli oppressi che l'oppressore. Qualcuno afferma che lo scopo è stato raggiunto ma io so che non è così. La verità è che noi non siamo ancora liberi, abbiamo soltanto conquistato la libertà di essere liberi, il diritto a non essere oppressi. Per essere liberi non basta rompere le catene ma bisogna vivere in un mondo che rispetti e accresca la libertà degli altri».
  Mandela ci ha insegnato che bisogna avere fiducia e coraggio. Fiducia che le difficoltà, anche quelle che sembrano insormontabili, possono essere superate e coraggio nel non abbandonare mai le proprie idee e i propri ideali, a non mollare mai anche nei momenti più bui.
  E quel «ciao», scritto milioni di volte, ci dice che c’è un mondo che ha imparato la sua lezione e ha sentito sue le battaglie, i metodi, ha percepito come amico e compagno un uomo grande e per questo lo saluta nel più semplice dei modi, come si saluta un amico che va via.
  Viviamo, Presidente, un'epoca ancora flagellata dagli orrori della povertà, della fame, della privazione e dell'ignoranza, dalla minaccia e dal flagello delle guerre civili e dell'aggressione ai diritti.
  Mandela lascia un mondo che ancora ha bisogno di tante donne e tanti uomini coraggiosi che non stanno fermi a guardare ma agiscono per cambiare e per progredire.
  Noi siamo tutti minuscoli rispetto a lui ma quello è l'esempio che ci guida. Grazie Madiba (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  MANLIO DI STEFANO. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  MANLIO DI STEFANO. Signor Presidente, le grandi persone, quelle che cambiano il corso della storia, sono certamente importanti per le azioni intraprese in vita ma ancora di più lo sono per il lascito culturale ed emotivo che spesso riesce a tracciare la strada ad intere generazioni.
  Nelson Mandela era questo: una grande persona in grado di mettere la sua vita a servizio del bene comune, ma ha avuto anche la fortuna e la bravura di far nascere un movimento globale attorno al suo messaggio, e questo ha fatto la differenza in quello che si è riuscito ad ottenere grazie al suo messaggio. La forza delle sue parole risiede, infatti, nel concetto di comunità, nella forza contro corrente e contro l’establishment di camminare sempre a testa alta, forte dell'appoggio di chi comprendeva la sua rivoluzione socio-culturale e ne diffondeva il messaggio ai quattro angoli del mondo.
  Il problema vero oggi, infatti, è l'oblio. Proprio adesso, mentre lo stiamo ricordando, nuove forme di apartheid continuano a opprimere la dignità di intere popolazioni: penso ai nativi d'America, come ai palestinesi, come ai nuovi ghetti razziali presenti in ogni megalopoli, dove manteniamo cittadini che hanno diritti di serie «B». Questo succede oggi e succede in città anche italiane.Pag. 64
  Il Movimento 5 Stelle ricorda oggi Mandela con questo breve discorso, ma soprattutto lo farà con le azioni di ogni giorno, di uomini e donne liberi di diffondere il suo messaggio di pace e fratellanza. «Education is the most powerful weapon which you can use to change the world», diceva Madiba: la cultura, quindi, al centro di tutto. Dobbiamo, dunque, prenderci la responsabilità di educare i nostri figli e ingenerare nelle nostre generazioni il rispetto delle diversità di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali. Fornire gli strumenti per raggiungere questo obiettivo è nostra responsabilità e va al di là dell'articolo 3 della Costituzione: va dritto dentro le nostre scuole e le nostre famiglie.
  Buon riposo, dunque, Madiba: ti ringraziamo per aver tracciato la strada e speriamo che nuove stelle come te sappiano seguire per portarci oltre il buio di questo Medioevo sociale che stiamo vivendo (Applausi).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Migliore. Ne ha facoltà.

  GENNARO MIGLIORE. Signor Presidente, Mandela sapeva sorridere, un gigante del nostro tempo e noi, nani seduti sulle sue spalle, siamo spesso incapaci di trovare parole a quell'altezza. Come tutti i grandi sognatori amava le piccole cose: una risata rubata dal profilo di una persona sconosciuta o un pallone da rugby. Il mondo piange la sua morte e oggi ci sentiamo più incerti.
  La sua lunga vita è stata un'attiva testimonianza, innanzitutto: l'abitudine a vivere nel presente, ogni presente, come se fosse la nostra eternità. Ha lottato, è stato un rivoluzionario, ha imbracciato le armi per gridare «amandla», libertà, e, poi, ha costruito la pace, perdonando senza dimenticare il male che aveva subito lui insieme al suo popolo. Madiba sapeva sorridere e diceva soprattutto che un leader politico non poteva permettersi di odiare. Lo ha detto da ventisette anni rinchiuso in un carcere, mentre si nutriva dei volti del proprio popolo che immaginava dietro le sbarre. Non ha perso quell'abitudine di schiudere le labbra e respirare una nuova umanità, quell'umanità offesa dal razzismo, dall’apartheid, dall'autoritarismo. Ogni giorno, il coraggio di cominciare di nuovo, da carcerato o da presidente. E seppe unire la bellezza della lotta alla necessità della libertà, come ha ricordato lei, Presidente, la libertà anche dal rancore.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  GENNARO MIGLIORE. Ecco perché la sua storia è tutto un rinnovato rialzarsi, un rinnovato iniziare, e molti di noi iniziarono immaginandolo libero la propria attività politica; come vorremmo che fossero liberati i prigionieri politici reclusi in nome della libertà del proprio popolo, come accade a Abdullah Ochalan e Marwan Barghouti. E io penso – e mi piace pensarlo così – che egli sappia guardare all'orizzonte anche ora, anche ora che ci indica quell'orizzonte che sappiamo non essere raggiungibile, se non praticando un viaggio di cambiamento. Grazie Presidente Mandela, ci hai reso tutti più liberi e più felici (Applausi).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Marazziti. Ne ha facoltà.

  MARIO MARAZZITI. Grazie Presidente. «Mi piacciono gli amici dalle menti indipendenti, che ti consentono di vedere i problemi da angolazioni diverse»: è un insegnamento che varrebbe per tutti noi.
  Mandela ha aiutato il mondo a essere migliore. Un padre per l'Africa, un esempio di umanità piena perché capace di contenere le ragioni degli altri. Mandela è vissuto quasi un secolo e l'Africa intera lo piange e piange la perdita di un padre in un tempo senza padri; Madiba, come chiunque gli si è avvicinato lo chiamava. Ho avuto la fortuna e la grazia di poter lavorare per un certo periodo con la comunità di Sant'Egidio assieme a lui. Ci uniamo tutti stasera, oggi, al dolore per la perdita di una compagnia buona nella vita Pag. 65del mondo. Posso dire davvero che ha aiutato davvero un'intera generazione, non solo di sudafricani, di africani, ma del mondo, ad essere migliore.
  Mandela, Madiba, appartiene a quel ristretto numero di uomini che aiutano il mondo ad avere speranza e a vedere come può essere grande l'umanità quando è illuminata solo dal senso del bene comune e di un popolo. Madiba, come nella generazione precedente il Mahatma Gandhi e Papa Giovanni XXIII, rappresenta con la sua vita che parole come giustizia, libertà, uguaglianza, perdono, riconciliazione e pace sono quelle che fanno vivere il mondo e non sono sogni ingenui.
  Quindi, piangiamo il padre dell'Africa, piangiamo un padre e un amico. Ho potuto vedere come ha lavorato per riconciliare il Burundi dopo un genocidio e come poteva accogliere il consiglio di chi era più giovane di lui. Madiba sapeva contenere con la sua vita anche le ragioni degli altri: sentiamo, allora, una responsabilità in più, perché il mondo oggi è un po’ più orfano e noi dobbiamo imparare tutti a saper contenere anche le ragioni degli altri (Applausi).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Molteni. Ne ha facoltà.

  NICOLA MOLTENI. Signor Presidente, Nelson Mandela è stato un grande dell'umanità, probabilmente uno dei più grandi dell'umanità. Un simbolo della lotta per i diritti umani, leader storico del movimento anti-apartheid sudafricano, ha vissuto ventisette anni in carcere fino a quando, nel 1994, è diventato Presidente del Paese che lo aveva rinchiuso e privato della libertà per così lungo tempo. Nel 1993, gli è stato conferito il premio Nobel per la pace.
  Nelson Mandela è stato il simbolo dell'ultima lotta dell'Africa nera contro l'estremo baluardo della dominazione bianca nel continente, un uomo cresciuto nello spietato regime dell’apartheid razzista che oppresse il Sudafrica dal 1948 al 1994. Un leader che ha trascorso quasi un terzo della propria vita in carcere e ne è uscito come Gandhi nero, che con il suo messaggio di perdono e di riconciliazione ha saputo trattenere il suo Paese dal precipitare in un temuto baratro di vendetta e di sangue. I vecchi compagni dell’African National Congress, il suo partito, lo hanno ricordato così: un colosso, un esempio di umiltà, uguaglianza, giustizia, pace e speranza per milioni di uomini e donne. Nonostante abbia trascorso ventisette anni in carcere, Mandela ha perdonato e ha insegnato a perdonare. Papa Francesco ha parlato dell'esempio che è stato Nelson Mandela con queste parole: «Tributando omaggio alla sua ferma determinazione mostrata da Nelson Mandela nel promuovere la dignità di tutti i cittadini della nazione e nel forgiare un nuovo Sudafrica costruito sulle solide fondamenta della nonviolenza, della riconciliazione e della verità, prego perché l'esempio dello scomparso Presidente ispiri generazioni di sudafricani nel mettere la giustizia e il bene comune al primo posto delle loro aspirazioni politiche».
  A nome del gruppo Lega Nord e Autonomie esprimo sentimenti di profondo cordoglio per la scomparsa del Presidente Mandela, simbolo della lotta per i diritti umani, e partecipiamo con vicinanza di sentimenti al dolore di tutto il popolo sudafricano (Applausi).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Cicchitto. Ne ha facoltà.

  FABRIZIO CICCHITTO. Signor Presidente, come ricordava poco fa il collega Di Stefano, i rischi che si corrono di fronte a grandi personalità sono, da un lato, quello dell'oblio e, dall'altro, quello di trasformarlo in un santino che non riprende e non ne raccoglie la complessità della vita, la generosità e anche gli errori.
  In ventisette anni di carcere, è chiarissimo che le tensioni che si sono scaricate su Mandela erano di due tipi: quella di portarlo ad un compromesso deteriore e quella di farne l'attore di una guerriglia distruttiva all'interno del suo Paese. Lui è sfuggito a entrambi questi pericoli e questi rischi e, quindi, ha costruito dal carcere Pag. 66una ricca realtà politica, culturale e organizzativa e, una volta che quella vicenda è finita e lui è uscito dal carcere e l’apartheid è saltato, ha avuto anche la grande intelligenza politica di sapere che, rovesciate le parti, non si doveva rovesciare anche la tendenza prevaricatrice.
  Per cui, con mille contraddizioni tutt'ora aperte, il Sudafrica si è misurato con una pacificazione che ha cercato di attutire tensioni che comunque sono fortemente presenti.
  Noi dobbiamo ricordarlo, non solo per la nobiltà del suo messaggio, ma per la grande capacità politica che ha manifestato negli anni nei quali dal carcere è passato e ha guidato una grande nazione così drammaticamente divisa quale è il Sudafrica.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Bergamini. Ne ha facoltà.

  DEBORAH BERGAMINI. Signor Presidente, la grandezza di Nelson Mandela non è consistita solo nell'aver resistito a ventisette anni di carcerazione, ma nell'aver guidato un processo di pacificazione nazionale.
  La sua testimonianza sta nell'aver introdotto, in tempi travolti dalla violenza, la capacità di far prevalere il perdono come categoria politica. Mandela, in origine marxista, aveva a lungo concepito il cambiamento come esito di una violenza giustificata, addirittura teorizzata. Si accorse però che questo avrebbe portato non alla liberazione, ma alla devastazione e seppe così dare la mano al nemico.
  Introdusse in un continente, votato alla legge del sangue, che chiama altro sangue, in nome del riscatto dall'ingiustizia, la pacificazione e la sua grandezza è consistita proprio in questo, nell'aver deposto l'odio e pensato in termini invece di condivisione e di riconoscimento reciproco. Spesso questo lo si dimentica.
  È stato e sarà venerato come liberatore, come simbolo della vittoria contro il razzismo, negatore dell'orrida apartheid, tale per cui l'8 per cento dei bianchi dominava sul resto della popolazione di neri, possedendo l'80 per cento delle ricchezze del Paese.
  Certo, questo è importantissimo, ma la sua testimonianza è più grande ed è stata la capacità di cambiare, di cambiarsi, di rinunciare al rancore, di aver saputo trascinare un popolo su questi binari.
  Uscito dal carcere, non dette corpo al risentimento, ma puntò alla riconciliazione, fece prevalere il realismo del bene e questo gli costò anche disprezzo e ostilità dalla vecchia guardia, che non capì la sua scelta. Ma lui insistette, non volle essere dittatore; la sua scelta di riconciliazione rimase, resta un fatto, resta un lascito per tutto il mondo, anche per il nostro Paese (Applausi).

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO (ore 16,40)

Si riprende la discussione delle mozioni (ore 16,41).

(Votazioni)

  PRESIDENTE. Passiamo, dunque, ai voti.
  Come da prassi, le mozioni saranno poste in votazione per le parti non assorbite e non precluse dalle votazioni precedenti.
  Avverto che il gruppo del MoVimento 5 Stelle ha chiesto la votazione per parti separate delle mozioni Morassut, Saltamartini, Antimo Cesaro, Di Gioia, Santerini ed altri n. 1-00011 (Ulteriore Nuova Formulazione) e Lombardi ed altri n. 1-00092 (Nuova Formulazione), nel senso di votare distintamente la premessa e i singoli capoversi del dispositivo.
  Avverto che, ove venisse approvata la mozione Morassut, Saltamartini, Antimo Cesaro, Di Gioia, Santerini ed altri n. 1-00011 (Ulteriore Nuova Formulazione), il primo capoverso del dispositivo assorbirebbe parzialmente il primo capoverso del dispositivo della mozione Piazzoni ed altri Pag. 67n. 1-00149 e il primo capoverso del dispositivo della mozione Fedriga ed altri n. 1-00252.
  Inoltre, il secondo capoverso del dispositivo assorbirebbe il terzo capoverso del dispositivo della mozione Piazzoni ed altri n. 1-00149; il terzo capoverso del dispositivo assorbirebbe il quinto capoverso del dispositivo della mozione Piazzoni ed altri n. 1-00149.
  Passiamo ai voti.
  Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Morassut, Saltamartini, Antimo Cesaro, Di Gioia, Santerini ed altri n. 1-00011 (Ulteriore nuova formulazione), limitatamente alla premessa, su cui il Governo ha espresso parere favorevole.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Cassano, Carfagna, Latronico, Frusone, Kyenge, Palma, Guerini, Madia, D'Ambrosio, Giuliani, Milanato...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   (Presenti e votanti  388   
   Maggioranza  195   
    Hanno votato  342    
    Hanno votato no  46).

  La Camera approva (Vedi votazioni).

  (Il deputato Gullo ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto favorevole).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Morassut, Saltamartini, Antimo Cesaro, Di Gioia, Santerini ed altri n. 1-00011 (Ulteriore nuova formulazione), limitatamente al primo capoverso del dispositivo, su cui il Governo ha espresso parere favorevole.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Spadoni, De Rosa, Lombardi, Paris, Giulietti, Ginefra, Frusone...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  390   
   Votanti  308   
   Astenuti   82   
   Maggioranza  155   
    Hanno votato  261    
    Hanno votato no   47.

  La Camera approva (Vedi votazioni).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Morassut, Saltamartini, Antimo Cesaro, Di Gioia, Santerini ed altri n. 1-00011 (Ulteriore nuova formulazione), limitatamente al secondo capoverso del dispositivo, su cui il Governo ha espresso parere favorevole.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Paris, La Marca, Stumpo, Galli, Frusone...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  391   
   Votanti  308   
   Astenuti   83   
   Maggioranza  155   
    Hanno votato  261    
    Hanno votato no   47.

  La Camera approva (Vedi votazioni).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Morassut, Saltamartini, Antimo Cesaro, Di Gioia, Santerini ed altri n. 1-00011 (Ulteriore nuova formulazione), limitatamente al terzo capoverso del dispositivo, su cui il Governo ha espresso parere favorevole.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Zoggia, Simoni, Paola Bragantini...
  Dichiaro chiusa la votazione.Pag. 68
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  390   
   Votanti  307   
   Astenuti   83   
   Maggioranza  154   
    Hanno votato  260    
    Hanno votato no   47.

  La Camera approva (Vedi votazioni).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Morassut, Saltamartini, Antimo Cesaro, Di Gioia, Santerini ed altri n. 1-00011 (Ulteriore nuova formulazione), limitatamente al quarto capoverso del dispositivo, su cui il Governo ha espresso parere favorevole.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Paris, Simoni, Dambruoso, Lombardi, Mosca, Brunetta, Gitti...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  393   
   Votanti  392   
   Astenuti    1   
   Maggioranza  197   
    Hanno votato  344    
    Hanno votato no   48.

  La Camera approva (Vedi votazioni).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Morassut, Saltamartini, Antimo Cesaro, Di Gioia, Santerini ed altri n. 1-00011 (Ulteriore nuova formulazione), limitatamente al quinto capoverso del dispositivo, su cui il Governo ha espresso parere favorevole.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Gribaudo, Paris, Lombardi, Gasbarra, Folino...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  390   
   Votanti  309   
   Astenuti   81   
   Maggioranza  155   
    Hanno votato  261    
    Hanno votato no   48.

  La Camera approva (Vedi votazioni).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Morassut, Saltamartini, Antimo Cesaro, Di Gioia, Santerini ed altri n. 1-00011 (Ulteriore nuova formulazione), limitatamente al sesto capoverso del dispositivo, su cui il Governo ha espresso parere favorevole.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Paris, Gasbarra, Vignaroli, Peluffo...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  393   
   Votanti  371   
   Astenuti   22   
   Maggioranza  186   
    Hanno votato  323    
    Hanno votato no   48.

  La Camera approva (Vedi votazioni).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Morassut, Saltamartini, Antimo Cesaro, Di Gioia, Santerini ed altri n. 1-00011 (Ulteriore nuova formulazione), limitatamente al settimo capoverso del dispositivo, su cui il Governo ha espresso parere favorevole.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Guerini, Giacomelli, Vignaroli...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti e votanti  393   
   Maggioranza  197   
    Hanno votato  345    
    Hanno votato no   48.

  La Camera approva (Vedi votazioni).

Pag. 69

  (Il deputato Rampi ha segnalato di aver espresso voto contrario mentre avrebbe voluto esprimere voto favorevole).

  Passiamo alla votazione della mozione Lombardi ed altri n. 1-00092 (Nuova formulazione).
  Avverto che, ove venisse approvata tale mozione, il primo capoverso, lettera a), del dispositivo assorbirebbe il secondo capoverso del dispositivo della mozione Piazzoni ed altri n. 1-00149.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Lombardi ed altri n. 1-00092 (Nuova formulazione), limitatamente alla premessa, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Lavagno, Grillo, Bini...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti e votanti  395   
   Maggioranza  198   
    Hanno votato  106    
    Hanno votato no   289.

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Lombardi ed altri n. 1-00092 (Nuova formulazione), limitatamente al primo capoverso del dispositivo, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Gigli, Berlinghieri, Labriola, Capodicasa...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti e votanti  394   
   Maggioranza  198   
    Hanno votato  108    
    Hanno votato no   286.

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  (Il deputato Marantelli ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto contrario).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Lombardi ed altri n. 1-00092 (Nuova formulazione), limitatamente al secondo capoverso del dispositivo, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Paris, Daniele Farina, Ventricelli, Donati, Taricco, Albanella, Costantino...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti e votanti  394   
   Maggioranza  198   
    Hanno votato  102    
    Hanno votato no   292.

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Lombardi ed altri n. 1-00092 (Nuova formulazione), limitatamente al terzo capoverso del dispositivo, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Ventricelli...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  394   
   Votanti  384   
   Astenuti   10   
   Maggioranza  193   
    Hanno votato  102    
    Hanno votato no  282.

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Lombardi ed altri n. 1-00092 (Nuova formulazione), Pag. 70limitatamente al quarto capoverso del dispositivo, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Barbanti, Frusone, Marcon, Librandi, Palma...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti e votanti  390   
   Maggioranza  196   
    Hanno votato  113    
    Hanno votato no   277.

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  (La deputata Cenni ha segnalato che non è riuscita ad esprimere voto contrario).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Lombardi ed altri n. 1-00092 (Nuova formulazione), limitatamente al quinto capoverso del dispositivo, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Nesci, Catania, Frusone, Lavagno, Coppola, Culotta, Sanga, Marroni, Paola Bragantini, Covello...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti e votanti  393   
   Maggioranza  197   
    Hanno votato  114    
    Hanno votato no   279.

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Lombardi ed altri n. 1-00092 (Nuova formulazione), limitatamente al sesto capoverso del dispositivo, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Fanucci, Folino, Milanato, Duranti, Capodicasa.
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

   (Presenti e votanti  393   
   Maggioranza  197   
    Hanno votato
 115    
    Hanno votato
no  278).    

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Lombardi ed altri n. 1-00092 (Nuova formulazione), limitatamente al settimo capoverso del dispositivo, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Villecco Calipari, Carrescia, Valiante, Folino, Sorial, Sanga.
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

   (Presenti  392   
   Votanti  391   
   Astenuti    1   
   Maggioranza  196   
    Hanno votato
 115    
    Hanno votato
no  276).    

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Lombardi ed altri n. 1-00092 (Nuova formulazione), limitatamente all'ottavo capoverso del dispositivo, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Giacomelli, Paris, Fedriga, Toninelli, Colletti, Marotta, Taricco, Capodicasa, Miotto, Giacomelli, Fedriga ancora non riesce a votare, Guerini non riesce a votare, ecco adesso hanno votato.
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

Pag. 71

   (Presenti e votanti  391   
   Maggioranza  196   
    Hanno votato
 115    
    Hanno votato
no  276).    

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Lombardi ed altri n. 1-00092 (Nuova formulazione), limitatamente al nono capoverso del dispositivo, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).
  Capodicasa, Prestigiacomo.
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

   (Presenti e votanti  394   
   Maggioranza  198   
    Hanno votato
 104    
    Hanno votato
no  290).    

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Piazzoni ed altri n. 1-00149, limitatamente alla premessa, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Capodicasa ? Paolucci ? Venittelli ? Baruffi ? Palma ? Mosca ?

  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

   Presenti e votanti  393   
   Maggioranza  197   
    Hanno votato  102    
    Hanno votato no  291    

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Piazzoni ed altri n. 1-00149, limitatamente al primo capoverso, parzialmente assorbito dalla mozione Morassut, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Guerini ? Garavini ? Valiante ? Capone ? Baldassarre ?
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

   Presenti  393   
   Votanti  311   
   Astenuti   82   
   Maggioranza  156   
    Hanno votato  21    
    Hanno votato no  290    

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Piazzoni ed altri n. 1-00149, limitatamente al secondo capoverso del dispositivo, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Grillo ? Lavagno ? Folino ? Basso ? Agostini Roberta ? Baldassarre ?
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

   Presenti e votanti  390   
   Maggioranza  196   
    Hanno votato  103    
    Hanno votato no  287    

  Il terzo capoverso della mozione Piazzoni ed altri n. 1-00149 risulta assorbito dalla mozione Morassut.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Piazzoni ed altri n. 1-00149, limitatamente al quarto capoverso del dispositivo, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Lavagno ? Baldassarre ? Palma ? Albanella ?
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

Pag. 72

   Presenti  391   
   Votanti  309   
   Astenuti   82   
   Maggioranza  155   
    Hanno votato  22    
    Hanno votato no  287    

  Anche il quinto capoverso della mozione Piazzoni ed altri n. 1-00149 risulta assorbito dalla mozione Morassut.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Piazzoni ed altri n. 1-00149, limitatamente al sesto capoverso del dispositivo, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Venittelli ? Luigi Gallo ? Baldassarre ? Capodicasa ? Gasparini ? D'Attorre ? Sembra che abbiano votato tutti. Gasparini ancora no. Non rimuova la tessera. Provi a votare. È arrivato il tecnico. Si sta sostituendo l'alloggiamento. Ecco, ce l'abbiamo fatta.
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

   Presenti e votanti  390   
   Maggioranza  196   
    Hanno votato  103    
    Hanno votato no  287    

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, limitatamente al settimo capoverso del dispositivo della mozione Piazzoni ed altri n. 100149, con il parere contrario del Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Carrescia, Paris, Caso, Gadda, Gutgeld, Capodicasa.
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti e votanti  389   
   Maggioranza  195   
    Hanno votato  103    
    Hanno votato no  286    

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, limitatamente all'ottavo capoverso del dispositivo della mozione Piazzoni ed altri n. 100149, con il parere contrario del Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Lavagno, Taricco, Gribaudo, Oliaro, Rughetti, Rostan.
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti e votanti  390   
   Maggioranza  196   
    Hanno votato  103    
    Hanno votato no  287    

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, limitatamente al nono capoverso del dispositivo della mozione Piazzoni ed altri n. 100149, con il parere contrario del Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Lodolini, Lavagno, Rizzetto, Pilozzi, Capodicasa, Terzoni.
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti e votanti  391   
   Maggioranza  196   
    Hanno votato  103    
    Hanno votato no  288    

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, limitatamente al decimo capoverso del dispositivo della mozione Piazzoni ed altri n. 100149, con il parere contrario del Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

Pag. 73

  Taricco, Capua, Terzoni, Miccoli, Fossati, Rizzetto, Palma, Simone Valente.
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti e votanti  393   
   Maggioranza  197   
    Hanno votato  22    
    Hanno votato no.  371    

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Fedriga ed altri n. 1-00252, per le parti non assorbite, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Lacquaniti, Mosca...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  393   
   Votanti  273   
   Astenuti  120   
   Maggioranza  137   
    Hanno votato    9    
    Hanno votato no   264.

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  Essendo giunte delle riformulazioni per il successivo punto all'ordine del giorno, per dare tempo agli uffici di organizzarsi, sospendo la seduta per 5 minuti, che riprenderà alle ore 17,15.

  La seduta, sospesa alle 17,10, è ripresa alle 17,20.

Seguito della discussione delle mozioni Fratoianni ed altri n. 1-00190, Zampa, Marazziti ed altri n. 1-00156, Giancarlo Giorgetti, Corsaro ed altri n. 1-00266, Costa ed altri n. 1-00267, Toninelli ed altri n. 1-00269 e Palese ed altri n. 1-00271 concernenti iniziative in ordine alla disciplina dell'ingresso, del soggiorno e dell'allontanamento dei cittadini stranieri, con particolare riferimento alla problematica dei centri di identificazione ed espulsione.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'esame delle mozioni Fratoianni ed altri n. 1-00190 (Nuova formulazione); Zampa, Marazziti ed altri n. 1-00156 (Ulteriore nuova formulazione); Giancarlo Giorgetti, Corsaro ed altri n. 1-00266; Costa ed altri n. 1-00267; Toninelli ed altri n. 1-00269 e Palese ed altri n. 1-00271 concernenti iniziative in ordine alla disciplina dell'ingresso, del soggiorno e dell'allontanamento dei cittadini stranieri, con particolare riferimento alla problematica dei centri di identificazione ed espulsione.
  Avverto che, dopo la conclusione della discussione sulle linee generali, che ha avuto luogo nella seduta di lunedì 2 dicembre 2013, è stata presentata la mozione Palese ed altri n. 1-00271, che è già stata iscritta all'ordine del giorno.
  Avverto, altresì, che nella giornata del 4 dicembre 2013 sono state presentate una nuova formulazione della mozione Fratoianni ed altri n. 1-00190, una nuova formulazione della mozione Zampa ed altri n. 1-00156, che è stata sottoscritta, tra gli altri – contestualmente al ritiro della mozione Marazziti ed altri n. 1-00270 – anche dal deputato Marazziti, che, con il consenso degli altri sottoscrittori, ne è diventato il secondo firmatario e che la mozione Giancarlo Giorgetti ed altri n. 1-00266 è stata sottoscritta anche dal deputato Corsaro che, con il consenso degli altri sottoscrittori, ne è diventato il secondo firmatario.
  Avverto poi che in data 6 dicembre 2013 è stata presentata una ulteriore nuova formulazione della mozione Zampa, Marazziti ed altri n. 1-00156 (Ulteriore nuova formulazione).
  Avverto inoltre che è stata testé presentata una seconda ulteriore nuova formulazione della mozione Zampa, Marazziti ed altri n. 1-00156 che è stata sottoscritta anche dal deputato Costa che, con il consenso degli altri sottoscrittori, ne è diventato il terzo firmatario. Il relativo Pag. 74testo è in distribuzione. Contestualmente la mozione Costa ed altri n. 1-00267 è stata ritirata dai presentatori.
  Avverto, infine, che è stata presentata la risoluzione Di Lello ed altri n. 6-00040. Il relativo testo è in distribuzione.

(Parere del Governo)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, che esprimerà altresì il parere sulle mozioni e sulla risoluzione presentate.

  DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, il Governo esprime parere favorevole sulla mozione Zampa, Marazziti, Costa ed altri n. 1-00156 (Seconda ulteriore nuova formulazione).
  Il Governo esprime invece parere contrario per quanto riguarda le altre.

  PRESIDENTE. Può ripetere, mi scusi ? Non abbiamo sentito l'ultimo passaggio.

  DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato per l'interno. Parere contrario per quanto riguarda le restanti mozioni.

  PRESIDENTE. Poiché è in corso la Conferenza dei presidenti di gruppo, sospendo la seduta che riprenderà al termine della Conferenza dei presidenti di gruppo.

  La seduta, sospesa alle 17,25, è ripresa alle 18,20.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI

  PRESIDENTE. Diamo la parola al Governo per un'integrazione ai pareri che restavano da dare. Prego.

  DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, ferma restando l'espressione dei pareri già manifestata con riferimento alle mozioni, il Governo esprime parere favorevole sulla risoluzione Di Lello ed altri n. 6-00040.

(Dichiarazioni di voto)

  PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto.
  Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fedriga. Ne ha facoltà.

  MASSIMILIANO FEDRIGA. Signor Presidente, ci apprestiamo questo pomeriggio a votare delle mozioni riguardanti i Centri di identificazione ed espulsione. Presidente, queste mozioni, oltretutto presentate da alcuni colleghi di altri gruppi parlamentari, sulle quali ovviamente la Lega esprimerà voto contrario, contengono – lo faccio presente anche per essere utile ai presentatori, affinché siano più attenti nelle fonti che citano durante la scrittura degli atti parlamentari – dei dati totalmente lontani dalla realtà.
  La mozione di SEL, la prima che andiamo ad esaminare questo pomeriggio, addirittura afferma che l'aumento di permanenza nei Centri di identificazione ed espulsione va a diminuire il numero di rimpatri, cosa totalmente smentita dalla realtà dei fatti e dei numeri perfino del Ministero dell'interno e dei Ministri dell'interno che si sono succeduti negli anni; prova ne è che i rimpatri sono aumentati e l'aumento di permanenza all'interno dei Centri di identificazione ed espulsione ha favorito i rimpatri stessi.
  Non solo Presidente, vorrei anche ricordare che questa mozione, presentata da SEL, nasce dai fatti avvenuti nel CIE di Gradisca, che è insediato appunto nel comune di Gradisca, nella regione alla quale appartengo. Nel CIE di Gradisca sono avvenuti dei fatti gravissimi e se andassimo ad approvare la risoluzione di SEL e devo dire – mio malgrado – anche la risoluzione di maggioranza...e scusi se faccio questo inciso, mi dispiace che i colleghi di Nuovo Centrodestra abbiano ritirato la loro mozione, che noi avremmo votato, e abbiano invece firmato la mozione chiaramente stilata dal Partito Democratico che afferma cose opposte rispetto al primo documento presentato dal Nuovo Centrodestra. Ne prendiamo Pag. 75atto con rammarico, ci auguriamo che questo modus operandi da parte di Nuovo Centrodestra non sia un appiattimento totale sulle posizioni del Partito Democratico. Però, fatto questo inciso, voglio ricordare anche i fatti avvenuti nel CIE di Gradisca, Presidente. Nel CIE di Gradisca degli immigrati clandestini – e ricordo, immigrati clandestini – che non hanno diritto di stare sul territorio nazionale, hanno compiuto dei reati, dando fuoco al Centro, presentandosi con delle spranghe davanti alle Forze dell'ordine che dovevano mantenere l'ordine nel Centro di identificazione ed espulsione, evadendo più volte dal Centro negli anni, oltretutto, come ho avuto modo di ricordare in precedenti interventi in quest'Aula, con una fedina penale tutt'altro che pulita. Non a caso, ad esempio, uno di questi clandestini – li chiamo con il loro nome, clandestini – che hanno dato fuoco al Centro, uscito dal Centro, ha pensato bene di commettere una doppia rapina nel giro di pochi giorni.
  Presidente, queste mozioni presentate da SEL e dalla maggioranza sono mirate a mantenere o promuovere uno stato di illegalità permanente all'interno del nostro Paese, a danno, devo dire, anche di quei cittadini immigrati regolari, che hanno rispettato le regole per venire nel nostro Paese e sono decisamente messi in una situazione discriminatoria verso i clandestini che si vorrebbero tutelare ad ogni costo. Addirittura, una mozione, la mozione – spero che sia stata scritta male – del MoVimento 5 Stelle prevede addirittura si favorisca il lavoro per i clandestini.
  Si dice: «ad assumere iniziative per riformare l'intera disciplina del soggiorno, con eventuale inserimento lavorativo». Certo, noi dobbiamo anche garantire un lavoro agli immigrati clandestini, visto che ce ne abbiamo tanto nel nostro Paese, con il 40 per cento di disoccupazione giovanile ! (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).
  Presidente, voglio anche ricordare che, secondo le mozioni mirate ad un preconcetto ideologico e che non guardano alla realtà dei fatti, i presentatori di queste mozioni vorrebbero anche – faccio principalmente riferimento alla mozione Fratoianni ed altri n. 1-00190 – aumentare i flussi migratori nel nostro Paese, quindi fare un'apertura indiscriminata delle porte di accesso sul territorio nazionale al fine di far arrivare più persone possibili. Ormai, ovviamente e chiaramente, i clandestini non esisterebbero più, perché chiunque metta piede sul territorio nazionale sarebbe regolare secondo SEL.
  Vorrei che però queste cose le andassero a raccontare anche all'interno delle fabbriche che chiudono, ai nostri giovani che mandano i curriculum e non trovano lavoro e alle persone che non hanno adeguate risorse da parte del pubblico per avere una tutela sociale adeguata. Evidentemente, per qualcuno viene sempre prima il vicino di casa rispetto al proprio figlio; per la Lega non è così. Noi pensiamo che lo Stato debba essere un buon padre di famiglia, che debba, prima di tutto, tutelare la propria gente, che ha contribuito per anni al mantenimento di questo Stato e, purtroppo, in molti casi, anche di alcuni sprechi, in particolari regioni del Paese – voglio sottolinearlo – e, quindi, in un momento di difficoltà economica, dare le garanzie necessarie a queste persone, e non agli ultimi arrivati, oltretutto in modo irregolare, oltretutto contestando e contrastando la legge in vigore nel nostro Paese.
  Presidente, non voglio adesso citare qualche leghista convinto, che è particolarmente attento alla lotta all'immigrazione clandestina, ma voglio citare il Presidente della Gran Bretagna, Cameron, che ha annunziato che, a partire dall'inizio del 2014, applicherà una severissima politica restrittiva ai sussidi pubblici per l'immigrazione. Lo dice Cameron; mi auguro che allora anche i benpensanti in quest'Aula si alzino ad offendere – come sono abituati a fare – Cameron per le sue affermazioni. Bloccherà i servizi di assistenza sanitaria gratuita a quegli stranieri che non sono in grado di dimostrare la loro permanenza regolare sul suolo britannico e introdurrà sanzioni per chi offrirà un lavoro e una casa agli irregolari. Questo è Cameron.Pag. 76
  Presidente, non solo: voglio ricordare che, se noi votassimo queste mozioni, andremmo addirittura contro quell'Europa che qui, più volte, viene richiamata per qualsiasi cosa, anche per cose, purtroppo, che noi riteniamo negative, ma che, con la scusa dell'Europa, si dice che bisogna fare.
  Ebbene, allora, bisognerebbe anche dire che è proprio una direttiva europea che prevede la permanenza all'interno dei centri di immigrazione e di espulsione per diciotto mesi; è proprio una direttiva europea che dice che devono esserci questi centri negli Stati appartenenti all'Unione europea.
  Dunque, credo che la politica del buonismo porti solamente all'aumento delle situazioni di emarginazione e di razzismo nel nostro Paese. Le regole servono per far vedere, anche ai nostri cittadini che rispettano le leggi e sono regolari, che tutti sono trattati allo stesso modo.
  Presidente, ritengo inaccettabile che, al di fuori del CIE di Gradisca, si siano presentate delle associazioni, che si fanno chiamare umanitarie ma sono associazioni che di umanitario hanno ben poco e, per questo, invito i colleghi del PdL a riformulare la loro mozione che prevede il libero accesso di queste fantomatiche associazioni umanitarie nel CIE, le quali andavano ad alimentare le rivolte all'interno del centro di immigrazione ed espulsione. Hanno lanciato dei fumogeni contro le forze dell'ordine presenti all'interno del centro di immigrazione e di espulsione. Queste non sono associazioni umanitarie, ma solo, semplicemente, bisogna chiamarli con il loro nome, cioè delinquenti.
  Presidente, noi continueremo a batterci perché la legalità stia nel nostro Paese: perché noi siamo favorevoli che le persone, che i clandestini stiano per il minor tempo possibile all'interno dei CIE, ma il minor tempo possibile deve essere dettato dal rimpatrio e non per lasciarli liberi di circolare sul territorio nazionale.
  Presidente, sono state lasciate sei persone libere di circolare sul territorio nazionale, nel CIE di Gradisca. Malgrado alcuni colleghi in quest'Aula dicano che sono poveri disperati, sono talmente poveri disperati, che quelli lasciati liberi sono stati condannati – ricordo una parte dell'intervento della scorsa settimana, anzi, scusate, sono sette –: uno che è stato lasciato aveva precedenti per spaccio di stupefacenti, un altro per stupefacenti e furto; ancora, stupefacenti, riciclaggio, ricettazione, furto aggravato, falso, furto con destrezza, danneggiamento, furto aggravato, stupefacenti, lesioni, minacce e atti persecutori.

  PRESIDENTE. La prego di concludere.

  MASSIMILIANO FEDRIGA. Bene, io spero che cittadini che vogliono ancora circolare – e concludo – liberi nelle proprie città e nei propri territori siano convinti che non vogliono che chi non rispetta le regole sia lasciato circolare libero sul nostro territorio. Per questo abbiamo presentato una mozione – l'unica mozione – che punta alla legalità, e concludo, e non a favorire i delinquenti (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Piso. Ne ha facoltà.

  VINCENZO PISO. Signor Presidente, rinuncio all'intervento.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fratoianni. Ne ha facoltà.

  NICOLA FRATOIANNI. Signor Presidente, per discutere di una materia come questa sarebbe intanto utile andarci qualche volta dentro questi luoghi che chiamiamo, con un acronimo un po’ neutro, «CIE». Sarebbe utile andarli a vedere, visitarli: io l'ho fatto, l'hanno fatto molti colleghi e molte colleghe del mio gruppo, l'hanno fatto altri deputati in questa Camera, in questa legislatura, prima di questa legislatura.
  Sarebbe utile andarci, perché quando ti capita di entrare in un CIE sono molte le Pag. 77cose che ti colpiscono: ti colpisce l'aspetto di carcere che queste strutture portano con loro; ti colpiscono le porte pesanti, gli spazi piccoli; ti colpiscono gli oggetti di arredamento, i bullonati a terra; ti colpiscono le sbarre, ti colpisce la sporcizia; ti colpiscono i bagni, che spesso non funzionano; ti colpisce una condizione generale, un odore, che è quello dei luoghi nei quali è la disperazione l'impressione che aleggia in modo più forte, così forte da fartelo perfino respirare.
  Ma quello che colpisce di più quando vai in posti come questo è lo sguardo delle persone, degli uomini e delle donne che trovi lì dentro. Eh sì, Presidente, perché è uno sguardo particolare: è uno sguardo che non trovi neanche in carcere. In fondo, i carcerati stanno lì in una condizione drammatica, ne abbiamo parlato molte volte in quest'Aula, ma ci stanno consapevoli di aver commesso un reato o quanto meno di essere soggetti al giudizio a proposito di quello che viene in quel momento imputato a loro come un reato; stanno lì e sanno che lì dentro ci sono dei diritti e dei doveri regolati dal nostro diritto, dal diritto carcerario appunto.
  E invece no: gli occhi di chi sta nel CIE sono diversi, guardano nel vuoto, perché chi sta lì dentro non sa perché è lì dentro: c’è finito, magari, un giorno mentre stava per strada, mentre andava a fare la spesa, mentre andava a cercare un lavoro; c’è finito perché non aveva un documento in tasca, perché viveva una condizione di irregolarità. Certo, è una condizione che va sottoposta alle norme, che va valutata, ma che non dovrebbe mai in un Paese civile dare luogo alla restrizione della libertà, ad una carcerazione, appunto, che è più pesante e più dolorosa di ogni altra forma di carcerazione prevista nel nostro ordinamento.
  E, allora, sa, signor Presidente, quando ti capita di essere rinchiuso senza un motivo, senza che tu abbia fatto nulla, senza che tu abbia rubato, abbia fatto violenza, abbia ucciso, capita che la disperazione prenda il sopravvento e che tu senta come un dovere legittimo quello di ribellarti.
  Allora, all'onorevole Fedriga, che con tanto tono di indignazione ricordava i gravissimi fatti, come lui li ha definiti, del CIE di Gradisca, che potremmo nominare per tanti CIE in Italia, dico che in ogni CIE, ritualmente, le rivolte si ripetono e sono forme di resistenza contro un'illegittima detenzione. Guardi, non sono solo io a dirlo.
  Vi è una sentenza del 12 dicembre 2012 di un tribunale della Repubblica, il tribunale di Crotone. Vi è un passo di quella sentenza, lo vorrei leggere, che dice così: «I protagonisti della rivolta nel centro di identificazione e di espulsione di Crotone – i quali, saliti sul tetto della struttura, hanno lanciato alcuni oggetti contundenti contro le forze dell'ordine – non sono colpevoli di danneggiamento e offesa a pubblico ufficiale, in quanto hanno agito per legittima difesa e la reazione degli stranieri alle offese ingiuste è da considerarsi proporzionata».
  Bene, questa è la realtà di cui stiamo discutendo, e non solo la realtà di un grande spreco di risorse, attribuite, spesso, con gare di appalto molto discutibili, certamente poco trasparenti. Non è solo la storia di un'istituzione che non funziona, che non produce più legalità, ma che produce più irregolarità. È la storia di un Paese alla rovescia. Ho avuto, purtroppo – purtroppo –, modo di doverlo dire già più di una volta in quest'Aula.
  È la storia di un Paese che, invece di combattere l'irregolarità, combatte gli irregolari. È come se un Paese che vuole combattere la povertà facesse la guerra ai poveri. È per questo motivo, signor Presidente, che noi abbiamo presentato una mozione molto netta, una mozione che dice una cosa semplice: di fronte a questo dato così doloroso, così violento, di inciviltà, al quale il nostro Paese è sottoposto quotidianamente nella gestione di questi centri, vi è solo una risposta: chiuderli, chiuderli. Occorre fare come, peraltro, già la commissione De Mistura, nel 2008, indicò al Governo italiano: superare quel modello attraverso un progressivo svuotamento, riformare complessivamente il sistema di ingresso e di identificazione, il Pag. 78sistema di regolarizzazione, abolire, tanto per cominciare, quell'odioso reato che è chiamato reato di clandestinità (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà), che non fa altro che rendere più ampia l'area della clandestinità e più difficile l'ingresso regolare nel Paese.
  Vi è un solo modo: cambiare le leggi sull'ingresso, per esempio introducendo un permesso di soggiorno per la ricerca di lavoro, che, certo, sia regolato, controllato. Vorrei dire a Fedriga che la demagogia non sempre funziona, a volte fa fare anche qualche capitombolo. Ci ha spiegato che il buonismo aumenta il razzismo: eppure, onorevole Fedriga, voi non siete precisamente buonisti, ma razzisti lo siete molto, e quindi ci deve essere qualcosa che non funziona (Proteste dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).

  PRESIDENTE. No, onorevole Fratoianni (Proteste dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie). Il Presidente sta parlando, se lo fate finire di parlare. Non è che il Presidente può prevedere quello che dice un oratore. Appena l'oratore si è espresso, il Presidente lo stava interrompendo. Non ho capito quale sia il problema con riferimento al Presidente.
  Onorevole Fratoianni, la prego veramente di avere un atteggiamento e, soprattutto, un linguaggio consono a quest'Aula. Grazie.

  NICOLA FRATOIANNI. Signor Presidente, come sa, non mi ha mai dovuto richiamare. Voglio solo dire che, in questo caso, non mi si può accusare di avere proferito parolacce. Ho usato un termine che ha a che fare con la definizione di una cultura politica. Naturalmente, si può contestare, ma non è una parolaccia, non è un'offesa. Per questo, voglio confermare quello che ho detto.
  Comunque, concludendo, questo è il motivo per cui credo che, di fronte a questa vergogna, sia necessario un passo definitivo, una parola chiara. È questo il motivo per cui chiedo a quest'Aula di votare la nostra mozione, per dare un segnale. Certo, sappiamo che con una mozione non si risolve il problema il giorno dopo, ma si dà un indirizzo chiaro, si dice in modo netto in che direzione dobbiamo andare.
  Questo è il motivo – ho finito davvero – per cui noi, Presidente, voteremo, ovviamente, per la nostra mozione e voteremo contro la gran parte delle altre mozioni presentate, che su questo o dicono cose, dal nostro punto di vista, certamente non condivisibili, come nel caso della mozione Giancarlo Giorgetti ed altri, o cose poco comprensibili, che non entrano nel merito, come nel caso della mozione del MoVimento 5 Stelle.
  Ci asterremo sulla mozione dell'onorevole Zampa ed altri, a cui si sono associati l'onorevole Marazziti ed altri, perché, pur leggendo lì un problema, questo è un terreno sul quale la logica della riduzione del danno non funziona, lo abbiamo imparato.
  Capisco, e lo dico davvero con rispetto verso chi so che su questo tema ha una sensibilità, è un lavoro lungo, capisco quali sono i vincoli che una collocazione di maggioranza impone, ma la riduzione del danno non basta. Questo è il motivo per cui su quel testo, pur riconoscendo uno sforzo, ci asterremo, ma non possiamo votare a favore (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Marazziti. Ne ha facoltà.

  MARIO MARAZZITI. Signor Presidente, colleghi, rappresentanti del Governo, abbiamo lavorato a una mozione sul tema dei cosiddetti CIE insieme ai colleghi Zampa, Santerini e altri, e poi con i colleghi anche del Nuovo Centrodestra e con il collega Costa.
  Mi sono impegnato con il mio gruppo a entrare su un tema, quello dei Centri di identificazione ed espulsione, che è un tema altamente simbolico e sensibile; tocca il tema degli immigrati, e come tale non è mai un tema neutro. Abbiamo ascoltato anche nella terminologia colleghi di altri schieramenti usare, per esempio, il Pag. 79termine «clandestini», abbiamo sentito il termine «irregolari».
  Sul tema dei CIE c’è grande confusione e poca informazione nel nostro Paese, perché sono luoghi isolati e chiusi. In Italia, negli ultimi dieci – venti anni, abbiamo assistito ad un progressivo cambiamento del linguaggio. Dalle molte parole che riguardavano e riguardano gli stranieri, gli immigrati, siamo passati a una unica parola anche nei media, e anche nei media cosiddetti liberal: è la parola «clandestini», come se questo rappresentasse l'intero universo degli immigrati e come se non sapere e non conoscere, il sotterfugio, l'entrare di nascosto, quindi la paura, il rischio, sia quello che si accompagna alla realtà degli immigrati in Italia.
  In realtà, abbiamo smesso da tempo di usare parole come «immigrati», «extracomunitari», «rifugiati», «richiedenti asilo», «stranieri» e così via. Sempre, solo, «clandestini». In realtà, chi c’è nei CIE ? Vi sono immigrati, persone, i quali spesso sono anche possibili richiedenti asilo; si può trattare di una persona che, a causa della legislazione europea, se viene identificata in prima battuta in Italia, non può più chiedere di essere riconosciuta come profugo e richiedente asilo in un altro Paese, e pertanto, per esempio, arriva in Italia in maniera non identificata, perché a quel punto desidererebbe andare in Svezia, andare in altri Paesi, ma se è identificata in Italia, perde quel diritto. Poi ci sono tante altre figure di profughi e comunque di immigrati. Persone che non hanno commesso nessun reato. Sono lì perché c’è un tempo per identificarli e, se del caso, espellerli con una sanzione amministrativa che in Italia già esiste e che l'Europa prevede.
  Che cosa accade nei CIE ? Accade che nel 2012 sono stati 7.944 esseri umani, 7.000 uomini circa e 900 donne circa, i migranti trattenuti in tutti i Centri di identificazione ed espulsione in Italia. Solo la metà poi, 4.015, sono stati effettivamente rimpatriati, con un tasso di efficacia, rimpatriati sui trattenuti, del 50,54 per cento. Quando sono stati creati i CIE, il tempo di trattenimento era 30 – 60 giorni. Poi è cambiata la norma e oggi è fino a 18 mesi.
  Bene, questo tasso del 50,54 per cento di rimpatriati dopo l'identificazione è appena del 2,3 per cento superiore al tasso raggiunto nel 2010. Cioè questi 14 mesi in più non sono serviti a niente, se non a costare e a creare disumanità in spazi angusti.
  Abbiamo ascoltato il racconto di chi ha visitato i CIE. I CIE sono questo, non si capisce perché si deve essere ristretti e rinchiusi senza aver commesso nulla.
  Per questo noi crediamo sia estremamente importante nell'immediato che si sia trovata una forte convergenza per dare al Governo un forte impulso perché intanto, in primo luogo, si possa entrare nei CIE – mi riferisco alle organizzazioni solidaristiche non governative – per umanizzare i CIE, per evitare che siano luoghi chiusi, senza restrizioni; perché le prefetture possano controllare nel frattempo come siano fatte e come siano rispettate le convenzioni con i gestori di questi centri che sono diventati centri di reclusione; perché al più presto vengano superati i CIE come istituti e come struttura. Perché, in realtà, dentro i CIE noi stiamo perdendo una grande occasione: quella di essere normali.
  Mi dispiace per chi è contrario all'esistenza stessa degli immigrati in Italia, mi dispiace per chi pensa che maggiore reclusione significa più sicurezza e più Italia. Noi sappiamo che tenere i CIE così come sono significa umiliazione per l'Italia, indegnità per l'Italia. Noi dobbiamo andare a superare i CIE. Per questi 7 mila, che non sono un grande numero, dobbiamo procedere all'identificazione, se è il caso espellere e rimandare a casa, ma dopo un percorso normale.
  Tutto ciò che adesso esiste è innaturale e finisce per essere immorale. Grazie a tutti quelli che vorranno votare a favore di questa mozione (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia).

Pag. 80

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rocco Palese. Ne ha facoltà.

  ROCCO PALESE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'immigrazione, come noto, costituisce per l'Italia e l'Unione Europea un fenomeno di rilevante significato sociale, con notevoli implicazioni sul piano demografico, economico, politico, culturale e antropologico, che richiede interventi strutturali e mirati a garantire anche la coesione sociale.
  In particolare, nella scorsa legislatura, il Governo Berlusconi ha affrontato il tema nei suoi vari aspetti, senza rinunciare a politiche di accoglienza, sostegno e integrazione dell'immigrazione regolare, accompagnandole a misure di rigore per massimizzare il suo apporto positivo all'interno del sistema produttivo e sociale del Paese.
  I Governi Berlusconi sostenuti dalla maggioranza di centrodestra hanno promosso, quindi, una politica di immigrazione che si fonda su due dimensioni che si sostengono reciprocamente: fermezza e rigore contro la clandestinità e integrazione fondata sul lavoro, sulla conoscenza e sul rispetto della nostra identità.
  In una situazione internazionale particolarmente complicata, per molti aspetti drammatica, di fronte a una crisi economico-finanziaria di portata mondiale, in presenza di fatti rivoluzionari nei Paesi della riva sud del Mediterraneo, nella scorsa legislatura l'Esecutivo ha governato al meglio le emergenze ed ha gestito l'ondata dei flussi migratori che ha interessato le nostre coste.
  Una coerente integrazione di milioni di persone già presenti nel nostro Paese e di molte migliaia che chiedono l'ammissione richiede una disciplina dei flussi e dei visti che garantisca la presenza e la convivenza degli immigrati provenienti dalle varie nazioni, tenendo in considerazione le reali possibilità di assorbimento nel nostro tessuto sociale, al fine di assicurare il rispetto e la tutela della dignità umana dei lavoratori stranieri, dei nostri valori e della sicurezza dei cittadini del nostro Paese.
  Quello che manca ancora è una politica comune europea sulla gestione dell'immigrazione illegale. È necessario ragionare a livello europeo su come consentire l'immigrazione legale e, quindi, la partecipazione di tanti lavoratori stranieri allo sviluppo del Paese e dell'Unione Europea, impedendo, al tempo stesso, che organizzazioni criminali gestiscano vere e proprie tratte di esseri umani.
  In questo ambito il Governo italiano ha per primo sollevato in Europa il problema, sottolineando come il fronteggiare, da un lato, l'immigrazione clandestina ed adottare, dall'altro, una politica di accoglienza, di inserimento e di integrazione dei lavoratori stranieri che giungono in Europa non costituisce una questione che possa essere semplicemente delegata alla buona volontà dei Paesi costieri.
  Nonostante infatti molte e forse troppe dichiarazioni di intenti, l'Europa non ha dato al nostro Paese un contributo decisivo e l'Italia ha finito per dover affrontare praticamente da sola le ondate migratorie, ondate che hanno subito una forte impennata a causa delle diverse situazioni di conflitto che si sono sviluppate sulla riva sud del Mediterraneo, ma che comunque rappresentano un dato permanente, che va affrontato sia nell'interesse dei Paesi d'accoglienza sia nei confronti delle popolazioni dei Paesi di emigrazione.
  È necessario, quindi, che anche nel settore dell'immigrazione l'Europa si muova secondo i principi di collaborazione e di mutuo sostegno. Lo sforzo logistico e finanziario sostenuto dall'Italia fin dalle rivolte sviluppatisi in Tunisia, in Egitto e in Libia è stato notevole e molto impegnativo e i sacrifici segnatamente delle popolazioni di Lampedusa sono stati enormi. Questo significa gestione dei flussi, ma anche rimpatri coattivi per coloro che non hanno titolo all'accoglienza.
  Nel mese di giugno del 2012 il Ministro dell'interno Annamaria Cancellieri ha costituito una task force interna al Ministero, con il compito di analizzare la situazione in cui versano i centri di identificazione ed espulsione italiani. Dalle analisi e dalle visite programmate nei centri sono emerse Pag. 81talune disparità nella conduzione dei centri, rendendo evidente la necessità di dare uniformità organizzativa, soprattutto per quanto riguarda il trattamento degli immigrati ospitati nelle strutture. Dagli approfondimenti compiuti in virtù dell'attività svolta dal tavolo di lavoro è emerso che gli aspetti critici più evidenti nella gestione dei CIE riguardano, in primo luogo, gli ingenti oneri economici che l'amministrazione deve sostenere per la manutenzione e conservazione delle strutture, le quali sono sovente oggetto di atti vandalici da parte dei soggetti ivi trattenuti.
  Il gruppo Forza Italia ha depositato il testo di una mozione che, partendo da queste premesse, impegna il Governo innanzitutto ad adottare le opportune iniziative per prevenire situazioni di disordine e violenza all'interno degli stessi, nel rispetto dei diritti della persona.
  L'organizzazione dei centri di identificazione ed espulsione deve essere basata su standard di qualità elevati, omogenei e verificabili e improntata a criteri di economicità ed efficienza, a partire dall'offerta di un servizio di assistenza sanitaria che sia effettivamente in grado di favorire una maggiore tutela della salute di tutti gli ospiti delle strutture.
  La nostra mozione richiama la straordinaria importanza, proprio al fine di ridurre i tempi di identificazione degli stranieri irregolari, di mettere in campo ogni strumento utile alla collaborazione con le autorità consolari dei Paesi maggiormente interessati al fenomeno migratorio, semplificando i compiti dei funzionari diplomatici nell'organizzazione degli incontri con gli stranieri da identificare.
  Tema centrale è il tema Europa: è fondamentale e strategico mettere all'ordine del giorno dell'agenda europea il tema dell'accoglienza agli immigrati e ai profughi e la promozione di una politica di accoglienza europea che preveda anche lo stanziamento di risorse specifiche per i centri di identificazione ed espulsione italiani, a fronte di una disponibilità del nostro Paese a farsi carico di una congrua parte dei profughi, nonché la possibilità di ricollocazione della parte restante tra gli altri Stati membri, permettendo ad esempio il ricongiungimento familiare ed il transito ai migranti che volessero fare richiesta di asilo in uno Stato diverso da quello di primo accesso alla comunità europea.
  Le frontiere italiane non sono più ormai frontiere nazionali, ma europee: sono frontiere comuni, che delimitano uno spazio, quello europeo, appunto comune e, quindi, la loro gestione deve essere comune. In questo senso, sull'onda emotiva dell'ultima tragedia di Lampedusa, l'Unione europea ha fatto molte promesse. Barroso è anche venuto a Lampedusa. Però è stato tutto rimandato a giugno. Questo è un punto fondamentale su cui il Governo deve essere fermo con l'Unione europea: non solo dichiarazioni e buoni propositi, ma fatti e atti concreti, che mancano da tanti anni.
  È necessario inoltre vigilare sull'applicazione delle disposizioni in vigore e sul rispetto puntuale e rigoroso delle norme che regolano la possibilità di ingresso e soggiorno sul territorio dello Stato, al possesso di regolare contratto di lavoro, all'intensificare e rendere pienamente efficaci i controlli ispettivi. Favorire l'immigrazione regolare e il rispetto delle regole è l'unico modo per promuovere e valorizzare l'apporto dei lavoratori immigrati al progresso economico e sociale del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lorefice. Ne ha facoltà.

  MARIALUCIA LOREFICE. Signor Presidente, l'Italia è per i migranti terra di frontiera e ponte per l'Europa. Uomini in fuga da situazioni di guerra e disordine vedono in essa un approdo sicuro, ma spesso lungo il tragitto trovano sofferenza e morte.
  Sono quasi 37 mila i migranti sbarcati sulle nostre coste; quella che viene definita un'emergenza, in realtà non lo è, perché Pag. 82l'immigrazione è un fenomeno che si ripete periodicamente, irrefrenabile, che mai potrà arrestarsi, almeno finché ci saranno disuguaglianze economiche tra il nord e il sud del mondo e finché continueranno ad esserci guerre e soprusi di ogni tipo, che non lasciano altra scelta se non abbandonare la propria terra, anche a costo di mettere in pericolo la vita.
  Muluc è un giovane eritreo di ventisei anni e parla perfettamente l'inglese, nel suo Paese faceva l'insegnante. Alla domanda: «Perché rischiare la vita in mare ?», la sua risposta è stata: «Quale altra alternativa avevo ? Ci sono le guerre tra tribù, è impossibile vivere nel mio Paese. Sappiamo benissimo che scappando rischiamo di morire in mare, ma siamo disposti a correre questo rischio perché nel nostro Paese moriremmo comunque».
  Questa è una testimonianza di coraggio e di disperazione, ed è dietro tale disperazione che si nascondono vere e proprie organizzazioni criminali che non lasciano nulla al caso: sono gli scafisti, i cosiddetti «traghettatori». Caricano i migranti su piccole imbarcazioni, poi raggiungono al largo una nave madre e in mare aperto incrociano la «carretta» su cui i migranti finiranno scaricati nell'ultimo tratto di mare per raggiungere la Sicilia. I traghettatori di disperati conoscono molto bene le rotte, molto spesso però, in prossimità dei confini internazionali le imbarcazioni vengono bloccate dall'autorità giudiziaria e i migranti vengono portati in apposite strutture di accoglienza. Anche noi abbiamo visitato queste strutture: i centri di prima accoglienza, i CIE (centri di identificazione ed espulsione) e i CARA (centri di accoglienza richiedenti asilo). Si tratta di strutture che dovrebbero rappresentare luoghi di transizione, ma nella realtà sono «gironi danteschi» con situazioni di perenne degrado, dove mancano i servizi nonostante i cospicui fondi elargiti. I singoli centri sono estremamente difformi l'uno dall'altro poiché la gestione è nelle mani dei singoli enti. La maggior parte sono gestiti dalla Croce rossa italiana, il resto dalla confraternita delle misericordie d'Italia o da cooperative e da associazioni appositamente fondate. Sono strutture inadeguate a svolgere il loro compito; i migranti sono sistemati in container e in altri tipi di alloggi non adatti ad un soggiorno prolungato, esposti a temperature estreme.
  Alcuni centri hanno uno spazio aperto troppo angusto e talvolta manca del tutto. L'assistenza medica è inadeguata, inesistente è l'assistenza psicologica e psichiatrica, assenti sono i reparti per categorie vulnerabili, carenti le misure per prevenire il diffondersi di epidemie.
  Sono trappole di precarietà, spazi dove tutto scorre lentamente, troppo lentamente, mettendo alla prova la convivenza tra uomini e donne di Paesi, religioni e culture diverse. Ci sono vittime di tratta, sfruttamento, tortura, persone che hanno un vissuto doloroso, in fuga da conflitti, ma che sperano in un futuro diverso. I segni della rabbia covata lì dentro sono visibili: proteste, scioperi della fame, gesti di autolesione, tentativi di suicidio, evasioni, rivolte, che sistematicamente si concludono con l'intervento delle forze dell'ordine, sono gli unici mezzi che hanno queste persone per dimostrare il malessere.
  Un'indagine MEDU ha rivelato che questi centri possono essere paragonati a veri e propri centri di internamento, eppure un mare di soldi ruota attorno ad essi. Inutile negare che rappresentano anche un'opportunità per creare posti di lavoro in territori in cui la disoccupazione era la regola già prima della crisi.
  Gli operatori sono sicuramente persone che lavorano con impegno e con passione, ma la loro azione, da sola, è inutile quando è tutto il resto che non funziona.
  Insomma, questi centri rappresentano un vero e proprio business e il CARA di Mineo ne è un esempio; un lascito del Governo Berlusconi il villaggio degli aranci, requisito nella primavera del 2011 quando se ne andarono i militari americani di Sigonella. In quel caso, l'emergenza nord Africa si rivelò provvidenziale per la ditta proprietaria di quelle villette color pastello. Non andò bene invece ai richiedenti asilo di tutta Italia, i quali furono spostati a Mineo e videro allungarsi di un Pag. 83anno il tempo per avere una risposta alla domanda di protezione internazionale.
  Il CARA di Mineo ha ufficialmente 2 mila posti, ma attualmente ospita circa 4 mila persone; un modello di accoglienza sbagliato, caratterizzato da ghettizzazione ed isolamento.
  In questi anni si sono registrati sette tentati suicidi, aborti dovuti a prostituzione forzata delle donne, un rifugiato ventenne è ricoverato da un anno e mezzo a causa di una rissa e resterà sulla sedia a rotelle. La gestione rappresenta un tipico esempio anche dei rapporti clientelari dove la politica svolge sempre un ruolo di primo piano. È un centro dato in gestione senza la gara d'appalto al ribasso, grazie allo stato di emergenza prorogato nel 2012, nonostante il numero di arrivi di migranti quell'anno fosse inferiore alla media. Soggetto attuatore per la gestione del CARA di Mineo era l'allora presidente della provincia di Catania, Giuseppe Castiglione, oggi segretario alle politiche agricole. Gli ultimi appalti sono andati al raggruppamento temporaneo di imprese, in cui cooperative, come Legacoop, si trovano in affari con imprese legate a Comunione e Liberazione. Il raggruppamento è guidato da Sisifo, potenza economica vicina ai ciellini. E poi c’è la Croce Rossa, il consorzio «Casa della solidarietà», la Pizzarotti Spa, Senis Hospes di Senise, che ha come presidente Camillo Aceto che è stato imputato in un processo a Bari sul servizio di pasti nelle mense ospedaliere e scolastiche per i reati di falsi in frode nelle forniture pubbliche. Casa della solidarietà è, invece, legata a Domus caritatis la quale è stata coinvolta nel cosiddetto scandalo sui profughi dell'emergenza nord Africa. L'accusa era che i centri per minori non accompagnati venivano riempiti da adulti fatti passare per minorenni al fine di percepire un'indennità superiore. E, poi, non da ultimo non è dato sapere a quanto ammonta l'affitto pagato alla ditta privata proprietaria degli alloggi. Insomma, cooperative, società nate per l'occasione, colossi industriali e multinazionali hanno capito che la gestione dei centri per migranti poteva diventare una vera e propria miniera d'oro. E poi le gare d'appalto, naturalmente truccate. Accordi tra le stesse imprese partecipanti che, accordandosi appunto, si aggiudicano grossi affari.
  Noi voteremo a favore della nostra mozione con la quale chiediamo impegni concreti. Chiediamo al Governo un intervento nei confronti del fenomeno immigrazione che sia strutturale e non emergenziale. Chiediamo di rendere omogeneo sul territorio nazionale l'intervento di assistenza nei CIE e nei CARA, garantendo servizi di assistenza sanitaria e alimentare. Chiediamo di aumentare il numero delle commissioni territoriali, di verificare la gestione e il rispetto dei contratti pubblici di appalto, da stipulare secondo il principio di massima trasparenza e di riferire l'esito dei sopralluoghi effettuati nelle strutture, pubblicando i dati sul sito istituzionale del Ministero dell'interno. E, infine, chiediamo una maggiore partecipazione dell'Europa, chiediamo solidarietà, cooperazione, una più equa condivisione degli oneri. Sono migliaia le persone che hanno perso la vita attraversando il mare, un numero impressionante che obbliga l'Europa ad una riflessione seria sul rapporto tra l'Africa e il nostro continente. L'immigrazione è un tema che non riguarda solo l'Italia. Il nostro Paese in molti casi è solo il Paese di transito e l'Europa non può lasciarci soli. Il problema non si risolve con nuovi o maggiori stanziamenti, si risolve creando i presupposti perché i migranti non abbiano più bisogno di scappare dalla loro terra nella quale, ve lo assicuriamo, sognano di ritornare un giorno (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Avverto che a seguito di un fraintendimento è stato precedentemente annunciato il ritiro della mozione Costa ed altri n. 1-00267 e la contestuale sottoscrizione da parte del medesimo deputato della mozione Zampa, Marazziti ed altri n. 1-00156 (Seconda ulteriore nuova formulazione). Pertanto, la mozione Costa ed altri n. 1-00267 sarà comunque posta in votazione. Invito il rappresentante del Governo ad esprimere il parere su tale mozione.

Pag. 84

  DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, il Governo esprime parere favorevole.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Zampa. Ne ha facoltà.

  SANDRA ZAMPA. Signor Presidente, colleghe e colleghi, la mozione sulla quale oggi vi chiederò il voto favorevole è frutto del lavoro di molti, molti che in questi anni non hanno mai cessato di mantenere alta la vigilanza sui CIE, sul rispetto dei diritti umani e sul rispetto dei diritti delle persone immigrate. È il frutto del lavoro di molti fuori da quest'Aula: associazioni di volontariato, organizzazioni non governative, giornalisti e parlamentari che non hanno mai fatto mancare la propria sorveglianza e un'azione di controllo e di denuncia.
  Un lavoro prezioso che ha rotto la censura e il silenzio totale che aveva oscurato i CIE e soprattutto i prigionieri dei CIE nel periodo durante il quale nessuno era ammesso ad entrarvi. È il frutto anche di lavoro di colleghi che non sono più qui e che hanno però attivamente partecipato a quest'azione, in particolare voglio ricordare Roberto Zaccaria e Livia Turco che, nella scorsa legislatura, hanno seguito e sono entrati a visitare, insieme a molti parlamentari del Partito Democratico, i CIE in Italia. Questo lavoro ha portato ad accendere la luce sui CIE e ha condotto alla fine lo stesso Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, Nils Muiznieks, a visitare i CIE italiani e a chiedere alle autorità italiane di eliminare gradualmente la pratica della detenzione amministrativa dei migranti irregolari «in strutture – cito testualmente le parole del commissario – simil-carcerarie» favorendo misure alternative e più idonee a promuovere il ricorso ai programmi di rimpatrio volontario.
  Questa mozione parte da un assunto, che le parole del collega Marazziti, ma anche del collega Fratoianni, che mi hanno preceduto, hanno ben evidenziato. Il sistema dei CIE è un sistema fallimentare e il reato di ingresso e di soggiorno illegale nel territorio dello Stato ha finito con l'aggravare la situazione, non solo colpendo una condizione, più che una condotta ma, secondo i dati raccolti ed elaborati dalla direzione generale della giustizia penale dello stesso Ministero della giustizia e diffusi anche da giornali e periodici italiani, in testa ai quali indico Famiglia Cristiana, mostrano che, nel periodo in cui il reato non esisteva, il numero di espulsioni per coloro che si trovavano in Italia in maniera non regolare e, cioè, senza il permesso di soggiorno, era maggiore. Dobbiamo prendere atto che questo sistema è fallito per innumerevoli ragioni, in testa alle quali pongo – e credo che, con me, siano molti coloro che esprimono accordo – il costo umano. È vero, lo hanno ricordato Marazziti e Fratoianni e anche la collega del MoVimento 5 Stelle, quando si entra in un centro di identificazione e di espulsione non si può più dimenticare ciò che si è visto. A quindici anni dalla loro istituzione, i CIE si configurano e si confermano come strutture congenitamente incapaci di garantire il rispetto della dignità e dei diritti fondamentali della persona. Ma ciò che si rileva è anche che l'istituto della detenzione amministrativa è improduttivo per gli scopi dichiarati, e voglio ricordarlo che la detenzione amministrativa è un ricordo che viene solo dai peggiori regimi della storia.
  L'identificazione e l'effettiva espulsione dei migranti in condizioni di irregolarità, infatti così, come la funzione trattenimento sembra ridursi ad una mera sanzione: è semplicemente una punizione, la segregazione di persone socialmente indesiderabili. Il prolungamento del trattenimento a diciotto mesi, che è avvenuto, ha contribuito, come ci ricorda la Caritas, unicamente a esacerbare gli elementi di violenza e di disumanizzazione di quelle strutture. E, in modo anche più cinico, voglio ricordare che quell'allungamento dei tempi a diciotto mesi ha semplicemente fatto lievitare i costi, ma non ha in alcun modo incentivato l'identificazione.Pag. 85
  È dimostrato dai dati, che sono in possesso di tutti coloro che vogliano in buona fede prenderne atto, che non serve a nulla trattenere queste persone oltre i tre mesi, perché dopo tre mesi non vengono più identificati: semplicemente si chiede agli italiani di pagare con le proprie tasse la detenzione di persone in strutture indegne di un Paese civile ! Questo sono i CIE.
  Tra gli impegni che questa mozione assegna dunque al Governo, richiamo in particolare: il sostegno al rimpatrio volontario e al rimpatrio assistito; ma anche l'abbattimento dei tempi di detenzione; e soprattutto l'identificazione in carcere. Anche questa è un'assurdità tutta italiana: noi tratteniamo le persone, stanno in carcere, e non le identifichiamo in carcere, le facciamo uscire dal carcere e poi le rinchiudiamo in un CIE, come se non fosse stato possibile identificarli mentre erano in prigione. Sono cose di cui ci dobbiamo vergognare, tutti insieme !
  Numerosi passi avanti propone questa mozione, ma sono passi insufficienti. Sono passi avanti, ma ancora non bastano: altri ne dovranno seguire per andare nella giusta direzione, e occorrerà lavorare sul piano legislativo, e alcune iniziative sono già avviate.
  Nonostante lo sforzo di dover trovare un punto di equilibrio, credo che oggi quest'Aula, approvando questa mozione, prenda una decisione saggia, umana e anche intelligente. Saggia, perché in realtà riconosce gli errori che sono stati compiuti, e umana perché fa almeno un passo avanti nel riconoscere che le persone che vengono messe in questi luoghi vanno accolte, ospitate, identificate in tempi non lesivi dei propri diritti. Chiedo quindi al mio gruppo un voto favorevole, insieme al collega Marazziti che è il secondo firmatario di questa mozione, a questo testo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto.

(Votazioni)

  PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
  Come da prassi, gli atti di indirizzo saranno posti in votazione per le parti non assorbite e non precluse dalle votazioni precedenti.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Fratoianni ed altri n. 1-00190 (Nuova formulazione), su cui il Governo ha espresso parere contrario.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Carrescia, Saltamartini...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  374   
   Votanti  285   
   Astenuti   89   
   Maggioranza  143   
    Hanno votato   28    
    Hanno votato no  257.

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Zampa, Marazziti ed altri n. 1-00156 (Seconda ulteriore nuova formulazione), su cui il Governo ha espresso parere favorevole.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Barbanti, Calipari, Castricone, Melilla, Gnecchi, Albanella.
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  374   
   Votanti  270   
   Astenuti  104   
   Maggioranza  136   
    Hanno votato  234    
    Hanno votato no   36.

  La Camera approva (Vedi votazioni).

  Passiamo alla votazione della mozione Giancarlo Giorgetti, Corsaro ed altri n. 1-00266.Pag. 86
  Avverto che a seguito dell'approvazione della mozione Zampa, Marazziti ed altri n. 1-00156 (Seconda ulteriore nuova formulazione), la mozione Giancarlo Giorgetti, Corsaro ed altri n. 1-00266 risulta parzialmente preclusa, limitatamente al primo capoverso del dispositivo.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Giancarlo Giorgetti, Corsaro ed altri n. 1-00266, per le parti non precluse, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Capua, Gribaudo, Daniele Farina, Verini, Gnecchi...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  371   
   Votanti  267   
   Astenuti  104   
   Maggioranza  134   
    Hanno votato   14    
    Hanno votato no   253.

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  Prima di passare alla votazione della mozione a prima firma Costa, il Governo ha chiesto di intervenire per una precisazione. Ne ha facoltà.

  DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, volevo solo precisare che il parere favorevole è condizionato all'espunzione dell'ottavo capoverso delle premesse. Per intenderci, quello che fa riferimento, ai fini di una corretta ed efficiente gestione dei centri, della possibilità di ricorrere ai poteri straordinari di cui all'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225.

  PRESIDENTE. Prendo atto che l'onorevole Costa accetta la riformulazione.
  Passiamo ai voti.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Costa ed altri n. 1-00267, così come è stata riformulata dal Governo e per le parti non assorbite, sui cui il Governo ha espresso parere favorevole.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Lacquaniti, Folino, Milanato...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  376   
   Votanti  283   
   Astenuti   93   
   Maggioranza  142   
    Hanno votato  238    
    Hanno votato no   45.

  La Camera approva (Vedi votazioni).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Toninelli ed altri n. 1-00269, per le parti non assorbite, sui cui il Governo ha espresso parere contrario.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Ventricelli, Folino, Ciprini...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti e votanti  376   
   Maggioranza  189   
    Hanno votato   85    
    Hanno votato no   291.

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Palese ed altri n. 1-00271, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Gallinella, D'Ambrosio...
  Dichiaro chiusa la votazione.Pag. 87
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti e votanti  379   
   Maggioranza  190   
    Hanno votato   25    
    Hanno votato no  354.

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Di Lello ed altri n. 6-00040, su cui il Governo ha espresso parere favorevole.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Ventricelli, Colonnese...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  378   
   Votanti  351   
   Astenuti   27   
   Maggioranza  176   
    Hanno votato  232    
    Hanno votato no  119.

  La Camera approva (Vedi votazioni).

Seguito della discussione del disegno di legge: Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni (A.C. 1542-A ed abbinate) (Ore 19,20).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge n. 1542-A recante: Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni e delle abbinate proposte di legge nn. 1408-1737.
  Ricordo che sono state presentate la questione pregiudiziale di costituzionalità Brunetta ed altri n. 1 e la questione sospensiva Dadone ed altri n. 1.
  Avverto che i tempi per l'esame della questione pregiudiziale di costituzionalità e delle questioni sospensive sono computati nell'ambito del contingentamento relativo alla discussione generale.
  Sarà esaminata e posta in votazione dapprima la questione pregiudiziale di costituzionalità e, ove respinta, si passerà all'esame e alla votazione della questione sospensiva

(Esame di una questione pregiudiziale e di una questione sospensiva – A.C. 1542-A)

  PRESIDENTE. Passiamo quindi all'esame della questione pregiudiziale di costituzionalità Brunetta ed altri n. 1 (Vedi l'allegato A – A.C. 1542-A).
  A norma dell'articolo 40 comma 3 del Regolamento, uno solo dei proponenti ha facoltà di illustrare la questione pregiudiziale per non più di dieci minuti. Può altresì intervenire nella discussione un deputato per ognuno degli altri gruppi, per non più di cinque minuti.
  Il deputato Carlo Sarro ha facoltà di illustrare la questione pregiudiziale di costituzionalità n. 1.

  CARLO SARRO. Signor Presidente...

  PRESIDENTE. Colleghi vi pregherei di fare un po’ più di silenzio, gentilmente, grazie.

  CARLO SARRO. ... la questione che mi accingo ad illustrare, concerne i profili di compatibilità costituzionale del disegno di legge all'esame sulle disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni.
  È un testo che a nostro avviso in molti punti collide con il dettato costituzionale, innanzitutto perché, rendendo le province di fatto enti di secondo livello, va ad intaccare la caratteristica essenziale dell'ente territoriale così come oggi è delineato in Costituzione – soprattutto dopo le modifiche apportate al titolo V – e la natura che questi enti hanno rivestito dopo che nell'insieme è stato ridisegnato il sistema delle autonomie locali proprio per effetto di quella riforma del testo costituzionale.
  Del resto, a conferma della lettura che noi diamo della disposizione, soccorre anche Pag. 88una pronuncia della Corte costituzionale che ha chiaramente delineato, già a partire dal 2002, come le regioni e naturalmente le province sono parte integrante dell'organizzazione dello Stato e sono elementi costitutivi della Repubblica in una posizione di pari ordinazione e di pari dignità istituzionale che viceversa il disegno di legge in esame cancella, sminuendo e svilendo la funzione delle province ed intaccando anche, oltre a quella...

  PRESIDENTE. Mi scusi onorevole Sarro, colleghi tutti, vi pregherei davvero per un po’ di silenzio per favore, grazie.

  CARLO SARRO. Oltre a quella che, dicevo, è la caratteristica essenziale del sistema delle autonomie, anche l'altro principio sul quale questo sistema si regge, che è quello della rappresentanza democratica. In particolar modo l'elezione diretta, la possibilità cioè per i cittadini di designare le rappresentanze di questi enti e quindi il collegamento con il principio fondante e fondamentale della sovranità popolare, viene di fatto sminuito con questo ridisegno, con questa riorganizzazione complessiva, vanificando anche, oltre alla funzione di rappresentanza, lo stesso collegamento, come dicevo, con il principio della sovranità popolare.
  Altro aspetto che desta forti dubbi e forti perplessità sulla compatibilità costituzionale del testo all'esame della Camera, è di fatto il meccanismo con il quale si giunge alla designazione del sindaco nelle città metropolitane, attraverso cioè l'affermazione di un automatismo per cui il sindaco della città capoluogo diviene in automatico sindaco della città metropolitana, senza alcun passaggio elettorale e soprattutto creando di fatto una disparità di trattamento tra i cittadini elettori residenti nella città capoluogo, ed i cittadini elettori residenti negli altri comuni della provincia ricompresi nell'area metropolitana, che in alcun modo possono concorrere alla designazione e all'elezione del sindaco. Né questo rilievo può ritenersi superato per effetto della previsione, contenuta sempre nel testo in esame che, attraverso una legge statale, si possa definire un sistema elettivo che permetta a tutta la platea elettorale di poter concorrere contestualmente all'elezione del sindaco della città metropolitana, non solo perché questo non avverrebbe in fase di prima attuazione, in quanto la legge dovrebbe essere adottata successivamente e quindi solo dopo anche la realizzazione e un passaggio nell'esercizio della potestà statutaria da parte del nuovo ente potrebbe il tutto essere normato, ma anche perché in questa prima fase, appunto, il sistema sarebbe quello della designazione automatica e quindi anche della sostanziale vanificazione di ogni apporto e di ogni partecipazione da parte di una fetta consistente del corpo elettorale, con l'ulteriore rilievo che crea ulteriori dubbi e ulteriore perplessità, rappresentato dal fatto che con l'automatismo noi abbiamo il conferimento di una funzione e di una carica senza che al momento della designazione gli elettori abbiano potuto compiere una valutazione complessiva, vale a dire che gli elettori della città di Napoli, di Milano, insomma di quelle che sono individuate come città metropolitane, al momento dell'esercizio del loro voto non hanno in alcun modo valutato e considerato l'idoneità del candidato a rivestire questa doppia, ulteriore, più impegnativa e più importante funzione, quindi all'interno della discriminazione si crea anche una situazione di totale disancoramento della manifestazione della volontà elettorale rispetto alla designazione e quindi all'assunzione della carica e della funzione.
  Vero è che il nostro ordinamento conosce già enti di secondo livello – si pensi, per esempio, alle comunità montane, o si pensi ad altre strutture di tipo consortile – ma noi qui siamo in presenza di entità organizzative e territoriali che non hanno una dignità e non sono contemplate in Costituzione, come elementi costitutivi dello Stato, e sopratutto perché le loro funzioni e le loro attribuzioni hanno una disciplina in una normazione secondaria.
  Concludo questa illustrazione della questione pregiudiziale, sostanzialmente, denunciando la mancanza di chiarezza Pag. 89perché, in effetti, il percorso da seguire, il percorso ordinario è quello della legge costituzionale. Non a caso c’è un disegno di legge di iniziativa governativa costituzionale perché solo attraverso la modifica del dettato costituzionale, quindi l'eliminazione già in Costituzione delle province, è possibile ridisegnare un assetto di governance, un assetto di responsabilità, un assetto di funzioni, per quelle che sono le aree vaste, per quelli che sono degli ambiti territoriali e dei comprensori territoriali che coincidono con le città metropolitane consolidate, nozione che è presente nella dottrina già da molti decenni e che comunque richiede o impone un passaggio in Costituzione.
  In assenza di questo, la soluzione che si prospetta è una soluzione che appare da subito a noi confusa, pasticciata e che può generare ulteriore appesantimento del contenzioso, così come è avvenuto nel momento successivo alla modifica del titolo V della Costituzione e, soprattutto, contraddice l'altro principio al quale dovremmo ispirarci in questa scelta normativa, che è quella del contenimento della spesa. Viceversa, andiamo a creare un complessivo appesantimento, non solo delle strutture e dei procedimenti, con complicazioni e dilatazioni organizzative e temporali che penalizzano il cittadino e delineano certamente una soluzione non in linea con le esigenze di contenimento della spesa.
  Per tutte queste ragioni, invocando soprattutto l'osservanza dell'articolo 114 della Costituzione, il principio della sovranità popolare e i principi delineati nell'articolo 97 della Costituzione, chiediamo il non passaggio all'esame del disegno di legge in oggetto, proprio per la sua incompatibilità, sotto molteplici profili, con il dettato costituzionale.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bragantini. Ne ha facoltà.

  MATTEO BRAGANTINI. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, per quanto riguarda la costituzionalità di questa legge, la cosa curiosa – diciamo simpatica – è che, quando abbiamo fatto le audizioni di tutti gli esperti, chiamati da molti gruppi, da tutti i gruppi, non ce n’è stato uno che non ci abbia detto che questa non era anticostituzionale.
  Questo perché noi andiamo a riformare le province, andiamo a riformarle trasformandole in enti di secondo livello, facendo una norma in attesa della riforma costituzionale, che deve ancora arrivare in Commissione. Dunque, veramente, se si voleva fare una cosa corretta, si doveva fare la riforma costituzionale, togliere le province dalla Costituzione e, allora, si poteva – se era una scelta politica – trasformarle in enti di secondo livello. Non ce n’è stato uno, su dieci, che non abbia sollevato questa problematica, anzi qualcuno ha fatto anche una simpatica battuta sul fatto che, grazie a questa legge, avrebbe avuto ancora lavoro per poter fare ulteriori ricorsi e continuare ad avere un ottimo stipendio, anche perché – come è già stato detto prima – soprattutto, ad esempio, per le città metropolitane, noi, anzi voi, con questa legge, dite che il sindaco del comune capoluogo diventa automaticamente sindaco della città metropolitana. In questa maniera, cosa succede ? Che ci saranno dei cittadini che avranno un potere di elettorato attivo che vale tanto, che vale il doppio, e saranno i cittadini dei comuni capoluogo che potranno votare per il proprio sindaco e per il sindaco metropolitano. Tutti gli altri cittadini, invece, potranno votare semplicemente ed esclusivamente per il proprio sindaco, anche se la maggioranza della popolazione di quella nuova città metropolitana non risiede nel comune capoluogo.
  Dunque, vuol dire che la minoranza della popolazione di una città metropolitana potrà decidere qual è il proprio sindaco metropolitano. Dico di più: vuol dire che una parte, una maggioranza della minoranza andrà a decidere qual è il sindaco. Questo è un concetto molto, ma molto pericoloso – molto pericoloso –, che è anticostituzionale, perché tutti i cittadini hanno un elettorato attivo che dovrebbe essere uguale e dovrebbe essere ponderato Pag. 90in maniera uniforme su tutto il territorio, e non se uno abita in un capoluogo di provincia o meno.
  È vero, nel vostro provvedimento è previsto che si possa fare anche l'elezione diretta del sindaco del capoluogo, ma solo se il comune capoluogo viene diviso in più comuni: vuol dire aver messo una precondizione che non potrà mai avvenire, perché, forse, potrà capitare che Venezia venga suddivisa in più comuni perché c’è una grande battaglia storica perché alcuni dei suoi quartieri arrivino a status di comune autonomo, ma tutti gli altri penso che sia molto difficile che si dividano in più comuni. Anche perché, se c’è l'elezione diretta, non ha più logica che questi comuni debbano dividersi, perché potrebbe avere più logica se fosse una votazione per un ente di secondo livello. Dunque, questa è veramente una norma anticostituzionale, che va in contrasto con la Costituzione vigente sia per quanto riguarda il concetto di provincia sia per quanto riguarda l'elettorato dei cittadini, perché...

  PRESIDENTE. Scusi, onorevole Bragantini, approfittandone per dirle che le rimane un minuto, contemporaneamente, pregherei tutti di fare più silenzio, perché non si riesce quasi più a sentire quello che dice l'oratore. Grazie. Prego, ha un minuto.

  MATTEO BRAGANTINI. Se dovevo alzare la voce, me lo diceva prima, così lo avrei fatto. Come dicevo, ciò sia per quanto riguarda il concetto della provincia, che è un organismo dello Stato previsto in Costituzione e, dunque, non può essere trasformato in un ente di secondo livello, secondo molti costituzionalisti, sia soprattutto per quanto riguarda il potere di voto dei cittadini: perché con questo provvedimento ci saranno dei cittadini che avranno un elettorato attivo pieno e molti, la maggioranza dei cittadini, che avranno l'elettorato attivo dimezzato, che varrà molto meno. Questo è un concetto, a nostro avviso, molto importante e per questo voteremo l'anticostituzionalità di questa norma (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Fiano. Ne ha facoltà.

  EMANUELE FIANO. Signor Presidente, io penso che vadano distinti, nella questione pregiudiziale che qui è stata avanzata da alcuni gruppi, gli elementi di legittimità costituzionale da quelli di merito. È evidente, che sul piano dell'opportunità si possano sempre avanzare dubbi, per esempio sulle soluzioni adottate da questo provvedimento, ma queste non si traducono, a nostro avviso, in problemi di legittimità, i quali, secondo noi, invece, appaiono decisamente inconsistenti.
  Sono state eccepite sulla presunta incostituzionalità due questioni principali: sul principio autonomistico – la prima –, che si potrebbe trarre da una delle possibili interpretazioni degli articoli 5 e 114 della Costituzione, e sui vincoli che deriverebbero, in base al primo comma dell'articolo 117 della Costituzione, dalla Carta europea delle autonomie locali e, in particolare, dal comma 3 dell'articolo 2, anche sulla base delle recenti raccomandazioni del Consiglio d'Europa. Partiamo da questa seconda questione.
  È evidente, nella Carta europea, l'intento di valorizzare il rapporto diretto con i cittadini delle realtà comunali, spesso espressioni di autonomie molto antiche, e di quelle regionali che hanno conosciuto, anche grazie all'integrazione sopranazionale, un accresciuto spessore anche legislativo. Ma da questo non sembra trarsi né un obbligo generalizzato di costituire enti intermedi né che essi debbano essere eletti direttamente. In molti Paesi firmatari della Carta, o non esistono enti intermedi oppure sono entità corrispondenti alle nostre regioni o sono organizzate sulla base di elezioni di secondo grado o, comunque, indirette; e ci sarebbero vari esempi da fare.
  La raccomandazione suddetta, invece, ha avuto solo intenti persuasivi rivolti al Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, il quale, peraltro, non risulta aver dato alcun seguito. È, quindi, alla Costituzione italiana che dobbiamo fare esclusivo riferimento.Pag. 91
  Prima della riforma dell'articolo 114, non esisteva alcun dubbio in dottrina circa la possibilità per il legislatore ordinario di procedere alla trasformazione delle province. Il dubbio nasce ora dalla nuova formulazione, che le rende, al pari dei comuni e delle città metropolitane, enti costitutivi della Repubblica. La lettura più corretta di tale disposizione non è, quindi, quella di stabilire una equiordinazione fra gli enti menzionati – si veda, in particolare, la sentenza n. 274 del 2003 – ma di costituire una ricognizione dell'articolazione della Repubblica e di garantire gli enti in essa indicati da una soppressione mediante legge ordinaria, che, infatti, qui non si sta facendo.
  Non può essere, quindi, accettata una lettura «omogeneizzante» degli enti locali che sono ivi considerati. Anzi, la revisione del Titolo V ha aperto spazi importanti di differenziazione, e non di omogeneizzazione, degli enti locali. Questa lettura è confermata dall'articolo 118, che valorizza esplicitamente i principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, e che la Corte costituzionale ha utilizzato in più occasioni, anche antecedenti al Titolo V (vedi le sentenze nn. 378 del 2000, 83 del 1997 e 286 del 1997).
  La sentenza n. 106 del 2002, che ha impedito ai consigli regionali di estendere il nome di Parlamento, si è mossa nel senso di valorizzare le differenze tra i livelli rappresentativi, anziché nella direzione dell'omogeneizzazione, come, invece, si ritiene in parte dell'istanza pregiudiziale; quindi, in breve, i margini di un'eventuale differenziazione degli enti intermedi per composizione degli organi di governo e per funzione, anche a Costituzione invariata, restano ampiamente a disposizione del legislatore ordinario.

  PRESIDENTE. Onorevole, concluda.

  EMANUELE FIANO. Per quanto riguarda, invece, Presidente, un possibile intervento con la legge ordinaria, la sentenza della Corte costituzionale n. 220 di quest'anno ha chiarito che la possibilità di operare riforme strutturali deve considerarsi necessariamente estranea alla necessità ed urgenza che caratterizzano lo strumento del decreto-legge, che dunque non può essere impiegato. Riteniamo, inoltre, non condivisibile il dubbio di legittimità costituzionale relativo alla mancata connessione con il principio della sovranità nazionale e con quello dell'elezione indiretta.
  Non è privo di rilievo, infatti, che, sul piano formale, l'elezione a suffragio universale diretto sia prevista solo per l'elezione della Camera dei deputati e per il Senato della Repubblica. I modelli che abbiamo presentato sono, dunque, pienamente rispettosi – vado a concludere – del principio della sovranità popolare. L'unica differenza...

  PRESIDENTE. Deve concludere.

  EMANUELE FIANO. ...è che per l'appunto – ho finito – sono diversi, ma non perché il secondo modello, quello per esempio adottato per Londra, l'elezione diretta, sia più democratico del primo, quello per esempio di Parigi, nel caso delle città metropolitane, ma perché i territori hanno deciso che l'uno fosse più adeguato alla gestione del territorio dell'altro.
  Ho finito. Questo è quello che dovremmo fare anche noi in Italia: creare modelli adeguati ed efficienti per risolvere i problemi e gestire efficacemente le politiche pubbliche dei territori, e non invocare presunti motivi di illegittimità di un progetto di riforma certamente perfettibile...

  PRESIDENTE. La prego di concludere.

  EMANUELE FIANO. ...ma che certamente non presenta profili di illegittimità.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Rabino. Ne ha facoltà.

  MARIANO RABINO. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, la questione pregiudiziale posta dal MoVimento 5 Stelle si basa fondamentalmente su due argomenti. In primo luogo, la presunta Pag. 92violazione del dettato costituzionale, in quanto la trasformazione delle province in enti di secondo livello, derivante dalla previsione di elezioni soltanto indirette, sarebbe contraria alle disposizioni degli articoli 1 e 5 e, soprattutto, all'articolo 114, che attribuisce rango costituzionale alle province.
  In secondo luogo, vi sarebbe la violazione dell'articolo 3 della Costituzione, in quanto l'automatismo per il quale il sindaco del capoluogo di provincia è di diritto sindaco della città metropolitana sarebbe contrario al principio di uguaglianza, in quanto attribuirebbe agli elettori del capoluogo una posizione ingiustamente privilegiata rispetto a quella degli elettori degli altri comuni delle città metropolitane.
  Il primo dei due argomenti è chiaramente infondato. La Costituzione stabilisce solo due cose: che le province sono enti garantiti dalla Costituzione e che devono avere funzioni proprie. L'elezione diretta degli organi di governo non è in nessun modo un requisito costituzionale, come dimostrato dal fatto che l'elezione diretta degli organi delle province è stata introdotta solo nel 1951.
  Del resto, la Corte costituzionale, nella recente sentenza che ha dichiarato incostituzionale il riordino delle province introdotto dal Governo Monti, ritenendolo incompatibile con una legge di conversione di un decreto-legge, ha detto espressamente che «le considerazioni che precedono non entrano nel merito delle scelte compiute dal legislatore e non portano alla conclusione che sull'ordinamento degli enti locali si possa intervenire solo con legge costituzionale, indispensabile solo se si intenda sopprimere uno degli enti previsti dall'articolo 114 della Costituzione o comunque si voglia togliere allo stesso la garanzia costituzionale.»
  Il disegno di legge attualmente in discussione non abolisce le province e non toglie la garanzia costituzionale. Al contrario, in più parti sono contenuti richiami espliciti al necessario rispetto della Costituzione, rispetto per assicurare il quale non è tuttavia necessaria l'elezione diretta degli organi provinciali.
  Passando alla seconda censura, la seconda contestazione, va ricordato che il principio di uguaglianza richiede l'applicazione di un trattamento uguale davanti a situazioni uguali. In altre parole, un trattamento differenziato di situazioni simili può essere giustificato quando soddisfa il principio di ragionevolezza.
  Ebbene, in questo caso, è del tutto evidente che per la natura, e direi per il nome stesso della città metropolitana, logica vuole che il sindaco del comune capoluogo sia anche il sindaco della città metropolitana.
  Si può sicuramente discutere dell'opportunità o meno di prevedere un'elezione diretta da parte dell'intera città metropolitana, che avrebbe peraltro senso, per evitare duplicazioni solo se sostituisse e non se si sommasse al voto nel comune capoluogo, ma certamente esistono sufficienti ragioni per rendere giustificata, ragionevole e conforme al dettato costituzionale la soluzione prescelta nel disegno di legge. I cittadini dei comuni diversi da quello del capoluogo trovano infatti adeguata rappresentanza nell'elezione del consiglio della città metropolitana.
  Si sarebbe potuto decidere di adottare altri criteri, inclusa l'elezione diretta del sindaco della città metropolitana. Ma si tratta di una scelta che spetta al legislatore, che è sicuramente libero di farla ma anche, come in questo caso, di non farla, e senza per questo violare la Costituzione.
  In conclusione, riteniamo, quindi, insussistenti le ragioni di incostituzionalità poste dal MoVimento 5 Stelle e per questo voteremo contro la questione pregiudiziale (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia).

  PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, passiamo ai voti.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla questione pregiudiziale di costituzionalità Brunetta ed altri n. 1.Pag. 93
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Matarrelli, Villarosa, Grassi, Donati, La Marca...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  351   
   Votanti  346   
   Astenuti    5   
   Maggioranza  174   
    Hanno votato  118    
    Hanno votato no  228.

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  (La deputata Zampa ha segnalato che non è riuscita ad esprimere voto contrario).

  Essendo stata respinta la questione pregiudiziale di costituzionalità Brunetta ed altri n. 1, passiamo alla questione sospensiva Dadone ed altri n.1.
  A norma del comma 3 dell'articolo 40 del Regolamento, la questione sospensiva può essere illustrata per non più di dieci minuti da uno solo dei proponenti. Potrà altresì intervenire un deputato per ognuno degli altri gruppi per non più di cinque minuti.
  Il deputato Giuseppe D'Ambrosio ha facoltà di illustrare la questione sospensiva Dadone ed altri n. 1, di cui è cofirmatario.

  GIUSEPPE D'AMBROSIO. Signor Presidente, questo disegno di legge è partito male. Anzi, cominciamo a chiederci anche se sia mai partito ! Non solo per quel che riguarda il percorso dell'Aula con le dimissioni della relatrice di maggioranza, e infatti stiamo ancora cercando di capire realmente qual è la maggioranza in quest'Aula, ma anche con riguardo allo spettacolo a cui abbiamo assistito in Commissione, ove fin dall'inizio questo provvedimento non ha convinto nessuno, e per nessuno intendo anche i componenti della Commissione stessa.
  Certo, devo dire che ci ritroviamo a discutere di questo importante argomento tra parlamentari politicamente illegittimi – me compreso – tra cui, però, ve ne sono 150 che probabilmente sono ancora più illegittimi degli altri e che avranno in questo momento altre preoccupazioni. Altro che province !
  Ma illegittimità non vuol dire certamente stupidità, né perdita del buon senso, per cui dovremmo tutti convenire su quella che sembra apparentemente una certezza.

  PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole D'Ambrosio. Colleghi... Prego, onorevole D'Ambrosio.

  GIUSEPPE D'AMBROSIO. Grazie, Presidente. Le audizioni hanno messo la ciliegina sulla torta: pareri critici multipli, costituzionalisti impressionati dall'improvvisazione e la Corte dei conti che bocciando il testo ammoniva circa il rischio di generare altri costi per la finanza pubblica ed un ulteriore caos fra livelli di governo.
  Lo chiariamo subito: questa sospensiva non è per salvare le province. Noi vogliamo abolirle, sia chiaro (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). E lo abbiamo dimostrato presentandovi più volte la strada del «congelamento» delle province che stanno andando al voto per procedere ad una reale riforma costituzionale.
  Anche nella legge di stabilità abbiamo, ancora una volta, proposto il commissariamento, così come voi avete già fatto in passato. Ed ancora una volta ci avete rispedito al mittente la proposta dimostrandoci la vostra malafede.
  Il problema sta nel fatto, Presidente, che il provvedimento in titolo non è idoneo a realizzare un riordino degno di questo nome. Anzi probabilmente lo è, se la logica è quella perfettamente in linea con la politica che ultimamente vediamo, cioè quella del rinvio, dello spot e del tirare a campare, ormai prerogativa unica di questa stretta o larga maggioranza a seconda degli atti.
  Le province – bisogna chiarirlo – resterebbero a galla anche questa volta, ma Pag. 94sarebbero svuotate di ogni funzione. Come dicevo in Commissione, si tramuterebbero in zombie. Infatti morendo, tornerebbero in vita.
  Nelle città metropolitane non si procederebbe, come diceva prima il collega Bragantini, alle elezioni del sindaco, perché il sindaco del capoluogo si trasformerebbe in un supersindaco in barba a quello che è il criterio di rappresentatività.
  I comuni, che non aderiscono né alla città metropolitana né alla provincia potrebbero poi creare addirittura anche una unione dei comuni. Che spettacolo, verrebbe da dire ! Peccato che stiamo parlando delle istituzioni italiane.
  E non finisce nemmeno qui. Perché tutti questi livelli non hanno al proprio interno un criterio di consequenzialità territoriale. Quindi Roma, ad esempio, potrebbe essere la prima capitale europea senza aeroporti perché Fiumicino e Ciampino potrebbero legittimamente non aderire alla città metropolitana.
  Gli esperti auditi in Commissione, chiamati da voi, dalla maggioranza – adesso non so bene qual è la maggioranza – hanno evidenziato che il potenziale aggravio di spesa, la confusione ordinamentale e la moltiplicazione degli oneri è obiettiva ed è chiara, se questo atto non è immediatamente e chiaramente provvisorio.
  E allora, sommessamente, ci permettiamo anche di aggiungere che la vostra proposta potrebbe creare anche qualche problema per un tempestivo utilizzo di quelli che sono i fondi europei in via di programmazione.
  Giacché manca del tutto anche la coesione su questo provvedimento, per questo, vi chiediamo di sospendere il provvedimento stesso. Ma non lo proponiamo a caso.
  La pantomima vissuta in Commissione ci ha fatto comprendere il senso grottesco della situazione. Avevamo il Governo che remava in un senso, il PD che remava in un altro, il PdL, o Forza Italia o Nuovo Centrodestra, decidete voi, che remava in un altro senso ancora. E noi, gli unici interlocutori di un Ministro seriamente intenzionato ad abolire le province, ma con chi ?
  Con chi le deve abolire queste province questo Governo ? Quella è la domanda che ci siamo, prima di tutto, posti all'interno delle Commissioni.
  Ed allora la nostra richiesta è quella di fermarci, di sederci ad un tavolo tutti insieme e fare una proposta condivisa di riordino delle autonomie locali, facendo insieme una proposta costituzionale di abolizione delle province, insieme all'abolizione anche degli enti inutili, dei vari poltronifici sparsi in giro per l'Italia che fanno tanto comodo a questa politica (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  Noi abbiamo depositato una proposta di legge in tal senso e per quanto ne sappia l'ha fatto anche Forza Italia. Ebbene, partiamo da quelle o magari lavoriamoci su, ma utilizziamo comunque il procedimento costituzionale per eliminare le province. Però parliamo di eliminarle davvero, parliamo magari di ripensare le regioni così come sono, ripensare al ruolo dello Stato e dei comuni frapponendo tra gli stessi un unico nuovo ente.
  Le discussioni in Commissione, Presidente, probabilmente sono anche state fintamente accese, come è anche avvenuto nel Comitato dei nove, e questa probabilmente è la dimostrazione che questo non è un provvedimento condiviso. Ma se anche dovesse passare alla Camera, siamo pronti a scommettere che si affosserà al Senato, come ad esempio è accaduto per un qualcosa del quale non sentiamo più parlare e che veniva definito «l'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti»: ma che fine ha fatto (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) ?
  Ed allora, Presidente, rivolgo a quest'Aula delle semplici domande: le province le vogliamo abolire o no ? Anche perché il Ministro ci ha detto chiaramente che le vuole abolire. Noi le vogliamo abolire. E allora, chi non le vuole abolire ? O meglio: chi le vuole abolire soltanto sulla carta e a parole ? Chi le sta utilizzando Pag. 95solo come ennesimo spot da ventilare al proprio elettorato (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) ?
  Ieri Presidente ascoltavo l'uomo dei 100 mila euro per Pimpa parlare dell'abolizione delle province ed allora mi rivolgo a lui: se è vero che la musica è cambiata, ci mostri oggi, con questo voto, la voglia del Partito Democratico di sedersi attorno ad un tavolo per abolire realmente le province. Noi vorremmo evitare, Presidente, nuovi casi come quello che abbiamo visto della provincia di Firenze, che tra il 2004 e il 2009 ha speso 20 milioni di euro in spese di rappresentanza. 20 milioni di euro ! E qui invito i cittadini magari ad andare a vedere chi era il presidente della provincia di Firenze tra il 2004 e il 2009 (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle): per la serie da rottamabile a rottamatore.
  Ma io voglio ricordare a quest'Aula un detto: la strada per l'inferno è lastricata di buone intenzioni. Noi in Commissione la strada per l'inferno Presidente l'abbiamo già vista, perché non abbiamo visto il passaggio dalle intenzioni ai fatti. Ed allora vi chiedo oggi, adesso, qui in aula, un fatto: votiamo questa sospensiva, tutti insieme.
  E qui di nuovo mi rivolgo al nuovo segretario del Partito Democratico, che ancora una volta ieri parlava dell'abolizione delle province. Non vogliamo dare alibi ai suoi detrattori, quelli del nuovo segretario del PD. Pertanto con questa sospensione noi del MoVimento 5 Stelle intendiamo dare tempo a lei, segretario, il tempo strettamente necessario, con scadenze temporali precise e chiare, al di fuori del Comitato dei 40, ma all'interno del percorso del 138, per abolire seriamente le province. Altrimenti, Presidente, avremo solo ed ancora una volta cambiato verso. Ripeto: cambiato verso – dovrebbe essere lo slogan proprio del segretario del Partito Democratico – ma cambiato verso ancora una volta verso l'ennesima presa in giro degli italiani (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Guidesi. Ne ha facoltà.

  GUIDO GUIDESI. Signor Presidente, io e noi voteremo a favore della richiesta di sospensiva e, più che appellarmi al nuovo segretario del Partito Democratico, mi appello al buonsenso, prendendo spunto dall'audizione che ha fatto la Corte dei conti in Commissione, ma sopratutto dai precedenti che ci sono stati da quella genialata del provvedimento che fece l'allora Presidente del Consiglio Mario Monti e che ha provocato tutta quella confusione che poi c’è stata all'interno della revisione degli enti locali.
  Presidente, la Corte dei conti nelle sue conclusioni – cito testualmente – dice: «Dal punto di vista finanziario il disegno di legge si basa sull'assunto dell'invarianza degli oneri, in quanto si tratterebbe di un passaggio di risorse e funzioni dalle province agli altri enti territoriali».
  Una costruzione, questa, il cui presupposto appare, però, tutto da dimostrare nella sua piena sostenibilità. Infatti, non appaiono convincenti, anzitutto la contemporaneità tra la progressiva soppressione della provincia, risparmi e l'istituzione della città metropolitana che, ovviamente, comporta oneri. In secondo luogo, il relativo parallelismo quantitativo. Lo stesso testo del provvedimento, da un lato prevede una certa sovrapposizione di funzioni tra i due organismi, dall'altro consente, al verificarsi di ipotesi di cui peraltro si potrà avere conto solo ex post, come le opzioni dei singoli comuni, la sopravvivenza della singola provincia con ipotizzabili interferenze e necessari interventi dagli enti territorialmente contigui. Va, inoltre, considerato che per la definitiva soppressione delle province occorre che vengano definiti alcuni passaggi decisionali, tra cui determinante risulta la modifica della Costituzione in vigore, con i tempi occorrenti ai fini dell'individuazione delle risorse di cassa tali da compensare gli oneri legati alla progressiva costituzione della città metropolitana.
  La Corte, nella sua audizione, fa svariati esempi del rischio che, attraverso Pag. 96questo provvedimento, si corre. Si corre un rischio di sovrapposizione legislativa, si corre un rischio di maggiori oneri dal punto di vista della funzionalità, si dice che questo provvedimento sia un provvedimento transitorio in attesa di una modifica della Costituzione, se gli obiettivi sono quelli in premessa attraverso cui il Governo ha presentato questo provvedimento. Allora, noi partecipiamo alla richiesta di una sospensiva di questo provvedimento proprio per invitare il Parlamento a non commettere l'errore che è stato commesso l'altra volta e per aspettare una revisione della Costituzione, visto che il Governo ha in programma le riforme costituzionali, e in quel momento affrontare effettivamente la revisione degli enti locali, siano essi area vasta, siano essi città metropolitane. Infatti, così corriamo effettivamente due rischi, a cominciare da una sovrapposizione legislativa, creando una confusione incredibile di cui, ovviamente, pagheranno le conseguenze i cittadini che rischiano addirittura di trovarsi di fronte ad una situazione, finché non arrivi la revisione della Costituzione, dove gli oneri saranno molto di più degli attuali visto che l'unico risparmio certo che vi è e che sancisce anche la Corte dei conti è quello degli stipendi, chiamiamoli così, delle giunte provinciali. Ma ci saranno ancora, a quanto pare, i rimborsi spese, ci saranno ancora alcune situazioni e le sovrapposizioni e i trasferimenti anche di competenze creeranno maggiori spese. Ed è proprio per questo, per evitare una figuraccia, che vi diciamo: fermiamoci, sospendiamo questo provvedimento in attesa poi della discussione sulle riforme costituzionali (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Lattuca. Ne ha facoltà.

  ENZO LATTUCA. Signor Presidente, si potrebbe liquidare con poche parole un'argomentazione che porterà il gruppo del Partito Democratico a respingere la sospensione che viene qui proposta. Sospensione che viene respinta per infondatezza e carenza di motivi. Basta leggere il testo di questa questione e le prime righe per scovare subito una contraddizione evidente. Leggiamo, infatti, che il riordino, la semplificazione e la razionalizzazione delle articolazioni territoriali della Repubblica viene considerata una riforma urgente e necessaria. Come si fa a chiedere la sospensione di un provvedimento, di una riforma che si ritiene urgente e necessaria ?
  E ancora si fa riferimento, nel testo di questa questione, agli oneri aggiuntivi che si pensa possano derivare da questo provvedimento, mentre si sa benissimo che questo provvedimento porterà ad un risparmio diretto che è quello che veniva appena ricordato, pari a 200 milioni di euro, e che riguarda le indennità di carica di tutti gli organi provinciali, che non ci saranno più, e un risparmio possibile in futuro dato dalla razionalizzazione che questo provvedimento potrà portare e dalla conseguenza anche rispetto a quegli enti intermedi, gli ATO e tanti altri livelli intermedi – se ne stimano oltre 4 mila in Italia – che potranno essere chiusi per poter far confluire nelle aree vaste, province (chiamiamole come vogliamo) quelle competenze e, quindi, si sa benissimo di cosa si sta parlando nel merito. Si sa benissimo che è possibile riformare le province e superare le province così come le abbiamo conosciute in questi anni a Costituzione invariata e consentitemi di dire una cosa: se poi si vuole fare il passo successivo – e noi lo vogliamo fare insieme a voi ovvero arrivare all'abolizione della provincia attraverso una revisione complessiva del Titolo V della nostra Costituzione – abbiamo l'opportunità di farlo, ma non siamo noi quelli che ci siamo opposti a qualsiasi tentativo di revisione costituzionale in quest'Aula negli scorsi mesi.
  Vorrei ricordare i toni del dibattito in quest'Aula rispetto al disegno di legge costituzionale maldestramente definito «deroga all'articolo 138» in quanto una deroga al 138 nella realtà non è. E mi viene anche da considerare che risulta alquanto bizzarro che un Parlamento che viene qui definito dal presidente della Pag. 97Giunta delle elezioni «Parlamento illegittimo» debba sospendere l'esame di un disegno di legge ordinaria per attendere un disegno di legge costituzionale. Se siamo un Parlamento illegittimo non si sospende un provvedimento ordinario per aspettare un provvedimento di riforma costituzionale (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Scelta Civica per l'Italia). E che questa considerazione la faccia il presidente della Giunta delle elezioni mi fa pensare che evidentemente non c’è un dialogo con i tecnici della Giunta tale da poter permettere il passaggio di informazioni necessarie.
  Si sa che è possibile riformare le province e si sa che in questa legge non si disciplinano solo le province, si disciplina l'istituzione delle città metropolitane che è da vent'anni prevista dalla Costituzione e che attende una legge di attuazione e anche le cose che sono state dette riguardo alla mancata possibilità di elezione diretta del sindaco metropolitano sono infondate. Infatti è noto a tutti coloro che hanno partecipato ai lavori della Commissione e che conoscono minimamente il testo che le nuove città metropolitane hanno la possibilità di prevedere da statuto l'elezione diretta del sindaco metropolitano. Qui la questione, signor Presidente, è molto semplice: c’è qualcuno (e questo qualcuno è il Partito Democratico) che trova legittimazione e giustificazione alla propria presenza in aula e al proprio ruolo, quotidianamente, nel tentativo faticoso di cambiare le cose rispetto a come le abbiamo trovate. Se c’è qualcuno, invece, che dopo aver tanto evocato la logica della sospensione e del rinvio viene qui a proporci l'ennesima sospensione e l'ennesimo rinvio deve sapere che noi non siamo disposti a giocare con chi vuole paralizzare le istituzioni, con chi vuole congelare la situazione, chi vuole congelare lo status quo con tutte le sue inefficienze per poter poi magari unirsi a chi in queste ore manifesta nelle piazze d'Italia con i forconi. Noi a questa logica dello sfascio del «tanto peggio tanto meglio» non ci staremo ed è bene che tutta quest'Aula lo sappia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla questione sospensiva Dadone ed altri n. 1.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Gnecchi... Grillo... Dambruoso...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  339   
   Votanti  334   
   Astenuti    5   
   Maggioranza  168   
    Hanno votato  112    
    Hanno votato no  222    

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

(Il deputato Patriarca ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto contrario).

  Essendo state respinte la questione pregiudiziale di costituzionalità e la questione sospensiva, passiamo al seguito della discussione del provvedimento.

  MATTEO BRAGANTINI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  MATTEO BRAGANTINI. Signor Presidente, avevamo concordato di chiudere alle 20,30: mancano pochi minuti. Molte persone vorrebbero intervenire sul complesso degli emendamenti, e dunque riteniamo opportuno per fare una discussione – siccome non sono questi 10 o 15 minuti che possono comportare una differenza per l'economia dei lavori –, riuscire ad affrontare una tematica così importante, che abbiamo appena visto ha comportato anche una discussione parziale, ma a mio avviso molto interessante in questo momento.Pag. 98
  Vorrei dunque veramente chiedere, e magari prima fare anche una discussione con gli altri gruppi, se non sia opportuno interrompere qui la seduta di questa sera, in modo che domani, quando si inizierà (onestamente non so ancora a che ora si comincia, ma per mia mancanza, e dunque non so se le 11, 10,30, 11,30), poter veramente cominciare e fare un lavoro organico: cominciare una discussione sul complesso degli emendamenti, e subito dopo cominciare a dare i pareri sull'articolato, partendo ovviamente dell'articolo 1 e via dicendo. In questa maniera penso che, per tutti i colleghi e per l'economia dei lavori dell'Aula e anche per il Ministro, riusciremo a fare un lavoro, più consono, più concreto, un lavoro che veramente, se non fermare totalmente questa proposta di legge, va a migliorarla, perché essa, a mio avviso, comporta molte problematiche, e, come anche la Corte dei conti ha sollevato, potrebbe portare ad un aggravio di costi e ad una burocrazia che, invece di andare a semplificare, andrebbe veramente a complicare.
  Chiedo dunque veramente a tutti i colleghi, e principalmente ai colleghi dei vari gruppi, di avere questa possibilità, e di riuscire veramente a dare la possibilità a tutti di fare una discussione generale. Questo perché, se cominciamo adesso a fare la discussione, dovremmo andare ad oltranza fino alla fine della discussione; e dunque, se si va alla fine della discussione, domani non ci sarebbe più la possibilità per qualcuno di intervenire. Siccome poi anche alle 20,30 c’è la Commissione bilancio che deve riunirsi – e dunque per quello dicevo, le 20,30 è un termine tassativo per finire i lavori –, alle 20,30 c’è quel termine lì, non vorrei che, cominciando immediatamente sulla discussione generale, ciò comportasse levare un diritto a molti colleghi di intervenire; e dunque per questo motivo semplicissimo, non per guadagnare quei 10 o 15 minuti, è principalmente per un motivo concreto, che vorrei chiedere a tutti i gruppi – ho sentito già parlare qualche collega di qualche altra forza politica – di avere questa possibilità, in modo che domani, più tranquilli, avendo tutti passato una buona serata, riuscire ad andare veramente avanti con questo provvedimento.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Vorrei rassicurarla che comunque anche i tempi per i richiami al Regolamento e sull'ordine dei lavori saranno sottratti dal contingentamento; quindi, diciamo, il problema non si pone.

  GIUSEPPE D'AMBROSIO. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  GIUSEPPE D'AMBROSIO. Signor Presidente, anche il nostro gruppo è d'accordo con la richiesta del gruppo della Lega, della sospensione; anche perché comunque abbiamo visto che probabilmente, vista anche la tarda ora, qualche collega inizia a perdere un pochettino di lucidità, parlando del merito della questione, che il MoVimento 5 Stelle non è d'accordo sulle riforme costituzionali. Preferiamo quindi affrontare magari l'argomento in un momento di condivisa lucidità, vista la sua importanza (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Anche quindi da parte del MoVimento 5 Stelle vi è una richiesta alla Presidenza, in merito alla sospensione, per affrontare domani mattina, con più calma e lucidità, l'argomento stesso.

  ETTORE ROSATO. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  ETTORE ROSATO. Signor Presidente, noi siamo lucidissimi, e nella nostra lucidità anche sul merito ci affidiamo alla sua sensibilità per utilizzare tutti i tempi disponibili di quest'Aula per lavorare: perché, come è stato sottolineato in Conferenza dei presidenti di gruppo, c’è l'esigenza di dare spazio alla legge di stabilità. Penso quindi che se noi stasera esauriamo una parte rilevante del dibattito Pag. 99sul complesso degli emendamenti, facciamo un buon lavoro. Ci appelliamo quindi alla sua attenzione e sensibilità (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  ROCCO PALESE. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  ROCCO PALESE. Signor Presidente, anche il gruppo di Forza Italia si associa alla richiesta fatta dal capogruppo della Lega, per un motivo molto semplice, e cioè perché adesso, alle 20,30 è convocata la Commissione bilancio ed è convocata su un tema importante, che è il disegno di legge di stabilità e il disegno di legge di bilancio dello Stato e alle 20,30 è in calendario, programmato, l'esito dei ricorsi rispetto agli emendamenti.
  Mi sembra completamente ineludibile che debbono essere sospesi i lavori da parte dell'Aula in concomitanza di una seduta così importante della Commissione bilancio che vede tutti impegnati. D'altro canto, gli accordi erano che alle 20 bisognava sospendere questa seduta e molti dei deputati, dei colleghi del gruppo Forza Italia sono andati già via avendo espresso già il desiderio e la convinzione di dover intervenire sul complesso degli emendamenti.
  Io ritengo che il provvedimento sia impegnativo, un provvedimento di sistema, un provvedimento cioè che è importante e che quindi a questo va data tutta l'attenzione e la possibilità di farlo in maniera ordinata e di farlo anche nei termini dovuti dal Regolamento. Perché se è convocata la Commissione bilancio alle 20,30 ed è convocata da diversi giorni e il calendario è stato stilato in maniera unanime ed è stato ribadito dall'Ufficio di Presidenza e anche da un SMS, che ci è pervenuto esattamente dieci minuti fa, di conferma delle 20,30 allora non mi sembra che ci siano, secondo anche il Regolamento, le possibilità di dover proseguire oltre le 20,25. Quindi parliamo di 7-8 minuti, perché deve dare anche il tempo ai componenti la Commissione di andare su al quarto piano presso la Sala del Mappamondo per poter proseguire i lavori iniziati in V Commissione.
  Quindi ribadisco la totale indisponibilità da parte di questo gruppo, a termini del Regolamento in concomitanza della seduta della Commissione bilancio di proseguire i lavori su questo argomento, ma di riprenderli domani mattina.

  TITTI DI SALVO. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  TITTI DI SALVO. Signor Presidente, solo per una notazione di realismo. O si sposta la Commissione bilancio dalle 20,30 in avanti, o si sospendono qui i lavori dell'Aula. Delle due, l'una (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).

  PRESIDENTE. Colleghi, vorrei che fosse chiaro, come è chiaro a tutti, che normalmente se c’è un accordo tra i gruppi per concludere prima l'esame di un provvedimento rispetto all'orario di chiusura dell'Assemblea, la Presidenza ovviamente non può che prendere atto di questo. Diversamente, la Presidenza deve proseguire seguendo il normale andamento della seduta.
  Ora, il tema è che io devo leggere uno speech; arriverà il momento nel quale dovrò verificare se ci sono iscritti a parlare sul complesso degli emendamenti. Arrivato a quel punto, se non ci sono iscritti a parlare sul complesso degli emendamenti, io chiedo il parere sugli emendamenti all'articolo 1. Se ci sono iscritti sul complesso degli emendamenti mi comporterò di conseguenza. Quindi stiamo tutti tranquilli perché io adesso sto soltanto leggendo il seguito dello speech fino al momento in cui debbo decidere.
  Ricordo che nella seduta del 2 dicembre 2013 si è conclusa la discussione sulle linee generali e che il relatore per la maggioranza e il rappresentante del Governo sono intervenuti in sede di replica, mentre il relatore di minoranza vi ha rinunziato.

Pag. 100

(Esame degli articoli – A.C. 1542-A)

  PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli articoli del disegno di legge nel testo della Commissione.
  La Commissione bilancio e il Comitato per la legislazione hanno espresso i prescritti pareri, che sono distribuiti in fotocopia (Vedi l'allegato A – A.C. 1542-A).
  Informo l'Assemblea che, in relazione al numero di emendamenti presentati, la Presidenza applicherà l'articolo 85-bis del Regolamento, procedendo in particolare a votazioni per principi o riassuntive, ai sensi dell'articolo 85, comma 8, ultimo periodo, ferma restando l'applicazione dell'ordinario regime delle preclusioni e delle votazione a scalare.
  A tal fine i gruppi Lega Nord e Autonomie, e Fratelli d'Italia sono stati invitati a segnalare gli emendamenti da porre comunque in votazione.
  Avverto che la Presidenza non ritiene ammissibile, ai sensi dell'articolo 89, comma 1, del Regolamento, l'articolo aggiuntivo Pilozzi 22-bis.012, già dichiarato inammissibile in sede referente, che reca una norma di interpretazione autentica in materia di autenticazione delle sottoscrizioni degli elettori e dei candidati.
  Avverto, altresì, che la Presidenza non ritiene ammissibile, ai sensi degli articoli 86, comma 1, e 89, comma 1 del Regolamento, l'emendamento Gregorio Fontana 1.365, non previamente presentato in sede referente, che reca disposizioni in materia di parametri per l'individuazione degli enti virtuosi in relazione al rispetto del Patto di stabilità, in quanto concerne una materia estranea rispetto al contenuto del provvedimento in esame.
  Ora, onorevole Fedriga, magari anticipo il suo richiamo al Regolamento, atteso che dovrei passare all'articolo 1, sul quale c’è già un iscritto a parlare sul complesso degli emendamenti ed essendo le ore 20,20, e scavalleremmo le ore 20,30 senza poter far concludere eventualmente l'intervento dell'oratore, se non vi sono obiezioni, a questo punto sospendo la seduta e l'esame del provvedimento che rinviamo alla seduta di domani mattina, che annuncio dopo aver dato informazione delle persone che hanno chiesto di parlare per il fine seduta. Va bene ? Sono stato chiaro ? È chiaro l'argomento ? Abbiamo sospeso l'esame del provvedimento.

Sui lavori dell'Assemblea (ore 20,20).

  PRESIDENTE. Comunico che a seguito della riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo di oggi è stato stabilito che mercoledì 11 dicembre, alle ore 16, dopo il dibattito sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri sulla situazione politica generale e le eventuali votazioni, sarà iscritto all'ordine del giorno il seguito dell'esame del disegno di legge n. 1542 e abbinate – Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni (deliberata l'urgenza).
  La Conferenza dei presidenti di gruppo tornerà a riunirsi sempre mercoledì 11 dicembre, alle ore 15, per valutare l'ulteriore corso dei lavori.

Sull'ordine dei lavori e per le risposte a strumenti del sindacato ispettivo (ore 20,21).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Gallinella. Ne ha facoltà.

  FILIPPO GALLINELLA. Signor Presidente, oggi è il 9 dicembre 2013, trentadue anni fa, il 9 dicembre 1981, alle ore 11, come si legge dal resoconto stenografico, sono cominciati i lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla P2, ed io lo vorrei ricordare. «La Commissione che ho presieduto ha detto che la P2 è stata un'organizzazione che ha cercato, all'interno delle istituzioni, di controllare e condizionare la vita politica del Paese», queste sono le parole di Tina Anselmi. Il 9 dicembre 1981, con questa Commissione Pag. 101parlamentare d'inchiesta, presieduta appunto da Tina Anselmi – lo ricordo, una partigiana onesta e decisa, che non guardò in faccia a nessuno nel suo lavoro: era la persona più adatta per questo tipo di lavoro, e proprio per questo trovò non pochi ostacoli – a palazzo San Macuto cominciarono i lavori nel nome del popolo della Repubblica, parole della stessa Tina Anselmi: «Sono una cittadina, una cittadina, e lo ripeto: una cittadina, che è stata investita di questo dovere e andrò fino in fondo, costi quel che costi». Per tutti un esempio da seguire, un esempio da seguire: tenacia, coerenza e correttezza.
  Voglio leggere anche le parole di Licio Gelli – non certo per onorarlo – del 2003: «Guardo il Paese, leggo i giornali e penso: ecco qua, che tutto si realizza, poco a poco, pezzo a pezzo. Forse sì, dovrei avere i diritti d'autore: la giustizia, la TV, l'ordine pubblico, ho scritto tutto trent'anni fa». Il MoVimento 5 Stelle vuole ricordare questa storia perché, purtroppo, anche oggi vediamo intrecci tra politica e affari, interessi privati e favori a lobby: una distanza tra politica e cittadini che sembra incolmabile. Concludo dicendo che noi daremo battaglia per quest'Italia, costi quel che costi.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Agostinelli. Ne ha facoltà.

  DONATELLA AGOSTINELLI. Signor Presidente, sono qui a sollecitare la risposta a un'interrogazione, la n. 4-00324. Si tratta di una questione urgentissima. Ora, lo scopo dell'interrogazione era quello di fare chiarezza in merito all'indecorosa vicenda degli arbitrati concessi dai Ministri Di Pietro e Matteoli al signore Eraldo Longarini, concessionario dei piani di ricostruzione post-bellica di Ancona, Ariano Irpino e Macerata. Ora, per quelle concessioni all'inizio degli anni Novanta, il signor Longarini e altissimi funzionari del Ministero dei lavori pubblici vennero arrestati e condannati per reati quali la corruzione, la truffa aggravata ai danni dello Stato. Le concessioni vennero revocate, il Parlamento ha approvato la legge n. 317 del 1993, che ha messo fine ai piani di ricostruzione.
  Nel 1999 il Parlamento ha approvato una norma di interpretazione autentica che chiarisce in maniera inequivocabile che i conteggi delle opere realizzate e solo quelle dovevano essere contabilizzate alla data di cessazione dei lavori, cioè ottobre 1992. Ora, sapete a quanto ammontano gli arbitrati per cui è in ballo la vicenda Longarini ?

  PRESIDENTE. Mi scusi onorevole Agostinelli, vorrei pregare i colleghi del gruppo, visto che state...

  DONATELLA AGOSTINELLI. Sì, grazie, perché la questione è importantissima e avrei piacere che tutti ne fossero a conoscenza. Ora, la questione del signor Longarini ammonta a ben 1 miliardo e mezzo di euro, questo per quanto riguarda la sola sorte. Lo ripeto, 1 miliardo e mezzo di euro. Invito i colleghi parlamentari a prendere cognizione di questa gravissima situazione e a decidere di fare anche insieme qualcosa, perché se non prendiamo atto di questa situazione a breve esce la sentenza della Corte d'appello e come al solito a pagare saranno i cittadini (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PAOLO PARENTELA. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  PAOLO PARENTELA. Signor Presidente, con questo intervento intendo segnalare quanto sta avvenendo in provincia di Reggio Calabria nel sito archeologico dell'antica Caulonia. Il maltempo e le violente mareggiate che hanno colpito le coste ioniche calabresi in questi giorni rischiano di inghiottire l'importantissimo sito archeologico dove, soltanto questa estate, è stato ritrovato il mosaico ellenistico più importante e più grande dell'Italia meridionale. Serve un intervento immediato per impedire che un'altra fetta del nostro patrimonio storico e culturale Pag. 102venga cancellata dall'assenza totale dello Stato. La nostra interrogazione, presentata pochi giorni fa, merita una risposta immediata, così come un intervento delle istituzioni competenti. Non solo Monasterace, non solo la Calabria, ma l'Italia e il mondo intero meritano i nostri sforzi per non cancellare la memoria di quella che fu la culla della nostra civiltà (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  GEA SCHIRÒ. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  GEA SCHIRÒ. Signor Presidente, l'istituto Regina Margherita è una delle scuole più antiche di Palermo e fin dalla sua istituzione nel 1867 è stata collocata in un complesso monastico, quello del Santissimo Salvatore, ubicato nell'antica sezione di Santa Cristina, il mandamento di palazzo reale.
  Nato come istituto magistrale, attualmente si articola in liceo socio-psicopedagogico, liceo delle scienze sociali, liceo delle scienze umane, liceo musicale e coreutico e liceo linguistico. La vasta articolazione dell'offerta formativa ha fatto sì che verso il liceo si orientassero gli interessi di un gran numero di studenti e delle loro famiglie, fatto questo che ha portato ad avere un elevato numero di iscritti, ad oggi 1.867. Può sembrare elevato in valore assoluto tuttavia è perfettamente congruente se visto in relazione alla complessa articolazione del corso di studi. Del resto, a un numero così elevato di alunni fa riscontro un cospicuo numero di docenti, circa duecentocinquanta, che assicurano il corretto svolgimento delle attività formative.
  Purtroppo, il portone d'ingresso della scuola, che ha bisogno di riparazione, è stato sostituito da un portone da cantiere che verrà rimesso al suo posto. Il liceo attualmente ospita 64 studenti diversamente abili, le cui aule sono poste ovviamente al piano terra, quindi non hanno problemi di accesso, il numero degli studenti per classe è proporzionale alle dimensioni e per le stesse motivazioni di vetustà dell'edificio la scuola non dispone di ascensori attivi.

  PRESIDENTE. Concluda, onorevole Schirò.

  GEA SCHIRÒ. Tutte queste precisazioni, senza nascondere i numerosi problemi legati alla manutenzione di strutture storiche, sono servite perché ho voluto raccontare con ricchezza di particolari...

  PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Schirò, purtroppo deve concludere.

  GEA SCHIRÒ. Va bene. Per concludere, dopo aver ospitato qui alla Camera questo liceo Regina Margherita per un premio ricevuto in relazione ad un progetto sulla violenza delle donne, vorrei denunciare la solitudine nella quale sono lasciati gli insegnanti e gli studenti. Sinora le istituzioni non hanno ritenuto di avviare un tavolo di consultazione...

  PRESIDENTE. Onorevole Schirò, concluda.

  GEA SCHIRÒ. ... con gli insegnanti e gli studenti. Grazie, mi riservo di consegnare il testo.

  PRESIDENTE. Grazie, lo può consegnare e la Presidenza ne autorizza, sulla base dei criteri costantemente seguiti, la pubblicazione in calce al resoconto.

  GIUSEPPE L'ABBATE. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  GIUSEPPE L'ABBATE. Signor Presidente, sarò brevissimo: ai sensi del comma 2 dell'articolo 134 del Regolamento, chiedo che vengano poste all'ordine del giorno delle prossime sedute delle Commissioni assegnatarie, l'interrogazione a risposta scritta n. 4-02369 e l'interrogazione a risposta scritta n. 4-02307.

Pag. 103

  EMANUELE FIANO. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  EMANUELE FIANO. Signor Presidente, è in corso in tutta Italia, da diverse ore, nella giornata di oggi, una protesta indetta dal cosiddetto movimento dei forconi.
  È una protesta che ha avuto il suo epicentro più violento e più pericoloso, secondo noi, nella città di Torino. Sono cortei con una partecipazione mista: vi partecipano venditori ambulanti, camionisti, precari, studenti, disoccupati, nella città di Torino, tifoserie ultras. Si sono verificati, sino ad adesso, e a loro inviamo la nostra solidarietà e il nostro abbraccio, quattordici feriti tra le forze dell'ordine, feriti dal lancio di oggetti, in particolare nella piazza Castello a Torino, aggressioni a fotoreporter e a giornalisti. Una postazione di Sky è andata distrutta con i calci dei manifestanti e anche a questi professionisti noi inviamo la nostra solidarietà.
  Io mi soffermo su un aspetto particolarmente preoccupante che si è verificato nella città di Torino nelle ore prima di questi cortei, cioè nelle ore precedenti della giornata di ieri: numerosissimi negozianti – molte sono le segnalazioni – hanno ricevuto minacce di non tenere aperti i loro negozi, pena lo sfascio delle loro vetrine.
  Noi ci rivolgiamo quindi al Governo chiedendogli di venire in quest'Aula a riferire sugli scontri di quest'oggi. Vogliamo sapere chi siano i responsabili, come si sono svolte le vicende e quali azioni intenda intraprendere il Governo per i gravi fatti di oggi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Onorevole Fiano, ovviamente sarà fatto sapere al Governo il contenuto della sua richiesta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì 10 dicembre 2013, alle 9,30:

  1. – Svolgimento di interrogazioni.

  (ore 11)

  2. – Seguito della discussione del disegno di legge:
   Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni (C. 1542-A).
   e delle abbinate proposte di legge: MELILLI; GUERRA ed altri (C. 1408-1737).
  — Relatori: Bressa, per la maggioranza; Matteo Bragantini, di minoranza.

  3. – Seguito della discussione delle mozioni Sorial ed altri n. 1-00194, Giorgia Meloni ed altri n. 1-00255, Di Salvo ed altri n. 1-00256, Tinagli ed altri n. 1-00257, Gnecchi ed altri n. 1-00258, Fedriga ed altri n. 1-00259 e Pizzolante ed altri n. 1-00260 concernenti iniziative volte all'introduzione di un prelievo straordinario sui redditi da pensione superiori ad un determinato importo.

  4. – Seguito della discussione della proposta di legge:
   FERRANTI ed altri: Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali (C. 631-A).
   e delle abbinate proposte di legge: GOZI ed altri; CIRIELLI; BRUNETTA ed altri; BRUNETTA (C. 980-1707-1807-1847).
  — Relatori: Rossomando e Sarro.

  5. – Seguito della discussione delle mozioni Rondini ed altri n. 1-00227, Gallinella ed altri n. 1-00274, Mongiello ed altri n. 1-00276, Franco Bordo ed altri n. 1-00277, Zaccagnini e Pisicchio n. 1-Pag. 10400278, Faenzi ed altri n. 1-00279 e Dorina Bianchi e Bosco n. 1-00280 sull'etichettatura dei prodotti agroalimentari.

  La seduta termina alle 20,30.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DELLA DEPUTATA ANNA ROSSOMANDO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLA PROPOSTA DI LEGGE N. 631-A ED ABBINATE

  ANNA ROSSOMANDO, Relatore. Il provvedimento oggi all'esame dell'Assemblea affronta uno dei temi più delicati per ogni democrazia: la limitazione, fino all'azzeramento, della libertà personale in assenza di una condanna definitiva che abbia accertato la responsabilità penale della persona sottoposta alla misura. Compito del legislatore è procedere ad un attento bilanciamento tra il diritto fondamentale della libertà individuale e le esigenze di giustizia a tutela della collettività. È quindi evidente quanto sia necessario assicurare una disciplina dell'istituto che non dia spazio ad incertezze applicative, prevedendo criteri tassativi e specifici ai quali il giudice debba attenersi.
  È naturalmente da tutti condiviso l'assunto secondo cui la disciplina legislativa delle misure cautelari deve essere del tutto compatibile con i principi costituzionali ed, in particolare, con il principio di presunzione di innocenza. Divergenze, invece, possono esservi nella individuazione del punto di equilibrio tra diritti fondamentali dell'individuo, da un lato, e le esigenze connesse all'accertamento giudiziale del reato, dall'altro.
  Nel cercare questo punto di equilibrio si deve tenere conto – e questa è stata la linea guida seguita dalla Commissione – che l'adozione di una misura restrittiva della libertà personale deve essere intesa come una extrema ratio. Non è sufficiente che la legge si muova in tal senso, è necessario che lo faccia in concreto anche il magistrato che applica la normativa.
  In effetti, il codice di procedura penale già stabilisce che «nessuno può essere sottoposto a misure cautelari se a suo carico non sussistono gravi indizi di colpevolezza» e, quindi, che devono essere accertate in concreto delle esigenze previste specificamente, quali il pericolo che l'indagato commetta un altro reato, che possa inquinare le prove o che possa darsi alla fuga. Inoltre si prevede che la custodia cautelare in carcere possa essere disposta solamente in merito a reati di una certa gravità, individuati in base alla pena edittale. Si stabilisce espressamente che «la custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata».
  A fronte di questa disciplina legislativa che sembrerebbe relegare la custodia cautelare ad una misura residuale ed eccezionale vi sono i dati drammatici dell'applicazione concreta della misura. È un dato allarmante che il 40 per cento dei detenuti sia in attesa di giudizio. Tra costoro occorre comunque distinguere coloro che siano stati condannati in primo o secondo grado da chi sia indagato o imputato in primo grado. La prima categoria si riduce riducendo i tempi del processo. Si tratta di soggetti che comunque sono stati condannati. A questo proposito, ricordo che in molti Stati alla sentenza di condanna di primo grado segue il carcere come conseguenza naturale anche se la sentenza non è ancora definitiva. La seconda categoria è quella più delicata in quanto comprende coloro che non siano stati in alcun modo riconosciuti colpevoli o addirittura rinviati a giudizio. In Italia 12 mila detenuti si trovano in questa condizione. Il provvedimento approvato dalla Commissione Giustizia mira a rendere più stringente l'attuale normativa affinché il giudice debba ricorrere alla custodia in carcere solo quando sia strettamente necessario.
  I dati relativi alla custodia cautelare in carcere sono tanto allarmanti da poter far ritenere che questa misura abbia oramai finito per assumere una valenza surrogatoria della pena detentiva che dovrebbe essere conseguenza di una sentenza definitiva di condanna. La lunghezza dei processi rende meno certa, e comunque molto Pag. 105ritardata, l'applicazione della sanzione, per cui la restrizione cautelare finisce per essere percepita, erroneamente, come l'unica vera pena capace di avere un immediato effetto deterrente e preventivo. Si tratta di una stortura che può essere corretta non solo attraverso una rivisitazione della disciplina codicistica della custodia cautelare, ma anche – anzi, specialmente – intervenendo sul processo rendendolo conforme al principio costituzionale della ragionevole durata.
  Dopo aver rilevato che nel dibattito sulla custodia cautelare vengono spesso richiamati come coincidenti il principio di non colpevolezza ed il principio di presunzione di innocenza per quanto questi in realtà hanno un diverso significato, si sottolinea come la disciplina dell'istituto debba ispirarsi ai principi di adeguatezza e di proporzionalità affinché dell'istituito non se ne faccia un uso distorto.
  A questo punto è opportuno fare un chiarimento sulla ratio della proposta di legge in esame. La circostanza che il 40 per cento dei detenuti sia in custodia cautelare e che l'affollamento delle carceri sia oramai sempre più insostenibile non significa che l'obiettivo della proposta di legge sia la riduzione del sovraffollamento carcerario. Questa rappresenta un effetto indiretto per quanto estremamente importante del raggiungimento dell'obiettivo della proposta di legge: ridurre l'applicazione della custodia cautelare e la sua durata al minimo compatibile con gli interessi della giustizia, facendo un uso più ampio possibile delle alternative alla custodia cautelare quali ad esempio (su questo punto riporto fedelmente la sentenza Torreggiani della CEDU) «l'obbligo, per l'indagato, di risiedere ad un indirizzo specificato, il divieto di lasciare o di raggiungere un luogo senza autorizzazione, la scarcerazione su cauzione, o il controllo e il sostegno di un organismo specificato dall'autorità giudiziaria. A tale proposito è opportuno valutare attentamente la possibilità di controllare tramite sistemi di sorveglianza elettronici l'obbligo di dimorare nel luogo precisato. Per sostenere il ricorso efficace e umano alla custodia cautelare, è necessario impegnare le risorse economiche e umane necessarie e, eventualmente, mettere a punto i mezzi procedurali e tecnici di gestione appropriati».
  La Commissione ha effettuato una istruttoria legislativa molto approfondita, che è stata caratterizzata da un ciclo di audizioni di altissimo livello per gli importanti contributi dati all'elaborazione finale del testo oggi in esame.
  In primo luogo, si è ritenuto di dover acquisire i lavori che sono in corso di svolgimento da parte del Ministero della Giustizia in merito alla modifica della disciplina legislativa della custodia cautelare in carcere. Si sono quindi sentiti il Presidente della Corte di Appello di Milano Giovanni Canzio, quale presidente della Commissione ministeriale di studio in tema di processo penale, ed il professor Glauco Giostra, presidente della Commissione ministeriale di studio in tema di ordinamento penitenziario e misure alternative, che hanno illustrato le diverse ipotesi di modifica delle disposizioni in materia di custodia cautelare, che le rispettive commissioni hanno finora individuato. Gran parte di queste ipotesi sono state poi tradotte in emendamenti dai deputati e in gran parte sono state approvate.
  Naturalmente ai lavori della Commissione hanno dato un apporto estremamente significativo anche gli operatori del diritto, che applicano la legge o assistono coloro che «subiscono» l'applicazione. Queste audizioni in particolare hanno consentito di affrontare il tema della custodia cautelare tenendo conto degli effetti dell'applicazione pratica della normativa. In particolare, sono stati sentiti il dottor Rodolfo Maria Sabelli, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati, l'avvocato Valerio Spigarelli, Presidente dell'Unione delle Camere Penali Italiane, e l'avvocato Matteo Pinna, rappresentante dell'Unione delle Camere Penali Italiane. Anche in questo caso dalle audizioni sono scaturiti emendamenti poi in parte approvati.
  È stato dato il giusto risalto anche all'apporto scientifico dell'università sentendo Pag. 106alcuni professori indicati dai gruppi – in particolare, sono stati auditi Giorgio Spangher, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi La Sapienza di Roma, Enrico Marzaduri, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Pisa, Daniele Negri, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Ferrara, e Giulio Illuminati, professore di procedura penale presso l'Università degli studi di Bologna. Alcune delle modifiche al testo base sono proprio il risultato di queste audizioni, che hanno consentito di affrontare il tema della custodia cautelare secondo un approccio sistematico.
  Significative sono state anche le audizione di rappresentati di associazioni particolarmente sensibili al tema della custodia cautelare in carcere. Sono stati sentiti Mario Caizzone, presidente dell'Associazione italiana vittime di malagiustizia, Raffaele Borgia, rappresentante dell'Associazione italiana vittime di malagiustizia, e l'avvocato Giuseppe Rossodivita, rappresentante dell'Associazione «Nessuno tocchi Caino». Anche in questo caso le audizioni sono servite da spunto per emendamenti.
  Passo ora ad illustrare il testo, che si compone di 15 articoli rispetto ai 9 del testo originario della proposta di legge.
  Come si è detto la linea guida lungo la quale si è mossa la Commissione è stato il rafforzamento del principio secondo cui la custodia cautelare in carcere deve essere l’extrema ratio alla quale il giudice deve ricorrere nel caso in cui siano riscontrati i presupposti richiesti dalla legge. L'impianto codicistico è comunque già orientato in tal senso, per cui non c’è stato il bisogno di particolari stravolgimenti dell'impianto normativo attuale, ma si è intervenuti in maniera mirata su quelli che l'esperienza ha dimostrato essere i punti critici che hanno portato nei fatti ad una applicazione eccessiva della custodia cautelare in carcere. Si ricorda a tale proposito che ultimamente con il decreto legge lo luglio 2013, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 94, si è portato a 5 anni il limite di pena che consente l'applicazione della custodia cautelare in caso in cui il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede.
  Una disposizione che può essere considerata il cardine dell'intero intervento normativo può essere considerato l'articolo 5 che modifica il primo periodo del comma 3 dell'articolo 275 del codice di procedura penale, secondo il quale la custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata. L'innovazione consiste nel prevedere la possibilità di applicazione cumulativa di misure coercitive o interdittive. In questo modo si valorizza ulteriormente il principio di extrema ratio della custodia cautelare, offrendo al giudice un più ampio ventaglio di alternative al carcere, rendendo più concreto il principio di residualità della restrizione carceraria. Collegato all'articolo 5 è l'articolo 10 che reca un'integrazione del comma 4 dell'articolo 299 c.p.p. in base al quale, nell'ipotesi di aggravamento delle esigenze cautelari, il giudice, su richiesta del PM, può anche applicare congiuntamente altra misura coercitiva o interdittiva. Attualmente, nel caso indicato, il giudice può solo sostituire la misura in corso con altra più afflittiva oppure applicare la prima con modalità più gravi.
  Proprio per dare al giudice la possibilità di ricorrere in maniera adeguata anche a misure diverse dalla custodia in carcere si è intervenuti sulla disciplina delle misure interdittive. Con l'articolo 11, quindi, si estende da 2 mesi a 12 mesi il periodo di possibile applicazione delle misure interdittive da parte del giudice. Si è infatti visto che la limitazione attuale a due mesi determina spesso l'esigenza del giudice di dover ricorrere alla custodia cautelare in carcere. Considerato il nuovo termine di durata si è soppressa l'attuale possibilità di disporne la rinnovazione (oltre i 2 mesi) quando le misure siano disposte per esigenze probatorie. Per ragioni di coordinamento si è abrogato il comma 2-bis (aggiunto all'articolo 308 dall'articolo 1, comma 78, della cd. legge anticorruzione n. 190 del 2012) che ha Pag. 107esteso da 2 a 6 mesi l'efficacia delle misure interdittive nel caso si proceda per numerosi, specifici delitti contro la pubblica amministrazione.
  Si è poi intervenuti agli articoli 2 e 3 anche sui criteri applicativi delle misure cautelari, relativi al pericolo di fuga ed alla reiterazione dei reati con l'obiettivo di rendere più rigoroso l'accertamento delle due esigenze cautelari. Tanto il pericolo di fuga che quello della commissione di nuovi reati debbono essere non solo concreti, ma anche attuali. Ciò comporta una valutazione ancora più rigorosa del pericolo in quanto dovranno essere motivate le ragioni per le quali il pericolo deve essere attuale in ogni momento applicativo della misura cautelare e quindi non solo nel momento applicativo iniziale. Si potrebbe dire che ciò che è concreto deve essere anche attuale considerato che i criteri delle misure cautelari devono essere interpretati in maniera estremamente rigorosa in quanto coinvolgono a diversi livelli la libertà dell'individuo, ma si è visto che non è così nei fatti. In alcuni casi, le innovazioni legislative oltre ad avere una portata normativa hanno anche un significato di messaggio diretto a chi è chiamato ad applicare poi la nuova norma. In questo caso il messaggio è quello di ricordarsi che devono realmente sussistere le esigenze cautelari e non essere una mera ipotesi astratta.
  Inoltre, gli elementi da cui desumere la concretezza e l'attualità del pericolo non possono essere desunti semplicemente dalla gravità e dalle modalità del reato per cui si procede, come del resto ripete da tempo la stessa giurisprudenza della Corte Europea dei diritti umani. Nel caso del pericolo di fuga la concretezza ed attualità del pericolo potranno essere desunti da una serie di elementi, come la personalità dell'accusato, i comportamenti pregressi e contestuali alla commissione del reato e i precedenti, la presenza di connessioni con uno Stato estero e/o la mancanza di connessioni con lo Stato italiano, alla luce dei quali risulti la chiara propensione dell'individuo a sottrarsi alla giustizia. Lo stesso discorso vale per il pericolo di commissione di nuovi reati: il fatto che il reato commesso sia grave non significa necessariamente che dovrà essere commesso un nuovo reato. È evidente che si tratta di un punto molto delicato in quanto rischia di entrare in collisione la valenza giuridica dell'istituto della custodia cautelare in carcere con la percezione che la collettività ha di tale istituto che viene considerato come una anticipazione giusta e necessaria di quella che sarà la pena definitiva che sarà prevista in un futuro non bene precisato dalla sentenza definitiva di condanna. In realtà, si tratta di una collisione solo apparente. Con la modifica prevista si vuole ancorare maggiormente alla natura di misura cautelare, che la custodia in carcere ha, la misura in concreto da adottare in assenza di condanna. Si vuole unicamente dire che non è un criterio in sé e per sé la gravità del reato. Ciò non significa che chi abbia commesso un reato grave non debba poi essere sottoposto alla custodia cautelare né riduce la possibilità di applicare questo misura. Significa piuttosto che il giudice dovrà motivare più approfonditamente le ragioni per le quali sussiste il pericolo di commissione di nuovi reati senza ricorrere a tautologie. È chiaro che la commissione di un grave reato è il risultato del convergere di una serie di elementi diversi attinenti alla personalità del soggetto e risultanti spesso dalla modalità della condotta che fanno poi ritenere sussistente il pericolo della commissione di un nuovo reato.
  Altra disposizione volta a circoscrivere la custodia cautelare in carcere a misura di extrema ratio è contenuta nell'articolo 4 che interviene sull'articolo 275 c.p.p. in materia di scelta delle misure cautelari con la finalità di escludere sia la custodia in carcere che gli arresti domiciliari quando il giudice ritenga che la eventuale sentenza di condanna non verrà eseguita in carcere. È a tale scopo riformulato il comma 2-bis dell'articolo 275, che attualmente prevede il divieto di applicazione della custodia cautelare quando il giudice ritenga che con la sentenza possa concedersi la sospensione condizionale della Pag. 108pena. La prima novità che viene introdotta riguarda l'applicazione della disposizione che viene estesa agli arresti domiciliari. La seconda riguarda la previsione di una ipotesi ulteriore rispetto alla sospensione condizionale della pena, in quanto si prevede, come elemento impeditivo nell'applicazione della custodia in carcere, la prognosi positiva che, all'esito del giudizio, sia possibile sospendere l'esecuzione della pena ex articolo 656, comma 5, c.p.p. (con concessione di una misura alternativa).
  Il testo poi interviene sul secondo e terzo comma dell'articolo 275 del codice di rito, relativi a reati di particolare gravità con il fine di rendere conforme la formulazione di tali disposizioni con la copiosa giurisprudenza costituzionale che si è andata a formare dal 2010 ad oggi. Si tratta di una materia estremamente delicata in quanto tocca reati di estrema gravità ed afferma principi estremamente delicati quali quello di presunzione dei presupposti applicativi delle misure cautelari e quello di meritevolezza assoluta della custodia in carcere rispetto alle altre misure.
  Nel corso degli anni si è assistito ad una stratificazione normativa di una disposizione che nel suo contenuto era volto a fronteggiare una «emergenza» a carattere straordinario, quale, segnatamente, il contrasto della criminalità di tipo mafioso, la quale, per la complessità della sua struttura e i durevoli vincoli «di appartenenza, radicamento e progettuali» che la connotano, esprime un elevato coefficiente di pericolosità per i valori fondamentali della convivenza civile e dell'ordine democratico. In questa prospettiva il legislatore considerò, sulla base di una presunzione assoluta, la custodia cautelare in carcere come la misura adeguata da applicare a coloro che fossero indagati, imputati o condannati non definitivamente per il reato di associazione di stampo mafioso ai sensi dell'articolo 416-bis del codice penale. Per quanto attiene alla sussistenza dei presupposti, cioè alla sussistenza delle esigenze cautelari, il legislatore ha proceduto ad una presunzione relativa, che potrebbe essere definita come una sorta di inversione dell'onere della prova: non spetta al giudice dimostrare la sussistenza delle esigenze cautelari, bensì spetta alla parte dimostrare che questi, nonostante i gravi indizi di colpevolezza del reato, non sussistono. Abbiamo, quindi due presunzioni: una relativa (sulle esigenze cautelari) ed una assoluta (sulla meritevolezza della custodia in carcere). Il legislatore ha nel corso degli anni esteso questa disciplina ad una serie di reati estremamente gravi, ritenendo che la gravità del reato sia un dato che giustifichi l'applicazione di una normativa emergenziale ideata per il contrasto alla criminalità di stampo mafioso. La Corte costituzionale ha poco a poco smantellato questa stratificazione con riferimento alla presunzione assoluta di meritevolezza della custodia cautelare. In sostanza, solo il reato di associazione di stampo mafioso giustifica questo tipo di presunzione. È fondamentale chiarire che la Corte non giustifica questa presunzione sulla base della gravità del reato (la gravità giustifica semmai la presunzione relativa che ha per oggetto le esigenze cautelari), bensì della particolare struttura dell'associazione di stampo mafioso il cui vincolo associativo può esse interrotto solo dalla custodia in carcere.
  Questa esigenza di interrompere un vincolo «granitico» non sussiste in astratto neanche per altri reati associativi gravi, come ad esempio l'associazione finalizzata allo spaccio di stupefacenti.
  Il testo della Commissione, quindi, rifacendosi alla giurisprudenza della Corte Costituzionale ha suddiviso i reati gravi in due diverse discipline: la prima contenente la presunzione assoluta di meritevolezza della custodia in carcere e la presunzione relativa delle esigenze cautelari, la seconda solo quest'ultima. Nella prima sono stati inseriti, oltre al delitto di associazione di stampo mafioso, i delitti di associazione sovversiva (articolo 270 c.p.) e di associazione terroristica, anche internazionale (articolo 270-bis c.p.). Sul punto si è quindi ritenuto che per questi ultimi due delitti sussista un vincolo associativo tanto forte da giustificare sempre e comunque la custodia cautelare. Nella seconda disciplina sono stati previsti reati particolarmente Pag. 109gravi che il legislatore già aveva previsto con l'errore di prevedervi anche la presunzione assoluta di meritevolezza della custodia cautelare. Ora, questa presunzione non viene più prevista e rimane unicamente quella relativa alle esigenze cautelari. Nella categoria dei gravi delitti rientrano i delitti di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p. (esclusi i tre di cui agli artt. 270, 270-bis e 416-bis c.p.) nonché i delitti di omicidio, induzione alla prostituzione minorile, pornografia minorile (esclusa la cessione del materiale, anche gratuita), turismo sessuale e, salvo l'assenza di circostanze attenuanti, violenza sessuale, atti sessuali con minorenne e violenza sessuale di gruppo.
  Altro punto fondamentale della proposta di legge in esame è il rafforzamento dell'obbligo di motivazione.
  L'articolo 9 modifica l'articolo 292 c.p.p. relativo al contenuto dell'ordinanza di custodia cautelare, con la finalità di rafforzare gli obblighi di motivazione da parte del giudice. Le identiche modifiche – alle lettere c) e c-bis) del comma 2 – riguardano, infatti, l'obbligo di autonoma valutazione da parte del giudice sia delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi alla base della misura restrittiva sia delle concrete e specifiche ragioni per le quali le indicate esigenze di cautela non possono essere soddisfatte con altre misure. Come emerso nel corso dell'esame e dell'attività conoscitiva svolta dalla Commissione Giustizia, il riferimento alla «autonoma valutazione» del giudice mira ad evitare motivazioni delle esigenze cautelari «appiattite» su quelle del PM richiedente. Non è più consentito al giudice di richiamare altri atti, per lo più le richieste presentate dal pubblico ministero. La mancanza di «autonoma valutazione» è considerata motivo di annullamento dell'ordinanza cautelare in sede di riesame (v. articolo 309, comma 9, come modificato dall'articolo 11, comma 3, del testo).
  Sempre in una ottica restrittiva devono essere viste le modifiche alla disciplina del riesame delle misure.
  L'articolo 12 interviene sugli artt. 309 e 324 del codice processuale penale.
  Si interviene a rimodellare parzialmente la disciplina del riesame delle misure cautelari personali. L'intervento costituisce una necessaria integrazione delle altre modifiche legislative proposte. La filosofia complessiva dell'intervento legislativo si muove infatti nella direzione, da un lato, di rimuovere gli automatismi applicativi della custodia cautelare in carcere e, dall'altro, nella predisposizione di un più ampio ventaglio di misure alternative alla custodia carceraria. Ne consegue una maggiore responsabilizzazione del giudice cautelare, al quale spetta di dare conto nella motivazione delle scelte compiute. La motivazione del provvedimento cautelare diviene così il perno dell'intero sistema. La ragionevolezza della restrizione della libertà dell'accusato si misura interamente all'interno della giustificazione offerta dal giudice. La motivazione costituisce dunque la garanzia essenziale di tutela della libertà ed un freno all'uso disinvolto della restrizione carceraria prima della condanna definitiva. È necessario perciò offrire una disciplina di controllo del provvedimento cautelare che sia adeguata al maggiore protagonismo cui assurge la giustificazione del provvedimento nel contesto delle modifiche proposte.
  A questo si ispirano le modifiche proposte all'articolo 309 in sede di riesame (ossia di impugnazione delle ordinanze che dispongono per la prima volta una misura cautelare). La centralità della motivazione esige forme di controllo più intense, che portino all'annullamento della misura quando la giustificazione risulti sostanzialmente inadeguata a sorreggerla.
  Inoltre, si introduce una adeguata cornice temporale – oggi assente – per la stesura della motivazione da parte del giudice dell'impugnazione, onde assicurare che: a) essa non avvenga con eccessiva dilazione dal tempo del provvedimento, ciò che risulterebbe a danno dell'accusato ed in contrasto con la logica di celerità che permea l'intera disciplina del riesame; b) vi sia per il giudice tempo adeguato per Pag. 110offrire una giustificazione che tenga conto di tutti i profili ed elementi che la legge gli impone di considerare.
  Si prevede in particolare: che l'accusato abbia sempre diritto a comparire personalmente, superando così qualche disorientamento giurisprudenziale sul punto (v. modifiche ai commi 6 e 8-bis); che su richiesta della difesa il giudice possa disporre un rinvio dell'udienza (v. comma 9-bis); resta fermo 1'obbligo di decidere entro termini perentori, ma i termini sono allungati di un termine equivalente al rinvio (che non può comunque essere superiore a dieci giorni); che il giudice del riesame cautelare abbia trenta giorni di tempo a disposizione dal momento della deliberazione per redigere la motivazione, a pena di perdita di efficacia della misura cautelare (v. comma 10). Manca nella legislazione attuale qualsiasi previsione in merito e la prassi giurisprudenziale si è da tempo assestata nel senso che il termine perentorio di dieci giorni per la decisione sia riferibile alla sola deliberazione e non anche al deposito della motivazione che può quindi avvenire successivamente, al di fuori di qualsiasi limite temporale e senza alcun meccanismo sanzionatorio; che il giudice del riesame cautelare debba annullare la ordinanza (e quindi liberare l'accusato) quando la motivazione del provvedimento cautelare risulti assente o non contenga l'autonoma valutazione di tutti gli elementi prescritti dalla legge (v. comma 9). Attualmente vige il diverso principio per cui il giudice del riesame possa sempre integrare la motivazione invalida del giudice cautelare, senza poter mai annullare il provvedimento impugnato per difetto di motivazione.
  L'articolo 13 interviene sul citato articolo 310 c.p.p. relativo all'appello avverso le ordinanze che dispongono misure cautelari personali. La norma integra la scarna formulazione del comma 2, precisando che la decisione sull'appello del tribunale del riesame (entro 20 gg dalla ricezione degli atti) sia assunta con ordinanza depositata in cancelleria entro 30 gg. dalla deliberazione. La previsione nasce dall'esigenza di coordinare la disciplina dell'appello cautelare con le modifiche apportate al riesame, prevedendo anche per il primo un obbligo di depositare la motivazione in cancelleria entro trenta giorni (fermo restando, però, che rimane estraneo all'appello il meccanismo sanzionatorio di caducazione della misura che contraddistingue il mancato rispetto dei termini del riesame).
  Gli articoli 14 e 15 del testo novellano l'articolo 311 c.p.p. relativo al ricorso per Cassazione sulle ordinanze che dispongono misure coercitive (ex articolo 309) nonché su quelle emesse in sede di appello avverso ordinanze in materia di misure cautelari personali (ex articolo 310 c.p.p.). L'obiettivo è limitare la legittimazione a ricorrere in Cassazione da parte dell'ufficio del pubblico ministero che abbia richiesto l'adozione di una misura cautelare e che per due volte (doppia conforme negativa) se la sia vista rigettare.
  Inoltre si mira a completare la disciplina del ricorso per Cassazione avverso le misure cautelari. Allo stato della legislazione vigente, infatti, quando la Corte di cassazione annulla con rinvio l'ordinanza del tribunale del riesame, gli atti vengano inviati al tribunale distrettuale ma senza che il tribunale sia nuovamente vincolato al termine temporale di dieci giorni per decidere. Con le modifiche contenute nel testo si prevede, invece, che, a seguito di annullamento con rinvio, gli atti siano rinviati al tribunale distrettuale (il «tribunale della libertà»), il quale deve decidere entro dieci giorni e motivare entro trenta giorni a pena di caducazione della misura cautelare.
  Vi sono poi altri tipi di intervento che sono volti ad eliminare degli automatismi che portano ad applicare necessariamente la custodia cautelare in carcere, quando invece il giudice nel caso concreto potrebbe ritenere opportuno prevedere altre misure. In particolare, gli articoli 7 e 8 del testo in esame abrogano, rispettivamente: il comma 1-ter dell'articolo 276 c.p.p. ovvero l'obbligo da parte del giudice di revocare gli arresti domiciliari ed applicare la custodia in carcere in caso di trasgressione del divieto di allontanarsi Pag. 111dalla propria abitazione; il comma 5-bis dell'articolo 284 c.p.p. che preclude al giudice la concessione degli arresti domiciliari al condannato per evasione nei 5 anni precedenti al fatto per il quale si procede.
  L'articolo 1, invece, ha una portata più che altro di coordinamento interno al codice, in quanto la sostituzione al primo comma del termine «persona sottoposta alle indagini» con quello di «imputato» è puramente terminologica, poiché le garanzie che si applicano all'imputato valgono anche per la persona sottoposta ad indagini (articolo 61 c.p.p).
  Per quanto attiene al parere espresso dalle altre Commissioni, si ricorda che la Commissione Affari Costituzionali ha espresso, il 5 dicembre, parere favorevole sul provvedimento con due osservazioni.
  La prima, riferita all'articolo 6, comma 1, del testo, chiede alla Commissione Giustizia di valutare l'opportunità di modificare il secondo periodo del comma 3 dell'articolo 275 c.p.p., prevedendo che – in osservanza della giurisprudenza costituzionale – la presunzione di sola idoneità della custodia in carcere per i reati di cui agli artt. 416-bis, 270 e 270-bis del codice penale fosse corroborata dall'assunzione di elementi specifici in relazione al caso concreto.
  Su questo punto si richiama quanto già espresso in merito. Vi è forse una ulteriore considerazione da fare alla luce della giurisprudenza costituzionale: eliminare la presunzione assoluta di meritevolezza della custodia cautelare in carcere potrebbe essere considerato incostituzionale dalla Corte per violazione del principio di ragionevolezza, considerato che la Corte stessa afferma che la custodia in carcere è l'unica misura in grado di interrompere il Vincolo associativo di una associazione strutturata come il legislatore ha delineato con il reato di associazione di stampo mafioso.
  La seconda osservazione concerne l'opportunità di specificare maggiormente il contenuto dell'articolo 11 nel testo in esame relativo al riesame presso il tribunale della libertà delle ordinanze che dispongono una misura coercitiva. Sul punto si vedrà in seno al Comitato dei nove.
  La Commissione Bilancio ha espresso il 2 dicembre nulla osta.
  La Commissione Affari Sociali ha espresso il 5 dicembre parere favorevole con una osservazione che invita, infatti, la Commissione di merito a valutare l'opportunità di reinserire nel testo la disposizione volta a modificare l'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, recante il testo unico sugli stupefacenti, riducendo la pena per alcuni illeciti di lieve entità (da 6 a 3 anni) e, conseguentemente, l'applicabilità delle misure cautelari. Si tratta, in effetti, di una disposizione che è stata espunta dal testo (già articolo 9) nel corso dell'esame. La scelta non è stata dettata da una valutazione nel merito, quanto piuttosto da ragioni metodologiche legate al fatto che la Commissione Giustizia in questo momento si trova ad esaminare specifiche proposte di legge (proposte di legge C. 1203 Daniele Farina e C. 971 Gozi, recanti modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309) che vertono anche su tale questione. Considerata la complessità della materia si è preferito rinviare a tale testo la questione del comma 5 dell'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DELLA DEPUTATA GEA SCHIRÒ SULL'ORDINE DEI LAVORI.

  GEA SCHIRÒ. L'Istituto Regina Margherita è una delle scuole più antiche di Palermo e sin dalla sua istituzione, nel 1867, è collocato nel complesso monastico del SS. Salvatore, ubicato nell'antica sezione di Santa Cristina del Mandamento Palazzo Reale, cuore del centro storico di Palermo.
  Nato come Istituto Magistrale, attualmente si articola in Liceo Socio Psicopedagogico, Pag. 112Liceo delle Scienze Sociali, Liceo delle Scienze Umane, Liceo Musicale e Coreutico, Liceo Linguistico, che, affrontano percorsi didattici notevolmente diversificati, riconducibili tuttavia a una matrice comune, che vede, come punto centrale dell'insegnamento, l'attenzione alle inclinazioni degli studenti attraverso didattiche incentrate sulla valorizzazione della persona.
  La vasta articolazione dell'offerta formativa ha fatto si che verso il Liceo si orientassero gli interessi di un gran numero di studenti e di loro famiglie, fatto questo che ha portato ad avere un elevato numero di iscritti (ad oggi 1.867 alunni) che, se può sembrare elevato in valore assoluto, è tuttavia perfettamente congruente se visto in relazione alla complessa articolazione.
  Del resto a un numero così elevato di alunni fa riscontro un cospicuo numero di docenti (circa 250) che assicurano il corretto svolgimento delle attività formative.
  Purtroppo il portone d'ingresso della scuola che necessita di riparazioni, è stata sostituito da una chiusura temporanea, portone da cantiere, che verrà rimossa appena il portone restaurato tornerà nella sua sede. Comunque la protezione della scuola durante le ore in cui essa è chiusa viene assicurata da alcuni cancelli in ferro, che vengono chiusi con lucchetti.
  Il liceo attualmente ospita sessantaquattro studenti diversamente abili; le classi che ospitano tali studenti sono tutte ubicate al piano terra e pertanto l'accesso alla scuola e ai locali interni è perfettamente eseguibile da studenti portatori di disabilità.
    Il numero di studenti per classe è proporzionato alle dimensioni delle singole classi, in modo da evitare situazioni di sovraffollamento.
  La scuola è riscaldata solo parzialmente perché ospitata in un complesso di edifici storici (alcuni dei quali risalenti addirittura al 1300), e solo in parte è possibile collocare impianti di climatizzazione.
  Per le stesse motivazioni la scuola non dispone di ascensori attivi anche se uno è in fase di collocazione nel plesso di via Protonotaro, tuttavia si fa presente che la scuola si articola su due piani e quindi comprende dislivelli di facile percorribilità dai ragazzi; gli alunni disabili, come già ricordato, frequentano tutti aule poste al piano terreno.
  La scuola non dispone di una palestra coperta e quindi normalmente vengono utilizzati spazi aperti all'interno del complesso tuttavia, negli anni passati, è stato stipulato un accordo con il CUS (Centro Universitario Sportivo) per poter usufruire di idonei ed attrezzati locali dello stesso CUS per le attività di palestra; i plessi staccati dispongono di palestre.
  La scuola è dotata di un Teatro/Aula Magna, posto al piano terra, capace di 150 posti che viene utilizzato per diverse attività.
  Tutte queste precisazioni, senza nascondere i numerosi problemi legati soprattutto alla manutenzione di strutture storiche come quella del Regina Margherita, vuole ristabilire un quadro di corretta informazione relativamente alle reali condizione dell'Istituto.
  La collocazione nel centro storico di Palermo, che certamente presenta a causa della vetustà del complesso numerosi problemi, rappresenta tuttavia una importante azione volta al recupero e al riuso di un manufatto di grande importanza storica.
  Inoltre, ma non meno importante, costituisce un fondamentale presidio di cultura e di legalità collocato ai margini di un quartiere storico e popolare di Palermo (l'Albergheria/Ballarò), spesso assunto all'attenzione delle cronache per problemi di degrado sociale e morale.
  Ho voluto raccontare con ricchezza di particolari le condizioni di questo storico Istituto perché, come molti altri in città, è stato occupato fino ad oggi.
  Come molti genitori che scelgono di affidare i propri figli, e la loro educazione, a una scuola pubblica, riteniamo che debba perpetuarsi il patto civico tra cittadini, studenti, insegnanti e Stato. Proprio Pag. 113questo patto ha permesso all'Italia di uscire con onore e benessere dal dopoguerra quasi settant'anni fa.
  Oggi però assistiamo da un lato alle proteste di giovani studenti che sono evidentemente il contrappasso al malessere sociale che pervade l'Italia. Dall'altro siamo testimoni dello sforzo degli insegnanti che sono davvero la spina dorsale d'Italia, e di più lo sono stati in Sicilia soprattutto negli anni dopo le stragi ma, e non dimentichiamolo mai, iniziato con l'educazione alla legalità molto prima.
  Per concludere, dopo avere ospitato qui alla Camera il Liceo Regina Margherita per un Premio ricevuto per un Progetto sulla violenza sulle donne, vorrei denunciare la solitudine nella quale sono lasciati gli insegnanti e gli studenti. Finora, le istituzioni non hanno ritenuto di avviare un tavolo di confronto comune con gli insegnanti e gli studenti.
  Sollecito quindi tutte le forze in campo nel non lasciare soli gli studenti e i professori che, anche loro, stanno vivendo questa tragica crisi in prima persona e in solitudine.
  Non possiamo lasciare il futuro del nostro Paese senza risposte o almeno senza ascolto.

Pag. 114

VOTAZIONI QUALIFICATE EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 3 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 13)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Nom. Moz. Morassut e a. 1-11 u.n.f. 388 388 195 342 46 81 Appr.
2 Nom. Moz. Morassut e a. 1-11 u.n.f. 2o 390 308 82 155 261 47 81 Appr.
3 Nom. Moz. Morassut e a. 1-11 u.n.f. 3o 391 308 83 155 261 47 81 Appr.
4 Nom. Moz. Morassut e a. 1-11 u.n.f. 4o 390 307 83 154 260 47 81 Appr.
5 Nom. Moz. Morassut e a. 1-11 u.n.f. 5o 393 392 1 197 344 48 81 Appr.
6 Nom. Moz. Morassut e a. 1-11 u.n.f. 6o 390 309 81 155 261 48 81 Appr.
7 Nom. Moz. Morassut e a. 1-11 u.n.f. 7o 393 371 22 186 323 48 81 Appr.
8 Nom. Moz. Morassut e a. 1-11 u.n.f. 8o 393 393 197 345 48 81 Appr.
9 Nom. Moz. Lombardi e a. 1-92 n.f. 395 395 198 106 289 81 Resp.
10 Nom. Moz. Lombardi e a. 1-92 n.f. 2o 394 394 198 108 286 81 Resp.
11 Nom. Moz. Lombardi e a. 1-92 n.f. 3o 394 394 198 102 292 81 Resp.
12 Nom. Moz. Lombardi e a. 1-92 n.f. 4o 394 384 10 193 102 282 81 Resp.
13 Nom. Moz. Lombardi e a. 1-92 n.f. 5o 390 390 196 113 277 81 Resp.

F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M = Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui è mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi è premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.

INDICE ELENCO N. 2 DI 3 (VOTAZIONI DAL N. 14 AL N. 26)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
14 Nom. Moz. Lombardi e a. 1-92 n.f. 6o 393 393 197 114 279 81 Resp.
15 Nom. Moz. Lombardi e a. 1-92 n.f. 7o 393 393 197 115 278 81 Resp.
16 Nom. Moz. Lombardi e a. 1-92 n.f. 8o 392 391 1 196 115 276 81 Resp.
17 Nom. Moz. Lombardi e a. 1-92 n.f. 9o 391 391 196 115 276 81 Resp.
18 Nom. Moz. Lombardi e a. 1-92 n.f. 10o 394 394 198 104 290 81 Resp.
19 Nom. Moz. Piazzoni e a. 1-149 393 393 197 102 291 81 Resp.
20 Nom. Moz. Piazzoni e a. 1-149 2o 393 311 82 156 21 290 81 Resp.
21 Nom. Moz. Piazzoni e a. 1-149 3o 390 390 196 103 287 81 Resp.
22 Nom. Moz. Piazzoni e a. 1-149 4o 391 309 82 155 22 287 81 Resp.
23 Nom. Moz. Piazzoni e a. 1-149 5o 390 390 196 103 287 81 Resp.
24 Nom. Moz. Piazzoni e a. 1-149 6o 389 389 195 103 286 81 Resp.
25 Nom. Moz. Piazzoni e a. 1-149 7o 390 390 196 103 287 81 Resp.
26 Nom. Moz. Piazzoni e a. 1-149 8o 391 391 196 103 288 81 Resp.


INDICE ELENCO N. 3 DI 3 (VOTAZIONI DAL N. 27 AL N. 37)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
27 Nom. Moz. Piazzoni e a. 1-149 9o 393 393 197 22 371 81 Resp.
28 Nom. Moz. Fedriga e a. 1-252 393 273 120 137 9 264 81 Resp.
29 Nom. Moz. Fratoianni e a. 1-190 n.f. 374 285 89 143 28 257 82 Resp.
30 Nom. Moz. Zampa e a. 1-156 u.n.f. 374 270 104 136 234 36 82 Appr.
31 Nom. Moz. Giorgetti G. e a. 1-266 371 267 104 134 14 253 82 Resp.
32 Nom. Moz. Costa e a. 1-267 rif. 376 283 93 142 238 45 82 Appr.
33 Nom. Moz. Toninelli e a. 1-269 376 376 189 85 291 82 Resp.
34 Nom. Moz. Palese e a. 1-271 379 379 190 25 354 82 Resp.
35 Nom. Ris. Di Lello e a 6-40 378 351 27 176 232 119 82 Appr.
36 Nom. Ddl 1542-A e abb. - Quest. preg. 351 346 5 174 118 228 82 Resp.
37 Nom. Ddl 1542-A e abb. - Quest. sosp. 339 334 5 168 112 222 82 Resp.