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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 115 di lunedì 11 novembre 2013

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO

  La seduta comincia alle 14,35.

  RICCARDO FRACCARO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 21 ottobre 2013.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Alfreider, Amici, Archi, Baldelli, Balduzzi, Berretta, Dorina Bianchi, Bocci, Boccia, Bonaccorsi, Bratti, Bray, Brunetta, Caparini, Carrozza, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, D'Alia, Dambruoso, De Girolamo, Dell'Aringa, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Fassina, Ferranti, Fiano, Fico, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Galan, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Grande, Cristian Iannuzzi, Kyenge, Legnini, Letta, Lorenzin, Lupi, Mariani, Merlo, Migliore, Nardi, Oliaro, Orlando, Pes, Pisicchio, Pistelli, Polverini, Realacci, Sani, Santelli, Schullian, Segoni, Speranza e Tabacci sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

  Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione della mozione Guidesi ed altri n. 1-00201 concernente iniziative in materia di federalismo fiscale (ore 14,40).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Guidesi ed altri n. 1-00201 concernente iniziative in materia di federalismo fiscale (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).
  Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Palese ed altri n. 1-00235, Causi ed altri n. 1-00236, Paglia ed altri n. 1-00237 e Zanetti ed altri n. 1-00238 (Vedi l'allegato A – Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritto a parlare il deputato Guidesi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00201. Ne ha facoltà.

  GUIDO GUIDESI. Signor Presidente, cogliamo questa occasione per «riportare» un tema che noi riteniamo di grandissima attualità che è quello del federalismo fiscale. Lo riteniamo di grandissima attualità poiché la gravità dell'attuale condizione Pag. 2economica e sociale impone di proseguire con determinazione – e questa mi sembra sia una cosa che tutti i giorni ci ricorda anche il Governo – il riequilibrio dei conti pubblici.
  Ciò è stato fatto attraverso le manovre economiche adottate dal luglio al dicembre 2011 con il taglio attraverso i trasferimenti lineari, per cui tagliando le risorse alle regioni e agli enti locali, esse oggi si trovano in una situazione difficile, dovuta anche ed essenzialmente ad una esigenza di rispondere a nuovi bisogni sociali dei propri cittadini, i nuovi bisogni sociali determinati dalla crisi economica ed occupazionale.
  Si è intervenuti con tagli alle risorse di regioni ed enti locali, con inasprimenti del Patto di stabilità interno e con modifiche strutturali all'assetto tributario, in particolare dei comuni, che hanno prodotto un aumento della pressione fiscale. Non è – ci tengo a sottolinearlo – l'applicazione del federalismo fiscale, perché ancora non è stata applicato, ad avere inasprito le tasse degli enti locali. L'aumento delle tasse locali è invece dovuto ed è stato dovuto ai continui tagli sui trasferimenti lineari, ma soprattutto a causa delle questioni dei limiti imposti dal Patto di stabilità interno.
  Oggi gli enti locali e territoriali, come dicevo prima, a causa dei tagli ai trasferimenti statali di competenza, si trovano ad operare con equilibri di bilancio sempre più precari, tanto che talvolta non riescono neanche più a coprire le funzioni fondamentali se non attraverso un aumento della pressione fiscale sia per le spese indistinte che per quelle a domanda individuale, come le rette degli asili e i costi delle mense o le spese per la raccolta dei rifiuti.
  Tutto ciò avviene a danno delle fasce più deboli della popolazione, che a causa della crisi economica devono affrontare disoccupazione, cassa integrazione e diminuzione dei salari o della qualità del lavoro.
  La crisi occupazionale si è trasformata in crisi sociale alla quale occorre rispondere mediante un aumento degli aiuti dei servizi sociali comunali con conseguente aumento della spesa per gli enti locali.
  L'approccio al risanamento dei conti pubblici che è stato attuato ha comportato un inasprimento senza precedenti della pressione fiscale. È urgente avviare una sistematica attività di revisione della spesa pubblica (la cosiddetta spending review), destinando prioritariamente le risorse ricavate, insieme a quelle derivanti dal contrasto all'evasione e all'elusione fiscale, alla riduzione della pressione fiscale, in particolar modo sui redditi da lavoro e da impresa, ridefinendo, nell'ambito della riforma fiscale, un nuovo patto tra fisco e contribuenti.
  In questo contesto, profondamente cambiato rispetto al momento in cui fu approvata a suo tempo la legge 5 maggio 2009, n. 42, recante «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione», la responsabilità e l'autonomia dei governi locali e regionali in campo fiscale risultano ora ancora più fondamentali per attivare il circuito di controllo dei cittadini sulle prestazioni delle amministrazioni e per renderle, di conseguenza, più efficienti e più capaci anche di ridurre la spesa e gli sprechi.
  È indispensabile, ad esempio, superare rapidamente, attraverso l'approvazione della Carta delle autonomie locali, la separazione finora operata tra il federalismo fiscale e il processo di riallocazione e riorganizzazione delle funzioni tra i diversi livelli di governo, il quale, di per sé, potrebbe consentire una riduzione della spesa corrente e una conseguente riduzione della tassazione a livello sub statale.
  Il meccanismo dei costi e dei fabbisogni standard di cui sentiamo parlare in questi giorni per regioni ed enti locali, relativo ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali, rappresenta il modo per effettuare un'efficace spending review nel sistema delle autonomie territoriali e, come tale, può e deve procedere, se possibile, accelerando le scadenze previste, estendendone, comunque, principi e Pag. 3strumenti attuativi anche all'apparato centrale dello Stato, vero centro di spesa pubblica.
  Vista l'urgenza imposta dalla crisi, si rende necessaria un'accelerazione nell'attuazione della legge delega attraverso il suo completamento entro la fine di questa legislatura, nei termini espressi anche dal Ministro Delrio: non lo cito in maniera strumentale o politica, lo cito perché su questo tema siamo convinti ci possa essere un'ampia condivisione. Egli più volte ha ribadito che è necessario far ripartire il federalismo basato sui principi della perequazione e della responsabilità, in quanto il centralismo ha fallito e non ha risolto i problemi, come, invece, appare ineludibile un nuovo patto con le autonomie locali.
  È necessario, pertanto, adottare velocemente tutti i decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive che saranno ritenuti utili, consentendo così l'avvio della transizione verso il nuovo assetto in tutti i suoi aspetti, che sono complementari tra di loro e non possono essere affrontati in modo separato.
  Si tratta di colmare i vuoti ancora esistenti rispetto alla legge delega, di verificare lo stato di attuazione degli atti amministrativi previsti dai decreti legislativi già approvati e di coordinare con appositi decreti legislativi le nuove norme legislative che sono nel frattempo entrate in vigore, come quelle relative all'assetto tributario dei comuni, con i meccanismi previsti dalla legge delega e dai relativi decreti legislativi.
  Noi nella mozione chiediamo una serie di impegni al Governo, che ricalcano l'attuazione dei decreti della legge delega sul federalismo fiscale, applicandoli e tirandoli fuori dal cassetto dove sono, lasciando piena autonomia tributaria ai comuni, con la fine, finalmente, di quel sistema di finanza derivata che ha assunto connotati di difficoltà dovute poi ai tagli dei trasferimenti agli enti locali.
  Chiediamo che siano gli enti locali che correttamente applicano gli equilibri di bilancio ad avere la possibilità di spesa e non siano essi limitati dal patto di stabilità. Siamo estremamente convinti che questa possa essere la vera riforma di questo Paese, per sistemarne i conti pubblici e per rendere trasparente finalmente la spesa pubblica, perché diventi un concetto responsabile e nella responsabilità ci sia la trasparenza da parte dei cittadini di giudicare i propri amministratori e coloro i quali amministrano i loro soldi.
  Detto questo, noi auspichiamo piena condivisione perché, come ribadisco, noi siamo convinti che questa possa essere la soluzione. Prendiamo anche spunto e base dalle parole del Ministro, pensando e credendo che la maggioranza possa condividere con noi questo percorso. Lo dico anche perché in quest'Aula ci sono parecchi che sono stati amministratori locali sui territori e sanno perfettamente di cosa stiamo parlando. L'unico modo per fare una vera revisione e una vera razionalizzazione in maniera responsabile della spesa pubblica è quello di applicare in tutto e per tutto un principio di autonomia tributaria e di finanza derivata sui territori. Questo è l'unico modo per far finire quegli sprechi di spesa pubblica e per far risparmiare veramente questo Paese, per rendere, come ribadisco, trasparente ogni singola amministrazione che oggi deve rispondere ad esigenze molto diverse e molto più elevate rispetto a prima.
  La questione della crisi sociale, ma anche la questione della sicurezza urbana sui territori, hanno bisogno di una risposta, di una risposta che gli enti locali oggi non sono in grado di dare. Questa noi pensiamo possa essere la soluzione, ma soprattutto c’è già un lavoro fatto, un lavoro che era stato condiviso, un lavoro fatto dalla Commissione per il federalismo fiscale. Ci sono questioni da applicare, ci sono situazioni ovviamente sulle quali bisogna ancora dibattere, ma noi pensiamo che, in un lavoro responsabile da parte di tutti i gruppi, siano essi di maggioranza o di opposizione, si possa arrivare in breve tempo all'applicazione di un nuovo sistema, di un sistema che finalmente renderà questo Paese virtuoso.

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  PRESIDENTE. Salutiamo gli studenti della facoltà di giurisprudenza dell'Università «LUMSA», sedi di Roma e di Palermo, che partecipano ad uno stage di formazione alla Camera e stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
  È iscritta a parlare la deputata Giammanco, che illustrerà la mozione Palese ed altri n. 1-00235, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

  GABRIELLA GIAMMANCO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nella scorsa legislatura abbiamo approvato la riforma del federalismo fiscale che ha dato attuazione all'articolo 119 della Costituzione, rimasto «congelato» per quasi un decennio. Al termine di un lungo e approfondito dibattito tra Governo, Parlamento, regioni ed enti locali, il Parlamento ha dato il suo assenso ad ampia maggioranza ad una riforma che direi epocale. L'approvazione della legge delega e dei decreti legislativi attuativi ad essa collegati ha indotto un processo di trasformazione del sistema di rapporti finanziari intergovernativi di grande portata e che si inserisce in un quadro di profonda trasformazione delle modalità di funzionamento delle pubbliche amministrazioni, chiesto a gran voce da cittadini e imprese che si aspettano dalla pubblica amministrazione un supporto concreto alla crescita del Paese che assicuri l'erogazione di servizi di maggiore qualità.
  Il federalismo fiscale approfondisce, dunque, un percorso di valorizzazione delle autonomie territoriali avviato dalla riforma del titolo V della Costituzione e non può che incidere profondamente sulla struttura e sulla cultura istituzionali del nostro Paese. L'attuazione del federalismo fiscale significa, infatti, ridisegnare e rifunzionalizzare l'intero sistema dei rapporti tra i diversi livelli di governo, i modelli di gestione amministrativa, l'interpretazione del ruolo dei governi locali, la corretta individuazione delle loro funzioni, le modalità della loro collaborazione e del rapporto con le comunità governative.
  Permettetemi un piccolo inciso. Da meridionale lo affermo con convinzione: solo percorrendo questa strada il Paese potrà dare servizi di livello ai suoi cittadini. Il Mezzogiorno, infatti, è stato devastato da decenni di spesa pubblica infruttuosa a causa di amministratori locali che hanno gestito le finanze pubbliche in modo «allegro». Per cui, oggi più che mai, abbiamo davvero bisogno di un federalismo fiscale competitivo e virtuoso, forse più del resto del Paese. La qualità della spesa pubblica e dei servizi che essa finanzia è infatti centrale per lo sviluppo del Mezzogiorno d'Italia. È infatti proprio l'utilizzo inefficiente delle risorse pubbliche, troppo spesso a sostegno di interessi particolari o preda della criminalità organizzata, che contribuisce a mantenere il sud nella sua condizione di arretratezza e di dipendenza economica.
  La legge n. 42 del 2009, quindi, con i decreti legislativi attuativi cambierà in profondità l'assetto delle pubbliche amministrazioni regionali e locali con conseguenze indirette anche su quelle statali. Fare un buon federalismo fiscale è la strada che può aiutarci ad uscire dalla crisi ma solo se si contribuisce ad una riduzione della spesa pubblica e delle tasse. In linea generale, infatti, la delega fiscale ha stabilito il principio in base al quale l'imposizione fiscale dello Stato deve essere ridotta in misura corrispondente alla più ampia autonomia di entrata di regioni ed enti locali. Il nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra Stato ed autonomie territoriali è incentrato sul superamento del sistema di finanza derivata e sull'attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa agli enti decentrati, nel rispetto dei principi di solidarietà, riequilibrio territoriale e coesione sociale. Cardine dell'intervento riformatore è il passaggio dai trasferimenti fondati sulla spesa storica a quello basato sulla individuazione dei fabbisogni standard al fine di garantire all'intero Paese il finanziamento integrale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e delle funzioni fondamentali degli enti locali. È infatti indubbio che, Pag. 5nonostante l'imponente impegno finanziario da parte dello Stato, resti forte la differenza tra Mezzogiorno e centro-nord di Italia nella qualità dei servizi pubblici prestati. I divari si trovano in tutti i settori dalla sanità all'istruzione, dall'amministrazione della giustizia a quella del territorio, dalla tutela della sicurezza personale alle politiche sociali alla stessa realizzazione delle infrastrutture. L'accento deve, quindi, spostarsi dalla quantità delle risorse alla qualità dei risultati.
  Purtroppo alcuni aspetti fondamentali per la costruzione del nuovo assetto non sono ancora stati definiti anche a causa dell'oggettiva complessità tecnica delle tematiche e degli innumerevoli interessi da regolare e a causa di un assetto normativo che ha subito svariate modificazioni producendo un quadro complesso e, al momento, non ancora a regime. È inoltre innegabile che sulla piena attuazione del federalismo fiscale abbia inciso negativamente l'aggravarsi della situazione economica e sociale che ha imposto drastici interventi di riequilibrio dei conti pubblici con la necessità di reperire ingenti risorse e di realizzare forti risparmi di spesa. In particolare la riduzione delle risorse riconosciute a regioni e comuni e i nuovi vincoli loro imposti hanno costretto gli enti locali a riduzioni di spesa, soprattutto di investimenti e a un aumento della pressione fiscale in un quadro di progressiva ricentralizzazione della finanza pubblica. Va tuttavia rilevato che il federalismo fiscale attuato nel rispetto degli impegni finanziari assunti con il Patto di stabilità e di crescita europeo, se messo in atto coerentemente ed evitando ogni duplicazione di funzioni, costituisce di per sé un imponente processo di razionalizzazione della spesa e di una parte importante del sistema fiscale. Quindi possiamo affermare che il federalismo fiscale avrà tanto più generale consenso nel Paese quanto più accrescerà l'efficacia dell'azione pubblica. Regioni ed enti locali cui la Costituzione e le leggi affidano un ruolo crescente hanno particolari responsabilità. È importante che il sistema dell'imposizione e della spesa a livello decentrato sia tale da premiare l'efficienza, indirizzando le risorse verso gli usi più produttivi e le priorità più urgenti ed è quindi imperativo che il sistema dei trasferimenti agli enti locali abbandoni il criterio della spesa storica che premia, invece, l'inefficienza.
  La riforma non va lasciata nel «limbo» va, invece, ripresa come componente essenziale delle politiche per il rilancio del Paese come ha scritto nella relazione finale il gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali istituito il 30 marzo 2013 dal Presidente della Repubblica in tema di federalismo fiscale. Essa rafforza la responsabilità delle autonomie territoriali nella gestione dei propri bilanci a partire da una ripartizione delle risorse pubbliche tra tutti i livelli di Governo e tra enti decentrati ispirati a criteri di equità e di efficienza. In particolare il passaggio dalla spesa storica ai fabbisogni standard è la vera spending review per il comparto degli enti territoriali. È un intervento strutturale che modifica nel lungo periodo il sistema istituzionale con un impatto su grandi temi quali la responsabilità e la trasparenza. I costi e i fabbisogni standard permettono il risultato epocale del superamento della irrazionalità del finanziamento in base alla spesa storica.
  Mentre la spending review agisce sulle singole voci di spesa, i fabbisogni standard agiscono su grandi comparti di spesa, stabilendo quale sia quella necessaria a garantire un determinato tipo di servizio in date condizioni. Va, infatti, ricordato come la determinazione dei fabbisogni standard costituisca l'architrave della fiscalità federalista, come delineato, appunto, dalla legge n. 42 del 2009. I fabbisogni standard, cioè il costo giusto delle attività degli enti locali, misurato in base alla dimensione e alle caratteristiche di popolazione e di territorio, dovrebbero rappresentare il criterio guida dei tagli, sostituendo il metodo lineare, di fatto, attuato anche con la spending review 2012. L'obiettivo finale è finanziare il costo dei servizi anziché gli sprechi.
  I fabbisogni standard consentono di affrontare in modo appropriato il problema di allocazione delle risorse pubbliche Pag. 6tra enti locali. Congiuntamente con le capacità fiscali standard sono, quindi, riferimento fondamentale per il sistema perequativo e per la ripartizione tra i singoli enti di interventi di riduzione delle risorse attribuite al complesso di comuni e province. La determinazione dei fabbisogni standard di comuni e province per le sei funzioni fondamentali ha richiesto molto tempo, dovendosi considerare le spese di comuni e province per servizi generali e amministrazione, polizia locale, istruzione, gestione del territorio, settore sociale, viabilità e trasporto; ma, ormai, i lavori della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale sono in dirittura d'arrivo ed entro dicembre anche i rapporti per le funzioni mancanti dovrebbero essere depositati al Ministero dell'economia e delle finanze. A quel punto, mancheranno solo i DPCM definitivi, per poi essere messi a regime nel meccanismo di finanziamento degli enti locali. Quindi, mancheranno solo i decreti della Presidenza del Consiglio dei ministri.
  I dati e le metodologie dei fabbisogni standard sono indispensabili per superare il criterio della spesa storica, che è alla base sia di inefficienze nella distribuzione dei trasferimenti intergovernativi, sia di cattiva gestione della spesa da parte dei governi locali. Diventano, quindi, utili nell'ambito del riassetto istituzionale degli enti territoriali e della ripartizione delle funzioni; inoltre, forniscono un quadro delle reali necessità dei territori e della diversa efficienza degli enti. Essi costituiscono per le funzioni fondamentali di comuni e province sia strumento di efficientamento della spesa locale sia un elemento necessario, insieme alle capacità fiscali standard, per la costruzione del meccanismo di finanziamento e perequazione delle funzioni fondamentali degli enti locali. Va ricordato che, nella normativa italiana sulla finanza locale, i fabbisogni standard sono richiamati in tre diversi ambiti: nel sistema perequativo, nella determinazione degli obiettivi del Patto di stabilità interno, nel riparto dei tagli sulle risorse comunali, spending review.
  Ma la conclusione del capitolo fabbisogni standard sarà solo uno dei tasselli per completare il mosaico del federalismo fiscale. È, infatti, necessario accelerare sulla stima delle capacità fiscali standard degli enti locali, sulla costruzione del sistema perequativo ed estendere, in via concordata e consensuale, l'applicazione dei fabbisogni standard anche agli enti locali delle regioni a statuto speciale. In assenza di un loro coinvolgimento non sarà, infatti, possibile attuare un equilibrato sistema a livello nazionale.
  La perequazione verso i territori con minore capacità fiscale per abitante, che la Costituzione affida allo Stato al fine di garantire coesione e solidarietà tra aree forti e aree più deboli del Paese, è un altro pilastro della legge n. 42 del 2009. È, perciò, indispensabile dare priorità al tema della perequazione nel successivo percorso di attuazione del federalismo fiscale, per evitare che la funzione statale di riequilibrio venga progressivamente del tutto meno.
  In campo sanitario, la Conferenza delle regioni e delle province autonome ha deliberato di procedere da subito all'introduzione dei costi standard nel settore della sanità, in modo sperimentale per il 2013, e in via definitiva a partire dal 2014, superando le divergenze dei mesi scorsi. Le regioni, nel presentare la loro proposta, si sono anche dette pronte ad individuare le aree di riferimento per l'applicazione dei costi standard, indispensabili per aprire una nuova fase della sanità regionale in virtù della quale si potranno risparmiare ingenti risorse.
  Quello che non possiamo più accettare, infatti, è il «mercato impazzito» dei dispositivi medici. L'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas), analizzando le gare d'appalto aggiudicate tra il 2010 e il 2011, ha riscontrato, infatti, aghi pagati tra un minimo di 9 centesimi e un massimo di circa 0,25 euro, con una differenza del 177 per cento; suturatrici monouso, per cui c’è chi ha speso 188 euro e chi è arrivato a spenderne 520; garze in cotone acquistate tanto a 2,89 euro quanto a 7,47, con una variazione del 158 per Pag. 7cento; ospedali che pagano 284 euro per una protesi d'anca ed altri che ne pagano 2.575, con una differenza dell'806 per cento.
  Tutto, lo ripeto, per gli stessi prodotti utilizzata nello stesso Paese. Un accordo con il Governo potrà far ripartire dal prossimo anno i costi standard di aziende sanitarie e ospedaliere, e costituire un buon viatico per un rapido varo anche del Patto per la salute. Sul versante del controllo della finanza degli enti territoriali, imposto anche ai fini del rispetto dei vincoli di finanza pubblica derivanti dall'ordinamento comunitario, lo strumento utilizzato è il Patto di stabilità interno. Le regole del Patto di stabilità interno sono funzionali al conseguimento degli obiettivi finanziari fissati per le regioni e gli enti locali quale concorso al raggiungimento dei più generali obiettivi di finanza pubblica assunti dal nostro Paese in sede europea con l'adesione al Patto europeo di stabilità e crescita. È indubbio che necessiti di aggiustamenti. Dovrà agevolare davvero l'esercizio dell'autonomia locale e la spesa per gli investimenti. Il Patto di stabilità, infatti, non è più attuale e non è in grado di assolvere alle funzioni per cui è stato creato. Occorre rivederlo e contestualizzarlo per fare in modo che i meri calcoli matematici non deprimano l'azione delle amministrazioni. Occorre, inoltre, rivedere i meccanismi di premialità dei comportamenti virtuosi ed efficienti e quelli sanzionatori per gli enti che non rispettano gli obiettivi di finanza pubblica. I comuni caratterizzati da indicatori di bilancio efficienti dovranno rientrare nella categoria dei virtuosi esclusi dai vincoli generali del Patto di stabilità e obbligati a garantire esclusivamente il pareggio di bilancio.
  Tra le principali questioni aperte legate a una piena attuazione del federalismo fiscale vi è quella legata alla definizione delle funzioni delle province. Il tema è attualmente all'attenzione della I Commissione e, assieme alla riforma organica delle istituzioni di Governo, si inquadra nella più ampia riforma, anche costituzionale, che il Paese aspetta ormai da decenni, volta a razionalizzare e modernizzare l'impalcatura dello Stato. I due processi riformatori avviati, quello del federalismo fiscale e quello istituzionale, pur seguendo ognuno i propri tempi, devono tuttavia procedere lungo binari paralleli. Non è possibile spingere sul federalismo fiscale se contestualmente non si vara anche la Carta delle autonomie; così come non si possono applicare i principi di autonomia e responsabilità quando vi è ancora incertezza sulle funzioni che gli enti locali dovranno svolgere. In quest'ottica, l'approvazione della Carta delle autonomie locali consentirebbe di superare la separazione finora operata tra il federalismo fiscale, il processo di riallocazione e riorganizzazione delle funzioni tra i diversi livelli di governo, nonché di revisione della struttura organizzativa a più livelli di governo della Repubblica e di riduzione dei centri di spesa, il quale di per sé potrebbe consentire una riduzione della spesa corrente e una conseguente riduzione della tassazione a livello substatale. La responsabilità e l'autonomia dei governi locali e regionali in campo fiscale, quindi, fondamentali principi ispiratori della legge delega, risulterebbero utili per attivare il circuito di controllo dei cittadini sulle prestazioni delle amministrazioni, e per renderle più efficienti e anche più capaci di ridurre la spesa e gli sprechi, secondo il concetto cardine del federalismo «vedo-pago-voto».
  In un'ottica di modernizzazione, efficienza e trasparenza va inoltre collocato il completamento del sistema di armonizzazione dei bilanci e della contabilità degli enti locali, anche tenendo conto delle modifiche normative intervenute. Anche l'attuazione del federalismo demaniale, relativo all'attribuzione alle autonomie territoriali di un proprio patrimonio, richiede attenzione. La devoluzione agli enti locali degli immobili non più strategici per la amministrazioni statali, rimasta in stand-by per oltre due anni e rivitalizzata dal «decreto del fare», ha fino ad ora fatto registrare poco più di 600 richieste di Pag. 8beni provenienti da circa 150 comuni. Il federalismo demaniale rischia quindi di trasformarsi in un flop.
  In conclusione, è più che mai viva l'esigenza di giungere alla definizione di un quadro normativo certo e stabile nei rapporti finanziari tra i diversi livelli di governo, atteso che i ripetuti interventi legislativi, anche a breve distanza di tempo gli uni dagli altri, operati prevalentemente mediante la decretazione d'urgenza, hanno determinato situazioni di estrema precarietà e incertezza. Non possiamo quindi aspettare ancora. È giunta l'ora di dare piena e completa attuazione alla legge delega adottando tutti i decreti legislativi recanti le disposizioni integrative e correttive che saranno ritenute utili, approvando tempestivamente tutti gli atti amministrativi previsti, in modo da garantire l'effettiva operatività del federalismo fiscale e avviando la transazione verso il nuovo assetto in tutti i suoi aspetti, che sono complementari tra loro, e non possono essere affrontati in modo separato. Il cammino verso un compiuto federalismo fiscale deve marciare più speditamente. Non dobbiamo infatti dimenticare oggi quello che continuavamo a sostenere convintamente solo pochi mesi fa nel corso della campagna elettorale.
  Abbiamo affermato che occorreva non mettere le mani nelle tasche degli italiani, che è necessario ridurre il peso dello Stato nella vita dei cittadini abbassando principalmente le imposte su famiglie e su imprese. L'obiettivo che dobbiamo perseguire, quindi, se vogliamo presentarci agli italiani come classe dirigente credibile, è quello della razionalizzazione della macchina dello Stato e della eliminazione delle sue inefficienze. Solo in questo modo le imposte potranno essere ridotte in maniera durevole e si potrà ridare slancio all'economia del nostro Paese.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Guerini, che illustrerà anche la mozione Causi n. 1-00236, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

  LORENZO GUERINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, a partire almeno dalla metà degli anni Novanta il decentramento amministrativo e il riconoscimento di un ruolo di crescente importanza degli enti territoriali si sono affermati come elementi essenziali di un intenso dibattito sul rinnovamento dell'ordinamento istituzionale dello Stato, che si è sviluppato nel nostro Paese, recependo profonde istanze politiche e sociali.
  Dopo i significativi elementi di innovazione introdotti dalle leggi Bassanini, con il cosiddetto federalismo a costituzione invariata, tali istanze hanno iniziato a trovare riscontro anche nell'impianto costituzionale, con la riforma del 2001, che ha sancito il principio della pari dignità degli enti territoriali con gli altri livelli istituzionali quali elementi di un sistema coordinato di competenze e responsabilità tra loro integrati e chiamati a dialogare, per fare in modo che l'esercizio delle rispettive prerogative non risponda a criteri di prevalenza gerarchica, ma esclusivamente all'interesse del cittadino e al bene della comunità, da quelle locali al grande mosaico di quella nazionale.
  Un altro fondamentale principio di questo percorso di riforma è quello dell'autonomia finanziaria degli enti territoriali, anch'esso sancito dalla Costituzione e improntato a determinare un radicale cambiamento del modello dei rapporti finanziari tra Stato ed istituzioni locali e territoriali. La legge delega n. 42 del 2009 è lo strumento con cui il legislatore ha provato a dare corpo a tale principio, per declinarlo in prassi operative che affermassero concretamente e in modo definitivo il superamento del rapporto di dipendenza finanziaria degli enti territoriali dallo Stato, attribuendo alle istituzioni locali due prerogative essenziali e tra loro complementari. La prima: la capacità autonoma di programmare entrate finanziarie adeguate a soddisfare il fabbisogno di risorse per espletare e presidiare le proprie funzioni; e la seconda, la responsabilità diretta di motivare nei confronti dei cittadini e delle comunità locali le scelte di utilizzo delle risorse.
  Questo processo, che per essere efficace e virtuoso richiede anche di essere contemperato Pag. 9da indispensabili elementi di solidarietà a tutela della coesione sociale, si è tuttavia realizzato solo in parte, e dopo quattro anni non è ancora prossimo al suo compimento. La fase di emergenza finanziaria che il Paese sta attraversando, con riflessi che dal 2011 ad oggi si sono fatti particolarmente gravi, ne ha infatti quasi determinato l'arresto, per un duplice ordine di motivi: da una parte, l'urgenza di affrontare altre incalzanti priorità ha fatto retrocedere il tema in posizione di minore evidenza nell'agenda del Paese, rallentando, se non persino bloccando, l'attivazione degli strumenti attuativi della delega, al punto che ad oggi sono ancora ben settanta i provvedimenti che mancano all'appello, tra decreti ministeriali, regolamenti e convenzioni. Dall'altra, la natura, come ho appena detto, emergenziale della legislazione dell'ultimo triennio ha comportato l'introduzione di misure persino in contrasto con i principi e gli obiettivi della delega.
  L'affermazione dei principi di autonomia finanziaria e di responsabilità di spesa degli enti territoriali non ha quindi solo subito una battuta d'arresto, ma è stata talora apertamente contraddetta, segnando una regressione rispetto al percorso, così diffusamente auspicato, delineato dalla legge delega. Non si tratta solo di segnalare con preoccupazione la progressiva riduzione delle risorse complessivamente a disposizione degli enti territoriali, bensì di registrare come la riduzione delle risorse trasferite non sia avvenuta in un quadro di effettivo superamento del sistema di finanza derivata, capace di garantire invarianza di pressione fiscale nei confronti dei contribuenti.
  Si tratta inoltre di rilevare i ripetuti e sempre più profondi interventi della legislazione nazionale su alcune componenti fondamentali di quello che dovrebbe essere il nuovo assetto dei rapporti economici e finanziari tra lo Stato e le autonomie, tali da esautorarne i meccanismi; basti pensare, a questo proposito, al regime della tassazione immobiliare, sottoposto in questi anni ad una serie di modifiche – diciassette negli ultimi due anni solo per la disciplina dell'IMU – che hanno reso il quadro talmente mutevole da togliere qualsiasi punto di riferimento ed impedire agli enti locali la benché minima parvenza di una programmazione finanziaria stabile ed attendibile, non bastassero in tal senso le incertezze che caratterizzano anno per anno l'applicazione di strumenti come il Patto di stabilità o il rispetto di adempimenti previsionali di bilancio, le cui scadenze rischiano ormai di coincidere con quelle di chiusura di esercizio.
  Tutto ciò peraltro in una congiuntura in cui il ruolo delle autonomie territoriali, come ricordava prima l'onorevole Guidesi, dovrebbe risultare ancora più importante per dare risposta, nel contesto di crisi in cui vivono le nostre comunità, alla domanda di sostegno delle tante persone e famiglie che versano in condizioni di disagio e che proprio agli enti locali, prima che a qualsiasi altro livello istituzionale, rivolgono la loro richiesta d'aiuto. Una situazione quindi in cui il protagonismo responsabile degli enti territoriali a favore delle comunità locali dovrebbe essere incoraggiato ed agevolato, anche attraverso gli strumenti di autonomia finanziaria previsti dal federalismo fiscale.
  La mozione che il Partito Democratico ha predisposto e che oggi presenta all'attenzione dell'Aula coglie questa esigenza indifferibile di dare completa attuazione normativa e pratica alla riforma, rimuovendo ostacoli ed inconvenienti che ne hanno determinato il rallentamento, se non l'interruzione, per dare seguito concreto all'intento di rafforzare la responsabilità delle autonomie territoriali nella gestione delle proprie risorse, introdurre meccanismi equi di ripartizione delle risorse pubbliche tra i vari livelli istituzionali, favorire la conciliazione tra la capacità fiscale di un ente e il suo fabbisogno standard e rendere effettiva per i cittadini la possibilità di stabilire una relazione diretta tra il dovere di contribuire al finanziamento delle funzioni essenziali al servizio di una comunità e il diritto di conoscere e giudicare come tale contributo sia stato utilizzato.Pag. 10
  La mozione impegna quindi il Governo non solo ad approvare tutti gli atti amministrativi previsti per garantire l'operatività del sistema di federalismo fiscale, ma anche ad adottare decreti legislativi che possano risultare funzionali a introdurre elementi integrativi e correttivi di un percorso che negli anni ha subito alcune deviazioni, se non inversioni di rotta, e sul quale si sono nel frattempo inseriti anche ulteriori elementi; si pensi ad esempio alle ancora non del tutto definite prospettive di superamento della forma attuale di uno dei livelli territoriali del nostro ordinamento costituzionale, come quello delle province, e alle relazioni di queste prospettive, qualsiasi direzione esse prendano, con l'assetto organizzativo, le prerogative funzionali e l'autonomia finanziaria di regioni e comuni.
  La mozione pone inoltre l'accento su altre importanti questioni ed aspetti specifici del disegno di attuazione del federalismo fiscale: la definizione dei sistemi perequativi in relazione ai fabbisogni standard e alle capacità fiscali; la modulazione di un sistema di finanziamento della spesa in conto capitale degli enti territoriali che consenta di riequilibrare le dotazioni infrastrutturali tra le varie aree del Paese; la realizzazione di un efficace coordinamento della finanza pubblica che faccia dell'autonomia tributaria di regioni ed enti locali un elemento che contribuisce al rispetto di obiettivi programmati di pressione fiscale complessiva e alla garanzia dei livelli essenziali di prestazioni; l'armonizzazione delle modalità di applicazione delle addizionali IRPEF, anche allo scopo di semplificare gli adempimenti per i contribuenti, come indicato anche nel disegno di legge delega per la riforma del sistema fiscale; l'azione per dare effettiva operatività alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, integrandola nel processo di bilancio.
  Ed infine vi è l'accelerazione dei principi del federalismo fiscale nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome.
  Dall'adempimento di questi impegni, che potrebbero essere opportunamente integrati e rafforzati anche dal lavoro della Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale, istituita, ma purtroppo ad oggi non ancora insediata, passa la possibilità di dare efficacia concreta a una riforma che può risultare davvero molto importante per il Paese. È questo il nostro auspicio e sono queste le motivazioni che stanno alla base della mozione che abbiamo presentato, motivazioni che trovano riscontro o rispondenza pure in presenza di differenti sottolineature, anche nei documenti presentati per iniziativa di altri gruppi parlamentari, a testimonianza della diffusa condivisione di un tema ampiamente riconosciuto come centrale e che può far segnare utili convergenze rafforzando le istanze del Parlamento a sostegno della richiesta di una chiara attribuzione di priorità all'esigenza di imprimere una significativa accelerazione al processo di completa attuazione del federalismo fiscale.
  Sulla base di questa condivisione di fondo, è possibile mettere l'argomento al centro di un'azione comune di stimolo e di sensibilizzazione nei confronti del Governo che, con tali premesse, potrà meglio coglierne, non solo la rilevanza di merito, di cui tutti siamo ormai profondamente consapevoli, ma anche il carattere di urgenza e la natura coerente di questa urgenza con quella di ordine complessivo di consolidare la stabilità della finanza pubblica.
  Così come delineati nel quadro normativo della legge delega n. 42 e pur passibili di alcune rielaborazioni, che integrino e correggano aspetti operativi che richiedono l'adeguamento a mutate condizioni di contesto generale, i principi del federalismo fiscale non sono infatti in conflitto con l'obiettivo di rendere più efficiente e virtuosamente selettiva la spesa pubblica, anzi lo rafforzano, rendendolo più agevolmente perseguibile. La riforma dei rapporti finanziari tra lo Stato e gli enti territoriali, di cui chiediamo la piena e tempestiva realizzazione, rappresenta un'opportunità per migliorare l'azione della pubblica amministrazione e rinnovare le sue relazioni con i cittadini.Pag. 11
   Anche da qui, proprio da qui, passa la possibilità di un cambiamento sostanziale e profondo da tutti richiesto e dalla politica più volte enunciato. Siamo in presenza di un cammino avviato secondo una direzione indicata con chiarezza: i rallentamenti e le deviazioni, che pure si sono verificati, sono superabili, ancor più se questa volontà è sostenuta da tutti.
  Auspichiamo allora che il Governo registri questo ampio sostegno e assuma come compito di assoluta rilevanza l'impegno che, anche attraverso le mozioni che oggi stiamo trattando, gli viene assegnato.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Paglia, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00237. Ne ha facoltà.

  GIOVANNI PAGLIA. Signor Presidente, tutte le mozioni oggi in discussione partono da un presupposto che ritengo corretto e che non dovrebbe e non può essere ignorato: parlo della situazione di estrema difficoltà in cui versano i nostri enti locali tutti, comuni, province e regioni, dopo anni di politiche di austerità, di applicazione asfissiante di un Patto di stabilità, odiato da tutti, ma cambiato da nessuno e di tagli dei trasferimenti, ufficialmente compensati da imposte locali che però sono sempre in discussione.
  Restituire agli enti locali, ai comuni in particolare, la possibilità di tornare ad essere erogatori di servizi indispensabili ai cittadini e non solo responsabili di tagli sempre più dolorosi e indiscriminati e renderli anche capaci di essere promotori veri di investimenti, che sono indispensabili per l'inversione del ciclo economico, dovrebbe quindi rappresentare uno dei punti che unisce tutto questo Parlamento. Dico «dovrebbe» perché, in realtà, le politiche materiali di questa maggioranza non vanno in questa direzione e hanno appena modificato una tipica imposta locale, l'IMU, senza garantire nemmeno la piena copertura delle entrate previste. Hanno, inoltre, previsto ulteriori strette al Patto di stabilità, anche a danno dei comuni virtuosi, e nulla hanno fatto per cancellare quel vero mostro giuridico rappresentato dalle addizionali di trenta centesimi a metro quadro per la TARES, motivato come un tributo finalizzato ai servizi locali indivisibili, appunto finanza locale, ma riscosso dai comuni e poi interamente trasferito allo Stato per forza di legge. Per non parlare del perdurare di quell'assurda imposizione dall'alto sull'autonomia degli enti locali, rappresentata dall'impossibilità di assumere e disporre uscite in deroga al Patto di stabilità su servizi essenziali, se non passando da enti di secondo livello di dubbia utilità ed efficacia, come le ASP, le aziende speciali e le istituzioni.
  È una deroga peraltro necessaria per la tenuta minima dei servizi agli anziani, ai non autosufficienti e ai bambini che, però, è, peraltro, in predicato di essere abolita nella legge di stabilità in discussione al Senato, con conseguenze immaginabili sul piano della tenuta sociale. Se vogliamo parlare di federalismo fiscale non possiamo, quindi, che partire da qui, dallo stato di un Paese tanto autonomista nella forma quanto centralista e impositivo sul piano dell'attribuzione di qualsiasi possibilità di programmazione autonoma da parte degli enti locali.
  Quindi, lo voglio dire con forza, SEL è disponibile e interessata ad aprire, molto più che a continuare, visti i risultati fin qui ottenuti, un serio ragionamento sulla migliore distribuzione delle competenze fra livelli territoriali, su standard adeguati, da garantire fino in fondo sull'intero territorio nazionale, su come ridistribuire, di conseguenza, le competenze fiscali, evitando sovrapposizioni e valorizzando fino in fondo i principi di autonomia e di responsabilità. Tutto questo, naturalmente, fatto salvo il principio centrale e inderogabile di solidarietà nazionale, in particolare per quanto riguarda la libertà e la parità di accesso ai servizi per tutti i cittadini residenti sul territorio della Repubblica.
  Su questo vorrei sentire, finalmente, nel prosieguo del dibattito, parole di chiarezza da parte dei proponenti la prima mozione di oggi, che ringrazio per averci Pag. 12dato l'opportunità di avere questo dibattito, appartenenti ad una forza politica che sinora ha dato spesso l'impressione, in parole ed azioni, di non interpretare il federalismo come strumento di una più efficiente e trasparente organizzazione della Repubblica, ma come mezzo di separazione, attraverso cui fare passare una diversificazione dei diritti fra italiani di diversa provenienza regionale e nazionale.
  Dico questo perché credo che il tema del federalismo vada finalmente liberato dall'ipoteca ideologica in cui è stato mantenuto durante gli ultimi vent'anni e reso disponibile ad una discussione laica, unitaria e approfondita, senza la quale è destinato a rimanere un miraggio o, peggio, un veicolo di guasti profondi, come quelli partoriti dalla riforma del Titolo V della Costituzione, la cui riforma, appunto, fu affrettata e approvata da una maggioranza ristretta, probabilmente nel tentativo di contendere quella che era una bandiera di parte, con il risultato di generare un tale livello di confusione amministrativa da essere oggi in testa alle necessità di riforma della Costituzione. Ovvero, l'unica parte della Costituzione a essere unanimemente riconosciuta come inefficace e inefficiente e bisognosa di una profonda revisione è quella che ha subito cambiamenti in questi ultimi anni. Lo dico anche a monito degli «apprendisti stregoni» che affollano quest'Aula e che vorrebbero cambiare la Carta sulla base di considerazioni teoriche mai dimostrate. Lo dico anche a quelli, come la Lega, che inseriscono nel dibattito il tema delle riforme istituzionali dandone per scontato percorso ed esito e, addirittura, già dando per assodata la necessità di raccordo con modifiche che vengono puntualmente richiamate nella mozione.
  Questo approccio non va bene – lo dico apertamente –, perché da parte nostra non c’è la disponibilità a votare nessun testo che richiami come ineludibili, se non condivisi, cambiamento della forma di governo, previsione del Senato federale, riduzione del numero dei membri delle Camere, eliminazione degli enti intermedi inutili, perché, tralasciando gli enti inutili che andrebbero nominati e la riduzione del numero dei parlamentari, su cui si può discutere, non c’è da parte nostra alcuna disponibilità a parlare di cambiamento della forma di governo, e crediamo che anche la questione del Senato federale andrebbe chiarita bene, proprio alla luce dell'esperienza fatta con il Titolo V.
  La dico così: credete veramente che la sostituzione di una cosa simile alla Conferenza Stato-regioni all'attuale Senato porterebbe realmente ad un efficientamento della procedura legislativa ? O non si rischierebbe, piuttosto, di esporre la legislazione ad estenuanti mediazioni fra diverse istanze territoriali ? Chi abbia un minimo di esperienza con enti di secondo livello, quali, per esempio, le unioni dei comuni, che secondo una certa vulgata dovrebbero diventare il paradigma della riorganizzazione delle politiche di area vasta dopo l'abolizione delle province, sa che esistono problemi seri nel fare funzionare in modo efficiente strutture che non abbiano una base elettorale comune.
  La mediazione sui bisogni e sull'organizzazione dei servizi avviene, infatti, spesso secondo la logica del più uno, cercando non soluzioni efficienti sul piano economico ma efficaci sul piano politico, esattamente il contrario di quanto sarebbe necessario. E infatti, purtroppo, dobbiamo ammettere che qualcosa non funziona in un Paese che ha visto, negli ultimi vent'anni, esplodere le spese e la fiscalità delle tariffe locali, a fronte di discutibili miglioramenti o arretramenti sul piano dell'erogazione dei servizi ed investimenti spesso insufficienti. Dobbiamo ammettere che la strada fin qui compiuta dal cosiddetto «federalismo» ha portato nel nostro Paese molti danni e vantaggi di cui si può dubitare.
  Un'altra cosa su cui non siamo d'accordo e di cui crediamo si debba, quindi, discutere in una mozione sul federalismo fiscale, è la previsione di eliminare, o di mantenere l'eliminazione, dell'IMU sulla prima casa, indistintamente. Che federalismo fiscale è un federalismo che parta dall'esclusione della possibilità di imposta su un bene che in tutti i Paesi dell'Occidente Pag. 13è considerata la base fondamentale dell'imposizione municipale, per ragioni tanto ovvie da non dover essere argomentate ?
  L'ho detto prima: autonomia e responsabilità, di cui non può non far parte la libertà di imposta, certo entro certi limiti, e di essere valutati sulla base del rapporto tra prelievo applicato e servizi resi. Ma per fare questo è indispensabile anche arrivare a scindere nettamente il tipo di leva fiscale in mano ai diversi livelli istituzionali.
  Rendiamoci conto della situazione in cui siamo ora. Governo e maggioranza hanno cancellato senza nemmeno avere una discussione vera, ma solo una viziata dai ricatti politici, una fonte di entrata, l'IMU sulla prima casa, che per i nostri comuni valeva 5 miliardi di euro, ma che probabilmente quest'anno ne avrebbe generati di più. Una fonte di entrata che i comuni non condividevano con nessuno, essendo l'unica parte dell'imposta municipale a non essere aggredita dallo Stato. Possiamo quindi dire, senza timore di smentita, che sia stata abolita a livello centrale l'unica fonte di entrata su cui i comuni avessero piena e totale disponibilità.
  Ne parlo soprattutto per una questione di metodo, perché sarà sempre ridicolo e ipocrita pronunciare la parola federalismo, che per me non è sacra, ma che è stato un mantra di questo ventennio, a destra e a sinistra, in uno Stato che si comporta in questo modo. E devo dirlo ai colleghi della Lega: anche il fatto che la vostra mozione continui a prevedere l'impossibilità di ripristino di eventuali forme di tassazione patrimoniale sulla prima casa è curioso. È un bell'esempio negativo di valorizzazione delle scelte autonome.
  Intanto, ne approfitto per darvi due informazioni. La prima è appunto che i comuni sono in difficoltà, anche perché gli è venuta a mancare una fonte di entrata e in corso d'opera è stato detto loro che sarebbe stata compensata ai valori 2012, che erano inferiori, significativamente inferiori. La seconda è che se queste difficoltà non sono uguali per tutti è perché il gettito IMU complessivo destinato agli enti locali pare sia aumentato. Perché sarebbe successo questo ? Perché nel dubbio o nella necessità si è fatto un grande uso della possibilità di incrementare l'aliquota su ciò che restava ovvero i fabbricati ad uso produttivo, utilizzando quel margine dello 0,3 per cento concesso dalla legge, che si somma allo 0,76 di base. Vado a intuito ma vedo forte il rischio che quel più 32,5 per cento di incassi IMU sulla prima rata nella quota comunale, conseguente evidentemente molto più ad interventi sulle aliquote che all'aumento della base imponibile, data la perdurante crisi dell'edilizia, significherà per le nostre imprese un conto ben più salato dell'anno precedente che vanificherà anche il vantaggio della parziale deducibilità dall'IRES.
  Quindi il risultato di questa operazione sull'IMU e dello stato ibrido della fiscalità italiana – dico tutto questo per esempio – per cui nulla è fino in fondo centrale o periferico, è che in una fase di perdurante contrazione del ciclo economico le imprese andranno a compensare abbondantemente, naturalmente facendo una media nazionale, il gettito risparmiato alle famiglie, a tutte le famiglie. È una cosa intelligente ? Io lascio giudicare a voi, ma vi invito anche ad utilizzare la discussione di oggi per riflettere sulla possibilità di cambiare scelte sbagliate del recente passato, anziché reiterarle andando a peggiorare quotidianamente la situazione, perché questa cosa dell'IMU è stata come una ciliegia avvelenata e ha tirato e continua a tirare con sé altre tasse certamente peggiori dell'originale.
  Sempre a proposito di federalismo fiscale e di rispetto delle scelte del Parlamento, approfitto per chiedere una cosa al Governo, sperando di avere una risposta qui e di non doverla reiterare. In sede di discussione del decreto-legge n. 102 del 2013, questa Camera aveva stabilito di poter continuare per il 2013 ad applicare il regime TARSU-TIA del 2012 per quei comuni che avessero deliberato in tal senso entro il 30 novembre, rimandando quindi il passaggio alla TARES. Sembrava una questione di buonsenso, dato che il Pag. 14legislatore nazionale aveva scelto di intervenire con modifiche continue al regime di copertura della raccolta rifiuti, arrivando infine a mettere al 30 novembre il termine ultimo di approvazione del bilancio preventivo.
  Gira una voce che una circolare del Ministero dell'economia si appresterebbe a limitare tale possibilità di permanere nel regime 2012 solo a quei comuni che in questi mesi non avessero ancora licenziato il bilancio preventivo contando giustamente sul ritmo lento e ondulatorio del Governo. In altre parole si chiuderebbe la porta in faccia ai più virtuosi, perché così vanno chiamati quelli che interpretano il bilancio come una cosa seria e quindi non lo rimandano sine die, solo perché la legge lo consente.
  Dato che peraltro a chiudere la porta non sarebbe una legge dello Stato, ma una circolare ministeriale, che proprio con lettera e spirito della legge confliggerebbe, io spero di poter già sentire qui oggi una smentita e di poter tranquillizzare i tanti comuni italiani che in questo momento hanno avuto l'ennesima iniezione di incertezza. Si tratta semplicemente di lasciare a tutti i comuni la possibilità di fare quello che la legge aveva stabilito per loro.
  È giusto tra l'altro approfittare di questa occasione, visto che parliamo di federalismo fiscale, per chiedere al Governo ulteriori e non formali rassicurazioni sul fatto che la TASI si limiterà a coprire i costi, secondo il principio «chi inquina paga», mitigato da alcuni possibili correttivi in termini di equità fiscale, e che la TASI non colpirà gli inquilini a basso e medio reddito e non graverà sulle prime e uniche case non di lusso degli italiani più di quanto potesse già l'IMU.
  Il Governo capirà infatti che c’è legittima preoccupazione nelle famiglie ed anche una velata, diciamo così, sensazione di essere stati presi in giro per l'ennesima volta da una squadra ben attrezzata di Robin Hood alla rovescia.
  Quindi noi approfitteremo di ogni occasione, anche quella di oggi, per chiedervi conto e chiedervi l'impegno a non colpire chi già paga e sempre ha pagato, ma ad utilizzare ogni strumento disponibile per chiedere a ciascuno di contribuire secondo le sue effettive e reali possibilità.
  Dovrebbe bastare la Costituzione, ma, evidentemente, non è così, e quindi ci proviamo anche noi. Infine, ma non per ultimo, in questo Paese è stata approvata una delega al Governo, nella passata legislatura, relativa propriamente al federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione. Una seconda delega, che avrebbe investito l'Esecutivo del compito di definire una Carta delle autonomie, non è riuscita a completare il suo iter parlamentare. Entrambe vengono giustamente richiamate in questo dibattito, lo facciamo anche noi, e, in qualche modo, si può dire che lo abbiano determinato.
  Entrambe sono, ad oggi, secondo la nostra opinione, finite nel nulla, sia formalmente che nella sostanza, senza aver saputo in alcun modo arrivare agli obiettivi che si erano cercati. Se, infatti, la Carta delle autonomie locali, di cui io credo si senta un gran bisogno, avrebbe dovuto integrare e superare il TUEL, anche alla luce del fatto che noi abbiamo una legge sulle autonomie che precede la riforma costituzionale sovrastante, la delega sul federalismo avrebbe dovuto porre le basi del funzionamento fiscale ad una più netta determinazione delle funzioni proprie, e quindi della loro possibilità di esercizio.
  Credo che, da quanto detto sinora, possa essere del tutto chiaro il mio pensiero: nessuna delle previsioni contenute nella delega ha visto la luce, se non in modo nominale e minimale. I due anni previsti sono scaduti e lo stesso partito che dal Governo aveva dato impulso a quella delega è qui, in quest'Aula, a chiedersi che fine abbia fatto e se possa in qualche modo essere recuperata.
  Il dibattito di oggi, se penso alla Lega Nord, è la sintesi della sconfitta politica di un partito che, avendo passato al Governo dieci anni su venti, non ha portato a casa nulla di ciò che avrebbe dovuto essere la sua ragione fondante. Ma io, sotto questo aspetto, voglio però tendere una mano e dire che dalla sconfitta di un partito può Pag. 15talvolta nascere anche la condizione perché un dibattito possa proseguire su basi più solide.
  Io credo che sia maturata nel Paese la convinzione generale che i tempi siano maturi per una riforma del sistema delle autonomie che coniughi solidarietà, responsabilità e chiara attribuzione di funzioni e condizioni per realizzarle, fuori da qualsiasi tentazione punitiva e dall'idea che i costi standard possano essere, di fatto, un mezzo sanzionatorio.
  Questo Parlamento dovrebbe avere una Commissione bilaterale appositamente istituita per discutere di questo: non ce n’è traccia ! Si tratterebbe di cominciare a farla funzionare, partendo dal presupposto che per un terzo della forza politica qui rappresentata si tratta di ripartire da capo, dato che non abbiamo avuto possibilità di esserci fino ad ora.
  Parlo per noi, ma, evidentemente, anche per i colleghi del MoVimento 5 Stelle. E credo che tale Commissione bicamerale dovrebbe lavorare a stretto contatto con la I Commissione, cui dovrebbe essere dato mandato di riprendere il tema di una riforma complessiva, compiuta e coraggiosa del regime delle autonomie, delle loro attribuzioni, funzioni e organizzazione, uscendo dal delirio – scusate il termine – che ha contraddistinto l'ultima parte della scorsa legislatura e l'inizio di questa.
  Io, personalmente, non amo le province, ma non è possibile che, quando si parla di enti locali, il dibattito in Italia sia ormai diventato esclusivamente «che fare con le province», dando per assunto che si debbano cancellare e guardando con fastidio persino alla loro tutela costituzionale.
  Così, nell'ultimo anno, vi è chi ha pensato di abolirle con legge ordinaria, venendo poi bocciato – e non ci volevano grandi capacità di preveggenza – dalla Corte Costituzionale, vi è chi ha pensato di affamarle, incurante del fatto che ridurre all'impotenza un ente, senza riattribuirne le funzioni, non danneggia l'ente, ma i cittadini, e ora ci troveremo di fronte all'ennesimo provvedimento, che ha già trovato il parere negativo, di fatto, della Corte dei conti, che ha detto un'altra ovvietà, ovvero che una riforma male impostata e priva dei necessari collegamenti sistemici rischierà di produrre non i risparmi mirabolanti sempre promessi, ma, al contrario, un aggravio di costi.
  Per questo, io credo che un Parlamento che si è dato il vasto programma di riformare niente meno che la seconda parte della Costituzione nella sua quasi interezza, dovrebbe recedere da questa follia, la riforma della Costituzione, e dedicarsi, piuttosto, con i tempi e la serietà dovuta, alla riforma del sistema degli enti locali, secondo lo schema che prima ho provato a tracciare, ovvero un lavoro coordinato tra interventi sulla fiscalità e sull'organizzazione istituzionale.
  Questo, forse, impedirà a qualcuno di intestarsi lo «scalpo» delle province, che a ben guardarlo altro non sarebbe, peraltro, che «scalpo» di democrazia, dato che delle province sparirebbe solo il controllo democratico, ma consentirebbe all'Italia di avere un ordinamento più consono ai suoi bisogni e all'evoluzione materiale del suo ordinamento.
  Sentiamo parlare ogni giorno di semplificazione. Bene, io credo che nulla semplificherebbe di più la vita quotidiana dei nostri cittadini e dei nostri soggetti economici che sapere con chiarezza quali siano le competenze di ogni livello istituzionale, una volta stabilito quanti debbano essere, secondo un principio di efficacia ed efficienza, evitando sovrapposizioni, confusioni e conflitti di attribuzioni.
  Abbiamo comuni, in questo momento, che vorrebbero occuparsi di politica estera e uno Stato che, talvolta, dà l'impressione di volere normare la disposizione di sensi unici e passi carrai. In mezzo, enti che dovrebbero assolvere alla funzione fondamentale della programmazione e del coordinamento sovraordinato e che, mentre non riescono o non hanno gli strumenti per imporsi sotto questi aspetti, estendono il proprio raggio di attività a settori che poco o nulla dovrebbero competergli.
  È a questo che dobbiamo mettere ordine e insieme a questo stabilire che il Pag. 16proprio lavoro, se ben fatto e ben pianificato, non può essere continuamente messo in discussione dalla dipendenza da soggetti terzi per quanto riguarda la disponibilità di risorse. Per noi questo significa federalismo fiscale.
  Si tratta di cose di apparente buonsenso – come si dice oggi con un'espressione, peraltro, che io personalmente odio – che tuttavia si scontrano con i tanti interessi che ruotano attorno ad un'idea di Repubblica debole, perché svuotata di politica e di democrazia, oppure farraginosa, perché è nella confusione normativa che regnano privilegi, discrezionalità e corruzione, tutte cose di cui siamo bene a conoscenza.
  Noi siamo invece fra quelli che vogliono una Repubblica, intesa come insieme dei poteri pubblici, forte perché democratica e democratica perché forte. In questa direzione ci troverete sempre e in questa direzione va la nostra mozione (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Rossi, che illustrerà la mozione Zanetti ed altri n. 1-00238, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

  DOMENICO ROSSI. Signor Presidente, la mozione presentata da Scelta Civica per l'Italia, così come molte di quelle che oggi sono state illustrate, prende atto che il processo di decentramento legislativo e amministrativo, avviato sin dalla fine degli anni Novanta, non si è tradotto affatto in un parallelo trasferimento di entrate e spesa dalla potestà e disponibilità delle amministrazioni centrali dello Stato a quelle periferiche, ovvero alle regioni e agli enti locali, con gli sperati effetti positivi in termini di razionalizzazione e riduzione tanto della spesa quanto della pressione fiscale, bensì questo processo si è tradotto e ha avuto effetti negativi di esplosione tanto della spesa pubblica complessiva quanto della pressione fiscale complessivamente esercitata dai diversi livelli di governo statali e territoriali sui cittadini e sulle imprese.
  Tre sono le principali ragioni di questo vero e proprio auto-goal, che danno ha recato al Paese, contribuendo in misura determinante all'esplosione della spesa pubblica, che si è registrata in particolare modo negli anni dal 2001 al 2006, e alla conseguente esplosione della pressione fiscale, verificatasi dal 2006 in avanti, quando sono cominciate, con intensità crescente di pari passo con l'aggravarsi della crisi, le inevitabili politiche restrittive di riequilibrio dei conti pubblici culminate, all'apice delle difficoltà e delle turbolenze finanziarie, con le manovre varate nella seconda metà del 2011, dal Governo Berlusconi prima e dal Governo Monti poi.
  Una prima ragione va individuata in un'infelice ripartizione delle competenze legislative tra Stato e regioni e in particolare modo nell'enumerazione eccessivamente ampia delle materie di competenza concorrente, il cui radicale sfoltimento diventa pertanto uno dei presupposti imprescindibili per consentire che i processi di decentramento si traducano realmente in avvicinamento dei livelli di governo ai cittadini, con possibili ricadute positive in termini di razionalizzazione e riduzione della spesa e della pressione fiscale che viene su di essi esercitata, invece che, come oggi, in duplicazione di costi burocratici e, quindi, in stratificazioni di nuova spesa su spesa, con conseguente stratificazione di tasse su tasse quando il riequilibrio dei conti diventa condizione imprescindibile e quindi non più rinviabile.
  Una seconda ragione, che trova in parte le proprie premesse nella prima esposta, va individuata nel fatto che le riforme degli anni Novanta (cosiddetta Bassanini) e del 2001 (riforma del Titolo V della Costituzione) hanno sensibilmente decentrato la spesa, ma non hanno fatto altrettanto in termini di decentramento del personale pubblico e delle risorse finanziarie.
  Una terza ragione, che trova in parte le proprie premesse nella seconda, va individuata nella persistente asimmetria quantitativa tra volumi di spesa sviluppati dai singoli livelli di governo statale e territoriale e potestà impositiva da essi direttamente esercitata sul cittadino, con quel Pag. 17che ne consegue in termini di opacità per quest'ultimo, cioè per il cittadino, di capire le dinamiche finanziarie interne al bilancio dello Stato, e sostanziale deresponsabilizzazione dei decisori politici per le scelte di competenza di ciascuno: ancora oggi, il 40 per cento delle entrate di regioni ed enti locali è rappresentato da trasferimenti invece che da entrate proprie.
  Con la riforma del 2009 si è inteso creare i presupposti per potere correggere queste storture e dare forma a un federalismo fiscale capace di stimolare effettivamente responsabilità a livello locale, attraverso l'esercizio dell'autonomia fiscale, l'imposizione di una piena trasparenza nell'assegnazione delle risorse a ciascun ente locale e l'abbandono graduale del circolo vizioso della spesa storica.
  Occorre prendere atto però che a tutt'oggi, e nonostante l'avvenuta emanazione di numerosi decreti attuativi, la trama complessiva della legge delega n. 42 del 2009 per l'attuazione del federalismo fiscale è ancora ben lungi dall'essere attuata nel suo complesso, mentre si avvicina il termine del 21 novembre 2014, entro cui è prevista la possibilità di emanare decreti legislativi correttivi.
  In particolare, il passaggio dai criteri fondati sulla spesa storica ai concetti di costo e fabbisogno degli standard appare fondamentale, ai fini di un'apprezzabile riduzione quantitativa della spesa pubblica e, conseguentemente, della pressione fiscale, secondo logiche però che siano effettivamente qualitative e di efficienza, in contrapposizione alle logiche di tagli lineari, presenti soprattutto per quanto riguarda i trasferimenti agli enti locali, tagli lineari idonei a creare talvolta inefficienze addirittura maggiori dei risparmi che generano.
  È necessario, pertanto, adottare velocemente tutti i decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive che saranno ritenuti utili, consentendo così l'avvio della transizione verso il nuovo assetto in tutti i suoi aspetti che sono complementari tra di loro e che non possono essere affrontati in modo separato, tenuto conto anche che la crisi dei conti pubblici, esplosa in tutta la sua evidenza nella seconda metà del 2011, ha portato all'adozione di una serie di misure emergenziali, finalizzate al loro riequilibro, che hanno pesantemente inciso sui bilanci di regioni ed enti locali, con tagli nelle disponibilità di spesa e interventi di natura tributaria non pienamente allineati agli obiettivi di fondo della riforma disegnata dalla legge n. 42 del 2009.
  È per tutti questi motivi che con la mozione si intende impegnare il Governo su una serie di aspetti: a dare – come ho già detto – piena e completa attuazione alla legge delega sul federalismo fiscale, adottando tutti i decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive che saranno ritenuti utili.
  Ma bisogna che il Governo si impegni a dare vita quanto prima, già dalla successiva legge di stabilità, ove non fosse possibile con quella in atto, che avvia ora il suo iter parlamentare, ad una vera service tax federale, il cui gettito sia per intero destinato ai comuni e alla perequazione tra i medesimi e che non sia una mera sommatoria, ridenominazione o scomposizione per parti delle attuali Imu e Tares.
  Bisogna che il Governo verifichi prioritariamente l'attuazione della procedura per l'individuazione dei costi e fabbisogni standard e degli obiettivi di servizio, valutando anche l'opportunità di stabilire un principio di flessibilità per tipologia di prestazione e diversità territoriale, secondo quanto previsto dal decreto legislativo n. 216 del 2010 e dall'articolo 13 del decreto legislativo n. 68 del 2011, e occorre adottare, nel termine ineludibile di tre mesi dall'approvazione del presente atto di indirizzo, tutti gli atti conseguenti e necessari ai fini della loro compiuta determinazione.
  Nel percorso di completamento dell'attuazione del federalismo fiscale, occorre altresì agire con la massima urgenza per rendere operativo il criterio dei costi standard relativi al servizio sanitario e dei fabbisogni standard per comuni e province, affinché sia consentito agli enti territoriali di contenere le addizionali regionali Pag. 18e locali, inducendo tutti gli amministratori alla massima responsabilizzazione.
  Necessita altresì coordinare il tema della finanza locale con le modifiche ordinamentali già contenute nell'articolo 23 del decreto-legge n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, e coordinarle con quelle in corso di approvazione nell'ambito della Carta delle autonomie locali e della riforma costituzionale, con particolare riguardo alla forma di Governo, alla previsione del Senato federale, alla riduzione del numero dei membri delle Camere, all'eliminazione degli enti intermedi inutili e, in generale, alla revisione della parte seconda della Carta costituzionale.
  Per quanto riguarda la riforma organica delle istituzioni di governo di area vasta, introdotta dal decreto-legge n. 201 del 2011, occorre che il Governo riconsideri l'impatto che il trasferimento delle funzioni e delle risorse oggi gestite dalle province avrà sui bilanci e sull'organizzazione di regioni e comuni, già gravati dalle difficili condizioni di sostenibilità del loro patto di stabilità, posto che le nuove norme ingenerano confusione nel sistema delle autonomie e conseguenze pesanti per lo sviluppo dei territori, producendo o rischiando di produrre notevoli costi aggiuntivi per lo Stato e per la pubblica amministrazione.
  Impegniamo con questa mozione anche il Governo ad adottare, con gli strumenti di programmazione finanziaria e con la legge di stabilità per il 2014, tutti i provvedimenti per il coordinamento dinamico della finanza pubblica previsti dalla legge delega e dai decreti legislativi approvati, a partire dal percorso di convergenza degli obiettivi di servizio ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117 della Costituzione, e dall'obiettivo programmato della pressione fiscale complessiva, nel rispetto dell'autonomia tributaria delle regioni e degli enti locali.
  Occorre rivedere, e il Governo si deve impegnare a rivedere, le regole del Patto di stabilità interno, introdotte dal decreto legislativo n. 149 del 2011, in materia di meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni.
  Necessita altresì completare il processo di riforma federalista superando definitivamente il sistema di finanza derivata in ragione di una piena autonomia finanziaria delle regioni e degli enti locali, senza aumentare la pressione fiscale complessiva, garantendo certezza di risorse e promuovendo lo sviluppo economico locale anche attraverso l'implementazione di nuovi ed appositi strumenti in grado di supportare le amministrazioni locali nel processo di acquisto dei beni e dei servizi al fine di attuare efficienti revisioni di spesa.
  Impegniamo il Governo ad adottare, nell'ambito delle riforme concernenti la disciplina di bilancio delle pubbliche amministrazioni, ogni utile provvedimento volto ad implementare le procedure telematiche di comunicazione annuale dei dati, finalizzate alla creazione di un'anagrafe telematica della spesa, dei debiti e dei contratti di ogni genere e tipo, ivi compresi quelli di consulenza e di lavoro subordinato, dati evidentemente necessari nella valutazione complessiva.
  Occorre altresì cambiare l'approccio allo strumento dell'addizionale IRPEF da parte di regioni e comuni, oggi troppo spesso usata forzatamente per compensare carenze di bilancio, laddove dovrebbe, invece, costituire uno strumento attraverso il quale gli enti locali e territoriali costruiscono in autonomia un sistema di detrazioni atte a favorire e sostenere le categorie sociali più deboli o meritevoli di tutela. In definitiva, impegniamo il Governo ad assumere iniziative per ripristinare il dettato del decreto legislativo n. 68 del 2011, con particolare riferimento alla compartecipazione regionale IVA, le cui modalità di attribuzione siano stabilite in conformità con il principio di territorialità.
  È altresì evidente, per concludere, che occorre verificare lo stato di attuazione di tutti i decreti legislativi approvati, comprensivi Pag. 19degli atti amministrativi previsti, al fine di definire un percorso per la loro reale definitiva entrata in vigore.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

  PRESIDENTE. Chiedo al Governo se intende intervenire o si riserva di farlo successivamente. Prego, ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Pier Paolo Baretta.

  PIER PAOLO BARETTA, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, se lei lo consente io metterei agli atti una risposta molto articolata ai quesiti posti con riferimento alla mozione principale dell'onorevole Guidesi, evitando, quindi, di leggerla in questo momento. Se può esser acquisita agli atti ed essere presa in considerazione dagli onorevoli proponenti, dall'insieme delle risposte si evince che ci sono tre aspetti che meritano di essere valutati.
  Il primo riguarda una serie di questioni condivise. Penso all'impostazione federale da dare alla service tax, ma, in generale, a questa fase. Penso all'adozione dei fabbisogni standard, così come se ne è parlato in più interventi. Penso alla revisione del Patto di stabilità sul quale c’è un intervento.
  Secondo: materie condivise, su alcune delle quali è in atto una discussione parlamentare relativa, ad esempio, alla legge di stabilità. Su alcuni di questi argomenti la discussione parlamentare è già avviata o sta avviandosi. Si tratta per l'appunto di: fabbisogni standard, tutta la service tax e lo stesso Patto di stabilità.
  Terzo, c’è un solo punto sul quale noi abbiamo un'opinione, diciamo, contraria che è quello relativo alla tesoreria unica, l'ultimo punto della mozione, che, per noi, resta un terreno valido.
  Siccome alcuni di questi aspetti si intrecciano con le altre mozioni, se gli onorevoli proponenti, valutano le risposte che dà il Governo, quelle più consone, partendo da quelle espresse sulla mozione principale o sulle altre, si può valutare, tra stasera e domani, di trovare una condivisione in maniera tale che ci sia poi un solo parere positivo su una mozione con il più largo consenso possibile. Tuttavia c’è un lavoro da fare proprio per queste sovrapposizioni e, quindi, per favorire questo lavoro penso che questo potrebbe essere un metodo utile, rinviando poi a domani, invece, la parte deliberativa.

  PRESIDENTE. Sì, assolutamente, sottosegretario Baretta, si intende autorizzato a consegnare l'intervento, per la pubblicazione in calce al resoconto sulla base dei criteri costantemente seguiti, precisando che poi i pareri saranno espressi in una fase successiva. Il seguito della discussione è quindi rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica francese per la realizzazione e l'esercizio di una nuova linea ferroviaria Torino-Lione, con Allegati, fatto a Roma il 30 gennaio 2012 (A.C. 1309-A) (ore 15,55).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge di ratifica: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica francese per la realizzazione e l'esercizio di una nuova linea ferroviaria Torino-Lione, con Allegati, fatto a Roma il 30 gennaio 2012.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).
  Avverto che è stata presentata la questione pregiudiziale di merito Laura Castelli ed altri n. 1 che, non essendo stata Pag. 20preannunciata in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo, sarà esaminata e posta in votazione, prima di passare all'esame degli articoli, nella seduta di domani.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1309-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la III Commissione (Esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Bergamini.

  DEBORAH BERGAMINI, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'Accordo all'ordine del giorno sottoscritto con la Francia il 30 gennaio 2012, è finalizzato a regolare le condizioni di realizzazione del progetto di collegamento ferroviario misto, merci e viaggiatori, tra Torino e Lione nonché le condizioni di esercizio di tale opera una volta che sarà realizzata. Segnalo che l'Accordo risponde alla necessità di definire il quadro generale per la realizzazione e la successiva gestione della sezione transfrontaliera della parte comune italo-francese della nuova linea Torino-Lione.
  Ricordo che lo strumento bilaterale si configura, pertanto, come un protocollo addizionale all'Accordo italo-francese stipulato il 29 gennaio 2001, ratificato ai sensi della legge 27 settembre 2002, n. 228 che ha disciplinato la prima fase relativa agli studi, alle ricognizioni e ai lavori preliminari della parte comune dell'opera, facendo seguito a quanto già convenuto cinque anni prima con l'Accordo 15 gennaio 1996 che aveva istituito la commissione intergovernativa per la realizzazione di una nuova linea ferroviaria Torino-Lione.
  Voglio sottolineare che l'Assemblea avvia oggi l'esame di un Accordo già approvato presso l'Assemblea nazionale francese lo scorso 31 ottobre a larghissima maggioranza, che costituisce un tassello di una serie di atti internazionali che definiscono progressivamente i rispettivi impegni bilaterali. Un ulteriore protocollo addizionale, così come previsto dall'articolo 3 del disegno di legge di ratifica in esame, disciplinerà l'avvio dei lavori connessi alla realizzazione della sezione transfrontaliera della parte comune. Desidero evidenziare che soltanto dalla ratifica di quest'ultimo protocollo discenderanno gli obblighi giuridicamente vincolanti alla realizzazione dell'opera e, quindi, la quantificazione degli oneri finanziari a carico dell'Italia per cui il relativo disegno di legge di autorizzazione alla ratifica individuerà la relativa copertura finanziaria. Ne consegue, quindi, che dal presente disegno di legge non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
  Ricordo che, lo scorso 5 giugno, l'Assemblea della Camera dei deputati ha approvato a larghissima maggioranza l'impegno al Governo a dare piena attuazione proprio all'Accordo del 30 gennaio 2012 di cui oggi inizia l’iter di ratifica.
  Analogo impegno era, del resto già stato adottato nella scorsa legislatura, nella seduta del 29 marzo 2012, con l'approvazione, con un solo voto contrario, di una mozione che reiterava, peraltro, il senso di precedenti atti di indirizzo votati il 20 ottobre del 2010, a conferma della valenza strategica della Torino-Lione come asse decisivo e prioritario per i collegamenti europei.
  La linea ferroviaria Torino-Lione è un collegamento indispensabile per creare un asse trasportistico efficiente da est a ovest del continente europeo e rilanciare la modalità di trasporto ferroviaria rispetto a quella stradale, soprattutto per le merci; modalità di trasporto che risulta di assoluta utilità per un Paese come il nostro che soffre di un cronico squilibrio intermodale.Pag. 21
  Il Corridoio Mediterraneo, di cui la Torino-Lione è parte essenziale, rappresenta per l'Italia una delle principali reti a supporto del tessuto industriale per la maggiore accessibilità sulla direttrice est-ovest e per la connessione con tutti gli altri corridoi transeuropei passanti per l'Italia. La nuova linea intercetterebbe un interscambio economico che è secondo soltanto a quello con l'area tedesca ed è in crescita nonostante la crisi. Allo stato, l'obsolescenza dell'attuale linea rende il collegamento non solo più lento, ma anche più inefficiente e costoso, in modo tale da costituire un freno alla circolazione delle merci, che seguono, pertanto, altre direttrici.
  Ricordo che l'Unione europea, già nel luglio 1996, ha previsto la creazione di una rete ferroviaria transeuropea, estesa, poi, nel 2004 ai nuovi Paesi aderenti, in cui la linea Torino-Lione, passando per due delle maggiori aree sviluppate del continente – il sud-est della Francia e la pianura padana, che, da sola, genera più del 70 per cento delle esportazioni italiane –, si è sin dall'inizio configurata come progetto prioritario.
  Se ne è avuta conferma, da ultimo, con l'inclusione, avvenuta nell'ottobre del 2011, del Corridoio Mediterraneo nel core network, costituito da dieci corridoi prioritari, scelti per il valore aggiunto che possono portare all'Europa intera e per la possibilità di essere realizzati entro il 2030, da inserire nel piano di investimenti europeo «Connecting europe facility 2014-2020», che è attualmente all'esame del Parlamento europeo, il quale si pronuncerà il 19 novembre. Nella stessa data, il Parlamento europeo esaminerà, nell'ambito della procedura di codecisione, il regolamento finanziario delle reti TEN-T per il periodo 2014-2020, che prevede un rilevante cofinanziamento europeo per la realizzazione della sezione transfrontaliera.
  Nel rinviare al dibattito svolto in Commissione per una descrizione analitica del contenuto dell'Accordo, composto di un preambolo e di ventotto articoli, suddivisi in sette titoli, più un allegato, desidero sottolineare come esso sia stato approfondito anche grazie all'intervento del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e grazie anche al confronto approfondito tra tutti i gruppi parlamentari.
  Sia nel corso dell'esame in sede referente svolto dalla III Commissione sia all'esito dell'esame in sede consultiva da parte delle Commissioni competenti, che peraltro hanno contribuito al dibattito, formulando pareri significativi e non formali, sono emersi come rilevanti due aspetti regolamentati dal Titolo II di questo Accordo. Mi riferisco, innanzitutto, alla procedura di nomina spettante al nostro Paese, secondo l'Accordo, del direttore generale e del direttore amministrativo e finanziario del promotore pubblico – articolo 6, paragrafo 6.4 –, soggetto binazionale, la cui sede legale è in Francia, ente aggiudicatore responsabile dei contratti richiesti dalla progettazione, dalla realizzazione e dall'esercizio della sezione transfrontaliera.
  Alla luce di un'osservazione contenuta nel parere della Commissione trasporti, la III Commissione ha approvato un articolo aggiuntivo al disegno di legge di ratifica, finalizzato a rendere preventivamente edotte le Commissioni parlamentari nella predetta procedura di nomina, affinché abbiano tempo e modo di valutare eventuali iniziative in proposito. Il secondo punto oggetto di approfondimento ha riguardato la ratio della scelta dell'applicazione del diritto pubblico francese per l'aggiudicazione e l'esecuzione dei contratti conclusi dal promotore pubblico, ai sensi dell'articolo 10, paragrafo 10.1, dell'Accordo.
  Il rappresentante del Governo in sede referente ha chiarito, quanto alla questione del diritto applicabile alle procedure di aggiudicazione ed esecuzione dei contratti per l'esecuzione dei lavori, dei servizi e delle forniture dell'opera principale, che trovano applicazione i regolamenti e le direttive comunitarie – con specifico riferimento alla direttiva 2004/17/CE –, nonché le direttive successive in materia di procedure di appalti pubblici. Ha altresì garantito, sempre il Governo, Pag. 22che la natura di società di diritto francese del promotore pubblico incaricato della realizzazione dell'opera, nonché il rinvio all'applicazione della normativa francese per il compimento della medesima, non possono in alcun caso consentire la disapplicazione della disciplina normativa italiana in materia di lotta alla criminalità organizzata di stampo mafioso. Sono certa che, in Assemblea, il rappresentante del Governo vorrà ulteriormente precisare questo delicato aspetto.
  Evidenzio poi che l'analisi dell'impatto della regolamentazione, allegata alla relazione illustrativa del disegno di legge, riepiloga comunque gli innegabili benefici del progetto, che si aggiungono al dimezzamento dei tempi di percorrenza dei convogli in termini di spostamento di circa 700 mila camion l'anno dalla strada alla ferrovia, corrispondente a circa 40 milioni di tonnellate: l'aumento della quota di trasporto di passeggeri internazionali dal 7 all'11 per cento, pari a circa 600 mila passeggeri aggiuntivi; la riduzione delle emissioni annuali di CO2 equivalenti a quelli di una città di 300 mila abitanti, vale a dire 3 milioni di tonnellate, nelle zone ovviamente interessate; la creazione di circa 5.800 posti di lavoro per il cantiere e di 400 posti di lavoro permanenti; il bilancio delle esternalità positivo, compreso fra i 12 e i 14 miliardi di euro. Ricordo come per la realizzazione di questa infrastruttura di capitale importanza per il nostro Paese e per l'Europa nel suo complesso, la Conferenza dei servizi, ossia il tavolo comune che ha visto riunite le pubbliche amministrazioni e gli enti locali a vario titolo interessati dalla realizzazione dell'opera per poter meglio risolvere i problemi e confrontarsi su tematiche comuni, sia rimasta aperta ed operativa per quattro anni. Al riguardo, mi preme sottolineare che il progetto approvato si differenzia sostanzialmente rispetto al progetto originario, sia relativamente al tracciato – si è passati dalla sponda sinistra della Dora a quella destra, con un percorso che si sviluppa quasi totalmente in sotterraneo – sia alle modalità realizzative. È questo il frutto del dialogo costruttivo continuo instauratosi con le comunità locali e con le loro espressioni istituzionali ed associative, che hanno fatto pervenire legittimamente le loro obiezioni e le loro esigenze nel corso del tempo. Grazie a tale dialogo il territorio interessato dalla realizzazione della TAV è stato oggetto di interventi e programmi di riqualificazione (ristrutturazioni di scuole, nuove stazioni, consolidamento di argini, miglioramento della rete elettrica, sistemazione della rete stradale ricompresa in una prima tranche per un valore di circa 42 milioni di euro) che hanno favorito un sostanziale arricchimento del tessuto sociale ed economico ben lontano dall'essere una mera compensazione. Auspico conclusivamente un celere iter di ratifica del presente Accordo, che la parte francese concluderà a breve con il voto del Senato, anche in vista dell'imminente vertice intergovernativo bilaterale tra Italia e Francia, che si terrà a Roma il 20 novembre prossimo, di cui la TAV costituirà uno dei principali punti all'ordine del giorno.

  PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
  È iscritto a parlare il deputato D'Ottavio. Ne ha facoltà.

  UMBERTO D'OTTAVIO. Signor Presidente, la ratifica e soprattutto l'attuazione dell'Accordo tra il Governo italiano e quello francese è molto attesa a Torino. Sono stato eletto in quella realtà ed ero sindaco della città di Collegno – uno dei comuni attraversati dal percorso – quando nel 2001, il 29 gennaio 2001, venne stipulato l'accordo tra Italia e Francia per la realizzazione della nuova linea ferroviaria Torino-Lione. Quell'Accordo simbolicamente fu proprio firmato a Torino. Nello stesso anno, cioè sempre nel 2001, l'Unione europea indicò gli obiettivi per il 2030 e per il 2050. Gli obiettivi erano di realizzare una rete di corridoi e di infrastrutture sia a livello continentale che a livello nazionale e regionale. Quell'Accordo conteneva un'idea di Europa, quella nella quale già vivono i nostri figli, dove i Pag. 23confini nazionali sono solo virtuali e in cui ci sia una vera e propria libera circolazione delle persone e delle merci nel nostro continente. Questa era l'idea che spingeva quest'Accordo. Dall'Accordo del 2001 ad oggi il dibattito sull'opera è stato molto intenso e di certo non si può dire che le istanze locali non abbiano avuto riscontro. Io ringrazio anche la relatrice per aver ricostruito il percorso. Il progetto presentato il 31 gennaio scorso non ha nei fatti più nulla a che vedere con quello tracciato agli inizi della vicenda. E io devo dire che per me è importante anche ricordare il contributo concreto e molto impegnato che la provincia di Torino ci ha messo, e lo faccio ancora con più forza a pochi giorni dalla scomparsa dell'architetto Gigi Rivalta, che durante il suo mandato di assessore provinciale alla pianificazione territoriale della provincia di Torino ha costruito l'ipotesi che ha aperto la strada al progetto attuale.
  La sua ispirazione partiva dal fatto che, essendo l'opera, almeno nella parte internazionale, completamente nel territorio della provincia di Torino, bisognava che il tracciato avesse un senso anche per lo sviluppo locale. Chi ha avuto modo di conoscere Gigi Rivalta non può in alcun modo dubitare delle sue intenzioni, sia per la difesa dell'ambiente sia per la tutela del paesaggio.
  Tutto questo è, secondo Rivalta, e anche secondo me, conciliabile con la necessità di un rilancio delle attività produttive e industriali. Per questo voglio ribadire che a Torino l'approvazione della ratifica dell'Accordo è molto attesa: essa rappresenta la speranza di una possibile ripresa di un'economia in difficoltà.
  Chi vuole ragionare della crisi e sulla crisi, e sugli effetti della crisi, non può non partire dal fatto che oggi anche le realtà più avanzate del nostro Paese sono in difficoltà. Le aziende del Torinese sono in difficoltà, Torino rischia di diventare una città di cassaintegrati, che con la riduzione del reddito ovviamente trascinano nella crisi anche il commercio e i servizi: d'altronde, non si possono comprare le stesse cose con metà dello stipendio.
  Di fronte alla crisi, sono tutti capaci di dire che cosa devono fare gli altri. Io credo che gli imprenditori debbano fare il loro mestiere ed essere competitivi senza puntare, come si faceva in passato, magari sull'assistenza dello Stato, ma lo Stato deve fare la propria parte. E io devo dire che da questo punto di vista gli interventi statali nell'economia sono importanti, e li conosciamo molto bene. Per esempio c’è da lavorare sulla riduzione dei costi dell'energia: oggi l'energia in Italia costa il doppio che in Germania; c’è bisogno di rendere l'amministrazione più efficiente; c’è bisogno di lavorare sulla fiscalità; ma c’è bisogno soprattutto di fare le infrastrutture e di occuparsi dei trasporti.
  Di questo stiamo parlando, del fatto che oggi bisogna capire se il nostro Parlamento è consapevole che il principale ruolo dello Stato nell'economia è quello di costruire infrastrutture, materiali e immateriali: non sono alternative, ma sono complementari. Ovviamente ho presentato una mia ipotesi di intervento nella crisi, e penso che lo Stato debba intervenire nell'economia in questo modo. Ovviamente ho molto rispetto anche per chi non la pensa così; sarebbe però interessante un confronto sulle diverse idee di intervento sulla crisi. A me pare che oggi questo provvedimento ne propone un aspetto molto importante, cioè la collaborazione tra Italia e Francia per intervenire, come diceva il relatore molto bene, su aspetti fondamentali per la ripresa dell'economia: abbiamo bisogno di infrastrutture che siano ambientalmente compatibili, quindi la riduzione del trasporto delle merci su gomma; abbiamo bisogno di trasporti efficienti, di infrastrutture che siano di sostegno alle imprese e all'economia.
  L'articolato del provvedimento è chiaro, e raccoglie anche le preoccupazioni di chi, come il sottoscritto, per esempio, che vive da quelle parti, è preoccupato ovviamente che gli appalti siano chiari, che siano impedite infiltrazioni mafiose. D'altronde non dobbiamo stupirci, lo sappiamo benissimo che la mafia va dove ci sono i soldi: se lì è probabile, come stiamo lavorando, arrivino dei soldi, dobbiamo Pag. 24prendere tutte le precauzioni, perché non dobbiamo avere paura delle infiltrazioni e quindi non fare l'opera, ma fare l'opera nel migliore dei modi e nel modo corretto.
  Concludendo quindi questo mio intervento, credo che sia importante che il Parlamento, così come ha fatto già l'Assemblea in Francia, approvi questa intesa e proceda nel realizzare un'opera che noi lasceremo ai nostri figli, per lasciare ai nostri figli una Europa migliore (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Fava. Ne ha facoltà.

  CLAUDIO FAVA. Signor Presidente, signori del Governo colleghi, il nostro gruppo partecipa a questa discussione, presentando molti emendamenti, sostenendo un'opzione negativa nei confronti di questo disegno di legge di ratifica dell'Accordo di un anno e otto mesi fa; e con una convinzione profonda che non riguarda il merito dell'opera, che avrà altri luoghi di discussione e di approfondimento, ma riguarda il dovere al quale questo Parlamento non si può sottrarre. Un disegno di legge di ratifica e di esecuzione di un Accordo internazionale prevede che il Parlamento su quell'Accordo intervenga per valutare la congruità politica e la legittimità istituzionale: e noi a questo dovere, a questo appuntamento non ci vogliamo sottrarre.
  Per questo nei nostri emendamenti alla discussione in Commissione e nelle valutazioni che faremo qui stasera e nei prossimi giorni partiamo da due condizioni che noi riteniamo non si siano verificate, due condizioni che erano espressamente indicate nell'Accordo quadro del gennaio 2001. Ricordiamo che quest'Accordo, del quale viene chiesta la ratifica, è considerato un protocollo aggiuntivo all'Accordo quadro del 2001, che è il punto di riferimento organizzativo e strutturale. Le due condizioni esplicite, manifeste, erano: la saturazione della linea storica, indicata già all'articolo 1, cioè il fatto che le linee già in uso non fossero sufficienti ad assorbire il traffico merci e il traffico passeggeri, e la costruzione dei raccordi, cioè di tutte le vie di collegamento che avrebbero dovuto unire e che dovrebbero unire la nuova linea ad alta velocità Torino-Lione con le altre strutture che già esistono sul territorio. Entrambe le condizioni mancano e non è un'affermazione apodittica, non è una nostra opinione, è un fatto che ricaviamo da parole non nostre, da certificazioni, valutazioni, atti e documenti che non sono stati proposti da questo gruppo ma che sono stati da questo gruppo raccolti nella discussione parlamentare.
  In merito alla saturazione delle linee esistenti, ci dicono in tanti – al Governo non sfugge e non sfugge nemmeno alla signora relatrice – che si ritiene che questa saturazione non sarà possibile prima del 2035, probabilmente del 2040. C’è un documento di trecentosessanta professori, tecnici, professionisti assolutamente accreditati, che fu rivolto al Presidente Mario Monti, Presidente del precedente Governo, e in quel documento si proponeva una lettura su questa ipotesi di saturazione che era legata alle valutazioni e osservazioni che erano state fatte. Si diceva e si scriveva nel decennio tra il 2000 e il 2009, prima della crisi economica, quindi prima di un tempo che ha ulteriormente mortificato naturalmente le tratte commerciali e la capacità di riempirle con merci e con persone. Negli ultimi dieci anni, prima della crisi economica, il traffico complessivo di merci nei tunnel autostradali del Frejus e del Monte Bianco è crollato del 31 per cento; nel 2009 ha raggiunto il valore di 18 milioni di tonnellate di merci trasportate che è la stessa quantità di merci che veniva trasportata ventidue anni prima. Nello stesso periodo si è dimezzato anche il traffico merci sulla ferrovia del Frejus, anziché raddoppiare come era stato ipotizzato nella dichiarazione di Modane sottoscritta dai Governi italiano e francese. La nuova linea ferroviaria peraltro non sarebbe nemmeno ad alta velocità, ma questo è un dettaglio che non vogliamo approfondire in questa sede. In questa sede ci interessa condividere con voi questa valutazione che è stata fatta da Pag. 25fonti autorevoli e che ci dice che questa saturazione è assai improbabile o viene considerata come una mitologia della quale non possiamo fare a meno, ma se la consideriamo una condizione giuridica e politica per questo accordo, che è un protocollo aggiuntivo all'accordo del 2001, ci poniamo su un terreno che è extra legem.
  Il tema della saturazione è ben presente al Governo italiano; non a caso è inserito nell'articolo 1 della legge del settembre 2001 e ne parla espressamente, peraltro utilizzando una formula che fu suggerita al Governo da un comitato che era stato formato dal Ministero dell'ambiente, e in una nota, che è stata consegnata ai due Governi, quello italiano e quello francese, si dice esplicitamente e si rappresenta la preoccupazione circa l'inutilità del quadruplicamento della linea a fronte della debolezza della domanda passeggeri e merci, nonché il pericolo che un ingentissimo investimento si sarebbe tradotto in un ingentissimo spreco di denaro. Queste non sono parole che pronuncia oggi una forza di opposizione, ma che raccoglieva ieri una valutazione di una commissione che era stata insediata nella sua funzione dal Governo italiano.
  Il secondo punto – la seconda condizione istituzionale e direi anche giuridica, ricordando ancora una volta che siamo di fronte a un protocollo aggiuntivo che deve intanto verificare e mantenere le condizioni politiche che erano previste nell'Accordo del 2001 – riguarda i raccordi: da parte francese ci viene fatto sapere che questi raccordi, la costituzione di queste linee di raccordo, non è più una priorità. Il 27 giugno 2013 la commissione del Ministero dell'ambiente francese ha escluso in modo abbastanza tassativo di procedere ai raccordi.
  Anche in questo caso voglio leggere quanto quella commissione ci manda a dire: «La Commissione non è stata in grado di garantire che la saturazione della linea, che giustificherebbe la realizzazione del progetto, avvenga prima del 2040. Pertanto, essa classifica il progetto di accesso, e dunque i raccordi al collegamento binazionale Torino-Lione, come seconda priorità indipendentemente dallo scenario finanziario considerato». Io credo che questo punto meriti un approfondimento con il Governo francese. Una commissione istituita dal Dicastero dell'ambiente del Governo francese ritiene che il tema dei raccordi, il tema fondativo di questo primo Accordo tra l'Italia e la Francia, debba essere messo da parte. Forse un dubbio, forse un ripensamento sarebbe opportuno. L'Accordo in oggetto – lo ripeto – costituisce un protocollo addizionale, per il quale ogni condizione che infici il primo determina la nullità del secondo. È questa la ragione per la quale noi sosterremo l'eccezione che verrà presentata e votata domani e abbiamo sostenuto in Commissione e sosterremo qui in Parlamento una posizione ostile, negativa nei confronti di questo disegno di legge.
  All'assenza dei fondamenti giuridici, si aggiunge anche l'asimmetria dell'impegno francese rispetto a quello italiano e questa, più che una valutazione in punta giuridica, merita un approfondimento in punta di politica. Un quinto della quota sarà di pertinenza dell'Italia e il 58 per cento dei costi saranno di pertinenza dell'Italia. Non sfugge a nessuno questo disequilibrio abbastanza significativo, ma anche abbastanza ingiustificato tra ciò che verrà gestito dall'Italia e ciò che l'Italia dovrà assumersi come costi per l'intervento dell'opera. Ma c’è un altro punto che ci preoccupa, perché, anche su questo punto, nella relazione, nelle valutazioni che ha fatto il Governo in Commissione e nel dibattito politico piuttosto calmierato al ribasso, non si è mai fatto cenno ed è una valutazione che fa la Corte dei conti francese. Anche qui non parliamo di partiti all'opposizione e di Parlamento italiano, non parliamo di dibattito pubblico o di forme estreme dell'opinione sulla vicenda TAV, ma parliamo di ciò che dice la Corte dei conti francese in una nota che è stata resa pubblica il 1o agosto del 2012, in cui si ribadisce l'inesistenza di flussi passeggeri e merci sulla linea Torino-Lione tale da giustificare un costo globale che la stessa Corte dei conti preventiva, nell'agosto Pag. 26del 2012, in ben 26 miliardi di euro, che è una cifra ben superiore a quella sulla quale abbiamo discusso in questi mesi e in questi anni, che non avrebbe dovuto superare i 20 miliardi di euro.
  Questo ci porta all'ultimo punto, che ci interessa sottolineare e condividere nella discussione con il Governo e con gli altri gruppi parlamentari, che è l'aspetto economico. A noi preoccupa molto l'assenza di un piano finanziario per l'opera in un tempo di grande e conclamata scarsità di risorse e la considero una reticenza grave e significativa, venendo peraltro reduce da un lunghissimo dibattito che, in questo Parlamento, nell'opinione pubblica, sugli organi di stampa, tra forze politiche, ha attraversato l'Italia su un'altra grande opera, che era quella del ponte sullo Stretto. Io ricordo quante volte è stata sollevata questo obiezione di merito, ma che era anche un'obiezione di fondatezza istituzionale complessiva di quel progetto. Esiste un piano finanziario per poter rendere appetibile sul mercato questo progetto, visto che dovrebbe costituirsi una joint venture per la gestione di questo ponte, un manufatto che, alla prova delle elaborazioni che sono state fornite, potrà essere utilizzato soltanto al 12 per cento della sua capienza naturale, ospitando un traffico automobilistico che, nella migliore delle ipotesi, sarà non superiore al 12 per cento di ciò che potrebbe e dovrebbe ospitare ? Per molti anni, la risposta a questa domanda non c’è stata, come dire i soldi si troveranno, l'impegno dello Stato sarà minimo, ci rivolgeremo al buon Dio, alla Commissione europea, troveremo finanziatori giapponesi e faremo in modo che questa grande opera dell'ingegno umano, grande orgoglio della nostra ingegneria, possa essere realizzata. Dopo molti anni di retorica, dopo molti anni di soldi impegnati e spesi in istituti di progettazione per tenere in piedi la società per azioni Stretto di Messina, si è scoperto e si è deciso che c'era una insostenibilità amministrativa e finanziaria di questa opera.
  Ora, noi questa preoccupazione con grande sobrietà l'avanziamo già adesso, temendo anche un cantiere stop and go, cioè un grande cantiere che sia destinato a non essere chiuso mai, con l'assenza di risorse che costringa a fermarlo a fasi alterne nei prossimi anni. Non è chiaro dove e a quali condizioni i capitali dovrebbero arrivare. Il Governo francese – e parliamo della Francia, perché è un progetto condiviso ed è un progetto condiviso anche dal punto di vista dell'impegno e delle responsabilità – fa sapere – sono tutte, come dire, dichiarazioni ufficiali, che sono reperibili in qualsiasi rassegna stampa – che c’è il loro interesse, a patto che su quest'opera ci sia un forte e significativo impegno dell'Unione europea. La commissaria per i trasporti fa sapere che questo è un problema che riguarda anzitutto il Governo italiano e quello francese, assai meno la Commissione europea e i fondi dell'Unione europea. È un punto di contraddizione sul quale non abbiamo ascoltato il Governo in Commissione (non solo oggi, ma anche nei prossimi giorni, se il Governo potrà darci qualche punto che ci possa rassicurare).
  Ultimo punto: l'occupazione. Questo è un punto che merita rispetto nel suo sviluppo e nella sua elaborazione. Parliamo di un Paese che vive la più alta disoccupazione giovanile degli ultimi 25 anni e che ha tassi di disoccupazione complessivi che lo hanno fatto precipitare agli ultimi posti dell'Unione europea. Il lavoro è, come dire, pane quotidiano del quale siamo stati privati e non può non essere considerato come un punto di riferimento importante in ogni opera pubblica che è destinata, una volta cantierizzata, a creare lavoro. E, però, vorremmo anche sfuggire alla retorica e al ricatto di considerare che ogni scelta di spesa, di appalto o di opera pubblica, visto che creerà posti di lavoro nuovi, sia destinata ad essere apprezzata e celebrata. Così non è in questo caso, per esempio, perché il rapporto ridottissimo fra occupati e investimenti che verranno impegnati da questo punto di vista fa considerare questa operazione e questa opera perdenti, anche dal punto di vista degli esiti occupazionali che riuscirebbe a realizzare.Pag. 27
  Il Governo Monti qualche mese fa – più di un anno fa ormai – ha presentato una nota, diciamo molto generosa nelle intenzioni, ma un po’ semplice, un po’ schematica nei contenuti. Domande e risposte. Tentava e intendeva chiedere fiducia su quest'operazione e su questo impegno del Governo provando a rispondere ad obiezioni e trovando tre titoli attorno ai quali argomentare il proprio ragionamento: ecologia, occupazione e finanziamenti. Noi l'abbiamo letta come tanti, immagino come tutti i nostri colleghi parlamentari, e non ci è sfuggito il taglio fortemente propagandistico e assai poco tecnico, che è quello che avremmo invece gradito. Dal punto di vista, come dire, politico e, se ci è permesso, tecnico noi vorremmo considerare il nostro punto di riferimento non tanto la relazione che fece il Governo Monti, quanto l'articolo 97 della Costituzione, che impone il buon andamento della pubblica amministrazione, e questa è una delle ragioni buone e profonde per cui non sosterremo questo disegno di legge.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Costa. Ne ha facoltà.

  ENRICO COSTA. Signor Presidente, il punto all'ordine del giorno, quello della ratifica di questo Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica francese, era stato dal nostro gruppo sollecitato in numerose occasioni. Era stato sollecitato perché il dibattito su questa materia e il dibattito su quest'opera pubblica era un dibattito che aveva animato non soltanto il Piemonte, in particolare il Piemonte, ma l'Italia intera. E due elementi fondamentali erano – e sono – alla base dell'assenza di credibilità del nostro Paese.
  Da una parte, vi è la burocrazia immensa che, anche laddove emerga la volontà politica, rende molto più lento il percorso di realizzazione delle opere pubbliche, a maggior ragione in questo caso, laddove l'opera pubblica debba essere realizzata a cavallo tra due nazioni, e il fatto che ogni volta che nel nostro Paese c’è un nuovo Governo o una nuova maggioranza c’è qualcuno che, dall'interno o dall'esterno, tende a rimettere in discussione i passi che sono stati posti in essere dai precedenti Esecutivi, dai precedenti Ministri, dalle precedenti composizioni.
  Ebbene, a questo si è aggiunto un ulteriore passaggio, quello di una opposizione che non era posta in essere nelle sedi istituzionali, ma un'opposizione che si è verificata anche attraverso strumenti non convenzionali, attraverso delle azioni che sono state definite anche dal procuratore della Repubblica di Torino azioni che rasentano il terrorismo: è stato contestato in un'occasione addirittura il tentato omicidio; vi sono stati attacchi alle aziende che hanno il difetto, o il peccato, di lavorare per realizzare quest'opera pubblica. Ebbene, noi abbiamo però trovato una risposta molto ferma da questo Esecutivo, attraverso l'intervento immediato sul posto, sul territorio, in loco, del Ministro dell'interno e Vicepremier, onorevole Alfano, e del Ministro delle infrastrutture, onorevole Lupi, in più circostanze. Subito dopo l'attentato, immediatamente, hanno convocato gli organismi competenti a Torino, dopo il primo attentato; successivamente il Ministro dell'interno è stato il primo Ministro dell'interno che si è recato sul luogo del cantiere.
  Successivamente – e questa è questione di non più di un mese, un mese e mezzo fa – il Ministro Lupi è ancora arrivato a Torino per incontrare quegli imprenditori che erano stati minacciati, che erano stati vittime di azioni non soltanto di sabotaggio, ma di veri e propri attentati, per cercare di mettere in cantiere anche uno strumento normativo o di verificare se nel nostro tessuto, nel nostro ordinamento, vi fossero delle norme tali da poter applicare per tutelare queste persone.
  Ebbene, quindi la risposta del Governo è stata una risposta ferma. E questa è la risposta che abbiamo oggi dal Parlamento: il Governo ha posto in essere le basi per il provvedimento che affrontiamo oggi, le Commissioni hanno lavorato bene, l'hanno istruito in modo preciso e puntuale. Non vi convince ? Io ho dato un'occhiata anche Pag. 28al testo della pregiudiziale di costituzionalità, che ha sicuramente una sua legittimità di merito dal punto di vista politico, ma dal punto di vista del contrasto di questo provvedimento con la Carta costituzionale trovo ben poco fondamento.
  Oggi quindi siamo ad affrontare questo provvedimento, che è un provvedimento essenziale anche per la crescita del nostro Paese, perché il commercio mondiale è sempre stato un motore di crescita per i Paesi più vocati che hanno saputo valorizzarlo. Pensiamo, per esempio, all'Olanda. E oggi, e sempre più in futuro, il commercio mondiale sarà uno dei più importanti motori di crescita. I flussi in import e in export delle economie di tutto il mondo necessitano di infrastrutture di trasporto, dai porti alle reti ferroviarie, che siano competitive ed efficienti. Proprio il collegamento tra i porti e i vari territori viene realizzato attraverso questo tipo di infrastrutture.
  La maggiore efficienza dei porti del Nord Europa – pensiamo a Rotterdam e ad Amburgo – sottrae da anni ai nostri porti, frenati dalla burocrazia doganale e dalla carenza di infrastrutture, importanti volumi di merci e le relative tasse portuali, IVA, e lavoro per le nostre aziende di trasporto. L'augurio è che quindi tutto il Parlamento possa convergere su un ruolo strategico, prima ancora per questa specifica opera, delle infrastrutture e dei trasporti, che possa confermare – io temo che questo non avverrà – quel voto unanime che è stato registrato in quest'Aula il 20 ottobre 2010.
  Infatti, la Torino-Lione è una delle opere strategiche più importanti nel Piano delle reti che collegheranno tra loro tutti i Paesi d'Europa e l'Europa ai Paesi dell'altra sponda del Mediterraneo, secondo il disegno strategico che è stato proposto in Europa dal Governo Berlusconi e che ha portato la Commissione europea alla deliberazione fondamentale del 19 ottobre 2011, che ha scelto i dieci corridoi ferroviari che collegheranno il territorio europeo ai suoi porti più importanti.
  Nel merito – e questo non è più il progetto del 2005 sulla Torino-Lione –, in questi anni vi è stato un forte dibattito, si sono recepite proposte e suggerimenti che sono giunti dagli amministratori locali, e il lavoro, grazie anche all'attività dell'Osservatorio, è stato un lavoro efficace, proficuo, che ha portato ad una radicale modifica, in modo da non toccare, se non in minima parte, il territorio della Val di Susa, e si è arrivati (Commenti del deputato Della Valle)...

  PRESIDENTE. Collega !

  ENRICO COSTA. ... e si è arrivati ad un progetto preliminare che prevede un tunnel di base di 57 chilometri, di cui 45 in Francia e solo 12 in Italia. Diciamo che il lavoro dell'Osservatorio ha avvicinato molte amministrazioni locali e molti amministratori locali sono passati da quella che era un'opposizione nel merito ad una valutazione in termini positivi, alla luce di quelle che sono state le modifiche di questo percorso (Commenti del deputato Della Valle).

  PRESIDENTE. Essendo anche l'Aula abbastanza vuota, si sentono tutti i commenti. Non disturbiamo l'intervento del collega Costa. Dopo ha facoltà di intervenire anche lei, deputato Della Valle.

  ENRICO COSTA. Devo dire che, a questo punto, visto che ho il controcanto alle spalle, potrei anche consegnare il testo.

  PRESIDENTE. No, prego, vada avanti e continui il suo intervento, deputato.

  ENRICO COSTA. Non raccolgo le provocazioni. Quindi, penso che sia fondamentale aderire a questo percorso, che è un percorso internazionale, e farlo anche perché nel nostro Paese dobbiamo dimostrare che gli impegni assunti si mantengono. La credibilità di una nazione è anche garantita da questo, da dei percorsi che si cominciano e si terminano, indipendentemente dal fatto che chi ha assunto l'impegno sia diverso rispetto a chi lo pone in essere.Pag. 29
  Capita in molte circostanze che cambino le maggioranze, cambino i soggetti in campo, ma le istituzioni devono essere garantite nella loro credibilità. Penso che, quindi, questo sia un tassello fondamentale per la credibilità della nostra nazione e del nostro Paese in ambito internazionale. Quindi, l'auspicio è che, passando, domani, attraverso il diniego della questione pregiudiziale di costituzionalità, si possa arrivare ad un voto in tempi rapidi.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Della Valle. Ne ha facoltà.

  IVAN DELLA VALLE. Signor Presidente, siamo qui chiamati per discutere la ratifica dell'Accordo internazionale tra Italia e Francia per la Torino-Lione. Cominciamo con il dire che questo Accordo non consente l'avvio dell'opera. All'articolo 1, comma 3, si legge infatti: «Il presente Accordo non ha come oggetto di permettere l'avvio dei lavori definitivi della parte comune italo-francese, che richiederà l'approvazione di un protocollo addizionale separato, tenendo conto in particolare della partecipazione definitiva dell'Unione europea al progetto». L'Unione europea non ha ancora deciso. Sicuramente, tutti in quest'Aula lo sanno; va, però, spiegato ai cittadini e ai media, che troppo spesso e troppo facilmente creano confusione. Volevo cominciare questo discorso entrando nel merito tecnico dei temi, ma non posso che rimanere a bocca aperta quando ripercorro le modifiche apportate al testo originale, quelle che ritroviamo nella «versione A» dell'Atto Camera n. 1309.
  Come tutti avete sicuramente notato, abbiamo inserito una nuova parte, il nuovo articolo 3.
  Cosa recita ? Recita che: «(...) il direttore generale del Promotore pubblico è nominato previa comunicazione alle Commissioni parlamentari competenti». Ma, colleghi, a cosa servono le discussioni in Commissione ?
  Avete seguito i lavori, avete almeno letto i pareri ? Vi riporto un estratto del parere della Commissione trasporti: «In relazione alla previsione della nomina del direttore generale e del direttore amministrativo e finanziario del promotore pubblico, di spettanza della parte italiana, si segnala l'opportunità che le competenti Commissioni parlamentari esprimano il proprio parere sulle persone che il Governo intende nominare». Ripeto, «esprimano il loro parere», si tratta di due punti fondamentali: dove diavolo si trovano nel testo che ci troviamo a discutere i parametri da seguire per la nomina del direttore amministrativo e finanziario ? Abbiamo tutti capito che le Commissioni devono esprimere il parere e che non se ne fanno assolutamente nulla di una comunicazione per quanto concerne la nomina delle figure in questione ? Il parere della Commissione trasporti tocca poi un punto che sta particolarmente a cuore al MoVimento 5 Stelle, siamo stati noi ad evidenziare questa gravissima situazione. Infatti, nell'accordo si stabilisce che aggiudicazione ed esecuzione dei contratti relativi a lavori, servizi e forniture conclusi dal promotore pubblico siano disciplinati dal diritto pubblico francese. Siamo in un Paese che strozza gli imprenditori, che costringe le imprese a partire per l'estero, che preferisce investire in grandi opere inutili piuttosto che nella ricostruzione de L'Aquila, ma è in questo Paese che il diritto pubblico è dotato di una normativa antimafia che deve essere applicata a progetti faraonici come quello della Torino-Lione. Questo non è stato recepito dal Governo ed io mi chiedo se la Commissione trasporti afferma che devono essere tutti e due i direttori, come si fa a recepire solo il direttore generale e non inserire nell'emendamento il direttore finanziario ? Non riesco a capire come sia possibile: questo provvedimento deve tornare in Commissione e deve essere messo a posto. Non vogliamo rimandare la discussione a probabili e futuri protocolli addizionali, cambieremo le carte in tavola ora in quest'aula e chiederemo a gran voce di imporre l'applicazione del diritto pubblico italiano per quanto riguarda i lavori del promotore pubblico. Ora che ho segnalato le varie incongruenze legislative, quei Pag. 30punti che non rispettano nemmeno il volere della maggioranza, posso concentrarmi sul progetto. Partiamo dal contesto italiano: è un primo errore, non parliamo più di Corridoio 5. Infatti, Portogallo ed Ucraina hanno formalmente rinunciato all'opera. Ciò che abbiamo ora è il Corridoio Mediterraneo, che forse chiameremo poi Corridoio 3. Colleghi, permettetemi di sottolineare un aspetto divertente di questa tratta, non più Kiev-Lisbona, ma Miskolc-Algeciras che tradotto significa Ungheria-Stretto di Gibilterra. È Mario Virano, presidente dell'Osservatorio tecnico per la Torino-Lione, a darci una spiegazione favolosa su questo, parlando di fantasiosi e imbarazzanti scenari futuri, quando un giorno dovremo aprirci ai mercati del nord Africa.
  A parte questa folle spiegazione mi soffermerei ancora un attimo sul concetto di corridoio. Sì, perché ad oggi pare che le uniche tratte da realizzare siano quelle in cui sono coinvolti gli italiani, come la Torino-Lione e la Venezia-Trieste.
  Che senso ha parlare di corridoio se la tratta perde i pezzi ? È sulla bocca di tutti il rapporto Mobilité 21, presentato dalla Commissione Duron del Governo francese il 27 giugno 2013.
  Di che cosa parla ? Beh, di ciò che si sa da sempre. Il rapporto, ricalcando inoltre quanto espresso già dalla Corte dei conti francese e da centinaia di scienziati e tecnici indipendenti, ci dice che la Torino-Lione è inutile e quindi definisce la tratta da Lione verso Torino come non prioritaria, loro ci penseranno dopo il 2030.
  La considerazione più importante mira alla questione fondamentale: l'opera serve o no ?
  Colleghi, dovete sapere che un'opera si realizza non perché è bella, anche perché parliamo di otto miliardi e mezzo che togliamo ai cittadini in un momento molto critico della nostra storia. Un'opera si realizza se serve. I proponenti ci dicono che è necessaria perché il traffico sulla direttrice in questione crescerà a dismisura. La Commissione Duron scrive invece che non ha potuto accertare che i rischi di saturazione della linea, che giustificano la realizzazione del progetto, si realizzino prima degli anni 2035-2040.
  Che significa che le proiezioni fantasiose di crescita esponenziale sconfinata sino ad oggi promesse dai proponenti non rispecchiano la realtà e non sono riproducibili.
  Ma io vi capisco, comprendo la vecchia politica, queste cose le so perché vengo dal Piemonte dove il presidente della regione Cota dichiarava che la TAV rappresenta un'apertura psicologica all'Europa, un'apertura psicologica, bellissimo.
  Oppure sparava a zero parlando dell'essere tagliati fuori da contesti internazionali.
  Solo slogan ! Colleghi, dovete sapere che una linea ferroviaria già c’è: è stata appena riammodernata con una spesa di 400 milioni di euro ed è decisamente sottoutilizzata. Questa è dunque l'ennesima palla ! Il muro che ci divide dall'Europa non è infrastrutturale, ma morale: ad ergerlo sono stati decenni di mala politica, quella per la quale ci vergogniamo quando andiamo all'estero !
  Ora comunque stiamo discutendo. Ammettiamo per un momento che le fantasiose proiezioni di traffico siano reali, che l'Italia sia esonerata dal contesto europeo, che quest'opera serva quindi davvero a qualcosa. Facciamolo così, per ridere.
  Facciamo quest'opera. Chi la paga ? Il servizio studi della Camera ci porta dati interessanti: costerebbe 8 miliardi e mezzo di cui il 40 per cento sarebbe finanziato dall'Europa. Voglio ringraziare il servizio studi per questa notizia, ma mi vedo costretto a segnalare immediatamente un gravissimo errore. Già perché l'Europa, forse finanzierà e, nel caso, fino al 40 per cento. Il che significa che non c’è assolutamente la certezza di un finanziamento e, nel caso in cui un finanziamento fosse erogato, questo sicuramente non supererà il 40 per cento, che rappresenta dunque un tetto massimo.
  Detto ciò mi rivolgo alla Presidenza chiedendo eventualmente un intervento Pag. 31per fare sì che i parlamentari chiamati ad una successiva votazione possano essere adeguatamente informati sul tema.
  Continuiamo a ragionare per assurdo. L'Europa finanzierà il 40 per cento. Questo significa che il 60 per cento sarà spartito tra Italia e Francia. Bene, in che proporzioni ? I dati ci fanno sapere che, nonostante il tunnel di base occupi più spazio sul territorio francese che su quello italiano, il Belpaese si accollerà grosso modo il 60 per cento dei costi totali (sempre italiani furbi, perché noi abbiamo neanche il 40 per cento sul territorio italiano, ma ne paghiamo il 60).
  Attenzione colleghi. Questi sono i dati progettuali. Cosa succede in Europa ai preventivi per le infrastrutture ferroviarie ? Se si parla di traffico, quello reale in media è inferiore del 40 per cento a quello preventivato; se parliamo di denaro pubblico, la spesa aumenta del 40 per cento.
  Ancora attenzione: parliamo di valori medi e si sa che in una media ci sono elementi che alzano, altri che abbassano il valore finale. Sappiamo bene in che fascia si possa collocare l'Italia.
  Ma continuiamo a ridere: diciamo che spenderemo non più di 8 miliardi e mezzo. Bene, dov’è il piano finanziario ? Ah, non c’è, almeno un'analisi costi/benefici ? Ah, quella riguarda l'opera intera e non la versione low-cost sulla quale i Governi stanno discutendo. Allora la situazione non è poi così felice !
  L'Analisi costi/benefici è un documento fondamentale perché è quello che ci fa sapere per l'appunto quanti benefici si possano ottenere a discapito di una data spesa iniziale. Cosa ci aspettiamo dai proponenti ? Senza dubbio benefici a pioggia.
  È però singolare il caso poichè i benefici sono davvero marginali e non si vedrebbero prima di 30-40 anni anche ammettendo un'esplosione del traffico descritta dalle curve esponenziali di cui prima dibattevo.
  Sulla qualità dei benefici potremmo poi soffermarci. È vero infatti che quota parte dipende dal «fattore incidentalità» e cioè dalla capacità del treno di ridurre il numero di incidenti stradali. Ed è vero che tolti questi benefici il calcolo totale dà un risultato negativo per lo stesso periodo di tempo.
  Sino ad ora non ho trovato una sola ragione a favore di questo accordo e di quest'opera. E mi sono limitato ai soli settori economico e finanziario. Non voglio di certo dimenticarmi poi delle importantissime tematiche ambientali !
  Più volte ho sentito riprendere un tema: il tracciato ha subito diverse modifiche (l'ho sentito prima in quest'aula). Grazie, la Valsusa è però larga pochi chilometri, è chiaro che la geologia è comune. Su due chilometri di larghezza di una valle, spostarlo un po’ più a destra o un po’ più a sinistra cosa cambia ?
  Abbiamo trovato un altro slogan dietro il quale si celano gravi pericoli come l'amianto, di cui la Valsusa è ricchissima. Stesso discorso per le sostanze radioattive: uranio e radon. Dove sta il principio di precauzione ? Come si possono liquidare in poche parole temi così delicati ?
  Come ignorare poi il rischio di drenaggio e contaminazione delle falde acquifere e dell'inquinamento atmosferico che, è certo, porterà ad un aumento del tasso delle malattie cardiovascolari e respiratorie per le popolazioni locali ?
  Abbiamo inserito tutti questi aspetti negli emendamenti che mi aspetto voi approviate per garantire sicurezza e tranquillità ai valsusini.
  Intendo chiudere questa prima parte della discussione toccando un tema rilanciato più volte dai proponenti: la creazione di posti di lavoro. Lasciando da parte i quasi 100 mila euro al giorno spesi per l'insulsa militarizzazione di una valle pacifica, proviamo a mettere a confronto i numeri. Il Presidente del Consiglio Letta, «palle d'acciaio per l'Europa», stanzia da qui al 2016 350 milioni di euro – da qui al 2016 – per dare origine a ben 200 mila nuovi posti di lavoro. Prendiamo la nuova linea Torino-Lione e approssimiamo molto generosamente a 2.000 posti di lavoro. Ho sentito la relatrice dire 5.800 posti di lavoro. Negli studi e nei quaderni dei proponenti è segnato 2.000, ma segniamo 5.800 posti di lavoro. Il costo totale per il Pag. 32tunnel di base è pari a 8 miliardi e mezzo di euro. Quindi, 350 milioni di euro-200 mila posti di lavoro. 8 miliardi e mezzo di euro-5.800 posti di lavoro. Dove stanno i posti di lavoro per quest'opera ? Se ascoltiamo palle d'acciaio e investiamo 8 miliardi di euro, invece che 350 milioni di euro, avremmo per assurdo 45 milioni di posti di lavoro e avremmo messo a posto l'Italia. Per assurdo, perché su 350 milioni di euro lui calcola 200 mila nuovi posti di lavoro, mentre per 8 miliardi e mezzo di euro investiti in quest'opera abbiamo 5.800 posti di lavoro, come detto dalla relatrice (2.000 risulta dai proponenti). Mi sembra un po’ strano il numero di posti di lavoro che crea quest'opera.
  Fosse presente il Presidente del Consiglio glielo chiederei: in Italia il lavoro è un'emergenza gravissima, ben più grave del soddisfare l'appetito di qualche grande appaltatore. Con i soldi del solo tunnel di base potremmo dare lavoro a milioni di persone e noi siamo qui seduti a discutere di un inutile buco in una montagna. Vogliamo destinare solo una parte di questi miliardi al lavoro ? Facciamolo. Allora, ricostruiamo L'Aquila, risolleviamo il sistema sanitario, impegniamoci nelle ristrutturazioni degli edifici pubblici e in particolare di quelli scolastici e ve lo dice un cittadino di Rivoli, città teatro del dramma del crollo del controsoffitto di un'aula del liceo «Darwin», circostanza in cui perse la vita uno studente. Queste cose non devono più ripetersi ! Da cittadino ve lo chiedo a gran voce: basta spendere in grandi progetti inutili i cui benefici non arriveranno mai ai cittadini. Qui fuori servono tanti piccoli aiuti diffusi sul territorio per creare reale benessere. Io spero sinceramente che la discussione di questi giorni porti tanti colleghi a cambiare opinione sul tema e a scegliere la via giusta. Forse questa volta, alla sera, prima di andare a dormire, riuscirete a guardarvi in faccia davanti allo specchio (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Boccuzzi. Ne ha facoltà.

  ANTONIO BOCCUZZI. Signor Presidente, l'accordo in questione costituisce un protocollo addizionale all'accordo tra Francia e Italia stipulato a Torino il 29 gennaio 2001 e ratificato dal Parlamento italiano con la legge 27 settembre 2002, n. 228, che ha disciplinato la prima fase relativa agli studi, alle ricognizioni e ai lavori preliminari della parte comune dell'opera, facendo seguito a quanto già convenuto cinque anni prima con l'accordo del 15 gennaio 1996 volto all'istituzione della Commissione intergovernativa per la realizzazione di una nuova linea ferroviaria Torino-Lione. Il presente accordo è il risultato di una negoziazione triennale della Conferenza intergovernativa Italia-Francia, specifica il tracciato del progetto, approva le modifiche apportate allo studio originario del 2005 e precisa la ripartizione dei costi della sezione transfrontaliera, prevedendo che la linea ferroviaria venga realizzata per fasi funzionali. La prima fase è stata individuata nella sezione transfrontaliera compresa tra Susa, in Italia, e Saint Jean de Maurienne, in Francia.
  Il documento in esame costituisce, quindi, un tassello di una serie di atti internazionali che definiscono progressivamente i rispettivi impegni bilaterali dal momento che un ulteriore protocollo addizionale dovrà disciplinare l'avvio dei lavori connessi alla realizzazione della sezione transfrontaliera della parte comune.
  Alcune considerazioni generali sull'opera. La nuova linea ferroviaria merci e passeggeri Torino-Lione è un formidabile acceleratore di sviluppo economico, di creazione di posti di lavoro per la regione, dal momento che la Francia è certamente un'ottima opportunità commerciale, nonostante le condizioni della ferrovia riducano notevolmente gli scambi a causa della pericolosità e dell'elevato costo dell'attraversamento delle Alpi con la linea attuale.
  La costruzione di un tunnel transfrontaliero ridurrà il costo del 40 per cento e renderà i trasporti più efficienti e temporalmente più corti, guadagnando di conseguenza competitività e rendimento. Non va sottovalutato il fatto che, oltre la Francia, Pag. 33la futura linea sarà una porta aperta verso i mercati del nord-ovest e sud-ovest dell'Europa.
  La nuova linea Torino-Lione è certamente uno strumento importante per la ripresa economica. I grandi cantieri europei sono lo strumento principale per il rilancio economico e il tunnel di base della Torino-Lione mi auguro avrà effetto dirompente nella crescita e nelle opportunità di occupazione.
  Un progetto che coniuga efficienza economica e protezione dell'ambiente, che fornirà un'alternativa più veloce, più sicura, più ecologica al viaggio su strada, tenuto conto che per il solo trasporto merci la linea trasferirà dalla strada alla ferrovia un milione di camion all'anno.
  Nei giorni scorsi l'Assemblea nazionale francese ha approvato il disegno di legge che dà il via libera al Trattato internazionale per la realizzazione della nuova linea Torino-Lione. Il provvedimento di ratifica è stato votato da un'ampia maggioranza. Il 18 novembre il testo passerà all'esame del Senato francese per il via libera definitivo.
  L'Accordo siglato il 30 gennaio 2012 integra, come dicevo all'inizio del mio intervento, il precedente Patto stipulato nel 2001, per la realizzazione del progetto di collegamento ferroviario misto merci-viaggiatori tra Torino e Lione, nonché le condizioni di esercizio dell'opera, una volta realizzato.
  Nel testo, tra i punti nodali, c’è la rimodulazione dei costi di prima fase per la costruzione della tratta internazionale, che comprende il tunnel di base, le stazioni internazionali di Susa e St. Jeanne de Maurienne e le interconnessioni con la linea storica del Frejus. Rispetto agli 8,2 miliardi previsti dal progetto preliminare, la percentuale a carico dell'Italia si riduce dal 63 per cento fissato nel 2001 all'attuale 57,9 per cento, ferma restando la ripartizione in misura paritaria, tra i due Paesi, dell'eventuale surplus dei costi.
  Il testo è composto da una parte normativa, in 28 articoli, e due allegati tecnici, il primo attinente i finanziamenti per l'opera, il secondo che, invece, riguarda la promozione del trasferimento modale dei passaggi italo-francesi, in generale i principi di politica di trasporti e intermodalità.
  Veniamo ora alle note dolenti che hanno contraddetto la realizzazione dell'opera, trasformando il dissenso in un vero e proprio «campo di battaglia». Nel corso del tempo molteplici sono state le occasioni di scontri, spesso, troppo spesso violenti. Una lunga sequela di eventi, che dimostrano l'acuirsi dello scontro tra gli antagonisti no TAV e lo Stato, una serie di interrogativi a cui è difficile trovare risposta. Nella bassa Val di Susa, infatti, ci si perde facilmente dietro le opposte fazioni e ideologie, che scatenano gli appassionati delle dietrologie.
  La duplice vita e la duplice interpretazione di un cantiere: per l'ala più radicale degli attivisti no TAV, una palestra per l'antagonismo italiano ed europeo; per i lavoratori e imprenditori che lavorano nella buca scavata sotto il raccordo autostradale della Torino-Bardonecchia, più volte assediato e attaccato da guerriglieri in erba e reduci di rivoluzioni mancate, una trincea.
  Si è arrivati ad affermare che il diritto al sabotaggio appartiene alla lotta operaia. E per gli operai che lavorano all'opera ? Per loro i diritti non contano ? Il diritto al lavoro non conta ? Il diritto al rispetto del loro lavoro non conta ?
  Il procuratore generale Giancarlo Caselli ha evocato lo spettro degli anni di piombo e don Ciotti, anima incorruttibile della lotta alla ’ndragheta, si è esposto per denunciare la violenza ed esprimere solidarietà alle forze dell'ordine, agli operai, agli imprenditori vittime del conflitto, pur ribadendo il diritto alla disobbedienza civile e pacifica contro un'opera pubblica. Già civile e pacifica, vocaboli sconosciuti a molti estremisti che tentano costantemente di appropriarsi del movimento, sporcando ogni iniziativa e lasciandola passare per la solita violenta manifestazione dove in assenza di una posizione di denuncia netta nei confronti dei delinquenti infiltrati, si rischia di essere accomunati a coloro che con il movimento, con la protesta e spesso con la Val di Susa non hanno nulla da spartire.Pag. 34
  Anche la politica ha mostrato spesso la sua inadeguatezza. Sarebbe necessario a volte tentare di parlare alla testa delle persone e non voler continuare a fare un soliloquio con la pancia della gente, con effetti speciali intrisi di demagogia e strumentalizzazione. In generale, la cultura del «no» è divenuta in Italia uno degli ostacoli principali allo sviluppo, alla crescita economica e alla modernizzazione. Se si analizzassero due importanti aspetti legati alla realizzazione dell'opera si potrebbe magari arrivare a riflessioni diverse.
  Dal punto di vista del TAV passeggeri, i tempi di percorrenza della tratta Torino-Lione si portano da 3,5 ore a solo un'ora e mezza, rendendo il treno, di fatto, competitivo con l'aereo. Dal punto di vista del TAC merci, si ha un enorme risparmio energetico nel trasporto merci: non sono più necessarie da due a tre motrici con elevati consumi, ma solo una, rendendo la linea merci di nuovo competitiva rispetto al trasporto su gomma.
  In un futuro in cui i combustibili fossili scarseggeranno, sempre di più un treno moderno è un'enorme occasione in quanto funziona ad energia elettrica e con energie rinnovabili, come l'energia solare ed eolica. Un vero ambientalista non può dire di no al sistema TAV/TAC. Chi avalla motivazioni diverse e con il moto virtuoso dell'ambientalismo nulla ha da spartire, trova spesso mere ragioni ideologiche che confliggono con il raziocinio e col benessere dell'ambiente.
  Nei giorni scorsi, è stata usata, per demolire le tesi a favore del TAV, un'intervista a Ives Crozet, uno dei dieci membri della commissione «Mobilité 21», professore di economia all'università di Lione. Il presidente della commissione intergovernativa francese, Louis Besson, nei giorni successivi, ha smentito Crozet. Cito dalla lettera di Besson a Crozet: «In conclusione, se l'analisi, che mi è stata riferita, di quanto da lei sostenuto nella trasmissione televisiva trasmessa da un canale privato italiano è esatta, le comunico la mia incredulità nel constatare che un professore di economia dei trasporti possa essere così lontano dalla realtà della politica europea dei trasporti. È davvero desolante poiché, naturalmente, l'Europa non è solo finanziamenti: ci sono delle volontà, a cominciare da quella della creazione di una rete transeuropea, che richiede l'interconnessione delle reti nazionali e quella del recepimento di un trattato che protegga il massiccio alpino come previsto dalla «Convenzione alpina», firmata da sette Paesi e dall'Unione europea. Questo richiede di dotarsi di mezzi di report modale seguendo il modello svizzero, ma ciò sembra, ahimè, totalmente estraneo alla sua riflessione. Sono desolato, tuttavia mi permetto di aggiungere a questo messaggio l'ultima nota di attualizzazione della Torino-Lione da me redatta all'inizio di settembre... anche se ho la sensazione che non parliamo dello stesso dossier ! La prego di accettare, egregio professore, i miei seppur amari, distinti saluti».
  Esistono mille modi di manifestare il dissenso, ma è fondamentale farlo nella civiltà e nel rispetto degli altri. Per coloro che questo principio non lo conoscono, chiudo citando brevemente un passaggio dell'opera di Victor Hugo: «Non ci sono regressi di idee, come non ci sono regressi di fiumi. Ma coloro che non vogliono avvenire ci pensino bene. Dicendo di no al progresso non condannano l'avvenire, ma loro stessi».

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Castelli. Ne ha facoltà.

  LAURA CASTELLI. Signor Presidente, intanto, oggi mi dispiace vedere quest'Aula vuota – ma tanto in discussione generale è sempre così –, soprattutto su questo tema, visto che abbiamo passato mesi, nelle Commissioni che hanno analizzato questa ratifica, a discutere del nulla o, meglio, di quello che veramente è l'unico modo, per chi è favorevole a quest'opera, di dire che noi siamo dei pazzi. Abbiamo assistito a discussioni fatte solo (Commenti del sottosegretario D'Angelis)... non faccia così, signor rappresentante del Governo, noi siamo dei pazzi per i nostri colleghi. Pag. 35Siamo dei pazzi, perché sosteniamo che quest'opera non si dovrebbe fare. Siamo dei pazzi, perché per noi un vero sindacalista non può sostenere che quest'opera porti lavoro, soprattutto, quando questo Governo non riesce a trovare i soldi per la cassa integrazione. Ma noi siamo dei pazzi. Comunque, andiamo oltre.
  Credo che quest'Aula, soprattutto la Presidenza e anche il Governo, debba sapere che cosa è successo nelle Commissioni. Bene, le Commissioni che hanno analizzato questo documento, oltre a non occuparsi per nulla dei punti inseriti in questa ratifica e nell'articolato della ratifica, che, di fatto, sono quelli che interferiscono in questo Paese, lo hanno fatto con una tale superficialità che ci ha lasciato a bocca aperta. Le uniche Commissioni che hanno lavorato in maniera intelligente sono state la Commissione lavoro – forse, perché è presieduta da un piemontese, che si è chiesto che cosa volesse dire aprire a certe dinamiche – e la Commissione bilancio, tanto è che ancora non ha dato un parere, perché si è fermata su un errore, su una discrasia di numeri: 29 milioni che non si capisce dove siano finiti, ma solo da un anno all'altro, ma questa è storia che, probabilmente, tra un po’ dimenticheremo. In ogni caso, la Commissione bilancio ha avuto il coraggio, per un attimo, di fermarsi, anche grazie al relatore del PD che si è accorto di questa cosa. Perché ? Perché lui, come noi – e lo possono affermare tutti coloro che ci hanno visto in Commissione – ha trattato questa ratifica non con il paraocchi, come tutti si aspettavano che noi l'avremmo trattata: non partendo dal presupposto che noi siamo contrari a quest'opera, ma partendo dal presupposto che questa è una ratifica e va fatta, se questo Paese la vuole fare, nel modo migliore.
  E allora ci siamo fermati e ci siamo chiesti perché è venuto solo il Ministro Lupi a riferire su questa ratifica – mai il Ministero degli affari esteri o qualcuno che comunque stia sotto il Ministero degli affari esteri –, perché questa ratifica non si può fare. Non si può fare perché nell'Accordo del 2001 c'erano due condizioni precise che dicevano che la ratifica si poteva fare solo se quelle due condizioni fossero state ottemperate. Ebbene, oggi quelle due condizioni non sono ottemperate e allora noi avremmo voluto sentire dalla bocca del Ministro degli affari esteri, quale motivazione politica porta un Paese a fare una scelta di questo tipo: andare avanti su una ratifica quando questa non si può fare.
  E poi, Presidente, mi rivolgo a lei, perché forse lei può esser portavoce del fatto che in questo momento noi non capiamo qual è la procedura che questo Parlamento sta seguendo. Perché ? Perché il Ministero competente ha deciso che andrà al tavolo del 20 novembre con la Francia con l'approvazione di una Camera sola. Mentre la Francia si sta dando da fare perché anche il Senato, l'altra Camera, possa dire «sì» a questa ratifica, l'Italia non lo farà e andrà all'incontro del 20 novembre con l'approvazione di una Camera sola. Che procedura è questa ? Noi vorremmo sapere che procedura il popolo italiano si merita per questa ratifica. Vorremmo sapere quale procedura questo Governo vuole attuare, se è regolare o se non è regolare. Noi queste risposte le dobbiamo avere, perché non possiamo permettere questi comportamenti. Non lo sapevamo neanche, lo abbiamo saputo per caso, per una semplice chiacchiera fatta rispetto a mille questioni dal CIPE, che non lo ha fatto apposta, ma ci ha detto che andranno a sedersi al tavolo con la Francia e lo faranno con l'approvazione di una sola Camera. Che cosa ? Che procedura è ? Allora noi vorremmo sapere se siamo dentro il regolamento, se stiamo nella legge, se questo è un modo che la Camera e questo Governo possono usare per andare avanti rispetto a questioni così delicate.
  Ho sentito dire un sacco di cose qui in Aula, me ne sono segnate alcune: non si può interrompere l'opera solo perché si ha paura della mafia. Beh, quest'opera fin dall'inizio è stata coinvolta in un sacco di cose che riguardano la mafia. È stata coinvolta dalle cooperative che hanno preso gli appalti su cui sono stati fatti dei Pag. 36processi, per i quali alcuni sono stati condannati. Alcuni hanno chiuso e riaperto con altro nome, cose normali che succedono sempre. Ma questa è anche l'opera che vede la procura di Torino silente, in silenzio, davanti a delle cose gravissime, come il CUP – il codice unico di progetto, quello che viene affidato a un'opera – sbagliato. Quest'opera, quando è nata, non ha avuto il CUP corretto. Ora, è chiaro, forse è stato un disguido, ma vedete le carte e leggete che cosa ha fatto la procura di Torino quando si è vista in mano l'esposto che diceva che forse c'era un problema, che a quest'opera era stato affidato il CUP sbagliato. Cosa ha fatto ? Ha fatto niente. Niente ! Oppure, chiedete che cosa ha fatto la procura di Torino quando ha visto degli esposti che riguardano le delibere del CIPE non applicate. Che cosa ha fatto ? Ha fatto niente. Perché ? Perché il CIPE ha le sue procedure: il CIPE andrà a controllare se ci sono delle connivenze tra le famiglie mafiose e gli appalti solo quando l'opera sarà finita. Mi dite a che cosa serve ? Non l'ha fatto oggi perché se no avrebbe fermato l'80 per cento degli appalti. Lo avrebbe fatto.
  Allora noi siamo i pazzi, siamo gli antagonisti, siamo quelli che non vogliono l'opera, siamo quelli che non sono neanche capaci di manifestare nella maniera normale. Siamo talmente antagonisti che chiediamo al Governo e a questo Parlamento di incontrarci, perché il movimento «NO TAV» sono anni che chiede un dibattito e un incontro mai sostenuti. Queste cose le dico perché continuiamo a chiedere. Le abbiamo chieste qualche mese fa, ma c’è stato risposto picche.
  Si parla dei comuni, dei comuni coinvolti come la mia Collegno, la Collegno di D'Ottavio. Beh, ci sono comuni, Presidente, che hanno detto «sì» a quest'opera e hanno detto «sì» prima a mamma lobby, poi l'hanno detto a papà compensazione. Hanno detto «sì» e hanno lasciato a quest'opera le parti peggiori del proprio territorio, come è successo nel nostro comune, per esempio, quelle che nessuno ricorda, quelle su cui la speculazione può esser fatta sempre e comunque, quelle che si possono dare in cambio alla provincia per fare quest'opera che poi magari ne fa fare un'altra, magari. Ma queste cose non si sanno, sono solo parole che girano e di cui nessuno mai dice se appartengono alla verità oppure no.
  Oppure sento dire che l'opera e il progetto sono cambiati nel corso degli anni. Certo, è cambiato ! Prima tanti erano favorevoli a quest'opera: ma vi siete chiesti perché nel corso degli anni tanti hanno detto di no, in particolare tanti sindaci hanno detto di no ? Prima di tutto perché il progetto è peggiorato. È peggiorato, perché si è capito che comunque sopra un po’ di speculazione si poteva fare; e allora, invece di usare parti di linea storica che si potevano utilizzare, si è preferito farne di nuove. Prendete i progetti, guardateli; a parte la difficoltà nel leggerli: noi li abbiamo visti, ci sono progetti dove non c’è neanche scritta la metratura; ma ovviamente i miei colleghi queste cose non le sanno. Non so neanche se le sa il Governo ! Va bene, ma noi ve le spiegheremo, comunque.
  Il problema vero è che uno non può pensare che un progetto scritto per la montagna «x» sia applicabile alla montagna «y». Quando avete fatto il progetto sul tunnel geognostico, avete deciso di cambiare lato della montagna senza cambiare il progetto ! Ma anche un bambino di due anni capirebbe che quel progetto non può esser applicato; tant’è che oggi vediamo le difficoltà di quel tunnel geognostico !
  Ma quest'opera s'ha da fare per forza. Si deve fare per forza, tanto che se un Paese arriva a cedere la percentuale di proprietà fino al 22 per cento, cioè l'Italia si terrà il 22 per cento di proprietà di quest'opera, è perché quest'opera la vorrà fare a tutti i costi ! Così come, se a un certo punto dal 50 per cento di costi si passa al 57, è normale, perché noi quest'opera la dobbiamo fare a tutti i costi ! Allora, diciamoci in faccia che quest'opera è diventata una questione politica che riguarda le coperture dei vostri sbagli, perché questo è ! Diciamocelo in faccia una volta per tutte, così almeno abbiamo la sincerità di un Paese che vuole andare Pag. 37avanti verso un'opera che costa un sacco di soldi, che è inutile, che la gente non vuole, a cui i cittadini non hanno partecipato, e andiamo avanti. Andiamo avanti pure così !
  Vorrei ricordare a quest'Aula che c’è stato un esposto fatto da parte di alcuni componenti del movimento No-TAV. Quando si parla di esposti fatti dal movimento No-TAV uno sorride, perché dice: questi ne fanno uno al giorno, figurati, chissà cosa c’è scritto. Semplicemente, ricordava alla Corte dei conti, perché l'esposto è stato fatto alla Corte dei conti, che quando uno fa un accordo e modifica una percentuale di costi in aumento, e questo Paese non è in grado di sostenere questo aumento di costi, perché nessuno glieli va a mettere in bilancio, beh, forse qualche cosa che riguarda la frode fiscale c’è ! Forse c’è un problema: un Paese non può fare un accordo con un altro Paese, e decidere che ci saranno degli aumenti di spesa che quel Paese non può sostenere. Non lo può fare ! Ma anche questo a voi non riguarda.
  Noi siamo pronti ad andare avanti nella discussione di questa ratifica ad una sola condizione, che qui dentro si aprano le orecchie e si discuta, che il Governo ci dia delle risposte, e ce le dia bene. Non che sulla questione antimafia noi siamo i pazzi, perché abbiamo osato alzare il dito e dire: guardate che ci sono dei problemi. Andatevi a leggere l'articolato ! Andatevelo a leggere, e vedrete che la questione antimafia non è una questione che non coinvolge questa ratifica, e che avete pestato una «cacca» gigante. Ve ne rendete conto ? Perché noi lo sappiamo che qualcuno ha fatto sapere che questo è un problema, ma questo Governo non si prende neanche la responsabilità di dire che questo è un problema e che avete sbagliato ! Ma su questo avremo giorni per discuterne: gli emendamenti sono tanti, ci sarà modo di farvi riflettere su un sacco di cose.
  Su una cosa di certo però veramente non possiamo fermarci qua: vogliamo sapere se la procedura, che questo Governo e questo Parlamento stanno seguendo, è regolare o meno; e in questo caso, Presidente, faccio appello a lei per capire se noi stiamo facendo la cosa giusta nel modo giusto. Perché il 20 novembre vorremmo esserci anche noi, a capire che cosa la Francia e l'Italia si diranno. Perché non può un Paese arrivare a sedersi di fronte alla Francia, e dire: ma voi come la volete fare ’sta ratifica ? Perché non si sono visti prima ? Perché non vi siete parlati prima ? Forse perché la Francia non era tanto convinta ? Forse perché qualche mese fa diceva che le linee secondarie non le poteva finanziare, perché la Francia è in crisi economica tanto quanto noi ? Forse, per questo, allora ci voleva un po’ di tempo per convincerli ? Bene, li avete convinti. Vediamo se al 20 novembre arriverete qua a Roma a parlare con la Francia, e avrete l'approvazione di questa ratifica. Vediamo. Noi ce la metteremo tutta per farvi capire che questa ratifica non si può fare, e che la state facendo nel modo peggiore possibile, come al solito, ovviamente (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rossi. Ne ha facoltà.

  DOMENICO ROSSI. Signor Presidente, la ratifica dell'Accordo in questione rappresenta un passo preliminare fondamentale per la realizzazione della nuova linea ferroviaria Torino-Lione, una realizzazione che avverrà poi con la sottoscrizione di un successivo accordo che definirà completamente l'operazione. Sintetizzo brevemente alcuni dei motivi per i quali noi riteniamo che sia necessario dare approvazione al disegno di legge.
  La tratta Torino-Lione costituisce parte essenziale di quella rete ferroviaria trans-europea composta dalle grandi direttrici ferroviarie che attraversano le singole nazioni dell'Unione. Fortemente voluta dall'Unione europea, tale rete unica mira ad eliminare le strozzature, ad ammodernare l'infrastruttura, a velocizzare il trasporto di merci e passeggeri, migliorando i collegamenti tra i diversi modi di trasporto. È parte essenziale del collegamento dall'Ucraina Pag. 38alla penisola iberica e comunque, per l'Italia, va a creare una continuità dall'Adriatico alla Francia meridionale.
  Non realizzare la nuova linea Torino-Lione significherebbe quindi creare una cesura profonda all'interno dell'asse est-ovest del corridoio mediterraneo che collega la Spagna e il Portogallo all'Ucraina. L'Italia è in ritardo rispetto al piano di lavoro stabilito: la Francia ha già realizzato tutti i tunnel traversali.
  Va ricordato che la nuova linea Torino-Lione consente di convertire l'attuale tratta di valico in una linea di pianura, permettendo di superare i limiti strutturali dell'attuale tunnel del Frejus. Il tunnel esistente, infatti, fu completato nel 1871, ancorché riammodernato nel 2011, non è più competitivo per almeno tre motivi: eccessiva pendenza per raggiungere la quota di 1.286 metri, treni inadeguati quanto a lunghezza e carico, costi eccessivi.
  Il nuovo tunnel renderà disponibile una linea che possiamo definire «di pianura» per la rete ferroviaria che consentirà un dimezzamento dei tempi di percorrenza dei treni e un abbattimento del 50 per cento del costo di esercizio, attirando alla ferrovia i trasporti su gomma, con conseguente riduzione del traffico autostradale nel delicato ambiente alpino nonché eliminazione o riduzione del rischio di incidenti stradali. Il nuovo tunnel, inoltre, favorirà un incremento della capacità del trasporto merci e passeggeri e, a regime, una riduzione annuale di emissioni di gas serra pari a 3 milioni di tonnellate di anidride carbonica, ovvero pari all'emanazione di gas serra di una città di 300 mila abitanti.
  Va ricordato che la linea Torino-Lione rappresenta l'unico asse a servizio dell'interscambio con l'Europa dell'ovest (Francia-Spagna-Portogallo-Inghilterra). Il valore di questo interscambio ammonta a 150 miliardi di euro annui, sostanzialmente uguale all'interscambio con il Nord Europa (Austria, Germania, Danimarca, Svezia), ma con una differenza: l'interscambio con l'ovest avviene in grandissima parte su strada, causa il maggior costo che comporta la vecchia ferrovia, mentre l'interscambio con il nord beneficia di validi valichi ferroviari rinnovati o in corso di rinnovamento, con il tunnel di base alla quota di pianura (Loetschberg, Gottardo, Ceneri, Koralm, Brennero). Fra questi, il Brennero è in corso di rinnovamento con un investimento simile a quello previsto per la TAV, ma da nessuno osteggiato.
  La nuova linea con il tunnel di base consentirà di ridurre il traffico su gomma perché permetterà di caricare i tir sul treno, abbassando i costi di trasporto, riducendo il tempo di percorrenza, permettendo agli autisti di recuperare sonno ed energie, e quindi riducendo la possibilità di incidenti. L'alleggerimento del traffico su gomma sotto il Monte Bianco, sotto il Frejus, lungo l'Autostrada dei fiori e attraverso gli svariati valichi alpini, permetterà di ridurre l'inquinamento. Va aggiunto che la realizzazione dell'opera avrà una ricaduta positiva comunque sull'occupazione: si prevedono circa mille occupati coinvolti direttamente nei lavori, 2 mila coinvolti in modo indiretto e 500 occupati a regime a tempo indeterminato, senza contare la ricaduta economica sulle attività logistiche di servizio e commerciali, tenuto anche conto che l'opera va a impattare sul problema strutturale del nostro export; le strozzature della logistica italiana infatti rendono meno competitivo il nostro prodotto per un costo aggiuntivo dell'8 per cento rispetto ai partner e competitor europei, e ciò è dovuto in gran parte al trasporto su gomma.
  A fronte dei vantaggi offerti dalla realizzazione della nuova Linea Torino-Lione, le ricadute sull'ambiente sono compensabili fino a una reale minimizzazione: l'impatto sul territorio è limitato, gli abitanti interessati dal cantiere e da eventuali disagi sono 40.000, se consideriamo che la metropolitana e il passante ferroviario di Torino hanno coinvolto rispettivamente 204 mila e 324 mila abitanti. Anche la superficie dei lavori ha dimensioni contenute: il tratto ferroviario in questione è lungo 81 chilometri, di cui solo il 12 per cento allo scoperto. Esiste un piano antiamianto Pag. 39per la messa in sicurezza del territorio e dei lavoratori ben dettagliato e preciso, che adotta procedimenti già collaudati in Svizzera (per il tunnel Lotschberg) o in Francia. La maggior parte del materiale di scavo sarà restituita all'ambiente, con interventi di riqualificazione ambientale; il trasporto del materiale residuo avverrà con nastri trasportatori e tramite ferrovia con un uso minimo del trasporto su gomma.
  Per il tema radiazioni, gli studi del sottosuolo hanno permesso di identificare fonti e problemi e le tecnologie oggi disponibili sono sicuramente più efficaci di quelle al tempo della realizzazione dell'Autostrada del Sole. Lo stesso si può dire nel caso delle falde acquifere, mentre in un caso più difficile, sotto esame, possono essere comunque trovate, o si stanno cercando soluzioni alternative.
  Per questo, nonostante le giuste preoccupazioni di alcuni dei Paesi coinvolti e dei territori attraversati, mi sembra di poter dire che, al di là delle contrapposizioni ideologiche, i problemi idrogeologici sono largamente risolvibili con il contributo positivo delle comunità locali, sia a livello di informazione, che di processi decisionali successivi.
  In sintesi, consideriamo che l'opera rappresenta un investimento strategico per il futuro in termini di maggiore competitività, di abbattimento delle distanze, di prospettive di sviluppo, contribuendo a ridurre il gap logistico del nostro Paese.
  Non approvare il disegno di legge e non autorizzare la ratifica e l'esecuzione dell'accordo avrebbe conseguenze estremamente negative non solo in termini di perdite economiche legate ai costi sostenuti fino ad ora, ma anche in termini di una perdita di credibilità del nostro Paese, legata al mancato adempimento di un impegno assunto sul piano internazionale.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo – A.C. 1309-A)

  PRESIDENTE. Prendo atto che la relatrice, Deborah Bergamini, si riserva di intervenire nel prosieguo della discussione.
  Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

  ERASMO D'ANGELIS, Sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intanto devo dare atto, oltre che alla relatrice, l'onorevole Bergamini, anche a tutte le Commissioni per l'ottimo lavoro svolto. Hanno lavorato con attenzione e competenza, con le valutazioni e gli approfondimenti che merita un'opera come questa e la ratifica di questo accordo.
  Nessuno – né tantomeno il Governo – considera matti nessun parlamentare, nessuna critica, anche la più radicale, e su questo voglio essere molto chiaro.
  Va riportata la discussione sui binari giusti perché stiamo parlando di un tratto ferroviario, di un asse ferroviario, la Torino-Lione, analizzando i costi e i benefici di questa «cura del ferro» che serve all'Italia ed ai trasporti ferroviari, analizzando anche gli impegni internazionali, le interconnessioni con l'Europa e dell'Europa con il resto del mondo sul piano dell'intermodalità e della rotaia, in quanto siamo un Paese – lo sappiamo – in forte ritardo ed il fanalino di coda dell'Europa in materia di trasporto merci su ferro.
  La Torino-Lione – come è stato già ricordato da chi mi ha preceduto negli interventi – è solo il primo pezzo del Corridoio 5 del Mediterraneo, un Corridoio che apre l'Italia ai traffici e al trasporto passeggeri, e soprattutto merci, sia a destra che a sinistra verso la Spagna e verso l'Europa dell'est.
  Non è la linea, purtroppo, e qui noi scontiamo anche una carenza di comunicazione agli italiani di questa opera. Purtroppo, ha vinto una comunicazione alla Maurizio Crozza, con grande simpatia, quando dice: «Che cosa andiamo a fare a Lione ?» Messa così avrebbe ragione. Ma Pag. 40non si va a Lione, si va in Europa e si va nel mondo a trasferire e ad importare merci.
  È un'opera che rientra nella nuova impostazione europea delle reti TEN-T e sono corridoi fondamentali per lo sviluppo del sistema comunitario, soprattutto su ferrovia, perché questo è, diciamo, il tema forse centrale della discussione. Da trenta corridoi negli ultimi anni, dopo una fase di revisione che è durata quattro anni, siamo passati a dieci corridoi, che sono i corridoi del core network, essenziali ad un'impostazione seria che deve vedere la crescita del nostro continente, che è abbastanza in affanno e in recessione.
  Ed è l'Europa, l'Unione europea che certifica la strategicità dell'asse ferroviario Torino-Lione, questo pezzettino dell'asse transnazionale, e che chiede ormai da tempo anche la conclusione formale dell'Accordo, non condividendo, peraltro, il ritardo già accumulato. Anche per questo va data attuazione alla ratifica dell'Accordo. Ovviamente, noi arriveremo, credo, al vertice del 20 tra Governo francese e Governo italiano con la ratifica in prima lettura, esattamente come ci arriverà la Francia. Poi, passeremo al Senato, esattamente come la Francia, diciamo, trasferirà al Senato l'opera che è stata approvata, credo, entro il 31 ottobre dalla Camera francese. Quindi, siamo assolutamente, su questo, in asse con la Francia.
  Però, mi preme sottolineare, intanto, un altro aspetto fondamentale, più volte ribadito anche dal Ministro Lupi, e, cioè, il massimo ascolto e l'attenzione a tutti gli impatti (paesaggistico, ambientale, idrologico e trasportistico dell'opera) nonché l'impatto dei cantieri, l'ottimizzazione dell'infrastruttura, la necessità di un monitoraggio e di un lavoro anche del Parlamento e delle Commissioni parlamentari che sarà espresso domani in Aula, nei termini in cui verrà espresso. Quindi, anche da parte del Governo c’è la massima apertura alle soluzioni migliori per il monitoraggio e il controllo dell'opera, correggendo anche qualche passaggio. Quindi, c’è la massima disponibilità del Governo e, come ha spiegato bene l'onorevole Bergamini, per quest'opera sono state ascoltate le esigenze e le critiche di tutti i territori interessati, anche prima della definizione del progetto. Come sapete, sono stati proposti ed esaminati ben 11 progetti, 11 tracciati diversi. L'Osservatorio Torino-Lione, che è la sede del confronto, ha svolto oltre 200 sedute, da dicembre 2006 a gennaio 2013, e oltre 300 audizioni, di cui 65 internazionali. Il Governo, soprattutto negli ultimi mesi, ha dato anche attuazione ad un impegno concreto preso con le popolazioni locali per opere compensative, di riqualificazione e di erogazione di servizi, che vanno dalla digitalizzazione delle reti all'efficienza dei servizi di trasporto e alla movimentazione di merci. Inoltre, attraverso il «decreto sulle emergenze» sono stati stanziati 40 milioni fuori dal Patto di stabilità.
  Credo sia utile anche analizzare alcuni degli elementi che rafforzano l'importanza dell'intervento, considerato, come dicevo prima, che in materia di ferrovie e di trasporto merci su ferrovie non possiamo rimanere condannati a restare come siamo oggi, cioè ad avere un segmento di questo trasporto, il più ecologico e il più interessante, anche per gli sviluppi futuri, bloccato a poche unità di percentuali.
  Allora i punti di forza Torino-Lione sono diversi. Intanto noi partiamo da un'incidenza del costo del trasporto e della logistica sul costo della produzione in Italia, che è pari a circa il 22 per cento; negli altri Paesi europei siamo intorno al 14 per cento. Quindi il recupero di punti, almeno di un solo punto di questo gap, varrebbe oltre 2 miliardi di euro e ripagherebbe da solo l'intero investimento italiano sulla Torino-Lione, e un punto si otterrebbe sicuramente dall'opera finita, conclusa e funzionante.
  Avremo il dimezzamento dei tempi di percorrenza per i passeggeri: non soltanto da Torino a Chambéry si passa a 73 minuti dai 152 di oggi, ma anche da Milano a Parigi ci si arriverà in quattro ore, anziché in sette ore, e da Milano a Lione occorreranno due ore e mezza, anziché cinque ore. Avremo ancora: l'incremento della capacità del trasporto Pag. 41merci, portata da 1050 a 2050 tonnellate in lunghezza sino a 750 metri per treno, con costi di esercizio quasi dimezzati; la riduzione del numero di camion su strada in un delicato passaggio e ambiente alpino, circa 600 mila tonnellate l'anno; la trasformazione della linea esistente in metropolitana di valle al servizio dei residenti; la riduzione degli incidenti stradali e dei connessi costi sociali, umani e sanitari – anche questo va considerato come un aspetto fondamentale, la riduzione annuale di emissioni di gas serra, a regime saranno tre milioni di tonnellate equivalenti di anidride carbonica corrispondenti alla CO2 di una città con 300 mila abitanti –; la creazione di nuovi posti di lavoro. Le cifre reali e non virtuali sono queste: oltre mille persone direttamente impegnate in Italia nella realizzazione della nuova linea, con un rapporto di uno a tre di occupati indiretti; il collegamento dei maggiori interporti del Nord, Orbassano, Novara, area di Milano, Verona, Padova e dei porti di Venezia e di Trieste, aspetto assolutamente centrale e di un'opera che regala all'Italia e all'Europa un asse plurimodale, strada e ferrovia, su cui almeno per il nostro Paese insistono ambiti metropolitani importanti come Torino, Milano, Brescia, Verona, Venezia e appunto Trieste.
  È un corridoio su cui – non lo dimentichiamo – transita il 60 per cento delle merci del Paese, il 32 per cento delle merci dell'Unione europea e su cui si appoggiano le attività produttive che garantiscono il 57 per cento del PIL italiano.
  Si è discusso anche nelle Commissioni molto sul tema della saturazione delle opere esistenti. Va considerato che la linea esistente, pur essendo in grado di reggere un aumento di traffico ancora per diversi anni, non è in grado di sostenere il volume e il tipo di traffico, soprattutto merci, oggi in fase di enorme eccezionale evoluzione, e lo sarà sempre di più in futuro. O noi rimaniamo fermi a quello che c’è, oppure proiettiamo anche l'Italia e il trasporto ferroviario merci verso un futuro più sostenibile di sviluppo.
  Infatti, la linea storica è di fatto una linea fuori mercato. I competitori svizzeri cominciano – lo sapete meglio di me – a offrire linee ad una quota di pianura: il Lötschberg, 34,6 chilometri, è aperto dal giugno 2007; il Gottardo di 57 chilometri sarà aperto fra il 2016 e il 2017, mentre l'attuale tunnel del Frejus del 1871 costringe i treni a salire a 1.250 metri di quota con pendenza massima del 33 per cento, con presenza di numerose curve sul tracciato, limiti di sagoma e di interasse, con un elevato costo di trasporto e criterio di sicurezza con una sola canna a due binari, ormai superato dagli attuali standard, che prevedono un tunnel a due canne e ad un solo binario.
  La nuova Torino-Lione da questo punto di vista è concepita per essere molto competitiva sul trasporto ferroviario, con un valico ad una altezza massima di 550 metri sul livello del mare, che consente il passaggio di treni merci lunghi fino a 750 metri, come dicevo prima, contro gli attuali 550, e con una capacità di portata da 1.050 a 2.050 tonnellate.
  Come dicevo prima, anche per quanto riguarda il trasporto passeggeri, si riducono fortemente e decisamente i tempi di percorrenza. Quindi, la modalità ferroviaria è quella sulla quale punta questo Governo, necessariamente. Qualcuno, anche oggi, ha sollevato alcune valutazioni della commissione Duron, della commissione francese.
  Il rapporto della commissione «Mobilité 21» Duron, coordinata, appunto, dal deputato francese, non riguarda il tunnel di base della Torino-Lione, ma tutta una serie di interventi da nord a sud della Francia, valutando che la realizzazione di alcuni di questi interventi possa slittare rispetto alle previsioni originarie in considerazione della crisi, dell'attuale condizione economico-finanziaria del Paese. Pertanto, anche per quanto riguarda gli accessi alla sezione transfrontaliera, la commissione, pur valutando l'opportunità di rinviarne la realizzazione nel tempo, ha confermato l'interesse al loro completamento in vista della realizzazione dell'opera.
  Diciamo che l'ha posta in seconda fascia, condizionandola, però, ad un meccanismo Pag. 42di monitoraggio e definitivo chiarimento della tempistica, dopo la ratifica dell'Accordo. Però il Governo francese, e ovviamente anche la commissione, non hanno posto alcun veto sulla Torino-Lione, anzi, è l'unica opera sulla quale resta impegnato; tutte le altre slittano, la Torino-Lione è un'opera sulla quale anche il Governo francese punta e che va realizzata.
  Vi è poi il tema, estremamente importante e, direi, centrale, dell'applicazione delle norme antimafia, del contrasto alla criminalità organizzata. Qui diciamo che è un contrasto preventivo, non post, ma preventivo, con massima trasparenza e con massimo rigore, contro ogni possibile infiltrazione. Su questo non si fanno sconti a nessuno. Sottolineo, però, che la disciplina prevista nella ratifica ed esecuzione dell'Accordo, per quanto concerne il diritto applicabile alle procedure di aggiudicazione e esecuzione dei contratti aventi ad oggetto l'esecuzione dei lavori, servizi e forniture dell'opera principale, si riassume in quattro aspetti.
  In primo luogo, trovano applicazione regolamenti e direttive comunitarie, con specifico riferimento alla direttiva europea n. 17 del 2004, nonché le direttive successive in materia di procedure di appalti pubblici. Tenuto conto della supremazia della normativa comunitaria, si disapplicano le norme di diritto nazionale nei casi in cui quest'ultimo si rivelasse contrario, incompatibile o più restrittivo rispetto alla direttiva indicata.
  Secondo punto, in subordine, trova applicazione la Costituzione francese, nonché il diritto pubblico francese. Terzo punto, in ogni caso il Promotore pubblico può mettere in atto le procedure di diritto nazionale che ritiene adeguate, a condizione che siano strettamente compatibili con il diritto comunitario. Quarto punto, il principio di territorialità, secondo il quale trova applicazione la legge dello Stato sul cui territorio viene eseguita l'opera, ed è espressamente stabilito con esclusivo riferimento all'adempimento delle procedure di autorizzazione, e segnatamente in materia di ambiente, urbanistica, assetto fondiario, nonché con riferimento alle condizioni di lavoro e di occupazione del personale.
  Lo stesso Accordo richiama le direttive comunitarie, con specifico riferimento alle direttive del 2004, specificando che eventuali disposizioni nazionali contrastanti e/o restrittive rispetto a tali direttive andrebbero disapplicate. Quindi, secondo i principi del diritto internazionale, nell'ambito di ciascun ordinamento sono rinvenibili norme cosiddette «ad applicazione necessaria», ossia norme che perseguono scopi particolarmente importanti per lo Stato che le ha emanate. Un tipico esempio è costituito dalle disposizioni in materia di ordine pubblico interno.
  Infatti, l'Unione europea rispetta le funzioni essenziali dello Stato, «in particolare, le funzioni essenziali dell'integrità territoriale di mantenimento dell'ordine pubblico e tutela della sicurezza nazionale», funzioni peraltro che non solo vengono riservati agli Stati membri, ma considerate specifiche «responsabilità incombenti sugli stessi».
  Anche nei settori di competenza esclusiva dell'Unione le disposizioni comunitarie trovano in ogni caso un limite nel diritto-dovere degli Stati membri di adottare misure giustificate da misure di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. Quindi, il richiamo operato all'applicazione delle direttive comunitarie – e, tanto più, alle disposizioni del diritto francese – non consente dunque la disapplicazione sul territorio nazionale di norme attinenti all'ordine pubblico ed alla pubblica sicurezza dettate dal legislatore nazionale in materia di lotta alla criminalità organizzata di stampo mafioso. Né l'eventuale disapplicazione di tali disposizioni si può fondare sulla natura del promotore pubblico previsto dall'Accordo intergovernativo e, in particolare, sulla circostanza per cui il medesimo sarebbe «un ente aggiudicatore ai sensi della direttiva n. 2004/17, la cui sede è fissata sul territorio francese, e soggetta alla legislazione ed alle disposizioni applicabili in Francia». Infatti, il promotore pubblico è definito, dall'articolo 2 dell'Accordo, come organo comune Pag. 43dotato di personalità giuridica, costituito e controllato in modo paritetico dagli Stati italiano e francese. La diretta partecipazione dello Stato italiano, nonché il conseguente impiego di denaro pubblico italiano ai fini della realizzazione dei compiti del promotore comporta l'applicazione, anche alle attività svolte dal medesimo, di alcune disposizioni normative nazionali, tra cui preminente rilievo assumono quelle finalizzate alla lotta alla criminalità organizzata.
  Questo per dire che la mera natura di società di diritto francese del promotore pubblico incaricato della realizzazione della Torino-Lione, nonché il rinvio all'applicazione della normativa francese per la realizzazione della medesima, non può consentire la disapplicazione della disciplina normativa contenuta nella nostra legge n. 136 del 2010. Infatti, con la normativa in materia di tracciabilità dei flussi finanziari contenuta nella legge n. 3 del 10 agosto 2010, Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia, l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, nelle linee guida emesse con determinazione n. 4 del 7 luglio 2011, ha specificato che «Attesa la ratio dell'articolo 3, la sanzione di immunità connessa al suo mancato rispetto, gli obblighi di tracciabilità abbiano natura imperativa e le relative disposizioni siano norme di applicazione necessaria».

  PRESIDENTE. Concluda, sottosegretario.

  ERASMO D'ANGELIS, Sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti. Mi avvio a concludere, assicurando in ogni caso che la realizzazione della Torino-Lione nell'ambito dell'ordinamento italiano è prevista ai sensi della cosiddetta legge-obiettivo tra le infrastrutture strategiche in relazione alle quali, come è noto, sono previste specifiche disposizioni finalizzate al rafforzamento della prevenzione e repressione dei tentativi di infiltrazione mafiosa. La rete di monitoraggio composta dai Ministeri dell'interno, delle infrastrutture e trasporti, economia e finanze, nonché dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, dal soggetto aggiudicatore, dagli enti territoriali, prefetture, forze di polizia, dalla DIA, ha proprio questo obiettivo. È stato inoltre istituito presso il Ministero dell'interno il comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere, nonché i gruppi interforze, ai quali spettano a livello locale le funzioni di monitoraggio svolte a livello centrale dalla DIA.
  Con specifico riferimento poi alla infrastruttura ferroviaria dell'alta velocità, è stato anche istituito il gruppo interforze, tratta alta velocità. Questo per dire che si può affermare con forza che le disposizioni nazionali finalizzate alla lotta alla criminalità organizzata, sicuramente le migliori del mondo, trovano in ogni caso applicazione nell'ambito della Torino-Lione. In ogni caso, siamo d'accordo con una efficace azione di monitoraggio e controllo anche da parte del Parlamento.

  PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì 12 novembre 2013, alle 9,30:

  1. – Svolgimento di interrogazioni.

  (ore 11 e p.m.)

  2. – Seguito della discussione del disegno di legge (previo esame e votazione della questione pregiudiziale di merito presentata):
   Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica francese per la realizzazione e l'esercizio di una nuova Pag. 44linea ferroviaria Torino-Lione, con Allegati, fatto a Roma il 30 gennaio 2012 (C. 1309-A).
  – Relatore: Bergamini.

  3. – Seguito della discussione del disegno di legge:
   Conversione in legge del decreto-legge 10 ottobre 2013, n. 114, recante proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione (C. 1670-A).
  – Relatori: Manciulli (per la III Commissione) e Rossi (per la IV Commissione), per la maggioranza; Gianluca Pini, di minoranza.

  4. – Seguito della discussione delle mozioni Guidesi ed altri n. 1-00201, Palese ed altri n. 1-00235, Causi ed altri n. 1-00236, Paglia ed altri n. 1-00237 e Zanetti ed altri n. 1-00238 concernenti iniziative in materia di federalismo fiscale.

  La seduta termina alle 17,40.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL SOTTOSEGRETARIO PIER PAOLO BARETTA IN SEDE DI ESAME DELLE MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI FEDERALISMO FISCALE.

  PIER PAOLO BARETTA, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Con la mozione n. 1-00201 l'Onorevole Guidesi ed altri, nel segnalare che le manovre di finanza pubblica, che hanno interessato gli enti territoriali nel corso degli ultimi anni, hanno determinato difficoltà crescenti da parte dei medesimi enti nell'assicurare il rispetto degli equilibri di bilancio, con la conseguente necessità di inasprimento della pressione fiscale e di contrazione delle spese, ivi inclusa la spesa sociale, richiamano l'attenzione del Governo sulla necessità di procedere con celerità alla completa attuazione del federalismo fiscale.
  In particolare, impegnano il Governo:
   1 – a dare piena e completa attuazione alla legge delega sul federalismo fiscale adottando tutti i decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive che saranno ritenuti utili e prevedendo in particolar modo interventi diretti ad eliminare l'applicazione dell'imposta municipale unica sulla prima abitazione e a garantire che il gettito derivante dall'applicazione dell'imposta stessa sulle seconde abitazioni rimanga interamente in capo ai comuni, nonché introducendo a favore dei comuni stessi la compartecipazione all'imposta sul reddito delle persone fisiche.

  L'attuazione della legge delega sul federalismo fiscale è in fase di realizzazione non solo attraverso i decreti legislativi dalla stessa previsti, ma anche mediante ulteriori provvedimenti che sono stati emanati, di recente, per raggiungere l'obiettivo di dar vita ad un sistema fiscale federale, tra cui c’è da annoverare principalmente l'istituzione, ai sensi del comma 380, dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012 n. 228 (legge di stabilità 2013), del Fondo di solidarietà comunale la cui disciplina è oggetto di successiva rivisitazione nell'ambito del d.d.l. di stabilità per l'anno 2014.
  Con specifico riferimento alla richiesta di eliminare l'applicazione dell'imposta municipale unica sulla prima abitazione e a garantire che il gettito derivante dall'applicazione dell'imposta stessa sulle seconde abitazioni rimanga interamente in capo ai comuni, nonché introducendo a favore dei comuni stessi la compartecipazione all'imposta sul reddito delle persone fisiche si ritiene che la proposta necessiti di una apposita disposizione legislativa con idonea copertura finanziaria.
   2 – a garantire agli enti locali le risorse del 2012 e che non siano questi a dover sopportare la mancata adozione dell'IMU prima casa;

Pag. 45

  In proposito, si fa presente che il DPCM di cui all'articolo 1, comma 380, della legge n. 228 del 2012 concernente la definizione delle quote spettanti a ciascun Comune del Fondo di solidarietà comunale, in corso di perfezionamento, è stato predisposto sulla base dei criteri di riparto di cui al citato comma 380 al fine di garantire ai Comuni le medesime risorse di cui hanno beneficiato nell'anno 2012, al netto delle riduzioni per l'anno 2013 connesse all'applicazione della «spending review» di cui all'articolo 16, comma 6, del decreto legge n. 95 del 2012. Pertanto, ciascun Comune potrà beneficiare, nell'anno 2013, delle medesime risorse di cui ha beneficiato nell'anno 2012 tra gettito IMU ad aliquota base e Fondo di solidarietà comunale, al netto della «spending review», ivi incluso il 50 per cento del gettito IMU relativo al gruppo catastale D. Ciò, in quanto, il predetto Fondo di solidarietà comunale 2013 ha di fatto sopperito, in ossequio al punto i della lettera c) del citato comma 380, alla perdita di gettito IMU derivante dal venir meno della riserva comunale sul gruppo catastale D. Si segnala, tra l'altro, che il decreto legge n. 102 del 2013, nel disporre la non debenza della prima rata IMU relativa a talune fattispecie imponibili, ivi compresa quella sulle abitazioni principali, ha disposto il ristoro ai comuni interessati del minor gettito derivante dalla predetta modifica in misura corrispondente al 50 per cento delle gettito definitivo stimato dal Dipartimento delle finanze e, ciò, al fine di assicurare l'invarianza finanziaria dell'operazione per i bilanci comunali.
   3 – a garantire che la nuova service tax sia una vera tassa federale, meno onerosa della somma di Imu e Tares, creando così un'imposta leggera e più equa con aliquote modulabili da parte degli amministratori con l'obiettivo di creare un sistema fiscale federale;

  Al riguardo si richiama il decreto legge 31 agosto 2013, n. 102, recentemente convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, che reca numerose novità in materia di IMU e di TARES.
  Per quanto concerne, in particolare, l'IMU, diversi sono gli interventi, contenuti in questo provvedimento, diretti a mitigare il carico fiscale riconducibile a detta imposta.
  L'articolo 1 del citato decreto legge n. 102 del 2013 ha previsto che, per l'anno 2013 non è dovuta la prima rata dell'IMU per gli immobili rispetto ai quali il versamento della prima rata era stato sospeso dall'articolo 1, comma 1, del decreto legge 21 maggio 2013, n. 54, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 luglio 2013, n. 85.
  Sono state, inoltre, introdotte disposizioni volte ad effettuare l'equiparazione di diverse tipologie di immobili all'abitazione principale. È, altresì, opportuno far presente, come evidenziato nell'Audizione del Ministro dell'Economia e delle Finanze per l'esame preliminare del disegno di legge di stabilità 2014, tenutasi il 29 ottobre u.s. presso le Commissioni riunite V del Senato della Repubblica (Bilancio) e V della Camera dei Deputati (Bilancio, Tesoro e Programmazione), che «la revisione della tassazione sugli immobili delineata con il disegno di legge di stabilità contribuisce a dotare il nostro Paese di un adeguato assetto decentrato, caratterizzato da una valida distribuzione delle risorse e delle responsabilità di spesa e prelievo tra i diversi livelli di governo».
  Nel disegno di legge di stabilità 2014, poi, non sono stati previsti tagli di risorse agli enti locali ed è stato assegnato ai Comuni, attraverso il Fondo di solidarietà comunale, parte del gettito dell'IMU derivante dai fabbricati classificati nel gruppo catastale D e riservato allo Stato (circa un miliardo). Inoltre, al fine di aumentare l'autonomia finanziaria dei comuni, nel menzionato disegno di legge di stabilità è previsto il potenziamento nel medio periodo dei margini di discrezionalità nella gestione e nell'amministrazione dell'IMU, con risvolti positivi anche in termini di un maggiore coinvolgimento degli enti nelle attività di contrasto all'evasione e all'elusione dei tributi locali.
  Infine, il disegno di legge di stabilità dispone l'abolizione dell'IMU sull'abitazione Pag. 46principale e alcune fattispecie assimilate, nonché la componente della TARES relativa ai servizi indivisibili e la contestuale introduzione di un tributo sui servizi comunali (TRISE) che si articola in due componenti: la prima (TARI), è finalizzata alla copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e assimilati, la seconda è la tariffa sui servizi indivisibili (TASI).
  L'articolazione del nuovo tributo è caratterizzata dalla finalità di non aumentare il prelievo fiscale complessivo sui contribuenti e a garanzia del raggiungimento di tale obiettivo sono stati previsti limiti alla manovrabilità complessiva dei comuni sulla tariffa sui servizi indivisibili e sull'IMU. Per quanto riguarda l'abitazione principale, si precisa che per l'anno 2014, l'aliquota applicabile non può essere superiore al 2,5 per cento.
  Confrontando le tasse e le imposte contemplate nell'attuale ordinamento (IMU e componente della TARES relativa ai servizi indivisibili) risulta che il gettito previsto dalla TASI con aliquota standard (1 per mille) è pari a circa 3,7 miliardi di euro ed è quindi inferiore al gettito pari a circa 4,7 miliardi oggi garantito – ad aliquote standard – dall'IMU sull'abitazione principale e dalla TARES sui servizi indivisibili, entrambe abolite. L'invarianza del gettito per i comuni è compensata da trasferimenti dallo Stato.
  Alla luce di quanto suesposto, quindi, emerge l'impegno del Governo teso alla realizzazione di un sistema di federalismo fiscale, nel senso auspicato dagli Onorevoli proponenti.
   4 – ad insediare con la massima urgenza la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, prevista dall'articolo 5 della legge delega e per la quale le regioni, le province e i comuni hanno già provveduto ad effettuare le rispettive designazioni secondo quanto stabilito dagli articoli 33-37 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68.
   5 – considerato che la Conferenza concorre alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto, anche in relazione ai livelli di pressione fiscale e di indebitamento, alla verifica periodica del nuovo ordinamento finanziario, proponendo eventuali modifiche o adeguamenti del sistema, che è prevista l'istituzione di una banca dati condivisa la quale risulta indispensabile per avviare efficacemente le nuove relazioni finanziarie tra i diversi livelli di governo.
  Considerato che la Conferenza concorre alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto, anche in relazione ai livelli di pressione fiscale e di indebitamento, viene richiesto di procedere alla verifica periodica del nuovo ordinamento finanziario, proponendo eventuali modifiche o adeguamenti del sistema.
  La Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica – che, ai sensi del citato articolo 33 del decreto legislativo n. 68 del 2011, è istituita nell'ambito della Conferenza Unificata – è stata convocata il 10 ottobre 2013 per discutere della «Legge di stabilità 2014 Obiettivi di finanza pubblica per gli enti territoriali, con particolare riferimento all'autonomia finanziaria locale e all'imposta locale per i servizi».
  Inoltre, nella seduta della Conferenza Unificata del 17 ottobre 2013, è stata acquisita la sostituzione dei componenti delle Regioni, dell'ANCI e dell'UPI nella Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell'articolo 34, comma 2. del decreto legislativo 12 maggio 2011, n. 68. (cfr. Rep. Atti n.105/CU del 17/10/2013).
   6 – verificare prioritariamente l'attuazione della procedura per l'individuazione dei costi e fabbisogni standard e degli obiettivi di servizio, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216 e dall'articolo 13 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, e di adottare, nel termine ineludibile di tre mesi dall'approvazione del presente atto di indirizzo, tutti gli atti conseguenti e necessari ai fini della loro compiuta determinazione.

  Per quanto concerne il procedimento di determinazione dei fabbisogni standard Pag. 47degli enti locali delle Regioni a Statuto ordinario, disciplinato dal citato decreto legislativo n. 216 del 2010, si rappresenta che lo stesso si trova in fase avanzata di attuazione.
  In particolare, per quanto concerne la determinazione dei fabbisogni standard relativi alle funzioni fondamentali delle Province delle Regioni a Statuto ordinario, come individuate, in via provvisoria, dall'articolo 3 del citato d.lgs. 216 del 2010, si rappresenta quanto segue:
   Funzioni nel campo dello sviluppo economico – Servizi del mercato del lavoro: le note metodologiche ed i relativi fabbisogni standard sono stati adottati con D.P.C.M. 21 dicembre 2012 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 80 del 5 aprile 2013, s.o. n. 26).
   Funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo: le note metodologiche sono state approvate in sede COPAFF il 20 dicembre 2012; lo schema di DPCM di adozione delle note metodologiche e dei relativi fabbisogni standard è stato deliberato in via preliminare dal C.d.M. nella seduta del 18 aprile 2013 ed è stato trasmesso alla Conferenza Stato – città ed autonomie locali ed alle Camere per l'espressione dei pareri previsti dall'articolo 6 del D.Lgs. 216 del 2010.
   Funzioni di istruzione pubblica e Funzioni riguardanti la gestione del territorio: approvate in sede COPAFF il 2 luglio 2013; lo schema di DPCM di adozione delle note metodologiche e dei fabbisogni standard ha completato la fase istruttoria.
   Funzioni nel campo dei trasporti e Funzioni nel campo della tutela ambientale: l'elaborazione delle note metodologiche e dei relativi fabbisogni da parte della SOSE è stata ultimata; seguirà il procedimento di approvazione delle note metodologiche e di adozione del D.P.C.M. di adozione delle note metodologiche e dei relativi fabbisogni.

  Le note metodologiche finora approvate dalla COPAFF si riferiscono al 67,49 per cento della spesa corrente (2010) relativa alle funzioni fondamentali delle Province delle Regioni a Statuto ordinario.
  Per quanto riguarda la determinazione dei fabbisogni standard relativi alle funzioni fondamentali dei Comuni delle Regioni a Statuto ordinario, come individuate, in via provvisoria, dall'articolo 3 del citato d.lgs. 216 del 2010, si rappresenta quanto segue:
   Funzioni di Polizia Locale: le note metodologiche ed i relativi fabbisogni standard sono stati adottati con D.P.C.M. 21 dicembre 2012 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 80 del 5 aprile 2013, s.o. n. 26);
   Funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo: le note metodologiche sono state approvate in sede COPAFF il 20 dicembre 2012; lo schema di DPCM di adozione delle note metodologiche e dei relativi fabbisogni standard è stato deliberato in via preliminare dal C.d.M. nella seduta del 18 aprile 2013 ed è stato trasmesso alla Conferenza Stato – città ed autonomie locali ed alle Camere per l'espressione dei pareri previsti dall'articolo 6 del D.Lgs. 216 del 2010.
   Funzioni di istruzione pubblica, Funzioni nel Settore Sociale, Funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti, Funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente: l'elaborazione delle note metodologiche e dei relativi fabbisogni da parte della SOSE è in fase di ultimazione: seguirà il procedimento di approvazione delle note metodologiche e di adozione del D.P.C.M. di adozione delle note metodologiche e dei relativi fabbisogni.

  Le note metodologiche finora approvate dalla COPAFF si riferiscono al 32,58 per cento della spesa corrente (2010) relativa alle funzioni fondamentali dei Comuni delle Regioni a Statuto ordinario.
  I Fabbisogni Standard non hanno diretta valenza dal punto di vista finanziario, ma sono solo di ausilio al calcolo dei coefficienti di riparto.Pag. 48
  Inoltre, l'articolo 24 del disegno di legge di stabilità per il 2014 introduce la previsione secondo la quale i criteri di formazione e di riparto del Fondo di solidarietà comunale, di cui all'articolo 1, comma 380 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, devono tenere anche conto della «necessità di ripartire prioritariamente almeno il 10 per cento del fondo stesso sulla base dei fabbisogni standard».
  Si tratta, come recita la relazione illustrativa al predetto d.d.l., di «una prima applicazione di detti fabbisogni».
  Si precisa che è in fase di conclusione la raccolta dei dati necessari per la stima fabbisogni standard per le Province e i Comuni da parte di SOSE S.p.A.
   7 – nel percorso di completamento dell'attuazione del federalismo fiscale, ad agire con la massima urgenza per rendere operativo il criterio dei costi standard relativi al servizio sanitario e dei fabbisogni standard per comuni e province, affinché sia consentito agli enti territoriali di contenere le addizionali regionali e locali ed inducendo tutti gli amministratori alla massima responsabilizzazione;

  Per quanto riguarda la necessità di rendere operativo con la massima urgenza il criterio dei costi standard relativi al servizio sanitario, si rappresenta che la disciplina dei fabbisogni standard nel settore sanitario è contenuta nel decreto legislativo n. 68 del 2011, articoli da 25 a 30, e che la prima applicazione è prevista per l'anno 2013. In merito, lo Stato ha adottato tutti i provvedimenti di propria competenza ed è in attesa della scelta da parte della Conferenza Stato-Regioni delle 3 Regioni benchmark, tra le cinque già indicate dal Ministero della salute, d'intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze, sulla base di 19 indicatori di efficienza, appropriatezza e qualità dei servizi erogati.
   9 – riconsiderare, per ciò che concerne la riforma organica delle istituzioni di governo di area vasta introdotta dal decreto-legge n. 201 del 2011, l'impatto che il trasferimento delle funzioni e delle risorse oggi gestite dalle Province avrà sui bilanci e sull'organizzazione di Regioni e Comuni.

  Il Consiglio dei Ministri nella seduta del 26 luglio 2013 ha approvato un disegno di legge ordinario recante «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni», presentato il 20 agosto 2013 alla Camera dei Deputati (A.C. 1542). In particolare, il provvedimento in esame è finalizzato a istituire le città metropolitane nel 2014 (con una procedura differenziata per la città metropolitana di Roma Capitale) e a rivedere la disciplina delle Province fino alla loro abolizione, prevista dal disegno di legge «Abolizione delle Province» (AC 1543). In particolare, sono ridefinite le funzioni delle Province, indicate come funzioni di area vasta, demandando ad un apposito DPCM, da adottare entro il 31 marzo 2014, previa intesa in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali, sia l'individuazione delle funzioni provinciali conferite con legge statale da attribuire ai comuni e alle unioni di comuni, sia la determinazione dei criteri generali per l'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connessi all'esercizio delle funzioni stesse e al loro conseguente trasferimento.
  Inoltre, nella seduta del 5 luglio 2013 il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge costituzionale «Abolizione delle Province», presentato alla Camera dei Deputati il 20 agosto 2013 (A.C. 1543). Con tale provvedimento, in particolare, si dispone l'abolizione delle Province, demandando allo Stato e alle Regioni, nell'ambito delle rispettive competenze, il compito di individuare le forme e le modalità di esercizio delle funzioni delle Province soppresse, sulla base di criteri e di requisiti generali da stabilirsi con legge statale entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge costituzionale.
  Pertanto, da tali provvedimenti potranno discendere effetti positivi per la finanza pubblica, la cui quantificazione Pag. 49potrà essere effettuata successivamente all'effettiva attuazione del disposto dei provvedimenti medesimi.
   11 – assumere iniziative per eliminare da subito tutte le norme che attualmente bloccano l'autonomia dei Comuni e che non hanno effetti sui saldi di finanza pubblica e, in generale, rivedere le regole del patto di stabilità interno, introdotte dal decreto legislativo n. 149 del 2011 in materia di meccanismi sanzionatori e premiali relativi agli enti territoriali.

  Relativamente alla necessità di rivedere le regole del patto di stabilità interno, introdotte dal decreto legislativo n. 149 del 2011 in materia di meccanismi sanzionatori e premiali relativi agli enti territoriali, si rappresenta che le regole del patto di stabilità interno introdotte dal citato decreto legislativo non saranno più operative dall'anno 2014, atteso che i meccanismi incentivanti saranno regolati dall'articolo 31 della legge n. 183 del 2011.
   12 – pianificare una riforma strutturale e stabile nel tempo del patto di stabilità interno, che preveda l'equilibrio di bilancio come unico vincolo, l'esclusione dal computo delle spese senza debito e con risorse autonome per favorire gli enti virtuosi, l'adozione, anche tra più Regioni, del patto di stabilità integrato al fine di migliorare il coordinamento della finanza territoriale.
  Al riguardo si fa presente che le modifiche richieste potranno essere accolte laddove siano individuate le risorse finanziarie necessarie per dar seguito alle iniziative in esame, In particolare, si segnala che il rinvio all'anno 2015 del cosiddetto patto regionale integrato (articolo 32 della legge n. 183 del 2011), come previsto dal disegno di legge di stabilità per l'anno 2014, è stato disposto per favorire la definizione di un sistema stabile di regole del patto di stabilità interno, comune a tutti gli enti territoriali, con la relativa adozione del saldo eurocompatibile sia da parte delle Regioni che degli enti locali, che non potrà essere rimesso ad autonome scelte regionali, ma sarà reso obbligatorio con apposito intervento legislativo.
   13 – a completare il processo di riforma federalista superando definitivamente il sistema di finanza derivata in ragione di una piena autonomia finanziaria delle regioni e degli enti locali, senza aumentare la pressione fiscale complessiva garantendo certezza di risorse, e promuovendo lo sviluppo economico locale anche attraverso l'implementazione di nuovi ed appositi strumenti in grado di supportare le amministrazioni locali nel processo di acquisto dei beni e dei servizi al fine di attuare efficienti revisioni di spesa;
   14 – a verificare il motivo della mancata emanazione dei Dpcm che completano il percorso del federalismo demaniale previsto dal decreto legislativo 28 maggio 2010 n. 85, relativo all'attribuzione alle autonomie territoriali di un proprio patrimonio, alla luce della priorità che va assegnata ad una decisa azione di riduzione del debito pubblico.

  Con riguardo alla mancata emanazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri che completano il percorso del federalismo demaniale previsto ai sensi del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, si fa presente che il medesimo decreto legislativo delinea un articolato processo di individuazione e attribuzione dei beni del demanio e del patrimonio immobiliare dello Stato agli Enti territoriali, la cui attuazione, a seconda della tipologia dei beni trasferibili, è affidata a specifici decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri.
  Il processo di trasferimento si articola in fasi distinte, che prevedono, a seconda della natura del bene trasferibili o da escludere dal trasferimento, un decreto di ricognizione (come nel caso dei beni trasferibili «ope iuris») ovvero un decreto di previa individuazione dei beni, da trasferire successivamente su domanda agli enti territoriali con un ulteriore provvedimento. Giova innanzitutto evidenziare che la tempistica del processo, come scandita dal decreto legislativo n. 85 del 2010, prevede tempi massimi di ottemperanza delle diverse prescrizioni, e non tiene Pag. 50conto dei tempi tecnici di pubblicazione in Gazzetta dei vari provvedimenti attuativi. Peraltro la necessità della concertazione in sede di Conferenza unificata, ai fini dell'acquisizione delle prescritte intese ovvero dei pareri, ha comportato una dilatazione dei tempi del procedimento.
  Pertanto, per agevolare l'attuazione del predetto decreto legislativo n. 85 del 2010, relativamente ai soli beni immobili di cui all'articolo 5, commi 1, lettera e), e 4, del decreto medesimo, facenti parte del patrimonio disponibile e beni già in uso e non più necessari alle finalità del Ministero della difesa), di recente le disposizioni recate dall'articolo 56-bis del decreto legge n. 69/2013 hanno introdotto procedure semplificate per il loro trasferimento in proprietà, a titolo non oneroso, a comuni, province, città metropolitane e regioni.
  Dette norme pongono, facendo salvezza di alcune finalità, tempi certi di trasferimento agli enti territoriali che, a decorrere dal 1o settembre ed entro il 30 novembre 2013, devono presentare all'Agenzia del demanio apposita richiesta di attribuzione a cui consegue da parte dell'Agenzia l'accoglimento o meno una volta verificati i presupposti prescritti dalla legge. Si fa presente che tali disposizioni sono in fase avanzata di attuazione e che ad oggi sono numerose le richieste pervenute dagli enti territoriali e in alcuni casi è stato già adottato il provvedimento di trasferimento. Un resoconto puntuale dell'operazione potrà essere fatto entro la fine dell'anno.
  15 – a cambiare l'approccio allo strumento dell'addizionale IRPEF da parte di regioni e comuni, oggi troppo spesso usata forzatamente per compensare carenze di bilancio, laddove dovrebbe invece costituire uno strumento attraverso il quale gli enti locali e territoriali costruiscono in autonomia un sistema di detrazioni atte a favorire e sostenere le categorie sociali più deboli o meritevoli di tutela.
  Attualmente le Regioni, in base all'articolo 6, comma 5, del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, possono disporre, con propria legge, detrazioni in favore della famiglia, maggiorando le detrazioni previste dall'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 ed adottare misure di sostegno economico diretto, a favore dei soggetti IRPEF, il cui livello di reddito e la relativa imposta netta, calcolata anche su base familiare, non consente la fruizione delle detrazioni fiscali. Per quanto concerne l'addizionale comunale all'IRPEF, ai sensi dell'articolo 1, comma 3-bis, del decreto legislativo 28 settembre 1998, n. 360, i comuni possono stabilire una soglia di esenzione in ragione del possesso di specifici requisiti reddituali.
   16 – ad assumere iniziative per ripristinare il dettato del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario), con particolare riferimento alla compartecipazione regionale Iva le cui modalità di attribuzione siano stabilite in conformità con il principio di territorialità;
   17 – assumere iniziative volte abrogare l'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, in quanto interviene in contrasto con l'articolo 119 della Costituzione, accentrando la gestione delle tesorerie di Regioni ed enti locali.

  Al riguardo si fa presente che la Corte Costituzionale si è già pronunciata con la sentenza n. 311 del 2012 dichiarando non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 35 del decreto-legge n. 1 del 2012, promosse dalle Regioni, con riferimento agli articoli 3, 117, terzo e quarto comma, 118, primo e secondo comma, e 119 della Costituzione.
  Infatti, ad avviso della Corte costituzionale, il predetto articolo 35, nel prevedere la temporanea applicazione alle Regioni ed enti locali del regime di tesoreria unica di cui all'articolo 1 della legge n. 720 del 1984, senza vincolare o limitare la disponibilità delle somme, né incidere sulla loro destinazione, produce l'effetto immediato di riversare liquidità nelle tesorerie erariali, al fine di ridurre il fabbisogno finanziario, Pag. 51ovvero l'ammontare per cui lo Stato deve, o ha già dovuto ricorrere all'indebitamento mediante l'emissione di titoli. Il sistema di tesoreria unica è, pertanto, uno strumento essenziale per assicurare il contenimento del fabbisogno finanziario dello Stato.
  Alla luce di quanto sovraesposto la richiesta non può essere accolta.
   18 – a verificare lo stato di attuazione di tutti i decreti legislativi approvati, comprensivi degli atti amministrativi previsti, al fine di definire un percorso per la loro reale definitiva entrata in vigore.

  In proposito, si concorda sulla necessità di verificare la concreta attuazione dei decreti emanati.

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