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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 39 di lunedì 24 giugno 2013

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI

  La seduta comincia alle 12.

  RICCARDO FRACCARO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 21 giugno 2013.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Alfreider, Amici, Archi, Baretta, Berretta, Bocci, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Bray, Brunetta, Caparini, Capezzone, Carinelli, Carrozza, Casero, Castiglione, D'Alia, Dambruoso, De Girolamo, Dell'Aringa, Dellai, Di Lello, Epifani, Gianni Farina, Fassina, Ferranti, Fico, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Alberto Giorgetti, Grimoldi, Kyenge, Legnini, Letta, Lombardi, Lorenzin, Lupi, Merlo, Migliore, Orlando, Pisicchio, Pistelli, Realacci, Rigoni, Sani, Santelli, Simoni e Tancredi sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantatré, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

  Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio della presentazione di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissioni in sede referente (ore 12,05).

  PRESIDENTE. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha presentato alla Presidenza, con lettera in data 21 giugno 2013, il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e V (Bilancio): «Conversione in legge del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia» (1248) – Parere delle Commissioni II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), III, IV, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, VIII, (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), IX, X (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), XI, XII, XIII e XIV.
  Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Annunzio di petizioni (ore 12,06).

  PRESIDENTE. Invito il deputato segretario a dare lettura delle petizioni pervenute alla Presidenza, che saranno trasmesse alle sottoindicate Commissioni.

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  RICCARDO FRACCARO, Segretario, legge:
   PAOLO ROMANO, da Siracusa, e numerosi altri cittadini chiedono l'attribuzione di forme di autogestione amministrativa alla comunità di Cassibile-Fontane Bianche, in comune di Siracusa (117) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
   WANDA GUIDO, da Penna in Teverina (Terni), chiede:
    provvedimenti a tutela della libertà di espressione su Internet (118) – alle Commissioni riunite VII (Cultura) e IX (Trasporti);
    la riduzione del numero e del trattamento economico dei parlamentari e altre misure per il contenimento dei costi della politica (119) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
   EMILIO MANAÒ, da Rimini, chiede:
    l'incandidabilità in tutte le istituzioni degli esponenti dei settori cooperativo e bancario (120) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
    norme costituzionali per garantire l'imparzialità dei presidenti delle Commissioni parlamentari (121) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
    norme diverse a tutela dei diritti delle persone omosessuali (122) – alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e II (Giustizia);
   MORENO SGARALLINO, da Terracina (Latina), chiede:
    norme per il coinvolgimento di capitali privati nella conservazione e valorizzazione dei beni culturali museali, con la possibilità della cessione delle relative opere, fermo restando l'obbligo di esposizione nei musei stessi (123) – alla VII Commissione (Cultura);
    modifiche alla disciplina dell'otto e del cinque per mille, in materia di scelte non espresse e di controllo dell'uso delle risorse devolute (124) – alla V Commissione (Bilancio);
   GAETANO VICARI, da Enna, chiede norme per il riconoscimento anche economico e la tutela del lavoro casalingo (125) – alla XI Commissione (Lavoro);
   ROBERTO CASANOVA, da Trieste, chiede nuove norme in materia di riscatto previdenziale dei periodi di frequenza dei corsi universitari (126) – alla XI Commissione (Lavoro);
   MARIELLA CAPPAI, da Monserrato (Cagliari), chiede la regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso (127) – alla II Commissione (Giustizia);
   SEBASTIANO CATALANO, da Palermo, chiede che sia eliminato il tetto massimo dell'indennità onnicomprensiva spettante al lavoratore in caso di illegittima conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato (128) – alla XI Commissione (Lavoro);
   MARINO SAVINA, da Roma, chiede:
    nuove norme in materia di poteri di delega e responsabilità extracontrattuale (129)alla II Commissione (Giustizia);
    l'adozione di divise uniformi per gli appartenenti alle diverse Forze dell'ordine nello svolgimento dei servizi di controllo del territorio (130)alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e IV (Difesa);
    norme in materia di utilizzo di intercettazioni ambientali e di tutela dell'anonimato di chi presenta esposti a ordini professionali (131)alla II Commissione (Giustizia);
   RODOLFO ROMANO, da Napoli, chiede norme per il conferimento dell'onorificenza di cavaliere della Patria e per la concessione di un vitalizio agli ex combattenti della Seconda guerra mondiale e della guerra di liberazione (132)alla IV Commissione (Difesa);
   PASQUALE DE MAIO, da Genova, chiede misure economiche a favore degli invalidi e interventi per contrastare il fenomeno dei falsi invalidi (133) – alla XII Commissione (Affari sociali);
   FRANCESCO DI PASQUALE, da Cancello e Arnone (Caserta), chiede:
    provvedimenti contro il diffondersi della povertà e del disagio sociale (134) – alla VII Commissione (Cultura);Pag. 3
    la riduzione del trattamento economico dei parlamentari, dei membri del Governo e dei dirigenti pubblici (135) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
    iniziative per promuovere la diffusione dei princìpi di convivenza civile, del senso dello Stato, del rispetto del sentimento religioso e dei diritti umani (136)alla I Commissione (Affari costituzionali);
    misure a tutela dell'ambiente (137) – alla VIII Commissione (Ambiente);
    interventi per garantire il diritto all'abitazione per le famiglie (138)alla VIII Commissione (Ambiente);
    iniziative per promuovere lo studio della storia d'Italia e l'insegnamento delle regole della buona educazione nelle scuole (139) – alla VII Commissione (Cultura);
    interventi per incentivare il ritorno dei giovani all'agricoltura (140) – alla XIII Commissione (Agricoltura).

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Ferranti ed altri; Costa: Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili (A.C. 331-927-A) (ore 12,10).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge nn. 331-927-A di iniziativa dei deputati Ferranti ed altri; Costa: Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili.
  Abbiamo almeno «reperito» il sottosegretario, questo ci fa piacere così possiamo iniziare i nostri lavori.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Annunzio di questioni pregiudiziali – A.C. 331-927-A)

  PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate la questione pregiudiziale di costituzionalità Molteni ed altri n. 1 e la questione pregiudiziale di merito Molteni ed altri n. 1 (Vedi l'allegato A – A.C. 331-927-A) che, non essendo state preannunziate in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo, saranno esaminate e poste in votazione, prima di passare all'esame degli articoli, nella seduta di domani.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 331-927-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle, Lega Nord e Autonomie e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Il relatore per la maggioranza, onorevole Costa, ha facoltà di svolgere la relazione.

  ENRICO COSTA, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, questo provvedimento, chiaramente, è un provvedimento sul quale la Camera si è già espressa in una circostanza e devo dire che il testo che oggi è all'attenzione del Parlamento, all'attenzione della Camera, si discosta poco da quello che era già stato approvato nella precedente legislatura. Si discosta nella parte in cui numerose audizioni ci hanno fatto percepire che talune criticità, taluni aspetti, talune norme fossero da registrare e, in particolare, che l'impianto di alcune norme – parlo, per esempio, di quelle relative alla delega sulla detenzione domiciliare – per avere un'efficacia che fosse un'efficacia sostanziale avesse bisogno di essere commisurato, collegato ad una pena edittale diversa rispetto a quella che era prevista nel precedente provvedimento.
  Innanzitutto, chiediamoci quali sono gli obiettivi di questo provvedimento. Abbiamo, da un lato, l'obiettivo di far fronte Pag. 4ad una criticità da tutti riconosciuta, che è quella del sovraffollamento carcerario; abbiamo, dall'altro lato, quello di far fronte alla problematica di intasamento pesantissimo dei tribunali.
  Partiamo dalla prima problematica, che è riassumibile in alcuni numeri: ci sono oltre 65 mila detenuti nelle carceri del nostro Paese e, di questi 65 mila detenuti, ben 25 mila sono in una situazione di custodia cautelare.
  Penso che questo provvedimento costituisca il primo capitolo di un intervento che attiene ai condannati in via definitiva. Il secondo capitolo, che dovrà assolutamente essere portato all'esame del Parlamento, atterrà, invece, a quei 25 mila detenuti in custodia cautelare: metà di questi 25 mila devono ancora vedere pronunciata nei loro confronti la sentenza di primo grado. Si tratta di aspetti che sono toccati dalla nostra Costituzione. La presunzione di innocenza è un principio fondamentale che fa a pugni con questi numeri. Ma qui siamo al secondo capitolo.
  Il primo aspetto, che questo provvedimento vuole affrontare, attiene alle persone che vengono condannate con sentenza definitiva e che entrano nel circuito carcerario del nostro Paese. Dobbiamo avere alcuni punti di riferimento, alcuni punti cardinali nell'affrontare questo testo. Quali sono questi punti cardinali ? Sono l'aspetto repressivo che deve avere la pena, l'aspetto social-preventivo della pena, l'aspetto legato alla tutela della persona offesa dal reato e l'aspetto, però, legato al recupero della persona che entra nel sistema carcerario.
  Mi ricollego quindi all'aspetto che ho evidenziato prima, quello della custodia cautelare in carcere: noi abbiamo un sistema carcerario promiscuo, che non consente di distinguere, anche nell'ambito delle celle, le persone che sono in attesa della sentenza di primo grado e le persone che sono state colpite da una sentenza definitiva nei loro confronti. Abbiamo persone che rimangono in carcere tre, quattro o cinque giorni per uscire, poi, immediatamente con il cosiddetto fenomeno delle porte girevoli. Questo è sicuramente un aspetto fondamentale, perché, se riuscissimo a risolvere il problema di quei 25 mila, molto probabilmente non ci troveremmo con l'emergenza del sistema carcerario.
   Ebbene, la pena deve recuperare e rieducare il condannato: lo dice la nostra Costituzione e lo dicono tutti i principi di civiltà giuridica. Oggi, nelle carceri del nostro Paese, questo non è possibile. La delega presente nel provvedimento, che oggi è all'attenzione del Parlamento, afferma una cosa semplicissima: il giudice può scegliere e può commisurare la pena in base ad alcuni principi previsti dall'articolo 133 del codice penale, e può stabilire se una persona, che è condannata per un reato sanzionato con una pena edittale fino a sei anni, deve andare in carcere oppure agli arresti domiciliari.
  Il testo, anche se si tratta di una delega, è molto preciso e molto puntuale, è un testo che dirige il Governo su binari ben definiti. Vi erano alcuni aspetti indeterminati, alcuni aspetti di delega troppo generici, che sono stati stralciati dal testo, anche su consiglio della Commissione affari costituzionali e anche – devo dire – di coloro che avevano toccato questo aspetto nella loro pregiudiziale di costituzionalità. Ebbene, cosa dicono le norme ?
  Le norme stabiliscono che vanno previsti, da parte del Governo, tra le pene principali, la reclusione e l'arresto presso l'abitazione del condannato o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza, accoglienza. Questo è un aspetto fondamentale: non è più il giudice dell'esecuzione a stabilire che si può andare agli arresti domiciliari, ma il giudice della cognizione.
  Le norme prevedono anche che, per i delitti puniti con la reclusione fino a sei anni, il giudice tenga conto dei criteri indicati all'articolo 133 del codice penale per applicare la reclusione presso il domicilio: anche qua il giudice fa una valutazione.
  Nella scorsa legislatura, il testo del Governo che ci era stato presentato dal Ministro Severino aveva affrontato l'argomento in una chiave prospettica diversa: Pag. 5stabiliva che, per i reati fino a quattro anni, ci fosse l'automatismo della pena detentiva domiciliare. Ebbene, ci fu un grosso dibattito in Commissione sotto questo profilo, tra coloro che ritenevano che fosse necessario che il giudice fosse obbligato a mandare agli arresti domiciliari una persona condannata per un reato con pena edittale non superiore a quattro anni e coloro che, invece, ritenevano che la discrezionalità e la valutazione di ciò che dovesse essere più giusto nel caso concreto dovesse rimanere al giudice.
  Ebbene, abbiamo scelto questa seconda strada e, proprio per avere scelto questa seconda strada, è stata stralciata la norma che delegava al Governo la possibilità di escludere determinati reati dal novero di coloro ai quali potesse essere applicata la detenzione domiciliare. È il giudice il perno dell'azione.
  Io sono sempre stato tifoso di una scelta che togliesse la discrezionalità o la troppa discrezionalità al giudice per quel che attiene alle fattispecie, soprattutto, penali. Ritengo che sia giusto che il legislatore si assuma le sue responsabilità con norme che rispettino un criterio di tassatività, che siano puntuali e precise, che consentano all'interprete di capire ciò che è lecito e ciò che è illecito, che non lascino alla giurisprudenza la possibilità di dare delle interpretazioni magari diverse da tribunale a tribunale e che non lascino tutti con il fiato sospeso in attesa della pronuncia delle sezioni unite della Cassazione.
  Ma qua la situazione è molto diversa, perché ciò che avviene nel caso concreto – la personalità dell'imputato, la personalità del condannato – deve venire in rilievo e la conosce il giudice. Il legislatore, in questo caso, stabilisce però dei paletti molto chiari per il Governo: stabilisce che queste disposizioni non si applichino in determinate situazioni, previste dagli articoli 102, 103, 104, 105 e 108 del codice penale, cioè a coloro che hanno dato dimostrazione di fare dell'attività delinquenziale il loro stile di vita.
  Questo è un aspetto essenziale della norma, ma c’è di più: il giudice potrà sostituire la detenzione domiciliare con la detenzione in carcere quando il comportamento del condannato sia contrario alla legge o alle prescrizioni che sono state dettate.
  Vi è di più ancora: si applica il regime giuridico dell'evasione, ex articolo 385 del codice penale, qualora l'imputato, qualora il condannato, non si adegui e violi le prescrizioni degli arresti domiciliari.
  E qua siamo alla lettera h) della delega. Ci sono, poi, due riferimenti sui quali però vorrei, diciamo, al termine della discussione, una interlocuzione con il Governo. Perché ? Perché si parla di coordinamento, sono due norme che recitano che il Governo deve coordinare questa disciplina con altre discipline.
  Ebbene la lettera l), articolo 1, comma 1, recita: «coordinare la disciplina delle pene detentive non carcerarie con quella delle misure alternative alla detenzione previste dal vigente ordinamento penitenziario (...)». Ebbene, non voglio essere facile profeta ma non vorrei che domani pomeriggio o domani sera, poche ore dopo l'emanazione del decreto annunciato, e che noi conosciamo solo attraverso le pagine dei giornali, questi problemi di coordinamento diventino non solo problemi di coordinamento legati alla delega ma diventino problemi di regolazione del traffico tra il decreto e la delega e avremo magari in Commissione giustizia in una mano la delega da riformulare, nell'altra il decreto da adeguare.
  Ecco, questo è un aspetto fondamentale; non entro nel merito delle scelte del Governo che hanno portato ad applicare e a porre in essere un provvedimento di necessità ed urgenza quando in Aula c’è un provvedimento in fase molto avanzata con una corsia preferenziale, non entro nel merito perché penso che nella relazione al decreto-legge ci saranno indicate in modo chiaro, preciso e puntuale quelle che sono le ragioni di necessità ed urgenza.
  Devo dire che da alcuni giorni questa urgenza sta incalzando sui giornali e devo dire che se veramente c’è urgenza sarebbe bene che questo provvedimento vedesse Pag. 6finalmente la luce. Però sono convinto che ci saranno indicate quelle che sono le ragioni di necessità ed urgenza. Sicuramente sono materie diverse perché una attiene alla cognizione l'altra attiene alla esecuzione, però è chiaro che i confini sono piuttosto labili ed è giusto, ed è bene che vengano chiariti.
  Passiamo poi al tema della «messa alla prova». Ebbene, abbiamo detto che c’è l'obiettivo di far fronte alla criticità, oggi, del sovraffollamento carcerario; su questo voglio ancora dire una parola. Un aspetto fondamentale del nostro sistema carcerario, l'abbiamo detto, dovrebbe essere legato al recupero della persona. Ma per far recuperare, per recuperare una persona che ha sbagliato, per fare in modo che possa essere reinserita nella società, nel tessuto sociale, non dobbiamo lasciare questa persona, che entra in un carcere, a poltrire dal mattino alla sera senza lavorare, altrimenti noi non riusciremo a recuperare un bel niente ! Noi abbiamo delle norme che dovrebbero incentivare le aziende esterne ad operare all'interno delle mura carcerarie, dovrebbero cioè fare in modo che tante persone imparino una professione, imparino un'arte e possano poi sfruttarla all'esterno; ma noi abbiamo percentuali, di detenuti che lavorano del 2, 3, 4, 5 per 100 soltanto, ma attenzione questo 2, 3, 4, 5 per 100 non lavora alle dipendenze di ditte esterne che possono insegnare una professione o un'arte, lavora alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria svolgendo delle attività che molto raramente possono consentire di apprendere un lavoro, apprendere delle tecniche da portarsi all'esterno.
  Bene, anche sotto questo profilo dobbiamo lavorare; dobbiamo operare prima di tutto attraverso dei padiglioni che siano migliori perché è chiaro che un imprenditore che ha un'azienda esterna deve poter essere messo nelle condizioni di introdurla all'interno di un carcere per far lavorare.
  Già non è semplice: ci sono controlli, c’è burocrazia; chiaramente una cosa è avere un capannone in un'area industriale, altra è introdurlo all'interno di un padiglione carcerario, e i nostri sono tutti molto vecchi e molto difficili da adeguare. Ma poi non ci sono neanche le norme, né burocratiche né di incentivo, per consentire a queste persone di introdursi nelle carceri.
  Ciò per dire che non voglio considerare quello in esame un provvedimento tampone, bensì un seme in un terreno che gli consentirà di germogliare attraverso tutta una serie di temi, da quello della custodia cautelare a quello del lavoro delle carceri, a tutta una serie di aspetti che rendano il disegno organico. Questo vorrei sentire dal Ministro, questo è quello che consente a noi in molte circostanze anche di giustificarne l'utilità; e di giustificarla anche di fronte agli amici che nutrono dei dubbi, e che li hanno manifestati con preparazione e civiltà nell'ambito dei lavori della Commissione.
  Mi spingo ora a parlare dell'altro profilo, quello della messa alla prova. Il profilo della messa alla prova attiene secondo me anche ad un percorso che abbiamo avviato fin dalla scorsa legislatura: l'onorevole Ferranti ha lavorato molto in proposito. Quali sono questi temi ? Sono quello di valutare se in determinate circostanze non ci possa essere una anticipazione di tutela, che consenta di evitare di intasare i tribunali, affrontando il rapporto tra il sistema giustizia e la persona che è indagata per vedere se questa persona ha sbagliato una tantum, oppure se è un delinquente che è giusto che venga perseguito, è giusto che venga condannato e che paghi la sua pena.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  ENRICO COSTA, Relatore per la maggioranza. Questo è lo spirito della messa alla prova: un'anticipazione del rapporto, un programma di trattamento, un'attività di pubblica utilità, un'attività di volontariato, un controllo molto preciso da parte dell'amministrazione. E dobbiamo ringraziare coloro che sono venuti in audizione e ci hanno spiegato le varie sfaccettature del problema. Perché è facile scrivere una norma, è difficile poi eseguirla; ci vogliono Pag. 7degli uffici, ci vogliono dei controlli, ci vogliono delle dinamiche che spero siano meno burocratiche possibile e più finalizzate a valutare la radice del problema: vedere se una persona si può considerare recuperata, o soprattutto se una persona si possa considerare non meritevole di entrare nel «tritacarne» della giustizia, perché nella sua attività di volontariato, nella sua attività di pubblica utilità ha dimostrato di essere una persona che può avere sbagliato, può essere stata accusata di aver sbagliato, ma c’è ancora un passaggio in più perché entri nel «tritacarne giudiziario».

  PRESIDENTE. Siamo ampiamente oltre.

  ENRICO COSTA, Relatore per la maggioranza. Sicuramente la collega Ferranti, che è stata molto puntuale nella sua azione come presidente della Commissione, come relatrice potrà spiegare anche di più nel dettaglio il provvedimento.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la relatrice per la maggioranza e presidente della Commissione giustizia, onorevole Ferranti.

  DONATELLA FERRANTI, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, molto già è stato espresso dal collega correlatore, onorevole Costa. Anticipo tra l'altro, dato che il provvedimento è molto complesso, perché in realtà è un provvedimento che assorbe altri tre provvedimenti legislativi nel proprio interno, il deposito di una relazione compiuta e dettagliata in materia. Ciò mi consente quindi di andare per flash, e cercare di battere su quei punti che per noi relatori sono fondamentali nell'ambito di questo provvedimento, che sostanzialmente riprende il testo che è già stato approvato dall'Assemblea della Camera nella scorsa legislatura, il 14 dicembre 2012.
  È stato ripresentato all'inizio di questa legislatura ed è stato avviato in Commissione giustizia il 21 maggio per concludersi poi il 20 giugno. Non è più l'identico testo, come accennava l'onorevole Costa, perché la Commissione tutta si è fatta carico di approfondire alcuni temi, verificare che in realtà, oltre che un cambiamento di ottica, ci fosse anche un'effettiva incidenza poi del provvedimento anche sul sovraffollamento carcerario oltre che sulla deflazione del sistema penale. Quindi un notevole apporto è stato dato anche dalle audizioni, da tutti coloro che sono stati sentiti, come risulta appunto dalla relazione scritta che deposito, e un ulteriore apporto è stato dato dall'ampio dibattito che si è svolto in Commissione.
  Vorrei precisare subito, questa volta più in veste di presidente della Commissione anziché di correlatore, che tutti i gruppi hanno dato un contributo concreto e fattivo al miglioramento del testo; naturalmente vi sono state prese di posizione diverse che hanno visto soprattutto i gruppi della Lega e del MoVimento 5 Stelle opporsi a molte soluzioni adottate nel testo, ma questo è avvenuto sempre – lo voglio sottolineare – in un clima di leale confronto parlamentare del quale volevo ringraziare i deputati dei gruppi che non hanno condiviso il testo ora in esame.
  Il provvedimento, come diceva l'onorevole Costa, è storico, se il Parlamento questa volta – mi auguro – Camera e Senato riusciranno ad approvarlo, perché ripensa il sistema delle pene in una chiave diversa che in qualche modo tiene conto del primo atto di ottemperanza, sarebbe la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 9 gennaio scorso, che ci ha condannati per il problema del sovraffollamento carcerario, ma ha imposto al nostro Paese di dotarsi, entro un anno dal passaggio in giudicato della sentenza, di misure generali volte a superare e ovviare ai problemi strutturali di violazione dell'articolo 3 della CEDU.
  Le nuove norme mirano proprio a individuare una giusta proporzione della sanzione penale, della sua modalità di esecuzione in relazione al bene violato, alla gravità del comportamento in concreto e alla pericolosità sociale dell'imputato; ma ciò non basta proprio perché il cambiamento di ottica è che, pur non Pag. 8essendoci nessuno sconto di pena, nessun indulto e nessuna amnistia mascherata e nessun autonomismo, vi sarà una pena principale alternativa a quella della reclusione in carcere, quindi una detenzione non carceraria come pena principale, che verrà applicata dal giudice della cognizione anziché da quello della sorveglianza, sulla base di una valutazione che non è arbitraria ma è parametrata a tutti quegli indici di valutazione che sono contenuti nell'articolo 133 del codice penale, che si riferiscono alla pericolosità del reo, alla gravità del reato e alle condizioni anche ambientali in cui si è verificato il comportamento illecito.
  Quindi la pena alternativa al carcere, nella delega che è contenuta all'articolo 1, diventerà una pena principale per determinati reati e questo consentirà anche di eliminare quegli inutili passaggi di porte girevoli che esistono attualmente e che sono dannosi e costosi per la collettività. Certo, rimane in piedi il regime della detenzione domiciliare, quella che è prevista dal codice, anzi dall'ordinamento penitenziario, dalla legge 26 luglio 1975, n. 354, che disciplina altra tipologia di detenzione domiciliare che viene concessa in fase di esecuzione della pena, e su questo ovviamente nella delega c’è la necessità di un coordinamento. Non bisogna fare confusione tra i due piani perché invece questa delega si riferisce a quei reati che hanno un massimo di pena in astratto non superiore a sei anni; questo lo voglio ribadire con fermezza perché ho letto anche in questi giorni, anche su quotidiani a tiratura nazionale che si occupano molto di giustizia, cose sostanzialmente aberranti, cioè che questa delega consentirebbe a chi è punito per mafia di andarsene tranquillamente ai domiciliari.
  In realtà, questa delega si riferisce, con riguardo alla pena alternativa della reclusione in carcere, quindi della reclusione non in carcere, soltanto a quei reati che, in astratto, hanno una pena massima non superiore a sei anni. Sappiamo che tutti i reati gravi e gravissimi hanno pene molto, ma molto superiori, a partire da quelli previsti dagli articoli 416-bis o 416 semplice, quali la rapina, l'estorsione e così via.
  Ma non è solo questo il punto, in quanto – diceva l'onorevole Costa – abbiamo poi cercato di restringere, di rispondere a ogni ipotesi di accusa di genericità della delega, eliminando anche quell'ipotesi, inserita inizialmente nell'emendamento governativo, cioè la possibilità di escludere fattispecie di reato, a cui non applicare l'alternativa della pena detentiva non carceraria; ipotesi di reato che potevano essere individuate sul principio del grave allarme sociale.
  Ora, si è ritenuto che, in realtà, il principio cardine di questo provvedimento, che poi doveva essere – come è stato ben detto anche dal collega Costa – il primo passo, è quello di non ripetere errori che sono stati compiuti in passato, cioè ripetere l'applicazione del principio dell'automatismo. Questo automatismo, che vale per la legge «ex Cirielli» e per le misure cautelari, non deve valere perché ogni reato e ogni persona che lo commette deve avere una valutazione che è rapportata alla pericolosità sociale in concreto.
  Quindi, proprio per questo, abbiamo acceduto a quella osservazione che, peraltro, aveva fatto la Commissione Affari costituzionali, in base alla quale c’è un principio per cui questi reati, puniti fino a sei anni di pena massima in astratto comminabile, hanno un'alternatività di pena tra reclusione in carcere e reclusione ai domiciliari, laddove si ritiene che, per quei reati, c’è una soglia di equivalenza nel grave allarme sociale perché il legislatore ha ritenuto che quei reati siano punibili, nel massimo, fino a sei anni. Allora, in concreto, dovrà decidere per gli arresti domiciliari, o meno, in relazione alla situazione concreta, il giudice della cognizione nel momento e con la rigorosa applicazione di tutti quei parametri – che poi, magari, avremo modo nel corso della discussione non solo oggi, ma anche più avanti di andare a leggere – di cui all'articolo 133 del codice penale, che consentono di applicare il principio costituzionale, Pag. 9cioè la proporzionalità della pena in relazione alla personalità dell'imputato, in questo caso del condannato.
  C’è tutta una serie di normative che vanno nel senso della tutela della vittima del reato, della tutela della sicurezza e della tutela quindi anche della meritevolezza del principio.
  Credo che questo provvedimento sia particolarmente innovativo: devo dire che ci siamo fatti carico di rifare un percorso, insieme ai colleghi della Commissione giustizia, che era già iniziato nella scorsa legislatura e approvato, peraltro, quasi all'unanimità nell'Aula, quello dell'introduzione dell'istituto della messa alla prova. Qui veramente siamo – credo, in maniera molto convinta – nella giusta direzione. È un istituto ispirato alla probation di origine anglosassone, che, in realtà, è applicato in quasi tutti i Paesi europei, che è stato già conosciuto nel nostro ordinamento per il processo minorile e che ora si offre agli adulti, in relazione ai reati di minore gravità; qui il limite – anche qui correggo informazioni che abbiamo letto sulla stampa completamente errate – riguarda reati che hanno un massimo di pena in astratto fino a quattro anni e, in più, abbiamo aggiunto, all'esito delle audizioni e dei lavori parlamentari, i reati previsti dall'articolo 550, secondo comma, del codice di procedura penale che, già oggi, il legislatore ritiene di minore allarme, tanto che ne consente non solo la competenza al giudice monocratico, ma addirittura la citazione in via diretta, senza passare per il filtro all'udienza preliminare. E in questo caso, con un percorso, che sintetizzo, vagliato da un giudice, ma voluto dall'indagato, e, quindi, con il consenso dell'indagato, che vuole sottoporsi ad un programma di recupero. Si tratta di un programma che prevede, tra l'altro, in primis – e questo è un ulteriore emendamento che abbiamo presentato in sede di Commissione, un emendamento dei relatori dopo le audizioni – le riparazioni delle conseguenze dannose del reato, il risarcimento della parte offesa, se possibile, e poi un programma di lavori di pubblica utilità o anche di volontariato di rilevanza sociale. Alla fine di questo percorso, ben riuscito e ovviamente guidato e volontario e, quindi, con questa necessità e con questa volontà, che si ispira ad una giustizia riparativa ma anche riconciliativa con la società e con la collettività, per questi reati di non particolare allarme sociale si ottiene anche un beneficio che non è soltanto dell'indagato, cioè l'estinzione del reato, ma è anche della giustizia penale in genere, cioè dell'eccessivo carico penale che noi abbiamo e che non consente, molte volte, di garantire la durata ragionevole dei processi, soprattutto dei processi che necessitano di un impegno, sia investigativo sia dibattimentale, più importante. E, quindi, vi è una duplice volontà e un duplice scopo di questo istituto.
  Vi era un'ipotesi di delega anche in quel caso al Governo, contenuta nel «progetto Severino», che sia l'onorevole Costa sia io, già nella scorsa legislatura e con l'aiuto di tutti i colleghi parlamentari della scorsa legislatura e di questa legislatura, abbiamo tradotto in norme immediatamente precettive, proprio perché sia il Parlamento a varare un provvedimento che è una riforma di struttura e non una riforma basata sull'emergenza. È vero che in qualche modo, diciamo, dà una risposta indiretta al sovraffollamento carcerario, ma non è la risposta che vale oggi e poi si spegne, ma è una risposta che cerca di avviare la giustizia penale verso un percorso diverso, più conforme ai principi di civiltà democratica, più conforme ai nostri principi costituzionali, e che tiene anche conto delle esperienze positive che pure, si dirà, non si sono registrate in tutto il territorio nazionale ma che significativamente riguardano gli uffici di Milano, di Torino, di Firenze, di cui abbiamo recepito audizioni ed elaborati, e che sono, appunto, esperienze positive che riguardano il lavoro di pubblica utilità. E ciò è stato fatto proprio tenendo presente le buone prassi degli uffici giudiziari e le necessità di un raccordo nazionale, di un coordinamento nazionale, perché l'esperienza dei Paesi europei ci ha portato a verificare che questa tipologia di mediazione penale, Pag. 10di giustizia riparativa, ha maggiori e più proficui risultati nel momento in cui non è lasciata all'iniziativa dei singoli in sede locale, ma anche a un controllo e a un monitoraggio di cui si fa carico l'autorità centrale.
  E proprio su questo punto abbiamo battuto anche con un ulteriore emendamento – e che, quindi, ormai fa parte del testo – che farà sì che il Ministero dovrà anche verificare le necessità di adeguamento e di ristrutturazione, che non vuol dire ampliamento necessario degli organici e dell'UEPE. Significa ristrutturazione e riorganizzazione dell'ufficio penale dell'esecuzione esterna, che sarà chiamato a svolgere questo raccordo, appunto, di giustizia riparativa e che dovrà essere, quindi, organizzato adeguatamente. Chiediamo, quindi, al Ministro di farsi carico di questa necessità e di riferire alle Camere entro tre mesi e anche di elaborare un regolamento che, a livello nazionale, serva a regolamentare le convenzioni tipo, il quadro di convenzione tipo che i singoli presidenti di tribunale dovranno poi stipulare con gli enti territoriali, con l'ANCI, con la Caritas e con tutte le strutture che consentono di porre in essere questi percorsi, questi percorsi di lavori di pubblica utilità e che sono, poi, uno dei modi con cui si può essere messi alla prova e dare prova di un effettivo recupero e di un'effettiva volontà di riconciliazione e, quindi, di reinserimento nella società civile.
  L'altra parte – perché dicevo all'inizio che questo testo unificato ha in sé tre provvedimenti legislativi – riguarda il provvedimento nei confronti degli irreperibili. Sul punto io credo che anche qui ci si è messi al lavoro e la delega iniziale del Governo Severino è stata tradotta in un articolato, che dà seguito e dà risposta ad una serie di condanne che l'Italia ha avuto dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, per definire i casi di sospensione del processo quando non si riesca a reperire l'imputato e correlativamente i casi in cui invece si possa procedere anche in assenza dell'imputato medesimo, perché si è ragionevolmente certi che egli è a conoscenza del fatto che si sta procedendo. L'articolato è veramente molto tecnico e rimando alla relazione, ma vorrei dire che la disciplina si articola intorno ad alcune ipotesi: la conoscenza certa dell'udienza del processo – udienza preliminare o udienza dibattimentale –, conoscenza certa del procedimento che si ritiene si possa avere in base ad altri indici di conoscenza stessa. A queste ipotesi corrispondono tre situazioni: processo in assenza, processo in assenza ma con rimedi ripristinatori per l'imputato che dimostri l'incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo, sospensione del processo stesso. In caso di conoscenza certa da parte dell'imputato della celebrazione del processo (per aver ricevuto a mani la notifica dell'avviso di udienza o per altri indici da cui si evinca con certezza tale conoscenza), il processo prosegue in assenza dell'imputato che è rappresentato dal difensore. In caso di conoscenza presunta del processo per conoscenza certa del procedimento (per avere eletto domicilio, essere stato arrestato o fermato o aver nominato un difensore di fiducia), il processo prosegue in assenza dell'imputato, ammettendo però quest'ultimo a provare di non aver avuto conoscenza della celebrazione del processo e, in quel caso, ci sono delle norme di garanzia effettiva per cui all'imputato viene garantito il diritto a un giudizio di primo e di secondo grado, a seconda della rimessione in termini. Addirittura quando sia stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, il giudicato potrebbe essere rescisso e il processo riprendere con il dibattimento di primo grado. Quindi sono norme di sostanziale garanzia che non impediscono però anche lo svolgimento dei processi magari per strategie.

  PRESIDENTE. Onorevole Ferranti, la prego di concludere.

  DONATELLA FERRANTI, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, mi avvio alla conclusione. In caso di incertezza invece sulla conoscenza da parte dell'imputato del procedimento, vi è la sospensione Pag. 11del processo e, in caso di sospensione, il giudice dovrà disporre nuove ricerche almeno allo scadere di ogni anno. La sospensione sospende il corso della prescrizione, ma non potrà protrarsi per un periodo superiore ai termini massimi di prescrizione, decorsi i quali riprenderà a decorre il termine di prescrizione stessa. Non entro poi ulteriormente nel dettaglio perché i miei tempi sono finiti, ma anche con questa ultima parte del provvedimento, che magari è meno conosciuta, anche se importante, si è cercato di creare un giusto equilibrio tra svolgimento dei processi, conoscenza e partecipazione dell'imputato, e quindi garanzie di difesa, al fine di evitare, come ci è stato ricordato spesso dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, quei processi in contumacia dietro i quali molte volte non c’è l'effettiva conoscenza o comunque quella attivazione che deve esserci anche da parte dell'imputato e del suo difensore rispetto al corso ragionevole del processo e quindi della giustizia.

  PRESIDENTE. La ringrazio. È comunque autorizzata, sulla base dei criteri costantemente seguiti, a pubblicare in calce al resoconto della seduta odierna il testo integrale delle sue relazioni.

  DONATELLA FERRANTI, Relatore per la maggioranza. La ringrazio, signor Presidente.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, onorevole Molteni.

  NICOLA MOLTENI, Relatore di minoranza. Signor Presidente, intervengo in qualità di relatore di minoranza di questo provvedimento proprio perché abbiamo ritenuto opportuno formalizzare una relazione di minoranza per manifestare – lo facciamo oggi, lo abbiamo fatto in Commissione Giustizia e continueremo a farlo durante l'esame del provvedimento – la nostra assoluta contrarietà rispetto ad esso, ponendo in essere tutte le iniziative che sono consentite e che saranno consentite per bloccarlo.
  Questo provvedimento – che come è già stato ricordato – nasce nella passata legislatura, a fronte di un testo, il testo dell'ex Ministro Severino, poi approdato nell'Aula della Camera, approvato dalla Camera e poi fortunatamente bloccato al Senato.
  Questo provvedimento nasce dalla volontà e dall'esigenza del Governo e della maggioranza di affrontare, ma non risolvere, un problema, che è il problema del sovraffollamento delle carceri. Lo affronta ma non lo risolve proprio perché, con questo provvedimento, non si dà una risposta certa e esaustiva ad un problema, che è un problema reale, che è un problema serio e rispetto a questo testo noi contestiamo le modalità, contestiamo duramente le soluzioni proposte che, unitamente anche al decreto più volte annunciato e mai partorito da parte del Governo e del Ministro Cancellieri, dovrà essere lo strumento per poter affrontare il problema del sovraffollamento delle carceri.
  Questo – lo diciamo subito – è un provvedimento inutile per poter risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri, è un provvedimento fortemente dannoso, proprio perché nella sua applicazione vi sono alcuni principi che vengono fortemente minati, vi sono alcuni principi, alcuni valori, anche di natura costituzionale, che vengono fortemente peggiorati. E mi riferisco, in modo particolare, al tema della sicurezza: la sicurezza dei cittadini è un valore e un cardine fondamentale per il vivere comune dei nostri cittadini. Con questo provvedimento si danneggia e si peggiora fortemente la sicurezza dei cittadini.
  Ancora, con questo provvedimento si mistifica e si mortifica un principio fondamentale, un principio che spesso e volentieri è oggetto di enunciazione da parte di tutte le forze politiche, in modo particolare durante le campagne elettorali quando si parla di giustizia, che è il principio della certezza della pena, che è il principio dell'effettività e dell'efficacia della pena. Questo provvedimento lede fortemente questo strumento. È un provvedimento dannoso e sbagliato, rispetto al Pag. 12quale – ripeto – noi faremo una dura opposizione, porremo in essere tutti gli strumenti possibili per poter bloccare questo provvedimento. È un provvedimento che deve essere definito col suo nome naturale: questo non è un «salva carceri», questo è uno «svuota carceri», questo è un «salva delinquenti». Questo è un provvedimento che garantisce impunità per legge a chi commette reati e a chi commette reati di particolare allarme sociale.
  Io non accetto l'ipocrisia di chi afferma che, con questo provvedimento, si vanno ad applicare delle misure alternative alla detenzione, quindi la detenzione domiciliare o la messa alla prova, con riferimento a reati di minore allarme sociale o, peggio ancora, a reati bagatellari, perché affermare – poi lo espliciteremo e lo manifesteremo con degli emendamenti che abbiamo presentato – che i reati con pena fino a sei anni sono reati di minore impatto sociale e di minore gravità sociale è un'ipocrisia e una falsità che noi non accettiamo, proprio perché, nella platea dei reati con pena fino a sei anni – questo per quanto riguarda l'articolo 1 –, vi sono reati di gravissimo allarme sociale, reati, tra l'altro, che sono in abbondanza, reati che stanno aumentando soprattutto in questo momento. Mi riferisco, in modo particolare, ad esempio, al furto in abitazione, alla truffa, alla ricettazione, al reato di stalking, di cui si è parlato abbondantemente nelle scorse settimane nell'Aula di questo Parlamento con riferimento alle misure di contrasto alla violenza nei confronti delle donne. Quindi, sono reati gravissimi rispetto ai quali, approvando questo provvedimento, si manda esternamente un messaggio drammatico: «Commette tranquillamente dei reati, commettete tranquillamente reati di grave allarme sociale, tanto vi sarà la possibilità di non pagare e di non scontare la pena in carcere».
  Questo provvedimento rappresenta due fatti. Rappresenta una resa incondizionata dello Stato di fronte alla criminalità, in un momento in cui lo Stato deve e dovrebbe porre in essere misure per contrastare quei fenomeni di criminalità sempre più dirompenti nelle nostre famiglie e nelle nostre città: lo Stato manda un messaggio diverso, un messaggio sbagliato di resa e di abbandono incondizionato della necessità di garantire sicurezza ai propri cittadini.
  E lancia un altro messaggio sbagliato: questo provvedimento è la certificazione ed è la prova provata del fallimento di tutte le misure che sono state adottate negli ultimi anni, in modo particolare dal 2006 in poi. Ricordo il 2006 perché fu l'anno in cui venne approvato nell'aula della Camera la legge 1 luglio, 2006, n. 241 ovvero l'indulto, provvedimento che non ha assolutamente portato i benefici sperati rispetto al problema del sovraffollamento delle carceri. Ebbene questo provvedimento è la certificazione che tutte quelle norme, tutte quelle leggi che sono state approvate dal 2006 in poi, dall'indulto del Governo Prodi alla legge n. 199 del 2010 del Ministro Alfano (provvedimento peraltro i cui impatti, i cui effetti sono stati fortemente ridotti grazie ai paletti e all'intervento della Lega) al disegno di legge Severino, sono tutti provvedimenti che non hanno assolutamente risolto il problema del sovraffollamento delle carceri e anche il provvedimento in esame non risolverà il problema del sovraffollamento delle carceri.
  Abbiamo contestato duramente durante il dibattito in Commissione gli emendamenti che sono stati presentati, in particolare l'emendamento del Governo, su cui credo sia opportuno fare alcune considerazioni anche perché rispetto alle contestazioni che noi avevamo mosse alla delega al Governo di poter valutare la possibilità di escludere alcuni reati, contestandone la natura incostituzionale, essendo una norma penale in bianco, guarda caso la Commissione Affari costituzionali ha dato ragione alla Lega tant’è che quella norma è stata stralciata ed è stata tolta. Noi in quel dibattito abbiamo ricevuto pesanti critiche per aver contestato la natura di quella norma. Oggi la Commissione Affari costituzionali dà ragione alla Lega. Segno che il Governo nella presentazione di quell'emendamento ha avuto un atteggiamento direi superficiale o di leggerezza, Pag. 13per non dire di puro dilettantismo giuridico tant’è che oggi quella norma è stata stralciata. Quindi norma peggiorata, legge profondamente peggiorata dall'emendamento del Governo, che porta da quattro a sei anni il limite di pena di applicazione delle misure detentive non carcerarie. Provvedimento fortemente peggiorato anche dall'emendamento dei relatori per quanto riguarda l'estensione dell'applicazione della messa alla prova non solo ai reati con pena fino a quattro anni ma includendo anche i reati previsti nell'articolo 550, secondo comma, a citazione diretta.
  È un provvedimento quindi nettamente peggiore rispetto a quello approvato dalla Camera nella passata legislatura, nettamente peggiore rispetto a quello presentato dal Ministro Severino. Se è vero com’è vero, che non è previsto l'automatismo, è altresì vero che viene attribuito al giudice ordinario, al giudice di cognizione, una discrezionalità eccessiva rispetto alla valutazione delle condotte con il rischio di poter avere valutazioni difformi da procura a procura rispetto a condotte che dovrebbero essere punite con la stessa pena. È un provvedimento che dà dei benefici a chi commette i reati. È un provvedimento premiale nei confronti di chi commette reati, è un provvedimento premiale nei confronti di criminali e delinquenti; è un provvedimento che non prende assolutamente in considerazione, si disinteressa in modo totale e assoluto delle vittime dei reati. E questa è una vergogna che vogliamo sottolineare. È un provvedimento che non garantisce la sicurezza. È un provvedimento che non garantisce la sicurezza esattamente nel momento in cui, aumentando la possibilità e aumentando la platea dei reati rispetto ai quali i domiciliari possono essere applicati, tutti sappiamo benissimo che i soggetti ai domiciliari devono essere sottoposti a controllo e, se noi vogliamo esercitare il controllo nei confronti di questi soggetti, inevitabilmente le Forze dell'ordine dovranno non più controllare il territorio e, quindi, lasciare il territorio abbandonato alla microcriminalità e alla criminalità vera, per poter esercitare queste forme di controllo. Presenteremo molti emendamenti. Abbiamo presentato due questioni pregiudiziali di incostituzionalità, sia di legittimità sia di merito, perché crediamo che questo provvedimento non faccia il bene delle nostri carceri, non faccia il bene dei detenuti ma danneggi profondamente la sicurezza dei cittadini. Quindi annuncio sin da ora l'opposizione e l'ostruzionismo massimo e assoluto da parte della Lega su questo provvedimento, in attesa del decreto-legge del Governo, un decreto annunciato, il cui combinato disposto con questo provvedimento minerà fortemente la sicurezza dei cittadini, offenderà oltremodo le vittime dei reati e mistificherà un principio sacrosanto come quello della certezza della pena.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

  COSIMO MARIA FERRI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, devo dire che per il momento desidero anch'io ringraziare, a nome del Governo, l'attività della Commissione giustizia della Camera, in quanto c’è stato grande impegno, come ha già sottolineato bene il presidente Ferranti, di tutti i gruppi parlamentari, sia di quelli che hanno sostenuto la proposta in Commissione, sia di quelli che erano all'opposizione e non hanno condiviso questa impostazione. È la mia prima esperienza di rappresentante del Governo e devo dare atto di un grande tecnicismo e grande professionalità da parte di tutti i deputati. Quindi, ringrazio, in particolare, i relatori, il presidente, e comunque tutti i componenti della Commissione giustizia.
  Volevo brevemente sottolineare qualche aspetto. Innanzitutto, voglio riprendere alcune considerazioni dell'onorevole Molteni, che è relatore di minoranza sul progetto di legge, in quanto la ratio e lo scopo di questo provvedimento sono proprio diversi dalle osservazioni che egli ha voluto sottolineare in questa sede, perché con questo provvedimento non si può parlare di impunità. Ce lo siamo già detto Pag. 14in Commissione e lo voglio sottolineare nuovamente qui, perché si arriva ad una fase – parlo del primo punto, quello della reclusione presso il domicilio – in cui il giudice, a seguito di un dibattimento, a seguito di un processo penale, afferma la responsabilità penale di un soggetto. Quindi, certo non si può parlare di impunità, perché il giudice, in nome del popolo italiano, ritiene responsabile un soggetto, lo condanna ed ecco che si interviene nella fase di irrogazione della pena.
  Perché il Governo ha presentato un emendamento e crede molto in questo progetto di legge ? Perché è una risposta storica che il nostro Paese può dare all'Europa e cambia l'impostazione, in quanto il giudice penale, che mantiene la propria discrezionalità – e non è un caso che nell'emendamento governativo ci sia il riferimento all'articolo 133 del codice penale, che, come hanno ben sottolineato sia l'onorevole Ferranti sia l'onorevole Costa, lascia ampia discrezionalità al giudice penale – decide con i paletti già indicati nella norma, e quindi la pericolosità del soggetto, la gravità del fatto e tutti gli elementi che sono ben dettagliati (e non voglio tediarvi nel leggere testualmente la norma).
  Quindi, il giudice mantiene questa discrezionalità e la svolta storica, che è davvero un grande passo di civiltà, è che per la prima volta il giudice penale può, nella fase della cognizione – e, quindi, non nella fase esecutiva – dare un altro tipo di pena. Infatti, fino ad oggi noi eravamo abituati alla reclusione e all'arresto, a seconda di delitto o contravvenzione, e alla multa o all'ammenda, che potevano essere appunto pene detentive o pecuniarie irrogate congiuntamente o alternativamente. Con questo progetto di legge, il giudice ha una terza possibilità: valutate le condizioni del soggetto e la gravità del fatto, può anche scegliere un tipo di pena diversa. Questa deve essere la prospettazione.
  Io faccio davvero un appello a tutti i parlamentari, ma in particolare a quelli dell'opposizione, perché non si tratta né di uno svuotacarceri, né di garantire l'impunità a qualcuno, ma si tratta di una norma di grande civiltà, che dà una prospettazione che ci proietta in modo diverso in tutta l'Europa. Poi sarà il giudice a valutare. Io sfido qualsiasi giudice: nel valutare un fatto grave (parliamo, per esempio, di maltrattamenti in famiglia o altri reati gravi) – secondo voi ? – il giudice, nel momento in cui riterrà responsabile il soggetto, andrà a graduare la pena ? E certo io sfido qualsiasi giudice a irrogare la reclusione presso il domicilio.
  Sceglierà l'altro tipo di pena, che rimane, che è la reclusione presso il carcere. Lo voglio sottolineare, perché è una prospettazione diversa da quella che, seppure con grande correttezza e dialettica parlamentare, ha sottolineato l'onorevole Molteni.
  Altro concetto che voglio sottolineare è quello del domicilio. È importante questa tripartizione, questi tre tipi di pena, la reclusione o l'arresto presso il domicilio.
  E non dimentichiamoci – scusate, apro un'altra parentesi – che il giudice già ora poteva scegliere. In molti casi – penso alle lesioni, per esempio, con infortuni sul lavoro, di cui all'articolo 590 del codice penale –, il giudice può scegliere la pena detentiva, applicando la reclusione, oppure la multa, la pena pecuniaria. Quindi, decide a seconda della gravità dell'infortunio sul lavoro, a seconda della gravità del tipo di lesioni.
  Parlo di lesioni colpose, ma voglio fare un esempio per dire che il giudice, al termine del processo, condanna e dice: in questo caso graduo, do le attenuanti generiche, bilancio; se è un fatto non grave, applico una pena pecuniaria, se il fatto è grave, scelgo la pena detentiva. In questo caso e con questo provvedimento si amplia questa possibilità e il giudice ha una terza scelta. Quindi mi sembra una norma positiva.
  Parlavo poi del domicilio. L'hanno già sottolineato molto meglio di me i relatori. Infatti, si parla di reclusione presso l'abitazione dell'imputato – e anche questo lo sceglie il giudice, che quindi graduerà la scelta –, presso un luogo pubblico o presso un luogo privato, di cura, di assistenza o Pag. 15di accoglienza. Allora, qui voglio legare un altro concetto, perché il domicilio è quindi inteso in senso ampio, come il legislatore e i relatori hanno ben sottolineato.
  Dunque, ecco perché la ratio di alzare anche il limite edittale a 6 anni con l'emendamento del Governo, perché, per esempio, in materia di stupefacenti esiste anche il quinto comma, che riguarda le ipotesi di lieve entità, che punisce da uno a sei anni. Pensate al piccolo spacciatore che, purtroppo, ahimè, generalmente è sempre tossicodipendente: sarà più utile, nei casi non gravi, nei casi lievi, chiuderlo in un istituto penitenziario o provare, per esempio, ad applicare la reclusione in un luogo di cura o di accoglienza, dove possa rieducarsi, dove possa veramente capire e disintossicarsi, con dei percorsi e con dei programmi terapeutici, che sono più incisivi ed efficaci di quelli dentro gli istituti penitenziari ? Allora, riflettiamo su queste possibilità, vediamo e andiamo a vedere i dati statistici.
  Qui, poi, non voglio dilungarmi molto, ma voglio sottolineare un ultimo concetto, che è quello che sta a cuore al relatore di minoranza e che ritroviamo anche in questa legge delega, che è quello della sicurezza e della certezza della pena. Infatti, qui c’è l'equilibrio: io rieduco, credo nell'articolo 27 della Costituzione, che parla di rieducazione della pena, di funzione riparatoria, di certezza – sì – della pena, ma in questo caso vengono garantiti questi principi, perché c’è la certezza della pena, perché viene scontata in un modo diverso e, quindi, rimane efficace creando sicurezza.
  Infatti, se andiamo a vedere i dati statistici sulla recidiva, vedremo che, nel caso della reclusione presso gli istituti penitenziari, quando si esce dal carcere – scusate se uso l'espressione «carcere», più giornalistica che tecnica – i casi di recidiva rimangono alti e si parla addirittura del 95 per cento; quando, invece, si esce da una misura alternativa e da questi percorsi alternativi agli istituti penitenziari, i casi di recidiva si abbassano. Quindi, in questo caso, noi come Governo crediamo nell'emendamento che abbiamo presentato perché, proprio anche alla luce di questi dati statistici, creiamo sicurezza.
  Questo va sottolineato, perché è un modo per garantire la sicurezza, perché io elimino le ricadute, elimino i casi di reiterazione del reato – e non lo dico io, ma lo dice la matematica, la statistica – e, quindi, garantisco la sicurezza dei cittadini, perché, una volta che i detenuti escono da questo percorso, hanno avuto veramente una rieducazione e la pena ha avuto l'effetto riparatorio, quindi è chiaro che posso reinserirli nel contesto sociale e in questo modo si crea anche sicurezza.
  Pertanto, ritengo importanti, a nome del Governo, non solo l'emendamento in cui crediamo e che chiaramente abbiamo presentato, ma anche i punti trattati nel progetto di legge.
  Mi soffermo meno sulla messa alla prova, su cui i relatori si sono già soffermati e sulla sospensione nel caso di irreperibili, che sono due temi anche questi importanti.
  Sulla messa alla prova voglio sottolineare una cosa: oltre al programma terapeutico, ossia quello concordato tra l'imputato e le strutture, in questo caso sono previsti sia l'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose, sia il risarcimento del danno. Dunque, è vero che si estingue il reato, ma viene tutelata la vittima. È importante sottolineare anche questo aspetto, perché la persona offesa – la vittima –, che è una parte del processo, ha comunque un vantaggio in quanto, da una parte, il soggetto estingue il reato con un percorso terapeutico o con un programma, però, dall'altra parte, ha il soddisfacimento del risarcimento del danno, della esecuzione o della eliminazione delle conseguenze dannose.
  Sul terzo punto, ossia la sospensione del procedimento in caso di irreperibilità, è una cosa che l'Europa ci chiede. La contumacia nel nostro sistema è prevista, invece negli altri Paesi – non in tutti, anzi nella maggior parte – non si parla di processi in contumacia: quindi, anche questo è un passo di grande civiltà.Pag. 16
  Io ritengo che con questa legge delega, se le signorie vostre decideranno di votarla e di approvarla, il nostro Paese possa fare davvero un salto in avanti, un salto in avanti che vuol dire trovare il giusto equilibrio tra rieducazione, riparazione, certezza della pena e sicurezza, perché, se analizziamo nel complesso queste norme, troviamo davvero quel giusto equilibrio che – devo darne atto – in Commissione tutti hanno lavorato per ottenere.
  L'ultimo aspetto – e poi chiudo – riguarda la Commissione affari costituzionali: è vero che la Lega aveva sottolineato questo punto, però è anche vero che, nella risposta della Commissione affari costituzionali, si tiene tutto il ragionamento che hanno fatto i relatori e che ha cercato di fare anche il Governo con l'emendamento presentato. Perché dico questo ? Perché la Commissione affari costituzionali ha detto che è inutile lasciare al Governo la delega a valutare la possibilità di escludere una tipologia di reati, perché c’è già il giudice, che, valutando l'articolo 133 del codice penale, potrà scegliere a seconda dei casi. Quindi, chiudo con l'esempio che ho fatto prima sull'articolo 572 del codice penale, concernente i maltrattamenti in famiglia: è questo il ragionamento della Commissione affari costituzionali, che dice che, in realtà, se il fatto è grave, sarà il giudice a non applicare quella pena, ma a scegliere la reclusione presso l'istituto penitenziario.
  Quindi, questo è stato l'aspetto su cui si è soffermata la Commissione affari costituzionali, che era diverso dalla prospettazione data in Commissione dall'onorevole Molteni.
  Scusate se vi ho rubato qualche minuto in più, vi ringrazio per l'attenzione e rimango a disposizione per qualsiasi domanda.

  PRESIDENTE. La ringrazio, sottosegretario Ferri.
  È iscritta a parlare l'onorevole Amoddio. Ne ha facoltà.

  SOFIA AMODDIO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, come è già stato detto, il provvedimento si compone di tre parti.
  Come ogni normativa, occorre individuare la ragione e il fine della legge.
  Allora, riprenderei queste domande oggetto di contestazione: a quali problemi intende dare risposte e soluzioni questo provvedimento ? Pregiudica gli interessi delle vittime dei reati ? Pregiudica la sicurezza ? È vero che pregiudica la sicurezza sociale dei cittadini ?
  Bene, cercherò di rispondere a queste domande «intrecciando» tecnicamente la legge e utilizzerò un linguaggio diretto, perché quando interveniamo in questo importante luogo di democrazia, di grande democrazia, abbiamo il dovere di essere chiari per milioni di italiani, che non sono esperti di diritto e che ci hanno eletto per svolgere l'alta funzione legislativa, e, quindi, politica di realizzare il bene pubblico.
  Quindi, alla luce di questa funzione, non ho il timore di affermare con forza e con determinazione che si tratta di un intervento legislativo di grande importanza nel sistema penale, perché va nella direzione concreta di attuare l'articolo 27 della Costituzione, che – lo ribadiamo – testualmente recita che: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Entrambe le finalità del dettato costituzionale ritengo che siano realizzate con questo provvedimento, perché si tratta di un primo passo per ripensare il sistema delle pene. E vorrei specificare che la riforma penale comincia con questo provvedimento e proseguirà con altre proposte di legge, già attualmente calendarizzate in Commissione giustizia. Quindi, ritengo questo un primo pezzo del mosaico che si comporrà per intero e che porterà a risolvere le criticità della giustizia penale, ovviamente, nel medio e nel lungo termine.
  Quindi, è necessario sgombrare, come è stato già detto, il campo da ogni possibile equivoco: non si tratta affatto di un indulto mascherato e, men che meno, di un'amnistia travestita, perché l'indulto estingue la pena o la commuta in pena minore, l'amnistia estingue il reato. Con questo provvedimento non viene estinta Pag. 17nessuna pena e, men che meno, vengono estinti i reati. Infatti, le pene della reclusione o dell'arresto rimangono, non vengono cancellate, ma vengono scontate agli arresti domiciliari. Questo provvedimento, nella sua interezza, tiene conto della necessità di attuare le riforme e gli impegni che l'Italia ha assunto in sede di Comunità europea, quindi, di consolidare l'idea del carcere come extrema ratio.
  Voglio entrare nel dettaglio. Con la prima parte del provvedimento si delega il Governo ad inserire tra le pene principali anche la reclusione o l'arresto da scontare nel domicilio – attenzione, il domicilio può essere la dimora del condannato o un luogo di cura, di accoglienza e di assistenza – e di prevedere – questa è la novità, che si inserisce nella visione di un sistema penale più ampio e moderno di esigenza rieducativa della pena – che il condannato possa scontare la pena – questa è la grande novità – oltre che in maniera continuativa, come avviene oggi, anche per singoli giorni la settimana o per fasce orarie. Allora, noi comprendiamo bene che, se il detenuto espleta un'attività lavorativa o un'attività di studio, questa modalità di scontare la pena è senz'altro un meccanismo utile per il suo inserimento concreto nella società.
  Inoltre, è previsto che direttamente il giudice della cognizione ovvero il giudice che celebra il processo possa applicare, come è stato detto, per reati puniti con una pena nel massimo fino a sei anni, la reclusione presso il domicilio per la misura corrispondente alla pena che il giudice applicherà in concreto. La pena che il giudice applicherà in concreto, nella norma, sarà minore di anni sei, perché gli anni sei sono la pena edittale. Questa disposizione realizza due fini: uno è quello della rieducazione del condannato e l'altro è quello di allentare il sovraffollamento delle carceri.
  Allora, le domande da porci in relazione a questo istituto sono diverse, andiamo per ordine: la detenzione domiciliare è veramente un attentato alla sicurezza sociale ? Vìola il principio della certezza e dell'effettività della pena, come è stato detto ? Tutela la vittima del reato ? Rispondendo ai primi due quesiti – la sicurezza sociale e il principio di certezza della pena –, onorevoli colleghi, con la detenzione domiciliare rimane inalterato il principio di effettività della pena. La detenzione domiciliare è pur sempre una pena afflittiva, limitativa della libertà personale, non è certo un gioco; la pena, però, può essere calibrata, anche nelle modalità di esecuzione, in relazione alle esigenze concrete retributive e rieducative. E tutto questo in sintonia alle numerose sentenze della Corte europea e della Corte costituzionale – non lo dimentichiamo –, che riafferma i principi di cui deve tener conto il legislatore nella previsione delle sanzioni penali.
  Ancora, un elemento fondamentale di questo testo unificato di proposte di legge è che l'applicazione della reclusione o dell'arresto non è affatto automatica, è rimessa, sempre, al prudente apprezzamento del giudice ai sensi dell'articolo 133 del codice penale.
  Siccome è stato detto, anche sui giornali, che questo provvedimento amplia in maniera esagerata il potere del giudice, ricordiamo a tutti che l'articolo 133 è stato istituito con il codice Rocco; l'articolo 133 esiste dal 1930 e viene applicato costantemente. Non possiamo eliminare la discrezionalità del giudice perché la funzione giudiziaria è una funzione dello Stato ! Il giudice, allora, valuterà se ritiene il condannato meritevole di andare agli arresti domiciliari e valuterà ciò ai sensi della gravità del reato, desunta dalla gravità del danno recato alla persona offesa, dalle modalità con le quali si è svolta l'azione criminosa o dai motivi che hanno portato il soggetto a delinquere; nessun cambiamento rispetto a questo, rispetto alla discrezionalità del giudice, nessun ampliamento se non quello che già esiste.
  Allora, so bene che i colleghi dell'opposizione sostengono che queste norme ampliano il potere discrezionale del giudice ma, come ho già detto, non è assolutamente vero perché dopo aver accertato il reato il giudice, nell'applicazione della misura concreta della sanzione, ha già Pag. 18questo potere discrezionale. Il carcere oggi, non abbiamo timore di dirlo, è una pena disumanizzante, così com’è strutturata, e il rischio effettivo, all'interno del carcere, che si determinino fenomeni di recidiva, cioè che il soggetto ritorni a delinquere, è altissimo, a differenza, invece, di una pena scontata agli arresti domiciliari che è una pena più umanizzante.
  Per rispondere all'ulteriore critica secondo cui la detenzione domiciliare pregiudicherebbe la sicurezza sociale di questo Paese, la delega al Governo prevede che la reclusione e l'arresto presso il domicilio non si applichino, affatto, a coloro che hanno commesso più reati, cioè ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza. Ancora, se il reo si allontana dal domicilio – e questo è un effetto deterrente concreto – è chiaro che scatta e si determina il reato di evasione e, pertanto, ritornerà in carcere.
  Un'ulteriore domanda è se la legge delega tenga conto delle esigenze della vittima. La risposta è: «sì», e non ho bisogno di utilizzare troppe argomentazioni su questo punto perché l'articolo 1, comma 1, lettera e) della delega prevede espressamente che, nella fase dell'esecuzione della pena, il giudice sostituisca la reclusione domiciliare qualora il domicilio non risulti disponibile o qualora il domicilio non sia idoneo ad assicurare la custodia del condannato oppure, nell'ipotesi in cui il condannato violi le prescrizioni che il giudice impone con la detenzione domiciliare. Il giudice impone delle prescrizioni, con la detenzione domiciliare.
  Ancora un'ultima domanda: la legge delega ha un effetto deflattivo sull'attuale condizione carceraria ? Si dice che questo provvedimento non serva a nulla; ebbene, la legge delega prevede che il Governo coordini la disciplina della pena detentiva della reclusione domiciliare con il vigente sistema delle misure alternative al carcere. Questo potrà consentire, non appena il Governo adotterà il decreto legislativo che è previsto in questa legge delega, a chi oggi è recluso in carcere di essere ammesso alla detenzione domiciliare, anche per scontare la pena residua, sempre attraverso la valutazione concreta da parte del giudice che valuterà se il soggetto è meritevole o meno di scontare il residuo di pena agli arresti domiciliari. La legge delega, quindi, prevede di coordinare le misure alternative della detenzione in carcere con la nuova reclusione domiciliare.
  Permettetemi ancora una notazione: incostituzionale. Solo oggi apprendiamo che sono stati presentati rilievi di incostituzionalità e li esamineremo a tempo debito; tuttavia la verità, onorevoli deputati, è che in quest'Aula si scontrano due diverse culture della pena: da una parte vi sono coloro che sono convinti che la pena per eccellenza sia solo ed unicamente il carcere, in cui il condannato viene abbandonato a se stesso, senza nulla poter fare per poter modificare il suo stato. Questa è una cultura che trova radici in sistemi autoritari. Dall'altra ci sono coloro che, in conformità dello spirito della Costituzione, credono che la pena non debba rappresentare, nelle sue modalità, un più grande castigo di quello che già si realizza per effetto della restrizione della libertà personale – lo ripeto, la restrizione della libertà personale avviene anche con la detenzione domiciliare – e debba invece consentire tutti quei trattamenti che appaiano più idonei al recupero del condannato. Come si può sostenere che mistifichi la certezza della pena, come si può sostenere che costituisca un'impunità ?
  Questa proposta di legge rende la pena più efficace e più commisurata al reato commesso, in un sistema che finalmente – dico finalmente – si deve liberare dell'alternativa carcere-libertà. Infatti, questa è un'alternativa superata, è un'alternativa che tutti i Paesi europei hanno abbandonato già da tempo. Noi siamo clamorosamente indietro. Cerchiamo di superare questo concetto di garanzia; che non sia assoluto; ma flessibile e commisurato al reato che si ritiene commesso. Un'ulteriore domanda: la legge delega tiene conto delle esigenze della vittima ? La risposta è «sì»; non ho bisogno di utilizzare quanto già detto.Pag. 19
  Un'ulteriore domanda ancora: con la seconda parte del provvedimento si chiede al Parlamento di votare per l'inserimento nel codice penale e di procedura penale dell'istituto della messa alla prova – è stato già detto –, per pene non superiori nel massimo a quattro anni e per alcune ipotesi di reato (sono quattro o cinque) previste nell'articolo 550. Onorevoli colleghi, nel nostro ordinamento questo istituto è già sperimentato da oltre vent'anni per i soggetti minorenni e da oltre dieci anni, dal 2001 al 2011, il trend delle estinzioni dei processi per messa alla prova – dati statistici del Ministero della giustizia, sezione minori – non è stato mai inferiore all'80 per cento ogni anno.
  Il soggetto richiede la sospensione del processo con messa alla prova, ciò, lo ripeto, fino ad oggi, è stato sperimentato per i minori, In questi casi, l'80 per cento dei processi si conclude positivamente con l'estinzione del reato, perché la messa alla prova è andata benissimo. Allora, adesso si chiede di estendere la messa alla prova, come hanno già fatto i Paesi anglosassoni e altre comunità e altri Paesi europei, ai soggetti maggiorenni.
  Che cosa avviene concretamente ? Avviene concretamente che il processo, ancor prima di iniziare, può essere sospeso se l'imputato deposita davanti al giudice penale, entro un termine ben preciso stabilito nella legge, la richiesta di sospensione allegando un programma dettagliatissimo. Il programma, in ogni caso, deve prevedere: il coinvolgimento dell'imputato e del suo nucleo familiare; che l'imputato adotti una serie di condotte per attenuare le conseguenze del reato o di eliderle; che siano previste prescrizioni che riguardano l'espletamento di un lavoro di pubblica utilità o l'espletamento da parte dell'imputato di un'attività di volontariato sociale (quindi l'imputato deve dare dimostrazione, negli anni stabiliti dal giudice per la messa alla prova, che si è recuperato); ancora, prevede, dov’è possibile, la mediazione con la persona offesa, non il risarcimento alla persona offesa, che è insito nei commi della legge, ma, ripeto, la mediazione con la persona offesa. Bene, anche per questo istituto – è importante sottolineare – il giudice ha la facoltà di sospendere il processo e quindi non è prevista alcuna automaticità e nessuna obbligatorietà da parte del giudice, come già detto anche l'esponente del Governo.
  Tanto ciò è vero che è previsto espressamente che il giudice applicherà la sospensione soltanto se riterrà che l'imputato si asterrà in futuro dal commettere ulteriori delitti, e anche questo rientra nel potere discrezionale del giudice, che ha già da sempre. A tal fine, il giudice potrà acquisire informazioni tramite i servizi sociali proprio per valutare, nella sua discrezionalità, se ritenere l'imputato meritevole di tale sospensione.
  Ancora, il giudice potrà integrare e modificare il programma con il consenso dell'imputato, in corso d'opera, come diciamo. È evidente, quindi, che lo scopo di questo istituto è quello di offrire agli imputati un percorso di reinserimento alternativo e quello di alleggerire l'attuale carico dei processi penali pendenti in Italia, atteso che l'esito positivo della messa alla prova estingue il reato. Allora, qualora l'imputato non si atterrà al programma prestabilito è prevista espressamente la revoca della sospensione del processo, la revoca della sospensione della messa prova, quindi la ripresa del processo e, quindi, se sarà ritenuto colpevole, la condanna con, senz'altro, la pena che si merita.
  È pertanto evidente che tutte le criticità sollevate dal relatore di minoranza vengono superate dalla chiarezza di questo testo di legge. Lo ribadisco: è imposto che il programma debba prevedere misure riparatorie e risarcitorie a favore della vittima del reato. Allora, concludo dicendo che votare questa proposta di legge è necessario, perché oggi pesano gli interventi della Corte europea.
  E ricordo che il Parlamento Europeo, con la risoluzione n. 2897, al punto 11, ribadisce l'esigenza che gli Stati membri onorino gli impegni assunti. Tra questi Stati membri ci siamo anche noi. E ribadisce di fare maggiore ricorso a sanzioni che offrano una alternativa all'incarcerazione. Pag. 20In questo momento di grande difficoltà e di dramma per migliaia di detenuti rinchiusi nelle carceri italiane, che cosa vuol dire attuare concretamente una politica legislativa ? Vuol dire legiferare la cosa giusta, dobbiamo trovare il coraggio, la forza e la creatività di concepire e costruire un nuovo ordine, un più adeguato sistema della pena. Questo nuovo ordine deve essere fondato sul principio della giustizia, quella vera, quella ontologica, quella che è sempre superiore all'ingiustizia. (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Prima di dare la parola all'onorevole Sannicandro, volevo informarvi sulla prosecuzione dei nostri lavori che andranno avanti fino alle 14,30, poi sospenderemo e alle 15 riprenderemo il seguito della discussione generale e poi gli altri punti all'ordine del giorno. Quindi, la pausa sarà tra le 14,30 e le 15. È iscritto a parlare l'onorevole Sannicandro. Ne ha facoltà.

  ARCANGELO SANNICANDRO. Signor Presidente, signor sottosegretario, esprimo un'adesione convinta, mia personale e del Gruppo, a questo provvedimento, ma prima di argomentare vorrei ripercorrere un po’ velocemente l’excursus, l'iter di questo provvedimento stesso.
  Voglio ricordare che è arrivato in Commissione appena il 21 di maggio, il 21 maggio scorso, e che in breve lasso di tempo si è sviluppato nella Commissione un confronto serrato in cui ognuno ha potuto liberamente e responsabilmente manifestare le proprie opinioni e in cui abbiamo ottenuto il contributo importante tecnico-giuridico di persone, lo sottolineo, particolarmente impegnate sul fronte oggetto di questo provvedimento.
  Questo lo dico perché quanto è accaduto è significativo. Questo non è un provvedimento che nasce in modo estemporaneo, è un provvedimento che nasce da lontano e che, come abbiamo appreso dalle audizioni, trova il consenso, anzi la sollecitazione da parte addirittura degli auditi. Abbiamo ascoltato il dottor Tamburino, Capo Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, quindi come dire, un punto, un osservatorio qualificato; abbiamo ascoltato anche la voce dei magistrati attraverso il presidente e il vicepresidente dell'Associazione nazionale magistrati; abbiamo ascoltato anche il presidente dell'Unione delle camere penali, quindi anche il parere dell'avvocatura. Abbiamo ascoltato anche il parere dei giuristi e per quanto io ricordi non ho ascoltato nessuno che mostrasse obiezioni di fondo a questo provvedimento. Anzi, abbiamo avuto delle sollecitazioni, qualcuno ci ha stimolato ad avere coraggio.
  Ora, proprio in particolare vi leggo le parole del rappresentante dell'Unione delle camere penali, il quale dice: «Guardate, si tratta di una pena – a proposito della legge delega e della introduzione della misura alternativa a quella del carcere – una maniera diversa ma significativa di applicare la pena, invece nel range di cui stiamo parlando molto spesso c’è la non-pena, cioè la sospensione condizionale data con una croce di cavaliere. Va detto quindi che rendere lo strumento più coraggioso lo rafforza e non ne minimizza l'efficacia dal punto di vista retributivo e preventivo».
  A che proposito avviene questa sollecitazione ? A proposito del fatto che l'originario testo prevedeva il limite massimo di quattro anni di pena, come limite massimo oggettivo, per l'applicazione dell'istituto. Il Governo ha emendato ampliando questo circuito, questo ambito, portandolo a 6 anni.
  Qual è stata la ragione ? Non certo quella che è stata espressa in Aula dal relatore di minoranza, ma come è stato ricordato, e ammonito anche, dal sottosegretario Ferri, qualora avessimo mantenuto il limite dei quattro anni, avremmo reso veramente inutile questo provvedimento, perché già oggi vi sono misure alternative nel caso in cui la condanna, come spesso accade, arriva a tre anni.
  Supero la descrizione del contenuto di questo provvedimento, perché è stato già fatto bene ed ampiamente. Voglio soffermarmi su un punto, che è stato già ricordato Pag. 21dalla collega. È inutile (scusate il linguaggio popolare) che ci giriamo intorno: in questo caso si combattono due teorie della pena, a proposito delle quali vi è un dibattito ed uno scontro che ha radici lontane. Quando facciamo appello all'articolo 27 della Costituzione, ricordiamo che cosa dice, non ricordiamo che cosa non dice. Questo articolo fu oggetto di uno scontro notevole nell'Assemblea costituente, perché si contrapposero non due dottrine politiche, ma due dottrine giuridiche e filosofiche: da un lato vi era la scuola classica, la quale concepiva la pena come retributiva, come afflittiva, e dall'altro lato vi era la scuola cosiddetta positiva, la quale concepiva la pena come un'occasione per la rieducazione del condannato.
  Il dibattito fu serrato: scesero in campo le menti più raffinate, presenti nell'Assemblea costituente e anche fuori. Poi alla fine si trovò l'accordo intorno alla formulazione che conosciamo; ma non è che con il varo dell'articolo 27 così come lo conosciamo oggi, il dibattito, lo scontro e confronto sono finiti: è continuato poi, continua ancora oggi. Va anche detto però che, al di là di ogni sforzo per fermare la portata innovativa di questo articolo della Costituzione, un punto fermo l'ha posto la Corte costituzionale, la quale con più decisioni – potrei citarle tutte – ha definitivamente operato una scelta, sostanzialmente facendo proprio il pragmatismo dell'onorevole Tupini che all'epoca mise d'accordo le due scuole. In quelle sentenze sancisce sostanzialmente la Corte: lasciamo stare il dibattito filosofico, a me interessa soltanto una cosa, che la pena, così come è scritto nella Costituzione, tenda alla rieducazione del condannato.
  È evidente che l'evoluzione culturale, politica, il contesto sociale ed economico non può che incidere su questo dibattito. In effetti negli anni ’50, benché la Costituzione fosse stata varata da poco, poiché vi era una criminalità dilagante, accadde che vi furono delle resistenze notevoli perché quei principi si traducessero in realtà. Poi siamo arrivati agli anni ’60: e negli anni ’60 la situazione era ancora difficile e tragica nelle carceri italiane. Voglio ricordare che alla fine degli anni ’60, all'inizio degli anni ’70 quello che bolliva nella pentola scoppiò violentemente. Chi ha una certa età ricorderà che ci fu un ’68 non soltanto fuori, tra gli studenti, tra gli operai, ma ci fu anche un ’68 all'interno delle carceri. Dal Nord al Sud l'Italia si unificò ! Le carceri, tutti gli stabilimenti penitenziari italiani conobbero delle rivolte violente. Io personalmente, poiché all'epoca insegnavo presso l'istituto nel carcere di Lucera, ricordo che cosa accadde lì. Cosa chiedevano i detenuti ? Chiedevano che si attuasse una riforma penitenziaria che tenesse conto dell'articolo 27 della Costituzione.
  Quindi è stato sempre uno scontro fra due concezioni e l'una o l'altra parte traeva profitto per affermare le proprie idee dal contesto materiale – se così possiamo dire – sociale, economico e politico della società italiana in quel momento.
  Nel 2000 un importante detenuto – perché è noto – fu intervistato e gli chiesero: qual è la funzione per te della pena ? Lui ancora nel 2000, con la sua risposta, testimoniava quanto i principi costituzionali non fossero stati ancora realizzati. Cosa diceva questo detenuto ? Diceva, in parole povere, che se tu prendi un animale, lo metti in una gabbia ristretta, gli impedisci di muoversi; se è un uccello gli impedisci di volare, se è un felino gli impedisci di saltare, di correre, lo guardi solo attraverso le sbarre, gli tiri qualche pallina per giocare, che esito avrà tutto questo ? Che una volta che liberi quella pantera, quel gorilla o quell'avvoltoio non puoi sperare che cinguetti «ciao ciao bambina». La funzione della pena – ancora era scritto nel 2000 – è di incattivire, rendere le persone tenute in gabbia persone piene di rancore e risentimento nei confronti della società, frustrazioni personali e desiderio di vendetta o comunque senso di secessione totale interiore o esteriore verso la società in cui si vive. La pena corporale – perché di questo si tratta – la pena della reclusione corporale è una pura eredità passiva di altri tempi e di altri modi di pensare che però fa comodo, Pag. 22non solo non è in via di estinzione ma ha una forte reminiscenza, quasi un soprassalto di efficacia perché siamo in una società in cui si sono moltiplicate le persone che danno fastidio fuori.
  Questo veniva detto ancora nel 2000, nonostante – ripeto – già si fosse avviato con una serie di leggi un percorso diverso non per umanizzare il carcere e qui nasce la differenza tra la mia impostazione e quella dei relatori; il problema del sovraffollamento delle carceri e della deflazione dei processi è un problema importante ma è un problema indotto. Il problema invece che abbiamo davanti è un altro: quando diciamo che il carcere deve essere l'ultima ratio che cosa vogliamo dire ? Non vogliamo dire che dobbiamo fare di tutto per evitare che si arrivi al carcere, noi dobbiamo evitare che il carcere sia il perno del sistema penale, dobbiamo evitare una concezione «carcerocentrica». Questo è il punto, indipendentemente dall'affollamento che pure è importante e ne possiamo anche parlare, non è una questione quantitativa.
  È stata appunto detto dalla collega che mi ha preceduto che si tratta di una filosofia del tutto diversa, la pena che ci deve essere indubitabilmente, ma il problema è vedere cosa fare attraverso la pena. Ecco la novità di questa legge ed è questa la motivazione per la quale noi aderiamo a questa progetto di legge. Badate bene, c’è anche un altro aspetto che ha indotto, in sintonia con quello che dicevo prima, a riflettere sulla funzione della pena, ed è appunto la crisi del sistema penitenziario e la crisi stessa della pena, perché guardate sia gli uni che gli altri, sia una scuola che l'altra, ambedue le scuole girano e giravano intorno al carcere come pilastro e perno del sistema. Ma, dice giustamente qualcuno, al carcere non si può chiedere più di quanto può dare perché nella storia dell'umanità il carcere è stato inteso, costruito e inventato non nella logica in cui noi vorremmo oggi trasformarlo, ma è stato inventato, creato e costruito per una contenzione, non certo per una rieducazione.
  Il problema è di andare oltre questo schema, di andare oltre questo limite culturale, che ci portiamo appresso da molto tempo. Alla luce di tutto questo, è evidente che le osservazioni fatte dal collega Molteni non reggono. Qui si dice che è una legge inutile rispetto al sovraffollamento delle carceri: certo, rispetto al sovraffollamento attuale delle carceri dico che è una legge inutile perché è una legge di sistema che riguarda i futuri processi, i futuri condannabili e non certo quelli che oggi sono detenuti nelle carceri. Da questo punto di vista, quindi, non ci vedo – come temeva il collega Costa – il pericolo di un'interferenza con quanto può accadere con il prossimo provvedimento del Ministro Cancellieri, così come non ricorrerei, anche se «mi farebbe piacere», lo dico tra virgolette, a dover giustificare una funzione di eliminazione del sovraffollamento – come è stato detto dalla collega – ricordando che c’è una norma che stabilisce che le due situazioni saranno coordinate e, quindi, affidiamo al provvedimento successivo un'eventuale applicazione immediata, sostanzialmente, della legge.
  Certo, se venisse utilizzata in tal senso ci farebbe piacere, ma il punto fondamentale è che questa è una «legge di sistema», che modifica ulteriormente il sistema – come è stato già ricordato – perché affida al giudice della cognizione un'altra possibilità. Quindi, siamo fuori – se così si può dire – dalla tradizione, siamo fuori dalla tradizione.
  Mentre, per quanto riguarda la messa alla prova, è evidente che non siamo fuori dalla tradizione perché – come è stato ricordato – sono vent'anni che conosciamo la messa alla prova, soltanto che la conosciamo per i minori; si tratta di estendere questo istituto al di là del processo minorile.
  Di conseguenza, è inutile polemizzare ancora con i colleghi ostili a questo provvedimento. È una legge svuotacarceri: se si vuole intendere con questa espressione, che noi vogliamo dire domani: «liberi tutti !», qua siamo proprio fuori dal testo e dalla logica, se però intendiamo dire – Pag. 23voglio rivoltare il ragionamento – che questa è una legge svuotacarceri, nel senso che noi non facciamo più del carcere il pilastro di tutto il sistema, allora possiamo essere tranquillamente d'accordo. Posso fare un esempio, forse suggestivo, ma che forse rende meglio il mio pensiero ? Mentre si parlava, mi sono ricordato il dibattito che si svolge intorno al sistema sanitario: c’è chi vuole che l'ospedale sia e resti il centro e il pilastro di tutto il sistema sanitario, c’è chi dice, invece, che bisogna uscire dall'ospedale e bisogna deospedalizzare la sanità e lasciare l'ospedale soltanto per i casi di acuzie. Ora, quell'espressione: «il carcere ultima ratio», la traduco così: il carcere sia per l'acuzie, cioè per tutti i casi che stanno fuori dai paletti che noi stiamo ponendo con questa proposta di legge !
  Quindi, non si tratta di mettere in libertà i delinquenti, non si tratta di una legge «salva delinquenti», come si è arrivati a dire. Certo, non si tratta di una resa dello Stato – parliamoci chiaro !- questa non è la resa dello Stato: è una sfida che molti non vogliono assumere così com’è stato descritto dai colleghi. Disse una della autorità audite: parliamoci chiaro, al magistrato fa più comodo condannare e mandare in carcere.
  Quegli istituti invece, di cui stiamo parlando, esigono un impegno successivo dello Stato che, altrimenti, come dire, non ci sarebbe. Così come non è che possiamo invocare l'eventuale carenza di personale delle forze dell'ordine per opporci all'introduzione, nel nostro ordinamento, di questa novità. Quella è un'obiezione di natura contingente in ogni caso, ma non è certo un elemento risolutivo che va alla radice del problema.
  Quindi, ricapitolando e riassumendo – e concludo velocemente –, noi siamo favorevoli a questo provvedimento, con la motivazione che abbiamo tentato di descrivere analiticamente, anche se, ripeto, non ci dispiacerebbe che, in sede di emanazione dei decreti legislativi, quella norma di coordinamento, come dire, fosse usata per anticipare l'entrata in vigore di questo nuovo sistema. La situazione delle carceri, del sovraffollamento, è ben nota e su quello non si può intervenire certo con questo decreto legislativo, ma bisogna intervenire e, una volta tanto, diciamo anche un'altra cosa: bisogna che anche noi, alla pari delle più alte autorità della magistratura, cominciamo a dire che è uno scandalo che il 40 per cento dei detenuti siano nelle carceri in custodia cautelare. La cosa in sé è un monstrum, ma non possiamo aspettare che lo dicano i magistrati...

  PRESIDENTE. Onorevole Sannicandro...

  ARCANGELO SANNICANDRO. ... lo dobbiamo dire noi e avere il coraggio di dirlo, perché l'abuso della custodia cautelare, lo ripeto, è un elemento che è sotto gli occhi di tutti.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marazziti. Ne ha facoltà.

  MARIO MARAZZITI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il testo di legge che esaminiamo da oggi è un primo passo per riavvicinare un Paese, il cui sistema carcerario è scivolato nell'illegalità, a un Paese normale e civile. Siamo alla «bancarotta» su questo terreno e già nel 2000 quel Papa – c’è una lapide lì, all'entrata del nostro Parlamento –, Giovanni Paolo II, diceva che siamo ancora lontani dal momento in cui la nostra coscienza potrà essere certa di aver fatto tutto il possibile per offrire, a chi delinque, la via di un riscatto e di un nuovo inserimento positivo nella società.
  Era per il giubileo delle carceri del 2000. In 13 anni in Italia la situazione è peggiorata. Il sovraffollamento cronico, malato, non corrisponde alla crescita di reati gravi – e lo vorrei dire a chi è intervenuto della minoranza –, che vedono l'Italia con meno omicidi di Gran Bretagna e Francia e tre volte di meno che negli Stati Uniti; che vede l'Italia delinquere per crimini violenti la metà della Francia – Eurostat – e cinque volte meno della Svezia. Per le rapine a mano armata e le violenze personali l'Italia, per fortuna, è Pag. 24molto indietro rispetto a Spagna, Francia e Gran Bretagna. Eurostat mostra ancora come le rapine in appartamenti, i famosi assalti alle ville, nei mass-media, siano in Italia meno che in Francia e la metà della Gran Bretagna, con Roma e Milano tre volte meno di Londra.
  Allora, carcere e gravità dei crimini sono due curve che non si parlano. Per questo non dobbiamo aver paura di questo provvedimento di legge. Carcerazione e sicurezza non sono più fenomeni paralleli. Più carcere spesso significa meno sicurezza. Questo provvedimento non è buonista e vuole eliminare patologie. Al 31 maggio, noi sappiamo, i detenuti erano quasi 66 mila e, come è stato detto adesso dal collega, il 40 per cento è in attesa di giudizio.
  Occorre trovare qui in Parlamento il consenso largo, partendo da questo provvedimento di adesso. Occorre trovare, nelle prossime settimane, il consenso largo per approvare un provvedimento di clemenza, di amnistia, di indulto, che permetta, assieme a interventi organici, di cui questo è il primo, di trasformare la patologia italiana in fisiologia. Non ci si può accanire con la reclusione di chi ha superato il settantesimo anno di età. La messa alla prova, l'audizione anticipata del reo da parte del giudice può riassorbire il patetico fenomeno conosciuto come «porte girevoli».
  Sì, amnistia non è una brutta parola o una scorciatoia, è una necessità se non è un provvedimento isolato, non solo come svuotacarceri, ma come momento terapeutico e anche di respiro per il sistema. I dati sull'ultimo indulto, quello demonizzato del 2006, amplificati dalla stampa quando negativi, in realtà sono molto incoraggianti. Contro una recidiva del 67,68 per cento di chi sconta tutta la pena, la recidiva di chi ha goduto dell'indulto è rimasta sotto il 35 per cento, la metà, e se si guarda a chi godeva di benefici e pene alternative al momento in cui è stato raggiunto dall'indulto si scende a cifre di poco superiori al 10 per cento, con una efficacia pari a sei volte. Occorre mettere mano prossimamente, come stiamo facendo, alla revisione di leggi come la Fini-Giovanardi e la ex Cirielli, perché ne abbiamo visto la ricaduta negativa sull'intero sistema e da sole riempiono di un terzo di detenuti le nostre carceri sovraffollate. L'Italia è un Paese leader nella lotta alla pena di morte, ma c’è una pena capitale all'italiana, una pena non comminata ma reale e terribile, testimoniata dal numero abnorme di suicidi in carcere: 84 accertati negli ultimi 18 mesi e molte di più le morti da carcere per altre cause, 150 nello stesso periodo. Per ogni detenuto che si toglie la vita, c’è un suicidio ogni dieci nel personale carcerario, cioè ogni dieci detenuti che si suicidano ce n’è uno che si suicida del personale carcerario. Dieci atti autolesivi sono denunciati ogni giorno, migliaia ogni anno; aumentano le aggressioni al personale carcerario. L'Italia è malata perché ha un sistema carcerario malato, «carcerocentrico». In carcere ci si ammala di più, si è curati per forza di meno, metà dei carcerati è affetta da epatite, il 30 per cento è tossicodipendente, il 10 per cento soffre di patologie psichiche, il 5 per cento è affetto da HIV. Permettetemi una rapida testimonianza personale: il giorno dopo Natale, da anni ho il privilegio di mangiare assieme ai detenuti nella rotonda di Regina Coeli, dove Giovanni XXIII visitò per la prima volta nel 1959 i carcerati. Ascolto storie di persone che stanno in tre in celle da due, che fanno i turni per stare in piedi e non stare sdraiati a letto. Le sale di ricreazione nei bracci sono utilizzate per i letti, quindi non c’è ricreazione, sono dodici letti per ogni sala. Ascolto i racconti sul vitto, non sulla qualità, ma sulla quantità. La distribuzione nei bracci a Regina Coeli avviene alla mattina da sinistra a destra e alla sera da destra a sinistra, perché se finisce non finisca sempre agli stessi due volte nello stesso giorno. Ci sono meno di 4 euro al giorno per il vitto. Allora, l'Italia è in mezzo – e concludo – ad una grande contraddizione: una raffinata cultura giuridica capace di ispirare altri Paesi, una legge, la n. 354 del 1975, che pone con forza al centro dell'azione il recupero e il reinserimento sociale della persona deviante, Pag. 25secondo l'articolo 27 della Costituzione, e dall'altra una resistenza pratica, al contrario, ad abbandonare l'idea del carcere come ultima ratio e farne l'unica ratio. L'Italia è fuorilegge. Condannata dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, ha rigettato la richiesta di riesame del ricorso Torreggiani davanti alla grande Camera, 100 mila euro di risarcimento per sette detenuti di Busto Arsizio e Piacenza, altri cinquecento ricorsi sono pendenti. Allora, credo che, mentre mettiamo mano a questa legge dobbiamo avere l'agenda delle cose da fare subito nei prossimi giorni anche quella dello scandaloso caso dei bambini da zero a tre anni che ancora crescono in carcere con le loro madri nelle sezioni nido, quasi cinquanta bambini. Occorre almeno rimuovere quegli ostacoli che non permettono alle donne madri di scontare la pena con i propri figli fino al decimo anno di età fuori dal carcere, in case famiglia gestite dagli enti locali. Cominciamo dal provvedimento di oggi per mettere mano con urgenza all'intero sistema. Sì, sono d'accordo, è un'occasione storica.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rondini. Ne ha facoltà.

  MARCO RONDINI. Signor Presidente, ancora una volta quella maggioranza trasversale, che ha votato dal 2006 provvedimenti che hanno quale unico risultato di rendere le nostre strade più insicure, si ricompatta. All'insegna del politicamente corretto e all'insegna di quella strana cultura che vuole che, se qualcuno sbaglia e compie dei reati, la colpa è della società, andate ad adottare un provvedimento che è teso, nelle vostre intenzioni, a prevenire l'incremento della popolazione carceraria. In sostanza, da domani, chi compierà un reato che è punibile con una pena detentiva fino a sei anni potrà, a discrezione del giudice, scontare tale periodo a casa sua. La vostra iniqua soluzione la pagheranno i cittadini onesti, che da domani vedranno circolare liberamente per le strade ladri e scippatori, perché è di tutta evidenza che è un'illusione che riusciate a mantenere i condannati al proprio domicilio.
  Oggi sappiamo – e i rappresentanti delle forze dell'ordine lo denunciano tutti i giorni – che l'organico di polizia e carabinieri non sarà sufficiente a garantire le vostre trovate buoniste. Quindi, sottraete risorse, mezzi e pattuglie a quella che è la funzione fondamentale, unica ed esclusiva delle forze dell'ordine, vale a dire garantire la sicurezza dei cittadini.
  Il sovraffollamento delle carceri è sicuramente un problema e anche noi crediamo vada risolto, perché se la funzione della detenzione è la riabilitazione ebbene, nelle condizioni attuali in cui versano le nostre strutture detentive, non può essere soddisfatta. Ma la vostra non è la soluzione, perché il conto lo paga sempre Abele. Ora, in un Paese dove chi legifera lo fa assecondando le esigenze degli uomini e delle donne che hanno votato chi governa, dove il bene della propria comunità informa la mano del legislatore, non dovrebbe esserci lo spazio per queste trovate, che non risolvono il problema.
  La soluzione deve passare attraverso la realizzazione di moderne strutture, in grado di garantire il recupero del detenuto, ed ancora la soluzione deve passare attraverso accordi bilaterali con i Paesi di origine in modo che gli stranieri scontino la pena nelle galere di casa loro, perché è evidente che la situazione nelle carceri italiane è gravata dalla presenza degli stranieri, che rappresentano circa il 40 per cento dell'intera popolazione carceraria. Vi sono alcune carceri del nord dove la percentuale sale fino al 60, 70 o addirittura all'80 per cento. Se in Campania su 8.292 detenuti solo 998 sono stranieri, in Lombardia su 9.390 detenuti ben 4.200 sono stranieri, così come in Liguria su 1.889 detenuti 1.102 sono gli stranieri e in Val d'Aosta sono addirittura 204 gli stranieri su 284. Un rapido calcolo ci porterebbe ad avere una popolazione carceraria di 42.000 detenuti in luogo di 65.000, rispedendo gli stranieri a casa loro a scontare la pena.
  Queste soluzioni, che noi andiamo ripetendo, «incontrano» il timore dei cittadini e vanno a garantire la certezza della pena a tutela della sicurezza delle nostre Pag. 26comunità. In un momento in cui tutti ci chiedono severità e contrasto alla delinquenza, in primis i cittadini vittime di questi reati, questo provvedimento, invece, rappresenta un'ennesima resa dello Stato.
  Questo provvedimento attacca poi, ancora di più è più fortemente, la funzione generale e preventiva che dovrebbe esercitare la pena. Che tipo di deterrenza può avere una norma di questo genere presso chi vuole commette reati, tra cui lesioni personali, percosse, furto con strappo in abitazione, violenza privata, pornografia minorile e atti persecutori ? Stiamo parlando, infatti, di reati di grave allarme sociale, che colpiscono direttamente le fasce più deboli e più povere dei cittadini. Parliamo del furto in casa, del furto con violenza o con destrezza, di quello commesso sui mezzi pubblici, sino ad arrivare agli atti di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi, frodi nelle pubbliche forniture, falsa testimonianza e falsa perizia, istigazione a delinquere, incendio boschivo per colpa, ed altri ancora che non sto qui ad elencare.
  Non è possibile che chi compie questi reati oppure anche solo chi ha intenzione di volerli compiere sappia poi di poter rischiare al massimo di tornarsene tranquillamente a casa propria. E non è nemmeno possibile pensare di poter garantire la sicurezza dei cittadini con i braccialetti elettronici o scaricando interamente il problema, di fatto, sulle forze dell'ordine, che allo stato attuale – come ho già detto – per carenze di organico non sono in grado di sorvegliare adeguatamente il numero di detenuti che sconterà la pena ai domiciliari.
  Vi è poi da registrare che il tipo di reati che potrebbero rientrare nel provvedimento in esame, come quelli la cui pena il lestofante sconta a casa sua, sono quelli di cui si è registrato un incremento e ce ne hanno dato notizia i quotidiani nei giorni scorsi, dando conto del bilancio del Ministro dell'interno per la criminalità nel 2012.
  Scriveva Il Sole 24 Ore sotto il titolo eloquente «Reati, l'anno nero di furti e scippi»: più di cinque reati al minuto, 320 all'ora, quasi 7.700 al giorno per tutti i 365 giorni dell'anno. Visto da una prospettiva ravvicinata, il bilancio della criminalità in Italia nel 2012 conferma l'attuale percezione di insicurezza, alimentata anche dai recenti episodi di cronaca nera, tanto che nei giorni scorsi, il titolare del Viminale, Angelino Alfano, ha annunciato un piano per la sicurezza delle città, al quale sta lavorando assieme all'ANCI e al Ministro degli affari regionali. I numeri forniti dal Ministero dell'interno sui delitti commessi e denunciati alle forze dell'ordine nel 2012 registrano però un aumento generale di «appena» l'1,3 per cento circa 2 milioni 800 mila contro i 2 milioni 760 mila del 2011.
  Dalle analisi per territorio e per tipologie di delitti, il peggioramento è tuttavia molto più pesante, soprattutto per quanto riguarda i reati cosiddetti predatori. Si tratta dei reati che incidono direttamente sui beni personali, maggiormente legati alle fasi di crisi economica e in grado di destare particolare preoccupazione nella collettività per le modalità con cui vengono portati a termine, con violenza nelle rapine e negli scippi, con subdola abilità nei borseggi, nei furti o nelle truffe.
  Premesso che c’è da chiedersi, alla luce di quello che riportano i quotidiani, se il Ministro Angelino Alfano e la Ministra Anna Cancellieri facciano parte dello stesso Governo, che dalle azioni contrastanti che porta avanti sembra in preda alla schizofrenia, oppure c’è da chiedersi se stiamo assistendo all'abile equilibrismo di chi, per non scontentare nessuno, cioè nessuna componente di questa strana maggioranza, dà un colpo al cerchio e uno alla botte, a rimanere delusi delle vostre mirabolanti trovate sono i cittadini onesti, che vedono sacrificata sull'altare del politicamente corretto la loro sicurezza.
  Per la Lega Nord, diversamente che per voi, invece il tema della sicurezza è un tema cardine: le persone oneste ci troveranno sempre dalla loro parte. Voi, al contrario, dovete vergognarvi e portate la responsabilità morale di avere reso più insicure le nostre strade e le nostre città. Voi avete la responsabilità morale degli Pag. 27atti che verranno compiuti dai lestofanti che non avete messo in carcere. Voi avete la responsabilità morale di attentare alla sicurezza della comunità che dovreste tutelare. Voi, con questo provvedimento, prendete a calci la gente onesta. Voi, con questo provvedimento «salva delinquenti», offendete e mortificate i milioni di uomini e donne che chiedono soluzioni che voi non siete in grado di dare. Il seme che viene piantato con questo provvedimento darà origine a una pianta che affonda le sue radici nel tessuto del corpo della nostra comunità e che si nutre stremando e beffando questo corpo. È un seme che farà germogliare una pianta dalla quale esce un odore nauseabondo, come nauseabonde sono le vostre giustificazioni, che adducete, incapaci di avere il coraggio di dire ai cittadini che li state prendendo per i fondelli.
  La buona fede, che non vi riconosciamo, e i buoni propositi sono spesso le maschere dietro le quali nascondete la vostra mancanza di volontà di risolvere una situazione. Questo provvedimento non è un passo importante, come ci dite, ma un salto nel buio in cui trascinate anche i cittadini e l'intera comunità (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Biondelli. Ne ha facoltà.

  FRANCA BIONDELLI. Signor Presidente, il 20 giugno scorso nell'esprimere parere favorevole al testo unificato di proposte di legge n. 331-927-A, la Commissione affari sociali della Camera ha valutato, a larga maggioranza, positivamente l'introduzione dell'istituto della messa alla prova nel processo penale in relazione a reati di minore gravità.
  Non voglio entrare in tecnicismi giuridici, che esulano dalle competenze della Commissione affari sociali. Vorrei ricordare semplicemente come i due connotati tipici e fondamentali del progetto di legge di cui si parla sono costituiti dall'introduzione delle pene detentive non carcerarie e dall'istituto della messa alla prova.
  Quest'ultimo, già presente nei sistemi anglosassoni e nel nostro processo minorile, si attua attraverso la rinuncia all'esercizio della potestà punitiva da parte dello Stato, condizionato però al buon esito di un periodo di prova controllata e assistita.
  Questo istituto ha una funzione di riduzione del sovraffollamento carcerario, ma ha anche funzioni molto più importanti: di umanizzazione della pena, di efficacia rieducativa della stessa, di adeguamento della pena carceraria al principio per cui la stessa debba essere l’extrema ratio e che si possono ottenere risultati dalla rieducazione e dalla tutela della società per altra via: quella deve essere seguita.
  Nel Paese di Cesare Beccaria – che già nel 1766 scriveva: vi è un punto in cui la forza deterrente della pena finisce, per diventare una spinta a commettere fatti delittuosi più gravi di quelli che si voleva evitare – e nonostante il nostro articolo 27 della Costituzione – che prevede che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato – fa specie vedere come, da un lato, vi sia una situazione carceraria definita critica e sull'orlo del collasso (sembra un eufemismo) e, dall'altro, non siamo stati capaci in molti anni e siamo intervenuti soltanto con spot settoriali. Tuttavia, le statistiche sono unanimi nel riconoscere che il carcere favorisce assai di più la recidiva che la rieducazione.
  Proprio qualche giorno fa, parlando con gli assistenti sociali e quindi con coloro che lavorano nelle carceri – è importante la loro opinione – essi dicevano: auspichiamo e chiediamo anche se si può provvedere ad uno snellimento delle procedure burocratiche, per pensare sempre meno alla detenzione all'interno delle carceri e sempre più a impegni e percorsi di riabilitazione. Quindi, coloro che lavorano nelle carceri tutti i giorni ci dicono questo.
  Con il progetto di legge di cui stiamo discutendo abbiamo cominciato un cammino vero verso un nuovo modo di affrontare il problema penitenziario, non nel senso di diminuire o, peggio ancora, abolire le sanzioni penali – bisogna essere Pag. 28chiari e non comunicare male –, ma dando ad esse una nuova accezione, che miri a contemperare la giusta protezione della persona offesa dal reato e l'irrogazione di una pena effettivamente commisurata alla gravità del reato commesso e alla finalità della rieducazione e risocializzazione del reo.
  Se è giusto e doveroso il coinvolgimento dell'ufficio Uepe (ufficio di esecuzione penale esterna) nella gestione del procedimento della messa alla prova del soggetto, occorrerà prevedere poi una naturale implementazione, sia qualitativa che quantitativa, di nuove professionalità e di nuove entità numeriche. In tal senso la previsione dell'articolo 6 del progetto di legge va valutata positivamente, laddove prevede che «entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, il Ministro della giustizia riferisce alle competenti Commissioni parlamentari in merito alle necessità di adeguamento numerico e professionale della pianta organica degli uffici di esecuzione penale esterna del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, in relazione alle esigenze di attuazione del presente capo».
  Se è vero come è vero – e termino, signor Presidente – che le grandi riforme nascono da grandi idee, è altrettanto vero che il loro successo dipende dalle donne e dagli uomini che ogni giorno – e questa volta anche dal Parlamento – con il loro lavoro traducono in pratica quelle idee.

  PRESIDENTE. Deve concludere.

  FRANCA BIONDELLI. È un passo importante, di grande civiltà (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Turco. Ne ha facoltà.

  TANCREDI TURCO. Signor Presidente, io non posso che associarmi alle considerazioni e alle dure critiche svolte dai colleghi della Lega, in particolare dal collega Molteni, considerazioni critiche che sostanzialmente condivido in toto.
  Arrivo al dunque: il provvedimento che oggi arriva alla Camera non è altro che un provvedimento che già precedentemente era stato approvato, sempre qui alla Camera, nel corso della precedente legislatura, il cui iter è stato interrotto dalla fine improvvisa della XVI legislatura.
  La ratio di questo provvedimento non è altro che un tentativo di risolvere l'annoso e grave problema del sovraffollamento delle carceri, nonché di risolvere anche il problema dei tempi del processo penale e del notevole numero di processi tuttora pendenti.
  È un provvedimento molto eterogeneo, che si divide sostanzialmente in tre parti fondamentali: la prima riguarda appunto le misure alternative al carcere, nello specifico domiciliari, la seconda parte riguarda l'istituto della messa alla prova e la terza parte riguarda la sospensione dei procedimenti per gli irreperibili.
  Inizialmente, il MoVimento 5 Stelle aveva anche espresso un timido consenso a questo provvedimento, perché, al principio, nella sua formula originaria, non c'era soprattutto l'emendamento del Governo che aumenta le pene edittali, portando a sei anni la pena edittale massima dei reati per cui si può usufruire della detenzione domiciliare.
  Vado a leggere, appunto, l'emendamento in questione: «Il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi per l'introduzione delle pene detentive non carcerarie nel codice penale per i delitti puniti con la reclusione fino a sei anni. Il giudice, tenuto conto dei criteri indicati dall'articolo 133 del codice penale, può applicare la reclusione presso il domicilio in misura corrispondente alla pena irrogata».
  Ecco, se già prima il MoVimento 5 Stelle aveva mosso delle critiche, cioè quando era previsto che il massimo edittale della pena fosse quattro anni, nel senso che valutavamo positivamente il fatto di escludere alcuni reati come, per esempio, uno di gravissimo allarme sociale come lo stalking, l'innalzamento a sei anni della pena edittale massima non può che Pag. 29portare all'inclusione di alcuni reati che sono senz'altro di grave allarme sociale e di grave pericolosità.
  Vado a leggere anche l'articolo 133 del codice penale per chi non se lo ricordasse: «Nell'esercizio del potere discrezionale indicato nell'articolo precedente, il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta: dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall'oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell'azione; dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato; dalla intensità del dolo o dal grado della colpa. Il giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere del colpevole, desunta: dai motivi a delinquere e dal carattere del reo; dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato; dalla condotta contemporanea o susseguente al reato; dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo».

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO (ore 14,20)

  TANCREDI TURCO. È questo un articolo che dice sostanzialmente tutto e niente, perché molti dei principi che richiama sono principi opinabili, nel senso che dà un'ampissima discrezionalità al giudice. In concreto, quindi, potremmo avere delle persone condannate per dei reati gravissimi che non vanno a scontare nemmeno un giorno di carcere.
  Se questo provvedimento che oggi discutiamo viene associato anche a quello che sarà l'annunciato decreto del Ministro della giustizia Cancellieri «svuota carceri», che prevede, appunto, ulteriori sconti di pena per buona condotta, che verrà portato da 45 giorni a 60 giorni ogni sei mesi di pena scontata, ecco che si va a incidere ancora di più su due principi cardine del nostro ordinamento giudiziario, cioè l'equità della pena e soprattutto la certezza della pena.
  Vorrei anche elencare alcuni reati che, portando il massimo edittale della pena a sei anni, verrebbero inclusi. Parlo, in particolar modo, degli articoli del codice penale 280-bis (atti di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi), 283 (attentato contro la Costituzione dello Stato), 356 (frode nelle pubbliche forniture), 372 (falsa testimonianza), 373 (falsa perizia o interpretazione), 374-bis (false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all'autorità giudiziaria), 431 (pericolo di disastro ferroviario causato da danneggiamento), 476 (falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici) e poi dei reati di bigamia, incesto, maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, rissa aggravata, furto in abitazione e furto con strappo, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche.
  Sono tutti questi – e non li ho letti tutti – reati di gravità allarmante che, quindi, a giudizio del MoVimento 5 Stelle, non possono essere inclusi in questo provvedimento.
  Se è pur vero che l'Europa ci chiede in qualche modo di arrivare ad una soluzione del grave problema del sovraffollamento carcerario – sono, infatti, arrivate indicazioni da Bruxelles per l'alleggerimento delle pene e le pene alternative, e siamo sotto procedura di infrazione – non è certo con questa proposta di legge e con il futuro decreto-legge del Ministro Cancellieri si arriverà ad una soluzione che va all'origine del problema del sovraffollamento delle carceri, ma questa non è altro che una soluzione raffazzonata, semplicistica e irresponsabile.
  Prima di passare all'altra parte della proposta di legge, vi sono anche problemi di controllo per chi sarà agli arresti domiciliari: controllo che non è previsto nella proposta di legge che stiamo esaminando. Infatti, saranno ovviamente le forze dell'ordine a dover andare a controllare che i detenuti agli arresti domiciliari rispettino le prescrizioni. E abbiamo già visto che quello dei braccialetti elettronici è stato un totale fallimento. Dunque, praticamente, le forze dell'ordine verranno oberate ancora di più da questi controlli e, quindi, verranno tolte, magari, in altri ambiti dove ce ne sarebbe più bisogno.Pag. 30
  Venendo alla seconda parte di questo provvedimento, ovverosia la messa alla prova, anche qua, inizialmente, il MoVimento 5 Stelle aveva dato un timido consenso all'introduzione di questo nuovo istituto. Questo perché la messa alla prova è già presente nell'ordinamento giudiziario italiano per quanto concerne il processo minorile ed è un istituto che sostanzialmente funziona. Anche in questo caso, era stabilito che la messa alla prova fosse prevista solo per i reati con una pena edittale massima di quattro anni.
  Anche in questo caso il MoVimento 5 Stelle si era dichiarato sostanzialmente d'accordo, purché venissero tolte alcune tipologie di reato – e parlo sempre, nello specifico, di quello attualmente a maggiore allarme sociale, ossia il reato di stalking – invece in questo caso i reati sono addirittura aumentati, perché sono stati inseriti anche quelli di cui all'articolo 550, secondo comma, cioè quelli a citazione diretta a giudizio. Non sono invece state inserite altre tipologie di reato, magari più meritevoli di questo istituto – quale poteva essere l'ipotesi di piccolo spaccio di cui al quinto comma dell'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 – e questo perché, nella stragrande maggioranza dei casi, i piccoli spacciatori non sono altro che tossicodipendenti a loro volta, i quali spacciano unicamente al solo scopo di procurarsi i soldi per comprarsi, a loro volta, una dose. Sappiamo che quello del piccolo spaccio è uno dei reati più comuni, le carceri sono piene di piccoli spacciatori. Ecco che allora, in questo caso qua, forse, ci sarebbe stato il consenso da parte del MoVimento 5 Stelle ad introdurre, anche per il piccolo spaccio, l'istituto della messa alla prova.
  Vengo infine alla terza parte del provvedimento, e cioè la sospensione dei procedimenti per gli irreperibili. Anche qua, non c’è una visione negativa da parte del MoVimento 5 Stelle riguardo all'introduzione di questo nuovo istituto, di questa nuova forma, però ci si domanda il perché includerlo in questa proposta di legge, in quanto questa parte, con il sovraffollamento delle carceri, nulla c'entra.
  Quindi, questo, comunque, è un provvedimento molto eterogeneo, che mischia l'introduzione di troppi istituti: sarebbe stato, forse, meglio dividerli in tre distinte proposte di legge, da valutare, poi, qui alla Camera. Quindi, mi avvio a concludere.
  Il MoVimento 5 Stelle, già in Commissione, ha presentato esclusivamente emendamenti di merito e costruttivi, ma nessun emendamento o subemendamento del MoVimento 5 Stelle è stato approvato. In Aula, la linea politica è di ripresentare gli stessi emendamenti di merito presentati in Commissione, sempre in un'ottica costruttiva e, diciamo, «costruzionistica». Ma, comunque, ci opponiamo sostanzialmente a questo provvedimento così com’è e faremo, quindi, un'ampia battaglia. Grazie, per quei pochi che mi hanno ascoltato (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Lega Nord e Autonomie).

  PRESIDENTE. Come preannunciato, sospendiamo a questo punto la discussione sulle linee generali del provvedimento, che riprenderà alle ore 15. La seduta è sospesa.

  La seduta, sospesa alle 14,30, è ripresa alle 15.

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Bergamini e Speranza sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
  Pertanto, i deputati in missione sono complessivamente cinquantacinque, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione del testo unificato delle proposte di legge nn. 331-927-A.

(Ripresa discussione sulle linee generali – A.C. 331-927-A)

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Morani. Ne ha facoltà.

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  ALESSIA MORANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, approda oggi in Aula, dopo un lungo e approfondito lavoro in Commissione giustizia, il provvedimento sulle pene detentive non carcerarie, sulle disposizioni in materia di messa alla prova e di sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili. In questi mesi, attraverso le audizioni, abbiamo avuto modo di ascoltare autorevoli commenti e consigli da parte di rinomati giuristi, docenti universitari, avvocati, magistrati e professionisti che hanno reso questo provvedimento equilibrato e rispondente ai problemi di cui il sistema giudiziario e carcerario italiano soffrono da tempo e cioè l'eccessiva durata dei procedimenti, l'enorme carico di processi pendenti, l'incapacità di garantire la certezza della pena e il sovraffollamento degli istituti penitenziari. L'Italia è un grande Paese; siamo tra i sei fondatori dell'Unione europea e, da sempre, ci siamo battuti nelle organizzazioni internazionali per il rispetto dei diritti umani. È inaccettabile e vergognoso, sotto il profilo civile ed anche umanitario, che il nostro Paese, da un lato, non riesca a garantire alle vittime dei reati la certezza della pena e, dall'altro, venga condannato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per le condizioni di vita nelle carceri, definite inumane e degradanti.
  Non mi piace la demagogia e sarò sincera: questa legge non risolverà d'un tratto gli enormi problemi strutturali che abbiamo in Italia in tema di giustizia ma sono, allo stesso modo, convinta che si stia andando, finalmente, nella giusta direzione. Con la delega al Governo che oggi stiamo discutendo verrà inserita nel codice penale anche la detenzione domiciliare come pena principale per delitti puniti con un massimo di sei anni e a condizione che il condannato non sia recidivo o pericoloso. L'esecuzione domiciliare della pena detentiva non potrà, comunque, mai, essere considerata un dato acquisito prima della celebrazione del processo da chi commette il reato perché, in ogni caso, la decisione spetterà, sempre, al giudice. Capisco che la politica, soprattutto quando non è al servizio del cittadino, diventi spesso un gioco delle parti e sono sicura che anche i colleghi deputati che definiscono questo provvedimento un indulto mascherato in cuor loro siano convinti della bontà e della indispensabilità di questo testo. Ciononostante non posso esimermi dal respingere al mittente queste accuse come pretestuose e irragionevoli. Oltre a non esservi, come ho già detto, alcuna automaticità nella comminazione della pena degli arresti domiciliari, è importante ribadire che la scelta della pena da parte del giudice, nel caso di reclusione ai domiciliari, potrà avvenire solo se sarà esclusa la pericolosità sociale dell'imputato e per reati di non particolare allarme sociale. Quelle di cui stiamo parlando oggi non sono pene automatiche, sono pene alternative. Si dà al giudice una possibilità sanzionatoria in più che, a determinate condizioni, deciderà o meno di comminare. La valenza innovativa della riforma consiste proprio nel fatto che non si tratta di una misura che viene applicata in fase di esecuzione della pena, all'esito dell'osservazione del comportamento del detenuto in carcere, ma di una pena principale che si affianca alla reclusione in carcere ed all'arresto e che come tale è decisa dal giudice della cognizione, tenuti presenti tutti i criteri elencati all'articolo 133 del codice penale, come la gravità del reato, la gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa, la capacità a delinquere del colpevole. È chiaro che laddove il giudice avrà di fronte a sé un soggetto socialmente pericoloso si guarderà bene dallo scegliere gli arresti domiciliari.
  Il nostro sistema carcerario è al collasso: 66 mila persone sono costrette a vivere in condizioni inumane in istituti di pena che, al massimo, possono contenerne 47 mila. Di questi 66 mila, due terzi sono condannati per reati non gravi e più di un terzo sono imputati ancora in attesa di giudizio. Mi fa specie ed orrore sapere che ogni giorno migliaia di persone non ancora condannate e quindi formalmente innocenti siano costrette dal nostro sistema carcerario e giudiziario a vivere in condizioni che la Corte europea per i diritti dell'uomo ha definito degradanti. Dall'inizio Pag. 32dell'anno ad oggi sono stati ben ventisette i suicidi in carcere, di cui solo due, qualche giorno fa, a Secondigliano e Poggioreale.
  Signor Presidente, colleghi deputati, la situazione gravissima di sovraffollamento degli istituti di pena non deve però farci dimenticare gli assoluti e imprescindibili doveri che lo Stato deve avere nei confronti della società e in particolare delle vittime dei reati. Su questo punto ci tengo a sottolineare che sin dal primo dibattito in Commissione non è mai mancata in noi l'assoluta e ferma convinzione che al centro di questo provvedimento dovesse esserci un'imperativa attenzione nei confronti delle parti offese. Con l'approvazione del progetto di legge oggi in esame compiremo dei passi positivi anche in questa direzione. Come ha sottolineato Claudia Cesari, professoressa di diritto processuale penale presso l'università degli studi di Macerata, durante l'audizione del 29 maggio scorso, in questo provvedimento emerge in maniera evidente il profilo della centralità della vittima: è previsto espressamente che i domiciliari non possano ledere le esigenze di tutela delle persone offese dal reato, tanto che il giudice è tenuto a convertire la detenzione domiciliare con la detenzione in carcere qualora il domicilio non sia idoneo, anche alla luce di comportamenti successivi alla condanna tenuti dal condannato, oppure vengano pregiudicate le esigenze delle persone offese dal reato. Arrivo dunque alla seconda parte di questo progetto di legge, quello della sospensione del procedimento con messa alla prova, che reputo anche la più importante per il sistema giudiziario nazionale.
  L'estensione dell'istituto della messa alla prova – per ora previsto solo nel processo minorile – agli adulti permetterà la sospensione del processo per reati di media e piccola gravità, a fronte di un periodo di lavoro gratuito socialmente utile teso a riparare sì la società, ma soprattutto la vittima che ha subito l'offesa. L'istituto offre agli imputati per reati di minore allarme sociale un percorso di reinserimento alternativo, e al contempo, insieme alla sospensione del processo per gli imputati irreperibili anch'essa contenuta nella presente delega, svolge un'importante funzione deflattiva dei procedimenti penali. Infatti, in caso di esito positivo della messa alla prova, il reato si estingue con sentenza pronunciata dal giudice. La sospensione del processo con messa alla prova dell'imputato non può essere concessa più di due volte né più di una volta se si tratta di reato della stessa indole. Inoltre, si prevede che non possa essere concessa a una serie di categorie di soggetti pericolosi: i delinquenti e i contravventori abituali o per professione, i delinquenti per tendenza e gli stessi soggetti per cui non sono applicabili nuove pene detentive domiciliari.
  Ancora una volta, onorevoli colleghi, fatico a comprendere quali siano le motivazioni che spingono a dichiarazioni irresponsabili come quelle fatte dal vice segretario federale della Lega Nord, Matteo Salvini, che addirittura prevede che il Partito Democratico e il Governo avranno sulla coscienza un'ondata di nuovi reati, morti e feriti compresi. Personalmente – e su questo sono convinta di essere in sintonia con la gran parte dei nostri cittadini – sono stanca di ascoltare dichiarazioni inopportune ed offensive per il Partito Democratico, fatte solo per ottenere l'attenzione dei media nazionali o peggio per mutuare consensi giocando ancora una volta in maniera irresponsabile con la paura dei nostri cittadini. Abbiamo già dato in questo senso nel passato Governo. Assicuro ai colleghi della Lega Nord e anche del MoVimento 5 Stelle che nessuno nel nostro partito avrà sulla coscienza ondate di nuovi reati, feriti o morti, e questo non perché siamo dei grigi e insensibili membri della casta, ma semplicemente perché questo provvedimento è un pizzico più lungimirante di una retrograda convinzione carcerocentrica che vede nella sola detenzione la vera riparazione per la vittima.
  Detenzione che, per amore di verità, spesso neppure viene eseguita, trattandosi di reati i cui processi finiscono spesso con la sospensione condizionale della pena. Pag. 33Pertanto, anche volendosi porre in un'ottica di esclusiva funzione retributiva della pena che comunque non ci appartiene, e della sua certezza, con la «messa alla prova» l'imputato mette in atto un percorso con il lavoro di pubblica utilità, visibile, e di riparazione nei confronti sia della vittima del reato che della società tutta. Ma questa ottica di sola funziona afflittiva della pena, come dicevo, non appartiene al Partito Democratico, essendo oltremodo convinti che la pena debba essere finalizzata alla rieducazione del reo. Inoltre, la funzione e la ragion d'essere della pena vanno desunte anche da un'esigenza pratica: l'esigenza della prevenzione. Le statistiche al riguardo parlano chiaro: chi entra in carcere per un reato non grave ci ritornerà nel giro di pochi anni per un reato peggiore e così via in un ciclo senza fine. Il carcere molto spesso è un vero e proprio master in criminalità; il circolo vizioso è semplice e lo conoscono tutti, anche gli onorevoli colleghi della Lega e del MoVimento 5 Stelle.
  Il condannato, una volta uscito dal carcere, si ritroverà nella maggior parte dei casi senza lavoro e senza prospettive ma con un ottimo ed esteso network di conoscenze criminali che lo porteranno, con un'altissima probabilità, a commettere nuovi reati. Insomma, onorevoli colleghi, lo Stato attraverso un sistema carcerario non efficiente, finanzia la migliore delle scuole della criminalità. I magistrati che abbiamo ascoltato in Commissione l'hanno chiesto espressamente: bisogna porre un freno a questo circolo vizioso.
  Immaginiamo il caso di uno stalker, per riprendere l'intervento dell'onorevole Turco del MoVimento 5 Stelle. Con il sistema vigente non solo lo Stato italiano utilizza enormi risorse con l'altissima probabilità, come detto, che il processo si concluda con una pena sospesa, ma cosa ancora più grave, rinuncerà sia alla rieducazione del reo sia ad ogni tipo di riparazione nei confronti della vittima. Al contrario, a seguito dell'entrata in vigore di questo provvedimento, l'imputato dovrà svolgere un servizio di riparazione alla vittima del suo reato e alla società, ad esempio lavorando in un centro antiviolenza e toccando con mano il dramma della violenza sulle donne.
  Così facendo lo Stato non solo risparmia in termini di risorse ma mette anche in piedi un importante percorso di recupero del reo e di prevenzione di futuri reati. Il recupero di un reo, oltre ad essere una questione umanitaria e morale, ha un significato di prevenzione generale. Infatti le cifre sulla recidiva ci dimostrano chiaramente che un soggetto recuperato attraverso pene alternative difficilmente tornerà a delinquere a differenza di uno che ha scontato una pena in carcere.
  Sono consapevole che con questo provvedimento chiederemo ai servizi sociali, ed in particolare alle nostre forze dell'ordine un sforzo aggiuntivo rispetto ad un organico che è già in difficoltà in termini di risorse e di mezzi. Alle donne e agli uomini che ogni giorno difendono la nostra sicurezza va, senza alcuna retorica, il mio più grande plauso per l'ottimo lavoro che quotidianamente riescono a svolgere anche in condizioni difficili. Per questo motivo, auspico che il Governo, il ministro Alfano in particolare, operino affinché questi attestati di stima e solidarietà non restino solo vaga e stanca retorica ma si trasformino in atti concreti nel minor tempo possibile.
  Questo, ad esempio, sarà un provvedimento che, grazie alle misure deflattive sui processi e ad un alleggerimento della pressione sul sistema carcerario, avrà effetti positivi anche sul bilancio dello Stato e tali risparmi di spesa potrebbero anche essere utilizzati per rafforzare l'organico delle Forze dell'ordine oltre che per un necessario rinnovo dei loro contratti fermi ormai da troppi anni.
  Basta infatti raffrontare i costi crescenti dell'industria del carcere con quelli necessari per le soluzioni riparative, come quelle in esame oggi, per comprendere che in realtà a frenare i programmi di giustizia riparativa non sono tanto le limitate disponibilità economiche quanto piuttosto una miope ricerca del consenso elettorale attraverso tattiche repressive e securitarie.Pag. 34
  In conclusione, signor Presidente, voglio esprimere la mia soddisfazione per questo provvedimento, in quanto contiene disposizioni che conciliano i fondamentali obiettivi di un moderno sistema penale, ispirato ai principi non soltanto di necessità, legalità, proporzionalità, personalità della pena, ma anche di rieducazione e umanizzazione della pena, secondo il disposto dell'articolo 27 della Costituzione; ed affronta finalmente i problemi di deflazione dei processi e di sovraffollamento carcerario in maniera strutturale ed innovativa, rispondendo ad esigenze che da troppi anni ci trasciniamo, a scapito purtroppo dei nostri cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Guidesi. Ne ha facoltà.

  GUIDO GUIDESI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, la Lega Nord è contraria a questo provvedimento, per una serie di ragioni: ragioni avvalorate da fatti e numeri che vi andrò ad illustrare.
  Innanzitutto siamo di fronte ad un provvedimento del tutto inutile, che sicuramente non andrà a risolvere il problema del sovraffollamento carcerario, se questo è l'intento: anzi, probabilmente andrà ad aggravarlo. Lo dimostra proprio la ciclicità di tali provvedimenti: ricordo solo l'anno scorso il cosiddetto decreto Severino, meglio noto come «svuota carceri», che aveva la finalità appunto di venire incontro al sovraffollamento carcerario. Ebbene, oggi siamo ancora qui ad affrontare lo stesso problema con un altro provvedimento, che di fondo si basa sullo stesso principio: non far scontare la pena in carcere. Lo dimostrano il numero dei detenuti in esubero ed il numero di quelli che usufruirebbero dei benefici deflattivi di questo provvedimento, esiguo rispetto alle problematiche del nostro sistema carcerario.
  Il problema del sovraffollamento degli istituti penitenziari italiani è stato in passato risolto con amnistie, indulti e altri provvedimenti-tampone, come quello di cui oggi si discute. Ma tali strumenti si sono rivelati del tutto inidonei a risolvere il problema, tanto che le carceri sono tornate in breve tempo stracolme come prima, creando però nel frattempo più problemi alla sicurezza dei cittadini.
  Ed infatti quello di cui stiamo discutendo oggi è anche un provvedimento estremamente pericoloso, nel senso che mette in serio pericolo non soltanto il principio della certezza della pena, ma anche la sicurezza dei cittadini. Con questo provvedimento si assiste ad una vera e propria resa dello Stato alla criminalità e ad un atto di abdicazione da uno dei suoi compiti principali, quello di garantire la sicurezza dei propri cittadini.
  Anche in questo caso lo dimostrano i numeri. Dopo solo sei mesi dall'indulto del Governo Prodi, risalente al 2006, il tasso di crescita dei delitti era aumentato dal 2 e mezzo per cento al 14,4 per cento. Gli ultimi dati forniti dal Ministero dell'interno ci dicono che la situazione è già grave: nel 2012 i reati sono arrivati a sfiorare i 2,8 milioni, con un aumento generale dell'1,3 per cento, con picchi ben superiori per talune tipologie di reato, tra cui proprio i furti in casa e gli scippi, ossia quegli stessi reati ricompresi nel provvedimento oggi all'esame della Camera. In un momento in cui tutti ci chiedono severità e contrasto alla delinquenza, in primis i cittadini vittime di questi reati, questo provvedimento invece rappresenta un'ennesima resa dello Stato.
  Questo provvedimento attacca poi ancora di più e più fortemente la funzione general-preventiva che dovrebbe esercitare la pena. Che tipo di deterrenza può avere una norma di questo genere presso chi vuole commettere reati tra cui lesioni personali, percosse, furto con strappo e in abitazione, violenza privata, pornografia minorile, atti persecutori come lo stalking ? Stiamo parlando infatti di reati di grave allarme sociale, che colpiscono direttamente le fasce più povere e più comuni dei cittadini: parliamo del furto in casa, del furto con violenza o con destrezza, di quello commesso sui mezzi pubblici, fino ad arrivare agli atti di terrorismo Pag. 35con ordigni micidiali o esplosivi, frode nelle pubbliche forniture, falsa testimonianza, falsa perizia, istigazione a delinquere, incendio boschivo per colpa ed altri ancora che non sto qui ad elencare. Non è possibile che chi compie questi reati, oppure anche solo chi ha intenzione di volerli compiere, sappia poi di poter rischiare al massimo di tornarsene a casa propria.
  E non è nemmeno possibile pensare di poter garantire la sicurezza dei cittadini con braccialetti elettronici o scaricando interamente il problema di fatto sulle forze dell'ordine, che allo stato attuale, per carenze di organico, non sono in grado di sorvegliare adeguatamente il numero dei detenuti che sconterà la pena ai domiciliari.
  Questo è un provvedimento che rischia seriamente di consegnare il Paese al caos e a un'emergenza sicurezza senza pari.
  Queste sono le dichiarazioni del segretario dell'Associazione nazionale funzionari di polizia, chiedendo al Governo di prendere coscienza del fatto che lo scorso anno sono aumentati tutti i reati predatori – furti, scippi, borseggi, truffe e rapine, reati che destano il maggior allarme sociale – e che lo stesso provvedimento impegnerà gli agenti di polizia per effettuare i relativi controlli anziché a presidiare i territori.
  Di fatti i dati parlano chiaro, secondo un articolo di Il Sole 24 Ore di lunedì 17 giugno che riprende i dati del Ministero dell'interno riferiti al 2012, sono più di cinque i reati al minuto, quasi 7.700 al giorno, 365 giorni all'anno. Se si vanno ad analizzare le cifre fornite, si scopre poi un dato estremamente importante che riguarda il provvedimento in esame: se l'aumento dei crimini denunciati in generale ha avuto un incremento dell'1,3 per cento (circa 2,8 milioni, 36 mila in più del 2011), dall'analisi per tipologia di reato il peggioramento più pesante è per i cosiddetti reati predatori, ossia quei reati che incidono direttamente sui beni personali, maggiormente legati alle fasi di crisi economica e in grado di destare particolare allarme alla collettività. Si tratta di furti, scippi, borseggi e truffe, che vanno a colpire i singoli cittadini, anche con modalità particolarmente violente e sono gli stessi reati per i quali il provvedimento in esame dispone come pena la detenzione domiciliare.
  Oltre la metà delle denunce riguarda la sottrazione di beni, ossia i furti: un milione e mezzo, in aumento del 4 per cento dal 2011. Fra le diverse categorie di furti – negozi, ciclomotori, auto – spiccano ancora di più i furti in casa, sia come numero (quasi 273 mila) sia come incremento (16 per cento in più), seguono i borseggi, che si avvicinano a 150 mila con un aumento dell'11 per cento. Sono in aumento anche le frodi. Con riguardo allo stalking, anche qui le cifre sono allarmanti: nel 2011 sono state denunciate 8.141 persone, nel 2012 8.821 e solo nei primi mesi di quest'anno 7.094, per cui le previsioni parlano di oltre 20 mila casi a fine anno.
  Di fronte a questi dati il Governo attuale sembra del tutto distante dalla necessità e richiesta di maggiore sicurezza da parte dei cittadini. Alla luce di questi dati il Ministro Alfano ha annunciato un piano sicurezza per le città, che sembra però più propaganda che una volontà reale di combattere con fermezza la criminalità, perché lo stesso Governo approva un provvedimento, come quello in esame, che dispone la pena della detenzione domiciliare per i soggetti che compiono proprio quei reati che sono in aumento e di più grave allarme sociale.
  Secondo i dati del Ministero della giustizia, all'indomani dell'indulto del 2006 la popolazione carceraria era passata da 71.200 detenuti circa a 39 mila circa a fine 2006. Negli anni seguenti, tuttavia, si è registrato un rapido ritorno alla situazione pre-indulto, con un successivo ulteriore peggioramento dei dati statistici. Le presenze al 31 dicembre 2007 erano 48.693, a fine 2008 più di 58 mila, a fine 2009 più di 64 mila e a fine 2010 più di 67 mila. Infine, un altro aspetto collegato al problema del sovraffollamento carcerario è Pag. 36l'eccessivo numero dei detenuti in attesa di giudizio, che ad aprile 2013, fra italiani e stranieri, erano 12.258.
  Il problema è serio e va affrontato seriamente con un piano carceri come quello approvato nel gennaio 2010, che prevedeva la costruzione di nuovi penitenziari e l'ampliamento di quelli già esistenti, attivandosi per far scontare ai detenuti stranieri – a loro sì – la pena a casa loro.
  Sappiamo che quasi il 40 per cento dei residenti delle nostre carceri – in alcuni casi addirittura il 90 per cento, soprattutto al nord – sono stranieri: i numeri, già citati dall'onorevole Rondini in precedenza, dicono che in Campania su 8.292 detenuti 998 sono stranieri, ma in Lombardia su 9.390 detenuti ben 4.200 sono stranieri.
  Ebbene, è dunque necessario attivarsi per stringere accordi bilaterali con i Paesi di origine. Sarebbe sicuramente un valido strumento, questo, per risolvere il problema con effetti non provvisori e temporanei, bensì di più lungo termine. Invece, il Governo attuale, su questo tema, nulla ha fatto e non sappiamo se qualcosa farà.
  Quindi, il giudizio nostro è completamente negativo, perché si tratta di un provvedimento inutile che non risolverà il problema e che, invece, manda un chiaro messaggio di apertura alla criminalità, non solo italiana, ma anche straniera.
  Credendo noi di essere in piena sintonia con i cittadini, quei cittadini che hanno subito i furti, che hanno subito le violenze nelle proprie abitazioni e che oggi non si sentono più sicuri, caro Governo, nelle loro case, come già anticipato dal relatore di minoranza e dall'onorevole Rondini, siamo e saremo contro questo provvedimento, perché questo è un provvedimento che tutela i delinquenti, che li lascia impuniti e non tutela le vittime dei reati. Chi andrà da quelle persone che hanno subito furti e violenze nelle proprie abitazioni a dire che coloro i quali hanno commesso violenze non subiranno la reclusione, ma semplicemente sconteranno la pena a casa (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie) ?

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Schirò Planeta. Ne ha facoltà.

  GEA SCHIRÒ PLANETA. Signor Presidente, per il collega, io sono stata scippata il 7 maggio qui a Roma, uscendo dalla Camera, e mi sono fatta male, ma non ho mai desiderato la gogna o il carcere per il mio scippatore: dipende dalle indoli personali.
  I progetti di legge n. 331 e 927 contengono indirizzi condivisibili per diminuire la presenza dei detenuti negli istituti di pena italiani e prescrizioni delegate al giudice per affrontare gli eventuali cambiamenti di status detentivo. Mi permetto di fare rilevare come manchino proposte di oggettivo miglioramento della vita carceraria e di radicale mutamento di visione dell'istituzione. La visione, infatti, deve includere anche l'intera società e come questa intenda farsi carico – o meglio condividere – i problemi, le situazioni e le prospettive delle persone recluse.
  Negli ultimi decenni sono cambiate le cause e le motivazioni delle nostre paure e preoccupazioni personali e collettive, ma spesso la sensazione è che la legislazione non riesca ad essere al passo con i tempi, cioè è come se dentro di noi avessimo già i semi di un futuro che è già iniziato e che qui dobbiamo rappresentare in termini legislativi e che non possiamo eludere.
  Il carcere è uno spazio residuale, un luogo difficile di privazione e spesso di disperazione, un luogo dove vivono in maggioranza povere persone, che non usufruiscono di pene alternative, coacervo di disagio. Dovrebbe diventare un luogo di creatività e potere sociale, di solidarietà, un sito di reale «rieducazione del condannato», come previsto dalla Costituzione. In realtà, è tutt'altro. Oggi, più che a un'istituzione penale riabilitante, il carcere somiglia a un «cronicario» dell'esclusione sociale, in cui la cosa più importante – il recupero sociale del detenuto – non ha minimamente luogo.
  La responsabilità della politica verso la società risiede anche nel non coltivarne le pur utili individualità egoistiche, anche se bisogna riconoscere che nel mutamento Pag. 37della dimensione culturale riposa già l'individualismo compiuto attuale.
  Però, la politica dovrebbe andare oltre e parlare all'intelligenza collettiva. Da diversi anni si prevedono leggi di ampia depenalizzazione di reati di non particolare allarme sociale, nonché l'abrogazione di reati ormai anacronistici. Un tempo, nell'Ottocento, c'era l'abigeato, che era il peggiore reato che potesse esistere. Basti pensare alle riforme Boato e Pisapia del 2005, che sono state del tutto disattese. Se si pensa al carcere come extrema ratio ci sarebbero effetti positivi sul carico di lavoro dei tribunali di sorveglianza e, quindi, sul sovraffollamento degli istituti.
  Noi proponiamo e chiediamo, oltre alla reale applicazione delle pene detentive alternative, anche un'ampia applicazione degli articoli 168, 168-bis e 168-ter del codice penale. Chiediamo che si pongano dei limiti di età alla detenzione e che le pene accessorie si estinguano con l'esaurirsi della pena, anche se sono due istituti diversi, per i reati che non comportano pericolosità sociale.
  E non si apra un dibattito se le accuse a uno valgono più o meno di 20 mila detenuti ignoti.
  Il parere della XII Commissione è stato sottovalutato. Il parere allegato dice, appunto: «(...) considerato altresì che essendo le funzioni dei servizi sociali per la messa alla prova svolte dagli uffici di esecuzione penale esterna del DAP (...), è necessario che tali uffici dispongano di strutture e di risorse adeguate allo svolgimento dei nuovi compiti loro assegnati». Le deleghe alle associazioni di promozione sociale, organizzazione sociale, organizzazioni di volontariato e cooperative sociali sono un po’ lasciate nel vago nel testo.
  Domandiamo, come già ideato dal presidente Onida, ricordato dal Presidente Napolitano in occasione della sua visita al carcere di San Vittore, un periodo di stage penitenziario per i giovani giudici. Domandiamo che venga abbassata la soglia minima di reddito necessario per accedere al gratuito patrocinio, affinché diventi il più ampio possibile. Arrivo a dire che dovrebbe essere obbligatorio per ogni avvocato lavorare pro bono almeno una volta all'anno. Si potrebbe pensare, per superare i problemi di copertura, un regime speciale per i grandi studi che hanno buoni accantonamenti per il TFR oppure, poiché il rapporto del penalista con il cliente è strettamente fiduciario, per gli studi più piccoli norme di agevolazione fiscale e norme di agevolazione fiscale per quelle aziende che si impegnino a delegare parte della loro produzione ai detenuti, impegnandosi a mantenere l'impiego una volta che il detenuto abbia terminato il periodo detentivo (scusate il gioco di parole) e cercare di favorire l'avvicinamento dei detenuti ai luoghi di origine o di residenza, per facilitare gli incontri affettivi.
  Ritengo, però, che tutti gli interventi – e quelli di questo Governo ancora di più – debbano affrontare la prassi legislativa cercando di regolamentare l'insieme delle norme che presiedono un istituto giuridico. Lo Stato deve essere regolatore e non punitivo. Invito i colleghi a una riflessione sull'uso improprio che si fa del termine «giudizio» o «giudicante», inquinando di fatto con pregiudizi, positivi o negativi che siano, i giudizi appunto.
  Esprimere un giudizio non vuol dire esercitare un potere, ma avere una delega asettica all'applicazione delle regole stabilite dai legislatori. Sono delle regole che devono essere applicate e rispettate da entrambi i contraenti. Infatti, non si spiegherebbe altrimenti la possibilità del ricorso o di giudizio sui giudizi, come le numerose procedure di infrazione dimostrano.
  La funzione di garanzia per il cittadino, esplicata dalla legge, trova le sue radici nei principi della Costituzione, tanto da poter pensare che uno Stato laico possa essere uno Stato giusto. La situazione delle nostre carceri oggi è l'esempio di come lo Stato non riesca a essere giusto né verso il condannato né, tanto meno, verso la società civile, di cui, vorrei ricordare, fanno parte le guardie penitenziarie, il cui alto numero di suicidi è sempre taciuto e sussunto nel malessere generale.Pag. 38
  Spero che anche attraverso questo provvedimento riusciremo a legiferare di più al passo con i tempi e a contribuire a far sì che il nostro Paese sia più giusto anche in uno di quei luoghi di maggior isolamento sociale come è oggi il carcere.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Ermini. Ne ha facoltà.

  DAVID ERMINI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, come ormai molti hanno già espresso, questo progetto di legge, che oggi ci troviamo ad esaminare, si compone sostanzialmente di tre grandi argomenti, tre grandi parti: l'estensione della possibilità di applicazione della detenzione domiciliare per i reati aventi un massimo edittale di sei anni; la possibilità di sospensione del procedimento con messa alla prova; la sospensione del procedimento nei confronti dei soggetti irreperibili.
  Io ritengo che sia particolarmente sbagliato affrontare il tema della ratio di questo progetto di legge se lo si volesse esclusivamente leggere come un semplice provvedimento «svuota carceri» o, comunque, un provvedimento soltanto relativo all'emergenza carceraria. Questo è un provvedimento che mira alla piena applicazione dell'articolo 27 della nostra Carta costituzionale, con la ricerca di una pena che non solo abbia compiti di punizione e deterrenza, ma sia anche rieducativa e umana.
  Oggi abbiamo sentito dire in questo dibattito che questo è un provvedimento inutile, addirittura siamo stati definiti come nauseabondi.
  Ebbene, io voglio dire qui che nauseabondo è chi esige la vendetta e non la giustizia. Io credo che, in questo caso, una svolta politica sia essenziale anche attraverso un provvedimento come quello che noi oggi stiamo per discutere e spero anche approvare.
  Io direi «basta» con i soliti schematismi di essere più o meno forcaioli per riuscire ad ottenere qualche voto in più sulla paura delle persone. Basta fare confusione tra la prevenzione e la pena. Adesso dobbiamo fare sul serio, adesso parliamo di cose concrete e adesso partiamo per risolvere i problemi di questo Paese. Cominciamo dai problemi della giustizia.
  Mi dispiace – lo dico sinceramente – avere sentito il rappresentante del MoVimento 5 Stelle che si è completamente adagiato su una posizione vecchia e retrograda come quella della Lega Nord. Vedete, la pena ha certo una funzione di prevenzione generale e le sue fasi, quella edittale, quella giudiziale e quella esecutiva, sono nei manuali di diritto penale. La fase edittale, quella in cui noi, il legislatore indica qual è la sanzione, la quantità di pena di cui un soggetto risponde nel caso di commissione di reati, lancia il doppio messaggio: quello della dissuasione e quello della persuasione.
  La fase giudiziale è quella in cui il giudice invece indica in concreto e determina la pena ed è il suo compito. Ho sentito dire prima che l'articolo 133 del codice penale è un articolo vuoto, che serve a poco. Non solo non è vero – e poi lo dirò – ma l'articolo 133 segue l'obbligo di motivazione del giudice nei suoi provvedimenti, previsto dall'articolo 132. Quindi, è un combinato disposto che in questo provvedimento sarà essenziale per il magistrato e sarà essenziale affinché questa legge possa veramente essere applicata come tutti noi speriamo.
  E poi c’è la fase esecutiva, certo: condannato il reo, per rendere credibili le fasi precedenti, si deve tendere alla soddisfazione delle parti offese attraverso forme di risarcimento, ma anche alla rieducazione, come prima dicevo, che è prevista dall'articolo 27 della nostra Carta costituzionale.
  Certo, la nostra situazione carceraria è drammatica. Siamo stanchi però di essere continuamente condannati dagli organismi di giustizia. È stata citata qui la sentenza del gennaio del 2013 della Corte europea, che ha condannato il nostro Paese per la violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo – è una Pag. 39cosa gravissima ! – in relazione alle condizioni di vita carceraria ritenute trattamento inumano o degradante.
  Abbiamo ormai anche capito che i provvedimenti «tampone» – è vero – hanno un effetto limitato nel tempo: i loro effetti si esauriscono nel giro di pochi anni, come è successo con l'indulto del 2006. Vi è quindi la necessità di una normativa più moderna, più celere e anche più giusta, sia verso la persona condannata che verso la persona offesa dal reato.
  La nuova normativa, che entrerà in vigore non appena approvato questo provvedimento oggi in discussione, sarà un passo avanti sia nel senso di una giustizia che cerca di essere più concreta e più efficace sia nel senso di una maggiore speditezza dei processi penali.
  In merito alla possibilità della detenzione domiciliare per i condannati per un reato avente una pena massima fino a sei anni, appare subito evidente quale sia la svolta epocale per il nostro sistema processuale penale. Sarà il giudice di merito a stabilire sin dall'emissione della sentenza di condanna di primo grado se il condannato potrà scontare la pena presso il domicilio, oppure se si dovranno aprire per esso le porte del carcere. Al giudice, quindi, della cognizione spetta un esame importante e decisivo.
  Il criterio della giusta proporzione della sanzione penale in riferimento al bene violato, alla gravità in concreto del comportamento e alla stessa pericolosità sociale dell'imputato, trova in questo provvedimento il giusto equilibrio. Sappiamo ormai tutti che le misure alternative al carcere riescono a limitare una nuova commissione di reati da parte di chi vi è stato sottoposto, viceversa la permanenza in carcere statisticamente non evita in modo accettabile la possibilità di recidive.
  Il giudice viaggerà su binari molto stretti: non potrà concedere la detenzione domiciliare qualora questa misura alternativa dovesse in qualche modo ledere i diritti anche della persona offesa. E, infatti, la pena della detenzione domiciliare, che diventa in questo modo pena principale, deve essere comminata dal giudice utilizzando quello che dicevo prima, cioè i criteri dell'articolo 133 e anche, evidentemente, dell'articolo 132 del codice penale, e dovrà quindi valutare la gravità del reato, il danno cagionato e la personalità del colpevole.
  Non si tratta, pertanto, di un indulto mascherato, di una cancellazione della pena. Qui oggi abbiamo sentito di tutto e di più. Cerchiamo di parlare, invece, in concreto di questo sistema e di questo provvedimento. Dev'essere chiaro ai cittadini, ed essi devono sapere che non si tratta di mascherare provvedimenti di clemenza o di una legge «svuota carceri», ma si tratta di rendere più civile il nostro sistema, in modo che il giudice abbia, attraverso una sua scrupolosa ed attenta valutazione della persona e del fatto, la possibilità di applicare la detenzione domiciliare solo nel caso di esclusione della pericolosità sociale del condannato e per i reati di non particolare allarme sociale.
  Come ho detto in precedenza, è questo un passaggio verso una civiltà giudiziaria più moderna, più simile ai Paesi anglosassoni, dove la pena viene rimodulata di volta in volta, certamente sulla base di limitazioni legislative ferme, ma dove si tengono in considerazione anche le possibilità rieducative del condannato.
  Il progetto di legge prevede anche per il giudice di cognizione, su richiesta dell'interessato, – come è già stato detto dagli altri colleghi intervenuti – che il giudice stesso possa sospendere il processo con la messa alla prova. Questo già avviene nel nostro ordinamento nel processo minorile. La messa alla prova dovrà comprendere sia l'eliminazione delle conseguenze dannose del reato, sia le misure risarcitorie per le persone offese. L'istituto potrà essere applicato per i reati aventi un massimo edittale di anni 4 e per i reati di competenza del giudice monocratico, proprio ai sensi di quello che prevede l'articolo 550 del codice di procedura penale; guai se non fosse così, allora sì che sarebbe un provvedimento assolutamente inutile.
  Questo provvedimento dovrà avere effetti deflativi, perché il ricorso alla messa Pag. 40alla prova comporterà, se l'esito sarà positivo, l'estinzione del reato ed è quindi logico è auspicabile un massiccio ricorso a questo istituto. E anche in questo caso devono essere coniugate le due strettissime esigenze: quella di sicurezza delle persone e della società con quella della rieducazione della persona che ha sbagliato.
  Non dobbiamo mai dimenticare che la possibilità di incappare in un errore può capitare a persone che mai si sarebbero immaginate di commettere un reato, ed è pertanto giusto ed opportuno dare a queste persone, soprattutto a queste persone incensurate, la possibilità di essere messe alla prova per reati di non grave allarme sociale e permettere loro un reinserimento pieno nella società. Ciò, naturalmente, dovrà passare – ed anche questo è lo spirito della messa alla prova – attraverso un rapporto di riparazione nei confronti della persona offesa, ed è importante sottolineare come la messa alla prova ed il suo esito positivo, non pregiudicano l'applicazione delle sanzioni amministrative accessorie ed è altrettanto importante rimarcare che, qualora la messa alla prova fosse, a causa del comportamento del soggetto, revocata, non potrà essere riproposta. Le sanzioni accessorie permangono, per cui chi chiederà la messa alla prova anche per una contravvenzione, un abuso edilizio, un reato di inquinamento, dovrà comunque essere sottoposto alla rimessa in pristino dei luoghi e questo è un elemento essenziale. Non è un indulto, non è un condono. Le limitazioni alla messa alla prova, saranno sia di carattere oggettivo – come abbiamo visto parlando del massimo edittale – sia di carattere soggettivo e sarà, pertanto, esclusa per i delinquenti abituali, per i delinquenti di professione o per tendenza.
  Le problematiche principali, che abbiamo ascoltato anche durante le audizioni in Commissione, rimangono quelle relative al carico di lavoro e all'organizzazione degli uffici di esecuzione penale esterna, e su questo – lo dico al Sottosegretario – occorrerà un impegno da parte del Governo per rafforzare questi uffici, sapendo che le risorse investite si trasformeranno sicuramente in maggiori risparmi.
  Infine, due parole soltanto – e qui gli operatori di diritto diranno: «Finalmente !» – sulla sospensione del processo agli irreperibili. Chi frequenta i tribunali sa quante risorse, quanto tempo e quanto spreco avviene quotidianamente quando nei tribunali italiani si processano persone che probabilmente non sono più in Italia, e che non sanno forse neanche di essere indagate o imputate, ed è questa una norma semplicemente di buon senso, oltre che assolutamente necessaria.
  Concludo, signor Presidente, rigettando al mittente tutte le inesattezze demagogiche che in questo dibattito abbiamo sentito. Se vogliamo fare una discussione seria, politica e scientifica noi ci stiamo. Pensare di risolvere i problemi o volere applicare i principi costituzionali mettendo la paura ai nostri cittadini è un metodo che non ci piace, che serve a poco e a pochi e che, alla lunga, non porterà certo risultati di alcun genere.
  Vi è prima il diritto della persona offesa a vedere risarcito e riparato il danno subito. Vi è il diritto-dovere dello Stato di punire i colpevoli e vi è il dovere dell'imputato e del condannato a rimediare i danni cagionati e il diritto però anche alla propria rieducazione. Questo testo unificato tende a questo: a migliorare la civiltà del Paese nel quale viviamo. Voglio solo ricordare agli amici della Lega che un errore lo può commettere chiunque ed anche un reato che può sembrare, come ho sentito in Commissione ma che oggi nessuno ha ripetuto, grave come la violenza o la resistenza a pubblico ufficiale può capitare a chiunque di commetterlo, anche a chi dopo può rivestire ruoli di grande rilievo politico e istituzionale.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Baldelli. Ne ha facoltà.

Testo sostituito con errata corrige volante   SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, questa discussione sulle linee generali sul provvedimento comunemente noto come «messa alla prova» giunge al termine non Pag. 41soltanto di un percorso di lavoro importante svolto dalla Commissione Giustizia anche attraverso audizioni e una fase di esame in Commissione referente che pure ha visto diversi momenti di confronto e di approfondimento ma giunge anche successivamente all'approvazione, già avvenuta nella scorsa legislatura da parte di questo ramo del Parlamento, di questo provvedimento in un articolato con condizioni assai simili a quelle che oggi giungono nell'aula di Montecitorio. È evidente, perché lo abbiamo visto, che questo provvedimento, signor Presidente e Governo, dà luogo a un dibattito in cui vengono a confrontarsi due posizioni che, in realtà, non sono contrapposte: per un verso, ci sono le posizioni di coloro che ritengono prioritaria la deflazione del processo, il decongestionamento del sistema carcerario; per altro verso, sono state poste con grande forza in quest'aula, credibilmente verranno anche in questa occasione poste le esigenze di coloro che considerano prioritario il tema della sicurezza sociale.
  Signor Presidente, se non sgombriamo il campo dal fatto che queste esigenze non sono alternative ma sono entrambe prioritarie, noi rischiamo di trovarci in un dibattito sostanzialmente falsato, un dibattito cioè che contrappone elementi che invece possono essere dal punto di vista politico e giuridico assolutamente compatibili. Intanto perché la messa alla prova, signor Presidente, non giunge nuova nel nostro ordinamento: è già presente nel processo minorile. In secondo luogo perché non è presente solo nell'ordinamento italiano ma è stata sperimentata con esito positivo anche in altri Paesi dell'Unione europea e questa sperimentazione ci permette di poter intraprendere la strada della messa alla prova anche in Italia con un meccanismo di grande serenità. Dicevo, signor Presidente, parità di priorità tra chi pensa di dover decongestionare il sistema carcerario italiano, di dover deflazionare il sistema processuale: un sistema carcerario che vede circa 65 mila individui detenuti nelle carceri italiane, di cui oltre 25 mila detenuti in custodia cautelare, cosiddetti detenuti in attesa di giudizio aggravato dal meccanismo, che conosciamo, delle cosiddette porte girevoli che è stato oggetto, insieme alla custodia cautelare, di un atto di sindacato ispettivo, promosso dal collega – che, in occasione di questo provvedimento è il relatore (mi riferisco all'onorevole Costa) – proprio nei confronti del Ministro della giustizia nei giorni scorsi. Partiamo da questo presupposto cioè dalla pari dignità di queste priorità e dalla consapevolezza dell'assoluta emergenza carceraria, benché sia brutto utilizzare il termine emergenza perché in Italia le emergenze durano anni, spesso decenni e, quindi, perdono la gravità del loro essere allarmanti ma pur tuttavia non possiamo immaginare altri termini rispetto alle sollecitazioni, alle sanzioni che l'Unione europea ci impone su questa disciplina, alla percezione che noi stessi, in qualità di rappresentanti del popolo, abbiamo e abbiamo anche il diritto di avere attraverso la possibilità di far visita agli istituti carcerari e penali.
  A fronte di queste premesse, io credo che la riflessione che veniamo a fare in questi giorni su questa norma debba essere il più possibile serena. Intanto perché essa non introduce automatismo alcuno, perché non è pensabile e nessuno può pensare – e nessuno può raccontare che così sia – che vi sia la possibilità di compiere un reato senza il rischio di finire in carcere. Questo non è vero. Si introducono – lo ricordava il collega che ha parlato prima di me e lo hanno ricordato altri colleghi – due criteri: quello oggettivo e quello soggettivo. Quello oggettivo è che questa disciplina si rivolge a reati che non superano la pena edittale massima di 6 anni e questo perché è chiaro che si doveva individuare una pena massima di anni non alta per circoscrivere i reati. Poi sarebbe lunga la discussione anche all'interno di questi reati, che pure è avvenuta con alcune imprecisioni, sapientemente contestate dall'allora Ministro della giustizia, l'avvocato Severino. Ma al criterio oggettivo si aggiunge anche il criterio soggettivo. Il criterio soggettivo, da parte del giudice di cognizione, è il vaglio della pericolosità del soggetto, con le caratteristiche Pag. 42che sono contenute nell'articolo 133 del codice penale. Quindi non si indirizza certo a tutti. È una messa alla prova che deve dare un esito positivo e che quindi deve avere come soggetto un soggetto meritevole. Si deve considerare, per sua struttura – questo sì – il carcere come extrema ratio, un’extrema ratio proprio perché le condizioni in carcere rischiano di far venir meno, specie nei reati con pena edittale molto bassa, non la funzione punitiva certamente, ma quella riabilitativa e rieducativa del sistema carcerario, che sono le altre funzioni che la nostra Costituzione attribuisce alla pena.
  A fronte di questo, va svolta un'altra considerazione: nell'applicazione della norma non si manda la gente per strada, non si mandano i condannati per strada, ma il giudice decide nel caso specifico, non in maniera automatica, e qualora ritenga esistano le condizioni, applica una sanzione alternativa che è la detenzione domiciliare, che non è una vacanza: è una pena anch'essa afflittiva, è una pena, è una misura privativa della libertà. Viene operata una scelta da parte della magistratura. In questo quadro io credo debba svolgersi serenamente una discussione sulla messa alla prova. Cosa diversa sarebbe lo scontrarsi – come già purtroppo è accaduto e come temo forse potrà accadere – tra chi crede che questo percorso debba essere svolto con serenità e chi tende o può tendere alla drammatizzazione di questo confronto, sventolando la bandiera dell'allarme sulla sicurezza sociale. In questo senso – ci tengo a precisarlo – come Popolo della Libertà non siamo meno sensibili alle questioni di garanzia degli imputati, a misure come questa che dovrebbero o che comunque puntano ad alleggerire il processo e a decongestionare il sistema carcerario; non siamo meno sensibili a questo rispetto ai giusti, sacrosanti temi della sicurezza sociale, che ci vedono, da legislatori, in qualche modo tutori e guardiani di norme che non trasformino questo Paese in un Paese in cui la sicurezza viene messa a rischio per un qualsivoglia principio di impunità.
  Questo noi non lo crediamo, questo noi non lo vogliamo. Su questo tema, grazie al lavoro svolto in Commissione, grazie al lavoro prezioso svolto fino a oggi dai relatori e dal Governo, credo che se l'Aula svolgerà in maniera serena un confronto di merito, tale confronto sul merito non possa che portare a risultati che eventualmente potranno essere migliorativi di un provvedimento che già di per sé – ricordo – è stato, come ho già detto, affrontato con esito positivo da questo ramo del Parlamento e che per alcune ragioni, anche per l'interruzione della legislatura, non è stato portato avanti. Ma credo che sia un provvedimento che guarda ad entrambi questi aspetti molto importanti come alla stella polare di una civiltà giuridica, quella italiana, che dobbiamo rivendicare con orgoglio e che diventa sempre metro comune del nostro agire in materia di giustizia in questo Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).
  SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, questa discussione sulle linee generali sul provvedimento comunemente noto come «messa alla prova» giunge al termine non Pag. 41soltanto di un percorso di lavoro importante svolto dalla Commissione Giustizia anche attraverso audizioni e una fase di esame in Commissione referente che pure ha visto diversi momenti di confronto e di approfondimento ma giunge anche successivamente all'approvazione, già avvenuta nella scorsa legislatura da parte di questo ramo del Parlamento, di questo provvedimento in un articolato con condizioni assai simili a quelle che oggi giungono nell'aula di Montecitorio. È evidente, perché lo abbiamo visto, che questo provvedimento, signor Presidente e Governo, dà luogo a un dibattito in cui vengono a confrontarsi due posizioni che, in realtà, non sono contrapposte: per un verso, ci sono le posizioni di coloro che ritengono prioritaria la deflazione del processo, il decongestionamento del sistema carcerario; per altro verso, sono state poste con grande forza in quest'aula, credibilmente verranno anche in questa occasione poste le esigenze di coloro che considerano prioritario il tema della sicurezza sociale.
  Signor Presidente, se non sgombriamo il campo dal fatto che queste esigenze non sono alternative ma sono entrambe prioritarie, noi rischiamo di trovarci in un dibattito sostanzialmente falsato, un dibattito cioè che contrappone elementi che invece possono essere dal punto di vista politico e giuridico assolutamente compatibili. Intanto perché la messa alla prova, signor Presidente, non giunge nuova nel nostro ordinamento: è già presente nel processo minorile. In secondo luogo perché non è presente solo nell'ordinamento italiano ma è stata sperimentata con esito positivo anche in altri Paesi dell'Unione europea e questa sperimentazione ci permette di poter intraprendere la strada della messa alla prova anche in Italia con un meccanismo di grande serenità. Dicevo, signor Presidente, parità di priorità tra chi pensa di dover decongestionare il sistema carcerario italiano, di dover deflazionare il sistema processuale: un sistema carcerario che vede circa 65 mila individui detenuti nelle carceri italiane, di cui oltre 25 mila detenuti in custodia cautelare, cosiddetti detenuti in attesa di giudizio aggravato dal meccanismo, che conosciamo, delle cosiddette porte girevoli che è stato oggetto, insieme alla custodia cautelare, di un atto di sindacato ispettivo, promosso dal collega – che, in occasione di questo provvedimento è il relatore (mi riferisco all'onorevole Costa) – proprio nei confronti del Ministro della giustizia nei giorni scorsi. Partiamo da questo presupposto cioè dalla pari dignità di queste priorità e dalla consapevolezza dell'assoluta emergenza carceraria, benché sia brutto utilizzare il termine emergenza perché in Italia le emergenze durano anni, spesso decenni e, quindi, perdono la gravità del loro essere allarmanti ma pur tuttavia non possiamo immaginare altri termini rispetto alle sollecitazioni, alle sanzioni che l'Unione europea ci impone su questa disciplina, alla percezione che noi stessi, in qualità di rappresentanti del popolo, abbiamo e abbiamo anche il diritto di avere attraverso la possibilità di far visita agli istituti carcerari e penali.
  A fronte di queste premesse, io credo che la riflessione che veniamo a fare in questi giorni su questa norma debba essere il più possibile serena. Intanto perché essa non introduce automatismo alcuno, perché non è pensabile e nessuno può pensare – e nessuno può raccontare che così sia – che vi sia la possibilità di compiere un reato senza il rischio di finire in carcere. Questo non è vero. Si introducono – lo ricordava il collega che ha parlato prima di me e lo hanno ricordato altri colleghi – due criteri: quello oggettivo e quello soggettivo. Quello oggettivo è che questa disciplina si rivolge a reati che non superano la pena edittale massima di 6 anni e questo perché è chiaro che si doveva individuare una pena massima di anni non alta per circoscrivere i reati. Poi sarebbe lunga la discussione anche all'interno di questi reati, che pure è avvenuta con alcune imprecisioni, sapientemente contestate dall'allora Ministro della giustizia, l'avvocato Severino. Ma al criterio oggettivo si aggiunge anche il criterio soggettivo. Il criterio soggettivo, da parte del giudice di cognizione, è il vaglio della pericolosità del soggetto, con le caratteristiche Pag. 42che sono contenute nell'articolo 133 del codice penale. Quindi non si indirizza certo a tutti. È una messa alla prova che deve dare un esito positivo e che quindi deve avere come destinatario un soggetto meritevole. Si deve considerare, per sua struttura – questo sì – il carcere come extrema ratio, un’extrema ratio proprio perché le condizioni in carcere rischiano di far venir meno, specie nei reati con pena edittale molto bassa, non la funzione punitiva certamente, ma quella riabilitativa e rieducativa del sistema carcerario, che sono le altre funzioni che la nostra Costituzione attribuisce alla pena.
  A fronte di questo, va svolta un'altra considerazione: nell'applicazione della norma non si manda la gente per strada, non si mandano i condannati per strada, ma il giudice decide nel caso specifico, non in maniera automatica, e qualora ritenga esistano le condizioni, applica una sanzione alternativa che è la detenzione domiciliare, che non è una vacanza: è una pena anch'essa afflittiva, è una pena, è una misura privativa della libertà. Viene operata una scelta da parte della magistratura. In questo quadro io credo debba svolgersi serenamente una discussione sulla messa alla prova. Cosa diversa sarebbe lo scontrarsi – come già purtroppo è accaduto e come temo forse potrà accadere – tra chi crede che questo percorso debba essere svolto con serenità e chi tende o può tendere alla drammatizzazione di questo confronto, sventolando la bandiera dell'allarme sulla sicurezza sociale. In questo senso – ci tengo a precisarlo – come Popolo della Libertà non siamo meno sensibili alle questioni di garanzia degli imputati, a misure come questa che dovrebbero o che comunque puntano ad alleggerire il processo e a decongestionare il sistema carcerario; non siamo meno sensibili a questo rispetto ai giusti, sacrosanti temi della sicurezza sociale, che ci vedono, da legislatori, in qualche modo tutori e guardiani di norme che non trasformino questo Paese in un Paese in cui la sicurezza viene messa a rischio per un qualsivoglia principio di impunità.
  Questo noi non lo crediamo, questo noi non lo vogliamo. Su questo tema, grazie al lavoro svolto in Commissione, grazie al lavoro prezioso svolto fino a oggi dai relatori e dal Governo, credo che se l'Aula svolgerà in maniera serena un confronto di merito, tale confronto sul merito non possa che portare a risultati che eventualmente potranno essere migliorativi di un provvedimento che già di per sé – ricordo – è stato, come ho già detto, affrontato con esito positivo da questo ramo del Parlamento e che per alcune ragioni, anche per l'interruzione della legislatura, non è stato portato avanti. Ma credo che sia un provvedimento che guarda ad entrambi questi aspetti molto importanti come alla stella polare di una civiltà giuridica, quella italiana, che dobbiamo rivendicare con orgoglio e che diventa sempre metro comune del nostro agire in materia di giustizia in questo Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 331-927-A)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore di minoranza, deputato Molteni.

  NICOLA MOLTENI, Relatore di minoranza. Signor Presidente, una breve replica alla luce del dibattito. Innanzitutto, visto che più volte si è fatto riferimento alla posizione della Lega Nord e del sottoscritto, «bollandola» come una posizione demagogica e populista, credo sia opportuno sottolineare come ciò sia fortemente sbagliato. La nostra non è una posizione volta alla ricerca di un consenso facile, ma la nostra è una posizione dettata innanzitutto dal sano realismo di fronte ai numeri. Ripeto: tutti i provvedimenti in materia di carcere adottati dal 2006 ad oggi non hanno assolutamente risolto il problema del sovraffollamento delle carceri, Pag. 43tant’è che, se il problema fosse stato risolto, oggi non ci troveremmo nuovamente a dibattere di questo tema con questo tipo di provvedimenti occasionali e tampone.
  La posizione della Lega Nord è una posizione di assoluta coerenza rispetto ad un percorso politico che ha portato ad un consolidamento delle nostre posizioni nell'arco del tempo. Mi spiace che nessuno, a parte i colleghi della Lega Nord, abbia toccato il tema con riferimento al problema del sovraffollamento delle carceri e, quindi, abbia posto al Governo la necessità di dare atto e di dare illustrazione in merito all'attuazione del piano carceri fatto, voluto e sostenuto nel 2010 dall'allora maggioranza. Ricordo: 650 milioni di euro per poter superare il problema del sovraffollamento delle carceri. Quel piano carceri avrebbe dovuto portare alla realizzazione di ventimila nuovi posti all'interno delle carceri e, quindi, noi crediamo che qualunque tipo di provvedimento di natura normativa debba poi eventualmente essere subordinato ad una valutazione dei numeri, dei dati e, soprattutto, dell'applicabilità del piano carceri. Non abbiamo avuto da parte del Governo contezza in merito a quanti potrebbero essere in linea di massima i soggetti e i detenuti che potrebbero beneficiare di questo tipo di provvedimento, e io credo che i numeri siano assolutamente importanti proprio per capire quale sarebbe e quale sarà l'effetto di questo provvedimento unito al decreto che il Governo porterà all'approvazione del Consiglio dei ministri di mercoledì, se non vi saranno ulteriori ritardi.
  Credo che sia opportuno uscire da una linea di demarcazione di ipocrisia con riferimento alle vittime dei reati. In questo provvedimento non c’è una norma a tutela delle vittime dei reati. Di più, in merito alla messa alla prova, noi abbiamo chiesto e ripeteremo e chiederemo all'Aula, la possibilità che le vittime dei reati possano e debbano essere soggetti attivi nella concessione dell'istituto della messa alla prova. Come ? Facendo sì che la vittima del reato, la parte lesa, possa prestare il proprio consenso, oppure far sì che la propria volontà possa essere preclusiva rispetto alla possibilità di poter far sì che l'imputato possa accedere a questo beneficio. Ancora: le vittime dei reati non potranno beneficiare, nel momento in cui vi sarà l'applicazione della messa alla prova e l'applicazione dei lavori di pubblica utilità, del possibile eventuale risarcimento danno derivante dal reato.
  L'istituto della messa alla prova, al di là delle belle parole che sono state pronunziate e al di là del fatto che si tratti di un istituto assolutamente degno di considerazione, laddove applicato non funziona. Funziona bene nel processo minorile – altra cosa è il processo minorile rispetto agli quelli per altri reati – ma la messa alla prova e l'applicazione dei lavori di pubblica utilità per pochi reati e per pochi casi specifici, come è stato più volte riconfermato, fatta eccezione per alcuni casi lodevoli e meritori – cito, ad esempio, il tribunale di Torino dove grazie ad un'organizzazione puntuale e accorta dei meccanismi di concessione dell'istituto, lì detto istituto funziona, diversamente che altrove – come ben sappiamo non funziona o funziona assolutamente male.
  Affermare che i reati con pena edittale fino a sei anni sono reati non di particolare allarme sociale, credo sia un'altra affermazione ipocrita, degna di contestazione. Vi sono reati gravissimi, reati di particolare allarme sociale rispetto ai quali chiediamo, abbiamo chiesto e continuiamo ad insistere nel chiedere al Governo di potere introdurre, non nel modo in cui è stato fatto, attraverso una delega penale in bianco – tra l'altro, ripeto, cassata dalla Commissione affari costituzionali –, la possibilità di potere escludere dalla platea dei reati che beneficiano delle misure alternative e delle misure detentive non carcerarie la possibilità di potere escludere alcuni reati, in modo particolare quei reati che sono tra l'altro stati oggetto – lo ripeto e lo sottolineo ancora una volta – di dibattito ripetuto sia con riferimento alla Convenzione di Istanbul, sia con riferimento alle mozioni per quanto riguarda il contrasto alla violenza nei confronti delle donne. Noi chiediamo prepotentemente Pag. 44e con forza che determinati reati vengano esclusi dall'applicazione di questo meccanismo e di questo beneficio premiale.

  PRESIDENTE. La prego di concludere.

  NICOLA MOLTENI, Relatore di minoranza. Concludo riprendendo le parole di chi ha definito questo provvedimento un provvedimento storico. Noi crediamo, io credo, che in questo provvedimento di storico non vi sia assolutamente nulla se non l'unica cosa storica sono le drammatiche conseguenze che questo provvedimento porterà: a) nel principio della certezza della pena e b) sulla sicurezza dei cittadini.

  PRESIDENTE. Prendo atto che i relatori per la maggioranza ed il Governo rinunziano alla replica.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Marcon, Spadon, Beni, Sberna ed altri n. 1-00051 concernente la partecipazione italiana al programma di realizzazione dell'aereo Joint Strike Fighter-F35 (ore 16).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Marcon, Spadon, Beni, Sberna ed altri n. 1-00051 concernente la partecipazione italiana al programma di realizzazione dell'aereo Joint Strike Fighter-F35 (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato nel calendario.
  Avverto che è stata presentata la mozione Giorgia Meloni ed altri n. 1-00118 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A – Mozioni).

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritto a parlare il deputato Airaudo, che illustrerà anche la mozione n. 1-00051 di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

  GIORGIO AIRAUDO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la mozione che oggi presentiamo chiede a questo Parlamento di evitare una spesa inutile all'intero Paese cancellando la partecipazione italiana al programma di realizzazione dell'aereo Joint Strike F35.
  Lo chiediamo perché non serve alla nostra difesa nazionale, nel rispetto del dettato costituzionale e della politica estera italiana, un cacciabombardiere di quinta generazione, capace di trasportare anche ordigni nucleari, con caratteristiche di bassa rilevabilità da parte dei sistemi radar.
  Lo chiediamo perché nell'essere in questo programma partner di seconda fascia con gli Stati Uniti e altri 8 Paesi nella realizzazione di 3.173 velivoli per un costo complessivo stimato di 396 miliardi di dollari, anche se nessuno, allo stato attuale, è in grado di quantificare il costo finale dell'intero progetto e quindi di ogni singolo aereo, tale costo oggi è stimato intorno – è una stima potenziale – ai 190 milioni di dollari. Il nostro Paese, essendo noi fornitori di seconda fascia, non ha nessun trasferimento di tecnologie per partecipare a questo programma, non partecipa allo sviluppo del prodotto, quindi non acquisiamo né tecnologie di prodotto, né tecnologie di processo. Lo stesso nuovo stabilimento di Cameri è un lay out clone di uno stabilimento Lockheed negli Stati Uniti, neanche quello facciamo noi.
  Lo chiediamo ancora perché la ricaduta occupazionale è nella migliore delle ipotesi puramente sostitutiva e siamo lontanissimi dai 10 mila posti di lavoro ipotizzati nel nostro Paese al varo del progetto.
  Per gli attuali 90 velivoli, ad oggi preventivati, sono destinati a regime 700 addetti Pag. 45al montaggio finale e 1.100 per la produzione delle ali, ammesso che queste restino nei volumi noti visto che recentemente 800 ali sono state assegnate dalla Lockheed ad Israele alla nota Iai, una vera potenza del settore.
  Ad oggi, risultano 50 neoassunti a Cameri e 150 lavoratori trasferiti dallo stabilimento di Torino Caselle in quel di Cameri in trasferta, con una forte preoccupazione che i due siti di Torino Caselle e di Cameri siano posti in alternativa, visto il numero finale di circa 1.800 addetti e vista l'assenza di prodotti e la destinazione alla sola produzione militare del sito di Torino Caselle. Quindi, non nuova occupazione, ma nella migliore delle ipotesi, trasferimento dei lavoratori di Torino in quel di Novara.
  Molti altri Paesi stanno sospendendo, rinviando la decisione o cancellando le commesse per gli F35: la Gran Bretagna e la Danimarca decideranno solo dopo il 2015; l'Olanda ha avviato un'inchiesta parlamentare a seguito di un pesante voto contrario al progetto del suo Parlamento; l'Australia non userà gli F35 come piattaforma esclusiva; la Turchia ha rinviato l'acquisto dei primi F35; la Norvegia ha minacciato di ripensare le sue scelte; la Danimarca riaprirà la gara solo dopo il 2015. In Canada, in particolare, il ripensamento nasce dalle polemiche dovute alle omissioni sui costi fatte dal Governo. Uno studio indipendente (Kpgm) ed altri organi di controllo pubblici hanno, infatti, stabilito che il costo complessivo, in quarant'anni, includendo anche l'uso e la manutenzione, è di oltre 45 miliardi di dollari, tre volte le previsioni fatte dal Governo canadese. I quasi 400 veicoli che a questo punto vengono a mancare rispetto alle ipotesi iniziali, aumenteranno e faranno lievitare i costi. Nel programma, inoltre, oltre all'inarrestabile livello dei costi dovuti a suoi ritardi, si sono riscontrati, come è noto, molti problemi tecnici che, da un lato, portano a continui abbassamenti degli standard operativi e, dall'altro, ad un'ulteriore lievitazione dei costi, dal casco del pilota alla vulnerabilità ai fulmini, fino ai problemi al motore.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  GIORGIO AIRAUDO. Noi pensiamo che quel denaro, che noi abbiamo stanziato in un programma pluriennale, possa essere usato nell'ambito del bilancio dello Stato per ben altre opere: tutelare il patrimonio scolastico del nostro Paese – l'Unione delle province italiane ci dice che il 60 per cento delle scuole rischia di non riaprire il prossimo anno scolastico –, una campagna straordinaria pluriennale per costituire nuovi asili e un intervento, con queste risorse, che ridefinisca, a lato di questa rinuncia, la nostra politica di difesa e che definisca i sistemi d'arma necessari e che dica – e ho concluso – che il nostro Paese non vuole le armi nucleari sul proprio territorio e, quindi, non ha bisogno di aerei che le possono trasportare da qualche altra parte nel globo (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Corda. Ne ha facoltà.

  EMANUELA CORDA. Signor Presidente, ogni giorno che passa aumentano le dichiarazioni e gli studi internazionali che denunciano i difetti, anzi, direi, l'inutilizzabilità degli F35, un progetto nato male e proseguito peggio e del quale non si riesce neanche a intravedere la conclusione, considerato che il suo coronamento, inizialmente previsto per il 2011, è stato spostato al 2018. Una storia infinita, insomma, che dura da oltre 15 anni e che ha divorato centinaia di miliardi di euro. La conoscete bene anche voi questa storia, cari colleghi – e mi rivolgo, in particolar modo, ai colleghi del PD –, e a maggior ragione, dovreste fare di tutto per porvi la parola fine. Dovreste farlo per il bene del Paese, così come avevate promesso in campagna elettorale.
  Quanto conta la parola data ? Perché ve la state rimangiando, snobbando la nostra mozione ? Per che cosa, poi ? Per un prodotto, chiamiamolo così, che non solo non migliora le prestazioni dei suoi predecessori, ma sembra addirittura peggiorarle. Pag. 46Così si sono espressi i maggiori esperti internazionali da Pierre Sprey, il creatore degli F16, a Frank Kendall, uno dei principali consulenti del Pentagono, fino al capo dell'Autorità aeronautica militare degli Stati Uniti, il maggiore Richard Kock, che è arrivato a dire che non vorrebbe mai che i suoi uomini salissero su uno di quei velivoli, che non avrebbe le dotazioni minime necessarie per rispondere al fuoco nemico.
  Ricordiamo che l'appalto per la costruzione degli F35 è in capo all'americana Lockheed Martin, un colosso multinazionale che vanta un fatturato di quasi 50 miliardi di dollari all'anno, che dà lavoro a centinaia di migliaia di americani e che, per il 90 per cento, vive e prospera grazie alle commesse del Dipartimento della difesa americano. Eppure, proprio gli americani sono fra i più critici nei confronti di questo progetto.
  Non credo che in Italia si sarebbe mai visto un vertice militare capace di parlare come il maggiore Kendall, che evidentemente ha a cuore la sicurezza dei suoi uomini e dei suoi concittadini e non vorrebbe che il suo Governo continuasse a buttare centinaia di miliardi di dollari per un progetto che, ormai è chiaro, è fallimentare. Non lo diciamo noi, lo dicono per primi gli americani, lo dicono vari studi commissionati proprio dal Pentagono e, in particolare, quello della Rand Corporation, una delle società di consulenza militare più importante al mondo che, prima, ha stroncato il modello a decollo verticale e, recentemente, ha stroncato anche quello a decollo convenzionale. Viene criticata la scarsa visibilità, l'inefficienza del casco tecnologico e dei radar ma anche l'assetto, l'autonomia di volo e non solo. È stato documentato che, allo Stato, la manutenzione di questi velivoli verrebbe a costare più del 40 per cento rispetto ai caccia attuali. Dinnanzi a tutto questo, il Segretario della Difesa Robert Gates è arrivato a dire che se la Lockheed non risolverà tutti questi problemi entro due anni – l'azienda ha già operato oltre 800 modifiche al progetto iniziale – il Governo americano ritirerà la sua richiesta di acquisto. Ma se addirittura gli americani che pure, hanno lanciato il progetto, hanno l'appalto principale e che quindi avrebbero, in teoria, tutti i vantaggi a portarlo a compimento, potrebbero rinunciare all'acquisto, come è possibile che, in Italia il Governo e il Parlamento abbiano ancora dubbi ? È superfluo ricordare ancora una volta, signori colleghi, che i costi preventivati inizialmente sono più che raddoppiati e anche con la riduzione del numero di velivoli da acquistare la spesa per lo Stato sarà enorme e, soprattutto, incalcolabile. Questo è, a nostro parere, l'aspetto più incredibile. Il nostro è un movimento pacifista o, più semplicemente, rispetta davvero lo spirito e la lettera della nostra Costituzione, a differenza di tutti coloro che in quest'Aula si riempiono la bocca elogiandola e, poi, tutti i giorni, la tradiscono cinicamente nei suoi aspetti essenziali. Ma se anche si ritenesse che produrre e acquistare questo tipo di armi fosse necessario, o addirittura vantaggioso, come si può pensare di imbarcarsi, specie in un periodo di crisi come questo, in una operazione economica per la quale non si può fare alcun calcolo del rapporto costi/benefici ? È assurdo: di volta in volta avete provato a calcolare quali dovrebbero essere i vantaggi per il Paese, in termini di commesse, posti di lavoro, sostituzione di tecnologie obsolete, ma se anche queste previsioni fossero credibili, e non lo sono mai state, i costi continuano ad aumentare e non si ha la minima idea di quanto potrebbero gonfiarsi. Ancora una volta gli americani sono più seri di noi: i ripetuti aumenti della previsione di spesa, infatti, hanno fatto scattare negli Stati Uniti, la legge Nunn-McCarthy, che obbliga il Congresso a sottoporre a nuova deliberazione un impegno di spesa che, nel frattempo, è aumentato di oltre il 25 per cento. Ebbene, in Italia ci troviamo dinanzi a previsioni di spesa che raddoppiano eppure sembra che né i partiti principali, né tanto meno il Governo, intendano davvero tirarsi fuori da questa avventura assurda, incostituzionale e rovinosa.Pag. 47
  A chi replica che, annullando interamente l'ordine, rischieremmo delle penali, rispondiamo che mente, perché il Memorandum of Understanding non prevede penali, infatti altri Stati hanno rivisto i loro impegni. A chi ci dice che, in questo modo, l'Italia risulterebbe «inaffidabile» rispondiamo che, anzitutto, è inaccettabile che un presunto prestigio internazionale pesi maggiormente delle sofferenze e dei sacrifici che sta affrontando il nostro popolo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Noi pensiamo che col prestigio internazionale non si mangi, non si curino i malati, non si costruiscono gli asili; inoltre, per quale ragione dovremmo risultare inaffidabili proprio noi, quando tanti altri Paesi, e per primi gli USA, stanno contestando il progetto, ipotizzando di defilarsi ? La verità è che, come sappiamo, attorno all'industria degli armamenti, specie attorno al mondo delle commesse internazionali, si muove un universo di commissioni e corruzione spaventoso, ed è per il vantaggio di poche migliaia di industriali, militari, politici e mediatori, che vengono alimentate queste colossali bolle speculative degli armamenti, che non hanno nulla a che fare con reali esigenze di difesa e non hanno, neanche, a che fare con l'opportunità di sviluppare tecnologie e dare posti di lavoro; infatti, se questo fosse il vero obiettivo, ci sono innumerevoli campi civili in cui l'industria e il commercio internazionale potrebbero investire in conoscenza e posti di lavoro, producendo beni che migliorino la qualità della vita, e non le armi, che sono l'esatto opposto.
  Vorrei, infatti, sottolineare, che le stime fatte in più occasioni sulle presunte ricadute positive per l'Italia, in relazione all'adesione al progetto F-35, si sono sempre rivelate errate, e in ogni caso hanno evidenziato che non c’è alcun vantaggio, specialmente in termini di posti di lavoro. Si tratta com’è evidente di una follia. Semmai qualcuno ci guadagnerà, saranno Finmeccanica e le sue associate, ma guadagneranno, ancora una volta, a spese della collettività che pagherà a caro prezzo l'interesse di pochi a gestire commesse miliardarie che, lo ripetiamo, non avranno correlative ricadute positive sul nostro Paese.
  Ci sembra odioso utilizzare il pretesto della creazione di posti di lavoro per giustificare gli investimenti in industrie belliche che, con una seria politica industriale, potrebbero essere gradualmente riconvertite in produzioni civili. Il nostro Paese ha una tradizione di innovazione industriale e tecnologica straordinaria. Più precisamente: vorremmo che patrimoni di professionalità e intraprendenza di aziende come la Beretta, Oto Melara e Aermacchi, fossero messe al servizio della vita e non della morte. È chiedere troppo ? No, è chiedere il minimo, in un Paese civile, nel Paese dell'articolo 11.
  Nelle scorse settimane abbiamo effettuato delle viste ispettive presso alcune basi militari per meglio conoscere gli ambienti e confrontarci con essi. Nei breefing introduttivi ci è stato spiegato che gli investimenti sugli armamenti sono necessari per scongiurare eventuali attacchi. Dunque, ci si difende a prescindere, anche in assenza di minacce imminenti. Questa dovrebbe essere la ratio utile a giustificare le spese folle sugli armamenti: incutere timore per evitare l'offesa. A questo punto ci domandiamo: è dignitoso vivere in una condizione di perenne insicurezza ? Forse prima di domandarci il perché questo pianeta sia straziato dalle guerre dovremmo interrogarci sulla guerra che abbiamo dichiarato fin dal principio alla nostra e altre specie, o la guerra al nostro habitat. Siamo gli unici esseri viventi sulla terra che distruggono il proprio habitat. Poi ci vantiamo della nostra intelligenza. Ci autodistruggiamo forse per eccesso di intelligenza ? Io credo che la guerra sia dentro di noi. Prima faremo la pace con noi stessi, prima capiremmo che paura genera paura e che l'insicurezza genera mostri. Parafrasando Nietzsche, dico che, se continueremo a guardare a lungo in un abisso, l'abisso vorrà poi guardare dentro di noi.
  Perché dunque noi vogliamo fermare questo progetto ? Dovremmo chiedere semmai perché voi altri, cari colleghi deputati Pag. 48– e mi rivolgo in particolar modo ai colleghi del PD, che tendono sempre a fare un passo avanti e quattro indietro –, non volete fermare questo progetto. Siete spaventati a morte, lo leggiamo ogni giorno nei vostri sguardi e nelle vostre parole. Vi chiediamo un atto di coraggio contro i cacciabombardieri di quinta generazione. Investite sul futuro dei nostri figli e sull'unico bene che non si può comprare: la vita (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Carlo Galli. Ne ha facoltà.

  CARLO GALLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la nuova situazione determinatasi con l'entrata in vigore della legge n. 244 del dicembre 2012, soprattutto dell'articolo 4, riconsegna al Parlamento la responsabilità primaria, in interazione dialettica con il Governo, non solo dell'analisi della situazione geopolitica internazionale, delle sfide strategiche che sovrastano il nostro Paese e della valutazione delle opportune misure per fronteggiarle, ma anche dei singoli sistemi d'arma dal punto di vista sia operativo sia delle compatibilità economiche. Il nesso fra politica e armi, fra politica e politiche della difesa e della sicurezza, dunque, si stringe. La pretesa autonomia della tecnica e degli specialismi cede il passo alla valutazione, alla decisione, al controllo della politica democratica. Il potere politico, nella sua forma istituzionale più alta, cioè nelle Camere, nelle quali la sovranità popolare si rappresenta, afferma la propria superiorità su ogni altro potere e su ogni altro interesse, su tecnostrutture, su complessi militari-industriali.
  Difesa e sicurezza sono a tutti gli effetti concetti politici su cui la discussione pubblica è non auspicabile, ma doverosa. È dunque con legittima soddisfazione, per questo grande risultato che dobbiamo sempre più valorizzare, che oggi cogliamo una grande opportunità e affrontiamo una grande sfida. La questione degli F-35 sollevata dall'opposizione, ma ben presente anche al PD, affida al Parlamento e a questa Camera il compito, oggi urgente come non mai, di conoscere per deliberare, in piena libertà e in piena consapevolezza, su ogni aspetto degli interessi permanenti del Paese e sulla loro possibile armonizzazione. Si tratta di interessi interni tanto rilevanti da coinvolgere la stessa tenuta democratica della società, come l'esigenza di fronteggiare la crisi economica in presenza di una drammatica scarsità di risorse pubbliche oltre che private. L'esigenza, cioè, di dare una risposta politica credibile e rapida a un bisogno di lavoro che è anche un bisogno di speranza.
  Una esigenza che non può essere mortificata, pena l'ulteriore discredito delle istituzioni, da spese inutili o avventate o scarsamente giustificabili, quale che sia l'ambito coinvolto.
  E si tratta poi degli interessi esterni, di quelli cioè che nascono dal fatto che il nostro Paese è collocato in un contesto internazionale, fatto di opportunità ma anche di crisi e di minacce. È, infatti, ormai nozione comune e condivisa che la complessa serie dei fenomeni e dei processi che vanno sotto il nome generico di globalizzazione sia portatrice anche di rischi difficilmente controllabili, che sfidano le strutture ordinative internazionali. Rischi mobili, dinamismi potenti e sfuggenti, al cui pacifico controllo l'Italia contribuisce con la sua azione internazionale in ambito europeo e in ambito ONU, volta alla costruzione, in prospettiva, di un sistema globale in cui l'ingiustizia e l'oppressione abbiano meno spazio di quanto oggi non accada.
  Politica è anche questa azione, volta a modificare nella direzione della giustizia e della civiltà, l'ambiente storico, politico ed economico internazionale. Questo ambiente, nel caso italiano, è soprattutto il cosiddetto « Mediterraneo allargato» (fino cioè all'Oceano indiano orientale), l'area dalla quale dipende di fatto la nostra economia. È un'area segnata profondamente da un arco di crisi complesse – economiche, politiche, religiose e demografiche – che non si può certo pensare di Pag. 49risolvere con strumenti militari, ma dalla quale non si può pensare di chiamarsi fuori. Né si può fare totale affidamento sulla potenza militare e diplomatica statunitense, che sta spostando il proprio focus strategico verso il Pacifico e che è titolare di interessi non sempre coincidenti con quelli italiani ed europei. È quindi necessario che l'Italia sappia coniugare l'azione diplomatica, la proiezione di cooperazione – cioè il modo normale di funzionamento della nostra azione internazionale – con l'eventuale proiezione di forza, insieme agli alleati e nel quadro della legalità internazionale, contro le minacce che le possono provenire dall'esterno.
  Del resto, è la stessa Costituzione a prescrivere che l'Italia sia un Paese pacifico, che cioè rinunci alla guerra come aggressione alla libertà altrui e come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Un'autolimitazione dello jus ad bellum, della sovrana disponibilità all'uso della forza, che la coscienza mondiale, almeno dalla Grande Guerra, ha maturato universalmente, e che è la condizione per la stessa esistenza dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e dell'Unione europea, che da un punto di vista storico appunto nelle immani tragedie di due guerre mondiali trovano la propria legittimazione ideale e pratica più radicale.
  Nondimeno, benché la guerra tra Stati in Occidente e in Europa occidentale...

  PRESIDENTE. Deputato, dovrebbe concludere.

  CARLO GALLI. ... appaia, mi affretto, Signor Presidente, per molti versi una possibilità ridottissima, e benché le nostre forme politiche democratiche non siano orientate alla guerra come avveniva invece nella fase di vigenza del classico sistema westfaliano dell'Europa moderna, resta all'Italia, come Paese sovrano, pur collocato all'interno di un sistema di alleanze consolidate e in un'ottica europea occidentale, il dovere di proteggere i propri cittadini dalle minacce alla vita, ai beni, all'ordinato svolgimento della vita democratica, allo sviluppo economico del Paese.
  E in quest'ottica e con questo spirito che l'Italia fa parte dell'Alleanza civile e militare del Nord Atlantico, è in questa ottica che oggi auspica e ricerca la collaborazione anche nella progettazione e nella produzione dei sistemi d'arma e dei concetti operativi, nell'ambito della difesa comune, con gli Stati che fanno parte dell'Unione europea e che fa ogni sforzo perché questa – che per storia e vocazione è soprattutto una potenza civile – trovi nondimeno anche l'unità della sua politica estera e di difesa e si superino nazionalismi, esclusivismi, diffidenze, egoismi statali duri a morire.
  Mi avvio a concludere. Per entrare nello specifico, infine, è per ovviare all'obsolescenza della sua arma aerea che, ancora in questa ottica, l'Italia negli ultimi quindici anni ha partecipato, per una modesta quota percentuale, alla progettazione del caccia-bombardiere Lockheed F-35...

  PRESIDENTE. Deputato, dovrebbe concludere. È fuori tempo di due minuti.

  CARLO GALLI. In questo momento e in queste circostanze, una indagine conoscitiva condotta dalle Commissioni parlamentari competenti, cioè esteri e difesa, con piena libertà d'azione in tutte le direzioni e verso tutte le decisioni, in merito alle prospettive strategiche del Paese, alla sua sicurezza e, quindi, anche merito ai sistemi d'arma da adottare, tenuto conto della presente situazione economica, delle alleanze in cui ci collochiamo, delle connesse esigenze di interoperabilità, delle ricadute occupazionali che dalle diverse opzioni conseguano, è la migliore risposta ai legittimi, pressanti interrogativi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)...

  PRESIDENTE. Mi dispiace, deputato, le devo togliere la parola. La ringrazio.
  È iscritto a parlare il deputato Rossi. Ne ha facoltà.

Pag. 50

  DOMENICO ROSSI. Signor Presidente, signor Ministro, colleghi, è chiaro che non si possono che condividere iniziative che sono volte a trovare risorse o ad affrontare problematiche sociali, quali quelle che ancora oggi sono purtroppo irrisolte. Parimenti, però, non possiamo non evidenziare come problemi quali quelli oggi in discussione non possono essere affrontati, se non a trecentosessanta gradi e privi di qualsiasi forma di demagogia.
  Occorre innanzi tutto ricordare che l'efficienza del sistema di sicurezza e difesa di un Paese non sono solo indispensabili per garantire il reale sviluppo di una nazione, ma ne sono anche assetti primari di credibilità internazionale. Non credo che sia una novità: in quest'Aula abbiamo sentito molte volte che l'attuale quadro internazionale è caratterizzato da incertezza e instabilità, che vi sono sfide, rischi e minacce asimmetriche globali, che travalicano quelli che sono i confini nazionali e per i quali il nostro Paese sta contribuendo a varie missioni nel mondo, all'interno delle nostre principali organizzazioni di riferimento, come Unione europea, Alleanza atlantica e Organizzazione delle Nazioni Unite. In sintesi, lo scenario che abbiamo davanti, caratterizzato da una evidente instabilità e proprio nel bacino del Mediterraneo, fa chiaramente intendere l'esigenza di uno strumento di difesa nazionale efficiente, compatibile con le risorse assegnate, ma pienamente interoperabile e integrabile nei contesti multinazionali e multidisciplinari.
  È con questi scopi, e in relazione alla congiuntura finanziaria del Paese, che è già stato programmato nell'arco del 2012 un pesante processo di revisione dello strumento militare, basato sull'eliminazione di ridondanze di comandi per esaltare l'operatività del rimanente: un ridimensionamento dello strumento militare globale definito con la legge n. 244 del 2012, di cui aspettiamo i decreti delegati a breve, numericamente rilevante, pari circa a 43 mila riduzioni di unità di personale militare e civile, e che ha portato le nostre Forze armate da 190 mila a 150 mila unità.
  È in questo contesto di revisione riduttiva che si è posta a suo tempo l'esigenza di ammodernare la componente aero-tattica delle nostre Forze armate, oggi formata da tre linee diverse, AMX e Tornado per l'Aeronautica militare e AV-8B per la Marina militare. Tutto questo per un totale di 256 aerei, che nell'arco dei prossimi 15 anni usciranno progressivamente dalla linea operativa solo ed esclusivamente per vetustà. Già oggi, dei 236 Tornado e AMX più di un terzo non è operativamente impiegabile.
  Per sostituire tali aerei, e non per assumere nuovi ruoli nei contesti internazionali, è stato individuato a suo tempo l’F-35: un velivolo multiruolo di quinta generazione, un velivolo che ha determinate caratteristiche stealth e net centriche e che garantisce interoperabilità con i Paesi NATO, che ha compiti ovviamente di carattere globale e che si inquadra in un programma ben più vasto di acquisizione della difesa nel mondo, con uno sviluppo contemporaneo di tre varianti, per le esigenze di 9 nazioni e 12 Forze armate.
  È un progetto in cui l'Italia è partner di secondo livello, con una quota di sviluppo del programma circa al 4 per cento, a fronte del 10 per cento di USA e Regno Unito. Un progetto partito molti anni fa, e sviluppatosi progressivamente, come dimostra il Memorandum of Agreement firmato nel 1998 dal Governo D'Alema, con un investimento di 10 milioni di dollari; un progetto che ha avuto la conferma alla fase di sviluppo nel 2002 con il secondo Governo Berlusconi e un impegno di spesa di circa 1,2 miliardi euro; un programma sul cui andamento è stato più volte informato il Parlamento, nel 2004 e nel 2007 (Governo Prodi); per finire al parere espresso dalle Commissioni difesa di Camera e Senato l'8 aprile 2009 circa la fase di sviluppo del programma, in cui, in quel momento, venivano compresi addirittura 131 F-35.
  Sottolineo che è stato proprio il Governo Monti nel 2012 a stabilire una riduzione complessiva dei velivoli, da 131 a 90, un avvio più graduale delle acquisizioni, Pag. 51minori oneri complessivi, e comunque salvaguardando le esigenze produttive della FACO.
  La FACO è un progetto per cui è ormai in fase di apertura presso l'aeroporto militare di Cameri una linea di assemblaggio e di verifica per i velivoli destinati ai Paesi europei.
  Ho delineato tutti questi passaggi perché mi è sembrato opportuno sottolineare come la sostituzione di sistemi d'arma così sofisticati non possa essere la risultante di un contratto estemporaneo, ma la conclusione di una programmazione compiuta, da attuare in numero di anni variabili. Occorre in sostanza riflettere sul fatto che la proposta di cancellazione del programma sposta il discorso non sull'effettiva utilità degli F-35, ma in primis sull'efficienza della nostra aeronautica militare. Ci si chiede cioè se alla fine questa debba esistere o meno, se debba avere gli stessi compiti attuali o no, pur con diversa potenzialità.
  Con tutta sincerità, la stima e la differenza che porta ogni parlamentare, come si fa a mettere in discussione un programma partito un decennio fa e strutturato in tutte le sue parti da una collaborazione strettissima ? Un programma che instaura a Cameri una struttura all'avanguardia a livello europeo, che dà opportunità sia per la crescita occupazionale del sistema Paese che per l'indotto della regione, un programma che assicura la presenza del marchio italiano nella realizzazione, che dà certo occupazione a un numero pari a circa 10 mila lavoratori, che ci permette di metter mano a mezzi e tecniche che da soli non saremmo mai in grado di raggiungere.
  È su questo punto che è opportuno fare alcune precisazioni, l'indotto include grandi aziende, piccole e medie imprese nelle maggiori regioni italiane mentre il ritorno tecnologico industriale è essenzialmente legato alla suddetta FACO, una FACO che darà un ritorno occupazionale primario – ditte che ricevono commesse dirette – e secondario – cioè ditte che producono macchine utensili per la produzione – stimato in circa 10 mila posti di lavoro, con 60 aziende nazionali, di cui 6 del gruppo Finmeccanica, ed il resto grandi, piccole e medie imprese. Un programma che al momento già dà un ritorno occupazionale di circa 1.060 posti di lavoro, che tra l'altro è ripartito in modo sufficientemente equo sul livello nazionale (56 per cento al nord, 17 per cento al centro e 27 per cento al sud). Dobbiamo altresì ricordare che la FACO, che sarà pronta nel 2014 per iniziare la produzione nel 2016, è previsto che continui la sua attività per quaranta anni, mutando da una funzione di mero assemblaggio a centro di manutenzione, riparazione, revisione e aggiornamento delle flotte dell'area euro-mediterranea.
  In sintesi, mi sembra che vi siano tutti i presupposti per continuare sulla strada intrapresa, non dimentichiamoci, tra l'altro, che dotarsi di questi mezzi migliorerebbe le condizioni di ogni regola di ingaggio dei nostri ragazzi impegnati nelle varie missioni. Vogliamo aiutarli, oppure vogliamo accogliere, come purtroppo alcune volte è accaduto, le loro bare ? Forse le lamentele ai programmi successivi sarebbero false e pretestuose.
  Per concludere, Scelta Civica osserva che i principali Paesi europei hanno avviato dei processi di revisione delle rispettive Forze armate e che il Parlamento italiano ha già approvato la legge di revisione dello strumento militare che, nel delineare Forze armate sostenibili nel prevedibile quadro finanziario, prevede un insieme di programmi di acquisizione di mezzi e sistemi d'arma, tra cui l’F-35. Peraltro, il prossimo Consiglio d'Europa costituirà un appuntamento fondamentale per dare impulso alla costruzione della difesa europea e tutti i Paesi dell'Unione saranno chiamati in quella sede a trovare convergenze e complementarità anche con l'obiettivo di ricercare il miglior utilizzo delle risorse disponibili nell'attuale quadro finanziario generale, questo con riferimento alla costituzione di assetti operativi e addestrativi comuni finalizzati alla piena interoperabilità.
  Ecco pertanto che Scelta Civica auspica la presentazione di una mozione della Pag. 52maggioranza che non abbia solo il problema o il senso di affrontare unicamente il programma F-35, tra l'altro in avanzatissima fase di realizzazione, ma che miri a dare impulso, a partire dal Consiglio europeo di difesa, a concrete iniziative per la crescita della difesa comune europea. Un obiettivo indispensabile per tutti i Paesi europei, che può consentire la costituzione di nuovi assetti operativi e addestrativi comuni, nonché la promozione di sinergie industriali finalizzate alla ricerca e allo sviluppo di programmi comuni.
  Un obiettivo che, se raggiunto, e se effettivamente prenderà corpo, potrà – allora sì – consentire di rivalutare la coerenza dello strumento militare italiano nel suo complesso e nello specifico.
  Ma ci preme anche sottolineare che, indipendentemente da ciò, il Parlamento – così come richiamato pochi minuti fa dal rappresentante del Partito Democratico – potrà sempre esercitare le proprie prerogative di controllo del programma F-35, anche sotto il profilo dei costi attraverso l'utilizzo della procedura prevista dall'articolo 4 della legge n. 244 del 2012.
  Concludo, sottolineando che, oltre ad auspicare una mozione di maggioranza, Scelta Civica è, peraltro, sensibile evidentemente alle esigenze sociali manifestate dai proponenti e si farà parte diligente, in quanto facente parte del Governo, nell'esame delle proposte, nelle sedi opportune (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Duranti. Ne ha facoltà, per sette minuti.

  DONATELLA DURANTI. Signor Presidente, colleghe e colleghi, è stato già detto perché l'acquisizione degli F-35 è sbagliata: è sbagliata perché non si può pensare di spendere cifre così ingenti in un periodo di crisi tanto profonda e mentre il Paese reale si trova in una situazione di povertà e difficoltà crescenti e, in ogni caso, anche se non fossimo in questa precipitazione sociale ed economica, tante sarebbero le ragioni per operare una scelta differente, cioè per cancellare il programma di acquisizione degli F-35.
  La decisione di dotare l'aeronautica e la marina militare di questo tipo di aerei – è stato detto, con capacità stealth e net centriche, predisposti per trasportare ordigni nucleari, le B-61, con capacità di velocità supersonica, a decollo e atterraggio verticale – risponde a precise esigenze operative, a precisi ruoli e compiti.
  Il Capo di Stato maggiore della difesa, nell'audizione alle Commissioni difesa di Camera e Senato, ha dichiarato che i sistemi d'arma devono rispondere appunto a esigenze operative, ruoli e compiti che le Forze armate devono assolvere. Quindi, sta al Parlamento e al Governo la loro definizione, ma l'acquisto di un sistema d'arma è un fatto tecnico.
  Queste le dichiarazioni del Capo di Stato maggiore della difesa. Quindi, è esattamente il punto politico che va affrontato: qual è il ruolo dello strumento militare e a quale politica di difesa corrisponde un aereo con caratteristiche altamente offensive e di combattimento ? Al Parlamento va restituita la titolarità di definire la politica di difesa, di affrontare un dibattito che coinvolga le forze politiche, i soggetti sociali e le istituzioni, su quale modello di difesa si vuole adottare, a partire da alcuni punti fermi. Innanzitutto, il rispetto del dettato costituzionale dell'articolo 11, la separazione della politica di difesa da quella estera, a cominciare dal ribaltamento di un assunto di questi ultimi decenni, secondo cui lo strumento militare è strumento privilegiato della politica estera. Noi diciamo che lo strumento privilegiato della politica estera è la cooperazione internazionale, l'attività delle diplomazie, l'attività di intelligence, il confronto con gli altri Paesi, in particolare nel Mediterraneo.
  Va aperta una riflessione profonda sugli strumenti in grado di produrre più sicurezza: non si produce più sicurezza, nel nostro Paese e nei Paesi confinanti, dotandosi di ulteriori strumenti militari così offensivi e addirittura capaci di trasportare gli ordigni nucleari. Bisogna rispettare gli accordi di non proliferazione Pag. 53nucleare, riparlare in questo Paese, dopo decenni, di disarmo, una parola abbandonata, disarmo persino progressivo e unilaterale.
  Il tema, ancora, dell'estensione del concetto di interesse nazionale, che si è trasformato in un'ottica strategica con l'avanzare della globalizzazione e della centralità degli interessi del mercato, fino a far coincidere gli interessi di difesa dei confini nazionali con la difesa delle vie di comunicazione, per garantire libertà di circolazione delle merci e delle risorse energetiche, passando dalla difesa interna alla proiezione dello strumento militare all'esterno, ovunque siano messi in discussione gli interessi economici dell'Italia e persino degli alleati.
  Cosa c'entra tutto questo con l'articolo 11 ? Bisogna partire da un dibattito di questo tipo per decidere di quali sistemi d'arma abbiamo necessità.
  Chiediamo un nuovo Libro bianco della difesa – l'ultimo risale ai primi anni del Duemila – che ci metta in condizione di capire ruoli e compiti, esigenze operative e priorità. Gli F-35, insomma, servono per fare cosa e dentro quale concetto strategico della difesa ?
  Le scelte sui sistemi d'arma non possono essere lasciate ai vertici militari, tanto meno possono essere piegate alle esigenze delle grandi aziende belliche private. Voglio dire ai colleghi del PD – e anche al collega Rossi – che mi dispiace, ma l'articolo 4, comma 2, della legge per un nuovo tentativo di riforma dei vertici militari e della difesa (la legge n. 244 del 2012) recita un'altra cosa e dice che i singoli programmi di armamento sono sottoposti alla valutazione delle Commissioni parlamentari per un parere, che si applica anche il silenzio-assenso e che, se la Commissione esprime un parere difforme dalla richiesta del Governo e lo stesso non intenda aderirvi, deve tornare alle Commissioni. In ogni caso, le Commissioni devono esprimersi di nuovo in senso contrario, a maggioranza assoluta dei componenti e il programma può non essere adottato. Ma, le Commissioni devono giustificarlo. La contrarietà deve essere obbligatoriamente motivata con la non coerenza del programma alla pianificazione contenuta nel documento annuale della difesa.
  C’è un piccolo problema, cioè che questo documento annuale e la pianificazione triennale non sono soggetti al voto parlamentare e, quindi, non vi è alcun vincolo reale per il Governo. Solo se la pianificazione pluriennale fosse sottoposta preventivamente all'approvazione parlamentare, le previsioni contenute in quell'articolo avrebbero un qualche valore. Così non ne hanno e noi crediamo che non basti chiedere un'indagine conoscitiva sui nuovi sistema d'arma. Le indagini conoscitive non si negano a nessuno.
  Dobbiamo andare fino in fondo e chiedere, per esempio, al Governo perché l'Italia esce dal progetto dell’Eurofighter ? Perché l'Italia continua a chiedere gli armamenti per i droni ? Noi saremo l'unico Paese europeo ad avere più linee di velivoli simili, con le stesse capacità offensive e di combattimento.
  Allora, vogliamo capire perché si vendono gli Eurofighter e si dice che devono essere sostituiti dagli F-35.
  E, poi, il Parlamento può chiedere ...

  PRESIDENTE. La prego di concludere.

  DONATELLA DURANTI. Concludo, Presidente. Si può chiedere come mai e chi sceglie i fornitori dei sistemi d'arma ? Qualcuno ricorda di che cosa stiamo parlando ? Stiamo parlando della Lockheed, di quell'azienda che utilizza e ha utilizzato le mazzette per promuovere i suoi affari, con tale convinzione – non so come dirlo in un altro modo – da inserirle addirittura come spese nei suoi bilanci.
  E, allora, tutto questo che cosa c'entra con il nuovo concetto strategico della difesa ? Noi abbiamo bisogno di capire perché addirittura il Pentagono fa marcia indietro e noi, invece, vogliamo ancora mantenere l'acquisizione di questi aerei.
  Concludo dicendo che accettiamo la sfida. Vogliamo anche noi discutere delle ricadute sui posti di lavoro dei lavoratori dell'industria bellica privata. Ebbene, noi Pag. 54diciamo che, dentro quell'industria, ci sono tali capacità di innovazione tecnologica...

  PRESIDENTE. Dovrebbe concludere.

  DONATELLA DURANTI. ... e che tali professionalità possono essere utilizzate per cominciare a riconvertire pezzi di produzione del nostro Paese. E non ci venite a dire che avete a cuore la produzione degli F-35 perché avete a cuore la difesa dei posti di lavoro. Non vi crediamo, perché difendere i posti di lavoro è una politica, è una scelta di politica economica seria, che ancora qui oggi non avete fatto (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Cicu. Ne ha facoltà.

  SALVATORE CICU. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, sono convinto che questa discussione e questo approfondimento siano opportuni. È giusto che il Parlamento abbia la possibilità, in una fase così difficile per il Paese, di poter meglio dare il proprio contributo non solo in termini di idee o di indirizzo, ma in termini sostanziali, in termini di processo di determinazione decisionale di questa fase. Perché lo credo ? Perché questo Parlamento ha avuto sempre la straordinaria possibilità di dare una linea di continuità rispetto al tema della difesa, che è sempre stato considerato un tema fondante, centrale e straordinariamente importante per la vita del Paese.
  Ma lo dico perché in Italia si è iniziato a parlare del progetto già nel 1996 con il Ministro Andreatta, ma – come sapete, colleghi – l'approfondimento del tema e la discussione sono avvenuti con altrettanti Governi, come il Governo D'Alema, il Governo Berlusconi, il Governo Prodi e, oggi, con il Governo Letta.
  Questo ci serve per capire che questa linea di continuità, questo approfondimento e questo riconoscimento al Parlamento rispetto alla valutazione del tema sono sempre avvenuti, ma sempre in ordine a un indirizzo che si è sempre uniformato in termini positivi e con pareri favorevoli sia delle Commissioni competenti che dello stesso Parlamento, perché già qualche anno fa, o meglio un anno fa, nel 2012, questo Parlamento è stato coinvolto intensamente e pienamente con l'approvazione di diverse mozioni, che hanno portato ad una riconsiderazione importante e strategica rispetto al numero previsto di centotrentuno e si è arrivati al numero di novanta.
  Ora, io credo che sia difficile per ciascuno di noi, colleghi, poter dire se questo è un progetto da venti, da trenta, da ottanta o da novanta, a meno che non ci siano degli esperti che abbiano una visione strategica talmente elevata da poter indicare con una ricognizione politica, quindi non tecnica, quanti potrebbero essere o quale potrebbe essere il numero più idoneo per soddisfare le esigenze della difesa.
  Io credo che qui ci sia un rapporto di fiducia e che ci debba essere un rapporto di lealtà con le istituzioni di questo Paese e questo deve avvenire senza infingimenti e senza ipocrisie ! Io non credo che ci siano corrotti e non credo che ci siano persone, soggetti o aziende che vogliono speculare su progetti che riguardano la vita e il sistema di difesa del Paese. Credo che ci siano da compiere valutazioni di grande livello e di grande dimensione per capire meglio e di più rispetto alla strategia, ma anche rispetto agli obiettivi che abbiamo portato avanti.
  I colleghi sanno bene che noi siamo uno degli ultimi Paesi rispetto alla percentuale di PIL che viene destinata alla difesa del Paese e, quindi, non siamo degli speculatori o coloro che hanno scialacquato o scialacquano, destinando chissà quali risorse al sistema industriale della difesa o al sistema delle risorse umane della difesa. Siamo sempre stati molto moderati, molto attenti e abbiamo ragionato rispetto a ciò che le risorse del Paese ci potevano consentire e ancora lo facciamo. Ma lo facciamo inseriti in un contesto che ci vede su una linea precisa, che è quella di partecipare a degli organismi Pag. 55internazionali e, insieme agli organismi internazionali, di portare avanti degli obiettivi.
  Ho sentito in qualche modo in quest'Aula oggi parlare di guerra, parlare di violazione della Costituzione, e parlare, in qualche modo, di superamento di quello che ci consente la norma della vita del nostro Paese, cioè che l'Italia partecipa solo ad azioni di pace. Noi sappiamo benissimo quali azioni abbiamo e a quali stiamo partecipando e sappiamo benissimo quale ruolo e quale funzione nella geostrategia internazionale e mondiale l'Italia e gli uomini e le donne delle Forze armate hanno saputo raggiungere con risorse molto ridotte e molto limitate.
  Io credo che da un decennio a questa parte la nostra credibilità e la nostra autorevolezza internazionale siano dovute e rimesse in gran parte – e credo di non esagerare – proprio alla capacità, alla competenza, alla professionalità, al metodo e allo stile che i nostri soldati hanno nel mondo, diverso completamente dallo stile e dai metodi di altri Paesi. Noi non sfondiamo mai la porta a calci, noi non entriamo sparando, ma chiediamo di conoscere la cultura dei Paesi dove ci troviamo, costruiamo sistemi democratici in quei Paesi, creiamo istituzioni, forniamo istituzioni democratiche e istituzioni libere. Noi portiamo il popolo a partecipare alla libertà e all'opportunità di costruire istituzioni democratiche.
  Io credo che tutto questo abbia una sua valenza, io credo che sia inserito e abbia una connessione precisa rispetto al discorso che stiamo facendo.
  Certo, è facile lasciarsi andare alla demagogia, è facile lasciarsi andare anche a valutazioni che non hanno nulla a che fare con il sistema Paese, dove – lo sottolineo – la difesa costituisce un elemento centrale. Certo, è facile dire: chiudiamo il Parlamento, così come chiudiamo anche la possibilità che questo Paese abbia una difesa. Viene facile dire: chiudiamo tutto, perché il Parlamento è la morte della democrazia e la difesa è la morte che noi portiamo nei contesti internazionali in cui operiamo.
  Io capisco che è una linea ideologica e, per quanto non la faccio mia – non posso farla mia, la lascio a chi la fa propria –, rifletto anche sul fatto che questo Paese, per fortuna, ha gli obiettori di coscienza, così come ha anche i volontari – li ha avuti e li ha ancora oggi – per professione e ha anche coloro che credono che un Paese debba e possa difendere i propri confini nazionali da quelle aggressioni che avvengono nel mondo, con atti terroristici, sono avvenuti e continueranno, purtroppo, ad avvenire.
  Noi siamo in questa fase e in questa progressione. Credo che parlare di Paese che guarda all'innovazione e alla ricerca tecnologica... Io sono convinto che ci siano tanti settori a cui guardare, sono convinto che questi settori sono strategici e fondamentali, ma tra questi settori c’è anche il sistema industriale del Paese. È un Paese che guarda a una partecipazione che vede oggi un linguaggio internazionale e mondiale tale da sperare, pensare – almeno io a questo ho sempre pensato e sperato – che possa esistere una forza di pace europea.
  Quindi, il prossimo appuntamento che ci vedrà protagonisti ci darà la possibilità di avere ancora più forza e di partecipare al processo e alla determinazione decisionale, se saremo in una linea di continuità che contempli un investimento che, certo, il Parlamento con la più volte citata legge n. 244, approvata nella scorsa legislatura, può avere continuamente la possibilità – ed è importante che questo avvenga –, con l'attenzione e con l'approfondimento doveroso e necessario, di verificare, al di là di eventuali indagini, che poi alla fine sono state fatte nelle precedenti legislature. Io non sono contrario alle indagini, ma sono favorevole a che questo Parlamento assuma sempre di più un ruolo di partecipazione e di decisione rispetto alla vita del Paese e, quindi, anche e soprattutto, rispetto al sistema di difesa.
  Credo che la riforma che in qualche modo noi abbiamo approvato e i decreti attuativi che stanno arrivando saranno un altro elemento di grande confronto, di grande approfondimento, di grande opportunità Pag. 56e possibilità per capire meglio e di più come presentarci nel contesto europeo e internazionale.
  È evidente che c’è un ritorno, è innegabile. Quindi, è chiaro che verificheremo questo ritorno in termini occupazionali e di investimento, con numeri precisi. Io credo che, quando si aprono cantieri in Italia, soprattutto in momenti come questo (e rispetto all'apertura di questi cantieri si parla di migliaia di posti di occupazione e di un indotto straordinario), è innegabile che, così come guardiamo al dramma della crisi, dobbiamo guardare anche al rientro di opportunità di lavoro, di opportunità di partecipazione, di opportunità di investimenti e di commercializzazione. È evidente che c’è una compensazione.
  Quindi, la nostra è una scelta moderata, la nostra è una linea di continuità, la nostra è una visione strategica, che vuole verificare, vuole approfondire e, se c’è la necessità, anche riconsiderare insieme al Parlamento, però chiediamo anche, in questo momento, unità, perché siamo in una fase difficile per il Paese, siamo all'interno di un contesto di Governo eccezionale, rispetto a risposte eccezionali che il Paese si aspetta da noi.
  Quindi, non credo che possano prevalere, in questo momento, aspetti ideologici, ma quello che deve prevalere è una valutazione corretta e obiettiva in ordine a una prospettiva che il Paese può e deve avere, non semplicemente parlando di cacciabombardieri, ma parlando anche della possibilità di munirsi di innovazione tecnologica, che, nel confronto con gli altri Paesi e con il linguaggio che gli altri Paesi adottano, possa essere adeguata e idonea, ma non certamente per fare stragi o per causare morti, perché credo che nessuno qua dentro abbia mai avuto questo spirito e mai lo avrà.
  Lo ripeto e lo sottolineo: questo perché noi guardiamo ad obiettivi che pongono finalmente la difesa italiana in una condizione di non essere subordinata né di sottostare a decisioni che non tengano conto della nostra preziosissima partecipazione e del nostro contributo.
  Credo che, parlando delle nostre missioni e guardando, ad esempio, a quella del Libano, dove noi in questo momento abbiamo il comando, ci sia da esprimere una valutazione davvero molto positiva, perché nel coordinamento e nell'azione abbiamo l'attenzione di produrre e di dare prospettive alla pace che cresce e alle istituzioni democratiche, che finalmente parlano di libertà e di partecipazione.
  In questo senso, noi sosteniamo un processo che riguarda l'attuazione del programma, ma certamente mantenendo l'attenzione che questo Parlamento può e deve avere e con una valutazione che ci riserviamo di svolgere nella dichiarazione di voto finale in maniera più compiuta (Applausi dei deputati del gruppo Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Matarrelli. Ne ha facoltà.

  TONI MATARRELLI. Signor Presidente, signor Ministro, colleghi deputati, la mozione presentata dal collega Marcon e sottoscritta da 558 parlamentari, con cui si chiede la cancellazione della partecipazione italiana al programma dei cacciabombardieri F35, costituisce l'esito e nello stesso tempo lo sviluppo di un impegno sempre più diffuso, esercitato da parte di associazioni, gruppi, movimenti e singoli cittadini di diverse ispirazioni ideale e religiosa che si sono mobilitati contro tale progetto fin dall'inizio, ben quindici anni fa. A loro si deve soprattutto, ben prima della presentazione del programma degli F35, la maturazione di una cultura e di una coscienza di pace radicata nei valori della Costituzione italiana, nella Carta delle Nazioni Unite e in tante Dichiarazioni internazionali, attraverso l'analisi critica e la verifica approfondita dei progetti reali di riarmo, come quello che riguarda proprio i cacciabombardieri di quinta generazione.
  Sulle ali di tale impegno è stato possibile avviare il tentativo di rompere le barriere dell'arroganza di oligarchie che hanno voluto sottrarre al dibattito democratico scelte e decisioni che impegnano Pag. 57somme considerevoli della spesa pubblica. È stato possibile, inoltre, alimentare un nuovo senso comune e una nuova cittadinanza comune che hanno coinvolto numerose amministrazioni locali, le quali, negli ultimi mesi, hanno approvato mozioni o richieste inviate al Governo nazionale di abbandono del progetto F35.
  La mozione, di cui discutiamo oggi, indica con esemplare chiarezza tutte le criticità che tale progetto ha manifestato nel corso degli anni e rammenta tutte le riserve, i ripensamenti, le decisioni di sospensione e di partecipazione dei vari Stati protagonisti dell'accordo per la realizzazione di un velivolo, che – non dobbiamo dimenticare e non possiamo dimenticare – può trasportare persino ordigni nucleari.
  Vogliamo perciò che appartengano a questo Parlamento e risuonino in quest'aula le domande degli uomini comuni, che sono la grande maggioranza di coloro che hanno eletto noi deputati e che esprimono il chiaro senso di una cultura sempre più condivisa. Perché occorre comprare questi terribili strumenti di guerra ? Il nostro Paese pensa di poterli utilizzare in qualche luogo e in un certo periodo di tempo ? Quanto costa comprarli e poi mantenerli ? Come si potrebbero impiegare gli stessi soldi, mentre milioni di cittadini, soprattutto nel nostro Mezzogiorno, sono privi di lavoro, di servizi sociali, di dignità ?
  Gli F35 sono armi da guerra, quella guerra che la nostra Costituzione ripudia e che sempre più si presenta per la forza distruttiva del suo armamentario come pura follia e potenza di nullificazione. È perciò origine di una paura e di una disperazione sempre più diffusa e noi pensiamo, con il poeta, che «guerra alle guerre è una guerra da andare» e, cioè, che l'unica ostilità che ci muove è quella avversa alle guerre.
  Del resto, anche una riserva di semplice buonsenso ci autorizza a considerare demenziale l'aumento progressivo della spesa militare mondiale, che nel 2010 ha raggiunto la cifra spaventosa di 1.630 miliardi di dollari, nel bel mezzo di una crisi economica che ha fatto ancora impennare il numero dei dannati della terra, ed ha ulteriormente allargato in maniera importante la forbice delle distanze fra gli uomini.
  Le ragioni del rifiuto degli F35 rimandano ad un modello di difesa e ad una concezione della sicurezza fuori tempo e fuori luogo, che hanno quindi bisogno di essere rivisitati attraverso l'utilizzo di un'ampia informazione e l'apertura di un dibattito che, per insopportabile negligenza o per colpevole malafede, ad oggi non ci sono mai stati. A tale proposito è comunque insostenibile tenere in vita un esercito di 180 mila uomini, acquistare caccia bombardieri costosissimi ed infilare i militari italiani in operazioni di sicurezza nelle strade delle nostre città. La sicurezza oggi da una parte ha necessità di altri investimenti, dall’intelligence alla cooperazione, ad una più coinvolgente diplomazia dei popoli e degli enti locali; dall'altra costituisce un bene pubblico come altri beni pubblici: l'istruzione, la salute, le risorse di un territorio, una protezione civile efficiente, una polizia sempre più professionale e dotata di mezzi, una giustizia che funzioni, un apparato amministrativo con regole chiare e socialmente controllato.
  Possono forse gli F35 offrire una qualche protezione ai cittadini dalla disoccupazione ? No, perché anche i dati sviscerati oggi in questo dibattito sono ridicoli, perché pensare di investire 15 miliardi di euro per 2.000 posti di lavoro mi pare veramente tentare di prendere in giro l'intero Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Ecologia Libertà e MoVimento 5 Stelle). Ci possono salvare dall'inquinamento, dalle malattie, dalle sacche di nuovo analfabetismo di ritorno, dalla criminalità organizzata sempre in agguato, dalla corruzione dilagante ? Credo proprio di no. E comunque 25 miliardi di euro annui di spesa militare costituiscono una somma altissima – dissento profondamente dalle dichiarazioni che ha fatto il mio collega del PdL – tanto alta da essere secondo me eticamente insostenibile. È perciò urgente il bisogno Pag. 58di un'attenta e dettagliata analisi e revisione dello strumentario bellico di cui è dotato il Paese e degli sprechi ad esso ed al suo uso collegati. Perché una parte significativa di questo denaro non può essere utilizzata per sollecitare e promuovere politiche economiche e sociali che con più efficacia e in minor tempo possano consentire di alleviare gli effetti di una crisi che diventa sempre più drammatica ? Il peso internazionale di un Paese e la sua autorevolezza non sono determinati, e di sicuro non possono essere misurati, dalla quantità della spesa per comprare armi e preparare o fare guerre o dal numero di missioni militari a cui partecipa...

  PRESIDENTE. Dovrebbe concludere deputato.

  TONI MATARRELLI. ... le quali vanno valutate ognuna nella propria specificità, perché ci sono tante possibilità di costruire la pace. Termino rapidamente. Tale peso invece dipende sempre più dalla capacità di assumere e risolvere questioni comuni, quali quelle che gettano nell'insicurezza e condannano alla miseria un numero sempre più grande di donne e di uomini, costretti a sopravvivere in condizioni di intollerabile vergogna. Non è l'Italia degli F35 quella che siamo stati chiamati a costruire, non è e non può essere questo, quello che desideriamo per le nostre generazioni future. Vi esorto pertanto, onorevoli colleghi, ad approvare la mozione e a profondere un impegno inedito per promuovere e sostenere tutte quelle altre iniziative che avranno lo scopo di interdire il progetto degli F35, riducendo così le spese militari, per utilizzare queste risorse per combattere le antiche e le nuove povertà, povertà che cresccono in maniera sempre più sostenuta e sempre più evidente nel nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Giacomelli. Ne ha facoltà, per dieci minuti.

  ANTONELLO GIACOMELLI. Signor Presidente, rispondere alla questione specifica che la mozione pone non è possibile, se non dando conto prima di tutto della posizione personale di ciascuno di noi su temi importanti (la pace, la guerra, l'uso delle armi, i livelli di difesa di uno Stato), che evocano echi profondi nella coscienza di ciascuno.
  Dico subito che io non mi iscrivo tra coloro che pensano di poter dividere, secondo il loro criterio, quest'Aula in pacifisti e guerrafondai. Credo che sia un modo manicheo di ragionare, che non rispetta la verità e non aiuta, e credo che ciascuno dovrebbe riconoscere agli altri la stessa buona fede, la stessa onestà intellettuale che richiede venga riconosciuta a se stesso. Ho sentito evocare da molti interventi, magari parzialmente, la Costituzione. Anch'io vorrei prendere questo come filo del mio intervento, perché per me, laicamente, quelle indicazioni sono la guida per misurare il nostro cammino, anche in questo campo complesso. Nell'articolo 11 della Costituzione, l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli. La pace, dunque, come valore fondante; la costruzione della pace come impegno costitutivo del nostro essere nazione, popolo e Stato. Ma la costruzione della pace non può essere una semplice invocazione, non può essere un tema che semplicemente inseriamo nei nostri discorsi. La costruzione della pace richiede politiche attive per la sua realizzazione. La pace non può essere distinta dalla giustizia, dal rispetto della dignità dei diritti della persona, dalla rimozione di ogni ostacolo a uno sviluppo equo e giusto, che consenta ad ogni popolo e ad ogni persona di essere artefice del proprio destino.
  Come non richiamare il valore e l'attualità di quell'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa quando richiama la destinazione universale delle risorse e ricorda a ciascuno come il destino di ogni persona e di ogni popolo sia legato a quello degli altri. Dunque, il ripudio della guerra, ma anche l'individuazione degli organismi internazionali, del concerto con Pag. 59gli altri, come sistema per promuovere la pace. E la Costituzione consente alle limitazioni di sovranità necessarie a partecipare a questi organismi. Quando si cita questo articolo, bisognerebbe farlo nella sua completezza, perché altrimenti perde senso e diventa slogan. Allora questo postula un ruolo centrale della politica estera e un ruolo centrale degli organismi internazionali, delle comunità di Stati, a partire dall'Europa e per finire alle altre organizzazioni degli Stati che ormai da decenni sono i riferimenti per chiunque voglia promuovere una politica che rimuova gli ostacoli, che avvii relazioni, che costruisca ponti di dialogo.
  E anche noi auspichiamo il ruolo centrale della politica estera. Non si parte su questi temi con una mozione che va a toccare un singolo programma d'armi senza richiamare la necessità che anche il nostro Paese riprenda una politica estera che abbia forza e autorevolezza che, forte dei suoi legami e delle sue alleanze, tuttavia non tema di avviare autonome azioni di dialogo, di costruzione di nuove relazioni. L'Italia ha una tradizione importante, nei decenni passati ha svolto un ruolo decisivo nel Mediterraneo, con il mondo arabo, con i Paesi dell'Est. Io penso che questo sia il punto da cui partire e se noi non leghiamo la politica della difesa alla politica estera, alla sua centralità, noi smarriamo il senso di ogni riflessione.
  E, infine, mai citato, ma tuttavia presente in Costituzione, l'articolo 52 stabilisce che la difesa della patria è un sacro dovere di ogni cittadino. L'idea che la politica della difesa sia un valore costituzionale è il punto che noi non dobbiamo smarrire. Essa tuttavia non è affidata né a una struttura specializzata, né all'organo esecutivo; è affidata complessivamente al popolo, ad ogni cittadino, ad ognuno di noi, al di là delle forme con cui questo avviene. Questo è un richiamo ad una responsabilità che ciascuno di noi dovrebbe sentire su se stesso, libero ciascuno di definire con la propria idea, con la propria intelligenza come l'idea di difesa dello Stato e di difesa dei valori che lo Stato rappresenta possa estrinsecarsi, ma tuttavia assumendo questa responsabilità, non delegandola agli altri. Una politica di difesa coerente con i valori costituzionali, concertata con l'Europa, con i nostri alleati occidentali, con gli organismi internazionali di cui facciamo parte e in cui assumiamo responsabilità, compatibile con la situazione finanziaria del Paese, non estranea ad essa, coerente in ogni suo specifico programma.
  Su questi temi a che punto siamo ? Lo voglio dire al collega di SEL che mi ha preceduto, ma anche alla collega del Movimento 5 Stelle che ho ascoltato. Con buona pace del Movimento 5 Stelle diciamo che il mondo non inizia con il loro ingresso in Parlamento, non siamo all'anno zero. Passi sono stati compiuti. Si possono giudicare come si vuole, limitati, insufficienti, ma c’è un cammino che l'istituzione ha compiuto.
  La spesa, questa spesa di cui tanto si è parlato, è diminuita nel nostro Paese, in questo settore, nell'ultimo triennio del 19 per cento, più che in ogni altro Paese occidentale, senza che questo alterasse il nostro sistema, perché è stata compiuta misurandosi con le difficoltà e nel merito delle scelte. Abbiamo approvato una riforma dello strumento militare rendendo le nostre Forze armate più orientate alle missioni internazionali di pace a cui devono partecipare, più capaci di essere formate, dotate tecnologicamente per queste missioni e non per ostentare una ipotetica contrapposizione tra Stati. Infine – lo ha citato il collega Galli e gli altri che sono intervenuti – il riconoscimento di un nuovo potere al Parlamento, una svolta reale. Mi meraviglia che chi vuole entrare nel merito con precisione non sottolinei questo punto. Il Parlamento, con la legge n. 244 esattamente dell'anno scorso, ha la potestà di esprimersi sulla coerenza di ogni programma d'arma, ha la potestà di entrare nel merito, valutare, esprimere un parere che non è una mozione di indirizzo o una generica richiesta ad altri, ma è assunzione di responsabilità. Infine, sullo specifico programma degli F35, la riduzione dell'ipotetico fabbisogno da 135 a 90. Obiettivi raggiunti perché ci siamo misurati Pag. 60nel merito, perché abbiamo accettato il confronto con la complessità dei temi, senza sfuggire attraverso le scorciatoie della demagogia o della semplificazione.
  Questo lavoro per noi prosegue, deve proseguire, indicando l'impegno di questa legislatura, che non è dare per acquisito ciò che esiste, ma anzi verificarlo ogni giorno, verificando l'adeguatezza, la compatibilità, la sostenibilità e l'integrabilità con i programmi degli altri Paesi. Dunque, una mappa dei rischi – di cui non parliamo come se agissimo in un mondo che è quello di Alice nel paese delle meraviglie –, dei nuovi rischi, delle insidie, della loro forza tecnologica, della loro pericolosità per la pace a cui tutti ci richiamiamo.
  Poi un Libro bianco della difesa. L'ho sentito richiamare da una collega di SEL. Sono d'accordo. È una richiesta del PD della scorsa legislatura che reiteriamo. Un Libro bianco della difesa che serva a rivedere complessivamente anche il modello della difesa, a misurarne l'adeguatezza nel mondo di oggi e nello scenario internazionale di oggi.
  Poi le scelte misurate di concerto con ogni Paese europeo e certe indagini conoscitive, audizioni, su ogni programma d'arma, sulla sua adeguatezza, sulla sua importanza per il Paese, sulla sua integrabilità con le scelte degli altri Paesi.
  Insomma, signor Presidente, noi non accettiamo di ridurre la complessità di questi temi e delle scelte difficili a soluzioni semplicistiche, a slogan. Certo, potremmo dire: «Beh, noi gli aerei lasciamo che li costruiscano e li acquistino altri, noi facciamo le navi» come se, evidentemente, salvasse la nostra coscienza il fatto che la proprietà dei singoli strumenti sia dell'uno o dell'altro Paese. Noi vogliamo una politica, vogliamo istituzioni che si assumano fino in fondo le loro responsabilità, che non sfuggano alla difficoltà di conciliare questo anelito ad una progressiva riduzione delle armi nel mondo, all'avvento della pace, tuttavia con la situazione in cui si trovano a chiudere...

  PRESIDENTE. La prego di concludere.

  ANTONELLO GIACOMELLI. ... e con la loro responsabilità. Per questo io personalmente trovo difficile aderire a quella mozione che pure, lo capisco, muove da spinte che sono presenti nell'opinione pubblica a cui noi però sentiamo di rispondere con un esercizio più pieno e più completo della nostra responsabilità di parlamentari, ed è a questa che invitiamo i colleghi dell'opposizione.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Frusone. Ne ha facoltà, per dieci minuti. Vi invito a stare nei tempi.

  LUCA FRUSONE. Grazie, signor Presidente, e grazie Ministro per essere qui oggi. Inizialmente, pensavo di dover parlare degli enormi e numerosi problemi tecnici che questo aereo sta incontrando nella sua fase di sviluppo, in realtà, essendo proprio una fase di sviluppo, verranno in larga parte risolti, mantenendo però dei deficit di progettazione che nessun periodo di sviluppo potrà mai colmare. Mi riferisco alla scarsa manovrabilità dell'aereo, alla presenza di un solo motore, allo scarso combact ready, che ne limiterà l'uso in alcune missioni, ed altre mancanze che hanno portato alcuni esperti addirittura a non classificarlo come caccia di quinta generazione, anche perché, in un confronto con aerei da supremazia aerea, ne uscirebbe distrutto in pochi minuti.
  Potremmo parlare per ore dei difetti congeniti di questo caccia, ma vorrei focalizzare l'attenzione su altro. Di F35 se ne è parlato molto, ma raramente si è detta la verità. Di fronte ad uno scenario così incerto, dove nemmeno il costo finale è chiaro, ben si collocano le dichiarazioni preelettorali di alcuni leader. Mi vengono in mente le parole: «nell'ambito delle spese militari bisogna assolutamente rivedere il nostro impegno per gli F35». Se non erro, eravamo in gennaio, in campagna elettorale, e tali parole sono state pronunciate da Pier Luigi Bersani. A questo punto, mi chiedo: come mantener fede ai propri impegni, se nel PD non si può nemmeno parlare di F35, tant’è che solo in Pag. 61quattordici hanno firmato la mozione e da quel che ci risulta diverse firme sono state ritirate, lasciandoci con il dubbio del perché di questo dietrofront ?
  Leggendo i giornali di partito, dovremmo essere noi i teleguidati, i congelati; siamo così congelati che abbiamo collaborato volentieri ad una mozione così importante, con chiunque ne volesse parlare, senza dar peso ai colori politici. Perché questa mozione è importante. Questa volta, si parla di F35, ma molte sono le spese della difesa che possono essere riviste per poter meglio investire le risorse. Si potrebbe con l'occasione – e già è stato detto – riparlare di un Libro bianco della difesa, riaprire un dialogo sugli armamenti, ammettere gli errori del passato e prendere una nuova strada, meno onerosa e più trasparente.
  Ci dite che bisogna studiare scenari di geopolitica, valutare il concetto di difesa, verificare l'adeguatezza, ma quando avete pensato di acquistare questi aerei, su che cosa vi siete basati (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) ? Tanti sono i mezzi in dotazione ai nostri militari che hanno problemi e mettono a rischio la loro incolumità. Se vogliamo, possiamo parlare del «Lince»: alcuni esemplari sono stati addirittura sequestrati per valutarne la pericolosità; possiamo parlare degli «Ariete», dei carri armati progettati già vecchi e superati da altri carri ancor prima di finirne lo sviluppo. A questo punto, ci chiediamo perché mettere in mano ai nostri militari degli strumenti difettosi e pericolosi; ci chiediamo perché dobbiamo continuare su questa strada, senza poter riflettere, senza poter pianificare, senza poter essere informati, inseguendo aziende, acquistando armamenti di cui non abbiamo bisogno o che, peggio ancora, non solo sono inutili, ma anche dannosi.
  Ci risulta, per esempio – e siamo ben lieti di essere smentiti –, che non sono stati ordinati solo tre F35 per il momento, ma, a quanto pare, nei lotti successivi, si parla di altri aerei, tre o quattro, non ci è dato capire; ma sono, comunque, altri F35 inseriti nel lotto n. 8 e in attesa di finanziamento. A questo punto, ci chiediamo quando gli italiani verranno informati che diverranno ben presto veri possessori non di tre aerei difettosi, ma probabilmente di sette; perché ci si sta confondendo con questi numeri. Preciso che sono, appunto, solo i primi lotti; in realtà, si parla sempre di 90 aerei, anzi, perdonatemi, di 131 aerei, visto che il Ministro Mauro ha dichiarato di voler tornare al vecchio progetto e, quindi, anche l'impegno per una riduzione del numero sbandierato da alcuni partiti sono parole al vento.
  In questo affare occorre la massima serietà e noi abbiamo gli occhi spalancati. Infatti, se guardiamo alla storia, non siamo molto fortunati quando si parla di Lockheed. la Repubblica, il 31 agosto del 1994, in occasione di un nuovo accordo con il gigante della guerra, titolava: «Lockheed in Italia prima di tutto è il nome di uno scandalo». E se andiamo a vedere, le analogie con il periodo dello scandalo Lockheed sono impressionanti: eravamo sì negli anni Settanta, però c'era la Lockheed, appunto; si parlava dell'acquisto sempre di aerei; c'era Finmeccanica e c'erano le larghe intese, proprio come ora. Come è andata a finire lo sapete meglio di me e spero vivamente che non si ripeta. Ci fu un processo, unico nella storia, dinnanzi alla Corte costituzionale, un Presidente della Repubblica dimesso e diverse condanne. Di buono ci fu solo che gli Stati Uniti promulgarono una legge anticorruzione; magari, tra qualche scandalo, anche noi riusciremo ad averne una seria, anche se diventa difficile parlarne con prescritti proprio per corruzione e con chi ci fa grandi intese (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  Visto che si parla di difesa della patria, noi siamo ben più preoccupati, per la nostra patria, da chi dice che le tangenti sono commissioni che si devono pagare piuttosto che da fantomatiche minacce estere da sventare con aerei tanto costosi quanto problematici. Le informazioni date per giustificare l'acquisto, come ho già detto, sono al limite dell'inverosimile; si sparano cifre sull'occupazione, come se 13 Pag. 62miliardi di euro investiti in altri settori non ne portassero molta di più, si parla della sostituzione dei vecchi Tornado, sappiamo che la tecnologia avanza, ma ci chiediamo perché dobbiamo vendere alcuni Eurofighter nuovi per far posto agli F-35, considerando che altri Paesi, con dovute modifiche, utilizzeranno gli Eurofighter anche per l'attacco al suolo. Come vedete, i motivi del «no» a questo progetto sono così tanti che non è possibile elencarli tutti in pochi minuti e a maggior ragione ci chiediamo perché si vuole continuare, ostinatamente, su questa strada quando persino gli Stati Uniti stanno riducendo il numero di aerei da acquistare quest'anno. Cosa c’è sotto ? In occasione dell'informativa del Ministro Mauro di qualche settimana fa, ho ascoltato da quei colleghi parole importanti; lo stesso Ministro parlava di soluzioni più avanzate per tutelare al meglio la sicurezza del personale. Ben vengano le soluzioni avanzate, quando funzionano, ma ricordiamoci che per la sicurezza interna le nostre forze dell'ordine non hanno soldi per il personale o per i giubbotti antiproiettile che non saranno avanzati come gli F-35 ma salvano vite. Si è parlato di ripristinare libertà e democrazia e, a quanto pare, questi aerei serviranno anche a questo; non pensate sia utile ripristinare questi valori anche in Italia, non pensate che l'ingente somma per questi aerei sia più utile a riportare dignità è felicità in questo Paese distrutto da vent'anni di false opposizioni e finte contrapposizioni, sfociate nell'ennesimo inciucio tra gemelli diversi ? Non pensate che tale cifra sia più utile se investita in misure serie, come il reddito di cittadinanza, come il sostegno alle piccole e medie imprese ? Come possiamo uscire di qui e dire ai cittadini che spenderemo miliardi di euro per delle armi, quando la situazione economica è così disastrata ? Per nascondere il vergognoso decreto-legge passato in Aula la settimana scorsa ci avete accusato di essere contro i terremotati, quando volevamo solamente avere la possibilità di migliorare il testo. Questi soldi, quanto bene potrebbero fare a quei territori ?
  Mi appello a voi, colleghi, soprattutto ai deputati del PD che non devono fare altro che mantenere le promesse fatte in campagna elettorale. Questa mozione può dare un contributo fortissimo dal punto di vista economico e potrebbe essere un primo passo verso un mondo meno guerrafondaio, più incline al dialogo e alla pace. La pace, ve ne ho parlato veramente poco, ma è proprio il motivo per cui siamo così contrari a questo progetto. La tecnologia stealth montata su questi aerei è utile per bucare le difese più imponenti del mondo, non certo per difendere il nostro territorio. Siamo ben consci del dovere di difendere la nostra patria, ma non vogliamo essere corresponsabili dell'attacco nei confronti di altri Paesi, attacco che può essere, addirittura, nucleare. Non vogliamo parlare al resto del mondo attraverso bombe e caccia multiruolo; quando gli uomini si incontrano e non si riconoscono negli occhi degli altri è in quel momento che si arrende la pace. Noi vogliamo riconoscerci negli sguardi di tutti. Per favore, utilizziamo questi soldi in maniera più intelligente. Concludo con le parole di una grande persona: trovato lo sguardo giusto, l'occhio stesso si fa iride di pace; tutti insieme, domani, dichiariamo finalmente pace alla guerra (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Malpezzi. Ne ha facoltà.

  SIMONA FLAVIA MALPEZZI. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, oggi vorrei ritornare ad una data significativa: quella del 12 ottobre 2012, quando l'Europa è stata insignita del Nobel per la pace. Anche io mi sono sentita parte integrante di quel riconoscimento, come una dei 500 milioni di cittadini europei, cittadini di un'Europa premiata per quello sforzo unico di superare guerre e divisioni, nell'idea di disegnare un continente di pace e di prosperità. Non è un caso che il comitato del Nobel abbia voluto premiare più di sessant'anni di sforzi per la costruzione della pace. Anni incominciati con la fine della seconda guerra Pag. 63mondiale, quando l'ispirazione di alcuni grandi uomini, come De Gasperi e Spinelli, ha gettato le basi per la costituzione di un'Unione europea che, come diceva proprio Spinelli, doveva essere il mezzo per il raggiungimento di quella pace perpetua, possibile solo a fronte di un completo disarmo mondiale. Pace, non tregua. Di strada ne abbiamo fatta ma il percorso è incompiuto; Tuttavia, parlare di pace, oggi come allora, non significa annullare qualsiasi velleità di difesa, ma ricondurre il concetto di difesa in chiave europea.
  Oggi questo non c’è, perché non esiste in maniera consistente, ma solo marginale, né una vera politica estera comune né una politica della sicurezza comune. Formalmente la difesa prevista dal Trattato di Lisbona rientrerebbe a pieno titolo persino nel mercato comune europeo. Tuttavia, il comportamento degli Stati che regolarmente favoriscono l'industria nazionale a scapito della concorrenza europea fanno sì che esistano tanti mercati nazionali quanti sono gli Stati. Allora ci troviamo di fronte alla non Europa della difesa, che ci porta a duplicazioni dei programmi di sviluppo, di strutture militari e a costi politici ed economici. E ci porta oggi, oltretutto – in una drammatica situazione di crisi economica e sociale, in cui le priorità sono ben altre –, a discutere sulla necessità o meno di proseguire un percorso, quello dell'acquisto degli F-35, costosi e anche con qualche grande limite tecnico, percorso dal quale altri Stati europei si sono un po’ sganciati. Ma il Partito Democratico – e mi dispiace, cari colleghi del MoVimento 5 Stelle – non fa un passo avanti e cinque indietro, ma fa politica, che è soprattutto mediazione per poter risolvere i problemi: è già da tempo che ha richiesto una completa revisione dei programmi di armamento, legandoli finalmente ad una riflessione strategica su cosa voglia essere e fare l'Italia in Europa e nel mondo.
  Ma anche questo deve essere concertato con gli altri Stati, se riteniamo che l'Unione europea abbia un senso. E in un'ottica di piano concertato europeo sarebbe anche necessario che ogni Stato rivendicasse le proprie peculiarità. Per l'Italia, per esempio, mi limito a due aspetti: intanto l'articolo 11 della Costituzione – «L'Italia ripudia la guerra (...)» – che dovrebbe essere un nostro mantra; poi l'articolo 52, in cui si riconosce il valore della difesa della patria anche attraverso l'impegno sociale non armato. Quindi, restituiamo dignità al nostro servizio civile nazionale, sosteniamo lo sviluppo di percorsi formativi per gli operatori di pace. Allora, rispetto agli F-35, concediamoci del tempo, sospendiamo il percorso, consentiamo alla Commissione difesa di verificare tutti gli aspetti realizzando quel tanto atteso Libro bianco e facciamo in modo che il Parlamento eserciti quella funzione decisionale in materia che l'articolo 4 della legge n. 244 gli affida. E poi, poniamo anche l'attenzione su una forma di difesa civile già presente nelle organizzazioni non governative e in altri Stati. Investire su queste realtà ci aiuterebbe ad avvicinarci in maniera concreta al progetto dei padri fondatori dell'Europa e a ribadire la volontà italiana di un impegno verso la pace (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Guidesi. Ne ha facoltà.

  GUIDO GUIDESI. Signor Presidente, non basta dire fermiamo l'acquisizione dei caccia F-35 finché non ci verrà spiegato da che cosa dobbiamo difenderci e di cosa dobbiamo aver bisogno. È giusto però dire che le spese militari non funzionano in questo modo, o perlomeno non funzionano automaticamente così. L'acquisizione di capacità è un processo lento, anzi lentissimo e costosissimo nel tempo, mentre le minacce e le sfide sorgono all'improvviso, e quando ciò si verifica non si ha il tempo di rimediare, ma si è costretti ad agire o reagire con ciò di cui si dispone. Le Forze armate dovranno presto pensionare i Tornado, che ormai volano da trentacinque anni, gli AMX, che non sono mai stati gran cosa, e gli AV-8B, senza i quali le portaerei regrediscono ad insignificanti e costosissimi portacontainer militari. Tra l'acquisto odierno di F-35 – che Pag. 64concorreranno a produrre e mantenere quell'unico impianto costruito fuori dagli Stati Uniti, quello in provincia di Novara – e quello futuro degli stessi aerei già fatti in altri Paesi, è vero che uscire ora dall'F-35 significherebbe altresì perdere un quantitativo importante di denaro, quello stanziato per i progetti negli esercizi finanziari 2010-2013, un sesto di tutto il programma, che poi scatterebbero le penali e ci sarebbero posti di lavoro bruciati da qui al 2050 ?
  Queste sono le domande a cui oggi dobbiamo rispondere e su cui oggi sicuramente va fatta chiarezza. Non è solo ed esclusivamente una questione di difesa, è anche una questione di valutazioni occupazionali e di garanzie occupazionali e su queste c’è bisogno di chiarezza. Il Paese ha ottenuto l'installazione in provincia di Novara dell'unico stabilimento di assemblaggio e manutenzione previsto fuori dagli Stati Uniti; vi dovrebbero essere costruite 1.200 ali comprensive del tronco centrale di fusoliera dando lavoro a 1.500 persone, anche se non mancano coloro che ritengono questi numeri gonfiati. Le imprese italiane coinvolte sono comunque numerosissime e tutte operanti in comparti high tech; 40 ditte nei piani del plain contractors a cui vanno aggiunte altre 32 aziende ed un numero non ancora certo ma rilevante di subfornitori. Sono geograficamente prevalenti al nord anche se vi sono poli produttivi interessati nel Lazio, in Campania ed in Sicilia.
  Questo per dire che forse è anche l'occasione la presentazione di queste mozioni, per fare chiarezza e perché il Governo la faccia rispetto al garantire i mezzi per la nostra Aeronautica. Quali sono le alternative a questo programma ? Garantiamo gli accordi internazionali stipulati ? Quali le conseguenze economiche sulle nostre aziende della filiera dell'aerospazio e della ricerca nel caso in cui questo accordo non fosse mantenuto ? Quali le conseguenze occupazionali e nei piani industriali ? Queste sono le domande a cui dobbiamo rispondere oltre alla questione strategica della difesa e queste sono le domande a cui ci aspettiamo una risposta da parte del Governo, grazie.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Zanin. Ne ha facoltà per dieci minuti.

  GIORGIO ZANIN. Grazie Presidente, ringrazio i membri del Governo. Io, diciamo, che vorrei ascrivere questa nostra discussione al campo della pace e come primo momento vorrei che rivolgessimo la mente per un attimo ad un grande costruttore di pace come è Nelson Mandela, la cui salute purtroppo ci lascia in questi giorni ancora preoccupati.
  E vorrei subito sgomberare il campo dal rischio di dividere le opinioni di questa discussione secondo profili politici inattendibili, da una parte i politici veri che fanno i conti con la realtà dall'altra gli idealisti magari anche in sintonia con la società, ma incapaci di capire e perciò di esprimere progetti dotati di vere «gambe politiche». Ecco io trovo questa distinzione del tutto fuori luogo. Come ha scritto oggi anche Ilvo Diamanti, il bisogno di politica è assolutamente connesso con il bisogno di futuro e di uscita dall'incertezza. Il che rinvia all'esigenza di un progetto che si nutre di ideali che sono i veri fondamenti per progettare la realtà. Gli ideali precedono e orientano la costruzione della realtà perciò dovrebbero essere gli ideali ad animare i buoni politici.
  Il mio ideale è di pace, come mi auguro quello di tutti voi, la nostra Costituzione d'altronde per la cui comprensione Calamandrei ci inviterebbe a salire in montagna, non lascia spazio ad equivoci e misura la sua forza di ideale nazionale su alcuni punti chiari che sintetizzo. La guerra è ripudiata dal popolo italiano come strumento di risoluzione delle controversie; la difesa è affare di popolo perciò il Parlamento deve avere su essa la sua massima parola; infine la sovranità, anche difensiva, può essere derogata a particolari condizioni.
  La traiettoria politica determinata da questi tre vettori ci porta dentro orizzonti Pag. 65molto concreti. In pratica la discussione odierna ci deve aiutare a capire in che modo l'eventuale acquisto di 90 aerei F35, oppure l'abbandono di tale strada sin qui intrapresa, può aiutarci a costruire concretamente la pace secondo la prospettiva costituzionale. Si tratta di una scelta che ha chiaramente un valore simbolico oltreché concreto sia per la quantità che per la qualità della spesa prevista.
  Dico subito che io sono contrario alla produzione degli F-35; ma dico anche con serietà che se nel corso della discussione o di futuri percorsi mi verranno fornite ragioni convincenti, sono assolutamente disponibile a modificare la mia posizione. O quanto meno a rinviarla, nel caso in cui si vedesse opportuna un'indagine parlamentare, come qualcuno ha annunciato, per aggiornare le informazioni disponibili e assicurare perciò pienamente al Parlamento – come è bene che sia – la responsabilità consapevole della scelta sulla quale evidentemente, visto anche il vasto rinnovamento, non siamo tutti pienamente informati.
  Contemplo questa eventualità non per subdola tentazione all'obbedienza, per dirla «milanianamente», ma per forza di ragionamento politico. E posso dire che questa mia stessa posizione, oltre che diffusa nella società civile e tra tanti elettori che hanno sostenuto la coalizione guidata alle elezioni da Bersani, è ben presente dentro il gruppo parlamentare del Partito Democratico, ben oltre la quindicina di firme apposte a sostegno della mozione in discussione oggi.
  Cercherò dunque ora di delineare in breve che cosa mi porta a considerare come da rivedere la posizione sin qui tenuta dal nostro Paese per l'acquisto di questi aerei. Penso in primo luogo che l'Italia non debba dimenticare chi è. La memoria di un italiano, che parte dalla civiltà di Agrigento, di Siracusa, di Roma, è molto più ampia e complessa di quella di un abitante del Nuovo Mondo: abbiamo la nostra specifica parola da dire. E diciamola, allora, questa nostra parola, anche sui diritti umani, sull'economia capitalista, sulla globalizzazione, sulla politica internazionale, sulla guerra e sulla pace. Mica dobbiamo vergognarci di Sant'Ambrogio o di Sant'Agostino e delle loro parole sulla pace e sulla guerra, e ridurci a pensare che in campo politico valgano solamente le virtù attive, e cioè l'aggressività, l'affermazione di sé, la conquista, l'attivismo reso frenetico da macchine sempre più potenti e precise nel calcolare, ma irrimediabilmente prive di cuore e di intuito. Senza soprattutto credere – come fa un certo pragmatismo – che qualsiasi riferimento alle teorie dei valori o ai principi morali debba essere soppiantato dall'impulso ad adottare strumenti che funzionano.
  Ecco: capire ciò che funziona oggi non è mica scontato ! Del resto un bilancio dei 25 anni successivi alla caduta del Muro di Berlino non può che consegnarci un quadro assai problematico sull'idea che le armi costituiscano la miglior risorsa per risolvere i problemi. Da un lato stanno infatti le molte strade aperte dalle strategie non violente per superare le piramidi e unire i popoli, superando il passato: emblematici in ciò la novità storica assoluta della unificazione europea, ma anche il percorso di pacificazione della memoria di violenza in Sudafrica. Dall'altro i continui mezzi fallimenti delle stabilizzazioni armate su cui regna sovrano il sostanziale fallimento afgano, come notava lo stesso Sergio Romano la scorsa settimana sulle pagine del Corriere della Sera, e in generale tutto il quadro mediorientale sviluppatosi dopo l'11 settembre 2001.
  Negli ultimi vent'anni la scelta di usare le armi a livello internazionale ci ha visto coinvolti così frequentemente fuori dei confini nazionali, che mi pare sensato ad un certo punto fare anche una verifica della strategia generale, dentro cui appunto le azioni sono state poste. Non tanto per valutare il quadro di alleanza in sé, quanto per ciò che inevitabilmente l'alleanza sembra comportare: come se usare gli aerei fuori dei confini nazionali, stirando all'inverosimile il dettato costituzionale, fosse un atto dovuto obbligatorio, e non piuttosto una scelta da rinnovare valutandone caso per caso le conseguenze. Pag. 66Come ad esempio i tutt'altro che positivi scompaginamenti di significato che certe azioni comportano: dalla fiducia popolare per le dichiarazione dei governanti (le famose armi di distruzione di massa inventate da Bush e Blair) al crollo dell'opinione pubblica e nella politica effettiva, in particolare dopo il 2001, dell'autorevolezza dell'ONU, servizio fondamentale alla pace uscito dal secondo dopoguerra e oggi messo in discussione sostanzialmente con le loro strategie proprio dalle nostre democrazie occidentali.
  La spesa militare è in generale uno dei lieviti inevitabili dei conflitti. Inutile girarci intorno: le lobby della spesa militare assediano da sempre i governi. Non possiamo legare la decisione popolare ai vantaggi di alcuno: tanto più se consideriamo le conseguenze effettive che la tecnologia militare continua a produrre in termini di morti civili. Il costo umano, prima ancora che economico, delle spese militari non va nascosto; e il Parlamento, non solo il Gino Strada di turno, deve farsene carico.
  È anche in questa direzione perciò che voglio sottolineare l'importanza, come si concordava anche con il collega Paolo Cova, di rinnovare quella posizione di proposta attiva di valorizzazione delle forme di difesa non violenta che sta sul piatto dell'ONU sin dal 1992, quando l'allora Segretario generale Boutros-Ghali, scrivendo l'Agenda per la pace, ha istituzionalizzato il peacekeeper.
  Ricordo infatti che l'articolo 52 della Costituzione, interpretato dalla Corte costituzionale nella sentenza 24 maggio 1985, n. 164, riconosce il valore della difesa della patria attraverso la prestazione di adeguati comportamenti di impegno sociale e non armato e che l'associazionismo italiano ha sperimentato diverse forme di interventi civili di pace volti alla prevenzione e alla trasformazione dei conflitti attraverso azioni civili non armate e non violente e che con le leggi 8 luglio 1998, n. 230 e 6 marzo 2001, n. 64 è stata istituita una difesa civile non armata e non violenta esercitata attraverso il servizio civile non violento nazionale, svolto sia in Italia sia all'estero.
  Sarebbe dunque opportuno, proprio mentre discutiamo di sistemi di difesa, inserire nel dispositivo di questa o di altra mozione coerente con lo stesso argomento l'impegno a istituire un corpo civile di pace presso il Comitato per la difesa civile non armata e nonviolenta e a sostenere lo sviluppo di percorsi formativi per gli operatori di pace e a riconoscere le competenze tramite l'istituzione di un albo nazionale degli operatori di pace.
  Il tempo in cui discutiamo di queste scelte è inoltre segnato con tutta chiarezza da problemi sociali ed economici che lasciano poco spazio ad equivoci, da parte nostra siamo convinti che la spesa sociale sia una priorità per la sicurezza del nostro Paese, dentro i confini prima che sul limes che essi segnano, limes che ha bisogno con sempre maggior chiarezza, anche in campo militare, di un fermo orientamento a carattere europeo. L'integrazione militare sarà infatti figlio maturo dell'unità politica europea, di cui l'Europa e molti, sicuramente in maggioranza, ci diciamo convinti.

  PRESIDENTE. Deve concludere.

  GIORGIO ZANIN. Ecco io penso che queste cose siano da porre al centro della nostra attenzione e del nostro dibattito, per questo mi impegnerò anche all'interno del mio gruppo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Brescia. Ne ha facoltà, per nove minuti.

  GIUSEPPE BRESCIA. Signor Presidente, il MoVimento 5 Stelle è assolutamente contrario all'acquisto dei cacciabombardieri F-35 e lo è per i più svariati motivi, perché sono inutili, perché sono un immane spreco che non possiamo permetterci e perché sono anticostituzionali. Gli F-35 sono aerei da guerra e io vorrei farvi riflettere su cosa è diventata la guerra oggi e farvi quindi comprendere i motivi profondi che ci spingono a dire «no» agli F-35.Pag. 67
  Le guerre moderne si fondano sul principio che contrastare un esercito nemico non basta più, occorre colpire il Paese avversario. Fu proprio la tecnica dei bombardamenti aerei a rendere possibile questa nuova dimensione, aggredire la nazione intesa come popolazione, ricchezza, cultura e volontà avversarie per avere un vantaggio duraturo e su tutti i fronti. Così i civili risultano essere non più un effetto collaterale, ma i principali destinatari della guerra.
  Nei conflitti di oggi, cosiddetti a bassa intensità, le vittime tra i non combattenti spesso superano il 90 per cento del totale. Soffermiamoci di più su questi dati, perché dobbiamo averli ben impressi quando schiacceremo il bottoncino: tra 100 vittime della guerra, 7 sono combattenti, 17 sono uomini non combattenti e poi, ascoltate bene, 34 sono bambini, 16 sono donne e 26 anziani; 34+16+26=76, il 76 per cento delle vittime sono donne, anziani e bambini. Circa il 7 per cento delle vittime sono combattenti e sia chiaro, il fatto che siano combattenti non significa che siano vittime tollerabili che possiamo mettere in conto, niente affatto. Se solo penso alle famiglie che lasciano nel dolore, non posso che sentire anche mio quel dolore. Il 17 per cento delle vittime sono uomini non combattenti e anche loro lasciano i loro cari senza un punto di riferimento. È così che si creano le cosiddette vittime indirette: orfani, vedove, profughi, migranti. Il 16 per cento sono donne, oltre ad essere colpite dalle ferite loro inferte, sulle donne ricade spesso il peso famigliare e sociale del disastro che la guerra comporta. E poi ratificando la Convenzione di Istanbul.
  Il 34 per cento delle vittime della guerra sono bambini sotto i 14 anni. Secondo la strategia militare, colpire i bambini significa sterminare la leva dei futuri combattenti, distruggere, attraverso la sofferenza dei piccoli, il morale dei padri che stanno facendo la guerra. E, allora, noi ci chiediamo se la guerra, in qualsiasi sua forma, non sia terrorismo e se noi, comprando questi aerei, non ne saremo complici. Le guerre di oggi contraddicono pesantemente gli impegni presi alla fine della seconda guerra mondiale. L'umanità, sopravvissuta a questa tragedia, si ricostituì con un punto fermo: quanto era successo non doveva più ripetersi, la guerra era da abolire nella storia e nella pratica politica. Per questo, la comunità internazionale scelse di dotarsi di uno strumento, la Carta costitutiva del 1945, che aveva come fine primario quello di impedire le guerre.
  Nell'articolo 11 della Costituzione, i padri costituenti utilizzano, non a caso, un'espressione particolarmente forte, il verbo «ripudia», che esprime il rifiuto più netto della guerra. Eppure, l'8 aprile del 2009, le Commissioni difesa di Camera e Senato hanno dato il via libera all'acquisto di 131 cacciabombardieri F-35, numero poi ridotto a 90, con una spesa che si aggira tra i 12 e i 15 miliardi, decisione che ci apprestiamo a confermare o a rivedere con il voto che ci apprestiamo a esprimere.
  Lasciate che vi ricordi quanti investimenti alternativi potremmo attuare con quella somma in un Paese in difficoltà come il nostro. Il mio primo pensiero va a quella mozione del MoVimento 5 stelle che, meno di due settimane fa, chiedeva il ripristino dei fondi al comparto istruzione, cultura, università e ricerca. Erano quasi otto i miliardi necessari in quel caso e ci avete detto che non c'era copertura finanziaria. Dico questo mentre ci giunge la notizia che il Ministro Carrozza ha stanziato 300 milioni per l'edilizia scolastica e mi viene da raccogliere una frase raccapricciante, che ho sentito pronunziare in quest'Aula venerdì scorso e che rispediamo al mittente: la scuola italiana non sa che farsene della vostra elemosina ! Potremmo finanziare il reddito minimo garantito, per esempio, perché vi ricordiamo che la gente continua a suicidarsi perché non arriva alla fine del mese. Insomma, ne potremmo fare tantissime di cose ben più importanti, ma noi lo sappiamo bene questo. Siete voi il punto. Voi cosa ne pensate ? Queste qui non sono solo parole: non si tratta di strategia politica, stiamo parlando di morte. Quante volte ci alziamo in piedi in quest'Aula e osserviamo Pag. 68un minuto di raccoglimento in memoria di una persona che non c’è più ? Quante volte correte davanti alle telecamere pronti ad esprimere solidarietà per questa, o quella famiglia o, giustamente, sollevate polveroni anche per un solo morto che si poteva evitare ? Beh, se davvero firmerete l'acquisto anche di un solo cacciabombardiere, vi renderete complici di una strage di esseri umani (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) !
  Chi dice che questi aerei serviranno per la pace, dovrebbe, quantomeno, avere il buon senso di rimanere in silenzio. Se davvero avete il coraggio di utilizzare i soldi che gli italiani vi hanno affidato, se avete il coraggio di andare avanti con questo provvedimento e di diventare degli assassini, vi chiedo come potrete – una volta tornati nelle vostre case, con le vostre famiglie e i vostri bambini accanto – addormentarvi sereni.
  A guardare la storia di questa mozione, le speranze sono davvero flebili e questo voglio che gli italiani lo sappiano. Quando è partita questa iniziativa, le firme raccolte erano molto più di 158, di cui – ricordo – 109 sono del MoVimento 5 Stelle. C'erano molte adesioni, anche da parte del PD, poi, con la formazione del partito unico, molti piddini sono corsi a ritirare la firma. Temendo cosa ? Spiegatelo ai vostri elettori questo ! Cosa nascondete ? Cosa c’è dietro questi aerei ? Spiegatelo agli italiani ! Sono sicuro che troverete le parole anche per giustificare questa scelta scellerata. D'altronde, trovare scuse è il vostro mestiere (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) !
  Voglio chiudere con una citazione, un pensiero che dovrebbe – a mio avviso – accompagnare sempre le nostre scelte: «Siate sempre capaci di sentire, nel più profondo, qualunque ingiustizia commessa, contro chiunque, in qualunque parte del mondo» (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) !

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Grassi. Ne ha facoltà, per 10 minuti.

  GERO GRASSI. Onorevole Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, parto da una considerazione finale. Lo dico al collega che ha appena finito di parlare. Io non ho firmato la mozione di SEL, sono del Partito Democratico, sono contro gli F-35 e ho sempre votato contro il riarmo nelle due scorse legislature (Applausi di deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Non credo di essere un'anomalia.
  Sul provvedimento in discussione, secondo me ci sono due ragioni. Ci sono ragioni di ordine giuridico-economico e ci sono ragioni di ordine morale. A me sembra, per le prime, che nel momento in cui non abbiamo ancora una politica di pace europea – io non la chiamo di difesa, ma di pace europea –, nel momento in cui abbiamo ancora eserciti singoli per le diverse nazioni europee, il cui comportamento spesso è in contraddizione tra loro, nel momento in cui sulla materia in questione ci sono atti pubblici, da parte delle nazioni europee, che assumono una valenza che ci deve indurre a riflettere, perché se l'Olanda si comporta in un certo modo, se l'Inghilterra fa altrettanto, se la Germania – la Germania – assume determinati atteggiamenti, noi per lo meno il dubbio dobbiamo averlo. Dobbiamo avere il dubbio sulla validità di questo progetto, sulla validità di questi aerei, sulla opportunità di questa operazione.
  Si può continuare e dire tante cose. Si potrebbe dire – e io credo che affermare poi, come risposta, che questa è demagogia e populismo sia sbagliato – che in un tempo di spending review accentuata, una da parte di chi può farla, e una spending review che c’è gente che fa non perché decide di farla, ma perché costretta a farla, il dubbio sull'opportunità di questa operazione deve venirci. Si potrebbe dire che il costo della manutenzione e dell'efficienza degli F-35 è tre volte superiore al costo dell'acquisto. Si potrebbe dire che per trent'anni noi saremo vincolati ad una massa di denaro che andrebbe tutta in Pag. 69direzione del riarmo. Si potrebbe ipotizzare che questo denaro fosse devoluto alla scuola. Si potrebbe pensare che questo denaro fosse devoluto all'ambiente. Si potrebbe pensare che questo denaro fosse devoluto al welfare.
  Guardate, queste cose che vi sto dicendo le ha sostenute un vescovo in odore di santità oggi che, con me e con tanti altri amici, sulla fine degli anni Ottanta, ha combattuto la battaglia degli F-16. Quel vescovo, in odore di santità oggi, si chiamava don Tonino Bello e aveva insegnato a noi, giovani di diversi partiti che a quel tempo, però, avevamo la responsabilità di un comune della provincia di Bari, che la parola pace, shalom, non va pronunciata a metà, va pronunciata tutta (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico) e che la parola pace non può indurci a calcolare quello che dobbiamo fare su un tema del genere, perché il Vangelo ci dice quello che dobbiamo fare. E perché noi dobbiamo fare quello che vogliamo fare ?
  Per un motivo molto semplice, perché la nostra coscienza non starebbe a posto se destinassimo 50 miliardi agli F-35, perché questa è la somma complessiva dell'investimento, dell'acquisto e della manutenzione per un certo numero di anni. Non si oppongano a questa motivazione le ragioni dell'occupazione. Si tratta di mille dipendenti, che non sono pochi, ma sono mille persone. Non si oppongano a queste motivazioni le ragioni dei Trattati internazionali né si venga a dire che usciamo dall'Europa, perché chi parla vorrebbe più Europa, tant’è che aspira ad un unico Ministro della pace europeo, ad un unico Ministro delle finanze, ad un unico Ministro degli esteri e su queste cose la nostra Italia e i Governi che si sono succeduti sono fortemente in ritardo.
  Ecco perché io auspico che domani il Parlamento sia in grado di approvare un'unica mozione, senza paure, senza infingimenti, senza attribuzioni di paternità o di maternità. Io auspico che il Parlamento domani esprima, quasi gridando, la parola pace. Guardate, non è in contraddizione con il Governo. Non è in contraddizione con quello che noi siamo in Europa.
  Io auspico – e concludo – che la vicenda degli F-35 non aumenti divisioni all'interno di quest'Aula e all'interno del Paese ma, ascoltando solo i bisogni delle persone, il Parlamento sappia destinare la manovra economica che si paventa per l'acquisto degli F-35 a chi ne ha bisogno nella nostra Italia, destinando quest'ammasso di denaro a chi la spending review la subisce, perché spesso non può mangiare, non può curarsi, non può studiare. Non credo che tutto questo sia parlare contro il Ministro della difesa o sia parlare contro il Governo. Tutto questo significa parlare a favore dei bisogni primari delle persone. Io sono uno di quelli che nella mozione inserirebbe anche il divieto della costruzione di armi giocattolo, perché è da lì che si parte nella diffusione e nella consapevolezza di una cultura di pace. Io sono uno di quelli che invita il Ministro a cambiare anche il nome del suo Ministero, non Ministero della difesa, ma Ministero della pace. L'Italia nel Mediterraneo, nel Medio Oriente, nel terzo mondo, quello che volgarmente viene chiamato terzo mondo, non deve diffondere gli F-35, deve costruire, insieme con l'Europa, una grande missione di pace, che significa portare lì sviluppo, sanità, istruzione e benessere. Questi sono i nostri F-35 (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Beni. Ne ha facoltà, per cinque minuti.

  PAOLO BENI. Signor Presidente, colleghi e colleghe, signori del Governo, stiamo discutendo un tema delicato indubbiamente, su cui sappiamo che c’è forte attenzione dell'opinione pubblica, che riguarda questioni di grande rilevanza, quali i sistemi d'arma, la difesa e la sicurezza del Paese. Il progetto di costruzione dei cacciabombardieri F-35 vede l'Italia impegnata con gli Stati Uniti ed altri Paesi. Sono velivoli di nuova generazione, idonei Pag. 70ad operare negli scenari di guerra, con funzioni di attacco ed anche per il trasporto di ordigni nucleari. Ebbene, io penso che questo sia un progetto molto discutibile per diversi motivi. Intanto per i costi faraonici, oltre 100 milioni di dollari ogni aereo, e sono stime non definitive, destinate probabilmente a lievitare ulteriormente. Poi ci sono dubbi anche sull'affidabilità tecnica di questi velivoli, nelle prestazioni, negli standard di sicurezza.
  Le criticità emerse nel corso dell'avanzamento del programma, documentate dalla stampa internazionale specializzata, hanno già portato ritardi e ulteriori costi. Inoltre, anche i vantaggi occupazionali che l'Italia aveva previsto in base agli accordi industriali legati alla partecipazione al programma, sono notevolmente ridimensionati rispetto alle stime a suo tempo ipotizzate.
  Pare discutibile anche la tipologia del velivolo scelto per sostituire gli attuali mezzi della flotta: un aereo particolarmente sofisticato, con caratteristiche di attacco, di cui non si comprende, francamente, l'utilità in relazione a quelli che sono oggi gli impegni internazionali delle nostre Forze armate nel mondo.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI (ore 18)

  PAOLO BENI. Per non parlare del fatto che un investimento così ingente nei mezzi aerei rischia di sottrarre risorse preziose all'efficienza delle forze di terra, di mare e dell'intero strumento militare.
  Molti dei Paesi coinvolti nel progetto hanno già ridimensionato il loro impegno finanziario o sono usciti dal programma, come il Canada, o hanno rinviato la decisione in attesa di indagini e approfondimenti, come la Gran Bretagna e l'Olanda.
  Quindi, costi elevati, prestazioni incerte, ricadute occupazionali inferiori alle attese: ci sono molti validi motivi – e non ho parlato ancora del tema su cui si è dilungato l'intervento precedente e non perché non lo condivida interamente – perché anche l'Italia operi un ripensamento su questo progetto, tanto più che non ha sottoscritto contratti definitivi e passibili di eventuali penali.
  Ma c’è dell'altro: accanto a questi elementi, non possiamo non considerare la preoccupazione del Paese per il crescente disagio sociale, la scarsità delle risorse da destinare ai servizi di welfare, all'istruzione e alla formazione. Ebbene, guardate che, se mancano le risorse per il lavoro, l'istruzione e le politiche sociali, anche le spese militari vanno ridimensionate. Il Paese non capirebbe perché spendere montagne di soldi pubblici per le armi e non lo tollererebbe. E questo – si badi bene – non vuol dire trascurare la sicurezza del Paese, semmai si tratta di definire un programma complessivo di adeguamento anche dei sistemi d'arma nell'ambito di una revisione del modello di difesa e del ruolo delle nostre Forze armate, che sia coerente con la vocazione di un Paese che attua una politica estera orientata alla costruzione della pace e della prevenzione dei conflitti.
  Del resto, l'articolo 4 della legge n. 244 del 2012 definisce con chiarezza la titolarità del Parlamento in materia di pianificazione dei programmi di ammodernamento e rinnovamento dei sistemi d'arma e impegna il Governo a fornire annualmente al Parlamento la documentazione necessaria.
  Per questo io penso che, prima di procedere oltre nel programma di costruzione degli F35, sarebbe il caso di fermarsi. Sarebbe il caso di fermarsi, di avviare una opportuna e adeguata indagine conoscitiva da parte del Parlamento sulla situazione dei nostri sistemi d'arma e, solo successivamente, assumere nella sede parlamentare le opportune decisioni. In attesa del completamento di questo processo, io penso che vada sospeso il progetto ed ogni azione connessa ad esso (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.Pag. 71
  Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire in sede di valutazione delle mozioni.
  Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Speranza ed altri n. 1-00017, Matarrese ed altri n. 1-00111, Zan ed altri n. 1-00112 e Segoni ed altri n. 1-00114 concernenti iniziative per la tutela e la sicurezza del territorio, con particolare riferimento al dissesto idrogeologico (ore 18,03).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Speranza ed altri n. 1-00017, Matarrese ed altri n. 1-00111, Zan ed altri n. 1-00112 e Segoni ed altri n. 1-00114 concernenti iniziative per la tutela e la sicurezza del territorio, con particolare riferimento al dissesto idrogeologico (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Ricordo che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
  Avverto che sono state presentate le mozioni Latronico ed altri n. 1-00116 e Grimoldi ed altri n. 1-00117 (Vedi l'allegato A – Mozioni), che vertono su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno.
  Avverto, altresì, che è stata testé presentata una nuova formulazione della mozione Speranza ed altri n. 1-00017 (Vedi l'allegato A – Mozioni), che è stata sottoscritta anche dal deputato Brunetta, il quale, con il consenso degli altri sottoscrittori, ne diventa il secondo firmatario. Contestualmente è stata ritirata la mozione Latronico ed altri n. 1-00116. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritta a parlare l'onorevole Braga, che illustrerà anche la mozione Speranza ed altri n. 1-00017 (Nuova formulazione), di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

  CHIARA BRAGA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, solo qualche giorno fa quest'Aula ha votato la conversione di un decreto-legge avente per oggetto la soluzione di diverse emergenze ambientali, ricordandoci, ancora una volta, come la categoria dell'emergenza stia paradossalmente diventando una condizione abituale nel nostro Paese. E proprio in queste ore, ancora una volta, le popolazioni della Lunigiana e della Garfagnana, nelle province di Lucca e Massa Carrara, vivono ore di angoscia per il terremoto e lo sciame sismico che si protrae ormai da giorni. A loro vorrei che andasse prima di tutto la vicinanza concreta e la solidarietà del Parlamento e del Governo, perché di fronte a una prova così difficile i cittadini, le istituzioni locali e i tanti volontari che da ore si stanno prodigando non si sentano abbandonati dalle istituzioni nazionali.
  E tuttavia, mi pare che assuma ancor più senso quello che oggi facciamo in quest'aula, dando corso ad un dibattito sulle mozioni presentate da tutti i gruppi parlamentari su un tema, quello della sicurezza del nostro territorio e delle politiche di prevenzione e di contrasto al dissesto idrogeologico, che deve necessariamente uscire dalla logica dell'emergenza e assumere finalmente rilevanza primaria nelle politiche ambientali e di rilancio del nostro Paese.
  Per il gruppo del Partito Democratico questo non è certamente un tema nuovo. Già nella precedente legislatura il nostro gruppo ha incalzato, non sempre condividendone totalmente l'impostazione, l'azione del Ministro Prestigiacomo prima e del Ministro Clini poi. Alcuni passi in avanti importanti sono stati compiuti, specie negli ultimi anni, con l'approvazione delle linee strategiche per il piano di adattamento ai cambiamenti climatici, la gestione sostenibile e la messa in sicurezza del territorio su impulso del Ministro Pag. 72Clini, che ha riproposto il tema centrale della programmazione degli interventi, del reperimento delle risorse e dell'attuazione di severe misure di prevenzione e di salvaguardia, vietando l'uso a fini residenziali, produttivi e per servizi di aree a elevata vulnerabilità idrogeologica.
  Il Ministro Orlando, sin dal suo insediamento, ha da subito riservato a questi temi un'attenzione particolare, riconoscendoli tra le priorità del suo Ministero e ricordando, del resto, come la stessa Unione europea abbia individuato da tempo negli investimenti in materia ambientale uno dei principali motori dell'economia, indicando la via della promozione dello sviluppo sostenibile, soprattutto in tema di lotta al cambiamento climatico e di adozione di produzioni e processi ambientalmente sostenibili.
  Non a caso la Commissione europea, nel mese di aprile di quest'anno, ha emesso una comunicazione rivolta al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e al Comitato delle regioni, che reca misure in materia di strategie dell'Unione europea di adattamento ai cambiamenti climatici, invitando gli Stati membri ad adottare una strategia di adattamento. È significativo prendere atto di quanto è contenuto in questa comunicazione.
  La Commissione ricorda e sottolinea come l'intervento o il non intervento in questo campo è in condizione di mettere a repentaglio la stessa coesione dell'Unione europea. Si prevede che gli impatti dei cambiamenti climatici inaspriranno il divario sociale all'interno dell'Unione, colpendo soprattutto i gruppi sociali e le regioni maggiormente esposti e già svantaggiati.
  Si stima a livello europeo che il costo minimo del mancato adattamento ai cambiamenti climatici, per tutta l'Unione europea, parta da 100 miliardi di euro nel 2009 per raggiungere 250 miliardi nel 2050, ma anche il costo sociale dei cambiamenti climatici può essere considerevole.
  Le alluvioni nell'Unione europea hanno causato oltre 2.500 decessi e hanno toccato cinque milioni e mezzo di persone nel periodo che va dal 1980 al 2011. Se non adotteremo misure di adattamento adeguate, si prevede che nel decennio 2020-2030 dovremo fare il conto con una crescita esponenziale delle perdite di vite umane, arrivando fino a 89 mila decessi all'anno nel decennio 2050-2060.
  D'altra parte, la situazione del nostro Paese non può certamente definirsi più rosea. Una recente ricerca dell'Accademia nazionale dei Lincei, presentata in occasione della giornata mondiale sull'acqua, ci dice come, da un punto di vista solo economico, le frane e le alluvioni producano nel nostro Paese danni per circa 3 miliardi di euro, se si considerano solo i danni diretti, mentre se si estende la valutazione ai danni indiretti, la stima sale a quasi lo 0,3 per cento del PIL.
  Il 10 per cento del territorio del nostro Paese è ad elevato rischio idrogeologico e più dell'80 per cento dei comuni è interessato da almeno un'area a rischio estremamente alto. In media, il nostro Stato spende circa un miliardo di euro all'anno per riparare i danni causati dal dissesto idrogeologico, ossia poco meno di un terzo del costo delle perdite effettivamente prodotte, mentre per gli interventi di prevenzione e di difesa del suolo lo Stato, secondo i dati del Ministero dell'ambiente, spende in media 400 milioni di euro all'anno, ovvero un terzo di quanto normalmente viene destinato alla riparazione dei danni e solo una minima parte di quanto sarebbe effettivamente il fabbisogno di intervento.
  Sono solo dati numerici e quantitativi, ma ci dicono che una delle problematiche maggiori nel nostro Paese, rispetto al tema della difesa del suolo e del dissesto idrogeologico, è proprio la sproporzione, mai sufficientemente sanata e affrontata, tra le risorse destinate alla gestione dell'emergenza e quelle, invece, destinate alla messa in sicurezza e alla prevenzione. Non stiamo parlando soltanto di opere opportune e necessarie, ma anche di opere che sono in grado di rimettere in moto i Pag. 73sistemi produttivi locali e di generare occasioni di sviluppo e di crescita economica per i territori.
  Per questo motivo, tra le richieste che sosteniamo con maggiore forza e che proponiamo all'attenzione del Governo c’è proprio l'attivazione di un fondo nazionale per la difesa del suolo e la riduzione del rischio idrogeologico, che sia finalizzato alla realizzazione di un piano strutturale e organico, con obiettivi a breve e a medio termine, per la messa in sicurezza dei territorio e che sia in grado di mettere nelle condizioni il sistema dei soggetti istituzionalmente competenti di poter utilizzare e intercettare anche risorse importanti che possono venire dal nuovo ciclo di programmazione comunitaria 2014-2020.
  Crediamo che questo sia un passaggio fondamentale, cioè interrompere la progressiva riduzione delle risorse che il Ministero e lo Stato centrale hanno previsto in questi anni a bilancio per la prevenzione e cercare di renderle invece il più possibile strutturali, seppure contenute, ma comunque certe, per poter avviare un piano ordinario, in grado di rispondere a esigenze che non sono emergenziali ed estemporanee, ma che fanno parte della condizione in cui ci troviamo a vivere.
  Credo che questo sia un aspetto importante anche dal punto di vista concettuale. Noi ragioniamo spesso di politiche di messa in sicurezza del territorio, ma questo concetto rischia talvolta di essere fuorviante. Dobbiamo imparare a convivere, in un Paese come il nostro, con una condizione di rischio diffusa più o meno elevata e gli obiettivi devono essere soprattutto quelli di ridurre gli effetti degli eventi calamitosi e creare le condizioni perché i territori sviluppino una resistenza a questi eventi e una capacità di reazione, assumendo anche tra le nostre politiche il concetto di resilienza, che è alla base della strategia comunitaria.
  Dunque, il tema delle risorse è sicuramente una delle questioni che in questi anni ha reso difficile e complicata l'attuazione di molti interventi. Ricordo come il piano straordinario per la rimozione delle cause del dissesto idrogeologico purtroppo non ha dispiegato i suoi effetti positivi proprio a causa delle difficoltà e dei ritardi nel trasferimento delle risorse, ma credo che sarebbe riduttivo limitare il nostro ragionamento solo a un problema di risorse.
  Una delle questioni fondamentali nel nostro Paese ha a che fare con il mancato completamento del riassetto delle competenze e delle politiche per la difesa del suolo e della prevenzione del dissesto idrogeologico. Quello che serve all'Italia è una robusta iniezione di efficienza nelle politiche di gestione del suolo e di messa in sicurezza e sappiamo che, purtroppo, il nostro Paese, pur avendo avuto alcune stagioni di grande innovazione in questo campo – penso alla legge n. 183 e al lavoro fondamentale svolto da questo Parlamento con la relazione Marchi –, non ha portato a compimento un processo che è invece fondamentale.
  Viviamo ancora in una condizione in cui ci sono una frammentazione e una sovrapposizione di competenze, di soggetti e di strumenti, che molte volte paralizzano, anziché rendere efficace il sistema di prevenzione e che, soprattutto, impediscono una corretta gestione e un adeguato monitoraggio degli interventi.
  A livello nazionale scontiamo ancora un ritardo nel recepimento delle direttive comunitarie in materia di acqua e di alluvioni. Sappiamo che il settore ambientale è uno di quelli, purtroppo, in cui il nostro Paese paga e vede un'apertura di procedure di infrazione comunitaria molto elevata. Questo si traduce nella difficoltà a intercettare occasioni di finanziamento e di misure di sostegno anche a livello europeo.
  In questo senso, crediamo che uno degli stimoli maggiori a cui richiamiamo il Governo sia proprio quello di dare piena attuazione, nell'ambito delle proprie competenze, ai principi e ai contenuti delle direttive comunitarie, intanto cercando di portare veramente a sistema questa integrazione tra il tema della difesa del suolo, della sicurezza idrogeologica e, quindi, del Pag. 74contrasto al rischio alluvioni, con quello della qualità idrica dei nostri corpi d'acqua e dei nostri corpi fluviali.
  In questo senso, credo che sia opportuno – l'abbiamo richiamato anche nella mozione – non soltanto portare a compimento il sistema di definizione dei distretti idrografici, superando gradualmente l'assetto che vede, in questa fase, cooperare a livello territoriale autorità di bacino, regioni e autorità di distretto, in alcuni casi, in un quadro di competenze troppo confuso, ma anche valorizzare quelle esperienze virtuose che sono nate e si sono sviluppate in alcuni territori, in alcune regioni, soprattutto del nord d'Italia, ma non solo, come i contratti di fiume. Sono degli strumenti di programmazione negoziata che riuniscono attorno ad un progetto di sviluppo locale la valorizzazione del territorio e la riqualificazione dei corsi d'acqua e che hanno un effetto positivo e virtuoso anche sul grado di consapevolezza e di responsabilità delle popolazioni insediate.
  Noi crediamo che il tema della difesa del suolo e della tutela delle acque debba essere in qualche modo affrontato cercando di superare quello che nel nostro Paese è un ritardo rispetto alla ristrutturazione delle competenze e dei soggetti, anche cercando di utilizzare positivamente le risorse che possono venire a livello europeo, come ho già detto. Credo che in questo senso ci sarà modo di intervenire anche nel corso del dibattito e ci sarà uno spazio importante d'azione anche nel campo della revisione della politica agricola comunitaria, perché il tema del dissesto idrogeologico a volte viene in qualche modo aggravato dall'abbandono dei nostri terreni e da pratiche di cattiva manutenzione del territorio, che vedono, invece, nell'agricoltura uno straordinario strumento di contrasto e di valorizzazione.
  Crediamo che il nostro Paese – e faccio un accenno alla questione della gestione dell'emergenza, che non possiamo assolutamente permetterci di archiviare – abbia bisogno di proseguire nell'azione intrapresa, anche dallo scorso Governo, con il riordino della Protezione civile. Sappiamo che si è messa mano al sistema della Protezione civile con l'obiettivo di riportarla in qualche modo alle sue finalità principali e originarie, ma questa contemperazione tra le esigenze della gestione delle emergenze e quella della gestione ordinaria delle politiche di messa in sicurezza del territorio deve vedere una piena operatività del sistema di Protezione civile.
  Purtroppo, il riordino che è stato effettuato ha lasciato aperte alcune questioni, ad esempio quelle relative alle responsabilità e alla copertura dei costi che gravano sulle amministrazioni locali. C’è una questione anche qui che abbiamo richiamato non più tardi di qualche giorno fa parlando proprio del terremoto dell'Emilia Romagna, de L'Aquila e delle molte emergenze ambientali che ancora ci troviamo in qualche modo ad affrontare: vi è la necessità di dare al nostro Paese un quadro di riferimento unico per affrontare le calamità naturali, per evitare che, appunto, le popolazioni vengano esposte e siano lasciate a diversi trattamenti e a diverse soluzioni.
  Nella mozione noi chiediamo al Governo un impegno anche nell'affrontare il tema del reperimento delle risorse in un'ottica innovativa. Crediamo, come ha ricordato anche il capo della Protezione civile, il prefetto Gabrielli, intervenendo a seguito degli eventi dell'autunno 2012 in Liguria e in Toscana, che è giunto il momento di rendersi conto che lo Stato, per quelle che sono le sue risorse, non è più in grado di fornire in maniera equa risposte adeguate dal punto di vista del ristoro dei danni.
  In questo senso crediamo che sia arrivato il momento, anche per il nostro Paese, di guardare con attenzione, in un'ottica, appunto, graduale, a delle pratiche che si sono radicate negli anni negli altri Paesi riguardo al tema della copertura assicurativa per i danni da calamità naturale. Non a caso la Commissione europea, proprio in questi ultimi mesi, ha varato un Libro verde sull'assicurazione contro le calamità naturali. Per noi questo significa, naturalmente, guardare a quelle esperienze che maggiormente sono in Pag. 75grado di rispondere a delle caratteristiche proprie del nostro Paese, ad una diffusione molto alta del rischio, e pensare fin da subito – per quanto sarà possibile realizzarlo, di concerto, naturalmente, anche con i livelli territoriali – ad un sistema assicurativo di carattere obbligatorio perché per un Paese come l'Italia, dove i rischi di livello sono molto diffusi e diversificati sul territorio, una organizzazione su base volontaria si prospetta molto critica, insomma.
  Naturalmente, in questa sollecitazione che noi presentiamo al Governo – invitandolo, appunto, ad una riflessione e ad un approfondimento su questo tema – crediamo che debba essere prevista fin dall'inizio una presenza equilibratrice fissa e di controllo da parte dello Stato sul modello francese, per cui lo Stato possa esercitare il ruolo di riassicuratore di ultima istanza e di garante del cittadino, e si possano prevedere anche forme di defiscalizzazione, come ad esempio avviene per altre forme di copertura assicurativa in campo previdenziale e assistenziale.
  Sinteticamente, signor Presidente, ho cercato di illustrare quelli che sono i contenuti principali della mozione che portiamo in discussione. Noi crediamo che purtroppo ci sia la necessità, nonostante il ripetuto verificarsi di eventi di calamità naturali che colpiscono vaste aree del nostro Paese, di rafforzare collettivamente il livello di percezione da parte delle istituzioni e dei cittadini, di quella che è la dimensione sociale ed economica del rischio idrogeologico del nostro Paese. Parlare, però, di messa in sicurezza del territorio, parlare di prevenzione, parlare dell'attivazione di interventi di manutenzione, prima che di opere idrauliche di difesa del suolo, significa anche parlare del tema che sta al centro dell'azione di questo Governo.
  Sappiamo che il Paese ha davanti a sé degli impegni gravosi, il risanamento economico, la necessità di rilanciare e sostenere l'occupazione, ma i temi che abbiamo portato nella nostra mozione, non per ultimo quello su cui invitiamo il Governo ad una riflessione e anche ad uno sforzo di approfondimento con il Parlamento, cioè quello di prevedere la possibilità, anche nella discussione che si farà in sede europea, di una deroga per le misure di prevenzione e di messa in sicurezza del territorio dai vincoli del Patto di stabilità e per sostenere anche attraverso misure sperimentali la partecipazione attiva, ad esempio, dei lavoratori temporaneamente beneficiari di ammortizzatori sociali per gli interventi di manutenzione del territorio. Pensiamo che da qui possa passare anche una chiave per ripensare e rilanciare il tema dello sviluppo e della crescita del nostro Paese. Occuparsi della qualità e della sicurezza del territorio in cui viviamo significa effettivamente creare le condizioni per uno sviluppo sostenibile, ridurre i costi inutili della gestione delle emergenze, le inefficienze e quelli degli interventi a posteriori, per far fronte ad emergenze che sappiamo non essere del tutto evitabili, ma che possono essere gestite con maggiore lungimiranza e con maggiore attenzione.
  In questo crediamo che passi anche un'occasione straordinaria di valorizzazione delle competenze tecniche e professionali di cui il nostro Paese dispone. Affrontare i temi della sicurezza, della difesa del suolo, dello sviluppo sostenibile del territorio diventa, forse, una chiave di volta per cui ripensare anche le grandi sfide che abbiamo di fronte, e in questo senso crediamo che un impegno forte che venga, io auspico, unitariamente da questo Parlamento, possa essere di supporto e di impulso all'azione del Governo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Matarrese, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-0111. Ne ha facoltà.

  SALVATORE MATARRESE. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, il dissesto idrogeologico è una problematica sempre più diffusa, che spesso caratterizza il nostro territorio, il nostro Paese, anche con conseguenze drammatiche, difficili, con danni rilevanti per le Pag. 76nostre infrastrutture, per i nostri cittadini, anche in termini di vittime, quindi di risorse umane.
  Questo fenomeno è in parte ascrivibile a fattori naturali propri del nostro territorio e, quindi, legati alla conformazione geologica e morfologica dell'Italia, ma per la gran parte, forse quella più significativa, è dovuta all'azione dell'uomo nella trasformazione e nell'edificazione dei territori e, quindi, nella riduzione di superfici permeabili di terreno e dell'ostruzione che creiamo al naturale deflusso delle acque, fattore particolarmente incidente sulla stabilità dei pendii e sull'esondazione dei corsi d'acqua, che sempre più frequentemente interessano i principali corsi d'acqua del nostro Paese.
  I fattori che aggravano questo fenomeno sono a tutti noti, ma li riepilogo velocemente: la progressiva urbanizzazione, la densità della popolazione, che sempre più si concentra nelle città, l'abbandono dei terreni montani, l'edificazione in aree di rischio, il disboscamento, la mancata o carente manutenzione dei corsi d'acqua, dei versanti, dei pendii a rischio di stabilità, questi ultimi inficiati dai tagli lineari che sono stati effettuati sugli enti locali, soprattutto. In particolare, le frane e le alluvioni sono i rischi più diffusi nel nostro territorio, un pericolo evidente per la popolazione ed in costante aumento, così come riportato dai dati riferiti agli ultimi cento anni del nostro Paese. Abbiamo registrato 4 mila eventi che hanno causato ingenti danni a persone, abitazioni, infrastrutture, determinando – si stima – 12 mila morti e 700 mila tra feriti, sfollati e dispersi; quindi, una vera e propria guerra.
  Sulla base dei dati raccolti dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, attraverso il progetto AVI, che si è interrotto nel 2002 – quindi, sono i dati più recenti che abbiamo a disposizione –, tra il 1985 e il 2001, si sono verificati in Italia 15 mila eventi di dissesto, gravi o lievi, di cui 13.500 frane e 1.500 piene, quindi esondazioni di fiumi. Quindi, capiamo come sia importante, soprattutto, la stabilizzazione dei pendii. Alcuni di questi hanno avuto ripercussioni, provocando vittime e danneggiando gravemente i centri abitati e, quindi, le infrastrutture. Dei 15 mila eventi, 120 hanno provocato vittime, dei quali 95 per frane e 25 per alluvioni, per un complessivo di 950 morti.
  Secondo i dati dell'ANCE, l'Associazione nazionale dei costruttori edili, e del Cresme, il Centro ricerche economiche e sociali di mercato per l'edilizia e il territorio, le aree ad elevato rischio sismico sono il 44 per cento della superficie naturale del nostro Paese, 131 mila chilometri quadrati – quindi parliamo di una superficie davvero consistente – ed interessano il 36 per cento dei comuni, numericamente 2.893. Le aree ad elevata criticità idrogeologica e, quindi, soggette a frane ed alluvioni, sono il 10 per cento della superficie italiana, ed interessano l'89 per cento dei comuni, pari a ben 6.631; ed è particolare che in alcune regioni, come la Liguria, la Calabria, il Molise e la Basilicata, il 100 per cento dei comuni è considerato a rischio idrogeologico. La popolazione residente in aree a rischio sismico, che è un rischio che si somma a quello idrogeologico, è di circa 21 milioni, il 36 per cento del totale, con 5,5 milioni di edifici che sono soggetti a questa problematica – quindi, capiamo bene di cosa parliamo –, mentre quella residente interessata al rischio idrogeologico è pari a 5,8 milioni, il 10 per cento circa della popolazione, con 1,2 milioni di edifici interessati. Quindi, noi abbiamo un ammontare rilevante di popolazione a rischio e di abitazioni a rischio. E le aree più a rischio sono, probabilmente, come spesso capita, quelle del Sud, la Campania in particolare, con 5,3 milioni di abitanti che vivono in 489 comuni a rischio; la Sicilia, con 4,7 milioni di abitanti in 356 comuni a rischio (dati tutti ufficiali) la Calabria, con 2 milioni di residenti e tutti i comuni a rischio.
  Il patrimonio edilizio soggetto a maggior rischio sismico è localizzato sempre in Sicilia, in Campania, in Calabria e, pertanto, considerando i dati della criticità sismica sommati con quelli della pericolosità Pag. 77idrogeologica, emerge un quadro di particolare gravità e rilevanza, che è alla base della motivazione che abbiamo voluto proporre al Governo, e che pone l'Emilia Romagna e la Campania come le regioni più esposte a questa problematica, con 20 per cento della superficie soggetta a questo rischio combinato, seguita dal Molise e dalla Valle d'Aosta. Ma se noi scendiamo al livello delle province, vediamo come le province più popolose e importanti del nostro Paese, come Napoli, come Torino e come Roma, sono le città più soggette, che espongono più di tutte i cittadini a rischi di questo tipo.
  Questa rischiosità aumenta, se consideriamo che il 60 per cento del patrimonio edilizio presente in Italia è stato edificato prima del 1971, quindi, prima della promulgazione della prima legge in materia antisismica. Quindi, ci rendiamo conto come sia necessario investire nella manutenzione degli edifici, ma, soprattutto, in via preventiva, porre rimedio a questo stato di fatto davvero preoccupante. In definitiva, i danni, secondo stime recenti, che il nostro Paese ha sostenuto dal 1994 al 2012, sono circa pari a 242 miliardi, con una media di 3,5 miliardi all'anno; e questo è un dato utile per quanto diremo alla fine di questa illustrazione. Di questi 242 miliardi, 181 sono stati impegnati per terremoto, quindi il 75 per cento, mentre il 25 per cento, cioè 61 miliardi, per fenomeni di dissesto idrogeologico.
  Ne deriva, quindi, che la necessità della manutenzione del territorio e la difesa idrogeologica sono priorità assolute; priorità perché finalizzate a garantire la sicurezza dei cittadini, sulle quali non si può derogare anche se ci sono limiti di spesa importanti per il nostro Paese. Nell'ambito di queste priorità deve individuarsi, in tempi brevi, la possibilità di dare una rapida attuazione all'azione che il precedente Governo Monti, col ministro Clini, aveva messo in atto con il piano di attuazione nazionale per la sicurezza e la manutenzione del territorio, elaborato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e oggetto di una specifica delibera CIPE del dicembre 2012, nella quale veniva indicata una serie di interventi prioritari in una logica integrata di interventi sul territorio e ben distribuiti. Infatti, credo che una delle criticità più importanti nell'attuazione di interventi sul territorio in via preventiva sia quella di individuare chi fa che cosa, di individuare un grado di gerarchia nell'intervento e soprattutto di mettere in piedi un programma di interventi coordinato e dotato di risorse costanti.
  In questo documento rilevo i principi fondamentali che devono istruire l'individuazione degli interventi, che sono, fondamentalmente, la manutenzione dei corsi d'acqua, la regimentazione idraulica, la pulizia degli alvei, la limitazione del consumo di suolo in aree ad alta vulnerabilità idrogeologica, stabiliti dai piani di assetto idrogeologico (PAI); ricordo che l'Italia era stata divisa in otto bacini che avevano proprio l'obiettivo di individuare queste aree di rischio e di individuare gli interventi e le risorse da dedicare. Quindi, la valenza principale di questo piano è quella di garantire interventi coerenti e, soprattutto, di garantire risorse. Nel citato documento si prevedeva l'investimento di circa due miliardi all'anno, dal 2013 al 2020, tramite un fondo nazionale che doveva essere alimentato per il 40 per cento dai proventi derivanti dalle aste dei permessi di emissione, di cui alla direttiva comunitaria, e il restante da un prelievo determinato anno per anno dai litri di carburante consumato, quindi come se fossero, effettivamente e concettualmente, delle opere compensative degli effetti sull'ambiente che questi due fenomeni vanno a determinare.
  Ai fini della spesa di queste risorse da parte degli enti locali, è importante che esse siano poste in deroga rispetto al patto di stabilità, prevedendo l'obbligatorietà, nel programma di spesa comunale, di questi interventi in via preventiva. Infatti, negli anni, paradossalmente, si è verificata una costante riduzione nell'utilizzo di risorse per far fronte, in via preventiva, alle problematiche che prima ho illustrato e che sono particolarmente importanti per il Pag. 78nostro Paese. Lascia anche un po’ sconcertati rilevare che, negli ultimi cinque anni, si è avuta una considerevole riduzione della spesa in questa materia, dovuta ai tagli che prima vi ho citato; più della metà degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico finanziati in base al decreto-legge n. 180 del 1998, sembrerebbe che non sia stata ancora conclusa – quindi parliamo del secolo precedente – e le risorse del piano CIPE per le opere prioritarie, i due miliardi di euro che erano stati stanziati per il primo anno, sembrerebbero impegnati per meno del 10 per cento. Quindi, quello che ne deduciamo, e da cui discende l'importanza di questa mozione – e mi auguro che questa mozione possa trovare, davvero, un'unitarietà di intenti data l'importanza che la sicurezza dei cittadini ha per questo Parlamento, ma anche per il nostro Paese – è che si arrivi ad attuare, davvero, questo piano strategico, partendo, con una continuità amministrativa, da quello che è stato fatto dal primo Governo senza inventarsi ulteriori strumenti legislativi, ma utilizzando il percorso che era già stato avviato.
  Quindi, evidenzio che l'investimento di questa spesa ha una valenza doppia, se non triplice, perché consente di dare lavoro, e quindi di aumentare l'occupazione distribuita sui territori; consente per la prima volta a questo Paese di prevenire i danni e quindi di spendere solo due miliardi di euro all'anno, ma anche di meno, rispetto ai 3,5 miliardi di euro, come media, che siamo costretti a spendere quando rincorriamo le emergenze; consente, inoltre, di limitare quelle patologie che sono legate alle emergenze e per le quali il controllo della spesa diventa sempre più complicato e difficile da parte dello Stato e ciò significa anche dare un segnale molto forte ai cittadini che c’è un Parlamento e c’è uno Stato che pensano, in via preventiva, a quella che è la sicurezza, e a quello che è il futuro del proprio territorio.
  È evidente, però, che gli enti locali devono essere messi in condizione, da una parte, di programmare e, dall'altra parte, di poter derogare al patto di stabilità, come abbiamo fatto nel decreto-legge sulle emergenze, lasciando la possibilità ai comuni soggetti agli effetti del terremoto, di poter derogare al patto di stabilità per le importanti emergenze che queste situazioni hanno creato. Credo che sia importante, laddove ci siano questi gravi problemi di dissesto idrogeologico, consentire a quelle comunità e a quegli enti locali di poter disporre delle somme in via derogata rispetto al patto di stabilità. Quindi, noi chiediamo al Governo un impegno in questa direzione, affinché le risorse e la programmazione degli interventi sia lineare, sia gestita con unitarietà di intenti, che vengano eliminate le sovrapposizioni di competenze e di responsabilità che, molto spesso, portano a non utilizzare la spesa e a non realizzare quelli che sono gli obiettivi programmatici. Ci auguriamo che all'interno di questo Parlamento, e noi ci faremo promotori di questo, si possa arrivare ad una mozione condivisa, perché credo che gli obiettivi e gli scopi siano comuni a tutte le forze politiche, perché l'interesse dei cittadini è un bene e un valore per tutti quanti.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Kronbichler, che illustrerà anche la mozione Zan n. 1-00112, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

  FLORIAN KRONBICHLER. Signor Presidente, rappresentante del Governo, colleghe e colleghi (pochi, però tanto più cari), ieri, sei giovani alpinisti sono morti precipitando dal Gran Zebrù, nella mia regione, in Alto Adige-Südtirol. Non sono state morti che capitano in montagna, come si suol dire; è la montagna che viene giù. Sono i ghiacciai che cambiano natura. Reinhold Messner, cioè il re degli ottomila, liberista per antonomasia, che di solito non accetta nessun divieto, ha lanciato l'allarme: lo Stato chiuda la parete nord dell'Ortles. Lo ha chiesto per primo, perché non ci si può più fidare.
  I colleghi che mi hanno preceduto hanno volato sui disastri di casa nostra, io vorrei prendere lo spunto dalle immagini Pag. 79drammatiche che ci raggiungono nelle ultime settimane dalla vicina Mitteleuropa, dalla Germania meridionale, dall'Austria e dalla Repubblica Ceca. Il Danubio, l'Elba, il Moldau, l'Inn: tutti fiumi straripati. Città storiche come Passau, Ratisbona, Lipsia, così come centinaia di centri abitati più piccoli sono inondati e messi sott'acqua come mai da secoli. La raccolta agricola interna di intere regioni distrutta sin d'ora; immagini apocalittiche, insomma. La Germania, solita concepirsi come una prima della classe in materia di tutela ambientale e del patrimonio idrogeologico in special modo, ha vissuto dieci anni fa un'alluvione di dimensioni tali che si è affrettata a chiamare storica, esattamente nel 2002. Ora si deve ricredere, deve prendere atto che di storico in questo contesto non c’è stato niente. Questa volta, cioè nelle ultime settimane, il livello dei fiumi ha superato ovunque non solo quello di dieci anni fa, ma addirittura gli argini ricostruiti e rialzati in seguito a quella catastrofe, ritenuti dalle autorità competenti irraggiungibili a giudizio umano; a giudizio umano. La prima potenza economica dell'Europa deve riconoscere che alle ferite della natura non si fa più fronte riparando e rafforzando: va messa in discussione la politica di insediamento, l'urbanistica, insomma l'intero sistema di sviluppo.
  Ho preso spunto dalle sciagure alpine di casa mia, e dalle calamità delle regioni limitrofe, per porre il problema anche a noi qui, perché se siamo stati colpiti meno in queste settimane, è stato per pura fortuna, e non certo per chi sa quali meriti in materia. Il numero paurosamente crescente di morti in montagna è sì in parte conseguenza delle crescenti masse che ci vanno, è però anche conseguenza dello squilibrio idrogeologico, appunto, cui stiamo contribuendo con il nostro modo di produzione e di vita. È lo scioglimento del permagelo che rende imprevedibile la montagna. Lo sfrenato sfruttamento della montagna – e parlo della montagna perché vengo da lì, appunto – per piste sciistiche e scopi vari, continua a non volerne prendere atto, a non tenerne conto. I sempre più frequenti fenomeni alluvionali e calamitosi pure in Italia, mettono in luce drammaticamente l'estrema fragilità del territorio e la necessità di una sua ormai improcrastinabile messa in sicurezza complessiva, contestualmente a una sostenibile pianificazione urbanistica.
  Tralascio numeri e dati ringraziando i colleghi che li hanno snocciolati, i dati sono quelli, appunto, li confermo. Se c'era bisogno appunto di dimostrarlo, si continua a rincorrere le emergenze e la calamità e a contare i danni, e troppo spesso purtroppo le vittime, stanziando ogni volta delle risorse economiche necessarie per ricostruire le aree colpite. Rimane il taglio, anche questo da constatare, costante che in questi ultimi anni, c’è stato agli stanziamenti ordinari del Ministero dell'ambiente, per la difesa del suolo che si sono ridotti in maniera drastica e inaccettabile.
  Mi sia permesso ricordare in questo contesto che come si è ridotto l'impegno materiale sul fronte ecologico, così pure si sono volatilizzati i politici dichiaratamente ambientalisti. Senza voler, adesso, voler rivendicare a me l'esclusiva del verdismo, ci tengo a precisare qui che ospitato in Sinistra Ecologia Libertà sono in questa Camera l'unico esponente di un partito dichiarato verde, dei Verdi-Grune-Verc del Sudtirolo.
  Anche le risorse complessivamente assegnate alla Protezione civile, sono assolutamente insufficienti, e il relativo Fondo ha subito in questi anni una consistente riduzione. Devo riconoscere in proposito che la mia regione, ovvero la Provincia autonoma di Bolzano, nel campo della protezione civile, in specie sull'impiego e nella valorizzazione dei corpi volontari, sta facendo bene. Il servizio, seppur più di riparazione che di prevenzione, funziona e può, senza presunzione, servire da esempio. A onor delle regioni vicine, sia italiane che estere, va però detto che noi, gli altoatesini, ormai da decenni siamo stati risparmiati da calamità più gravi, eccetto alcune a livello locale e in dimensioni circoscritte.Pag. 80
  L'avvio di un Piano pluriennale per la tenuta e la messa in sicurezza del territorio del Paese, non solo avrebbe una straordinaria valenza e un reale interesse pubblico, ma rappresenterebbe la vera grande opera strategica di cui il Paese ha bisogno. In più, al contrario di certe dubbie opere infrastrutturali a cui si è data priorità, sarebbe l'unica opera pubblica diffusa su tutto il territorio nazionale in grado di attivare da subito migliaia di cantieri con evidenti effetti positivi sull'occupazione.
  La grande opera di messa in sicurezza del territorio, ovviamente, deve procedere mano in mano con il risanamento dell'intera politica economica ed ambientale. Il nostro territorio è infatti segnato profondamente, grazie, anzi pena uno sfrenato consumo di aree ad uso abitativo, di produzione, di trasporto e di divertimento, vale anche per la protezione del suolo che non vive di soli soldi. Non si deve esaurire in una green economy che come vediamo, spesso sfocia in una mera green speculation. Ci vuole un cambiamento di coscienza, di cultura. Mi preme citare in questo contesto un passaggio da uno degli ultimi e più intensi discorsi verdi del mio amico e compaesano Alexander Langer, tenuto poco prima della sua morte nel 1995: «Da qualche secolo – cito – ed in rapido crescendo si produce falsa ricchezza per sfuggire a false povertà. Di tale falsa ricchezza si può anche perire, come di sovrappeso, sovramedicazione, surriscaldamento, eccetera. Falso benessere come liberazione da supposta indigenza è la nostra malattia del secolo».
  Ecco, coraggio a stroncare la logica del produrre falsa ricchezza per combattere falsa povertà ! Iniziando dalla lotta all'abusivismo troppo spesso ignorato e tollerato, e anzi alimentato anche dalle deprecabili norme di condono edilizio approvate nel corso degli anni.
  I condoni edilizi hanno infatti contribuito fortemente ad alimentare la convinzione diffusa che territorio ed acqua siano beni inesauribili. È indispensabile sconfiggere questa cultura – anzi, non cultura –, e riportare il necessario rigore su tutti gli interventi urbanistici che consumano e trasformano il territorio ed il paesaggio.
  Bisogna lasciare spazio ai nostri fiumi, e restituire loro lo spazio di cui hanno bisogno, e che gli è stato sottratto per speculazione edilizia e falso senso di risparmio di terreni. A titolo di autocritica patriottica, dico ai miei compatrioti sudtirolesi che non è spreco lasciar scorrere l'acqua limpida dei nostri torrenti, se per eccezione non li si fa passare incanalati di centrale elettrica in centrale elettrica, come succede. E che non è spreco lasciare che i terreni agricoli rimangano prati, campi, frutteti, boschi, invece di essere convertiti, o addirittura «rivalutati», in aree cementificate.
  Un lavoro predisposto qualche tempo fa dal WWF Italia con l'Università de L'Aquila fa emergere dati che devono far paura. Nell'ultimo mezzo secolo la superficie urbanizzata del nostro Paese è aumentata del 500 per cento, e si è valutato che dal 1990 al 2005 siamo stati capaci di trasformare oltre 3,5 milioni di ettari, cioè una superficie grande quasi quanto il Lazio ed il mio Trentino-Alto Adige messi insieme.
  Chiediamo quindi al Governo con questa mozione nientemeno che una vera e propria conversione ecologica. Chiediamo che il Governo avvii, in raccordo con le regioni, un piano pluriennale per la difesa del suolo quale vera e prioritaria grande opera infrastrutturale, in grado non solamente di mettere in sicurezza il nostro fragile territorio, ma di attivare migliaia di cantieri distribuiti sul territorio, con efficaci ricadute dal punto di vista economico ed occupazionale.
  Di attivarsi affinché l'utilizzo delle risorse per interventi di prevenzione e manutenzione del territorio e di contrasto al dissesto idrogeologico venga escluso dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno.
  Di prevedere, nel rispetto delle autonomie delle regioni e degli enti locali interessati, una mappatura degli insediamenti urbanistici nelle aree a più elevato rischio idrogeologico, individuando idonee Pag. 81forme di agevolazione finalizzate alla loro delocalizzazione, dove necessario, prevedendo contestualmente il divieto assoluto di edificabilità in dette aree.
  Infine, di adottare e sostenere iniziative legislative volte a prevedere una normativa in materia di pianificazione urbanistica e di governo del territorio, che contenga principi irrinunciabili per disincentivare nuovi impieghi e per favorire il riuso e la riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Segoni, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00114. Ne ha facoltà.

  SAMUELE SEGONI. Signor Presidente, colleghi, rappresentanti del Governo, nella mia illustrazione non snocciolerò numeri circostanziati, statistiche e cifre, in quanto ho notato che più o meno tutte le forze politiche citano gli stessi dati riportati dalle medesime fonti; anche le parti motive delle mozioni ripetono sostanzialmente gli stessi dati. Questa non è assolutamente una cosa negativa, tutt'altro: secondo me anzi sottolinea il fatto che la realtà, lo stato dei fatti è noto alla politica in tutta la sua drammaticità; e questa è una cosa positiva, perché senz'altro sappiamo qual è la minaccia che incombe sul nostro territorio.
  Ma dirò ancora di più, non soltanto abbiamo ben nota la realtà, la dimensione del problema, ma a ben vedere è possibile capire anche con una buona approssimazione dove sono concentrati maggiormente i rischi idrogeologici e sismici. La scienza per fortuna ci fornisce tutta una serie di strumenti conoscitivi, mappe e piani che sono in grado di definire appunto quali sono le aree dove il rischio è maggiore. Sostanzialmente concordiamo tutti anche sulle cause di questo dissesto idrogeologico e di questo rischio sismico, tutti citiamo sempre questo dualismo tra una predisposizione naturale del territorio italiano, che è predisposto per fattori geomorfologici, geologici e tettonici, e anche il cosiddetto effetto antropico, ovvero l'azione dell'uomo che molto spesso aggrava questa situazione di per sé critica andando a costruire o ad espandersi, contendendo il territorio alla natura in zone dove sostanzialmente è bene lasciare che la natura segua le proprie dinamiche che sono appunto distruttive. Questo ci porta a intuire che c’è di fondo un problema che è non solo scientifico ma anche culturale, infatti quello che forse manca a noi italiani più di tutti è la percezione del rischio e lo vediamo quando assistiamo a fenomeni come l'abusivismo edilizio oppure quando si vanno a riperimetrare, restringendole, delle aree soggette a vincoli o mappate come rischiose.
  Ecco, diciamo che queste sono tutte informazioni che abbiamo presenti, anche i tecnici ed i politici le hanno, hanno dei piani in cui sono segnate delle zone rosse che dicono «alto rischio idrogeologico», però purtroppo questo, nella percezione soggettiva, non si traduce in una cosa così da evitare, ed allora ecco che si va a costruire dove non si dovrebbe, aumentando a dismisura il rischio.
  La nostra mozione cerca di prendere, perlomeno in maniera parziale, in considerazione anche questo aspetto e promuove l'educazione a una percezione più corretta del rischio sismico e idrogeologico fin dalla scuola, infatti anche nella scuola primaria si fa molta educazione ambientale ma mai declinata in questo senso e anche nelle scuole superiori le scienze della terra non ricevono moltissimo spazio, neanche negli indirizzi più scientifici, senza parlare poi delle università dove abbiamo una florida tradizione – da questo punto di vista la ricerca italiana è all'avanguardia nel contesto mondiale – però purtroppo a causa degli sviluppi politici degli ultimi anni e soprattutto della legge Gelmini osserviamo un declino inesorabile di queste discipline che, se la salvaguardia del territorio dai rischi sismici e idrogeologici viene mantenuta prioritaria, queste aree di nicchia dovrebbero essere considerate maggiormente. Ad esempio la legge Gelmini impone che i dipartimenti universitari abbiano una certa numerologia, un certo numero in Pag. 82organico, ed ecco che così dei dipartimenti che storicamente sono piccoli sono stati fatti morire. È emblematico il caso dell'Emilia Romagna dove esistevano quattro dipartimenti di scienza della terra storici, molto all'avanguardia, che non sono sopravvissuti alla legge Gelmini e paradossalmente l'Emilia Romagna molto recentemente è stata colpita sia da sismi che da alluvioni che da eventi franosi.
  Sostanzialmente quindi noi invitiamo il Governo a correre ai ripari, andando a tutelare queste aree che sono strategiche per poter fornire un maggiore insegnamento e un maggiore accrescimento culturale sia alla classe dirigente che anche alla formazione di una nuova classe di tecnici che siano sempre consci di questo problema e di come porvi rimedio, anche perché alcuni rimedi sono ben noti alla scienza e alla tecnica. Diciamo che quello che manca sostanzialmente è semplicemente la volontà politica.
  Infatti, la politica dovrebbe farsi umile servitrice di quelle che sono le istanze della scienza, recependo gli ultimi ritrovati scientifici e concedendovi una dotazione di fondi sempre maggiore, anche se, negli ultimi anni, si assiste invece sempre ad un progressivo depauperamento dei fondi per la tutela del territorio. Qui mi riallaccio alla discussione precedente, quella di competenza del settore della difesa, che ragionava sugli F35: quindi, la difesa e la difesa del suolo, come si chiama in gergo quella serie di atti per contrastare il rischio idrogeologico e il rischio sismico. Quindi, difesa e difesa del suolo. Il punto è: da chi ci dobbiamo difendere ? Da cosa dobbiamo proteggere il territorio italiano ? Abbiamo forse paura che ci invadano i tedeschi ? Abbiamo paura di un'invasione dell'impero austro-ungarico, dei saraceni, dei galli e dei visigoti ? Ecco, l'invasione di un esercito nemico sembra alquanto improbabile attualmente. Il nostro territorio è soggetto a minacce ben più imminenti e più concrete: terremoti, alluvioni e frane, quello sì che è un bollettino di guerra. Ecco, quindi, qual è il senso della nostra mozione: se veramente le forze politiche ed il Governo riconoscono come prioritaria la lotta al dissesto idrogeologico e alla mitigazione del rischio sismico, occorre investire dei fondi e dei soldi in questo aspetto.
  Per farlo, la nostra mozione propone e mette a disposizione diversi spunti: innanzitutto, approfondire ulteriormente la conoscenza del problema. Nonostante – come ho detto in precedenza – la nostra conoscenza sia già in fase abbastanza avanzata: abbiamo dei quadri conoscitivi, delle mappe e dei progetti molto avanzati, però molti di essi gioverebbero notevolmente di un aggiornamento e, magari, occorrerebbe anche una maggiore integrazione tra tutte queste fonti. Dopo aver proceduto a questa integrazione sarebbe utile passare anche ad una maggiore disseminazione, renderli cioè pubblici, di dominio pubblico e pienamente fruibili a tutti gli uffici tecnici di tutti gli enti territoriali: in questo modo, veramente, avremo gli strumenti a disposizione di chiunque per poter gestire in maniera corretta il territorio.
  Altre due parole voglio spenderle anche con un invito a rinnovare i finanziamenti per le reti strumentali che, molto spesso, sono state demandate agli enti territoriali – primi tra tutti, le regioni – che, attualmente, per carenza di fondi, stanno smantellando: si tratta, quindi di reti di sismografi, pluviometri, nevometri e così via: tutte strumentazioni che, se vengono dimesse, fanno venir meno la nostra capacità di poter prevedere e prevenire questi fenomeni.
  Inoltre, la nostra mozione sottolinea anche l'aspetto della sicurezza, della prevenzione e della previsione dei fenomeni di dissesto e, quindi, invita lo Stato non solo a destinare fondi, ma anche a compiere delle azioni normative, ad esempio, per lasciare meno scappatoie – parlo soprattutto dei condoni edilizi – oppure per portare a compimento delle riforme incompiute, ad esempio, quella dei distretti idrogeologici. La propria parte potrebbe essere giocata anche dagli enti territoriali, che in molti casi vorrebbero proprio essere attori comprimari di queste azioni Pag. 83per mettere in sicurezza il territorio (Il deputato Gallinella espone un foglio recante una scritta).

  PRESIDENTE. Onorevole Segoni, scusi se la interrompo. Deputato Gallinella, dovrebbe gentilmente togliere quel foglio.

  SAMUELE SEGONI. Gli enti territoriali, molto spesso, vorrebbero porre rimedio a queste situazioni disastrose perché loro vivono proprio, ancora maggiormente, il territorio, soltanto che non lo possono fare per i vincoli del Patto di stabilità.
  Ecco, la nostra mozione invita il Governo a sollevare dai vincoli del Patto di stabilità qualsiasi spesa effettuata per l'adeguamento sismico e per la riduzione del rischio idrogeologico. Se il Governo non accogliesse questa richiesta, lo potrebbe comunque fare il Parlamento perché abbiamo presentato una nostra proposta di legge analoga, che parla appunto di questo specifico tema. La propria parte la potrebbero fare anche i privati, se soltanto lo Stato prevedesse delle agevolazioni fiscali per chi mette in sicurezza il territorio. Un esempio banale: se una persona mette in sicurezza un versante della propria proprietà fa anche magari un servizio a tutta la comunità perché, magari, al prossimo autunno, la frana non si stacca e, quindi, evitiamo di ostruire magari una strada provinciale per una settimana.
  Sarebbe giusto riconoscere ad azioni di questo tipo le dovute agevolazioni fiscali per incoraggiarle.
  Da ultimo, ma forse ancora più importante è prevedere, diciamo così, dei piani per le piccole e medie imprese, soprattutto agro-forestali e turistiche, che possano sviluppare dei sistemi di produttività più rispettosi per l'ambiente, per fare della tutela attiva del territorio. Questo nell'ottica di una riconversione ecosostenibile ed ecocompatibile di interi settori produttivi che ad oggi sono entrati in crisi – penso, ad esempio, all'edilizia – e che potrebbero essere risollevati soltanto con un netto cambiamento di rotta. Questo potrebbe creare addirittura un circolo virtuoso e posti di lavoro, come giustamente sottolineato in precedenza anche dai miei colleghi degli altri schieramenti politici. Quindi, spero che effettivamente ci si possa trovare d'accordo su un punto come questo. Tra l'altro, sottolineo che anche il Governo precedente aveva predisposto un piano, molto buono, che prevedeva aiuti all'agricoltura per, diciamo così, mettere in sicurezza in maniera attiva il territorio italiano.
  Quindi, concludendo, la nostra mozione invita il Governo a difenderci, come territorio e come società, da questi rischi sismici e idrogeologici. È un problema sostanzialmente, per come lo vediamo noi, proprio di sicurezza nazionale e, come tutti concorderanno, quando si investe in sicurezza nazionale sono soldi ben spesi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Molteni, che illustrerà la mozione Grimoldi ed altri n. 1-00117, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

  NICOLA MOLTENI. Signor Presidente, illustro la mozione della Lega, in cui chiediamo al Governo degli impegni precisi. Illustriamo questa mozione facendo riferimento anche alle iniziative, di natura parlamentare, che sono state adottate nella precedente legislatura e facendo ovviamente riferimento anche agli impegni, anche di natura economica, presi dal precedente Governo con il coinvolgimento, per noi assolutamente fondamentale, degli enti locali in qualità di enti più vicini al territorio e, quindi, soggetti maggiormente abilitati e sensibili ad affrontare questo tipo di problema.
  I dissesti idrogeologici, i deboli equilibri tra patrimonio naturale ed insediamenti urbani, la forte antropizzazione di alcune aree del Paese, rappresentano costanti criticità che, nei casi di eccezionalità degli eventi naturali, spesso diventano vere e proprie emergenze. Si rende indispensabile, quindi, individuare una strategia politica maggiormente rivolta alla prevenzione, Pag. 84alla cura del territorio, all'adozione di pratiche di vigilanza attiva e di manutenzione costante del suolo, che sia in grado di mantenere in uno stato di concreta sicurezza le aree più sensibili dal punto di vista del rischio idrogeologico.
  L'abbandono dei terreni montani, il disboscamento e la costruzione, spesso abusiva, su versanti a rischio, la mancata pulizia dei corsi d'acqua e la cementificazione di lunghi tratti dei fiumi e dei torrenti contribuiscono all'aumento dell'esposizione della popolazione al rischio idrogeologico ed alle alluvioni.
  Nella precedente legislatura la Commissione Ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei deputati ha approvato, il 21 aprile 2009, una risoluzione, la n. 8-00040, volta alla definizione di un programma pluriennale d'interventi per la difesa del suolo, votata positivamente da tutte le forze politiche presenti nella Commissione parlamentare.
  Successivamente, il 26 gennaio 2010, è stata approvata all'unanimità, sempre dall'Assemblea della Camera dei deputati, un'altra mozione che, tra l'altro, ha impegnato il Governo ad attuare quanto previsto nella risoluzione di cui sopra. Il 30 novembre 2011, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio pro tempore aveva sottolineato la necessità di creare una capacità di investimento pubblico per la prevenzione del rischio idrogeologico, che sia sostenuta da un'entrata stabile e sicura e che non sia assoggettata ai tagli che hanno quasi azzerato il Fondo, esistente presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per la prevenzione del dissesto medesimo. Tuttavia, non risultano attuate azioni concrete e strutturali contro i dissesti idrogeologici.
  Sempre nella precedente legislatura, per la prima volta si è cercato di attuare un coordinamento tra i soggetti che, a vario titolo, hanno competenze in materia e che in passato attuavano programmazioni di interventi in modo indipendente. L'articolo 2, comma 240, della legge finanziaria del 2010 aveva destinato un miliardo di euro ai piani straordinari diretti a rimuovere la situazione a più elevato rischio idrogeologico.
  La stessa norma aveva, altresì, individuato, quale strumento privilegiato per l'utilizzo delle risorse, l'accordo di programma da sottoscrivere con le regioni interessate. Già dai primi mesi del 2010 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha avviato le procedure per dare attuazione alle citate disposizioni normative, avviando una serie di incontri e di consultazioni con tutte le regioni interessate, coinvolgendo le autorità di bacino competenti e il Dipartimento nazionale della protezione civile, che si sono conclusi con la sottoscrizione, da parte di tutte le regioni, di specifici accordi di programma che individuano e finanziano gli interventi prioritari diretti a rimuovere le situazioni a più alto rischio idrogeologico. Tutti gli accordi di programma sono inoltre stati registrati presso la Corte dei conti.
  Le risorse stanziate dalla legge finanziaria per il 2010 sono state dapprima ridotte di 100 milioni di euro, per far fronte ai danni provocati dall'alluvione del dicembre 2009 in Liguria, Toscana ed Emilia Romagna, e successivamente ulteriormente ridotte per altri 100 milioni di euro per far fronte alle spese conseguenti allo stato di emergenza in Veneto, Liguria, Campania e Sicilia.
  Tenuto conto dei tagli, il Ministero dell'ambiente ha incrementato la dotazione di risorse previste dalla legge finanziaria 2010, con le risorse disponibili sul proprio bilancio per la difesa del suolo. A tali risorse sono state altresì aggiunte le risorse regionali per un importo di circa 954 milioni di euro, dato che al momento della sottoscrizione degli accordi di programma tutte le regioni avevano cofinanziato, in misura variabile ma sostanziale, gli interventi inseriti negli stessi accordi di programma stipulati per un totale di circa 2 miliardi 150 milioni di euro.
  Per ogni regione è stato nominato, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, un commissario straordinario delegato all'attuazione degli interventi. Tuttavia, Pag. 85il sistema dei commissari non ha funzionato, le risorse non sono state rese disponibili e, di fatto, il piano straordinario per il dissesto in molte regioni ha presentato evidentemente notevoli difficoltà di attuazione. La mancata assegnazione delle risorse previste ha comportato la necessità di operare rimodulazioni, in parte già effettuate, degli accordi già sottoscritti, con evidente pregiudizio dell'azione dello Stato nel campo della difesa del suolo.
  Va inoltre sottolineato che i veri conoscitori dello stato di salute del territorio e delle relative necessità di interventi per la messa in sicurezza e per la prevenzione dei rischi e dei pericoli derivanti dalle calamità naturali sono gli amministratori locali e, pertanto, sembrerebbe opportuno mettere gli stessi amministratori al centro delle attività relative all'individuazione, alla predisposizione ed all'esecuzione degli interventi di mitigazione allo scopo censiti. Appare quindi necessaria una revisione delle norme vigenti in campo di prevenzione e di lotta al dissesto idrogeologico, eliminando le disposizioni che, di fatto, rendono farraginose le procedure atte all'esecuzione degli interventi ed alla assegnazione delle risorse medesime.
  Nell'auspicato processo di ricognizione delle norme potrebbe essere inserita anche la previsione di un fondo volto a risarcire i soggetti che, a seguito di eventi calamitosi legati al dissesto idrogeologico, abbiano subito danni ai loro beni. Al riguardo va fatto presente che il fabbisogno finanziario necessario per la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza complessiva delle situazioni di dissesto del territorio nazionale appare essere imponente: nella scorsa legislatura è stato calcolato un ammontare di 44 miliardi di euro, di cui 27 miliardi di euro per l'area centro nord, 13 miliardi di euro per il Mezzogiorno e 4 miliardi di euro per il patrimonio costiero.
  Risulta, altresì, evidente che, se non si procederà al più presto ad effettuare un vasto piano di prevenzione e messa in sicurezza del nostro territorio sarà sempre più difficile ed insostenibile fare fronte agli interventi di risarcimento e di ricostruzione delle opere distrutte o danneggiate a seguito di danni provocati dalle calamità naturali.
  Pertanto, alla luce di queste premesse, con la nostra mozione chiediamo al Governo degli impegni precisi su alcuni punti, ovvero: intraprendere iniziative urgenti finalizzate a modificare l'attuale disciplina in materia di interventi nelle situazioni a più elevato rischio idrogeologico e salvaguardare la sicurezza delle infrastrutture e il patrimonio ambientale e culturale, evitando sistemi centralizzati di gestione degli interventi e privilegiando la logica della prevenzione rispetto a quella della gestione dell'emergenza.
  Chiediamo altresì: di sbloccare le risorse già previste nella precedente legislatura a seguito degli accordi di programma già sottoscritti con le regioni per interventi prioritari di prevenzione del dissesto idrogeologico, di attivare un organico programma di interventi per il riassetto territoriale delle aree a rischio idrogeologico, da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di intesa con le singole regioni, articolato attraverso azioni che prevedano progetti strategici di difesa dal rischio idrogeologico relativi alle aree urbane e agli insediamenti produttivi di particolare rilievo.
  Chiediamo interventi puntuali di riduzione del rischio, anche con riferimento ai piccoli comuni, e interventi di manutenzione diffusa del territorio nonché di singole opere di difesa esistenti.
  La mozione impegna il Governo ad assumere iniziative volte a istituire un sistema di finanziamento delle opere, basato sia sulla concessione e conseguente erogazione di risorse direttamente ai comuni, alle province, ai consorzi di bonifica, alle comunità montane e agli altri soggetti competenti ai sensi della normativa vigente in materia di difesa del territorio e di tutela dell'ambiente, sia sulla concessione di contributi da parte dello Stato pari agli oneri per capitale di interessi di ammortamento di mutui e altre operazioni finanziarie per i predetti soggetti, affinché possano essere autorizzati a contrarre direttamente con la Cassa depositi Pag. 86e prestiti o istituti finanziari, nell'ambito di autorizzazioni di difesa pluriennale a carico dello Stato, nel rispetto dei saldi di finanza pubblica.
  La mozione impegna il Governo ad assumere iniziative normative per prevedere l'esclusione di tali finanziamenti pluriennali e delle risorse provenienti dallo Stato, dalle regioni e di quelle proprie degli enti locali, destinate ad interventi di prevenzione, manutenzione del territorio e contrasto al dissesto idrogeologico, da vincoli previsti dal Patto di stabilità interno.
  La mozione impegna il Governo ad adottare specifiche iniziative, anche di natura normativa, volte a garantire l'attuazione, da parte degli enti locali, degli interventi di messa in sicurezza del proprio territorio per le aree a rischio prioritario e degli interventi di rimboschimento e di riutilizzo degli terreni agricoli abbandonati.
  Infine, la mozione impegna il Governo ad intraprendere le specifiche iniziative, anche di natura normativa, volte a prevedere il rifinanziamento del fondo regionale della Protezione civile, ovvero l'istituzione di un fondo compartecipato dallo Stato, dalle regioni e dagli altri enti locali, finalizzato alla concessione di indennizzi e per il risarcimento dei danni provocati dalle calamità naturali connesse al dissesto idrogeologico del territorio.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Latronico. Ne ha facoltà.

  COSIMO LATRONICO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi che siete in quest'Aula a ragionare di un tema delicatissimo, quello della difesa del suolo, che assume, a detta ormai di tutti – vedo che c’è su questo una convergenza assolutamente totale – un ruolo cruciale per il nostro Paese, per le condizioni di vulnerabilità che sono ormai note.
  Sono 6 mila i comuni che vivono un rischio idrogeologico e questa fragilità risulta particolarmente elevata, come ormai dicono tutti gli studi che si sono fatti in questi anni, in alcune regioni come la Calabria, la Basilicata, il Molise, l'Umbria, la Valle d'Aosta, la provincia di Trento e, poi, le Marche, la Liguria, la Toscana e il Lazio.
  C’è una dimensione del rischio che è assolutamente preoccupante, insieme a una criticità geologica che si estende per circa il 10 per cento del territorio nazionale e che coinvolge 5 milioni di cittadini italiani. Questa esposizione ai rischi sia sismici che idrogeologici è costata, in questi venti anni, all'erario nazionale – e paghiamo il debito di questo intervento – per oltre 200 miliardi di euro, per interventi tutti post emergenziali, per riparare e risarcire i danni provocati sia da terremoti che da alluvioni.
  Quindi, ha prevalso la straordinarietà, l'intervento postumo, mentre le risorse dispiegate nello stesso arco temporale per interventi di difesa strutturale si aggirano sui 2 miliardi di euro. Occorre, quindi, prendere coscienza, a questo punto, che le attività di tutela sono un investimento, perché prevengono costi ben più esosi per riparare i danni; una constatazione che diventa necessaria a questo punto. Occorre prendere coscienza che l'attività di tutela del suolo è, dunque, più che un costo un investimento.
  Si impone una politica di prevenzione e di governo del territorio coinvolgendo la pluralità degli attori che rilanci, come previsto sia dalle direttive europee ma anche dalle norme nazionali, il bacino idrografico come elemento base per riprogettare un'azione urgente per la mitigazione del rischio, la prevenzione e la rinaturalizzazione diffusa. Stabilire un programma concreto di interventi, valorizzando il quadro normativo, avendo cura di coinvolgere al meglio le risorse e le strutture disponibili anche attraverso attività di formazione e di informazione. Governo del territorio e bacini idrografici, manutenzione e rinaturalizzazione, semplificazione normativa, reperimento e continuità delle risorse economiche, sono le criticità che bisogna aggredire per far maturare azioni e interventi all'altezza della sfida che abbiamo davanti.Pag. 87
  Anche a questo proposito, tuttavia, bisogna evitare che in attesa di nuove e aggiuntive risorse, che sono scarse, si continuino intanto a disperdere importanti risorse finanziarie, colleghi, che sono molte volte fuori da piani organici e da una visione unitaria. Occorre avere contezza, attraverso un puntuale monitoraggio – è la cosa che suggeriamo al Governo – di quello che si sta facendo in questo momento nelle diverse regioni. Si pensi, ad esempio, questo è solo un esempio, sottosegretario, all'impegno di migliaia di lavoratori forestali soprattutto nelle regioni meridionali il cui impiego dovrebbe sottrarsi alla mera prospettiva di un aiuto al reddito e che, invece, andrebbero orientati verso un organico progetto di manutenzione del territorio. È una nota concreta che vale milioni e milioni di euro. Come pure le risorse europee nelle regioni dell'Obiettivo 1 destinate a vario titolo alla valorizzazione del territorio che dovrebbero, invece, essere finalizzate ad un piano di messa in sicurezza, ad esempio, del patrimonio dei centri storici. Ma come anche le risorse impiegate per i piani dell'edilizia pubblica che potrebbero puntare esclusivamente sul recupero dei quartieri degradati e sul riuso dei centri storici piuttosto che urbanizzare nuove aree di espansione: sono solo alcuni esempi che però valgono – vi prego di accertarlo questo – valgono finanziariamente per specificare che abbiamo bisogno che avanzi una cultura del risparmio e del riuso dell'esistente negli atti della programmazione nazionale e regionale che risulti trasversale ai diversi settori della spesa. Una manovra che potrebbe grandemente contribuire a realizzare i nostri due obiettivi, di tutela e di rispetto degli equilibri territoriali, solo utilizzando le risorse che già dispieghiamo.
  Sempre nell'ottica di massimizzare le risorse, quelle disponibili, e di orientarle verso l'obiettivo della mitigazione del rischio del suolo, mi permetto di suggerire, ad esempio, il tema della destinazione di una parte delle royalty provenienti dalle estrazioni minerarie o altre fonti di compensazioni ambientali per la presenza di impianti energetici per finanziare progetti di difesa e di valorizzazione del suolo.
  Come pure sarebbe rilevante il coinvolgimento – è stato richiamato più volte – della rete rurale, presidio permanente di manutenzione e tutela del territorio con il coinvolgimento attivo delle imprese agricole, che già fanno questo tipo di lavoro, che va valorizzato e va consolidato. Si pensi che il 73 per cento del territorio nazionale ha vocazione agricola e forestale. Quindi, c’è un presidio naturale e ci sono uomini che lavorano per mantenere questo presidio.
  Attraverso pratiche di protezione e gestione sostenibile si può incidere in modo significativo sulla manutenzione ordinata del territorio e sulla prevenzione di fenomeni di dissesto, contrastando ugualmente fenomeni di abbandono delle zone marginali di collina e di montagna, che è un grande problema anche all'origine di tanti fenomeni di degrado.
  La stessa azione di recupero dei centri storici, sul quale elemento possono convergere più misure, potrebbe non solo contrastare fenomeni di espansione urbanistica, spesso non motivata se non da impulsi speculativi, e, nello stesso modo, darebbe luogo alla rinascita di migliaia di centri spesso abbandonati, che sono poi all'origine a loro volta del degrado urbano e dei fenomeni di instabilità dei suoli.
  Recupero dei centri storici e difesa del suolo sono due facce della stessa medaglia, a cui il legislatore dovrebbe assicurare una più puntuale attenzione, anche per risolvere un quadro di problemi legati all'assenza di normative che facilitino l'acquisizione al patrimonio pubblico di aree urbane degradate ed abbandonate. Ci vogliono piani concreti, per dirla in breve, per superare la fase della programmazione e della pianificazione. Ormai tutte le regioni conoscono il territorio e le situazioni a rischio, sono dotate di programmi e di piani già definiti, le autorità hanno compiuto la fase di analisi e di studio: ora, sottosegretario, bisogna passare alla fase attuativa, applicare il quadro normativo esistente, semmai semplificarlo dove si dovessero registrare – e ce ne sono – Pag. 88sovrapposizioni ed incongruenze tra i livelli di Governo; escludere – è stato chiesto da più parti – gli interventi a difesa del suolo dal patto di stabilità (la sicurezza degli abitanti e degli abitati non è assoggettabile a rinvii); destinare risorse certe ad interventi significativi sotto l'aspetto del risultato atteso, evitando interventi – purtroppo ancora presenti – a pioggia, utili forse per qualche consenso, ma meno per la difesa concreta del suolo; attuare gli interventi mediante procedure accelerate, che sappiano contingentare i tempi, con soggetti operanti, non necessariamente esterni agli enti regionali o alle autorità di bacino, che possano agire con procedure semplificate, tendenti alla concentrazione delle autorizzazioni, che sono tante, con applicazione di prezzi di mercato reali e non sulla base di preziari non sempre verificati; inoltre impegnare nella progettazione le tante strutture tecniche pubbliche operanti, sul territorio: si mettono a valore le conoscenze specifiche del territorio, si riducono i costi delle progettazioni, si valorizzano le figure professionali pubbliche; non cadere nella trappola del neocentralismo statale, con il tentativo sempre strisciante di istituire nuove e costose direzioni generali; e da ultimo provare, anche attraverso l'aiuto fiscale, ad incentivare un crescente impiego di copertura assicurativa per i rischi di calamità naturale, un tema complesso, da cui lo Stato e la fiscalità generale non possono illudersi di liberarsi del tutto: questo è il mio parere.
  Ciò che è mancato in Italia è stata una solida programmazione strategica: lo hanno detto tutti gli interventi, lo ha detto l'onorevole Braga in apertura, il collega Matarrese, ma anche gli altri. È mancata questa cultura del coordinamento, che va recuperata, impegnandosi a finalizzare verso l'obiettivo della prevenzione e dell'efficacia degli interventi il dispiegarsi, come abbiamo visto, di tante misure. Questa è una visione programmatica di valore, a mio modo di vedere, che il Governo che sosteniamo si è impegnato a portare avanti e che ha avuto le sue prime espressioni attraverso la proroga del bonus fiscale sul riuso dei fabbricati esistenti, sul loro efficientemente energetico, sull'adeguamento sismico, misure che ci auguriamo siano stabilizzate ed estese nel loro valore temporale e da ultimo con l'approvazione del disegno di legge sull'uso del suolo, approvato dal Governo e che si appresta a compiere il suo cammino parlamentare.
  Colleghi, sono atti importanti, che vanno nella direzione della riflessione, del dibattito, dei contenuti della discussione odierna: sono certo che le mozioni che approveremo, che io spero che siano unificate, serviranno a segnalare ancora di più all'attenzione del Governo la decisiva questione che abbiamo innanzi (Applausi dei deputati del gruppo Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Dallai. Ne ha facoltà.

  LUIGI DALLAI. Signor Presidente, rappresentante del Governo e onorevoli colleghi, in una discussione di merito sul contrasto al dissesto idrogeologico, è utile ricordare che il nostro Paese, in virtù della propria collocazione geografica mediterranea, non è esposto a fenomeni idrogeologici estremi. Ciò nonostante, le vittime per inondazioni e frane, ad esempio nella sola regione Liguria, hanno superato il numero di 170 negli ultimi cinquant'anni. A livello nazionale i danni riscontrati in presenza di alluvioni ed allagamenti negli ultimi vent'anni – lo ricordava la collega, onorevole Braga – sono stimati in 52 miliardi di euro circa. L'Italia è infatti un Paese idrogeologicamente giovane, nel quale il clima mediterraneo e la natura delle rocce e dei suoli si presentano particolarmente favorevoli a produrre fenomeni di dissesto. Ancorché mite, la variazione stagionale delle temperature e l'alternarsi di periodi piovosi con periodi di siccità, induce a fenomeni di erosione particolarmente spinti, ad esempio in formazioni geologiche a matrice argillosa.
  Queste ultime costituiscono circa il 15 per cento dei suoli del territorio italiano. Le piogge costituiscono la causa principale dei fenomeni di dissesto idrogeologico, ma Pag. 89la capacità di prevedere gli effetti delle precipitazioni connessi al rischio idrogeologico è legata alle previsione delle modalità di precipitazione, più che alle quantità di queste. È necessario, dunque, conoscere la risposta dei bacini idrogeologici agli eventi meteorologici, dato ottenibile mediante lo studio ed il monitoraggio geologico del territorio e la revisione dei piani di assetto idrogeologico delle autorità di bacino nazionali e regionali.
  Se la rapida trasformazione naturale del paesaggio è elemento tipico delle aree geologicamente giovani, la tendenza ad alterare significativamente gli equilibri naturali, per quanto instabili, risulta pratica comune della storia della nostra comunità. Anche nell'antichità tutte le grandi opere sono state realizzate per mettere a reddito i territori bonificati e anche nel passato il degrado in cui sono stati lasciati i territori, dopo secoli di gestione minima, ha imposto enormi interventi di bonifica. Tipico esempio sono le paludi costiere. Il dissesto idrogeologico di un territorio è causato, dunque, sì da fattori naturali, ma è determinato prioritariamente da interventi dell'uomo quali, ad esempio, l'errata pianificazione territoriale, l'abbandono di terreni precedentemente utilizzati per finalità agricole, il disboscamento, la trascuratezza delle opere di stabilizzazione dei pendii, la modifica delle coperture vegetali. La tendenza ad operare secondo logiche di ripristino, se non proprio di emergenza, non è caratteristica di un determinato momento storico e, anzi, le attuali ristrettezze di bilancio potrebbero giustificare questo approccio adesso più che in passato.
  In realtà è utile mettere in evidenza che, guardando i dati sul medio periodo, proprio i vincoli di bilancio a cui siamo soggetti suggerirebbero un approccio diverso alla gestione e messa in sicurezza del territorio. Se le necessità di spesa possono, infatti, risultare variabili nel tempo perché legate ad eventi meteorologici considerati a torto o a ragione variabili, i finanziamenti impiegati negli ultimi vent'anni per fronteggiare le emergenze derivanti dal dissesto idrogeologico ci dicono che è possibile quantificare la spesa media sul lungo periodo in circa 2,5 miliardi di euro l'anno. Anche i provvedimenti presi nel 2012 dal Governo Monti per interventi contro il dissesto idrogeologico e manutenzione straordinaria, con tre distinte delibere, assommano infatti a circa 1,9 miliardi di euro.
  È necessario, dunque, anche soltanto per una semplice questione contabile, definire stanziamenti certi e costanti nel tempo per la messa in sicurezza del territorio e, a fianco a questi finanziamenti, una rapida definizione delle competenze e degli strumenti legislativi. Passare, cioè, da una politica di recupero ad una politica di prevenzione. Per la tutela del territorio questo significa optare per una scelta che renda possibile definire con rigore le necessità non rinviabili delle aree compromesse e la possibilità di prevedere a medio termine il comportamento dei terreni non ancora soggetti a dissesto. Significa, cioè, spostare le risorse da una politica emergenziale ad una politica predittiva, ovvero al sistema di produzione di conoscenze e di prevenzione del rischio. Per questo è importante finanziare progetti specificatamente rivolti a trasferire su scala nazionale le metodologie più avanzate rese disponibili dalla comunità scientifica circa la cartografia di succedibilità a fenomeni di dissesto, di pericolosità dei fenomeni e di rischio, ovvero delle perdite di vite umane ed economiche che, data la probabilità del fenomeno e la vulnerabilità del tessuto antropico che insiste sull'area, sono messe a rischio in una determinata area.
  Non è il tema specifico della mozione, e certo non si può limitare il tema della promozione della cultura scientifica in Italia al solo tema della cultura geologica. Tuttavia, come ricordava il collega onorevole Segoni precedentemente, è impossibile non rilevare come la recente riforma del sistema universitario abbia causato una drastica riduzione dei dipartimenti di scienze della terra o di scienze geologiche che da ventinove sono passati a soli otto su tutto il territorio nazionale. Gli otto dipartimenti che al momento sopravvivono nei maggiori atenei hanno, peraltro, notevoli Pag. 90difficoltà a mantenere la propria identità culturale. Ed è sintomatico che dagli anni ’90 nel campo delle geoscienze, non esista in Italia un progetto finalizzato e coordinato di elevato profilo scientifico che permetta l'avanzamento delle conoscenze geologiche nel nostro territorio.
  L'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale Ispra, ci ricorda che il progetto CARG (CARtografia Geologica), avviato nel 1988, prevede la realizzazione dei 652 fogli geologici e geotematici alla scala di 1 a 50 mila per la copertura dell'intero territorio nazionale. Il progetto prevede la realizzazione di una banca dati dalla quale poter ricavare carte geologiche e geotematiche di maggiore dettaglio per l'utilizzo del dato cartografato in molteplici applicazioni, utili ad una corretta pianificazione e gestione del territorio, e più in particolare alla prevenzione, riduzione e mitigazione del rischio idrogeologico. Ad oggi, per la realizzazione di 255 fogli, pari a circa il 40 per cento dell'intera copertura cartografica, sono stati assegnati finanziamenti statali per un totale di circa 80 milioni di euro.
  La tempistica, l'interruzione dei finanziamenti ed il conseguente esito parziale del progetto, sono un esempio tipico di come l'approccio e le modalità di ricerca finalizzata al monitoraggio del territorio, siano soggette ad eccessiva discrezionalità.
  L'inventario dei fenomeni franosi italiani stima in oltre 486 mila gli eventi franosi stessi. Essi coinvolgono un'area di circa 20.700 chilometri quadrati. I comuni italiani interessati da frane sono circa il 70 per cento del totale. Per quanto riguarda le infrastrutture lineari di comunicazione, sono stati individuati circa 700 punti di criticità lungo la rete autostradale e circa 1.800 lungo la rete ferroviaria. Il continuo aggiornamento di tale inventario è fondamentale per qualsiasi tipo di programmazione di interventi preventivi, oltre all'importanza strategica e per le risorse naturali. La manutenzione ordinaria è importante tanto quanto le grandi opere. La tutela ed il risanamento del territorio costituiscono, infatti, priorità strategiche per garantire al Paese condizioni territoriali necessarie per una ripresa economica.
  Questo ci induce a suggerire che il cambio di paradigma economico, così spesso evocato, può essere indotto anche dal riconoscere alla salvaguardia del territorio e, dunque, alla messa in sicurezza delle attuali situazioni critiche, la capacità di produrre: in primo luogo, una riduzione dei rischi connessi con gli eventi naturali per le comunità locali; in secondo luogo, un risparmio economico per le finanze dello Stato; infine, una maggiore possibilità di impiego in campo ambientale per diverse tipologie di lavoratori con livelli differenti di scolarizzazione. In definitiva, dunque, un miglioramento della sicurezza e della convivenza sociale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Busto. Ne ha facoltà.

  MIRKO BUSTO. Signor Presidente, signori Ministri, gentili colleghi, parliamo di dissesto idrogeologico, di investimenti e provvedimenti necessari per iniziare finalmente ad intervenire con azioni di prevenzione del rischio e manutenzione del territorio, anziché proseguire con la fallimentare politica dell'emergenza.
  Nei discorsi di insediamento dei dieci Presidenti del Consiglio che si sono succeduti negli ultimi vent'anni si trovano tante belle parole, prese di coscienza e, persino, indicazioni di azioni concrete per affrontare il problema, ma, regolarmente, ci siamo trovati con una riduzione dei fondi stanziati, sostituiti dalle solite promesse di solidarietà e vicinanza alle popolazioni in seguito agli immancabili eventi tragici. Basti ricordare quanto è accaduto con gli ultimi tre governi: il Governo Prodi stanziò appena 500 milioni, il Governo Berlusconi azzerò del tutto questo capitolo, che fu ignorato anche dal Governo Monti. Fino a quando si continuerà a far finta di nulla ?
  Noi oggi vorremmo tentare di portare finalmente sul tavolo questo argomento, iniziandone a riconoscere l'aspetto interdisciplinare, come l'importanza del monitoraggio Pag. 91grazie alle nuove tecnologie legate alle osservazioni satellitari. Dall'analisi dell'esistente bisogna poi passare allo studio delle prospettive future, tenendo in considerazione tutte le variabili, non ultimo, naturalmente, il fenomeno dei mutamenti climatici. Il fine ultimo di queste fasi è la programmazione degli interventi, con il coinvolgimento diretto di aziende agricole, imprese forestali e, più in generale, di tutte le figure che, a vario titolo, operano sul territorio. Analisi, previsioni e programmazione significano formazione e valorizzazione delle figure professionali e, quindi, lavoro.
  Un grande progetto di risanamento ambientale comporterebbe la possibilità di dare lavoro – si parla quasi di 50 mila unità –, coniugando così occupazione e politiche di contrasto al dissesto idrogeologico. La fase di analisi è già stata avviata e i dati sono quanto mai chiari ed è su questi che bisogna elaborare delle proiezioni per il futuro. L'Italia è uno dei Paesi europei maggiormente colpiti dai disastri naturali. Dai dati presentati nell'annuario dei dati ambientali 2008, pubblicato dall'ISPRA, emerge che l'Italia è caratterizzata da un territorio fragile per quanto concerne il dissesto il idrogeologico: circa il 10 per cento è classificato a elevato rischio per alluvioni, frane e valanghe, e più di due terzi delle aree esposte a rischio interessano centri urbani, infrastrutture e aree produttive.
  Le dimensioni del fenomeno vengono rese chiaramente, se si considera che negli ultimi cinquant'anni sono stati spesi per sopperire ai danni, solo per i fenomeni alluvionali, più di 16 milioni di euro. Non sarebbero stati meglio spesi per la prevenzione e la manutenzione ? Inoltre, l'annuario 2011 afferma che, cito testuali parole: «gli eventi con conseguenze disastrose che si registrano annualmente, dimostrano che l'azione di contrasto al dissesto idrogeologico risulta complessivamente insufficiente. Ne consegue che, oltre alla necessità di investire maggiori risorse, sembra indispensabile intervenire anche su una differente modalità di gestione del territorio».
  I comuni italiani in cui sono presenti aree a rischio idrogeologico sono oltre l'80 per cento del totale, una fragilità che è particolarmente elevata in regioni come Calabria, Molise, Basilicata, Umbria, Valle d'Aosta, nella provincia autonoma di Trento, seguite anche da Marche e Liguria, da Lazio e Toscana, con percentuali intorno al 99 per cento. Ma la dimensione del rischio è preoccupante ovunque, come dimostrano i fenomeni alluvionali che colpiscono, con conseguenze spesso gravi, anche zone dove si registra una minore propensione al rischio. Sempre secondo le stime del rapporto curato da Legambiente, oltre cinque milioni di cittadini si trovano ogni giorno in zone esposte al pericolo di frane o alluvioni. Inoltre, ancora riprendendo le valutazioni del dossier di Legambiente, la stima del numero di cittadini quotidianamente esposto al pericolo di frane e alluvioni testimonia chiaramente come negli ultimi decenni, l'antropizzazione delle aree a rischio sia stata eccessivamente pesante. Osservando le aree vicino ai fiumi risulta evidente l'occupazione crescente delle zone di espansione naturale dei corsi d'acqua con abitazioni, insediamenti industriali, produttivi e commerciali, e attività agricole e zootecniche. L'urbanizzazione di tutte quelle aree dove il fiume, in caso di piena, può espandersi liberamente ha rappresentato e rappresenta una delle maggiori criticità del dissesto idrogeologico italiano.
  Anche gli interventi di difesa idraulica continuano a seguire filosofie tanto vecchie quanto, evidentemente, inefficaci. In molti casi vengono realizzati argini senza un serio studio sull'impatto che possono portare a valle; vengono cementificati gli alvei e alterate le dinamiche naturali dei fiumi; soprattutto, troppo spesso, le opere di messa in sicurezza si trasformano in alibi per continuare a costruire. Di chi è la responsabilità, allora ? Solo della natura matrigna, oppure anche di chi, non solo, non avvia opere di prevenzione, ma continua, allegramente, ad autorizzare cementificazioni e costruzioni dissennate in zone a rischio ? In un'elevata percentuale di comuni italiani sono presenti abitazioni e Pag. 92insediamenti industriali in prossimità di alvei o aree a rischio frana e persino strutture delicate, quali scuole ed ospedali, ma secondo il Ministro dell'ambiente nel nostro Paese si continua a spendere per i danni da eventi franosi e alluvionali ben il triplo di quanto si stanzia per la prevenzione. Non occorre neppure un ragioniere per capire che ciò è follia e che quando si parla di tagli, forse, non sarebbe una cattiva idea cominciare col tagliare sui danni, per investire, invece, sulla prevenzione, risparmiando.
  Il rischio è definito come il prodotto di tre fattori: la pericolosità, ovvero la probabilità che si verifichi un evento calamitoso, il valore esposto, cioè il valore monetario e umano di ciò che è esposto al rischio, e la vulnerabilità, ossia il grado di perdita atteso degli elementi esposti al rischio, al verificarsi di un fenomeno calamitoso. La riduzione del rischio dovrebbe agire su tutti questi fattori; nonostante la sua complessità il problema è, infatti, ben noto, e il Paese dispone degli strumenti tecnici per affrontarlo e contrastarlo. Innanzitutto, bisognerebbe iniziare a rispettare le indicazioni dettate dalla Costituzione e le normative che negli anni sono state prodotte in tema di tutela del paesaggio. Il nostro ordinamento non ha mai attuato in modo organico la finalità costituzionale del razionale sfruttamento del suolo, prevista dall'articolo 44, che oggi, più che mai, deve intendersi una risorsa sempre più scarsa, con pesanti ripercussioni sull'economia agricola e turistica. Il suolo non è solo un elemento produttivo ma anche il cardine della nozione di paesaggio che, come ha affermato la giurisprudenza costituzionale, non deve essere limitato al significato di bellezza naturale ma va inteso come complesso dei valori inerenti al territorio e, conseguentemente, come bene primario ed assoluto, necessitante di una tutela unitaria e supportata pure da competenze regionali, sempre nell'ambito di standard stabiliti a livello statale.
  È dunque evidente che la legislazione italiana versa, ancora, in una situazione di profondo ritardo rispetto all'attuazione del dettato costituzionale, con gravi ripercussioni sullo stato del paesaggio e del mercato edilizio. Il disordine insediativo e l'abbandono del territorio agricolo sono anche elementi di gravi conseguenze sullo sviluppo del Paese e sulla stessa vita dei suoi abitanti. Non solo dissesto idrogeologico, esondazioni e frane come fenomeni diretti ma anche le conseguenze che una riduzione del suolo agricolo determina in termini di perdita dell'indipendenza alimentare con inevitabile importazione di alimenti da Paesi esteri, con conseguenze sia in termini di inquinamento da trasporto sia in termini di qualità degli alimenti. In un momento di crisi, con l'aumento planetario del fenomeno del land grabbing in cui le più grandi potenze si contendono terreni agricoli, sempre più preziosi, per sfamare una popolazione crescente, vi sembra saggio continuare con queste folli politiche in controtendenza ? Procede senza soste, infatti, anche il processo di ulteriore crescita delle città.
  Nel 2012 il Politecnico di Milano, a seguito di una specifica ricerca, evidenziava come città di grandi dimensioni come Brescia o Bergamo, sulla base dei permessi di costruzione già rilasciati, si troveranno ad avere rispettivamente 107 mila e 135 mila alloggi vuoti inutilizzati. Una quantità edilizia insostenibile, in grado di ospitare un numero di abitanti uguale se non superiore a quello già oggi residente. Giacomo Vaciago, su Il Sole 24 Ore del 16 febbraio 2012, poneva invece l'attenzione sulle enormi previsioni edificatorie esistenti nei piani regolatori comunali ideati e approvati negli anni in cui si era convinti di un processo di crescita infinita. Nelle mutate condizioni in cui siamo, dentro una crisi economica di cui nessuno è in grado di prevedere l'esito e di fronte alla forte riduzione in atto dei valori mobiliari, stiamo costruendo un imponente patrimonio immobiliare che provocherà inevitabilmente un'ulteriore caduta dei valori delle case e quindi del patrimonio della stragrande maggioranza della popolazione italiana.
  Sulla base dei dati del censimento ISTAT 2011, a fronte di circa 25 milioni di Pag. 93nuclei familiari, esistono circa 29 milioni di alloggi. Questi numeri vanno maneggiati con cura, come è noto. La loro distribuzione geografica non è infatti omogenea e possono ancora esistere aree in cui sussistono segmenti di fabbisogni abitativi. Ma tutti gli analisti dei processi territoriali concordano che siamo in presenza di un eccesso di offerta, come è evidente dall'esteso numero di alloggi invenduti e dal gigantesco processo di abbandono di manufatti per uffici o per le attività produttive. Una situazione fuori controllo, provocata da vent'anni di deregulation, di condoni edilizi, di demolizione delle regole pubbliche di controllo delle trasformazioni urbane, di concetti giuridicamente inesistenti come i diritti edificatori, di strumenti di moltiplicazione del consumo di suolo come la compensazione urbanistica, di deroghe urbanistiche e paesaggistiche ottenute con l'uso strumentale dell'accordo di programma. Se vogliamo salvare quanto resta del paesaggio italiano, le città, e tutelare il bene casa degli italiani, dobbiamo voltare pagina e dobbiamo chiudere per sempre la fase di potenziale e ulteriore espansione urbana. Stop al consumo di suolo: è la nostra stella polare, e gli investimenti per la manutenzione del territorio la nostra Croce del sud. Sono due aspetti inscindibili, non può esistere l'uno senza l'altro. Noi siamo pronti a fare la nostra parte: abbiamo già depositato proposte di legge e mozioni che vanno in questa direzione. Se le nostre decisioni saranno mirate al raggiungimento del bene comune non potremo fallire; se invece prevarranno le solite politica a favore delle lobby del cemento e dello stato di emergenza costante in cui si trova il nostro Paese staremo ancora una volta perdendo tempo e, fatto ancora più grave, staremo perdendo ancora una volta soldi e vite umane. Soprattutto, staremo ipotecando il futuro del Paese (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Cenni. Ne ha facoltà.

  SUSANNA CENNI. Signor Presidente, colleghe e colleghi, rappresentanti del Governo, credo che sia una scelta giusta ed opportuna quella di dedicare l'attenzione della nostra Aula ad una discussione, e auspicabilmente all'approvazione, di mozioni che hanno al centro l'impegno del Governo sulla difesa del suolo, sulla prevenzione di nuovi rischi e dissesto. È una discussione questa fortemente voluta dal Partito Democratico, cercata anche nella precedente legislatura. Altri colleghi hanno già presentato l'insieme degli impegni, impegni chiari che toccano i temi della pianificazione, del quadro non sufficientemente chiaro della filiera delle competenze in materia, della necessità di attivare politiche capaci di gestire le conseguenze dei mutamenti climatici, che chiedono il definitivo abbandono di pratiche sciagurate come i condoni, il consumo scellerato di suolo agricolo, la cementificazione.
  Ora, in questi anni, molti di noi, così come Ministri, ex Ministri e amministratori locali hanno in più occasioni sottolineato come la difesa del suolo possa rappresentare la più grande ed utile opera pubblica nel nostro Paese. Molte, direi francamente troppe volte quest'Aula ha dedicato attenzione ai danni tragici, alla distruzione, purtroppo alle vittime di eventi pesantissimi, conseguenza del dissesto idrogeologico di un territorio costretto, mutato, violentato dalla cementificazione selvaggia, che ha costretto all'innaturalità corsi d'acqua, colline, casse di espansione. Abbiamo cercato, nelle nostro discussioni, i responsabili, pianto le vittime, polemizzato per mesi, investito risorse mai sufficienti per riparare i danni. E questo verbo, «riparare», purtroppo, non lo abbiamo mai usato nel senso che Alex Langer ci ha insegnato: porre rimedio ai guasti, alle ferite inferte dall'uomo.
  Il sud, il Veneto, la Liguria, la Toscana; frane, alluvioni, città, case, strade, imprese, colture colpite e distrutte. Però, purtroppo, ancora molto poco è cambiato, ma desidero nel mio intervento soffermarmi su una parte del problema che di norma viene esaminata solo a margine e mi riferisco all'agricoltura, all'attività forestale che nella nostra mozione viene, invece, inserita con un esplicito richiamo Pag. 94alla sua straordinaria funzione di cura e presidio del territorio. Una funzione, quella di cura e presidio appunto, di cui non possiamo ricordarci solo sporadicamente; un inserimento, il nostro, teso ad evidenziarne la assoluta trasversalità e l'assoluto intreccio con le politiche ambientali, con la programmazione urbanistica, con le cause e drammaticamente con gli effetti dei mutamenti climatici.
  Quante volte sentiamo i commentatori citare davanti a una frana, a un'alluvione: «purtroppo l'abbandono delle colture...», magari in alta montagna, magari in aree marginali, magari in periferie trasformate da insediamenti industriali. I muretti a secco, i terrazzamenti che non ci sono più, i canali, i fossetti non più manotenuti, monocolture estensive che hanno sostituito la rotazione, siepi comparse, quelle siepi che fungevano la molteplice funzione di confine, di rifugio per la piccola fauna selvatica, di trattenimento del suolo per ricostituire le quali si sono attivate misure di piani di sviluppo rurale; ed ancora coltivazioni industrializzate che hanno utilizzato acqua di falda fino alla sua irrecuperabile salinizzazione.
  L'agricoltura ha una funzione centrale nel corretto uso del suolo e dell'ambiente, può con pratiche sbagliate, contribuire al dissesto, al mutamento climatico, all'emissione di CO2, al consumo dissennato di acqua. Ma è il primo comparto a subire poiché è l'unico settore la cui produttività dipende in modo diretto da condizioni meteorologiche incontrollabili estreme. La nostra agricoltura può raccontare a chiunque di noi le conseguenze dei costi dell'estate siccitosa del 2012 e di questo autunno piovosissimo.
  L'agricoltura è uno dei settori che può contribuire però ad accrescere la resilienza e i mutamenti climatici in atto, lo richiamava molto bene l'onorevole Braga prima di tutti noi. Bisogna imparare a convivere con gli episodi di mutamento climatico estremo modificando ovviamente le nostre politiche. Ma per fornire questi contributi l'agricoltura ha, prima di tutto, bisogno di esistere. Lo dico perché non vorrei che di fronte a numeri che ne descrivono una tenuta migliore dal punto di vista occupazionale rispetto ad altri settori, rimuovessimo le grandi difficoltà che da anni sta vivendo e che hanno un nesso straordinariamente rilevante con i temi di cui noi oggi stiamo qui discutendo.
  Se a livello globale, ma anche europeo, il land grabbing accelera la sua corsa fondamentalmente per accaparrarsi un ruolo speculare nell'emergenza alimentare mondiale o per continuare ad operare nel business delle agrienergie, nel nostro Paese, fra il 1971 e il 2010, la superficie agricola utilizzabile è diminuita del 28 per 100. Ogni giorno 100 ettari di suolo agricolo vengano cementificati. Il nostro autoapprovvigionamento alimentare ammonta all'80, all'85 per 100, e quindi perdiamo terreni agricoli ed importiamo per la nostra alimentazione. Ora tutto questo rappresenta un paradosso ancora più grande nel Paese che ha ottenuto l'assegnazione di Expo 2015 grazie alla scelta di un tema di straordinaria attualità e rilevanza, con «nutrire il pianeta», di fronte a una crescita esponenziale della popolazione mondiale. Questa funzione quindi straordinaria dell'agricoltura, questo compito di presidio e di cura di un bene quale la terra, il suolo sono, è oggi messa in discussione da due fenomeni molto pesanti: da un lato le forme di abbandono della terra, dall'altro la cementificazione del terreno agricolo.
  Si abbandonano, soprattutto le aree marginali, più difficilmente raggiungibili, in cui questo civilissimo e straordinario Paese che è l'Italia, chiudono scuole, sportelli bancari, uffici postali, vengono tagliati i trasporti, i servizi sociali e sanitari per ragioni di spending review rendendo difficile continuare a vivere normalmente le aree rurali. Si abbandonano perché in quelle aree dove difficilmente c’è la fibra ottica, è raro che giovani uomini e donne decidano di rilevare attività agricole che non danno più un reddito dignitoso in questo Paese.
  E poi la cementificazione: la cementificazione di terreno agricolo, su cui per fortuna da qualche tempo c’è una rinnovata attenzione, ci sono numerose iniziative Pag. 95legislative, parlamentari e di Governo, del precedente Governo e a quanto leggiamo anche di questo. Ma il dato è comunque impressionante, perché negli ultimi quarant'anni secondo i dati del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali sono andati perduti circa 5 milioni di ettari. Una cifra spaventosa, che va tradotta in superficie non coltivata, in terrazzamenti abbandonati, eccetera, di cui ci accorgiamo dopo il disastro, o quando nei mercati facciamo fatica a trovare prodotti italiani.
  È una rotta pericolosissima quella che abbiamo intrapreso, che va assolutamente invertita. E questa inversione è possibile, se operiamo un mutamento culturale, per esempio ridando al cibo e all'agricoltura la centralità e il valore economico che meritano; centralità all'agricoltura, al cibo e agli agricoltori, che – vale la pena di ricordarlo – gestiscono la stragrande parte del nostro territorio. È possibile se prendiamo sul serio indicazioni chiare nella programmazione che da alcuni anni esistono, e che anche la PAC e i piani di sviluppo rurale oramai indicano con chiarezza. È possibile se aggiorniamo il nostro quadro normativo sul suolo agricolo, contrastandone il consumo con determinazione ed incentivando pratiche agricole sostenibili.
  Esiste una vasta documentazione sugli effetti dei mutamenti climatici e sulla funzione dell'agricoltura e dell'attività forestale per arrestarli, per modificarli, per attenuarli. Un'inversione di tendenza può esserci con un'agricoltura che riduce l'apporto di input esterni, che immagazzina CO2, che utilizza fonti rinnovabili, e che accresce e favorisce l'agricoltura biologica, che privilegia la biodiversità e la rotazione rispetto alla monocultura industrializzata.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  SUSANNA CENNI. Che conserva e riproduce la propria ricchezza sementiera, che privilegia colture a basso consumo idrico, che recupera e conserva la risorsa idrica; che attua quindi politiche di adattamento e che guarda al futuro modificando le proprie politiche. Siamo in una fase cruciale e conclusiva della programmazione comunitaria: certamente l'Europa ha compiuto una scelta strategica, che mi auguro sapremo farla nostra.
  E concludo davvero soltanto dicendo questo. Non c’è una contraddizione fra il bisogno di maggiore competitività e la modernizzazione del comparto agricolo: oggi è l'esatto contrario. Io vivo in terra di Siena: la Val d'Orcia che tutto il Paese ama, ambito set cinematografico, è divenuta Patrimonio UNESCO per il suo paesaggio rurale. Ed è spesso stata conosciuta proprio per l'uso della sua immagine all'interno degli spot pubblicitari, che hanno compreso benissimo il valore di questo paesaggio. Ecco, quel paesaggio ha un grande valore aggiunto che bisogna essere capaci di restituire all'agricoltura, affinché torni davvero ad esercitare il ruolo di presidio del suolo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zardini. Ne ha facoltà.

  DIEGO ZARDINI. Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, con la mozione che abbiamo presentato e che oggi abbiamo discusso abbiamo affrontato uno dei temi più importanti per quanto riguarda l'incolumità di milioni di italiani, che vivono, spesso in modo scarsamente consapevole, in aree esposte al rischio di dissesto idrogeologico. Infatti sono 6.633 i comuni in pericolo per la fragilità del suolo del proprio territorio: tradotto significa che 8 comuni su 10 sono a rischio. Prevenire, contenere e ridurre tali rischi è un obbligo che definirei etico per chi governa il Paese e per chi amministra i territori.
  Come evidenziato nella mozione, la tutela e la sicurezza del territorio italiano, unitamente alla tutela delle acque, rappresentano un interesse prioritario della collettività; senza dimenticare che il suolo è una risorsa ambientale non riproducibile, la cui trasformazione produce effetti permanenti su ambiente e paesaggio.
  La fragilità del territorio italiano appare evidente col susseguirsi di eventi che Pag. 96ormai presentano tempi di ripetizione sempre più brevi: da nord a sud il nostro Paese è colpito da frane, valanghe ed eventi alluvionali; che peraltro, oltre a divenire via via più frequenti, diventano anche più intensi e più dannosi, coinvolgendo aree agricole di pregio, centri urbani, aree produttive e importanti infrastrutture. La ragione di tale fragilità è senz'altro legata alla particolare conformazione geologica del territorio italiano, ad una particolare natura dei suoli che lo compongono e alle variazioni climatiche che favoriscono eventi meteorologici sempre più estremi. Tuttavia, la situazione è acuita da una presenza umana e da un'antropizzazione sconosciute in altri Paesi, anche confrontandola con Paesi industrializzati ed europei.
  Considerando il rischio quale stretto legame e più precisamente il prodotto fra la probabilità che si verifichi un evento derivante da un pericolo ed il danno che è misurato quantificando i costi di ripristino e risarcimento dei danni che un evento può procurare, appare evidente come l'aumento del rischio per entrambi i fattori abbia cause umane assolutamente incontestabili, tuttavia non si è fino ad ora data sufficiente rilevanza, quale causa via via preponderante che produce un aumento del pericolo a un particolare intervento umano, infatti è certificato che il consumo di suolo nel nostro Paese è cresciuto a ritmi devastanti, con centinaia di migliaia di ettari l'anno di suolo divorato dalla cementificazione.
  Si è assistito negli ultimi decenni a una crescita continua dell'urbanizzazione, al diffondersi di una cementificazione spesso incontrollata, all'artificializzazione dei corsi d'acqua minori e alla selezione di aree libere. Tutto questo ha un preciso effetto, ovvero impermeabilizza il suolo e aumenta a dismisura la veridicità di deflusso delle acque meteoriche, aumentando la potenza dei corsi d'acqua e dando loro una forza distruttiva che altrimenti avrebbe una misura inferiore. Ciò ha maggiore impatto sui corsi d'acqua minori e a carattere torrentizio quali quelli, per tale ragione, che hanno avuto minori attenzioni, minore manutenzione, diventando fattore moltiplicatore del rischio.
  In definitiva, un'inadeguata e dannosa pianificazione territoriale da parte degli stessi enti preposti alla gestione del territorio e il ricorso agli oneri di urbanizzazione per sostenere la spesa corrente nei bilanci comunali hanno privatizzato il suolo espropriandolo del suo valore di bene in grado di avere una pubblica utilità. Tale pratica, così scarsamente lungimirante, ha avuto picchi che definirei estremi in molte parti del Paese, ma specialmente nella mia regione, il Veneto, e con particolare gravità, nella mia provincia, Verona. Infatti, in provincia di Verona il 15 per cento della superficie, ovvero 45 mila ettari, è artificializzata, quindi resa impermeabile dall'edificato e dalle infrastrutture. Il 23 per cento della superficie provinciale, in particolare in area collinare e montana, è sottoposta a vincolo idrogeologico, ma in queste aree, su ben 2.450 ettari si è costruito, naturalmente con permessi in deroga alla normativa vigente. Il 12,66 per cento della superficie provinciale è stata perimetrata dal piano territoriale regionale di coordinamento come aree allagate nell'alluvione degli ultimi 60 anni e coinvolgono oltre 30 comuni tra le aree montane e quelle di pianura. Il 12 per cento di queste superfici è edificato e abitato, quindi inevitabilmente è regolarmente sottoposto a nuovi eventi alluvionali, con grave rischio per le popolazioni che le abitano. Nonostante tutto questo sia riconosciuto ormai non solo dalle associazioni ambientaliste, ma addirittura dall'ANCE e anche dal presidente della regione, altre migliaia di ettari saranno a breve cementificati, in particolare 20 milioni di metri quadrati per l'area sud ovest della provincia, area agricola di pregio ove viene prodotto il riso Vialone nano, diventeranno il Motor City, un autodromo con centro commerciale, parco divertimenti, centro logistico e centro agro-alimentare.
  Anche i recenti eventi alluvionali che nelle ultime settimane sono tornati a colpire diverse aree del nostro Paese – dall'Emilia Pag. 97Romagna alla Liguria, ma anche ripetutamente Toscana, Marche, Campania e Sicilia – dimostrano quanto il problema del dissesto idrogeologico non sia più un'emergenza, ma un problema che vive, quotidiano, che necessita da parte nostra di un cambio di passo se intendiamo davvero risolverlo.
  Anche il Veneto è stato nuovamente colpito, probabilmente al di fuori delle consuete stagioni, lo scorso 16 maggio. Oltre a un'infinità di casi minori, è la terza grande alluvione dopo quella del novembre 2010 e del marzo 2011. Stavolta, oltre ai consueti danni economici all'agricoltura, al tessuto produttivo e alle residenze private, oltre al dramma di vedere ancora una volta le famiglie evacuate costrette a lasciare le proprie abitazioni, c’è stata anche la perdita di una vita umana. Il presidente della regione ha decretato lo stato di crisi e ha richiesto la dichiarazione dello stato di emergenza, calcolando in quasi 200 milioni di euro i danni dei soli eventi di maggio di quest'anno che vanno ad aggiungersi a quelli procurati dagli eventi precedenti, tuttavia il piano straordinario degli interventi individuato dal comitato tecnico-scientifico incaricato dal commissario dopo l'alluvione del 2010 e presieduto dal professore D'Alpaos, tra interventi di emergenza e infrastrutturali calcolerebbe in oltre 2 miliardi di euro le risorse necessarie per la migliore messa in sicurezza del territorio del Veneto.
  Uno degli obiettivi di questa mozione è quello di superare questa distorsione ideologica ovvero che la politica della tutela del territorio continua a destinare le risorse disponibili, sempre e comunque scarse, quasi esclusivamente all'emergenza, al posto di un'effettiva opera di prevenzione e messa in sicurezza del territorio. Gli stanziamenti destinati alla difesa del suolo e alla riduzione del rischio idrogeologico iscritti nei bilanci di previsione degli ultimi anni indicano pesanti riduzioni delle risorse, facendo venir meno quella certezza per poter disporre delle risorse necessarie a politiche di prevenzione che hanno bisogno di una continuità per essere efficaci.
  Tuttavia, la scarsa sensibilità della politica nei confronti dell'azione, della manutenzione e prevenzione, che hanno comportato questa insufficienza cronica di risorse e un'insufficienza di pianificazione si è sommata ad un altro grave deficit relativo alla governance istituzionale nel settore delle politiche per la difesa del suolo, con un eccesso di frammentazione e sovrapposizione di competenze che, talvolta, accompagnate da una scarsa attenzione da parte delle pubbliche amministrazioni e incomunicabilità istituzionale, hanno prodotto errori, omissioni, scarichi di responsabilità che, senza dubbio, hanno aumentato il rischio, sia dal lato della probabilità, che dal lato del danno.
  A livello nazionale, paghiamo un caro prezzo per la mancanza di unitarietà dell'azione di difesa del suolo e di gestione della risorsa idrica. L'adeguamento alle normative comunitarie avrebbe necessariamente richiesto la definizione di ruoli e competenze che sono ancora confuse tra i vari livelli. Spesso, infatti, su uno stesso corpo idrico possono esserci diverse competenze di diversi enti, che portano anche alla paralisi degli interventi, a una mancanza di responsabilità circa manutenzione e prevenzione, con gravi ripercussioni sui livelli di rischio.
  Nel programma di miglioramento delle politiche di difesa dal rischio idrogeologico, è fondamentale non limitarsi a contemperare le esigenze di sicurezza con quelle ecologiche ed economiche, ma l'azione dovrebbe mirare a riconsiderare il modello di sviluppo mediante scelte avvedute circa la destinazione e l'uso del suolo. Appare palese come archiviare l'attuale sistema di intervento e di riparazione del danno, invece di interventi preventivi che sarebbero molto più efficaci ed economicamente sostenibili, sia una priorità per il nostro Paese, aggiungendo inoltre che un piano strutturale di messa in sicurezza e manutenzione del territorio atto a ridurre il rischio idrogeologico può portare un po’ di fiato al sistema economico, favorendo l'occupazione. Per farlo, però, occorre mettere nelle condizioni gli enti locali di Pag. 98cantierare quei tantissimi interventi medio-piccoli che hanno la maggiore efficacia.
  Per questo, occorre rivedere le regole del Patto di stabilità interno, che oggi impediscono la realizzazione di interventi fondamentali sul fronte della prevenzione. Per tali ragioni, la mozione chiede al Governo un fattivo impegno per affrontare con grande determinazione il problema del rischio idrogeologico, puntando su un'adeguata pianificazione dell'uso del suolo e impedendo la realizzazione di interventi fondamentali. Infatti, solo un'intelligente miscela di politiche lungimiranti a largo spettro ci consentiranno di ridurre i rischi cui sono esposti milioni di italiani, salvaguardando il nostro territorio e, alla fine, riducendo i costi necessari ad affrontare i danni provocati, non solo da una natura inclemente, ma soprattutto dall'insipienza dell'uomo. Solo la nostra intelligenza, lungimiranza e determinazione potranno dare alle prossime generazioni un futuro più sereno (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Sull'ordine dei lavori (ore 20,04).

  DONATELLA AGOSTINELLI. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  DONATELLA AGOSTINELLI. Signor Presidente, è notizia recente che il presidente Spacca, presidente della regione Marche, esponenti della sua corte – perché così mi sento di definirla – e consiglieri PdL plaudano alla notizia che la Quadrilatero, che è una società nata con il fine di realizzare infrastrutture varie nel territorio umbro-marchigiano, creata il 6 giugno 2003 dal Governo Berlusconi, sia stata inserita nel cosiddetto decreto del fare, consentendo in tal modo lo sblocco dei lavori.
  Detto ciò, in qualità di rappresentate del MoVimento 5 Stelle delle Marche, mi preme evidenziare – come sottolineato anche da molteplici interrogazioni parlamentari, succedutesi nelle varie legislature – le note e gravi problematiche inerenti l'opera e relative, per indicarne solo alcune, alle modalità del finanziamento, all'insufficienza dei fondi, manifestatesi sin dall'inizio, e, quindi, alla necessità di continui interventi negli anni, per assicurare il reperimento delle risorse necessarie alla realizzazione dell'opera medesima.
  Da ultimo, ma non per questo di minore importanza, sottolineo l'impatto ambientale sui territori. Il presidente Spacca stesso, preoccupato, nei giorni scorsi, ha sottolineato, come risulta anche dalle sue dichiarazioni stampa, il fatto che l'opera si realizzi con il cofinanziamento del territorio medesimo.
  Allora, di fronte a queste dichiarazioni alla stampa noi, come MoVimento 5 Stelle, riteniamo sottolineare la nostra contrarietà al modello Quadrilatero, un'opera che rischia di rimanere una sorta di cattedrale nel deserto, osannata da chi esalta la necessità di faraoniche opere pubbliche come viatico dello sviluppo economico del territorio marchigiano, succhiando nei fatti, invece, continuamente risorse pubbliche che avrebbero di certo dato molta più occupazione e sviluppo sostenibile se fossero state investite a sostegno delle nostre piccole e medie imprese...

  PRESIDENTE. Deve concludere.

  DONATELLA AGOSTINELLI. ... e alla nostra imprenditoria sana locale.Pag. 99
  Certo, allo stato questa è l'unica soluzione per evitare che i soldi, fino ad ora investiti, siano successivamente buttati all'aria...

  PRESIDENTE. Onorevole Agostinelli, deve concludere.

  DONATELLA AGOSTINELLI. ... e la Quadrilatero rimanga una delle tante italiche incompiute.

Per la risposta a strumenti del sindacato ispettivo (ore 20,06).

  FILIPPO GALLINELLA. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  FILIPPO GALLINELLA. Signor Presidente, mi dispiace che il rappresentante del Governo sia andato via perché volevo...

  PRESIDENTE. Onorevole Gallinella, alla fine della seduta, quando finisce il punto all'ordine del giorno, non è previsto che il Governo sia qui. Può parlare a noi e noi riporteremo al Governo.

  FILIPPO GALLINELLA. Grazie mille, e mi scusi se ho sbagliato. Volevo solo sollecitare le risposte alle interrogazioni, come hanno fatto anche altri colleghi, in merito, nello specifico, agli atti nn. 4-00863, 4-00613, 4-00501, 4-00431, 4-00370, 4-00357 e 4-00247, perché è più di un mese che sono stati presentati.

  PRESIDENTE. Sarà nostra cura avvisare il Governo della sua sollecitazione.

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì 25 giugno 2013, alle 10:

  1. – Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in vista della riunione del Consiglio europeo del 27 e 28 giugno 2013.

  (ore 15)

  2. – Seguito della discussione delle mozioni Colletti ed altri n. 1-00021, Boccuzzi ed altri n. 1-00099, Piazzoni ed altri n. 1-00100, Molteni ed altri n. 1-00101, Gigli ed altri n. 1-00102, Costa ed altri n. 1-00103 e Giorgia Meloni ed altri n. 1-00104 concernenti iniziative volte a garantire un adeguato risarcimento a favore delle persone che hanno subito danni da incidenti stradali.

  3. – Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge (previo esame e votazione della questione pregiudiziale di costituzionalità e della questione pregiudiziale di merito presentate):
   FERRANTI ed altri; COSTA: Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili (C. 331-927-A).
  — Relatori: Costa e Ferranti, per la maggioranza; Molteni, di minoranza.

  4. – Seguito della discussione delle mozioni Marcon, Spadoni, Beni, Sberna ed altri n. 1-00051 e Giorgia Meloni ed altri n. 1-00118 concernenti la partecipazione italiana al programma di realizzazione dell'aereo Joint Strike Fighter-F35.

  5. – Seguito della discussione delle mozioni Speranza, Brunetta ed altri n. 1-00017, Matarrese ed altri n. 1-00111, Zan ed altri n. 1-00112, Segoni ed altri n. 1-00114 e Grimoldi ed altri n. 1-00117 concernenti iniziative per la tutela e la sicurezza del territorio, con particolare riferimento al dissesto idrogeologico.

  La seduta termina alle 20,10.

Pag. 100

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO DONATELLA FERRANTI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL TESTO UNIFICATO DELLE PROPOSTE DI LEGGE NN. 331-927-A.

  DONATELLA FERRANTI, Relatore per la maggioranza. Il testo unificato in esame ripropone all'Assemblea della Camera temi connessi al sovraffollamento delle carceri ed all'esigenza di deflazionare il carico dei procedimenti penali già a lungo discussi nella scorsa legislatura, che furono poi tradotti, in un testo approvato il 4 dicembre 2012, che il Senato, tuttavia, non ha poi potuto approvare per la fine anticipata della XVI legislatura.
  Quel testo è stato ripresentato in questa legislatura da me e dal correlatore, onorevole Costa, per dare l'occasione a questo Parlamento di poter concludere, dopo eventuali ed auspicati ulteriori miglioramenti, ciò che solo condizioni esterne al dibattito sui temi oggetto del provvedimento non avevano consentito di concludere l'iter legislativo.
  A mio parere questo risultato è stato raggiunto, in quanto oggi esaminiamo un testo che sostanzialmente riproduce il testo approvato nella scorsa legislatura con dei miglioramenti che sono il frutto di un lavoro molto approfondito e serrato fatto in Commissione.
  L'iter in Commissione è stato avviato il 21 maggio per concludersi il 20 giugno. Così come nella scorsa legislatura anche in questa, momento centrale dell'istruttoria legislativa sono state le audizioni svolte nell'ambito dell'indagine conoscitiva, questa volta fatta non unicamente in relazione allo specifico progetto di legge, bensì in riferimento alla questione più ampia dell'efficienza del sistema giudiziario. Gli emendamenti approvati sono stati tutti il risultato delle audizioni. In particolare sono stati sentiti – e colgo l'occasione per ringraziarli in maniera veramente sentita per l'effettivo apporto dato alla Commissione – Giovanni Tamburino, capo dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, che ha fornito importanti elementi circa l'impatto sulle carceri del provvedimento, i magistrati Livia Pomodoro, presidente del tribunale di Milano, Claudio Castelli, presidente aggiunto dell'ufficio GIP del tribunale di Milano, Luciano Panzani, presidente del tribunale di Torino e Alessandra Salvadori, giudice del tribunale di Torino, che hanno spiegato alla Commissione in quale modo i tribunali di Milano e Torino sono riusciti a dare una positiva applicazione alla normativa vigente in materia di lavori di pubblica utilità, Claudia Cesari, professoressa di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Macerata, che ha dato un apporto veramente fattivo al miglioramento delle norme in materia di messa alla prova, nonché, in fine, ma non ultimi per la qualità delle loro argomentazioni, i rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati e dell'Unione delle Camere penali italiane.
  Gli emendamenti messi a punto dai relatori e dal Governo, traendo spunto diretto dalle audizioni, e poi approvati infatti hanno valorizzato lo spirito del provvedimento che è quello di incidere sulla situazione emergenziale delle carceri e di diminuire il carico dei procedimenti penali, trovando un equilibrio tra la funzione rieducativa della pena, la sicurezza dei cittadini e la tutela delle vittime del reato.
  Vorrei subito precisare, questa volta più in veste di Presidente della Commissione anziché di correlatore, che tutti i gruppi hanno dato un apporto veramente concreto e fattivo al miglioramento del testo. Naturalmente vi sono state diverse posizioni, che hanno visto il gruppo della Lega fare ostruzionismo ed il Movimento 5 stelle opporsi a molte soluzioni adottate nel testo, ma questo è avvenuto sempre in un clima di leale confronto parlamentare, del quale voglio ringraziare proprio i deputati dei gruppi che non hanno condiviso il testo ora in esame.
  Passiamo quindi al contenuto del provvedimento.
  Questo, composto da 15 articoli, prevede: la delega al Governo per l'introduzione Pag. 101di pene detentive non carcerarie; l'adozione, anche nel processo penale ordinario, della sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato; una nuova disciplina della sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili.
  Il provvedimento rappresenta un primo passo per ripensare il sistema delle pene in attuazione della sentenza, del gennaio scorso, della Corte europea dei diritti dell'Uomo che ci ha condannato per il problema del sovraffollamento carcerario. Le nuove norme mirano ad individuare una giusta proporzione della sanzione penale in relazione al bene violato, alla gravità del comportamento in concreto e alla pericolosità sociale dell'imputato. Si tratta di un provvedimento che è in grado di incidere sulla situazione emergenziale delle carceri e di diminuire il carico dei procedimenti penali e che, come tale, rappresenta un primo importante tassello di una riforma di sistema più ampia che dovrà risolvere le criticità della giustizia penale nel medio-lungo periodo.
  Un punto vorrei che fosse ben chiaro: il testo mira ad attuare un equilibrato rapporto fra giustizia riparativa e pena tradizionale: il recupero di un condannato, oltre ad essere una questione umanitaria, ha un significato di prevenzione generale. Infatti le cifra sulla recidività ci dimostrano chiaramente che un condannato recuperato attraverso pene alternative difficilmente tornerà a delinquere, a differenza di uno che ha scontato la pena in carcere.
  Ora mi rivolgo al collega Molteni, relatore di minoranza, che in Commissione ha contrastato fortemente il provvedimento in esame definendolo un colpo di spugna a danno dei cittadini onesti. Non è così. Non vi è alcun indulto mascherato o, per la messa alla prova, amnistia mascherata. Vi è un modo diverso di scontare la pena che per questo non vuol dire più pericoloso per i cittadini. Per costoro è sicuramente più pericoloso un carcere che è scuola di delinquenza.
  Nessun indulto, nessuno sconto di pena, nessun automatismo. Ciò che avviene è che la pena, nel caso di reclusione ai domiciliari, sarà applicata dal giudice della cognizione e non più da quello della sorveglianza. Per avvenire ciò deve però essere esclusa la pericolosità sociale dell'imputato sulla base di una valutazione fatta secondo i parametri dell'articolo 133 del codice penale, che si riferiscono alla pericolosità del reo ed alla gravità del reato. La misura alternativa al carcere diventa pena principale e si eviteranno così inutili passaggi in carcere che sono perlopiù dannosi e costosi per la collettività. In sostanza viene così garantito il principio costituzionale della finalità rieducativa e della proporzionalità della pena.
  Il Capo I, quindi, contiene una delega al Governo volta a prevedere, tra le pene principali, la reclusione e l'arresto presso l'abitazione del condannato o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, di seguito denominato «domicilio», di durata continuativa o per singoli giorni della settimana o per fasce orarie.
  La nuova pena detentiva potrà essere applicata ai delitti puniti con la reclusione nel massimo fino a sei anni, tenuto conto dei criteri indicati dall'articolo 133 del codice penale. Per le contravvenzioni punite con la pena dell'arresto, sola o congiunta alla pena pecuniaria, si prevede che la pena detentiva principale sia, in via alternativa e tenuto conto dei criteri indicati dall'articolo 133 del codice penale, anche l'arresto presso il domicilio, in misura non inferiore a cinque giorni e non superiore a tre anni. L'individuazione dell'ambito dei reati al quale poter applicare la nuova pena è stato uno dei momenti più importanti dell'iter in Commissione. Anche a seguito delle audizioni si è verificato che il limite di 4 anni previsto dal testo della scorsa legislatura rendeva di fatto inapplicabile o comunque inutile la nuova pena che si sarebbe applicata unicamente a quei reati per i quali già ora si può applicare la detenzione domiciliare. Gli stessi dati forniti dal Capo del DAP erano evidenti della scarsa portata della nuova pena sul sovraffollamento delle carceri. Si è quindi individuato in 6 anni il limite Pag. 102massimo di pena specificando, come contrappeso all'innalzamento del limite, che in concreto il giudice può applicare la pena detentiva non carceraria solo nel caso in cui vi sia un giudizio positivo sulla base dei parametri dell'articolo 133 del codice penale. L'emendamento del Governo approvato dalla Commissione poneva un ulteriore limite, quale la possibilità di prevedere in sede di esercizio della delega alcune esclusioni oggettive relative a reati di grave allarme sociale se puniti con pene non inferiori nel massimo a quattro anni.
  Su questo punto vi è stato un approfondito confronto in Commissione, ritenendo, specialmente il gruppo della Lega, che ci sarebbe dovuto essere un elenco dettagliato delle esclusioni oggettive, senza demandare il compito al Governo. Questa via non è stata seguita in quanto si è ritenuto che un compito del genere necessita di un approfondimento sul quadro complessivo di tutte le norme penali dell'ordinamento che in maniera esaustiva può essere compiuto solo dal Governo nell'esercizio della delega. Eventualmente, attraverso un ordine del giorno, si sarebbe potuto indicare al Governo una serie di reati che per la loro particolare pericolosità sociale non sono compatibili con il nuovo tipo di pena. A questa soluzione si è obiettato che comunque la delega era illegittima in quanto priva di principi e criteri direttivi determinati, non potendosi considerare tali quelli del grave allarme sociale e del limite delle pene, che non dovevano essere inferiori nel massimo a quattro anni.
  La Commissione comunque ha approvato l'emendamento del Governo e scelto la via dell'ordine del giorno. Questa scelta è stata però rivista a seguito del parere della Commissione Affari Costituzionali, sopprimendo la delega relativa alle esclusioni oggettive.
  La Commissione Affari Costituzionali ha, da un lato, evidenziato la genericità della delega e, dall'altro, sottolineato come il principio di delega di natura generale prevedesse «in capo al giudice la possibilità di valutare – nei casi ivi previsti (delitti puniti con la reclusione fino a sei anni) – l'applicazione della reclusione presso il domicilio, e quindi anche la possibilità di escluderla». Questo è il punto. Se si è soppressa la delega delle esclusioni oggettive non lo si è fatto perché la delega fosse generica, considerato che comunque il criterio della gravità dell'allarme sociale è sicuramente maggiormente determinato rispetto a quelli utilizzati in altre deleghe in materia penale (si pensi, ad esempio a quelle in materia di depenalizzazione), le ragioni sono altre e più profonde. Si è riflettuto sul fatto che la preoccupazione legittima e da tutti condivisa che in alcuni casi non sia opportuna che la detenzione non sia carceraria deve essere soddisfatta in maniera diversa dal sistema delle esclusioni oggettive, che considera il reato in astratto. In effetti, questo sistema si basa su una contraddizione di fondo: prevedere in via legislativa la possibilità che l'ordinamento preveda reati puniti con la stessa pena ma che suscitano diversi gradi di allarme sociale, in alcuni casi gravi in altri lievi. Delle due l'una: o i reati puniti con la stessa pena sono della medesima gravità e quindi meritevoli giustamente di pene tra loro identiche ovvero presentano una gravità diversa che merita una pena diversa non tanto nel luogo ove questa viene eseguita bensì nell'entità numerica della stessa. Il discrimine tra la pena detentiva carceraria e quella così detta domiciliare (abbiamo visto che non sempre si tratta di domicilio inteso come luogo di abitazione) deve essere fatta dal giudice nel caso concreto sulla base dei criteri dell'articolo 133, tra i quali vi è anche la gravità del reato. Sarà il giudice quindi a valutare se applicare o meno il nuovo tipo di pena, così come individua tra il minimo ed il massimo la pena da applicare nel caso concreto, ovvero quale pena applicare quando la legge in astratto prevede in alternativa la pena detentiva e quella pecuniaria.
  Il giudice potrà prescrivere particolari modalità di controllo, anche elettroniche, delle citate misure detentive domiciliari; esclusioni soggettive dall'applicazione delle nuove misure riguardano specifiche categorie Pag. 103di soggetti (delinquenti e contravventori abituali, delinquenti e contravventori professionali e delinquenti per tendenza). Detenzione presso l'abitazione ed arresti domiciliari potranno essere sostituiti con reclusione o arresto sia nel caso di indisponibilità di un'abitazione o altro domicilio idoneo ad assicurare la custodia del condannato sia ove il condannato non rispetti le prescrizioni impartite. L'allontanamento non autorizzato dal domicilio equivale ad evasione.
  Si tratta di una novità assoluta nel panorama del diritto penale italiano in quanto è il giudice della cognizione e non quello dell'esecuzione a stabilire che, in luogo della detenzione carceraria, la reclusione o l'arresto siano eseguiti presso l'abitazione del condannato o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza.
  La ratio della nuova disposizione è riportata chiaramente nella relazione di accompagnamento alla proposta di legge: «attraverso le nuove pene detentive non carcerarie, il condannato non dovrà più subire l'inadeguatezza del sistema penitenziario e la relativa ingiustificata compressione del diritto a un'esecuzione della pena ispirata al principio non solo di rieducazione, ma anche di umanità. Si tratta, pertanto, di disposizioni che conciliano i fondamentali obiettivi di un moderno sistema penale ispirato ai principi non soltanto di necessità, legalità, proporzionalità, personalità della pena, ma anche di rieducazione e umanizzazione della stessa secondo il disposto dell'articolo 27 della Costituzione, che ha inteso bandire ogni trattamento disumano e crudele, escludendo dalla pena ogni afflizione che non sia inscindibilmente connessa alla restrizione della libertà personale».
  Il Capo II introduce nell'ordinamento l'istituto della sospensione del procedimento penale con messa alla prova. Scopo della nuova disciplina – ispirata alla probation di origine anglosassone – è quello di estendere l'istituto, tipico del processo minorile, anche al processo penale per adulti in relazione a reati di minor gravità.
  L'istituto offre ai condannati per reati di minore allarme sociale un percorso di reinserimento alternativo e, al contempo, svolge una funzione deflativa dei procedimenti penali in quanto è previsto che l'esito positivo della messa alla prova estingua il reato con sentenza pronunciata dal giudice.
  Anche in questo caso si è cercato di coniugare due diverse esigenze: quelle rieducative della persona che potrebbe aver commesso un reato e quelle di sicurezza della società, che non può tollerare che non si svolgano processi quando questi potrebbero concludersi con condanne necessarie sotto i diversi profili che la pena deve avere secondo la Costituzione. Questo bilanciamento di interessi presuppone che anche in questo caso non vi debba essere alcuna automaticità nell'applicazione dell'istituto, ma vi debba essere un controllo da parte del giudice della pericolosità del soggetto, che potrebbe comportare la revoca della sospensione quando questa pericolosità dovesse emergere nel corso della probation.
  La messa alla prova comporta la prestazione di un lavoro di pubblica utilità nonché condotte volte all'eliminazione delle conseguenze dannose derivanti dal reato. Può inoltre comportare l'osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali. È quindi evidente che la messa alla prova può consentire quella realizzazione delle finalità rieducative e riparatorie che la pena non sempre riesce a garantire.
  L'articolo 2 modifica il codice penale aggiungendo disposizioni relative alla messa alla prova, sistematicamente inserita tra le cause estintive del reato. Sono, a tal fine, aggiunti al capo I del titolo IV del libro I del codice penale tre nuovi articoli. Il nuovo articolo 168-bis prevede che nei procedimenti per reati puniti con pena pecuniaria ovvero con reclusione fino a 4 anni (sola, congiunta o alternativa a pena pecuniaria) nonché (questa è una novità del nuovo testo) per i delitti indicati Pag. 104dal comma 2 dell'articolo 550 del codice di procedura penale, l'imputato possa chiedere la sospensione del processo con messa alla prova, che ha la durata minima di 30 gg. Si è ritenuto opportuno ampliare l'ambito applicativo dell'istituto a reati che comunque l'ordinamento già non considera gravi anche se puniti con una pena superiore ai quattro anni prevedendo che per essi vi possa essere la citazione diretta.
  La sospensione del processo con messa alla prova dell'imputato non può essere concessa più di due volte, né più di una volta se si tratta di reato della stessa indole. Una ulteriore novità molto importante è stata la sottolineatura della funzione riparatoria dell'istituto e, quindi l'obiettivo di tutelare in primo luogo la parte offesa, mettendo in secondo piano lo svolgimento di lavori di pubblica utilità, che hanno piuttosto una funzione rieducativa.
  Si prevede, quindi, che «la messa alla prova comporta la prestazione di condotte volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato. Comporta altresì l'affidamento dell'imputato al servizio sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare, tra l'altro, la prestazione di un lavoro di pubblica utilità, attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l'osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali».
  L'articolo 168-ter prevede la sospensione del corso della prescrizione del reato durante il periodo di sospensione del processo con messa alla prova. Al termine della misura, se il comportamento dell'imputato è valutato positivamente, il giudice dichiara l'estinzione del reato, restando comunque applicabili le eventuali sanzioni amministrative accessorie. L'articolo 168-quater indica come motivo di revoca della messa alla prova la grave e reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle prescrizioni imposte dal giudice.
  L'articolo 3 introduce nel Libro VI del codice di procedura penale il titolo V bis (Della sospensione del procedimento con messa alla prova) che detta le disposizioni processuali relative all'istituto (artt. da 464-bis a 464-novies). Il nuovo articolo 464-bis conferma che la messa alla prova può essere richiesta dall'imputato (oralmente o in forma scritta) personalmente o a mezzo procuratore speciale, ma entro determinati termini, che la norma specifica sia in relazione alla fase che al tipo di procedimento. Alla richiesta di messa alla prova va allegato un programma di trattamento che l'imputato elabora con gli uffici di esecuzione penale esterna (UEPE) ed i cui contenuti minimi sono individuati dallo stesso articolo 464-bis. Considerato che in alcune circostanze i termini sono di soli 15 giorni e che in tali casi sarebbe impossibile presentare il programma elaborato dall'UEPE, si è previsto che, proprio in questi casi, si possa fare domanda anche senza allegare il programma purché ne sia stata fatta richiesta all'UEPE.
  Per quanto attiene al contenuto del programma si è voluto sottolinearne la funzione principalmente riparatoria, stabilendo che deve contenere le prescrizioni comportamentali e gli altri impegni specifici che l'imputato assume anche al fine di elidere o di attenuare le conseguenze del reato, considerando a tal fine il risarcimento del danno, le condotte riparatorie e le restituzioni, nonché le prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità ovvero all'attività di volontariato di rilievo sociale.
  Il successivo articolo 464-ter detta disposizioni relative alla richiesta di messa alla prova nel corso delle indagini preliminari mentre l'articolo 464-quater riguarda la decisione del giudice sulla richiesta di messa alla prova e gli effetti della pronuncia (con ordinanza).
  La concessione della messa alla prova da parte del giudice (che può anche sentire l'imputato) deriva della valutazione favorevole su due elementi: l'idoneità del programma di trattamento presentato e la previsione che l'imputato non commetterà ulteriori reati. Potrebbe sembrare errata la Pag. 105nozione di «ulteriore reato» in quanto il reato che sta alla base della messa alla prova non è stato accertato e, in caso di esito positivo, non lo sarà mai. Tuttavia, la nozione è in linea con i principi che stanno alla base dell'istituto, considerato che l'esito positivo della messa alla prova estingue il reato.
  Il programma trattamentale presentato con la domanda – già contenente prescrizioni ed obblighi per l'imputato – può essere integrato dal giudice con ulteriori obblighi e misure (su cui è, tuttavia, necessario il consenso dell'imputato). Sono, tuttavia, previsti limiti massimi di sospensione del procedimento. Contro l'ordinanza è ammesso ricorso per cassazione da parte dell'imputato, del PM o della stessa persona offesa (che tuttavia non produce effetti sospensivi). Se la richiesta di messa alla prova è rigettata, potrà essere riproposta nel giudizio, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.
  L'articolo 464-quinquies precisa che l'ordinanza detta i termini di adempimento delle prescrizioni e degli obblighi a carico dell'imputato (sempre modificabili). L'articolo 464-sexies prevede che il giudice, a richiesta di parte, durante la sospensione del procedimento, possa svolgere attività probatoria che possa condurre al proscioglimento dell'imputato.
  L'articolo 464-septies disciplina l'esito della messa alla prova stabilendo che, acquisita la relazione finale degli uffici, il giudice, se l'esito è positivo, dichiara estinto il reato con sentenza. Se, al contrario, la prova ha esito negativo, adotta ordinanza di prosecuzione del procedimento. L'articolo 464-octies è relativo alla possibile revoca dell'ordinanza di messa alla prova. L'articolo 464-novies prevede che, sia in caso di esito negativo della prova che di revoca della misura, questa non è più proponibile.
  L'articolo 3, inoltre, aggiunge al codice di rito penale l'articolo 657-bis che, in caso di prova negativa o di una sua revoca, detrae dalla pena da eseguire il periodo di messa alla prova: 3 gg. di prova sono equiparati a un giorno di reclusione-arresto ovvero a – 250 di multa-ammenda.
  L'articolo 4 del provvedimento modifica le disposizioni di attuazione del codice di procedura penale inserendovi l'articolo 141-ter, relativo alle attività di pertinenza degli uffici di esecuzione penale esterna nell'esecuzione della messa alla prova. È importante la previsione che l'UEPE deve acquisire anche l'adesione dell'ente o del soggetto, presso il quale l'imputato è chiamato a svolgere le proprie prestazioni. A tutela dell'indagato si prevede all'articolo 141-bis che il pubblico ministero anche prima di esercitare l'azione penale, può avvisare l'interessato, ove ne ricorrano i presupposti, che ha la facoltà di chiedere di essere ammesso alla prova, ai sensi dell'articolo 168-bis del codice penale, e che l'esito positivo della prova estingue il reato.
  L'articolo 5 modifica l'articolo 3 del TU sul casellario giudiziario (decreto del Presidente della Repubblica 313/2002) aggiungendo, tra i provvedimenti da iscrivere per estratto, l'ordinanza che dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova.
  L'articolo 6 stabilisce che entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro della giustizia riferisce alle competenti Commissioni parlamentari in merito alle modalità di adeguamento numerico e professionale della pianta organica degli uffici di esecuzione penale esterna del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, in relazione alle esigenze di attuazione del capo relativo alla messa alla prova. Vorrei sottolineare, anche in vista del parere della Commissione bilancio, che si tratta di una norma meramente programmatica volta a monitorare l'applicazione della legge dandoci un termine per verificare se vi sia la necessità di adeguare l'organico degli UEPE che svolgono un compito fondamentale per la riuscita dell'istituto.
  Si prevede poi che entro il 31 maggio di ciascun anno, il Ministro della giustizia riferisce alle competenti Commissioni parlamentari Pag. 106in merito all'attuazione delle disposizioni in materia di messa alla prova.
  Novità importante introdotta a seguito delle audizioni sopra richiamate è l'articolo 7 volto sostanzialmente ad estendere a tutte le realtà territoriali le best practices di alcuni Tribunali in materia di lavori di pubblica utilità Per tale ragione si stabilisce che il Ministro della giustizia, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge, adotta un regolamento allo scopo di disciplinare le convenzioni che il Ministero della giustizia o, su delega di quest'ultimo, il Presidente del tribunale, può stipulare con gli enti o le organizzazioni di cui al terzo comma dell'articolo 168-bis del codice penale.
  Il Capo III disciplina il procedimento nei confronti degli irreperibili (artt. 8-14). Sul punto è alquanto esplicativa la relazione introduttiva della proposta di legge. Il problema principale, anche a seguito di una serie di condanne dell'Italia da parte della Corte Europea dei diritti dell'uomo, è stato quello di definire i casi di sospensione, quando non si riesca a reperire l'imputato, e correlativamente i casi in cui si possa procedere anche in assenza dell'imputato, poiché si è ragionevolmente certi che questi sia a conoscenza del fatto che si sta procedendo. Ma quando si può essere certi di una tale conoscenza ? E quando si può essere disposti a sospendere il processo, poiché si reputa o si teme che manchi tale conoscenza ?
  In linea di massima, l'unico modo per essere davvero certi che l'imputato sia a conoscenza del processo dovrebbe essere la notifica dell'avviso di udienza a mani dell'imputato (salve situazioni straordinarie ed imprevedibili in cui la certezza risulti aliunde). In tutte le altre ipotesi, a partire dalla notifica dell'avviso al convivente, tale certezza non si può dare. L'imputato potrebbe anche essere al corrente che vi è un procedimento aperto nei suoi confronti, ma essere ignaro della celebrazione del processo.
  La disciplina dell'assenza dell'imputato si dovrebbe articolare essenzialmente attorno a tre ipotesi: conoscenza certa dell'udienza del processo (udienza preliminare o udienza dibattimentale); conoscenza presunta dell'udienza per conoscenza certa del procedimento, non conoscenza dell'udienza e del procedimento.
  A queste tre ipotesi dovrebbero poi corrispondere tre situazioni: a) processo in assenza; b) processo in assenza, ma con rimedi ripristinatori per l'imputato che dimostri la incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo; c) sospensione del processo.
  In caso di conoscenza certa da parte dell'imputato della celebrazione del processo (per avere ricevuto a mani la notifica dell'avviso di udienza o per altri indici da cui si evinca con certezza tale conoscenza), il processo proseguirebbe in assenza dell'imputato che è rappresentato dal difensore. In caso di conoscenza presunta del processo per conoscenza certa del procedimento (per avere eletto domicilio, essere stato arrestato o fermato, o per avere nominato un difensore di fiducia), il processo proseguirebbe in assenza dell'imputato, ammettendo questo a provare di non avere avuto conoscenza della celebrazione del processo (pur avendo avuto conoscenza del procedimento) e in tal caso all'imputato viene comunque garantito il diritto ad un giudizio di primo o di secondo grado (con eventuale rimessione in termini per la richiesta di riti speciali consensuali, se la mancata conoscenza dell'avviso di udienza era riferibile anche all'udienza preliminare). Qualora sia stata pronunciata condanna passata in giudicato, il giudicato potrebbe essere rescisso e il processo riprendere col dibattimento di primo grado.
  In caso di incertezza sulla conoscenza da parte dell'imputato del procedimento si prevede la sospensione del processo. In caso di sospensione, il giudice dovrebbe disporre nuove ricerche almeno allo scadere di ogni anno. La sospensione sospenderebbe il corso della prescrizione, ma non potrebbe protrarsi per un periodo superiore ai termini massimi di prescrizione, decorsi i quali riprenderebbe a decorrere il termine di prescrizione. Si Pag. 107devono poi prevedere rimedi ripristinatori nel caso di processo svolto in assenza, ove si dimostri la incolpevole mancata conoscenza. In questi casi se l'imputato compare nel corso dell'udienza preliminare l'udienza dovrebbe essere rinviata e nel caso (infrequente) in cui siano state assunte prove (con incidente probatorio o prove ex articolo 422 che si siano poi rivelate all'atto dell'assunzione sfavorevoli all'imputato) avrebbe diritto alla rinnovazione delle prove assunte in udienza preliminare e comunque all'acquisizione di prove. Se l'imputato si presenta all'inizio del dibattimento, essendo stato assente nel corso dell'udienza preliminare, deve poter rendere dichiarazioni spontanee ed essere riammesso nel termine per richiedere i riti speciali consensuali. Se l'imputato compare nel corso del dibattimento, si deve rinviare l'udienza, l'imputato viene riammesso nel termine per richiedere i riti speciali e può chiedere l'acquisizione di prove rilevanti e la riassunzione delle prove già assunte, ferma restando la validità degli atti (prove incluse) già compiuti. Se l'imputato viene a conoscenza di una sentenza di condanna in primo grado deve poter presentare appello, chiedendo l'annullamento della sentenza e la trasmissione degli atti al giudice di primo grado (anche in questo caso è rimesso in termini per presentare richiesta di riti speciali). Se l'imputato viene a conoscenza di una condanna in appello, deve poter presentare ricorso per cassazione per l'annullamento della sentenza con trasmissione degli atti al giudice di primo grado. Se l'imputato viene a conoscenza di una condanna passata in giudicato, deve poter chiedere alla Corte di cassazione la rescissione del giudicato (un istituto in cui si potranno poi innestare anche per i casi di processo dichiarato ingiusto dalla Corte europea dei diritti umani) e la ripartenza del processo dal giudizio di primo grado».

ERRATA CORRIGE

  Nel resoconto stenografico della seduta del 21 giugno 2013:
   a pagina 36, prima colonna, quattordicesima riga, le parole «accettano la riformulazione e» si intendono soppresse.