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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 34 di lunedì 17 giugno 2013

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARINA SERENI

  La seduta comincia alle 12.

  CLAUDIA MANNINO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 13 giugno 2013.

Sul processo verbale (ore 12,02).

  ALESSANDRO DI BATTISTA. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  ALESSANDRO DI BATTISTA. Signor Presidente, vorrei fare un'osservazione e spiegare meglio anche quello che è successo, perché dal verbale che ha letto il segretario Mannino non si evince la gravità dell'assenza del Governo. Lei anche, Presidente – e la ringrazio per questo – glielo ha fatto notare, però non è chiaro dal verbale che il Governo è arrivato in ritardo ad una interpellanza urgente e questo è un comportamento vergognoso da parte del Governo.
  Ricordo al Governo che è più importante il Parlamento delle televisioni, perché il sottosegretario Vicari – e lo dico anche ai colleghi che erano assenti – è arrivata in ritardo perché si trovava in un talk-show, la trasmissione Agorà – perché di questo si tratta, Presidente – e ha fatto aspettare quest'Aula mezz'ora prima di arrivare in Aula e di poter rispondere alle interpellanze urgenti. Non mi pare che da questo verbale si evinca la gravità della questione, per cui volevo sottolinearlo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Di Battista, il verbale che è stato letto in Aula ovviamente è quello sintetico. Sapete che poi vi è il resoconto stenografico, dal quale si evince totalmente anche la seduta e, quindi, anche l'opinione della Presidenza sul ritardo del sottosegretario Vicari.
  Se non vi sono ulteriori osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
  (È approvato).

  ALESSANDRO DI BATTISTA. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. No, non può reintervenire, mi dispiace, deputato.

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Alfreider, Amici, Archi, Bergamini, Berretta, Bocci, Michele Bordo, Bray, Brunetta, Carrozza, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, D'Alia, Dambruoso, De Girolamo, Dellai, Di Lello, Fassina, Ferranti, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Giampaolo Galli, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Kyenge, Legnini, Letta, Lombardi, Lorenzin, Lupi, Merlo, Migliore, Orlando, Pisicchio, Pistelli, Realacci, Rigoni, Sani, Santelli e Speranza sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.Pag. 2
  Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

  Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 21 maggio 2013, n. 54, recante interventi urgenti in tema di sospensione dell'imposta municipale propria, di rifinanziamento di ammortizzatori sociali in deroga, di proroga in materia di lavoro a tempo determinato presso le pubbliche amministrazioni e di eliminazione degli stipendi dei parlamentari membri del Governo (1012-A) (ore 12,05).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 1012-A: Conversione in legge del decreto-legge 21 maggio 2013, n. 54, recante interventi urgenti in tema di sospensione dell'imposta municipale propria, di rifinanziamento di ammortizzatori sociali in deroga, di proroga in materia di lavoro a tempo determinato presso le pubbliche amministrazioni e di eliminazione degli stipendi dei parlamentari membri del Governo.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1012-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle, Sinistra Ecologia Libertà e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la VI Commissione (Finanze) e l'XI Commissione (Lavoro) si intendono autorizzate a riferire oralmente.

  VEGA COLONNESE. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Su che cosa chiede la parola, onorevole Colonnese ?

  VEGA COLONNESE. Scusi, signor Presidente, in realtà io volevo sapere se era possibile richiedere la modifica del verbale, inserendo esplicitamente la questione dell'assenza del sottosegretario per la trasmissione Agorà.

  PRESIDENTE. Rimane agli atti della seduta di oggi, deputato.
  Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza e presidente della VI Commissione (Finanze), deputato Daniele Capezzone.

  DANIELE CAPEZZONE, Relatore per la maggioranza per la VI Commissione. Signora Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghe, colleghi, desidero innanzitutto sottolineare come questo decreto-legge costituisca, per ciò che riguarda i profili tributari (sui profili di lavoro interverrà poi il collega presidente Damiano), il primo – per quanto ancora parziale – passo di un complessivo processo di riforma dei tributi sugli immobili, che dovrà svilupparsi nei prossimi mesi entro la data, fissata dallo stesso decreto-legge, del 31 agosto.
  Come è noto, l'articolo 1 sospende per il 2013 il versamento della prima rata dell'imposta municipale propria (IMU), che scadrebbe altrimenti il prossimo 16 giugno.
  In particolare, il comma 1 individua le categorie di immobili a cui si applica la sospensione: abitazione principale e relative pertinenze, esclusi i fabbricati classificati nelle categorie catastali A1, A8 e A9, unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibite ad abitazione principale, e relative pertinenze dei soci assegnatari, nonché alloggi regolarmente assegnati dagli istituti autonomi per le case popolari o dagli enti di edilizia residenziale pubblica aventi le stesse finalità degli IACP e, infine, i terreni agricoli e i fabbricati rurali.Pag. 3
  Il comma 1 dell'articolo 1 del decreto-legge precisa che la sospensione della prima rata IMU si inserisce nel quadro di una generale riforma della disciplina dell'imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare, da realizzare sulla base di alcuni principi che la norma stessa provvede ad esplicitare. Si tratta, in dettaglio, della riforma della disciplina della cosiddetta TARES, il tributo comunale su rifiuti e servizi, della modifica dell'articolazione della potestà impositiva a livello statale e locale e dell'introduzione della deducibilità ai fini della determinazione del reddito di impresa dell'imposta municipale propria relativa agli immobili utilizzati per attività produttive.
  Per fare fronte alle minori entrate per i comuni derivanti dalla sospensione della prima rata e ai connessi problemi di liquidità, il comma 2 dell'articolo 1 introduce una deroga alle disposizioni recate dall'articolo 222 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali in materia di concessione di anticipazioni di tesoreria da parte del tesoriere su richiesta dell'ente locale, disponendo che, fino al 30 settembre prossimo, il limite massimo di ricorso alle anticipazioni di tesoreria sia ampliato di un importo corrispondente, per ogni comune, al 50 per cento del gettito IMU relativo all'anno 2012, come indicato nell'allegato A al provvedimento. Secondo la relazione tecnica allegata al disegno di legge di conversione, l'importo complessivo dell'incremento di anticipazione risulta pari a 2.426,4 milioni di euro.
  Dal momento che gli enti locali sono tenuti al pagamento di interessi sulle anticipazioni di tesoreria, il comma 3 dispone che gli oneri sugli interessi dovuti dai comuni, a fronte delle maggiori anticipazioni di tesoreria, siano rimborsati a ciascun comune dal Ministero dell'interno, rinviando a un apposito decreto del Ministero dell'interno, da adottare entro venti giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, la determinazione delle modalità e dei termini del rimborso.
  Il comma 4 quantifica questi oneri per gli interessi in 18,2 milioni di euro per l'anno in corso, calcolati dalla relazione tecnica applicando all'importo complessivo dell'incremento di anticipazione un tasso di interesse annuale pari al 3 per cento e rideterminando su base trimestrale l'importo ottenuto. Lo stesso comma 4, poi, dettaglia le modalità di copertura finanziaria di questi oneri.
  L'articolo 2 fornisce ulteriori indicazioni circa la riforma della fiscalità immobiliare sottesa alla sospensione della prima rata IMU, stabilendo, al primo periodo, che la riforma dovrà essere attuata nel rispetto degli obbiettivi programmatici primari indicati nel DEF 2013, come risultante dalle relative risoluzioni parlamentari di approvazione, e, in ogni caso, in coerenza con gli impegni assunti dall'Italia in ambito europeo.
  Il secondo periodo del comma 2 reca, quindi, una clausola di salvaguardia in base alla quale, in caso di mancata adozione della predetta riforma entro la data del 31 agosto – caso sciagurato –, continuerebbe ad applicarsi la disciplina IMU attualmente in vigore.
  In questo contesto, come si comprende, il decreto che oggi discutiamo rappresenta – ed è bene chiarirlo subito in avvio di discussione, ancora una volta – un intervento di carattere temporaneo, che è volto ad evitare il versamento della prima rata IMU per alcune categorie di immobili, fungendo in questo modo da provvedimento-ponte in attesa della definizione – ormai imminente, come è noto a tutti – di un intervento complessivo e riformatore della stessa IMU e, più in generale, della fiscalità immobiliare, che costituisce uno dei punti qualificanti del programma di Governo.
  Questo provvedimento – non ovviamente il prossimo, sul quale, come è noto, il lavoro è in corso e il dibattito anche – non ha, dunque, natura strutturale, limitandosi, per questo aspetto, a prefigurare alcune linee guida della successiva riforma, che, peraltro, dovranno essere ulteriormente precisate e specificate.
  In questa prospettiva e con questi limiti, l'intervento legislativo appare positivo almeno per due profili. Da un lato, perché consente di realizzare immediatamente Pag. 4una prima – seppur certo non esaustiva, ma una prima – riduzione del carico tributario che grava su una platea ampia di contribuenti, evitando loro di dovere sostenere l'onere derivante dalla prima rata dell'IMU.
  Ricordo che, se fosse pagato, tale onere risulterebbe molto più gravoso rispetto al previgente regime ICI e, in questo modo, si vuole dare un primo segnale della ferma intenzione del Governo e delle forze politiche che lo sostengono di procedere con convinzione sulla strada complessiva della riduzione della pressione fiscale, attraverso il ridisegno di interi pezzi del sistema tributario e il recupero di basi imponibili che attualmente sfuggono all'imposizione.
  E anche sotto il secondo profilo il provvedimento è utile, perché costituisce una prima occasione di discussione sulle prospettive e sugli indirizzi di questa riforma tributaria, consentendo di avviare un'interazione produttiva tra Esecutivo e Parlamento su questi temi. Da questo punto di vista, io auspico che, al di là del contenuto specifico del decreto-legge, il Governo faccia tesoro dei numerosi spunti di riflessione emersi nel corso dell'esame nelle Commissioni e anche nel corso delle audizioni che il presidente Damiano ed io, la Commissione lavoro e la Commissione finanze hanno svolto, e poi naturalmente anche attraverso le proposte emendative che sono state presentate da tutti i gruppi.
  Proprio per favorire una discussione ampia e adeguata sui temi legati al decreto-legge, le Commissioni, aderendo in particolare alle richieste dei gruppi dell'opposizione, hanno concordato unanimemente sull'opportunità di svolgere un ciclo molto ampio di audizioni, anche se concentrato nel tempo, richiedendo un ampliamento dei termini temporali di esame del provvedimento – una settimana in più – e così abbiamo ascoltato i rappresentanti della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale, della Conferenza delle regioni e delle province, dell'ANCI, della Confindustria, delle confederazioni sindacali CGIL, CISL, UIL e UGL, di Rete Imprese Italia, dell'Alleanza delle cooperative italiane, dei costruttori edili, della CONFAPI.
  Anche sulla base dei numerosi spunti emersi in queste audizioni, che travalicano naturalmente l'oggetto specifico del provvedimento al nostro esame, i gruppi parlamentari hanno presentato un numero piuttosto ampio di proposte emendative, considerate le dimensioni del decreto-legge, e questo testimonia l'attenzione che tutte le forze nutrono sulle problematiche affrontate dall'intervento legislativo. Rispetto a questa ricca attività emendativa, che – lo voglio dire subito – non è stata certamente ispirata da intenti ostruzionistici – lo riconosco volentieri – e che dunque consideriamo proficua ai fini del necessario dialogo tra Governo e Parlamento su questi temi, le presidenze delle Commissioni riunite, nel valutare l'ammissibilità degli emendamenti, hanno tuttavia dovuto necessariamente attenersi al dettato e alla prassi regolamentare in materia, corroborata da pronunce della Corte costituzionale e da alcuni espressi richiami in merito del Presidente della Repubblica anche nel corso della precedente legislatura.
  A questo fine, voglio ribadire che il criterio a cui il presidente Damiano ed io e le presidenze in generale sono state e sono vincolate è costituito dal contenuto proprio del decreto che, nel caso specifico, è circoscritto, per gli aspetti tributari, a una misura temporanea e non strutturale di sospensione dei versamenti concernenti la prima rata dell'IMU 2013, limitatamente ad alcune categorie di immobili, nelle more – come detto, ma voglio ripeterlo ancora – di una complessiva riforma della fiscalità immobiliare, che sarà realizzata con altro provvedimento.
  Sulla base di questo dato di fatto e non certo per ragioni di merito o di opportunità politica, le presidenze hanno dovuto dichiarare inammissibili tutte quelle proposte emendative che in materia intendessero realizzare subito interventi strutturali di modifica del quadro complessivo o di singoli aspetti della disciplina del tributo in esame, senza però che in alcun modo Pag. 5sia stato compresso il dibattito anche su aspetti più generali che superavano il contenuto del provvedimento. Infatti, proprio nel corso dell'esame in sede referente, sono stati illustrate e discusse una serie vasta di questioni, riprese anche da alcuni dei pareri espressi sul provvedimento dalle Commissioni competenti in sede consultiva, attinenti sia ad aspetti specifici della disciplina IMU, sia ai principi ispiratori che dovranno ridare la compiuta riforma della fiscalità immobiliare.
  Da questo punto di vista, desidero sottolineare, con particolare riferimento ad alcune considerazioni formulate dagli esponenti del gruppo del PD, come l'articolazione dell'intervento riformatore su questi temi dovrà necessariamente rappresentare, anche alla luce della particolare natura politica della maggioranza che sostiene il Governo, una sintesi equilibrata e innovativa delle diverse posizioni e sensibilità che sono emerse in materia, anche rivedendo, come accade in ogni dialogo creativo, la fissità delle rispettive posizioni di partenza.
  Ciò soprattutto nell'ottica complessiva di come la coalizione di maggioranza affronterà tutte le sfide economiche che abbiamo davanti: quella fiscale, quella sul lavoro e così via. Non c’è dubbio, a questo proposito, che una problematica così cruciale per la politica tributaria, per la vita dei contribuenti, nonché per l'attività delle amministrazioni comunali, debba essere sottratta a polemiche sterili e a contrapposizioni scontate, ma debba invece essere affrontata con buonsenso e con coraggio insieme – buonsenso e coraggio insieme –, perseguendo l'obiettivo di dare stabilità ed equità ad un comparto così importante del sistema tributario.
  Proprio in considerazione della necessità di non affrettare scelte politiche tanto delicate e di non pregiudicare il raggiungimento di un equilibrio complessivo, che soddisfi sia le esigenze dei cittadini sia quelle degli enti locali coinvolti, i relatori, in pieno accordo con il Governo, hanno ritenuto di invitare i presentatori di tutte le proposte emendative riferite agli articoli 1 e 2 a ritirarle, sottolineando come, al di là della bontà delle singole proposte, ogni scelta in materia debba essere compiuta in un contesto organico, il quale dovrà essere necessariamente il provvedimento, ormai imminente, con cui si procederà agli interventi strutturali sulla fiscalità immobiliare.
  In ogni caso, i relatori, pur consapevoli dei limiti in cui si svolge l'esame del provvedimento, non hanno inteso rinunciare al miglioramento del testo, accogliendo tre emendamenti di identico contenuto, presentati dai gruppi di maggioranza e di opposizione, volti a migliorare, in aderenza ad una delle condizioni espresse dalla Commissione affari costituzionali, la formulazione dell'articolo 3 in materia di divieto di cumulo tra trattamento economico riconosciuto ai componenti del Governo e indennità parlamentare. Inoltre, i relatori hanno presentato due emendamenti relativi alla copertura finanziaria di alcune previsioni dell'articolo 4 – a loro volta approvati dalle Commissioni –, che recepiscono le condizioni formulate ai sensi dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, dalla Commissione bilancio.
  La scelta dei relatori, dunque, di circoscrivere in termini chirurgici le modifiche non è stata ispirata alla velleità – tale sarebbe – di blindare pregiudizialmente il testo, soffocando il dibattito parlamentare o svilendo il contributo costruttivo fornito da tutti i gruppi, ma costituisce un esercizio di realismo, che consentirà di valorizzare ancora di più il lavoro nostro, il lavoro parlamentare nelle prossime settimane.
  In questo contesto, reputo comunque che, come già l'esame in sede referente, anche la discussione in Aula sul provvedimento costituisca un'occasione preziosa per chiarire le prospettive della riforma e per costituire fin d'ora alcuni indirizzi politici, eventualmente – se i colleghi lo vorranno – impegnando il Governo attraverso alcuni specifici ordini del giorno, alcuni dei quali sono stati già preannunciati in Commissione.
  Sto concludendo: nel ringraziare tutti i gruppi politici e tutti i colleghi intervenuti Pag. 6nel corso dei lavori delle Commissioni, auspico che sia il dibattito odierno quanto il prossimo lavoro parlamentare sui temi della riforma fiscale possano costituire davvero occasioni per una collaborazione aperta e proficua, che superi i contrasti preconcetti e le pregiudiziali ideologiche nell'interesse più generale del Paese.
  Da questo punto di vista, segnalo come un ulteriore appuntamento in questo senso sarà l'esame, che stiamo per cominciare in Commissione finanze, dei progetti di legge recanti delega al Governo per la riforma del sistema fiscale, su cui già è emersa una qualche positiva consonanza di orientamenti tra le forze politiche e in cui, ad esempio, dovrà essere affrontato il tema della riforma degli estimi catastali. Ricordo, infatti, che quasi tutti i gruppi politici presenti in Commissione hanno sottoposto la proposta di legge n. 1122, di cui sono primo firmatario solo in quanto presidente della Commissione, che riprende letteralmente il contenuto del disegno di legge n. 5291, esaminato dalla Commissione finanze e approvato all'unanimità, in prima lettura, alla Camera alla fine della scorsa legislatura.
  Con questo spirito esprimo fin da ora il mio personale impegno a favorire in ogni modo consentito dalle norme regolamentari e dal mio ruolo, sia politico sia istituzionale, un dialogo anche franco e serrato, ma sempre costruttivo tra Parlamento e Governo, tra maggioranza e opposizioni e anche tra i singoli gruppi, per superare gli ostacoli che hanno finora impedito di aprire una nuova fase della politica tributaria italiana, realizzando così quegli interventi di riforma di cui tutti a parole sentono l'esigenza, ma che il Paese attende da noi senza ritardi.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore per l'XI Commissione per la maggioranza, presidente dell'XI Commissione (Lavoro), deputato Cesare Damiano.

  CESARE DAMIANO, Relatore per la maggioranza per la XI Commissione. Signor Presidente, grazie. Ringrazio anche il rappresentante del Governo e gli onorevoli colleghi. Ringrazio anzitutto il presidente della VI Commissione, onorevole Capezzone, per la relazione che ha svolto sui primi due articoli del decreto-legge e, più in generale, per il clima di collaborazione e di proficuo confronto che si è instaurato nel lavoro delle due Commissioni riunite. Ringrazio anche il presidente Capezzone perché ha dato conto delle audizioni e degli emendamenti e, quindi, mi risparmierà ulteriori considerazioni.
  Secondo quanto concordato, mi soffermerò sulla parte del provvedimento che riguarda gli articoli 3 e 4 e che fa riferimento alle materie di più immediata competenza dell'XI Commissione in quanto reca interventi finalizzati, oltre che a dare un segnale positivo in direzione della riduzione delle spese della politica, anche ad intervenire sul rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga e dei contratti di solidarietà, nonché sui contratti a tempo determinato delle pubbliche amministrazioni, dettando disposizioni quanto mai opportune in una situazione di grave crisi economica come quella attuale. Prima di passare alla descrizione dell'articolato, vorrei ripercorrere brevemente il senso di questo intervento normativo, soprattutto per quanto concerne il rifinanziamento degli ammortizzatori in deroga di cui all'articolo 4, commi da 1 a 3. Anch'io, come ha ricordato l'onorevole presidente Capezzone, ribadisco il fatto che ci troviamo di fronte ad un decreto-ponte e, quindi, ad un decreto temporaneo. È un passo avanti, sicuramente riconosciuto da tutti, ma al tempo stesso sappiamo che questo passo avanti non risolve completamente il problema data la gravità della situazione economica e sociale.
  Vorrei brevemente fare un riepilogo delle risorse finanziare dell'articolo 4 per chiarire quali saranno le risorse complessivamente messe a disposizione per gli ammortizzatori sociali. Noi abbiamo una disponibilità totale, per il 2013, a legislazione vigente, che ammonta a oltre due miliardi di euro: risorse già disponibili sulla base della legge n. 92 del 2012 (un miliardo di euro), fondi derivanti da riprogrammazione Pag. 7di fondi strutturali cofinanziati (288 milioni di euro), sgravi contributivi per i contratti di produttività (250 milioni di euro), fondi interprofessionali per formazione (246 milioni di euro), Fondo sociale occupazione e formazione (219 milioni di euro), per un totale di 2 miliardi e 3 milioni di euro ai quali si aggiunge una risorsa per i contratti di solidarietà pari a 57,6 milioni di euro. Quindi, una dotazione importante, sicuramente rilevante, ma sappiamo, come le audizioni ci hanno chiarito con grande precisione, non sufficiente a coprire tutti i fabbisogni.
  Naturalmente, noi riteniamo positivo questo decreto-legge, pur nella sua limitatezza, perché è anche previsto un monitoraggio della situazione della cassa integrazione in deroga e, ovviamente, siamo sicuri che, al momento opportuno, il Governo dovrà dare le risposte necessarie per reperire ulteriori risorse. Nel frattempo, suggeriamo al Governo anche di valutare, ad esempio, una modifica dell'attuale legislazione per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali. Perché non consentire, dopo l'utilizzo della cassa integrazione straordinaria e il conseguimento del tetto massimo, un nuovo utilizzo della cassa integrazione ordinaria ? Questa novità normativa diminuirebbe, ad esempio, la necessità di utilizzare la cassa integrazione in deroga e, quindi, non graverebbe con oneri eccessivi sulla collettività. Così come noi sappiamo perfettamente che, in un tempo di risorse limitate, queste risorse vanno ben distribuite, e per quanto riguarda la parte relativa alle questioni di carattere sociale, noi, oltre alla cassa integrazione in deroga che va rifinanziata, oltre ad eventuali interventi di modifica degli ammortizzatori sociali, oltre alla questione dell'ampio utilizzo dei contratti di solidarietà, non vogliamo dimenticare – il Governo se ne sta occupando – il tema dell'occupazione, sicuramente dei giovani, ma anche di chi ha perso il lavoro dopo i cinquant'anni di età, e il tema delle pensioni che anch'esso ha bisogno di avere una risposta.
  Penso all'estensione dei cosiddetti salvaguardati o all'introduzione di un criterio di flessibilità nel sistema pensionistico.
  Detto questo, passo ora alla rapida descrizione dell'istruttoria svolta dalle Commissioni riunite e dell'articolato per le parti di nostra competenza. Sotto il profilo del metodo, vorrei anzitutto segnalare che, anche sulla parte relativa alle misure sul lavoro, le audizioni svolte dalle Commissioni hanno consentito di acquisire un ampio spettro di elementi conoscitivi, che è stato molto utile per il lavoro istruttorio e che potrà anche, in prospettiva, costituire un'ottima base di informazione per successivi interventi normativi.
  Evidenzio, inoltre, che tutte le Commissioni competenti in sede consultiva si sono espresse positivamente sul provvedimento nei propri pareri, sebbene alcune di esse abbiano formulato specifiche condizioni e osservazioni. Di tali rilievi le Commissioni riunite VI e XI hanno tenuto conto, ritenendo di accogliere le condizioni poste dalla Commissione bilancio e una delle due condizioni inserite nel parere della Commissione affari costituzionali. Per le restanti osservazioni, invece, si è valutato preferibile rinviare ad eventuali ordini del giorno, da presentare in Assemblea, che appaiono più idonei in questa fase a sollevare le questioni rappresentate nei pareri espressi. Al contempo, vorrei far notare che i rilievi formulati dal Comitato per la legislazione, pur di indubbia rilevanza, non sono stati giudicati tali da richiedere espresse modifiche del testo.
  Passando, quindi, all'articolato del provvedimento, rilevo anzitutto che l'articolo 3, al fine di provvedere ad un contenimento dei costi della politica, vieta ai membri di Governo, che sono anche parlamentari, di cumulare il trattamento stipendiale spettante in quanto componenti dell'Esecutivo con l'indennità parlamentare ovvero con il trattamento economico in godimento se dipendenti pubblici, qualora vi abbiano optato ai sensi del decreto legislativo n. 165 del 2001.
  Su questo articolo, mi limito a segnalare che le Commissioni, rispetto al testo originario, hanno apportato una limitata Pag. 8modifica, approvando specifici emendamenti di iniziativa dei gruppi di opposizione, che ha precisato che sono soggetti alla misura anche i Viceministri, categoria che, peraltro, avrebbe dovuto comunque rientrare nell'ambito di applicazione del divieto in quanto completamente equiparata a quella dei sottosegretari.
  Rilevo, inoltre, che le Commissioni si sono riservate di deferire al Comitato dei nove un'ulteriore questione, contemplata nella seconda delle condizioni formulate nel parere della Commissione affari costituzionali, questione relativa alle possibili disparità di trattamento tra i componenti del Governo. Si tratta, infatti, di capire se vi siano i margini per dettare un'analoga disposizione anche con riferimento ai membri del Governo che non siano parlamentari – i cosiddetti tecnici – che, al momento, hanno diritto ad una speciale indennità pari a quella dei parlamentari, che può essere cumulata con un'eventuale trattamento retributivo di base.
  Passando, poi, ad esaminare l'articolo 4 del testo, faccio notare che esso, al comma 1, in considerazione del perdurare della crisi occupazionale e della prioritaria esigenza di assicurare adeguate tutele del reddito dei lavoratori, dispone il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga. Tale misura, nel mantenere ferme le risorse già destinate al finanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga, ne stanzia di nuovi, incrementando innanzitutto, come ho già ricordato, di 250 milioni il Fondo sociale per l'occupazione e formazione. A tal fine, si prevede una corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa del Fondo per lo sgravio contributivo dei contratti di produttività che, in ogni caso, il Governo, come si evidenzia nella relazione illustrativa del decreto, assume l'impegno di reintegrare allo scopo di assicurarne le previste finalità.
  Inoltre, la lettera b) del medesimo comma 1 dell'articolo 4 è volta ad accelerare il procedimento amministrativo di rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga, prevedendo che le risorse derivanti dall'aumento contributivo per l'anno 2013 siano versate all'INPS per un importo di 246 milioni di euro, ai fini della successiva riassegnazione al Fondo sociale per l'occupazione e formazione.
  Le risorse in questione sono quelle che finanziano i Fondi paritetici interprofessionali nazionali per la formazione continua, organismi di natura associativa promossi dalle parti sociali attraverso specifici accordi interconfederali stipulati con le organizzazioni sindacali.
  La lettera c) del comma 1, dell'articolo 4, dispone poi un ulteriore incremento delle risorse del Fondo sociale per l'occupazione e la formazione pari a 219 milioni di euro per l'anno 2013 indicando le diverse forme di copertura; parimenti, vi sono altri 288 milioni di euro che derivano dalla riprogrammazione dei fondi strutturali cofinanziati dalle regioni.
   Il comma 2 dell'articolo 4 demanda ad un decreto interministeriale del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previo parere della Conferenza Stato-regioni e sentite le parti sociali, da adottare entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, la determinazione, nel rispetto degli equilibri di bilancio programmati, dei criteri per la concessione degli ammortizzatori sociali in deroga; argomento di indubbia complessità che richiede, quindi, un approfondimento molto attento.
  Si prevede inoltre che l'INPS, sulla base dei decreti di concessione inviati telematicamente dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dalle regioni, effettui un monitoraggio, anche preventivo, della spesa rendendolo disponibile al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero dell'economia e delle finanze, al fine di verificare gli andamenti di spesa e poter conseguentemente intervenire nel settore con misure adeguate.
  Osservo, quindi, che il comma 3 del medesimo articolo 4 interviene sull'articolo 1, comma 405 della legge n. 228 del 24 dicembre 2012, prevedendo che si mantengano nel conto dei residui, per l'importo di 57 milioni di euro circa, le somme impegnate per il finanziamento dei contratti di solidarietà e non ancora pagate, Pag. 9affinché nel 2013 siano versate all'entrata del bilancio dello Stato per la riassegnazione allo stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali per essere destinate alle medesime finalità. Rispetto ai commi richiamati ricordo che le Commissioni riunite hanno approvato due emendamenti di natura tecnica derivanti dalle condizioni poste nel proprio parere dalla Commissione bilancio.
  Segnalo, poi, il comma 4 di tale articolo 4 che modifica l'articolo 1, comma 400 della legge n. 228 del 2012, al fine di autorizzare le pubbliche amministrazioni a prorogare fino al 31 dicembre 2013 i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato nella pubblica amministrazione in essere al novembre 2012, che superino il limite di 36 mesi comprensivi di proroghe e rinnovi o il diverso termine previsto dai contratti collettivi nazionali di comparto previo accordo decentrato con le organizzazioni sindacali.
  Infine, il comma 5 del medesimo articolo 4 proroga al 31 dicembre 2013 il termine dei contratti di lavoro a tempo determinato, in scadenza il 30 giugno prossimo, dei 632 lavoratori impiegati presso gli sportelli unici per l'immigrazione delle prefetture-uffici territoriali del Governo e presso gli uffici immigrazione delle questure.
  In conclusione, credo che l'Assemblea possa apprezzare questa prima risposta che il decreto-legge al nostro esame intende dare rispetto alle esigenze oggettive del mondo del lavoro per cui mi auguro che si possa giungere, rapidamente, alla definitiva conversione in legge di un decreto-legge molto atteso. Sicuramente il dibattito ci aiuterà per andare in questa direzione consapevoli, tutti, della situazione particolare del momento, della gravità della situazione economica e sociale che deve farci apprezzare i passi, anche se non risolutivi, che il Governo sta compiendo per affrontare le situazioni di più grave emergenza.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, deputato Massimiliano Fedriga.

  MASSIMILIANO FEDRIGA, Relatore di minoranza. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il testo approvato dalla maggioranza nelle Commissioni finanze e lavoro non può ritenersi in alcun modo soddisfacente.
  Il provvedimento, così come formulato, risulta caratterizzato da una logica emergenziale e privo di una visione strategica e programmatica, incapace di fornire ai cittadini prospettive di medio e lungo periodo nel segno di una complessiva incertezza sugli interventi e sulle coperture. Le premesse coraggiose formulate dal Presidente del Consiglio dei ministri nel suo discorso di insediamento si sono rivelate puro fumo negli occhi, considerate le misure contenute nel presente decreto-legge.
  Svanisce la speranza di vedere finalmente realizzato un sostegno concreto a imprese e lavoratori. Non a caso, le imprese sono totalmente escluse da questo decreto, ma dopo, Presidente, approfondirò la questione. Sono interventi palliativi, che tamponano situazioni di impellenza rinviando semplicemente il problema, nessuna azione strutturale volta ad alleggerire il carico fiscale su cittadini, imprese e lavoratori. Ma il tempo stringe e la ripresa economica stenta a ripartire. Da tre anni il saldo tra natalità e mortalità delle aziende italiane è sempre negativo: gli ultimi dati registrano che nel primo trimestre dell'anno in corso la crisi ha fatto chiudere 31.351 imprese, il saldo peggiore dal 2004.
  Per questo, cari colleghi, riteniamo non ci fosse bisogno di un decreto interlocutorio e, invece, dovessimo puntare ad un vero decreto del coraggio – infatti, invece che «del fare» sarebbe meglio un decreto «del coraggio» visto che del fare, nell'ultimo decreto, c’è molto poco – che andasse ad intervenire realmente sulle esigenze di cittadini e imprese. Sull'IMU, ad esempio, il provvedimento si limita a prevedere una sospensione del versamento della prima rata 2013 fino al 16 settembre prossimo, nelle more di una complessiva riforma della disciplina dell'imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare sulla base di taluni dei principi esplicati.Pag. 10
  Ma la sospensione non riguarda tutti gli immobili, bensì solo quelli adibiti ad abitazione principale, i terreni, fabbricati agricoli, gli immobili delle cooperative edilizie e le cosiddette case popolari. La Lega aveva presentato una serie di proposte di modifica di assoluto buonsenso, prive di demagogia e volte ad un sostanziale e responsabile miglioramento del testo. Questi nostri appelli, questi nostri emendamenti sono stati totalmente inascoltati. Dispiace sentire il presidente Capezzone che dice che sono state fatte modifiche «chirurgiche» e che è stato lasciato spazio all'opposizione di intervenire: è stato impedito all'opposizione di intervenire sulla sostanza del provvedimento. Anzi, Presidente, le chiedo un attimo di particolare attenzione: mi rivolgo a lei perché, dal nostro punto di vista – le parlo anche in qualità di relatore di minoranza – non è possibile che sia vietato a parlamentari, con la scusa dell'inammissibilità, di presentare emendamenti che nella sostanza modificano una parola di un testo, cioè da «sospensione» ad «eliminazione»; sto parlando dell'IMU. I relatori si possono dire contrari nel merito, la Commissione bilancio può dire, se lo riterrà, che non abbiamo trovato coperture adeguate, ma non si può dire che sono inammissibili.
  Presidente, le chiedo di farsi portavoce anche verso la Presidente Boldrini di questa impossibilità di intervenire da parte dell'opposizione: se incominciamo con questo tipo di logica vuol dire che qualsiasi emendamento che non riprenda le parole testuali del testo uscito dal Governo si potrà dichiarare inammissibile. Non possiamo accettare che un emendamento sia dichiarato inammissibile perché si passa da «sospensione» ad «eliminazione». Stavamo pienamente nel tema del decreto che stiamo trattando; siamo pienamente all'interno delle finalità che si era posto il Governo stesso emanando questo decreto. Ma non solo, Presidente, oltre ad entrare in questo problema procedurale, che noi riteniamo fondamentale – e le domando se questa diventerà prassi all'interno di Commissione ed Aula –, come gruppo della Lega Nord eravamo anche intervenuti per cercare di intervenire su quei principi esplicati all'interno del testo del decreto stesso. Intanto voglio sottolineare l'estemporaneità di un decreto dove si inseriscono principi che non sono deleghe che vengono date al Governo, ma dei principi, dei principi messi in una norma, e non si capisce a quale fine e con quale valore, un atto assolutamente atipico che noi, però, abbiamo voluto leggere positivamente.
  L'abbiamo voluto leggere tanto positivamente che abbiamo presentato delle proposte emendative; la Lega Nord ha presentato degli emendamenti che non necessitavano di copertura perché entravano proprio in quei principi individuati dal Governo stesso, perché in Commissione è stato detto dai relatori: ma no, dovremmo valutare la questione quando si farà la riforma fiscale, non si possono prevedere adesso dei principi.
  Peccato che il Governo li abbia previsti proprio sulla deducibilità dell'IMU, per quanto riguarda gli impianti produttivi. Noi avevamo chiesto di aggiungere anche il principio che, nella riforma fiscale, e parlo anche al Governo, fosse esplicitato che veniva eliminato l'IMU sulla prima casa. Non servivano coperture, non servivano particolari, diciamo, formulazioni per rendere chiara questa volontà; serviva solo che vi fosse questa apertura, di cui ha parlato il presidente Capezzone, ma che noi non abbiamo visto – e mi riferisco alle affermazioni di molti rappresentanti sia del Governo sia dei gruppi di maggioranza rese ai mezzi di informazione –, che si traducesse anche nell'attività legislativa di questa Camera.
  Ebbene, i relatori di maggioranza hanno espresso parere contrario su un emendamento che prevedeva l'introduzione del principio di eliminazione dell'IMU sulla prima casa nella futura riforma che il Governo ha promesso di porre in atto.
  Non solo, noi abbiamo cercato di intervenire a favore delle imprese, chiedendo la sospensione, che purtroppo ad oggi risulterà quasi inefficace, vista la scadenza, anche per le attività produttive; Pag. 11abbiamo chiesto la sospensione anche per tutti quei cittadini che danno in comodato gratuito a parenti di primo grado un alloggio e viene adibito, ovviamente, per questo parente ad abitazione principale. Nessuna risposta, se non un blocco per non modificare assolutamente il testo. L'unica parte che le opposizioni, con l'emendamento della Lega, sono riuscite a modificare è appunto quella in riferimento alla quale vengono inseriti anche i vice ministri all'interno di quel blocco che è garantito dal Governo per ministri e sottosegretari.
  Badate bene, questo emendamento è stato accolto dopo una modifica di parere da parte dei relatori.
  Ma l'indicazione, la volontà di non volere ascoltare in alcun modo le opposizioni all'interno dei lavori delle Commissioni era talmente elevata che su questo emendamento di buon senso, oltretutto avvalorato da tutte le relazioni tecniche che ci sono pervenute, è stato dato parere contrario dai relatori di maggioranza.
  E qui noi ci auguriamo, e mi auguro in qualità di relatore di minoranza, che gli emendamenti di tutte le opposizioni e non solamente del gruppo a cui appartengo, della Lega Nord, nell'Aula verranno valutati con la dovuta attenzione e con la consapevolezza che anche i parlamentari di opposizione sono qui per rendere un buon servizio ai cittadini di questo Paese. Non sono in quest'Aula per mettere in difficoltà la maggioranza sempre e comunque; sono qui per portare il loro contributo con i loro emendamenti e magari migliorare un testo e fare uscire da questa Aula un testo più utile ad aziende, cittadini che sono costretti a pagare un salasso voluto in questo caso ovviamente, principalmente per quanto riguarda l'IMU, dal Governo precedente Monti che guarda caso aveva come, diciamo, appoggio nella maggioranza che adesso sta appoggiando questo medesimo Governo.
  Noi ci auguriamo quindi, e chiudo Presidente, che questa apertura venga nel merito ma le chiedo a lei, in qualità di Presidente, anche nel metodo. Non vorremmo trovarci nella stessa situazione trovatasi in Commissione e penso che sia un atto di coraggio, trasparenza e oggettività anche saper dire che le Commissioni hanno sbagliato nel vaglio di ammissibilità da parte della Presidenza; ciò anche per tutelare le opposizioni, Presidente, perché, voglio ricordare ai colleghi che sono in questa Aula, non si è maggioranza per sempre e non si è opposizione per sempre.
  E se andiamo quindi a modificare o a fare regole così stringenti prima o poi tutti passano per quella ruota, e se non si capisce l'importanza di tutelare le opposizioni vuol dire che non si capisce l'importanza di questo stesso Parlamento, grazie.

  PRESIDENTE. Deputato Fedriga, prima di dare la parola al rappresentante del Governo, colgo la sua insistente sottolineatura in merito al criterio molto stringente e rigoroso con il quale sono stati resi inammissibili alcuni emendamenti.
  Ricordo tuttavia – lei lo sa meglio di me – che, ai sensi del comma 7 dell'articolo 96-bis del Regolamento, non possono ritenersi ammissibili le proposte emendative che non siano strettamente attinenti alle materie oggetto dei decreti-legge all'esame della Camera. Questo criterio è più restrittivo di quello dettato con riferimento agli ordinari progetti di legge dall'articolo 89 del Regolamento, il quale attribuisce al Presidente la facoltà di dichiarare inammissibili gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che siano estranei all'oggetto del provvedimento. Ricordo a tutti noi che vi è una lettera circolare del Presidente della Camera del 10 gennaio 1997 sull'istruttoria legislativa, la quale precisa che, ai fini del vaglio di ammissibilità delle proposte emendative, la materia dev'essere valutata con riferimento ai singoli oggetti e alla specifica problematica affrontata dall'intervento normativo. Ricordo infine che, su questa materia, siamo stati più volte richiamati, in particolar modo dalla sentenza della Corte costituzionale n. 22 del 2012 e da alcuni richiami espressi dal Presidente della Repubblica nel corso della precedente legislatura.Pag. 12
  Rileggo in particolare un brano della sentenza della Corte costituzionale: L'innesto nell'iter di conversione dell'ordinaria funzione legislativa può certamente essere effettuato per ragioni di economia procedimentale, a patto «di non spezzare il legame essenziale tra decretazione d'urgenza e potere di conversione». Se tale legame viene interrotto, la violazione dell'articolo 77, secondo comma, della Costituzione non deriva dalla mancanza dei presupposti di necessità ed urgenza per le norme eterogenee aggiunte che, proprio per essere estranee ed inserite successivamente, non possono collegarsi a tali condizioni preliminari (sentenza n. 335 del 2010) ma per «l'uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione gli attribuisce, con speciali modalità di procedura, allo scopo tipico di convertire, o non, in legge un decreto-legge».
  La materia peraltro, come ricorda il deputato Fedriga che era presente anche nelle altre legislature, è sempre stata oggetto di particolare riflessione. È convocata credo per domani la Conferenza dei presidenti di Commissione, in cui immagino si potrà anche tornare sull'argomento, in particolar modo, come i colleghi della Camera sanno, per richiedere una analogia stringente tra Camera e Senato, perché una delle questioni che ci troviamo spesso a dover affrontare è una giusta attenzione, un giusto rigore nella selezione degli emendamenti ammissibili da parte della Camera, cui corrisponde un criterio un po’ diverso da parte dell'altro ramo del Parlamento.
  In ogni caso la Presidenza ha raccolto la sua sollecitazione, e riferirà al Presidente della Camera al termine di questa seduta.
  Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

  PIER PAOLO BARETTA, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, mi riservo di replicare alla fine della discussione

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Carla Ruocco. Ne ha facoltà.

  CARLA RUOCCO. Signora Presidente, Ministri, deputati, Svetonio diceva che il buon pastore deve tosare le proprie pecore, non scorticarle. Anche gli usurai, forti delle loro tragiche esperienze, sanno che lo «strozzato» va incalzato, spolpato, depauperato giorno per giorno con meticolosa precisione, ma senza mai costringerlo a morire.
  Voi classe dirigente, politici, tecnici, con i vostri servi e i vostri complici, voi che da vent'anni occupate le istituzioni, sempre gli stessi, inamovibili e graniticamente presenti, non solo non prendete esempio da Svetonio, ma neppure riuscite ad emulare gli strozzini. Voi responsabili del debito pubblico, artefici della più spaventosa rapina del secolo, voi che vi riempite la bocca di frasi roboanti e le tasche del denaro appartenente al popolo.
  Voi classe dirigente e casta oppressiva, che giurate di osservare la Costituzione e di difendere gli interessi del popolo italiano, ignorate Svetonio e andate anche oltre gli usurai. Per la vostra incapacità, la vostra determinazione in difesa dei vostri privilegi e del vostro incontrollato potere, costringete le vostre vittime a soccombere.
  Il debito pubblico, che voi avete creato, aumentato, ingigantito e gestito, l'avete portato secondo gli ultimissimi dati della Banca d'Italia a 2.041 miliardi di euro, 2.041 miliardi di euro ! Signora Presidente della Camera, sono tanti e sfido l'illuminato capogruppo del Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente, dall'alto delle sue competenze universalmente riconosciute, a riportare la cifra da euro in lire e trascrivere il risultato su una paginetta a quadretti, possibilmente senza ricorrere all'aiuto dei suoi validissimi consulenti.
  Le entrate tributarie, sempre secondo i dati della Banca d'Italia, nel I trimestre 2013 sono pesantemente aumentate di un ulteriore 1,7 per cento, ma questo dato è accompagnato da una riduzione del PIL del 2,4 per cento rispetto allo stesso periodo del 2012 e dello 0,6 per cento rispetto al trimestre precedente. Ciò vale a dire una pressione fiscale che aumenta esponenzialmente, attestandosi secondo stima del Tesoro intorno al 44,4 per cento.Pag. 13
  In questo quadro, con la disoccupazione al 12 per cento e al sud al 17 per cento, l'Italia muore. Le pecore, le vostre pecore, non possono più vivere, smettono di produrre lana e latte e, non volendo darvi la soddisfazione di continuare a trattarle come animali, senza presente e privati del futuro, la fanno finita, si suicidano e muoiono in numero sempre maggiore. Secondo la COMITAS, associazione di microimprese, nei primi tre mesi di quest'anno trentadue persone si sono tolte la vita, trentadue nostri concittadini si sono ammazzati. Erano disoccupati, piccoli imprenditori, giovani e anziani perseguitati dal fisco e oppressi dall'insopportabile situazione economica.
  Di fronte a ciò, voi che siete da sempre i responsabili, gli autori, gli approfittatori di questo sfracello nazionale, continuate nella pantomima del: tutto andrà bene, signora la marchesa, nella vostra splendida e magnificente rappresentazione della commedia degli equivoci, nel vostro gioco delle parti. Siete gli stessi, tutti insieme, che tre anni or sono avete inventato l'IMU, che due anni or sono ne avete anticipato l'applicazione e che quest'anno ne avete differito la riscossione, mentendo spudoratamente sulla vostra volontà di abolirla. Siete gli stessi, tutti insieme, che anni addietro avete aumentato l'IVA, che l'anno scorso ne avete deciso un altro aumento e che quest'anno proponete il differimento mentendo ancora una volta tutti insieme spudoratamente. Siete sempre gli stessi, professori, tecnici, politici e saggi di fresca nomina, che con le vostre decisioni larghissimamente intese e unanimemente approvate, avete distrutto lo Stato sociale, mortificato la salute pubblica, aggredito la scuola statale, strozzato gli enti locali ed i cittadini mono-protetti e per questo più deboli. Siete sempre voi, tutti insieme, che state aspettando l'esito delle sentenze che riguardano il vostro cavaliere, presunto evasore fiscale, rispettato e garantito, e che nell'attesa promette facilitazioni per chi assume, ben sapendo che non si assume quando non c’è lavoro, incentivi per chi investe, sapendo che non si investe quando non c’è mercato e promettendo semplificazioni temporali sugli adempimenti fiscali e amministrativi ben sapendo che se un'impresa non può onorare il fisco, non lo potrà onorare né a gennaio e né a luglio.
  Ed oggi chiamati a convertire il vostro «raffazzonato», inconcludente e demagogico decreto-legge, ci troviamo solo un paio di aspetti positivi in questo decreto-legge delle pubbliche illusioni e degli unanimi inganni: quello che riguarda il doveroso rifinanziamento della cassa integrazione e quello che interviene sui precari della pubblica amministrazione, ma anche queste sono norme «raffazzonate» e senza alcuna ambizione sistemica, inserite accanto alla dilatoria sospensione del pagamento dell'IMU, rinviato di tre mesi e al conclamato e sbandierato taglio degli stipendi dei Ministri già parlamentari, compreso Letta «il giovane». Voi, signori demagoghi, vi riducete lo stipendio di 3 mila euro al mese, mantenendovi quello intoccabile di 18 mila euro.
  Noi, incompetenti, inadeguati, rissosi ed inesperti, lo abbiamo decurtato del 50 per cento e abbiamo rinunciato a 42 milioni di euro di finanziamento pubblico ai partiti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), in linea con quanto già espresso dalla volontà popolare, ma voi siete bravi, belli, telegenici ed amici del presunto evasore, nonché i nipoti dell'amico più amico di tutti.
  Noi, invece, siamo terreno da pascolo, da circuire, da blandire e da convincere. Ma noi siamo anche le pecore, quelle pecore risvegliate da un «grillo», rispettose delle istituzioni, dei ruoli e delle prerogative, e vogliamo rappresentare tutte le pecore di questo Paese, quelle vessate, derubate, quelle dominate e anche quelle che avete «suicidato».
  Per questo, pur avendo presentato tutta una serie di proposte di buonsenso, in Commissione esse sono state tutte respinte. Abbiamo appoggiato un emendamento per abolire totalmente l'IMU, ma è stato bocciato. Mi rivolgo a voi, che sbandierate l'abbattimento fiscale nei talk show di regime: abbiamo proposto di estendere la sospensione del pagamento della prima Pag. 14rata dell'IMU anche agli immobili del gruppo catastale D, che include quelli ad uso produttivo, ma voi lo avete impedito.
  Abbiamo proposto, almeno, di bloccare la rivalutazione catastale degli stessi immobili ad uso produttivo, ma voi vi siete dichiarati contrari. Voi, responsabili del disastro, voi del PdL e del PD che fingete pure di essere i tutori e i difensori dei piccoli imprenditori, siete contrari e contrariati dalle nostre proposte, salvo, a tratti, copiarle, come quella sull'impignorabilità della prima casa, che ricalca un nostro progetto di legge, prima da voi ignorato, poi ripescato per meri scopi elettorali.
  Ci auguriamo che possiate finalmente e adeguatamente copiare anche gli altri 19 punti del nostro programma. La speranza è l'ultima a morire ! Abbiamo proposto, a gran voce, il taglio immediato degli stipendi dei parlamentari, ma voi, sordi. Abbiamo proposto l'immediata abolizione dei truffaldini rimborsi elettorali, ma voi, muti. Abbiamo chiesto di rivedere gli apparati degli enti inutili, veri e propri bacini di voti, dei quali non si conosce neanche il reale numero. Per quanto riguarda le spese militari, solo per citare il «Forza NEC», il colossale piano di digitalizzazione dell'esercito, si prevedono 22 miliardi di preventivo: roba da fare impallidire quanto preventivato per l'acquisto degli F-35, ma voi, ciechi.
  Abbiamo chiesto maggiore trasparenza sui redditi e sui patrimoni dei politici, ma voi, nulla. Abbiamo proposto che questi evidenti risparmi confluissero in un fondo per il sostegno alle microimprese. Vi abbiamo chiesto di parlare degli sprechi, quelli veri, di discutere le assunzioni temporanee di vostri amici consulenti e di quelle per chiamata diretta dei vostri obbedienti dirigenti, ma voi, impassibili.
  Vi abbiamo sottolineato che uno dei grandi problemi del nostro Paese è la corruzione, quella delle società in house, che servono solo a foraggiare e mantenere i vostri clientes, quella delle società pubbliche o parapubbliche conniventi con la vostra politica, quella dei consigli di amministrazione, rifugio di amici e del «giaguaro», mai sbiancato, di amici, parenti ed affini, ancorché trombati (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  Il problema è la corruzione, che si annida tanto nella politica quanto nell'amministrazione, e che soffoca, con il suo tanfo, non solo l'economia, ma anche la speranza di una società che possa almeno confidare su una minima base di etica pubblica. Vi abbiamo indicato che il problema è anche il vostro immobilismo, la vostra inamovibilità, non solo elettiva, ma anche burocratica. Il politico fa politica in eterno: se del caso, nomina il figlio, il nipote, l'amante, il faccendiere, meglio se pregiudicato, e, con il politico, il burocrate, il dirigente, l'alto dirigente non cambia mai.
  Secondo lo schema del giochetto delle sedie musicali, gli si offrono altre sedie, altre musiche, altri incarichi, altre prebende, e loro cantano, ballano e si divertono, anche quando la musica finisce. Questo produce casta, consente il radicamento della casta, la vostra casta, immobile ed inamovibile, che determina l'esatto opposto della tanto strombazzata meritocrazia e riproduce se stessa, con tutti i privilegi e gli onori possibili e immaginabili.
  Ora basta ! Mi appello al Presidente del Consiglio, ai Ministri, ai deputati della maggioranza: i 18 mesi che vi siete presi per cucinarvi le riforme tanto attese usateli per fare qualcosa di buono. E se vi sarà qualcosa di buono per il popolo italiano, per la gente umile, per quella massa di benemerite formichine che lavorano giorno dopo giorno con serietà, scrupolo e dedizione e che rischiano anche la vita lavorando, avrete – lo ribadiamo – tutto il nostro appoggio.
  Ma se continuate nel solito esercizio di aumentare i vostri privilegi, i vostri onori e i vostri smisurati poteri, sappiate che non vi seguiremo. Continueremo a voler rappresentare le pecore citate da Svetonio, aiutandole, soccorrendole ed impedendo loro di lasciarvi campo libero, suicidandosi.
  Attenzione, signor Letta il «giovane», rammenti la vicenda di quell'altro giovane: Pag. 15lui, zio di suo nipote, e non nipote di suo zio, lui, Plinio, nobilissimo cultore di altissime cariche pubbliche, credeva di poter osservare da una postazione sicura, protetto da una nave e da un equipaggio di fedelissimi, l'evolversi della tragica eruzione del Vesuvio. Ma si sbagliava, signor Letta, si sbagliava anche lui (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) !

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Cristina Bargero. Ne ha facoltà.

  CRISTINA BARGERO. Signora Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge oggi al nostro esame prevede la sospensione del versamento di giugno dell'IMU per alcune categorie di immobili, ossia l'abitazione principale (fatta eccezione per gli immobili di lusso), gli immobili di cooperative edilizie a proprietà indivisa adibiti ad abitazione principale dei soci assegnatari e gli alloggi assegnati dagli IACP e, infine, i fabbricati rurali e i terreni agricoli.
  Tale sospensione opera sino al 31 agosto, in attesa di una rivisitazione complessiva dell'imposizione fiscale gravante sul patrimonio immobiliare, che tenga conto di due aspetti, ossia della riforma del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi, la TARES, e di un nuovo assetto della potestà impositiva tra il livello di governo centrale e quello locale.
  Questo, a nostro parere, è uno snodo fondamentale per l'azione del Governo e del Parlamento nei prossimi mesi.
  Se guardiamo alle teorie economiche in materia di tassazione, non viene definito in modo dettagliato quale sia l'assetto fiscale riguardo alla ricchezza immobiliare, né è possibile, utilizzando un unico modello, considerare tutti gli elementi che sono presenti nel mondo reale, tra cui, ad esempio, la presenza diffusa di evasione fiscale e l'esistenza di costi amministrativi nella determinazione e nella riscossione delle imposte. Ciò nonostante, dalla teoria economica ci giungono alcune suggerimenti utili a indirizzare le politiche fiscali più appropriate.
  In tal senso, la scelta compiuta dal legislatore italiano nell'attribuire ai comuni una potestà impositiva sulla ricchezza immobiliare, includendovi anche le abitazioni principali, ha il suo fondamento nella letteratura relativa al federalismo. Per quanto riguarda gli immobili, infatti, è quasi insussistente il rischio di erosione della base imponibile in presenza di diversi livelli di tassazione tra giurisdizioni, cosicché si evita il fenomeno della concorrenza «coi piedi alla TV». Per cui non vi è nulla in contrario ad assegnare la responsabilità a livello locale. Un'imposta reale, che si basa cioè su oggetti fisici, è più facilmente gestibile da una circoscrizione amministrativa piccola. Altre imposte, invece, quali quelle personali o sugli affari, risultano più difficilmente suddivisibili a livello territoriale o presentano basi imponibili più facili da spostare.
  Il governo locale, cui fa capo la tassazione immobiliare, è tra l'altro lo stesso che con politiche pubbliche, investimenti e servizi, contribuisce a determinare il valore stesso dell'immobile e risulta quindi incentivato ad erogare servizi pubblici di qualità, in quanto in tal modo aumentano le sue entrate.
  Inoltre, la tassazione immobiliare a livello locale spinge gli amministratori ad una disciplina di bilancio più attenta, in quanto è più vicina e visibile all'elettore, che, al momento del voto, o della scelta del luogo di residenza, ne potrà tenere conto.
  In tutti i Paesi europei l'imposta dei comuni è legata al valore delle proprietà immobiliari. Tasse simile all'IMU esistono in Francia (la taxe foncière), in Gran Bretagna (la council tax), in Spagna e in Germania.
  Passando alla recente storia della tassazione immobiliare nel nostro Paese, si rileva che in Italia l'ICI è stata introdotta a partire dal 1993, con un conseguente effetto per la composizione delle entrate dei comuni, per cui le entrate proprie costituiscono, per un largo periodo di tempo, il 33,4 per cento delle entrate correnti e i trasferimenti il 47 per cento. Fino al 2007 la situazione rimane stabile. Dopo l'esenzione dal pagamento dell'ICI degli immobili adibiti ad abitazione principale, avvenuta nel 2008, negli ultimi anni Pag. 16la quota di entrate proprie dei comuni si è ridotta, passando dal 38,3 per cento del 2007 al 28,9 per cento del 2010, mentre i trasferimenti correnti hanno aumentato il loro peso sul totale delle entrate correnti.
  L'IMU, invece, è stata introdotta dal Governo Berlusconi con il decreto Calderoli sul federalismo fiscale, che prevedeva, a partire dal 1o gennaio 2014, un'imposta municipale propria sugli immobili ad uso abitativo, ad eccezione della prima casa, e che, in un unico adempimento fiscale, avrebbe accorpato le diverse forme di tassazione che gravano sugli immobili: tariffa rifiuti, IRPEF, IVA, imposte di registro, imposte catastali e imposte sui mutui.
  La manovra del Governo Monti del dicembre 2011 ha anticipato l'entrata in vigore dell'IMU, estendendola nuovamente alle prime case, nel contempo adeguando le basi imponibili con l'incremento dei valori catastali, con una detrazione di 200 euro per la prima casa, che poteva aumentare fino a 400 euro secondo il numero dei figli. Se il gettito dell'ICI nell'ultimo anno di applicazione ammontava a poco meno di 10 miliardi di euro, il gettito IMU nel 2012 è stato pari a 23,7 miliardi di euro, di cui circa 3,8 miliardi legati a misure discrezionali dei comuni.
  Il gettito derivante dalle abitazioni principali è stato totalmente incassato dai comuni. Applicando l'aliquota standard del 4 per mille, il gettito dell'IMU sulla prima casa sarebbe stato pari a 2,9 miliardi di euro mentre, in base anche alle variazioni di aliquote decise dai comuni, il gettito è stato pari a 3,5 miliardi di euro, ovvero 4 miliardi se si considerano anche le pertinenze.
  Sulla prima casa il maggior gettito derivante da misure discrezionali dei comuni è stato pari a circa 600 milioni di euro, solo un po’ più elevato di quello corrispondente all'ICI sulla prima casa nell'ultimo anno di applicazione. Il gettito dell'IMU sulla prima casa e relative pertinenze corrisponde attualmente a circa il 20 per cento delle entrate tributarie dei comuni e a circa il 7 per cento delle entrate correnti. Essa consente ai comuni di aumentare il loro grado di autonomia tributaria, in conformità ai principi del federalismo fiscale, che considera i tributi sugli immobili come i più idonei per il livello comunale, secondo il principio del beneficio noto in scienze delle finanze.
  In un contesto come quello attuale, in cui i comuni hanno subito una riduzione dei trasferimenti, essi tendono ad utilizzare le misure discrezionali di loro competenza: è quanto è successo con l'addizionale IRPEF, aumentata di un quinto tra il 2011 e il 2012. È avvenuta ossia una ricomposizione del prelievo locale dagli immobili al reddito, mentre sarebbe auspicabile il contrario alla luce della già elevata pressione fiscale italiana sui redditi da lavoro. Metà del gettito del 2012 derivante invece dagli immobili diversi dall'abitazione principale, applicando l'aliquota base del 7,6 per mille, è stato trasferito dai comuni allo Stato e solo nel caso in cui il comune abbia il maggior gettito rispetto a quello ottenibile con l'aliquota del 7,6 per mille è stato trattenuto dal comune.
  L'ultima relazione della Copas sottolinea come la coabitazione tra le due componenti ha introdotto notevoli elementi di opacità nella relazione tra il governo locale e i cittadini. Il comune è risultato infatti a tutti gli effetti, agli occhi dei contribuenti, esattore di un tributo a loro carico, che pur tuttavia, affluendo alle casse di un altro livello di governo, non alimentava il flusso di risorse spendibili in servizi pubblici locali.
  Si è spezzato così il nesso tra imposte che si pagano e benefici che essi traggono dalla spesa, che è l'elemento fondativo delle aspettative di una maggiore efficienza negli assetti decentrati. Inoltre, anche la Banca d'Italia afferma che le interferenze tra la politica tributaria nazionale e la fiscalità locale rendono il prelievo opaco per il contribuente.
  Sebbene l'IMU, poi, per sua natura sia un'imposta sostanzialmente proporzionale rispetto al reddito, più della metà del gettito è pagato dagli ultimi tre decili della Pag. 17distribuzione del reddito ed è meno concentrato sui decili più bassi della distribuzione del reddito.
  La pressione dell'IMU sulle famiglie a basso reddito è moderata: per i nuclei con redditi fino a 26 mila euro si stimano circa 190 euro in media all'anno. Per il Partito Democratico, tuttavia, l'IMU, e non solo quella sull'abitazione principale, nata in una logica di emergenza, presenta diversi profili di criticità, soprattutto in un'ottica di equità. Uno di questi profili deriva dalla rivalutazione delle rendite catastali, applicata con lo stesso coefficiente a tutti gli immobili, che ha provocato fenomeni di disparità verticale, ossia tra immobili di diverso pregio, e orizzontale, ossia tra immobili dello stesso pregio.
  I valori di mercato degli immobili hanno, infatti, subito nel tempo considerevoli cambiamenti, mentre il rimanere costante delle originarie rendite catastali ha impedito di tenere in considerazione il cambiamento occorso nelle posizioni relative degli immobili.
  Guardando alle dinamiche dei prezzi degli immobili nell'ultimo decennio, in alcune città i prezzi hanno registrato un incremento moderato, in altre molto elevato. Stesso fenomeno è accaduto tra diverse zone all'interno di una stessa città: i prezzi delle case nei quartieri centrali sono cresciuti di più rispetto a quelli in periferia.
  Siccome la rendita attribuita agli immobili risale al 1989, a parità di condizioni rispetto a quell'anno, oggi un immobile situato nella periferia di una grande città sconta, rispetto al suo valore di mercato, un'imposizione nettamente superiore in termini relativi rispetto ad un'abitazione simile situata in centro. Se poi esiste una correlazione tra zona di residenza e reddito, si aggiungono elementi che rendono regressivo il sistema di tassazione patrimoniale.
  Il divario tra i valori del catasto e gli effettivi valori di mercato degli immobili può generare fenomeni di iniquità. Questo scostamento tende a favorire i contribuenti più ricchi. Una spedita revisione del catasto avrebbe effetti positivi sul piano distributivo, afferma Banca d'Italia.
  Inoltre, in un'ottica di ridisegno della potestà impositiva tra livelli di governo, sarebbe utile restituire ai comuni margini di manovra, ossia la facoltà di disciplinare le assimilabilità alla prima casa e, in prospettiva, lo stesso disegno delle detrazioni, su cui sarebbe utile utilizzare l'ISEE, piuttosto che i parametri del numero dei figli, e attribuire interamente loro anche il gettito IMU per le abitazioni non principali.
  Un altro tema spinoso che dovrebbe toccare la riforma della fiscalità immobiliare riguarda le condizioni di cinque milioni di famiglie che vivono in affitto. Le seconde case a disposizione del proprietario hanno, nel nuovo regime, minori svantaggi delle seconde case affittate. È nostra convinzione che occorra differenziare le aliquote IMU, in particolare a vantaggio di chi affitta a canone concordato.
  Per quanto riguarda la tassazione immobiliare gravante sugli immobili dediti ad attività di impresa, occorre adoperarsi per individuare misure volte a ridurre il carico fiscale gravante sui beni strumentali all'attività stessa di impresa.
  Quindi, è senz'altro positiva e necessaria una rivisitazione della disciplina dell'IMU, a partire da quella della prima casa, ma occorre tenere conto dei vincoli di finanza pubblica in cui ci troviamo ad operare, alla luce di obiettivi non solo congiunturali, ma anche strutturali, di medio termine per il tax design dell'intero sistema.
  A tale proposito, il Fondo monetario internazionale, nel suo rapporto sul sistema fiscale italiano del settembre 2012, ha rilevato che la nostra fiscalità immobiliare è gravata non tanto da imposte sul patrimonio, quanto sui trasferimenti immobiliari, che finiscono per deprimere le compravendite.
  È, pertanto, auspicabile che le forze politiche che appoggiano il Governo Letta, proprio per trovare soluzione alla difficile condizione economica e sociale dell'Italia, Pag. 18motivo stesso per cui esso è nato, giungano ad una soluzione ragionevole in materia di IMU, senza pretendere che esso sia la fotocopia di quanto da essi promesso in campagna elettorale; anche perché le priorità che in questo momento appaiono altre: una riduzione del prelievo IRPEF sui redditi bassi e medi, che sortirebbe effetti più certi sulla ripresa dei consumi, e una riduzione del costo del lavoro, come ha recentemente chiesto anche il presidente di Confindustria, affermando che, tra IMU e IVA, la priorità è il costo del lavoro.
  Per concludere, in una nuova situazione in cui nel nostro Paese, per dirla alla Ungaretti, «si sta come d'autunno sugli alberi le foglie», voglio fare miei questi versi di Rilke: «nessun vento è favorevole per chi non sa dove andare», ma per noi che lo sappiamo anche la brezza sarà preziosa.
  Il Partito Democratico, nel ribadire il suo appoggio convinto e leale al Governo Letta, sa dove andare, ossia nella direzione di aiutare gli italiani a uscire dalla crisi che li attanaglia e a ritrovare fiducia nel futuro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Filippo Busin. Ne ha facoltà.

  FILIPPO BUSIN. Signor Presidente, sottosegretario, onorevoli colleghi, discutiamo oggi un importantissimo, a nostro avviso, decreto-legge, la cui rilevanza viene in tutti i modi sottaciuta dal Governo, che non perde occasione per minimizzarne la portata.
  Si parla di «decreto ponte», lo si definisce interlocutorio e si rinvia all'imminente riforma complessiva dell'imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare: un modo tipicamente italiano per differire le scelte che andrebbero prese velocemente, senza perdere tempo prezioso, e non affrontando così la complessa materia rappresentata dall'IMU e, in generale, dell'intera disciplina dei tributi comunali, che insieme ad essa va necessariamente rivista.
  L'aspetto che più di altri preoccupa la Lega Nord è rappresentato dal fatto che nemmeno sui criteri alla base dell'imminente revisione è stato possibile trovare una qualsiasi forma di dialogo con la maggioranza, apparsa totalmente sorda a qualunque tentativo di confronto, quand'anche questo riguardasse principi di buonsenso universalmente condivisibili. Appare, infatti, assolutamente incomprensibile come si intende affrontare una materia tanto complessa in un lasso di tempo così ristretto, senza avere ad oggi delle chiare e precise linee guida in merito: non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare, avrebbe detto Seneca.
  I casi sono solo due: o tali linee guida sono state debitamente occultate per sottrarle al dibattito parlamentare, oppure stiamo effettivamente affrontando un provvedimento d'urgenza con i caratteri dell'estemporaneità, un semplice postulato strumentale alla nascita e tenuta di una maggioranza incongrua.
  Entrambe le ipotesi ci preoccupano: la prima perché limita l'attività parlamentare in nome dell'emergenza senza fine, cosicché il Governo Letta si pone perfettamente in linea con il Governo Monti, raccogliendone l'eredità; la seconda perché la situazione drammatica in cui versa il Paese non è affrontata con una pianificata strategia e un programma definito, quanto piuttosto accostando provvedimenti diversi e tra loro slegati, che mediano tra interessi di partito e vincoli esterni di bilancio. È una pericolosissima, a nostro avviso, navigazione a vista, con un Governo generoso di annunci programmatici, che non perde occasione per dimostrarsi consapevole dei problemi e sensibile alle emergenze nelle quali si sta agitando il Paese, a parole, ma nei fatti incapace di dare una prospettiva.
  Se il Governo non riesce a indicare la strada per uscire dalla crisi e convincere i cittadini italiani che la si è intrapresa con decisione, il singolo provvedimento, per quanto condivisibile e opportuno, non produrrà alcun effetto.
  A proposito di effetti, attenzione particolare merita – noi crediamo – l'analisi dei diversi emendamenti al provvedimento. È noto, infatti, che l'attuale IMU è il risultato di interventi successivi che Pag. 19hanno mutato destinazione del gettito, base imponibile e aliquote, ma che di fatto fa riferimento a un sistema impositivo mai completamente riscritto, la vecchia ICI del decreto-legge n. 54 del 1992. I successivi interventi, dal decreto-legge n. 68 al decreto-legge n. 201 del 2011, fino alla legge di stabilità n. 228 del 2012, hanno rinominato e rivisto la vecchia ICI senza abrogarla, generando per questo una serie interminabile di dubbi interpretativi e contraddizioni irrisolte: e a questo riguardo fa un po’ invidia il confronto con i nostri vicini della Germania, che mettono le imposte sul patrimonio immobiliare addirittura in Costituzione.
  È proprio a queste contraddizioni che si sono rivolti gli emendamenti presentati, nella speranza che il loro accoglimento aiuti a semplificare e a rendere meno incerta e più equa l'applicazione dell'imposta, a vantaggio del contribuente, dei comuni e di un senso universalmente condiviso di giustizia.
  Con questo stesso spirito, ad esempio, è stato accolto dal Senato e votato definitivamente alla Camera – e mi rifaccio anche alle parole da lei stessa dette, Presidente, che ho apprezzato – un emendamento al decreto-legge n. 35 del 2013, relativo all'esenzione dall'IMU degli immobili comunali iscritti alla categoria D, completamente estraneo – quello sì – all'oggetto del decreto. Se quell'emendamento ha trovato accoglienza nel decreto-legge per i pagamenti dei debiti delle pubbliche amministrazioni, perché sono stati considerati inammissibili altri nostri emendamenti finalizzati a migliorare il caotico quadro normativo in materia ?
  Nello specifico la Lega Nord si era impegnata a chiedere l'assimilabilità alla prima casa dell'abitazione data in comodato a parenti di primo grado e da costoro utilizzata come residenza principale, fattispecie già prevista nell'ICI e non ripresa dall'IMU; nello stesso spirito è il nostro emendamento al già citato decreto-legge n. 54 del 1992 per esentare dall'imposta gli immobili utilizzati per attività di ricerca scientifica.
  Anche qui e a tal proposito, mi sia consentito di denunciare il caso dell'Istituto di ricerca pediatrica di Padova – a me vicino – Città della Speranza, vero e proprio miracolo laico realizzato, che dovrà versare allo Stato, sul cui bilancio – voglio sottolinearlo – non grava, perché totalmente autofinanziata, più di 100.000 euro di IMU, risorse queste sottratte alla ricerca e quindi alle speranze di vita di migliaia di bambini malati.
  Quale migliore occasione per sanare questo vero e proprio scandalo ? Ogni occasione per noi è buona e, quindi, lo riproporremo ad ogni occasione. Ma anche sugli emendamenti ammessi, abbiamo incontrato un atteggiamento di chiusura a priori incomprensibile. Come dimostrare una netta preclusione all'emendamento che esenta dall'imposta per il solo 2013 gli edifici terremotati dell'Emilia e dichiarati tutt'oggi non agibili ? E ancora ci chiediamo: come non condividere un emendamento che prevede, a maggior chiarimento, l'ovvia deducibilità, sia ai fini IRES che IRAP, dei fabbricati ad uso strumentale quando, nelle more della successiva modifica dell'imposizione sul patrimonio immobiliare, si è espressa comunque in questo decreto-legge la volontà di renderla detraibile ai fini della determinazione del reddito di impresa ? Imprese che stanno morendo perché schiacciate da un carico fiscale insopportabile pari al 68,3 per cento medio del reddito prodotto: il valore più alto tra i Paesi OCSE. Ricordiamo, per inciso, come quella gravante sugli immobili produttivi sia impropriamente definita imposta municipale: l'intero gettito infatti o la sua quota preponderante è riservata allo Stato, contraddicendo quindi il principio federalista, a noi molto caro, del «voto, pago, vedo».
   Le nostre riserve riguardano anche il finanziamento degli ammortizzatori in deroga. Quanto stanziato è palesemente insufficiente a coprire il fabbisogno previsto sino a fine anno. Suggerivamo di reperire le risorse aggiuntive non dai fondi per le politiche di sostegno attivo all'occupazione e al reddito dei lavoratori, come il Fondo per la formazione professionale e per la Pag. 20detassazione dei premi di produttività, ma dall'imposizione di un tetto alle cosiddette pensioni d'oro, erogate con il sistema retributivo. Per queste ragioni di fondo restiamo fortemente critici ma auspichiamo comunque un diverso atteggiamento nella discussione iniziata oggi e un accoglimento della nostre proposte. Sospendiamo perciò il giudizio anche se ci risulta francamente incomprensibile questo atteggiamento, visto che la riforma a cui rimanda il disegno di legge A.C. 1012-A, oggi in discussione, non può attendere oltre la fine di agosto per la successiva scadenza della rata IMU.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Fauttilli. Ne ha facoltà.

  FEDERICO FAUTTILLI. Signor Presidente, sottosegretario, colleghi, deputate e deputati, il decreto-legge che ci accingiamo a convertire in legge è il secondo provvedimento dopo quello del pagamento per 40 miliardi dei debiti della pubblica amministrazione che il Governo ha assunto, iniziando di fatto l'azione con cui il Presidente del Consiglio si è impegnato per invertire la tendenza di decrescita dell'economia del nostro Paese. E il «decreto del fare», approvato sabato scorso, si muove coerentemente in questa direzione.
  Il decreto-legge oggi in discussione tocca essenzialmente tre ambiti che già sono stati ricordati: l'IMU, la cassa integrazione e l'eliminazione dell'indennità ai Ministri e ai sottosegretari parlamentari.
  Per quanto concerne l'IMU, Scelta Civica rimane convinta che dopo sette anni di politiche di bilancio restrittive prima da parte del Governo Prodi, poi di quello Berlusconi e infine di quello Monti – anche se va ricordata la non secondaria differenza che il rigore dei primi due Governi ha prodotto l'esigenza di rigore ancora maggiore dei Governi che li hanno succeduti, mentre quello del Governo Monti ha prodotto un decreto da 40 miliardi di pagamento dei debiti arretrati della pubblica amministrazione ed anche l'uscita dell'Italia dalla lista nera dei Paesi in deficit eccessivo – quindi, dopo anni di politiche di bilancio restrittive, le prime risorse finalmente disponibili si debbono concentrare, a nostro avviso, per politiche realmente anticicliche sul lavoro e sulla produzione piuttosto che sulla casa. Dico ciò perché, se lavoro e produzione ripartono, diventerà presto possibile ridurre anche la pressione fiscale sulla casa. Se invece partissimo solo da quest'ultima, gli italiani avrebbero certo case detassate ma alla fine anche nessun'altra prospettiva che restarsene a casa senza redditi per mantenerla. Questo non vuol dire escludere a priori interventi sull'IMU finalizzati a dare sollievo alle famiglie, ma operarli nella consapevolezza della necessità di non assorbire lì, da subito, troppa parte del primo spazio di manovra finanziaria guadagnato dall'Italia dopo lunghi anni.
  E ancor di più, questo vuol dire avere consapevolezza della necessità di agire con equità, equiparando verso riduzioni di pressione fiscale sostenibili e realistiche tutte le situazioni affini e meritevoli, che viceversa oggi la normativa IMU omette di considerare allo stesso modo.
  Per questo Scelta Civica aveva concentrato i propri emendamenti in materia di IMU proprio sul tema delle assimilazioni, disponendo l'equiparazione all'abitazione principale ai fini della sospensione del versamento della rata che proprio oggi deve essere versata e nell'ottica della riforma complessiva per le seguenti fattispecie: innanzitutto le case concesse in comodato gratuito a parenti di primo grado in linea retta, che costituiscono per essi abitazione principale; le case delle cooperative edilizie a proprietà indivisa che vengono affittate a studenti universitari che vi dimorano; case di anziani e disabili che risiedono in case di riposo o cura; prime case degli italiani che vanno a risiedere all'estero; seconde case ove sono andati a dimorare i contribuenti la cui abitazione principale è stata resa inagibile dai terremoti dell'Emilia e de L'Aquila; infine, prime case del personale militare che deve trasferire altrove la propria residenza per motivi di servizio. Su questi sei punti eravamo e siamo certi di poter trovare la convergenza del Governo e degli altri gruppi parlamentari, auspicabilmente, Pag. 21trattandosi di obiettivi di giustizia sociale e buonsenso, senza distinzioni tra maggioranza ed opposizione; una ricerca di convergenze che però, insieme agli altri gruppi che sostengono la maggioranza, abbiamo deciso di rinviare al momento in cui sarà in discussione il vero decreto di riforma della tassazione immobiliare, rispetto al quale il presente decreto costituisce un mero provvedimento-ponte di sospensione.
  Per questo motivo, con senso di responsabilità e consapevolezza del fatto che oggi le modifiche sarebbero comunque state tardive rispetto alla scadenza che pretendevano di sospendere e quindi illusorie e meramente propagandistiche nei confronti dei cittadini, abbiamo anche noi ritirato tutti gli emendamenti relativi alla disciplina IMU, sia quelli ricordati sia quelli con i quali impegnavamo il Governo a disporre nel primo decreto non solo la deducibilità dell'IMU dal reddito di impresa, ma anche dalla base imponibile IRAP. Sono tutte proposte che riproporremo in quella sede assai prossima.
  Per quanto concerne poi la cassa integrazione guadagni, Scelta Civica si è limitata per lo più a prendere atto di un provvedimento necessario nell'immediato, rispetto al quale, data l'emergenza, sarebbe stato irresponsabile agitare polemiche o proporre soluzioni più complesse del mero rifinanziamento degli strumenti oggi esistenti. Solo una cosa abbiamo ritenuto doveroso porre immediatamente all'attenzione, e cioè la garanzia che alla cassa integrazione possano accedere anche i dipendenti degli studi professionali. La crisi – lo sappiamo bene – sta mettendo in difficoltà non solo le imprese e sono molti anche gli studi professionali costretti a lasciare a casa personale di segreteria. Quale che sia l'ammontare delle risorse disponibili, purtroppo mai sufficienti, non vi può essere giustificazione morale di sorta per l'arbitraria discriminazione tra lavoratori dipendenti di un datore impresa e lavoratori dipendenti di un datore libero professionista e non per una questione di equità tra imprese e professionisti, che qui non c'entra nulla, ma per una questione di equità tra lavoratori dipendenti, che sempre tali e quali sono, a prescindere dalla diversa natura del loro datore di lavoro.
  Dopodiché, Scelta Civica ritiene che, in parallelo a questi interventi emergenziali, sia indifferibile anche l'avvio di una seria riflessione a medio termine sull'impianto stesso degli ammortizzatori sociali, che devono sostenere coloro che si ritrovano a perdere il lavoro. Se nel fisco come nel welfare continueremo a concepire il nostro ruolo di legislatore e di Governo solo e soltanto come quello di chi sospende e rinvia versamenti oppure rifinanzia termini e strumenti esistenti, non guideremo mai questo Paese verso il rilancio.
  Noi riteniamo che essere riformatori significa avere ben chiaro, come noi abbiamo chiaro, la differenza che intercorre tra una manutenzione straordinaria che perpetua alla meno peggio l'esistente e una vera riforma che disegna scenari nuovi traghettando un Paese e una comunità dal suo passato al suo futuro. Infine, riteniamo fortemente significativo, per la credibilità della politica, anche se non quantitativamente rilevante, che il Governo abbia deciso con un decreto-legge – questo appunto – il taglio dell'indennità di carica di Governo ai Ministri e ai sottosegretari parlamentari. Significativo perché riteniamo questa scelta un primo concreto e importante passo verso una riforma più ampia e profonda che dovrà determinare il taglio dei costi della politica attraverso la riduzione del numero dei parlamentari e una ristrutturazione profonda del finanziamento ai partiti politici.
  La strada che il Governo ha intrapreso risponde in tutte le scelte che fin qui ha compiuto non ultima, appunto, come ricordavamo all'inizio, l'approvazione del decreto-legge del fare varato sabato scorso. La direzione è giusta, nonostante la complessità della crisi finanziaria ed economica e il limite delle risorse, per affrontare con determinazione e convinzione un'azione di crescita dell'economia a favore delle famiglie e delle imprese e a tutela del lavoro, innanzitutto del lavoro delle nuove generazioni. Sarebbe da irresponsabili oggi non tener conto di questo Pag. 22e solo per interessi di parte passare a nuovi assetti. Come ribadiamo, la strada è giusta, ma il viaggio è appena iniziato e anche se si prevede lungo e difficoltoso dovrà proseguire perché gli interessi degli italiani debbono essere – e non potrebbe essere altrimenti – l'obiettivo primo di questo Governo.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Paglia. Ne ha facoltà.

  GIOVANNI PAGLIA. Signor Presidente, colleghi e colleghe deputati, sottosegretario, nel nostro Paese, il Paese della precarietà diffusa che si fa regola di vita, di lavoro e di relazioni, mancava solo la legislazione precaria a completare un quadro che faccia del breve orizzonte la dimensione dominante della politica nazionale con i risultati, peraltro, che ogni giorno sono sotto gli occhi di tutti.
  Il Governo Letta, evidentemente per dare il segno della novità e l'immagine immediata dei propri equilibri incerti, ha quindi ben pensato di rimediare immediatamente consegnandoci un provvedimento che vale il tempo di un'estate e poco più, senza individuare soluzioni che abbiano almeno il tempo dell'anno fiscale, se non strutturali, e rimandando quindi alle prossime settimane la discussione vera sul che fare.
  Il decreto-legge apre, però, una finestra su tre grandi temi che interessano l'economia e la società italiana, ovvero l'imposizione fiscale e la sua distribuzione, la struttura degli ammortizzatori sociali, la precarietà nel mondo del lavoro. Partiamo dal primo, ovvero il carico fiscale che, in Italia, com’è noto, ha raggiunto pesi insostenibili e continua, peraltro, a scontare un'evasione inaccettabile. Noi riteniamo – e ci sembra in questo di essere in linea con chiunque in questo Paese abbia accesso al dibattito pubblico – che l'abolizione tout court dell'IMU sulla casa di abitazione non fosse e non sia la priorità assoluta del bilancio nazionale e neppure, più limitatamente, di un intervento volto a rideterminare il peso del fisco. Capiamo che ci sia un partito determinante nel sostegno a questo Governo convinto di aver fermato il proprio tracollo di voti proprio grazie alla proposta dell'abolizione dell'IMU. Parliamo dello stesso partito che in campagna elettorale fece avere a tutte le famiglie italiane un bollettino per la restituzione anche dei pagamenti 2012; parliamo dello stesso partito che nulla ebbe da eccepire quando il Governo Monti, da esso sostenuto, fece passare con i suoi voti l'introduzione di questa tassa; parliamo dello stesso partito che, abolendo ciò che restava di un'ICI già esclusa per la metà meno abbiente dei cittadini italiani, tolse risorse finanziarie fondamentali ai comuni e, quindi, allo Stato italiano, mentre già si affacciava la crisi globale.
  E, tuttavia, crediamo che l'autorevolezza di questo Governo ne uscirebbe molto rafforzata se, stante l'obiettivo stringente e non scontato di mantenere il rapporto deficit-PIL al di sotto del 3 per cento, con l'IVA in aumento tra due settimane, con una pressione fiscale sui redditi da lavoro ormai insostenibile, con il tema del cuneo fiscale sul tappeto dei problemi reali, decidesse di investire le poche risorse disponibili per la riduzione del carico fiscale in altro modo, senza inseguire le promesse elettorali di una minoranza del Parlamento.
  L'IMU, sia chiaro, è una tassa che non può piacere a nessuno, ma che trova il suo vero limite nell'iniquità, come autorevolmente certificato per ultimo da Bankitalia, ed è quindi da questo lato che andrebbe approcciata la sua riforma e non da quello falso del mito della prima casa. «Prima casa» in sé non significa, infatti, assolutamente nulla. Può effettivamente significare per molti italiani un modo per garantirsi il diritto costituzionale ad abitare, in un Paese che, da molti anni, ha incentivato gli acquisti di abitazione a causa di un mercato degli affitti spesso impraticabile e distorto. Ma può significare anche una forma di investimento e immobilizzazione della ricchezza, dati i valori che il mercato raggiunge in molte città italiane, indipendentemente dalle vecchie categorie catastali.Pag. 23
  L'IMU è, quindi, sbagliata, perché assume in Italia, molto più che in altri Paesi, dato il peso degli investimenti immobiliari, la forma tipica di un'imposta patrimoniale, senza che nella sua attuale conformazione questo elemento emerga con sufficiente forza, introducendo soglie di esenzione corrispondenti all'unica casa non di lusso e tassando il resto in modo sostanzialmente progressivo. Non solo. A renderla ulteriormente iniqua, interviene il nodo storico della riforma catastale, la cui mancata attuazione introduce elementi distorsivi in base alle zone del Paese, ma, soprattutto, a vantaggio dei più ricchi, connotando ulteriormente l'IMU come patrimoniale sui poveri, con un effetto di progressività inversa.
  Sappiamo che la riforma del catasto ha un orizzonte temporale di almeno cinque anni, ma sappiamo anche che, in presenza di una volontà politica, non sarebbe impossibile individuare soluzioni transitorie, come, per esempio, i valori OMI. Essa non tiene, inoltre, nella giusta considerazione – l'IMU – la materialità del rapporto delle famiglie italiane con il patrimonio immobiliare, spesso utilizzato come forma di welfare elastico all'interno del gruppo familiare, soprattutto, laddove intervenga il rapporto tra generazioni. Pensiamo, per esempio, ai casi tipici dei nipoti ospitati nella casa dei nonni, a loro volta, i nonni, ospitati nella casa dei figli o costretti in strutture protette. O pensiamo a cosa il fenomeno dell'immigrazione interna, magari temporanea, comporti nel rapporto col proprio unico bene, corrispondente all'investimento della totalità di risparmi non certo ingenti, ridotto a seconda casa perché privo del requisito della residenza.
  Ho fatto questi esempi, perché deve essere chiaro che noi riteniamo l'IMU assolutamente da riformare e nei tempi che il Governo ha previsto, perché si tratta di intervenire a tutela dei ceti medi e medio-bassi di questo Paese, come la maggioranza di chi siede in questo Parlamento ha promesso di fare anche in campagna elettorale. Ma sarebbe assolutamente sbagliato, invece, operare una riforma che non si proponga di risolvere distorsioni ed iniquità evidenti, a partire dal principio della parità di gettito e andando ad intervenire anche sul complesso di tutta l'imposizione a base immobiliare, bensì si ponga l'obiettivo di operare una mossa propagandistica, limitando la base imponibile e il gettito e togliendo così ulteriore ossigeno alle possibilità di intervenire con risorse a favore dello sviluppo e di una positiva crescita.
  Vengo, infatti, alla seconda finestra, che riguarda le risorse reperite per rifinanziare la cassa integrazione in deroga, la cui insufficiente – volutamente insufficiente – previsione, rimane uno dei peggiori di lasciti del Governo Monti. Con questo decreto andiamo a reperire 715 milioni, a fronte di stime sulla necessità, da qui alla fine dell'anno, che arrivano a un miliardo 700 milioni. Potremmo, quindi, essere costretti a recuperare, nei prossimi mesi, un miliardo di euro aggiuntivo: lo dico, di nuovo, a chi pensa di togliere 4 miliardi di euro di entrate IMU alle casse dello Stato.
  Facciamo, quindi, un provvedimento parziale in un momento che continua ad essere eccezionale per l'economia italiana, con un PIL in recessione continua, la disoccupazione in aumento e crisi aziendali che riempiono quotidianamente le cronache locali e nazionali. Ognuno di noi potrebbe passare – e sarebbe bene che ci prendessimo almeno una giornata per farlo – alcuni minuti a raccontare, qui dentro, la propria crisi aziendale di prossimità, quella che coinvolge il suo collegio. Sono sicuro che nessuno rinuncerebbe ad intervenire e qualcuno avrebbe solo l'imbarazzo della scelta.
  Questo serve a dire che nessuno può credere che lo stanziamento attuale sia sufficiente, a meno di concedere un eccesso di potere discrezionale a regioni e Governo, che si tradurrebbe in discriminazione nel momento più delicato della vita di una persona, quello in cui è messa a repentaglio la sicurezza minima del suo reddito. Oppure, a meno di credere che la riforma che il Governo annuncia di voler fare, motivando così di fatto l'insufficienza delle risorse e, quindi, la temporaneità del provvedimento, sia a saldo positivo per le Pag. 24casse dello Stato rispetto alle previsioni attuali e significando, quindi, una riduzione delle garanzie e delle tutele, cosa a cui non vogliamo nemmeno pensare e che incontrerebbe la nostra più dura opposizione.
  L'Italia del 2013, l'Italia degli oltre 3 milioni di disoccupati, del 42 per cento di disoccupazione giovanile, ha, infatti, bisogno di un'estensione delle tutele e non certo di una loro riduzione, che noi crediamo debba passare per l'introduzione di un reddito minimo garantito. E l'Italia ha bisogno anche dello strumento della cassa integrazione, perché abbiamo l'assoluta necessità di fare ogni sforzo per mantenere i siti produttivi in essere, per accompagnarli fuori dalla crisi, perché altrimenti il rischio è quello della desertificazione industriale, che non possiamo né vogliamo, credo, tutti permetterci.
  Ora, se abbiamo detto che le risorse sono insufficienti, non possiamo nemmeno tacere sulle voci di bilancio attraverso cui sono state reperite. Le notizie purtroppo non sono buone e ci dicono che, ancora una volta, è prevalsa la tentazione di finanziare strumenti che riguardano il mondo del lavoro con fondi che riguardano sempre il medesimo mondo del lavoro. 250 milioni di euro arrivano infatti dal Fondo destinato al finanziamento degli sgravi sulla produttività, 246 milioni di euro dal Fondo per la formazione continua, 100 milioni di euro dal Fondo per lo sviluppo e la coesione territoriale. Si parla, quindi, di maggiori tasse sui redditi da lavoro dipendente, dell'indebolimento di uno strumento fondamentale per le politiche attive del lavoro, della deviazione di risorse originariamente disponibili per investimenti nelle aree più deboli del Paese. Ma siamo sempre all'interno del decreto precario, e quindi per almeno 600 milioni di euro, si parla di destinazioni temporanee, con l'impegno a rifinanziare entro l'anno quanto oggi prelevato. Tale impegno dovrà naturalmente essere rispettato, perché altrimenti cambierebbe, e di molto, il giudizio che oggi si dà di questo provvedimento. Questo, tuttavia, significa aggiungere altri 600 milioni di euro alle risorse da reperire entro il 31 dicembre 2013. E lo dico sempre a quelli che pensano di poter rinunciare serenamente ai 4 miliardi di euro dell'IMU.
  Veniamo, quindi, alla terza finestra, che riguarda la possibilità di prorogare fino alla fine dell'anno i contratti precari della pubblica amministrazione che dovrebbero, altrimenti, trovare una obbligata conclusione, non perché eccessivamente onerosi per le casse delle amministrazioni che ne fruiscono, ma per effetto della scelta, estranea ad ogni logica razionale, di bloccare anche il ricorso al lavoro a termine, dopo che il blocco del turn over ha già prodotto un'emorragia occupazionale e di competenze negli uffici pubblici. Dico solo questo: questi 115 mila lavoratori sono assolutamente necessari al lavoro dello Stato e aggiungo che non è possibile nessuna riorganizzazione della pubblica amministrazione fino a quando prevarrà e permarrà una situazione di incertezza anche rispetto alla disponibilità di personale per l'anno successivo. E allora, quella riforma della pubblica amministrazione che tutti ci dicono essere necessaria, potrà essere fatta solo in un quadro di certezza, non può essere fatta in un quadro di incertezza anche sul personale. Quindi, le due cose si tengono assieme: se vogliamo riformare questo Stato, il tema della precarietà nella pubblica amministrazione è da risolvere e, quindi, la prima riforma dovrebbe essere la stabilizzazione immediata; cosa di cui, qui, ancora, non abbiamo tracce.

  PRESIDENTE. La prego di concludere.

  GIOVANNI PAGLIA. In conclusione, ho iniziato sostenendo che questo sia un decreto-legge precario e vada trattato come tale; non si rifiuta mai, come sanno molti giovani italiani, la proroga di un contratto, fosse anche solo per un mese, però sul precariato non si costruisce il futuro di un'azienda e nemmeno quello dell'Italia. Non sta a noi, signori del Governo, rifiutarvi un voto su questo provvedimento, però sta a voi garantirci che sarà l'ultima volta che il nostro orizzonte Pag. 25sia di tre mesi (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. Per l'ultimo intervento della mattinata, è iscritta a parlare la deputata Renata Polverini. Ne ha facoltà.

  RENATA POLVERINI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, Keynes sosteneva, per spingere lo Stato ad intervenire sull'economia in un momento di crisi particolarmente pesante, che sul lungo periodo siamo tutti morti. Ci sono momenti, e quello che viviamo è uno di quelli, in cui occorre agire con rapidità e con misure immediatamente efficaci senza, tuttavia, rinunciare a traguardare obiettivi di miglioramento complessivo e strutturale dei conti pubblici. Il decreto-legge n. 54, oggi in discussione, tampona alcune emergenze e sarebbe, dunque, un errore pensare che rappresenti la soluzione definitiva per uscire dalla profonda crisi che ha colpito il Paese. In soli due anni il tasso di disoccupazione generale è salito di quattro punti percentuali, mentre quello giovanile è passato dal 27,4 per cento al 40,5 per cento. Ogni tre mesi sono diciottomila i negozi in meno con tutto quello che ne consegue in termini di impoverimento del territorio. Ci sono centocinquanta tavoli di crisi aperti che riguardano migliaia di decine di lavoratrici e lavoratori; questi, soltanto presso il Ministero dello sviluppo economico, senza contare quelli aperti presso le singole regioni. Non è certo con questo provvedimento, quindi, che gli italiani potranno rivedere le stelle come Dante e Virgilio dopo il lungo viaggio all'inferno, eppure il decreto-legge n. 54, quale primo decreto-legge di questo Governo, può e deve rappresentare l'occasione utile che il Parlamento e il Governo devono saper cogliere per inviare al Paese un messaggio di responsabilità e di maggiore fiducia.
  In particolare, voglio esprimere soddisfazione per l'articolo 1 del presente decreto-legge, che sospende il pagamento della prima rata dell'imposta municipale propria sull'abitazione principale, sulle unità immobiliari delle cooperative edilizie, sui terreni agricoli e sui fabbricati rurali con l'obiettivo di arrivare ad una complessiva rivisitazione dell'imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare. Una misura attesa e necessaria per non comprimere ulteriormente i già ridotti consumi, ma sicuramente, come abbiamo detto, non sufficiente. In questi giorni, come è noto, è in corso al Senato un'indagine conoscitiva sulla tassazione sugli immobili, dalla quale sta emergendo chiaramente la sostanziale iniquità dell'IMU nella sua vigente formulazione.
  Due sono gli obiettivi che dobbiamo porci: il primo è di eliminare l'imposta sulla prima casa, venendo così incontro alle famiglie e puntando conseguentemente anche al rilancio di un settore importantissimo quale quello dell'edilizia residenziale; il secondo è quello di favorire le imprese che assumono, permettendo di dedurre la quota dell'imposta relativa agli immobili destinati alle attività produttive; un intervento ad ampio raggio che è possibile attuare tenendo conto anche delle proposte formulate dall'ANCI, che si richiamano ai principi dell'autonomia, della responsabilità impositiva, della progressività e dell'equità fiscale, nel rispetto di quanto indicato nell'articolo 2 del presente decreto-legge.
  Ancora apprezzamento voglio esprimere sull'articolo 4, che dà risposte, anche se, come detto, emergenziali, ad alcuni gravi problemi con un forte impatto sociale: il rifinanziamento della cassa integrazione in deroga; la proroga dei contratti di lavoro a tempo determinato nella pubblica amministrazione; l'operatività degli sportelli unici per l'immigrazione delle prefetture-uffici del territorio e degli uffici immigrazione delle questure. Si tratta di argomenti sui quali sarà necessario ritornare nelle prossime settimane, perché non è certo approvando questo decreto-legge che si scrive la parola fine su una problematica così complessa e annosa.
  Quanto stanziato per gli ammortizzatori sociali in deroga appare, infatti, insufficiente, alla luce dell'andamento della cassa integrazione ordinaria e straordinaria: nei primi quattro mesi dell'anno, le Pag. 26ore autorizzate sono aumentate, rispettivamente, del 31,4 per cento e del 63,8 per cento, per un totale complessivo di oltre 314 milioni a fronte di meno di 212 milioni dello stesso periodo del 2012. Il minore ricorso alla cassa integrazione in deroga non deve quindi trarre in inganno, in quanto è, purtroppo, legato soltanto ai meccanismi delle autorizzazioni regionali che, per forza di cose, sono soggette all'incertezza della copertura finanziaria. Inoltre, sempre in merito al finanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga, allarma il fatto che circa un terzo di quanto stanziato potrebbe non essere esigibile, poiché impegnato per la contribuzione sui contratti di produttività, e che, soprattutto, il 70 per cento delle risorse deriva da una diversa allocazione di stanziamenti già relativi al capitolo di bilancio attinente al fondo sociale per l'occupazione e la formazione.
  La proroga dei contratti a tempo determinato nella pubblica amministrazione e le misure per l'operatività degli sportelli unici per l'immigrazione e delle prefetture-uffici del territorio e, come ho detto, degli uffici immigrazione delle questure sono due risposte emergenziali a questioni che, invece, richiederebbero degli interventi strutturali.
  Nel primo caso, occorre prendere coscienza che la pubblica amministrazione ha bisogno di immettere nelle piante organiche personale nuovo e preparato, per cui è necessario trovare un equilibrio fra il diritto acquisito dei vincitori di concorso, le aspettative di chi, precario, ha maturato una significativa esperienza della pubblica amministrazione e la tenuta dei conti pubblici, allentando la rigida regola del blocco il turnover.
  Nel secondo caso, l'immigrazione è ormai un dato strutturale per il nostro Paese e, in quanto tale, necessita di strutture e personale dedicato a tempo pieno.
  Concludo, signora Presidente, dicendo che il decreto-legge n. 54 è soltanto una prima, parziale, ma positiva, risposta, ad istanze con un forte impatto sociale, che condividiamo, ma alla quale dovranno seguire provvedimenti di ben altro spessore per rilanciare il potere d'acquisto delle famiglie, l'occupazione e il fare impresa in un contesto di maggiore equità.

  PRESIDENTE. Sospendo a questo punto la seduta, che riprenderà alle ore 15 con lo svolgimento degli ulteriori interventi nella discussione generale in esame e degli altri argomenti iscritti all'ordine del giorno.

  La seduta, sospesa alle 13,55, è ripresa alle 15.

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione alla ripresa pomeridiana della seduta.
  I deputati in missione sono complessivamente quarantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali – A.C. 1012-A)

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Gessica Rostellato. Ne ha facoltà.

  GESSICA ROSTELLATO. Signor Presidente, colleghi deputati, Ministri, abbiamo attentamente analizzato il decreto-legge nella speranza di ritrovare spunti credibili, che fossero potuti andare nella direzione di un cambiamento strutturale, di un mutamento di approccio rispetto ai contenuti del medesimo decreto-legge. Ciò che abbiamo ritrovato è invece solito tirare a campare. Insomma, si va di proroga in proroga, di rinvio in rinvio, cercando di mettere toppe a destra e a manca.
  Noi riteniamo invece che debbano essere approntati provvedimenti di carattere strutturale, di carattere sistemico. Il provvedimento è disomogeneo: tratta di misure Pag. 27urgenti in tema di sospensione dell'imposta municipale propria, di rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga, di proroga in materia di lavoro a tempo determinato presso le pubbliche amministrazioni e di eliminazione degli stipendi dei parlamentari membri del Governo. Esso reca disposizioni sui più svariati argomenti, senza offrire soluzioni definitive per nessuno di essi.
  Ma particolare attenzione vorrei porre all'articolo 4, comma 1, che reca disposizioni concernenti un primo immediato finanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga, rilevando l'eccezionalità della destinazione di emergenza occupazionale che richiede il reperimento di risorse anche tramite la ridestinazione di somme già diversamente finalizzate dalla legislazione vigente. Ferma restando la necessità di provvedere immediatamente al rifinanziamento della cassa integrazione in deroga, e di garantire i lavoratori che usufruiscono di questa tipologia di ammortizzatore sociale, non poche perplessità suscita il provvedimento dal punto di vista del metodo. In realtà, la vera esigenza sarebbe quella di impegnare il Governo al fine di rilanciare un piano per la tutela dei lavoratori a 360 gradi.
  Il rifinanziamento della cassa integrazione guadagni in deroga è provvedimento necessario, al quale non ci si può ovviamente sottrarre. In questo momento i cittadini aspettano da noi misure concrete; ma questo provvedimento, da un lato, non è sufficiente, dall'altro, è emblematico delle carenze ordinamentali del nostro Paese.
  Il ricorso alla ridestinazione di risorse già diversamente finalizzate dalla legislazione vigente è infatti esemplificativo – come già detto – di una patologia sistemica. L'articolo 4, comma 1, del decreto-legge 21 maggio 2013, n. 54, porta infatti con sé l'evidente contraddizione di un Paese costretto a determinarsi attraverso la decretazione d'urgenza, di un Paese inabile a dotarsi definitivamente di un complesso normativo omogeneo per il suo Stato sociale.
  È indispensabile semplificare il welfare, e renderlo al contempo più certo ed essenziale, più concretamente presente nella vita dei cittadini. Le rincorse alla copertura finanziaria last minute gettano nello sconforto e nell'ansia i lavoratori e le loro famiglie, le quali sono costrette a sopravvivere al problema occupazionale dovendosi al contempo confrontare con un sistema non in grado di fornire certezze.
  Vi è invece l'obbligo di uniformarsi ai dettati europei, non solo quando essi dispongono l’austerity, ma parimenti allorquando segnino la direzione della più equa redistribuzione del reddito, o la rigida ed efficiente predisposizione di strumenti abili a garantire la dignità di ogni cittadino e di ogni lavoratore. Pensiamo alla risoluzione del Parlamento europeo del 20 ottobre 2010 sul ruolo del reddito minimo nella lotta contro la povertà e la promozione di una società inclusiva. L'Europa chiede di definire iniziative legislative per il reddito minimo garantito, da assumere in ogni Stato membro, e tutti gli Stati membri dell'Unione europea – meno le tre note eccezioni, Italia, Grecia e Ungheria – si sono dotati di schemi di garanzia del reddito minimo, che è infatti pensato per agire come meccanismo di protezione sociale di ultima istanza. Esso non è misura di tipo categoriale-occupazionale, ma mira ad estendere la copertura a tutti i cittadini aventi diritto e che si trovino in situazioni di indigenza, a prescindere dai loro trascorsi lavorativi e contributivi.
  Dunque, in questa sede, emerge con chiarezza il forte deficit del sistema di protezione sociale italiano, carente e ipotrofico, poiché, venendo a mancare l'ultima protezione sociale utile, i disoccupati di lungo periodo, lavoratori precari e in generale tutta la rosa di individui vulnerabili ai cosiddetti nuovi rischi sociali, si vedono condannati a una caduta libera, abbandonati da uno Stato che nella migliore delle ipotesi, disorientato, decreterà d'urgenza, distraendo fondi utili e già impiegati in altro.
  Non ci sfugge, e lo denunciamo con forza, il ricorso del Governo a coperture finanziarie che non esitiamo a definire Pag. 28scandalose. Ma come si fa ad attingere al fondo di solidarietà per le vittime della mafia per la copertura dei contratti a termine ? Perché dobbiamo ridurci a questo, mentre i privilegiati godono di pensioni d'oro e non sussiste alcuna pur lieve forma di redistribuzione del reddito ? I lavoratori sono in balia di un mercato, che spesso non può garantire un reddito dignitoso ai meno istruiti, ai lavoratori con competenze obsolete, ai giovani genitori impossibilitati nel conciliare attività di cura e lavoro nel mercato e a tutta quella miriade di individui invisibili agli occhi di un sistema di protezione sociale non più al passo con i tempi. D'altra parte, in Italia il ruolo di ammortizzatore sociale di ultima istanza è sempre stato storicamente lasciato alla famiglia e ciò ha distorto il welfare, contribuendo ad alimentare circoli viziosi in tempi di tagli alla spesa pubblica. Riteniamo che, senza l'adozione di oculati provvedimenti, i nati degli anni Ottanta e Novanta non saranno in grado di supplire alle carenze del welfare e di dare un supporto economico ai propri figli. Appare necessario abbandonare al più presto il criterio della legislazione emergenziale ed assicurare ai lavoratori la certezza dello stato sociale attraverso forme nuove che non ci costringano ad accettare la necessità di alimentare il fondo sociale per l'occupazione attingendo ad altri fondi già stanziati e di altra destinazione sociale. Noi siamo per un cambio strutturale in attuazione dei principi fondamentali sanciti dall'articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea ed ai principi di cui agli articoli 2, 3, 4, 29, 30, 31, 32, 33, 34 e 38 della Costituzione italiana. Bisogna definire urgenti iniziative legislative mirate all'erogazione di un reddito di base in favore di tutti i cittadini che attualmente vivono al di sotto della soglia di povertà. Per noi questa è la strada (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Miccoli. Ne ha facoltà.

  MARCO MICCOLI. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, non vi è dubbio che il Parlamento oggi è chiamato ad esaminare e poi a convertire in legge un importante decreto-legge, contenenti necessari ed urgenti provvedimenti in una situazione emergenziale di grave crisi economica per il nostro Paese, che andrà ad incidere sul reddito di famiglie, lavoratori ed imprese. Desidero anch'io sottolineare come questa discussione sulle linee generali completi l'attento percorso intrapreso dalle Commissioni preposte in sede referente: un iter di audizioni formali e informali di confronto completo ed esaustivo, del quale in seguito mi auguro noi tutti potremo tener conto. Proprio perché tale decreto-legge affronta un'importante emergenza della quale tutti comprendono e condividono l'esigenza, crediamo che Governo e Parlamento dovranno procedere con un approccio più meditato su questi temi, che riguardano l'economia e lo sviluppo del Paese. L'Italia, in virtù di una crisi in cui si trova ormai dal 2008, necessita di interventi che trovino collocazione in un disegno coerente e di più ampio respiro, con obiettivi chiari incentrati sulla crescita e sull'occupazione. Il ripetersi di interventi asistematici, indotti da urgenze immediate, oltre ad eludere una completa elaborazione, rischia di introdurre soluzioni parziali, incertezza e sfiducia nei settori economici. Pur essendo comprensibile che in questa situazione occorra garantire la copertura economica degli interventi, lascia quanto meno perplessi la scelta di attingere ai fondi e a risorse destinate al lavoro, alle imprese, per rifinanziare la cassa integrazione e la mobilità in deroga. Per quanto riguarda l'IMU, la sospensione del pagamento della rata di giugno per la prima casa viene certamente accolta con favore. Tale disposizione, infatti, offre una maggiore disponibilità economica ai cittadini, messi a dura prova dalla crisi e da un sovraccarico di oneri tributari e fiscali. Per noi è necessario ribadire quanto già sostenuto in Commissione, ossia che, pur tenendo conto della natura temporanea del decreto-legge in esame, il Governo e il Pag. 29Parlamento non possono esimersi da una discussione approfondita sui temi oggetto dell'intervento legislativo.
  Sarebbe imperdonabile non prestare la dovuta attenzione al dibattito relativo agli aspetti fondamentali di una politica fiscale sugli immobili che questo provvedimento ha acceso nel Paese. Non si può rimanere inerti fino al 31 agosto prossimo, termine indicato dall'articolo 2 del decreto-legge, in cui dovrà essere attuata la complessiva riforma del sistema tributario sul patrimonio immobiliare, prefigurata, appunto, nell'articolo 1 del provvedimento.
  Proprio per questo, il Partito Democratico ha affrontato questo dibattito in Commissione impostando le proprie posizioni in chiave sostanzialmente programmatica e invita il Governo, sin d'ora, a fornire almeno alcune risposte circa gli indirizzi che saranno contenuti nella riforma.
  Il primo punto di questo chiarimento dovrebbe riguardare la contraddizione contenuta nel testo del provvedimento, quella per cui, mentre da un lato si fa riferimento alla prossima riforma della disciplina dell'imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare limitandosi a contemplare la misura sull'IMU e sulla TARES, dall'altro, non considera tutte le altre forme di imposizione vigenti sugli immobili, come quella sul reddito, la cosiddetta cedolare secca e le altre, quella ipotecaria, catastale e l'imposta di registro.
  Se, inoltre, la predetta riforma non riguarderà anche la fiscalità comunale, oltre a penalizzare la liquidità dei comuni, come sta già accadendo in questi giorni, rischierà di non favorire la ripresa del mercato di compravendita degli immobili o delle locazioni, lasciando, per l'ennesima volta, i comuni alle prese con una situazione incerta, che potrebbe rendere necessari o inevitabili ulteriori interventi legislativi.
  Appare doveroso registrare le preoccupazioni delle associazioni imprenditoriali, che ritengono penalizzanti le aliquote IMU sugli immobili strumentali; immobili che, essendo legati all'attività produttiva, non possono essere trattati come patrimoni catastali, dal momento che non si tratta di ricchezza statica improduttiva, ma di ricchezza dinamica, necessaria a produrre lavoro e soggetta a rischio di impresa.
  Infatti, per quanto attiene ai beni immobili delle imprese, con il passaggio dall'ICI all'IMU vi è stato un aggravio dell'imposizione derivante dall'esclusione della tassazione ai fini delle imposte sui redditi, come invece è accaduto per altri immobili.
  Tale aggravio economico viene sottolineato dalle imprese ricordando anche quanto accadde già nello scorso anno, nel quale vi fu un innalzamento dell'aliquota prodotta dalle autorità locali. L'aggravio economico viene ad essere confermato anche da un'indagine del Ministero dell'economia e delle finanze (veniva ricordato poco fa).
  Si prevede, infatti, un super acconto. Ad esempio, un capannone di 2 mila metri quadrati a Milano, per il quale nel 2012 la quota di acconto è stata di circa 12 mila euro, nel 2013 rischia di superare i 18 mila euro, con rincari che nelle grandi città arrivano a superare del 50 per cento l'IMU del 2012 e che risultano mediamente quattro volte superiori all'ICI del 2011.
  Considerato ciò, è fondamentale porre subito un'attenzione adeguata alle questioni sollevate dal provvedimento in esame, superando anche posizioni politiche figlie di una campagna elettorale ormai alle spalle. È, altresì, necessario indicare in modo chiaro che la nuova riforma fiscale sugli immobili dovrà avere un carattere di novità, incentrato sulla gradualità del prelievo, determinata dalle condizioni oggettive in cui versano cittadini e imprese e dagli effettivi valori degli immobili.
  Per quanto concerne gli articoli 3 e 4 del testo, che intervengono sul rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga, nonché sui contratti a tempo determinato nella pubblica amministrazione, e che dettano disposizioni quanto mai opportune, soprattutto in una situazione di grave crisi economica come quella attuale, non possiamo che dare un giudizio positivo, ma dobbiamo rilevare che, anche qui, Pag. 30il provvedimento ha aperto una discussione, che non può essere rimandata, né tanto meno elusa.
  Questo provvedimento si colloca in uno scenario che, come dimostrano i dati allarmanti del 2012 e le prime stime che gli istituti di ricerca statistica ci consegnano per il 2013, in termini occupazionali è il più devastante dal dopoguerra ad oggi. Sullo specifico fronte degli ammortizzatori sociali, nel 2012 è stato superato, per il quarto anno consecutivo, il miliardo di ore di cassa integrazione che l'INPS ha autorizzato alle aziende.
  Questo significa che ben oltre mezzo milione di lavoratori non ha lavorato e per questi ed a questi è stata pagata un'indennità di disoccupazione per quasi quattro miliardi di euro. Negli ultimi anni gli ammortizzatori sociali in deroga, originariamente pensati per le piccole imprese o, comunque, per quelle che non prevedevano la cassa integrazione ordinaria o straordinaria nella contrattazione collettiva di settore, sono stati ampiamente utilizzati anche da parte di imprese maggiormente strutturate che hanno esaurito la propria dotazione.
  Preoccupante è l'aumento della cassa integrazione straordinaria che già a maggio, nel 2013, aumenta dell'8,9 per cento e aumenta rispetto alla cassa integrazione ordinaria. Vorrei ricordare che la prima, quella straordinaria, che aumenta, è quella che le aziende utilizzano quando prevedono che la crisi porti più probabilmente alla chiusura; quella ordinaria invece denota una temporaneità dell'utilizzo dell'ammortizzatore sociale. Questi dati ci suggeriscono che, a fronte di una spesa così elevata, solo il 50 per cento di chi perde il lavoro riesce ad accedere ad una qualche forma di ammortizzatore sociale.
  Altro dato allarmante, rilevato dal rapporto ISTAT 2013, è quello in cui negli ultimi anni si assiste all'allungarsi della durata media di permanenza in cassa integrazione, così come, parimenti, aumenta in modo esponenziale la quota di lavoratori che dalla cassa integrazione transitano verso le condizioni di disoccupazione, disoccupazione lunga.
  Questo scenario evidenzia come, in tempo di crisi, l'utilizzo degli ammortizzatori sociali, così come oggi concepiti, riescano soltanto ad alleviare, sotto il profilo economico, la sofferenza di chi perde il lavoro, ma è del tutto scollegato alle politiche di ricollocazione, di riqualificazione professionale e di formazione.
  In sintesi, i lavoratori che accedono a cassa integrazione e mobilità vengono lasciati soli al loro destino. In altre parole, il risultato è che spendiamo tanto, ma non ricollochiamo nessuno.
  L'esplosione della cassa integrazione in deroga, inoltre, registra una mancanza di coordinamento tra lo Stato che la finanzia, le regioni che la erogano, gli uffici per l'impiego che fino a qualche tempo fa erano di pertinenza delle province, e la domanda di fabbisogno professionale che le imprese richiedono al mercato.
  È del tutto evidente che ci troviamo di fronte ad una inefficienza strutturale determinata da troppi anni di assenza del legame stretto tra ammortizzatori sociali e politiche attive del lavoro.
  Vale quindi la stessa conclusione tratta per l'IMU: bene il provvedimento, che risponde ad una drammatica emergenza, ma è indispensabile aprire immediatamente una riflessione su una riforma capace di superare questa insostenibile inefficienza del sistema degli ammortizzatori sociali.
   In Italia ormai il lavoratore che entra in questo sistema, in particolar modo se è una donna, se è in età avanzata, oppure ancora lontano dal percepire una pensione, si trova ad affrontare in solitudine un dramma familiare e personale che sta determinando, forse inducendo, episodi che un Paese civile non può sopportare.
  Per quanto riguarda un altro punto del provvedimento, il rinnovo del contratto ai lavoratori a tempo determinato nella pubblica amministrazione, non possiamo più tollerare che la precarietà nel comparto pubblico si traduca in contratti da prorogare ogni sei mesi, a decine di migliaia, a lavoratori divenuti oramai indispensabili al funzionamento della macchina amministrativa, dell'istruzione e della ricerca.Pag. 31
  In questo caso emerge, in sostanza, un quadro di precariato strutturale, che deriva da due elementi: 1) il blocco continuo e generalizzato del turn over; 2) il vincolo costituzionale in base al quale la violazione della normativa sul tempo determinato non produce, nei settori pubblici, la trasformazione del rapporto di lavoro.
  Ora, purtroppo, risolveremo un problema solo temporaneamente, perché già alla fine dell'anno dovremo tornare ad occuparci ancora di questi precari, per i quali diventa indispensabile un confronto serrato e definitivo con le organizzazioni sindacali, focalizzato al superamento di questa vera e propria anomalia.
  Deve essere chiaro che, senza i precari della pubblica amministrazione, la macchina amministrativa si blocca, che senza i precari della scuola, la scuola tracolla, che senza i precari della ricerca, l'Italia rischia in termini di sicurezza, salute e conoscenza.
  È necessario quindi affrontare, fin da subito, il tema della ripresa della contrattazione tra sindacati e Governo, argomento che stiamo affrontando in Commissione lavoro relativamente alla proposta del Governo di prolungare il blocco della contrattazione per gli adeguamenti salariali dei lavoratori pubblici.
  L'invito è di riprendere il percorso avviato lo scorso anno con la sottoscrizione del protocollo di intesa dell'allora Ministro della pubblica amministrazione Patroni Griffi, con le regioni, i comuni e le organizzazioni sindacali, che conteneva, tra le altre cose, la volontà di un percorso per la stabilizzazione di quei lavoratori precari, relativo alle nuove regole riguardanti il mercato del lavoro e a salvaguardia e a rafforzare i principi previsti dall'articolo 97 della Costituzione.
  In quest'Aula – mi avvio alla conclusione – abbiamo ascoltato sia il Presidente della Repubblica che il Presidente del Consiglio, per i quali il tema del lavoro e della ripresa economica sarebbero stati centrali nell'azione di Governo in questa difficile fase storica del Paese.
  Nei prossimi giorni il Consiglio europeo si occuperà del lavoro dei giovani. Noi ci auguriamo che, con questi primi provvedimenti e con quelli che in questi giorni il Governo ha annunciato, l'Italia possa cominciare a guardare al proprio futuro con maggiore serenità (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Fabio Lavagno. Ne ha facoltà.

  FABIO LAVAGNO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario, il provvedimento che va in discussione oggi dichiara la natura del Governo, che è privo di una vera e propria natura e di intenti programmatici. Dichiara tutta la sua natura, invece, che è frutto di una contrattazione tra le parti che lo sostengono e i macrotitoli che stanno a cappello di questo provvedimento dichiarano quali siano le ambizioni degli azionisti maggiori di questa maggioranza.
  È un Governo che incarna e raccoglie l'eredità di quello che fu il Governo Monti, sostenuto dalla stessa maggioranza, ma in cui la dialettica politica e la capacità di portare a frutto speculazioni di natura elettoralistica sono ben più evidenti e di ben più marcata ragione.
  Le dichiarazioni in qualche modo hanno il loro peso. Guardate, noi del gruppo di Sinistra Ecologia Libertà eravamo quelli che sostenevano la necessità di un Governo del cambiamento, in cui le parole d'ordine fossero lavoro, sviluppo e diritti. All'indomani del voto di fiducia, le prime dichiarazioni del Presidente del Consiglio, Enrico Letta, sono state, secondo l'intendimento del suo Governo, che le priorità sarebbero state l'IMU e l'IVA, e anche il prolungamento degli ammortizzatori e della cassa integrazione in deroga. In quel «e anche» ci stavano tutta la ragione e la natura di un cambio di passo e di un cambio di priorità, del quale noi oggi siamo spettatori e siamo costretti, utilizzando coerenza e buonsenso, a essere all'opposizione.
  Ebbene, rispetto a questo, sull'IMU oggi assistiamo a questa sospensione e nessuno di noi si intesti o si arroghi altre definizioni se non quella di «sospensione della Pag. 32prima rata», perché di questo si tratta, anche se viene portato come vessillo di una parte della maggioranza, quella stessa parte che detiene il timer del Governo.
  Sulla cassa integrazione in deroga siamo al rifinanziamento di una parte di questa nelle modalità sulle quali siamo già intervenuti, quindi sottraendo fondi allo sviluppo, alla formazione e soprattutto andando a individuare risorse che non risultano sufficienti, mettendo in crisi proprio quella filiera di erogazione degli ammortizzatori sociali che prevede lo Stato nel programmarli e le regioni per erogarli e, infine, i lavoratori espulsi o messi in naftalina dal sistema produttivo nel portare a reddito queste poche risorse.
  Sappiamo quindi che l'emergenzialità ereditata sul tema degli ammortizzatori sociali, criminalmente lasciato aperto dal Governo Monti, in qualche modo si perpetua e non vorremmo che il carattere e l'accezione di emergenzialità rispetto a queste tematiche fosse la modalità di procedere a ricatti contrapposti da parte di questa maggioranza, sottoposta a continue contrattazioni interne.
  Rispetto all'altra priorità dichiarata dal Presidente del Consiglio, quella dell'IVA, preferisco non dire, perché parlano le dichiarazioni dei giornalisti, parlano i commenti dei quotidiani e parlano la stesse tensioni tra i ministri di questo Governo su questa tematica assolutamente importante.
  L'IMU è stata pensata da quel Governo Berlusconi che aveva sottratto ai comuni quell'entrata propria, fondamentale, che era l'ICI; è stata poi introdotta in maniera intempestiva e abbastanza raffazzonata e rapida dal Governo Monti e, nel suo primo anno di introduzione, ha dimostrato tutte le sue lacune, in primo luogo quella del mancato aggiornamento delle rendite catastali.
  E guardate, non è il gruppo di Sinistra Ecologia Libertà a dirlo e a dire che questo introduce un principio di iniquità, ma sono le dichiarazioni della Banca d'Italia di venerdì scorso, la quale imputa alla mancata revisione delle rendite catastali e, soprattutto, alla distanza delle rendite catastali dai valori di mercato un'iniquità riferita soprattutto agli immobili di pregio e di lusso. C’è quindi una mancata progressività di questa imposta.
  E poi, stante la natura di questa imposta – un'imposta sul patrimonio –, dobbiamo considerare che su determinate fasce di contribuenti essa incide in maniera invasiva sulla disponibilità monetaria finale e, quindi, sulla stessa capacità contributiva. Questa natura non sarebbe quella propria di un'imposizione legata al patrimonio immobiliare, ma sarebbe quella di un'imposta diretta.
  In Italia le cose avvengono, allo stesso tempo, con estrema lentezza e con estrema facilità: gli innamoramenti sono tanto facili quanto altrettanto rapidi sono i disamoramenti. Dopo il primo anno di applicazione, invece di farne una analisi approfondita, si preferisce gettare via acqua, bambino e tutto il resto, senza verificare, invece, alcuni aspetti positivi di questa tassa. In primo luogo, c’è una generale progressività, dimostrata dalla grande e marcata differenziazione tra prima e seconda casa: una differenziazione marcata anche dalla libertà impositiva lasciata agli stessi comuni, che spesso hanno divaricato ulteriormente questo aspetto.
  C’è poi l'aspetto di come il gettito, circa 24 miliardi dell'IMU totale, viene in qualche modo ripartito. Su questo aspetto noi vediamo una estrema progressività dell'IMU per come la conosciamo: infatti, il 10 per cento delle unità immobiliari di fasce più alte, di pregio e di lusso, contribuisce a sostenere quasi il 45 per cento del gettito complessivo. Badate bene: facciamo questa considerazione al netto del fatto che le rendite catastali non sono state uniformate e rese pari a quello che è effettivamente il mercato immobiliare.
  Ma anche se facciamo un raffronto con le ricchezze personali, non solo immobiliari, assistiamo al fatto che il 10 per cento dei contribuenti tassati attraverso l'IMU permette di incassare, anche in questo caso, più del 50 per cento delle entrate totali.Pag. 33
  Quindi, una riforma che non tiene conto di questi elementi, in qualche modo, è una riforma fatta frettolosamente, mentre dovrebbe essere pensata e studiata, perché su questi argomenti, come su quelli di cui diremo dopo, occorre un pensiero lungo, una visione generale, occorre che determinati provvedimenti vadano pienamente a regime.
  Altro aspetto positivo è quello della redistribuzione generale. Assistiamo al fatto che a pagare questa tassa non sono tanto i giovani, quanto gli anziani. Ma il problema grosso di questo Paese è invece come garantire capacità finanziaria a tutti i contribuenti. Dunque, pur vedendo positivamente questi elementi, non possiamo disconoscere la necessità di una riforma complessiva.
  Quindi, a fianco alla necessità della riforma e di un nuovo sistema di valutazione delle rendite immobiliari, che siano più vicine a quelle di mercato, evitando quindi quelle sperequazioni insite nelle attuali rendite, dobbiamo ricordare e fare assolutamente accenno al fatto che, se l'imposta municipale è municipale, questa deve tornare effettivamente ad essere riferita ai comuni e ai territori, con servizi che vengano spesi sui territori.
  Invece questo non è, perché il decreto sul federalismo, in realtà, è stato un decreto sul federalismo tradito, un federalismo mai decollato e sempre declinato in quest'Aula come un orizzonte al quale tendere, ma senza mai arrivarvi appieno.
  Guardate, noi abbiamo tenuto un atteggiamento di grande responsabilità su tutti i temi di questo decreto, anche nella presentazione di emendamenti in Commissione, e vogliamo ribadire questa grande responsabilità. Il relatore questa mattina ci richiamava ad avere coraggio e responsabilità: non verremo meno rispetto a questi impegni. Però, visto che stiamo parlando di tematiche importanti, che guardano al futuro del Paese, come la fiscalità, come gli ammortizzatori sociali, come la precarietà, vorremmo che queste tre tematiche non venissero affrontate né sotto la spinta di speculazioni elettorali, né sotto la celerità forsennata dei tempi, perché tutti questi tre argomenti hanno bisogno di tempi lunghi e respiri adeguati (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Monica Gregori. Ne ha facoltà.

  MONICA GREGORI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, oggi è finalmente approdato in Aula un provvedimento del Governo molto atteso. Da parte mia, intendo intervenire in merito ad un ambito specifico del dispositivo, quello contenente misure dirette a tutelare il reddito dei lavoratori attraverso il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga. L'articolo 4 del decreto-legge in esame, infatti, nel mantenere ferme le risorse già destinate al finanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga, ne stanzia di nuove, arrivando ad un totale di un miliardo di euro per il 2013.
  In particolare, secondo quanto disposto alla lettera a) del comma 1 dell'articolo 4, vengono stanziati ulteriori 250 milioni per il Fondo sociale per l'occupazione e formazione; a tal fine, si prevede la corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'ultimo periodo del comma 68 dell'articolo 1 della legge n. 247 del 2007, relativa al Fondo per lo sgravio contributivo dei contratti di produttività.
  Il decreto-legge in esame mira, poi, ad accelerare il procedimento amministrativo di rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga, già previsto dall'articolo 1, comma 255, della legge n. 228 del 2012, prevedendo che le risorse derivanti dall'aumento contributivo di cui all'articolo 25 della legge n. 845 del 1978, per l'anno 2013 siano versate all'INPS per un importo di 246 milioni di euro, ai fini della successiva riassegnazione al Fondo sociale per l'occupazione e la formazione.
  La determinazione, nel rispetto degli equilibri di bilancio programmati, dei criteri per la concessione per gli ammortizzatori sociali in deroga spetterà a un successivo decreto interministeriale del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Pag. 34di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.
  L'INPS avrà un ruolo fondamentale nel monitoraggio, anche preventivo, della spesa. Tale ruolo – ci tengo a ribadirlo – sarà cruciale, trattandosi di valutare, con precisione e senza errori, l'effettiva disponibilità delle risorse previste per il 2013.
  A proposito di risorse, credo che proprio in questa sede spetti al Governo di chiarire, una volta per tutte, la certezza della copertura del provvedimento, viste le recenti notizie di stampa che parlano della scoperta, da parte del Servizio Bilancio dello Stato della Camera, di un buco di 450 milioni di euro sul miliardo previsto, trattandosi di risorse non disponibili, perché già impiegate a finanziare altri provvedimenti.
  Tutti siamo a conoscenza dell'estrema urgenza e necessità di stanziare subito questi soldi, quindi il Governo metta la parola fine, una volta per tutte, su questo punto. Non possiamo sbagliare, il rischio di una vera e propria esplosione sociale è sempre più vicino: come spiegano i dati ISTAT, è proprio grazie alla cassa integrazione che nel 2012 l'occupazione non è calata vertiginosamente.
  Ma stiamo attenti, non possiamo e non dobbiamo pensare che questo possa bastare. Il ricorso agli ammortizzatori sociali coinvolge sempre più società, in una progressione inquietante. Nel 2012 le aziende italiane hanno chiesto all'INPS più di un miliardo di ore di cassa, con un aumento del 12,1 per cento rispetto ai 793 milioni del 2011. Nei primi quattro mesi del 2013, i lavoratori finiti in cassa in deroga sono stati 530.000, per complessivi 361 milioni di ore, pari al 13,07 per cento in più sul primo quadrimestre del 2012.
  Già undici regioni e province autonome hanno dovuto bloccare le autorizzazioni al rilascio della cassa, perché hanno finito le risorse, una corsa affannosa contro il tempo.
  Seppur, secondo gli ultimi dati ISTAT, a maggio si è registrato un calo delle ore di cassa pari al 15,4 per cento rispetto allo stesso periodo del 2012, come prontamente sottolineato dalle principali sigle confederali, tale diminuzione non può essere considerata indicativa di un miglioramento delle condizioni, essendo proprio influenzata in larga parte dal calo delle autorizzazioni di cassa integrazione in deroga a causa del blocco dei finanziamenti.
  Sappiamo bene che un miliardo è poco, servirà solo ad allontanare la tempesta sino all'autunno prossimo. Occorre cominciare a lavorare già da subito per ridisegnare un nuovo intervento dopo l'estate e non si tratta solo di rivedere i meccanismi di concessione, ritornare al cofinanziamento da parte delle regioni, ma occorre soprattutto non abbandonare i lavoratori: per questo serve che il Governo s'impegni a reperire almeno un altro miliardo e mezzo.
  È vero, come ha ricordato di recente l'economista Giuseppe Berta, che la cassa integrazione era stata concepita per evitare che si rompesse ogni legame tra il lavoratore e il posto di lavoro, un filo che la crisi ha spezzato sempre più irrimediabilmente. Ma è anche vero che oggi la cassa integrazione rappresenta un paracadute per migliaia di famiglie, che abbiamo l'obbligo morale e civile di tenere bene aperto. Quindi, rivediamolo, adattiamolo ai tempi e alle costanti evoluzioni del mercato del lavoro, ma non chiudiamolo, non spegniamo anche l'ultima speranza di dignità per i nostri lavoratori. Ce lo chiedono dalle miniere del Sulcis, alla Fiat di Mirafiori, all'Ilva di Taranto per passare a migliaia di piccole e medie imprese che vivono la drammaticità quotidiana della crisi.
  Il nodo – ne siamo tutti consapevoli – resta quello delle risorse. Vi è estremo bisogno di lavorare su responsabilità comuni: anche le regioni, dunque, devono elaborare proposte specifiche, da discutere con le parti sociali ed individuare le aree prioritarie di intervento nel campo degli ammortizzatori sociali.
  Proprio dal confronto avuto con le regioni nei lavori delle Commissioni parlamentari, è emersa la necessità di monitorare da subito i fabbisogni di cassa integrazione in deroga per il 2013, un Pag. 35monitoraggio che, come dicevo all'inizio, sia in grado di evidenziare criticità e prospettive dell'utilizzo degli ammortizzatori.
  Una vera riforma di questi strumenti è efficace solo se saremo in grado di renderli universali, superando tutta una serie di differenziazioni che mettono a repentaglio la coesione sociale in un momento così delicato per la vita del Paese. Penso, ad esempio, alla necessità di intervenire sulle differenziazioni esistenti tra dimensioni aziendali, oppure tra le diverse tipologie di assunzioni o di incentivi previdenziali.
  Di pari passo, va affrontato il tema dell'introduzione di importanti misure di ricollocazione, in grado di offrire concrete possibilità di formazione e riqualificazione – guidate da serie analisi dei fabbisogni di domanda e offerta – per quei lavoratori che a quaranta o cinquanta anni si vedono buttati fuori dal mercato del lavoro e fanno fatica a rientrarvi: il Governo si deve occupare anche di loro.
  In questo campo auspico che venga ripristinato presto, in sede europea, il programma welfare to work per le politiche per l'impiego, strumento, a mio avviso, essenziale per creare e consolidare strutture permanenti di assistenza tecnica a supporto del Ministero, delle regioni, delle province e dei servizi per il lavoro e sviluppare e consolidare la governance nazionale e regionale per il raccordo fra attori e l'integrazione delle risorse economiche.
  Inoltre, occorre pensare a costruire l'Italia di domani non lasciando indietro nessuno e cercando di rimarginare la grande ferita che in questi anni ha lacerato il tessuto lavorativo del nostro Paese: costruire il futuro anche alla luce di una nuova programmazione europea, superando la logica delle politiche passive, traducendo il semplice sostegno alle aziende e ai lavoratori in crisi in un volano di crescita e di prospettive. Non mi stancherò mai di dirlo: se le risorse mancano, andiamo a prenderle in Europa, rafforziamo il Fondo sociale europeo e rendiamolo uno strumento capace di fornire uno shock positivo alle aree depresse e alle zone dove la crisi morde di più.
  In un Paese che ha ormai sei milioni di disoccupati, dove i giovani scappano, dove sempre più imprenditori e lavoratori vivono con disperazione i propri percorsi professionali, in un Paese dove accade tutto questo, cerchiamo di opporci con ogni forza all'idea che anche la cassa integrazione possa diventare un lusso inarrivabile (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Ciprini. Ne ha facoltà.

  TIZIANA CIPRINI. Signor Presidente e colleghi deputati, il decreto-legge 21 maggio 2013, n. 54, reca disposizioni urgenti in tema di sospensione dell'imposta municipale propria, di rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga, di proroga in materia di lavoro a tempo determinato presso le pubbliche amministrazioni e di eliminazione degli stipendi dei parlamentari membri del Governo. Insomma, un coacervo di urgenze, provvedimenti disomogenei, uniti gli uni agli altri senza connessioni logiche: verrebbe da denominarla «insalata 54». Peraltro, la questione relativa alla disomogeneità del provvedimento è stata già posta dal Consiglio di Stato, dunque ci consentirete questo appunto.
  In ogni caso, noi del MoVimento 5 Stelle – e lo ribadiamo già da tempo – ci assumiamo le nostre consapevoli responsabilità, guardiamo alle contingenze, guardiamo alle urgenze, reali difficoltà che qualsiasi Governo deve affrontare, soprattutto quando esse attengono al mondo del lavoro. A noi interessa però analizzare i provvedimenti e renderli strutturalmente utili ed abili a divenire soluzioni, nella prospettiva di un cambiamento reale, vero e definitivo. Le questioni vanno affrontate al fine di porre rimedi di carattere strutturale, non soluzioni tampone e questo decreto, al di là dell'urgenza del rifinanziamento della cassa in deroga, di soluzioni vere non ne trova. Uno degli ingredienti dell'insalata 54, infatti, è la proroga Pag. 36in materia di lavoro a tempo determinato presso le pubbliche amministrazioni. Il provvedimento non affronta il problema della «precarizzazione» del lavoro nella pubblica amministrazione e sembra diretto, ancora una volta, a spostare nel tempo decisioni che appaiono invece improcrastinabili, vista la necessità di pervenire al più presto alla stabilizzazione dei precari nella pubblica amministrazione. A ciò si aggiunga che il provvedimento di proroga in esame riguarda solo i dipendenti con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato e rimangono invece esclusi i lavoratori con altre forme di contratto, come ad esempio i cosiddetti Cococo, che evidentemente sono precari di serie B, con ancor meno garanzie.
  Oggi siamo qui a discutere anche di precari della pubblica amministrazione. Ebbene, fino a qualche tempo fa l'espressione precari della pubblica amministrazione sarebbe stata un ossimoro, un esempio di quella figura retorica che accosta termini di senso contrario o in forte antitesi tra di loro. Sì perché il lavoro pubblico era quello sicuro, garantito a vita, magari pagato poco ma che dava sicurezza, perché si sa, l'essere umano ha un bisogno cronico di sicurezza e niente lo paralizza di più di trovarsi di fronte a strade incerte. Ma si sa anche che il nostro è un Paese affezionato più alle bad practice che alle best practice e anche con tendenze autolesioniste. E che fa ? Invece che stabilizzare il settore privato per renderlo più sicuro e con garanzie simili a quello pubblico, precarizza il settore pubblico stesso. Ormai si parla di precariato strutturale nella pubblica amministrazione e a tale pratica ci stiamo abituando, quasi fosse la normalità. A causa del blocco del turn over, il pubblico impiego si invecchia e non c’è ricambio generazionale. I lavoratori del pubblico impiego stanno diminuendo: il calo costante degli occupati della PA si è tradotto in una graduale riduzione della quota di pubblico impiego, sia sul totale della forza lavoro, sia su quello del totale degli occupati. E la tanto ex invidiata classe media italiana del pubblico impiego sta andando all'inferno. Quella operaia, come sappiamo, è già andata in paradiso e sulla terra pare che non ci rimanga più nessuno. E allora a quando l'appuntamento per la risoluzione del problema del lavoro precario nella pubblica amministrazione ? Quando parleremo di stabilizzazioni ? Quando riterrete di ragionare per trovare soluzioni che, pur legate alla stringente crisi, assumano il rango di essere tali, ovvero soluzioni ? Quelle del decreto-legge in esame non sono soluzioni. Sono rinvii. Sono l'accrescersi del problema. Il fenomeno dei lavoratori precari nella pubblica amministrazione si è accumulato nel tempo ed è in parte collegato al blocco del turn over, di cui costituisce una forma di elusione. I precari della pubblica amministrazione sono più di 200 mila e gran parte di essi sono nel mondo della scuola, che dovrebbe essere considerato cardine per la crescita del nostro Paese. Occorrono politiche volte al contenimento del fenomeno, non soluzioni tampone, non rinvii non proroghe. Ma la cosa che più ci lascia perplessi – all'articolo 4, comma 5 – è quella per la quale il Governo ha ritenuto di finanziare la proroga dei contratti a tempo determinato dei 632 lavoratori impiegati presso gli sportelli unici per l'immigrazione, attingendo al fondo di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso.
  Questo i cittadini è bene che lo sappiano. Mentre non si toccano le pensioni d'oro, mentre non si pensa a un serio piano di più equa redistribuzione del reddito, cosa facciamo ? Sottraiamo fondi alle vittime dei reati di tipo mafioso, dell'estorsione e dell'usura. Ritenete sia la strada giusta, anche solo sul piano simbolico ? Noi no, di certo. Dopo vent'anni di riforme il settore pubblico vive uno dei momenti storici più critici, sia per i numerosi tagli ai quali è sottoposto, sempre più stringenti, sia per la paralisi che lo colpisce, a partire dalla gestione delle risorse umane, tra vincoli contrattuali, blocco delle assunzioni e continui mutamenti normativi. Restiamo in attesa di conoscere gli indirizzi del nuovo Governo in materia di pubblica amministrazione.Pag. 37
  Il precariato costituisce, da anni, una pessima pratica del datore di lavoro pubblico grazie alla complicità di controllori e controllati e alla non applicabilità della sanzione più pesante per un datore di lavoro in caso di violazione delle norme sul contratto a termine, cioè quella della trasformazione del rapporto a tempo indeterminato che, solo grazie alle continue proroghe di legge, ci risparmia pesanti condanne in sede giudiziaria. Siamo tutti consapevoli che i contratti di lavoro flessibili diventano precari attraverso le proroghe e i rinnovi e siamo anche consapevoli del grave problema occupazionale che colpisce l'Italia. Occorre immaginare percorsi di utilizzo e impiego compatibili con l'ordinamento vigente e volti a salvaguardare ogni forma di occupazione. Si pensi ai numerosi e consistenti bacini presenti nelle regioni meridionali, prorogati con leggi e provvedimenti anche regionali in aperta violazione di tutte le norme della direttiva comunitaria del 28 giugno 1999 n. 70.
  Tutto ciò non ci impedisce di essere consapevoli della difficoltà di risolvere ogni problema in un contesto di crisi e spending review, soprattutto quando esso riguarda ormai numeri considerevoli oggi non facilmente assorbibili dato l'attuale quadro economico. Numerose sono ormai le sentenze che condanno l'amministrazione ad un significativo risarcimento del danno e non è detto che, di fronte a un datore di lavoro pubblico che cerca scorciatoie sul lavoro flessibile, la giurisprudenza in materia di legittimità del divieto di trasformazione a tempo indeterminato non cambi. Ciò che contestiamo, dunque, è il metodo di approccio al problema, pur consapevoli delle difficoltà, ma l'obiettivo da porsi deve essere quello dell'abbandono della strategia dell'emergenza. Chiediamo un serio confronto al fine di dare chiarezza e certezze ai lavoratori della pubblica amministrazione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Rossi. Ne ha facoltà.

  DOMENICO ROSSI. Signor Presidente, sottosegretario, colleghi, questa mattina il collega Fauttilli di Scelta Civica per l'Italia, nell'esprimersi favorevolmente sul provvedimento, ha evidenziato che sono state ritirate una serie di norme emendative proprio per favorire il processo di approvazione del provvedimento. Tra queste norme c’è n’è una che è stata già messa in rilievo che riguardava le Forze armate e le forze di polizia. Abbiamo ritenuto di reintervenire su questo aspetto se non altro per richiamare l'attenzione del Governo sul fatto che in circa tre eventi che sono accaduti dall'inizio di questa legislatura – parlo dei marò, degli avvenimenti tragici di Palazzo Chigi, nonché della recente uccisione del maggiore in Afghanistan – abbiamo evidenziato come Scelta Civica per l'Italia voleva concretizzare e spingere le sue riforme di concretizzazione della specificità di questo settore. Dare specificità a questo settore significa per noi dare dei segnali chiari al personale del comparto difesa, sicurezza e soccorso.
  E volevamo sottoporre all'attenzione del Governo il fatto che fra le norme o le varianti che l'IMU ha comportato rispetto alla previgente normativa, una in particolare ci sembra penalizzi in modo chiaro il personale con la divisa.
  Questo perché la vigente normativa sull'IMU prevede quale requisito per l'accesso all'agevolazione per la prima casa per il pagamento dell'imposta il doppio requisito della residenza anagrafica e della dimora abituale, senza prevedere deroghe. È chiaro ed è evidente che il comparto difesa e sicurezza ha una percentuale di mobilità maggiore di qualsiasi altro comparto. Questa mobilità significa che il personale che è riuscito a comprare un appartamento, anche con sacrificio, non sempre è nelle condizioni di lasciare la dimora in questo appartamento. Leggo solo un'ultima mail, che mi è arrivata ieri sera, di un agente della Polizia di Stato, proprietario di un appartamento di Bari, il quale mi dice: sto pagando il mutuo per questo appartamento, ma vivo con la mia famiglia, cinque persone, in affitto, in Pag. 38un'altra città in Campania, dove sono stato trasferito d'ufficio e dove ho dovuto prendere la mia dimora.
  Ecco, io inviterei il Governo, se non possibile in questa occasione – e noi con serietà e responsabilità abbiamo ritirato l'emendamento –, però a prendere atto che questa è una situazione di penalizzazione particolare per un settore specifico, sul quale, in ogni caso, preannuncio la presentazione di un ordine del giorno per quanto riguarda Scelta Civica (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Lorenzo Guerini. Ne ha facoltà.

Testo sostituito con errata corrige volante   LORENZO GUERINI. Signor Presidente, ringrazio il rappresentante del Governo, colleghi deputati, il provvedimento che stiamo esaminando oggi costituisce la conversione in legge di un decreto-legge che riveste grande importanza e che, tra i profili di interesse che contiene, porta con sé la sospensione dell'acconto IMU sulla prima casa, provvedimento molto importante e molto significativo, perché rappresenta sicuramente un sollievo al disagio delle famiglie italiane in un momento in cui la crisi economica si fa particolarmente sentire.
  Insieme, quindi, alla valutazione positiva specifica che esprimiamo su questo elemento, cioè la sospensione dell'acconto IMU sulla prima casa, non possiamo però non sottolineare la contraddizione tra l'obiettivo dichiarato del provvedimento di intervenire sul tema della fiscalità degli immobili e l'effettiva natura delle misure proposte nel provvedimento. Ci si occupa dell'IMU, e non dell'intera tassazione immobiliare, in realtà, si agisce su una leva fondamentale della fiscalità comunale, cioè su un segmento significativo e rilevante delle entrate dei comuni italiani, che sono già state interessate – ci è stato anche rappresentato autorevolmente nel percorso di audizioni che hanno svolto le Commissioni congiunte –, sono state, appunto, le entrate dei comuni italiani precarizzate negli ultimi anni in maniera significativa: dagli interventi sull'ICI nel 2008, ai tagli che, di anno in anno, hanno interessato i trasferimenti agli enti locali, all'incerto cammino del processo di attuazione del federalismo. Una precarizzazione che ha creato incertezza e instabilità e che non ha consentito al sistema delle autonomie locali di muoversi verso l'obiettivo di una chiara ed efficace programmazione delle entrate, su cui, poi, costruire scelte consapevoli e responsabili in termini di spesa.
  E allora, il passaggio che stiamo affrontando e, soprattutto, il lavoro che ci interesserà nei prossimi mesi e secondo le scadenze che sono indicate nel decreto, si deve trasformare in un'opportunità che dobbiamo essere capaci di cogliere. L'opportunità, cioè, di lavorare ad una riscrittura della fiscalità locale, che si muova lungo i principi della programmazione, della pianificazione certa delle entrate e, sulla base di questo, della possibilità di realizzare scelte conseguenti responsabili, che possano essere giudicate dai cittadini, su risorse disponibili, non mettendo in ulteriore precarietà il quadro dei servizi che i comuni rendono alle nostre comunità e muovendosi verso quell'obiettivo dichiarato – ma, ahimè, ancora non raggiunto – della necessità di coniugare il tema dell'autonomia con il tema della responsabilità.
  Allora, in questi mesi che ci separano da quella scadenza, dalla scadenza del 31 agosto indicata nel decreto-legge, credo che dobbiamo lavorare affinché vi sia un proficuo confronto, una proficua collaborazione tra Governo, Parlamento ed enti locali per muovere responsabilmente verso la capacità di affrontare, insieme, questo obiettivo di riforma che rappresenta un elemento di crescita e di virtuosità complessivo del sistema delle autonomie locali. Credo che dobbiamo fare ciò con lo spirito che ha richiamato oggi il presidente Capezzone e cioè quello di affrontare questa discussione non come un'occasione nella quale ciascuno di noi presenta la «fotocopia» dei propri programmi elettorali ma, invece, come la capacità di un incontro, responsabile e serio, tra diverse letture Pag. 39per far muovere il sistema verso un orizzonte di virtuosità di cui il sistema ha necessariamente bisogno.
  Nel corso del dibattito nelle Commissioni congiunte il Partito Democratico ha presentato numerosi emendamenti che definirei programmatici, cioè degli emendamenti che fornivano indicazioni in merito ad alcuni principi su cui riscrivere la fiscalità comunale e in particolare la fiscalità immobiliare: dalla definizione del cespite immobiliare come il cespite fondamentale che costituisce la base portante delle entrate finanziarie degli enti locali – seguendo l'esempio che è presente in numerosi Paesi europei ed extraeuropei, Stati Uniti, Francia, Germania, Gran Bretagna, in cui il cespite immobiliare è il cespite fondamentale su cui si realizzano le entrate dei comuni, è il cespite che i comuni conoscono meglio, possono controllare meglio e su cui possono fare responsabili e autonome politiche fiscali – alla selettività dell'imposta sugli immobili (come ci è stato richiamato autorevolmente nel corso dell'audizione della COPAFF), in cui la misura del prelievo trova un modo di essere legata al reddito del contribuente secondo l'obiettivo di raggiungere quegli elementi di equità che ci sono stati richiamati in maniera altrettanto autorevole dalla Banca d'Italia in questi giorni e in cui, appunto, si chiede che vi sia una corresponsione tra il livello del reddito e il prelievo che viene pagato. Così come il riferimento specifico agli immobili strumentali all'attività di impresa: nel passaggio dall'ICI all'IMU su questo tipo di immobili, che costituiscono fattori della produzione perché vengono utilizzati dalle imprese per realizzare l'attività imprenditoriale, la crescita dell'imposta è stata una crescita considerevole ed importante. Le audizioni che abbiamo avuto modo di ascoltare ci hanno richiamato l'esigenza di intervenire in questa prospettiva andando a diminuire il carico fiscale sulle imprese per gli immobili strumentali alla loro attività. Così pure sul tema della TARES vi è stata l'individuazione dell'esigenza di lavorare intorno ad una separazione della tassazione sul ciclo dei rifiuti che va nella direzione del miglioramento della virtuosità del sistema delle politiche di raccolta differenziata secondo il principio europeo del «chi più paga più inquina» e in quella della copertura dei costi dei servizi indivisibili. Il Partito Democratico, su questi punti specifici ha presentato numerosi emendamenti che poi ha ritirato come richiesto dal Governo e dai relatori e che ha trasformato in ordini del giorno sui quali chiederà l'impegno del Parlamento e del Governo affinché nella prospettiva del riordino di questo comparto della tassazione vi possa essere l'attenzione dovuta. Tuttavia, ci sono degli emendamenti tecnici che non possano essere bypassati e sono emendamenti che riguardano la precarizzazione attuale in cui si trova la fiscalità comunale: con l'intervento sull'IMU sulla prima casa si interviene sulla liquidità dei comuni italiani e c’è una previsione normativa, contenuta nel decreto-legge, che merita di essere affrontata. Lo Stato, essenzialmente, consente ai comuni di andare in anticipazione di tesoreria, facendosi carico della copertura degli interessi del ricorso all'anticipazione ma, nel contempo, non interviene sulla conseguenza di questo intervento e cioè sulla limitazione all'uso degli avanzi di amministrazione che l'anticipazione comporta, secondo quanto previsto dal Testo unico degli enti locali. In altre parole, lo Stato costringe i comuni, per la crisi di liquidità derivante dalla sospensione dell'IMU, ad accedere all'anticipazione di tesoreria, nel contempo, però, non risolve le conseguenze negative di questo ricorso.
  Allora, questi emendamenti sono stati ripresentati ed io credo che sia qui necessario rivolgere un appello al Governo affinché, su questa partita particolare, vi sia una risposta chiara, precisa e che sappia dare, soprattutto, certezza ai comuni italiani (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
  LORENZO GUERINI. Grazie. Signor Presidente, ringrazio il rappresentante del Governo. Colleghi deputati, il provvedimento che stiamo esaminando oggi costituisce la conversione in legge di un decreto-legge che riveste grande importanza e che, tra i profili di interesse che contiene, porta con sé la sospensione dell'acconto IMU sulla prima casa, provvedimento molto importante e molto significativo, perché rappresenta sicuramente un sollievo al disagio delle famiglie italiane in un momento in cui la crisi economica si fa particolarmente sentire.
  Insieme alla valutazione positiva specifica che esprimiamo su questo elemento, cioè la sospensione dell'acconto IMU sulla prima casa, non possiamo però non sottolineare la contraddizione tra l'obiettivo dichiarato del provvedimento di intervenire sul tema della fiscalità degli immobili e l'effettiva natura delle misure proposte nel provvedimento. Ci si occupa solo dell'IMU, e non dell'intera tassazione immobiliare. In realtà, si agisce su una leva fondamentale della fiscalità comunale, cioè su un segmento significativo e rilevante delle entrate dei comuni italiani, che sono già state interessate – ci è stato anche rappresentato autorevolmente nel percorso di audizioni che hanno svolto le Commissioni congiunte –, sono state, appunto, le entrate dei comuni italiani precarizzate negli ultimi anni in maniera significativa: dagli interventi sull'ICI nel 2008, ai tagli che, di anno in anno, hanno interessato i trasferimenti agli enti locali, all'incerto cammino del processo di attuazione del federalismo. Una precarizzazione che ha creato incertezza e instabilità e che non ha consentito al sistema delle autonomie locali di muoversi verso l'obiettivo di una chiara ed efficace programmazione delle entrate, su cui, poi, costruire scelte consapevoli e responsabili in termini di spesa.
  E allora, il passaggio che stiamo affrontando e, soprattutto, il lavoro che ci interesserà nei prossimi mesi e secondo le scadenze che sono indicate nel decreto, si deve trasformare in un'opportunità che dobbiamo essere capaci di cogliere. L'opportunità, cioè, di lavorare ad una riscrittura della fiscalità locale, che si muova lungo i principi della programmazione, della pianificazione certa delle entrate e, sulla base di questo, della possibilità di realizzare scelte conseguenti responsabili, che possano essere giudicate dai cittadini, su risorse disponibili, non mettendo in ulteriore precarietà il quadro dei servizi che i comuni rendono alle nostre comunità e muovendosi verso quell'obiettivo dichiarato – ma, ahimè, ancora non raggiunto – della necessità di coniugare il tema dell'autonomia con il tema della responsabilità.
  Allora, in questi mesi che ci separano da quella scadenza, dalla scadenza del 31 agosto indicata nel decreto-legge, credo che dobbiamo lavorare affinché vi sia un proficuo confronto, una proficua collaborazione tra Governo, Parlamento ed enti locali per muovere responsabilmente verso la capacità di affrontare, insieme, questo obiettivo di riforma che rappresenta un elemento di crescita e di virtuosità complessivo del sistema delle autonomie locali. Credo che dobbiamo fare ciò con lo spirito che ha richiamato oggi il presidente Capezzone e cioè quello di affrontare questa discussione non come un'occasione nella quale ciascuno di noi presenta la «fotocopia» dei propri programmi elettorali ma, invece, come la capacità di un incontro, responsabile e serio, tra diverse letture Pag. 39per far muovere il sistema verso un orizzonte di virtuosità di cui il sistema stesso ha necessariamente bisogno.
  Nel corso del dibattito nelle Commissioni congiunte il Partito Democratico ha presentato numerosi emendamenti che definirei programmatici, cioè degli emendamenti che fornivano indicazioni in merito ad alcuni principi su cui riscrivere la fiscalità comunale e in particolare la fiscalità immobiliare: dalla definizione del cespite immobiliare come il cespite fondamentale che costituisce la base portante delle entrate finanziarie degli enti locali – seguendo l'esempio che è presente in numerosi Paesi europei ed extraeuropei, Stati Uniti, Francia, Germania, Gran Bretagna, in cui il cespite immobiliare è il cespite fondamentale su cui si realizzano le entrate dei comuni, è il cespite che i comuni conoscono meglio, possono controllare meglio e su cui possono fare responsabili e autonome politiche fiscali – alla selettività dell'imposta sugli immobili (come ci è stato richiamato autorevolmente nel corso dell'audizione della COPAFF), in cui la misura del prelievo trova un modo di essere legata al reddito del contribuente secondo l'obiettivo di raggiungere quegli elementi di equità che ci sono stati richiamati in maniera altrettanto autorevole dalla Banca d'Italia in questi giorni e in cui, appunto, si chiede che vi sia una corresponsione tra il livello del reddito e il tributo che viene pagato. Così come il riferimento specifico agli immobili strumentali all'attività di impresa: nel passaggio dall'ICI all'IMU su questo tipo di immobili, che costituiscono fattori della produzione perché vengono utilizzati dalle imprese per realizzare l'attività imprenditoriale, la crescita dell'imposta è stata una crescita considerevole ed importante. Le audizioni che abbiamo avuto modo di ascoltare ci hanno richiamato l'esigenza di intervenire in questa prospettiva andando a diminuire il carico fiscale sulle imprese per gli immobili strumentali alla loro attività. Così pure sul tema della TARES vi è stata l'individuazione dell'esigenza di lavorare intorno ad una separazione della tassazione sul ciclo dei rifiuti che va nella direzione del miglioramento della virtuosità del sistema delle politiche di raccolta differenziata secondo il principio europeo del «chi più paga più inquina» da quella della copertura dei costi dei servizi indivisibili. Il Partito Democratico, su questi punti specifici ha presentato numerosi emendamenti che poi ha ritirato come richiesto dal Governo e dai relatori e che ha trasformato in ordini del giorno sui quali chiederà l'impegno del Parlamento e del Governo affinché nella prospettiva del riordino di questo comparto della tassazione vi possa essere l'attenzione dovuta. Tuttavia, ci sono degli emendamenti tecnici che non possano essere bypassati e sono emendamenti che riguardano la precarizzazione attuale in cui si trova la fiscalità comunale: con l'intervento sull'IMU sulla prima casa si interviene sulla liquidità dei comuni italiani e c’è una previsione normativa, contenuta nel decreto-legge, che merita di essere affrontata. Lo Stato, essenzialmente, consente ai comuni di andare in anticipazione di tesoreria, facendosi carico della copertura degli interessi del ricorso all'anticipazione ma, nel contempo, non interviene sulla conseguenza di questo intervento e cioè sulla limitazione all'uso degli avanzi di amministrazione che l'anticipazione comporta, secondo quanto previsto dal Testo unico degli enti locali. In altre parole, lo Stato costringe i comuni, per la crisi di liquidità derivante dalla sospensione dell'IMU, ad accedere all'anticipazione di tesoreria, nel contempo, però, non risolve le conseguenze negative di questo ricorso.
  Quindi, questi emendamenti sono stati ripresentati ed io credo che sia qui necessario rivolgere un appello al Governo affinché, su questa partita particolare, vi sia una risposta chiara, precisa e che sappia dare, soprattutto, certezza ai comuni italiani (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

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(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 1012-A)

  PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore di minoranza, deputato Fedriga, non intende replicare.
  Ha facoltà di replicare il relatore per la maggioranza per la VI Commissione, presidente della stessa, Capezzone.

  DANIELE CAPEZZONE, Relatore per la maggioranza per la VI Commissione. Signora Presidente, ringrazio tutti i colleghi, per una discussione davvero positiva e ricca di spunti. Per parte mia – immagino che poi il presidente Damiano vorrà dire la propria –, essenzialmente vi sono tre spunti, tre annotazioni, tre telegrammi da tenere a mente rispetto alle votazioni che avremo domani. In primo luogo, tengo a ribadire che il presidente Damiano ed io abbiamo dovuto un atteggiamento assolutamente rigoroso, certo, ma anche scrupolosissimo sul tema scottante della ammissibilità degli emendamenti, e desidero ringraziare lei, Presidente, per aver ricordato questa mattina gli elementi regolamentari e di prassi che, in modo speciale in materia di decreti, non consentono di andare fuori binario.
  In secondo luogo, desidero ricordare, sempre come linea guida – ed è un mantra per la discussione che abbiamo fatto e per le votazioni di domani –, il carattere circoscritto del provvedimento. Noi dobbiamo avere presente il campo del quale stiamo parlando e giocare una partita che abbia legame con quel campo, non giocare un'altra partita che riguarda un campo più grande che è li, ma che affronteremo tra poco. È un provvedimento limitato, non è una riforma complessiva, in particolare sulla parte fiscale.
  Questo non vuol dire che non sia una norma positiva, è una norma positivissima. Consentitemi, perché ho sentito un po’ di propaganda, che la faccia anch'io, ma propaganda per il decreto: è una norma che non fa pagare molti milioni agli italiani e quindi è una cosa positiva. Poi, se solo per un istante mi devo levare la casacca di presidente di Commissione e di relatore e mettere quella del mio partito, aggiungerei che, siccome gli italiani non hanno pagato questa volta, auspico fortemente che non paghino in futuro e che la norma successiva abbia quel carattere. Ma non è questa la discussione da fare oggi, in questa sede, in questo luogo. Anzi, è importante che si tenga questo dibattito come un avvio del dibattito che avremo tra qualche giorno, in cui è naturale che le diverse posizioni si esprimeranno, si spiegheranno e si dispiegheranno auspicando, come dicevo stamattina, che poi, dalle posizione iniziali, venga fuori una cosa nuova e creativa, una sintesi positiva e creativa.
  Terzo ed ultimo telegramma: abbiamo a mente che questa può essere la legislatura di una riforma fiscale complessiva. La Commissione finanze ha scelto, tutti i componenti insieme, di ripescare la delega fiscale: se saremo assistiti dalla Conferenza dei presidenti di gruppo e dall'Aula – ne siamo davvero fiduciosi e convinti – potremo avere tempi super veloci per chiudere in quindici giorni la fase referente. Può esser un'occasione per un grande riordino, lavorando insieme, tutti i gruppi, anche con un forte coordinamento con il Senato, e poi entreremo nel merito, punto per punto, sapendo che il mood di quest'Aula, ma devo dire di tutti i gruppi e del Paese, è quello di una legislatura di alleggerimento fiscale, di respiro, di un segno meno sulle tasse, in tutte le direzioni. Ciò vale per la tassazione immobiliare, vale per le imposte indirette, vale per quelle che gravano sul lavoro.
  Ho concluso. Agli amici dell'opposizione, che ringrazio in modo speciale per il contributo che hanno dato, perché chi ha la funzione dell'opposizione svolge una funzione che è ancora più importante di quella di maggioranza – e a loro va il mio cuore, perché nella mia breve vita politica ho fatto molti più anni di opposizione che di maggioranza –, però, con il sorriso, consentitemi due suggerimenti non richiesti: il primo, non scarichiamo su questo provvedimento tensioni che stanno fuori da questo provvedimento; il secondo, raddoppiando Pag. 41il sorriso, non usiamo troppo il voi e il noi (voi, voi, voi). Mi permetto di dire a chi usa il voi che poi c’è sempre qualcun altro che userà il voi verso di voi. Diceva il vecchio e saggio Pietro Nenni che c’è sempre un puro più puro che ti epura, e Pietro Nenni non era un berlusconiano.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la maggioranza per la XI Commissione, presidente della stessa, Cesare Damiano.

  CESARE DAMIANO, Relatore per la maggioranza per la XI Commissione. Grazie Presidente. Anch'io pochi minuti per dire che credo che abbiamo svolto un buon lavoro, un lavoro in comune tra XI e VI Commissione, ringrazio il presidente Capezzone, perché c’è stata una forte intesa, una capacità di ascolto, di orientamento. Come lei ricordava questa mattina, Presidente, noi ci siamo attenuti, come si dice, al Regolamento della Camera, abbiamo anche sollecitato in qualche modo la Presidenza della Camera di tenere conto che alle volte c’è una difformità di atteggiamento tra l'atteggiamento, diciamo, rigoroso nella Camera e un atteggiamento diverso al Senato su alcuni provvedimenti, quindi anche questa discussione può essere fatta, però il Regolamento della Camera è un regolamento molto preciso.
  Per quanto riguarda il provvedimento, sulla parte sociale sicuramente noi siamo di fronte ad un passo avanti, io ho una lunga esperienza politica e sindacale, ricordo il «tutto e subito» degli anni Settanta (sarebbe preferibile ma non è possibile), si è chiesto al Governo di dare segni di concretezza, di svolgere un ruolo nell'emergenza, mi pare che dal Governo ci siano dei segnali, sicuramente sono segnali parziali, ma sono segnali importanti. Dare a quei lavoratori che rimarrebbero altrimenti senza reddito, e quindi disperati, la possibilità di utilizzare la cassa integrazione in deroga, un altro miliardo in più, in una situazione di particolare emergenza, credo che sia una attenzione ai temi sociali molto forti.
  Dico anche che è importante aver di nuovo alimentato, con 60 milioni, i contratti di solidarietà; mi auguro che questo strumento venga largamente utilizzato negli accordi aziendali perché, come tutti sanno, è uno strumento che impedisce di licenziare persone e non utilizza la cassa integrazione e quindi va a beneficio di tutti, con una distribuzione dell'orario.
  In ultimo, voglio dire soltanto questo. È evidente che noi, lo dico come ha detto l'onorevole Capezzone, spogliandomi dai ruoli di relatore e di presidente della Commissione, come rappresentante del Partito Democratico, anch'io auspico, sul versante della cassa integrazione, noi ci batteremo tutti, credo, insieme nel caso in cui il monitoraggio dica che le risorse non sono sufficienti, per un rifinanziamento. L'abbiamo detto, lo ribadiamo, sappiamo che su questo c’è un impegno del Governo e che noi vogliamo far valere al momento opportuno.
  Naturalmente sappiamo tutti che stiamo lavorando su questo decreto-ponte, su una situazione di emergenza, che stiamo intervenendo semplicemente sulle tutele passive per impedire un ulteriore disagio sociale crescente, ma la vera questione che il Governo dovrà affrontare nel prossimo periodo è: come si ridà sviluppo al Paese ? Per questa strada si dà occupazione, perché semplicemente norme passive o regolamentari sul mercato del lavoro sicuramente non sono in grado di dare nessuna prospettiva di sviluppo e di occupazione, di stabilità occupazionale al nostro Paese e ai lavoratori.
  Anch'io mi associo a quello che diceva il presidente Capezzone, eviterei «il noi e il voi», io da un punto di vista politico per la mia parte sono stato all'opposizione credo per quasi tutta la mia vita politica e me ne intendo abbastanza di opposizione, salvo le rare volte nelle quali il mio partito è stato al Governo, credo che noi facciamo parte, diciamo, di un'Assemblea che ha a cuore i problemi del Paese, ci stiamo battendo e quello che ho riscontrato non solo in Commissione lavoro, ma in quest'Aula, è una volontà comune di affrontare le grandi emergenze che il Pag. 42Paese sta attraversando. A queste dobbiamo guardare con grande forza e questa sicuramente è la nostra priorità, al di là dello spirito di bandiera che, credo, non sarebbe compreso da nessuno nel Paese in questa situazione così delicata (Applausi).

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo, sottosegretario Baretta.

  PIER PAOLO BARETTA, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, innanzitutto anch'io ringrazio i colleghi deputati che sono intervenuti in questo utile scambio di opinioni e ringrazio anche i presidenti Capezzone e Damiano, anche per la fortunata coincidenza che gli capita nella vita, di essere in maggioranza, e anche i colleghi relatori di minoranza.
  Mi limito ad alcune osservazioni e risposte rapide.
  Il collega relatore di minoranza per la Commissione lavoro, l'onorevole Fedriga, ha lamentato una certa chiusura da parte del Governo nell'accoglimento di una serie di emendamenti, e quindi anche di dialogo e di rapporto. Credo che vada chiarito che, forse non è tranquillizzante per il relatore di minoranza, ma questo atteggiamento il Governo non lo ha riservato all'opposizione: lo ha riservato anche alla maggioranza. Chiedendo una cosa precisa, e cioè che non si confondesse con altro un provvedimento che ha il limite di essere congiunturale, e cioè si pone il tema di sospendere la rata di giugno dell'IMU, annunciando nel contempo a breve un provvedimento di struttura; e che non vi fossero su questo decreto-legge emendamenti che già anticipavano il dibattito di merito sulle scelte da compiere relativamente ad una riforma che faremo in tempi brevi, come è stato annunciato.
  Questa distinzione è molto importante, perché può consentire di aiutare delle scelte che sono collegate ad un dibattito politico che tutti sappiamo delicato, non facile, e che quindi qualsiasi anticipazione fatta a colpi di emendamenti avrebbe in qualche modo complicato. Ciò non significa che non vi sia la possibilità di affrontare alcuni emendamenti di carattere tecnico. Scadeva, mi pare alle 14, il termine, verificheremo con la dovuta attenzione gli emendamenti presentati: con questa netta distinzione, vi chiediamo di non insistere su emendamenti di anticipazione di struttura, ma vediamo se vi sono alcuni elementi di merito tecnici. Per esempio, la questione che veniva accennata in Aula, degli anticipi di tesoreria, se vi saranno le condizioni la esamineremo nelle prossime ore, in maniera tale che venga accolta. Così come, un tema che era stato dibattuto nel corso della discussione, quello di alcuni equivoci relativi alla copertura che Equitalia forniva rispetto alle posticipazione, è stato risolto nel decreto-legge emanato sabato: sapete che è presente anche questo elemento.
  Che bisogna distinguere tra la parte tecnica e la parte di struttura è del tutto evidente, direi anche dal dibattito che vi è stato, perché gli argomenti in discussione sono assolutamente rilevanti. L'onorevole Polverini ricordava – ma è un tema diffuso – la sostanziale iniquità dell'IMU così come statuita, al di là delle opinioni di questa o di quella forza politica: tutte le forze politiche presenti in Parlamento hanno espresso il bisogno di rimetterci mano.
  Faccio solo due esempi, per dire quanto questo elemento ha bisogno di una riflessione che non poteva essere fatta, sia pure comprendendone l'origine, con emendamenti. Molti colleghi oggi, molti deputati, Fauttilli ed altri, hanno posto il problema delle seconde case, anche adesso. La somma di queste eccezioni, che venivano ricordate in Aula, prefigura una riflessione sulla seconda casa un po’ più approfondita di quella del singolo caso: il comodato, i residenti all'estero, le cooperative (in parte già risolto), la sicurezza e la difesa, citato poco fa da Rossi. Insomma, se sommiamo l'insieme di queste comprensibili eccezioni, ciascuna delle quali ha una motivazione, si configura un intervento che può presentare un diverso concetto di seconda casa: è bene quindi che su ciò vi sia una riflessione approfondita.Pag. 43
  Un secondo esempio, che anche la deputata Ruocco e l'onorevole Busin ricordavano, è quello della deducibilità dei beni strumentali. Sapete che vi è stata una discussione, se sospendere subito il pagamento.
  Alla fine, si è scelta una via più strutturale, cioè quella che, a fronte della conferma del pagamento però sui beni strumentali, nelle dichiarazioni di reddito di impresa del 2014 vi sia la deducibilità, ma la natura e la forma di questa deducibilità ha bisogno di un'evidente scelta. Ci sono quindi ragioni politiche, fiscali e ordinamentali che ci fanno dire che è meglio affidarsi alla discussione che faremo nelle prossime settimane. In questo senso, è molto utile – l'hanno ripetuto molti deputati e lo sottolineo anche io – l'esigenza che si acceleri – i presidenti delle Commissioni finanze di Camera e Senato hanno dato questo ok molto importante e mi pare che già giovedì sia fissata la scadenza – l’iter della delega fiscale, riprendendolo dal punto in cui era stato sospeso.
  È importante – lo ricordo – che nella delega fiscale – l'onorevole Lavagno lamentava l'assenza di una riforma del catasto e ha perfettamente ragione, perché il ritardo è evidente – sia presente il tema della riforma del catasto, ed è una delle ragioni che fanno dire che bisogna che la delega fiscale venga affrontata contestualmente alla ridefinizione della riforma complessiva della tassazione sulla casa, che presenteremo. Ed ecco perché allora anche noi pensiamo che la stessa proposta di riforma debba essere il più anticipata possibile. Noi abbiamo deciso in un altro provvedimento di consentire ai comuni di fare entro il 30 settembre, quindi spostandolo in avanti, il bilancio preventivo, e sottolineo, preventivo. Quindi, si tratta di una concessione che ha una sua anomalia. Perché questa è nata su richiesta di molti comuni e anche dell'ANCI ? Perché è chiaro che c’è un dato di incertezza di quadro legata proprio alla legge sull'IMU e sulla casa.
  È chiaro che se spostiamo la possibilità di fare il bilancio preventivo dei comuni al 30 settembre – francamente mi sembra una data già molto avanzata trattandosi, lo risottolineo, di preventivo – se portassimo alla discussione dei comuni la proposta di legge a metà settembre, avremmo fatto un'operazione che si accavalla su se stessa.
  Quindi, abbiamo la necessità di anticipare il più possibile anche i tempi e dunque bisogna lavorare direi in parallelo con la delega fiscale e il lavoro preparatorio da parte del Governo. Vorrei soltanto dire all'onorevole Busin che ha posto una questione molto seria relativamente all'Emilia. Come sa, il tema del terremoto dell'Emilia non è un tema assente né nel dibattito del Parlamento né del Governo, ed è presente in più provvedimenti, compreso anche l'ultimo decreto-legge «emergenze», che è in discussione. Quindi, non c’è alcuna sottovalutazione, c’è un percorso parallelo che è finalizzato esclusivamente all'emergenza derivata dal terremoto.
  Sul secondo capitolo, quello relativo al rifinanziamento della cassa integrazione guadagni, l'onorevole Lavagno diceva che una delle ragioni della sua opposizione al Governo è il fatto che il Presidente Letta ha citato molte cose e poi ha detto: e anche i provvedimenti sul lavoro. Resta il fatto che, al di là della terminologia, la prima decisione che è stata presa dal Governo è il rifinanziamento della cassa integrazione guadagni. Quindi, questo elemento va preso nella dovuta considerazione, anche se siamo assolutamente convinti – lo ricordava anche il presidente Damiano nella sua relazione – che non basterà. Lo dicevano anche altri. Non basterà, perché sappiamo qual è la dimensione dell'emergenza occupazionale in questo Paese.
  Mi riservo di verificare l'osservazione che l'onorevole Gregori ha fatto relativa al problema di una verifica delle copertura. Mi riservo di approfondirla. A me consta che le coperture sono tutte disponibili, però siccome questo tema è stato posto da lei, non c’è dubbio. Non basterà però l'intervento, come non basterà – mi riferisco Pag. 44alle osservazioni che ci ha fatto l'onorevole Ciprini – nemmeno per i precari, sui quali esiste un problema.
  Veniva chiesta dall'onorevole Ciprini un'opinione generale del Governo sulla pubblica amministrazione ed ha perfettamente ragione perché è una delle questioni sulle quali bisognerà cimentarsi.
  Non sarà neutro, però, un intervento sulla pubblica amministrazione, ma non vi è dubbio che sia un tema che va affrontato. Noi ci siamo trovati di fronte ad un'emergenza, e cioè che a quella data e a quel giorno essi erano licenziati. Quindi, intanto abbiamo fatto questa operazione di spostamento in avanti per questo immediato motivo; dopodiché, sappiamo che non basterà: come non basta per la cassa integrazione, non basta nemmeno per i precari della pubblica amministrazione.
  L'ultimo capitolo su cui voglio brevissimamente replicare è la questione dell'abolizione della sommatoria tra l'indennità di parlamentare e l'indennità di Governo: può sembrare una piccola cosa, ma credo che vada inquadrata in un percorso. Non dimentichiamo che alla misura presente in questo provvedimento ne è seguita immediatamente una che è collegata nello stesso filone di ragionamento, che è il superamento del finanziamento pubblico ai partiti.
  Voglio dire, in sostanza, per concludere, che in questo mese il Governo ha provveduto, quasi settimanalmente, ad offrire al Paese e al Parlamento dei provvedimenti, la somma dei quali dà una linea di indirizzo, che è mirata alla ripresa economica, con interventi a sostegno del lavoro e dell'impresa, e alla riforma complessiva delle istituzioni.
  Si fa gradualmente, si fa prendendo in mano una situazione, cosa che noi abbiamo fatto non propriamente nelle migliori condizioni. Ecco perché io penso che vi sia bisogno di un atteggiamento collettivo, che, pur nelle legittime e comprensibili critiche, anche utili, faccia, però, intravedere che vi è una strada che stiamo percorrendo, che vi è un percorso, e questo percorso va affrontato con grande convinzione, da parte della maggioranza, sicuramente, ma, mi auguro, anche con comprensione da parte dell'opposizione.
  L'onorevole Bargero prima ha citato Ungaretti, alzando il livello della discussione, come hanno fatto altri, citando quella famosa frase sulla precarietà di tutti. Vorrei ricordare, non a lei, ma a tutti noi, che lo stesso poeta, in un altro passaggio, dice che il nostro compito è di «non vivere di lamento come un cardellino accecato». Ecco, penso che, se con questo atteggiamento noi affrontiamo l'emergenza, potremo sicuramente, anche con questo provvedimento, dire che stiamo contribuendo al miglioramento complessivo del nostro Paese (Applausi).

  PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Colletti ed altri n. 1-00021 concernente iniziative volte a garantire un adeguato risarcimento a favore delle persone che hanno subito danni da incidenti stradali (ore 16,25).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Colletti ed altri n. 1-00021 concernente iniziative volte a garantire un adeguato risarcimento a favore delle persone che hanno subito danni da incidenti stradali (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).
  Avverto che sono state presentate le mozioni Boccuzzi ed altri n. 1-00099, Piazzoni ed altri n. 1-00100, Molteni ed altri n. 1-00101, Gigli ed altri n. 1-00102, Costa ed altri n. 1-00103 e Giorgia Meloni ed altri n. 1-00104, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono distribuzione (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto, altresì, che in data odierna è stata presentata una nuova formulazione Pag. 45della mozione Colletti ed altri n. 1-00021. Il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A – Mozioni).

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritto a parlare il deputato Andrea Colletti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00021 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

  ANDREA COLLETTI. Signor Presidente, sarò abbastanza breve perché il tema, alla fine, non è di difficile discussione. Avevamo presentato inizialmente due mozioni sul tema, che riguardavano l'adozione e la tentata approvazione che stava facendo il Governo precedente, e quindi il Governo Monti e il Ministro Balduzzi, in riferimento alle tabelle per i risarcimenti danni relativi alle gravi menomazioni, che sono quelle da dieci a cento punti di invalidità.
  Sappiamo tutti che la volontà del precedente Governo, purtroppo, era quella di fare un grandissimo favore alle lobby delle assicurazioni, e loro stessi, con gli schemi di tabelle, tendevano ad abbassare notevolmente i risarcimenti per i cittadini che avessero subito danni sia da incidenti stradali che da casi di malasanità. Ovviamente, questa mozione è stata immediatamente presentata per chiedere di ritirare questo decreto. Attualmente questo decreto non è stato ancora approvato, per fortuna. L'obiettivo nostro, come MoVimento 5 Stelle, nella predisposizione di questo mozione, è di cercare di orientare l'attività legislativa del Governo, che dovrà adottare un decreto del Presidente della Repubblica, verso l'adozione delle cosiddette tabelle di Milano.
  Per chi tratta la faccenda è abbastanza notorio che le tabelle di Milano sono in uso in quasi tutto il territorio nazionale. Rispetto alle menomazioni lievi, queste tabelle risarciscono i cittadini che subiscono incidenti stradali e casi di malasanità, per importi quasi più che doppi rispetto a quanto previsto dal codice delle assicurazioni. Quindi, capiamo bene che per le assicurazioni si tratta di mancati introiti molto pesanti, ed è per questo che, dal nostro punto di vista, si sono fatte sentire molto forti le loro pressioni sul precedente Governo.
  Ovviamente molti diranno che aumentare i risarcimenti porterà ad un aumento della RC-Auto o delle polizze assicurative, ma abbiamo già visto che questa visione non è veritiera. D'altra parte le prime tabelle sono state adottate a seguito del codice delle assicurazioni del 2005, in cui c’è stato un notevole abbassamento, come dicevamo, della metà dei risarcimento per le lievi menomazioni, che sono poi i risarcimenti preponderanti in questo ambito. Ebbene, le polizze, come purtroppo sappiamo tutti, sono aumentate notevolmente dal 2005 in poi, e allora tutto quello che dicono l'ANIA e le varie lobby risulta falso, risulta capzioso. Quindi dobbiamo in primis ragionare su quello che questa Aula vuole fare. Questa Aula vuole essere dalla parte dei cittadini, dei consumatori, dei disabili, di coloro che subiscono danni, oppure vuole essere dalla parte delle lobby delle assicurazioni (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) ?
  Occupandomi nella mia professione, purtroppo ormai precedente, di malasanità, e avendo visto il «decreto Balduzzi» del settembre 2012, che ha abbassato i risarcimenti anche per i casi di malasanità – improvvidamente purtroppo – e votati da questa Assemblea attraverso uno degli ennesimi voti di fiducia, io personalmente ho visto persone con danni che a primo apparire potevano sembrare dei danni di poco conto, delle piccole fratture, che però, alla fine – come ci si rende conto parlando con queste persone – sono i danni che maggiormente vanno ad inficiare la vita quotidiana delle persone. Noi parliamo di lieve entità, ma un 9 per cento di invalidità, quello che può essere un dito in meno, due dita in meno, non è invalidità di lieve entità, è una disabilità anche grave, anche psicologicamente. Ed è certo che questi risarcimenti non potranno mai Pag. 46riportare indietro, a quella che era la vita precedente, queste persone. Però, visto anche l'abbassamento dei fondi per la non autosufficienza, l'abbassamento dei fondi per la disabilità, il fatto che comunque sulle pensioni di invalidità adesso si sta avendo una stretta molto forte – per quanto riguarda le pensioni di invalidità si sta avendo oltretutto un innalzamento della soglia minima per accedere a queste pensioni –, allora forse l'evidenza della giustezza di questi risarcimenti prende vigore.
  E allora, con questa mozione, in cui noi chiediamo al Governo, nel suo schema di decreto del Presidente della Repubblica, di adottare le tabelle di Milano – che sono già state adottate, possiamo dire, dalla Corte di Cassazione, la quale ha chiesto che vengano adottate da tutti i giudici della penisola, perché le ritiene le più giuste –, l'adozione di questo decreto del Presidente della Repubblica potrà portare davvero giovamento alle persone più deboli, a quelle di cui magari spesso ci scordiamo in questa Aula, o nelle stanze del Ministero, adottando magari decreti e decreto del Presidente della Repubblica, perché delle pressioni indebite sul funzionamento del Ministero sono troppo forti.
  Allora, in realtà, la scelta è abbastanza semplice ed è per questo che non mi voglio dilungare oltre. Basterebbe vedere gli impegni che richiede questa mozione, che immagino siano similari anche a quelli delle altre mozioni, per dire che questa mozione è giusta, e che quindi deve essere votata concordemente dall'Aula.
  Alla fine non serve molto, non ragioniamoci neanche, perché è abbastanza semplice la questione, valutiamola per quello che c’è scritto su questa mozione. Sappiamo tutti, se abbiamo avuto contezza di persone disabili e di persone che hanno avuto danni, che questo è giusto. Mi aspetto quindi da questa Aula, che faccia ciò che è giusto e non ciò che è interesse di pochi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle – Congratulazioni).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Antonio Boccuzzi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00099. Ne ha facoltà.

  ANTONIO BOCCUZZI. Signora Presidente, onorevoli colleghi, signora Ministro, la tutela risarcitoria della salute, indubbiamente tra i beni primari garantiti dalla nostra Costituzione, è di assoluta rilevanza per tutti i cittadini; ciò ancor di più in questi tempi di crisi. Infatti, gli eventi avversi che causano menomazioni alla salute, svantaggiano i danneggiati e i loro congiunti in un contesto in cui anche le persone fisicamente integre incontrano sempre più difficoltà a fronteggiare i molteplici problemi dell'esistenza quotidiana. Deve inoltre considerarsi l'indubbio aumento del costo della vita e la contestuale problematicità dei sistemi di sicurezza sociale, ivi compresa la sanità, fattori tali da rendere ancor più rilevante l'attribuzione ai danneggiati di congrue risorse economiche, al contempo senza obbligarli a fronteggiare, a causa dell'incertezza del diritto, percorsi tortuosi e dispendiosi per accedere ai risarcimenti. Per queste ragioni causa non poche perplessità lo schema definitivo del decreto «taglia risarcimenti» per le vittime di incidenti stradali e della responsabilità medica. Proprio come è avvenuto per le lesioni micropermanenti nel 2005, l'intendimento è proprio quello di ridurre l'ammontare dei risarcimenti, senza peraltro mediare tale riduzione con alcuna contropartita, quale ad esempio la riduzione dei premi delle polizze in misura percentuale pari almeno a quella dei risarcimenti. C’è allarme proprio perché è evidente l'immenso dramma che provoca nelle vittime il ritrovarsi dall'oggi al domani in situazioni di così grave e devastante handicap psicofisico, così come quello, forse ancora maggiore, delle loro famiglie che, al di là dell'incolmabile sconvolgimento esistenziale, troppo spesso non riescono a far fronte ai grandi bisogni dei propri cari, neppure con l'attuale risarcimento, figuriamoci con quelli di nuova emanazione.
  Il percorso è iniziato da tempo. Venne avviato nel 2001 con la legge il 5 marzo 2001, n. 57 che, in un sol colpo, ridusse i Pag. 47risarcimenti e innalzò la soglia del danno considerato microlesione dal 5 al 9 per cento. Proseguì poi nel 2005 con l'emanazione dell'articolo 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, che imponeva ulteriori strettoie risarcitorie e procedurali nell'ambito della microlesione, peraltro prontamente bocciato dal giudizio della Corte costituzionale (sentenza n. 180/2009).
  L'attuale schema di tabelle va oltre. Esso interviene a ridosso della sentenza della suprema Corte di Cassazione n. 12408 del 7 giugno 2011, generando sconcerto e perplessità. Com’è noto, con la sentenza citata, la terza sezione della Corte di Cassazione civile ha esteso a tutto il territorio nazionale le tabelle elaborate dall'Osservatorio della giustizia civile del Tribunale di Milano, ritenute le più congrue sia per il metodo di calcolo, sia per i valori risarcitori, pari a circa il doppio di quelli di cui allo schema di tabella, con l'effetto di deflazionare il carico del contenzioso proprio in seguito alla omogeneizzazione dei crediti risarcitori.
  Il carico giudiziario potrebbe tornare nuovamente a crescere, come perverso effetto boomerang causato dall'introduzione di un sistema caratterizzato da importi risarcitori così bassi da imporre di ricercare in giudizio una forte riaffermazione del diritto ad ottenere quella integralità del risarcimento che si sta cercando oggi di falciare. Si aggiunga che le tabelle milanesi, oltre alla declamata congruità, rappresentarono e rappresentano ancora il frutto di un annoso e meditato dibattito dottrinale e giurisprudenziale, che in tema di danno alle persone ha reso possibile che la persona non divenisse oggetto di puro calcolo economico aziendale, ma piuttosto soggetto di diritti, posto al centro del sistema di valori emergenti dagli articoli 2 e 3 della nostra Costituzione e, come tale, titolare del diritto ad ottenere un risarcimento integrale. Lo schema di tabella, che ci riporta insomma molto indietro riguardo al danno alla persona, stravolge totalmente l'indicata criteriologia valoriale, sviando alle direttrici inderogabili sinora tracciate e permetterà di operare gravissime discriminazioni tra le vittime di incidenti stradali e vittime di altre infortuni, alle quali il decreto del Presidente della Repubblica non sarebbe applicabile, almeno fino ad un nuovo intervento legislativo che ritenga di estendere anche alla responsabilità medica ovvero a qualsiasi altro ambito, tali riduttivi risarcimenti.
  Sento quindi il bisogno di appellarmi a tutti gli esponenti di questo Parlamento, e a Lei signora Ministro, proprio perché si faccia di tutto per rendere l'emanando provvedimento il più equo possibile, così come fece nel 1992 il Presidente Francesco Cossiga in riferimento alla legge Amabile, fattispecie assimilabile a quella che oggi discutiamo.
  In primis, va rilevato che in Europa l'indicata discriminazione causale non è consentita e nemmeno pare altrimenti giustificabile. Le tabelle di nuova emanazione non recepiscono infatti neppure lontanamente i principi venutisi ad affermare in ambito europeo ove, contrariamente alla voluta diminuzione dei risarcimenti che si cerca di operare, si era imposto all'Italia l'aumento dei massimali, proprio per evitare che la «vittima di RC auto» rimanesse priva di una adeguata tutela risarcitoria. In questo senso pare evidente il rischio di incostituzionalità del provvedimento così com’è, il quale disciplinerebbe, in patente violazione del fondamentale articolo 3 della Costituzione, in modo assai, troppo, differente, sotto il profilo monetario, situazioni relative a lesioni personali, soltanto per il diverso tipo di genesi della lesione: sinistro stradale piuttosto che infortunio sul lavoro.
  Si ricorda poi come, a far data dal giugno 2007, venne recepita dall'Italia la direttiva 14 della Comunità europea dell'11 maggio 2005, con cui si avviarono le procedure per disporre l'aumento graduale dei massimali minimi RCA previsti dalla legge n. 990 del 1969, pari ad euro 774.685, già allora considerati decisamente inadeguati a coprire i danni relativi ai casi più gravi di macrolesioni. Dal punto di vista medico legale, inoltre, la tabella non risulta essere quella approvata dai vari Pag. 48comitati scientifici, e ciò accadrebbe proprio mentre il tribunale di Milano ha aggiornato le proprie tabelle considerate sia dalla Cassazione che da questo Parlamento, attraverso la mozione Pisicchio del 26 ottobre del 2011, quale parametro di riferimento nazionale per il risarcimento del danno alla persona.
  Tornando ancora per un momento al versante europeo, si aggiunga che su pressante invito dell'Europa fu anche emanato il decreto legislativo n. 198 del 2007 che, all'articolo 1 comma 4, prevedeva la modifica dell'articolo 128 del decreto legislativo n. 209 del 2005, stabilendo che per l'adempimento dell'obbligo di assicurazione per la responsabilità RCA, il contratto dovesse essere stipulato per somme non inferiori ai seguenti importi: nel caso di danno alle persone un importo minimo di copertura pari ad euro 5 milioni per sinistro, indipendentemente dal numero delle vittime; nel caso di danno alle cose, un importo minimo di copertura pari ad euro 1 milione per sinistro, indipendentemente dal numero delle vittime. L'individuazione dei massimali minimi fu determinata nel rispetto degli opposti interessi in campo, con una soluzione anche salvifica degli equilibri del sistema. Gli importi vennero infatti individuati in base a ragionamenti in parte statistici, in parte economici. Furono cioè individuati in modo tale da poter riconoscere al tempo stesso risarcimenti in grado di compensare totalmente ed equamente tutte le persone vittime di macro lesioni particolarmente gravi, tenendo conto però della bassa frequenza degli incidenti che coinvolgono più vittime e dell'esiguo numero di casi in cui più vittime subiscono danni molto gravi nel corso di un unico incidente.
  Se quindi l'Europa impone all'Italia di alzare i massimali minimi per l'assicurazione RCA così da permettere risarcimenti adeguati al costo della vita e migliorativi della tutela della persona, nel caso in oggetto si preferiscono altre ratio che si veicolano nella diminuzione degli importi risarcitori e nella cancellazione della discrezionalità equitativa del giudice al quale, in pratica, non viene più permesso di decidere.
  Occorre inoltre rilevare come lo schema di tabella nasca già del tutto inadeguato a regolare la materia, dal momento che si apprende, sempre leggendo l’incipt della relazione introduttiva, che i valori pecuniari di cui alla bozza di decreto del Presidente della Repubblica non sono stati neppure adeguati all'inflazione, pur essendo risalenti al 2005. Peraltro i risarcimenti sono a tal punto stati ridotti da farci seriamente dubitare che gli importi indicati nelle nuove tabelle siano sufficienti a coprire eventuali rivalse dell'INAIL nell'ambito del risarcimento del danno biologico per le fattispecie relative agli infortuni cosiddetti in itinere. Il che imporrebbe quantomeno un momento di verifica, e laddove il sospetto dovesse essere fondato, un momento di riflessione in merito all'adeguatezza dei risarcimenti stessi.
  Si rileva inoltre come lo schema di tabella crei una forte riduzione rispetto alla tabella INAIL, con l'effetto che l'istituto assicurativo nazionale, nei casi di incidente stradale durante l'andata o il ritorno dal posto di lavoro (fattispecie nelle quali il risarcimento viene anticipato dall'istituto stesso secondo le proprie tabelle, salvo poi richiedere all'assicurazione del veicolo responsabile civilmente la restituzione di quanto corrisposto) potrebbe ottenere in restituzione un importo significativamente inferiore rispetto a quello erogato.
  Evidenziamo poi come la materia sulla quale lo schema di tabella va ad incidere dovrebbe essere di esclusiva competenza del Parlamento. Tale ultimo aspetto risulta essere confermato da un pressoché identico e già accennato precedente, costituito dalla mancata promulgazione da parte del Presidente della Repubblica Cossiga della legge Amabile, bocciata proprio perché rimetteva alla discrezionalità amministrativa la valutazione del danno alla persona. Riteniamo sommessamente che oggi potrebbe Pag. 49ripetersi, ora come allora, quello che accadde quasi vent'anni fa grazie alla posizione prudente del Presidente.
  Da un messaggio all'altro, occorre considerare anche quello del nostro Presidente Napolitano, che al meeting di Rimini del 21 agosto 2012 ha avuto un peso rilevante nel muovere questo mio intervento. Quel messaggio non può che intendersi in senso chiaro, forte e definitivo. Le parole pronunciate non dovevano né potevano lasciarci indifferenti, perché in un solo momento hanno saputo rivolgersi tanto alle coscienze individuali quanto a quella collettiva.
  L'oggetto di quell'intervento era rivolto primariamente ad altre questioni, ma la trasparenza e la linearità del contenuto, così come pure la relativa ampiezza e profondità, hanno finito per trascendere l'ambito di riferimento, come accade solo ai grandi discorsi, divenendo una bussola generalissima, indicante la rotta da seguire per imboccare la giusta strada del buono e dell'equo. Pertanto riteniamo un dovere morale tentare, quanto meno, di metterle a frutto in ogni ambito del vivere civile, secondo quell'impegno operoso e sapiente fatto di spirito di sacrificio e di massimo slancio creativo e innovativo al quale il Presidente ha fatto riferimento.
  Tra i molti, un passo di particolare rilievo è quello là dove viene posto il monito che dinanzi ai fatti inquietanti bisogna parlare il linguaggio della verità, perché esso non induce al pessimismo, ma sollecita a reagire con coraggio e lungimiranza. Cogliamone il significato profondo: parole, linguaggio, dialogo sono tutti mezzi per giungere alla verità.
  Chiave di volta non potrà che essere, allora, la ricerca di soluzioni il più possibile condivise e che tengano in debita considerazione i principali interessi in gioco di tutte le parti e non già di quelli di una sola, anche perché – lo ripeto – rifiutiamo di accettare l'idea che su un argomento dal peso specifico come quello del quale si discute si possa intervenire a cuor leggero, mediante uno schema di tabella che nell'ottica dei suoi redattori sembra tramutarsi in espressione anticipatamente acquisita di una verità data e assodata, ovvia e non più soggetta a discussione e, ancor prima, mai sufficientemente discussa: una verità che per divenire attuale necessiterebbe solo più della firma del Presidente della Repubblica, quasi che questa fosse un elemento accessorio.
  I nostri cittadini rischiano di essere vittime due volte di una pesante e immeritata ingiustizia: la prima, drammatica e sconvolgente, li vede trasformati nel corpo e nell'anima in ragione delle gravissime lesioni derivate dagli incidenti stradali; la seconda, che li vede vittime di risarcimenti che rischiano di essere a tal punto bassi da rivelarsi assolutamente lesivi della propria dignità personale.
  Onorevoli colleghi – e concludo –, a nessuno venderemo e a nessuno negheremo o differiremo il diritto alla giustizia, perché è vero quanto sosteneva Voltaire, e cioè che il sentimento di giustizia è così universalmente connaturato all'umanità da sembrare indipendente da ogni legge (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Aiello, che illustrerà la mozione Piazzoni ed altri n. 1-00100, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

  FERDINANDO AIELLO. Onorevoli colleghi, intervengo solo pochi minuti, perché questo Parlamento ha già discusso il 26 ottobre 2011 e si è già espresso contro questo tipo di provvedimento, fatto dal Governo Monti, a favore delle assicurazioni. Quindi, il Parlamento ha già preso una posizione chiara e netta ed è andato in una direzione, che è quella di garantire qualcosa che in questi anni è stato garantito a macchia di leopardo: ogni tribunale ha dato una sua tabella, diversificata su tutto il territorio, facendo riferimento solo oggi a quello che dice la Cassazione, cioè a un qualcosa che il tribunale di Milano ha dato in maniera esaustiva, ossia una tabella di riferimento nazionale.
  Io spero, come i colleghi che mi hanno preceduto, che questo schema di decreto Pag. 50venga ritirato e si arrivi a una definizione, anche perché esso avrebbe un effetto retroattivo, andando a violare completamente l'articolo 3 della Costituzione, nel senso cioè di non dare risarcimento a chi ha subito un incidente stradale. Tra l'altro parliamo di un danno che va da 10 a 100 punti e quindi danni gravi, lesioni gravi.
  E guardate che in questi anni c’è stata – lo dice l'ISTAT – una diminuzione degli incidenti sul nostro territorio nazionale e non c’è stata una diminuzione della RC auto. Quindi, c’è stato un aumento del profitto da parte delle compagnie assicurative, ma non c’è stato un riconoscimento del danno nei confronti dei nostri cittadini.
  Questo ci deve far pensare a quello che può succedere se noi, domani, approviamo un decreto del Presidente della Repubblica di questo tipo. Allora, noi di Sinistra Ecologia Libertà chiediamo di ritirare quel provvedimento, anche perché ha ragione l'Associazione italiana familiari e vittime della strada, che ha scritto finanche al Presidente della Repubblica chiedendo di non firmare un provvedimento di questo tipo. Non bisogna firmarlo perché non viene riconosciuta nei confronti della persona il minimo di dignità, né dato un riconoscimento a chi subisce una lesione grave sul nostro territorio nazionale.
  Le compagnie di assicurazione devono fermarsi, devono fermare la speculazione in borsa e devono dare di più a chi subisce i danni sul territorio nazionale. Devono fermarsi, perché siamo un Paese dove c’è la RC auto più alta di tutta l'Europa e non vengono riconosciuti i diritti. Guardate, fosse solo per la disparità di trattamento presente nelle tabelle – lo dico ai colleghi, perché abbiamo discusso tempo fa –, dove addirittura troviamo infortunio all'uomo e infortunio alla donna, alla quale viene riconosciuto di meno, fosse solo per questo un provvedimento di questo tipo deve essere ritirato.
  Guardate, non è accettabile, perché non va a incidere sul riconoscimento dato anche dalla Cassazione. Noi andremo a violare anche un indirizzo dettato dalla Cassazione, che ci ha detto che bisogna attuare una tabella, che a mio avviso va anche aggiornata, sulla base delle decisioni del tribunale di Milano, per riconoscere un diritto sacrosanto, che è quello del risarcimento del danno e, in particolare, il risarcimento a questi macrolesi, che devono essere riconosciuti anche rispetto a un'ipotesi di retroattività, che fa venire meno così anche un principio costituzionale. Un'ipotesi di retroattività farebbe cadere centinaia di ricorsi che sono in itinere e non riconoscerebbe un danno nonostante vi siano tantissimi casi: sono persone, che sono nelle case, e non possono più uscire fuori per quello che gli deve essere riconosciuto, anche perché non hanno un accompagnamento, perché in giovane età. L'ISTAT dice che gli incidenti sui motorini sono altissimi e che la maggior parte dei macrolesi sono giovani nel territorio nazionale: non avere riconosciuto un danno di questo tipo è una cosa veramente aberrante.
  Dico al Governo, presente con il Ministro in aula, che è stato un provvedimento portato avanti dal Governo Monti, che, secondo me, non aveva nemmeno i requisiti per portare avanti un provvedimento di questo tipo: l'Assemblea si è già espressa nel 2011 e, con soli 6 voti contrari, ha espresso un voto abbastanza all'unanimità. Ritengo che lo schema di decreto del Presidente della Repubblica debba essere ritirato per dare un senso all'interesse collettivo dei cittadini e delle cittadine presenti sul nostro territorio nazionale. Almeno per una volta paghi chi ha la logica del profitto, chi ha un interesse di guadagno e non ha un interesse prioritario per il cittadino. Anche perché, se noi facciamo questo e se voi portate avanti un decreto del Presidente della Repubblica di questo tipo, si andrà a gravare ancora di più sul Servizio sanitario nazionale e ancora di meno sulle compagnie assicurative.
  Quindi, spero e mi auguro, come il collega del MoVimento 5 Stelle e del PD, che questo schema venga ritirato e non venga nemmeno votato, per dare una risposta di giustizia a un settore delicato, prioritario, ma che non ha mai visto Pag. 51l'abbassamento dei costi, anzi l'aumento, nonostante che gli incidenti siano diminuiti. La forbice è diminuita, però c’è ancora una differenza addirittura tra chi risiede al nord e chi risiede al sud nel pagare la RC auto e c’è una differenza anche di intervento nelle tabelle tra chi risiede a Milano e chi risiede in Puglia.
  Quindi, da questo punto di vista, penso che sia un dovere da parte del Parlamento ritornare alla sentenza della Cassazione, ridare dignità ai cittadini, che debbono essere riconosciuti nel danno da quelle tabelle, e cercare di far «respirare» un qualcosa che gli è dovuto e che non è strappato dalle mani dei potenti e delle compagnie assicurative, che sicuramente sono lobby – lo sappiamo tutti – però il Parlamento rappresenta il popolo e non sicuramente le compagnie assicurative (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Gigli, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00102. Ne ha facoltà.

  GIAN LUIGI GIGLI. Signor Presidente, secondo il rapporto ISTAT-Automobile club d'Italia del 2010, relativo agli incidenti stradali avvenuti in Italia nel 2009, si sono verificati nel nostro Paese oltre 200.000 incidenti stradali, che hanno causato oltre 300.000 infortuni e più di 4.000 decessi.
  Il dato più allarmante – si conferma anche in Italia – riguarda i giovani tra i 20 e i 24 anni, che sono la categoria più colpita dalle conseguenze degli incidenti stradali, ma valori molto elevati si riscontrano anche nelle classi di età tra i 25 e i 29 anni e 30-34 anni.
  La mozione che oggi presentiamo si occupa di una materia molto delicata, nella quale convergono esigenze tra loro contrastanti, quali, da un lato, quella di riconoscere soluzioni fondate su criteri di equità per la liquidazione del danno in sede assicurativa, evitando sperequazioni territoriali e indiscriminate corse al rialzo dei valori risarcitori, dall'altro, l'esigenza di sostenibilità finanziaria di un sistema assicurativo già alle corde; infine, vi è la necessità di assicurare elementi di comprensione al danno, anche soggettivo, che può accompagnarsi a quello puramente biologico.
  Nel passato esisteva in materia una vera giungla giurisprudenziale, con riconoscimenti diversi da caso a caso, da tribunale a tribunale, da regione a regione. A questo disordine ha inteso mettere mano la Corte di cassazione, con la sua sentenza del 7 giugno 2011, intendendo esplicitamente dare una risposta certa in assenza di criteri normativi uniformi per mancanza di una legislazione specifica.
  La Cassazione ha sostenuto l'opportunità di recepire su tutto il territorio nazionale le cosiddette tabelle del tribunale di Milano.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI (Ore 16,55)

  GIAN LUIGI GIGLI. Peraltro, tali tabelle contemplano, oltre al danno biologico, anche quello morale, mentre gli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni si riferiscono al solo calcolo del danno biologico, consentendo al più di aumentare l'importo risultante dall'applicazione della tabella fino al 30 per cento per le macrolesioni e al 20 per cento per le microlesioni, laddove la menomazione accertata determini problemi di tipo dinamico-relazionale nella vita del danneggiato.
  Il Governo è stato chiamato a procedere all'adozione di una proposta di decreto del Presidente della Repubblica per l'attuazione del codice delle assicurazioni private, già richiamato. A questo scopo è stata predisposta una bozza di decreto contenente una tabella unica nazionale per il risarcimento sia delle menomazioni di lieve entità, sia di quelle con punteggio di invalidità superiore a 10. Tale bozza risulta fortemente penalizzante per gli infortunati, per i quali è stato calcolato che si possa pervenire fino a riduzioni del 60 per cento del valore dei risarcimenti rispetto ai parametri dettati dalle tabelle del Pag. 52tribunale di Milano e rischia altresì di danneggiare il risarcimento dei danni derivanti da eventi connessi alla responsabilità degli esercenti le professioni sanitarie, a causa del sopravvenuto decreto-legge n. 158 del 13 settembre 2012, convertito dalla legge n. 189 dell'8 novembre 2012.
  Occorre peraltro ricordare che il decreto del presidente della Repubblica in preparazione fa riferimento, quale base giuridica, agli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private ed è carente, pertanto, di integrazione con quanto sopravvenuto nella giurisprudenza circa l'evoluzione della nozione di danno biologico.
  Contrariamente a quanto lamentato dal collega Colletti circa presunte solidarietà dell'allora Ministro Balduzzi con la bozza di decreto che limava al ribasso il calcolo dei risarcimenti, giova ricordare, per amore di verità e per onestà nei confronti del collega Balduzzi, che l'allora Ministro della salute ritenne di non sottoporre al Consiglio dei ministri lo schema di decreto, benché frutto di un confronto tra le parti interessate e gli uffici del Ministero della salute, proprio in quanto l'applicazione della nuova tabella avrebbe pesantemente compromesso il risarcimento delle vittime degli incidenti stradali.
  Come richiamato dalla Corte di cassazione, alla nozione di equità sono intrinseche non solo l'idea di adeguatezza, ma anche quella di proporzione. L'equità costituisce strumento di uguaglianza proprio perché consente di trattare i casi analoghi in modo analogo e quelli dissimili in modo dissimile, cercando di far convivere l'esigenza di parità di trattamento con la regola del caso concreto, cioè l'uniformità di base del risarcimento con l'elasticità e la flessibilità, che permettono di adattare quantitativamente e qualitativamente il parametro uniforme per tutti alle circostanze del caso concreto. La Cassazione ha inteso, cioè, sia evitare la fissazione in astratto di criteri rigidi tali da sottrarre al giudice qualunque possibilità di adattamento alle circostanze del caso concreto, sia, al contrario, affidare la determinazione del risarcimento all'intuizione soggettiva del giudice, libera da criteri di carattere generale.
  Quando si tratta di risarcimenti assicurativi si ha a che fare certamente con valutazioni eminentemente economiche, che pure vanno calcolate in relazione al danno ad una certa persona, danno che per sua natura non è patrimoniale ed è difficile da quantificare. Di qui la difficoltà di dare, da un lato, riscontro ai diritti spettanti ai danneggiati e, dall'altro, di evitare sperequazioni e differenziazioni territoriali, non trascurando, nel contempo, di piantare opportuni paletti per la sostenibilità della spesa assicurativa complessiva, senza il controllo della quale sarebbe inevitabile un ulteriore aumento dei premi a carico degli assicurati, che risultano già oggi poco sostenibili.
  È per tali motivi che, a nome dei colleghi di Scelta Civica per l'Italia firmatari di questa mozione, intendiamo impegnare il Governo a riesaminare l'intera problematica, valutando ex novo l'adeguatezza della base giuridica su cui adottare il decreto del Presidente della Repubblica, che non può essere limitata ai riferimenti al codice delle assicurazioni private per ovvi motivi.
  È necessario, pertanto, dare piena e completa attuazione a quanto richiamato dalla Corte di cassazione allo scopo di soddisfare pienamente sia le vittime di incidenti stradali, che quelle di lesioni prodottesi da altre cause, quali, ad esempio, gli eventi avversi in campo sanitario. A tal fine è necessaria la riapertura, su nuove e più sicure basi, del tavolo di lavoro tra tutte le categorie e le associazioni interessate, con l'obiettivo di arrivare a dare certezza a questo comparto e di favorire una positiva riduzione dei premi assicurativi.
  A giudizio del sottoscritto, tuttavia, sono anche altre e più importanti le strade che possono portare ad un abbattimento dei costi delle assicurazioni, strade che sono state fino ad oggi insufficientemente esplorate e ancora meno percorse. Si stima, infatti, che, senza adeguate contromisure, Pag. 53entro il 2020 gli incidenti stradali rappresenteranno la terza causa globale di morte e disabilità nei Paesi avanzati.
  Per abbattere questo rischio occorre ripensare all'effetto positivo sulla riduzione della casistica che potrebbe derivare dal miglioramento della rete stradale, in condizioni, in molti tratti di essa, di autentico abbandono, dall'adozione di migliori sistemi di segnalazione dei pericoli al conducente, dai progressi, sui quali investire, della tecnologia del settore automobilistico, con particolare riferimento alla produzione di veicoli più sicuri e meglio rispondenti nelle situazioni di pericolo.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARINA SERENI (ore 17)

  GIAN LUIGI GIGLI. Infine, non può essere dimenticato il positivo effetto derivato in questi ultimi anni dall'adozione di più stretti sistemi di controllo per la guida in condizioni di abuso di alcool e di droghe, un controllo che è tuttavia ancora insufficiente e che occorre intensificare, mentre siamo ancora agli inizi di qualunque tipo di lavoro per la prevenzione di altre condizioni cliniche, in particolare di quelle riguardanti la sonnolenza alla guida, un fattore troppo trascurato quale causa di incidenti stradali e, tuttavia, estremamente rappresentato nelle popolazione generale a causa delle modificazioni degli stili di vita e a causa di un'epidemiologia specifica, con particolare riguardo alle sindromi di apnea ostruttiva nel sonno e della narcolessia.
  Da ultimo, occorre chiedersi, per quanto riguarda specificamente il contenzioso derivante dagli errori in sanità, se, piuttosto che limitare i risarcimenti, non occorra individuare strumenti per limitare il ruolo proattivo assunto negli ultimi anni da numerosi studi legali nella promozione di cause contro le aziende sanitarie e i singoli medici, lievitate ormai fuori da ogni misura, fino a costituire una parte ragguardevole dei costi di esercizio delle aziende sanitarie – c’è chi ha calcolato questo costo in oltre il 7 per cento del totale di spesa delle aziende sanitarie – e fino a diventare uno strumento pericolosissimo di dissuasione, che condiziona la scelta della successiva formazione specialistica da parte dei neolaureati in medicina.
  Ecco, noi vorremmo, concludendo, che il Governo ripensasse seriamente a questo schema di decreto del Presidente della Repubblica, riconsiderandone da capo, come dicevo, le fondamenta giuridiche, gli obiettivi e i mezzi per perseguirli; e vorremmo che, in pari tempo, venisse attivata una campagna sempre più intensa ed efficace per la rimozione di questa ed altre cause, che ho tentato brevemente di delineare, riguardanti il rischio di incidenti alla guida e riguardanti il contenzioso in medicina.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Abrignani, che illustrerà anche la mozione Costa ed altri n. 1-00103, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

  IGNAZIO ABRIGNANI. Signor Presidente, egregi colleghi, oggi siamo qui a parlare di questa mozione, una mozione che, sentendo anche prima il collega del PD, ha l'intenzione, ha la prospettiva di volere, in qualche modo, far fermare a riflettere il Governo sull'emanazione in attuazione degli articoli 138 e 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209. Tale decreto, appunto, prevede la predisposizione di una specifica tabella, su tutto il territorio nazionale, delle menomazioni all'integrità psicofisica di lieve entità e di quelle comprese da 10 a 100 punti, le cosiddette macrolesioni, nonché, chiaramente, come conseguenza, del valore pecuniario da attribuire a ogni singolo punto di invalidità, comprensiva di coefficienti di variazione corrispondenti all'età del soggetto leso.
  Allora, innanzitutto, noi non siamo – teniamo a precisarlo – assolutamente contrari all'emanazione di questa tabella. Perché questo ? Perché chi ha un po’ seguito queste vicende da un punto di vista sia giornalistico che giuridico ha visto come nel nostro Paese esistono varie realtà e, Pag. 54vorrei dire, anche varie «Italie». Il problema delle assicurazioni, che purtroppo spesso viene all'esame dei nostri concittadini per motivi sicuramente patologici e non fisiologici, ci deve far riflettere sul cercare sempre più un'unità e una univocità nell'ambito delle liquidazioni di questi danni.
  Chiaramente, noi dobbiamo innanzitutto – e ci tengo a precisarlo – valutare anche considerazioni di natura umana, perché sappiamo bene che le vittime di questi incidenti, spesso – più che altro, direi, spesso e volentieri – subiscono dei danni per cui esse ricordano, poi, quel giorno come un giorno che ha determinato una svolta nella loro vita. Pertanto, che debbano essere risarciti in pieno, questo non solo è un loro diritto, ma è un nostro dovere garantirlo in maniera assoluta: sia per quel concetto molto oggettivo per cui il danno, l'invalidità percepita, in molti casi sono evidenti – gente che rimane sulla sedia a rotelle o che perde l'uso delle articolazioni –, sia in seguito a un concetto sicuramente molto più discrezionale, molto più ampio, che è quello relativo al cosiddetto danno biologico.
  Ossia, quale sarà, da quel giorno in poi, la vita, lo stile di vita, le conseguenze lavorative, affettive e di relazione di quel soggetto ? Indubbiamente questi sono concetti di natura discrezionale ma che noi dobbiamo, sicuramente, tenere presente perché la vita di un uomo è fatta si dal poter camminare, dal poter guidare, ma anche dalle conseguenze che queste menomazioni portano, al di là delle depressioni conseguenti ma anche, proprio, in relazione alla vita oggettiva e soggettiva di quell'uomo e di quella donna. Per cui una valutazione del genere, indubbiamente, deve essere tenuta presente.
  Ancora, abbiamo visto che nell'ultimo periodo, in assenza di prescrizioni normative, i magistrati hanno deciso loro, non dico autonomamente, ma indubbiamente con discrezionalità – infatti ci sono state le sentenze più disparate su casi assolutamente simili sia nell'accadimento sia, soprattutto, per ciò che ci riguarda, nelle conseguenze – finché non c’è stata una sentenza della Corte di cassazione, la n. 12.408 del 7 giugno 2011, emessa, appunto, dalla III sezione della Corte di cassazione che, in maniera abbastanza anomala ma, insomma, dal punto di vista giurisprudenziale corretta, ha esteso a tutto il territorio nazionale la tabella che era stata indicata in maniera primaria dal tribunale di Milano e, successivamente e spontaneamente, utilizzata anche da altri tribunali. Ebbene la Corte di cassazione, con questa sentenza sicuramente innovativa, anche nelle modalità, ha ritenuto che gli impianti risarcitori contenuti in quella tabella rappresentassero il valore da considerare equo. Peraltro questo orientamento è stato successivamente confermato dalle sentenze della Corte di cassazione n. 14.402, n. 7.272 e dall'atto n. 134, rispettivamente del 2011, del 2012 e del 2013. Per cui, in particolare, la prima sentenza, la n. 12.408 della Corte di cassazione, ha ritenuto che le tabelle elaborate, appunto, dall'osservatorio di giustizia civile del tribunale di Milano fossero da considerarsi per tutto il territorio nazionale, per cui non solo per Milano ma per tutto il territorio nazionale, le più congrue, sia per il metodo di calcolo, sia per i valori risarcitori. Tali tabelle rappresentavano, c’è anche questo da dire, il frutto di un annoso e meditato dibattito dottrinale in merito al danno alle persone. Questo è per quanto riguarda la giurisprudenza che ha in qualche modo «normato» questa fattispecie.
  Ebbene, che cosa abbiamo visto ? Lo schema del decreto del Presidente della Repubblica di cui agli articoli 138 e 139 del famoso decreto legislativo n. 209 del 2005, oggi all'attenzione dell'Esecutivo, ha in qualche modo indicato delle tabelle sicuramente penalizzanti rispetto a questa fattispecie che, ormai da tempo, da circa due anni, in qualche modo è stata applicata da tutti i tribunali. Adesso non vogliamo dire che l'osservatorio di giustizia civile di Milano fosse il verbo a cui attenersi ma che ci sia, però, questa forte disparità di valutazione, con quello che in qualche modo dal 2011 al 2013 la giurisprudenza ha applicato per questo tipo di Pag. 55danno, lo ripeto, sia per quanto riguarda il cosiddetto concetto di invalidità permanente ma soprattutto per quello che è il cosiddetto danno biologico, di relazione, è perlomeno singolare. D'altronde, come qualcuno che mi ha preceduto ha indicato, ci sono stati forti reazioni da parte delle associazioni dei consumatori, dei familiari di quelle vittime; è come se io, in qualche modo, fossi riuscito ad ottenere dieci da una sentenza del 2012 e siccome sullo stesso fatto la ottengo nel 2005, prendo cinque.
  Insomma, questa disparità è assolutamente sbagliata. Poi, abbiamo visto, nel periodo ulteriore, in fase patologica, che c’è stata una serie di problematiche relative a queste valutazioni. Allora, chiediamo al Ministro – visto che normalmente il concetto di risarcimento danni o l'abbassamento del risarcimento danni o, soprattutto, una serie di iniziative di natura giudiziaria e di natura anche parlamentare, per evitare alle assicurazioni l'innalzamento dei costi, dovrebbe in qualche modo comportare un abbassamento delle polizze – se ciò c’è stato o non c’è stato. Oggi la nostra intenzione non è né di boicottare né di fermare né di bloccare questo decreto, ma quello che oggi chiediamo – e qui, in conclusione, mi rivolgo, appunto, al Ministro – è questo: fermiamoci un secondo, sospendiamo questa emanazione, facciamo un'indagine conoscitiva, approfondiamo l'argomento, chiamiamo i consumatori, cerchiamo di capire perché vi è questa disparità di valutazione tra quello che, prima l'osservatorio di Milano, poi i tribunali d'Italia e infine la Cassazione hanno ritenuto equo e quello che invece il Ministero vorrebbe emanare.
  Fermiamoci a capire, perché – lo ripeto, e lo voglio premettere – noi siamo assolutamente favorevoli all'emanazione di questa tabella unica. Noi vogliamo che in Italia ci sia una sola Italia e che in Italia, per lo stesso tipo di danno, vi sia esattamente lo stesso equo risarcimento, ma questo, a nostro parere, deve ancora nascere da un'ulteriore valutazione e approfondimento. Infatti, tutto vorremmo ma mai che questi soggetti, che hanno subito, un giorno della loro vita, un grave danno, subiscano anche la beffa di un risarcimento che equo certamente non è.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Gutgeld. Ne ha facoltà.

  ITZHAK YORAM GUTGELD. Signor Presidente, colleghi, colleghe, Ministro, questa mozione si occupa di un tema delicato e complesso, delicato perché si tratta di garantire un giusto risarcimento alle vittime di gravi danni. Si tratta di persone che hanno subito traumi, dolore, infortuni debilitanti; si tratta di famiglie che si sono trovate in difficoltà e che qualche volta hanno addirittura visto i loro progetti di vita spazzati via. Il nostro primo pensiero va rivolto a loro. La preoccupazione di quest'Aula dovrebbe essere garantire un equo, congruo e tempestivo risarcimento a queste persone e queste famiglie.
  Dicevo che il tema è delicato, ma anche complesso, perché il sacrosanto diritto delle vittime non è l'unico diritto che dovremmo salvaguardare: dobbiamo anche tener conto del diritto delle famiglie e delle imprese italiane di avere servizi essenziali a costi giusti. L'assicurazione RC-auto è uno di questi servizi essenziali. Anzi, siccome è giustamente obbligatorio, essa è di fatto una specie di tassa, una tassa, se mi permettete di usare questo termine, che ha visto l'anno scorso gli italiani sborsare circa 22 miliardi di euro. Per usare un metro di paragone piuttosto attuale: l'assicurazione RC-auto ha pesato cinque volte e mezzo quanto l'IMU sulla prima casa. Cioè, per ogni euro che abbiamo pagato per l'IMU prima casa ne abbiamo pagati cinque e mezzo di RC-auto.
  Quindi, si tratta di una spesa molto importante per le famiglie e si tratta di una spesa più alta in Italia che in altri Paesi europei, a volte addirittura il doppio. Questo è un problema, un problema per le famiglie, soprattutto per quelle di fascia di reddito medio-bassa. Per loro questa tassa rappresenta una fetta importante del reddito disponibile. Ricordo anche che il Pag. 56costo dell'assicurazione è particolarmente alto in alcune regioni del Mezzogiorno, a causa sia delle cattive condizioni delle strade sia della più alta incidenza delle frodi. In queste regioni il costo dei sinistri è più alto e questo costo si riversa sui prezzi. Siccome in queste regioni il reddito medio delle famiglie è più basso, il problema è particolarmente grave e ricade naturalmente sulle spalle degli assicurati virtuosi. Ma è anche un problema per le imprese, non solo per le famiglie, in primo luogo perché anche loro pagano l'assicurazione per i mezzi di loro proprietà e ancor più importante è l'effetto indiretto sul costo del lavoro complessivo dell'impresa: i rincari delle RC-auto si traducono in un tasso di inflazione più alto e, quindi, in un aumento dei salari più rapido che negli altri Paesi europei.
  È un aumento che non crea ricchezza per i lavoratori, perché se va bene compensa il carovita, ma un aumento che penalizza le nostre imprese che competono su mercati esteri con imprese di altri Paesi europei. Prendo un minuto per spiegare questo punto di estrema importanza. Sentiamo spesso, in questi giorni, che il nostro Paese perde di competitività rispetto ai Paesi concorrenti, in particolare la Germania. La Confindustria si lamenta giustamente che dall'entrata in vigore dell'euro negli ultimi 12 anni il costo del lavoro in Italia è aumentato del 20 per 100 più che in Germania. È un enorme problema. La metà di questo aumento è dovuto proprio al tasso differenziale di inflazione, cioè da noi l'inflazione è stata mediamente un punto all'anno più alta che in Germania. Questo differenziale è interamente legato ai costi dei servizi: energia, trasporti, servizi finanziari, servizi professionali, raccolta rifiuti e appunto assicurazione auto. Questo differenziale equivale dopo dodici anni di una tassa annuale su famiglie e imprese a 90 miliardi l'anno, 3 volte l'IRAP, quindi i rincari dei servizi impoveriscono i ceti medio-bassi e rappresentano un problema strategico per la competitività del Paese nella battaglia commerciale all'estero. Ecco perché il diritto ai servizi a costi giusti è così importante; è un diritto che il Parlamento dovrebbe difendere sempre tenendo conto del diritto delle vittime a un congruo, equo e tempestivo risarcimento.
  Perché i prezzi della RC-auto sono così più alti da noi ? Siccome l'80 per 100 dei premi che incassano le compagnie viene pagato come risarcimento danni agli assicurati il problema principale è che da noi l'ammontare di questi sinistri è molto più alto che altrove. Nel 2011 le compagnie assicurative italiane hanno pagato quasi 14 miliardi come risarcimento danni agli assicurati; le compagnie francesi ne hanno pagati 6 miliardi: meno della metà.
  Perché abbiamo un costo così alto dei sinistri ? Ci sono varie ragioni. Alcune strutturali. Abbiamo strade peggiori, una più alta densità di macchine. Altre ragioni sono legate invece ai comportamenti degli assicurati e delle compagnie; abbiamo un tasso più alto di frodi, minor utilizzo di carrozzerie convenzionate. In questo contesto anche la questione delle tabelle di risarcimento è importante. Come ha già illustrato l'onorevole Boccuzzi, abbiamo queste due tabelle: le tabelle sviluppate con un processo che è durato qualche anno che fanno parte del decreto del Presidente della Repubblica, dall'altra parte c’è il pronunciamento della Corte di Cassazione del 7 giugno 2011 che ha stabilito altre tabelle di riferimento per il risarcimento. Le due tabelle come è stato già detto in realtà non sono omogenee, quella del decreto del Presidente della Repubblica si riferisce solo al danno biologico, mentre quella della Corte di cassazione al danno cosiddetto non patrimoniale nel suo complesso, cioè biologico più morale.
  Ecco perché promuoviamo un rapido e approfondito confronto nelle Commissioni parlamentari per risolvere questo problema a seguito del quale sarà possibile soddisfare sia le esigenze delle vittime sia le esigenze delle famiglie e delle imprese italiane a questo servizio a un costo adeguato.
  Nei pochi minuti che mi sono rimasti approfitto per fare un appello riguardo il tono e lo stile del dibattito politico, economico Pag. 57e sociale su questo importante tema. Sarebbe fin troppo semplice approfittare del dolore, delle difficoltà e dell'empatia che suscitano le vittime degli incidenti, ma il mio invito è di non cadere nelle trappole di un facile populismo; in questa materia ci sono tre tipologie di attori economici con chiari e legittimi interessi: le compagnie assicurative, gli agenti assicurativi e gli avvocati infortunistici che rappresentano le vittime.
  Le compagnie assicurative hanno l'interesse a contenere il costo dei sinistri ben sapendo che in un mercato competitivo e trasparente la riduzione dei risarcimenti porterà ad un calo dei premi. Per loro questo comunque sarebbe un risultato positivo: premio più basso significa meno evasione, abbiamo 3 milioni di macchine che non sono assicurate del tutto e l'evasione è più alta, più diffusa nelle regioni con i prezzi più alti. Premi più bassi significa per loro anche la possibilità di vendere altri prodotti, come la CASCO, molto più diffusi in altri Paesi.
  I risarcimenti più bassi si traducono in prezzi più bassi in un mercato trasparente. Su questo punto bisognerà assolutamente lavorare: oggi la trasparenza dei prezzi nel mercato assicurativo italiano è limitata. La rilevazione dei prezzi fatta dall'ISTAT guarda soprattutto le tariffe tabellari, e non i prezzi effettivamente praticati. È necessario, a nostro avviso, mettere in piedi un meccanismo indipendente che rilevi i prezzi effettivi praticati dalle varie compagnie, ed è una condizione necessaria per assicurare che qualunque eventuale riduzione dei risarcimenti si traduca in un vero beneficio per i consumatori. Questo sarà uno dei temi da affrontare.
  Gli avvocati infortunistici hanno invece un legittimo interesse ad ottenere i risarcimenti più alti possibili, questo è un dato di fatto; anche se questi risarcimenti più alti comporteranno premi più alti per tutti. Noi, nel fare l'indagine, dovremo capire gli interessi dei vari soggetti, interpretare le loro posizioni e le loro sollecitazioni, ma alla fine il nostro compito è di proteggere e di garantire due e solo due diritti: quello delle vittime ad un equo e congruo risarcimento, e quello delle famiglie e delle imprese ad ottenere il servizio ad un costo giusto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Matteo Biffoni. Ne ha facoltà.

  MATTEO BIFFONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signora Ministro, so che l'arte della retorica sconsiglia di avviare un intervento pubblico citando numeri e dati, ma credo che per inquadrare la delicatezza dell'argomento di cui stiamo discutendo sia rilevante partire dagli ultimi dati ISTAT disponibili, quelli del 2011: 205.638 incidenti stradali con lesioni a persone, 3.860 decessi; il numero dei feriti ammonta a 292.019, ossia come se fosse rimasta coinvolta in sinistri stradali l'undicesima città italiana, sostanzialmente Catania prima di Venezia. E se certo è molto difficile valutare nel dettaglio tutti i costi legati agli incidenti stradali (considerate che questi non comprendono solo le spese sostenute per le cure mediche, la riabilitazione, l'adattamento alla disabilità, i sistemi assicurativi di assistenza sociale, ma anche le ripercussioni economiche sulla società e sui datori di lavoro, che perdono membri della forza lavoro stessa; ed anche i familiari dei feriti possono essere coinvolti, qualora debbano assisterli), è interessante tenere presente che stiamo discutendo di un argomento i cui costi, secondo le stime più diffuse, nell'Unione europea ammontano all'incirca al 2 per cento annuo del PIL dell'Unione stessa, pari a una cifra di circa 180 miliardi di euro per il 2012. È ovvio dunque che l'attenzione per il tema in trattazione è alta, considerata la posta in gioco.
  Ma vi è un altro aspetto che mi interessa esplicitare subito. Va infatti sottolineato che complessivamente i sinistri in Italia sono diminuiti del 22 per cento in dieci anni; è altrettanto vero però – sia detto subito e chiaro – che le tariffe RC-Auto non hanno certo seguito lo stesso andamento, nonostante tutte le politiche Pag. 58mirate alla liberalizzazione e alla concorrenza.
  Tutta questa premessa serve per introdurre e dare sostegno alla mozione di cui stiamo discutendo, che, come già illustrato dai miei colleghi, chiede al Governo l'impegno di sospendere l'emanazione del decreto del Presidente della Repubblica avente ad oggetto le nuove tabelle di risarcimento delle menomazioni e dell'integrità psicofisica. La materia è assai spinosa e presenta una caratteristica chiaramente controversa: la tabella unica nazionale in discussione, che ha lo scopo di uniformare in tutto il territorio italiano la misura degli indennizzi individuando un criterio unico, sostanzialmente riduce a meno della metà tutti i risarcimenti danni alle persone, che a causa di un incidente stradale sono state colpite sia da un danno di lieve entità, che certo comporta un problema ma che tendenzialmente non condiziona il futuro di chi ci si trova coinvolto, che da una grave menomazione permanente, che invece compromette in misura più o meno grave lo svolgimento autonomo delle attività minime della vita quotidiana.
  E se assolutamente condivisibile appare lo scopo di armonizzare per legge i risarcimenti su tutto il territorio, non va dimenticato che tale criterio esiste già da un paio di anni ed è stato adottato da tutti i tribunali italiani e consacrato dalla Corte di cassazione. Quest'ultima infatti ha esteso a tutto il territorio nazionale i valori di risarcimento indicati nelle tabelle utilizzate dal tribunale di Milano: tabelle che proprio in questi giorni sono state adeguate all'aumento del costo della vita con un aumento del 5,6 per cento; tabelle che divergono nei valori espressi in maniera significativa da quella predisposta dalla commissione di studio; tabelle che, comunque, sono state applicate nei tribunali italiani in attesa dell'intervento del legislatore.
  Ci capiamo meglio con un esempio conosciuto, piuttosto noto: un uomo di 35 anni, con una lesione permanente del 50 per cento – ad esempio, la perdita di una mano – viene risarcito, secondo le tabelle del tribunale di Milano, con un importo base che parte da 384.319 euro.
  Se venissero applicate le nuove tabelle, questa liquidazione dovrà subire un netto ridimensionamento e lo stesso sfortunato signore dovrebbe ricevere un risarcimento base di 222.366 euro. La discrasia appare di tutta evidenza e robusta e lascia perplessi e, a mio modo di vedere, proprio per questa perplessità va ben valutata e va approfondita, altrimenti lascia sul campo ombre che ne affaticano la comprensione e soprattutto la condivisione. Non apro, ma accenno solo, al rischio di una plausibile mole di introduzione di giudizi in tribunale, che a mio modo di vedere si rischierebbe di avere con l'attuale formulazione delle tabelle contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 2013 che, lasciando margini di discrezionalità, consente comunque un aumento del risarcimento.
  La preoccupazione di aver compiuto un lavoro che davvero contemperi quelle esigenze di cui si parla nella mozione non è solo di chi ha sottoscritto e di chi oggi parla, se prevedibilmente la formulazione delle tabelle è fortemente osteggiata dagli avvocati, legate ormai alle tabelle stabilite dal tribunale di Milano, indicate dalla Cassazione come criterio standard e preferenziale. In una nota dell'Associazione nazionale forense si parla di come lo schema di decreto del Presidente della Repubblica sia semplicemente da cestinare, un sopruso perpetrato a danno dei cittadini e a favore dei gruppi assicurativi. Altrettanto radicale è il «no» giunto dall'Associazione di tutela delle vittime della strada e dei consumatori. L'Associazione vittime della strada lo definisce un provvedimento che punisce chi non ha colpa e lede la dignità di chi ha diritto ad un equo risarcimento piuttosto che ad una elemosina, opponendosi ad un decreto che giudica negativo e pesante per la vita e la salute dei cittadini e che invece tenderebbe, a loro modo di vedere, a favorire i gruppi assicurativi. Alcune associazioni arrivano a minacciare di appellarsi alla Corte costituzionale se il decreto sarà Pag. 59varato, basandosi proprio sull'assunto che in una situazione del genere, semplificando al massimo, ci rimettono i cittadini e ci guadagnino le assicurazioni. Ed è quasi scontato che non sia possibile trattare questo argomento senza anche brevemente fare riferimento al dato che l’Antitrust ci comunica. In Italia le polizze RC-auto sono più care e crescono più velocemente rispetto al resto d'Europa. Considerando infatti livello dei premi in cinque Paesi, Italia, Francia, Germania, Olanda e Portogallo, da noi il premio medio è più del doppio di quello francese o portoghese, supera quello tedesco addirittura dell'80 per cento e quello olandese del 70 per cento. Su questo credo sia fondamentale avviare un lavoro di riconsiderazione complessiva della materia, nell'ottica di tutelare le assicurazioni da tutti coloro che barano e permettere quindi l'avvio di un percorso virtuoso di abbattimento del costo dei premi e, al contempo, mettere al riparo chi è vittima di un sinistro stradale e i suoi familiari.
  E dunque, se è vero com’è vero, che il costo delle polizze è certo incrementato da una sinistrosità eccessiva nel nostro Paese, e se è vero che è assolutamente prioritario dare una svolta radicale a quell'insano malcostume dei «sinistri frode» e che è certo necessario intervenire su quella massa di oltre 3 miliardi di risarcimenti pagati dalle assicurazioni per i sinistri di lieve entità, quelli sotto il 9 per cento, non appare certo equo impattare immediatamente sul decurtamento dei risarcimenti rispetto alle tabelle attualmente applicate per le vittime più esposte, quelle per cui le lesioni si tramutano in un peggioramento netto delle condizioni di vita, e partire da un problema vero di costi per le famiglie e di competitività per le imprese legate alle tariffe assicurative che questo Paese sconta. Ciò anche perché il risarcimento delle lesioni più importanti, che è sostanzialmente un risarcimento per la menomazione della vita futura, è assai difficilmente oggetto di frode o di una guidata operazione di gonfiaggio, ma vi è qualcosa di più.
  Il legislatore non si è certo mostrato insensibile al tentativo di dare risposta alla condivisibile richiesta di intervento che le compagnie assicuratrici hanno lanciato. Al dichiarato intento di fronteggiare in modo risoluto il fenomeno delle truffe alle assicurazioni per calmierare la liquidazione dei danni alle persone di modica entità, con il decreto-legge n. 1 del 2012 è stato varato un pacchetto di disposizioni ad hoc, naturalmente ampliato in sede di conversione. In particolare, fatemi citare il comma 3-ter dell'articolo 32, che modifica l'articolo 139 del codice delle assicurazioni, al cui secondo comma aggiunge il seguente periodo: «in ogni caso, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente». Con ciò andando dunque incontro alle indicazione dell'ANIA, dell'Associazione nazionale imprese assicuratrici, secondo cui, come accennato, ci sarebbe un fattore che più di ogni altro inciderebbe sui costi annuali delle compagnie, il risarcimento per lesioni lievi alle persone, che rientra di conseguenza tra le cause dell'aumento dei premi RC-auto e moto nel nostro Paese.
  Non basta ? Si può fare di più ? Certamente. Tutto quello che si può fare per regolamentare in maniera efficace la materia del risarcimento danno da sinistro stradale per permettere alle assicurazioni di pagare solo i danni dovuti e riversare poi i risparmi ottenuti nell'abbattimento dei premi pagati dal cittadino e dalle imprese deve essere obiettivo primario dell'attività del Parlamento. Fatemi constatare però che, a mio modo di vedere, se non chiariamo bene, definitivamente e approfonditamente, la questione del nuovo dettato tabellare, si corre il rischio di non andare ad obiettivo, anzi di poter compiere un'ingiustizia.
  Inevitabile, pertanto, appare che, come si chiede nella mozione, si agisca nell'ottica di armonizzare le esigenze di un adeguato risarcimento con quelle di contenere i costi delle polizze assicurative.
  Ricordando che già il Parlamento si era espresso nell'ottica dell'applicazione delle Pag. 60tabelle del tribunale di Milano nel 2011 quale parametro di riferimento nazionale – tabelle a cui si continuerà a fare riferimento in attesa di una nuova decisione – questa mozione vuole evitare che la pubblica opinione possa pensare che si disponga una regolamentazione che, certo, stabilisca un criterio unico nazionale – che, ribadisco, grazie all'opera della magistratura, peraltro, esiste già – ma, partendo dall'abbattere i risarcimenti danni senza un approfondito studio a monte che affronti il tema vero del problema, inizi colpendo i più esposti...

  PRESIDENTE. La prego di concludere.

  MATTEO BIFFONI. ... senza oltretutto che sia chiaro, al di là – concludo – delle mere dichiarazioni delle imprese assicuratrici, come e quando il costo delle polizze si abbasserà e cittadini e imprese ne percepiranno i benefici. Infatti – è un ammonimento che credo che questa Camera e il Governo debbano tenere in adeguata considerazione – lo schema di decreto del Presidente della Repubblica dovrà adeguatamente tenere conto che la funzione del risarcimento è principalmente riparatoria e che il risarcimento non è un mero indennizzo.
  Non essendo questo lo spirito con cui, a mio modo di vedere, si deve dare risposta a questo delicatissimo argomento, appare corretta una sospensione per un approfondimento parlamentare che dia esito definitivo, capace di dare risposte giuste ed eque agli attori coinvolti in questa discussione. A giovarne sarà l'intero Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Avverto che è stata testé presentata una nuova formulazione della mozione Boccuzzi ed altri n. 1-00099. Il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Non essendovi altri iscritti a parlare dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni. Il Governo ha fatto sapere alla Presidenza che si riserva di intervenire successivamente. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Ascani, Rostellato, Calabria, Tinagli, Scotto, Prataviera, Giorgia Meloni, Alfreider ed altri n. 1-00070 e Gregori, Rizzetto, Polverini ed altri n. 1-00034 concernenti misure per il rilancio dell'occupazione giovanile (ore 17,35).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Ascani, Rostellato, Calabria, Tinagli, Scotto, Prataviera, Giorgia Meloni, Alfreider ed altri n. 1-00070 e Gregori, Rizzetto, Polverini ed altri n. 1-00034 concernenti misure per il rilancio dell'occupazione giovanile (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).
  Avverto che è stata presentata la mozione Prataviera ed altri n. 1-00105, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A – Mozioni).

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritta a parlare la deputata Anna Ascani, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00070. Ne ha facoltà.

  ANNA ASCANI. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, signori del Governo, esiste in questo continente una generazione che è e si sente già pienamente europea. La nostra generazione non pensa che l'Europa sia semplicemente la prospettiva inevitabile di un domani non Pag. 61meglio collocato nell'orizzonte temporale. Per noi essa è la sfida decisiva dell'oggi.
  È questa la ragione per la quale noi, che siamo i giovani del Parlamento più giovane della storia d'Italia, abbiamo voluto farci promotori di una mozione attraverso la quale la Camera impegni il Governo a fare da pungolo al Consiglio europeo del 27 e 28 giugno rispetto a quella che a più riprese è stata definita come l'emergenza, l'urgenza, il dramma del nostro tempo: la disoccupazione giovanile.
  Per dare più forza alla nostra azione, consci della delicatezza del momento storico che abbiamo l'onore e l'onere di vivere da protagonisti, abbiamo deciso di presentare una mozione unitaria che raccogliesse le firme di tutti i gruppi politici rappresentati in Parlamento e, caso più unico che raro, ci siamo riusciti.
  Con questo atto abbiamo dimostrato che nessun posizionamento di parte, certamente importante e legittimo, può essere più forte della consapevolezza che è giunta l'ora di andare oltre gli slogan e di dare risposte concrete ai milioni di ragazzi ai quali questa crisi, sommata a decenni di inazione o azione inadeguata, ha finito per sottrarre futuro e speranze.
  Questa nostra iniziativa, tuttavia, non deve essere letta come il tentativo di costruire l'ennesima riserva indiana sotto l'etichetta «giovani», di isolare la questione generazionale dalla generalizzata condizione di difficoltà che colpisce tante altre fasce della società italiana ed europea.
  Al contrario, noi crediamo che la riduzione del tasso di disoccupazione dei giovani riguardi tutti, perché, se i giovani non lavorano, tutto, inevitabilmente, si ferma: si ferma l'economia, si ferma il tasso di natalità, si ferma anche la speranza di tornare a crescere, ed un'Europa più povera e più vecchia, un «continente museo», è una prospettiva alla quale non intendiamo rassegnarci.
  Ecco perché crediamo che i tanti moniti riguardanti la necessità di agire, e di agire subito, che giungono da più parti, primo fra tutti dal nostro Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, meritino di essere ascoltati.
  Ai nostri ragazzi dobbiamo dare non solo un reddito dignitoso, che consenta loro di vivere adeguatamente, di costruirsi una famiglia, di accendere un mutuo, dobbiamo dare loro un lavoro, quello di cui la nostra bellissima Costituzione parla, all'articolo 1. È con il lavoro che si ha la possibilità di spendere il proprio talento, le proprie competenze, le proprie conoscenze ed esperienze nella società. È con il lavoro che si ci si può sentire parte di una comunità, cittadini autentici e riconosciuti. Al contrario, se manca il lavoro, viene a mancare anche questo straordinario senso di appartenenza. Ecco perché ha ragione Giorgio Napolitano quando dice che dalla risoluzione di questo dramma, che riguarda soprattutto i giovani, dipende anche la tenuta della nostra democrazia.
  Quello che abbiamo di fronte è uno scenario estremamente drammatico. Se il tasso di disoccupazione giovanile nell'Unione europea ha toccato il 24 per cento, in Italia si è giunti a un dato quasi impronunciabile: 40,5 per cento. A ciò si somma il 13 per cento a livello europeo, che diventa in Italia il 23,9 per cento, di NEET (Not in employment nor in education or training), più di 2 milioni di ragazzi italiani che non studiano, non lavorano e, cosa addirittura più grave, hanno persino smesso di cercare un lavoro. Potremmo definirli gli «invisibili del terzo millennio», lasciati ai margini ed ignorati dalla politica e dalle politiche dei tanti Governi che si sono susseguiti.
  Le dimensioni del fenomeno sono quindi tali da imporre l'adozione immediata di misure appropriate, che comportino lo stanziamento di risorse adeguate all'emergenza, andare oltre gli slogan, oltre il ritornello che per anni abbiamo recitato «Questa è la settimana decisiva». Non c’è più tempo e non possiamo perdere tempo !
  È imprescindibile, inoltre, che tali iniziative abbiano un respiro europeo, prima di tutto perché l'esperienza ha dimostrato che non è possibile affidare alle limitate forze dei singoli Stati membri il compito Pag. 62di affrontare una emergenza di queste dimensioni, che necessita di strategie organiche. Ciò vale in particolare per i Paesi i cui margini di intervento finanziario sono ristretti per i vincoli derivanti dall'obbligo di perseguire politiche di risanamento del bilancio pubblico.
  In secondo luogo, non va sottovalutato il rischio che l'assenza di adeguate risposte da parte dell'Unione europea alimenti anche nelle giovani generazioni la disaffezione, già ampiamente diffusa, nei confronti delle istituzioni europee e mini la fiducia nel progetto dell'integrazione europea. A questo proposito, prima di scendere nel merito della mozione, c’è un'altra cosa che mi preme sottolineare: l'Europa non può continuare ad essere il mostro o il capro espiatorio dei nostri ritardi, perché questo atteggiamento, oltre che disonesto intellettualmente, è inutile. Allo stesso tempo, essa non può essere vista come una terra lontana, che implica soluzioni non applicabili all'Italia perché proprie di Paesi, si dice, più civili o più seri. Nessun difetto genetico ci impedisce di essere autenticamente europei e di dare all'Europa il contributo che essa ha bisogno di ricevere dall'Italia. Si tratta solo di incarnare nel presente la promessa di un'Europa più giusta e più democratica, l'Europa del welfare, e non solo dei numeri.
  Un elemento di speranza in questo percorso è dato dalla consapevolezza diffusa a livello europeo della necessità di agire al più presto. Nel dicembre 2012 la Commissione europea ha delineato, con il Youth employment package, una strategia volta a contrastare la disoccupazione giovanile e l'esclusione sociale, attraverso una serie di misure dirette a promuovere l'offerta di lavoro, l'istruzione e la formazione, raccomandando l'impegno degli Stati membri a tradurre concretamente, per quanto di loro competenza, le indicazioni fornite. Il Consiglio europeo ha poi stanziato 6 miliardi di euro, nell'ambito del Quadro finanziario pluriennale per il periodo 2014-2020, allo scopo di sostenere le misure in materia di occupazione giovanile con particolare riguardo al progetto definito Youth guarantee. Questo progetto, ispirato alle esperienze di alcuni Paesi (come Austria e Finlandia), è diretto a sostenere l'investimento nel capitale umano dei giovani per conseguire gli obiettivi previsti dalla strategia Europa 2020: un tasso di occupazione del 75 per cento; il 40 per cento di laureati nella fascia tra 30 e 34 anni; un tasso di dispersione scolastica al di sotto del 10 per cento e la sottrazione alla povertà e all'esclusione sociale di 20 milioni di persone all'interno dell'Unione europea.
  Questa mozione si inserisce dunque pienamente nel quadro di quello che oggi l'Europa esige e di quello che a nostra volta dobbiamo esigere dall'Europa. Con essa chiediamo quindi che il Governo italiano assuma impegni chiari sul versante nazionale, da trasferire poi al Consiglio europeo che si terrà tra dieci giorni a Bruxelles.
  Chiediamo che vengono stanziate altre risorse nell'ambito del Fondo sociale europeo per il finanziamento specifico di progetti volti a contrastare la disoccupazione giovanile. Chiediamo che la quota parte italiana delle risorse stanziate per la Youth guarantee possano essere impiegate in tutto o in parte già nel 2014. Chiediamo che vengano implementati i programmi di mobilità, con particolare riguardo al progetto Erasmus for all, volto a supportare le opportunità di studio, formazione e volontariato all'estero per 4 milioni di europei dal 2014 al 2020. Chiediamo l'ammodernamento e adeguamento dei centri per l'impiego, tramite i quali oggi trova lavoro solo il 2,7 per cento dei giovani italiani e uno sforzo di attenzione per il rafforzamento del circuito scuola-università-lavoro, utilizzando le sinergie nell'ambito del Fondo sociale europeo, poiché questo costituisce uno dei maggiori elementi di divario tra l'Italia e il resto d'Europa e determina un costo sociale insostenibile. Chiediamo che entri in vigore entro l'estate l'Alleanza europea per l'apprendistato, volta a promuovere i programmi di apprendistato che hanno avuto maggior successo e a sviluppare curricula comuni per le professioni e adeguati sistemi di Pag. 63riconoscimento degli apprendistati effettuati all'estero. Chiediamo che si valuti la possibilità di prevedere a livello europeo l'introduzione di misure premiali e/o sanzionatorie, per cui una quota dei fondi disponibili verrebbe assegnata ai Paesi che conseguano gli obiettivi stabiliti e che la parte non utilizzata di risorse preassegnate possa essere revocata se non utilizzata. Non è possibile infatti che misure di questo genere intervengano solo quando si tratta di bilanci e deficit. Chiediamo inoltre che si adotti al più presto un piano nazionale per l'occupazione giovanile, che comprenda tutte le misure necessarie per realizzare progressi concreti e apprezzabili in materia, con particolare riferimento alla possibilità della defiscalizzazione per le assunzioni dei giovani a tempo indeterminato da parte delle imprese, anche utilizzando quota parte delle risorse ancora disponibili e non impegnate, relative alle politiche di coesione per il periodo 2007-2013.
  Ci tengo a ribadire, a conclusione di questa illustrazione della mozione della quale ho l'onore di essere prima firmataria accanto a rappresentanti di tutti i gruppi del Parlamento, che non è nostra intenzione separare la questione generazionale dalle altre. Noi ci sentiamo davvero dei nani sulle spalle dei giganti, i giganti che hanno fatto la storia dell'Italia e dell'Europa, quei modelli ai quali guardiamo per poter uscire fuori dal limbo di questi anni fatti di inerzia e di mancate risposte.
  Così, con lo spirito dei cittadini europei, saremo a Bruxelles il prossimo 26 giugno ad un prevertice che vedrà riunirsi i giovani parlamentari dei 27 Paesi dell'Unione europea di tutti gli schieramenti. Noi, da italiani, andremo lì a rappresentare il sogno di animare un nuovo Rinascimento europeo che sappia raccogliere in sé la grande eredità delle storie nazionali e delineare la prospettiva di un continente unito, di un'Europa democratica, di una cultura condivisa. È giunto il momento di costruirlo insieme. Come dice il Manifesto di Ventotene, «la via da percorrere non è facile, né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà». Questo davvero ce lo chiede l'Europa (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Monica Gregori, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00034 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

  MONICA GREGORI. Signora Presidente, onorevoli colleghi, la mozione che ho l'onore di illustrare oggi al Governo, si svolge in un clima di fiducia rispetto a quelli che sono stati gli esiti del vertice romano tra i Ministri delle finanze e del lavoro di Italia, Francia, Germania e Spagna, e di speranza, in vista del Consiglio europeo del prossimo 27 e 28 giugno.
  Solo qualche mese fa la garanzia per i giovani era un provvedimento che giaceva nei cassetti della Commissione europea a Bruxelles, ma oggi, grazie all'impegno del Presidente Letta e del Ministro Giovannini, ma anche grazie alla grande dedizione profusa dalle associazioni che si occupano di politiche giovanili, dalle principali sigle sindacali – penso ad esempio alla CGIL che per prima, già da gennaio, si è battuta per un'immediata applicazione della garanzia per i giovani in Italia – ma anche dal Parlamento, cosa di cui voglio vivamente ringraziare anche i rappresentanti degli altri gruppi parlamentari che hanno aderito all'iniziativa, possiamo aspettarci un suo immediato avvio già a partire da gennaio 2014 attraverso la creazione del Fondo europeo di garanzia per i giovani di 6 miliardi di euro, di cui circa 400 milioni destinati al nostro Paese, da utilizzare subito nel periodo 2014-2015.
  Purtroppo non altrettanta fiducia aleggia sul quadro allegato all'impiego di nostri ragazzi e ragazze.
  Da giovane cassaintegrata conosco bene la sensazione che provano quasi quattro milioni di europei: questi gli ultimi dati dell'Eurostat legati alla disoccupazione giovanile. Quando si è costretti a lasciare l'università o non si può addirittura accedervi, quando le banche respingono le richieste perché non si possono dare garanzie, Pag. 64la sensazione è la mancanza di dignità e l'impotenza verso una società che oggi esclude, non include; la tenace volontà di mantenere la dignità, anche quando tutto ti crolla sotto i piedi, quando la crisi scoraggia ogni prospettiva e il futuro diventa terribilmente incerto, anzi quando non si ha il diritto di costruirsi un futuro. Dietro questo termine freddo e scientifico che si sono dovuti inventare gli statistici per stare appresso ai tempi che cambiano, neet, (giovani disoccupati al di fuori di ogni ciclo di istruzione e formazione), si nasconde un disagio estremo, prima di tutto psicologico, un dramma che ha cambiato la conformazione sociale del nostro Paese nella sua parte più vitale, quella delle nuove generazioni che vorrebbero e dovrebbero contribuire allo sviluppo della nostra comunità, ma non possono, perché non ne hanno la possibilità.
  Non dimentichiamo poi che oltre al dramma sociale, la disoccupazione giovanile ha un forte impatto macroeconomico. Secondo i dati del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, i giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano incidono sul PIL del Paese per 1,5 punti percentuali. Inoltre incidono particolarmente anche sulle aspettative di investimento da parte delle imprese estere. Allora, se tutto questo è vero, non c’è più tempo da perdere. Giustamente il Presidente Letta ha ricordato, qualche giorno fa, che le persone contano più dei numeri: non c’è niente di più vero. In questo caso sono i giovani e il lavoro che devono contare più dei numeri, più della tecnocrazia europea che spesso ha contato, e purtroppo continua a farlo, di più di quelli che sono i fondamentali valori legati alla cittadinanza europea, tra questi il diritto al lavoro sancito dall'articolo 15 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione. La garanzia per i giovani serve proprio a questo, a ridare dignità ad una parte importante dei cittadini europei.
  Altiero Spinelli amava dire che l'Europa non cade dal cielo, ma che occorre una costante attenzione morale e politica per portare avanti i suoi obiettivi, i sui valori. Quella del lavoro è la madre di ogni battaglia. Ecco perché chiediamo al Governo di non far spegnere i riflettori su questo tema, di impegnarsi a mettere maggiore pressione per risolvere i grandi problemi strutturali del lavoro in Europa, come la frammentazione del mercato e la bassa mobilità. Siamo poi tutti ben consapevoli che 6 miliardi per tutti i 27 Stati membri, e 400 milioni per l'Italia, non basteranno ad arginare il dramma della disoccupazione giovanile. Al prossimo Consiglio, quindi, il Governo spinga al massimo per una clausola obbligatoria di rifinanziamento già a partire dal 2016, ma soprattutto si lavori ad una rapida introduzione degli eurobond per finanziare gli investimenti anti-disoccupazione, e non considerarli ai fini degli obiettivi di finanza pubblica.
  L'organizzazione internazionale del lavoro ha calcolato che per contrastare efficacemente la disoccupazione giovanile in Europa servono quasi 21 miliardi di euro. Mi piacerebbe pensare, dunque, che siamo solo all'inizio di una serie di interventi strutturali. Sbaglia chi pensa che non possiamo aspettarci troppo dall'Europa; noi dobbiamo invece aspettarci molto. Occorre puntare i piedi con decisione e coraggio, spostando l'asse di intervento dal rigore alla crescita.
  L'esperienza della partecipazione italiana agli strumenti finanziari europei dimostra come sia assolutamente necessario approntare meccanismi di coordinamento a livello nazionale e territoriale in grado di operare a livello di sistema paese per ottenere i massimi benefici in termini di messa in atto delle politiche europee. Non basta sapere che i soldi arriveranno, ma occorre preparare il terreno affinché questa opportunità non ci colga impreparati.
  La mozione dunque chiede al Governo di mettere in campo tutte le misure necessarie a recepire il sistema europeo di garanzia per i giovani già da subito, istituendo una serie di meccanismi d'intervento differenziati e affidati a differenti attori.
  In questo quadro occorre attivare una sede di confronto stabile con le regioni e le amministrazioni locali nonché con le Pag. 65organizzazioni sindacali dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative su base nazionale, al fine di predisporre un'azione coordinata e condivisa per dare attuazione alle misure volte a favorire l'occupazione giovanile previste dal Programma di garanzia per i giovani. Per questo chiediamo al Governo di assumere le necessarie iniziative per istituire, al più presto e in armonia con le previsioni di bilancio, un fondo nazionale per l'attuazione della garanzia per i giovani, composto dalla quota assegnata al nostro Paese da parte del Fondo europeo di garanzia per i giovani e da ulteriori risorse previste da altre linee di intervento comunitarie nel quadro dell'agenda europea.
  Tali risorse devono essere impiegate per potenziare e armonizzare il ruolo dei centri dell'impiego e di tutti gli strumenti per le politiche attive per il lavoro su tutto il territorio nazionale, rafforzandone le prerogative e istituendo, in particolar modo, una figura professionale e di consulenza in materia di politiche europee per l'occupazione, attivando fondi specifici e orientamento mirato, così come appare necessario puntare decisamente su iniziative in grado di dar vita alla defiscalizzazione e alla decontribuzione delle nuove assunzioni a tempo indeterminato per i giovani per i primi 24 mesi. Su questo – devo dire – il Ministro Giovannini mi sembra stia già lavorando. Ma, soprattutto, obiettivo concreto della garanzia ai giovani in Italia, è quello di permettere che i giovani ricevano un'offerta qualitativamente buona di impiego, di formazione continua, di apprendistato o di tirocinio, entro quattro mesi dall'uscita dal ciclo scolastico o dall'inizio del periodo di disoccupazione.
  Del resto, in altri Paesi europei la garanzia per i giovani è già una realtà. Questi strumenti si sono dimostrati particolarmente positivi nel rilancio del mercato del lavoro, dimostrando come sia possibile portare alla ricezione, entro centoventi giorni dalla richiesta, di una proposta concreta di lavoro verso quei giovani che si rivolgono ai servizi per l'impiego.
  Anche il Parlamento farà la sua parte. Nelle prossime settimane in Commissione Lavoro cominceremo l'esame della proposta di legge, recante «Disposizioni per l'attuazione di schemi di Garanzia per i giovani», in grado di definire, a livello legislativo, i principi, le disposizioni d'indirizzo, gli incentivi e le risorse riguardanti la youth guarantee. Auspico che in quella sede si possa continuare a mantenere quel proficuo dialogo con le altre forze parlamentari che ha caratterizzato anche la stesura di questa mozione, per ottenere un rapido e puntuale iter dell'esame della proposta di legge e garantire ai nostri giovani il pieno appoggio della Camera dei deputati. (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Emanuele Prataviera, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-105. Ne ha facoltà.

  EMANUELE PRATAVIERA. Signora Presidente, onorevoli colleghi, i dati sulla disoccupazione giovanile sono sicuramente allarmanti a livello europeo, anche se bisogna fare delle analisi: difatti, le fluttuazioni a livello europeo vanno dal 7,2 per cento della Germania al drammatico 40 per cento dell'Italia. Comunque, dei 26 milioni di disoccupati europei, circa 6 milioni sono giovani. Allora l'Europa, o meglio i policy maker europei, decidono di fare qualcosa per i giovani e noi giovani parlamentari prendiamo la palla al balzo – giustamente – e facciamo ciò che è scontato che dobbiamo fare, ciò che era scontato che avremo fatto, una cosa logica: chiediamo al Governo di impegnare quei soldi a favore di misure per l'impiego giovanile.
  Dobbiamo chiederci però se il nostro atteggiamento sia giusto oppure no. Nel senso che vorrei capire se stiamo facendo i bravi boyscout, che dimostrano di essere capaci, agli occhi dei propri leader, di svolgere i compiti, oppure se siamo i rappresentanti di una volontà di cambiamento. Il senso è: vogliamo con questa mozione ringraziare per la paghetta che ci Pag. 66hanno concesso, oppure vogliamo usarla come una prima leva per chiedere un cambio di rotta al Governo ?
  Dobbiamo affermare, comunque, che lo spirito che ci muove non deve essere la promozione di una guerra dei mondi tra i lavoratori junior e quelli senior; un Governo responsabile e un Parlamento responsabile dovrebbero, infatti, affrontare la questione della disoccupazione senza distinguo.
  Ma, come sempre, in questo Paese ci sono due Paesi e, infatti, il Governo ha deciso di assegnare un miliardo di euro per i disoccupati del sud. Ancora una volta assistiamo ad una differenza di trattamento; ma non esistono disoccupati di serie A e disoccupati di serie B per noi, anche perché i fondi di questo provvedimento provengono in larga parte dalle tasse prodotte dai lavoratori di serie B del nord. Per questo annuncio di aver depositato una mozione che va nella direzione di dare le stesse possibilità a tutti i disoccupati. Lo Stato ha destinato un milione di euro al sud ? Bene, ne trovi un altro miliardo per il nord. I disoccupati del sud hanno la priorità su quelli del nord. Questo è un dato oggettivo che emerge dall'azione del Governo. Perché tanto noi ci arrangiamo, perché tanto da noi va tutto bene, tanto il problema della cosiddetta questione meridionale si può risolvere ancora con l'assistenzialismo e il nord intanto lavora e, come si dice dalle mie parti, tase; o meglio, lavorava.
  Colleghi del nord, io credo che voi dovreste spiegare questo ai vostri elettori, e dovreste spiegare questo soprattutto ai nostri coetanei, mi rivolgo ai giovani ovviamente che vi hanno votato. Cari colleghi siete davvero convinti che al sud la questione giovanile si risolva così ? La risposta è «no». Il nostro compito è di creare opportunità, di creare possibilità, e chi concede queste possibilità ? È lo Stato che le deve concedere, ma il punto è che il nostro Stato non può decidere, non è messo nelle condizioni di poter decidere. Il nostro Stato non decide più quasi nulla e quando decide, guarda caso, comunque destina tutto al sud come si è visto. A decidere è l'Europa. A decidere veramente è l'Europa, la tecno-Europa. E il risultato di questa sottomissione è evidente, basta vedere il Governo Monti.
  Chiedo ai colleghi giovani: non vi è mai venuto in mente che questa misura dello Youth guarantee sia una misura scarsa ? Sicuramente sì, ne sono convinto perché con qualcuno di voi ho parlato. E sembra quasi che la tecno-Europa si voglia lavare la coscienza con un piano da appena sei miliardi di euro per aiutare quegli sfortunati giovani che sono i figli di una crisi causata dalle scelte di un'Europa costruita non sull'interesse dei popoli, ma su interessi particolari che la compongono. Siamo tutti d'accordo che questi soldi debbano essere investiti per i giovani, su questo non ci piove, ma vogliamo accontentarci solo di questo ? Vogliamo solo sommessamente chiedere qualcosa in più ? Con le aziende che chiudono, di quale occupazione possiamo mai parlare ?
  La disoccupazione giovanile si combatte con i posti di lavoro e non si combatte con i sussidi piuttosto che con i fondi a enti per la formazione, piuttosto che ancora con ricerche per capire il fenomeno della disoccupazione giovanile, dei neet, e così via. Si combatte la disoccupazione giovanile solo se le aziende non chiudono, solo se le aziende non scappano. Noi portiamo la voce del nord, e le aziende del nord non sono più messe nelle condizioni di stare in piedi. Se si ferma la locomotiva del nord si ferma tutto e, infatti, si sta fermando tutto. Se lo Stato non permette alle aziende di vivere, se non concede loro respiro, non ci saranno prospettive, e senza prospettive le ricadute sono di non aver più fiducia nel futuro, significa non poter più fare nuove assunzioni, significa non dare più la possibilità di creare nuove famiglie. Significa: «no futuro», significa: «no Europa». E tutto questo in cambio di cosa ? In cambio di conti pubblici in ordine: bel risultato, complimenti, senza guardare a quegli enormi interessi economici che però riguardano e interessano solo pochi.
  Cari giovani colleghi, l'Europa con il Youth employment package ha dato solo Pag. 67un timido segnale di attenzione alle problematiche di una generazione e deve essere, come ho detto, solo l'inizio della nostra azione. Se vogliamo un futuro dobbiamo pretendere una strada diversa da quella percorsa sino ad ora. Solo così saremo all'altezza di rappresentare i nostri coetanei che sono fuori da questo Palazzo (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Bosco. Ne ha facoltà.

  ANTONINO BOSCO. Signor Presidente, rappresentante del Governo e onorevoli colleghi, la mozione che oggi è all'attenzione di quest'Aula nasce dalla volontà comune dei vari gruppi parlamentari ed in particolare dai parlamentari under 35 di sensibilizzare il Governo su una tematica di grande attualità e dai delicati risvolti sociali quale la lotta alla disoccupazione giovanile. Noi parlamentari under 35 ci sentiamo molto vicini – e non soltanto per questioni anagrafiche – ai giovani che si affacciano al mondo del lavoro e che purtroppo nella maggior parte dei casi sono costretti a rinunciare ai propri sogni ed alle proprie ambizioni perché oggi trovare un lavoro diventa sempre più difficile.
  I dati relativi alla disoccupazione giovanile sono allarmanti: l'ISTAT rileva infatti che in Italia il tasso di disoccupazione nel primo trimestre del 2013 dei quindici-ventiquattrenni è salito al 41,9 per cento, in pratica il massimo storico, il dato in assoluto più alto dal 1977. Questo non è accettabile in un Paese come il nostro che, come recita l'articolo 1 della Costituzione, è una Repubblica fondata sul lavoro. Il lavoro deve essere considerato come valore e come diritto, non come privilegio di pochi.
  Pochi giorni fa il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha espresso la necessità di tenere insieme la difesa dei diritti e della dignità del lavoro con l'individuazione degli interventi per superare la drammatica caduta dell'occupazione e specie di quella giovanile. Nei giorni scorsi il Presidente del Consiglio Enrico Letta si è riunito con i Ministri dell'economia e del lavoro di Italia, Francia, Germania e Spagna proprio per discutere e cercare linee comuni sulla lotta al fenomeno della disoccupazione giovanile. Il Premier fin dal suo insediamento ha ribadito l'obiettivo per il Governo italiano di mettere la lotta alla disoccupazione giovanile al centro dell'agenda europea, dunque un impegno da prendere non soltanto a livello nazionale, ma anche e soprattutto a livello europeo.
  L'Europa non può essere solo quella del fiscal compact, ma deve essere anche l'Europa in grado di programmare e creare sviluppo e crescita e di farsi carico e di trovare soluzioni sul dramma dell'occupazione giovanile. Spero che tale impegno si traduca al più presto in azioni concrete sia sul piano nazionale che di coordinamento con le altre realtà europee e che serva a scuotere le coscienze, perché le giovani generazioni sono il presente e rappresentano il futuro del nostro Paese. Ma aggiungo: essi rappresentano anche il presente dell'Europa. Il sostegno ai giovani è necessario, improcrastinabile, perché loro sono i futuri cittadini europei e perché sostenerli significa non soltanto conferire la dignità attraverso il lavoro, ma valorizzarne le capacità, le competenze, il talento e la creatività, così come certamente meritano. La linea comune europea contro la disoccupazione giovanile è delineata dallo youth guarantee, piano di garanzia giovani che destina complessivamente 6 miliardi da investire dal 2014 al 2020 per i Paesi con una disoccupazione pari o superiore al 25 per cento.
  Con l'atto di sindacato ispettivo di cui sono cofirmatario, auspico che i circa 400 milioni di euro spettanti all'Italia possano essere subito disponibili e che si reperiscano maggiori risorse per tale piano. Io credo che la valorizzazione debba iniziare dalla scuola, uno dei luoghi per eccellenza deputati alla formazione dei giovani, puntando a potenziare gli strumenti che consentano il passaggio graduale dal mondo della scuola a quello del lavoro. Ritengo inoltre necessario anche che la riforma Pag. 68Fornero sul mercato del lavoro venga rivista e modificata al più presto, perché non ha certamente prodotto i risultati che si attendevano; quando all'epoca fu mossa qualche critica, la risposta era che bisognava monitorare gli effetti della riforma che, secondo i Ministri del passato Governo, sarebbero stati positivi. Invece questi non ci sono stati, anzi il trend non si è invertito e la disoccupazione è aumentata ed ha penalizzato soprattutto i giovani. Allora mi auguro che si intervenga nuovamente, soprattutto laddove la riforma Fornero ha fallito, irrigidendo il mercato del lavoro. In ambito europeo invece è necessario impegnarsi per promuovere l'entrata in vigore entro l'estate 2013 dell'alleanza europea per l'apprendistato, finalizzata a promuovere i programmi di apprendistato che hanno avuto maggiore successo e a sviluppare curricula comuni per le professioni e adeguati sistemi di riconoscimento degli apprendistati effettuati all'estero.
  Sarebbe opportuno inoltre – e al riguardo voglio fare un cenno – rivedere e rivisitare la formazione professionale in Italia. Il Governo stanzia tantissimi soldi per questo comparto e questo settore e ritengo che anche lì dovremmo metterci meglio al passo con ciò che avviene nel resto d'Europa. Troppo spesso – permettetemi di dire – nel mondo della formazione professionale la «festa» è per i formatori e non per i ragazzi e i giovani che invece devono essere formati.
  Mi pare che non ci sia troppo spesso un reale trait d'union tra la formazione e l'immissione nel mercato del lavoro. E voglio anche citare un progetto invece europeo, assolutamente di qualità, che è il progetto dell'Erasmus che indubbiamente rappresenta un'importante esperienza formativa a livello sociale e culturale per uno studente universitario. Lo scorso anno l'Unione europea ha celebrato 25 anni di Erasmus con lo scambio di culture, lingue e tradizioni tra oltre tre milioni di giovani. Il programma Erasmus però attualmente rappresenta appena lo 0,35 per cento del budget europeo. Quante volte si sente parlare di fuga di cervelli ? Tanti giovani, al termine di un lungo e faticoso percorso di studi, impossibilitati a trovare sbocchi lavorativi in Italia, spesso sono costretti ad andare a lavorare all'estero dove il loro curriculum e la loro alta specializzazione professionale vengono apprezzati e valorizzati nel modo più consono. Credo che sia necessario reperire delle risorse per dare anche a questi giovani la possibilità di un lavoro e di impegnarli in qualcosa di utile.
  Attraverso questa mozione, signor Presidente, chiediamo che, in occasione del prossimo Consiglio europeo, il Governo verifichi la possibilità di stanziare ulteriori risorse, nell'ambito del Fondo sociale europeo, per finanziare progetti finalizzati al contrasto della disoccupazione giovanile e ad adottare sul piano nazionale le iniziative necessarie per realizzare progressi, anche attraverso l'utilizzo di quota parte delle risorse ancora disponibili e non impegnate relative alle politiche di coesione per il periodo 2007-2013 in aggiunta a quelle previste per il periodo 2014-2020, come tra l'altro prospettato dall'ultimo Consiglio europeo del mese di maggio.
  E voglio concludere – e non fare assolutamente polemica con il collega che è intervenuto prima di me – da deputato proveniente dal sud dell'Italia. Certamente in quest'Aula sto intervenendo a nome di tutti i giovani del Paese, ma permettetemi anche di lanciare un pensiero ai giovani del Mezzogiorno, posto nel quale il tasso di disoccupazione giovanile è più alto rispetto al resto del Paese e posto nel quale troppo spesso i giovani del Sud, oltre a vivere il dramma della disoccupazione giovanile, vivono e risiedono in zone dall'alto disagio sotto l'aspetto sociale ed è lì che dobbiamo riuscire ad incidere con maggiore forza, con maggiore determinazione perché i giovani sono certamente tutti uguali e anche i loro sogni e le loro speranze dobbiamo riuscire a considerarli tali (Applausi dei deputati del gruppo Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Raciti. Ne ha facoltà.

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  FAUSTO RACITI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intanto una considerazione di partenza legata al fatto che questo Parlamento, che è il più rosa e il più giovane della storia repubblicana, inizia a produrre mozioni, provvedimenti, atti che impegnano il Governo che hanno un segno profondamente diverso da quelli del passato. Vorrei ricordare che, nella scorsa legislatura, il tema dei giovani è stato utilizzato e brandito molto spesso per giustificare provvedimenti che altrimenti avrebbero difficilmente trovato un altro tipo di giustificazione. Penso, ad esempio, a quella modifica dell'articolo 81 della nostra Carta costituzionale che è stata giustificata non in nome dei giovani che ci sono e che vivono in questo momento nel nostro Paese, ma in nome dei giovani che verranno. Questa volta stiamo discutendo di giovani che ci sono, che vivono nel nostro Paese e che vivono nella condizione drammatica che è stata descritta nelle due mozioni che sono state presentate e che merita una risposta da questo Parlamento e che merita una risposta dal Governo.
  Credo che il metodo con cui questa risposta stiamo provando a costruirla sia intanto importante, cioè il tentativo di costruire una condivisione tra forze politiche, una condivisione trasversale attorno alla centralità di un tema, cioè quello della lotta alla disoccupazione giovanile, che è diventato un dramma che cancella le speranze di una generazione che ha difficoltà non semplicemente ad immaginare il proprio futuro, ma anche a costruirsi quei brandelli di presente che sono così spesso drammaticamente faticosi. Credo che ci siano delle priorità, degli strumenti che sono indicati all'interno delle mozioni che hanno un valore, un valore perché non corrispondono alla promessa dell'immediata soluzione del problema.
  Lo dico ai colleghi della Lega: qui non c’è una promessa di nuovi posti di lavoro, c’è il tentativo di dispiegare politiche che possano mettere in condizione la parte più giovane del nostro Paese di costruirsi un pezzo del proprio futuro, partendo dal contrasto alla dispersione scolastica, dall'attivazione di politiche di welfare, di mobilità, di sostegno del diritto allo studio, dal ripensamento e dalle ripartenze delle politiche dei centri per l'impiego come strumento di politiche attive per l'occupazione, dagli sgravi per le assunzioni dei più giovani, da una riformulazione degli strumenti che utilizziamo per il servizio civile. Sono tutti strumenti che consentono di cominciare a costruire, partendo da politiche attive che presuppongono un protagonismo e una capacità delle generazioni più giovani, di cominciare a offrire una risposta, seppur parziale, al dramma che la nostra generazione sta vivendo.
  È un dramma che, mi dispiace doverlo sottolineare, investe soprattutto le giovani generazioni del Mezzogiorno. Io vorrei ricordare che noi abbiamo, nel Mezzogiorno, punte di disoccupazione, un tasso di disoccupazione femminile pari al 40 per cento, punte di dispersione scolastica che sfiorano il 30 per cento e una disoccupazione giovanile a livelli sostanzialmente spagnoli, cioè a livelli record in Europa. Non a caso, le regioni del Mezzogiorno sono indicate dall'Unione europea come «obiettivo 1» e io penso fosse a questo che si riferisse il Ministro Trigilia, quando ha dichiarato la volontà del Governo, credo positiva, di destinare investimenti e risorse alle politiche per il Mezzogiorno.
  Si è fatto, nel corso di questi mesi, un gran parlare di Europa e un gran parlare del rapporto tra i Paesi dell'Unione europea, tra le aree più forti e le aree più deboli, tra l'Italia e la Germania. Vorrei sottolineare un elemento e, cioè, che se la Germania è nelle condizioni in cui si trova oggi, cioè una condizione di straordinaria forza e di straordinaria ricchezza dal punto di vista economico, è anche perché, nel corso degli anni che hanno seguito la sua riunificazione è stata capace di affrontare il suo tema principale, che era quello del divario tra est e ovest, attraverso la mobilitazione di straordinarie risorse – si parla di una cifra che supera i 150 miliardi di euro – che nel corso degli ultimi vent'anni sono stati spostati da ovest a est.
  Ecco, io penso che il nostro Paese, se vuole ritornare ad esercitare un ruolo e Pag. 70una funzione in Europa – i tedeschi pagano ancora oggi una tassa chiamata tassa dell'unificazione – dovrebbe esattamente provare a fare questo: colmare un divario che si è fatto ormai insostenibile, di cui le giovani generazioni del Mezzogiorno pagano il prezzo più alto.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  FAUSTO RACITI. Concludo, signor Presidente. Concludo con l'auspicio che le misure di cui stiamo parlando servano non a rappresentare un conflitto tra generazioni del nostro Paese, perché credo che sarebbe ridicolo. Sarebbe ancora più ridicolo se questo dibattito, il prodotto di questo dibattito fosse uno scontro tra giovani del Nord e giovani del Mezzogiorno del nostro Paese, perché penso che quando un'area larga e in condizioni di difficoltà come il Mezzogiorno riparte è un vantaggio per tutti, partendo dall'intera nostra comunità nazionale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Rizzetto. Ne ha facoltà.

  WALTER RIZZETTO. Signor Presidente, colleghi, sottosegretario Santelli, il Governo Letta, il Primo Ministro stesso, Letta, nel suo discorso di esordio alle Camere ha posto il suo particolare ed accorato accento sul problema del lavoro. Lo stesso Ministro Giovannini, in audizione presso la XI Commissione, ha posto l'accento su un grosso problema, che è sempre il lavoro. Lo stesso presidente Squinzi, in Confindustria, tre settimane fa, in assemblea nazionale, in un accoratissimo discorso di quasi un'ora, ha dimostrato l'importanza del lavoro e di quanto lavoro noi necessitiamo.
  Le nostre sono delle preoccupazioni per questo lavoro in crisi. Il MoVimento 5 Stelle, anch'esso, pone un accento molto forte su questa preoccupazione; lo guardiamo tutti i giorni questo tema, lo studiamo tutti i giorni, in Commissione e nella vita reale.
  C’è una crisi di lavoro e, sicuramente, c’è una crisi in tutte le sfaccettature del lavoro stesso; c’è uno svantaggio in tutte le stesse sfumature del lavoro che riguarda giovani e riguarda adulti, riguarda donne e riguarda uomini, riguarda dipendenti e riguarda professionisti. È arrivato, quindi, il momento di far convergere tutte le forze qui presenti in Parlamento per cercare di dare delle risposte subito e delle risposte forti a questo dramma. Prima parlavamo di giovani: le mozioni che abbiamo firmato, la mozione Gregori e la mozione Ascani, presentate dalle due colleghe deputate, parlano di giovani ma ricordo che se Atene piange, Sparta non ride; nel senso che c’è un'ampia platea, che attualmente muore, ancora, tutti i giorni per causa del non lavoro. Siamo tutti firmatari, tutte le forze politiche che attualmente siedono in questo emiciclo sono firmatarie rispetto a queste due belle mozioni; sono sicuramente delle mozioni che ogni buon padre di famiglia andrebbe a firmare e quindi, anche noi, abbiamo firmato.
  D'altra parte, in questo periodo di recessione globale, notiamo un fortissimo aumento di persone che sono al di fuori di ogni ciclo lavorativo, di giovani che, purtroppo, devono competere tutti i giorni con tutte le proprie forze per cercarsi un lavoro e devono competere con delle persone che sono sicuramente meno giovani di loro ma che magari hanno 65 anni e devono aspettare altri due anni per andare in pensione e che quindi, va da sé che, aritmeticamente, se dieci persone devono aspettare altri due anni, non liberano tecnicamente altri posti di lavoro. Per questi giovani c’è un acronimo che li definisce, già citato poc'anzi, essi sono chiamati NEET: not in education, employment or training, nel senso che non sono più in istruzione, non sono più in impiego e non hanno nessun tipo di attività assimilata a quanto sopra. Sono persone che hanno perso la fiducia, sono persone tra i quindici e i ventiquattro anni che non riescono neanche più a trovarla questa fiducia. Nel 2013 i NEET in Italia, secondo i primi dati di quest'anno, erano quasi il 23 per cento; è evidente che c’è una crisi Pag. 71in termini di lavoro, è evidente che c’è una minore capacità di assorbimento del mercato del lavoro italiano; questi giovani perdono la voglia di fare tutto e allora li vediamo vagare magari – prima era presente, tra l'altro, il Ministro Lorenzin – in qualche bar a giocare alle slot machine perché gli ultimi soldi che hanno li investono in qualcosa di poco serio, di poco produttivo, di poco proattivo per cercarsi un altro lavoro. Essi hanno perso ogni speranza e tra l'altro hanno perso anche la speranza e hanno perso la voglia di andare a votare. Quindi, anche le forze politiche devono fare una riflessione, all'indomani del voto, per cui più del 50 per cento delle persone non vanno a votare; ebbene, tra questo 50 per cento c’è anche una grossa fascia di giovani che non crede più nelle istituzioni. Quindi, queste due mozioni le abbiamo firmate volentieri, per così dire, condividendole sicuramente anche in maniera propedeutica a tutto questo; nel senso che questi ragazzi devono comunque, assieme anche ai meno giovani, recuperare la loro fiducia nelle istituzioni.
  Sei miliardi di euro, dal 2014 al 2020; il collega della Lega, prima, diceva che sono troppo pochi, però sono un inizio, è un inizio. Questi soldi che cosa andranno a fare ? Mi pare che 500 o 600 milioni di euro arriveranno comunque in Italia e verranno delocalizzati dal Governo alle regioni. Erasmus for all, diceva il collega del PdL, centri per l'impiego, ricordavano i colleghi del PD, attraverso le regioni, ma sicuramente il Governo dovrà andare a farsi garante rispetto a queste risorse che non dovranno essere investite dalle regioni per fare qualcos'altro, ma dovranno veramente andare a fare rinascere i centri per l'impiego che oggi, anzi, non esistono, sono silenti ! Attualmente i nostri ragazzi di 20, 25, 30, 35 anni vanno nelle agenzie interinali e aspettano il lavoro sei o sette mesi. Sta diventando uno dei mercati più beceri che io in 38 anni di vita abbia visto e notato. Quindi, questi soldi andranno comunque ad alimentare una formazione continua, andranno, probabilmente, a riconoscere l'apprendistato europeo rispetto anche all'Italia; il giovane che attualmente va fuori dai confini nazionali a fare un apprendistato, quando rientra in Italia perché vuole venire a lavorare in Italia scopre che l'apprendistato europeo non è riconosciuto. Incentivi, quindi, anche, per ridurre il drammatico abbandono scolastico. Speriamo che, veramente, questi soldi arrivino da queste parti, per fare quanto abbiamo detto finora.
  Concludo parlando molto brevemente del concetto di lavoro, il lavoro che attualmente è diventato un'ossessione: chi non ha lavoro si ammazza, si uccide. Trent'anni fa, quarant'anni fa non era così; i nostri padri, i nostri nonni entravano in un'azienda e passavano quarant'anni della propria vita in quell'azienda. Attualmente, invece, bisogna cambiare lavoro ogni quattro o cinque anni, se no non ce la si fa. Ecco, questa ossessione non deve più esserci. Invito tutti i colleghi deputati, ogni qual volta ci sono bambini che in tribuna vengono a sedere – bambini che probabilmente frequentano le scuole elementari o le scuole medie –, a pensare a loro in maniera propedeutica ad un loro futuro, perché se è vero che noi abbiamo vissuto meglio dei nostri padri è anche vero che, se Dio vuole, i nostri figli dovranno vivere meglio di noi.
  «L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro», recita il primo articolo della Costituzione. Tra l'altro, ci sono state delle citazioni e quindi anch'io chiudo con una citazione: Voltaire, nel Candido, recitava che il lavoro allontana tre grandi mali: noia, vizio e bisogno, che sono, guarda caso, gli stessi mali che vivono i nostri ragazzi, ma non solo i nostri ragazzi. Bene, queste due bellissime frasi, «l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro» e la frase che ho citato di Voltaire vengono, il 26 giugno 2012, drammaticamente sconfessate in un'intervista su The Wall Street Journal dall'ex Ministro Fornero, la quale dice che il lavoro non è un diritto. Anzi, ci aggiunge puro un carico dicendo che i nostri giovani sono choosy, sono esigenti. Io spero che i nostri giovani siano sempre più esigenti. Noi, a questo punto, ci dimostriamo, rispetto alle buone idee, rispetto alle idee Pag. 72che ogni buon padre di famiglia andrebbe a votare – e mi rivolgo alla Presidente e al Governo – già sufficientemente «scongelati», come ricordato in conferenza stampa. Proponeteci e votateci le buone idee e vedrete che sicuramente faremo un grande cammino (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Bonomo. Ne ha facoltà.

  FRANCESCA BONOMO. Signor Presidente, membri del Governo, onorevoli colleghe e colleghi, oggi un grido si leva all'unisono dal Parlamento più giovane d'Europa: non si può più restare inerti, bisogna porre in essere un piano d'azione appropriato ed immediato per combattere l'alto tasso di disoccupazione giovanile e la condizione di precarietà nel lavoro, che si traduce, purtroppo, anche in una condizione di precarietà di vita, che non è solo una problematica italiana, ma è sempre più diffusa, seppur in maniera diversa, in tutti i Paesi europei. Nel marzo 2013, infatti, risultavano essere privi di lavoro ben 5,7 milioni di giovani, di cui 3,6 milioni nell'area euro. È poi notizia di poco fa che anche il Presidente americano, Barack Obama, al summit del G8 in Irlanda del Nord, ha dichiarato che intende porre la questione della lotta alla disoccupazione giovanile sul tavolo del G8. Accogliamo quindi con favore queste dichiarazioni, che confermano il fatto che questa è una triste piaga che tocca non solo l'Europa, non solo l'Italia, ma il mondo intero.
  Accogliamo quindi con favore lo stanziamento da parte del Consiglio europeo dei 6 miliardi di euro per la Youth Guarantee, la garanzia giovani, a seguito dello Youth employment package, strategia elaborata dalla Commissione europea per prevedere, per i giovani con meno di 25 anni, di ottenere, entro quattro mesi dalla conclusione del percorso formativo o dalla perdita dell'impiego, una buona offerta di lavoro, un tirocinio formativo o un contratto di apprendistato. Per l'Italia può sembrare un sogno, anche se la soglia, per noi, andrebbe almeno elevata a 29 anni. Vi sono infatti alcuni Paesi come l'Italia, la Grecia e la Spagna dove il tasso di disoccupazione giovanile tocca talvolta picchi del 50 per cento e dove il tasso di abbandono scolastico si aggira attorno al 20 per cento, così come la percentuale dei NEET, come si ricordava prima (not in education, employment or training), giovani che sono totalmente sfiduciati e privi di risorse che non sono né al lavoro, né a scuola, né in stage, ed in Italia sono circa 2 milioni, una cifra sconvolgente.
  Tuttavia non possiamo continuare a nasconderci dietro un dito. Lo spirito dell'Unione europea era quello di creare uno spazio unito di circolazione di merci, persone, servizi, una moneta unica. Ma come si pensa di farlo se non vi sono poi anche uniformi condizioni di vita e di sviluppo ? Per essere un'Unione realmente competitiva nel mercato internazionale bisogna adoperarsi perché all'interno vi siano sempre meno diseguaglianze ed un tasso di sviluppo e di benessere tendenzialmente uniforme. Proprio perché siamo consci della difficile prospettiva di vita dei nostri coetanei perché l'abbiamo vissuta in prima persona e pensiamo che sia necessario porvi rimedio adesso senza attendere oltre, siamo qui oggi tutti insieme come giovani rappresentanti in Parlamento a chiedere senza distinzione di provenienza partitica che il Governo si faccia carico di alcune nostre istanze al prossimo Consiglio europeo dove si prenderanno decisioni in merito.
  Vorrei porre l'accento su questa trasversalità di intenti proprio perché sicuramente tra di noi delle differenze permangano, ma siamo riusciti ad andare al di là di esse perché in gioco c’è un bene molto più importante che è il futuro della nostra generazione e con essa il futuro dell'Unione europea stessa. Infatti il rischio che si sta correndo, onorevoli colleghi, è di perdere una generazione e con essa il futuro del nostro continente che rappresenta uno dei più avanzati esperimenti di pace, prosperità e sviluppo sociale e democratico. Bisogna fare attenzione Pag. 73perché tutto questo sta accadendo non tanto per cause strutturali, che pure dobbiamo affrontare e risolvere, ma per la miopia di politiche economiche che hanno funzionato solo per pazienti già sani ed hanno invece infierito su pazienti con la febbre.
  Per tutte queste ragioni con questa mozione chiediamo che il Governo si faccia portavoce di alcune nostre richieste in sede europea. Di aumentare lo stanziamento di fondi nell'ambito del Fondo sociale europeo, per finanziare progetti volti a contrastare la disoccupazione giovanile. Se i giovani sono una risorsa, poi, per il futuro del nostro continente bisogna investire su di loro e per questo chiediamo di raddoppiare i fondi sui progetti di mobilità come Eures e Erasmus for all, attraverso i quali i giovani fanno esperienza di cittadinanza europea. Io stessa vi ho partecipato e ne riconosco l'importanza, ma ce lo chiedono non solo gli studenti, anche i rettori e i professori degli atenei italiani. Per la quota dei fondi della Youth guarantee spettante all'Italia, poi, chiediamo la possibilità di poterla utilizzare già nel corso del 2014, perché abbiamo bisogno di misure immediate.
  Chiediamo poi dei provvedimenti urgenti di ristrutturazione a livello nazionale dei centri per l'impiego attraverso i quali in Italia ora trovano lavoro solo il 2,7 per 100 dei giovani che vi si rivolgono. A questo proposito volevo, diciamo, dare un esempio di una buona pratica, di un'esperienza innovativa che è il progetto delle geomappe dell'Università di Milano, è costato solo 10 mila euro ma è molto innovativo. Sono varie, diciamo, le proposte che noi abbiamo chiesto all'interno della mozione e che già sono state analizzate precedentemente, ma siamo consapevoli però che per rilanciare l'occupazione bisogna agire parallelamente sulla crisi di domanda di lavoro in cui versa l'Europa, quindi bisogna capire che oramai i destini dei popoli europei sono intrecciati e pensare al bene comune accelerando il cammino verso l'unione bancaria favorendo il credito a basso costo per le famiglie e le imprese e promuovendo politiche di investimenti pubblici.
  Se vogliamo ripartire non lo si può che invertendo la rotta e facendo un massiccio investimento sulle giovani generazioni che sono il futuro di questo continente. Per dirlo con le parole di uno dei padri fondatori dell'Unione europea, Altiero Spinelli, nella battaglia per l'unità europea è stata ed è tuttora necessaria una concentrazione di pensiero e di volontà per cogliere le occasioni favorevoli quando si presentano, per affrontare le disfatte quando arrivano, per decidere di continuare quando è necessario. Se vogliamo quindi superare l'attuale situazione di stallo e dare una sterzata verso l'unione politica ora è il tempo di farlo ed i giovani ne sono il mezzo. Noi siamo disposti a metterci in gioco, ma sta a voi non tarpare le nostre ali (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Ha chiesto la parola il deputato Erasmo Palazzotto. Ne ha facoltà.

  ERASMO PALAZZOTTO. Grazie, signora Presidente, rappresentante del Governo, e colleghi deputati che siete qui in quest'Aula ad ascoltare questo dibattito. Non è un Paese per giovani, mi viene da dire, l'Italia. Nonostante questo sia il Parlamento più giovane d'Europa.
  Questa discussione oggi in Aula e la mozione che abbiamo presentato, pur se limitata nelle proposte e nelle prospettive, rappresentano un passo avanti in una discussione pubblica tutta italiana rispetto alla questione generazionale. Così la voglio definire, perché non possiamo sottrarci dall'affrontare i problemi per quello che sono, e dal fare un'operazione di verità su quella che è appunto una nuova questione sociale, una nuova emergenza sociale.
  Una questione generazionale, dicevo, che per anni è stata affrontata dalle istituzioni e della classe dirigente di questo Paese con superficialità. Ricordo ancora le offese provenienti da illustri ministri dei precedenti Governi: penso a quando si è Pag. 74definita un'intera generazione una generazione di «bamboccioni»; penso al termine choosy, poc'anzi richiamato, utilizzato dal Ministro Fornero nella precedente legislatura per definire una generazione a cui è stato rubato il diritto più importante, il diritto al futuro. La domanda che tantissimi giovani come me in quei giorni si sono fatti è: noi vorremmo vedere come questi ministri, come queste istituzioni potrebbero costruirsi un futuro nelle condizioni che sono state richiamate già in Aula, in cui vive oggi e affronta il futuro la nostra generazione.
  Noi non abbiamo mai discusso seriamente della questione generazionale in Italia. La disoccupazione è solo un indicatore della drammatica emergenza sociale che sta affrontando il nostro Paese. Ed abbiamo il dovere, noi che rappresentiamo questa generazione in Aula, di gridare dentro quest'Aula la disperazione di un'intera generazione di italiani.
  È la generazione senza lavoro, come è stato richiamato, e discutiamo di una mozione che parla delle misure per implementare l'occupazione giovanile: un 40 per cento di disoccupati, i NEET. Questa crisi ha determinato un'implementazione di quella che era una condizione strutturale della nostra economia. Al Sud, nella mia terra, in Sicilia, il dato che bisogna leggere non è il dato dei disoccupati, bensì quello degli occupati nella nostra generazione: e scoprire che solo il 30 per cento di giovani siciliani oggi ha un lavoro. È un dato che grida vendetta, e non può non impegnare un'intera classe dirigente a riconoscere che si tratta della più grande emergenza sociale del Paese, perché un Paese che non investe sui propri giovani, un Paese che non ha il coraggio di investire e di dare un futuro alle nuove generazioni è un Paese che sta rinunciando al proprio futuro, ed è un Paese che è destinato a morire, nella sua economia e nella sua cultura; ed è questo quello che sta succedendo oggi all'Italia.
  Noi siamo la generazione senza futuro: una generazione che ha vissuto la precarietà come condizione esistenziale della propria vita, e non solo come una questione contrattuale.
  Noi siamo una generazione che ha sentito per un ventennio le classi dirigenti di questo Paese cantare il mito della flessibilità, per scoprire dopo vent'anni che quella flessibilità non ha prodotto un solo nuovo posto di lavoro in più, ma ha condannato alla precarietà un'intera generazione di italiani.
  Noi siamo la generazione che purtroppo ha perso l'appuntamento con il futuro. Siamo una generazione che oggi si pone molte domande, a cominciare da quella: a cosa serve pagare i contributi per una pensione che forse non vedremo mai, quando entri nel mercato del lavoro che hai 30, 35, 40 anni, e spesso ti senti dire che sei un giovane anche a 45 anni, perché non sei mai potuto entrare appieno dentro questa società con tutti i diritti che sono riconosciuti dalla nostra Costituzione ?
  Questa è la generazione che noi rappresentiamo dentro il Parlamento: una generazione senza diritti, una generazione che non ha sperimentato il riconoscimento del diritto alla casa, del diritto all'istruzione, che è negata nel nostro Paese a una buona parte di giovani. Basta vedere i dati sul calo delle immatricolazioni all'università: in dieci anni più di 70 mila immatricolazioni in meno ! Questo è il dato più emblematico di un Paese che muore, perché 70 mila giovani che non investono sull'istruzione, che non investono sull'innovazione, sono 70 mila risorse in meno per rilanciare l'economia e il futuro di questo Paese, un Paese che muore e un Paese che invecchia.
  Noi siamo una generazione che non ha conosciuto il diritto a farsi una famiglia, la generazione dei bamboccioni, che non ha la possibilità di costruire con la propria compagna un progetto di vita e di avere una casa. Noi siamo una generazione e per parlare della nostra generazione noi dobbiamo parlare dell'Italia, perché la nostra generazione è lo specchio dell'Italia. Ecco, sono giuste le misure che noi presentiamo oggi e chiediamo in questa mozione. Chiediamo di raddoppiare gli stanziamenti dell'Unione Pag. 75europea per le misure per l'occupazione giovanile, chiediamo di portarle da 6 miliardi a 14 miliardi, chiediamo una deroga per l'Italia, cioè chiediamo di investire la maggior parte della quota parte a noi spettante nel 2014, proprio perché l'emergenza ha questi connotati e questi dati. Chiediamo di defiscalizzare l'assunzione a tempo indeterminato per i giovani italiani, ma noi dobbiamo chiedere anche di più. Noi dobbiamo avere il coraggio di affrontare la questione per quello che è. Noi dobbiamo dire che oggi l'emergenza è di tali proporzioni in Italia che non basta più un pannicello caldo, non serve dare solo degli incentivi, pur giusti, alle imprese per assumere qualche giovane, per risolvere un disastro economico e sociale di queste proporzioni. Serve invertire la tendenza, serve aprire una nuova stagione di diritti e di garanzie. Serve dire alle nuove generazioni di questo Paese che anche loro avranno riconosciuti i diritti che hanno vissuto i loro padri come garanzie costituzionali, perché noi siamo la prima generazione nella storia di questo Paese che – mi dispiace dirlo e contraddire il collega che ha parlato prima di me – starà peggio dei propri padri. Allora, vedete, noi dobbiamo parlare dell'Europa e parlare di quanto l'Europa ci chiede ogni volta, delle misure restrittive, del rigore, e non discutiamo mai però di come noi possiamo adattarci alle misure di civiltà che l'Europa chiede, impone e ha applicato nella maggioranza dei suoi Paesi. Vedete l'Italia è insieme alla Grecia e a pochi altri Paesi in Europa l'unica che non ha una misura di welfare che garantisca chi perde un lavoro. L'Italia è uno dei pochissimi Paesi in Europa a non avere una forma di reddito minimo di cittadinanza. Allora, vedete, noi abbiamo bisogno di applicare quella che è una risoluzione che è stata votata a larghissima maggioranza dal Parlamento europeo e che noi abbiamo fatto nostra e presentato in una risoluzione che abbiamo depositato in questi giorni qui alla Camera, che dice che bisogna istituire il reddito minimo garantito, come misura per la lotta alla povertà e per l'inclusione sociale. Ecco noi abbiamo la necessità oggi di affrontare questa emergenza, di ripensare a un'idea di welfare, di ripensare a una generazione che non ha garanzie di nessun tipo. Questa è la sfida che oggi questo Parlamento deve assumere. Allora è in questo senso che io colgo come positiva la scrittura e la proposizione di questa mozione che ha coinvolto tutti i giovani di questo Parlamento, che in maniera trasversale ci ha fatto riconoscere che questa è un'emergenza e ce la fa porre oggi nel dibattito pubblico. Io mi auguro che questo sia solo l'inizio di un percorso che sia in grado di cambiare il paradigma di questo Paese e di restituire alle nuove generazioni il proprio futuro. Io questo futuro lo voglio garantito perché è scritto nel contratto, nel patto sociale, che gli italiani hanno sottoscritto 67 anni fa. Nell'articolo 3 della Costituzione è scritto: è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Ecco la nostra generazione non ha mai conosciuto queste garanzie, che dovrebbero essere riconosciute dalla nostra Costituzione (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Ecologia Libertà e Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Paris. Ne ha facoltà.

  VALENTINA PARIS. Signor Presidente, colleghi che siete ancora qui, rappresentanti del Governo, oggi nessuno farà foto né denuncerà un'Aula quasi vuota, perché la politica e la militanza insegnano che se ci sono collettivi e organizzazioni che vivono momenti anche di frizione interna è giusto averne rispetto e noi sappiamo che oggi i colleghi del MoVimento 5 Stelle vivono un momento di grande frizione e difficoltà (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico) e ne abbiamo rispetto.
  Di solito non mi appassionano questioni che associano gruppi politici per esigenze anagrafiche, e però devo dire che questa generazione, i colleghi che si sono impegnati a costruire queste mozioni, non Pag. 76hanno costruito un fatto nuovo e importante solo per la collaborazione che hanno posto in essere, ma per il fatto che, in maniera più o meno consapevole, non si stanno occupando della propria generazione, che, purtroppo, da alcuni processi è ancora fortemente esclusa.
  Con questa mozione la nostra generazione si sta occupando di chi verrà dopo, dei ragazzi dai 15 ai 25 anni, così come prevede l'Europa, che avranno – ci auguriamo anche grazie al nostro impegno – la possibilità di incrociare luoghi in cui vi saranno professionisti che li aiuteranno a costruire bilanci di competenza, che incroceranno insegnanti, che incroceranno luoghi di socialità attraverso i quali gli verrà detto che non devono scegliere cosa vogliono studiare e che tipo di professione intraprendere in base a quello che il mercato chiede, ma lo faranno in base a come sperano, sognano e cercano di costruire il proprio futuro; di questo, credo, a tutti i miei colleghi che hanno lavorato alla costruzione di questa mozione va un grosso ringraziamento, perché occuparsi di chi verrà dopo è forse l'atto più grande di generosità e forse l'unica funzione che la politica ancora non è riuscita a recuperare.
  A questo aggiungo solo un'altra considerazione, per non farla troppo lunga. Noi stiamo parlando oggi di come intendiamo che questo Paese recuperi un futuro, una dignità e una funzione. Ebbene, io lo dico perché sono meridionale: il mio problema non è e non è mai stato perché i giovani del sud andassero al nord, e credo questo valga anche per l'Italia rispetto all'Europa.
  Il nostro tema, il nostro obiettivo, oggi, non può essere più tenere chi è qui, perché chi ha la possibilità di andare fuori ha un'opportunità in più. Il nostro obiettivo dovrebbe essere impegnarci per far sì che i giovani europei trovino in Italia i propri luoghi di realizzazione.
  Ebbene, questo, purtroppo, non lo faremo attraverso la Youth Guarantee, ma sappiamo che, se proveremo a dire ai giovani di questo Paese che questo è un Paese che vuole crescere, che vuole creare prodotto, che saprà scegliere su cosa vorrà investire e che la politica, questo Parlamento, si farà carico di assumere queste decisioni, allora, probabilmente, avremo fatto bene il nostro mestiere, e su questo mi auguro che troveremo ancora, come oggi, la condivisione e la solidarietà di tutta l'Aula (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Rosanna Scopelliti. Ne ha facoltà.

  ROSANNA SCOPELLITI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, l'impatto della crisi economica sui giovani è sotto gli occhi di tutti. Al di là delle cifre, secondo le quali già a gennaio 2013 il tasso di disoccupazione giovanile nell'Unione europea era del 23,6 per cento, ossia più del doppio del tasso di disoccupazione degli adulti, è evidente che la frattura generazionale si è consumata e spetta a chi governa porre in essere misure urgenti per diminuire il divario ed evitare in tutti i modi che il prossimo futuro sia negato ad un'intera generazione.
  In Italia il dato è ancora più allarmante, con un tasso di disoccupazione dei giovani attestato al 38 per cento. Badate bene, onorevoli colleghi, e parlo ad un'Aula che vede finalmente la presenza di molti giovani: questo è un dato devastante, inaccettabile, che contiene in sé un'altra drammatica fotografia del presente; in meno di un anno, infatti, il tasso di disoccupazione giovanile in Italia è aumentato di oltre quattro punti percentuali. Dobbiamo lasciarci alle spalle il tempo delle prese d'atto. Ora è il momento di agire, e con riforme specifiche, che diano la necessaria iniezione di fiducia per ripartire e mirino a sciogliere i nodi che imbrigliano la capacità competitiva e soffocano la crescita.
  Un'efficace promozione e tutela della concorrenza, un adeguato grado di flessibilità del mercato del lavoro che sia ben distribuito tra generazioni, una burocrazia pubblica che non sia di ostacolo alla crescita, un capitale umano adatto alle sfide poste dalla competizione globale, un Pag. 77ambiente migliore: questi sono tutti fronti su cui bisogna agire subito. Sette milioni e mezzo di europei di età compresa tra i 15 e i 24 anni sono disoccupati, si ricordava prima, e sono anche al di fuori di ogni ciclo di istruzione e formazione.
  In Italia, al sud il 60,7 per cento delle giovani donne non lavora. Nel resto del Paese la percentuale è comunque molto al di sotto di quella stabilita dall'Agenda di Lisbona. Tra le donne inattive tra l'altro, aumentano di quasi il 9 per cento rispetto al 2011, quelle che non ritengono di riuscire a trovare lavoro. Sono quindi rassegnate all'inattività. Per contrastare gli inaccettabili livelli di disoccupazione giovanile, il 5 dicembre 2012 la Commissione europea ha adottato il pacchetto per l'occupazione giovanile, comprendente una proposta di raccomandazione del Consiglio sull'istituzione di un'area di garanzia per i giovani e ha annunciato una alleanza europea che ha già dato i primi esiti nel vertice tenutosi qui a Roma il 14 giugno, con la partecipazione dei ministri dell'economia e del lavoro di Spagna, Francia, Germania oltre che, ovviamente, Italia.
  Ecco, il vertice romano, dedicato proprio alle politiche per i giovani, ha avuto quale punto focale quanto annunciato dal Consiglio europeo lo scorso febbraio, che ha proposto una iniziativa volta a favore della occupazione giovanile, con una dotazione di 6 miliardi di euro per 7 anni e aperta a tutte le regioni con un livello di disoccupazione giovanile superiore al 25 per cento.
  Ricordiamo che l'importante raccomandazione sull'istituzione di una garanzia per i giovani, approvata a livello politico dal Consiglio nel febbraio 2013, mira inoltre far sì che tutti i giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni disoccupati e al di fuori di ogni ciclo di istruzione e formazione, i NEET, ricevano un'offerta qualificatamente valida di lavoro, prevedendo inoltre misure per il proseguimento degli studi, per l'apprendistato o per i tirocini entro un periodo di quattro mesi dall'inizio della disoccupazione o dall'uscita dal sistema di istruzione formale.
  Altro punto da affrontare è quello accennato anche dal Ministro del Lavoro, Giovannini nel corso dell'audizione tenuta in Commissione lavoro sulle linee programmatiche del suo Dicastero. E mi riferisco alla costruzione di un pacchetto di buone pratiche che, con l'aiuto dell'OCSE, identifichi possibili quantificazioni delle azioni rispetto alle quali ottenere, in sede europea, se non la cosiddetta golden rule, almeno una considerazione in sede di interpretazione dei risultati a livello internazionale, proprio perché questo deve essere uno sforzo comune da parte di tutti i Paesi.
  Tra le buone pratiche, vorrei segnalare che il Consiglio regionale della Calabria, su spinta della giunta Scopelliti, nelle scorse settimane ha licenziato all'unanimità l'istituzione di una ZES -Zona Economica Speciale, che, se approvata, come auspico, da questo Parlamento, potrà consentire nelle intenzioni degli amministratori regionali il rilancio di un'area strategica per il Mezzogiorno e per il tutto il Paese, quella del porto di Gioia Tauro, attraverso una serie di vantaggi di natura fiscale spalmati nel corso dei primi anni di attività, che daranno l'occasione alle imprese che vorranno investire nell’hinterland del porto di poter godere di tutti i benefici della creazione della Zona economica speciale.
  Le nuove imprese che avviano una nuova attività economica nella ZES, infatti, potranno fruire di diverse agevolazioni, nei limiti delle risorse stabilite ed è previsto, infatti, un regime fiscale molto facilitato, in particolare per le piccole e medie imprese. Chi investirà nella ZES potrà usufruire dell'esenzione dalle imposte sui redditi per i primi 8 periodi di imposta; esenzione dall'imposta regionale sulle attività produttive per i primi 5 anni e dell'esenzione dall'IMU e dalla Tarsu per 5 anni. Senza contare, poi, la riduzione dell'IRAP al 50 per cento e l'annullamento del carico Iva sulle merci trattate. Anche il pagamento dei contributi sulle retribuzioni subirà un taglio del 50 per cento. Questa iniziativa si inserisce di diritto, quindi, nel novero delle buone prassi del Pag. 78«voler fare» e ci auguriamo non solo che possa essere di rilancio per l'economia della zona, ma che diventi presto modello da seguire per altre zone, in Calabria e su tutto il territorio nazionale.
  Non bisogna dimenticare che il Mezzogiorno soffre ormai di una crisi cronica sul fronte occupazionale, ma le imprese animate da giovani che vivono e lavorano nelle regioni del Mezzogiorno costituiscono uno snodo importante per costruire un percorso attivo ed efficace, capace di attraversare la crisi e facilitare l'uscita dinamica da una fase di passaggio, che ci sta offrendo una società inedita e un'economia imprevedibile. Basti pensare che proprio al Sud il turismo e l'agricoltura sono tra le principali fonti di nuova occupazione per i giovani e una maggiore attenzione su questi comparti può essere un'occasione formidabile di formazione e di primo impiego.
  Vorrei infine ricordare l'indispensabile ruolo dei percorsi di alternanza scuola-università-lavoro, dal quale non possono prescindere le politiche per l'utilizzo del Fondo sociale europeo, al fine di portare il livello di istruzione italiano all'altezza delle esigenze del sistema produttivo e per abbattere il divario che impedisce all'Italia una piena partecipazione a una società europea della conoscenza, intervenendo in particolare sugli elementi essenziali per conseguire gli obiettivi europei della strategia Europa 2020 in merito al livello di laureati nella popolazione adulta e alla riduzione della dispersione scolastica, favorendo quindi azioni mirate di sostegno al diritto allo studio e l'avvio di un piano nazionale per l'edilizia scolastica.
  La crisi, onorevoli colleghi, ha fatto molto di più che togliere il lavoro. Sta portando via i sogni, le ambizioni, le speranze ad un'intera generazione. Ma non dobbiamo dimenticare che il modello italiano si caratterizza per la ricchezza e il pluralismo del territorio, con distretti industriali e comparti produttivi in grado di porre eccellenze a livello europeo e internazionale. Dobbiamo ripartire dalla scuola, dal territorio, dal turismo, dalla cultura. Non dobbiamo permettere che questo patrimonio venga perduto, non possiamo soccombere alla crisi, non possiamo lasciare sole le famiglie italiane e i loro figli. Il lavoro, condizione essenziale per l'esercizio pieno delle libertà individuali, è un obiettivo da perseguire ponendo in campo tutto quanto è possibile per perseguirlo. A breve, importanti appuntamenti ci aspettano: il Consiglio europeo del 27-28 giugno, nella cui agenda alta priorità è stata attribuita proprio al tema della crisi occupazionale, l'evento di Berlino del 3 luglio e la riunione ministeriale del G20 a Mosca, di metà luglio.
  È indispensabile fare rete, agire e porre in essere le migliori condizioni per il cambiamento, ancora una volta, lo ripeto, senza distinguo, e con a cuore la creazione di un futuro per la nostra generazione ed il bene supremo del Paese. Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così. Solo che, quando si tratta di rimboccarsi le maniche e incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare, ed è allora che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare. Non sono parole mie, ma di un grande uomo, di un grande italiano, Giovanni Falcone. Noi non possiamo più permetterci di lamentarci, continuare a puntare il dito contro questo o quello e farci etichettare come «bamboccioni», «choosy» o addirittura «sfigati» ! A chi ci ha definiti così noi non possiamo più fornire alibi, e risponderemo con la sola via possibile: rimboccandoci le maniche, e non sognando ma segnando, con la nostra determinazione, i futuri scenari di un'Italia ed un'Europa migliori di quelli che i nostri padri ci hanno lasciato (Applausi dei deputati del gruppo Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

  CARLO SIBILIA. Chiedo di parlare per un richiamo al Regolamento.

  PRESIDENTE. Deputato Sibilia, vorrei sapere a quale articolo del Regolamento vuole fare riferimento.

  CARLO SIBILIA. Signor Presidente, voglio fare riferimento all'articolo 42 del Pag. 79Regolamento, in merito alle questioni di condotta, in quanto ho sentito, voglio giusto precisarlo, in un intervento della deputata del PD di poc'anzi che si faceva riferimento a delle frizioni all'interno del Movimento. Innanzitutto non mi sembra la sede adeguata questa...

  PRESIDENTE. Deputato Sibilia, mi scusi, ma l'articolo a cui lei fa riferimento si richiama ad un fatto personale...

  CARLO SIBILIA. È un fatto personale, infatti...

  PRESIDENTE. No, non mi pare proprio...

  CARLO SIBILIA. Sulla condotta, scusi...

  PRESIDENTE. No, guardi, le leggo la pertinente delibera della Giunta per il Regolamento.

  CARLO SIBILIA. Prego, prego...

  PRESIDENTE. «Gli interventi incidentali ai sensi dell'articolo 41, comma 1 del Regolamento, sono, in linea generale, ammissibili soltanto quando i richiami al Regolamento o per l'ordine dei lavori vertano in modo diretto o univoco sullo svolgimento e sulle modalità della discussione o della deliberazione o comunque del passaggio procedurale nel quale, al momento in cui vengono proposti, sia impegnata l'Assemblea o la Commissione». Proseguo: la relativa valutazione «è rimessa in via esclusiva alla Presidenza, che inviterà previamente chi richieda la parola per questo fine ad indicare il riferimento all'articolo del Regolamento». Poiché il fatto personale indica esattamente il fatto personale ovvero l'essere stati chiamati in causa personalmente, non è questo l'articolo a cui lei può fare riferimento. Proseguo, se vuole, sulla stessa delibera: verranno rinviate alla conclusione della seduta «le richieste d'intervento per sollecito di atti del sindacato ispettivo e per fatto personale, salvo che il Presidente, per gravi motivi, non ritenga, in via d'eccezione, di darvi subito corso». Quindi non è questo il momento in cui lei può parlare. Potrà farlo alla fine della seduta sull'ordine dei lavori.
  È iscritto a parlare il deputato Filippo Crimì. Ne ha facoltà.

  FILIPPO CRIMÌ. Rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, affrontare e risolvere la presente crisi economica vuol dire avere anche il coraggio di uscire dagli schemi tradizionali e saper cogliere l'occasione per scoprire nuovi campi di azione e di invenzione. Gli elementi fondamentali per la nostra ripresa economica e lo sviluppo si basano essenzialmente sulla migliore valorizzazione del capitale economico (investimenti e ricavi), del capitale naturale (risorse primarie e impatti ambientali) e del capitale sociale (lavoro e benessere). Il mancato equilibrio tra questi fattori comporta un forte pregiudizio allo sviluppo, dovendosi poi intervenire con notevoli oneri personali: pensiamo, ad esempio, ai costi che la collettività dovrà sostenere per la bonifica dei siti inquinati, per sostenere la disoccupazione, per combattere il degrado sociale o per risolvere i problemi sanitari.
  Lo sviluppo futuro dell'Italia si deve basare, quindi, sull'imprescindibile equilibrio tra economia, ambiente e società. Certo, rilanciare l'occupazione, a partire da quella giovanile, con una linea comune in Europa, è fondamentale per la nostra economia, sempre più integrata nel sistema comunitario. Tuttavia, non dobbiamo pensare che i fondi del Programma europeo possono essere risolutivi di una questione che invece è strutturale ed italiana, perché altrimenti c’è il rischio che questa azione prenda i contorni di un esile spot politico, in grado di dare lavoro a pochi giovani, illudendo tutti gli altri.
  Uno degli interventi organizzativi concreti sarebbe quello di ristrutturare i centri per l'impiego, come proponeva la collega Gregori, e renderli il cardine di un progetto di crescita per l'occupazione giovanile, ma allontanando il pericolo che questi diventino un ennesimo orpello burocratico. Non è neppure sufficiente lo Pag. 80sforzo dei singoli imprenditori, è l'intero sistema Italia che deve assumersi la responsabilità della transizione verso un nuovo modello economico, sostenendo e incentivando la produzione, l'occupazione e l'economia con detassazione e contributi, servizi di sostegno e con interventi nel campo dell'istruzione, per dare una formazione professionale adeguata.
  La riforma del sistema fiscale in questo contesto diventa assolutamente necessaria e in grado, sin da subito, di incentivare e favorire gli investimenti esteri in Italia; dovrà provvedere a una forte detassazione per chi produce e assume in Italia e imporre, invece, maggiori controlli su chi produce all'estero e fa utili nel nostro Paese. Questa riforma dovrà inoltre rendere meno onerosa la tassazione e più semplice la dichiarazione dei redditi, con l'obiettivo che ogni artigiano possa pagare le proprie tasse senza dover andare al CAF o dal commercialista, in modo da concedergli più tempo per pensare all'attività della sua azienda.
  Si rende necessaria anche la revisione di tutto il corpo normativo e organizzativo legato al settore dei lavori pubblici e ciò per dare nuovo impulso all'economia. Oggi queste norme e l'organizzazione che ne consegue sono più centrate sul procedimento che sulla realizzazione, rivolte a celebrare rituali giuridici e formali che non garantiscono la buona costruzione, l'economicità, la certezza dei tempi e la trasparenza.
  Si rende necessaria, altresì, la riorganizzazione dello Stato e delle regioni, eliminando le sovrapposizioni di competenze, con il coraggio di revocare le deleghe, ove necessario: penso, per esempio, alla sanità e al necessario controllo della spesa a livello statale e non più regionale.
  Se oggi nel mondo si parla di nuova rivoluzione industriale, dove le piccole aziende manifatturiere saranno una fonte significativa di crescita per l'immediato futuro, l'Italia, patria delle piccole e medie imprese, non può rimanere alla finestra, ma deve prepararsi con l'individuazione di campi specifici ove cominciare a eccellere a livello mondiale. Capitali pubblici e privati devono concorrere alla realizzazione di poli tecnologici, in grado di organizzare, formare, fornire servizi e di fare ricerca a contatto con la produzione. La realizzazione di questi centri non può, però, essere legata alla costruzione di edifici inutili, di cattedrali nel deserto, come è avvenuto negli anni passati, ma alle tecnologie informatiche, alla sperimentazione, al sostegno alle imprese nel miglioramento continuo delle tecnologie. Insomma, solo un vasto e importante progetto di risanamento e sviluppo può portare all'aumento dell'attività produttiva e del lavoro ed è nel contesto di questo progetto che i fondi del Programma europeo, se ben indirizzati, possono dare un impulso e un contributo non effimero alla soluzione del problema dell'occupazione giovanile.

  PRESIDENTE. La prego di concludere.

  FILIPPO CRIMÌ. Nell'intento di coordinarci con i colleghi europei – adesso concludo, signor Presidente – abbiamo organizzato un incontro con varie delegazioni di giovani deputati provenienti dagli altri Paesi, a Bruxelles, il 26 giugno, cioè il giorno prima del Consiglio europeo. Questo per dare organicità e forza alla nostra azione politica e perché ci possa essere un percorso di riforma condiviso da parte di tutti gli Stati membri (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Per informazione, io faccio un piccolo scampanellio un minuto prima che voi finiate il tempo, così vi regolate.
  È iscritta a parlare la deputata Coccia. Ne ha facoltà.

  LAURA COCCIA. Onorevole Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghe e colleghi, questo è un Paese dove molti giovani decidono di smettere di studiare, oppure di non iscriversi all'università perché hanno la certezza che una buona formazione comunque non consentirà loro di trovare un impiego adeguato. È lo stesso Paese dove un Ministro ha Pag. 81definito molti di questi giovani choosy: li ha definiti cioè schizzinosi e interessati soltanto al posto fisso. In realtà, questo è un Paese dove il posto di lavoro è diventato una chimera, un luogo prima ideale che fisico e irraggiungibile per gran parte di loro. Credo che un Paese che voglia dirsi davvero civile debba necessariamente costruire il proprio futuro partendo proprio dal lavoro e da un radicale cambio di passo che restituisca a noi giovani un nostro diritto essenziale, come ribadito anche oggi dal Presidente Obama nell'incontro con il Presidente Letta in vista del G8.
  Chi governa questa fase deve ripartire dall'investimento sul lavoro e sul capitale umano. Senza lavoro non c’è crescita e non c’è sviluppo. Lavoro e istruzione sono priorità indifferibili alle quali sono legate le sorti della nostra ripresa e sono anche elementi che si intrecciano e che proprio per questo andrebbero affrontati con uno sguardo di insieme. Se la popolazione istruita diminuisce la disuguaglianza sociale aumenta. In Germania cinque supermanager al comando di alcune delle maggiori aziende come Deutsche Bank, Deutsche Telekom o la Bayer sono arrivati a ricoprire quegli incarichi partendo dalla formazione professionale duale tedesca. Da noi, invece, il sistema di formazione-lavoro serve quasi sempre per utilizzare manodopera qualificata a basso costo. L'ISFOL tramite l'ultimo sondaggio dichiara che il 52,4 per cento degli stage non prevede alcun rimborso spese mentre per un terzo dei tirocini è previsto un rimborso spese bassissimo. Terminati gli studi, molti giovani legittimamente ambiziosi si pongono alla ricerca di un lavoro compatibile al loro titolo di studio, ma sono costretti molto spesso ad emigrare.
  Dobbiamo ripartire da qui: facciamo in modo che i tirocini e gli stage rappresentino una vera opportunità di inserimento. Non permettiamo che si compia l'odiosa metamorfosi che trasforma i ragazzi da studenti a occupati precari. Oggi la possibilità di formarsi e imparare, cominciando a mettere piede nei luoghi di lavoro, si perde in una selva di rapporti che, anziché preludere a percorsi occupazionali definiti, determina una tassa di contratti atipici, intermittenti, finti tirocini dove regna la totale assenza di prospettive. Ad esempio, fino a quando il contratto di apprendistato sarà insediato da forme di lavoro molto più precarie – penso al lavoro a chiamata o le tipologie non tutelate di lavoro fintamente autonomo – è chiaro che non riusciremo a fare dell'apprendistato quel canale principale di passaggio dei giovani dalla scuola al lavoro che tutti, a parole, dicono di volere.
  Per ripartire, in secondo luogo serve una contrazione delle tasse sul lavoro: diamo un aiuto alle imprese per scommettere sui giovani; diamo una mano alle aziende e alle imprese in crisi e insieme offriamo un'opportunità a tutti quei giovani che decidono di continuare a studiare. Per questo introduciamo una defiscalizzazione sugli oneri per quelle aziende che assumono neodiplomati e neolaureati.
  Negli anni precedenti le nostre aziende hanno basato la loro competitività più sui prezzi che sulla qualità delle risorse umane. Si deve cambiare. Mi pare che il Presidente Letta e il Consiglio dei Ministri con il «decreto sul fare» abbiano scelto di andare in questa direzione. Credo infine che sia fondamentale aumentare i livelli di occupazione di noi giovani con disabilità e, nello stesso tempo, aumentare la nostra partecipazione ai programmi di formazione.
  Dobbiamo avere uguale accesso al complesso dei servizi dedicati a tutta la popolazione, e tali servizi devono essere organizzati in modo da riconoscere e assecondare le esigenze specifiche dei disabili. Questo approccio rappresenta la strada per l'eliminazione della discriminazione nel mercato del lavoro, per un migliore accesso alle misure di integrazione lavorativa, per un migliore coinvolgimento nei processi decisionali e per il rafforzamento delle condizioni nelle quali possono essere esercitati i diritti di uguaglianza. Devono perciò essere introdotte delle azioni finalizzate all'accesso ai programmi formativi generali. Ciò può essere Pag. 82fatto assicurando che l'istruzione di base, la formazione professionale e la formazione lungo il corso della vita, garantiscano a noi giovani con disabilità, una reale qualifica ed aggiornamento, attraverso la promozione di accordi con scuole, centri professionale e datori di lavoro e riconoscendo le esigenze emergenti nei lavoratori con disabilità. Persiste un processo di istruzione per le persone con disabilità separato da quello dei normodotati e questo influenza il futuro dei giovani con disabilità, anche con riferimento all'inserimento lavorativo e quindi per una vita indipendente nella comunità.
  Concludo Presidente: facciamo di tutto perché la nostra non sia ricordata soltanto come la generazione perduta. Facciamo in modo, battiamoci con tutte le nostre energie, perché questa legislatura sia ricordata per il tentativo di ridare alla nostra generazione forza e dignità, e soprattutto la possibilità di guardare con fiducia al futuro, con la voglia di vedere cosa c’è al di là dell'orizzonte (Applausi).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Moscatt. Ne ha facoltà.

  ANTONINO MOSCATT. Signora Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario, nel tempo concessomi non spiegherò i contenuti tecnici della mozione: lo hanno già fatto prima di me, e chi poi interverrà continuerà a farlo. Io proverò a raccontare e a tracciarne la natura, la ragione, il senso di questa mozione. Vede, sottosegretario, la generazione di chi vi parla, la generazione di chi ha immaginato, ideato e scritto questa mozione, si ritrova ormai – lasciatemi passare il termine – clandestina in questa società. L'accesso – e il successo – al mondo dei saperi, del lavoro, della cultura e della mobilità, è ogni giorno sempre, sempre più difficile. L'Europa viene percepita con sospetto, con timore. E noi ? Noi non potevamo stare a guardare, non potevamo stare a sentire che il termine «giovani» venisse ogni giorno associato alla parola «problema». Ed ecco la natura, ed ecco il perché di questa mozione: abbiamo provato, abbiamo voluto dare il via ad un nuovo percorso per costruire un nuovo patto di cittadinanza per le nuove generazioni che dia senso e dia forma ai termini «giovani» ed «Europa» e li trasformi da problema in soluzione, da patologia in opportunità. Lo abbiamo fatto con l'ambizione di mettere quel primo mattoncino per costruire la casa della buona politica, richiamata dalla Presidente Boldrini. Lo abbiamo fatto con così tanta convinzione che faremo vivere questa mozione dentro quest'Aula e fuori quest'Aula. La porteremo nelle case, la porteremo nei luoghi di aggregazione, la porteremo nei luoghi del lavoro e del non lavoro, la porteremo nei luoghi del diritto e dove il diritto è negato, la porteremo nella casa dei saperi, nella scuola e nelle università. E lo faremo non come mezzo di propaganda politica, lo faremo come strumento di condivisione, lo faremo come strumento di confronto, lo faremo come strumento di dibattito fra generazioni, come creta viva da modellare a tante mani. La faremo diventare – la mozione – contenitore dinamico di idee, opinioni, esigenze, competenze, la renderemo viva nella società, per poi riportarla ancora con più forza, con altre leggi e con altri provvedimenti, in quest'Aula. La faremo vivere fuori, sottosegretario e Presidente, con lo stesso spirito con il quale l'abbiamo portata in quest'Aula e quindi non come elemento di uno scontro generazionale, non come la voglia di avviare una battaglia tra grandi e piccoli, ma con lo stimolo alla collaborazione, con la voglia di cooperazione e di mettere assieme sinergie.
  Non i figli contro i padri, ma figli che per una volta provano a prendere per mano i propri padri e insieme cominciano a camminare verso tempi migliori. Caro sottosegretario, mi si permetta l'ardire del consiglio: fate vostra questa istanza, perché è l'istanza di un intero Parlamento. Sottosegretario, mi si ripermetta l'ardire del consiglio: andate a Bruxelles e prendete per mano l'Europa e accompagnatela verso tempi migliori che sono i tempi migliori che i figli e i padri di questo straordinario popolo italiano ed europeo Pag. 83ci chiedono. Questo è il momento. Questo è il momento e noi ci saremo. Buon lavoro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Gribaudo. Ne ha facoltà.

  CHIARA GRIBAUDO. Signora Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, i numeri della disoccupazione sono ormai noti a tutti, e sono le donne, gli over 50 ed i giovani, le categorie più colpite. In Italia ormai il 40,5 per cento dei giovani è senza lavoro, aumenta l'emigrazione giovanile, sia all'interno del nostro Paese che oltre i confini nazionali, e per molti partire non è più una scelta, ma una necessità. Da troppo tempo non abbiamo politiche per lo sviluppo. L'Italia deve ripensare alle proprie vocazioni economiche a partire dalle sue eccellenze ancora spendibili nell'economia globale del futuro: cultura, made in Italy, turismo, servizi. Sono anni che le giovani generazioni si portano dietro solo i disastri del passato, le troppe promesse cadute nel vuoto, le parole a cui non sono seguiti mai i fatti. Si ripetono nel dibattito solo poche parole d'ordine: tagli, flessibilità, precarietà. Oggi viviamo in un Paese in cui la rabbia si è tramutata in recriminazioni, molte giuste, a cui dobbiamo dare risposte.
  Siamo il Parlamento più giovane e rinnovato che la Repubblica abbia mai visto e, forse, insieme, possiamo ragionare sui cambiamenti che dobbiamo intraprendere. Certo, la strada è in salita, occorre tenere insieme urgenze, dalla cassa in deroga al tema degli esodati, ad una visione che vada oltre questo Governo, oltre noi stessi. Un futuro in cui formazione e lavoro smettano di essere binari paralleli ed in cui sia importante ricostruire la relazione tra sapere e saper fare, ridando dignità ai lavori manuali. Migliaia di giovani si sono inventati il lavoro che fanno senza rassegnarsi e non possiamo guardarli faticare, dobbiamo aiutarli, non tanto con politiche di incentivi, ma garantendogli prospettive di crescita, permettendogli, anche grazie alla politica, di immaginare un futuro, economicamente forse non migliore di quello dei loro padri, ma possibile, in cui si possa avere accesso all'età adulta per poter costruire un'esistenza.
  Oggi nel nostro Paese ci sono milioni di parasubordinati che generalmente forniscono servizi e prestazioni ad alto valore aggiunto per la collettività e in termini di innovazioni lavorative. Sono, però, soggetti penalizzati rispetto ai lavoratori dipendenti, sia da un punto di vista fiscale che previdenziale. Dobbiamo far sì che non siano gli ennesimi invisibili alla società, perché non rappresentati in antiche logiche di categoria. Noi dobbiamo occuparcene, dobbiamo preservare questo notevole patrimonio che cresce e fa crescere il Paese. Per questo chiediamo che i fondi europei destinati alla Youth guarantee innanzitutto non servano a fare cassa, ma possano essere interpretati come capitolo a parte della spesa pubblica. Chiediamo al Governo che questi fondi non vadano a garantire copertura economica a progetti incoerenti agli obiettivi europei, né utilizzati in chiave soltanto assistenzialista, soprattutto nel Sud, perché rappresenterebbero interventi di carattere provvisorio e non strutturale.
  Nessuna garanzia per i giovani come reddito di cittadinanza o reddito per l'inserimento sarà mai uno strumento efficace nel nostro Paese, se prima non sarà messa in campo una seria riforma di quello che dovrebbe essere uno tra i più importanti: i centri per l'impiego. Negli anni della crisi la spesa per le politiche attive e i servizi per l'impiego è caduta rispettivamente del 6,4 e del 10 per cento. Dei 27 miliardi di euro l'anno in politiche del lavoro, appena 500 milioni sono oggi destinati a questi servizi. Con questi numeri l'Italia si classifica al penultimo posto nell'Unione europea, con Cipro e Romania, davanti solo alla Grecia. Il risultato di ciò è che soltanto il 3,9 per cento dei disoccupati in media trova lavoro grazie al servizio pubblico, e la percentuale per i giovani scende ulteriormente al 2,7 per cento.
  I canali di accesso sono ancora, troppo spesso, le reti informali che il singolo e la Pag. 84sua famiglia sono in grado di far valere. In questo modo, per trovare un lavoro o per trovarlo migliore, quel che conta non è sapere, ma conoscere. Il merito, tanto invocato, cede così il passo alle relazioni personali.
  Non si tratta, però, solo di un problema di risorse: deve essere riattivato, con una regia nazionale, un sistema che funzioni nel suo insieme, integrando quanto più possibile politiche attive e passive di contrasto alla disoccupazione e livellando le grandissime disomogeneità sul territorio nazionale. Sappiamo che per fare questo sono necessari tempi lunghi, smettendo di considerare solo ciò che abbia rendimenti immediati, magari, partendo con alcune sperimentazioni che riescano a rovesciare il punto di vista e provare a programmare percorsi formativi in funzione dell'occupazione di qualità, immaginando una seria collaborazione tra scuole, università e mondo del lavoro.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  CHIARA GRIBAUDO. Alleggerire il costo del lavoro, semplificare il quadro normativo e renderlo più efficace grazie ad un rinnovato confronto con le parti sociali sono i compiti a cui siamo chiamati, perché solo se uniremo energie, competenze e voglia di fare potremo dare la risposta che questo Parlamento deve a chi non può più attenderla (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Quartapelle Procopio. Ne ha facoltà.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Signor Presidente, rappresentante del Governo, deputati e deputate, oggi, con le mozioni a prima firma Ascani e Gregori abbiamo parlato, e domani parleremo, del futuro dell'Italia e dell'Europa. Soprattutto, in un momento di crisi, com’è quello in cui ci troviamo, alla politica è chiesta capacità di visione, la forza di immaginare un futuro per tutti, senza scadere nel populismo e nelle false promesse, tipiche del modo di fare politica per annunci, ma facendo i conti con la realtà dei fatti e cercando soluzioni possibili. Questo è quello che abbiamo fatto con tutti i colleghi che hanno lavorato alle due mozioni, che hanno al centro il tema dell'occupazione giovanile, un tema così cruciale che, poco fa, è stato oggetto anche del colloquio tra il Presidente Obama e il Presidente Letta, a margine del G8.
  Sono sei anni che l'Italia e l'Europa vivono uno stato di crisi economica ormai strutturale, che sta cambiando il nostro modo di produrre, lavorare e vivere. Inizialmente, la crisi è stata affrontata cercando di tutelare chi un lavoro lo aveva, ma a fronte di una crisi strutturale, questo ha danneggiato le generazioni che, nel 2008, erano appena entrate nel mercato del lavoro o tutti quelli che, dal 2008, hanno cercato di entrarci, soprattutto giovani. In tutti i Paesi europei, soprattutto in quelli toccati maggiormente dalla crisi, il dato sulla disoccupazione giovanile si è andato così consolidando, fino a raggiungere cifre che fanno parlare di allarme sociale. In Francia, il 26 per cento dei giovani è disoccupato, più del 40 per cento dei giovani italiani non ha lavoro, più del 50 per cento degli spagnoli e più del 50 per cento dei giovani greci.
  Quello che ci insegnano le vicende di tutti i Paesi che hanno attraversato delle crisi debitorie e finanziarie di pari portata a quella che sta attraversando l'Europa, è che c’è il rischio della cosiddetta jobless recovery: finita la crisi, il Paese, dopo alcuni anni, recupera la stessa capacità di produrre ricchezza, ma non lo stesso tasso di occupazione. Data questa situazione dei livelli occupazionali, soprattutto giovanili, questa è una prospettiva che l'Italia e l'Europa non si possono permettere. Si pensa sempre che i giovani siano quelli meno colpiti da shock esogeni, perché hanno maggiori capacità di resilienza e di adattamento e perché, spesso, ma non in tutti i casi, soprattutto laddove la disoccupazione coinvolge altri membri del nucleo familiare, non devono sostentare una famiglia, ma possono invece appoggiarsi alla famiglia di provenienza.Pag. 85
  In realtà, gli effetti della crisi sui giovani rischiano di essere di lunghissimo periodo. Chi oggi è giovane e ha un lavoro di prospettive incerte con periodi di interruzione avrà meno capacità di risparmiare oggi per sostentare la propria famiglia domani; avrà una ridotta capacità contributiva e ridotte capacità di investire nel proprio futuro. Inoltre, a tutto questo è collegata quella che è stata definita l'altra crisi europea, ovvero la crisi demografica. A fronte di prospettive economiche negative, viene colpito uno dei momenti in cui i giovani esprimono progettualità sul futuro in modo profondo nella decisione di fare figli. Le condizioni economiche hanno fatto, infatti, diminuire i tassi di fertilità della maggior parte delle nazioni europee. La prospettiva di una diminuzione dei tassi di natalità è destinata a pesare sulle spalle di un'Europa che, già oggi, sconta il costo degli alti tassi di dipendenza della popolazione pensionata.
  Oggi, parliamo di futuro, perché con queste mozioni chiediamo al Governo un impegno sull'occupazione dei giovani. Non dimentichiamo le difficoltà degli altri disoccupati, ma pensiamo che un Paese incapace di progettare un futuro per i propri giovani è un Paese che mette profondamente a rischio le proprie prospettive.
  Tuttavia, oggi, parliamo di futuro, perché abbiamo deciso di affrontare il tema partendo da un'ottica europea. Siamo una generazione che vive la prospettiva europea con naturalezza, come un'estensione della cittadinanza italiana, con la convinzione che vivremo in un'Europa più forte, democratica e solidale. Sappiamo, insomma, che nel nostro futuro ci sarà più Europa, e che la soluzione dei problemi strutturali passa dall'Europa. È da questa prospettiva che partiamo per cercare la soluzione di questo problema che accomuna, così da vicino, tanti Paesi europei. Per questo, e già altri colleghi lo hanno spiegato più approfonditamente, chiediamo al nostro Governo un impegno nella sede del Consiglio europeo affinché l'Europa adotti misure più incisive e tempestive sul tema dell'occupazione giovanile: dal mettere a disposizione subito tutti i 6 miliardi di euro della European Youth Guarantee, alla possibilità di destinare i fondi non spesi del FES del periodo 2007-2013 alla disoccupazione giovanile, all'aumento delle risorse per l'Erasmus e l'Eures, a creare strumenti di collegamento tra politiche attive del lavoro e il circuito scuola, università e lavoro, a spingere per l'entrata in vigore dell'alleanza europea per l'apprendistato entro l'estate 2013.
  Per questo, sempre tenendo a mente la prospettiva europea, abbiamo organizzato un prevertice dei parlamentari di tutti i parlamenti nazionali europei il giorno prima del Consiglio europeo perché i giovani rappresentanti della generazione più colpita dalla crisi facciano sentire la propria voce ai governi. Guardando al futuro, non si può non guardare a dove affondano, anche, le radici del nostro agire politico, e quindi al nostro passato. Per questo, in conclusione, invito tutti noi, deputati under 35 e non solo, a fare del nostro meglio per cercare di essere, come ha esortato il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, all'altezza dell'articolo 1 della Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Eleonora Cimbro. Ne ha facoltà.

  ELEONORA CIMBRO. Grazie Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario, parlare oggi di disoccupazione giovanile in Italia è sicuramente un elemento che segna l'inizio di un processo che, ormai, non è più rinviabile. Il senso di queste mozioni è proprio quello di segnare una profonda discontinuità con il passato; il fatto che questo Governo abbia tra le priorità il tema della disoccupazione giovanile, è un ulteriore dato che ci conferma quanto cruciale sia affrontare il problema fondamentale del mondo dell'occupazione in Italia. Dico questo sebbene possa sembrare una constatazione banale e scontata, perché i giovani sono il nostro futuro, sono il futuro dell'Italia e sono il motore di tutto il sistema su cui è fondato il Paese Italia.Pag. 86
  Preoccupa il dato italiano e preoccupa il dato europeo. È per queste ragioni che dobbiamo, tutti, comprendere che anche questo tema deve essere affrontato nel più ampio contesto europeo. Non è possibile, infatti, affidare ai singoli Stati membri il compito di intervenire su un'emergenza che necessita, per essere risolta, di una strategia complessiva ed organica.
  Oggi, inoltre, non serve ragionare, come è stato detto, in termini di scontro generazionale, ma è indubbio che chi ci ha preceduto non ha avuto la lungimiranza di comprendere che politiche poco oculate hanno contribuito alla situazione drammatica che oggi dobbiamo affrontare. Il peso di scelte sbagliate grava sulle spalle dei giovani e, questo, loro malgrado. Di qui la responsabilità che tutti, giovani e meno giovani, devono assumersi, attraverso uno spirito di solidarietà generazionale e di collaborazione. La nostra Costituzione ci dice, appunto, che l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, ed è da questo principio fondamentale che deve partire l'analisi di ciò che non è stato fatto e la consapevolezza di ciò che si dovrà fare.
  Non avere un lavoro, e in molti casi non essere impegnati nemmeno in un percorso di formazione, è la condizione nella quale, oggi, si trovano moltissimi giovani italiani. È chiaro che questo provoca danni enormi in termini sociali ed economici. Il costo che dovremo pagare, e che già ora stiamo pagando, per reggere un sistema che ha questo profilo, è e sarà di gran lunga superiore a quello per avviare nuove politiche che consentano di riequilibrare tale sistema. Questa è la consapevolezza che oggi deve spronarci ad intraprendere tutte le iniziative possibili per incentivare un'occupazione giovanile stabile. Non avere un lavoro significa, infatti, non avere potere d'acquisto, non comprare una casa, non avere progetti e quindi non investire nel futuro.
  Tutto questo ha un costo elevatissimo e il nostro sistema rischia oggettivamente di implodere. Non avere un lavoro, non potersi permettere un percorso di studio e di formazione in attesa che il lavoro ci sia significa anche non avere strumenti per valorizzare la propria persona e per impegnarsi nella vita di tutti i giorni. La forza dei giovani sta nella voglia, sempre e comunque, di rimettersi in gioco, di misurarsi, di avere idee sempre nuove ed energie per poterle realizzare, ma se ogni strada viene preclusa, se ogni aspirazione viene stroncata, se ogni entusiasmo non trova uno sbocco avremo giovani che non sognano più e che sentiranno come lontani in tutti i valori su cui è fondata la nostra Costituzione e il nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali, Jole Santelli.

  JOLE SANTELLI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, interverrò brevemente, con poche parole, ma mi sembra un atto veramente di correttezza replicare ad una delle discussioni che, almeno per me che sono qui da anni, è stata una delle più interessanti che ho seguito in questi anni; interessante per la serietà degli argomenti affrontati e soprattutto per le modalità con cui questi argomenti sono stati affrontati, senza cedere, su un tema così delicato, a facili demagogie, a facili piagnistei o accarezzare facili fatalismi a cui tutti quanti noi, in un momento di questo genere, di crisi sociale, potremmo essere portati a lasciarci trasportare.
  Vorrei sottolineare solo alcune cose che mi hanno particolarmente colpito, a iniziare dalla premessa con cui già i presentatori delle mozioni sono intervenuti, quasi a chiedere «scusa» – consentitemelo – per porre il tema della disoccupazione giovanile come se porre il tema giovani fosse togliere qualcosa ad altre tematiche gravi che sicuramente toccano il Paese, come se parlare di giovani fosse togliere qualcosa o sembrasse dare una priorità rispetto alle donne che sono oggi senza Pag. 87lavoro, ai cinquantenni che oggi sono usciti dal mondo del lavoro, che sono tutte situazioni altrettanto gravi. Io credo che questo «pudore», nell'affrontare questo tema, sia molto bello ed importante.
  Credo, altresì, ovviamente, nella contingenza del momento: poco fa alcuni dei colleghi hanno ricordato che è di qualche ora fa la notizia che lo stesso Presidente degli Stati Uniti d'America, Barack Obama, ha detto che porrà sul tavolo del G8 il tema della disoccupazione giovanile, purtroppo, perché è non è certo una notizia favorevole. Il tema della disoccupazione giovanile sarà il tema del prossimo Consiglio europeo e questo significa che il faro della politica è acceso su questo tema e che anche noi dobbiamo occuparcene, non perché sia più importante rispetto agli altri, ma perché sicuramente pensare al futuro significa anche costruire il futuro per i giovani, significa anche costruire il mondo di domani.
  Inoltre, volevo dire alcune cose su temi che oggi sono stati trattati nello specifico, a cominciare da alcuni strumenti che, come è stato detto in quest'Aula, sono utilizzati, e forse non sono utilizzati al meglio. Lo diceva, per esempio, il collega Bosco, in relazione alla formazione, per la quale vengono spese e impiegate molte risorse: siamo stati in grado di utilizzarla al meglio ? È una domanda che ci dobbiamo porre e una risposta forse molti di noi già hanno nella propria testa. La soluzione per come migliorarla dobbiamo trovarla insieme. Io credo che su questo lo Stato, lasciando, per carità, tutta la competenza e tutto lo spazio che è giusto lasciare in un tema che è specifico regionale, un minimo di strategia comune, anche su questo tema, in un momento di difficoltà, dovrà individuarlo, nelle sedi opportune. Altrettanto importanti sono altri spunti emersi questa sera.
  Mi ha colpito la collega Paris che parlava e contestava, ha parlato proprio specificamente di un tema di cui mi sono occupata da poco, sul progetto Eures. Io vengo dal sud come lei e spesso si dice «questi giovani che sono costretti a oltrepassare la frontiera»...ma ben vengano ! Ben vengano questi ragazzi che hanno la possibilità, perché hanno studiato, di andare a fare esperienze fuori, è giusto che noi costruiamo in Italia la possibilità che altri ragazzi dall'Europa vengano qui, noi non dobbiamo, una volta che abbiamo finalmente rotto le frontiere nazionali, creare barriere culturali, non è l'immigrazione dell'Ottocento, è un'altra cosa ! Sennò lì rischiamo veramente un arretramento, stiamo parlando di altre situazioni e questo è bene, così come ho sentito un'importante sottolineatura di fantasia quando la collega Gribaudo ha parlato di giovani che inventavano il lavoro. Questa è la parte bella, il lavoro non può essere soltanto lavoro che arriva, un lavoro che è un lavoro subordinato, un lavoro tradizionale.
  Guardate, l'altra volta parlando a Confindustria si immaginava questo problema di impresa che ormai nell'immaginario collettivo, immaginatelo sui ragazzi, l'imprenditore non è più l'imprenditore, l'imprenditore è il manager, c’è differenza. Il manager è un organizzatore, l'imprenditore è fantasia, colui che fa impresa ha una vitalità e ha un rapporto con le sue persone, con i suoi operai, con la sua storia, l'impresa è se stesso ed è la sua vita. Ecco, a quello sforzo di fantasia tutti dobbiamo abituarci, quindi se vogliamo costruire una nuova Italia, se vogliamo costruire quello che io ritengo sia il meglio dell'Italia, perché in questo siamo veramente bravi, è questo che dobbiamo tutti impegnarci a fare, noi possiamo farlo mettendo su le condizioni perché i giovani italiani siano in grado di fare tutto questo, cioè di mettersi all'opera e di sapere che se vogliono, possono fare e possono riuscire.
  Concludo con ulteriori due sottolineature, qualcosa che aveva ricordato prima la collega Scopelliti sulla scuola e sulla università, che era un dato importante. Rimaniamo ancora uno dei Paesi che è sotto la media dei Paesi europei in quanto a scolarizzazione e sono uscite oggi proprio le tabelle, l'istruzione universitaria dà delle percentuali notevolissime in più rispetto alla possibilità di occupazione. Quindi, lo sforzo per l'istruzione è uno sforzo che è ben lontano dall'essere concluso.Pag. 88
  Concludo su ultime due, se mi consentite, riflessioni. La prima, non è polemica, è riferita al collega della Lega che prima parlava del sud. Purtroppo i soldi che arrivano al sud non sono soldi che lo Stato elargisce verso il sud, sono soldi che arrivano al sud perché il sud viene considerato, purtroppo, ancora zona non perfettamente sviluppata, sono fondi strutturali, ne faremmo volentieri a meno, ne faremmo volentieri a meno (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Però mi auguro che anche noi, classe dirigente del sud, impariamo veramente, come diceva poco prima la collega Gribaudo, a far si che questi soldi non siano più soldi assistenziali, ma che ci servano per costruire il futuro, che servano per interventi strutturali.
  Concludo, veramente mi perdonerete se vi ho fatto perdere ulteriore tempo in questa giornata già molto impegnativa, credo che sia stato, che sarà molto importante discutere questa mozione perché in un Governo che va in Europa ad affrontare un tema del genere non va in questo caso prendendo un sostegno da parte del Parlamento, perché questo sarebbe poco, ma prendendo un impegno dinanzi al Parlamento e un Governo impegnato dinanzi al Parlamento è un Governo ancora di più impegnato dinanzi alla nazione e dinanzi a tutti i giovani e a tutte le famiglie che da questo Governo e da questa politica, tutta intera, maggioranza e opposizione, si aspettano qualche cosa. Grazie (Applausi dei deputati dei gruppi Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente e Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Sull'ordine dei lavori (ore 19,35).

  ANDREA DE MARIA. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà, per due minuti.

  ANDREA DE MARIA. Signora Presidente, già in quest'Aula in sedute precedenti abbiamo avuto occasione di stigmatizzare quanto sta accadendo in Turchia, le repressioni brutali contro un movimento laico e democratico. Di oggi è la notizia del ferimento di un fotoreporter italiano, Daniele Stefanini, che è in stato di fermo da parte delle autorità turche, peraltro in un contesto di violenze della polizia contro i giornalisti, che sono state denunciate da più parti.
  In questo caso si tratta di un nostro fotoreporter. I fotoreporter italiani hanno manifestato oggi davanti all'ambasciata turca a Roma, in solidarietà al loro collega e a difesa della libertà dell'informazione. Il gruppo del Partito Democratico vuole manifestare anch'esso solidarietà a Daniele Stefanini, solidarietà ai giornalisti che stanno documentando quanto accade in Turchia, e ancora una volta solidarietà a chi in quel Paese sta manifestando in nome dei valori di democrazia in cui anche noi ci riconosciamo. Sappiamo che il Ministero degli affari esteri sta seguendo con serietà e attenzione quello che sta accadendo a Stefanini; credo che parlarne anche in Aula possa aiutare un'azione in generale a difesa della democrazia e della libertà di informazione, in questo caso a sostegno di un cittadino italiano (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. La Presidenza si associa, ovviamente credo al pari di tutti i colleghi presenti.

  ELEONORA CIMBRO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà, per due minuti.

  ELEONORA CIMBRO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, proprio la scorsa settimana, e precisamente giovedì 13 giugno, ho presentato in Aula un'interpellanza urgente per chiedere al Governo se sussistevano le condizioni per attuare la chiusura della skinhouse di Bollate. La risposta del Governo, attraverso le parole Pag. 89del sottosegretario Manzione, ha ribadito purtroppo quanto anche tutti noi abbiamo letto in questi giorni sui giornali, a seguito del raduno hammerskin che si è a tenuto a Rogoredo sabato 15 giugno: fino a quando non si verificano episodi di violenza che minano la sicurezza e l'ordine pubblico, nessun intervento può essere effettuato. Stessa risposta da parte della prefettura e della questura.
  Il raduno di Rogoredo è stato organizzato proprio dagli hammerskin. Questi soggetti si sono insediati a Bollate nel 2008 nel capannone di un privato, presentandosi come associazione culturale «Milano 38». In una recente intervista hanno anche descritto con dovizia di particolari il proprio ruolo di presidio sociale nella città nella quale, ahimè, abito. Sebbene vi sia stata una presa di posizione chiara da parte del sindaco Pisapia, l'unico ritornello che ascoltiamo ormai da tempo è che la situazione è sotto controllo e che questura e prefettura svolgono un'azione costante di monitoraggio, per cui non c’è nulla da temere.
  Credo, Presidente e colleghi, che questa escalation di violenza e di odio non possa più essere archiviata come episodica e sotto controllo. Ho già dichiarato che ritengo inaccettabile e irresponsabile la risposta che in Aula mi è stata fornita rispetto alla skinhouse degli hammerskin che si trova a Bollate, e ho aggiunto che spero vivamente che in un prossimo futuro non si debba denunciare in Aula qualche episodio di violenza che si è realmente verificato.
  Serve una presa di posizione politica chiara.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  ELEONORA CIMBRO. Se è vero che molte sono le priorità di questo Paese per le quali il Governo sta dando prova di maturità e lungimiranza (ho concluso), mi aspetto che anche rispetto alla lotta contro valori che sono anticostituzionali e che contribuiscono a diffondere l'odio razziale, si operi da subito perché questo Parlamento e questo Governo si assumano delle responsabilità chiare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  CARLO SIBILIA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  CARLO SIBILIA. Signor Presidente, forse questo intervento rischia di sembrare anacronistico, visto che arriva un po’ alla fine. Mi associo alle parole del Governo – che purtroppo in questo momento è uscito dall'Aula – nel convenire che sia stata un'ottima discussione; tra l'altro oggi si discuteva di misure concernenti il rilancio dell'occupazione giovanile, e quindi non poteva che trovarci d'accordo.
  Mi dispiace però che, cogliendo a pretesto questo tipo di discussione, si faccia leva su frizioni nei riguardi di movimenti o di partiti all'interno del Parlamento.
  Lo dico in maniera generale, perché ho trovato delle affermazioni fatte da alcuni deputati durante la discussione un po’ fuori luogo onestamente, anche perché sono venute anche da parti politiche che del resto non fanno della compattezza il loro punto di forza. Era giusto un appunto personale, ma la chiuderei qui (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì 18 giugno 2013, alle 10:

  1. – Svolgimento di interpellanze e di interrogazioni.

  (ore 11,30).

  2. – Seguito della discussione del disegno di legge:
  Conversione in legge del decreto-legge 21 maggio 2013, n. 54, recante interventi Pag. 90urgenti in tema di sospensione dell'imposta municipale propria, di rifinanziamento di ammortizzatori sociali in deroga, di proroga in materia di lavoro a tempo determinato presso le pubbliche amministrazioni e di eliminazione degli stipendi dei parlamentari membri del Governo (C. 1012-A).
  Relatori: Capezzone(per la VI Commissione) eDamiano(per l'XI Commissione), per la maggioranza; Fedriga, di minoranza.

  3. – Seguito della discussione delle mozioni Colletti ed altri n. 1-00021, Boccuzzi ed altri n. 1-00099, Piazzoni ed altri n. 1-00100, Molteni ed altri n. 1-00101, Gigli ed altri n. 1-00102, Costa ed altri n. 1-00103 e Giorgia Meloni ed altri n. 1-00104 concernenti iniziative volte a garantire un adeguato risarcimento a favore delle persone che hanno subito danni da incidenti stradali.

  4. – Seguito della discussione delle mozioni Ascani, Rostellato, Calabria, Tinagli, Scotto, Prataviera, Giorgia Meloni, Alfreider ed altri n. 1-00070, Gregori, Rizzetto, Polverini ed altri n. 1-00034 e Prataviera ed altri n. 1-00105 concernenti misure per il rilancio dell'occupazione giovanile.

  (p.m., al termine delle votazioni).

  5. – Discussione del disegno di legge (per la discussione sulle linee generali):
  S. 576 – Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 26 aprile 2013, n. 43, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'area industriale di Piombino, di contrasto ad emergenze ambientali, in favore delle zone terremotate del maggio 2012 e per accelerare la ricostruzione in Abruzzo e la realizzazione degli interventi per Expo 2015. Trasferimento di funzioni in materia di turismo e disposizioni sulla composizione del CIPE (Approvato dal Senato) (C. 1197).

  La seduta termina alle 19,45.