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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 31 di martedì 11 giugno 2013

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI

  La seduta comincia alle 9,30.

  ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 6 giugno 2013.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Alfreider, Amici, Archi, Baretta, Bergamini, Berretta, Biancofiore, Bocci, Boccia, Borletti Dell'Acqua, Bray, Brunetta, Caparini, Capezzone, Carrozza, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, D'Alia, Dambruoso, De Girolamo, Dell'Arringa, Dellai, Epifani, Fassina, Ferranti, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Kyenge, Legnini, Letta, Lorenzin, Lupi, Merlo, Migliore, Orlando, Pisicchio, Pistelli, Realacci, Santelli, Sereni e Speranza sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantatré, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

  Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio della costituzione della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.

  PRESIDENTE. Comunico che la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi ha proceduto il 6 giugno ultimo scorso alla propria costituzione.
  Sono risultati eletti: presidente il deputato Roberto Fico, vicepresidenti il deputato Giorgio Lainati e il senatore Salvatore Margiotta e segretari i deputati Michele Anzaldi e Bruno Molea.

Annunzio della costituzione del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica.

  PRESIDENTE. Comunico che il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica ha proceduto il 6 giugno ultimo scorso alla propria costituzione.
  Sono risultati eletti: presidente il senatore Giacomo Stucchi, vicepresidente il senatore Giuseppe Esposito e segretario il senatore Felice Casson.

Modifiche nella composizione di gruppi parlamentari.

  PRESIDENTE. Comunico che il deputato Guido Guidesi, proclamato il 5 giugno 2013, ha dichiarato di aderire al gruppo Lega Nord e Autonomie.
  Comunico altresì che, con lettera pervenuta in data 6 giugno 2013, i deputati Alessandro Furnari e Vincenza Labriola, Pag. 2già iscritti al gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle, hanno dichiarato di aderire al gruppo parlamentare Misto, cui risultano pertanto iscritti.

In morte dell'onorevole Giuseppe Fasoli.

  PRESIDENTE. Comunico è deceduto l'onorevole Giuseppe Fasoli, già membro della Camera dei deputati nella IV e V legislatura.
  La Presidenza della Camera ha già fatto pervenire ai familiari le espressioni della più sentita partecipazione al loro dolore, che desidera ora rinnovare anche a nome dell'intera Assemblea.

Organizzazione dei tempi di discussione dei progetti di legge di ratifica.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione dei progetti di legge di ratifica nn. 875-A ed abbinata e 841.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi di tali progetti di legge è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra la Repubblica italiana e la Repubblica di San Marino per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le frodi fiscali, con Protocollo aggiuntivo, fatta a Roma il 21 marzo 2002, e del relativo Protocollo di modifica, fatto a Roma il 13 giugno 2012 (A.C. 875-A); e dell'abbinata proposta di legge (A.C. 901) (ore 9,35).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge di ratifica n. 875-A: Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra la Repubblica italiana e la Repubblica di San Marino per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le frodi fiscali, con Protocollo aggiuntivo, fatta a Roma il 21 marzo 2002, e del relativo Protocollo di modifica, fatto a Roma il 13 giugno 2012; e dell'abbinata proposta di legge n. 901.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 875-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore, onorevole Tiziano Arlotti.

  TIZIANO ARLOTTI, Relatore. Onorevoli colleghi, esprimo particolare soddisfazione per il fatto che la Commissione Affari esteri riferisca oggi all'Assemblea sul provvedimento di ratifica dell'accordo fiscale tra Italia e San Marino, che costituisce un rilevante coronamento dell'insieme degli storici rapporti bilaterali.
  Il provvedimento in esame intende ratificare sia la Convenzione tra Italia e San Marino per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le frodi fiscali e l'evasione fiscale, fatta a Roma il 21 marzo 2002, sia il relativo Protocollo di modifica, firmato a Roma il 13 giugno 2012.
  Il Protocollo, in particolare, predispone la base normativa adeguata allo scopo di aggiornare alcune disposizioni contenute nella stessa Convenzione, con particolare riferimento allo scambio di informazioni fiscali, prevedendo il sostanziale superamento del segreto bancario.
  Desidero sottolineare che la ratifica in discussione completa un percorso lungo e complesso finalizzato a normalizzare, anche rispetto agli standard internazionali, le relazioni tra i due Paesi, ponendo inoltre le basi, come segnalato, a nome del Governo, dal Viceministro per gli affari esteri Lapo Pistelli nel corso del dibattito svolto in Commissione, per l'ulteriore ratifica di due altri accordi fondamentali, risalenti al 2009, in materia di cooperazione economica e di collaborazione finanziaria.Pag. 3
  L'approvazione del presente disegno di legge assume oggi ancora più valore in quanto risponde ad un orientamento condiviso, emerso nel Consiglio europeo di Bruxelles del 22 maggio scorso, finalizzato a delineare un'efficace risposta europea al fenomeno dell'evasione e della frode fiscale, che ammonterebbe ormai – questi sono i dati a livello di Unione europea – a circa 864 miliardi di euro (di cui 180 miliardi soltanto in Italia).
  Al riguardo, ricordo che il Consiglio europeo ha convenuto di dare la massima priorità alla promozione, a livello internazionale, dello scambio automatico di informazioni e ha raccomandato espressamente agli Stati membri il ricorso ad accordi contro le doppie imposizioni – come quello al nostro esame –, nell'intento di evitare la creazione di enclave con assenza totale di imposizione e di perfezionare gli accordi dell'Unione europea con alcuni Paesi, tra i quali figura anche la Repubblica di San Marino.
  Non potendo in questa sede illustrare analiticamente le disposizioni contenute nel testo, rinvio all'ampio dibattito svolto in Commissione, concluso conferendo all'unanimità – voglio evidenziare questo aspetto – il mandato al relatore a riferire all'Assemblea, ma desidero rimarcare, in particolare, due aspetti di fondamentale rilievo sui quali è intervenuta la Convenzione.
  Mi riferisco innanzitutto all'articolo 15, che, nel regolare la tassazione di circa 5.400 lavoratori frontalieri residenti in Italia, stabilisce che i due Stati contraenti convengono di applicare il sistema di tassazione concorrente, con tassazione definitiva nello Stato di residenza, cioè l'Italia.

  PRESIDENTE. La prego di concludere. Ha ancora un minuto.

  TIZIANO ARLOTTI, Relatore. Viene così preclusa la famigerata «tassa etnica» a carico dei frontalieri italiani. Pertanto, la legislazione sanmarinese non potrà che essere adeguata in tal senso, una volta che l'Accordo sia entrato in vigore, ponendo fine alla palese disparità di trattamento rispetto ai lavoratori residenti a San Marino introdotta a partire dal 2011 in termini particolarmente gravosi e iniqui.
  D'altra parte, mi preme sottolineare che l'Italia si è a sua volta impegnata, ai sensi dell'articolo 4 del Protocollo aggiuntivo, a prevedere una norma di legge che esenti una quota del reddito lordo dei lavoratori frontalieri, al fine di regolamentare definitivamente la materia secondo un principio di equità fiscale che riconosca l'alto valore per il Paese del lavoro all'estero.
  Si realizza quindi, proprio in questa legislatura, quella pax fiscale che la stessa Commissione esteri della passata legislatura aveva promosso attraverso due riunioni congiunte con l'omologa Commissione del Consiglio Grande e Generale di San Marino, nell'intento di superare l’impasse creatasi tra i nostri Stati.
  L'altro punto – e concludo – sul quale vorrei richiamare l'attenzione dell'Assemblea, evidenziato, peraltro, anche nei pareri resi, in sede consultiva, è quello in materia di scambio di informazioni fiscali.

  PRESIDENTE. Deve concludere.

  TIZIANO ARLOTTI, Relatore. Concludo dicendo..

  PRESIDENTE. Se lo richiede, può pubblicare la relazione in calce al resoconto secondo i criteri costantemente seguiti.

  TIZIANO ARLOTTI, Relatore. Concludo, a questo punto, chiedendo che il testo integrale della relazione sia pubblicato in calce al resoconto.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

  BRUNO ARCHI, Viceministro degli affari esteri. Signor Presidente, anzitutto rivolgo un ringraziamento per l'ottimo lavoro svolto in sede preliminare dalla Commissione esteri e un ringraziamento particolare all'altrettanto ottimo lavoro svolto dal relatore.Pag. 4
  Il Governo si compiace di essere arrivati a questo punto, perché questa ratifica consentirà di colmare una grave lacuna normativa. È un'intesa che serve ad evitare queste doppie imposizioni con San Marino, che è stato a suo tempo negoziata non senza difficoltà, perché disciplina l'importante trattamento fiscale dei redditi da lavoro di circa 6.000 lavoratori frontalieri italiani a San Marino.
  Questa ratifica completerà – il Governo non può che compiacersene – il quadro giuridico dello scambio di informazioni in materia fiscale tra l'Italia e San Marino, aprendo la via ad una collaborazione bilaterale, concreta e fattiva, secondo gli attuali standard internazionali e sancirà anche il definitivo superamento della fase di estrema difficoltà, costituendo la premessa alla cancellazione di San Marino dalla cosiddetta black list collegata al decreto incentivi del Ministero dell'economia e delle finanze.
  Quindi sul piano delle relazioni bilaterali direi che questo iter fungerà da ulteriore stimolo a un effettivo e adeguato scambio di informazioni – quindi è estremamente importante sotto il profilo della trasparenza – con le competenti autorità italiane e riteniamo che risponda indubbiamente anche ad una priorità strategica della politica estera di San Marino, la cui economia, com’è noto, è strettamente connessa a quella italiana, in particolare quella delle regioni limitrofe.
  Quindi, ritengo che sia un momento davvero importante e mi auguro che ne nasca una discussione estremamente proficua.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Paglia. Ne ha facoltà.

  GIOVANNI PAGLIA. Signor Presidente, signor Viceministro, colleghe e colleghi deputati, la ratifica della Convenzione tra Italia e San Marino in termini di doppie imposizioni e scambio di informazioni fiscali può apparire una formalità e in parte lo è, se la si valuta il punto in cui è arrivata, dopo oltre dieci anni di approfondimenti e rinegoziazioni, sfociati nella scrittura del Protocollo aggiuntivo nel giugno 2012.
  Se stiamo al testo, la Convenzione si limita infatti a ricondurre all'interno di un quadro OCSE, ovvero nel suo ambito proprio di riferimento, i rapporti tra le due Repubbliche, nella parte che riguarda l'ovvia, corretta e consolidata volontà, nell'ambito dei rapporti tra gli Stati in un quadro di economia aperta, di non sottoporre due volte a tassazione il medesimo reddito. Se, tuttavia, consideriamo quanto laborioso sia stato il percorso che ci ha portato qui e soprattutto quali siano stati i passaggi intermedi, forse comprenderemo che non stiamo parlando di una questione che meriti di essere liquidata in due minuti, ma piuttosto compresa nella sua dimensione vera, ovvero il rapporto che l'Italia e l'Europa vogliono e vorranno avere con il tema dei paradisi fiscali, del segreto bancario e quindi della circolazione internazionale di capitali coperti.
  Infatti, al voto di oggi arriviamo dopo anni in cui San Marino è stata inserita nella black list dei Paesi non collaborativi in termini di lotta all'evasione fiscale e al riciclaggio, dopo che quel Paese ha dovuto affrontare due gravose riforme per adeguarsi sotto questo profilo agli standard internazionali, dopo che, nonostante tutto, continuano pratiche non ortodosse di esterovestizione da parte di imprese del nostro Paese, dopo che banche italiane sono state commissariate o liquidate per i rapporti non convenzionali intrattenuti con istituti sammarinesi.
  Da domani, con la ratifica, i rapporti saranno speriamo normalizzati e un altro baluardo del segreto bancario, per lo meno per quanto riguarda lo schermo agli assetti proprietari e alle verifiche fiscali, verrà a cadere, o almeno sarà nelle condizioni di essere fatto cadere, se si manterrà in essere la volontà e la capacità di collaborare correttamente da parte di entrambi i Paesi.
  Di questo noi siamo felici, veramente felici, perché il segreto bancario, che non ha evidentemente nulla a che fare con la privacy, è un residuato di storia che andrebbe cancellato, fatto di responsabilità Pag. 5sociale delle imprese, di libertà di movimento e di investimento per i capitali di mafia, di corruzione e pratiche estranee all'etica e ad una qualsiasi idea di benessere collettivo.
  Ma non possiamo dimenticare proprio oggi che i problemi economici sul Titano non arrivano con la black list, ma hanno origine nello scudo fiscale di Tremonti e Berlusconi, che drenano dalle banche sammarinesi – secondo stime de Il Sole 24 Ore – almeno 5 miliardi di euro, pari a quasi il 50 per cento dei depositi complessivi in quel Paese: 5 miliardi di euro che oggi non sono più nei conti correnti di un Paese che si appresta a diventare collaborativo in termini di lotta all'evasione e al riciclaggio, ma in Italia, protetti dalla più forte garanzia di anonimato, tassati una tantum al 5 per cento e sanati per sempre.
  Lo stesso vale naturalmente per tutti i capitali provenienti dai tanti paradisi fiscali che l'Europa e il mondo accettano di veder esistere e prosperare all'interno dei propri confini. Quei 5 miliardi di euro noi ad ogni occasione ripetiamo e ripeteremo di volere riprendere in considerazione per ricondurli ad un'imposizione fiscale ordinaria, perché, se non si può rompere il patto di immunità stretto dallo Stato con una parte dei propri cittadini – non certo la migliore –, si può almeno cercare di allontanarsi almeno un po’ dalla logica del regalo, considerando che il Governo chiese allora un'aliquota di fatto inferiore al rendimento annuo generato dai capitali scudati stessi.
  Ecco perché dicevo in origine che stiamo parlando di un piccolo provvedimento che parla di grandi cose, perché San Marino non può essere che il primo dei Paesi che l'Italia e l'Unione europea, nell'ambito dei più generali accordi internazionali, riporti ad un regime accettabile le relazioni bilaterali sotto questi profili.
  Si tratta, infatti, di evitare di ripetere nuovamente un'operazione come questa, in cui la stalla viene chiusa dopo che i buoi sono scappati, in un mondo che di stalle abbonda ad ogni latitudine e longitudine, permettendo di scegliere fra mari del nord e del sud, principati e granducati, monarchie e repubbliche. È facile, infatti – permettetemi –, diventare inflessibili con un Paese terzo dopo avere graziato i frodatori nostrani.
  Oggi ci aspettiamo, quindi, che il nostro Governo si impegni con determinazione in sede europea, anche concedendo un mandato negoziale alla Commissione, per modificare gli accordi in essere sulla tassazione dei risparmi e sulla trasparenza bancaria con Svizzera, Andorra, Monaco, Liechtenstein, per non parlare dei territori dipendenti associati ad uno Stato membro, con l'obiettivo di fissare finalmente uno standard corrispondente alle nuove norme UE rafforzate e a quelle risultanti dalle future modifiche alla direttiva risparmio.
  Occorre, inoltre, arrivare ad una definizione univoca e comune dei cosiddetti paradisi fiscali che si fondi, oltre che sui due pilastri della trasparenza e dello scambio di informazioni, già stabiliti dall'OCSE, anche su quello della concorrenza leale. La concorrenza leale di un regime fiscale di un Paese non UE si determina se la sua legislazione fiscale è in linea con i principi del codice di condotta dell'Unione europea, che stabilisce i criteri per valutare se un regime fiscale può essere considerato nocivo.
  I criteri indicati dal codice per individuare misure nocive comprendono: un livello significativamente più basso di imposizione effettiva rispetto al livello generale della tassazione nel Paese in questione; benefici fiscali riservati ai non residenti o alle transazioni con i non residenti; benefici fiscali per le attività che vengono isolate dall'economia nazionale e non hanno alcun impatto sulla base imponibile nazionale (cosiddetto ring-fencing); benefici fiscali concessi nonostante l'assenza di una vera e propria attività economica; partenza da norme riconosciute a livello internazionale nel fissare la base di determinazione dei profitti per le imprese di un gruppo multinazionale; mancanza di trasparenza.
  Si capirà che siamo in un'ampia zona grigia, che comprende Paesi UE ed extra UE, relazioni economiche consolidate e Pag. 6prassi diffuse e finora accettate, ma che devono essere messe assolutamente in discussione, soprattutto se abbiamo ben presente che una delle chiavi di uscita dalla crisi globale è proprio l'armonizzazione dei regimi fiscali e la possibilità minima che dietro la libera circolazione internazionale dei capitali non si celi la ricerca di pratiche elusive e di sottrazione alla propria responsabilità contributiva.
  Come si vede, stiamo parlando, non di elementi insignificanti, ma di questioni che attengono alla possibilità di introdurre misure che rompano uno dei grandi motori della diseguaglianza del nostro tempo, quello della distanza tra donne e uomini il cui lavoro e i cui doveri contributivi sono saldamente ancorati alla terra in cui vivono e una super classe globale capace di vivere ovunque, ma di poter sempre risiedere fluttuando nei paradisi del fisco. Perché bisognerà pur ricordare, infine, che la trojka intervenuta in Grecia è stata unanime e sollecita nell'imporre lacrime e sangue in quel Paese, ma che quel Paese ero lo stesso da cui, fra il 2009 e il 2012, 72 miliardi di euro abbandonarono i conti correnti locali per migrare altrove, seguendo una strada ben conosciuta dai capitali del Paese, storicamente poco inclini a contribuire a quanto dovuto.
  Dato che la storia dei debiti sovrani ha origine anche nei flussi verso i paradisi fiscali e si conclude nell'austerità e nello smantellamento del welfare state, noi vorremmo semplicemente che da oggi questo Parlamento fosse unanime, non solo nell'accettare questo provvedimento, ma anche nella volontà di andare alla radice del problema (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pesco. Ne ha facoltà.

  DANIELE PESCO. Signor Presidente, per il MoVimento 5 Stelle i sistemi di evasione come i paradisi fiscali devono essere combattuti con ogni mezzo. Riscontriamo, infatti, come questi espedienti per eludere il fisco siano riservati a pochi privilegiati e creino situazioni di disagio molto pericolose nei contribuenti onesti e nei lavoratori dipendenti, i quali sono costretti a subire una pressione fiscale eccessiva e ingiusta. Riteniamo che la concessione dell'elusione nei paradisi fiscali abbia un impatto diseducativo, soprattutto se svolta dalla classe dirigente e dalle grosse aziende o multinazionali che incentivano così anche le piccole a cercare stratagemmi evasivi.
  Se ne parla moltissimo sia a livello nazionale che internazionale, ma la politica non sembra troppo determinata a muoversi per attuare concretamente qualche provvedimento a danno di chi sposta grandi capitali e grandi interessi. Per fortuna, almeno il Parlamento europeo se ne sta occupando. Mi riferisco ad una recente risoluzione, quella del 21 maggio 2013, sulla lotta contro la frode fiscale, l'evasione fiscale e i paradisi fiscali.
  Direte voi che il Parlamento europeo rispetto alla Commissione europea non conta molto e io aggiungerei un po’ come qui da noi, Parlamento verso il Governo, ma sono ottimista. Sono ottimista perché è vero, colleghi, che prima di tornare a casa almeno una legge la faremo dall'inizio alla fine in Parlamento senza che il Governo ci dica come fare. Che dite, magari una legge sul falso in bilancio o sul conflitto di interessi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) ?
  In ogni modo, tale risoluzione è molto interessante soprattutto nella parte delle considerazioni, dove il Parlamento europeo prende atto: che si stima che ogni anno nell'Unione Europea vada perduta – a causa della frode fiscale, dell'evasione e dell'elusione fiscale, nonché della pianificazione fiscale aggressiva – la scandalosa cifra di 1000 miliardi di euro di gettito potenziale, il che rappresenta un costo annuo di circa 2 mila euro per ogni cittadino europeo, senza che siano adottati provvedimenti adeguati per far fronte al problema; che la frode fiscale e l'evasione fiscale costituiscono attività illecite di evasione del debito d'imposta, mentre, d'altro canto, l'elusione rappresenta l'utilizzo legale ma improprio del regime fiscale per ridurre o eludere i debiti d'imposta, e che Pag. 7la pianificazione fiscale aggressiva consiste nell'approfittare degli aspetti tecnici di un regime fiscale o delle differenze fra due o più regimi fiscali allo scopo di ridurre il debito d'imposta; che il permanere di distorsioni causate da pratiche fiscali non trasparenti o dannose da parte di giurisdizioni che fungono da paradisi fiscali può causare flussi artificiali ed effetti negativi in seno al mercato interno dell'Unione europea; che la dannosa concorrenza fiscale all'interno dell'Unione europea è chiaramente contraria alla logica del mercato unico; che si deve fare di più per armonizzare le basi imponibili all'interno di un'unione economica, fiscale e di bilancio sempre più integrata: aggiungiamo noi che queste cose forse andavano fatte prima dell'unione monetaria, ma proseguiamo.
  Sempre il Parlamento europeo prende atto che il ricorso a pratiche di elusione fiscale da parte delle aziende multinazionali, contrasta con il principio della concorrenza leale e della responsabilità delle imprese; prende atto anche che, in risposta alle misure adottate dagli Stati membri per rimediare alla mancanza di trasparenza, alcuni contribuenti convogliano le loro operazioni d'affari attraverso un'altra giurisdizione con un livello di trasparenza inferiore: da noi è capitato spesso, direi; prende, inoltre, atto che i giornalisti investigativi, il settore non governativo e il mondo accademico sono stati determinanti nel far emergere casi di frode fiscale, elusione fiscale e paradisi fiscali e nell'informare debitamente l'opinione pubblica in proposito; che il potere legislativo in materia fiscale attualmente appartiene agli Stati membri – e speriamo che resti, comunque, anche con un adeguato controllo e coordinamento – sottolinea l'importanza di attuare nuove strategie e di utilizzare in modo più efficiente le strutture esistenti a livello dell'Unione europea per migliorare la lotta alla frode sull'IVA, in particolare la frode «carosello» (secondo me qui parla di alcuni cittadini italiani, tra i quali sicuramente c’è un ex Premier) e invita il Consiglio, in proposito, ad adottare e attuare tempestivamente la direttiva che modifica la direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto per quanto riguarda un meccanismo di reazione rapida contro le frodi in materia di IVA; evidenzia che, privilegiando un approccio bilaterale anziché multilaterale nei confronti delle questioni fiscali transnazionali, gli accordi di doppia imposizione rischiano di incoraggiare i prezzi di trasferimento e l'arbitraggio normativo.
  A noi piace molto questa risoluzione del Parlamento europeo, ma quello che manca, purtroppo, è la concretezza, che non può che arrivare dai Paesi membri, che verso i paradisi fiscali devono prendere una posizione decisa e non parziale. Ad esempio, oggi ratifichiamo la Convenzione con San Marino, ma... e con la Svizzera ? Ci si stava muovendo verso un accordo, che poi è slittato. Ci sono stime di centinaia di miliardi depositati illecitamente lì, ma ovviamente quando bisogna prendere i soldi nelle tasche dei più deboli, la politica è efficientissima, mentre quando si è trattato di agguantare grossi evasori, delinquenti, dopo mesi di contrattazioni, l'idea migliore che vi è venuta in mente, colleghi, è stata quella dello scudo fiscale: complimenti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) ! Volete che tutti paghino le tasse e che facciano sacrifici, ma siete i primi a dare un esempio veramente criminale votando questi provvedimenti per condonare i proventi d'affari illeciti.
  La parte di cittadini che rappresentiamo, non sopporta più di essere martoriata dalle tasse o di continuare a vedere questi comportamenti ed esige che i politici siano meno incoerenti e che siano i primi a dare l'esempio alla società; ne va della sopravvivenza di quel poco che rimane dell'integrità economica e morale del Paese e magari, perché no, prendendo spunto dalla risoluzione menzionata sopra.
  Per quanto riguarda il tema della seduta, ossia la ratifica della Convenzione con San Marino per evitare le doppie imposizioni, significhiamo che non ci sono piaciuti né la fretta con la quale è stato Pag. 8affrontato questo argomento nelle varie Commissioni, né il modo. Nel titolo si parla di frode fiscale, ma all'interno della relazione tecnica non una parola su come per anni si è perpetrato tale reato, non una parola sul modo in cui si è arrivati a questa Convenzione ed ai motivi per i quali non è stata ratificata in dieci anni, per arrivare alla modifica della Convenzione costruita e siglata un anno fa dal Governo Monti e vi dirò che già solo per questo motivo un po’ più di calma e chiarezza l'avremmo gradita nell'affrontare l'argomento.
  Ad esempio, non è stata fatta una disamina sui protocolli siglati dagli altri Paesi europei con San Marino in tema di prevenzione, di doppia imposizione e frodi fiscali. Beh, l'abbiamo fatta noi e ci è stato facile vedere come siano state prese soluzioni simili, ma con parametri differenti, per quanto riguarda il pagamento d'imposte al Paese d'origine, ad esempio, sui dividendi per i detentori di quote rilevanti di società.
  Ora, noi non stiamo ratificando solo la Convenzione fatta a Roma nel 2002, ma anche la modifica fatta nel 2012, fatta, si dice, per accogliere le richieste di maggiore trasparenza avanzate dall'OCSE. L'articolo 4 della modifica stabilisce, nei fatti, che sarà obbligatorio lo scambio di informazioni bancarie finalizzate al rispetto e all'applicazione di quanto stabilito nella stessa Convenzione e alle attività svolte dagli organismi di controllo.

  PRESIDENTE. Onorevole Pesco, concluda.

  DANIELE PESCO. Questo ci piace molto, peccato però, che l'articolo quinto sancisce che lo scotto da pagare per l'ottenimento di queste informazioni è legato ad un forte sconto, in alcuni casi totale, su quanto l'Italia potrebbe tassare i capitali con destinazione San Marino. Stiamo parlando di dividendi, canoni, interessi, che nella Convenzione del 2002 potevano essere tassati nel Paese d'origine con percentuali dal 5 al 10, al 15 per cento; nella modifica, si registra la forte presenza di percentuali pari allo zero e, ripeto, allo zero per cento, di possibile tassazione fatta dal Paese d'origine. In realtà, si tratta sempre di accordi bilaterali, ma sinceramente ho un vaga sensazione che i capitali qui da noi siano sempre orientati dall'Italia verso l'estero e, difficilmente, viceversa.
  Sarà che a noi la parola accordo, per natura, non ci fa impazzire: a noi piacciono le parole trasparenza, equità, condivisione, in quanto rappresentano principi base che, secondo noi, sono principi etici e universali che non hanno bisogno di essere barattati con i soldi.

  PRESIDENTE. Onorevole Pesco, concluda.

  DANIELE PESCO. Per non parlare degli accordi fatti dall'Italia con altri Paesi: sempre a proposito di dividendi, il principio base è che gli stessi siano tassati dal Paese in cui la persona risiede, tuttavia, ci si è accordati anche per una tassazione applicata nel Paese d'origine tramite aliquote che, ad esempio, nel caso della Bulgaria, sono al 10 cento, nel caso del Belgio al 15 per cento, con l'Austria al 15 per cento, con la Germania al 15 per cento o al 10 per cento e con San Marino allo zero per cento.

  PRESIDENTE. Onorevole Pesco, deve concludere.

  DANIELE PESCO. Concludo, Presidente. Dalle relazioni fornite alla Camera dei deputati si apprende che il mancato gettito non è alto ma, secondo noi, questa soluzione altro non è che un invito a spostare le società, a spostare i dividendi, a spostare i capitali verso un Paese, sì, certo, amico, ma con l'unico scopo di pagare meno tasse.
  Riscontriamo, ad ogni modo, dei passi in avanti in materia con l'approvazione del Protocollo, ma pretendiamo giustizia, massimo impegno ed attenzione da parte dei rappresentanti della politica sul tema, perché sono i cittadini onesti a chiederlo a gran voce.Pag. 9
  Stiamo parlando delle persone normali...

  PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Pesco. Può consegnare anche lei il testo, come ha fatto il suo collega. La presidenza l'autorizza sulla base dei criteri costantemente seguiti.

  DANIELE PESCO. Va bene. Concludo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  Signor Presidente, consegno dunque il testo integrale del mio intervento per la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Morani. Ne ha facoltà.

  ALESSIA MORANI. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi deputati, oggi è un giorno importante nella storia delle relazioni che legano la nostra Repubblica a quella di San Marino, un giorno non solo importante, ma anche atteso a lungo, forse troppo.
  La ratifica della Convenzione tra Italia e San Marino contro le doppie imposizioni fiscali non poteva più essere rimandata. Dopo anni di relazioni, spesso segnate da frizioni, il nostro voto favorevole alla legge di ratifica segnerà un traguardo importante per i rapporti tra i due Paesi, dando ragione ai tanti esponenti del mondo politico, istituzionale, imprenditoriale e della società civile che hanno, da sempre, creduto nella necessità di una cooperazione con la Repubblica di San Marino. A questo proposito, permettetemi di ricordare il nostro collega e mio concittadino, Massimo Vannucci, scomparso il 5 ottobre dello scorso anno, che negli anni, nonostante le numerose difficoltà nelle relazioni tra le due repubbliche, si è sempre speso con convinzione e passione per favorirne il dialogo e la cooperazione. Questo risultato è anche il suo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
  La ratifica della Convenzione tra la Repubblica italiana e quella di San Marino per evitare le doppie imposizioni, è un atto dovuto e, come detto, atteso a lungo. È un atto in linea con gli schemi internazionali indicati dall'OCSE nel 2005 e garantirà una maggiore trasparenza in merito alle informazioni fiscali e al segreto bancario. Lo scopo di questa Convenzione è quello di promuovere, eliminando la doppia imposizione, lo scambio di beni e servizi e il movimento di persone e capitali tra le due repubbliche, ponendo un limite, grazie all'annullamento del segreto bancario e al libero scambio di informazioni tra le amministrazioni dei due Paesi, ai numerosi fenomeni di elusione fiscale.
  Onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, le relazioni internazionali non sono un gioco a saldo zero; è vero che la Repubblica di San Marino ha intrapreso grandi sforzi negli ultimi anni, ma l'Italia perderà circa tre milioni di euro l'anno in termini di prelievo fiscale a seguito della ratifica della Convenzione e del Protocollo aggiuntivo. Tuttavia, entrambi i Paesi otterranno benefici superiori ai loro reciproci sforzi: l'Italia, grazie alle norme sul segreto bancario e sullo scambio di informazioni, potrà fare emergere l'evasione fiscale e aumentare, così, la base imponibile; San Marino, grazie al rientro a pieno titolo nelle white list delle organizzazioni internazionali, e della stessa amministrazione italiana, vedrà crescere gli investimenti internazionali e gli scambi commerciali con l'Italia ed in particolare con i territori limitrofi, come le province di Pesaro e di Rimini.
  In questo periodo di crisi economica i temi della giustizia fiscale e della lotta all'evasione sono temi fondamentali per la vita democratica di uno dei Paesi con i più alti livelli di tassazione al mondo. Mi si permetta, dunque, di rivolgere il mio apprezzamento per un accordo, come quello che ci accingiamo a ratificare oggi, che va proprio in questa direzione. La nuova formulazione contenuta nel Protocollo aggiuntivo renderà più penetrante l'azione di raccolta delle informazioni in campo fiscale, prevedendo che lo Stato contraente utilizzi i poteri a sua disposizione anche qualora le informazioni in questione non siano rilevanti per propri fini interni. Pag. 10Inoltre, la nuova formulazione riduce la portata del cosiddetto segreto bancario stabilendo che lo Stato non potrà rifiutarsi di fornire le informazioni richieste con la sola motivazione che siano detenute da una banca.
  La ratifica di questa Convenzione porterà benefici per tutto il tessuto produttivo delle province di Pesaro e Rimini, delle Marche e dell'Emilia Romagna. In particolare, penso agli effetti positivi che il depennamento della Repubblica di San Marino dalla black list avrà per le imprese che operano in questi territori e agli investimenti per le infrastrutture viarie, per il Parco scientifico e tecnologico tra Italia e San Marino e per il rilancio dell'aeroporto di Rimini. L'uscita del Titano dalla black list è un dovuto riconoscimento in seguito a un processo di riforme riconosciuto e apprezzato dall'Unione europea e dalle organizzazioni internazionali. San Marino ha messo in atto, in questi anni, misure importanti per ricucire i rapporti economico-finanziari con la nostra Repubblica. Sono stati compiuti interventi in ambito societario, con l'eliminazione delle società anonime, di contrasto alle frodi e agli illeciti tributari, l'adeguamento delle misure per l'esecuzione delle rogatorie e per l'assistenza giudiziaria in materia penale, in campo bancario e finanziario. Il Fondo monetario internazionale e l'Organizzazione per la cooperazione allo sviluppo economico hanno ufficialmente riconosciuto questi sforzi depennando San Marino dall'elenco dei paradisi fiscali. Il 29 settembre 2012 il comitato di esperti del Consiglio d'Europa per le misure contro il riciclaggio di denaro ha sospeso la procedura rafforzata contro San Marino. Un altro importante riconoscimento internazionale è arrivato anche dal Consiglio dell'Unione europea che il 20 dicembre 2012 ha ufficialmente apprezzato il lavoro svolto da San Marino incoraggiandone il proseguimento.
  Di fronte a questi riconoscimenti internazionali non posso che apprezzare la celerità con cui le Commissioni affari esteri, bilancio e finanze hanno licenziato la Convenzione e sono convinta che il passaggio al Senato sarà contraddistinto da altrettanta rapidità. Il voto di oggi, infatti, si inquadra in un più ampio dialogo europeo con i Paesi extra Unione europea a regime fiscale privilegiato, dialogo oggi più che mai necessario. Il commissario europeo al fisco Semeta si recherà a San Marino il 13 giugno per la prima tappa di un negoziato che lo porterà a rivedere gli accordi sul fisco con Svizzera, Liechtenstein, principato di Monaco, Andorra e la stessa Repubblica di San Marino.
  La ratifica di questa Convenzione però non risponde al grande problema di quei seimila cittadini italiani che ogni giorno attraversano il confine sanmarinese per prestare la loro attività lavorativa e che si trovano a dover affrontare quella che, più volte, abbiamo definito una «tassa etnica» poiché colpisce, esclusivamente, i lavoratori italiani.

  PRESIDENTE. La prego di concludere.

  ALESSIA MORANI. A questo riguardo chiedo con forza al Governo, presieduto da Enrico Letta, di dare seguito alle aperture fatte dal Governo sanmarinese e attivare un'iniziativa politico-diplomatica volta a superare l'attuale tassazione supplementare.
  Colgo l'occasione inoltre per riaffermare la necessità di una specifica e più appropriata disciplina del lavoro frontaliero. A questo riguardo, come sottolineato nella mozione presentata dall'onorevole Braga il 27 marzo scorso, è opportuno stimolare un più convinto impegno per arrivare al più presto all'approvazione di uno statuto dei lavoratori frontalieri che definisca un quadro di diritti e doveri chiari, legati a queste peculiari condizioni di lavoro, e di soluzione ai problemi in essere generati principalmente dalla mancanza di una regolazione specifica.
  Signor Presidente, concludo, voglio riaffermare la piena soddisfazione nei confronti di questa rinnovata e per certi versi inedita cooperazione con la Repubblica di San Marino; fortunatamente sono passati i tempi degli attacchi reciproci tra i membri Pag. 11del Governo italiano ed i rappresentanti del Titano.
  La ratifica di questa Convenzione è la dimostrazione che amicizia con San Marino non significa debolezza nei confronti degli evasori e che da oggi potremo guardare alle relazioni tra i due Paesi con rinnovato ottimismo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marcolin. Ne ha facoltà.

  MARCO MARCOLIN. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il gruppo Lega Nord e Autonomie sostiene convintamente questo provvedimento tanto che, nonostante sia prassi che i disegni di legge di ratifica nascano dall'iniziativa del Governo, abbiamo ritenuto opportuno, ad inizio legislatura, presentare anche una proposta in tal senso, a firma di un deputato del nostro gruppo parlamentare.
  Riteniamo il provvedimento utile e importante per una serie di motivi, il primo riguarda il contenuto normativo e la ratio di un accordo sulle doppie imposizioni. È una tipologia di accordi sui quali ci siamo sempre espressi positivamente perché concorrono a creare un quadro giuridico certo e chiaro in materia di imposizione fiscale senza il quale è certamente più difficile e rischioso per gli operatori economici svolgere la propria attività transnazionale.
  Ritengo che questo genere di accordi aiuti i nostri imprenditori e lavoratori, molto di più di generiche azioni di sostegno al commercio e all'internazionalizzazione, prima di tutto perché implica costi irrisori. Non sarà lo Stato a dover incentivare, con propri fondi, le attività internazionali, ma credo che in una situazione fiscale semplice, favorevole e certa, saranno le stesse economie a mettersi o a rimettersi in moto.
  Sul versante opposto, non dimentichiamo che noi non siamo solo culla di imprenditoria e impresa, ma anche terreno di investimenti stranieri, e un quadro giuridico reciprocamente favorevole permette agli operatori economici esteri di guardare il nostro Paese con più fiducia.
  Obiettivo dichiarato di ogni accordo sulle doppie imposizioni negoziato dal nostro Paese è, come recita lo stesso titolo, evitare che lo stesso reddito sia tassato due volte, nel Paese di produzione del reddito e in quello di residenza del soggetto. Ricordiamo che le norme già previste dal nostro ordinamento in tal senso, funzionano solo per i cittadini di Paesi con i quali esistono accordi bilaterali; da questo l'importanza di negoziare e aggiornare costantemente accordi del genere con tutti i Paesi con i quali sia possibile.
  Teniamo comunque presente che evitare la doppia imposizione non ha nulla a che vedere con evitare l'imposizione. Un accordo, come quello che oggi ci accingiamo a ratificare, certamente non favorisce l'evasione fiscale ma agisce in senso contrario. L'evasione è possibile laddove i due Governi non dialogano e non si scambiano informazioni fiscalmente interessanti. L'evasione è anzi appetibile laddove si rischia di vedere tassato due volte lo stesso reddito. L'evasione diviene molto più difficile in presenza di un accordo bilaterale sulle doppie imposizioni che obbliga a classificare i redditi, a confermare tali «relativi», a mappare il flusso fiscale relativo a due Paesi. Dico questo perché non possano esserci interpretazioni deviate o tendenziose relative a questo accordo con San Marino e aggiungo che l'ulteriore precisazione è per scansare ogni equivoco, perché nel nostro Paese è già in vigore una normativa chiara che disciplina il cosiddetto CFC.
  Inoltre, la Convenzione stessa impone vincoli molto seri che superano, di fatto, l'opposizione di qualche segreto bancario. Di fronte a una richiesta di informazioni a carattere fiscale, nessuno Stato potrà rifiutarsi di fornirle o di rilevarle adducendo giustificazioni relative al segreto bancario, né direttamente e nemmeno sostenendo che non si tratti di informazioni relative al suo ordinamento interno. Ratificando la Convenzione, insieme al Protocollo, con San Marino, oggi, il nostro ordinamento recepisce uno strumento aggiornato, perfettamente in linea con gli standard internazionali più recenti messi a Pag. 12punto dall'OCSE, costruito in modo equilibrato e incentrato sullo scambio proficuo di informazioni.
  L'Accordo, nella versione finale, è imperniato sull'applicazione della tassazione definitiva nel Paese di residenza del beneficiario; allo stesso tempo, la controparte, cioè lo Stato nel quale il reddito viene prodotto, avrà la facoltà di prelevare un'imposta alla fonte entro limiti espressamente previsti.
  La Convenzione con San Marino langue in attesa di ratifica da più di undici anni, tanto che, nel frattempo, nel 2012, è stato addirittura firmato un Protocollo necessario al suo aggiornamento, che, a sua volta, non è mai stato ratificato, né è entrato in vigore. Questo ritardo è immotivato e concorre a ingrossare le fila di tanti accordi internazionali ratificati con decennale ritardo: una statistica che, certo, non giova alla nostra tanto decantata immagine internazionale.
  Con questo disegno di legge, ratifichiamo un Accordo importante per San Marino, del quale l'Italia naturalmente è il primo partner commerciale e finanziario, ma ratifichiamo un atto voluto e atteso anche dai nostri operatori economici. Le tensioni degli ultimi anni, dovute principalmente al distinguo con cui l'OCSE ha, di volta in volta, annoverato San Marino tra i Paesi della cosiddetta white list, si avviano ad un superamento anche grazie al deciso impegno con cui i partner sammarinesi hanno operato nella direzione della trasparenza finanziaria.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cirielli, ma non lo vedo in Aula, quindi si intende che vi abbia rinunciato.
  Non vi sono altri iscritti a parlare e, pertanto, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo – A.C. 875-A)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, deputato Arlotti.

  TIZIANO ARLOTTI, Relatore. Signor Presidente, intervengo solo per dire che non è vero che c’è stata fretta: stiamo chiudendo, con questa importante ratifica, un lavoro che è stato addirittura fatto in più di dieci anni e credo sia alquanto necessario che venga portato a compimento, proprio perché le relazioni tra i due Paesi sono fondamentali, soprattutto per le aree limitrofe e anche perché abbiamo necessità di valorizzare al massimo le sinergie tra le nostre due repubbliche.
  Vorrei ricordare che il prossimo anno ricorre il settantacinquesimo anno dalla firma del primo Trattato di amicizia tra la Repubblica italiana e la Repubblica di San Marino.
  Sono stati espressi tutti i pareri delle tre Commissioni, quindi i tempi e i dossier erano a disposizione, il presidente Cicchitto è stato anche molto attento a favorire il dibattito, quindi non si venga a dire che non ci sono stati i tempi adeguati per poter approfondire il tema.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

  BRUNO ARCHI, Viceministro degli affari esteri. Signor Presidente, ritengo un utile dibattito questo di stamattina, perché consente di vedere quanto interesse ci sia intorno a questa materia. È stato un lungo negoziato, ma penso che, essendo arrivati alla fine, si possa dire di avere sanato questa lacuna normativa.
  Il Governo è convinto che questa ratifica consentirà di normalizzare, anzi di dare ulteriore stimolo alle fondamentali relazioni bilaterali con la Repubblica di San Marino, cercando di coprire e sanare tutti gli aspetti rimasti in ombra e insoluti per tutelare al meglio evidentemente le esigenze dei lavoratori transfrontalieri italiani e credendo che ciò vada anche nell'indirizzo della politica di San Marino.

  PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato alla ripresa pomeridiana della seduta, a partire dalle ore 15.

Pag. 13

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Lituania in materia di rappresentanze diplomatiche, fatto a Vilnius il 21 febbraio 2013 (A.C. 841) (ore 10,15).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 841: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Lituania in materia di rappresentanze diplomatiche, fatto a Vilnius il 21 febbraio 2013.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 841)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire la relatrice, onorevole Quartapelle Procopio.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO, Relatore. Signor Presidente, deputate e deputati, oggi esaminiamo un Accordo che ha come obiettivo di concludere una lunga vertenza tra Italia e Lituania sulla sede diplomatica di Vilnius a Roma, acquistata originariamente nel 1937.
  Nel rinviare al dibattito svolto in Commissione per una ricostruzione più approfondita della vicenda, ricordo brevemente che, a seguito dell'annessione del Paese baltico, a partire dal 1940, la villa passò all'Unione Sovietica, che provvide anche ad estinguere il mutuo ipotecario che gravava sull'immobile. Oggi Villa Lituania ospita gli uffici consolari a Roma della Federazione russa, che è lo Stato continuatore della soggettività internazionale dell'Unione Sovietica.
  A partire dal 1992 sono iniziati i negoziati per trovare una composizione della controversia tra Italia e Lituania. Nel 2011, si è convenuto di addivenire a una soluzione diplomatica: il Governo italiano ha individuato un immobile di pregio all'interno di Palazzo Blumensthil, che si trova a Roma, in Lungotevere dei Mellini, ed è di proprietà del demanio dello Stato. L'Accordo concede in comodato d'uso al Governo della Repubblica di Lituania parte di questo immobile per le esigenze delle rappresentanze diplomatiche del Governo della Repubblica di Lituania, come previsto dalla Convenzione di Vienna del 18 aprile 1961 sulle relazioni diplomatiche. L'immobile viene concesso per la durata di 99 anni, a partire dalla data di entrata in vigore del Trattato, ad uso esclusivo del Governo della Repubblica di Lituania, per le esigenze delle sue rappresentanze diplomatiche.
  L'esame in sede referente e consultiva ha consentito di approfondire la deroga alla normativa vigente in materia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 296 del 2005, che attiene sia alla natura soggettiva del concessionario, cioè uno Stato straniero, sia alla durata della concessione stessa, 99 anni. Al riguardo, confortando quanto è dichiarato dal rappresentante del Governo, il parere della Commissione Affari costituzionali ha chiarito che tale deroga non si pone in contrasto con l'ordinamento giuridico nazionale, né con gli obblighi assunti dall'Italia a livello internazionale o derivanti dalla sua appartenenza all'Unione europea. Analogamente, si sono espresse le Commissioni Bilancio e Finanze. Va rilevato che la Commissione Finanze ha chiarito che la deroga in termini di tempo è giustificata dalla necessità di rispettare degli obblighi internazionali dell'Italia.
  Preciso, peraltro, che la parte lituana si impegna ad eseguire, a proprie spese, i necessari lavori di restauro dell'immobile, che allo stato attuale è inutilizzabile, e a mantenerlo, a sua spese, nella sua integrità e in stato di buona conservazione. Considerato, inoltre, il carattere storico e artistico dell'immobile, le autorità lituane saranno tenute a rispettare la normativa italiana in termini di conservazione dei beni culturali.Pag. 14
  Il Governo lituano si impegna, inoltre, a facilitare il Governo italiano, se necessario, nell'identificazione e nell'acquisizione di spazi idonei ad ospitare la sede delle rappresentanze diplomatiche italiane a Vilnius. Evidenzio che, nel corso del dibattito svolto in Commissione, è emersa l'opportunità di sollecitare il Governo lituano a dare seguito a questo impegno, anche nel senso di agevolare il Governo italiano ad individuare possibili sedi per lo svolgimento di attività culturali in Lituania.
  L'Accordo, formalizzato attraverso la firma dei Ministri degli affari esteri dei due Paesi, avvenuto a Vilnius il 21 febbraio 2013, non comporta nuovi oneri finanziari.
  In conclusione, segnalo che una celere conclusione dell'iter di approvazione del provvedimento, oltre all'immediato effetto di risolvere definitivamente la ventennale questione di Villa Lituania, sulla quale si riverberano le sensibilità dell'opinione pubblica dello Stato baltico, che la considera un ingombrante lascito dell'epoca della dominazione sovietica, risponderebbe a una serie di esigenze politiche di particolare rilievo, prima fra tutte la possibilità che la ratifica dell'Accordo coincida con il semestre di Presidenza lituana dell'Unione europea, che si apre il 1o luglio prossimo e che, come tutti sappiamo, sarà un semestre impegnativo sia per l'Italia sia per l'Unione europea, per i dossier legislativi da analizzare.
  Particolarmente importante appare, infine, lo svolgimento, nel novembre prossimo, di un vertice del partenariato orientale, dal cui esito dipenderà la sigla di un accordo di associazione dell'Unione con l'Ucraina e l'inizio dei negoziati per ulteriori accordi di associazione con l'Armenia, la Repubblica moldova e la Georgia.
  Aggiungo, infine, che l'Accordo costituisce un ulteriore segno di attenzione e di disponibilità nei riguardi di un Paese che l'Italia ha convintamente sostenuto nel processo di integrazione euroatlantica perfezionatosi nel 2004.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

  BRUNO ARCHI, Viceministro degli affari esteri. Signor Presidente, il Governo ringrazia, anche qui, il lavoro molto importante svolto dalle Commissioni, e in particolare dal relatore. La ratifica di questo Accordo tra il Governo italiano e il Governo della Repubblica di Lituania in materia di rappresentanze diplomatiche consente di chiudere, come è stato giustamente detto, questo annoso contenzioso, che durava da oltre vent'anni, pendente sulla Villa Lituania, che è una vicenda su cui, indubbiamente, si proiettano le sensibilità dell'opinione pubblica del Paese baltico, che vi vede l'ultima pendenza dell'epoca sovietica.
  A prescindere da divergenze esistenti circa la ricostruzione giuridica degli eventi, tutti i Governi italiani che si sono succeduti nel tempo, dal 1991 ad oggi, anno dell'indipendenza della Lituania, hanno assunto e sempre confermato l'impegno a risolvere la questione, riconoscendo la necessità di ripagare un debito morale nei confronti della Lituania per la perdita della sua rappresentanza diplomatica a Roma durante l'occupazione sovietica e le drammatiche vicende della seconda guerra mondiale.
  Tra l'altro, il contenzioso immobiliare con l'Italia era l'unico rimasto ancora pendente tra la Lituania e i Paesi dove si erano verificate situazioni analoghe, tra cui la Francia, la Germania, la Russia e la Svezia. La ratifica rafforzerà ulteriormente la già ottima collaborazione tra i due Paesi, sia a livello bilaterale sia in ambito dell'Unione europea. Ricordo, a tal fine, che la Lituania assumerà, a partire dal 1o luglio 2013, la presidenza semestrale dell'Unione europea.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lavagno. Ne ha facoltà.

  FABIO LAVAGNO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, quando si parla di un accordo tra Stati non è mai una cosa banale o una cosa semplice. La storia di Pag. 15questo Trattato lo dimostra: è una storia che si porta appresso, nel suo contenzioso, la storia di un Novecento che sembra non finire mai e sembra portare incrostazioni che, in qualche modo, hanno il carattere della storia e della geopolitica.
  Non possiamo che vedere positivamente la conclusione di un iter che, come è stato ricordato dall'esponente del Governo, è stato accompagnato dai Governi che si sono succeduti senza mai arrivare ad una reale conclusione che desse pienezza e concretizzazione alle richieste della Repubblica lituana.
  È già stato evidenziato come nelle varie Commissioni, e in particolare nella Commissione finanze, sia stato rilevato il carattere di particolarità e di eccezionalità rispetto alla concessione di un comodato d'uso e come questa eccezionalità, in qualche modo, sia giustificata dalla necessità di dare piena attuazione rispetto alla rappresentanza diplomatica di un Paese peraltro membro dell'Unione europea.
  Credo che questo si inserisca in una storia, che è tutta storia novecentesca, dei rapporti bilaterali tra Italia e Lituania che hanno un loro inizio alla conclusione del primo conflitto mondiale, con la Conferenza di Parigi, dove un atteggiamento benevolo tra quelle che erano definite potenze vincitrici, tra cui l'Italia, riconosceva alla Lituania la necessità di una piena legittimazione; è in quel solco che, in qualche modo, si perpetua un atteggiamento, all'indomani della dissoluzione dell'Unione delle repubbliche socialiste sovietiche, per cui l'Italia è tra i primi Paesi a riconoscerne un'indipendenza.
  D'altra parte, la Lituania è Paese con vocazione europea, con una vocazione europea sancita dall'entrata nell'Unione europea del 2004, perfezionata nel 2004, ed è una naturale piattaforma logistica nell'area del Baltico, non disinteressata da quelli che sono anche gli interscambi di natura economica tra il nostro Paese e quell'area.
  L'interscambio economico ha una qual certa, per quanto limitata, rilevanza, e vede sempre un saldo positivo per il nostro Paese e vede questo trend in aumento negli ultimi anni, tanto da far diventare l'Italia, per quanto assolutamente lontana dal punto di vista geografico, il settimo Paese fornitore nei confronti della Repubblica lituana.
  Occorre, però, riconoscere anche alcuni elementi che necessitano di uscire veramente dalla storia del Novecento per proiettarsi in una nuova storia di un nuovo secolo, che sia veramente il secolo dell'Europa e dei diritti. Ebbene, su questa tematica occorre ricordare agli esponenti del Governo che, nel perfezionare questo Trattato, la Lituania non gode di buona fama sotto il profilo della tutela dei diritti civili.
  Non gode buona fama non solo a detta delle organizzazioni LGBT, ma anche di molte organizzazioni umanitarie come Amnesty International. Rispetto ai temi dell'omofobia, della discriminazione sessuale, le statistiche, tutte quante, danno la Lituania, se non come ultimo, tra gli ultimi Paesi in Europa.
  Io credo che nel dare corso ad una storia che si chiude sia importante, anche nelle relazioni diplomatiche, non solo concentrarsi su quelle che sono le questioni diplomatiche, appunto, di natura geopolitica o economica, ma, soprattutto, saper dare un nuovo corso anche a politiche che abbiano come centro e come fulcro, le politiche dei diritti, perché solo così, convintamente europeisti come siamo e come vediamo disposta anche la Repubblica di Lituania, potremo effettivamente ambire ad avere un'Europa dei cittadini e dei diritti. Grazie (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marcolin. Ne ha facoltà.

  MARCO MARCOLIN. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'accordo con la Lituania che ci accingiamo a ratificare è piuttosto particolare. Certamente la particolarità è ascrivibile alla complessa vicenda storica che ha attraversato lo Stato lituano durante e dopo l'occupazione da parte sovietica.
  L'originale sede diplomatica scelta dallo Stato lituano infatti è stata, diciamo, usurpata Pag. 16dall'Unione Sovietica durante l'occupazione della Lituania, pagandone però anche il relativo mutuo.
  Dopo l'indipendenza, non essendo possibile per Vilnius recuperare la disponibilità dell'immobile, la Lituania ha anche pensato di rivalersi sull'Italia che avrebbe dovuto difendere la sede diplomatica.
  Oggi ripariamo mettendo a disposizione un immobile di pregio storico ed artistico in «concessione» del tutto straordinaria per tempi e modi, perché le rappresentanze diplomatiche lituane possano avere la loro sede a Roma.
  Ma intervengono anche in questa lunga vicenda esigenze e negoziati che appaiono importantissimi per le gerarchie diplomatiche, ma che sinceramente risultano piuttosto ridondanti e anche fuori luogo alla maggior parte delle persone comuni.
  La sostanza di un negoziato durato praticamente venti anni tra la Farnesina e le autorità diplomatiche lituane è che non si trovava in tutta Roma un palazzo abbastanza lussuoso da accontentare i diplomatici di Vilnius e che lo Stato italiano, fin troppo generoso, poteva concederne gratis l'uso che la Lituania ritenesse adeguato. Ha fatto se non altro sorridere, per chi se ne sia accorto, l'orgoglio con cui l'allora Ministro Terzi ha vantato come un grande, personale successo lo scorso febbraio la sigla di questo accordo. Solo un diplomatico di carriera come lui poteva vedere in un simile atto una fonte di prestigio e futura gloria. Addirittura, in occasione del viaggio nel Baltico che Terzi ha fatto per la firma dell'accordo, il nostro ex Ministro tecnico è stato insignito della medaglia d'onore «Stella della diplomazia Lituana» come riconoscimento per l'impegno profuso nella soluzione della vicenda di «Villa Lituania», l'ex sede diplomatica lituana in via Nomentana a Roma, che oggi ospita gli uffici consolari russi.
  Ma tant’è, questi risultati sono necessari, come ci dicono, al buon andamento delle reciproche relazioni tra Stati e così va bene.
  Speriamo quindi, sostenendo questo disegno di legge, che possa considerarsi conclusa la questione di «sede» e che i nostri diplomatici possano dedicarsi a tempo pieno a questioni più importanti, per dare un contributo concreto ad uscire dalla situazione di sfiducia e di insicurezza economica in cui il resto del Paese vive la propria quotidianità.
  La Lituania è un partner importante con il quale dobbiamo lavorare senza fraintendimenti e senza nodi irrisolti, anche nella prospettiva del tandem che vedrà i nostri due Paesi alternarsi nei prossimi semestri alla presidenza dell'Unione europea.
  Le prospettive suggeriscono un cauto ottimismo: negli ultimi anni il commercio tra Italia e Lituania è cresciuto nonostante la crisi economica.
  Oggi abbiamo un interscambio di circa un miliardo di euro all'anno, ma è significativo perché è relativamente in crescita in settori di eccellenza come i macchinari, l'energia, i prodotti tessili e l'agroalimentare.
  Le prospettive sono rese più dinamiche dal fatto che la Lituania in seno all'Unione europea rappresenta un Paese giovane e in rapida crescita, destinato ad un ruolo crescente nei settori della ricerca scientifica e tecnologica. Gode di una posizione logisticamente importante, al crocevia di rotte marittime, terrestri e ferroviarie che possono divenire molto interessanti nell'immediato futuro. È anche per questi motivi che non faremo mancare il nostro appoggio agli accordi bilaterali che possono favorire da diversi punti di vista il buon andamento delle nostre relazioni con Vilnius.

  PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Cirielli, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
  Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo – A.C. 841)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, onorevole Lia Quartapelle Procopio.

Pag. 17

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO, Relatore. Signor Presidente, come gli interventi che mi hanno preceduto hanno sottolineato, la questione è storica e annosa, ventennale. Riteniamo che la celere ratifica di questo accordo permetta poi di approfondire tutte le altre questioni sul campo delle relazioni tra Italia e Lituania, in un clima sicuramente più sgombero da un ingombrante lascito del passato.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

  BRUNO ARCHI, Viceministro degli affari esteri. Signor Presidente, intervengo solo per dire che il Governo terrà nella massima considerazione le osservazioni emerse dal dibattito odierno, certi però che l'eliminazione di una pendenza così seria e annosa nel settore delle relazioni bilaterali sarà sicuramente foriera di possibilità di sviluppo e ricordando che era la prima rivendicazione fatta sempre e comunque dai rappresentanti lituani ogni qual volta vi era un incontro al massimo livello con le controparti italiane.

  PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato alla ripresa pomeridiana della seduta.

Discussione della mozione Luigi Gallo ed altri n. 1-00035, concernente misure a sostegno della scuola, dell'università e della cultura (ore 10,35).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Luigi Gallo ed altri n. 1-00035, concernente misure a sostegno della scuola, dell'università e della cultura (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).
  Avverto che sono state presentate le mozioni Giancarlo Giordano ed altri n. 1-00076, Santerini ed altri n. 1-00077, Buonanno ed altri n. 1-00083, Coscia ed altri n. 1-00084 e Centemero ed altri n. 1-00085 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione (Vedi l'allegato A – Mozioni).

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni presentate.
  È iscritto a parlare l'onorevole Vacca, che illustrerà – temo signor sottosegretario che lei debba accompagnarci ancora per un po’ – anche la mozione Luigi Gallo ed altri n. 1-00035, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

  GIANLUCA VACCA. Signor Presidente, membri del Governo, colleghi deputati, l'istruzione e la formazione sono le armi più potenti che si possano utilizzare per cambiare il mondo, scriveva Nelson Mandela. Se questo è vero, come noi crediamo, le politiche di feroci tagli portate avanti negli ultimi governi in questi settori, dimostrerebbero che siano stati fatti volontariamente per fare in modo che nulla possa cambiare in meglio nel nostro Paese, il quale oggi sta attraversando oggi un periodo di grave crisi che coinvolge il mondo del lavoro, l'economia, il sistema sociale e previdenziale, la stessa politica, fino a mettere in discussione l'assetto costituzionale della nazione. Noi siamo assolutamente convinti che per invertire la rotta sia obbligatorio ripartire dal sistema dell'istruzione e della cultura e proprio per questo motivo uno dei primi impegni del MoVimento 5 Stelle che si esprime attraverso la mozione che stiamo presentando, riguarda proprio l'istruzione, la cultura, la produzione culturale e tutti i beni materiali e immateriali che vi ruotano attorno e di cui la Nazione è ricchissima. Le stesse istituzioni europee, non quelle che ci stanno affamando, quelle dell'euro, del MES, del Patto di stabilità, ma quelle della strategia «Europa 2020», indicano l'istruzioni e la conoscenza come Pag. 18strumenti vitali per un nuovo sviluppo di medio e lungo periodo. Eppure, signor Presidente, membri del Governo, colleghi deputati, obbediamo ai vincoli distruttivi dell'Europa mentre disattendiamo le indicazioni che potrebbero rilanciare il nostro Paese. È fondamentale quindi dar vita ad un triangolo della conoscenza – istruzione, ricerca e innovazione – che funzioni.
  Interventi nel settore culturale e in quello artistico devono costituire incentivo alle imprese virtuose e rilanciare il turismo. Le politiche in materia di cultura devono avere risorse adeguate e non subire ancora tagli lineari, poiché non si può più consentire lo sperpero e la decadenza dell'immenso patrimonio culturale italiano attualmente in atto. La vicenda di Pompei è una ferita ancora apertissima e che difficilmente si chiuderà, essendo tutto il corpo profondamente martoriato.
  Le nostre scuole vivono oggi probabilmente il momento peggiore dal dopoguerra: i tagli effettuati hanno comportato una complessiva riduzione dei servizi e dell'offerta formativa, fino a una grave carenza di risorse per l'ordinario funzionamento. Siamo arrivati al punto che quasi tutti gli istituti scolastici si trovano costretti a chiedere l'obolo alle famiglie per garantire l'essenziale ai nostri figli, molti dei quali, onorevoli colleghi, rischiano ogni giorno l'incolumità a causa della disastrosa condizione dell'edilizia scolastica. Infatti, quasi la metà degli immobili scolastici non possiede neanche la certificazione di agibilità. Dobbiamo forse attendere di piangere per qualche tragedia prima di ritenere necessario un intervento definitivo ?
  Non va assolutamente meglio all'università, dove le risorse economiche sono drasticamente diminuite con un taglio di oltre 1.440 milioni di euro sui fondi di finanziamento ordinario. Si sono ridotte in maniera drammatica le possibilità di reclutamento e avanzamento di carriera dei docenti con una conseguenziale migrazione dei ricercatori all'estero.
  La legge n. 240 del 2010 rende insostenibili molti corsi di laurea che, quindi, dovranno essere soppressi. La spending review ha liberalizzato la tassazione universitaria, facendo sì che il minor gettito di risorse erogate dallo Stato sia coperto dallo studente con una tassazione molto più onerosa. Infine, è stato modificato l'impianto del diritto allo studio, già abbastanza iniquo, riducendo drasticamente il numero di idonei per le borse di studio.
  Anche il settore dello spettacolo sta subendo tagli a causa della spending review, a fronte dei quali diventa indispensabile investire nell'intero settore culturale con strategie di lungo periodo e con risorse certe e continuative.
  Proprio per questo, con la mozione chiediamo al Governo: di adottare politiche che concentrino risorse aggiuntive sul settore della conoscenza, con l'adozione di un piano biennale di rientro rispetto ai tagli degli ultimi anni, individuando fonti di finanziamento reperibili nell'immediato; di restituire al ruolo dei docenti e di tutti gli operatori della conoscenza la centralità che loro compete; di dare copertura a tutte le cattedre vacanti della scuola prima dell'inizio dell'anno scolastico prossimo, anche con un piano triennale di assunzioni che preveda la stabilizzazione del maggior numero di docenti precari; di programmare la costruzione di un sistema integrato e trasversale che coinvolga formazione, università, nuove tecnologie e linguaggi plurimediali, biblioteche, editoria, eventi, musei, valorizzazione del patrimonio artistico, start up, turismo, infrastrutture locali, trasporti sostenibili e comunicazione; di prevedere un piano di messa in sicurezza degli edifici scolastici, secondo la normativa vigente, da realizzare nell'arco di quattro anni; di ripristinare pienamente la possibilità di esercitare il diritto allo studio, con fondi sufficienti a garantire borse di studio, mobilità e strutture di accoglienza per gli studenti meno abbienti; di ridiscutere il metodo di finanziamento all'università, legando il fondo di finanziamento ordinario anche a meccanismi che valutino l'effettivo impatto socio-economico che il laureato ha nella società e rivedendo il meccanismo del costo standard per studente; di realizzare Pag. 19un piano di investimenti pluriennali per i beni culturali, attraverso una programmazione che veda il coinvolgimento e la responsabilizzazione delle regioni; infine, di prevedere forme di agevolazione, anche di tipo fiscale, per gli operatori del settore dello spettacolo.
  Vogliamo ancora raccontarci che mancano i fondi e che quindi bisogna tagliare ? A nostro avviso, manca la volontà di investire sul cittadino, mentre si favoriscono interessi particolari. Crediamo, infatti, che possano essere tagliati i contributi elettorali dei partiti, i finanziamenti diretti e indiretti all'editoria, i rimborsi elettorali, che possano essere utilizzate risorse liberate dall'eliminazione delle province, dalla diminuzione dell'indennità dei politici e dalla graduale abolizione delle somme destinate ai privati che operano nell'istruzione. Poi, si potrebbe chiedere a gran forza all'Europa di permetterci di dare speranza al nostro futuro, di creare una prospettiva dignitosa per i nostri figli e per le prossime generazioni, chiedendo più collaborazione sulle risorse da destinare alla cultura e meno austerità. Si tratta di volontà politica, onorevoli colleghi, solo di quella.
  Voi vi definite una maggioranza emergenziale, nata per affrontare delle emergenze, appunto. Ebbene, questa è un'emergenza che non riguarda solo il presente, ma ancora di più il futuro del nostro Paese: se non ce ne rendiamo conto, ci aspetteranno tempi ancora peggiori di quelli tragici che stiamo vivendo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. La ringrazio, anche per essere stato nel tempo. Colleghi, devo avvisarvi che abbiamo un programma assai intenso: ci sono solo su queste mozioni ventidue iscritti a parlare, quindi dovrò essere rigidissimo sui tempi.
  È iscritto a parlare il deputato Giancarlo Giordano, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00076. Ne ha facoltà.

  GIANCARLO GIORDANO. Signor Presidente, onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, all'atto dell'insediamento del Governo ci ha colpito molto il modo in cui si è parlato dei giovani in quest'Aula come di coloro di cui prendersi cura volgendo il disagio in speranza. Si è ancora parlato degli educatori come di coloro che in tante classi volgono il disagio in speranza e a cui vanno restituiti entusiasmo e mezzi.
  È allora necessario, ma non sufficiente, leggere il rapporto OCSE 2012 per capire cosa succede nelle nostre scuole, statali e comunali, ogni giorno. Il rapporto ci dice che abbiamo uno dei livelli di istruzione superiore ed universitaria tra i più bassi, mentre è aumentato il numero dei ragazzi che non studiano, non hanno un lavoro e hanno smesso di cercarlo. Il costo medio per lo Stato di ogni studente e gli investimenti in istruzione ci colloca al trentaquattresimo posto su un totale di trentacinque. Il nostro mercato del lavoro è ostile ai laureati: le loro remunerazioni sono basse in controtendenza con i Paesi OCSE.
  Persistono le disuguaglianze: molti dei figli di genitori con livelli di istruzione non elevati rimangono a livelli bassi di istruzione, ma più semplicemente basta varcare la soglia delle nostre scuole statali e comunali, osservarle nei loro ambienti disadorni, parlare con gli insegnanti, con i loro dirigenti, con il personale ATA e con i genitori per capire cos’è successo negli ultimi anni. Mentre l'Europa sollecitava investimenti in istruzione e formazione per tutto l'arco della vita in risposta alla sfida della società della conoscenza e raccomandava di affrontare la crisi economica attraverso lo sviluppo intelligente, sostenibile e inclusivo, nel nostro Paese, in assoluta e voluta controtendenza, in seguito ad un'abile delegittimazione mediatica che ha fatto diventare casta di fannulloni e privilegiati anche i docenti meno pagati d'Europa, ha preso avvio dal 2008 il più consistente taglio di personale, offerta oraria in tutti gli ordini di scuola, istituzioni scolastiche autonome attraverso il dimensionamento di risorse finanziarie all'autonomia scolastica.
  Secondo Eurostat l'Italia è all'ultimo posto in Europa per percentuale di spesa Pag. 20pubblica in istruzione. I dati sugli abbandoni scolastici, sul fenomeno della dispersione dei NEET sono il frutto di ciò e già ora rappresentano costi sociali altissimi a cui nessuno pensa.
  A fronte di ciò, scuole paritarie private sono state finanziate con fondi pubblici. Non è più sostenibile questa strada.
  Noi chiediamo quali siano le intenzioni del Governo sul reclutamento per quanto riguarda la stabilizzazione del personale precario docente e ATA; la possibilità di pensionamento per il personale della scuola che ha maturato i requisiti al 31 agosto 2012; la nuova disciplina della formazione iniziale e del reclutamento; quali siano le intenzioni del Governo sul finanziamento in materia di ampliamento del tempo scuola; la revisione dei parametri di calcolo degli stanziamenti alle scuole pubbliche; e, ancora, quali siano le intenzioni del Governo sulla revisione dei parametri di calcolo del dimensionamento degli istituti scolastici, dei parametri di calcolo degli organici in contrasto con le norme della sicurezza, del sistema di norme che regolamentano il finanziamento pubblico alle scuole private e paritarie.
  Ci sono scelte politiche che dovrebbe essere patrimonio comune di un Paese. Quando i padri costituenti gettarono le fondamenta del futuro del nostro Paese vollero l'istruzione statale come strumento di emancipazione dei singoli e dell'intera comunità. Fu la risposta politica al determinismo sociale: gratuita, aperta a tutti, solidale nei confronti dei capaci e meritevoli privi di mezzi, laica.
  Se la scuola statale è prosciugata e la scuola privata e paritaria è finanziata, allora, data la violenza di questa crisi, è urgente porre all'ordine del giorno delle scelte della politica il tema del finanziamento prioritario, se non esclusivo, della scuola pubblica statale, perché la funzione della spesa pubblica è correlata all'idea di scuola che un Paese ha e ciò non può essere semplicisticamente rubricato alla voce ideologia.
  Il referendum di Bologna non è un rigurgito di velleitarismo, è un sentimento che la politica deve cogliere, è un grido di allarme dei cittadini che si sentono defraudati del fondamento di un patto sociale, quello stesso che si trova sancito nella Carta costituzionale. È preoccupante che la politica non tenga conto dei risultati dei referendum. L'opinione pubblica, secondo noi, è contraria a scelte...

  PRESIDENTE. Onorevole Giordano deve concludere.

  GIANCARLO GIORDANO. ... che modifichino la Costituzione con semplicistici atti di autorità. Diversamente da ciò, c’è l'invenzione della meritocrazia all'italiana, cioè l'inganno che fa passare per opportunità il perdurare della disuguaglianza (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Santerini, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00077. Ne ha facoltà.

  MILENA SANTERINI. Signor Presidente e onorevoli colleghi, la mozione da noi presentata intende non solo ribadire che la scuola, l'università, la ricerca e la cultura costituiscono un bene fondamentale per il Paese, ma soprattutto porre l'attenzione del Governo su alcuni nodi fondamentali su cui investire energie e risorse. Non basta cioè dire che la cultura, la scuola e l'università sono un bene fondamentale. Il ruolo della cultura e del sistema di formazione in particolare, risiede nell'attuazione del principio di una reale giustizia educativa, cioè il passaggio dalla proclamazione di pari opportunità di accesso alla responsabilità dei sistemi formativi nel produrre uguali possibilità di riuscita, facendosi carico delle differenze individuali e sociali a garanzia di una mobilità sociale che è indispensabile in una società democratica.
  Quindi un sistema di istruzione deve essere realizzato secondo parametri non solo di efficienza, ma di equità e non solo attraverso parametri di carattere economico, ma anche sociale ed ambientale, come ha mostrato il rapporto CNEL-Pag. 21ISTAT sul benessere equo e sostenibile. Anche la relazione del gruppo cosiddetto dei saggi dell'aprile 2013 indica tra le priorità la lotta agli squilibri tra le aree del Paese ed anche tra le singole scuole, messi in evidenza, tra gli altri, dai test Invalsi, dai dati OCSE-PISA e da tanti rapporti di Tuttoscuola e dalla fondazione Agnelli.
  In realtà ancora oggi il successo scolastico e formativo è condizionato dalle origini socio-economiche dei bambini e dei ragazzi, tanto che la probabilità di essere in ritardo alla fine delle medie da parte di uno studente figlio di genitori con licenza media è quattro volte superiore a quella del compagno figlio di genitori laureati.
  Sappiamo anche che appare particolarmente grave la carenza di sicurezza generata dallo stato di incuria dell'edilizia scolastica, su cui il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha focalizzato l'attenzione.
  Ancora, il nodo storico del reclutamento richiede decisioni coraggiose, ma anche orientate ad una prospettiva di futuro e di ringiovanimento del corpo docente, dato che il nostro corpo insegnante ha in media 50 anni, una delle medie più alte d'Europa.
  I salari dei docenti – lo sappiamo – restano tra i più bassi d'Europa, con il massimo, il top dello stipendio che arriva dopo 35 anni di carriera. È evidente che di fronte ad un quadro di questo genere è necessario investire più risorse. Il depauperamento della scuola e dell'università deve finire ed il Governo, così come ha fatto quello precedente, deve imprimere una forte inversione all'impoverimento dell'istruzione ed alla marginalizzazione della cultura. Dal 2008 al 2011 si è avuta una riduzione di spesa di circa il 5 per cento per la scuola, del 10,5 per l'università e del 14,7 per la ricerca e sappiamo bene come la spesa per l'istruzione, rapportata al PIL, sia largamente inferiore alla media OCSE.
  Sarebbe però limitante, di fronte a problemi di carattere globale, analizzare solo gli aspetti quantitativi senza vedere quanto occorra agire sulla scuola anche dal punto di vista qualitativo. Sono le idee per la crescita della scuola, dell'università e della cultura quello di cui abbiamo bisogno ora, idee per la crescita, non solo reclamare fondi. Sintetizzerei questo orientamento con un'immagine: non solo più politiche per la scuola o sulla scuola, ma politiche con la scuola.
  Per questo riteniamo che le riforme da effettuare non possano venire dall'esterno, ma dall'interno del sistema, rendendo protagonisti studenti, insegnanti, famiglie. La nostra mozione intende, quindi, chiedere di rendere effettiva l'autonomia delle scuole liberandole da vincoli eccessivamente burocratici e introducendo una maggiore libertà di sperimentazione per gli istituti, pur nel controllo delle performance complessive in uscita. L'obiettivo strategico dell'attivazione di una larga autonomia vale, sia per gli istituti scolastici, sia per gli atenei, con una responsabilizzazione piena dei vertici. La valutazione e l'autovalutazione delle scuole e degli atenei costituiscono la via maestra per evitare sprechi e valorizzare la qualità. Vanno messe a regime, rafforzando il sistema nazionale di valutazione delle scuole pubbliche, con il regolamento approvato nel marzo scorso.
  La cooperazione degli studenti e delle famiglie va promossa, facilitando tutte le forme di partecipazione anche economica alla vita delle istituzioni scolastiche e universitarie nella prospettiva di una sussidiarietà orizzontale, espressa dall'articolo 118 della Costituzione, concretizzando la possibilità di perseguire lo sviluppo della cultura come interesse generale da parte dei cittadini. Riteniamo anche che sia necessario che il Governo agisca sul nodo storico del reclutamento degli insegnanti, cercando di contemperare i diritti dei docenti precari e quello dei giovani laureati, promuovendo un auspicato ricambio generazionale e favorendo l'aumento del numero dei docenti maschi in un insegnamento che negli ultimi anni si è notevolmente femminilizzato. In particolare, il meccanismo dei concorsi, che va messo stabilmente a regime, presenta notevoli criticità per quanto riguarda i contenuti delle prove, nonché la competenza e le condizioni di lavoro degli esaminatori.Pag. 22
  Altrettanto centrale appare l'organizzazione di un sistema coerente tra formazione iniziale di tipo culturale, ma anche professionalizzante, armonizzata con i traguardi di competenze definiti dalle indicazioni nazionali, e la formazione in servizio che occorre potenziare e promuovere con risorse adeguate. Oggi la formazione continua è considerata un dovere professionale in ben 26 Paesi su 37 della rete Eurydice, mentre in Italia è facoltativa. In questo quadro, la scuola potrà riconoscere e creare figure di sistema collegate ad incentivi e ad una rendicontazione sociale dei risultati. Vanno prestate secondo noi particolare attenzione e risorse a una formazione dei docenti equilibrata tra la componente disciplinare e quella pedagogico-didattica finora trascurata, ma indispensabile per comprendere i nuovi bambini e adolescenti, agire sulla motivazione allo studio, affrontare i conflitti tra i pari, valorizzare gli stili di apprendimento, curare la dimensione socio-affettiva tra reale e virtuale, gestire le nuove forme di razzismo, intolleranza e bullismo anche in rete, mentre ancora oggi il 78 per cento delle scuole medie dichiara di praticare maggiormente la lezione frontale. I casi di maltrattamento degli alunni nelle aule scolastiche da parte degli operatori educativi che dovrebbero proteggerli mostrano come la loro formazione non debba curare solo gli aspetti culturali o intellettuali, ma siano necessarie nuove e più mirate modalità per selezionare persone eticamente competenti con attitudine alla professione educativa e personalità equilibrate. E la dimensione educativa va valorizzata anche sostenendo tutte le forme di partenariato tra gli insegnanti e gli educatori professionali e, più in generale, tra la scuola e il mondo associativo e del volontariato.
  Va valorizzata, in questo senso, la risorsa costituita dagli insegnanti per gli insegnanti, cioè le possibilità offerte da tutti i tirocini e le forme di tutoring per i docenti in formazione, creando e sostenendo modelli di alleanza tra scuole e università nella formazione attiva e partecipata dei docenti. Per questo, chiediamo che il Governo si impegni in un compito di inclusione, di una scuola inclusiva, equa, che porti a compimento quella democratizzazione che abbiamo svolto a partire dal dopoguerra. Non basta l'accesso all'istruzione se non si promuovono reali opportunità di riuscita.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Molteni, che illustrerà la mozione Buonanno e altri n. 1-00083, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

  NICOLA MOLTENI. Signor Presidente, intervengo per illustrare la mozione del gruppo Lega Nord e Autonomie, a prima firma Buonanno.
  Le scuole non statali raccolgono il 7 per cento della popolazione scolastica, pari a circa 700 mila studenti, dalle materne alle medie superiori. Per quanto riguarda la distribuzione nei vari gradi scolastici, un'indagine dell'Associazione scuole non statali assegna il 70 per cento degli iscritti alle scuole materne, l'8 per cento alla scuola elementare, il 9 per cento alla scuola media inferiore e il 13 per cento alla scuola superiore.
  Di fronte ad una tale situazione, dobbiamo concludere che la scuola statale è un nostro grande patrimonio, che si sta via via depauperando a causa non solo della diminuzione di risorse ad essa destinate, ma anche a causa di motivazioni di ordine culturale e di modelli di insegnamento; è necessario, quindi, innestare progressivamente all'interno del sistema scolastico italiano livelli sempre più ampi di competizione, abbandonando il modello basato sul monopolio statale dell'insegnamento.
  Per questo motivo, si ritiene che sia necessario garantire il massimo sostegno alla scuola non statale, incentivando così la concorrenza tra istituti scolastici e rendendo finalmente effettivo il diritto di scelta da parte delle famiglie. Bisogna riconoscere il valore della scuola non statale, consapevoli che, così facendo, anche quella statale sarà costretta a mettersi in gioco, aggiornando i programmi e introducendo sempre maggiori forme di autonomia nella didattica.
  Riteniamo necessario, pertanto, mettere in atto politiche volte a valorizzare la Pag. 23scuola privata, ma in un'ottica costante di miglioramento di quella pubblica, garantendo a tutti la possibilità di scelta, indipendentemente dalle capacità economiche: una scuola privata non elitaria, che consenta ad un numero sempre crescente di alunni di frequentare le scuole migliori, affinché pubblico e privato siano messi finalmente sullo stesso piano, ossia su un piano di virtuosa concorrenza, eliminando progressivamente il monopolio statale nell'educazione.
  Per una piena attuazione dell'autonomia scolastica e per recuperare competitività, la scuola deve poter contare su insegnanti con conoscenze culturali, storiche ed economiche del proprio territorio. In quest'ottica, una selezione basata sulle effettive capacità e preparazione in un quadro di valutazione omogeneo, con identici criteri di verifica a livello regionale, consentirebbe di centrare l'obiettivo, avviando un percorso virtuoso del quale si avvantaggerebbe l'intero Paese.
  Una soluzione potrebbe essere quella di intervenire sulla disomogeneità di valutazione, segnalata anche dalle indagini internazionali, che penalizza vaste aree del Paese, avviando un percorso di riequilibrio attraverso il reclutamento del personale docente tramite concorsi regionali e mediante lo scorrimento delle graduatorie provinciali ad esaurimento.
  Investire in cultura significa anche sviluppare la vocazione turistica di ogni singolo territorio, intendendo come cultura anche le bellezze naturali, gli usi, i costumi, le tradizioni e le manifestazioni popolari ed enogastronomiche di un luogo o di una regione, con lo scopo di valorizzarli.
  Per quanto attiene alla ricerca scientifica, bisogna necessariamente distinguere fra ricerca strategica di interesse generale e ricerca finalizzata, connessa con le attività produttive del territorio. È indispensabile, inoltre, distinguere tra soggetti deputati allo svolgimento dell'attività di ricerca pura e soggetti diversi, preposti a finanziarla e a coordinarla.
  Per quanto afferisce a quest'ultimo aspetto, è necessario sottolineare che il finanziamento pubblico si dovrebbe limitare ad investire nelle strutture essenziali per la ricerca, mentre la maggior parte degli interventi e finanziamenti dovrebbero provenire dal mondo produttivo, al fine di finalizzare gli studi a quei settori di punta per il mercato, evitando di disperdere le sempre più limitate risorse disponibili.
  A fronte di tutto ciò, con questa mozione impegniamo e chiediamo al Governo di intervenire per: prevedere interventi, anche di natura economica, che consentano di attuare effettivamente il principio di parità scolastica, dando così la possibilità agli alunni e alle loro famiglie di poter decidere in libertà il tipo di scuola da frequentare, tutto ciò a reale vantaggio di una rinnovata competitività tra modelli educativi e per il miglioramento dell'offerta formativa nel suo complesso; pervenire gradatamente al reclutamento degli insegnanti su base regionale, anche al fine di evitare le numerose richieste di trasferimento con conseguenti rallentamenti nell'organizzazione della didattica; valutare, in un quadro generale di salvaguardia e valorizzazione culturale del Paese, iniziative volte a promuovere la vocazione turistica e attrattiva dei singoli territori, che nell'attuale situazione di pesante crisi economica che attanaglia il Paese significa poter arrivare a vivere di cultura, con positivi risvolti occupazionali, intendendo come cultura anche le bellezze naturali, gli usi, i costumi, le tradizioni e le manifestazioni popolari di un luogo, in un'ottica di costante attenzione da parte delle istituzioni e degli enti interessati; infine, porre in essere politiche che nel settore della ricerca scientifica siano volte a incentivare il mondo produttivo e ad investire in ricerca e sviluppo, al fine di far riacquisire competitività al Paese e creare occupazione.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pes, che illustrerà anche la mozione Coscia ed altri n. 1-00084, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

  CATERINA PES. Signor Presidente, le politiche su istruzione, università, ricerca Pag. 24e cultura, negli ultimi cinque anni, sono state orientate verso la progressiva riduzione dei fondi, al punto che si è giunti a compromettere i livelli minimi di finanziamento, ma, soprattutto, gli stessi diritti di cittadinanza.
  Per quanto concerne le politiche dell'istruzione, con gli 8 miliardi di tagli operati a partire dal 2008, il nostro Paese ha intrapreso un sentiero opposto al resto dell'Europa: è diminuito il tempo della scuola, il sostegno ai bambini con bisogni educativi speciali, è aumentato il numero degli alunni nelle classi e si è messa in soffitta quella grande esperienza pedagogico-didattica che, per anni, è stata il fiore all'occhiello della scuola italiana: mi riferisco all'insegnamento per moduli della scuola primaria.
  L'ultimo rapporto OCSE del 2012 ha evidenziato che mentre la media degli investimenti di istruzione nei Paesi membri è cresciuta considerevolmente fino a raggiungere risultati pari al 5,7 per cento del PIL, l'Italia, in realtà, rimane al di sotto di questa media, non superando mai il 4,5 per cento. La stessa classifica la ritroviamo per il tasso di dispersione scolastica. La Strategia Europa del 2010, con l'Agenda di Lisbona, chiede, infatti, ai Paesi membri un intervento contro l'abbandono che, nel 2020, non superi il 10 per cento. Vi ricordo che oggi l'Europa ha un tasso di abbandono scolastico del 14 per cento. Un percorso molto difficile per il nostro Paese, che è al 18 per cento, con punte minime in Sardegna, in Sicilia, in Puglia, dove si arriva al 23 e, addirittura, al 26 per cento di abbandono scolastico. Dietro di noi solo la Slovacchia.
  Il rapporto annuale dell'ISTAT, ancora, fa emergere un vero e proprio allarme educativo: 2 milioni di giovani tra i 15 e i 24 anni, oggi, non sono né a scuola né al lavoro, un primato negativo in tutta Europa. Oltre il 50 per cento degli edifici scolastici non sono a norma e le nostre classi sono sovraffollate: per anni, si è parlato di «classi pollaio», non a caso. Nella scuola italiana, dal 2008, sono stati tagliati 132 mila posti in organico del personale. Ad oggi, centinaia di migliaia di docenti e di personale amministrativo sono precari. E mentre la classe docente italiana è la più anziana e la meno preparata in Europa, dal 2002, i giovani laureati che abbandonano l'Italia sono più che raddoppiati. Nel sistema universitario le cose non vanno meglio: esso presenta un modello di tassazione in Europa tra i più elevati – prima di noi ci sono solo il Regno Unito e i Paesi Bassi – e, nel contempo, presenta il peggiore sistema di diritto allo studio.
  Allora, se questi sono i dati, ci chiediamo quali sono gli errori commessi in questi anni. Intanto, quello di ignorare che istruzione e conoscenza sono le uniche risposte intelligenti alla crisi, perché contribuiscono alla crescita economica, perché aumentano il PIL e perché contribuiscono anche alla crescita civile di un Paese. L'errore è stato anche quello di ignorare che un Paese che non investe nella conoscenza e nell'istruzione è un Paese che inesorabilmente è condannato all'emarginazione sociale e civile.
  Per sfruttare le nuove tecnologie, ad esempio, per capire il linguaggio della modernità, per favorire l'innovazione, per assicurare la crescita economica e riassorbire la disoccupazione è importante investire sulla scuola, è importante investire sulla conoscenza, sull'università. Questi sono i motivi per cui abbiamo condiviso le linee programmatiche che il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Carrozza, ha esposto nel corso dell'audizione congiunta con le Commissioni VII della Camera e del Senato. Diceva Gramsci: «Istruitevi, perché abbiamo bisogno di tutta la vostra intelligenza». Ebbene, il nostro Paese sembra essersi dimenticato di questo. In quell'occasione, in occasione delle audizioni, il Ministro ha assunto importanti impegni nella direzione del rafforzamento del sistema pubblico dell'istruzione e anche per il ripristino dei fondi per l'università e la ricerca. Ma attenzione, se questa è la situazione del settore dell'istruzione in Italia, non meno critica è quella che riguarda il settore della cultura; anche in questo caso negli ultimi cinque anni abbiamo assistito ad una Pag. 25perdurante e progressiva riduzione dei finanziamenti; ne parleranno più approfonditamente i miei colleghi più tardi. Il caso emblematico della crisi in cui versa la cultura in Italia è Pompei e i suoi crolli. La riduzione delle risorse umane e finanziarie accompagnate da una colpevole indifferenza ha toccato negli anni gli interventi di tutela del patrimonio artistico e paesaggistico, dei beni culturali e dello stesso Fondo unico per lo spettacolo. È mancata una politica di insieme, non sono state valorizzate le competenze professionali, sono state abbandonate le piccole e medie imprese che operano nel settore. Anche qui, condividiamo con il Ministro Bray la convinzione che la cultura è un diritto, è un bene comune e in tutte le sue manifestazioni essa deve essere protetta e potenziata. Allora, se queste sono le premesse, e per queste premesse, chiediamo che il nostro Paese ritorni ad investire sulla conoscenza, per ritornare ai livelli di investimento della media OCSE; chiediamo che il Governo allenti il Patto di stabilità per poter consentire a regioni ed enti locali di mettere in sicurezza gli edifici scolastici e che si impegni a sostenere la proposta di legge d'iniziativa del Partito Democratico per destinare una quota dell'8 per mille alla gestione dell'edilizia scolastica perché la scuola è anche, e soprattutto, il luogo della scuola. Chiediamo, ancora, piena attuazione della scuola dell'autonomia con il rafforzamento e il finanziamento della legge n. 440 del 1997 – ci siamo battuti molto su questo anche nella scorsa legislatura – attraverso un piano triennale per l'organico funzionale, attraverso la definizione di un adeguato piano di valutazione nazionale, perché riteniamo che una scuola moderna è una scuola che viene valutata e si valuta, e di questo ha bisogno. Chiediamo che si investa sulle scuole dell'infanzia, che si investa nel tempo pieno e sul tempo della scuola, oltre che sui luoghi della scuola. Chiediamo di rilanciare adeguatamente l'istruzione tecnico-professionale facilitando l'alternanza scuola-lavoro e un opportuno collegamento con l'impresa e l'università. Chiediamo che venga definito un piano pluriennale di reclutamento per i giovani docenti, definitivo, attraverso concorsi e che, nel contempo, si avvii definitivamente un percorso coerente di immissione in ruolo del personale precario e che si risolva, ancora, la penosa vicenda dei docenti inidonei e del personale della scuola bloccato nel pensionamento, ricordiamo la quota 96, e il disegno di legge presentato dal Partito Democratico, della riforma Fornero, così da liberare migliaia di posti di lavoro per i giovani insegnanti. Chiediamo di ritornare ad investire sull'università, sul diritto allo studio, sul sostegno agli studenti universitari capaci; chiediamo di rivedere gli investimenti sul Fondo di finanziamento ordinario così tanto tagliato negli ultimi anni; chiediamo di ritornare ad investire sulla ricerca. Infine, chiediamo che venga eliminato il contingentamento delle assunzioni introdotto nel 2012 dalla spending review che ha messo a rischio, in questi anni, la sostenibilità della stessa offerta formativa.
  Insomma, infine chiediamo ancora di riprendere ad investire sulla cultura, sull'arte e sulla tutela del paesaggio, perché sono la nostra ricchezza, e sul lavoro e la professionalità di migliaia di lavoratori. Insomma, chiediamo più Europa.
  Perdonatemi infine un'ultima considerazione perché, in fondo, vale tutto il senso di quanto detto finora: dalla scuola viene l'orgoglio di essere umani, la scuola ci rende equi e azzera le distanze di partenza. Si è spesso parlato di cultura come di un semplice settore da finanziare, un capitolo marginale dell'agenda di Governo, dimenticando che la cultura produce pensiero, identità, cittadinanza. Cultura è un'idea di sviluppo fondata sul valore della diversità, sulla forza del dialogo, sulla libertà della ricerca intellettuale e dell'esperienza artistica, sulla bellezza del territorio, sulla coesione sociale e sullo spazio pubblico. Tornare a rivendicare la centralità della cultura per noi significa chiedere di cambiare modo di governare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

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  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Centemero, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00085. Ne ha facoltà.

  ELENA CENTEMERO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi accingo ad illustrare la mozione che riguarda il settore della scuola, dell'istruzione, della formazione, dell'università e della ricerca. Mi accingo ad illustrare la mozione che Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente ha presentato a partire da una visione che ci ha sempre accompagnato, cioè quella della strategia di Lisbona prima e poi come modificata nel 2010 dalla strategia Europa 2020.
  Le indicazioni dell'Unione europea, in particolare appunto dalla strategia Europa 2020, individuano un nuovo tipo di percorso basato sull'economia della conoscenza, caratterizzato da riforme profonde e volto a promuovere una crescita sostenibile e intelligente, l'occupazione, l'innovazione, la competitività e il rafforzamento della coesione sociale, economica e territoriale degli Stati membri. È necessario dunque, in un momento di grave crisi economica e finanziaria come quello che attraversa il nostro Paese in questo momento, ridefinire la spesa pubblica e gli investimenti nell'istruzione, nella formazione, nell'università e nella cultura, in particolar modo in linea con le indicazioni e gli obiettivi della strategia Europa 2020.
  Tra le priorità della strategia viene individuata una crescita basata sulla conoscenza, l'obiettivo è quello di creare uno spazio europeo della conoscenza che consenta a tutti gli attori – studenti, docenti, ricercatori, istituti di istruzione, centri di ricerca e imprese – di beneficiare della libera circolazione delle persone, della conoscenza e delle tecnologie e pertanto di supportare e incentivare tutte le misure volte alla mobilità. Uno infatti dei punti degli impegni che noi chiediamo al Governo è quello di far sì che, a partire dalla raccomandazione del 18 dicembre 2006 sulle competenze chiave per la formazione permanente, si mettano in atto quindi delle politiche volte alla formazione, ad una formazione di qualità ma soprattutto ad una formazione che continua e che faccia propria e recepisca un'altra indicazione dell'Unione europea che è venuta nel 2009, dopo un lungo percorso su cui l'Unione europea si è concentrata e ha posto la sua attenzione, cioè il dialogo impresa e università, che spinge sempre di più le politiche di riforma dei diversi Governi a incentivare e implementare la collaborazione; una collaborazione che sia sempre più costante e fattiva tra il mondo della formazione – una formazione che deve essere per tutto l'arco della vita, non limitata semplicemente ai momenti di formazione formale ma ampliandola anche alla formazione non formale – e il territorio, le imprese del territorio e gli enti locali, portando quindi a compimento un aspetto.
  È questo un altro dei punti su cui chiediamo con forza un impegno al Governo, che è quello di portare finalmente a compimento la famosa autonomia scolastica, la cui volontà politica fu espressa proprio dalla legge Bassanini nel 1997 e quindi far sì che l'autonomia, il percorso di autonomia delle istituzioni scolastiche diventi qualcosa di operativo.
  Perché diventi qualcosa di operativo si deve far sì, innanzitutto, che le scuole abbiano un'autonomia, non solo didattica e di ricerca, ma anche finanziaria. Per cui, tra gli impegni che chiediamo al Governo (su cui si è già espresso chiaramente il Ministro Carrozza nell'audizione che si è tenuta giovedì scorso nella riunione delle VII Commissioni congiunte al Senato), vi è quello di adottare delle politiche che – attraverso una programmazione certa, ma anche pluriennale, triennale, dei finanziamenti al sistema di istruzione delle scuole, ma anche delle università – vadano ad implementare il Fondo di funzionamento ordinario e anche gli ITS e cioè quel settore terziario dell'istruzione, particolarmente teso a favorire l'inserimento degli studenti e dei giovani nel mercato del lavoro, facendo acquisire delle professionalità forti, in modo da permettere di disporre di un budget finanziario e di un'autonomia tale da poter utilizzare le Pag. 27risorse pubbliche in base ad obiettivi e a livelli essenziali delle prestazioni standard, che devono essere definiti a livello nazionale. Quindi tutto ciò, visto che nell'audizione il Ministro si è dichiarato disponibile, nell'ambito di una definizione di una spesa in base a costi standard. La definizione di risorse stabili va a tutto il nostro sistema di istruzione e di formazione, quindi fa sì che veramente venga garantita la scuola pubblica – così come viene definita nella legge Berlinguer, la legge n. 62 del 2000 – in un sistema pluralistico integrato di istruzione.
  Accanto a ciò, è fondamentale individuare delle modalità che siano anche innovative per esercitare il diritto allo studio in tutta la nostra filiera di istruzione, attraverso la creazione di borse di studio, ma anche attraverso percorsi che forniscano servizi agli studenti attraverso delle agevolazioni, pensiamo ad esempio alla Carta degli studenti. Una scuola di questo tipo, una scuola che vuole investire su se stessa, una scuola che vuole usare bene le risorse deve anche essere disponibile a valorizzare, attraverso un sistema nazionale di valutazione, la propria classe docente, la propria istituzione scolastica e a sviluppare, proprio nell'ottica – come si diceva prima – della valorizzazione dell'autonomia, il sistema nazionale di valutazione che permetta la trasparenza innanzitutto, ossia di rendere trasparenti agli utenti, alle famiglie, agli studenti, alle comunità locali e allo Stato i risultati nell'ottica di un miglioramento continuo e costante, dell'equità e dell’accountability, sistema questo che è importante e determinante. Ciò, quindi, attraverso la valutazione di risultati che siano trasparenti per tutti: per le comunità, per gli studenti, per i docenti, per il Ministero stesso, per lo Stato e per tutti quanti noi, attraverso forme di autovalutazione con parametri che devono essere definiti, sia a livello quantitativo, che qualitativo in modo chiaro, a partire da quella che è stata una progettualità che ci ha visti impegnati dal 2010, 2011. Penso a quelle che sono stati i progetti VSQ e Valorizza.
  Accanto a questo, noi chiediamo una rendicontazione pubblica, trasparente, che si chiama «bilancio sociale».
  La centralità della formazione dei nostri studenti, nell'ottica internazionale e in un ottica europea, secondo i parametri che ci vengono indicati proprio dall'Unione europea, che ci spinge sempre di più a implementare una formazione di alto livello e di qualità, non possono che passare anche attraverso la valorizzazione della professionalità dei docenti. Per questo, noi chiediamo che venga ripensato un sistema di reclutamento e che venga sbloccato il turnover, anche a livello universitario. Pensiamo a un nuovo sistema di reclutamento che permetta alle giovani generazioni di dare il proprio contributo all'interno delle scuole e che non vada ulteriormente ad implementare graduatorie o che crei ulteriore precariato.
  Accanto a questo ci vuole un piano di formazione, soprattutto se noi pensiamo a quello che è un altro elemento a cui ci spinge l'Unione europea, che è propriamente l'Agenda digitale, quindi l'innovazione digitale, che deve diventare uno strumento di formazione dei nostri studenti. Per questo, c’è bisogno di un piano di formazione dei nostri docenti e di chi utilizza queste nuove tecnologie dell'ICT o del learning by doing, proprio nell'ottica di formare gli studenti.
  Accanto a questo – e visto che siamo in un momento di revisione istituzionale e costituzionale –, chiediamo anche che venga ripensata la Parte seconda della Costituzione e, quindi, l'articolo 117, in particolar modo per quanto riguarda il sistema d'istruzione e di formazione, per far sì che si vengano definite competenze chiare...

  PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Centemero. Le chiedo scusa.

  ELENA CENTEMERO. Parlerei a lungo, perché questa è sicuramente una materia che appassiona tutti quanti noi.

  PRESIDENTE. Me ne rendo conto. In un'altra discussione...

Pag. 28

  ELENA CENTEMERO. Lascio da leggere la mozione. Il nostro impegno per una scuola di qualità, che abbia risorse certe nel tempo, e per una scuola pluralistica è espresso all'interno di questa mozione.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Carocci. Ne ha facoltà.

  MARA CAROCCI. Onorevole Presidente, colleghe e colleghi, da troppi anni la scuola e l'istruzione sono considerate esclusivamente come una spesa, con il risultato di avere operato a loro danni tagli devastanti.
  Proviamo, invece, a fare il ragionamento inverso: non quanto costa la scuola, ma quanto costa al Paese non investire in istruzione. Partiamo dall'inizio, dai servizi per l'infanzia, dal cosiddetto 0-6. La letteratura scientifica sottolinea, sempre di più, l'importanza di un'esposizione precoce alla socializzazione scolastica come condizione che favorisce il successivo percorso. Il carattere insufficiente e tardivo degli investimenti in capitale umano provoca il declino della performance scolastica e lavorativa. L'analisi dei costi e dei benefici mostra come l'investimento nei primi anni di vita abbia rendimenti più elevati rispetto ad investimenti fatti più tardi. Più a lungo si aspetta a intervenire, infatti, più costoso diventa rimediare a esiti scolastici o comportamentali negativi.
  Secondo l'ISTAT, l'anno scorso solamente il 13,9 per cento dei bambini da 0 a 2 anni frequentava un nido. Siamo ancora molto lontani dalla soglia del 33 per cento indicata dal Consiglio europeo nel 2000 come obiettivo da raggiungere entro il 2010. Riteniamo che debba considerarsi prioritario il raggiungimento di questo obiettivo attraverso un piano straordinario per i servizi educativi della prima infanzia, trasformando l'asilo nido da servizio a domanda individuale a diritto educativo di ogni bambino.
  Insufficiente in molte zone del Paese e in sofferenza anche là dove è stata sempre tradizionalmente avanzata anche la capacità di offerta di posti nella scuola dell'infanzia, sempre a causa dei tagli di spesa. Servizi scarsi e spesso costosi hanno, inoltre, come conseguenza bassa natalità e bassa occupabilità delle donne italiane. Nelle statistiche dell'OCSE, l'Italia è indietro, sia per fertilità sia nel rapporto tra fertilità e occupazione femminile. Non assicurare ai bambini italiani il diritto a una scolarizzazione precoce significa anche non assicurare il diritto al lavoro alle donne italiane: una doppia esclusione che l'Italia non può più permettersi, anche per il preoccupante aumento della povertà infantile.
  Come abbiamo detto, una precoce scolarizzazione incide positivamente sul successivo percorso scolastico. In Italia, la quota dei giovani dai 18 ai 24 anni che ha abbandonato gli studi prima di conseguire il titolo di scuola media superiore è pari al 18,2 per cento contro il 13,5 per cento dei Paesi UE.
  L'abbandono scolastico è motivo di grave preoccupazione, perché concorre in modo determinante all'esclusione sociale nelle fasi successive della vita. Si prevede che in futuro, in Europa, soltanto un impiego su dieci sarà alla portata di chi abbandona prematuramente la scuola.
  Il costo complessivo, su tutto l'arco della vita, per ogni studente che abbandona la scuola è stato quantificato tra 1 e 2 milioni di euro. Per questo, uno degli obiettivi principali su cui poggia la strategia «Europa 2020» è l'obiettivo del 10 per cento in materia di abbandono scolastico.
  È necessario essere consapevoli dei costi economici, ma anche sociali, dell'abbandono scolastico. Troppo spesso l'esclusione dall'istruzione si accompagna ad esclusione sociale, problemi sanitari, coinvolgimenti in attività criminali, inattività. È necessario assicurare uno sforzo di miglioramento della qualità dell'istruzione per tutti, corredato da approcci mirati al sostegno delle persone maggiormente a rischio.
  Altro obiettivo posto nella strategia «Europa 2020» è che almeno il 40 per cento dei giovani tra i 30 e i 34 anni Pag. 29consegua un titolo di studio universitario equivalente. In Italia siamo al 19 per cento.
  Allora, calcoliamo a quanto ammontano i costi individuali (esclusione, precarietà, insicurezza, sudditanza), i costi sociali (spese per la salute, criminalità, democrazia poco partecipata), i costi economici (bassa produttività, scarsa innovazione, basso livello di sviluppo).
  La prima fonte di ricchezza di uno Stato è la sua popolazione. Chiediamoci: quanto rende l'istruzione ? Lo studio «Education at a Glance» del 2012 dimostra che i Paesi OCSE ricevono un beneficio netto di circa 100 mila dollari dovuti a maggiori entrate tributarie e altri risparmi per ogni laureato: circa tre volte l'ammontare dell'investimento pubblico.
  Per questo, riteniamo indispensabile che l'intervento sull'istruzione sia una delle priorità del nuovo Governo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. La ringrazio molto, anche per la puntualità.
  È iscritta a parlare l'onorevole Costantino. Ne ha facoltà.

  CELESTE COSTANTINO. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghe e colleghi, in questi anni la politica istituzionale ha utilizzato una grande retorica intorno ai problemi delle nuove generazioni, retorica accompagnata da scelte che si sono dimostrate sbagliate. Adesso siamo ad un punto di non ritorno, per cui o questo Paese decide davvero di partire dalla scuola e dall'università per compiere delle scelte nette e precise, che permettano trasformazioni reali, oppure anche questa legislatura sarà ricordata, in continuità con quelle dei Governi Monti e Berlusconi, come una legislatura dalle lacrime di coccodrillo.
  Proprio questa mattina gli studenti della Rete della Conoscenza hanno presentato i risultati di un referendum, svoltosi dal 15 aprile al 4 maggio, che ha coinvolto quasi 100 mila studenti, a cui è stato chiesto di esprimersi sui nodi centrali del loro quotidiano formativo e la qualità della loro vita universitaria. Da questa ricerca emerge in maniera drammatica la sensazione di incertezza nei confronti del futuro a causa della disoccupazione e della precarietà lavorativa: un tema sempre evocato, ma mai affrontato dalla politica.
  Questo è il terrore di chi studia e non sa cosa succederà dopo la fine del percorso accademico, questo è il terrore di chi non si può permettere questo percorso di studi, questo è il terrore di chi non ci crede più e decide di stare fermo. I dati, da questo punto di vista, sono impietosi. L'ultimo rapporto OCSE, per esempio, disegna un quadro disastroso per l'Italia. Siamo agli ultimi posti per il livello di istruzione superiore e universitaria, i diplomati sono il 44 per cento contro la media europea del 66 per cento, i laureati appena l'11 per cento contro la media europea del 23 per cento, la metà.
  Strettamente legato a tali dati è l'aumento del numero dei cosiddetti NEET, giovani che non sono inseriti in percorsi di istruzione o formazione, che non hanno un impiego e che hanno smesso di cercare un'occupazione. In un quadro grave per tutto il Paese, i dati più allarmanti provengono dal Sud: lì quasi il 30 per cento dei giovani dai 15 ai 29 anni ha smesso di sperare.
  Il diritto allo studio è sempre minacciato dall'insufficienza delle risorse finanziarie. Da questo punto di vista, ha fatto un vero e proprio capolavoro la riforma Gelmini: ha determinato molti gravi danni nell'offerta strutturale e didattica. E il Governo Monti ha tolto 300 milioni di euro al Fondo di finanziamento ordinario, la principale fonte di entrata degli atenei italiani, con il risultato che molte università sono sull'orlo del default, un rischio concreto in assenza di provvedimenti rapidi che assegnino nuove risorse all'università.
  Tutto questo ha conseguenze molto concrete sul sistema formativo e sulla vita dei nostri studenti. Per esempio, ha come conseguenza, da un lato, una limitata platea di aventi diritto al sistema delle Pag. 30borse di studio, dall'altro ha fatto nascere la figura dell'idoneo non beneficiario, ovvero dello studente che ha diritto alla borsa secondo criteri previsti dal bando, ma non riceve la borsa di studio a causa della scarsità dei finanziamenti nazionali. Non si tratta di un fenomeno marginale: nel 2011-2012 gli studenti idonei non beneficiari di borsa di studio sono stati 57 mila e la cifra è in costante aumento.
  Lo stesso discorso vale per gli alloggi: in media l'alloggio viene garantito ad uno studente su due degli aventi diritto. Anche i servizi mensa peggiorano di anno in anno.
  Ci sono fenomeni di cui la politica porta grave responsabilità: il calo drastico del 17 per cento delle immatricolazioni o il fenomeno della fuga dei cervelli, una vera emorragia a cui non riusciamo a mettere fine.
  Per noi, dalla crisi economica si esce con più investimenti nella scuola, nell'università e nella cultura, quella stessa cultura a cui in maniera pervicace si continuano a tagliare le risorse del Fondo unico per lo spettacolo, il FUS.
  È stata, nel corso degli questi anni, tolta la possibilità di contribuire al mantenimento e al rilancio della cultura e dell'arte italiane ed è stata impedita la fruizione a tutto ciò che a fatica continua ad esistere. Delle generazioni che non possono studiare, andare a teatro, al cinema o a vedere una mostra sono generazioni condannate alla povertà e all'infelicità.
  Ecco perché noi chiediamo a questo Governo di aumentare la qualità complessiva dell'istruzione pubblica, recuperando i tagli effettuati negli ultimi anni, pari a circa il 6 per cento del suo bilancio; di intervenire in materia di diritto allo studio per disciplinare in maniera estensiva le garanzie di accesso, specie per gli studenti più deboli e migranti, alle borse di studio, agli alloggi, alle mense, ai trasporti; di aprire un tavolo per superare il problema del numero chiuso nell'accesso all'università; di aumentare i contributi per progetti come Erasmus e Leonardo che favoriscono la mobilità internazionale e lo scambio di esperienze; di assegnare al Fondo di finanziamento ordinario dell'università risorse sufficienti a sostenere i fabbisogni dell'università pubblica e comunque non inferiori a 300 milioni di euro; di incrementare nell'ambito del Piano nazionale della ricerca la percentuale di PIL destinata alla ricerca e allo sviluppo, in modo da favorire il raggiungimento degli obiettivi europei entro il 2020.
  Presidente, concludo: una scuola e una università che funzionano, una ricerca libera di esprimersi, un'industria culturale efficiente, la valorizzazione della creatività sono la lente attraverso cui guardare al futuro. L'istruzione e la cultura non sono un costo, sono un investimento, l'unico possibile per abbattere le incrostazioni di questo Paese, rinnovare la classe dirigente e sconfiggere la crisi.
  Ci sono gli studenti che aspettano risposte chiare dalla politica, ci sono centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori che devono tornare ad essere considerati una risorsa per il Paese, lo strumento per costruire l'Italia di domani.
  La crisi si affronta a partire da qui, altrimenti per l'Italia non ci sarà futuro (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. La ringrazio.
  È iscritta a parlare l'onorevole Malpezzi. Ne ha facoltà.

  SIMONA FLAVIA MALPEZZI. Grazie, Presidente. È bello sentire oggi in quest'Aula parlare di scuola, università, ricerca, cultura, nel tentativo di restituire la giusta dignità ad ambiti sui quali si basa il nostro futuro e che invece nel corso di questi anni sono stati sistematicamente umiliati.
  La mozione del Partito Democratico, che ha ben illustrato l'onorevole Pes, affronta in modo inequivocabile i problemi che il mondo della cultura e dell'educazione vivono quotidianamente. Non sono problemi astratti, perché ricadono pesantemente sui nostri figli e sulle nuove generazioni, che rischiano di essere condannate ad un ruolo di subalternità in Europa se non si interviene.Pag. 31
  E se rischiano le nuove generazioni, rischia l'Italia.
  I dati sono allarmanti ed è preoccupante la situazione del nostro Paese rispetto all'abbandono scolastico. Tale dato non può però essere scorporato dalla situazione vissuta dagli insegnanti, che – troppo spesso lo dimentichiamo – sono il tassello fondamentale su cui puntare per la lotta alla dispersione. L'Italia non valorizza i suoi docenti e non tiene conto che la qualità di un sistema educativo non può superare quella dei suoi insegnanti. Se un sistema scolastico vuole essere di alto livello, deve prestare attenzione alla selezione e alla formazione del personale. Essere insegnanti dovrebbe diventare una delle professioni più ambite. Sfido chiunque, qui, oggi, ad augurarsi invece che il proprio figlio o la propria figlia percorra quella strada.
  Allora, dobbiamo intervenire. Gli insegnanti devono essere messi nella condizione di ampliare le loro strategie pedagogiche per poter affrontare tutte quelle diversità di interessi e di abilità degli studenti in una scuola che, per funzionare, deve prevedere sempre più una pluralità di interventi. Invece, gli insegnanti sono stati messi in «classi pollaio», pericolose per gli studenti e poco efficaci per la didattica. Il sapere è stato omologato, si è data una spolverata all'immagine della scuola italiana, dotandola – oltretutto solo in parte – delle lavagne multimediali e parlando di tablet, ma non ci si è preoccupati di restare vicini ai docenti, che soprattutto in alcune zone d'Italia si trasformano in assistenti sociali, mediatori culturali e in vari altri ruoli improvvisati, perché lo Stato non c’è.
  Dobbiamo ritornare a credere che gli insegnanti possono fare la differenza nell'educazione dei propri alunni e dobbiamo metterli in condizione di fare il loro mestiere. L'insegnante non è un pezzo di una catena intercambiabile. La continuità didattica deve essere garantita e le compresenze, elemento portante di un tempo pieno che deve essere ripristinato, devono tornare ad essere una delle chiavi per una didattica efficace e non essere considerate – come qualcuno ha detto – gli ammortizzatori sociali per gli insegnanti.
  Il lavoro del docente non può essere computato a ore e gli insegnanti non possano essere trasformati in contabili dell'educazione, che è invece un processo continuo. E proprio perché è un processo continuo, bisogna riconoscere ai docenti il loro ruolo. L'insegnante è un ricercatore. Insegnare è una scienza, che va coltivata. Dobbiamo consentire e garantire ai nostri docenti il migliore degli aggiornamenti possibili, che non può gravare sulle loro spalle. È lo Stato che ci deve credere, che deve dare fiducia ai propri docenti e non trattarli come un mero numero.
  Qualcuno, ancora oggi, si ostina a dire che gli insegnanti sono troppi. Noi sosteniamo che sono troppo pochi e in questa differente visione è contenuta la diversa concezione del valore dell'educazione. Se pensiamo che i ragazzi siano semplici contenitori in cui inserire nozioni, allora sì che gli insegnanti sono troppi e anche inutili. Ma se invece riteniamo che essi siano lo strumento attraverso il quale gli alunni riescono a trovare sé stessi, a raggiungere gli stessi obiettivi, pur partendo da potenziali diversi, che non sempre sono di natura cognitiva, ma soprattutto di carattere sociale, ad amare il sapere sotto qualsivoglia forma, a portare avanti quel vero processo di inclusione, dove nessuno resta indietro, vincendo così la battaglia contro la dispersione scolastica, allora gli insegnanti non saranno mai abbastanza (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Rocchi. Ne ha facoltà.

  MARIA GRAZIA ROCCHI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono trascorsi sedici anni dall'entrata in vigore della legge 15 marzo 1997, n. 59, che con l'articolo 21 introdusse una nuova concezione del sistema scolastico, declinando i principi per l'autonomia didattica, organizzativa, di ricerca e sviluppo e finanziaria per ogni scuola. Dopo sedici anni ci domandiamo: Pag. 32ma di quale autonomia stiamo parlando ?
  L'autonomia scolastica è stata la grande riforma dell'ultimo quindicennio, una riforma realmente strutturale che, nonostante tutto, ha permesso al sistema dell'istruzione e formazione di reggere a una stagione di impoverimento e di arretramento centralistico, del tutto controcorrente sia con quanto previsto dal regolamento, sia con le linee di tendenza degli altri sistemi educativi europei.
  Una stagione che ha mortificato le attese, gli sforzi, gli investimenti in conoscenza di molti dirigenti e docenti.
  Dalle indagini sull'autonomia condotte nelle scuole italiane e, soprattutto, dalle ricerche sui sistemi europei e sulle forme di autonomia realizzate nei vari Stati, risulta che le migliori performance non sono correlate unicamente alla quantità di risorse impiegate, ma anche alla qualità delle persone e alla cultura dell'autonomia nonché al grado di coesione e coinvolgimento da parte degli attori presenti a tutti i livelli del sistema. In particolare, si evidenzia come il passaggio da un modello comune di scuola imposto dal centro e che minimizza le responsabilità decisionali delle singole scuole ad un modello in cui ogni istituzione è soggetto responsabile della propria proposta culturale, formativa e organizzativa, rappresenta la via più concreta per condurre ciascuna scuola verso la qualità, intesa come capacità reale di rispondere in modo efficace ai differenziati bisogni formativi dei bambini e dei ragazzi. Permette crescita dell'uguaglianza delle opportunità educative e didattiche; favorisce lo sviluppo dei collegamenti con il territorio ed atteggiamenti di consapevole coinvolgimento degli studenti e delle famiglie nonché degli altri stakeholders nelle strategie di politica scolastica locale; genera maggiore disponibilità delle scuole al lavoro in rete, allo scambio di risorse, alla loro ottimizzazione; favorisce la consapevolezza degli operatori verso l'importanza della valutazione dei processi e dei risultati.
  L'autonomia progettuale postula ed esige una seria valutazione da parte dei soggetti individuali e collettivi responsabili della progettazione. Emerge, dunque, la stretta connessione tra valutazione e autonomia per più ordini di questioni. La valutazione, infatti, può essere uno strumento di concreto esercizio di responsabilità, può assumere la funzione di autoregolazione dei processi innescati nella scuola e orientare azioni di miglioramento. A livello generale, concorre, insieme alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e delle competenze, alla tenuta nazionale del sistema di istruzione, componendo l'azione delle scuole autonome con l'istanza di unitarietà.
  Le resistenze che il mondo della scuola ha manifestato per le diverse forme di valutazione sono figlie della mancanza di chiarezza rispetto alle diverse dimensioni della valutazione. Il timore di un uso improprio di una rilevazione sugli apprendimenti sorge quando si teme che essa si trasformi unicamente in materia per un'operazione sanzionatoria e classificatoria. Dunque è essenziale che un sistema valutativo debba essere chiaramente orientato, da un lato, a supportare le scuole nelle loro azioni di miglioramento, dall'altro, a fornire indicazioni per le politiche di riequilibrio necessarie per interventi mirati a sostegno delle situazioni scolastiche di sofferenza. È un sistema valutativo lontano dal criterio per cui premiando una pretesa produttività si confermano le differenze e gli squilibri, piuttosto che concorrere a rimuoverli.
  Riconquistare la fiducia della scuola, rimettendo in marcia l'autonomia scolastica umiliata da almeno un quinquennio di tagli e centralismo, è un passaggio indispensabile che esige rinnovamento amministrativo, stabilità di risorse strutturali, tecnologiche, finanziarie e professionali. Occorre superare rigidi meccanismi di determinazione delle dotazioni organiche annuali per passare all'organico funzionale che garantisce stabilità ai docenti. Occorre rifinanziare la legge n. 440, ridotta di oltre due terzi: se questo rifinanziamento fosse sostanziale, il 20-30 per cento di offerta didattica aggiuntiva prevista dai nuovi regolamenti delle superiori cesserebbe di Pag. 33essere solo una formale possibilità priva di strumenti attuativi concreti; sarebbero possibili arricchimenti dell'offerta formativa, programmi di integrazione territoriale per il contrasto alla dispersione, diffusione della didattica lavoratoriale, potenziamento del sostegno delle diverse abilità.
  L'autonomia va quindi rivendicata con orgoglio e il suo rilancio posto alla base di una nuova politica scolastica, dando così senso alla legge costituzionale del 2001 che riconosce all'autonomia scolastica dignità costituzionale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Molea. Ne ha facoltà.

  BRUNO MOLEA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il grado di civiltà di un Paese si misura dal livello del suo sistema di istruzione e formazione. Solo mettendo l'educazione al centro dell'agenda politica è possibile far partire oggi l'Italia di domani. Bisogna invertire la tendenza a disinvestire nella scuola facendo gradualmente crescere gli investimenti in educazione a un ritmo pari a quello della crescita del PIL. In questi ultimi anni la scuola è stata sottoposta ad una serie infinita di proposte di cambiamento relativamente ai programmi scolastici, ai contenuti disciplinari e all'organizzazione didattica a cui hanno fatto seguito intensi dibattiti e contrapposizioni. Si è creata molta confusione e poche sono state le cose effettivamente valide in grado di produrre positive innovazioni.
  Occorre avere il coraggio di usare tutte quelle leve che possono migliorare in profondità il nostro sistema di istruzione e formazione, mettendo ogni singola istituzione scolastica e formativa nelle condizioni di poter lavorare in modo da dare a tutti i giovani l'opportunità di trovare una strada per inserirsi nella società e nel mondo del lavoro, dando in tal modo un contributo per la crescita del Paese.
  La qualità dell'educazione dipende da un modello di sistema educativo integrato attraverso il quale puntare a rivalutare il nesso famiglia, scuola, territorio, associazioni, centri educativi e di aggregazione, sport come fonte di reciproco arricchimento e di sinergia assolutamente indispensabile non solo per l'istruzione ma per un'autentica formazione umana del figlio-studente. Nella scuola si realizza un processo di produzione di cultura e di educazione. Al centro del sistema educativo si pone il patto famiglia-scuola per un'essenziale convergenza tra genitori e insegnanti che aiuti il ragazzo a non disorientarsi. La relazione di scambio tra famiglia e scuola può essere concepita come patto educativo solo se i contraenti chiariscono al meglio cosa si danno e cosa si chiedono reciprocamente ossia i diritti e i doveri che contraggono gli uni verso gli altri.
  Nell'azione educativo-didattica la scuola si impegna ad andare incontro all'alunno nella sua situazione personale. Nella comunità educativa della nostra scuola si individuano problemi e criteri e si analizzano situazioni, si identificano mete adeguate, si vive responsabilmente e costruttivamente, verificando periodicamente la validità delle programmazioni rispetto agli obiettivi, alle metodologie e all'incidenza educativa. La nostra comunità educativa scolastica viene a costruire il luogo nel quale si fa esperienza di preventività educativa, dove il giovane è aiutato non solo ad evitare esperienze negative, che potrebbero compromettere la crescita, ma è reso capace di prevenire gli effetti dell'emarginazione e della povertà, perché stimolato da una presenza educativa che promuove in lui la capacità di scelte libere e rette. Così egli diviene soggetto attivo della propria maturazione e di quella degli altri all'interno di una rete di tutela e di protezione costituita dal territorio, dalla famiglia, dei servizi e dalle associazioni.
  Occorre lavorare nella scuola affinché sia un luogo privilegiato insieme alla società civile, con la sensibilizzazione, la formazione e l'educazione delle giovani generazioni alla partecipazione, alla coscienza critica e alla cittadinanza attiva. L'ottica è, quindi, quella di promuovere la convivenza civile e democratica, il radicamento Pag. 34dei valori civili, l'individuazione dei bisogni fondamentali per i cittadini, stimolando e sostenendo i giovani nella costruzione del proprio futuro mediante scelte consapevoli e responsabili. Le tante esperienze organizzate a livello di istituto, utilizzando sia l'orario curriculare che extracurricolare, meritano di trovare ampi spazi di prova e di verifica delle competenze maturate non solo nell'incontro e nel confronto con i compagni del proprio istituto ma in un ambito più ampio che coinvolga e che utilizzi il territorio comunale e provinciale e, ove possibile, anche quello regionale e nazionale, il territorio e il mondo esterno per esprimere a pieno quelle abilità apprese nella scuola: una verifica maturata dai comportamenti e dallo stile acquisiti, da adottare nei rapporti con gli amici, le amiche, con gli adulti, nella quotidianità della pratica sportiva e nel corso di competizioni o di manifestazioni ricreative. In termini più sintetici potrei dire che il sapere, il saper fare, il saper essere e, aggiungo, anche il sapere essere di più, il corpo, movimento e sport, costituiscono i tratti essenziali da apprendere per il formarsi della personalità complessiva dello studente e, quindi, della persona.
  Il progetto scolastico trova la sua completa attuazione con la partecipazione a molteplici esperienze territoriali organizzate dai diversi attori del territorio, perché riesce a fornire agli studenti l'immediata verifica degli apprendimenti in un ambiente di gioco e di competizione, con una rete di protezione diversa da quella opportunamente costruita nell'istituto, con la presenza di molti altri soggetti, e di conseguenza con una più autonoma espressione delle capacità maturate.
  Non si può tuttavia accettare di mandare a scuola i nostri figli in scuole insicure e decadenti. È importante realizzare il piano pluriennale di rinnovo graduale degli edifici scolastici e per questo occorre salvaguardare le spese di investimento e manutenzione ordinaria per le scuole delle province e dei comuni, studiando ad esempio forme di esclusione dai patti di stabilità che bloccano le risorse. Occorre creare un fondo per l'edilizia scolastica dove far confluire beni inutilizzati dal demanio, beni confiscati alla mafia, risorse statali ed europee, per avere più risorse disponibili nella programmazione regionale, ed essere in grado anche di attrarre investimenti privati. L'emergenza dell'edilizia scolastica è un problema serio, è un problema reale, il cui aspetto più importante è quello legato alla sicurezza strutturale. Parliamo infatti di un patrimonio immobiliare di circa 40.000 edifici, di cui il 44 per cento costruiti tra il 1961 ed il 1980, il 4 per cento addirittura prima del 1900. Questi edifici necessitano di interventi urgenti di messa in sicurezza, oltre agli adeguamenti necessari per stare al passo con la nuova didattica, incentrata sull'innovazione tecnologica o efficientamento energetico. Si ribadisce dunque la necessità di un piano condiviso con gli enti locali, sia per la messa in sicurezza sia per la costruzione di nuovi edifici scolastici, con la certezza di risorse adeguate e stabili nel tempo, che consentano una programmazione territoriale.
  Si pone un nuovo problema quindi: l'edilizia scolastica e le competenze degli enti locali: per le scuole primarie dei comuni e per quelle secondarie delle province. È un'edilizia scolastica vecchia, ferma sugli storici problemi legati alla sicurezza. Sono infatti ancora troppe le emergenze irrisolte, poche le eccellenze e i passi in avanti. La messa a norma delle scuole resta il tallone d'Achille numero uno del problema. Quasi la metà degli edifici scolastici non possiede la certificazione di agibilità. Più del 65 per cento non ha il certificato di prevenzione incendi ed il 36 per cento degli edifici ha bisogno di interventi di manutenzione urgenti. Senza contare che il 32 per cento delle strutture si trova in aree a rischio ed il 10 per cento in aree ad alto rischio idrogeologico. Sono dati questi che confermano lo stallo in cui si trova la qualità del patrimonio dell'edilizia scolastica italiana, che fatica a migliorare anche a causa del freno per gli investimenti generato dal patto di stabilità. Da un'indagine di Legambiente emerge che su 7.139 edifici scolastici di competenza Pag. 35dei comuni capoluogo di provincia presi in esame, il 60 per cento è stato costruito prima del 1974, anno di entrata in vigore della normativa antisismica, mentre solo il 7 per cento negli ultimi vent'anni. In particolare, i nuovi edifici non sono costruiti secondo le tecniche sostenibili e innovative: solo l'8,22 per cento risulta costruito con criteri antisismici e soltanto lo 0,47 per cento secondo criteri di bioedilizia.
  Sto concludendo, signor Presidente: per quanto riguarda invece la differenza qualitativa del patrimonio edilizio nelle diverse aree del Paese, emerge fortemente la differenza di investimento per la ristrutturazione degli edifici fra nord e sud. È nel sud che si spende meno per ristrutturare gli edifici. Serve quindi – e mi avvio alla conclusione – un grande piano nazionale per l'edilizia scolastica che innovi e metta in sicurezza le nostre scuole. Resta questa la priorità del nostro Paese, quella di dare al Paese stesso una pianificazione nazionale in materia di edilizia scolastica finora totalmente carente. Il primo passo potrebbe essere quello di far decollare finalmente l'anagrafe dell'edilizia scolastica.
  Chiudo dicendo che sicurezza, vivibilità e sostenibilità sono sicuramente fra le chiavi principali dalle quali ripartire per un futuro migliore della nostra scuola (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Orfini. Ne ha facoltà.

  MATTEO ORFINI. Signor Presidente, questa nostra discussione arriva dopo anni drammatici per la cultura in questo Paese, anni segnati da una serie interminabile e ingiustificata di tagli che hanno messo in ginocchio un settore strategico. Ma ancor più dolorosa di quei tagli era la visione che li giustificava, che stava dietro a quelle scelte, cioè l'idea che la cultura sia un lusso e che, ancor più in un momento di crisi, a quel lusso si possa e si debba rinunciare. Io credo che da questo assunto sbagliato noi abbiamo il dovere di ripartire in questa legislatura, cercando di avere un atteggiamento differente rispetto a quella che ci ha preceduto, ribaltando quella visione, come bene ha fatto il Presidente del Consiglio nel suo discorso inaugurale, non solo perché è in gioco la sopravvivenza di questo settore, ma per qualcosa persino di più importante, perché è in gioco una discussione sull'idea di sviluppo di questo Paese. Noi dobbiamo rispondere a una domanda semplice, però decisiva, ovvero se per l'Italia è ormai inevitabile accettare l'idea di un declino inesorabile, un'idea secondo cui l'unico modo per competere è quello di accettare la competizione sulla riduzione dei costi del lavoro, sulla riduzione, la restrizione e la compressione dei diritti, oppure se è possibile una scelta diversa, se è possibile ancora pensare per l'Italia a un futuro in cui si compete sulla qualità e sull'innovazione.
  Ecco, io credo che questa sia la strada che noi dobbiamo imboccare e la scelta che dobbiamo fare. E se questa è la scelta, è del tutto evidente che la cultura, la scuola, l'università, la ricerca e il sapere, quello che abbiamo voluto unire correttamente in questa nostra discussione, sono la precondizione per vincere quella sfida. E, quindi, puntare su questi settori conviene al Paese. Naturalmente, non è solo una discussione di convenienze, ma credo ci sia anche qualcosa di più profondo. Il Ministro Bray, nella sua audizione alle Commissioni congiunte, ha detto delle cose condivisibili; ha detto che la cultura è un bene comune, è un diritto di tutti i cittadini. E credo che sia giusto rimarcare quel nesso che c’è tra cultura e democrazia, che si è un po’ inaridito. Dirlo oggi, dopo una giornata come quella di ieri in cui l'astensionismo ha dominato la scena, è forse qualcosa di utile. E, però, la cultura per dare linfa alla democrazia ha bisogno di autonomia e di stabilità, due condizioni negate nell'Italia di oggi. Negate soprattutto perché, per avere autonomia e per avere stabilità, c’è bisogno che quelle siano condizioni riconosciute a chi opera nel mondo della cultura e, invece, noi oggi viviamo una situazione drammatica in cui Pag. 36i lavoratori della cultura sono abbandonati, sono stati per anni abbandonati a se stessi, sono oggi i più precari tra i precari di questo Paese e vivono una situazione drammatica in cui le loro competenze e le loro professionalità sono continuamente negate e umiliate.
  Allora, credo che, se noi vogliamo rimettere al centro questi settori, dobbiamo partire, anche nell'agenda delle urgenze, da qui, dal tema del lavoro, come correttamente è nell'agenda generale del Governo. E, però, questo settore deve rispettare anche quell'agenda e quella serie di priorità. Lo dico perché questa discussione che noi facciamo oggi è importante – chiediamo al Governo di rispettare gli impegni che ha assunto, chiediamo più risorse – ma non si risolve tutto, come correttamente è stato detto da altri prima di me, solo chiedendo più risorse. Appunto, c’è bisogno di cambiare l'agenda e le priorità e c’è bisogno di riforme. E se noi oggi chiediamo questo e chiediamo di recuperare quella centralità della cultura nell'agenda politica del Paese, appunto non è solo perché c’è bisogno di salvare un settore in difficoltà, ma perché pensiamo sia indispensabile, per guidare l'Italia fuori dalla crisi, ricostruire quel nesso che si è rotto tra cultura e democrazia e tra lavoro e cultura e perché pensiamo che proprio intorno a quelle parole – lavoro, cultura e democrazia – ci sia la strategia di uscita dalla crisi per questo Paese. Questa è la ragione per cui noi chiediamo di ripartire da qui, e questa è la ragione per cui speriamo e lavoreremo affinché il Governo tenga conto di queste priorità (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Marzana. Ne ha facoltà.

  MARIA MARZANA. Signor Presidente, membri del Governo, colleghi deputati, colleghe deputate, la scuola italiana è stata indebolita da un disinvestimento culturale e politico che si è tradotto in tagli per circa 8 miliardi di euro nel triennio 2008-2011. Ciò è avvenuto in assoluta controtendenza, considerato che si riconosce nell'istruzione un fondamentale fattore di tenuta della coesione sociale. Dai dati forniti dalla Ragioneria generale dello Stato, l'Italia, nel 2011, ha avuto una spesa del 49,9 per cento del PIL (sesto posto in Europa), ma di questa spesa solo il 4,2 per cento è andato alla scuola, a fronte di una media europea del 5,3 per cento, un dato che pone il nostro Paese al ventiquattresimo posto nella graduatoria europea.
  Il problema in Italia è innanzitutto di qualità della spesa, oltre che del suo volume complessivo. Ora, qualsiasi discorso sulla qualità della spesa non può essere impostato correttamente senza affrontare il problema del precariato. Quello del precariato scolastico è ormai un problema di natura strutturale, considerato che i dati, nel corso di dieci anni, sono rimasti sostanzialmente stabili. Ogni anno il Ministero assume un numero elevato di precari, in media 100 mila docenti e 50 mila ATA: in parte, la ragione è da ricercare nella mancanza di assunzioni in ruolo, ma soprattutto essa è da individuare nella non coincidenza tra l'organico di diritto, cioè i posti assegnati ad una determinata istituzione scolastica, e l'organico di fatto, cioè il reale fabbisogno di personale. Dato che il costo che la scuola sostiene ogni anno è quello per il personale di fatto, ci si chiede: perché non stabilizzare tutto il personale che di fatto serve per assicurare il funzionamento della scuola, garantendo un risparmio per lo Stato e la continuità didattica dei nostri alunni ?
  Nell'ottica di un miglioramento della qualità della spesa, nonché dell'offerta formativa, è necessario l'inserimento nell'organico di figure a supporto dell'insegnante, esigenza frutto di una maggiore consapevolezza della complessità ed eterogeneità dei bisogni presentati dagli alunni di una classe. In ogni classe, infatti, vi sono diversi alunni che presentano una richiesta di speciale attenzione per una varietà di ragioni: disabilità, svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici di apprendimento, disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dall'appartenenza a culture diverse da quella italiana. Occorre Pag. 37rispondere in maniera specifica a ciascun bisogno con risorse e competenze adeguate. Essenziali sono allora diverse figure professionali e le relative competenze: l'insegnante di sostegno, che ha il fine di attuare interventi di integrazione attraverso strategie didattico-metodologiche specifiche assieme agli insegnanti curricolari; l'educatore, che organizza interventi miranti all'incremento dell'autonomia e all'integrazione dei soggetti con disturbi e difficoltà, e promuove progetti socio-educativi in grado di ridimensionare le situazioni di disagio in favore del benessere individuale e sociale; lo psicomotricista, che attua interventi per migliorare la comunicazione e la comprensione, nonché l'uso di un'adeguata espressività corporea nella relazione; l'arte-terapeuta, il quale contribuisce ad un miglioramento delle capacità espressive e relazionali; il counselor, che promuove atteggiamenti attivi, propositivi e stimola la capacità di scelta; insostituibile è poi il ruolo di neuropsichiatri, psicologi e pedagogisti, per la rilevazione dei bisogni e per la stesura e la realizzazione di un piano didattico educativo personalizzato in collaborazione con i docenti curricolari.
  La provenienza di alunni da culture e radici sociali diverse richiede poi la presenza di una figura professionale scolastica specifica, quale il mediatore culturale, con compiti di: accoglienza, tutoraggio, facilitazione nei confronti degli allievi neoarrivati e delle loro famiglie, mediazione nei confronti degli insegnanti, compiti di interpretariato e traduzione nei confronti delle famiglie, assistenza e mediazione negli incontri dei docenti con i genitori, soprattutto nei casi di particolare problematicità; e ancora, con compiti relativi a proposte e a percorsi didattici di educazione interculturale condotti nelle diverse classi, che prevedano momenti di conoscenza e valorizzazione dei Paesi e delle lingue d'origine. Resta fermo che la funzione di mediazione nel suo insieme è compito generale e prioritario della scuola stessa, quale istituzione preposta alla formazione culturale della totalità degli allievi nel territorio di riferimento.
  La massiccia influenza esercitata dai media nella vita di ciascuno rende poi essenziale nei contesti formativi un'altra figura professionale: quella dell'educatore ai media. Infatti non è sufficiente garantire agli alunni un uso strumentale dei media, ma si rende necessario lo sviluppo della comprensione critica circa la loro natura, le loro categorie, le tecniche e i linguaggi impiegati per costruire messaggi, nonché la promozione della capacità di creare nuove forme espressive e di comunicazione.
  Se nelle indicazioni curricolari ministeriali si evince anche l'importanza dell'educazione all'universo dei diversi linguaggi, di cui fanno parte, oltre a quello verbale, quello musicale, grafico-pittorico, plastico, mimico-gestuale, dal punto di vista didattico la comprensione e la produzione dei messaggi attraverso diversi codici risulta spesso, invece, estemporanea o episodica, e scarsamente integrata nel percorso educativo-didattico. Di fatto, materie quali l'educazione musicale, motoria, artistica hanno sempre ricoperto un ruolo marginale, che è valsa loro la denominazione di «discipline Cenerentola».
  Molto spesso esse assumono la forma, infatti, di progetti proposti e condotti da personale esperto, esterno e finanziati direttamente dalle famiglie. Se la scuola si vuole svestire dal ruolo di «matrigna», occorre ridare nuova centralità a queste discipline, anche attraverso l'inserimento delle figure suddette nell'ambito del corpo docente. Questa nuova impostazione che attribuisce pari valore a tutte le discipline consentirebbe di assicurarne una reale integrazione in vista dell'unitarietà dell'insegnamento e di una formazione armonica della personalità degli alunni.
  Per attuare una progettazione di programmi e itinerari funzionali allo sviluppo di abilità e competenze si deve tener conto, da una parte, dei contenuti disciplinari e interdisciplinari dell'insegnamento-apprendimento e, dall'altra parte, della metodologia, che sia stimolante, interessante e coinvolgente. Partendo da questo presupposto, lo spazio della didattica non può più essere rappresentato dall'aula tradizionale, Pag. 38quale luogo in cui il docente, posto di fronte agli alunni, trasmette le conoscenze da acquisire, ma diventa necessariamente laboratorio, che si configura come spazio del fare, nel quale lo studente si muove in autonomia, attivando processi di osservazione, esplorazione e produzione. Lo spazio fisico diviene uno spazio attrezzabile che accoglie strumenti e risorse per la creazione di contesti di esperienza in funzione delle specifiche finalità disciplinari.
  Lo spazio, divenuto così interattivo, è facilmente realizzabile anche in luoghi esterni al tradizionale edificio scolastico. A tal proposito, diventa essenziale la valorizzazione delle opportunità offerte dal territorio: si pensi ai musei, agli enti di ricerca, ai siti naturalistici, che rivestono un ruolo di aule didattiche decentrate per garantire un processo di apprendimento alimentato da conoscenze trasversali.
  Una funzione importante nell'ambito dello spazio del fare è garantita dall'utilizzo dei mezzi multimediali, che consentano ai docenti di offrire valide motivazione all'apprendimento degli alunni, coinvolgerli nello svolgimento delle varie attività e di seguirli nei processi di progettazione e di ricerca. Tali strumenti devono entrare nelle scuole attraverso una seria pianificazione didattica e secondo determinate strategie educative. Un loro utilizzo proficuo dipende, quindi, dalle finalità che ci si propone di perseguire, dalle capacità degli insegnanti, dalle integrazioni che si operano, dalla validità delle proposte didattiche, dalla metodologia adottata. Una spesa di qualità presuppone, quindi, oltre all'acquisto di strumenti digitalizzati, soprattutto, una formazione adeguata per i docenti, che consenta loro di saper coordinare e integrare supporti innovativi e tradizionali.
  Le politiche adottate fino ad oggi hanno mortificato pesantemente il nostro sistema scolastico. Si rende, pertanto, fondamentale puntare sulla formazione, riconvertire le risorse umane e investire in quelle materiali. Al nuovo Esecutivo chiedo di ripristinare le risorse sottratte all'istruzione, ponendo finalmente fine a questa stagione di tagli lineari che non hanno ridotto né gli sprechi del denaro pubblico né hanno migliorato il servizio formativo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle e di deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Raciti. Ne ha facoltà.

  FAUSTO RACITI. Signor Presidente, alcune considerazioni molto brevi. Penso che questa legislatura consenta, forse per la prima volta, di invertire una tendenza ormai molto sviluppata nel nostro Paese che si è manifestata nel predicare la centralità delle politiche per la conoscenza, la scuola, l'università, la ricerca e la cultura, e un'enorme difficoltà, invece, a praticarle, che, probabilmente, deriva da una cattiva politica, da una cattiva valutazione e da una cattiva sociologia.
  Noi viviamo, in Italia, un paradosso anche abbastanza clamoroso che caratterizza drammaticamente il nostro Paese. Abbiamo una media di laureati, sulla popolazione, drammaticamente inferiore rispetto alla media europea: l'Italia si colloca al 14 per cento, la media europea è del 25,9; la gran Bretagna è al 35 per cento, la Spagna al 30, la Francia al 29. E nonostante questo, il livello di occupazione dei nostri laureati è molto spesso, anche quello, più basso della media europea, con fenomeni di sottoccupazione e disoccupazione, ancora oggi, preoccupantemente diffusi, che colpiscono soprattutto i figli delle famiglie con un background familiare più basso, cioè meno reddito e meno cultura è la famiglia di provenienza.
  Questo è il paradosso che bisognerebbe provare a correggere nei prossimi anni, partendo intanto da una revisione dei nostri modelli di valutazione dell'università. Io lo dico ai colleghi del MoVimento 5 Stelle: attenzione a valutare la qualità delle università dal grado di occupabilità dei laureati italiani.
  Questo, infatti, rischia di penalizzare, inevitabilmente, quelle università che operano in contesti territoriali maggiormente difficili, mi riferisco soprattutto al Mezzogiorno, Pag. 39invece di valutare in maniera esattamente opposta le università che operano in contesti territoriali dove l'occupabilità è evidentemente più semplice.
  Credo che sia un fatto positivo quello che il Ministro Carrozza ci ha detto nel corso dell'audizione alla VII Commissione e cioè che uno degli interventi chiave del Ministero e del Ministro sarà sul nostro sistema di valutazione. Così, credo che sia un fatto positivo il proposito, penso importante soprattutto in tempi di finanza pubblica ristretta, di reintegrare il Fondo di finanziamento delle università, restituendo alle università italiane quelle risorse che diventano ogni giorno più preziose e in assenza delle quali molte delle nostre università rischierebbero il collasso dal punto di vista economico.
  Credo, in terzo luogo, che bisognerà provare a restituire una centralità alle politiche di sostegno per il diritto allo studio; il nostro è uno dei Paesi in cui l'università nel corso degli ultimi anni, quelli che vanno dal 1995 oggi, ha cominciato a costare di più – nella media europea siamo subito dopo la gran Bretagna, uno dei Paesi in cui l'università costa di più – e contemporaneamente ad essere uno dei sistemi universitari che offre minori coperture e minore sostegno in termini di politiche per il diritto allo studio. La priorità dovrebbe essere quella, in termini generali, di costruire un'università per tutti e contemporaneamente un'università di qualità; credo che questo debba essere il nostro obiettivo di medio e lungo periodo e credo che da questa legislatura, visto che su questi temi si registra una attenzione che coinvolge tutte le forze politiche, si possa ripartire, invertendo una tendenza storica che è estremamente preoccupante.
  Può valere per noi una delle frasi più importanti che Don Milani scriveva nella lettera a una professoressa; una frase indirizzata agli insegnanti che bocciavano: voi credete che Dio faccia nascere i cretini e gli svogliati nelle famiglie dei poveri ma Dio non fa questi dispetti ai poveri, è più probabile che i dispettosi siate voi. Ecco, forse per noi è arrivato il momento di smetterla di fare dispetti alla scuola e all'università perché chi fa dispetti alla scuola e all'università finisce per penalizzare quella parte di società italiana che è più debole e più esposta alla crisi, rischiando di bloccare definitivamente una mobilità sociale che in questo Paese, al crescere delle disuguaglianze, è diventato un fenomeno sempre più raro e improbabile (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Blazina. Ne ha facoltà.

  TAMARA BLAZINA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'odierno dibattito sulle mozioni presentate dai singoli gruppi, nonché la discussione in VII Commissione sulle linee programmatiche illustrateci recentemente durante l'audizione dai Ministri Carrozza e Bray, sono una grande opportunità per mettere in fila le tante criticità e difficoltà nei settori dell'istruzione e della cultura e per porre, attraverso un confronto serio ed approfondito, le basi per un significativo cambiamento di rotta rispetto agli ultimi anni in cui ci sono stati tagli di risorse finanziarie inaccettabili ma anche interventi legislativi ed amministrativi che hanno prodotto il depauperamento della scuola, dell'università, della ricerca, della cultura e una totale incertezza per tutti i soggetti che vi sono coinvolti.
  Lo diciamo in maniera molto chiara con la nostra mozione, ma ci rincuorano, in tal senso, anche le dichiarazioni del Presidente Letta nel suo discorso di insediamento e le audizioni dei Ministri di riferimento. Insieme dobbiamo definire il futuro di questi importanti e strategici settori che sono, come molti hanno già ricordato, un volano insostituibile nella crescita del Paese. Non ripeterò i tanti dati, i numeri e le statistiche che testimoniano i ritardi dell'Italia rispetto agli altri Paesi comunitari. È un quadro che tutti noi abbiamo molto nitido davanti agli occhi e non da oggi; da esso è necessario partire per proporre le soluzioni ai singoli problemi e per trovare le risposte alle Pag. 40tante emergenze nell'ambito di una visione complessiva e di una strategia più generale che ci porti al raggiungimento degli obiettivi di Europa 2020.
  Non ci si può fermare solo alla denuncia dei tanti guasti e all'enunciazione di principi, non c’è tempo e non ci sono le condizioni, altrimenti rischiamo veramente di disperdere il grande patrimonio e la ricchezza di questi settori. Il Partito Democratico mette al centro alcune questioni fondamentali, che sono riportate nella mozione, nei tanti documenti prodotti e in diverse proposte di legge di questi anni. Il tema delle risorse umane e finanziarie è il tema fondamentale, visto che non si può programmare alcunché senza nuove risorse. È un appello di nuove risorse che facciamo non solo ai singoli Ministri, ma all'intero Governo, se è vero che non si tratta di interventi settoriali ma del programma complessivo del Governo Letta. Stante le ristrettezze economiche e gli impegni con l'Europa, è chiaro che non si può pensare di avere tutto e subito: serve un elenco delle priorità, vanno fatte delle scelte con responsabilità e lungimiranza, che rimettano l'Italia al passo con gli altri. In quest'ottica vanno riallocate le risorse e utilizzate al meglio, attraverso maggiori sinergie, solidarietà tra enti ed istituzioni, eliminando doppioni e sovrapposizioni di enti e progetti.
  È necessario investire di più, ma anche investire meglio. L'investimento nella scuola è soprattutto una risposta alla disoccupazione giovanile. Risolvere il problema della precarietà nella scuola, sbloccare il turn over nelle università ed assorbire almeno una parte dei giovani ricercatori significa mettere in campo iniziative di contrasto alla disoccupazione intellettuale. E poi, voglio sottolineare il concetto dell'istruzione come diritto di cittadinanza, cioè come pari opportunità di accesso perché la scuola diventi veramente strumento di mobilità sociale: pari opportunità rispetto ai singoli territori, pari opportunità rispetto ai diversi livelli di istruzione. Penso alla necessità, in questo senso, di garantire tutte le famiglie e la possibilità di usufruire degli asili nido e delle scuole dell'infanzia indipendentemente dal territorio di provenienza; e poi penso alla lotta contro la dispersione scolastica (ne hanno già parlato i colleghi), all'innalzamento dell'obbligo scolastico ed ancora alla diversa politica per le borse di studio agli studenti universitari. Infine, penso che vada...

  PRESIDENTE. Le chiedo scusa, deve concludere, siamo veramente ...

  TAMARA BLAZINA. Signor Presidente, concludo, un'ultima frase. Bisogna poi ripensare il tema del dimensionamento scolastico, avendo particolare cura per le zone disagiate – come ad esempio la montagna – e per il necessario impegno per l'attenzione alle scuole frequentate dagli appartenenti alle minoranze linguistiche.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Uva. Ne ha facoltà.

  FRANCESCO D'UVA. Signor Presidente, membri del Governo, colleghi deputati, la mozione oggi in esame nasce dalla sempre più stringente esigenza di porre un freno, un limite, alle continue e progressive riduzioni che la spesa dello Stato italiano ha posto in essere nel settore culturale, settore che, invece di essere valorizzato al fine di ottenere una crescita sociale ed economica, viene puntualmente utilizzato come luogo da cui attingere risorse da destinare ad altri interventi ritenuti prioritari.
  In questa sede il MoVimento 5 Stelle vuole esprimere con forza che gli investimenti nella cultura sono un intervento prioritario. La cultura intesa come valorizzazione dell'immenso patrimonio artistico italiano, come formazione dei cittadini di oggi e di domani, come valorizzazione dei nostri scienziati e ricercatori, non può che essere considerata come elemento essenziale per lo sviluppo del nostro Paese. In passato, però, si è agito diversamente. Infatti, a seguito della politiche portate avanti nelle passate legislature la cultura ha visto la costante e Pag. 41progressiva riduzione dei finanziamenti pubblici ad essa destinati. L'educazione, l'istruzione, l'università, la ricerca e la tutela dei beni culturali sono ormai diventate parole vuote, parole di cui abusare durante la campagna elettorale, ma ormai prive di vero significato. Nei fatti, dal 2008 ad oggi, si è passati dalla spesa di oltre 2 miliardi di euro a poco più di 1,5, così come previsto dalla legge di Bilancio 2013. La politica dei tagli all'istruzione, all'università e alla ricerca portata avanti in questi anni deve essere fermata, perché le università italiane attraversano una situazione delicatissima che vede metà degli atenei a rischio di default, così come è emerso dalla recente relazione presentata dalla Conferenza dei rettori delle università italiane proprio a questo Governo.
  Dalla relazione emerge un quadro allarmante, dove la qualità dell'offerta formativa è sempre più a rischio, così come la tenuta finanziaria di molte università italiane.
  Le risorse economiche destinate all'università sono state infatti drasticamente diminuite per effetto del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, successivamente convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, attraverso il quale sono stati tagliati oltre 1.440 milioni di euro sul Fondo di finanziamento ordinario delle università, fondo ormai inadeguato a garantire il semplice funzionamento degli atenei o il finanziamento di borse di studio da erogare per merito, impedendo così l'affermazione di quel diritto fondamentale che è il diritto allo studio. La stessa Conferenza dei rettori delle università italiane ha infatti previsto che queste non potranno superare le duemila unità nei prossimi anni. Un Governo che dice di voler far ripartire il Paese attraverso il merito dei suoi giovani questo non può e non deve permetterlo.
  Sempre nelle università si sono ridotte in maniera drammatica le possibilità di reclutamento e avanzamento di carriera e si limitano le possibilità di utilizzo delle risorse per cessazioni, al punto che se nel 2010 gli atenei in media riuscivano a mantenere un turnover del 41 per cento, per l'attuazione del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 gennaio 2009, n. 1, in futuro la percentuale media – stando alle simulazioni del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca – sarà almeno dimezzata, con una consequenziale migrazione di ricercatori all'estero.
  La legge 30 dicembre 2010, n. 240, di riforma del sistema universitario, ha soppresso la figura del ricercatore a tempo indeterminato sostituendola con quella del ricercatore a tempo determinato, escludendolo da qualsiasi possibilità di crescita professionale e di carriera; inoltre, la riforma stessa rende insostenibili molti corsi di laurea che saranno quindi costretti a chiudere, in quanto i criteri stabiliti non tengono conto del quadro reale esistente ma sono volti anch'essi esclusivamente ad un taglio delle spese.
  In particolare, nell'ultimo anno i ricercatori strutturati si sono ridotti di 400 unità, passando da 23.800 a 23.400, mentre quelli precari sono passati da 33.000 a 13.400. Pertanto questi quasi ventimila precari sono stati di fatto espulsi dal sistema accademico. Le assunzioni in ambito universitario sono ormai bloccate mentre quelle già poste in essere sono a forte rischio. Un risultato dovuto principalmente alla costante riduzione dei finanziamenti ministeriali e al blocco del turnover, così come previsto dalla spending review, attuata attraverso il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, poi convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, che introduce per il sistema universitario un limite secondo cui l'università può procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato e di ricercatori a tempo determinato nel limite di un contingente di spesa pari al 20 per cento di quella relativa al corrispondente personale complessivamente cessato dal servizio nell'anno precedente. Si rileva infine come l'ADI (Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani) stimi che l'85 per cento degli assegnisti di ricerca odierni non potrà intraprendere la carriera universitaria.Pag. 42
  Nella relazione congiunta 2010 del Consiglio e della Commissione dell'Unione europea sull'attuazione del programma di lavoro «Istruzione e formazione 2010», l'istruzione e la formazione sono al centro dell'agenda di Lisbona per la crescita e l'occupazione – concludo – e costituiscono elemento essenziale del suo follow-up fino all'anno 2020, dove il nostro Paese dovrà diventare una economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale.
  Tutti voi sapete bene quanto il nostro Paese sia lontano dal realizzare questi obiettivi, ma sapete anche quanto sia necessario per il nostro Paese raggiungerli. Per questo, oggi, è arrivato il momento di dire basta ai tagli alla cultura, è arrivato il momento di iniziare una seria politica per lo sviluppo culturale e sociale che passi necessariamente dalle richieste portate avanti dalla mozione in esame.
  La politica dei tagli deve essere fermata perché a noi sta a cuore il futuro del nostro Paese e non ci siamo ancora rassegnati all'idea che sia possibile renderlo migliore, spero nemmeno voi. Grazie per l'attenzione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Pregherei di lasciare il banco del Governo, in modo tale che il Governo possa ascoltare. È iscritta a parlare l'onorevole Malisani. Ne ha facoltà.

  GIANNA MALISANI. Signor Presidente, il Presidente del Consiglio Enrico Letta nel discorso con cui ha chiesto la fiducia al Parlamento ha tra l'altro sottolineato come la società della conoscenza e dell'integrazione si costruisca sui banchi di scuola e nelle università, impegnando il Governo a ridare entusiasmo e mezzi idonei agli educatori e riducendo il ritardo rispetto all'Europa nelle percentuali di laureati e nella dispersione scolastica.
  Anche se la crisi economica e finanziaria rischia di farci considerare utopistico qualunque investimento, è difficile tuttavia immaginare che, come si dice giustamente nella nostra mozione, quella del Partito Democratico, occorre cambiare profondamente le politiche perseguite dai Governi negli ultimi cinque anni nell'istruzione, nell'università, nella ricerca e nella cultura senza affrontare e risolvere il nodo delle risorse.
  Quanto scrive la Conferenza dei rettori, la CRUI, il 23 maggio 2013, nel documento al nuovo Governo – la situazione del Fondo finanziario ordinario del 2013 è insostenibile, registrando un calo medio di sistema rispetto al 2012 del 4,6 per cento, dunque il taglio più pesante subito dal sistema delle università italiane da quando vige l'autonomia finanziaria – non solo conferma le valutazioni presenti nella nostra mozione, ma ci sollecita ulteriormente a trovare le strade giuste per affrontare la grande battaglia per la crescita del nostro Paese e per l'uguaglianza delle opportunità.
  Ancora, la CRUI, la Conferenza dei rettori sul diritto allo studio: il finanziamento del diritto allo studio per il 2014 è a percentuali ridicole e la copertura dei capaci e meritevoli per l'anno in corso è attorno alla media nazionale del 60 per cento.
  A ciò, si aggiunga che manca una qualunque politica seria nella residenzialità universitaria, la sola che garantirebbe la sostenibilità per le famiglie degli studenti che si iscrivono all'università. Il problema degli abbandoni è una spia del malfunzionamento dell'alta formazione. Il livello di istruzione della popolazione di 30-34 anni è tra gli indicatori individuati dalla Commissione europea nella strategia «Europa 2020». Il target fissato, da raggiungere entro il prossimo decennio, è che almeno il 40 per cento dei giovani tra i 30 e i 34 anni consegua il titolo di studio universitario equivalente. In Italia, solo il 45 per cento di chi si iscrive all'università arriva a discutere la tesi, contro una media OCSE del 69 per cento, frutto della disorganizzazione degli atenei italiani, ma anche della carenza di strutture che assistono i giovani durante il corso di studi. Un tassello fondamentale, quindi, per il diritto allo studio è rappresentato dalla Pag. 43disponibilità di servizi e anche di posti letto per gli studenti. Continuare a sostenere gli interventi per le residenze universitarie con la legge n. 338 è necessario, tuttavia forse vale la pena, anche in questo caso, di valutare le numerose esperienze esistenti e mirate ad allargare l'offerta di alloggi attraverso la regolazione dell'offerta praticata nel mercato privato. Si tratta di un'esigenza riguardante la generalità degli studenti, non solo quelli che hanno i requisiti per l'attribuzione dei benefici statali e regionali.
  Quando consideriamo i dati relativi agli abbandoni degli studi universitari e ai ritardi nella acquisizione del diploma, dobbiamo nel contempo ricordare che i dati sulla dispersione scolastica ci dicono che molti giovani si sono fermati già prima e che, finita la scuola dell'obbligo, compaiono segnali di difficoltà per percorrere normalmente il percorso di studi.
  Tra gli obiettivi principali di Lisbona c’è quello di portare il tasso di dispersione sotto il 10 per cento entro il 2020.
  Infatti, se gli studenti iscritti a scuola tra i quattordici e i diciotto anni sono la quasi totalità della popolazione giovanile della stessa età, la percentuale di quelli che arrivano al diploma quinquennale è molto bassa. Mi interessa, perciò, proporre una riflessione sul nesso tra abbandoni e funzionamento del sistema scolastico a partire dalla scuola dell'obbligo. Dobbiamo porre l'accento sulla necessità di prevenire questo danno alle persone, alla cultura, al Paese, consentendo loro di non essere tagliati fuori, spesso a causa della loro estrazione sociale e talvolta per l'impossibilità di fruire di alcun sostegno da una dignitosa mobilità sociale che deve essere riattivata per rendere la società italiana più equa e fiduciosa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rampi. Ne ha facoltà.

  ROBERTO RAMPI. Signor Presidente, colleghi, signori del Governo, credo che il ricco dibattito di questa mattinata chieda con forza un cambio di rotta radicale e credo che questo cambio di rotta fosse contenuto nelle parole del Presidente del Consiglio, quando parla della cultura come motore e moltiplicatore dello sviluppo. Quando noi parliamo di sviluppo, intendiamo lo sviluppo economico, ma soprattutto e innanzitutto lo sviluppo civile perché – è stato detto – la cultura è il tassello della democrazia, è la priorità, è la chiave per darci gli strumenti per interpretare questa difficile modernità, per decriptare i messaggi che ci arrivano, per comprendere, scegliere e deliberare. Questo è il motore di fondo di tutte le scelte, della scuola, della cultura e degli investimenti sui beni culturali. Noi crediamo che sia una chiave democratica di emancipazione, di liberazione delle energie delle persone.
  Per fare questo, noi dobbiamo innanzitutto stringere un nuovo patto con i lavoratori della cultura, lavoratori innanzitutto, persone – sono più di un milione e mezzo in Italia – che, ogni giorno, scommettono se stessi, la loro vita, la vita delle loro famiglie in questa grande impresa. Sono persone positive, che hanno voglia di fare per questo Paese – anche in queste ore, anche in questi giorni, anche in questo momento di crisi ne ho incontrati diversi e vorrei portare qui la loro voce –, che non si piangono addosso, non guardano al futuro con tristezza, lo guardano con speranza.
  Però, chiedono alla politica una risposta seria e coraggiosa in termini di semplificazioni, in termine di certezze dei diritti, in termine di nuove normative, che riconoscano veramente il loro specifico.
  Io credo che noi abbiamo il dovere di fare questo, di trasformare le parole, quelle che abbiamo sentito oggi e che sono importanti, perché questo è il luogo della parola e perché noi siamo soprattutto le nostre parole. Stiamo parlando di cultura e, allora, dobbiamo credere in questo, che la forza, il potere per noi è soprattutto il potere della parola, della conoscenza. Ma dobbiamo trasformarlo in fatti e, quindi, bloccare, con un'inversione di tendenza, una riduzione della spesa, mettere in campo anche una riqualificazione della spesa, perché non basta spendere ma bisogna Pag. 44spendere bene. Bisogna tornare, ad esempio, sul Fondo unico dello spettacolo a fare innovazione, a fare entrare nuove energie, non basarsi solo sullo storico, e fare in modo che la sperimentazione abbia un ruolo e che ci sia un vero collegamento tra quello che si fa e la misurazione dei ritorni di questo.
  Concludo, Presidente e colleghi, pensando a Expo 2015. Se ne è parlato diverse volte in quest'Aula. Il concetto chiave di Expo 2015 è nutrire il pianeta. Il pianeta va nutrito e l'Italia in questo ha molto da insegnare, se pensiamo alla grande cultura del cibo del nostro Paese. Ma, innanzitutto, bisogna nutrire anche la conoscenza, bisogna nutrire anche l'anima. Allora, io credo che noi dobbiamo, nel 2015, invitare il mondo a venire a nutrirsi da quella straordinaria fonte di bellezza, di ricchezza, di sapere, di talento che è il nostro Paese, a segnare sul calendario che il 2015 è l'anno giusto per quel viaggio in Italia che milioni di persone da sempre desiderano per tutta la loro vita. Per questo, però, ci vogliono investimenti, ci vuole un grande progetto che arricchisca, in quell'anno in particolare, questo Paese di musica, di teatro, di cultura, di beni culturali degni di accogliere il mondo qui da noi come ospiti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Battelli. Ne ha facoltà.

  SERGIO BATTELLI. Signor Presidente, membri del Governo, colleghi deputati, malgrado nutra una certa difficoltà nell'accostare cultura e denaro, credo che in questa circostanza sia opportuno partire proprio da un piccolo ma indicativo elenco di numeri. La cifra complessiva di stanziamento del FUS, il finanziamento che lo Stato dà al settore, è pari a 389 milioni di euro per il 2013. Nel 2012 erano 411, nel 2010 erano 414, nel 2009 addirittura 527.
  In Italia sono 428 i teatri costretti alla chiusura a causa della mancanza di fondi, gestioni sbagliate e, spesso, mala politica. Lo sgomento aumenta se si considera che molti di questi sarebbero tuttora agibili e fruibili. Si tratta solo di un piccolo resoconto degli scellerati tagli e delle assurdità tipiche del nostro sistema di distribuzione delle risorse. Le finalità del FUS, infatti, consistono nel sostegno finanziario ad enti, fondazioni, associazioni, organismi ed imprese operanti nei settori delle attività cinematografiche, musicali, di danza, teatrali e dello spettacolo viaggiante, nonché nella promozione e nel sostegno di manifestazioni ed iniziative di carattere e rilevanza nazionale. L'incremento dei fondi a favore del FUS si tradurrebbe, quindi, oltre che nell'arricchimento del livello culturale dei fruitori, anche in un incremento del lavoro nel settore e dell'indotto relativo. Dare più spazio agli artisti vuol dire anche attrarre un maggior numero di spettatori, creare interesse per la cultura in ogni sua manifestazione.
  La soluzione sembrerebbe, quindi, semplice: investire e valorizzare il settore della cultura, simbolo d'eccellenza in tutto il mondo, ridare dignità al patrimonio artistico italiano, incentivare una nuova produzione artistica, tutelare le preziose testimonianze della storia del nostro Paese, sottolineare l'importanza formativa e pedagogica dell'arte, del teatro e della musica, sin dalle scuole primarie. Tutto ciò comporterebbe una possibilità concreta per la ripresa culturale, sociale ed economica per l'Italia.
  Il Presidente del Consiglio, Enrico Letta, ha coraggiosamente affermato che non saranno effettuati ulteriori tagli al settore della cultura, così come a quello dell'istruzione e della ricerca, pena le sue dimissioni. Abbracciando con slancio questa dichiarazione di intenti, vogliamo sperare che essa non voglia significare che non ci sarà nessun nuovo finanziamento a tali settori. Investire nel settore culturale, in quello dell'istruzione e in quello della ricerca, significa mettere a fuoco le risorse del nostro tessuto sociale e permettere loro di farsi traino della rinascita, sociale ed economica, dell'Italia.
  È quindi necessario intervenire in modo organico e sistemico, avendo bene in mente quelli che devono essere i punti chiave per il riassetto del settore: in primo Pag. 45luogo, una tutela del patrimonio artistico italiano, miracolosamente rimasto il simbolo stesso dell'Italia nel mondo, malgrado versi in condizioni disastrose e di abbandono. Un caso eclatante, fra tutti, è quello di Pompei, esempio fulgido di mala amministrazione e di assenza della cultura della tutela del patrimonio.
  In secondo luogo, bisogna porre l'accento sulla produzione artistica contemporanea. In Italia, il biennio 2012/2013 è stato, infatti, disastroso. Riteniamo che sia doveroso convogliare le risorse pubbliche sui centri per l'arte contemporanea, al fine di permettere a tali realtà di sperimentare, libere da ingerenze politiche, e, al contempo, di creare professionalità di profilo internazionale.
  Da ultimo, occorre un riordino degli istituti professionali e la creazione di nuovi indirizzi capaci di trasferire l'importantissimo patrimonio di «mestieri» che ruotano intorno al mondo della cultura e che, per ragioni anagrafiche, sono destinati a scomparire. È il caso di sottolineare quale possa essere l'impatto che una scelta politica del genere avrebbe sul mondo del lavoro, dando un enorme contributo al rilancio dell'occupazione giovanile.
  L'indotto del settore cultura è potenzialmente immenso, se opportunamente pianificato e gestito. Ripristinare i fondi al settore è, quindi, prioritario. È l'investimento più sensato che il nostro Paese possa fare in questo momento. Le professioni e i mestieri che ruotano attorno al mondo del cinema e dello spettacolo, ad esempio, se rivitalizzate, rappresenterebbero una reale risposta alla richiesta di nuove professioni da parte dei giovani.
  Penso, quindi, a scuole professionali orientate alla formazione di operatori del settore, dagli scenografi dei teatri alle guide nei percorsi urbani, dai tecnici, fondamentali per la messa in scena degli spettacoli teatrali e musicali, agli artigiani di alto profilo, figure che in questo momento sono destinate a scomparire e che in Italia vantano un glorioso passato.
  Si parta, quindi, da politiche di agevolazioni fiscali per chi opera nel settore culturale – concludo – e dello spettacolo dal vivo, con un occhio di riguardo alle piccole realtà, reale cuore pulsante della cultura italiana, dove si fanno strada faticosamente, in un ginepraio di burocrazia e inefficienza, nuove forme espressive. Si ricominci dai musei, ponendoli al centro del percorso educativo fin dall'infanzia, perché i cittadini di domani abbiamo a cuore ciò che li circonda e sappiano opporsi allo sfacelo culturale ed economico in cui sono attualmente coinvolti.
  Si rivitalizzi il teatro e il cinema, incentivando la produzione delle opere tramite opportune politiche, che vanno dal tax credit alle società di investimento, immaginate sul modello francese. Si parta da tutto questo, smettendo di aggrapparsi a facili luoghi comuni, e si cominci ad immaginare il futuro dell'Italia a partire dalla sua cultura (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Ottavio. Ne ha facoltà.

  UMBERTO D'OTTAVIO. Signor Presidente, il nostro dibattito si svolge mentre si chiude l'anno scolastico 2012/2013, un anno che, in modo definitivo, ha dimostrato come sia urgente cambiare rotta. Io non voglio fare molti giri di parole, ma faccio una domanda: come si aprirà il prossimo anno scolastico ? Chi aprirà le scuole ? Siamo in grado di dare tranquillità ai nostri cittadini ?
  A Torino, nei giorni scorsi, si è aperto il processo di appello per la tragedia del liceo «Darwin» di Rivoli. La mamma di Vito Scafidi si è chiesta come mai, dopo cinque anni, non si sia ancora capito che l'edilizia scolastica è un'emergenza nazionale.
  Circa il 50 per cento degli edifici non sono a norma, si calcola che 10 mila di essi convenga abbatterli, in moltissimi, quando piove, entra l'acqua. I locali non idonei non vengono riparati e vengono chiusi, si hanno locali sovraffollati. In questi giorni e in queste settimane si è levato forte il grido di allarme di comuni e province sulla difficoltà a garantire la sicurezza degli edifici scolastici.Pag. 46
  Guardate, il tema dell'edilizia scolastica ha un forte intreccio con la situazione gli enti locali. Infatti, sono loro i proprietari degli edifici scolastici, ma non si può continuare a pretendere di raggiungere livelli europei per l'istruzione e poi non consentire ai comuni e alle province di manutenere gli edifici.
  È indispensabile che la spesa per la sicurezza delle scuole non sia sottoposta ai limiti del Patto di stabilità. Non possiamo mettere i nostri sindaci e i presidenti delle province nella condizione di decidere se violare la «legge di stabilità» o violare la legge sulla sicurezza.
  Noi abbiamo apprezzato la sensibilità e le dichiarazioni del Ministro, ma ci aspettiamo provvedimenti immediati. Abbiamo presentato, anche come Partito Democratico, numerose proposte. Lo scopo è quello di chiudere alcune questioni che sono aperte, compresa quella dell'anagrafe dell'edilizia scolastica.
  Dove prendiamo le risorse: è il tema che, in modo semplicistico, ma chiaro, qualcun altro ha affrontato. Io dico che non vi sono cose semplici, tanto meno velleitarie. Vi sono urgenze che vanno condivise e sono sicuro che questa emergenza è condivisa da tutti. Per questo, è importante che il Governo trovi in qualche settimana le compatibilità per dare un segnale.
  Io voglio dirlo chiaro: per noi questo argomento è tanto importante quanto è importante l'IVA e quanto è importante l'IMU. Facciamolo per i nostri figli, facciamolo per il futuro del nostro Paese. Grazie (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  Avverto che è stata testé presentata la risoluzione Di Lello n. 6-00013, il cui testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A – Mozioni e Risoluzioni).

(Intervento del Governo)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Marco Rossi Doria.

  MARCO ROSSI-DORIA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Onorevole Presidente, onorevoli deputati, il Ministro Maria Chiara Carrozza mi ha delegato a questo compito importante. Avrebbe voluto esserci lei, ma si trova al G8 delle scienze e delle tecnologie che è in corso a Londra, e questo è il motivo per cui replico io.
  Io voglio esprimere innanzitutto, anche a nome del Ministro e di tutto il Governo, un forte grazie al Parlamento, a tutti e a ciascuno dei gruppi della Camera, del Governo e dell'opposizione, che, pur nella differenza di posizioni, esprime quest'oggi, dopo molto tempo, la volontà di mettere mano a una nuova stagione – credo condivisa, da quello che ho ascoltato –, una nuova stagione di riparazione e di innovazione rispetto alle nostre scuole.
  Per chi si occupa di scuola, per chi si è occupato, nella vita, di scuola – lo dico anche personalmente – per le scuole stesse, per gli insegnanti e per i ragazzi, innanzitutto, questo è un momento importante.
  Il Parlamento – ascoltandovi, nella sua intierezza – ha espresso in maniera articolata un'attenzione politica, ma al contempo programmatica e concreta, verso il mondo della scuola e ha espresso una volontà di collaborare affinché avvenga qualcosa. Questa posizione emerge a partire, anche qui, da un'analisi condivisa, un'analisi difficile, che è stata forse troppe volte rimandata, che riguarda lo stato delle cose: lo stato delle cose per quanto riguarda l'edilizia scolastica, lo stato delle cose per quanto riguarda la intollerabile quantità di bambini e bambine, ragazzi e ragazze che non finiscono i percorsi di studio e di formazione, lo stato delle cose Pag. 47per quanto riguarda la situazione di precarietà dell'insegnamento e degli insegnanti, e così via.
  Ripeto: per chi ha lavorato nella scuola è un giorno, non voglio dire di festa, ma di consapevolezza, e di questo, a nome del Governo e a nome del Ministro, esprimo soddisfazione.
  Dunque, se tutti hanno a cuore la scuola, noi, insieme, dobbiamo evitare che sia un momento passeggero e insieme dobbiamo metterci a lavorare affinché le cose che tutti abbiamo detto diventino un programma faticoso, artigianale, per questa riparazione e innovazione di cui c’è bisogno da tanti, tanti anni.
  Il senso della lunga e articolata relazione che il Ministro Maria Chiara Carrozza ha fatto la settimana scorsa alle Commissioni riunite VII Camera e 7a Senato andava – coraggiosamente direi – esattamente nella direzione che oggi in quest'Aula, in maniera molto, molto significativa, l'insieme dei gruppi parlamentari ha espresso, e quindi il Parlamento ha espresso.
  Ora non entrerò nel merito delle singole questioni. Abbiamo le mozioni e il Governo intende esaminarle insieme al Parlamento nel modo più costruttivo possibile: tutte le mozioni. Voglio però dire che il Ministro, in quella lunga e articolata relazione, ha espresso due approcci contemporaneamente.
  Un primo approccio politico fortunatamente, oggi, alla Camera, viene ripreso da tutti e da ciascuno, cioè che si deve aprire una nuova stagione in cui il Parlamento e il Governo, insieme – direi, la comunità nazionale italiana –, si occupino finalmente di scuola.
  Il secondo approccio riguarda come lo facciamo. Lasciatemi dire, in modo schietto, che quello scelto dal Ministro è stato un approccio di programmazione certa e realistica, che ha una sua ispirazione civile prima ancora che politica. E – mi avvio a concludere –, onorevoli deputati, in attesa del lavoro che ci aspetta, la questione è questa: possiamo dire che vogliamo fare tutto e poi non siamo capaci di farlo, oppure possiamo dire a quali condizioni e con quali priorità ben argomentate è possibile riprendere il cammino entro tempi certi e con atti sicuri. Ecco, è questa la questione: il Governo, il Ministro, noi, non possiamo più permetterci i tagli o gli impegni generici, ma, al contempo, dobbiamo proporre cose che siano realisticamente fattibili in tempi certi.
  Lasciatemi dire che – e concludo veramente – il mondo adulto nel suo insieme deve assolvere a funzioni adulte e noi – noi Governo, voi Parlamento – dobbiamo insieme dire alle scuole italiane, alle famiglie italiane, ai ragazzi italiani in che modo, nel contesto dato, cambiamo rotta. È questo il comune impegno (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato alla parte pomeridiana della seduta.

Discussione della mozione Migliore ed altri n. 1-00045 relativa al diritto all'obiezione di coscienza in ambito medico-sanitario (ore 12,50).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Migliore ed altri n. 1-00045 relativa al diritto all'obiezione di coscienza in ambito medico-sanitario (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
  Avverto che sono state presentate le mozioni Lenzi ed altri n. 1-00074, Lorefice ed altri n. 1-00078, Brunetta ed altri n. 1-00079, Rondini ed altri n. 1-00080, Binetti ed altri n. 1-00081, Tinagli ed altri n. 1-00082 e Formisano ed altri n. 1-00087 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto altresì che è stata presentata una nuova formulazione della Mozione Migliore ed altri n. 1-00045.

Pag. 48

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni presentate.
  È iscritta a parlare l'onorevole Piazzoni, che illustrerà anche la mozione Migliore ed altri n. 1-00045 (Nuova formulazione), di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

  ILEANA CATHIA PIAZZONI. Signor Presidente, colleghi e colleghi, signori e signore del Governo, si è da poco concluso in quest'Aula il dibattito attorno al tema della violenza contro le donne. Abbiamo convenuto tutti, con i voti all'unanimità alla ratifica della Convenzione di Istanbul e alla specifica mozione, sulla necessità di dedicare il massimo sforzo al ripristino dei diritti delle donne nel nostro Paese. Ora si tratta di passare ai fatti e i fatti, onorevoli colleghi, sono che in questo Paese tutto sembra andare nella direzione contraria a quella da tutti noi auspicata. In ogni aspetto della nostra società, dal lavoro al welfare, dalla cultura alla politica, dalla previdenza alla tutela della salute sino all'organizzazione stessa delle città, emergono ostacoli di ogni tipo alle possibilità reali delle donne di vedere assicurata la garanzia delle proprie opportunità di realizzazione e autodeterminazione.
  Oggi, con la mozione presentata da Sinistra Ecologia Libertà, vogliamo far luce sulla grave violazione del diritto delle donne all'interruzione volontaria della gravidanza, sancito dalla legge 22 maggio 1978, n. 194.
  È una legge costantemente sotto attacco, di cui non viene garantito né il rispetto né la piena applicazione.
  L'ultima relazione sullo stato di attuazione della legge, infatti, ci racconta che in Italia ben il 69 per cento dei ginecologi del servizio pubblico è obiettore di coscienza: in pratica quasi sette medici ginecologi su dieci è obiettore. Se si analizzano i dati su base territoriale, si trova che – ad eccezione della Val d'Aosta – le percentuali regionali non scendono mai al di sotto del 51,5 per cento, con punte di oltre l'80 per cento al sud.
  Ma la situazione è persino più grave di quella riferita dal Ministero: i dati resi noti dalla Laiga, per esempio, ci dicono che nel Lazio in dieci strutture pubbliche su trentuno, esclusi gli ospedali religiosi – che invocano un'obiezione di struttura – e le cliniche accreditate – la maggior parte delle quali ignora semplicemente il problema –, non si eseguono interruzioni di gravidanza. Sempre nel Lazio ha fatto obiezione di coscienza il 91,3 per cento dei ginecologi ospedalieri. In tre province su cinque – Frosinone, Rieti e Viterbo – non è possibile eseguire aborti terapeutici.
  Chiamiamo le cose con il loro nome: in intere regioni l'aborto legale è stato cancellato. Il persistere di questa situazione ha già fatto scattare denunce di fronte alla Corte europea dei diritti dell'uomo per mancata tutela del diritto delle donne alla salute e dei diritti dei medici non obiettori, i cui carichi di lavoro risultano alterati.
  Vogliamo ricordare che l'obiezione di coscienza è una disubbidienza a un dovere giuridico, che viene tollerata dall'ordinamento poiché tutela alcuni diritti costituzionali, quali la libertà religiosa. Tuttavia, è previsto che l'obiettore si assuma la responsabilità delle conseguenze civili e penali della propria disobbedienza o, quanto meno, dell'imposizione di un obbligo sostitutivo.
  Noi ci troviamo di fronte al paradosso della situazione contraria: i sempre più pochi medici non obiettori, che spesso si ritrovano relegati a occuparsi quasi esclusivamente di interruzione di gravidanza, sono spesso sottoposti a dequalificazione professionale e ai conseguenti effetti penalizzanti sulle loro stesse possibilità di carriera.
  Il diritto all'obiezione di coscienza deve quindi essere bilanciato dal diritto delle donne all'interruzione volontaria della gravidanza. Perché ciò avvenga occorre che sia evitato che vi siano obblighi, possibilità per le strutture sanitarie in merito al numero massimo di obiettori di coscienza; che sia previsto il requisito della non obiezione per chi deve essere assunto Pag. 49o trasferito in presidi finalizzati all'applicazione della legge n. 194; che il requisito della non obiezione sia condizione all'espletamento delle funzioni apicali nelle strutture di ostetricia e ginecologia dei presidi ospedalieri; che gli ordini provinciali dei medici, chirurghi e odontoiatri provvedano a compilare un apposito elenco pubblico dei medici obiettori; che i consultori siano rafforzati; che l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica sia consentita anche in day hospital.
  Se tutto ciò non venisse attuato, il rischio di rientrare nella clandestinità e nell'illegalità per abortire sarebbe molto forte. Quale altro dato statistico vi serve per convincervi che l'elusione della legge n. 194 non porta con sé la diminuzione degli aborti, né produce il ritorno a una nuova centralità della famiglia tradizionale e della maternità, ma soltanto il ritorno di pratiche abortive illegali, che mettono in pericolo la vita delle donne ?
  Se credete nel valore della vita – e concludo –, se volete che le donne siano maggiormente disponibili alla maternità, bisogna guardare da un'altra parte. Dobbiamo cambiare radicalmente le politiche del welfare e del lavoro, dobbiamo ricostruire uno Stato sociale adeguato, dobbiamo creare servizi e non ostacoli e divieti all'esercizio dei diritti.
  Sulla legge n. 194 in ballo, invece, c’è solo la tutela della salute e del diritto all'autodeterminazione delle donne, quella di cui abbiamo tanto parlato nelle scorse settimane, e la rispettabilità dello Stato, ad oggi rivelatosi purtroppo incapace di tenere fede a quegli impegni che, attraverso un suo atto solenne – una legge –, ha stretto con le cittadine italiane. Vi chiediamo di ridare dignità allo Stato e alle donne (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Ecologia Libertà, Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Murer, che illustrerà anche la mozione Lenzi ed altri n. 1-00074, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

  DELIA MURER. Onorevoli colleghe e colleghi, in premessa vorrei dire che questa mozione interviene sullo stato di applicazione della legge n. 194 basandosi, però, su dati che non sono aggiornati. Quindi, la prima cosa che vorrei dire è che aspettiamo dal Governo la possibilità di avere al più presto la nuova relazione sull'attuazione della legge n. 194. Chiederei al Governo un attimo di attenzione...
  Chiedevo appunto la possibilità di avere a disposizione la relazione annuale aggiornata. I dati delle passate relazioni ci dicono, comunque, che la legge n. 194 del 1978 è una buona legge, che ha prodotto la progressiva riduzione del ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza e, quindi, è una legge che funziona e che ha trovato un equilibrio tra responsabilità e libertà da parte delle donne e una risposta delle strutture pubbliche.
  Vorrei però dire che negli anni più recenti c’è stato un grandissimo incremento dell'obiezione di coscienza. Questi dati sono presenti nella nostra mozione. Abbiamo intere regioni, (tre: Campania Molise e Basilicata) che hanno ridotto in effetti i servizi dove poter effettuare l'interruzione volontaria di gravidanza e in molte altre realtà si è arrivati al 70-80 per cento di obiettori.
  Questa cosa ha creato ovviamente un clima non favorevole a quei medici che non sono obiettori e ha rischiato di avere un peso eccessivo su di loro, fino a portare a chiudere i servizi in alcune realtà. Ora vorrei dire che questa legge difendeva la possibilità per il medico di fare obiezione secondo la propria coscienza, ma non ha mai indicato che fossero le strutture ospedaliere a fare obiezione. Anzi, la legge stabiliva che gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure previste dall'articolo 7 e l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza. Le regioni ne controllano e garantiscono l'attuazione, anche attraverso la mobilità del personale e questo è proprio il punto di questa mozione. Noi vogliamo che vi sia certamente la possibilità dell'obiezione, ma non vogliamo che tutte le strutture impediscano l'applicazione della legge. Questo è un grave problema, Pag. 50che è stato ripreso anche dal comitato di bioetica, che ha dato raccomandazioni proprio affinché le strutture garantiscano la possibilità dell'applicazione della legge.
  Vorrei anche dire che su questo punto abbiamo una novità: la composizione della popolazione nel nostro Paese è cambiata e abbiamo un ritorno all'uso dell'interruzione volontaria di gravidanza da parte delle donne immigrate. Questo è un grosso problema: è un problema di accesso ai servizi sanitari da parte delle donne immigrate, perché molto spesso questa difficoltà si lega anche al fatto che le donne hanno paura perché possono essere state clandestine. Ricordiamo tutti il dibattito fatto sul «decreto sicurezza» su questo punto, che aveva portato ad una modifica del decreto, anche su richiesta dei medici stessi, secondo i quali non è possibile doversi fare carico anche di una delazione sullo stato delle persone che arrivano e non vogliono allontanare le persone dalle cure.
  Le donne immigrate – dicevano i medici – non sempre conoscono i diritti che hanno a tutela di una maternità libera e consapevole e neanche sull'intervento che possa riguardare l'interruzione volontaria di gravidanza. Questa cosa crea una preoccupazione relativa al fatto che si ricorra ancora all'aborto clandestino.
  Vorrei anche dire che, riferendomi al tema dell'obiezione di cui parlavo prima e di questa grande espansione dell'obiezione tra i medici, c’è anche un fenomeno molto grave, che è quello di determinare tempi molto lunghi nell'accesso all'interruzione di gravidanza. Quindi, un'interruzione di gravidanza che potrebbe avvenire nei tempi previsti dalla legge rischia molto spesso di andare oltre questi tempi e quindi di riportare poi la donna nell'ambito dell'aborto clandestino. Questo è un fatto molto grave, perché penalizza le modalità di applicazione della legge.
  Vorrei poi ricordare che noi abbiamo la RU486, che è stata sperimentata in una serie di regioni e che ha portato a dei buoni risultati, anche ad un aumento del ricorso a queste pratiche che sono meno invasive e possono essere meno pesanti anche per la struttura sanitaria.
  Oggi bisognerebbe capire come su tutto il territorio nazionale si arriva all'applicazione anche di questa RU486 e con che modalità. Questo è un altro tema che noi abbiamo di fronte e credo che su questo vi sia necessità di fare un punto. Quindi queste sono alcune questioni che noi trattiamo nella mozione. Al Governo chiediamo alcune cose: innanzitutto di arrivare al più presto con la relazione aggiornata e che magari questo possa avvenire anche dopo un monitoraggio della situazione in tutte le regioni; fare in modo che si possa perseguire l'obiettivo principe della legge n. 194 del 1978, che era quello della tutela della maternità libera e consapevole ed il fatto quindi che si dia piena attuazione a quella legge, che secondo noi è ancora una buona legge, pur tutelando il diritto del singolo all'obiezione di coscienza (io continuo a dire: un'obiezione di coscienza che però è del singolo, non può essere delle strutture sanitarie, che devono garantire invece questa applicazione).
  Poi chiediamo anche che il Governo intervenga in Conferenza Stato-regioni per verificare l'attuazione della possibilità di intervenire in tutte le strutture sanitarie e comunque nell'ambito di tutte le regioni e da questo punto di vista quindi capire con che strumenti garantire, laddove vi è una forte obiezione, la possibilità di avere un'adeguata rete di risposte sul territorio.
  Poi nella nostra mozione chiediamo anche al Governo che ci sia un rilancio dello strumento del consultorio familiare. Ci pare che certamente bisognerà capire anche come si è evoluta la presenza dei consultori in tutte le regioni e oggi che tipi di servizi offrono, ma è fondamentale tornare ad un investimento sui consultori, proprio perché una politica di prevenzione e promozione della maternità e paternità libera e consapevole, deve essere messa al primo posto, soprattutto anche nei confronti di fasce di popolazione che non sono già state «investite» (mi riferisco alle immigrate e mi riferisco anche alle ragazze giovani ed ai ragazzi giovani). Da Pag. 51questo punto di vista chiediamo un'altra cosa: la possibilità di promuovere, d'intesa tra il Ministero della salute ed il Ministero dell'istruzione, attività di informazione e di educazione alla salute all'interno delle scuole, una tutela della salute sessuale ed una collaborazione con i consultori. Come ultimo punto chiediamo che ci si attivi per l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica, come opzione a cui le donne possono accedere entro i limiti di età gestazionale imposti dalla metodica, ma pensiamo che anche questa possibilità vada garantita su tutto il territorio nazionale e non solo in alcune parti di esso (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baroni, che illustrerà anche la mozione Lorefice ed altri n. 1-00078, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

  MASSIMO ENRICO BARONI. Mi scusi Presidente, quanto tempo ho a disposizione ?

  PRESIDENTE. Lei ha fino a 14 minuti.

  MASSIMO ENRICO BARONI. La ringrazio della pazienza preventiva. Signor Presidente, esattamente 35 anni fa la legge n. 194 del 1978, frutto di un'importante attivazione della società civile, oltre che di una successiva pronuncia referendaria, ha portato finalmente alla tutela sociale della maternità ed alla possibilità legale di interrompere volontariamente la gravidanza. L'abrogazione di quegli articoli del codice penale chiudevano un'epoca borbonica, vittoriana, ed aprivano la strada ad un mondo nuovo, con meno illusioni, ma allo stesso momento con nuove speranze sociali tutte da disegnare, da proiettare e da condividere insieme. Oggi ci troviamo quindi ad affrontare gli strascichi lasciati indietro da un'ottima legge e l'incapacità delle istituzioni di farsi garanti sul territorio, di passare da un potere prescrittivo ad un potere di attivazione delle coscienze che la politica usa ormai solo in televisione per temi futili e ad personam.
  Il bilanciamento dei valori in conflitto posti in essere è, quindi, il frutto di un'epoca nuova che preannunciava l'arrivo di un nuovo secolo, il cui diritto alla vita si radica, ipse lege, nell'alveo del diritto alla salute della donna e delle condizioni minime della qualità di vita percepite dalla donna stessa. Tralascio la disamina tecnico-giuridica che verrà maggiormente approfondita dalla mia collega deputata Marialucia Lorefice durante la discussione sulle linee generali. L'aborto è una tragedia umana, morale e psicologica; se ne portano i segni nascosti per anni e ci si riscopre un giorno in lacrime per essere stati autentici e fiduciosi nell'enorme potere dell'amore che diventa il vero tradimento, la vera manifestazione di impotenza dell'uomo sulla donna.
  Non è, quindi, un caso che nel programma di cittadini sensibili al degrado politico e al malaffare, un programma che è stato assorbito dal MoVimento 5 Stelle, abbiamo un rafforzamento dell'attività dei consultori familiari, di una sanità di iniziativa che non riesce a decollare in Italia perché si pone al di fuori di interessi forti, vero maschilismo istituzionale, e di rendite di posizione accumulate negli anni, rendite la cui cultura è promossa da attività in cui i sindacati e, purtroppo, anche alcune ASL con direzioni colluse con interessi di bassa politica, sono i primi a promuovere una cultura del privilegio a discapito di una cultura del servizio. Rendite che hanno ribaltato le ragioni del servizio e il mandato sociale, rendendo i medici troppo attenti a lasciare i loro pazienti sullo sfondo, laddove la lontananza si tinge con colori pastello con un violento abbandono sociale.
  Tali servizi garantiti per legge vanno ribaditi come legati al territorio, alla comunità, alla presa in carico di persone che sono ad un crocevia della loro esistenza e che porteranno per tutta la vita una scelta di speranza a discapito delle condizioni percepite come svalutanti e minacciose oppure di uno stigma di rinuncia ad una nuova vita. Pertanto, si chiede: di garantire il rispetto della legge n. 194 del 1978 su tutto il territorio nazionale, in particolare Pag. 52quanto previsto dall'articolo 9, e la sua piena applicazione, a tutela dei diritti e della salute delle donne; di prevedere, di concerto con le regioni, che le strutture ospedaliere, in particolare quelle private convenzionate, garantiscano il personale al fine di consentire alle donne che lo richiedano di poter procedere all'interruzione di gravidanza, anche attraverso l'assunzione di personale non obiettore in maniera tale da garantire il servizio con particolare riguardo alle strutture ospedaliere pubbliche; al fine di evitare che le singole obiezioni di coscienza degli operatori sanitari si trasformino in obiezioni di coscienza della struttura sanitaria, laddove persista da parte di strutture private convenzionate il diniego al servizio di interruzione volontaria di gravidanza, di procedere all'esclusione di tale struttura dall'elenco di quelle convenzionate con il sistema sanitario nazionale; di istituire un osservatorio nazionale che veda la presenza dei Ministeri interessati, delle regioni e delle associazioni delle donne, al fine di monitorare l'attuazione della legge n. 194 del 1978, allo scopo di avere dati periodici e certi, in particolare sul numero di consultori sull'intero territorio nazionale, sulla loro attività, sulla formazione degli operatori presenti, sulle strutture che effettuano queste interruzioni di gravidanza, sul numero di operatori disponibili per ogni struttura pubblica nella quale non si effettuano interruzioni volontarie di gravidanza per l'assenza o il numero insufficiente degli operatori sanitari disponibili.
  Al contempo noi chiediamo – questo è stato un tema di discussione anche con il Ministro in questi recenti minuti – che sul tesserino dell'ordine dei medici sia posta una nota a piè di lista con la scritta «obiettore di coscienza», per una trasparenza e una usufruibilità da parte del cittadino paziente prima di qualsiasi interesse legato a una categoria professionale, che, ci auguriamo, ricordi sempre l'altissimo mandato sociale che incarna sul territorio (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fucci, che illustrerà la mozione Brunetta e altri n. 1-00079, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

  BENEDETTO FRANCESCO FUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci troviamo oggi a discutere su un tema di grande importanza sul piano sociale ed etico. Lo facciamo a seguito dell'iniziativa del gruppo parlamentare di Sinistra Ecologia Libertà (SEL), che ha presentato una mozione che vuole affrontare il tema dell'interruzione volontaria di gravidanza e dell'obiezione di coscienza da parte dei medici, in un'ottica che appare, a mio parere, in netto contrasto con i riferimenti normativi in materia, ossia la legge n. 194 del 1978 e la risoluzione n. 1763 del 2010 dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, riguardante il diritto all'obiezione di coscienza nell'ambito delle cure mediche legali.
  In seconda battuta osserviamo come la linea espressa dalla mozione di SEL sia suscettibile di causare ai medici obiettori in quanto tali, discriminazioni sul piano della progressione di carriera, il che rappresenta anch'esso non solo un fatto sbagliato in sé, ma anche un'ulteriore errata interpretazione della stessa legge n. 194 del 1978.
  Proprio per queste considerazioni il gruppo del Popolo della Libertà ha presentato una sua mozione con lo scopo di: garantire sempre il diritto all'obiezione di coscienza costituzionalmente fondato, così come previsto dalla normativa vigente; assumere ogni iniziativa volta ad eliminare qualsiasi discriminazione tra i lavoratori obiettori e non obiettori di coscienza; assumere ogni iniziativa per la piena applicazione della legge n. 194 del 1978 in tutte le sue parti, compresa quella preventiva a tutela della maternità; informare le donne straniere sulle opportunità e le modalità di accesso ai servizi di salute della donna, compresa quindi l'interruzione volontaria di gravidanza, per evitare il ricorso a strutture clandestine; e infine, Pag. 53proseguire nel monitoraggio regionale dedicato alle modalità di aborto con la RU486.
  Il senso e le finalità della mozione da noi presentata sono bene illustrati nel testo; mi preme comunque richiamare – non dovrebbe essercene bisogno in linea di principio, ma il dibattito aperto oggi dai colleghi di SEL mi sembra lo imponga – quello che a mio parere è il cuore delle premesse del nostro documento, e cioè che l'obiezione di coscienza è costituzionalmente fondata, con riferimento ai diritti inviolabili dell'uomo. Ciò è stato riconosciuto dal Comitato nazionale di bioetica, organo consultivo della Presidenza del Consiglio dei ministri, nel parere del 12 luglio 2012 sul tema «obiezione di coscienza e bioetica». Inoltre, l'obiezione di coscienza ed il riconoscimento per il medico ed il personale sanitario di potervi ricorrere sono pilastri, come già anticipato in precedenza, sia della legge n. 194 del 1978, che della risoluzione del Consiglio d'Europa già citata.
  Quanto alla legge n. 194 del 1978, il riferimento è all'articolo 9, il quale afferma in modo espresso che: «Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure (...) ed agli interventi per l'interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione.» Inoltre, «l'obiezione può sempre essere revocata» e, prosegue il testo dell'articolo 9, «esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l'interruzione della gravidanza, e non dall'assistenza antecedente e conseguente all'intervento». E in ogni caso «gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate» devono «assicurare l'espletamento delle procedure (...) e l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza». Inoltre, «l'obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro (...) intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo.» In ogni caso, «l'obiezione di coscienza si intende revocata, con effetto immediato, se chi l'ha sollevata prende parte a procedure o a interventi per l'interruzione della gravidanza previsti dalla presente legge» al di fuori dei casi di urgenza.
  Quanto, onorevoli colleghi, alla risoluzione n. 1763 del 2010 dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa riguardante il diritto, come dicevamo poc'anzi, all'obiezione di coscienza nell'ambito delle cure mediche legali, essa afferma: «Nessuna persona, ospedale o istituzione può essere discriminata per il suo rifiuto ad effettuare o assistere a operazioni di interruzione di gravidanza».
  Presidente, onorevoli colleghi, faccio questi precisi riferimenti normativi proprio per evitare polemiche strumentali. Noi consideriamo sbagliato e potenzialmente pericoloso affrontare questi temi così importanti sul piano esclusivamente ideologico. Per questo, la nostra mozione affronta il tema dell'obiezione di coscienza sul piano del ragionamento e della riflessione, sempre tenendo conto, come punti di riferimento, i dettati delle norme in vigore. Il nostro, quindi, è un approccio concreto che guarda ai fatti. In particolare, la nostra mozione di questi fatti ne evidenzia tre.
  Il primo fatto, chiaramente esposto nelle premesse della nostra mozione, è che i dati contenuti nella relazione annuale al Parlamento sull'attuazione della legge n. 194, evidenziano una continua e costante diminuzione del ricorso delle donne all'interruzione volontaria di gravidanza. Il secondo dato di fatto evidenziato dalla nostra mozione è che, alla costante e continua diminuzione del numero di interruzioni volontarie di gravidanza, corrisponde un aumento molto meno significativo del numero di obiettori di coscienza, sostanzialmente stabili negli ultimi anni. Infine, il terzo dato, di fatto, riguarda l'assenza....

  PRESIDENTE. Mi scusi onorevole Fucci. Colleghi, capisco, ma gentilmente bisogna parlare dopo con il Governo.

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  BENEDETTO FRANCESCO FUCCI. Infine, il terzo dato, come dicevo, di fatto, riguarda l'assenza di una correlazione fra numero di obiettori di coscienza e tempi di attesa delle donne che chiedono l'interruzione volontaria di gravidanza. Appare chiaro, invece, che le modalità di accesso all'interruzione volontaria della gravidanza dipendono dal livello e dalle scelte di organizzazione del Servizio sanitario nelle singole regioni. Questi sono i fatti sui quali concretamente ragionare. Come un fatto è che l'Italia è un Paese che, esattamente da 35 anni, è dotato di una legge che consente l'interruzione volontaria di gravidanza. Tale legge prevede, in accordo con le norme internazionali e anche recenti, l'obiezione di coscienza; allo stesso tempo, però, afferma che il diritto all'interruzione volontaria di gravidanza deve essere garantito.
  A fronte di questo quadro normativo molto chiaro, la realtà dei fatti ci dice che l'interruzione volontaria di gravidanza è in diminuzione, e che la presenza dei medici obiettori di coscienza, concretamente, non ha mai in alcun modo danneggiato la pratica dell'interruzione volontaria di gravidanza. Pensiamo che, negli anni dal 2006 al 2009, un triennio in cui gli obiettori sono aumentati dal 69,2 al 70,7 per cento, la percentuale di donne che ha aspettato meno di una settimana – e questo è dichiarato – oltre la settimana, naturalmente come previsto dalla legge, di riflessione prima dell'intervento, era aumentata dal 56,7 al 59,3 per cento. Questo significa chiaramente che l'accesso all'interruzione volontaria di gravidanza è migliorato.
  Chi parla, signor Presidente, onorevoli colleghi, è sul piano professionale, un ginecologo obiettore ed è personalmente contrario all'aborto e sul piano politico è schierato in favore delle battaglie per la tutela della vita sin dal suo concepimento. Ma ciò non mi impedisce, tuttavia, nel momento in cui porto avanti il mio lavoro di medico in accordo con la mia coscienza e con il giuramento di Ippocrate e nel momento in cui, come parlamentare, conduco il mio impegno politico sui temi etici, non impedisce di affermare che oggi vi sono leggi italiane ed internazionali che vanno rispettate nella loro finalità, che è quella, appunto, di contemperare il diritto ormai pacificamente acquisito delle donne che lo ritengono all'interruzione volontaria di gravidanza e, comunque, anche il diritto del medico e del personale sanitario di non prendere parte a pratiche mediche contrarie alla propria coscienza.
  In conclusione, signor Presidente, onorevoli colleghi, auspico che questo dibattito possa aiutarci a riflettere anche su temi di importanza capitale per il futuro del nostro Paese, a partire dalla denatalità che colpisce l'Italia in modo straordinario e dalla necessità di rendere sempre più efficiente il percorso nascita, anzitutto sul piano dei progressi della medicina e della preparazione dei medici e sanitari, ma anche della sicurezza delle strutture, come, peraltro, invocato dalla stessa Camera nella seduta del 12 febbraio 2012, quando si approvò la risoluzione relativa all'indagine parlamentare sui punti nascita.
  Concludo e, per tutte le ragioni appena esposte, rinnovo, pertanto, l'appello più sentito perché l'occasione offerta da questo dibattito non venga sprecata, cedendo alla tentazione di un confronto tutto ideologico ed, in definitiva, giocato in qualche modo sulla pelle delle donne che scelgono la strada dell'interruzione di gravidanza, quasi sempre al termine di un percorso umano sofferto e doloroso con alla base le motivazioni personali più diverse e verso le quali dobbiamo avere, in ogni caso, rispetto. Utilizziamo, anzi, questa occasione per un dibattito concreto e reale su un tema di straordinaria rilevanza scientifica, etica ed umana (Applausi dei deputati del gruppo Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rondini, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00080. Ne ha facoltà.

  MARCO RONDINI. Signor Presidente, nelle scorse settimane abbiamo votato la legge di ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione Pag. 55e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e una mozione unitaria con la quale impegnavamo il Governo su questo importante tema. Oggi, noi presentiamo una mozione che, se è tesa a garantire il diritto all'obiezione di coscienza in campo medico e paramedico, ha anche, e soprattutto, l'obiettivo di impegnare il Governo a promuovere iniziative finalizzate a mettere in campo tutte le risorse disponibili al fine di rafforzare gli interventi finalizzati ad offrire i giusti strumenti per far sì che la donna possa valutare la possibilità di considerare una scelta alternativa all'aborto. Le questioni non sono slegate, si può parlare, infatti, di lotta contro la violenza nei confronti della donna solo se si ha vero rispetto per la donna e questo passa, anche e soprattutto, dal diritto, che alla donna deve essere garantito, di essere madre. Ora, se consideriamo i dati relativi al numero degli aborti praticati in Italia dobbiamo ammettere che a questa pratica spesso si è ricorso quasi fosse un metodo contraccettivo, complice la rimozione, presso la società, dell'idea che, comunque la si voglia mettere, l'aborto è la negazione di una vita. Di più ed ancora, si tace o poco si dice del dramma psicologico che attraverserà la donna a seguito dell'aborto. Interrompere la gravidanza è contemporaneamente un negare e umiliare il proprio essere madre, è una doppia sconfitta, quella di una vita negata e quella del fallimento della generatività materna. Si è sedimentata l'idea che il ricorso all'aborto sia una cosa normale, quando non si desidera un figlio, mentre invece deve essere considerata per quello che è: una sconfitta e un dramma. Abbiamo il dovere di prevenire situazioni che portino al ricorso dell'aborto, rafforzare la libertà della madre offrendo alternative alle donne, avendo fiducia che più le donne saranno libere meno probabile sarà che accettino la morte del loro figlio. Una società sana, come quella che ci proponiamo di essere, non può agevolare il ricorso a pratiche come quelle dell'aborto che deve essere, invece, considerata come un'estrema soluzione.
  Per concludere, non si può non prestare attenzione ai dati sulla denatalità che patisce l'Europa in base ai quali, entro il 2025, Paesi come l'Italia, la Spagna, la Germania e la Grecia potrebbero sperimentare l'implosione demografica. È per questo che con la nostra mozione chiediamo l'impegno del Governo a dare piena attuazione al diritto all'obiezione di coscienza in campo medico e paramedico e a garantire la sua completa fruizione senza alcuna discriminazione o penalizzazione in linea con l'invito del Consiglio d'Europa con la raccomandazione n. 1763, approvata il 7 ottobre del 2010.
  In essa si ribadiva che nessuna persona, ospedale o istituzione sarà costretta, ritenuta responsabile o discriminata in alcun modo a causa di un rifiuto di eseguire, accogliere, assistere o sottoporre un paziente ad un aborto o eutanasia o qualsiasi altro atto che potrebbe causare la morte di un feto o embrione umano, per qualsiasi motivo. Chiediamo, altresì, al Governo, con la nostra mozione, di promuovere iniziative finalizzate a mettere in campo tutte le risorse disponibili al fine di rafforzare gli interventi finalizzati ad offrire i giusti strumenti per far sì che la donna possa valutare la possibilità di considerare una scelta alternativa all'aborto.
  Altresì, impegniamo il Governo a farsi promotore presso le competenti istituzioni dell'Unione europea di politiche dirette al contrasto del fenomeno della denatalità. Infine, per concludere, riteniamo che sia quanto meno singolare che, proprio in un momento storico in cui l'opinione pubblica mostra una rinnovata attenzione alle tematiche di tutela della vita (basti pensare alle firme raccolte nella campagna: L'embrione «uno di noi», finalizzata a sensibilizzare l'Unione europea sul tema della tutela della vita sin dal suo concepimento, e alla grande manifestazione che ha visto scendere in piazza a Roma, il 13 giugno scorso, più di 30 mila persone a difesa della vita) si cerchi di aggirare con altri strumenti lo spirito originario della legge n. 194, con particolare riguardo agli aspetti di prevenzione e riflessione, proponendo campagne contro il diritto all'obiezione Pag. 56di coscienza e a favore della diffusione, magari, dell'aborto farmacologico (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie e di deputati del gruppo Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Binetti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00081. Ne ha facoltà.

  PAOLA BINETTI. Signor Presidente, signor Ministro, colleghi, la mozione sull'obiezione di coscienza a firma di un gruppo di parlamentari UdC-Scelta Civica è volutamente centrata sulla tutela del diritto all'obiezione di coscienza, diritto da annoverare tra i diritti fondamentali almeno implicitamente presenti nella nostra Carta costituzionale.
  L'obiezione di coscienza può essere definita come il diritto di chi rifiuta, in nome della propria coscienza, di obbedire ad una norma alla cui osservanza è tenuto un determinato ordinamento pubblico. Ciò che è chiamato in causa è il principio generale dell'obbedienza alla legge. L'obiezione di coscienza pretende di sospendere tale principio nei casi in cui potrebbe sorgere un conflitto tra un dovere, quello di obbedire alla legge, e un diritto, quello di seguire la propria coscienza. Si tratta di una difesa nei confronti di leggi dello Stato aventi un contenuto etico o connesso con l'etica. Che l'obiezione di coscienza, in riferimento a talune materie – e qui pensiamo soprattutto alla pratica dell'aborto – sia diffusamente riconosciuto come un diritto positivo tutelato e garantito dalla stessa legge è un dato di fatto.
  La libertà di coscienza trova ampio riconoscimento nel diritto internazionale, in particolare nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, nel Patto internazionale sui diritti civili e politici e nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo, all'articolo 9, che recita: «ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione». La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea tutela specificamente il diritto all'obiezione di coscienza, confermando la crescente attenzione a livello internazionale verso la protezione di questo diritto. In continuità con le decisioni prese negli ultimi decenni, l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha ribadito che nessuna persona, ospedale o istituzione sarà costretta, ritenuta responsabile o discriminata in alcun modo a causa di un rifiuto di eseguire, accogliere, assistere o sottoporre un paziente ad un aborto o eutanasia o qualsiasi altro atto che potrebbe causare la morte di un uomo, di un feto o di un embrione umano, per qualsiasi motivo.
  L'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha invitato il Consiglio d'Europa e gli Stati membri ad elaborare normative complete e chiare che definiscano e regolino l'obiezione di coscienze in materia di servizi sanitari e medici, volte soprattutto a garantire il diritto all'obiezione di coscienza in relazione alla partecipazione alla procedura medica in questione e a far sì che i pazienti siano informati di ogni obiezione di coscienza in modo tempestivo e ricevano un trattamento appropriato, in particolare nei casi di emergenza.
  La promozione del diritto all'obiezione di coscienza in campo medico-sanitario è affermata nelle linee guida della Federazione internazionale di ginecologia e ostetricia e dell'Organizzazione mondiale della sanità. L'imperativo ad agire secondo coscienza e il diritto al rifiuto di prestazioni professionali contro coscienza è espressamente prevista dai codici deontologici delle principali professioni medico-sanitarie: dall'articolo 22 del codice di deontologia medica, dal punto n. 3 del codice deontologico dell'ostetrica e dall'articolo 8 del codice deontologico degli infermieri.
  Recentemente il Comitato nazionale per la bioetica ha affrontato la questione dell'obiezione di coscienza nel documento «Obiezione di coscienza e bioetica» pubblicato nel 2012, nel quale si afferma che l'obiezione di conoscenza in bioetica è costituzionalmente fondata, costituisce un diritto della persona e risponde alla necessità di assicurare una zona di rispetto Pag. 57della coscienza dei singoli, anche in funzione del principio pluralista che caratterizza le democrazie contemporanee.
  Il CNB ricorda che l'obiezione di coscienza non è soltanto una forma di protezione della coscienza individuale ma un'istituzione democratica che impedisce che le maggioranze parlamentari o altri organi dello Stato neghino in modo autoritario la problematicità relativa ai confini della tutela dei diritti inviolabili. In questo modo l'obiezione di coscienza si pone come istanza critica in un ordinamento democratico, segnando un'ulteriore presa di distanza dall'idea dello Stato etico come pretesa di imporre ex lege un solo punto di vista morale.
  Il CNB introduce il concetto di obiezione di coscienza sostenibile perché lo Stato deve garantire sia l'applicazione della legge 22 maggio 1978, n. 194, tramite l'assistenza sanitaria, che il diritto della libertà di pensiero e di coscienza dei suoi cittadini. Il medico deve esercitare la sua professione in autonomia e responsabilità, non si può farlo diventare mero esecutore di decisioni prese senza il suo coinvolgimento; sarebbe pericoloso non solo per il professionista ma per tutta la cittadinanza.
  La legge n. 194 prevede scelte individuali e responsabilità pubbliche, l'obiezione di coscienza è il diritto della persona ma non della struttura, ossia al personale sanitario viene garantito il diritto di poter sollevare l'obiezione di coscienza ma il diritto del singolo non è contestualmente anche diritto della struttura sanitaria nel suo complesso, che ha l'obbligo di garantire l'applicazione della legge n. 194.
  L'ultima relazione sullo stato di attuazione della legge n. 194 presentata in Parlamento nell'ottobre 2012 riporta i dati definitivi sull'obiezione di coscienza esercitata da ginecologi, anestesisti e personale non medico nel 2010. La relazione parla di un 69,3 per cento di ginecologi che si dichiarano obiettori di coscienza. L'elevato numero di obiettori di coscienza viene spesso utilizzato come argomento per parlare di inapplicazione della legge n. 194; l'allungamento dei tempi di attesa creerebbe maggiori rischi per la salute delle donne e maggiori rischi professionali per i non obiettori, costretti loro malgrado ad un'intensa e non sempre ottimale pratica clinica. L'idea che si va affermando in alcuni ambienti è che il diritto della donna ad interrompere una gravidanza indesiderata e quello del personale sanitario a sollevare obiezione di coscienza dovrebbero convivere affinché nessun soggetto veda negata la propria libertà.
  Lo scopo dichiarato dalla legge n. 194 però non è quello di garantire un diritto di aborto ma piuttosto quello di prevenire l'aborto, favorendo la nascita dei figli già concepiti, per questo la legge prevede che venga proposta, soprattutto alle madri, un'adeguata pausa di riflessione sul valore della vita umana e che vengano offerte alternative concrete al dramma dell'interruzione della gravidanza.
  Questa è l'interpretazione ripetutamente formulata dalla Corte costituzionale italiana; la legge n. 194 è nata nel 1978 per arginare la pratica degli aborti clandestini oltre che per attuare una seria politica di contrasto al ricorso indiscriminato all'aborto, attraverso interventi di aiuto mirati alla tutela della donna e del nascituro.

  PRESIDENTE. Gentilmente, lasciate libero il banco del Governo.

  PAOLA BINETTI. Le azioni di informazione e di prevenzione affidate in particolar modo ai consultori familiari istituiti dalla legge 29 luglio 1975, n. 405 non sono però mai decollate nella misura in cui la stessa legge n. 194 le prevedeva, ma il punto chiave è che il numero crescente dei medici e dei sanitari che hanno esercitato il diritto all'obiezione di coscienza nelle pratiche abortive non determina affatto l'impossibilità ad accedere al servizio da parte delle donne che intendano sottoporvisi, né peggiora la qualità del servizio stesso. Le statistiche ministeriali dimostrano che il 90 per cento delle interruzioni volontarie di gravidanza eseguite in Italia è ritenuto non urgente, come dimostra la tabella 18 allegata alla relazione del Pag. 58Ministero della salute 2012, è quindi programmabile. Ebbene, il 95 per cento delle interruzioni volontarie di gravidanza viene eseguito entro quattro settimane dalla richiesta e quindi entro tre settimane dal momento in cui l'intervento è legalmente possibile, come riflette la tabella 21 allegata alla relazione.
  Un dato, difficilmente riscontrabile, peraltro, rispetto ad altri tipi di intervento, un dato stabile nel tempo e, quindi, indifferente all'aumentato numero degli obiettori...

  PRESIDENTE. Onorevole Binetti, la prego di concludere.

  PAOLA BINETTI. Un minuto ancora e concludo. Non esiste, non è mai stato dimostrato, un caso in cui ad una donna, che aveva la possibilità di abortire legalmente, sia stato impedito di farlo.
  La facilità di accesso alle pratiche abortive, permessa dalla legge n. 194, è dimostrata anche dall'aumentato numero di ricorso ad esso delle donne straniere, che hanno bisogno di rivolgersi ai consultori per capire come essere tutelate anche nella loro privacy.
  Ciò che chiediamo non è tanto, quindi, che venga messo in discussione il diritto all'obiezione di coscienza: chiediamo senz'altro una concreta applicazione della legge n. 194, nella sua fase di informazione e prevenzione, anche attraverso politiche sociali positive di contrasto alla povertà e di tutela del lavoro della donna, ancora discriminata in alcuni casi, basti pensare allo scandalo delle «dimissioni in bianco». Serve una tutela della maternità a tutto campo, servono politiche che vengano incontro alle donne, facilitando la conciliazione dei tempi lavoro-famiglia, mentre non abbiamo alcun bisogno di limitare il diritto all'obiezione di coscienza.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Tinagli, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00082. Ne ha facoltà.

  IRENE TINAGLI. Signor Presidente, colleghi, la mozione che presento, e che è stata sottoscritta da un gruppo di deputati del gruppo Scelta Civica, è mossa non solo e non tanto per discutere il diritto all'obiezione di coscienza, su cui non c’è chiaramente nessun dubbio, ma dalla considerazione dell'equilibrio e del bilanciamento tra diritti: il diritto all'obiezione, ma anche il diritto a veder tutelata la salute della donna, che era tra gli obiettivi della legge n. 194. Questo alla luce di una serie di dati che sono emersi negli ultimi mesi, a partire, per esempio, dai dati presenti nella relazione sullo stato di attuazione della legge n. 194, presentata al Parlamento dal Ministro della salute nell'ottobre del 2012, che ha mostrato come il numero di ginecologi obiettori di coscienza sia in considerevole aumento, passando, nei soli anni tra il 2005 e il 2009, dal 58,7 per cento al 70,7 per cento, con un grande aumento degli obiettori anche tra gli anestesisti, passati dal 45,7 per cento al 51 per cento e, in particolare, la considerazione di quanto questo aumento sia stato, in particolare, concentrato al Sud, dove si registrano percentuali anche superiori all'80 per cento.
  Parallelamente, risultano in preoccupante aumento anche gli aborti dichiarati come spontanei, che sono passati, secondo i dati dell'ISTAT, dai 40 mila del 2008 ai 75 mila del 2011. Un aumento del 75 per cento, che fa pensare – come molte fonti, anche autorevoli, suggeriscono – ad un incremento di interventi illeciti, eseguiti in modo non corretto, che poi finiscono nelle strutture ospedaliere. Ci sono, inoltre, numerose indagini delle forze dell'ordine, che testimoniano una crescente diffusione di fenomeni come il contrabbando di farmaci, che inducono ad un'interruzione di gravidanza con forti rischi per la salute e la vita delle donne e al proliferare di cliniche e ambulatori fuori legge. Solo nell'ultimo anno, sono stati calcolati 188 procedimenti penali aperti per violazione della legge n. 194, molti dei quali verso insospettabili professionisti che agivano indisturbati tra le mura dei loro studi. Ci sono, inoltre, delle preoccupazioni sull'impatto e la relazione che ci può essere tra l'elevata presenza dei medici obiettori Pag. 59sulla operatività non solo delle strutture ospedaliere, che conducono le interruzioni volontarie, ma anche sull'efficacia dei consultori, nelle loro funzioni di prevenzione e supporto della donna nelle fasi antecedenti all'interruzione di gravidanza.
  Come evidenziato nella succitata relazione del Ministero della salute al Parlamento, l'efficacia del ruolo dei consultori nei processi di prevenzione e supporto appare, in molti casi, indebolita dalla mancanza di figure mediche adeguate o disponibili al rilascio del documento della certificazione necessaria per l'interruzione volontaria di gravidanza, soprattutto al Sud, un elemento che allontana le donne da queste strutture e dai loro indispensabili servizi di informazione, di prevenzione e di supporto.
  Infatti, nonostante i tassi di presenza di consultori siano analoghi tra Nord e Sud – e, infatti, è di 1,5 consultori pubblici ogni 10 mila donne in età tra i 15 e i 49 anni, tanto nell'Italia settentrionale quanto in quella meridionale –, tuttavia mentre al Nord più della metà – il 56 per cento delle certificazioni che portano all'interruzione di gravidanza – passano attraverso i consultori e, quindi, passano attraverso i processi anche di supporto, di prevenzione, al Sud solo il 20 per cento passa attraverso il consultorio e nelle isole addirittura il 15,8 per cento. Quindi, in queste aree le donne, temendo di vedersi negata la certificazione o di essere giudicate dal personale dei consultori, si rivolgono direttamente alle strutture che possono effettuare le interruzioni di gravidanza, bypassando interamente il percorso consultoriale e le necessarie misure, anche di prevenzione e di supporto alle donne in una fase tanto delicata della loro vita.
  Quindi, come vi dicevamo prima, certamente l'esercizio del diritto all'obiezione di coscienza è previsto e disciplinato dalla stessa legge n. 194 del 1978, nell'articolo 9, dove si prevede che il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 – della stessa legge – e agli interventi per l'interruzione di gravidanza quando questi sollevi obiezione di coscienza. Tuttavia, la stessa legge ne disciplina e regolamenta l'uso stabilendo che gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure previste dall'articolo 7 – della citata legge – e l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza, stabilendo anche che la regione controlli e garantisca l'attuazione e l'effettiva erogazione di questi servizi, anche attraverso la mobilità del personale. È una misura che, però, fino a oggi è stata scarsamente, se non per niente, utilizzata dalle strutture.
  Quindi, l'obiezione di coscienza si configura come un diritto della persona innegabile, ma non un diritto della struttura che, comunque, ha l'obbligo di erogare le prestazioni sanitarie previste dalla legge. Quindi, questa è la preoccupazione principale che abbiamo, di bilanciare diritto all'obiezione con la necessità di erogare un servizio. Quindi, lo stesso Comitato nazionale di bioetica, nel suo parere, sostiene la necessità di un diritto all'obiezione sostenibile, che non deve limitare né rendere più gravoso l'esercizio dei diritti riconosciuti per legge.

  PRESIDENTE. La prego di concludere.

  IRENE TINAGLI. Quindi – io taglio – ... Credevo di avere cinque minuti in realtà...

  PRESIDENTE. Sei minuti, per l'esattezza.

  IRENE TINAGLI. Quindi, quello che noi chiediamo è un impegno al Governo, innanzitutto a condurre un'analisi conoscitiva approfondita sull'impatto dell'obiezione di coscienza sull'applicazione della legge n. 194 perché, come abbiamo visto anche oggi nella discussione in Aula, ci sono varie posizioni e varie interpretazioni degli indicatori...

  PRESIDENTE. Onorevole, le chiedo scusa. Siamo mezzo minuto oltre i sei minuti. Se vuole, può consegnare il testo del suo intervento. Ma io ho un problema. Pag. 60Abbiamo tanti interventi e così non riusciamo a concluderli prima della ripresa pomeridiana della seduta.

  IRENE TINAGLI. Dicevo che chiediamo di adottare tutte le misure necessarie perché le regioni garantiscano il rispetto e la piena attuazione della legge n. 194 del 1978, incluso il ricorso alla mobilità del personale e a tutti gli strumenti previsti per legge; di introdurre un sistema di monitoraggio costante e rigoroso delle azioni intraprese dalle regioni e rafforzare anche l'attività dei consultori che, come abbiamo detto, sono fondamentali. Lo hanno ripetuto in molti, ma troppo spesso ...

  PRESIDENTE. Onorevole Tinagli, le chiedo scusa ma purtroppo...

  IRENE TINAGLI. Va bene, grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, onorevole Tinagli.
  È iscritta a parlare l'onorevole D'Incecco. Ne ha facoltà.

  VITTORIA D'INCECCO. Signor Presidente, la legge n. 194 del 1978 ha introdotto, 35 anni fa, un diritto fondamentale, quello dell'autodeterminazione rispetto alle scelte procreative. È una legge che si è rivelata lungimirante, equilibrata e responsabile, che oltre a tutelare la salute delle donne ha determinato un cambiamento sostanziale del fenomeno di cui stiamo parlando. La sua efficacia è testimoniata dalla riduzione del ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza. Oggi, infatti, si conta un decremento del 53,3 per cento rispetto agli anni Ottanta.
  La piena applicazione di questa legge attualmente però, come abbiamo detto e come hanno detto gli altri, deve fare i conti con un ricorso all'obiezione di coscienza sempre più numeroso, perché i dati in nostro possesso evidenziano, infatti, una percentuale di medici molto alta rispetto alle esigenze delle pazienti e, quindi, rispetto alla tutelabilità del diritto ad accedere all'interruzione volontaria di gravidanza, così come previsto dalla legge n. 194 del 1978.
  Decidere di interrompere una gravidanza per una donna non è affatto semplice e spesso diventa molto traumatico...

  PRESIDENTE. Chiedo scusa, onorevole D'Incecco. Vi è sempre il problema che il Governo dovrebbe essere lasciato libero di ascoltare. Onorevole D'Incecco, attenda, che aspettiamo. Ripeto, il Governo dovrebbe... onorevole Pagano, la ringrazio.

  VITTORIA D'INCECCO. Dicevo, signora Ministro, che decidere di interrompere una gravidanza per una donna non è affatto facile e spesso diventa molto traumatico. Quindi, non è giusto che nel nostro Paese le donne siano costrette a passare da una struttura sanitaria all'altra oppure a recarsi in altre regioni ed essere sole.
  Eppure, le liste e i tempi di attesa si allungano, i ginecologi non obiettori hanno un enorme carico di lavoro, i consultori hanno vita difficile per mancanza di finanziamenti. Nel tempo la situazione, come sa, è peggiorata, e, data la situazione attuale, la nostra preoccupazione è che nel giro di qualche anno nelle strutture pubbliche italiane non sarà quasi più possibile ricorrere all'aborto legale.
  Questa situazione favorisce, ovviamente, il ritorno del fenomeno dell'aborto clandestino, che la legge n. 194 del 1978 aveva tanto combattuto e, per fortuna, sconfitto, e di una situazione di tipo discriminatorio, perché le donne con possibilità economiche potranno abortire all'estero o in strutture private, però le donne meno abbienti, le immigrate, quelle che fanno un lavoro precario, dovranno, invece, ricorrere all'aborto clandestino, mettendo a rischio la propria vita.
  L'obiezione di coscienza è garantita dall'articolo 9 della legge n. 194 ed è un diritto consolidato, non solo per quanto riguarda l'interruzione volontaria di gravidanza. Un diritto, però, non deve prevalere o sopprimere altri diritti di pari dignità, come il diritto all'autodeterminazione Pag. 61procreativa o alla salute fisica e psichica della donna, faticosamente conquistato più di trent'anni fa e che la legge prevede nel suo primo articolo.
  Lo Stato ha il compito di trovare il giusto equilibrio fra questi diritti. Non vogliamo, quindi, mettere in discussione il rispetto dell'obiezione di coscienza, ma le istituzioni devono comprenderne e valutarne le conseguenze sulla salute delle donne e devono farsene carico.
  Questo non significa che bisogna limitare l'obiezione di coscienza, ma che bisogna risolvere l'attuale conflitto esistente nella garanzia di due diritti fondamentali, anche attraverso un'organizzazione dei servizi. Quindi, bisogna fornire un indirizzo alle regioni affinché in tutte le strutture e in tutti i presidi si facciano davvero carico di garantire l'equilibrio tra il diritto all'obiezione di coscienza e quello della tutela della salute delle donne e della maternità.
  È fondamentale, poi, signora Ministro, un'attività di costante monitoraggio per assicurare la presenza all'interno delle strutture ospedaliere pubbliche o convenzionate di personale sanitario non obiettore di coscienza, al fine di garantire a tutte le donne che lo richiedano la possibilità di ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza entro i termini e nelle forme previste dalla legge n. 194.
  Inoltre, è prioritario valorizzare e potenziare i consultori familiari – io vi ho lavorato – sia nelle attività di prevenzione dell'interruzione volontaria di gravidanza sia nella presa in carico delle donne che richiedono tale intervento. Queste strutture – ancora troppo poche, purtroppo, e, allo stato attuale, mortificate, ormai, nella loro funzione – hanno un ruolo fondamentale e rappresentano lo strumento adatto a mettere immediatamente in collegamento la donna che si rivolge al consultorio con la struttura ospedaliera, riducendo, così, i tempi di attesa.
  Occorrono anche specifici interventi di prevenzione rivolti alle donne straniere. Il 53 per cento delle donne immigrate che hanno praticato l'interruzione volontaria di gravidanza si sono rivolte a un consultorio. Appare utile, quindi, la formazione degli operatori sociosanitari finalizzata ad approcci interculturali per la tutela della salute sessuale e riproduttiva. A tale proposito, è importante promuovere anche attività di informazione e educazione sanitaria nelle scuole, con l'obiettivo di trasmettere agli adolescenti e alle adolescenti anche i giusti valori di questi insegnamenti.
  È fondamentale, poi, la figura del mediatore culturale, al fine di garantire alle donne immigrate l'accesso ai consultori e all'assistenza sanitaria, nel rispetto di ciascuna cultura e dei peculiari modi di affrontare la gravidanza e la maternità nelle comunità di appartenenza.
  L'autonomia e la libertà di scelta delle donne sono valori irrinunciabili che abbiamo il compito di continuare a difendere, a sostenere, anche attraverso il giusto equilibrio tra il rispetto del diritto del singolo all'obiezione di coscienza e la necessità di dare piena attuazione alla legge n. 194.
  Relativamente poi alla RU 486, fatta oggetto nel nostro Paese, purtroppo, di un veto da inquisizione medievale per vent'anni, i dati di cui siamo in possesso ci dicono che l'aborto farmacologico, meno invasivo per le donne, meno impattante dal punto di vista psicologico, è ancora lontano dall'essere una vera alternativa all'interruzione di gravidanza chirurgica. In molti Paesi invece è uno strumento consolidato nella pratica clinica. Eppure la 194 contiene la possibilità di innovazioni nell'ambito delle procedure per l'esecuzione dell'aborto volontario, perché nell'articolo 15, infatti, è previsto che le regioni, d'intesa con le università e con gli enti ospedalieri, provvedono alla promozione dell'aggiornamento del personale sanitario sull'uso delle tecniche più moderne e più rispettose dell'integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per la interruzione della gravidanza. Quindi la scienza si è evoluta e oggi offre metodi nuovi, meno traumatici, come quello farmacologico. Quindi bisogna mettere le donne nella condizione di poter trarre Pag. 62giovamento dalle innovazioni raggiunte nel campo medico e di poter scegliere liberamente quale percorso intraprendere.
  Allora le chiediamo, signora Ministra, di poter conoscere al più presto, come aveva chiesto già la mia collega, onorevole Murer, la relazione aggiornata. Soprattutto, le chiediamo un impegno forte – e concludo –, un impegno forte e immediato su quanto da noi richiesto nella mozione, perché attraverso il potenziamento e il miglioramento delle politiche pubbliche si assicuri il rispetto dei diritti fondamentali che la legge n. 194 ha da sempre così bene saputo esprimere e garantire (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Dorina Bianchi. Ne ha facoltà.

  DORINA BIANCHI. Grazie Presidente, onorevoli colleghi, Ministro, l'obiezione di coscienza è un diritto proprio di ogni ordinamento liberale, fondato su una visione laica dell'etica che vede nel primato della coscienza, intesa come norma ultima, concreta dell'agire umano, un suo cardine fondamentale.
  In Italia, in ambito medico-sanitario, il diritto all'obiezione di coscienza è espressamente codificato e disciplinato, quindi riconosciuto, nella legge n. 194, nella legge n. 413 del 1993, sulla sperimentazione animale, e nella legge n. 40 del 2004, sulla procreazione medicalmente assistita. Inoltre, la risoluzione n. 1763 del 2010 dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa riconosce l'obiezione di coscienza.
  La donna ha certamente diritto a ricorrere all'interruzione volontaria di gravidanza.
  In questa Aula è doveroso ricordare a tutti che la legge n. 194 del 1978 ha come primaria finalità la tutela del valore sociale della maternità. Prevede una serie di compiti affidati agli enti, istituzioni e alla società stessa, affinché l'aborto sia una eccezione e il rispetto della vita sin dal suo inizio sia invece una regola. In particolare, il disposto della legge riconosce alla madre, in caso di gravidanza che le crei difficoltà, la possibilità di scegliere tra la propria vita, o salute, e la vita del figlio che porta in utero, come unica eccezione in un contesto generale di diritto che tutela sia la madre che il concepito.
  Proprio a tutela del valore sociale della maternità è doveroso ricordare, inoltre, che la legge n. 194 sollecita lo Stato a mettere in atto interventi concreti affinché la donna possa avere margini di scelta più ampi rispetto a quelli che la società spesso le impone.
  Questo è forse l'aspetto della legge che finora è stato più trascurato per dare seguito invece a strumentalizzazioni politiche della normativa. Vorrei in particolare ricordare ai presenti quanto disposto dall'articolo 1 della legge, nel quale si afferma che lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconoscendo non solo il valore sociale della maternità ma anche la tutela alla vita umana sin dal suo inizio.
  Sempre secondo la medesima legge, all'articolo 2, i consultori familiari hanno il compito di contribuire a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all'interruzione di gravidanza. I consultori, inoltre, sulla base di appositi regolamenti o convenzioni, possono avvalersi della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita.
  Le strutture sanitarie dunque, come del resto i consultori, hanno il compito, specialmente quando la richiesta di interruzione di gravidanza sia motivata dall'incidenza delle condizioni economiche o sociali o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, le possibili soluzioni dei problemi, tentando di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero all'interruzione della gravidanza.
  È dunque la struttura sanitaria ad essere chiamata quale primo presidio e sostegno della donna, offrendole, come dispone la legge, tutti gli aiuti necessari, Pag. 63sia durante la gravidanza sia dopo il parto. È innegabile inoltre il legame fra la situazione economica e la scelta di continuare la gravidanza. Mettere in grado la donna di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre dovrebbe essere un dovere di tutti ma cercare insieme a lei di affrontare le avversità della vita nei momenti bui, offrendole una seconda, altra visione, è compito di chi la sostiene anche dal punto di vista sanitario.
  I dati che emergono dalle relazioni ISTAT del 2005, del 2008 e del 2010 segnalano un tasso di interruzione volontaria di gravidanza in costante riduzione, ma un costante incremento dell'abortività spontanea. In particolare, rispetto al 1988, anno in cui gli aborti spontanei erano 55 mila, essi sono aumentati di circa 11 mila unità rispetto al 2001, di 17 mila all'anno nel 2005 e di 22 mila unità nel 2007.
  Secondo i dati ufficializzati dal Ministero della salute, nella relazione 2012, sull'attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l'interruzione volontaria di gravidanza, si legge che nel 2011 sono state effettuate 109 mila interruzioni volontarie di gravidanza con un incremento del 5,6 per cento rispetto al dato definitivo del 2010 e un decremento del 53,3 per cento rispetto al 2012, anno in cui si è registrato il più alto ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza.
  I dati raccolti dunque registrano una continua diminuzione del ricorso delle donne all'aborto. A tale diminuzione corrisponde, sempre secondo i dati della relazione del Ministero della salute, un aumento molto meno significativo del numero di obiettori di coscienza, sostanzialmente stabile negli ultimi anni. Sempre nella relazione si legge che in materia di obiezione di coscienza il Comitato nazionale per la bioetica ha recentemente formulato un parere nel quale ha riconosciuto che l'obiezione di coscienza è un diritto fondamentale della persona, costituzionalmente tutelato e ha altresì affermato che la tutela dell'obiezione di coscienza non deve limitare né rendere più gravoso l'esercizio dei diritti riconosciuti per legge.
  Al riguardo il Comitato nazionale per la bioetica, affinché l'obiezione di coscienza venga esercitata in modo sostenibile, raccomanda che la legge n. 194 del 1978 preveda, accanto alla tutela dell'obiezione di coscienza, misure adeguate a garantire l'erogazione di servizi e che la disciplina sia tale da non discriminare né gli obiettori né i non obiettori e quindi non far gravare sugli uni o sugli altri, in via esclusiva, servizi particolarmente gravosi o poco qualificanti, nonché la predisposizione di un'organizzazione nella mansione e nel reclutamento.
  A queste considerazioni si aggiunga, inoltre, che può essere attentamente valutata l'opportunità di un coinvolgimento del personale obiettore di coscienza in attività di prevenzione dell'aborto in maniera coerente con le convinzioni di coscienza manifestate.
  A fronte della continua riduzione del ricorso all'aborto tra le donne italiane – riduzione tuttavia più lenta nelle condizioni di maggiore svantaggio sociale –, l'aumento degli aborti effettuati dalle donne straniere, dovuto al costante incremento della loro presenza nel nostro Paese, rappresenta una criticità importante.
  È dunque necessario diffondere una cultura della vita, anche mediante apposite campagne di sensibilizzazione, rivolte, in particolare, non solo alle giovani italiane...

  PRESIDENTE. Onorevole Bianchi...

  DORINA BIANCHI. ... ma altresì alle donne straniere, mediante l'implementazione di interventi e servizi in multilingua nelle scuole e nei servizi sociali.
  Gentile Presidente, onorevoli colleghi, come detto all'inizio, lo sforzo...

  PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Bianchi, per favore.

  DORINA BIANCHI. Signor Presidente, ancora manca un po’, quindi chiedo che la Pag. 64Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.

  PRESIDENTE. Onorevole Bianchi, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
  È iscritta a parlare l'onorevole Scuvera. Ne ha facoltà.

  CHIARA SCUVERA. Signor Presidente, per ribadire quanto è importante la piena applicazione della legge n. 194, è sempre bene ricordare cosa era l'Italia prima della legge n. 194, quando il divieto di autodeterminazione femminile, portato di una cultura patriarcale che segregava le donne, relegandole ai ruoli di madri e di mogli, induceva e sottaceva un diffuso fenomeno di interruzione clandestina delle gravidanze indesiderate.
  È ancora impressionante una stima Unesco dell'inizio degli anni Settanta che contava un milione e mezzo di aborti clandestini, con un giro di affari di circa 70 milioni di lire annuo per chi li praticava: un grande business sul corpo delle donne, cui si accompagnavano anche delle pratiche familiari.
  Era compromesso il diritto alla libera scelta e messo a rischio il diritto alla salute e alla stessa esistenza. Quante donne morirono durante quelle pratiche insicure, travolte da un pensiero unico che le voleva sottomesse al dominio maschile e che spesso le privava di istruzione e conoscenza ?
  Quindi, per gli effetti positivi che ha sortito, illustrati anche nella nostra mozione, la legge n. 194 va davvero pienamente attuata, non solo in quanto decisivo spartiacque nel cammino dell'emancipazione, ma anche in quanto normativa che contiene un giusto contemperamento tra libertà e salute femminile e diritto all'obiezione di coscienza; ma la ratio principale è sempre quella della tutela del diritto di autodeterminazione delle donne e i diritti umani e sociali delle donne non possono essere pienamente garantiti se, per effetto dell'incremento dell'obiezione, che non può essere di struttura – come ricordava la collega Murer –, il servizio si depaupera di personale medico dedicato. Per questo dobbiamo rafforzare la rete socio-sanitaria e consentire che l'interruzione volontaria di gravidanza possa avvenire in modo capillare.
  Nella nostra mozione chiediamo il potenziamento dei consultori, ma vorremmo che fossero davvero dei centri di ascolto, di assistenza, di cultura: nell'ultima parte della nostra mozione facciamo proprio riferimento all'educazione e alla prevenzione che deve avvenire nelle scuole e questo anche per tutelare le donne più povere o con maggiore fragilità, come le donne emigranti, come ricordava la collega D'Incecco.
  Quando diciamo di attivarsi perché l'interruzione farmacologica sia davvero proposta come opzione, chiediamo che venga tutelato il diritto delle donne a non soffrire. Lo Stato, che è laico, sostenga il diritto delle donne a non essere predestinate alla sofferenza e a vivere quell'esistenza libera e dignitosa di cui scrissero i Costituenti (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Nardi. Ne ha facoltà.

  MARTINA NARDI. Signor Presidente, signori del Governo, signora Ministra, onorevoli colleghi e onorevoli colleghe, la legge n. 194 chiede rispetto, le donne italiane chiedono rispetto. Il rosso dei nostri vestiti simboleggia la caparbietà di chi si oppone ai soprusi ai quali assistiamo quotidianamente negli ospedali italiani nei confronti delle tante donne che vengono umiliate e scacciate per voler affermare la loro volontà di non portare a termine una gravidanza. E come la giovane turca, noi ci opponiamo al getto d'acqua del carro armato dell'arroganza dei medici obiettori, che rendono sempre più difficile l'applicazione di una legge dello Stato.
  Le donne e gli uomini di questo Paese, nel 1981, sancirono la loro volontà con il referendum, confermando la legge n. 194 Pag. 65del 1978. Ero piccola all'epoca, ma ricordo benissimo le manifestazioni, i comizi, le discussioni in tutte le famiglie italiane. Non fu solo un referendum, fu un fatto di popolo che attraversò i ceti sociali, le culture politiche, le storie individuali e i corpi intermedi presenti nel nostro Paese. Fu un processo di maturazione costituente della nuova Italia, quella che iniziò ad aprire gli occhi e soprattutto mise al centro i diritti delle donne e la giusta rivendicazione all'autodeterminazione.
  Noi tutti, parlamentari della Repubblica, rappresentanti del popolo, abbiamo il dovere di difendere le volontà popolari che oggi sono sotto ricatto: i troppi obiettori (circa il 70 per cento dei medici ospedalieri e il 50 per cento degli infermieri) minano alla base l'applicazione della legge n. 194. Siamo in presenza di obiettori di «incoscienza», onorevole Binetti, che generano prepotentemente gli aborti clandestini. Secondo il Ministero sarebbero ventimila l'anno: un numero enorme nel quasi tremila.
  Ma secondo l'ISTAT sarebbero 75 mila gli aborti spontanei, casalinghi, con il grave rischio di morte per le donne e la serenità. Recentemente la CGIL ha reso pubblico, attraverso un ricorso a Strasburgo al Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d'Europa, che rischiano una discriminazione, sia per la carriera sia per la retribuzione, i pochi medici ginecologi che non sono obiettori. Anche questa è un'ulteriore riprova di come viene minata la legge n. 194, in quanto c’è la tendenza degli ospedali italiani di svuotarla di significato, rendendola inapplicabile.
  Io ho ascoltato alcuni degli interventi di questa mattina e mi rivolgo all'onorevole Rondini e gli dico: ma come fa ? Ho sentito parlare delle donne come delle squilibrate, come se fosse una loro libera scelta, quasi uno sport accedere all'interruzione volontaria di gravidanza. Vivere l'esperienza di un aborto è per una donna un'esperienza drammatica, psicologicamente e fisicamente. È una sofferenza silenziosa, riservata, privata, che merita rispetto. È una scelta difficile e dolorosa, un pianto sordo, che merita accoglienza, comprensione e semplicità di procedura, non il calvario infinito cui oggi sono sottoposte le donne italiane che scelgono di interrompere la gravidanza; non il sentirsi disprezzate, sottoposte ad attese inutili a causa dei pochi medici disponibili o costretti ad emigrare in altre parti d'Italia o addirittura all'estero (questi sono dati che il Ministero annualmente rende noti).
  Siamo in presenza di un sopruso, siamo in presenza di una discriminazione nei confronti delle donne che decidano di interrompere la gravidanza; siamo in presenza di giudizi e di pregiudizi, etici e morali, che non attengono al ruolo delle strutture sanitarie pubbliche.
  Difendere la legge n. 194 significa garantire che in tutti gli ospedali siano presenti medici e infermieri non obiettori, che questi non si non siano discriminati e che siano presenti in tutti i turni. Difendere la legge n. 194 significa darne applicazione piena.
  La mia generazione pensava che l'epoca delle mammane fosse finita, che l'epoca dei sotterfugi, degli espedienti casalinghi fosse finita, che l'epoca delle donne morte o rimaste sterili per questo fosse finita; ma c’è ancora una giacchetta rossa da indossare, c’è ancora una battaglia da combattere, c’è ancora bisogno che le donne italiane alzino la loro voce per chiedere dignità e soprattutto rispetto (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà e di deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Roberta Agostini. Ne ha facoltà.

  ROBERTA AGOSTINI. Signor Presidente, colleghi, signora Ministra, la legge n. 194 del 1978, di cui oggi discutiamo, è una legge che è stata approvata dopo una lunga battaglia condotta da un grande movimento di donne e da gran parte della società civile, è una legge che in questi anni ha conosciuto obiezioni e spesso è stata contestata, spesso è stata combattuta. Eppure, è una legge che ha dato degli Pag. 66ottimi risultati: il dimezzamento del numero delle interruzioni di gravidanza, la tutela della salute delle donne, informazione, prevenzione, possibilità di scelta.
  Scrive Rosetta Papa in uno dei suoi ultimi libri: il tasso di abortività, cioè l'indicatore più accurato per una corretta valutazione della tendenza al ricorso all'interruzione di gravidanza, nel 2010 è risultato pari all'8,2 per mille, con un decremento del 52,3 rispetto al 1982. Il valore italiano è tra i più bassi dei Paesi industrializzati. La situazione invece, al contrario, è drammatica nei Paesi in cui l'aborto è illegale: nel 2008, in tutto il pianeta 47.000 donne sono morte a causa di aborti e 8 milioni di donne hanno subito delle gravissime conseguenze.
  Oggi qui stiamo discutendo perché nel nostro Paese è in atto una regressione che non possiamo accettare: il numero sempre maggiore degli obiettori, che in alcune regioni arriva al 90 per cento (in altre, come la Campania, all'83 per cento e in Basilicata all'85 per cento), compromette quella possibilità di scelta prevista dalla legge n. 194 del 1978. Sono le cronache del Paese che ci raccontano che, quando i ginecologi non obiettori vanno in pensione oppure vanno in ferie, vi sono intere strutture che non possono erogare il servizio. Le regioni devono correre ai ripari.
  Lo svuotamento di risorse, di professionalità e di personale dei consultori sono di questi ultimi anni, servizi che avevano alla base una concezione molto moderna di tutela della salute e di integrazione socio-sanitaria, non semplici ambulatori, ma luoghi dove lavorano in maniera integrata i medici, in equipe, gli psicologi, i ginecologi, gli assistenti sociali, ecco servizi moderni che stanno progressivamente deperendo per il fuoco concentrico di aggressioni, anche ideologiche, e di tagli delle risorse, servizi che dovremmo ripensare e rilanciare e non tagliare o chiudere, come invece sta avvenendo.
  Oggi noi discutiamo dell'obiezione di coscienza e il tema è delicato, perché riguarda un nodo di fondo delle società liberali, delle società democratiche, del modo in cui si preservano e si tutelano dalle leggi e dallo Stato le convinzioni più intime, più private oppure religiose degli individui. Il caso della medicina e dell'esercizio della professione medica è ancora più delicato, perché è in gioco il diritto alla salute, che è appunto un diritto costituzionalmente protetto dal nostro articolo 32 e l'interesse sociale alla salute, che è legato al buon funzionamento della società. I medici assolvono a compiti legati a diritti ed interessi costituzionali. L'organizzazione della sanità deve rispondere a questi principi, contemperando da un lato il diritto all'obiezione e dall'altro la tutela dell'interesse sociale dei diritti individuali alla salute.
  Noi abbiamo il dovere di garantire questo equilibrio che, come appare chiaro dai dati che restituiscono le relazioni anche a questo Parlamento, sono sempre più precari: è un equilibrio sempre più precario, sempre più sperequato. Il senso di una buona legge, la n. 194 del 1978, invece è qui, in questo esercizio del nesso tra libertà e responsabilità. Nell'autodeterminazione, così come è stata pensata dalle donne e dal movimento delle donne, non c’è mai una libertà chiusa, singola, individuale, separata dalla relazione con l'altro e io credo che per questo il concetto dell'autodeterminazione sia un bene primario, che noi dobbiamo garantire e dobbiamo fare rispettare.
  Prima di tutto allora c’è questa parola «rispetto», che io metterei al centro della nostra iniziativa politica e parlamentare ed è necessaria un'iniziativa culturale, perché sappiamo che i diritti, anche quelli che sono stati scritti nelle leggi conquistate con tante battaglie e con tante iniziative, anche quelli definiti da leggi importanti, non sono garantiti una volta per tutte, ma vanno fatti vivere, anche nelle coscienze delle persone.
  E poi la parola informazione, e il ruolo dei consultori, anche nella prevenzione e nella contraccezione. E poi possibilità di scelta anche tra aborto chirurgico e aborto farmacologico, perché, mentre l'articolo 9 della legge n. 194 del 1978 è applicato, come si vede, l'articolo 15 – che prevedeva che le tecniche potessero cambiare e, Pag. 67quindi, come diceva anche la collega D'Incecco prima di me, prevedere la formazione degli operatori e del personale – non è stato applicato ancora. Inoltre, bisognerebbe organizzare meglio il servizio e assicurare che non siano penalizzati nelle carriere i medici non obiettori, così come noi chiediamo nella nostra mozione.

  PRESIDENTE. La prego di concludere.

  ROBERTA AGOSTINI. Signora Ministra, io credo – per chiudere – che bisognerebbe capire meglio le ragioni di un'obiezione tanto elevata, di quei numeri tanto elevati, che spesso non sono così nobili come dovrebbero; bisognerebbe anche indagare e capire meglio il rapporto tra numero degli obiettori, liste d'attesa, qualità del servizio, problematiche legate all'interruzione di un servizio pubblico.
  In gioco ci sono i diritti di tante donne, in gioco c’è l'applicazione di una legge importante come la n. 194 del 1978, sappiamo che sul tema della sanità e dell'organizzazione sanitaria le regioni sono le principali protagoniste, ma noi abbiamo il compito e il dovere di tutelare un articolo fondamentale della nostra Costituzione, che è l'articolo 32, quello del diritto alla salute (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vecchio. Ne ha facoltà.

  ANDREA VECCHIO. Signor Presidente, colleghe e colleghi deputati, ecco cosa si legge nei cartelli scritti a penna appesi all'ingresso di molti ospedali italiani: qui non si effettuano più interruzioni volontarie di gravidanza. E se, magari, si chiedono informazioni, ci si sente rispondere: tutti i medici qui sono obiettori, vada da qualche altra parte.
  L'altra parte può essere un altro ospedale, un'altra città, un'altra regione e persino l'estero, ma spesso l'altra parte è una squallida stanza, approntata alla meno peggio per un aborto clandestino, proprio come accadeva prima del 22 maggio del 1978, giorno in cui la legge n. 194 veniva approvata, quando gli aborti erano affidati a «mammane» praticone, che tra gli arnesi agghiaccianti ed erbe curative ne tramandavano i segreti e la presunta vergogna.
  Si parla, quindi, di aborti d'oro, eseguiti in studi medici attrezzati in Italia o all'estero, si parla di aborti poveri, donne che abortiscono da sole usando farmaci acquistati illegalmente, ragazzine che si aggirano sperdute alla ricerca di spacciatori che le riforniscano di un farmaco per l'ulcera a base di misoprostolo, che assunto in dosi elevate provoca l'aborto. Si tratta, spesso, di minorenni, che nulla sanno della legge n. 194, dei consultori e dei giudici tutelari e che, inghiottendo qualche pillola, mettono fine ad un incubo tutto vissuto in solitudine.
  Ma gli aborti poveri si praticano pure in ambulatori abusivi, nelle mani di medici senza scrupoli. Una clinica dell'orrore, ovviamente fuorilegge, è stata scoperta e chiusa della Guardia di finanza proprio poche settimane fa: si trovava a Padova, era gestita dalla mafia cinese e incassava 4 mila euro al giorno. Ma perché in Italia, da ben 35 anni, c’è una legge per sostenere le donne che non vogliono portare avanti la gravidanza ? Il 69 per cento dei medici ginecologi italiani fa obiezione di coscienza: è una cifra impressionante che addirittura raggiunge punte dell'80 per cento nel meridione.
  Contro la legge n. 194 del 1978 c’è un complotto silenzioso, spinto anche dai cosiddetti movimenti per la vita. Secondo testimonianze documentate, i volontari dei movimenti pro life, incredibilmente collocati nei consultori, accolgono le pazienti invitandole a riflettere, cercando di convincerle a non farlo e parlando apertamente di omicidio.
  È, per esempio, il caso di Piera: una donna di 44 anni, che avendo già tre figli, di cui uno down, non poteva permettersi una gravidanza, anche per il rischio di un nuovo handicap.
  Si è trovata a dover fronteggiare un umiliante terzo grado di alcuni volontari del movimento per la vita. Sarebbe ora di finirla con la condanna morale dell'aborto Pag. 68e con gli isterismi che ne alimentano da decenni il dibattito. I medici che praticano un'interruzione di gravidanza sono ormai dei cinquanta-sessantenni, che hanno avuto verso la legalizzazione dell'aborto un approccio politico e militante, mentre gli obiettori, tantissimi, sono medici più giovani che obiettando evitano che la loro carriera si impantani nella sola pratica dell'interruzione di gravidanza. Altro discorso andrebbe fatto per le scelte di convenienza legate a equilibri di potere nelle strutture sanitarie, equilibri che nei fatti costringano ad obiettare per non infastidire nessuno, in un Paese che fatica ad essere davvero laico.
  La smisurata crescita dell'obiezione di coscienza significa che tra circa cinque anni ci sarà un'improvvisa diminuzione di personale in grado di praticare un'interruzione di gravidanza.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  ANDREA VECCHIO. Signor Presidente, sono a quattro primi e quarantadue secondi.

  PRESIDENTE. E io la sto avvisando che le sono rimasti 20 secondi.

  ANDREA VECCHIO. Sì, però io ho cronometrato i tempi, mi perdoni l'impudenza...

  PRESIDENTE. Guardi, adesso non è che possiamo fare una polemica, io ho il cronometro non mio personale ma quello della Presidenza della Camera.

  ANDREA VECCHIO. Io non voglio fare polemiche, ma ho visto che molti colleghi hanno sforato e di parecchio l'intervento...

  PRESIDENTE. Onorevole Vecchio, se lei vuole concludere bene altrimenti le tolgo la parola, come preferisce.

  ANDREA VECCHIO. Io posso concludere anche subito, per carità.

  PRESIDENTE. Bene, allora semmai può consegnare il testo come hanno fatto gli altri, la Presidenza ne autorizza, sulla base dei criteri costantemente seguiti, la pubblicazione in calce al resoconto.

  ANDREA VECCHIO. Certo, io posso consegnare con piacere, ma credo che l'equilibrio vada rispettato.

  PRESIDENTE. Onorevole Vecchio, le chiedo scusa, cerco di spiegare. Abbiamo una serie di iscritti a parlare e come lei sa alle 15,00 cominciamo con le votazioni. L'onorevole Meloni ha rinunciato all'intervento per venire incontro ai lavori dell'Assemblea, può immaginare se non cerco di avere equilibrio. Ho anche dei tempi di fronte a me, lei ha superato il tempo e quindi semplicemente la stavo avvisando che era a venti secondi dalla fine dell'intervento. Adesso se vuole in venti secondi concludere l'intervento può farlo.

  ANDREA VECCHIO. Io concludo con: ecco cosa servirebbe al nostro Paese: informazione, trasparenza, chiarezza ed efficienza. Cari colleghi, vi chiedo dunque di votare «sì» alla mozione Tinagli per garantire semplicemente l'applicazione di un'importante legge in una nazione che si definisce laica ed europeista. Grazie.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Tra l'altro le faccio presente che i tempi sono stati dati dal suo gruppo, quindi non è che li decide la Presidenza, i tempi che sono attribuiti a ogni deputato. La ringrazio.
  È ora iscritta a parlare l'onorevole Marzano, ne ha facoltà.

  MICHELA MARZANO. Grazie Presidente, onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, signora Ministro. Il problema di cui stiamo discutendo non è né quello della legittimità o meno dell'obiezione di coscienza, né quello della legittimità o meno dell'aborto. Il problema è quello dell'equilibrio necessario fra il diritto del singolo all'obiezione di coscienza e la necessità di Pag. 69dare piena attuazione alla legge n. 194, rispettando la libertà di scelta e l'autonomia personale di ogni donna.
  Il problema è, dunque, quello di permettere a tutte le donne che lo chiedono di poter effettivamente avere accesso all'interruzione volontaria di gravidanza per via chirurgica o per via farmacologica. Che senso ha d'altronde una legge se poi non la si applica, se poi la si svuota, se poi la si rende non operativa?
  Non possiamo permetterci di dimenticare quello che accadeva prima, prima delle leggi che nel corso degli anni ’60 e ’70, hanno legalizzato la contraccezione e resa lecita la pratica dell'interruzione di gravidanza, ma anche prima delle lotte di tante donne per permettere alle altre donne di decidere liberamente, autonomamente e consapevolmente come vivere sessualità e procreazione. Per secoli, sembra assurdo doverlo ricordare, ma a quanto pare non è poi così assurdo data l'assurdità della situazione attuale, la donna ha dovuto affrontare da sola e sulla propria pelle il problema delle gravidanze non volute. Per secoli, le donne sono state costrette ad abortire nella clandestinità con tutte le complicazioni e i pericoli connessi.
  La clandestinità, infatti, non contribuiva solo a conferire all'interruzione di gravidanza un carattere abietto e angoscioso, ma era anche all'origine di veri e propri drammi: le donne soffrivano, spesso si ammalavano, talvolta morivano; la maggior parte del tempo stringevano i denti e cercavano di andare avanti, convinte che la sofferenza e le malattie fossero un giusto castigo. Si sentivano colpevoli ed erano in parte convinte che, se qualcosa fosse andato male, in fondo se lo erano meritato. Peccato che le condizioni non fossero affatto le stesse per tutte le donne: per coloro che potevano permetterselo, grazie alla ricchezza o alla posizione sociale, si trattava di un momento certo spiacevole, ma che si doveva e poteva superare. Il vero dramma era per le altre: le donne senza risorse, le donne più emarginate, le donne più sole, che erano costrette a rivolgersi alle famigerate «mammane» che risolvevano il problema in condizioni igieniche precarie, talvolta al prezzo della vita delle donne.
  Quando nel Novecento comincia a diffondersi l'idea che lo Stato dovesse garantire alle donne che si confrontavano con la maternità indesiderata la possibilità di interrompere la gravidanza, lo scopo era soprattutto quello di mettere fine alla clandestinità degli aborti: la principale preoccupazione era quella della salvaguardia della vita, l'altra, non meno importante, era quella di garantire l'uguaglianza. Perché continuare a tollerare l'ipocrisia che permetteva ad alcune, le più privilegiate, di abortire tranquillamente, lasciando le altre nella disperazione ? Come poteva uno Stato, di fronte al quale tutti i cittadini sono e devono essere uguali, tollerare che le differenze socio-economiche si trasformassero poi in vere e proprie disuguaglianze a livello di accesso alle cure e diritto alla salute ? Non garantire l'accesso ai servizi, come accade oggi in molte province italiane, riproduce di fatto situazioni simili di ingiustizia e disuguaglianza.
  Ecco perché non sono ammissibili né l'allungamento dei tempi di attesa, che mette a repentaglio la salute di tante donne, né il fatto che alcune donne siano costrette a spostarsi da una regione all'altra, talvolta anche a recarsi all'estero; e chi non può, chi non ha i mezzi fisici o psichici per farlo, chi è più fragile, più debole, meno abbiente, chi pensa di avere il diritto di abortire esattamente come tutte le altre, e scopre poi che non è così, che non è vero, che ci sono persone privilegiate e altre che invece devono sempre subire in silenzio.
  Abortire non è facile per nessuno; non è facile nemmeno quando si sceglie la via farmacologica, come si è sentito ripetere tante volte da chi non si rende conto della violenza insita in frasi stupide come: adesso abortire diventa facile come bere un bicchier d'acqua. La gravidanza è sempre una forma di irruzione nella vita di una donna; e anche quando si decide di interromperla – perché non si è pronti, perché si hanno troppi figli, perché non è accaduto con la persona giusta, perché si Pag. 70tratterebbe di uno stravolgimento della vita che non si è disposti ad assumere, perché quella gravidanza è frutto di uno stupro – ogni volta una traccia di quell'essere che non nascerà, probabilmente resterà a livello immaginario, come una figura dell'inconscio, come spiega Silvia Vegetti Finzi.
  Ma il problema – lo ripeto ancora una volta – non è questo: il problema è quello di dare piena attuazione alla legge n. 194 del 1978 senza svuotarla di senso e senza introdurre nuove forme di disuguaglianza e di ingiustizia. Simone de Beauvoir l'aveva già scritto nel 1949, quando l'aborto era ancora un reato.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  MICHELA MARZANO. Cito (e concludo): «Gli uomini si contraddicono con uno stolido cinismo, ma la donna sperimenta queste contraddizioni nella sua carne ferita. Pur considerandosi vittima di un'ingiustizia, si sente contaminata e umiliata: è lei che incarna sotto forma concreta e immediata in sé la colpa dell'uomo» (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Avverto che sono state testé presentate le mozioni Giorgia Meloni ed altri n. 1-00089 e la risoluzione Locatelli ed altri n. 6-00014 (Vedi l'allegato A – Mozioni e Risoluzioni), i cui testi sono in distribuzione.
  È iscritto a parlare l'onorevole Lacquaniti. Ne ha facoltà.

  LUIGI LACQUANITI. Signor Presidente, onorevoli deputate e deputati, signora Ministra, a tutti dovrebbe essere chiaro che la vicenda di cui parliamo quest'oggi, l'oggetto della mozione in discussione, è una storia di sofferenza: giacché la scelta di ricorrere alla legge n. 194 del 1978, per quanto libera, consapevole e determinata possa essere, è sempre una scelta a cui s'accompagna un grado di sofferenza, ora più ampio ora più ridotto.
  È bene ricordarcelo innanzi al lungo travaglio cui spesso si deve sottoporre la donna che sceglie di ricorrere alla legge n. 194 del 1978 e non trova strutture disposte ad accoglierla, a causa della nota diffusione dell'obiezione di coscienza: un doloroso pellegrinaggio da ospedale a ospedale in cerca di un ginecologo non obiettore. La mozione Migliore ed altri, oggi in discussione, presenta la grave situazione nazionale per concentrarsi poi sulla situazione emblematica della regione Lazio.
  Mi permetto di offrire qualche informazione anche sulla grave situazione in cui versa la Lombardia, che presenta peculiarità proprie. Qui infatti al fenomeno dell'obiezione di coscienza del personale medico si devono sommare pure le scelte del governo regionale. Non vorremmo, colleghe e colleghi, che questa Assemblea si dividesse ancora una volta pure su un argomento tanto delicato e urgente. Siamo certi che la salute e la libertà delle donne possano stare a cuore a tutti quanti noi. Tuttavia, non possiamo qui esimerci dal rimarcare le scelte effettuate in ambito sanitario dalla regione Lombardia, scelte che – ho ascoltato prima – sono state sposate in pieno anche dall'onorevole Fucci, che hanno finito per danneggiare gravemente l'esercizio del diritto sancito dalla legge n. 194 del 1978. Da alcuni dati riferibili al 2010 risulta che in Lombardia si sono dichiarati obiettori il 67 per cento dei ginecologi.
  A titolo di esempio: a Milano, alla Mangiagalli risultavano obiettori 25 ginecologi su 62, ma al Niguarda erano già 20 su 24. Situazione ancora più grave in certe province: a Sondrio 16 ginecologi su 19 erano obiettori, al Sant'Anna di Como 23 su 26, in provincia di Bergamo 65 su 88, in provincia di Varese 76 su 100. Situazione molto critica anche in provincia di Brescia, dove risiedo: agli spedali Civili di Brescia risultavano obiettori 29 ginecologi su 39, a Desenzano del Garda 8 su 9, fino alla situazione limite dell'ospedale di Gavardo con 10 ginecologi obiettori su 10. Quanto alle cliniche convenzionate di Brescia di ispirazione cattolica, la Poliambulanze, il Sant'Anna e il Città di Brescia non praticano interruzioni di gravidanza.Pag. 71
  La peculiarità lombarda, si diceva. Qui si è voluta dare un'interpretazione sui generis della legge n. 194 del 1978, che ha finito per piegarne lo spirito, la ratio legis, con grave danno ai diritti e alla libertà delle donne. I consultori sono stati sottratti alla competenza dell'assessorato regionale alla sanità e sono state avocati alla competenza dell'assessorato alla famiglia.
  Mi rendo conto che questa Assemblea non può intervenire su competenze specifiche delle regioni, ma le scelte di chi governa le regioni possono forse violare le leggi dello Stato ? Dov'era consentito che le convinzioni ideologiche di Formigoni e di quella che fu la sua giunta finissero per contrastare la volontà del legislatore del 1978 ? Dov'era consentito alla giunta Formigoni di ledere i diritti sanciti da una legge dello Stato, violare i diritti delle donne, limitarne la libertà ? Così di fatto è avvenuto con consultori privati che oggi vengono pagati non in base alle prestazioni effettivamente erogate, che spesso non erogano, ma alla generica offerta. Consultori cui è stato permesso di esercitare un'obiezione di coscienza di struttura – lo dico pensando anche a quanto sostenuto prima dell'onorevole Binetti –, cui è stato permesso di esercitare un'obiezione di coscienza di struttura in aperta violazione della normativa nazionale e della legge n. 194 del 1978, dove è chiaramente enunciata l'obiezione di coscienza come diritto del singolo medico e l'erogazione delle prestazioni sanitarie come obbligo cui la struttura ospedaliera non può sottrarsi. Consultori assoggettati a protocolli imposti dal governo regionale e finalizzati con grave dispendio di risorse a disincentivare in tutti i modi le interruzioni volontarie di gravidanza, ben oltre il dettato normativo, che assegna sì ai consultori anche il compito di superare le cause che possono indurre all'interruzione della gravidanza, ma sempre dopo un ampio dispiegamento di tutti i diritti di cui è titolare la donna in questa delicata scelta della sua esistenza e nella considerazione piena ed integrale delle circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto e la maternità comporterebbero un serio pericolo alla sua salute fisica e psichica e in relazione allo stato di salute, alle condizioni economiche, sociali e familiari.
  Di tutto questo sovente non c’è che una traccia evanescente nell'azione di molti consultori lombardi in nome di un impianto ideologico-culturale a cui viene sacrificato il principio costituzionale della laicità dello Stato. E, ancora, la politica della giunta Formigoni di ridurre o eliminare i ticket sanitari non è stata estesa a queste terapie. Non solo: i consultori lombardi sanno che devono evitare qualsiasi forma di educazione alla sessualità sostituita da una ben più generica e innocua educazione all'affettività. La situazione appare ancora più preoccupante se si considera la tendenza che vede costantemente aumentare i consultori privati lombardi, mentre i consultori pubblici, con poche risorse, sono costretti a ridurre il personale, a diminuire l'offerta e anche a chiudere.
  Termino, Presidente: a fronte dell'obiettivo prefissato dal Ministero della salute di un consultorio ogni 20 mila abitanti, in Lombardia se ne conta uno ogni 63 mila. Si tratta spesso di strutture che vogliono dispiegare la propria azione facendo leva su una concezione globale della persona, una riflessione dell'esistenza umana ispirata a un pur pregevole e per molti versi condivisibile pensiero di ispirazione personalista. Ma dove sta scritto che una riflessione integrale sulla persona umana e sui suoi destini ultimi possa prescindere dalla libertà delle donne e dai diritti delle donne ? Il nostro – e termino – è un Paese che non ha mai favorito l'universo femminile, dove le donne hanno dovuto conquistare ogni diritto al prezzo di lotte e di sacrifici.

  PRESIDENTE. Adesso deve proprio concludere.

  LUIGI LACQUANITI. Questa, come dicevo al principio del mio intervento, è una storia di sofferenza. Colleghe e colleghi deputati, non vogliamo discutere il diritto all'obiezione di coscienza, ma non possiamo Pag. 72nemmeno rimanere sordi alle sofferenze e alle attese delle donne (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lorefice. Ne ha facoltà.

  MARIALUCIA LOREFICE. Signor Presidente, Ministro Lorenzin, colleghi deputati, 35 anni fa veniva approvata da questo Parlamento, dopo una lunga battaglia, soprattutto femminista, la legge n. 194 del 1978 che introduce norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza. Abrogando gli articoli dal 545 al 555 del codice penale, che incriminavano con sanzioni piuttosto severe le condotte che provocavano o istigavano all'aborto, viene finalmente garantito alla donna il diritto alla procreazione cosciente e responsabile. Questa nuova legge, recependo il monito della Corte costituzionale alla realizzazione di un ragionevole bilanciamento tra i valori che vengono in conflitto nella fattispecie, tiene conto, tanto del diritto alla vita del concepito, quanto del diritto alla salute della donna. Essa ha rappresentato per la donna e per lo Stato italiano, storicamente condizionato dalla presenza sul territorio della Chiesa Cattolica, un traguardo importante; ha significato l'affermazione e il riconoscimento dello Stato laico, scevro da ogni ideologia e convinzione religiosa o morale.
  Ma proprio perché il nostro è un Paese costituzionale e garante dei diritti di tutti, l'articolo 9 del suindicato testo normativo prevede la possibilità per il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie di astenersi dal prendere parte agli interventi finalizzati all'interruzione della gravidanza, sollevando obiezione di coscienza con preventiva dichiarazione. Ognuno si pone i propri precetti e le proprie convinzioni morali secondo i quali decide di vivere la propria vita. La libertà di coscienza si realizza, quindi, nel diritto di agire in conformità ai dettami della propria coscienza, ma entro i limiti costituiti dall'altrui uguale diritto. L'obiezione di coscienza, di fatto, è una forma di resistenza nei confronti di una norma giuridica che un individuo ritenga ingiusta dal punto di vista della sua coscienza. Obbedire alla norma giuridica, osservarla, conformarvisi ripugna alla coscienza dell'individuo.
  Negli Stati costituzionali come il nostro l'obiezione di coscienza rappresenta un diritto soggettivo fondamentale. Il nostro sistema giuridico, così come tanti altri, europei e non solo, attribuisce al singolo la facoltà di sottrarsi all'adempimento di tale dovere per ragioni di coscienza.
  Lo scenario ideale sarebbe quello di trovare una soluzione che permetta di conciliare il diritto alla salute e l'autonomia del paziente con quella del medico; quindi, la libertà della donna di decidere se continuare o meno la gravidanza con la libertà del medico di decidere se partecipare o meno all'interruzione della gravidanza. Dobbiamo, però, prendere atto del fatto che la ricerca di questa soluzione ideale è fallita.
  Ci si chiede se, in questi 35 anni dall'entrata in vigore della legge n. 194, non si sia prestata eccessiva attenzione alla posizione dei medici e del personale ospedaliero, trascurando un altro diritto, che è quello della donna di scegliere coscientemente e responsabilmente di portare avanti o interrompere una gravidanza. Nella storia delle istituzioni italiane, ancora una volta, si assiste ad un ribaltamento delle priorità: il paziente cittadino è secondo al medico, il quale, in realtà, in virtù dell'altissimo mandato sociale di cui è investito, dovrebbe porsi al servizio del paziente. Ci si trova di fronte alla situazione di dover scegliere se tutelare l'autonomia del professionista sanitario oppure schierarsi dalla parte delle donne e della loro battaglia per la libertà e i diritti.
  Tutto questo viene detto perché, nel corso degli anni, è aumentata la lista dei medici che si dichiarano obiettori di coscienza, fino a raggiungere percentuali medie, in Italia, del 70 per cento e, nel sud d'Italia, anche del 90 per cento, rendendo di fatto inapplicata la legge n. 194 o, Pag. 73meglio, non permettendo l'attuazione della stessa legge nelle strutture pubbliche e incentivando gli interventi di interruzione della gravidanza nelle cliniche private. Questo sostanzialmente è ciò che accade prevalentemente nelle regioni meridionali del nostro Paese, dove interi ospedali pubblici non possono erogare la prestazione sanitaria dell'interruzione di gravidanza per la totalità di medici ginecologi obiettori che prestano servizio nella struttura.
  Spesso, quindi, capita che le donne si rechino presso strutture private e, dunque, a pagamento, per esercitare un diritto che lo Stato dovrebbe loro garantire, facendosi carico pure delle spese connesse. Le donne che, invece, non hanno la possibilità economica di ricorrere alle cliniche private subiscono inevitabilmente la gravidanza, pur non sussistendo, magari, le condizioni economiche o psicologiche idonee per mettere al mondo e crescere un bambino. Altre donne, spinte dalla disperazione, dalla solitudine a causa di uno Stato che le abbandona, ricorrono all'aborto clandestino, che, purtroppo, è una pratica mai dismessa, andando magari incontro a rischi seri per la propria salute. Noi crediamo che questa legge, così come concepita, aveva lo scopo di depennare definitivamente le pratiche clandestine di interruzione della gravidanza e di fornire un aiuto psicologico, economico, clinico alle donne che decidono di non portare avanti una gravidanza. Evidentemente, però, nel corso degli anni, molti hanno trovato il modo di eludere la norma, generando di fatto un disservizio per i cittadini e una mancata tutela di un diritto costituzionalmente garantito.
  È vero che la Cassazione è intervenuta in più occasioni punendo i medici che si sono rifiutati di prestare soccorso a donne che erano ricorse all'interruzione volontaria della gravidanza, ma il giudizio punitivo dei giudici arriva solo quando sussiste un reale pericolo per la salute e la vita della donna. E in tutti gli altri innumerevoli casi in cui lo stato di salute fisico della donna non è in pericolo ? L'inerzia dei medici che si dichiarano obiettori di coscienza non compromette irrimediabilmente e perennemente il suo stato di salute psichico ?
  È anche di questo che i tribunali, ma soprattutto il Parlamento, dovrebbero occuparsi, perché, come spiegano gli specialisti, se è sempre traumatico un aborto per una donna assistita e supportata, come pensate possa essere un'esperienza del genere per una donna che rimane sola, senza l'aiuto dello Stato ? È senz'altro legittimo il diritto all'obiezione di coscienza del professionista sanitario; d'altra parte, sembra chiaro che il buon medico non è quello che non pratica questo tipo di intervento, ma quello che rimane vicino alla donna che sceglie liberamente di abortire, curandola, supportandola e non lasciandola solo in un momento così difficile.
  In questi ultimi anni, si è assistito ad una serie di iniziative dirette alla limitazione o all'abolizione dell'obiezione di coscienza. Nel 2010, il partito radicale si era rivolto al Consiglio d'Europa per raggiungere tale obiettivo, cercando di ottenere un provvedimento che imponesse ai medici contrari all'aborto di agire contro la propria coscienza. Anche la CGIL ha presentato un ricorso al Consiglio d'Europa contro il diritto codificato dall'articolo 9 della legge n. 194, perché tutto l'onere degli aborti finisce per ricadere su un numero di medici molto basso, per i quali si prefigura un rischio di limitazione della loro capacità professionale.
  L'Europa è intervenuta sull'argomento con la risoluzione n. 1763 del 7 ottobre 2010, ribadendo però il diritto degli operatori sanitari all'obiezione di coscienza, richiamando la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, il Patto internazionale sui diritti civili e politici, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e la stessa Costituzione europea, ma puntualizzando, anche, la necessità di garantire che le donne possano accedere ai servizi con tempestività, non nascondendo la preoccupazione che l'obiezione di coscienza possa danneggiare le donne meno abbienti. Ciò che auspichiamo è un intervento Pag. 74legislativo di questo Parlamento per consentire, tramite una più dettagliata regolamentazione della materia, un'effettiva applicazione ed attuazione della legge n. 194 del 1978, permettendo una reale e tempestiva erogazione della prestazione sanitaria in questione a ciascuna donna ne faccia richiesta, in qualunque presidio ospedaliero d'Italia (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  Prendo atto che il Governo rinunzia alla replica, ma che interverrà per motivare il parere sulle mozioni.
  Il seguito del dibattito è rinviato alla ripresa pomeridiana della seduta.

Modifica nella composizione dell'ufficio di presidenza di un gruppo parlamentare.

  PRESIDENTE. Comunico che, con lettera pervenuta in data 10 giugno 2013, il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle, Roberta Lombardi, ha reso noto che il vicepresidente vicario Riccardo Nuti assolve anche alla funzione di portavoce del gruppo, secondo quanto previsto dal relativo statuto, ferma restando la titolarità, in capo alla deputata Lombardi, della carica di presidente del gruppo stesso.

Annunzio della formazione di una componente politica nell'ambito del gruppo parlamentare Misto.

  PRESIDENTE. Comunico che è stata autorizzata, ai sensi dell'articolo 14, comma 5, secondo periodo, del Regolamento, sulla base della richiesta pervenuta in data 5 giugno 2013, la formazione della componente politica denominata «Partito Socialista Italiano (PSI) – Liberali per l'Italia (PLI)» (in rappresentanza del Partito Liberale Italiano), nell'ambito del gruppo parlamentare Misto.
  Ad essa aderiscono i deputati Lello Di Gioia, Marco Di Lello, Pia Elda Locatelli e Oreste Pastorelli.
  Il deputato Marco Di Lello è stato designato quale rappresentante della nuova componente.

Modifica nella composizione dell'ufficio di presidenza di un gruppo parlamentare.

  PRESIDENTE. Comunico che il presidente del gruppo parlamentare Misto ha reso noto, con lettera pervenuta in data odierna, che il deputato Carmelo Lo Monte è stato nominato tesoriere del gruppo in data 5 giugno 2013.

Sul calendario dei lavori dell'Assemblea (ore 14,48).

  PRESIDENTE. Comunico che a seguito della odierna riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, domani, mercoledì 12 giugno, alle ore 9, avrà luogo un'informativa urgente del Governo sul grave attentato in Afghanistan che ha causato la morte del capitano Giuseppe La Rosa nonché il ferimento di altri tre militari italiani.
  Nella stessa mattinata, alle ore 10,30 avrà luogo l'informativa urgente del Governo sugli sviluppi della situazione in Turchia e alle ore 12 un'informativa urgente del Governo sugli incidenti verificatisi in occasione della manifestazione degli operai della ex Thyssen a Terni il 5 giugno scorso.
  Si è altresì convenuto che la discussione sulle linee generali del disegno di legge S. 576 - Conversione in legge del decreto-legge 26 aprile 2013, n. 43, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'area industriale di Piombino, di contrasto ad emergenze ambientali, in favore delle zone terremotate del maggio 2012 e per accelerare la ricostruzione in Abruzzo e la realizzazione degli interventi per Expo 2015 (ove trasmesso dal Senato - scadenza: 25 giugno 2013), già previsto per lunedì 17 giugno, avrà luogo martedì 18 giugno, Pag. 75(pomeridiana) al termine delle votazioni ed il seguito dell'esame dai giorni successivi.
  Sospendo a questo punto la seduta, che riprenderà alle ore 15.

  La seduta, sospesa alle 14,50, è ripresa alle 15,05.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LAURA BOLDRINI

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Gioacchino Alfano, Lombardi, Meta, Sani e Vito sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
  Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Sul grave attentato subito dal contingente italiano in Afghanistan.

  PRESIDENTE. (Si leva in piedi e, con lei, l'intera Assemblea e i membri del Governo). Colleghi, come è purtroppo a tutti noto, lo scorso 8 giugno, in un grave attentato verificatosi nei pressi della base di Farah, ha perso la vita, mentre assolveva con dedizione ai propri compiti, un nostro militare impegnato nella missione italiana in Afghanistan. Si tratta del capitano Giuseppe La Rosa, effettivo al 3o Reggimento Bersaglieri, originario di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina.
  Nel medesimo episodio altri tre militari sono rimasti feriti e fortunatamente non risultano essere in pericolo di vita. In questo doloroso momento, in cui tutto il Paese si stringe intorno alla famiglia del militare caduto, sento il dovere di esprimere, a nome dell'intera Assemblea, ai familiari della vittima e alle Forze armate il senso del più profondo cordoglio e della più sincera partecipazione al loro dolore, unitamente agli auguri di pronta guarigione per i militari rimasti feriti.
  Come convenuto in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo di questa mattina, il Governo riferirà all'Aula su questo grave episodio domani alle ore 9. Invito l'Assemblea ad osservare un minuto di silenzio (L'Assemblea osserva un minuto di silenzio – Generali applausi, cui si associano i membri del Governo).

In ricordo dell'onorevole Enrico Berlinguer (ore 15,10).

  ANDREA DE MARIA. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  ANDREA DE MARIA. Signor Presidente, colleghi, ventinove anni fa, l'11 giugno 1984, moriva Enrico Berlinguer (Applausi), che non si era più ripreso dal malore che lo aveva colpito a Padova il 7 giugno, in quel comizio per le elezioni europee, che tanti italiani non hanno poi più dimenticato.
  A inizio di questa legislatura così difficile e impegnativa ci è sembrato fondamentale ricordare questa figura di un grande italiano, che ha reso onore a quest'Aula di cui ha fatto parte ininterrottamente dalla V alla IX legislatura. La biografia di Enrico Berlinguer è ben nota, permettetemi quindi di ricordare non date o eventi particolari, ma alcuni dei grandi contributi che ha lasciato alla storia dell'Italia, dell'Europa, del mondo.
  Berlinguer è stato l'uomo del compromesso storico, dell'incontro fra le grandi culture democratiche e popolari del Paese, una prospettiva insieme di difesa e crescita della nostra democrazia che un altro grande italiano che abbiamo ricordato pochi giorni fa, Aldo Moro, ha pagato con la vita, assassinato da chi quell'incontro voleva impedire.
  È stato il dirigente politico che ha portato la più grande forza politica della Pag. 76sinistra italiana, il Partito Comunista Italiano, pienamente nella dimensione europea, rompendo con coraggio i legami con l'Unione Sovietica, fino alla famosa affermazione sull'esaurimento della spinta propulsiva della rivoluzione d'ottobre.
  È stato il protagonista della lotta per la pace contro l'incubo nucleare, che ha intuito la grande prospettiva di un Governo mondiale negli anni più duri del ritorno del confronto tra blocchi militari contrapposti.
  È stato il promotore del protagonismo politico e sociale delle donne, anche e prima di tutto, nel suo partito, quale forza straordinaria di cambiamento della società.
  È stato l'esponente delle istituzioni che ha visto per tempo la degenerazione morale del nostro sistema politico, lanciando un allarme, purtroppo inascoltato, sulla questione morale, una questione morale posta come grande questione politica, di qualità della nostra democrazia e di corrispondenza delle nostre istituzioni al dettato costituzionale.
  Berlinguer è parte della storia d'Italia, di una storia che guarda al futuro, che ha tanto da dirci anche oggi, nella forza di tanti aspetti del suo pensiero politico – come ho sommariamente ricordato – nel valore di un esempio indiscutibile e indiscusso di rigore, serietà, passione politica, senso delle istituzioni che l'hanno caratterizzato durante tutta la sua vita.
  La memoria del percorso politico, istituzionale e umano di Enrico Berlinguer rappresenta oggi un grande e insostituibile patrimonio della nostra democrazia ed è con questo spirito e con questa profonda convinzione che oggi il Partito Democratico lo vuole ricordare nell'Aula della Camera dei deputati, nel ventinovesimo anniversario della sua scomparsa (L'Assemblea si leva in piedi – Generali applausi).

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 15,12).

  PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.

Si riprende la discussione.

  ARTURO SCOTTO. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  ARTURO SCOTTO. Signor Presidente, signori del Governo, onorevoli colleghi, la data di oggi non può essere esclusivamente un'occasione celebrativa. Sono trascorsi ventinove anni dalla scomparsa di un uomo politico che, nel corso dei tempi recenti, è stato più volte evocato rispetto alla crisi profonda che è stata attraversata dalle istituzioni democratiche di questo Paese e all'impoverimento del sistema dei partiti e della propria vita democratica interna.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI (ore 15,13).

  ARTURO SCOTTO. Enrico Berlinguer era, innanzitutto, un dirigente di una grande forza popolare e democratica, un uomo politico dentro una stagione ben definita, ma che sapeva guardare, attraverso i suoi pensieri lunghi, il mondo che cambiava, il futuro che si apriva, le grandi occasioni che si paravano davanti ad un Paese come l'Italia.
  Enrico Berlinguer nasce a Sassari e vive dentro una famiglia intrisa di profondi valori liberali e democratici e si forma dentro la scuola del liberalismo antifascista e poi aderisce, giovanissimo, al Partito comunista italiano ed è alla testa delle lotte per il pane. Successivamente, attraversa una lunga stagione dentro il PCI da segretario del fronte della gioventù e della federazione giovanile comunista internazionale e poi, via via, fino alla guida Pag. 77in tempi drammatici, come quelli degli anni di piombo, del Partito comunista italiano.
  Alcune cose le ha dette già il collega De Maria, vorrei sottolineare. La prima: il compromesso storico, un'intuizione che nasce nel 1973, all'indomani del colpo di Stato di Pinochet, che cacciò Salvador Allende dalla guida del Cile. Nasceva dentro un tempo in cui il tema non era l'alleanza tra i partiti, ma il tema era come si univano masse cattoliche e masse socialiste e comuniste dentro un disegno di rilancio del Paese.
  Questo passava nel momento in cui l'Italia viveva una crisi economica drammatica e Berlinguer, in un grande intervento, di fronte a decine di intellettuali italiani, riprendendo uno studio originale del gruppo di Roma, parlava dell'austerità, che non era rigore senza equità, ma era un altro modello di sviluppo, al centro del quale vi era il rapporto tra il lavoro e l'ambiente, temi che oggi sono ancora frutto di una riflessione e di una battaglia politica della sinistra in tutto il mondo.
  Allo stesso tempo, rompeva con l'ortodossia sovietica e parlava per la prima volta della necessità di un socialismo che non poteva essere separato dalla democrazia e dal pluralismo, e lo andò a dire a Mosca, di fronte ai dirigenti sovietici, nell'ambito di un congresso importantissimo.
  Berlinguer suscitò grandi passioni. Fu il primo a denunciare un sistema partitocratico marcio, partiti che si erano trasformati in macchine di potere, che erano diventati separati dalla realtà. E parlò di questione morale non come questione legata alle inchieste della magistratura, ma come una grande capacità dei partiti di autoriformarsi, di guardare in faccia alla propria crisi e di provare a cambiare l'Italia.
  Il tema era la convenzione ad excludendum di importanti pezzi della società, a partire dal mondo del lavoro, che non riuscivano ad accedere al Governo. Signor Presidente, credo che sia importante che i giovani di questo Paese conoscano questa storia, che è la storia dell'Italia e della migliore tradizione del comunismo democratico.
  Questo ricordo di un uomo che, fino all'ultimo, da un palco di Padova – concludo – parlò della necessità di portare in Europa l'Italia pulita, l'Italia separata dalle congreghe di potere della P2, e che fu salutato dal Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, con un messaggio molto umano, ma molto efficace, capace di entrare in connessione sentimentale con un pezzo di popolo italiano.
  Quando Pertini accompagnò il feretro di Enrico Berlinguer da Padova a Roma, disse questo: lo porto via come un amico fraterno, come un figlio, come un compagno di lotta (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Ecologia Libertà, Partito Democratico e Scelta Civica per l'Italia – Congratulazioni).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pini. Ne ha facoltà.

  GIANLUCA PINI. Signor Presidente, chiaramente non ripeteremo le valutazioni sul valore morale, politico e storico della figura di Berlinguer, però ci piace intervenire, dare un contributo, ricordare come negli anni Settanta, mentre era il segretario generale del Partito Comunista – partito che egli ha cercato sempre, in maniera caparbia, di tenere distante da quelle derive antidemocratiche che, purtroppo, comunque si sono verificate in questo Paese – mentre il Paese era alle prese con una stagnazione, con un'inflazione galoppante, mentre vi era una crisi petrolifera, Berlinguer proclamò una altrettanto, però, inattesa apertura verso modelli di sviluppo che fino ad allora erano visti come antagonisti rispetto a quello che il Partito Comunista rappresentava. Problemi di allora, ma problemi, forse, anche di oggi, perché la storia, in qualche modo, si ripete.
  A noi piace ricordare la figura di Berlinguer per quel tipo di approccio caparbio, democratico e concreto che, come qualcuno ha già ricordato, è sintetizzato in un famoso discorso nel quale si Pag. 78poneva un'alternativa. Un'austerità che poteva portare solo depressione e far sprofondare il Paese in situazioni ancora più drammatiche oppure un'austerità che doveva essere in qualche modo uno stimolo per rivedere complessivamente l'architettura del Paese, dal punto di vista costituzionale, istituzionale, economico e sociale. Noi ricordiamo quella figura importante di questo Paese anche se, come tutte le persone, mentre su alcune scelte, su Mosca e la Cecoslovacchia ad esempio, è stato assolutamente apprezzato, su altri temi, come il Vietnam, la sua posizione a livello storico ci lascia più perplessi.
  Era una persona e come tale fallibile, ma quello che non aveva fallito, nella sua visione politica, era sostenere, già allora, che questo Stato andava riformato. Le sue parole rimangono in qualche modo un'eredità, quasi un percorso, un programma di governo. Le idee quindi non mancavano e non mancano neanche oggi. Speriamo e ci auguriamo, proprio per la sua memoria, che non manchino uomini per poter realizzare il percorso democratico che lui ha fortemente voluto all'interno della sinistra italiana.

  PRESIDENTE. Colleghi, con la seduta pomeridiana la nostra comunità si anima, però bisognerebbe fare in modo di consentire a chi parla di parlare e a chi vuole ascoltare di ascoltare.
  Ha chiesto di parlare l'onorevole Currò, ne ha facoltà.

  TOMMASO CURRÒ. Signor Presidente, signori Ministri, gentili colleghi, oggi ricorre il ventinovesimo anniversario della scomparsa di Enrico Berlinguer, segretario del Partito Comunista dal 1972 al 1984, leader autorevole della sinistra comunista nella prima Repubblica, uomo di grande spessore morale, diventato icona di riferimento di una politica che è pura espressione della sua vocazione originaria: quella di dare al presente una prospettiva per il futuro, donando così al popolo e ai giovani una speranza ed una guida su cui contare e a cui fare riferimento.
  Io sono nato nel 1973, non ho avuto quindi esperienza cosciente della politica di quegli anni. Pur tuttavia essendo cresciuto in una dimensione familiare operaia ho sin da giovane assorbito il fascino di Enrico. Con umiltà mi pregio oggi di ricordarne la figura sperando con ciò di cogliere l'occasione per trarre da essa spunti di riflessione e di contribuire a riportare nel presente della politica attuale quel sentimento di pura passione e di alto e nobile impegno che l'ha caratterizzata. Enrico cresce in un contesto difficile negli anni in cui in Italia imperversava la tirannide fascista; assorbe dal padre quei valori democratici, liberali e antifascisti che caratterizzarono la sua vita futura e la sua carriera di esponente politico della Repubblica e lo fa in un momento in cui esprimere un dissenso poteva fare la differenza tra la vita e la morte; aderisce per questo sin da subito al Partito Comunista.
  Nel 1972, anno di inizio del suo mandato di segretario dà vita ad un nuovo corso della politica del partito. Partendo da un'analisi delle vicende cilene che vedevano il rovesciamento del Governo democratico del Presidente Salvador Allende e l'inizio della dittatura di Pinochet, Enrico capì che vi erano le condizioni perché la democrazia italiana ritrovasse una sua fonte ispiratoria in un allargamento degli orizzonti della politica della sinistra. È il famoso compromesso storico, il tentativo di guardare alle forze cattoliche dell'epoca non già per rispondere a principi di mero protagonismo elettoralistico, né di piegare l'ideale ad una logica di potere; non vi era alcun intento di natura strategica ma il risoluto impegno a ridonare alla politica il senso più alto del suo ruolo nella società, quello di affrontare le sfide culturali con coraggio convinto com'era che la politica dovesse assolvere ad una funzione pedagogica, che dovesse essere capace di tracciare con coraggio i punti di comunanza valoriale che potevano fungere da substrato di un'alleanza di programma nel bene dell'Italia intera e non solo di una parte.
  L'azione di Enrico è stata il più lucido esempio di come un concetto politico possa e debba essere declinato nella sua portata culturale, di come debba essere Pag. 79calato in un contesto sociale di tradizione storica. Nel 1969 ai lavori della Conferenza internazionale dei Partiti Comunisti a Mosca espresse il suo disaccordo con la linea sovietica, assumendo una posizione coraggiosa quanto memorabile. Tenne un discorso decisamente critico definendo la vicenda di Praga «una tragedia» e prendendo le distanze dall'invasione della Cecoslovacchia e da tutto ciò che il breznevismo rappresentava, ribadendo insomma le differenze culturali che sottendono un'azione politica, pur mossa nel medesimo orientamento ideologico.
  Come non citare oggi quelle parole rilasciate a la Repubblica nel 1981: «La questione morale non si esaurisce nel fatto che essendoci ladri, corrotti e concussori nelle alte sfere della politica e dell'amministrazione bisogna scovarli, denunciarli e metterli in galera. La questione morale nell'Italia di oggi fa tutt'uno con l'occupazione dello Stato da parte dei partiti, con la guerra per bande, con la concezione della politica e con i metodi di Governo. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Perché non ricordare nell'Italia del presente che vi fu un tempo in cui la classe politica seppe esprimere valori profondi ?»
  Ebbene, sono trascorsi trent'anni ed ancora tali parole segnano profondamente un solco nel nostro presente. Inutile dilungarsi su questo tema – e concludo – tali parole sono più attuali che mai. Concludo portando il ricordo di un memorabile discorso tenuto a Padova in giugno poco prima della sua morte, in cui il tema della scala mobile avrebbe, di lì a poco, segnato il declino del Partito Comunista. Enrico è sofferente, continua il suo discorso richiamandosi a valori di impegno alti e condivisi. Gli gridano «Enrico, basta» !, «Basta, Enrico» ! Ma lui continua portando a termine il suo intervento, con la tenacia di colui che sa che ogni parola non detta è un'occasione sprecata per ridare una speranza. Consiglio a tutti voi di andare a guardare quel video. Ne trarrete un insegnamento di vita. Così è stato per me. Grazie Enrico, grazie a voi (Applausi).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Dellai. Ne ha facoltà.

  LORENZO DELLAI. Signor Presidente, colleghe e colleghi, anche il gruppo parlamentare di Scelta Civica per l'Italia si associa a quanto già detto in ricordo dell'onorevole Berlinguer. Già i colleghi hanno definito e ricordato i tratti della sua personalità che si è intrecciata inevitabilmente con i periodi più importanti della storia politica e democratica del nostro Paese. Vorrei solo aggiungere a nome delle colleghe e dei colleghi del gruppo un pensiero in più ed è questo: oggi, avendo alle spalle vent'anni circa di una politica che talvolta si è trasformata in spettacolo e molto spesso si è banalizzata, ricordare personaggi come Enrico Berlinguer forse ci aiuta, alla vigilia anche di una stagione che ci auguriamo essere una stagione di grandi riforme per il nostro Paese, a recuperare il senso, lo spessore della politica, anche lo spessore etico di una politica che recuperi anche il senso appunto della sua moralità. Il che non vuol dire solo non rubare ma vuol dire una politica che recuperi il senso del proprio ruolo nei confronti dei cittadini ed anche recuperare il senso della nostra democrazia dove talvolta le classi dirigenti sono indotte a rincorrere l'opinione pubblica anziché coraggiosamente, come è stato fatto nei periodi più difficili della nostra democrazia, indicare una strada, assumersi la responsabilità delle scelte. Ecco, ricordare Berlinguer oggi in fin dei conti significa riassumere anche, come classe politica, tutto intero questo impegno ed anche il valore etico e civile di questo lavoro (Applausi).

  PRESIDENTE. Prima di informarvi sul prosieguo dei lavori, vorrei pregare tutti di lasciare libero il Governo di ascoltare per tutta la durata della seduta, anche perché adesso passeremo oltre che alle dichiarazioni di voto, alla votazione degli articoli e del provvedimento e, quindi, è bene che tutti siano attenti e possibilmente anche che sia possibile ascoltare chi parla e che chi parla possa farlo in modo proprio.

Pag. 80

Seguito della discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra la Repubblica italiana e la Repubblica di San Marino per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le frodi fiscali, con Protocollo aggiuntivo, fatta a Roma il 21 marzo 2002, e del relativo Protocollo di modifica, fatto a Roma il 13 giugno 2012 (A.C. 875-A); e dell'abbinata proposta di legge Pini (A.C. 901) (ore 15,30).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge n. 875-A: Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra la Repubblica italiana e la Repubblica di San Marino per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le frodi fiscali, con Protocollo aggiuntivo, fatta a Roma il 21 marzo 2002, e del relativo Protocollo di modifica, fatto a Roma il 13 giugno 2012; e dell'abbinata proposta di legge di iniziativa del deputato Pini.
  Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta si è conclusa la discussione sulle linee generali e il relatore e il rappresentante del Governo sono intervenuti in sede di replica.

(Esame degli articoli – A.C. 875-A)

  PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli articoli del disegno di legge di ratifica, nel testo della Commissione.
  La V Commissione (Bilancio) ha espresso il prescritto parere, che è distribuito in fotocopia (Vedi l'allegato A – A.C. 875-A).
  Passiamo all'esame dell'articolo 1 (Vedi l'allegato A – A.C. 875-A), al quale non sono state presentate proposte emendative.
  Passiamo dunque ai voti. Avverto che è stata è chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico.

  DIEGO DE LORENZIS. Chiedo di parlare per un richiamo al Regolamento.

  PRESIDENTE. Quale articolo del Regolamento ?

  DIEGO DE LORENZIS. Riguardo alla votazione mediante procedimento elettronico.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  DIEGO DE LORENZIS. Vorrei chiedere gentilmente all'Ufficio di Presidenza di invitare i colleghi a togliere le tessere di votazione dei colleghi assenti in modo da non dare più spazio ad eventuali errori (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Onorevole De Lorenzis, vorrei precisarle intanto che la stragrande maggioranza dei colleghi ha rilasciato le impronte digitali e, quindi, la tessera inserita dentro il dispositivo se non c’è il dito che poggia sul meccanismo di voto, non può essere utilizzata. In secondo luogo, dal momento in cui apriremo la votazione, se qualcuno nota che qualche collega sta votando per qualcun altro, è pregato di segnalarlo alla Presidenza e la Presidenza interverrà. Però, preventivamente, se un deputato decide di lasciare la sua tessera al suo posto e non votare ha tutto il diritto di farlo e non vedo per quale motivo dobbiamo levargli la tessera. Quindi, con molta regolarità e tranquillità di tutti, se qualcuno – e mi rivolgo a tutti – nota qualcuno che sta votando per qualcun altro, lo segnala alla Presidenza e la Presidenza se ne occupa, diversamente evitiamo di fasciarci la testa prima di essercela rotta.
  Passiamo dunque ai voti.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 1.
  Dichiaro aperta la votazione.

  Colonnese, Fantinati, Venittelli, Adornato, Morani, Legnini, Magorno, Bersani, Boschi, Bonaccorsi, Prestigiacomo, Savino, Pisano, Liuzzi, Grillo, Bargero, Allasia, D'Incà, Culotta, Gentiloni Silveri.Pag. 81
  (Segue la votazione).

  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti e votanti  492   
   Maggioranza  247   
    Hanno votato  492    
  (La Camera approva – Vedi votazioni).

  (I deputati Fucci, Marti e Chiarelli hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto favorevole).

  Passiamo all'esame dell'articolo 2 (Vedi l'allegato A – A.C. 875-A), al quale non sono state presentate proposte emendative.
  Passiamo dunque ai voti.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 2.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Onorevole Mognato... onorevole Catania... onorevole Lauricella... onorevole Schirò... onorevole Legnini... Hanno votato tutti ? Presidente Sisto, si affretti...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti e votanti  487   
   Maggioranza  244   
    Hanno votato  487.

  (La Camera approva – Vedi votazioni).

  (I deputati Fucci, Marti, Chiarelli e Vargiu hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto favorevole).

  Passiamo all'esame dell'articolo 3 (Vedi l'allegato A – A.C. 875-A), al quale non sono state presentate proposte emendative.
  Passiamo dunque ai voti.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 3.
   Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Onorevole Vargiu... onorevole Malpezzi... onorevole Schirò... credo che ci sia bisogno di assistenza all'onorevole Vargiu e all'onorevole Catania... onorevole Buttiglione... onorevole Fantinati... onorevole Paolucci... onorevole D'Ambruoso... onorevole Piccolo... onorevole Bonomi... hanno votato tutti ?
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti e votanti  502   
   Maggioranza  252   
    Hanno votato  501    
    Hanno votato no    1.

  (La Camera approva – Vedi votazioni)

  (I deputati Fucci, Marti, Chiarelli e Distaso hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto favorevole).

  Passiamo all'esame dell'articolo 4 (Vedi l'allegato A – A.C. 875-A), al quale non sono state presentate proposte emendative.
  Passiamo dunque ai voti.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 4.
   Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Onorevole Fratoianni ? onorevole Colaninno ? onorevole Brunetta ? onorevole Binetti ? onorevole Calabrò ?
   Dichiaro chiusa la votazione.
   Comunico il risultato della votazione:

   Presenti e votanti  510   
   Maggioranza  256   
    Hanno votato  510    

  (La Camera approva – Vedi votazioni)

  (I deputati Fiorio, Distaso, Fucci, Marti e Chiarelli hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto favorevole).

(Esame degli ordini del giorno – A.C. 875-A)

  PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli ordini del giorno presentati (Vedi l'allegato A – A.C. 875-A).Pag. 82
  L'onorevole Pesco ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/875-A/3.

  DANIELE PESCO. Signor Presidente, Ministro e colleghi, presentiamo un ordine del giorno col quale chiediamo che il Governo si impegni ad attuare degli strumenti finalizzati ad ottenere maggiore chiarezza e trasparenza verso chi ha delle società a San Marino e comunque è collegato alla Repubblica italiana.
  Vi leggo gli impegni, così magari facciamo prima: il MoVimento 5 Stelle impegna il Governo ad adottare le opportune iniziative volte a monitorare il traffico di capitali tra la Repubblica italiana e la Repubblica di San Marino...

  PRESIDENTE. Onorevole Pesco, mi scusi se la interrompo: essendoci il contingentamento dei tempi ai deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle, sono rimasti 7 minuti complessivi compresa la dichiarazione di voto, quindi la pregherei di fare in modo che sia possibile anche lo svolgimento delle dichiarazioni di voto.

  DANIELE PESCO. Va bene. ... quali e quante società sono le società costituite nella Repubblica di San Marino che percepiscono utili o dividenti o canoni o interessi di origine italiana; a monitorare quali saranno le nuove società che si costituiranno nella Repubblica di San Marino e che avranno rapporti con l'Italia; quali e quante saranno le società a San Marino che avranno rapporti sia con l'Italia sia con l'estero. Grazie per l'attenzione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  ROCCO BUTTIGLIONE. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  ROCCO BUTTIGLIONE. Signor Presidente, intervengo per un richiamo al Regolamento: a termini di Regolamento il MoVimento 5 Stelle non può impegnare nulla e nessuno; è il Parlamento che eventualmente impegna il Governo (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia).

  PRESIDENTE. Qual è il parere del Governo sugli ordini del giorno presentati ?

  BRUNO ARCHI, Viceministro degli affari esteri. Signor Presidente, per quanto riguarda l'ordine del giorno dell'onorevole Arlotti n. 9/875-A/1 il parere è positivo, è favorevole.

  PRESIDENTE. Colleghi ! Non riusciamo a capire quello che dice il Governo !

  BRUNO ARCHI, Viceministro degli affari esteri. Il parere è favorevole sull'ordine del giorno presentato dal relatore, onorevole Arlotti. Per quanto riguarda invece l'ordine del giorno presentato dal MoVimento 5 Stelle...

  PRESIDENTE. No, mi deve prima dire il parere sull'ordine del giorno Pizzolante n. 9/875-A/2.

  BRUNO ARCHI, Viceministro degli affari esteri. Sull'ordine del giorno Pizzolante n. 9/875-A/2 il parere è favorevole, mentre invece per quanto riguarda l'ordine del giorno Pesco n. 9/875-A/3 chiediamo una riformulazione: alla prima riga, dopo le parole «impegna il Governo» sostituire le parole: «ad adottare le opportune iniziative volte a monitorare» con le parole «a valutare l'opportunità di adottare le opportune iniziative volte a monitorare, relazionando annualmente al Parlamento»; poi andrebbe via l'ultimissima riga, cioè «a relazionare annualmente al Parlamento in relazione a questa opera di monitoraggio»: questo andrebbe via.

  GIANLUCA PINI. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Su cosa, onorevole Pini ?

Pag. 83

  GIANLUCA PINI. Solo per apporre la firma, a nome del gruppo della Lega Nord, all'ordine del giorno Arlotti n. 9/875-A/1 e all'ordine del giorno Pizzolante n. 9/875-A/2.

  PRESIDENTE. Sta bene.

  ROCCO BUTTIGLIONE. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  ROCCO BUTTIGLIONE. Scusi, signor Presidente, sempre per richiamo al Regolamento: io ho ascoltato la lettura di un ordine del giorno in cui una forza politica impegna il Governo. Questo è largamente irrituale: le forze politiche non impegnano il Governo, il Parlamento impegna il Governo. La forza politica propone che il Parlamento impegni il Governo. Un ordine del giorno formulato in quei termini, a meno che non sia stato un errore di lettura, credo che sia irricevibile.

  PRESIDENTE. Onorevole Buttiglione, adesso stiamo verificando, ma l'ordine del giorno dice che «la Camera impegna», quindi non è un gruppo parlamentare, è la Camera. Però non aprirei adesso una discussione tra di noi: è un ordine del giorno che reca la «Camera impegna il Governo».

  ROCCO BUTTIGLIONE. Così va benissimo, avevo sentito un'altra cosa dai banchi.

  PRESIDENTE. Succede. Onorevole Arlotti, insiste per la votazione del suo ordine del giorno n. 9/875-A/1, accettato dal Governo ?

  TIZIANO ARLOTTI. No, va bene, ringrazio il Governo per l'impegno assunto, grazie.

  PRESIDENTE. Onorevole Pizzolante, insiste per la votazione del suo ordine del giorno n. 9/875-A/2, accettato dal Governo ?

  SERGIO PIZZOLANTE. Va bene così.

  PRESIDENTE. Onorevole Pesco, accetta la riformulazione del suo ordine del giorno n. 9/875-A/3, accettato dal Governo purché riformulato ?

  DANIELE PESCO. Sinceramente, diventa un po’ iniquo l'ordine del giorno riformulato in quel modo, quindi chiederei una ulteriore riformulazione perché così...

  PRESIDENTE. No, onorevole Pesco, lei non può chiedere una riformulazione, deve dire solo se accetta o meno la riformulazione del Governo, diversamente lo mettiamo ai voti.

  DANIELE PESCO. Ai voti.

  PRESIDENTE. Prendo atto che il presentatore insiste per la votazione dell'ordine del giorno Pesco n. 9/875-A/3, non accettato dal Governo.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'ordine del giorno Pesco n. 9/875-A/3, non accettato dal Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Onorevoli Santerini, Carfagna, Gasbarra, Vargiu, Cassano, Nesci, Dall'Osso, Sorial...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  524   
   Votanti  507   
   Astenuti   17   
   Maggioranza  254   
    Hanno votato  109    
    Hanno votato no  398    
  (La Camera respinge – Vedi votazioni).

  (il deputato Vargiu ha segnalato che non è riuscito a votare). È così esaurito l'esame degli ordini del giorno.

Pag. 84

(Dichiarazioni di voto finale – A.C. 875-A)

  PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
  Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tabacci. Ne ha facoltà. Onorevole Tabacci, le ricordo che ha due minuti.

  BRUNO TABACCI. Grazie Presidente. Era semplicemente per annunciare il voto favorevole del Centro Democratico a questo provvedimento di ratifica ed esecuzione della convenzione tra la Repubblica italiana e la Repubblica di San Marino perché, come previsto dal protocollo aggiuntivo del marzo 2012 e quello di modifica del giugno scorso, è stato fortemente potenziato lo scambio di informazioni fiscali adeguandolo ai più recenti standard OCSE in materia, prevedendo il superamento della inviolabilità degli istituti di credito. A proposito della tassazione dei redditi di capitale, viene fissato il principio generale della definitiva tassazione nello Stato di residenza del percipiente.
  Resta aperta la questione dello status degli oltre 5 mila frontalieri italiani relativamente alla mancanza di una convenzione tra i due Stati. Su questo credo sia necessario che il Governo si impegni.
  Conclusivamente, il voto positivo è anche legato ad una recente occasione di incontro politico con l'UPR di San Marino dove ho potuto verificare la consapevolezza della Repubblica sanmarinese che è necessario voltare pagina rispetto alla funzione prevalente di finanza da lista nera degli ultimi decenni e puntare verso una profonda riconversione di quel sistema economico puntando sul turismo di qualità e sulla filiera agroalimentare nonché su una manifattura qualificata integrata nella più ampia area della Romagna. Grazie.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cirielli. Ne ha facoltà, per sei minuti. Rimane sempre la richiesta di abbassare un po’ il tono della voce, grazie.

  EDMONDO CIRIELLI. Signor Presidente, intervengo per annunciare il voto favorevole da parte del gruppo di Fratelli d'Italia, non soltanto perché la Convenzione sulla doppia imposizione e per evitare le frodi fiscali rappresenta un importante passo in avanti sul fronte della trasparenza – perché riduce il segreto bancario, o almeno la sua portata, aumenta lo scambio di informazione tra gli Stati sulle imposizioni fiscali ed in genere sul tema –, ma è la conferma di ottimi rapporti importanti, storici con San Marino, che sono molto rilevanti per le zone circostanti San Marino del territorio nazionale. Oltre al fatto principale, che ci riguarda particolarmente, che esiste un problema, come è stato già accennato, di quasi 6 mila cittadini italiani che vivono e lavorano intensamente con San Marino, ed il ritardo clamoroso con il quale si è proceduto alla ratifica certamente non aiutava le condizioni sociali, economiche di queste persone; per cui, proprio per tutelare i nostri cittadini italiani, è importante l'approvazione di questa ratifica.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Paglia. Ne ha facoltà, per tre minuti.

  GIOVANNI PAGLIA. Signor Presidente, colleghe e colleghi deputati, oggi facciamo un piccolo passo nella giusta direzione, ma è necessario, per assumere fino in fondo il valore che può avere, che esso non rimanga isolato.
  Credo che sbaglieremmo se pensassimo che l'obiettivo sia quello di normalizzare le relazioni con un piccolo Paese che insiste sul nostro territorio. San Marino non è infatti un punto isolato, ma la parte di una trama che comprende i paradisi fiscali all'interno e all'esterno dei confini dell'Unione europea. È quella trama che va spezzata, per contribuire a costruire un sistema di concorrenza leale sul piano internazionale ed equità fiscale interna e globale. Sappiamo infatti quanto pesino sui bilanci degli Stati e quanto siano nocivi per il principio di legalità le pratiche di evasione, elusione e riciclaggio. Sappiamo, Pag. 85per fare un solo esempio, che tramite la scandaloso strumento dello scudo fiscale sono rientrati da San Marino 5 miliardi di euro, ma 60 miliardi dalla sola Svizzera. Questo solo dato ci deve dare la misura delle dimensioni del fenomeno del trasferimento di capitali illeciti, ma anche dell'insufficienza assoluta di provvedimenti limitati e non contenuti in un quadro diverso di accordi globali.
  Il nostro voto sarà quindi positivo, ma non dovrà essere interpretato come un punto di merito, ma come l'invito al Governo a continuare su questa strada, insieme all'Unione europea e alle istituzioni internazionali. Concludo rinnovando anch'io l'invito al Governo a trovare rapidamente una soluzione per i lavoratori transfrontalieri (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pini, per due minuti. Ne ha facoltà.

  GIANLUCA PINI. Signor Presidente, uno dei due progetti di legge porta anche la mia firma, che è strumentale ad accelerare l’iter di approvazione della ratifica e dell'ordine di esecuzione di una Convenzione che da ben 11 anni giace non ratificata; tant’è che è stato necessario l'anno scorso redigere un Protocollo di adeguamento per alcune questioni tecniche, soprattutto quelle relative all'antiriciclaggio ed alla trasparenza bancaria.
  Comunque, chiaramente il voto della Lega sarà favorevole. Abbiamo sempre sostenuto la necessità di ristabilire non buoni, ma ottimi rapporti di vicinato con quello che per noi è un partner storico, non solo per il Paese ma in particolar modo per un'area, la Romagna e il Pesarese; e che, grazie a questa vicinanza, grazie ai rapporti buoni, ottimi che c'erano nel passato, ha dato modo a migliaia di persone di poter trovare un'occupazione, anche ben retribuita: che adesso è anche codificata in maniera diversa, in modo tale che può essere addirittura un volano di sviluppo per questo territorio.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  GIANLUCA PINI. Concludo. Regole chiare infatti di rapporti di vicinato, non solo in materia fiscale, ma a 360 gradi sul fare impresa, possono riportare quelli che adesso sono poco più di 5 mila lavoratori transfrontalieri fra l'Italia e San Marino a quelli che erano qualche anno fa, cioè 7-8 mila persone, e dare quindi anche una mano allo sviluppo e all'occupazione dei nostri territori (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rabino. Ne ha facoltà, per otto minuti.

  MARIANO RABINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, quello di oggi al nostro esame è un provvedimento che completa un percorso iniziato da tempo, e che investe rapporti finanziari e commerciali tra l'Italia e la Repubblica di San Marino. Gli occhi del Titano – è proprio il caso di dirlo – sono puntati sulla Camera dei deputati.
  Si chiude oggi un iter complesso che avrà bisogno di altri due accordi di cooperazione economica e di collaborazione finanziaria per fare uscire la Repubblica di San Marino dalla cosiddetta black list e creare un clima di trasparenza e di fiducia nelle relazioni bilaterali tra i due Paesi, che si è rafforzato con l'adozione, da parte sanmarinese, di una serie di interventi normativi in ambito societario, con eliminazione delle società anonime, di contrasto alle frodi e agli illeciti tributari, di adeguamento delle misure per l'esecuzione delle rogatorie e per l'assistenza giudiziaria in materia penale in campo bancario e finanziario.
  Possiamo davvero dire che con oggi si sigla la pace fiscale tra Italia e San Marino, senza considerare che con questa approvazione si potrà agevolare il superamento del problema della tassazione, la famigerata tassa etnica a carico dei frontalieri italiani, oltre 6 mila, che ha provocato una palese disparità di trattamento rispetto ai lavoratori residenti a San Marino Pag. 86sin dal 2011. Dobbiamo riconoscere i progressi in campo normativo compiuti da San Marino, certificati nell'autunno 2011 con le positive valutazioni internazionali del Moneyval del Consiglio d'Europa e dell'OCSE sulla normativa adottata in materia di trasparenza finanziaria. Del resto, le recenti dichiarazioni di Attilio Befera, direttore dell'Agenzia delle entrate, che attestano un'effettiva collaborazione di San Marino in materia di scambio di informazioni, delineano un quadro sicuramente positivo per la credibilità di San Marino e portano ad una graduale e definitiva normalizzazione dei rapporti tra i nostri due Paesi.
  In forza di questo importante Accordo non cade totalmente, come è noto, il segreto bancario, ma la sua portata viene significativamente compressa, nel momento in cui le autorità hanno diritto, secondo la Convenzione OCSE, di ottenere informazioni verosimilmente pertinenti per l'applicazione di leggi interne relative a imposte di qualsiasi genere da banche, istituzioni finanziarie, agenti, società fiduciarie o singoli individui. Non occorre entrare troppo nello specifico dell'articolato della Convenzione per capire che, grazie a questa ratifica, le tensioni che in questi ultimi anni sono sorte tra i nostri due Paesi si attenueranno, favorendo il ripristino di un clima amichevole ed una maggiore collaborazione commerciale e finanziaria bilaterale, dando una mano nel contempo allo sforzo che l'Italia sta mettendo in atto contro l'evasione e la frode fiscale internazionali e creando finalmente una base giuridica di riferimento certa e solida per gli operatori economici italiani che effettuano attività di interscambio commerciale e finanziario con San Marino. Al riguardo, dobbiamo dire che la ratifica cade peraltro a pochi giorni dalle importanti conclusioni in materia di lotta all'evasione fiscale che sono state oggetto del Consiglio europeo tenutosi il 22 maggio.
  In quest'ottica, la Convenzione in oggetto si inserisce nel solco della linea di ferma risposta al fenomeno dell'evasione e della frode fiscale, che ammonterebbe, secondo una stima a livello dell'Unione, a circa 864 miliardi di euro, di cui 180 miliardi soltanto in Italia. Nelle condizioni in cui versa il nostro Paese non possiamo permetterci un drenaggio criminale così imponente di risorse e rimanere impotenti e indifesi senza dare una risposta adeguata.
  L'accordo dà corpo ad un condiviso orientamento a livello politico europeo. La frode e l'evasione fiscale limitano infatti la capacità dei Paesi di conseguire un gettito e di attuare le loro politiche economiche e, in un periodo di rigidi vincoli di bilancio, la lotta alla frode fiscale e all'evasione diventano un elemento essenziale per l'accettabilità sociale del risanamento dei conti pubblici medesimi e per l'efficacia delle politiche tese al suo conseguimento. La questione va oltre il problema dell'equità fiscale evidentemente; è un problema vitale per l'economia di una nazione. Ed ecco perché la maggioranza dei Paesi dell'Unione ha voluto rafforzare il sistema di scambio delle informazioni finanziarie tra Paesi dell'Unione europea e tra questi e gli Stati terzi attraverso convenzioni come quella che ci accingiamo ad approvare e che porterà all'applicazione di standard di misure equivalenti a quelle in vigore nell'Unione europea.
  È vero anche che ci vuole buona volontà e, come abbiamo detto, San Marino ci ha messo del suo se pensiamo che ha sottoscritto negli ultimi tempi ben 26 Accordi sullo scambio di informazioni, di cui 9 con Stati dell'Unione europea, e 18 sull'eliminazione della doppia imposizione fiscale, di cui 11 con Stati dell'UE, secondo i nuovi standard OCSE, senza dimenticare, come citato precedentemente, l'impegno preso nell'ambito del Moneyval in materia di contrasto al riciclaggio di denaro e al finanziamento del terrorismo internazionale e per assicurare una tempestiva e piena attuazione delle raccomandazioni del gruppo di azione finanziaria internazionale.
  Onorevoli colleghi, tutto è perfettibile e migliorabile, ma credo che la strada intrapresa da San Marino sia a senso unico e che non si possa non apprezzare lo Pag. 87sforzo delle istituzioni sammarinesi per rispettare gli standard internazionali, nell'auspicio che presto si possa giungere alla totale trasparenza in materia bancaria tra i due Paesi e ciò anche in vista dell'oramai prossima e vicina commemorazione del settantacinquesimo anniversario della Convenzione di amicizia e buon vicinato tra l'Italia e la Repubblica di San Marino, firmata il 31 marzo 1939. Concludo, con l'auspicio di un trasferimento a tempo di record a Palazzo Madama del provvedimento in esame per il relativo iter di ratifica, esprimendo il voto favorevole del gruppo Scelta Civica per l'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pizzolante. Ne ha facoltà, per dieci minuti.

  SERGIO PIZZOLANTE. Signor Presidente, questo Accordo è figlio di un percorso lungo intrapreso da parte di San Marino nel rapporto con l'Italia verso un regime nuovo di trasparenza. Dall'aprile 2009 numerosi accordi sono stati firmati da San Marino in Europa e anche con l'Italia (16 accordi internazionali sulla doppia imposizione fiscale, 23 accordi sullo scambio di informazioni). Il 23 settembre 2009 San Marino è stata inserita per questo nella white list OCSE e poi sono stati fatti passi significativi riconosciuti dall'OCSE sulle norme sul segreto bancario e il Moneyval ha approvato le manovre legislative di San Marino in materia di antiriciclaggio e antiterrorismo. Poi una serie di Accordi con l'Italia per l'eliminazione delle società anonime, per una normativa nuova sul segreto bancario, per l'individuazione dei beneficiari di finanziarie e trust ha favorito il percorso che ci ha portato all'Accordo e poi alla ratifica. Ma è dal 2002 che ad intermittenza San Marino e l'Italia si sono confrontati per cercare di tracciare insieme le linee guida per un accordo di cooperazione in grado di accompagnare e di integrare la Convenzione contro le doppie imposizioni al fine di definire con maggiore chiarezza il perimetro e le linee di sviluppo dell'economia sanmarinese rispetto a quella italiana. I tempi, purtroppo dilatati, hanno reso nel frattempo superata anche la prima Convenzione contro le doppie imposizioni, firmata nel marzo 2002.
  Questa Convenzione bilaterale poggia tutto il suo impianto sul modello OCSE e la sua funzione primaria è quella di evitare la doppia tassazione, di assicurare un adeguato scambio di informazioni e di prevenire, quindi, le frodi fiscali. Potrà finalmente ridurre tra i due Paesi gli spazi di ambiguità e di contenzioso sulla sovranità fiscale, sulle pretese impositive, sulla concorrenza fiscale e sulla collaborazione amministrativa.
  Questa Convenzione rappresenta indubbiamente un test importante che l'Italia dovrebbe replicare anche con altri Stati (anche dell'Eurozona), per esempio la Svizzera, con i quali, invece, esistono ancora difficoltà nella collaborazione fra le amministrazioni finanziarie e tributarie. Questa Convenzione contiene anche una serie di elementi utili alla crescita e allo sviluppo virtuoso di San Marino in grado poi di fungere da volano per un'importante area dell'Italia, quale quella delle regioni Emilia-Romagna e Marche e, in particolar modo, delle province di Rimini, Pesaro-Urbino e Ravenna. Particolarmente significative sono le norme sui dividendi, sugli interessi, sui canoni, il cui contenuto, una volta ratificata la Convenzione anche in Italia e una volta usciti dalla black list italiana, che è la conseguenza poi di questa ratifica, potrebbe favorire lo sviluppo di investimenti di notevole interesse comune fra Italia e San Marino.
  C’è poi l'articolo 15, molto importante, che concerne la tassazione di lavoro dipendente dei lavoratori frontalieri residenti in Italia. I due Stati convengono di applicare il sistema di tassazione concorrente con tassazione definita nello Stato di residenza.
  L'Italia assoggetterà a tassazione il reddito lordo dei lavoratori frontalieri residenti nel Paese, nella Repubblica di San Marino, con le modalità che saranno stabilite Pag. 88con legge ordinaria. La legge ordinaria dovrà determinare una quota di reddito lordo dei lavoratori frontalieri esente da imposta in Italia. La Convenzione, con queste disposizioni, mette finalmente la parola «fine» alla doppia tassazione e alle discriminazioni che hanno subìto i lavoratori frontalieri residenti in Italia. A tal proposito, comunico di aver depositato un progetto di legge del PdL, proprio per risolvere questa questione della doppia tassazione, per dare stabilità ai lavoratori italiani...

  PRESIDENTE. Scusi, onorevole Pizzolante. Colleghi, non si sente proprio !

  SERGIO PIZZOLANTE. Dicevo che ho depositato un progetto di legge che serve proprio a questo, a dare stabilità, continuità e regolarità al rapporto di lavoro fra i cittadini italiani che lavorano a San Marino. E a tal proposito, ringrazio il Governo per aver approvato, proprio pochi minuti fa, un mio ordine del giorno in tal senso.
  Con questa Convenzione, la Repubblica di San Marino avrà, dunque, la possibilità di riposizionare il proprio sistema economico, da un modello opaco cresciuto negli ultimi due lustri in maniera tumultuosa e irrazionale, senza una reale selezione degli investitori e imprenditori stranieri prevalentemente italiani, ad un modello trasparente ancorato ad imprese vere e in grado di generare occupazione e valori positivi anche per l'Italia; avrà modo di integrarsi con l'Italia e anche con l'Europa. È necessario, inoltre – concludo – da parte dei due Stati aggiornare con maggiore frequenza gli accordi bilaterali che, inevitabilmente, con il tempo, potrebbero risultare nuovamente non sufficienti a regolare nuove fattispecie impositive, nuove situazioni o fenomeni fraudolenti (Applausi dei deputati del gruppo Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Sibilia. Ne ha facoltà, per sei minuti.

  CARLO SIBILIA. Signor Presidente, il MoVimento 5 Stelle si esprimerà in favore della Convenzione tra la Repubblica italiana e quella di San Marino.
  Come espresso anche nelle sedute di Commissione precedenti e come ampiamente descritto in quest'Aula, noi del MoVimento 5 Stelle riteniamo che la Convenzione di San Marino consenta alcuni passi in avanti interessanti per quanto riguarda il contrasto all'evasione e all'elusione fiscale, in particolare quella di piccola...

  PRESIDENTE. Scusi, onorevole Sibilia. Devo pregare veramente tutti di abbassare un po’ il tono della voce.

  CARLO SIBILIA. ...in particolare quella di piccola entità e, soprattutto grazie all'articolo 12, per quel che concerne le doppie imposizioni fiscali e, quindi, la situazione della doppia tassazione per i cosiddetti lavoratori frontalieri, che oggi si attestano a circa 6 mila unità.
  Inoltre, per effetto dell'articolo 26 della Convenzione, faremo un altro passo in avanti in materia di scambio di informazioni e, quindi, limiteremo in maniera significativa il segreto bancario, ponendo un primo importante tassello per arginare l'evasione e l'elusione fiscale, uno dei comportamenti preferiti per chi fa affari con San Marino.
  Tra le altre cose, in Italia, vige il criterio tributario per il quale l'imposta viene applicata alla fonte e, cioè, sull'impresa erogante in funzione delle caratteristiche del percettore del dividendo. In questo si incastra il principio della partecipation exemption, cioè l'esenzione della tassazione sulle plusvalenze: è il criterio utilizzato nel nostro ordinamento, come in molti altri sistemi fiscali europei, per coordinare la tassazione delle società con quella dei soci, nell'intento di evitare una doppia tassazione della medesima capacità economica.
  Faccio notare che questo avviene separatamente dalla tassazione IRES sui redditi delle imprese, che per nulla viene inficiata dalla Convenzione. La stessa, infatti, Pag. 89precisa che i redditi sono tassati nello Stato in cui l'azienda risiede, salvo il caso in cui quest'ultima svolga attività nell'altro Stato attraverso una stabile organizzazione costituita in esso e, in questa seconda ipotesi, solo nella misura in cui gli utili siano attribuibili specificamente a quella stabile organizzazione. Questo è un altro elemento di positività.
  Tuttavia, ci preme fare alcune analisi su quella che è la situazione per ciò che accadrà, una volta ratificata la Convenzione, in relazione alla tassazione dei dividendi. Specificamente, guardiamo le lettere a) e b) del comma 2 dell'articolo 10. Sostanzialmente, si dice che, a seguito delle modifiche della Convenzione accordate nel 2012, lo Stato italiano tasserà allo zero per cento tutti i dividendi pagati ai soci di aziende italiane qualora questi siano residenti a San Marino e detengano una partecipazione almeno al 10 per cento, detenuta da almeno dodici mesi.
  In tutti gli altri casi la tassazione che lo Stato italiano potrà applicare sarà, al massimo, del 15 per cento. Nella versione precedente la soglia del 10 per cento era più alta, doveva essere di almeno il 25 per cento e la tassazione massima che lo Stato italiano poteva applicare era del 5 per cento. È qui che si configura un palese compromesso: lo Stato italiano ha sostanzialmente concordato una franchigia entro la quale si impegna a non applicare la tassazione, cioè fino al 10 per cento di partecipazione, e lo Stato di San Marino ha accettato di vedersi tassati al massimo al 15 per cento tutti gli altri casi che, quindi, saranno sicuramente più numerosi di quando la soglia era al 25 per cento. Alla luce di ciò, immaginiamo lo scenario: cosa faranno i detentori sammarinesi di partecipazioni in aziende italiane sotto il 10 per cento esistenti alla data di oggi ? Voi che fareste ? È presto detto, troveranno un parente o un prestanome e accorperanno la propria partecipazione con loro, ottenendo per ognuno il possesso di partecipazioni maggiori del 10 per cento e quindi lo zero per cento di tasse. Inoltre, ci sarà una corsa di italiani che andranno a San Marino a cercare parenti o prestanome per intestargli le partecipazioni delle proprie società per avere di nuovo lo zero per cento di tasse.
  Come abbiamo detto, non ci opporremo all'applicazione della Convenzione, ma per il futuro ci auguriamo che vengano presi in considerazione alcuni elementi. Innanzitutto ci è sembrato che in Commissione ci fosse una certa fretta per l'approvazione del provvedimento, in lavorazione dal 2002. Auspichiamo che per il futuro un lavoro di dieci anni, lo ripeto, di dieci anni, non venga liquidato in poche ore, ma venga data la possibilità, soprattutto se si tratta dell'inizio di una nuova legislatura, con un certo margine di rinnovamento ...

  PRESIDENTE. Onorevole Abrignani, per cortesia...

  CARLO SIBILIA. Comunque, auspichiamo che un lavoro di dieci anni – e, ripetiamo ancora, di dieci anni – non venga liquidato in poche ore, ma venga data la possibilità soprattutto se si tratta dell'inizio di una nuova legislatura, con un certo margine di rinnovamento del Parlamento, di prendere adeguata visione della documentazione, soprattutto quando si configuri una perdita di gettito fiscale per le casse dello Stato italiano stimata in circa 3,5 milioni di euro, casse che sappiamo bene non versare in una situazione paradisiaca.
  Inoltre, ci auguriamo che il contrasto ai paradisi fiscali sia visto con maggior decisione e serietà. Da sempre l'Italia ha un rapporto molto diretto e piacevole con i Paesi che applicano regimi fiscali ai limiti del criminale, avallati da provvedimenti come quelli sullo scudo fiscale, e pensare che le stime di evasione ed elusione che questi paradisi producono si aggira intorno ai 23 mila miliardi di euro nel mondo, di cui 180 miliardi di euro in Italia. Se l'Italia e l'Europa volessero veramente recuperare qualcosa a livello economico, saprebbero perfettamente dove andare a cercare.
  E poi, stando più sul generale, sarebbe bello che chi ricopre funzioni pubbliche, come ad esempio l'ex Ministro Grilli, siano Pag. 90i primi a dare l'esempio, e non i primi a correre all'estero con i loro conti alle Cayman (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Che immagine diamo agli italiani se gli stessi rappresentanti pubblici non si fidano di mantenere i propri soldi nelle banche italiane ? Non ci lamentiamo, poi, della carenza di capitale che ne consegue. È quasi superfluo ricordare i conti alle Cayman che Berlusconi utilizzava per portare a termine un'evasione notevolissima per l'acquisto dei diritti TV Mediaset e che gli sono valsi la condanna a quattro anni di reclusione per frode fiscale. Cito il deputato Bersani che diceva: «È arrivata l'ora di dire che se porti i soldi all'estero sei un poco di buono, un vigliacco e un traditore del tuo Paese». È superfluo ricordare che oggi Bersani governa con chi, egli stesso, ha definito un poco di buono, un vigliacco e un traditore (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  Ci auguriamo, e mi avvio alle conclusioni, che tutte le convenzioni, in futuro, tengano conto di quanto stiamo segnalando oggi, e che la lotta si concentri sulle grandi evasioni fiscali, con decisione, e non con l'accanimento sui piccoli artigiani e sulle piccole e medie imprese, come è stato fatto fino ad ora.
  È con rammarico che prendiamo atto della bocciatura del nostro ordine del giorno, che altro non era che la richiesta di un attento monitoraggio degli effetti della Convenzione. Ma purtroppo la funzione di controllo non è dei partiti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Petitti. Ne ha facoltà, per dieci minuti.

  EMMA PETITTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, con il voto di oggi il gruppo parlamentare del Partito Democratico promuove e sostiene convintamente la ratifica e l'esecuzione della Convenzione tra la Repubblica italiana e la Repubblica di San Marino, al fine di evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le frodi fiscali.
  Un risultato reso possibile – è importante ricordarlo – grazie alla Commissione esteri, che ha proceduto all'unanimità, e all'ottimo lavoro del relatore, Arlotti. Il nostro sostegno si inserisce all'interno di lungo rapporto maturato negli anni, un rapporto di amicizia, di solidarietà e di cooperazione tra lo Stato italiano e lo Stato sanmarinese e che si rinnova quotidianamente attraverso i suoi cittadini e le sue istituzioni. Ricordiamo, infatti, che l'Italia rappresenta per la Repubblica di San Marino il principale partner commerciale e finanziario sin dal 1862, anno in cui venne siglato l'Accordo di amicizia e cooperazione che poi si è consolidato con la Convenzione di amicizia e buon vicinato del 31 marzo 1939, oltre a quella Convenzione in materia di sicurezza sociale siglata il 10 luglio 1974, particolarmente importante proprio per la tutela e la regolamentazione degli aspetti sanitari e previdenziali dei cittadini in ambedue gli Stati.
  Uno Stato, quello sanmarinese, la cui economia principale, che nel tempo è diventata quella manifatturiera, rappresenta oggi il 40 per cento del PIL. Un comparto quest'ultimo, della cosiddetta economia reale, che ha sorretto il tessuto economico di questo Stato, in un momento in cui il settore creditizio ha subito un ridimensionamento notevole. Allora, se oggi l'interscambio commerciale italo-sanmarinese è pari a oltre 4,5 miliardi di euro, noi dobbiamo ricordare che a produrre ricchezza per l'economia di San Marino ci sono oltre 5 mila lavoratori transfrontalieri italiani residenti in Italia, che da soli rappresentano il 40 per cento della forza lavoro dipendente nel settore privato della Repubblica. Una Repubblica, quella di San Marino, che è tra i sei Paesi che nel corso del 2000 aveva formalmente assunto l'impegno di adeguarsi ai principi OCSE in materia di concorrenza e trasparenza fiscale, garantendo l'eliminazione di quegli asset relativi ai servizi bancari e finanziari, tutta quella tecnicalità giuridica e societaria che creava distorsione nel sistema degli interscambi commerciali.Pag. 91
  È importante ricordare questi impegni da parte della Repubblica di San Marino, questi notevoli sforzi che ha fatto in questi anni proprio per rispondere alle richieste degli organismi internazionali OCSE, Moneyval e GAFI contro i paradisi fiscali, perché hanno fatto capire come San Marino si volesse in qualche modo adeguare agli standard internazionali per lo scambio di informazioni. È anche alla luce di questi sforzi che noi oggi sosteniamo convintamente questa ratifica della Convenzione tra i nostri due Stati, con l'obiettivo proprio di governare e regolamentare la problematica inerente alle doppie imposizioni sul piano fiscale e, appunto, l'aspetto della tassazione del lavoro transfrontaliero prestato dai nostri concittadini nella nostra Repubblica.
  Come è emerso dalla discussione in Commissione e anche dal dibattito di questa mattina, il voto di oggi giunge a completare un lungo percorso, complesso, articolato, ma sicuramente molto importante. È un percorso che è iniziato con la Convenzione tra Italia e San Marino il 21 marzo 2002, Convenzione che non è stata mai ratificata e che aveva l'obiettivo di giungere ad evitare le frodi fiscali, la doppia tassazione dei redditi, fino ad arrivare al successivo atto con la modifica del protocollo del 13 giugno 2012, anche questo mai ratificato. Oggi possiamo finalmente procedere accertando e sottoponendo a tassazione a seconda del Paese di residenza del beneficiario anche dividendi prodotti dal possesso di quote azionarie; possiamo muoverci anche attraverso una valutazione che vedrà tassati esclusivamente dal Paese in cui si risiede, così come per i canoni, che rispetteranno il medesimo criterio.
  Tra gli aspetti positivi che noi teniamo ad evidenziare e sottolineare c’è la raccolta di informazioni in campo fiscale che possiamo, appunto, raccogliere. In particolare, grazie a questa nuova formulazione si va finalmente riducendo la portata del cosiddetto segreto bancario, stabilendo che lo Stato a cui si avanzerà la richiesta non potrà rifiutare di fornire informazioni con la sola motivazione, come è avvenuto in passato, che queste fossero detenute da una banca, da un'istituzione finanziaria o da un mandatario operante in qualità di agente-fiduciario, superando anche l'aspetto tecnico della rogatoria. Attraverso questa modifica noi auspichiamo che ci possa essere una nuova e più efficace attività che ha come direttrici, fondamentalmente, la prevenzione e il controllo, e si possa far emergere anche nuove basi imponibili che sino ad ora sono state eluse e sottratte al fisco, riconducendo soprattutto nel giusto alveo risorse importanti per il finanziamento dei servizi e dello Stato sociale. Questa Ratifica, quindi, rappresenta un traguardo ambizioso, a seguito, appunto, di un complesso iter di approvazione che, oltre a disciplinare compiutamente il fenomeno della doppia imposizione, con la Convenzione e il Protocollo permette di predisporre finalmente le basi giuridiche per la confederazione fra i due diversi Stati, anche in vista di una più efficace e comune lotta all'evasione fiscale.
  I provvedimenti, infatti, si legano agli altri due accordi di cooperazione economica e di collaborazione finanziaria, che consentiranno di creare quelle condizioni affinché la Repubblica di San Marino possa uscire rapidamente dalla black-list, creando un clima di trasparenza e di rinnovata fiducia e slancio nelle relazioni bilaterali tra i nostri due Paesi.
  Questo per noi rappresenta un punto di partenza e non un punto d'arrivo.
  Siamo, dunque, ad un momento di svolta, che ci vede anche consolidare ulteriormente i rapporti tra i due Stati perché si va a codificare e a promuovere un nuovo, ordinato sviluppo delle relazioni economiche tra San Marino attraverso una nuova cooperazione e collaborazione. Per l'Italia non si tratta semplicemente di allontanare i potenziali rischi economici di avere un rifugio fiscale all'interno dei propri stessi confini, ma si tratta di rafforzare l'integrazione con la dinamica economia della Repubblica di San Marino e fornire anche una soluzione efficace – come dicevamo prima – agli oltre 5 mila lavoratori italiani frontalieri. Se è vero che vi sarà un'ineludibile crescente integrazione Pag. 92con la Repubblica di San Marino e l'Italia è e sarà naturalmente destinata ad assumere un ruolo di estrema rilevanza, essendo l'unico Paese confinante, il partner economico maggiore che ha la stessa lingua ed un sistema giuridico simile, noi crediamo che questo accordo debba assumere un significato maggiore, e cioè debba costituire un passo fondamentale, non solo nel percorso intrapreso da San Marino sul versante della trasparenza e della materia fiscale, ma debba essere particolarmente importante perché deve rappresentare la posa di una pietra miliare nei rapporti con il nostro Paese, con cui sono evidenti affinità di carattere storico, culturale, economico, politico e sociale. Seneca diceva: «Nessun vento è favorevole per il navigante che non sa dove andare», noi siamo certi che ciò che oggi ci apprestiamo ad approvare realizzerà nuove condizioni, nuove opportunità di sviluppo per entrambi gli Stati perché verranno promosse attraverso quei valori di legalità e trasparenza che per noi rappresentano una bussola. Sono dei valori senza i quali non potrà esserci mai nessun equo e solidale progresso, né economico, né culturale, né tanto meno sociale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale.

(Coordinamento formale – A.C. 875-A)

  PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, la Presidenza si intende autorizzata al coordinamento formale del testo approvato.
  (Così rimane stabilito).

(Votazione finale ed approvazione – A.C. 875-A)

  PRESIDENTE. Passiamo alla votazione finale.
  Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sul disegno di legge di ratifica n. 875-A, di cui si è testé concluso l'esame.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Adornato, Castricone, Lotti...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:
  «Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra la Repubblica italiana e la Repubblica di San Marino per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le frodi fiscali, con Protocollo aggiuntivo, fatta a Roma il 21 marzo 2002, e del relativo Protocollo di modifica, fatto a Roma il 13 giugno 2012»(875-A):

   Presenti e votanti  525   
   Maggioranza  263   
    Hanno votato  525    
  (La Camera approva – Vedi votazioni).

  (I deputati Nicchi, Adornato, Vargiu e Rostan hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto favorevole).

  È pertanto assorbita l'abbinata proposta di legge.

Seguito della discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Lituania in materia di rappresentanze diplomatiche, fatto a Vilnius il 21 febbraio 2013 (A.C. 841) (ore 16,25).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge n. 841: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Lituania in materia di rappresentanze diplomatiche, fatto a Vilnius il 21 febbraio 2013.
  Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta si è conclusa la discussione sulle linee generali e la relatrice e il rappresentante del Governo sono intervenuti in sede replica.

Pag. 93

(Esame degli articoli – A.C. 841)

  PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli articoli del disegno di legge di ratifica 841.
  Passiamo all'esame dell'articolo 1 (Vedi l'allegato A – A.C. 841), al quale non sono state presentate proposte emendative.
  Passiamo dunque ai voti.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 1.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Sannicandro, Tripiedi, Pagano, Turco, D'Ambruoso, Raciti...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti e votanti  528   
   Maggioranza  265   
    Hanno votato  528    
  (La Camera approva – Vedi votazioni).

  Passiamo all'esame dell'articolo 2 (Vedi l'allegato A – A.C. 841), al quale non sono state presentate proposte emendative.
  Passiamo dunque ai voti.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 2.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Gasbarra, Polverini, Vargiu, Colonnese, Pesco, Sorial, Buttiglione, Rughetti, Magorno, Barbanti, Bargero, Capodicasa...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:
   Presenti e votanti  534   
   Maggioranza  268   
    Hanno votato  534    
  (La Camera approva – Vedi votazioni).

  Passiamo all'esame dell'articolo 3 (Vedi l'allegato A – A.C. 841), al quale non sono state presentate proposte emendative.
  Passiamo dunque ai voti.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 3.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Sannicandro, Lavagno, Luigi Gallo, Fioroni, Oliaro, De Lorenzis, Vignaroli, Turco, Costa, Giammanco, Di Salvo...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:
   Presenti e votanti  540   
   Maggioranza  271   
    Hanno votato  540    

  (La Camera approva – Vedi votazioni).

(Dichiarazioni di voto finale – A.C. 841)

  PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
  Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cirielli. Ne ha facoltà, per sei minuti.

  EDMONDO CIRIELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervengo brevemente, ma credo che qualcosa vada detto, perché la ratifica di questo Accordo pone fine a una brutta situazione, a una brutta figura internazionale. Sono venti anni che esiste questa controversia tra la Lituania e l'Italia.
  Persino la Russia, che è il continuatore della soggettività internazionale dell'Unione Sovietica, che, peraltro, ha causato anche questa controversia con noi, ha riconosciuto i diritti legittimi della Lituania ante annessione e occupazione illegale della Russia comunista.
  Ebbene, questa vicenda trae origine...

  PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Cirielli. Colleghi, abbiamo alcune dichiarazioni di voto. Chi non è interessato ad ascoltare consenta agli altri di ascoltare e a chi deve parlare, soprattutto, di riuscire a parlare. Grazie.

  EDMONDO CIRIELLI. La ringrazio Presidente. Questa vicenda trae origine dall'occupazione illegale e violenta della Lituania da parte della Russia comunista dopo l'accordo Ribbentrop-Molotov con la Germania nazista, e con l'attribuzione della sede della rappresentanza diplomatica Pag. 94lituana all'Unione sovietica anche da parte dalla Repubblica italiana nel 1945. All'indomani della caduta dell'Unione sovietica la Lituania ha rivendicato nei confronti di una serie di Stati, tra cui l'Italia, la mancata tutela della sede diplomatica così come previsto da tante convenzioni internazionali. Alla fine siamo addivenuti a questo accordo, con cui concediamo in uso per 99 anni una sede molto prestigiosa, palazzo Blumenstihl, che in cambio la Lituania ristrutturerà. Credo che sia un accordo utile e anche economicamente conveniente, ma soprattutto moralmente necessario e bene ha fatto il Governo a procedere in tal senso (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

  PRESIDENTE. La ringrazio. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pini. Ne ha facoltà per tre minuti. Colleghi torno a chiedere per favore un po’ di silenzio.

  GIANLUCA PINI. Grazie Presidente, intervengo solo per esprimere il voto favorevole da parte del gruppo della Lega Nord e Autonomie alla conclusione quasi fantozziana di venti anni di trattative che onestamente solo l'ex Ministro Terzi, essendo diplomatico di carriera, ha potuto definire con successo.
  Non si è stati in grado di trovare una soluzione di buon senso per tanti anni, e una volta che la si trova si cerca di far dimenticare le figuracce. Qualcuno ha anche avuto la bella pensata di farsi addirittura insignire di una onorificenza da parte del Governo lituano. Comunque votiamo favorevolmente perché la ratifica di questo accordo chiude una pagina abbastanza imbarazzante della diplomazia italiana, e più che della diplomazia, proprio della politica italiana a trecentosessanta gradi, perché per vent'anni non si è stati in grado di trovare una sede diplomatica sufficientemente dignitosa o lussuosa, a seconda di come la si vuol vedere, per uno Stato che sta diventando un partner sempre più importante. Forse sarebbe stato meglio se questo accordo fosse stato concluso prima, ma si è arrivati finalmente a una conclusione. Votiamo favorevolmente, ma non vendiamolo come un successo della diplomazia italiana, perché è semplicemente un atto riparatorio dovuto, seppur tardivo, di quello che la politica italiana doveva fare molto tempo fa (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lavagno. Ne ha facoltà per cinque minuti.

  FABIO LAVAGNO. Grazie Presidente. Onorevoli colleghi, abbiamo già discusso ed espresso le posizioni del gruppo di SEL in fase di discussione generale in merito a questo provvedimento. Un provvedimento che vede la conclusione di un iter ventennale, che come abbiamo ricordato, affonda le proprie radici nella storia del ’900 e in gran parte dell'evoluzione geopolitica della Lituania e della sua dimensione all'interno e all'esterno di quella che è stata l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. È un dato positivo che lo Stato italiano arrivi a formalizzare questo trattato e che definisca, nell'assegnare alla Repubblica di Lituania una sede diplomatica consona e degna, anche un rapporto diplomatico iniziato fra le nazioni a partire dal termine del primo conflitto mondiale e collimato con il riconoscimento tra i primi dell'Italia nei confronti dell'indipendenza della Lituania. Abbiamo ricordato, ed è giusto ricordarlo, come i rapporti fra Stati si basino su solide basi storiche, ma anche su rapporti economici e commerciali che fanno dell'Italia il settimo partner commerciale lituano, quindi con una situazione di tutto rilievo e con una bilancia commerciale in positivo nei confronti del nostro Paese, e di come avere rapporti positivi con una piattaforma naturale nell'area del Mar Baltico sia assolutamente necessario.

  PRESIDENTE. Onorevole Centemero, la prego...

  FABIO LAVAGNO. Allo stesso tempo abbiamo rilevato e abbiamo fatto delle Pag. 95sollecitazioni al Governo, che vogliamo riportare qua in sede di dichiarazione di voto, sollecitazioni che facciamo nel comportamento e nelle relazioni che è opportuno tenere nei confronti di questo Paese che ha di per sé una vocazione europeista, tant’è che il processo di integrazione nell'Unione europea è stato perfezionato nel 2004, ma che vede la Lituania agli ultimi posti nelle classifiche relative ai diritti civili e in particolar modo nei confronti dell'omofobia.
  Su questo invitiamo a un reciproco impegno, perché l'Italia non sta meglio da questo punto di vista, affinché non solo rapporti storici, non solo rapporti economici, ma anche sociali nei confronti di una nuova idea di Europa dei diritti possano suggellare un lungo rapporto di amicizia tra i due Paesi. Nel dire questo esprimo a nome del gruppo di Sinistra Ecologia Libertà il voto favorevole rispetto alla ratifica dell'accordo in questione (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Caruso. Ne ha facoltà.

  MARIO CARUSO. Signor Presidente, gentilissimi colleghi, ci sono piccole storie che possono avere un grande significato. La ratifica ed esecuzione dell'accordo tra Italia e Lituania in materia di rappresentanze diplomatiche che andiamo oggi a discutere e che il Parlamento italiano si avvia ad approvare, è una di queste. La Lituania non è sicuramente un Paese immediatamente vicino all'Italia ma è una tesi sostenibile solo se parliamo in termini geografici. C’è un profondo legame tra i due Paesi. L'Italia ha avuto una sua influenza non secondaria nello sviluppo della Lituania così come la conosciamo e nella sua cultura; e la cultura è un grande veicolo di amicizia e scambio.
  Forse non in molti lo ricordiamo, ma i lituani lo sanno perché convivono con le conseguenze di questo ogni giorno, vale a dire che l'Italia e gli italiani hanno lasciato una significativa eredità culturale nella cultura lituana.
  Prima fra tutte, Bona Sforza, regina di Polonia e granduchessa di Lituania, donna rinascimentale che diffonde il Rinascimento italiano in una fase in cui la Lituania e la Polonia unificate senza guerre vivono una fase di crescita sulla via degli Stati nazionali moderni europei. Inizia allora un percorso che vede normale la presenza di architetti italiani e che continua in età barocca. Difficile per un italiano che arriva a Vilnius non rimanere impressionato dalle chiese costruite in città e non rimanere sorpreso dal vedere la Chiesa di San Casimiro e nel riconoscervi i tratti della Chiesa del Gesù qua vicino, dove sono sepolti Sant'Ignazio e San Francesco Saverio.
  Nei decenni si è susseguita una lunga serie di difficoltà: la Villa Lituania in via Nomentana, e la grande storia che arriva ad incidere anche sui singoli eventi. La Guerra mondiale, come il mio collega poc'anzi evidenziava, il Patto Molotov-Ribbentrop, l'invasione della Lituania da parte dell'esercito sovietico, la cortina di ferro e la transazione che ha portato alla Federazione Russa con trasferimento di titoli di proprietà e situazioni di fatto.
  Per tutto questo chiudere la vicenda dell'ambasciata a Roma della Repubblica di Lituania può avere un grande significato. Si chiuderebbe anche la pagina dei ricordi negativi legati al regime sovietico e in continuità con la separazione pacifica dell'ex Unione sovietica avvenuta nel 1990, secondo un processo politico e popolare di comprensione che ha visto un ruolo rinascimentale in un certo modo degli intellettuale lituani per una soluzione pacifica, riannodiamo così in profondità questa tradizione di amicizia.
  Ci auguriamo che questo possa diventare l'occasione per rafforzare il ruolo della società Dante Alighieri a Kaunas e nella capitale Vilnius, la possibilità di essere aiutati dal Governo lituano a creare strutture permanenti di rappresentanza commerciale e culturale nelle due città principali e rendere naturale la crescita di amicizia, visite e scambi con la Repubblica baltica che ha una sua storia particolarissima.Pag. 96
  Ci auguriamo di festeggiare nella nuova sede di palazzo Blumenstihl che poi, perché tutto torna, è in via Vittoria Colonna, donna rinascimentale a Roma e cugina di Bona Sforza granduchessa di Lituania.
  Per finire volevo sottolineare un fatto molto importante: in Lituania ci sono tantissime realtà di imprenditori italiani che contribuiscono ogni giorno a dare sviluppo e linfa alla nostra economia nazionale. Grazie di cuore, alla prossima.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Scagliusi. Ne ha facoltà.

  EMANUELE SCAGLIUSI. Presidente, colleghe e colleghi, sul provvedimento in esame sono già intervenuti altri colleghi e quindi non starò a ripercorrere le fasi che hanno portato lo Stato italiano ad individuare e ad assegnare una sede alla rappresentanza diplomatica lituana a Roma. Pertanto, mi limiterò a riferire che lo scorso 21 febbraio a Vilnius, capitale lituana, è stato firmato l'Accordo con cui l'Italia ha assegnato Palazzo Blumenstihl – collocato in una delle zone più belle della città di Roma e di proprietà dell'Agenzia del Demanio – alla Lituania, superando così una controversia durata per molti anni, rispetto alla quale il Governo italiano aveva avanzato negli ultimi anni una serie di proposte mai accolte da parte della Lituania...

  PRESIDENTE. Colleghi, per favore, abbassiamo un pochino il tono della voce. Grazie.

  EMANUELE SCAGLIUSI. ... perché reputate non idonee. Per questo motivo essa era orientata a far valere in sede internazionale l'eventuale violazione da parte dell'Italia degli obblighi di protezione verso la sede della rappresentanza diplomatica lituana a Roma.
  Particolare importanza riveste l'articolo 3 dell'Accordo, che impegna il Governo lituano a eseguire, a proprie spese, i necessari lavori di ristrutturazione dell'immobile, a garantirne la sua integrità e la sua buona conservazione, nonché al rispetto della normativa italiana in materia di conservazione dei beni culturali, considerata la valenza storica e artistica del fabbricato. Degno di nota è anche l'articolo 4, che nello specifico impegna il Governo lituano a facilitare, se necessario, l'identificazione e l'acquisizione di spazi idonei a ospitare la sede diplomatica italiana a Vilnius.
  La ratifica costituisce, dunque, un ulteriore rafforzamento della collaborazione bilaterale tra i due Paesi nonché una tappa rilevante nel consolidamento dei rapporti tra Italia e Lituania. Altresì, assume particolare importanza anche alla luce del fatto che il prossimo 1o luglio si aprirà il semestre di Presidenza lituana dell'Unione europea.
  Vorrei soltanto ricordare che, in ogni caso, l'Italia manterrà la proprietà dell'immobile concesso in comodato d'uso gratuito per un periodo di novantanove anni. Infatti, alla scadenza della concessione il Governo italiano potrà riottenere la piena disponibilità dell'edificio oppure rinegoziare l'Accordo e la concessione d'uso.
  Fermi restando i dubbi che mi sorgono sui benefici immediati di cui l'Italia potrebbe godere in seguito a tale concessione e alla luce di quanto esposto, il gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle non farà mancare il proprio voto favorevole alla ratifica di questo Accordo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lattuca. Ne ha facoltà.

  ENZO LATTUCA. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, l'Accordo che ci apprestiamo a ratificare rappresenta la risoluzione di una questione ultraventennale, una questione che è stata d'ingombro sul tavolo delle relazioni diplomatiche tra il nostro Paese e la Repubblica di Lituania.
  La fonte normativa utilizzata, la legge di ratifica di un accordo bilaterale tra Stati, può apparire persino eccessiva di fronte alla necessità di concedere in comodato Pag. 97d'uso per un tempo di novantanove anni al Governo lituano l'intero quarto piano del Palazzo Blumenstihl. Tuttavia, è la fonte idonea che consente di derogare al regolamento di diritto interno e alle norme comunitarie in materia di concessione o locazione dei beni immobili di proprietà dello Stato.
  L'accordo che in questa sede oggi ratifichiamo consentirà di intensificare e di qualificare i rapporti tra due Repubbliche – la nostra e quella di Lituania – da sempre ottimi, ma viziati da quel vulnus rappresentato proprio dal mancato, pieno ed effettivo riconoscimento del diritto alla degna rappresentanza diplomatica lituana sul territorio italiano.
  Le relazioni tra le due Repubbliche troveranno una plastica rappresentazione nel passaggio di consegne alla Presidenza del Consiglio europeo tra il primo e il secondo semestre dell'anno 2014. Le relazioni che con l'Accordo sottoscritto a febbraio a Vilnius, e che qui oggi ratifichiamo, potranno svilupparsi senza quell'ostacolo che con questo Accordo appunto viene superato, sia sul fronte del commercio internazionale – e non si possono ignorare le potenzialità offerte dal territorio lituano con l'accesso al mar Baltico – sia sul piano della diffusione dei diritti umani e dei diritti civili. E la scarsa propensione della Lituania al riconoscimento e alla tutela in concreto di tali diritti non può farci dimenticare su questo campo quelli che sono i nostri limiti: l'Italia, culla di una cultura umanistica e dei diritti, che invece di essere faro in questi anni è stato fanalino di coda.
  Onorevoli colleghi, non si tratta come è evidente di un Accordo che rivoluzionerà la storia delle relazioni internazionali di questo Paese. Tante sono le questioni che dal punto di vista macroscopico rilevano e impegnano le nostre diplomazie e tali questioni impegneranno quest'Aula a partire anche dalla seduta di domani, ma la storia recente della nostra politica estera, non sempre all'altezza delle tradizioni di questo Paese, insegna che questioni piccole trascurate e trascinate possono ledere la credibilità internazionale del nostro Paese.
  La credibilità internazionale del nostro Paese non si riconquista solo attraverso il rigore dei conti pubblici ma si conquista anche con l'intransigenza nel riconoscimento dei diritti tra cui quello fondamentale nel sistema internazionale che riguarda la rappresentanza diplomatica delle Repubbliche e di tutti gli altri Stati che la nostra Repubblica riconosce. Per questi motivi il voto del gruppo del Partito Democratico sarà favorevole (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale.

(Votazione finale ed approvazione – A.C. 841)

  PRESIDENTE. Passiamo alla votazione finale.
  Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sul disegno di legge di ratifica n. 841, di cui si è testé concluso l'esame.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Hanno votato tutti ? Onorevole Sorial... onorevoli Fioroni... onorevole Paris... onorevole Piepoli... onorevole Pesco... Hanno votato tutti ? Onorevole Giacomelli... onorevole Lotti...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:
  «Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Lituania in materia di rappresentanze diplomatiche, fatto a Vilnius il 21 febbraio 2013» (A.C. 841):

   Presenti e votanti  524   
   Maggioranza  263   
    Hanno votato  523    
    Hanno votato no  1    
  (La Camera approva – Vedi votazioni).
  (I deputati Marti, Quartapelle Procopio, Castiello e Distaso hanno segnalato che non Pag. 98sono riusciti ad esprimere voto favorevole e il deputato La Russa ha segnalato di aver espresso voto contrario mentre avrebbe voluto esprimere voto favorevole).

Seguito della discussione delle mozioni Luigi Gallo ed altri n. 1-00035; Giancarlo Giordano ed altri n. 1-00076; Santerini ed altri n. 1-00077; Buonanno ed altri n. 1-00083; Coscia ed altri n. 1-00084 e Centemero ed altri n. 1-00085 concernenti misure a sostegno della scuola, dell'università e della cultura (ore 16,48).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione delle mozioni Luigi Gallo ed altri n. 1-00035; Giancarlo Giordano ed altri n. 1-00076; Santerini ed altri n. 1-00077; Buonanno ed altri n. 1-00083; Coscia ed altri n. 1-00084 e Centemero ed altri n. 1-00085 concernenti misure a sostegno della scuola, dell'università e della cultura (Vedi l'allegato A – Mozioni e Risoluzioni).
  Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta si è conclusa la discussione sulle linee generali e nel corso della stessa è stata presentata la risoluzione Di Lello n. 6-00013, che è stata sottoscritta anche dai deputati Locatelli e Pastorelli.
  Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Formisano ed altri n. 1-00086 e Giorgia Meloni ed altri n. 1-00090. I relativi testi sono in distribuzione (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto, infine, che è stata presentata la mozione Coscia, Centemero, Santerini ed altri n. 1-00091, il cui testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A – Mozioni). Contestualmente sono state ritirate le mozioni Santerini ed altri n. 1-00077, Coscia ed altri n. 1-00084 e Centemero ed altri n. 1-00085.

  GIUSEPPE BRESCIA. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  GIUSEPPE BRESCIA. Signor Presidente, chiediamo la sospensione della seduta per permettere ai gruppi di provare a convergere su un'unica mozione. Vorremmo sapere anche il parere del Governo in merito.

  PRESIDENTE. L'intento mi sembra saggio, vediamo se c’è accordo con tutti gli altri gruppi. Non vedo obiezioni, immagino che anche il Governo sia d'accordo. A questo punto, se siete d'accordo, sospenderei la seduta per un quarto d'ora, fino alle 17,05.
  Sospendo la seduta, che riprenderà a quell'ora.

  La seduta, sospesa alle 16,50, è ripresa alle 17,09.

  PRESIDENTE. La seduta è ripresa. Colleghi, mi è stato comunicato che c’è bisogno ancora di una decina di minuti per arrivare, speriamo, a positiva conclusione. Quindi la seduta riprenderà alle 17,20.
  La seduta è sospesa.

  La seduta, sospesa alle 17,10, è ripresa alle 17,20.

(Parere del Governo)

  PRESIDENTE. Invito il rappresentante del Governo ad esprimere il parere sulle mozioni e sulla risoluzione all'ordine del giorno.

  MARCO ROSSI-DORIA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Signor Presidente, per quanto riguarda la mozione Luigi Gallo ed altri n. 1-00035...

  PRESIDENTE. Scusi, sottosegretario, dovrebbe alzarsi in piedi, gentilmente. Grazie.

  MARCO ROSSI-DORIA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Mi perdoni, signor Presidente. Per quanto riguarda la mozione Luigi Gallo ed Pag. 99altri n. 1-00035, fermo restando quello che a nome del Governo ho voluto dire stamattina – ossia che vi sono dei passaggi assolutamente condivisibili, che il ministro Maria Chiara Carrozza senz'altro valuterà nel prosieguo della riunione congiunta delle Commissioni cultura di Camera e Senato dopo le sue comunicazioni della settimana scorsa –, il parere è negativo; ed è un parere negativo motivato da due elementi, dalla temporalità nel testo indicata in due anni e per il rientro dell'intera somma di risorse della scorsa legislatura.

  PRESIDENTE. Le chiedo scusa, signor sottosegretario: lei si sta riferendo alla mozione Luigi Gallo ed altri n. 1-00035 ?

  MARCO ROSSI-DORIA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Sì, signor Presidente.

  PRESIDENTE. La pregherei quando dà il parere di dire anche qual è il numero della mozione. La ringrazio.

  MARCO ROSSI-DORIA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. La ringrazio, signor Presidente, e chiedo scusa. È la mozione Luigi Gallo ed altri n. 1-00035.
  Questa mozione quindi, che all'inizio chiede di adottare politiche che concentrino risorse aggiuntive sul settore della conoscenza (e su questo come sapete c’è l'impegno espresso alle Commissioni cultura riunite di Senato e Camera la scorsa settimana dal Ministro Carrozza), chiede però poi che avvenga entro un massimo di due anni e che riguardi le intere risorse, che vengano rese reperibili in maniera immediata quelle della scorsa legislatura. È stato questo il punto per cui, fermo restando che – ci tengo a sottolineare – vi sono molti passaggi assolutamente condivisibili, e che a nome del Governo spero che possano essere ripresi nel prosieguo della discussione in Commissioni riunite, devo dare il parere negativo.
  Per quanto riguarda la mozione Giancarlo Giordano ed altri n. 1-00076, anche in questo caso vale lo stesso criterio: il Governo esprime parere negativo, perché vengono indicate risorse ingenti in tempi troppo brevi, mentre, come ho preannunciato anche nella replica che a nome del Governo ho fatto stamattina, è evidente che il Paese ha bisogno di certezze, di risorse e di tempi certi per poter rendere operante lo spirito che saluto come positivo del dibattito di questa mattina.
  Per quanto riguarda la mozione Buonanno ed altri n. 1-00083, il parere da parte del Governo è sempre negativo, pur essendoci in particolare il passaggio a), che indica una prospettiva sicuramente condivisibile da parte del Ministero e del Governo, però ve ne sono altre che sono evidentemente contrarie a quanto il Ministro ha espresso nelle sue linee programmatiche.
  Per quanto riguarda la mozione PD-PdL-Scelta Civica, mozione unitaria presentata dalle forze di maggioranza...

  PRESIDENTE. La mozione Coscia, Centemero, Santerini ed altri n. 1-00091, signor sottosegretario.

  MARCO ROSSI-DORIA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. È l'ultima perché sono state ritirate, come lei ha detto prima, quelle di ciascuna delle componenti della maggioranza. Quindi, mi riferisco a questa. Poiché prende largamente come punto di riferimento proprio la lunga, articolata, dettagliata ed argomentata comunicazione del Ministro Carrozza nelle Commissioni cultura riunite di Camera e Senato, sempre della settimana scorsa, il Governo dà parere favorevole. Per quanto riguarda la mozione Formisano ed altri n. 1-00086, il Governo dà parere favorevole sui cinque impegni lì costruiti, che vengono indicati al Governo. Sono cinque impegni e tutti e cinque pare al Governo che siano in linea con quanto programmaticamente il Governo stesso ha appunto espresso per voce del Ministro.

  PRESIDENTE. Mi perdoni, signor sottosegretario, questo vuol dire che lei Pag. 100chiede una riformulazione nel senso di espungere le premesse e lasciare soltanto gli impegni ?

  MARCO ROSSI-DORIA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Perfetto, signor Presidente, la ringrazio per il suggerimento e mi perdoni. Per quanto riguarda la mozione Meloni ed altri n. 1-00090, chiedo la stessa riformulazione circa le premesse. Per quanto riguarda gli impegni qui richiesti al Governo, che sono numerosi, sono dieci in particolare, il Governo anche qui, avendoli valutati attentamente e vedendo che anche questi sono nel solco di quanto comunicato dal Ministro Carrozza, dà parere favorevole.

  PRESIDENTE. Signor sottosegretario, rimane la risoluzione Di Lello 6-00013.

  MARCO ROSSI-DORIA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Signor Presidente, mi trovo un attimo in difficoltà, non la trovo, mi perdoni. Sono state tutte cose date all'ultimo momento, quindi chiedo perdono anche all'Assemblea, ma in questo momento non trovo la risoluzione.

  PRESIDENTE. Sta arrivando, signor sottosegretario.

  MARCO ROSSI-DORIA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Si tratta della risoluzione presentata dall'onorevole Di Lello...

  PRESIDENTE. Stiamo dando la possibilità al sottosegretario di leggere la risoluzione.

  MARCO ROSSI-DORIA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Chiedo scusa, è anche materia dell'altro Ministero, detto con assoluta franchezza. Non posso dare parere favorevole, Presidente, perché non vi sono nei punti 5, 6 e 7, che impegnano il Governo, sufficienti elementi di chiarezza circa il come raggiungere gli obiettivi indicati pur opportunamente dall'onorevole Di Lello.

  PRESIDENTE. La ringrazio, signor sottosegretario. Prima di passare alle dichiarazioni di voto l'onorevole Brescia ha chiesto di intervenire sull'ordine dei lavori.

  GIUSEPPE BRESCIA. Signor Presidente, volevamo chiedere al Governo se fosse possibile chiederci di riformulare quel termine perentorio che noi abbiamo stabilito per il ripristino dei fondi. Così facendo, visto che è l'unico motivo per il quale voi ritenete di non appoggiare la nostra mozione, una volta riformulato tale termine, non vediamo quale ostacolo ci possa essere. Quindi, vi chiediamo di chiederci di riformulare.

  PRESIDENTE. Signor sottosegretario, circa la mozione Luigi Gallo ed altri n. 1-00035 si chiede se è ipotizzabile una riformulazione che elimini il parere contrario che era stato dato dal Governo. In pratica l'onorevole Brescia chiede, in ragione delle motivazioni con le quali lei ha dato parere contrario alla mozione dell'onorevole Luigi Gallo, se è possibile proporre ai firmatari una riformulazione in base alla quale il Governo può cambiare il parere e dare un parere favorevole.

  MARCO ROSSI-DORIA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Signor Presidente, la riformulazione dovrebbe tenere conto anche di alcuni dettagli riguardanti nel testo alcune scelte inerenti a investimenti altrimenti determinati e che, quindi, non riguardano solo il Dicastero che qui rappresento. Quindi, il Governo non può chiedere una riformulazione anche perché, in realtà, quello che ho detto prima non riguarda solo i tempi di due anni indicati nella mozione, ma anche la quantità complessiva che riguarda tutta la somma che nella passata legislatura è stata stornata, il che è auspicabile e auspicato, ma ci sono problemi di bilancio pubblico che sono noti al Parlamento e all'opinione pubblica, che riguardano vincoli di bilancio complessi e, quindi, l'insieme dell'azione di Pag. 101Governo e non solo l'economia su cui noi possiamo discutere in futuro con il Parlamento e con tutti i gruppi, ma che in questo momento non posso chiedere di riformulare limitatamente solo alla questione temporale.

  PRESIDENTE. La ringrazio, signor sottosegretario, quindi rimane il parere contrario sulla mozione Luigi Gallo ed altri n. 1-00035 così come presentata.

(Dichiarazioni di voto)

  PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto.
  Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pastorelli. Ne ha facoltà.

  ORESTE PASTORELLI. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, teniamo conto del dibattito avvenuto sulla mozione. La componente socialista ha presentato una risoluzione con la quale la Camera impegna il Governo e, in particolare, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ad intraprendere tutte le iniziative necessarie ad intervenire. Uno: per garantire gli investimenti al fine di migliorare i risultati in ogni segmento del settore dell'istruzione e della formazione. Due: affrontare la grave carenza delle risorse per l'ordinario funzionamento delle scuole. Tre: risolvere l'urgente problematica del precariato scolastico. Quattro: monitorare e rimodulare le risorse destinate all'edilizia scolastica garantendo il completamento dell'anagrafe scolastica entro il 2013. Cinque: per rafforzare principalmente i ranghi di esperti e ricercatori trentacinquenni e quarantenni mediante concorsi nazionali. Sei: per creare un'anagrafe della produttività scientifica dei ricercatori tesa ad evidenziare ricercatori scientificamente più produttivi a livello internazionale sulla base delle sole loro pubblicazioni scientifiche, al fine di valorizzare principalmente chi produce con minor dispendio economico.
  Sette: per ridurre drasticamente il numero delle lauree triennali, fatte salve quelle che hanno dimostrato nel tempo la loro autonoma validità di mercato, al fine di riorganizzarle in corsi quinquennali veri e propri rispetto agli attuali «3+2».
  Otto: per prevedere una normativa quadro rispetto all'autonomia degli atenei univoca e cogente per tutte le università, entro la quale ciascun ateneo possa esercitare il proprio diritto di azione.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Capelli. Ne ha facoltà.

  ROBERTO CAPELLI. Signor Presidente, se disturbo posso...

  PRESIDENTE. Se è possibile, gentilmente, onorevole Rosato, colleghi del MoVimento 5 Stelle, onorevole Ghizzoni, c’è un oratore che sta cercando di parlare accanto a voi. Gentilmente.

  ROBERTO CAPELLI. Grazie Presidente, cercherò di farmi ascoltare comunque. Io vorrei partire dagli interventi di stamani in discussione generale che hanno evidenziato i numeri poco onorevoli destinati alla cultura e all'istruzione dal bilancio dello Stato. Numeri che ci classificano, come molto spesso avviene anche per altri settori, agli ultimi posti nel finanziare i due pilastri fondamentali dello sviluppo: la cultura e l'istruzione. Sì, i due pilastri fondamentali dello sviluppo. Credo che nessuno possa discutere sul fatto che conoscenza, sapere, istruzione e cultura siano sempre stati e saranno le architravi dello sviluppo, anche economico, di qualsiasi civiltà avanzata; anche se qualche ministro del recente passato ha osato asserire il contrario e, forse, anche per questo, ma non solo per questo, fortunatamente, è un ex ministro in fase di «rottamazione politica».
  Ritengo che la discussione della mozione, in particolare, quella del collega Gallo sia decisamente il primo atto di programmazione economica che finalmente si discute in quest'Aula in questa Pag. 102legislatura (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Centro Democratico e di deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Spiace constatare, signor sottosegretario, che la proposta di rimodulazione fatta dai colleghi sulla mozione dell'onorevole Luigi Gallo era di facile soluzione, anche perché non si riferiva soltanto all'allargamento dei termini temporali, ma c'era un'apertura nel proporre la possibilità di rivedere gli stanziamenti economici a favore di cultura e istruzione nell'arco della legislatura. Non mi sembra che non potesse essere un impegno possibile da parte di questo Governo. Di questa legislatura, dicevo, una nuova legislatura, che stenta ad esprimere le proprie potenzialità, partita con il profumo del ricambio e del rinnovamento, ma rimasta ancora trattenuta in porto dalle robuste cime del conservatorismo politico.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO (ore 17,40)

  ROBERTO CAPELLI. Ma una svolta coraggiosa di questa nuova maggioranza che è presente in questo Parlamento – non mi riferisco alla maggioranza politica che sostiene il Governo, ma alla nuova maggioranza delle nuove idee che sono presenti in questo Parlamento – è ancora, probabilmente, vittima della sindrome di Stoccolma e, con più coraggio, ci si può liberare dalle catene di un manipolo di esperti carcerieri.
  Sapere, conoscere, investire nella persona deve essere la nostra grande scommessa: questo deve essere il nostro più grande investimento infrastrutturale, anche a discapito di altri investimenti infrastrutturali o grandi opere inutili. Non mancano i supporti legislativi e non è certo questa Europa che ci può indicare la via. Pecchiamo, molto spesso, nel non riuscire a dare seguito alle buone leggi che già abbiamo; e sarà questo oggetto di un'interrogazione della componente del Centro Democratico.
  Volevo chiudere ricordandovi e portando all'attenzione di questa distratta Aula l'esempio che proviene dalla mia terra. Non tutti, credo, per loro colpa, possono conoscere Francesco Ciusa, un grande artista del nostro Paese, figlio di un artigiano nuorese: poté frequentare nel 1899, fino al 1903, l'Accademia delle belle arti a Firenze e vincere il primo premio, la Biennale di Venezia, con «La madre dell'ucciso», un'opera scultorea di grandissimo valore.
  Oppure, volete che parli di Grazia Deledda, premio Nobel per la letteratura ? Quel Francesco Ciusa fu aiutato a frequentare l'Accademia di belle arti da un consiglio comunale fatto di pastori di un villaggio che, come dice un altro grande scrittore, è abbarbicato in un nido di corvi. Quei pastori di quel consiglio comunale della fine dell'Ottocento che si quotò e stanziò delle somme per valorizzare i saperi, l'arte, la cultura di un giovane su cui valeva la pena investire. Questo Parlamento, negli anni, ha fatto una scelta inversa con tutti i sui grandi esponenti della politica nazionale e dell'intelletto nazionale: quella di chiudere i rubinetti alla cultura, allo sviluppo, e lo ribadisco, anche economico, attraverso la formazione dei propri giovani, attraverso gli investimenti nella cultura e nell'istruzione, due cose diverse ma complementari, due facce della stessa medaglia.
  Ebbene, la nostra mozione ha avuto il parere favorevole da parte del Governo soltanto nel suo dispositivo, perché tra le premesse c'erano scritte queste cose; noi accettiamo, ovviamente, la proposta del Governo, ma ribadiamo che altre mozioni avrebbero dovuto avere maggiore attenzione da parte del Governo. Questo Stato ha permesso che Roma fosse declassificata rispetto al richiamo turistico e superata da Berlino, da Valencia, da Manchester, pur essendo la città a più alto richiamo e con il più alto patrimonio artistico-culturale; siamo riusciti anche nell'impresa di declassificare la capitale artistica del mondo. Ebbene, per quanto ci riguarda, noi voteremo le nostre mozioni, saremo in linea con il Governo, ma ribadiamo che quanto espresso dalla mozione del collega Gallo merita attenzione e, probabilmente, merita Pag. 103anche qualche voto di quest'Aula (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Centro Democratico).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Corsaro. Ne ha facoltà, per dieci minuti.

  MASSIMO ENRICO CORSARO. Signor Presidente, la scuola e l'università in Italia hanno perso competitività e sono crollate nel ranking internazionale, nella credibilità, nella capacità di formare; eppure una volta di più, purtroppo, anche questo Parlamento, anche questa nuova legislatura, che sta per svolgere i suoi primi passi, affronta il tema della scuola e dell'università dalla parte sbagliata, dalla parte cioè dell'attenzione nei confronti delle pur legittime, ma non prioritarie, rivendicazioni di carattere sindacal-contrattuale degli operatori del settore.
  Ora, noi che non voteremo la mozione di maggioranza e che, viceversa, ne abbiamo presentata una per la quale ringraziamo il Governo di avere accolto tutti gli impegni che vi sono contenuti, riteniamo, viceversa, che l'attenzione nei confronti del mondo della scuola e dell'università debba essere affrontata in modo totalmente diverso. Riteniamo cioè che debba essere affrontato sotto il tema della rivendicazione di una ricostruzione di appetibilità del modello di formazione, che in Italia è crollato sia per l'eccesso di strumentalizzazione politica e di utilizzo sindacale che si è fatto della materia sia perché c’è stata una involuzione dovuta ad un circolo vizioso formato dalla scarsa domanda di manodopera e di formazione qualificata da parte di un sistema imprenditoriale che ha vissuto gli albori del boom industriale poggiando tutto sulla produzione di quantità, e non sulla ricerca, sull'innovazione e sulla produzione di qualità, e un sistema formativo scolastico e universitario che si è adagiato sulla pochezza della domanda e non si è più interrogato sul sistema per continuare a rendere competitiva l'offerta formativa di cui il nostro Paese aveva bisogno.
  Oggi l'economia italiana, che non può più poggiare la propria competitività sul metodo di produzione di massa, ma deve tornare a lanciare la sfida sulla formazione, sull'innovazione e sulla ricerca, non può più permettersi questo percorso. Non ci possiamo più permettere di perdere tempo sul falso problema della dicotomia tra le strutture pubbliche e private. La formazione, la cultura e l'insegnamento sono per natura stessa un compito della pubblica amministrazione, ma riteniamo che non debba essere utilizzato e immaginato come un argomento, da tenere nascosta la necessità di rendere appetibile il coinvolgimento delle risorse e dei capitali privati per la formazione, per rendere compatibile la formazione con il sistema economico, con il modello di impresa, con la domanda di ricerca, di innovazione, di applicazione della ricerca che le nostre imprese hanno e dovranno avere nel corso prossimi anni se, come auspichiamo, possono immaginare di tenere il passo con la competitività.
  Si tratta non, quindi, di affrontare il tema della scuola e dell'università sotto il profilo della garanzia del posto per i docenti o della promozione assicurata agli studenti, ma, al contrario, dobbiamo occuparci di un sistema scolare in cui il primo obiettivo sia quello di creare una sana competizione selettiva, sia del corpo docente sia degli studenti: meno insegnanti di quanti non ne siano stati inseriti nel sistema scolastico, utilizzato uno volta di più come ammortizzatore sociale, ma più qualificati, più preparati, più pronti a rendere appetibile agli studenti la partecipazione al percorso di formazione, e più studenti che entrano nel mercato del lavoro in funzione di quell'arricchimento che solo un corretto percorso di scolarizzazione può garantire loro.
  Rendere appetibile gli investimenti privati, dicevo. Sin qui le riforme che si sono alternate nel corso degli anni si sono tutte arenate per la ricerca di tutelare l'esistente piuttosto che invertire l'ordine di priorità con il quale un Paese che vuole rilanciare se stesso deve provare ad investire sulla formazione e sulla qualità della scuola e dei giovani che dalla scuola devono essere formati. La riforma Gelmini della passata Pag. 104legislatura, che noi abbiamo fortemente appoggiato ed apprezzato nei suoi obiettivi culturali, ha avuto almeno il pregio, rispetto a quelle che l'hanno anticipata, di arrivare ad alcuni obiettivi importanti: la diminuzione del numero dei licei; del numero e delle qualità degli istituti tecnici; l'arresto a quel sistema di definizione di rettori a vita, delle baronie all'interno delle università per cui ci si può sostituire solo di generazione in generazione, sostituendo i figli ai genitori e i nipoti ai figli, senza che ci sia una reale qualità, una reale apprezzabilità delle capacità del corpo docente. Inoltre, la fine, l'estinzione di quel sistema di programma di finanziamento a pioggia che, non tenendo in adeguata valutazione il discrimine tra un percorso formativo di un istituto che è grado di formare – e che, quindi, rende qualitativa una formazione che sia appetibile per il mercato del lavoro – e quelli che, invece, sono solo aree di parcheggio, di stazionamento, in cui le generazioni diventano grandi, entrandovi nell'età della scuola elementare, poi le medie, poi le medie superiori e poi l'università, senza che ci sia la capacità di capire se a tutto questo corrisponde un adeguato quadro formativo.
  Ci sono realtà territoriali, e parlo della mia regione, che pure passa per essere per una delle più evolute, in cui ci sono sette province, confinanti l'una con l'altra, ciascuna delle quali è dotata di un sistema universitario a se stante, quasi come se per davvero non ci fosse la necessità di diminuire l'offerta sotto il profilo quantitativo per investire maggiormente su quei sistemi, su quelle strutture che sono in grado qualitativamente di offrire un'opzione di crescita.
  Questo è il motivo per cui Fratelli d'Italia ha deciso di presentare una propria mozione, che poggia radicalmente su altri obiettivi. Ne richiamo solo alcuni, ringraziando il sottosegretario per averli voluti accogliere tutti. In primo luogo, il tema che riguarda la necessità di investire nella formazione qualitativa dei docenti, perché solo i più bravi possano essere agganciati ad una cospicua crescita professionale che smetta di dipendere solo e soltanto dagli scatti di anzianità, per cui basta scaldare una sedia, basta appoggiare i gomiti su una cattedra per tutta una carriera che si è in grado di proseguire esattamente tanto quanti sono in grado di insegnare e di appassionare i giovani e gli studenti alle materie per le quali vengono formati.
  Vi è poi un impegno a realizzare l'autonomia amministrativa e finanziaria delle scuole e delle università, unico vero sistema in grado di garantire che, scuola per scuola, vi sia la capacità di competere, di offrire ai giovani e alle famiglie dei giovani che si vanno a formare in quelle scuole quel tanto di più e quel tanto di meglio di strutture, di investimenti, di qualità umana, di formazione del corpo docente in grado di rendere appetibile alle famiglie la possibilità di iscrivere il giovane che si deve formare in quella scuola piuttosto che in quell'altra, in quella università piuttosto che in quell'altra. Vi è l'impegno a rivedere la ripartizione del fondo finanziario alle università, il che significa dare peso alla valutazione dell'efficienza, della qualità dei servizi di ricerca che il sistema universitario deve garantire. Vi è la necessità, da ultimo, signor Presidente, di garantire anche in Italia, come già in alcuni apprezzati sistemi occidentali, il riconoscimento del criterio del metodo del prestito d'onore, che deve poter garantire a tutti l'accesso alla formazione, pubblica o privata che sia, ma che sia in grado di responsabilizzare il giovane e la famiglia del giovane che accede al prestito d'onore, in modo tale che ci sia un impegno da parte di chi si applica nello studio, ma anche in modo tale da garantire da parte dello Stato un'opportunità di premialità nei confronti di quei giovani che, da soli, possono garantire la speranza di ricrescita e di sviluppo, della formazione, della cultura e, quindi, della potenzialità economiche dell'Italia.

  PRESIDENTE. Quindi, deputato Corsaro, mi pare di comprendere che lei accetta la riformulazione proposta dal sottosegretario ?

Pag. 105

  MASSIMO ENRICO CORSARO. Signor Presidente, accettiamo la riformulazione che riguarda solo la parte preliminare del dispositivo. Mi consenta la battuta: significa, sostanzialmente, che il Governo non accetta che ci siano dei commenti. Però, è già un passo in avanti il fatto che questo Governo abbia accettato la nostra proposta.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Buonanno. Ne ha facoltà, per dieci minuti.

  GIANLUCA BUONANNO. Signor Presidente, il tema della scuola è un tema – sottosegretario, mi rivolgo a lei a nome del gruppo della Lega Nord – molto complicato e complesso e, prima di parlare in modo più specifico della mozione, le parlo della mia esperienza da amministratore. Sono stato sindaco per diciannove anni, adesso non posso più fare il sindaco per questa legge che c’è, ma faccio il vicesindaco e quindi contino nella mia avventura: ho visto il mondo della scuola da amministratore, quindi in trincea e ho visto come funziona la scuola, una scuola dove, ahimè, ci sono persone in gamba per fortuna...

  PRESIDENTE. Le chiedo scusa, deputato Buonanno. Chiedo ai colleghi di abbassare il tono della voce, cortesemente.

  GIANLUCA BUONANNO. Ci sono molte persone in gamba per fortuna, ma ci sono anche tante persone che, se ci sono o non ci sono, non se ne accorge nessuno. Nel mondo della scuola bisogna avere anche il coraggio di intervenire: non tutto deve essere salvaguardato, ma si devono fare delle scelte e, in queste scelte, ci deve essere personale ulteriormente motivato anche sotto l'aspetto dello stipendio. Ovviamente si sente sempre dire che lo stipendio a livello mensile è basso – è vero – ma in rapporto al monte ore che lavorano non è poi tanto basso e, quindi, bisognerebbe capire esattamente quante ore fanno gli insegnanti – diciotto ore la settimana, poi svolgono altri tipi di lavoro, che magari non sarebbe male aumentare a ventiquattro, anche se, quando è stata fatta la proposta, si sono spaventati tutti – e vedere anche come si può aiutare di più la scuola privata per dare la libertà vera al cittadino di scegliere tra la scuola pubblica e la scuola privata.
  Infatti, la scuola pubblica non deve avere paura della scuola privata perché la scuola pubblica, se c’è anche la concorrenza della scuola privata, in realtà, fa solo sì che si aumenti la qualità della scuola.
  Stamattina, ho sentito l'intervento di una collega del PD, che stimo pure, che parlava di una quantità di insegnanti che ci vogliono, perché mancano: io credo che non ci voglia la quantità di insegnanti, ma la qualità degli insegnanti perché, molto spesso, ci sono insegnanti che, ahimè, sono più ignoranti degli studenti e questo va a discapito dell'insegnamento che si va a impartire a chi partecipa al mondo scolastico.
  Ci vuole poi, a mio giudizio, un fatto importante: dare più soldi alla scuola privata per fare in modo che i privati possano dare una mano anche al settore pubblico. Nella mia realtà, in Valsesia, in provincia di Vercelli, la scuola privata è soprattutto aiutata dagli enti religiosi, che per fortuna ci sono ancora, con le suore che danno una grossa mano soprattutto nelle scuole materne.
  Infatti, dobbiamo ricordare che il mondo scolastico privato è costituito da circa 700 mila persone, e che coinvolge bambini, ragazzi e ragazze, di cui il 70 per cento risiede nelle scuole materne, l'8 per cento nelle elementari, il 9 per cento nelle scuole medie e il 13 per cento nelle medie superiori.
  Queste 700 mila persone sono una risorsa per la nostra società e per il nostro Paese, e quindi bisogna incentivare queste scuole a fare in modo che vi sia la possibilità di istruire meglio, perché nelle mozioni che seguiranno, che ho letto precedentemente, mi sembra che il dato vero sia che si tratti di mozioni sindacali, quasi una gara a chi difende di più gli insegnanti.Pag. 106
  Noi, invece, dobbiamo parlare degli studenti e della qualità dell'insegnamento che va agli studenti, perché, se vogliamo una nazione che veda il futuro in maniera positiva, dobbiamo avere una scuola che sia più competitiva. Oggi sfido chiunque a dire che la scuola italiana sia competitiva: non lo è, purtroppo non lo è, e i risultati si vedono, perché la classe dirigente della nostra nazione, purtroppo, è meno forte rispetto a tanti e altre.
  Allora, cosa dobbiamo fare ? Dobbiamo cercare, innanzitutto, di avere insegnanti – noi siamo, come Lega Nord, per avere una graduatoria sempre più regionale – che siano del luogo e possano insegnare veramente la cultura, il modo di vivere, l'enogastronomia, che siano sul territorio e che facciano in modo che la scuola diventi una vera risorsa.
  Vorremmo anche, come dicevo prima, la parità tra settore statale e privato e maggiori risorse nella ricerca scientifica, nel mondo del lavoro. Oggi, quando un ragazzo o una ragazza esce dalla scuola e cerca un lavoro – oggi sappiamo tutti quanto è difficile – vi è uno stacco notevole tra chi esce dalla scuola e chi è richiesto dal mondo del lavoro, perché chi esce dalla scuola praticamente non sa fare quasi nulla, mentre gli imprenditori hanno bisogno di gente capace, di gente che abbia, innanzitutto, voglia di lavorare, ma, soprattutto, che abbia ben chiaro cosa significhi il mondo del lavoro.
  Invece, il mondo del lavoro è molto staccato dal mondo della scuola, e quindi ci vogliono anche insegnanti – mi perdoni, se lo dico – che siano meno politicizzati. Certo, non è che sono tutti così, ma vi è una parte di scuola dove l'insegnante è casualmente di una certa parte politica, casualmente va a scuola con un certo quotidiano, casualmente fa leggere quel certo quotidiano e casualmente, magari, parla male delle amministrazioni che non sono di quel colore politico, come è capitato a me tante volte di sentirmi dire dai ragazzi che vanno a scuola. Piace anche sentire che a qualcuno ...non piacciono le mie affermazioni, ma è la democrazia. Questo è il Parlamento e io parlo !
  Signor sottosegretario, che è venuto qui prima a parlare, la ringrazio per la sua disponibilità e ringrazio anche, per interposta persona, il Ministro per quello che le ha suggerito di fare, perché ritengo che il dialogo sia la cosa migliore per portare a casa dei risultati più positivi.
  Poi vi è un altro punto: l'edilizia scolastica. È importante, sappiamo tutti che le scuole nella nostra nazione hanno delle difficoltà e hanno delle lacune notevoli, ma tutto comunque nasce dal fatto che, anche quando i comuni hanno i soldi per poter investire sulla scuola, vi è lo stesso Governo che ha messo delle regole per cui non si possono spendere questi soldi.
  Allora, non si può dire che le scuole sono tutte brutte, ammalorate, non vanno bene e sono pericolose, perché, se poi non date almeno gli strumenti – neanche i soldi, perché tanto non ce li date – per poter fare gli appalti e per poter spendere questi soldi, è inutile che diciate che le scuole sono brutte e non sono sistemate. Infatti, non date la possibilità ai comuni e ai sindaci di poterlo fare, perché vi è questo famoso Patto di stabilità: se chi lo ha inventato potesse andare da qualche altra parte, magari su Marte, avrebbe fatto un favore a tutti.
  Poi, per quanto riguarda sempre gli insegnanti, la legge n. 104 del 1992 consente agli insegnanti di poter avere anche un'assegnazione provvisoria. Guardiamo bene come questa legge n. 104 viene sfruttata, non solo per gli insegnanti, ma anche per i parenti più stretti. Infatti, molto spesso capita che da una certa parte del Paese vi siano queste «invalidità» di cui parlavo prima, che, in base alla legge n. 104 del 1992, comportano dei privilegi rispetto agli altri.
  Allora certamente bisogna aiutare chi ha delle difficoltà, chi ha degli handicap e che ovviamente ha bisogno di essere tutelato e seguito, ma facciamo anche attenzione a quanto sono vere queste certificazioni perché non è possibile che la gran parte di esse arrivino da una certa parte del Paese. E facciamo bene attenzione a quei medici che rilasciano certe certificazioni che poi alla fine risultano molto Pag. 107spesso non idonee rispetto... (Commenti dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. No, cortesemente fate esprimere il deputato.

  GIANLUCA BUONANNO. Ogni volta che qualcuno si lamenta è come se mi mettesse la benzina. Sono contento, perché la verità dà fastidio.

  PRESIDENTE. Deputato Buonanno, continui.

  GIANLUCA BUONANNO. Quanto tempo ho ancora, signor Presidente ?

  PRESIDENTE. Ha ancora un minuto e 40 secondi.

  GIANLUCA BUONANNO. Allora, ce n’è da dire ! Come dicevo, signor Presidente, bisogna essere coraggiosi nel fare delle scelte importanti nel mondo della scuola e noi come Lega Nord intendiamo dare una mano a fare queste scelte coraggiose. Queste scelte, però, devono diventare anche concrete nell'ambito diretto della scuola perché molto spesso ci sono dirigenti scolastici e insegnanti bravi che però quando vedono qualcosa che non va si girano dall'altra parte. Fanno come gli struzzi: mettono la testa sotto la sabbia. Non è così che si aiuta il mondo della scuola, bisogna fare in modo che la scuola diventi sempre più competitiva per dare un futuro ai nostri giovani. Chiudo il mio intervento, anche se non c'entra con la scuola, per fare i complimenti alla sinistra, perché mi sento in dovere di farlo, perché nell'ultima competizione elettorale ha vinto le elezioni e quindi mi sento in dovere di farvi i complimenti per il vostro risultato (Applausi polemici di deputati del gruppo Partito Democratico). Speriamo che la prossima volta succeda il contrario (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Di Salvo. Ne ha facoltà.

  TITTI DI SALVO. Signor Presidente, signore e signori del Governo, onorevoli colleghi, a condannare la scuola, l'università, la ricerca, la cultura in questa lunga stagione del declino italiano ci sono i numeri. Questa mattina, durante la discussione sulle linee generali, ne sono risuonati tanti di numeri. Molti degli interventi hanno citato le statistiche dell'OCSE. Altri numeri imbarazzanti non ne citerò, la discussione di oggi l'ha ampiamente affrontati, voglio però nominare alcune questioni che sono molto più significative dei numeri per dare il senso della terribile situazione in cui ci troviamo: non solo i due milioni di Neet di cui stamattina si parlava, ma anche la mobilità sociale congelata. Quella per cui ci si dice che i figli delle famiglie che hanno uno scarso livello di istruzione sono quasi automaticamente impossibilitati ad uscire da quella gabbia. Vi sono anche i numeri della dispersione scolastica.
  Voglio invece richiamare un argomento che è stato quello portato ieri dal Garante per l'infanzia nel suo discorso di sottolineatura della povertà, molto forte, dell'infanzia e dell'adolescenza in Italia. Anch'egli indicava nella scuola l'elemento importante da affrontare per contenere e per risalire la china di una povertà così incredibile in un Paese come l'Italia.
  Tuttavia, oltre a nominare i temi, è importante, parlando dell'OCSE, dire perché l'OCSE ha fatto quella graduatoria. L'ha fatto perché sostiene che gli investimenti in formazione, cultura e istruzione e il grado di quegli investimenti aumentano o diminuiscono la resistenza nella crisi delle persone, dei sistemi sociali e dei Paesi. Allora l'OCSE ci dice questo, non ci fornisce soltanto statistiche. Per questa ragione, penso sia inevitabile immaginare come questa questione sia la questione politica nazionale di più grande spessore. Se non si possono declinare lavoro e sapere vuol dire che nel Paese non si può declinare il futuro e quindi questa diventa la grande questione politica nazionale.
  Ma allora visto che in fondo il ragionamento che rimettevo in fila non trova obiezioni pro forma, le domande da farci Pag. 108sono due. La prima: ma come è successo, come è potuto succedere che l'Italia sia arrivata qui e come si fa a cambiare strada ? Come si fa ad interrompere questa china e a risalirla ? Perché siamo scesi così in basso nelle graduatorie, nelle statistiche e quindi in questa scelta ? Siamo scesi così in basso per ragioni squisitamente ideologiche, perché abbiamo immaginato che si potesse affrontare la competizione della globalizzazione facendosi bombardare dall'ossessione dei diritti del lavoro; mentre l'Europa chiedeva di investire sulla scuola e sulla formazione noi parlavamo di indebolire il contratto nazionale. Al sistema delle imprese non abbiamo offerto investimenti in ricerca pubblica, abbiamo offerto invece magari di destrutturare il giuslavorismo, il diritto del lavoro e i diritti. Per questo è successo. Ma, colleghi e colleghe, quando noi abbiamo visto la Germania, l'Inghilterra, la Francia, in questi anni di crisi, investire di più che nel passato, cogliendo un punto, che questa è la via per scommettere sul futuro dei loro Paesi e dei loro giovani, e vediamo il quarto grande Paese dell'Europa, l'Italia, invece, avere la crisi più buia della sua politica industriale e della sua politica sul sapere, alla domanda «come è successo ?» non si può non associare le strade per uscire da questa china.
  Ora faccio solo due citazioni di soggetti competenti. Quando il Consiglio nazionale dell'università dice che esiste un'emergenza e che loro non sono più in grado di garantire il servizio che sarebbero chiamati a svolgere e quando il Consiglio dei rettori a noi all'inizio di legislatura dice che se ci fosse una Maastricht dell'istruzione noi staremmo fuori da questa Maastricht, allora io penso che la domanda su cosa bisogna fare non possa semplicemente avere risposte di forma, quelle dei salotti, quelle dei convegni. Oggi, sottosegretario – lei che valutava la nostra mozione troppo spendacciona, con risorse impossibili da recuperare – la domanda a cui rispondere è quella precisa, è quella di una – per citare il Presidente del Consiglio – diversa visione, cioè di una diversa politica e quindi di politiche diverse, di una diversa visione, al centro della quale c’è l'idea che investendo in istruzione, cultura, scuola e università, lì si comincia a risalire la strada ...

  PRESIDENTE. Chiedo scusa. Chiedo ai colleghi di liberare il banco del Governo.

  TITTI DI SALVO. ... per uscire dalla crisi. Come ? Intanto nella scuola. Ci vogliono scelte diverse, dicevo prima, di discontinuità forte. Bisogna tornare a investire sulla scuola pubblica. Il Presidente Letta nel suo discorso ha detto: mai più tagli. No, noi diciamo una cosa diversa, noi diciamo che bisogna investire sulla scuola pubblica, pubblica come dice la Costituzione, pubblica come ha detto il referendum di Bologna, sulla scuola pubblica, in netta discontinuità quindi con la riforma Gelmini.
  Perché guardate che i tagli agli organici, i tagli al tempo scuola, i tagli ai progetti formativi sono tagli nell'unico luogo oggi che è deputato alla formazione della coscienza civica dei ragazzi e delle ragazze. Lì si forma la loro capacità critica, lì si forma la loro libertà, lì ha radici la democrazia italiana e la garanzia a salvaguardia della democrazia. Non è un caso che noi indichiamo nella scuola il luogo per battere le radici della violenza maschile contro le donne. Ma con quali risorse si dovrebbe amplificare quella offerta formativa ?
  Poi bisogna investire nella sicurezza scolastica. Vuol dire togliere dal Patto di stabilità quell'investimento. Il 55 per cento delle scuole – dice il Garante per l'infanzia – non sono a norma. E poi bisogna investire sugli insegnanti, il che vuol dire sbloccare il loro contratto, vuol dire riconoscere il fatto che gli insegnanti lavorano non su anno solare ma su anno scolastico. Bisogna stabilizzare loro e il personale non docente; bisogna innalzare l'obbligo a 18 anni; bisogna definire una legge-quadro sul diritto allo studio e una carta degli studenti in stage, perché il rapporto tra scuola e lavoro non può risolversi in uno sfruttamento degli studenti e nel sostituire l'obbligo scolastico con l'apprendistato.Pag. 109
  E sulla produzione culturale, in analogo modo, noi sappiamo – perché ce lo dice la Fondazione Rosselli – che in dieci anni sono state tagliate in modo drastico le risorse alla cultura e, sul piano locale, si è definito un vincolo al Patto di stabilità che impone ai comuni di tagliare dell'80 per cento gli investimenti. Ma allora come si pensa di investire sulla cultura, al di là dell'evento-mania, che non è politica culturale, che è un'altra cosa ?
  Certo, nella scorsa legislatura era successo un fatto che in molti avevano salutato come un fatto importante: la costituente della cultura. L'avevano lanciata tre Ministri, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro per i beni e le attività culturali e il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, come dice l'articolo 9 della Costituzione, mettendo insieme queste tre cose. Bene la costituente della cultura, è un passo molto importante di svolta rispetto al detto tremontiano «con la cultura non si mangia», a cui mi consentirete di citare la risposta più significativa di un anonimo nei muri del quartiere di San Lorenzo, che aveva replicato «se con la cultura non si mangia, figuriamoci con l'ignoranza». Ma quella costituente è lettera morta se le risorse non vengono a noi.
  Quindi, finisco, Presidente, con un'unica considerazione. Ma allora, sottosegretario Rossi-Doria, il punto non è che le risorse sono tante, il punto è che le risorse oggi sono il vero nodo politico del Governo. Noi nella nostra mozione indichiamo dove prendere le risorse, perché oggi quello è il tema della scelta politica. Nel Paese delle disuguaglianze dove si taglia e dove si investe quella è la scelta fondamentale. Finisco con una considerazione: ci sono scelte simboliche che non costano; per esempio, mettere il diritto alla cultura tra quelle che la legge sul federalismo riconosce sarebbe un grande gesto simbolico, un grande gesto simbolico che non costa, ma che segna una direzione di marcia (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Santerini. Ne ha facoltà.

  MILENA SANTERINI. Presidente, colleghi, vorrei un attimo fare un passo indietro rispetto ai problemi che stiamo trattando, provando a comprendere insieme qual è il ruolo oggi della scuola, che dovrebbe dare alle nuove generazioni i saperi fondamentali, praticando l'educazione al bello, al buono, al vero, come giustamente osserva Howard Gardner.
  Il problema è che i sistemi scolastici – non solo il nostro, ma tutti quelli occidentali – sono nati per società agricole e industriali che non esistono più. La scuola italiana è nata per fare gli italiani, mentre ora ci è chiesto di formare i cittadini della globalizzazione. Si basa sul principio di autorità che oggi, in un sistema di relazioni sempre più orizzontali e sempre meno gerarchiche, appare quanto meno anacronistico. Non solo, ma Internet ha allargato a dismisura, ha aperto a tutti una tale, immensa mole di dati disponibili che ha cambiato profondamente la nostra idea di cultura, aprendo un divario tra quello che si apprende a scuola e quello che si impara online.
  Va quindi rielaborato profondamente il modo in cui la società trasmette alle nuove generazioni i saperi per comprendere il mondo. Il problema è che l'Italia aggiunge a queste profonde crisi strutturali, che riguardano tutti i Paesi occidentali, altri tipi di problemi; e quindi alla crisi di senso dell'istruzione tradizionale aggiunge difficoltà specifiche, supplementari rispetto ai Paesi OCSE: risultati formativi sotto la media, un farraginoso sistema di reclutamento, alta percentuale di personale non di ruolo, invecchiamento del corpo docente, strutture inadeguate e insicure, penuria di risorse, distanza tra la formazione e il mondo del lavoro.
  Quindi, nonostante l'unanime consenso sul valore della formazione e dell'istruzione, la scuola, l'università e il patrimonio culturale italiano sono stati in questi anni depauperati. Dal 2000 al 2010 l'Italia è l'unica nazione europea che non ha Pag. 110incrementato la spesa reale per l'istruzione. Inoltre, è tra le nazioni che di fronte alla crisi economica hanno tagliato pesantemente.
  Mentre, come sostengono gli esperti dell'OCSE, l'istruzione è un'arma contro la crisi. Insomma il nostro Paese ha rinunciato a investire in istruzione e deve invece riprendere a farlo. E appare evidente come la scuola debba essere sostenuta nel ruolo di fornire gli strumenti di base, le competenze chiave, i saperi di cittadinanza in un ambiente globale. Tuttavia sarebbe errato pensare che una società democratica debba sviluppare politiche a favore della cultura funzionali solo allo sviluppo economico e sociale. Non è ripetendo quanto la cultura paga che la diffonderemo di più. In realtà formare le nuove generazioni è molto di più: significa promuovere una cittadinanza consapevole, uguaglianza di opportunità, coesione sociale.
  Vogliamo quindi sottolineare il ruolo primario della scuola di inclusione, creazione di opportunità per tutti gli alunni a prescindere dalle differenze di classe sociale, etnia o genere. In realtà, come sappiamo bene, ancora oggi, particolarmente in Italia, l'origine sociale influenza il successo o l'insuccesso. Anzi possiamo parlare di democratizzazione incompiuta perché non basta l'accesso all'istruzione se non si promuovono reali opportunità di riuscita. Ancora oggi il successo scolastico è condizionato dalle origini socio-economiche tanto che la probabilità di essere in ritardo alla fine delle medie da parte di uno studente, figlio di genitori con licenza media, è quattro volte superiore a quella del compagno, figlio di genitori laureati.
  Non solo, ma va crescendo la disparità tra le scuole che presentano buoni rendimenti e quelle di minore qualità dove tra l'altro vengono spesso indirizzati gli alunni di origine immigrata, anche se nati e cresciuti in Italia: il 72 per cento dei figli di immigrati in Italia sono iscritti in un quarto delle istituzioni scolastiche del Paese. Occorre dunque agire su diversi fronti: favorire la frequenza alla scuola dell'infanzia insieme alla scuola primaria, punto di forza del nostro sistema; contrastare l'abbandono; collegare la formazione professionale con il territorio; promuovere l'integrazione degli alunni immigrati divenuti ormai cittadini di fatto; valorizzare il ruolo delle famiglie; mettere in sicurezza la scuola; sostenere tutte le scuole del sistema integrato statale e non statale. Ma per operare tutte queste trasformazioni non occorrono soltanto risorse, pur fondamentali e prioritarie, ma anche una rinnovata visione complessiva del sistema integrato di istruzione. E qui vorremmo esprimere la nostra strategia culturale come Scelta Civica: la scuola come bene comune basata sul miglioramento della qualità attraverso quattro fondamentali processi: il potenziamento dell'autonomia; la valutazione delle persone, dei docenti, degli istituti; l'apertura del sistema e la formazione dei docenti. La chiave quindi è quella di operare non tanto politiche sulla scuola, per la scuola, ma con la scuola.
  Per questo dichiariamo il nostro voto favorevole alla mozione di maggioranza per impegnare il Governo a rimettere la cultura al centro dell'agenda politica; a promuovere una trasformazione del sistema di istruzione in direzione di una più larga autonomia; una cultura della valutazione; un'apertura alla sussidiarietà orizzontale e una qualificazione della formazione dei docenti. E gli elementi qualificanti che abbiamo apportato al testo elaborato in comune sono i seguenti: investire con maggiore convinzione risorse nell'equità della scuola come luogo di cittadinanza, dando piena attuazione all'articolo 118 della Costituzione per favorire l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, nello sviluppo della cultura; contrastare la dispersione scolastica operando una riduzione del tasso di abbandono scolastico oggi troppo alto (18 per cento), dando piena attuazione all'Agenda di Lisbona; assicurare ad un adolescente che esce da un ciclo scolastico un servizio efficiente di orientamento scolastico e professionale; rendere più efficaci le connessioni con il sistema produttivo; completare e rafforzare il nuovo sistema nazionale di valutazione affidando una Pag. 111funzione di benchmark ad alcuni istituti come modello di buone pratiche nei confronti degli altri, operando anche per introdurre incentivi legati alla valutazione del corpo docente.
  Solo tale sistema di verifica, purché adeguato ai diversi contesti, permetterà di passare da una scuola che si limita a dichiarare il proprio operato, attraverso i costi e i piani formativi, ad una scuola che individui e consegua i suoi obiettivi in modo mirato, secondo il principio delle competenze. Rivedere le modalità di organizzazione dei concorsi dal punto di vista delle tipologie delle prove, della selezione, delle condizioni di lavoro degli esaminatori, a garanzia dell'effettiva qualità della scelta degli idonei, non sempre osservata. Approntare un piano di formazione degli insegnanti in servizio che parta dai bisogni mirati e contestualizzati localmente e da lì sviluppati secondo metodologie innovative di ricerca-azione basata sull'esperienza degli insegnanti che lavorano per gli altri insegnanti. Operare in direzione di un'effettiva e decisa semplificazione delle procedure amministrative e burocratiche che assorbono gran parte delle energie degli operatori scolastici.
  Mi sono limitata alla scuola, avrei potuto parlare del come operare un monitoraggio attento degli effetti prodotti dalle riforme dell'università per evitare un ulteriore shock riformatore, della necessità di accompagnare una valutazione seria ed equilibrata della ricerca di base ed applicata, scientifica ed umanistica. Ribadendo il nostro voto favorevole, vorrei aggiungere e sottolineare il valore aggiunto, per il testo di mozione, di considerare l'istruzione un bene comune e non terreno di scontri ideologici (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Centemero. Ne ha facoltà, per dieci minuti.

  ELENA CENTEMERO. Signor Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, parto innanzitutto, nell'esprimere il parere favorevole del Popolo della Libertà alla mozione che abbiamo in oggetto, col dire che si tratta ancora una volta di un obiettivo politico che abbiamo raggiunto, perché siamo di fronte ancora una volta ad una mozione unificata, in cui le forze politiche che responsabilmente e con lealtà sostengono questo Governo (PdL, PD e Scelta Civica), hanno deciso di mettere insieme i loro valori, le loro proposte, le loro azioni per la scuola, l'università, la ricerca, ma anche per i giovani, per i disoccupati e per le imprese che a questo settore e a questi settori si riferiscono, proprio nell'ottica di costruire insieme qualcosa per la nostra scuola, la nostra università ed il nostro mondo della ricerca e della cultura.
  Punto di partenza, ma anche punto di arrivo, sono sicuramente le indicazioni dell'Unione europea. In particolare, come abbiamo tutti quanti o molti di noi ricordato questa mattina, la strategia UE 2020, che discende dalla strategia di Lisbona, in cui parole chiave e parole di indirizzo sono l'economia basata sulla conoscenza, riforme profonde dell'intero sistema e filiera, dall'istruzione primaria a quella secondaria a quella terziaria, che ci hanno visti impegnati col Ministro Gelmini nella scorsa legislatura; ancora, un pezzo che ci manca è la riforma dell'alta formazione coreutica e musicale. Accanto a questo la formazione e l'istruzione non può essere scollegata da quella che è una crescita sostenibile, intelligente, dell'occupazione, dell'innovazione e della competitività, che fanno del nostro Paese un Paese importante all'interno dell'Unione europea.
  In un momento di crisi economica e finanziaria come quello che stiamo vivendo, che attraversa l'Europa, risulta ancora più indispensabile ridefinire la spesa pubblica e gli investimenti, nell'ottica però degli obiettivi che ci sono stati indicati dall'Unione europea, migliorando dunque la qualità e l'efficienza del sistema di istruzione e di formazione e facendo dell'apprendimento permanente e della mobilità una realtà.
  Vorrei ricordare ancora un dato europeo, il rapporto Education at Glance del 2010, relativo all'area OCSE. In questo si mette in luce che proprio i governi, a Pag. 112seguito della crisi economica globale, stanno ridefinendo i loro impegni finanziari e l'istruzione è al centro di un rinnovato interesse.
  Ma al tempo stesso emerge, accanto ai benefici sociali ed economici che indubbiamente l'istruzione e la formazione porta con sé, emerge anche che non sembra essere sufficiente semplicemente spendere di più. Bisogna spendere meglio, bisogna riqualificare e dare delle priorità alla spesa per l'istruzione, per la formazione, per l'università, per la ricerca, per la cultura, incentrando la nostra azione proprio sul miglioramento della qualità; della qualità della nostra scuola, che come è stato ricordato prima, è una scuola pubblica cioè di tutti, è una scuola che fa parte di un sistema integrato di istruzione, in cui sono previste scuole statali, comunali e scuole paritarie.
  Accanto a questo è necessario che si rinnovino, appunto, gli investimenti e la qualità per accrescere il valore dell'investimento stesso e per consentire che il nostro sistema di formazione ed istruzione diventi quell'ascensore sociale che è determinante per il futuro dei nostri giovani ed è determinante per il futuro del nostro Paese in una dimensione europea. Superando, dunque, quelle disparità che non sono solo disparità di natura geografica, come ci dicono le rilevazioni internazionali OCSE-PISA o anche le rilevazioni nazionali dell'INVALSI, ma sono anche disparità di natura sociale e di natura economica. Dunque, puntare sulla qualità degli apprendimenti per tutto l'arco della vita, per promuovere equità, coesione sociale e cittadinanza attiva, che ancora una volta sono le indicazioni che ci vengono dall'Unione europea. Per questo non possiamo dimenticare due pilastri che per noi sono determinanti e fondamentali: innanzitutto l'autonomia e, in secondo luogo, la valutazione.
  Quando parliamo di autonomia parliamo di una piena autonomia che non si è mai realizzata nonostante siano passati più di vent'anni dalla legge Bassanini. Significa raccordo con il territorio, autonomia, significa organico funzionale, significa anche una programmazione, anche e soprattutto autonomia finanziaria, ossia una programmazione certa dei finanziamenti attraverso la definizione di budget triennali che siano a disposizione tempestivamente e in modo certo delle scuole.
  Ad ogni modo, l'autonomia porta con sé anche la responsabilità che risulta strettamente legata, come si è ricordato in qualche intervento precedente, alla cultura della valutazione. Noi dobbiamo attivare, rafforzare e migliorare il nostro sistema di valutazione nazionale; monitoraggio e valutazione portano con sé, infatti, la verifica dei risultati, l'individuazione delle criticità, ma soprattutto tutti quei miglioramenti che possono rendere davvero inclusiva la scuola e dare agli studenti di qualsiasi ordine e grado le stesse opportunità di apprendimento e di successo.
  Accanto a questo noi abbiamo sempre perseguito anche una politica di stretto raccordo nell'ambito scolastico tra la formazione dei nostri giovani in tutti, lo ripeto ancora una volta, in tutti gli ordini e gradi di scuola e dell'istruzione, e il mondo del lavoro e il territorio. Per questo è importantissimo, ancora una volta e ancor di più, continuare a rilanciare la nostra istruzione tecnica e professionale e l'alta formazione tecnica, gli ITS, e favorire – come, ancora una volta, in ambito Unione europea, con un dialogo università-impresa del 2009 – il collegamento tra le imprese e il mondo della formazione, tra le imprese e la scuola, tra le imprese e l'università, attraverso quegli strumenti che negli anni le nostre scelte politiche hanno portato con sé. Parlo dell'alternanza scuola-lavoro, voluta fortemente dal ministro Moratti; parlo dei tirocini; parlo dell'apprendistato che abbiamo riformato con la riforma, appunto, Gelmini-Sacconi.
  Detto questo, è importantissimo anche continuare il percorso di innovazione, il piano di innovazione digitale e di conseguenza la formazione del personale, affinché venga introdotto nella scuola e nell'università più didattica laboratoriale, ma soprattutto un uso sempre più critico, sempre più meditato dei nuovi strumenti Pag. 113digitali, per rendere tutti quanti consapevoli della loro portata e del loro valore.
  Centro della scuola sono gli studenti; ma per avere degli studenti formati in linea con i parametri europei, in grado di inserirsi in un mercato del lavoro internazionale, abbiamo bisogno anche di docenti che devono essere valorizzati nella loro crescita professionale e nel loro percorso. Per questo è importante curare il reclutamento di giovani laureati, rivedendo le modalità che attualmente prevedono il sistema di reclutamento, ma anche risolvere l'annoso problema del precariato.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  ELENA CENTEMERO. Altri temi che sarebbe opportuno affrontare sono quelli dell'edilizia scolastica, che per noi è importantissima. Nell'università è molto importante ripristinare e recuperare i 300 milioni di euro a valere sul Fondo di finanziamento università, i 51 milioni di euro per gli enti di ricerca, per sbloccare le assunzioni e il turnover; ma pensare anche al diritto allo studio universitario per tutti, e soprattutto per i più capaci e meritevoli, così come vuole il nostro dettato costituzionale.
  Concludo richiamandomi al pensiero dei saggi, e anche del nostro Presidente Letta. I saggi chiamati da Napolitano a indicare le priorità per questo Paese, economiche ma anche istituzionali, di riforma, hanno sottolineato l'importanza che il nostro Paese abbia un capitale umano di qualità, formato, proprio per implementare quella crescita di cui abbiamo profondamente bisogno.

  PRESIDENTE. La invito nuovamente a concludere.

  ELENA CENTEMERO. Concludo ricordando le parole del Presidente Letta, quando nel suo discorso di fiducia alla Camera ha parlato di società della conoscenza e dell'integrazione.

  PRESIDENTE. Dovrebbe concludere.

  ELENA CENTEMERO. Ecco: la conoscenza e l'integrazione sono la forma del nostro Paese, e sono anche il ponte verso la costruzione di una nuova Europa e di un rapporto sempre più proficuo con le altre culture (Applausi dei deputati del gruppo Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Brescia. Ne ha facoltà, per dieci minuti.

  GIUSEPPE BRESCIA. Signor Presidente, sono davvero imbarazzato per quanto sta accadendo oggi in Aula, perché si sta verificando quanto segue: c’è una parte dell'attuale maggioranza che non avrebbe nessun problema a votare la nostra mozione, perché individua nella nostra mozione una volontà per il bene comune, di andare verso il bene comune (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), e c’è un'altra parte di questa maggioranza che lo sta vietando. Noi ci troviamo quindi veramente in difficoltà, perché abbiamo fatto tutti gli sforzi possibili per andare incontro, per dialogare, per dire che possiamo trovare una soluzione comune, perché vogliamo soltanto il bene della scuola, dell'università, del futuro dell'Italia, e ci ritroviamo a non avere l'appoggio per quanto vi ho detto.
  È ancora più incredibile quello che succede, dopo tutte le dichiarazioni che ci sono state da parte del Ministro Carrozza, del Ministro Bray, del Presidente del Consiglio Letta, che si sono sbilanciati pubblicamente dicendo cose del tipo: «Il livello di formazione, e quindi di istruzione ha un legame diretto con il tasso di sviluppo economico di una certa popolazione, di un certo Paese in un dato momento». Queste sono le parole della Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con le quali ha esordito nel documento sulle linee programmatiche che ha presentato alle Commissioni riunite di Senato e Camera meno di una settimana fa.
  Sono parole che noi ovviamente condividiamo. Non so se chi è alla maggioranza Pag. 114e quindi chi è espressione di queste parole condivide come le condividiamo noi queste parole (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), perché a quanto pare non sembra essere così. Quale Paese può davvero definirsi moderno e civile se non mette al centro dei propri interventi la realizzazione e l'attuazione di un progetto di sviluppo costante del proprio sistema di formazione e istruzione ? Quale Paese può definirsi in salute e proiettato verso un futuro prolifico e radioso se non investe sulla formazione delle generazioni presenti e future ? Raccontiamo di una donna dalle enormi potenzialità che ad un certo punto della sua vita si è ritrovata a dover affrontare le pesanti difficoltà economiche ed ha dovuto prendere una difficile decisione: se utilizzare i pochi soldi rimasti per acquistare i beni necessari alla sopravvivenza, pur sapendo di condannarsi ad una morte certa, una volta esaurite quelle poche risorse, oppure se utilizzare buona parte di quei fondi per investire su se stessa e sulle capacità e provare a rialzarsi e a rilanciarsi. Signor Presidente colleghi e rappresentanti del Governo, lo chiedo a voi: quanti di voi avrebbero scelto per la prima opzione e quanti di voi avrebbero scelto di credere nelle proprie capacità. A noi sembra che molti di voi avrebbero scelto di credere nelle proprie capacità qualcun'altro no. (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). L'Italia ha un popolo di grandi tradizioni, noi tutti abbiamo il grande onore di discendere da personaggi illustri che hanno scoperto, inventato e contribuito a creare i fondamenti di quelle discipline che ancora oggi vengono studiate in tutto il mondo e contribuiscono allo sviluppo e alla sussistenza del genere umano. Senza paura di cadere in nazionalismo, mi sento di affermare con estrema chiarezza che il popolo italiano è un popolo che possiede una capacità di approcciarsi in maniera creativa alla soluzione dei problemi che ben pochi altri popoli possono vantare. Quando, a causa dell'assenza di strutture in grado di sviluppare le potenzialità e a causa di una visione di futuro che definire opaca sarebbe quanto meno un eufemismo, i nostri giovani, i nostri cervelli, sono costretti a partire per l'estero, le aziende straniere che li assumono imparano ad apprezzarne ben presto la flessibilità e l'originalità e si guardano bene dal lasciarli andare (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Secondo una ricerca dello Sponsor Value cultura e spettacolo, realizzata da Stage up e Ipsos, se l'Italia investisse in cultura quanto mediamente fanno Francia, Gran Bretagna, Germania e Spagna, il PIL nazionale indotto raggiungerebbe i 140 miliardi, con un incremento del 253 per cento (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Ma noi evidentemente non vogliamo che ciò accada. Quella donna dalle grandi potenzialità si chiama Italia e finora, anziché investire su se stessa, ha tagliato fondi destinati all'istruzione e alla formazione delle giovani generazioni per attuare una politica di mera sussistenza o nei casi peggiori di sprechi incomprensibili. L'istruzione e la ricerca scientifica sono fattori determinanti per lo sviluppo economico. Migliorando la capacità di innovare tramite l'elaborazione di nuove idee oppure facilitando l'adozione di nuove tecnologie, si rende possibile l'instaurarsi di meccanismi virtuosi e sostenibili. Non sono parole mie, sono nuovamente parole della Ministra Carrozza e ancora una volta noi ci sentiamo di appoggiarle in pieno, voi no (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Non voglio limitarmi alle parole. Parliamo di cifre. Come bene illustrato nella nostra mozione, solo nella precedente legislatura la politica dei tagli ha tolto circa 8 miliardi di euro all'istruzione, all'universitaria e alla ricerca, con una spesa che per questi comparti passa negli ultimi cinque anni dal 10,6 per cento al 9,1 per cento, producendo un processo di impoverimento culturale e sociale che mina la stabilità del vivere civile e solidale, relegando l'Italia negli ultimi posti in Europa in quanto a investimenti in questi settori. Ma in questi mesi abbiamo ascoltato, come dicevo, con enorme attenzione le dichiarazioni del Presidente del Consiglio che ha promesso in diretta TV di non Pag. 115toccare i fondi destinati alla cultura. Abbiamo studiato attentamente i documenti sulle linee programmatiche dei Ministri Carrozza e Bray. Sono dichiarazioni di intenti che condividiamo e che sposano pienamente gli impegni al Governo contenuti nella nostra mozione.
  Parole che, se diventeranno fatti, ci faranno ben sperare nel futuro, ma evidentemente non diventeranno fatti. Il Ministro per i beni, le attività culturali e il turismo ha dichiarato che il suo impegno sarà incentrato sulla consapevolezza del ruolo centrale che la cultura deve avere nel nostro Paese, impegno che sarà anche rivolto al reperimento di fondi per restituire ai beni culturali la dignità ed il ruolo centrale che si meritano. Lo possiamo assicurare al Ministro Bray che questo sarà anche il nostro impegno, non so il vostro. E, ancora, si pone attenzione sulla necessità di intervenire su più fronti per garantire la credibilità delle politiche del settore – e qui veniamo al dunque – parlando di programmazione pluriennale dei finanziamenti, annullando la precarietà di un sistema che vive nell'incertezza perenne tra tagli e rimodulazioni in corso d'anno. Perfetto, diciamo noi, nella nostra mozione chiediamo al Governo di impegnarsi ad adottare le politiche necessarie a garantire un piano pluriennale di finanziamento a partire proprio dal reintegro delle risorse sottratte al settore nella scorsa legislatura. Quindi, siamo esattamente in linea con quanto dichiarato dal Ministro Carrozza, ma qui oggi il Governo ci viene a dire che lui non è in linea con quanto dichiarato da se stesso. Noi veramente non riusciamo a capire come dobbiamo agire (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  Insomma, i dati sono tanti, le concordanze che pensavamo di avere con il Governo sono tante, le potrei elencare ancora: la priorità per quanto riguarda gli interventi di sistema e che gli edifici siano bene organizzati e, soprattutto, sicuri. Quindi, stiamo parlando di edilizia scolastica. Noi aggiungevamo che, oltre ad essere sicuri, è necessario ripensare alle strutture scolastiche in chiave futura perché noi dobbiamo rendere le scuole dei posti dove la nuova didattica possa essere messa in atto, invece noi ci ritroviamo con quattrocento scuole che a settembre rischiano di non aprire perché non ci sono i fondi neanche per ristrutturarle. Questa è la condizione dell'Italia. Noi stiamo chiedendo che si torni ad investire nell'istruzione per far sì che questa realtà cambi.
  Insomma, signori del Governo e, soprattutto, Ministra Carrozza che mi dispiace non sia presente, confrontando il documento delle linee programmatiche da lei presentato e la mozione del MoVimento 5 Stelle sembrerebbe essere difficile trovare dei sostanziali punti di divergenza. Sembrerebbe. In entrambi i casi emerge in modo palese l'estrema necessità di reperire risorse, ingenti risorse, da destinare ai comparti scuola, università, ricerca e cultura. Su un punto però fondamentale forse siamo davvero distanti. Facciamo l'ipotesi così astrattamente che ci sia un partito al potere, un partito dominante il quale, però, formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza, non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'Aula in alloggiamento per i «manipoli», ma vuole «istituire» senza parere una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole, per trasformare le scuole...

  PRESIDENTE. Deputato, dovrebbe concludere.

  GIUSEPPE BRESCIA. ...insomma, volevo leggervi le parole di Piero Calamandrei, non avrò il tempo di farlo. Sessant'anni fa circa lui diceva che un partito come il vostro...

  PRESIDENTE. Deputato, dovrebbe concludere.

  GIUSEPPE BRESCIA. ...indebolirebbe la scuola pubblica in favore di quella privata. Voi avete oggi l'opportunità di dimostrare il contrario, ma a quanto pare non volete farlo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Pag. 116

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Coscia. Ne ha facoltà.

  MARIA COSCIA. Signor Presidente, colleghi e colleghe, rappresentanti del Governo, come i colleghi che mi hanno preceduto sanno, la mozione che abbiamo sottoscritto non solo affronta ovviamente temi molto importanti che riguardano un comparto che a noi sta particolarmente a cuore che è tutto quello della conoscenza a partire dalla scuola, l'università, la ricerca e la cultura, ma prevede e indica impegni molto precisi di lavoro per il futuro, sia per il Governo che per questo Parlamento.
  Nei giorni scorsi, già le VII Commissioni permanenti, sia della Camera che del Senato, in due sedute congiunte, hanno iniziato un confronto utile e costruttivo con i Ministri Carrozza e Bray, che hanno illustrato le loro linee programmatiche, che, quindi, sono le linee programmatiche di tutto il Governo. Dico subito che il gruppo del PD condivide e sostiene i programmi e gli impegni annunciati dai Ministri, ma voglio sottolineare anche che il PD non solo vuole incoraggiare l'azione del Governo, ma vuole fare di questi temi, e di questo tema, una priorità per l'azione del Parlamento e per l'azione del Governo. Perché siamo convinti della necessità ed urgenza di dare segnali forti a tutto il Paese di discontinuità rispetto alle politiche perseguite negli ultimi anni, basate su tagli lineari, che hanno colpito in modo assolutamente insostenibile la scuola pubblica, l'università, la ricerca e la cultura. Non solo sono stati messi a rischio anche i livelli minimi di funzionamento del sistema e messi in discussione diritti fondamentali di cittadinanza, ma sono stati fortemente indeboliti i punti di forza fondamentali per il Paese per promuovere la fuoriuscita dalla crisi economica e una nuova crescita e sviluppo sostenibile.
  L'Italia sta pagando a caro prezzo l'errore strategico che è stato compiuto e, cioè, quello di ignorare che la risposta prevalente alla crisi nei Paesi più avanzati è stata non solo di salvaguardare questi settori, ma di aumentare gli investimenti e le risorse investite in capitale umano. I dati OCSE relativi al 2012 sono quanto mai significativi e, purtroppo, negativi per il nostro Paese. La media dei Paesi OCSE degli investimenti in istruzione è pari al 5,7 per cento del PIL; l'Italia investe, invece, solo il 4,5 per cento ed è penultima in graduatoria.
  Secondo le classifiche internazionali, l'Italia presenta un forte deficit in termini di qualità del capitale umano rispetto, appunto, ai Paesi principali europei. Cito solo alcuni dati. Il tasso di abbandono scolastico in Italia è al 18,8 per cento, a fronte di una media europea del 13,5. Siamo all'ultimo posto per numero di laureati nella fascia di età tra i 30 e i 34 anni: il 20,3 per cento, a fronte di una media europea del 34,6 per cento. Abbiamo 2 milioni di giovani tra i 15 e i 24 anni che non sono né a scuola né al lavoro e il dato cresce sino a 3,2 milioni se si considerano i giovani fino a 34 anni.
  La classe docente italiana è la più anziana d'Europa: oltre il 22 per cento degli insegnanti, infatti, ha oltre sessant'anni e ci sono centinaia di migliaia di insegnanti precari. I salari degli insegnanti sono tra i più bassi d'Europa. I giovani laureati che abbandonano l'Italia sono più che raddoppiati e siamo al diciottesimo posto, su venti Paesi OCSE, per il rapporto tra ricercatori occupati. Il nostro sistema universitario coniuga tasse molto elevate e il peggior sistema di diritto allo studio. Lo Stato italiano investe, infatti, 258 milioni, quello francese 1,6 miliardi, la Germania 2 miliardi, la Spagna 943 milioni. In cinque anni, il nostro dato è calato dell'11,2 per cento, mentre quello degli altri Paesi cresceva in modo esponenziale: Francia più 25,9 per cento, Germania più 18,6 per cento, Spagna più 39 per cento.
  Sono dati impietosi, che dovrebbero far riflettere tutti sulle cause e sui danni prodotti con il blocco dell'ascensore sociale nel nostro Paese. Sì, nel nostro Paese sono aumentate le disuguaglianze e diminuite le opportunità per i nostri bambini e per i nostri giovani di mettere a frutto la loro creatività, il loro talento, i loro Pag. 117saperi, le loro competenze e di metterli a frutto non solo per se stessi, ma per il bene di tutto il Paese. È urgente, dunque, invertire le nostre performance negative e investire in istruzione e cultura, se vogliamo uscire presto dalla crisi, promuovere crescita e sviluppo sostenibile, dare un nuovo futuro ai nostri giovani e al Paese. Ce lo chiede l'Europa con l'Agenda di Lisbona 2010 e ce lo chiede ancora di più con l'Agenda 2020.
  L'Europa chiede a tutti gli Stati membri di promuovere una crescita intelligente, inclusiva e sostenibile, basata sulla conoscenza come fattore di ricchezza. Ciò impone al nostro Paese di modificare i nostri parametri, colmare i ritardi e investire in tutti i settori dell'educazione e della conoscenza. Dobbiamo dimezzare la dispersione scolastica e raddoppiare il numero dei laureati; alcuni dati ci dicono che c’è una stretta connessione tra questi dati negativi sulla dispersione e sul numero dei laureati e il digital divide, per cui occorre agire contestualmente su due tasti e cioè occorre investire sull'istruzione per promuovere innovazione e agenda digitale, a partire dai più piccoli, realizzando più asili nido e sezioni primavera, per dare un posto ad almeno il 33 per cento dei bambini più piccoli, così come aumentare le scuole dell'infanzia soprattutto nel centro-sud. Ancora, occorre continuare, come ha detto il Ministro Carrozza nell'audizione, a promuovere e a ripristinare il tempo pieno di qualità, che è assolutamente importante, così come il tempo prolungato.
  Dobbiamo verificare con attenzione l'impatto delle riforme fin qui fatte a partire dall'istruzione superiore e verificare le criticità che sono emerse, soprattutto per quanto riguarda i laboratori e per quanto riguarda l'istruzione tecnica. Per l'istruzione tecnica e professionale occorre un rilancio forte se vogliamo integrare scuola e lavoro; quindi occorre attivare un raccordo forte tra la scuola, le imprese, gli enti locali, le regioni, le università, gli enti di ricerca, proprio per realizzare dei veri e propri incubatoi, dei veri e propri laboratori innovativi che vadano nella giusta direzione. Per l'università chiediamo, in particolare, che sia ripristinato il Fondo ordinario come era in origine, in modo particolare i 300 milioni di euro che sono stati tagliati, così come chiediamo di sbloccare i concorsi ed il turnover. Così occorre anche ripristinare i fondi tagliati alla ricerca, che mi sembra ammontino a circa 51 milioni di euro.
  Per concludere, Presidente, per il PD il comparto della conoscenza e della cultura costituisce un settore strategico e una priorità sia per l'azione del Governo che del Parlamento. Per questo siamo fermamente convinti che il potenziamento e l'aumento delle risorse da destinare a questo comparto siano fondamentali per il bene e il futuro del nostro Paese, in quanto esso costituisce una leva fondamentale per il cambiamento di cui c’è un grande bisogno nel nostro Paese per promuovere la crescita e lo sviluppo sostenibile, la mobilità e la coesione sociale, l'equità e i diritti di cittadinanza. Per questo il Partito Democratico si batterà con determinazione e sosterrà con convinzione i Ministri e il Governo nell'attuazione delle linee programmatiche preannunciate e degli impegni assunti con la mozione che abbiamo sottoscritto.
  Voglio anche dire ai colleghi dell'opposizione, in modo particolare ai colleghi del MoVimento 5 Stelle e di SEL, che io sono convinta che ci siano le condizioni affinché nella ripresa del confronto in Commissione sulle linee programmatiche dei Ministri si possano determinare convergenze ampie, perché tutti dobbiamo impegnarci per il bene del Paese. Per questo, signor Presidente, annuncio il voto favorevole alla nostra mozione.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, la deputata Argentin. Ne ha facoltà, per due minuti.

  ILEANA ARGENTIN. Signor Presidente, intervengo per sottolineare le dichiarazioni incresciose rilasciate, in quest'Aula, dall'onorevole Buonanno, il quale si è permesso di parlare della legge n. 104 del 1992 Pag. 118come se fosse una legge che nasceva per i privilegiati (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Voglio ricordare che la legge n. 104 del 1992 ha una sua storia ed ha una storia che nasce legata al disagio e nasce legata alle pari opportunità. Io a quella legge ho partecipato insieme a tantissime associazioni, ci abbiamo creduto e l'abbiamo voluta; chi ne fa un cattivo uso e chi ne parla infangandola credo che sia lontano anni luce da tutto ciò che potrebbe essere insegnamento, educazione ed istruzione in questo Paese.
  Infatti, le vere barriere non sono soltanto quelle architettoniche, sono quelle culturali. E se lei ancora oggi pensa che i privilegi possano nascere dal disagio ho una gran tenerezza nei suoi confronti (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, MoVimento 5 Stelle, Sinistra Ecologia Libertà e Scelta Civica per l'Italia).

  PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto.

  GIANLUCA BUONANNO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

  PRESIDENTE. Onorevole Buonanno, preferirei a fine seduta.

  GIANLUCA BUONANNO. Per fatto personale.

  PRESIDENTE. A fine seduta, cortesemente.

  MASSIMILIANO FEDRIGA. Chiedo di parlare a titolo personale sull'intervento dall'onorevole Argentin.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  MASSIMILIANO FEDRIGA. Signor Presidente, vorrei intervenire anch'io a titolo personale, se permette, per specificare anche all'Aula che penso sia scorretto strumentalizzare le parole dell'onorevole Buonanno. Lui ha detto – e confermo la posizione della Lega – che siamo favorevoli, anzi cercheremo di difendere il più possibile la legge n. 104 del 1992. Egli ha solo detto che bisogna evitare gli abusi. Non mi sembra che abbia detto una follia, perché chi abusa della legge n. 104 colpisce in principal modo coloro che ne hanno veramente diritto. Sono stufo che in quest'Aula bisogna sempre nascondersi dietro una foglia di fico e vengano strumentalizzati discorsi così delicati.
  Chi li strumentalizza, prima di tutto, colpisce chi veramente ha bisogno della legge n. 104, i disabili che veramente ne hanno diritto, esattamente come chi difende in modo velato i falsi invalidi. No siamo quelli che vogliono combattere le false invalidità e dare quei fondi a chi ne ha veramente diritto e chi, purtroppo, vive una situazione di difficoltà e deve essere aiutato al massimo utilizzando più fondi possibili. Finiamola, per favore, con queste strumentalizzazioni (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord e Autonomie, Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente e Fratelli d'Italia).

(Votazioni)

  PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
  Come da prassi, gli atti di indirizzo saranno posti in votazione per le parti non assorbite o precluse dalle votazioni precedenti.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Luigi Gallo ed altri n. 1-00035, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Colonnese, Fratoianni, Di Lello, Vacca, Sorial, Piepoli, Frusone.
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

   (Presenti  527   
   Votanti  488   
   Astenuti   39   
   Maggioranza  245   
    Hanno votato
 109    
    Hanno votato
no  379).    

Pag. 119

  (La deputata Zampa ha segnalato che non è riuscita ad esprimere voto contrario).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Giancarlo Giordano ed altri n. 1-00076, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Colonnese, Fiano, Lauricella, Gasbarra, Vacca, Di Battista, Colletti, Guidesi, Raciti, Ginoble, Spadoni, Nuti, Palmieri.
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  530   
   Votanti  426   
   Astenuti  104   
   Maggioranza  214   
    Hanno votato  33    
    Hanno votato no  393.

  (La Camera respinge – Vedi votazioni).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Buonanno ed altri n. 1-00083, non accettata dal Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Di Benedetto, Madia, Giachetti, Magorno, Di Lello, Raciti...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  529   
   Votanti  521   
   Astenuti    8   
   Maggioranza  261   
    Hanno votato  16    
    Hanno votato no  505.    
  (La Camera respinge – Vedi votazioni).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Formisano ed altri n. 1-00086, nel testo riformulato, accettata dal Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Agostinelli, Di Battista, Sacconi, Di Lello, Lauricella, Colletti, Tripiedi, Tinagli, Turco, Vignaioli, Lotti, Ricciatti...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  530   
   Votanti  371   
   Astenuti  159   
   Maggioranza  186   
    Hanno votato  370    
    Hanno votato no  1.    
  (La Camera approva – Vedi votazioni).

  (La deputata di Salvo ha segnalato che non è riuscita ad esprimere voto contrario).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Meloni ed altri n. 1-00090, nel testo riformulato, accettata dal Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Colletti, Turco, Prodani, De Lorenzis, Pastorino, Vignaroli, Guidesi...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  529   
   Votanti  524   
   Astenuti    5   
   Maggioranza  263   
    Hanno votato  384    
    Hanno votato no  140.    
  (La Camera approva – Vedi votazioni).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Coscia, Centemero, Santerini ed altri n. 1-00091, accettata dal Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Colletti, Colonnese, Raciti, Kronbichler, Madia...
  Dichiaro chiusa la votazione.Pag. 120
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  530   
   Votanti  388   
   Astenuti  142   
   Maggioranza  195   
    Hanno votato  372    
    Hanno votato no  16.    
  (La Camera approva – Vedi votazioni).

  (La deputata Piccione ha segnalato che non è riuscita ad esprimere voto favorevole).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Di Lello ed altri n. 6-00013, non accettata dal Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Stumpo, Colonnese, Di Lello, Turco, Dall'Osso, D'Attorre, Ginefra, Rotta, Luigi Gallo, Malisani, Segoni...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  532   
   Votanti  394   
   Astenuti  138   
   Maggioranza  198   
    Hanno votato  9    
    Hanno votato no  385.    
  (La Camera respinge – Vedi votazioni).

  Ho ricevuto dalla deputata Argentin una richiesta di intervento per fatto personale. Interpellando il Regolamento, gli interventi per fatto personale è prassi che abbiano luogo alla fine della seduta. Quindi, la inviterei, se per lei va bene, ad intervenire a fine seduta. Sta bene.

In ricordo dell'onorevole Milziade Caprili.

  PRESIDENTE. Come concordato nella Conferenza dei presidenti di gruppo, do ora la parola al deputato Gennaro Migliore per commemorare la figura del senatore Caprili, già membro di questa Camera dalla IX alla XI legislatura e del Senato della Repubblica nella XV legislatura, scomparso nella giornata di ieri. Vi chiedo di prestare attenzione. Prego, deputato Migliore.

  GENNARO MIGLIORE. Signor Presidente, signore colleghe e colleghi...

  PRESIDENTE. Mi scusi, deputato Migliore. Voglio solo precisare che dopo ci saranno altre votazioni. Prego.

  GENNARO MIGLIORE. ... signori del Governo, ieri è scomparso, a 65 anni, Milziade Caprili, dopo avere combattuto una lunga e dura battaglia con la malattia che lo ha stroncato. Quando si raccontava, diceva così: «la mia storia affonda nella resistenza e nell'antifascismo. In casa mia ho trovato il comunismo di mio padre Nilo».
  Caprili era un comunista toscano, di Viareggio, realista e sognatore, uno che ha sempre vissuto il rapporto tra la possibilità del cambiamento e le istituzioni con la passione, l'impegno e la serietà che tutti quelli che l'hanno conosciuto, anche in queste Aule, gli riconoscono.
  Le sue radici, quelle di cui abbiamo parlato spesso, nel tempo passato insieme, quando lui era un dirigente esperto, responsabile dell'organizzazione di Rifondazione comunista ed io ero appena arrivato nella sede nazionale di viale del policlinico. Le sue radici, come dicevo, erano definite da due espressioni con cui gli piaceva definirsi: comunista italiano e politico di professione.
  Nel giorno in cui ricordiamo Enrico Berlinguer, un altro grande e importantissimo comunista italiano, ricordiamo di lui il senso dello Stato, l'etica pubblica e privata, l'adesione ai valori della Costituzione, che davano una pienezza completa a questo suo definirsi un po’ controcorrente «professionista della politica». Una passione che non si è mai fermata, neanche nei giorni della sua malattia, che egli ha consumato da consigliere comunale nella sua città, Viareggio, di cui era stato anche vice sindaco, e da dove aveva mosso Pag. 121i primi passi nella grande casa del Partito Comunista italiano. Trent'anni fa entrò in questo Parlamento nel 1983 alla Camera dei deputati e vi rimase per tre legislature, poi nella XV legislatura divenne senatore e ricoprì l'incarico prestigioso di Vicepresidente del Senato. In ogni suo passaggio politico e istituzionale fu apprezzato per la coerenza dei comportamenti e per le scelte inequivocabili. Si oppose allo scioglimento del PCI e formò insieme ad altri il primo nucleo che diede poi vita al Partito della Rifondazione Comunista. Fu il vice di Lucio Magri all'interno di questa Camera come vicepresidente del gruppo parlamentare. Da senatore propose interventi innovativi come quello, che mi piace ricordare, di assegnare ai figli il cognome della madre, valorizzando prioritariamente questo legame come principio primo in base al quale definirsi all'interno della società.
  Ma fu anche impegnatissimo nella riforma del bicameralismo che egli, da Vicepresidente del Senato, fece partire da quella Camera che spesso viene indicata come l'ostacolo principale alla riforma di questo bicameralismo perfetto. Fu capace di interloquire con tante persone, anche di diverse sensibilità politiche, ma fu sopratutto impegnato nella ricerca di una forma politica che fosse volta all'innovazione e alla partecipazione.
  L'aver colto lui, dirigente tradizionale e di ispirazione togliattiana e che ebbe sempre in Amendola e in Berlinguer i riferimenti culturali principali, la crisi della forma-partito lo mise in connessione con quella generazione cui appartengo, quella che ha fatto politica nelle strade di Genova nei movimenti altermondisti. Ci sono stati uomini e donne come lui, ma questo mio ricordo, questo voler intendere, come lui diceva, la politica come passione e nobiltà e la sinistra, la sua sinistra, come capace sempre di interrogarsi per cambiare le cose, ci lascia una testimonianza di cui ancora oggi credo questa Camera, la nostra parte politica e tutti coloro i quali hanno a cuore il bene comune e la trasformazione della società, gli saranno sempre grati (Applausi).

  PRESIDENTE. A nome di tutta l'Aula mi unisco ai sentimenti di cordoglio.

Seguito della discussione delle mozioni Migliore ed altri n. 1-00045, Lenzi ed altri n. 1-00074, Lorefice ed altri n. 1-00078, Brunetta ed altri n. 1-00079, Rondini ed altri n. 1-00080, Binetti ed altri n. 1-00081, Tinagli ed altri n. 1-00082, Formisano ed altri n. 1-00087 e Giorgia Meloni ed altri n. 1-00089 relative al diritto all'obiezione di coscienza in ambito medico-sanitario (ore 19,20).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione delle mozioni Migliore ed altri n. 1-00045 (Nuova formulazione), Lenzi ed altri n. 1-00074, Lorefice ed altri n. 1-00078, Brunetta ed altri n. 1-00079, Rondini ed altri n. 1-00080, Binetti ed altri n. 1-00081, Tinagli ed altri n. 1-00082, Formisano ed altri n. 1-00087 e Giorgia Meloni ed altri n. 1-00089, relative al diritto all'obiezione di coscienza in ambito medico-sanitario (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta si è conclusa la discussione sulle linee generali.
  Ricordo, altresì, che nel corso della discussione sulle linee generali è stata presentata la risoluzione Locatelli n. 6-00014.
  Avverto, infine, che sono state presentate un'ulteriore nuova formulazione della mozione Migliore ed altri n. 1-00045, una nuova formulazione della mozione Lenzi ed altri n. 1-00074, una nuova formulazione della mozione Lorefice ed altri n. 1-00078. I relativi testi sono in distribuzione (Vedi l'allegato A – Mozioni).

(Intervento e parere del Governo)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, che esprimerà altresì il parere sulle mozioni e sulla risoluzione presentate.

Pag. 122

  BEATRICE LORENZIN, Ministro della salute. Signor Presidente, ringrazio anche gli onorevoli colleghi per lo sforzo fatto per addivenire ad una serie di mozioni che, nella parte dell'impegno, potessero trovare la più ampia condivisione possibile da parte di questa Aula.
  Noi ci troviamo ad affrontare, come è accaduto anche in altre situazioni, un argomento che, per delicatezza e per l'ambito che ricopre, spesso desta e ha destato nel passato, anche in questa Aula, sentimenti, pensieri, concetti, questioni e principi di natura diversa.
  Devo dire che nelle mozioni che sono state presentate dai colleghi – nonostante la differenza culturale che esprimevano, soprattutto nella parte del dispositivo, in cui i diversi gruppi parlamentari hanno presentato idee, posizioni ed espressioni culturali a volte anche contrapposte – ho trovato una linea di condivisione comune che si ritrova proprio nella parte esplicitata negli impegni; tutti i gruppi, posso dirlo, hanno lavorato per addivenire ad impegni nei confronti del Governo che io trovo assolutamente condivisibili.
  Li trovo tutti condivisibili perché ho ritrovato, nella differenza delle appartenenze culturali, aspetti che ci uniscono e che hanno unito la formulazione degli estensori delle varie mozioni: in primis, devo dirlo, la questione che sta a cuore sicuramente a tutti i gruppi parlamentari, ovvero quella di garantire la piena applicazione della legge n. 194 del 1978 che, a 35 anni dalla sua approvazione, ancora oggi nel nostro Paese desta spesso situazioni di criticità o volontà di riforma ma che poi, alla prova dei fatti, si è dimostrata una legge estremamente equilibrata che ha permesso, e i numeri questo ce lo dimostrano, di risolvere l'annosa e drammatica questione degli aborti clandestini nel nostro Paese. La piena applicazione, quindi, della legge n. 194 del 1978 in tutti i suoi aspetti, dall'aspetto che riguarda la tutela della maternità alla formazione dei consultori familiari, all'accompagnamento della donna in un momento così difficile e sofferente per tutte le donne come quello di un'interruzione di gravidanza.
  E devo dire che l'aspetto sollevato nella mozione presentata dai colleghi di SEL è un aspetto specifico che riguarda proprio l'obiezione di coscienza. Anche l'obiezione di coscienza è una delle questioni che fanno parte proprio della legge n. 194 del 1978 all'articolo 9, con cui il legislatore ha disciplinato la possibilità per il personale sanitario di esercitare il diritto all'obiezione di coscienza in ordine agli interventi per l'interruzione della gravidanza. Va detto però che, all'interno della stessa legge n. 194 del 1978, il diritto inviolabile e riconosciuto dalla nostra Costituzione di effettuare l'obiezione di coscienza si contempera con la necessità che la legge venga applicata nella parte in cui si permetta all'organizzazione territoriale di compensare, anche prevedendo la mobilità del personale ed altre misure che sono previste dalla norma, e di garantire poi che nelle regioni il servizio sia effettivamente effettuato nei termini e nei modi previsti dalla legge.
  Quindi questa questione dell'obiezione di coscienza, che è stata sollevata da alcuni dei gruppi presentatori della mozione, è una questione che sentiamo di dover accogliere, soprattutto nella parte in cui si invita il Governo e la sottoscritta a monitorare in modo attento – come è previsto da più di una mozione – l'applicazione della norma anche in questo settore, affinché non ci siano effetti di discriminazione rispetto agli operatori obiettori o non obiettori all'interno delle singole strutture regionali. È ovvio che noi abbiamo dovuto ottemperare, poi, anche a quelle che sono le competenze, cioè le competenze di indirizzo che può dare il Parlamento, rispetto alla normativa e all'autonomia regionale. Ma credo che lo spirito di tutti sia stato quello di poter verificare, sui territori e nelle singole strutture sanitarie, che i principi della legge siano effettivamente applicati.
  Per questo io ci terrei anche a sottolineare il fatto che dovrò venire in quest'Aula nel mese di luglio a presentare l'annuale relazione sullo stato di attuazione della legge n. 194 e già da adesso mi attiverò perché possa essere istituito – Pag. 123come è previsto da alcune mozioni – un tavolo tecnico degli assessori regionali in modo da poter avere e poter presentare a questo Parlamento lo stato di attuazione della legge nella parte non discriminatoria per quanto riguarda gli obiettori e i non obiettori proprio nelle singole regioni. Quindi, io spero che nella relazione di fine luglio potrò presentare a quest'Aula tutti i dati che sono stati richiesti nel dibattito generale, in modo tale da poter verificare lo stato di attuazione della norma in tutto il territorio nazionale, rendendoci conto che la lettura anche di alcuni dei dati che sono stati presentati in quest'Aula oggi può essere soggetta a una molteplice interpretazione.
  Noi abbiamo visto nel corso di questi anni, fortunatamente, il numero delle interruzioni di gravidanza volontaria diminuire grazie all'azione di prevenzione e a una maggiore consapevolezza da parte delle persone. E questo è uno degli obiettivi raggiunti dalla norma, che – ricordiamoci – garantisce un servizio pubblico e quindi un servizio gratuito per tutti gli utenti. Noi abbiamo visto anche che spesso, laddove ci sono stati un aumento o un decremento degli obiettori, questo non sempre ha corrisposto poi con una non sofferenza nell'accesso ai servizi territoriali. Qui entriamo, purtroppo, in quello che è il tema della governance dei territori e quindi più attinente al tema delle regioni, ma che sicuramente io non posso non fare mio come Ministro della salute, perché ci ritroviamo nel più ampio complesso di questioni che riguardano la tutela del diritto alla salute nel territorio nazionale e che noi speriamo – come abbiamo già presentato a quest'Aula durante la mia relazione programmatica nella Commissione Affari sociali – di poter affrontare laddove andremo a commisurare il nuovo patto per la salute sulla garanzia dei diritti essenziali, dei livelli essenziali di assistenza in tutto il territorio nazionale.
  Questo per dire, quindi, che la delicatezza del lavoro fatto non può essere da me non riconosciuta, soprattutto anche nel rispetto delle diverse sensibilità che ci sono in quest'Aula, e per questo ringrazio tutti i gruppi che hanno cercato di arrivare ad una soluzione che fosse condivisibile, perché dare un segnale unitario nel Paese su questi temi è un fattore importantissimo, dà un segno di unità dello Stato e dei partiti politici, che qui compongono lo Stato e lo rappresentano, su una questione così delicata come quella della tutela della donna e della tutela della maternità e della questione annessa alla legge n. 194, e cioè dell'obiezione di coscienza.
  Per quanto riguarda il merito delle mozioni presentate, io accolgo la mozione Migliore ed altri n. 1-00045 (Ulteriore nuova formulazione), con una modifica ulteriore che avevamo stabilito: al punto 6 degli impegni dopo le parole: «non obiettori;» aggiungere le parole: «anche attraverso una diversa gestione e mobilità del personale garantendo la presenza di un'adeguata rete di servizi in ogni regione».
  Per quanto riguarda la mozione del Partito Democratico, l'accolgo con una modifica...

  PRESIDENTE. Può dire il numero, cortesemente, Ministro ?

  BEATRICE LORENZIN, Ministro della salute. È la mozione Speranza-Lenzi...

  PRESIDENTE. Può dire il numero ? È la mozione n. 1-00074 ?

  BEATRICE LORENZIN, Ministro della salute. Speranza-Lenzi..., sono molte le mozioni presentate... Sempre negli impegni, al quarto capoverso, dopo le parole «quale percorso intraprendere» si aggiunge: «fornendo alle medesime la previa conoscenza delle modalità e dei rischi connessi».
  Invece per quanto riguarda la mozione Rondini n. 1-00080, presentata dal gruppo della Lega Nord, si accolgono tutti gli impegni con un parere favorevole condizionato ad una riformulazione e cioè al secondo capoverso degli impegni dopo la parola «finalizzati» si aggiunge «a rafforzare Pag. 124il luogo dei consultori familiari per una piena e corretta applicazione della legge nella parte relativa alla tutela della maternità» con la soppressione del testo così come segue, cioè da «ad offrire» sino ad «aborto».
  Per quanto riguarda, invece, la mozione Lorefice ed altri n. 1-00078 (Nuova formulazione) proposta dal MoVimento 5 Stelle è accolta senza modifiche.
  Invece per quanto riguarda la mozione Tinagli n. 1-00082, presentata dal gruppo Scelta Civica, è accolta con la seguente riformulazione: sostituire l'ultimo impegno con il seguente: «ad attivarsi perché l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica sia proposta come opzione alle donne che entro i limiti di età gestazionale imposti dalla metodica debbano poter scegliere quale percorso intraprendere, fornendo alle medesime la piena conoscenza delle modalità e dei rischi connessi».
  La mozione Meloni viene accolta purché sia riformulata con la seguente riformulazione al quarto capoverso: «a verificare la possibilità di adottare».
  Mi sembra che sia rimasta la mozione del PdL che è accolta senza condizioni e per quanto riguarda la risoluzione dell'onorevole Locatelli è accolta.

  PRESIDENTE. C’è anche la mozione Binetti ed altri n. 1-00081.

  BEATRICE LORENZIN, Ministro della salute. Mi sembrava di aver già espresso il parere sulla mozione Binetti ed altri n. 1-00081: ho dato parere favorevole.

  PRESIDENTE. C’è anche la mozione Formisano ed altri n. 1-00087.

  BEATRICE LORENZIN, Ministro della salute. Ho già espresso il parere su tale mozione.

  PRESIDENTE. Non l'ha espresso in realtà, Ministro. Se può ripetere...

  BEATRICE LORENZIN, Ministro della salute. È accolta.

(Dichiarazioni di voto)

  PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale nel corso delle quali vi invito anche a far conoscere alla Presidenza se si accolgono le eventuali proposte di riformulazione avanzate dal Governo.
  Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Pia Elda Locatelli. Ne ha facoltà.

  PIA ELDA LOCATELLI. Signora Ministra, la legge n. 194 è stata approvata 35 anni fa ed il bilancio di questi 35 anni presenta luci ed ombre. Le luci sono l'emersione dell'aborto clandestino, la diminuzione degli aborti, l'informazione sulla contraccezione nei consultori; soprattutto la legge n. 194 del 1978 ha dato libertà e dignità alle donne. Le ombre: non possiamo non giudicare con severità lo smantellamento della rete dei consultori, il loro funzionamento zoppo, la loro distribuzione geografica irregolare, che lascia scoperto soprattutto il sud, così come non possiamo non denunciare il numero di obiettori di coscienza che rende difficoltosa, quando non impedisce, l'applicazione della legge e dell'interruzione volontaria della gravidanza. Conosciamo i dati sull'applicazione della legge n. 194 e tra questi quelli relativi all'obiezione di coscienza ci lasciano ogni volta esterrefatti: in media 7 medici su 10 sono obiettori di coscienza e, con l'eccezione della Valle d'Aosta, che presenta percentuali fisiologiche (il 16 per cento), siamo dappertutto oltre il 50 per cento, con punte estreme nel sud e nelle isole, dove 3 operatori su 4 sono obiettori. Sorprende questo elevato livello di obiezione di coscienza e ci pare poco credibile. Nonostante ciò, non siamo disponibili a mettere in discussione l'istituto dell'obiezione di coscienza e lo difendiamo in termini di principio.
  Allo stesso tempo ricordiamo con forza che la legge prevede che gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate siano tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure e gli interventi di interruzione della gravidanza. Purtroppo Pag. 125questo non sempre e non dappertutto avviene, quindi il Servizio Sanitario Nazionale è inadempiente.
  Ma che cosa significa obiezione di coscienza ? È giusto in nome di questa possibilità, di cui molti, direi troppi si avvalgono, non garantire alle donne i servizi di interruzione volontaria della gravidanza ? Ce lo chiediamo, così come ci chiediamo come conciliare questi diritti contraddittori, ammesso che si possano definire tali e siano alla pari, cioè il diritto di interrompere la gravidanza e il diritto, da operatore sanitario, di non garantire un servizio sanitario. Per dare risposte a queste domande riteniamo sia necessario operare una netta distinzione tra l'istituto dell'obiezione di coscienza in ambito sanitario e l'erogazione della prestazione, anche perché gli ospedali, al fine di ridurre le liste d'attesa, sono autorizzati dal decreto Bindi, mi pare del 1999, a trovare soluzioni anche oltre il normale funzionamento delle strutture. Allora non si capisce – o forse si capisce assai bene – perché la legge n. 194 non venga applicata, risolvendo così l'umiliante e talvolta tragica condizione delle donne costrette a «mendicare» il proprio diritto ad interrompere, in sicurezza e legalità, una gravidanza non voluta.
  Per queste ragioni impegniamo il Governo a svolgere una rigorosa indagine conoscitiva sull'applicazione della legge n. 194, con un'attenzione particolare all'uso dell'istituto dell'obiezione di coscienza che coinvolge la gran parte degli operatori sanitari; a verificare se su tutto il territorio nazionale la legge n. 194 sia applicata nella sua interezza; a rilevare la consistenza della rete nazionale dei consultori, la loro organizzazione, distribuzione territoriale, dotazione in termini di strutture e personale; ad informare tempestivamente sui risultati di questa indagine al fine di individuare tutte le iniziative amministrative ed organizzative necessarie per valutare l'applicazione della legge n. 194 in tutte le sue parti (Applausi dei deputati del gruppo Misto – MAIE).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Formisano. Ne ha facoltà.

  ANIELLO FORMISANO. Signor Presidente, sarò rapidissimo, nel senso che ringrazio il Governo per aver accolto senza riserva alcuna la mozione presentata da Centro Democratico. Crediamo che, con le cose che abbiamo proposto al Governo e che il Governo si impegna a realizzare, si contempereranno le esigenze sia di coloro che in qualche modo sull'obiezione di coscienza hanno qualche problema di carattere personale, sia quelle di tutte le altre persone che, in applicazione di una legge dello Stato, aspirano ad un servizio pubblico che sia in grado ed in condizione di tutelare diritti che sono sanciti da leggi dello Stato.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Meloni. Ne ha facoltà.

  GIORGIA MELONI. Grazie Presidente. La mozione inizialmente presentata dai colleghi di Sel che poi ha portato alla presentazione di analoghe mozioni da parte, praticamente, di tutti i gruppi parlamentari, ci offre una buona, ottima occasione per fare un bilancio, a 35 anni dalla sua approvazione, della legge n. 194 e per affrontare una questione aperta in Italia che è la questione più generale del sostegno alla maternità e dell'incentivo alla natalità. Lo dico perché nella mozione che Fratelli d'Italia ha presentato noi abbiamo allargato, diciamo così, il tema del dibattito al di là della questione specifica dell'obiezione di coscienza e abbiamo incentrato la mozione di Fratelli d'Italia su due grandi questioni che a nostro avviso vale la pena di focalizzare.
  La prima, ed è stato detto e verrà detto probabilmente da tutti gli altri colleghi, attiene ad una corretta applicazione di tutta la legge n. 194, tema che si dibatte da molto tempo, se è vero com’è vero che tutta la parte relativa, in particolare, alla prevenzione dell'interruzione volontaria Pag. 126della gravidanza non è stata forse applicata come avrebbe dovuto in questi 35 anni.
  Io ricordo che la legge n. 194 recita nel suo primo articolo: «Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana fin dal suo inizio». Cioè la legge n. 194 si pone il problema di aiutare le mamme ma vuole anche considerare quella dell'interruzione della gravidanza come pratica estrema, che bisogna per quanto possibile combattere con azioni positive. Ce lo conferma l'articolo 2 della legge che dice, parlando dei consultori, di come questi debbano contribuire a far superare le cause che possono portare all'interruzione di gravidanza.
  Ora, lo dico perché noi non possiamo negarci che in questi 35 anni questo non è accaduto sempre, che non è accaduto forse come avrebbe dovuto, e non possiamo nasconderci che è colpa di un approccio eccessivamente ideologico che noi abbiamo avuto nell'approccio con il tema dell'aborto e dell'interruzione della gravidanza che ha finito per trasformare alcune questioni in un tabù.
  Allora, io penso che noi, che quell'approccio ideologico al tema rifiutiamo, dobbiamo chiedere con la nostra mozione, come chiediamo, una piena applicazione della legge soprattutto per la parte che concerne la prevenzione e una corretta comunicazione, soprattutto fra i giovani, per quello che concerne il tema dell'assistenza alle donne, per quello che concerne il tema del potenziamento dei consultori e dei centri di aiuto alla vita; cioè crediamo che non si debba rinunciare a quella parte di legge che era stata pensata per aiutare le donne nella decisione più difficile della loro vita e non per aiutarle, diciamo così, a sbrigare la questione nel minore tempo possibile, come poi è sembrato da un approccio, ripeto, che abbiamo visto troppo spesso e che non condividiamo.
  E chiediamo soprattutto, nella nostra mozione, di fare una cosa che all'Italia sembra non interessi, e cioè di mettere in campo tutti gli strumenti possibili perché le donne possano contare su alternative valide alla pratica dell'aborto che è per noi, e deve rimanere una scelta estrema, e cioè l'ultima scelta possibile tra molte altre e non come troppo spesso accade, l'unica scelta possibile.
  Vedete quando ho proposto nel corso degli anni, per esempio, di aiutare economicamente quelle donne sole che sono costrette ad abortire per paura di non riuscire a mantenere il loro bambino, con aiuti anche economici, mi è stato detto che iniziative di questo tipo potevano limitare la autodeterminazione delle donne. Vi dico la verità, mi fa sorridere, perché credo che sia autodeterminazione anche quella di una donna costretta ad abortire quando vorrebbe portare a termine la gravidanza perché non ha scelta, perché penso che anche quella autodeterminazione noi abbiamo il diritto e il dovere di difendere.
  Allora vedete, a differenza di quello che sento dire delle volte, il tema è un tema molto complesso e io confesso di non aver grandi certezze in materia.
  Sento spesso gente che affronta la questione come se avesse delle certezze: io invece non ho delle certezze, ho dei dubbi. Sarà che non mi ha mai convinto quella teoria secondo la quale quella che ho di fronte non è una vita alla tredicesima settimana di gestazione, ma diventa una vita alla quattordicesima settimana. Penso che mi basta riflettere sul fatto che ciascuno di noi è stato un embrione all'undicesima o dodicesima settimana di gestazione, penso che vale la pena di interrogarsi di fronte al fatto che, si tratti della prima settimana o della quattordicesima, ci troviamo di fronte a un codice genetico unico ed irripetibile: non ce ne sarà un altro. E questo ha un valore: penso al fatto che probabilmente, se mia madre avesse fatto una scelta diversa quando qualcuno le consigliava di interrompere la gravidanza, mi sarei persa qualcosa.
  Non ho quindi certezze, e mi pongo il problema di come si faccia a stare sì dalla parte della madre, aiutarla a non dover fare una scelta in clandestinità, aiutarla ad avere la possibilità di difendere il proprio diritto, le proprie volontà, il proprio bisogno; Pag. 127ma mi pongo anche il problema di come si faccia a rendere davvero l'interruzione volontaria di gravidanza una scelta estrema, e non come noi l'abbiamo banalizzata via via con un approccio sempre più ideologico, praticamente una delle tante forme di contraccezione che ci sono in Italia. Proprio perché ho quel dubbio.
  Sarà che mi schiero sempre con quello più debole per formazione, mi fa paura una società nella quale parliamo solo del diritto della madre, perché la madre ha una telecamera per rivendicare il suo diritto, perché la madre può organizzarsi in associazioni, perché la madre ha diritto di voto, e non parliamo mai del diritto, delle possibilità di quelli che una telecamera non ce l'hanno e non hanno diritto di voto, e non vorrei che li dimenticassimo. È curiosa una società nella quale ci poniamo il problema di salvare le foche monache in Alaska, o ci poniamo il problema di essere vegetariani per non uccidere gli animali, e nessuno si pone il problema di quella che è una vita in potenza, e che una società normale, o una civiltà normale, dovrebbe guardare con un certo grado di accortezza. Questo è il tema sul quale a me piacerebbe che l'Aula riflettesse per qualche istante, rispetto a quello che ci siamo detti di solito.
  Voglio anche dire che quando si dice che la legge n. 194 del 1978 ha contribuito a diminuire il numero degli aborti in Italia, si dice un dato che è vero a metà. Perché il numero degli aborti è si diminuito dal 1978 ad oggi in numeri assoluti, ma non possiamo svincolare il numero degli aborti dal numero complessivo delle gravidanze: dobbiamo dirci che in questi trent'anni sono anche diminuiti i dati sulla natalità, che è diminuito complessivamente il numero delle gravidanze. Se valutate la questione non in numeri assoluti ma in rapporto, scoprite una verità che è meno consolatoria: con un certo grado di costanza dal 1978 ad oggi, ogni anno il 20 per cento delle gravidanze si è concluso con un aborto. Penso che valga la pena di rifletterci, dopo 35 anni dalla nascita e dal varo della legge n. 194 del 1978; sono riflessioni che nulla hanno a che fare con la fede: è buonsenso laico. Mi faccio delle domande, e provo a darmi delle risposte.
  Il secondo tema che noi abbiamo provato a sviscerare nella nostra mozione è il tema di una nazione nella quale, mentre ci poniamo il problema di come si faccia a garantire il diritto di abortire nel modo più facile e veloce possibile, sembra che nessuno si ponga il problema di come si faccia a garantire il diritto di mettere al mondo un bambino. Perché l'Italia è una nazione nella quale non si fanno più figli; e spesso non si fanno più figli non per volontà, ma perché i figli sono diventati un lusso. L'Italia è una nazione nella quale le madri sono ancora costrette a scegliere tra la possibilità di mettere al mondo un bambino e la possibilità di avere un posto di lavoro; l'Italia è una nazione nella quale si scarica sulle donne tutta la responsabilità della famiglia, e si fa poi loro pagare questa scelta.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  GIORGIA MELONI. L'Italia è una nazione nella quale – e concludo, signor Presidente – purtroppo assistiamo ad un progressivo invecchiamento della nostra popolazione: i figli non si fanno, spesso non si fanno non per scelta ma per costrizione, e vediamo i nostri dati sulla demografia decrescere al punto tale che se lei proiettasse i dati ISTAT sulla natalità da qui al 2050, scoprirebbe che nel 2050 oltre il 35 per cento della popolazione italiana avrà più di 65 anni. Il che significa, banalmente, che nel medio periodo il nostro sistema di protezione sociale non può reggere, e nel lungo periodo l'Italia è una nazione destinata a scomparire.
  Né io condivido quanti dicono: «Chi se ne importa ? Tanto i figli in Italia li fanno gli immigrati». Spero che ci si possa porre il problema di come si garantisca anche alle famiglie italiane la possibilità di mettere al mondo i figli.
  Mi avvio alla conclusione, questi sono i due temi che noi abbiamo cercato di focalizzare con la nostra mozione: una corretta applicazione della legge n. 194 del 1978 e politiche di incentivo alla natalità Pag. 128e di sostegno alla maternità, quoziente familiare, asili nido condominiali, IVA al 4 per cento sui prodotti per la prima infanzia. Credo che di questo bisogna cominciare a parlare, cioè non solamente di come si faccia ad impedire la vita, ma di come si faccia soprattutto in Italia a porsi finalmente il problema di come favorire la vita (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Rondini. Ne ha facoltà.

  MARCO RONDINI. Signor Presidente, come ho già avuto modo di dire questa mattina intervenendo in discussione sulle linee generali, la nostra mozione si muove nel solco di quei provvedimenti tesi alla difesa della donna votati e approvati nelle ultime settimane. Sì, perché se è vero che con la nostra mozione vogliamo salvaguardare il diritto all'obiezione di coscienza di medici e paramedici, in linea con l'invito del Consiglio d'Europa, secondo la raccomandazione n. 1763, che ribadiva che nessuna persona, ospedale o istituzione sarà costretta, ritenuta responsabile o discriminata in alcun modo a causa di un rifiuto ad eseguire, ad accogliere, assistere o sottoporre un paziente ad un aborto o qualsiasi altro atto che potrebbe causare la morte di un feto, è altrettanto vero che con la nostra mozione vogliamo denunciare come violazione della dignità della donna, quindi come una forma di violenza, l'assenza di un'attività seria volta a promuovere iniziative finalizzate a mettere in campo tutte le risorse disponibili al fine di rafforzare gli interventi per offrire i giusti strumenti per far sì che la donna possa valutare la possibilità di considerare una scelta alternativa all'aborto.
  La battaglia contro ogni forma di violenza alla donna si vince se si ha rispetto per la donna, passando anche e soprattutto dal diritto, che alla donna va garantito e riconosciuto, ad essere madre. Abbiamo il dovere di prevenire situazioni che determinano l'accesso all'aborto, che rimane un dramma e una sconfitta quando è praticato, in particolare quando magari vi si fa ricorso come metodo anticoncezionale. Ed è una doppia sconfitta, quella di una vita negata e quella del fallimento della generatività materna.
  Il grado di civiltà di una società si misura verificando il valore che questa dà alla vita. Una società che poggia su sani principi deve agevolare tutte le misure necessarie per salvaguardare la vita, in particolare di chi ha diritto di nascere. Questo anche in virtù del dovere di una comunità di garantirsi la continuità. L'astenia riproduttiva, la denatalità in diversi Paesi europei – tra questi in testa troviamo l'Italia – che stiamo patendo, sicuramente agevolata anche dalla pratica dell'aborto, potrebbe ben presto trasformarsi in implosione demografica. È per questo che tra i vari impegni chiediamo al Governo di farsi anche promotore presso le competenti istituzioni dell'Unione europea di politiche dirette al contrasto del fenomeno della denatalità.
  Mi avvio alla conclusione, ebbene alla luce di ciò annuncio che accettiamo la riformulazione proposta dal Governo, ritenendo però opportuno considerare come forza attiva anche il ruolo dei medici obiettori di coscienza all'interno dei presidi socio-sanitari dei consultori familiari (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Nicchi. Ne ha facoltà.

  MARISA NICCHI. Signor Presidente, signora Ministra, colleghi e colleghe, che il nostro Paese sia noto in Europa per il triste fenomeno di un turismo dei diritti riproduttivi, per affermare altrove libertà personali che sono negate nel nostro Paese lo dimostra anche il fatto che per una donna italiana non è semplice interrompere una gravidanza non desiderata.
  L'obiezione di coscienza, da diritto individuale, sta scivolando nell'obiezione di struttura, nonostante la legge n. 194 del 1978 obblighi tutte le strutture sanitarie pubbliche e convenzionate a garantire Pag. 129l'aborto. In molti ospedali italiani vi è una totale assenza di personale non obiettore, ed è grave. Così le donne sono costrette a migrazioni, anche per l'aborto terapeutico, con trafile, tempi di attesa che ledono il diritto alla loro salute e costringono i medici non obiettori a pratiche cliniche rischiose. L'OMS individua l'accesso all'aborto sicuro come uno dei punti fondamentali per la salute riproduttiva. Per questo abbiamo voluto richiamare il Governo al dovere di far sì che la legge n. 194 sia applicata mettendo fine a quei comportamenti che, sbilanciando in modo pesante l'articolo 9, la vanificano. Comportamenti – diciamolo senza ipocrisia – mossi spesso da interessi di potere e carriera che ricattano tanti giovani, sviliscono e discriminano il lavoro di chi invece non obietta. A quel personale non obiettore va tutto il nostro pieno riconoscimento e il sostegno. Grazie a loro la legge è stata applicata e grazie al loro lavoro si è realizzata la diminuzione del tasso di abortività nel nostro Paese.
  L'uso scorretto dell'obiezione produce una discriminazione di genere. Si negano alla donna servizi sanitari per la sua vita riproduttiva, mentre agli uomini nessuna prestazione sanitaria è impedita. Una limitazione della libertà femminile che ha anche il sapore dell'ingiustizia sociale. Una donna con mezzi economici può spostarsi verso l'ospedale non obiettore, ricorrere a cliniche private, ma cosa fanno le donne più giovani, le precarie, che ne è delle migranti ? Noi non vogliamo più che ricorrano a quel dottor Dobermann, l'orribile personaggio della canzone di De Gregori, negli anni Settanta. Per noi giustizia e libertà, innanzitutto quella femminile, camminano insieme e per questo, colleghi e colleghe, ci siamo messe la giacca rossa, in solidarietà con le donne turche (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Ecologia Libertà, Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle) e con grande pena oggi guardiamo e ascoltiamo le notizie che stanno arrivando dalle piazze di Istanbul. La giacca rossa come quella indossata dalla giovane turca immobile davanti all'idrante, fortissima nel suo desiderio di libertà (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Ecologia Libertà, Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle).
  Signora Ministro, servono misure immediate. Su alcune abbiamo lavorato per una larga maggioranza perché noi siamo un'opposizione tenace, che vuole fare da apripista e per questo abbiamo voluto la mozione, ma che vuole anche spostare la realtà. Non le basta mettere le bandierine. E, allora, abbiamo individuato tre obiettivi: un intenso monitoraggio e promozione di azioni per l'applicazione vera della legge n. 194, la diffusione del metodo farmacologico per tempi di attesa più brevi, meno complicazione, minor peso dei ginecologi obiettori e il potenziamento della rete dei consultori per una diffusione dell'uso dei contraccettivi e un più facile accesso alla contraccezione di emergenza. Signora Ministro, la legge n. 194 non è una delle tante leggi; è una mediazione parlamentare fatta nel fuoco di un grande movimento di donne, fra due diverse esigenze: il controllo pubblico e l'autonomia delle donne. L'aborto è autorizzato solo nelle nostre strutture pubbliche o convenzionate e secondo procedure fuori dalle quali l'aborto continua ad essere un reato. E insieme si riconosce alla donna la responsabilità della scelta finale. Questa titolarità di decisione rispecchia il grande mutamento avvenuto, l'essere le donne diventate soggetti morali, cioè responsabili di scelta su sessualità e maternità.
  Avere, cioè, acquisito una signoria sulla propria vita, che non è mai stata accettata dagli oppositori della legge. I continui tentativi di manomettere la legge n. 194 vogliono colpire, almeno simbolicamente, la facoltà di decidere delle donne, con l'ingerenza attiva, per metterle sotto tutela. Era questo il segno nel progetto del centrodestra della regione Lazio, che disegnava i consultori non per la prevenzione, ma come una sorta di tribunali di coscienze per dissuadere le donne, indurle al ripensamento, in un'ottica di colpa e non del rispetto della libera scelta. Anche questo induce alla clandestinità: se la mia dignità e privacy non vengono rispettate, Pag. 130cerco altre soluzioni; oppure, si vuole interferire sulle scelte mediche, ostacolando l'uso della RU486.
  E, poi, si contrappone un astratto diritto alla vita contro la vita reale di una donna, per cui i diritti – ne abbiamo sentito parlare or ora –, i diritti della donna sarebbero in lotta con il diritto a nascere dell'embrione, il debole, che lo Stato deve difendere dal rifiuto materno. È un mondo irreale: dove avete visto tutte queste donne così ciniche ? Noi veniamo al mondo grazie al corpo e all'amore della propria madre (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà). Nessuno è nato da sé o in contrapposizione alla madre. La relazione materna che origina dal rapporto tra madre e feto è indispensabile per nascere. Ed è proprio questa umana relazione di corpo e di mente che dà il fondamento al primato, sì il primato femminile, sulla procreazione: una donna non decide solo per lei, ma solo lei lo può fare, perché suo è il suo corpo, sua è la responsabilità di accogliere il concepimento come un inizio di vita.
  Non è individualismo: l'autodeterminazione è una libertà relazionale, è un principio etico di rilevanza pubblica. Non è in gioco quello che si pensa sull'aborto, siamo tutte per evitarlo, per prevenirlo; è in gioco il potere delle donne sulla propria vita, un potere che, da sempre, si vuole controllare anche attraverso la criminalizzazione dell'aborto, dimenticando che la vita si difende con la donna, non contro di essa e che diventare madri è una scelta, non un dovere.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  MARISA NICCHI. Concludo. Nel nostro Paese molto ci si anima sul valore della vita astratta, per cui si presume di tutelarlo, scrivendo in legge perfino i requisiti per diventare madri e padri, requisiti mutuati dal modello unico di famiglia eterosessuale – concludo –, come se solo questo modello garantisse le buone relazioni fra i sessi o con i figli. Vorrei ricordare la discussione fatta in quest'Aula sulle violenze domestiche. Allora, discussione molta sulla vita astratta, ma quando, però, c’è di mezzo una donna in carne ed ossa, nel mondo, magari in gravidanza o con il suo bambino, allora, mancano riconoscimento, lavoro, servizi, diritti. E tante giovani, intrappolate in una drammatica precarietà, rimandano una scelta di maternità, togliendo prezioso tempo.
  C’è bisogno – e con questo concludo – di una nuova stagione di diritti sociali e di libertà: è la sfida di SEL. Su questa necessità c’è una maggioranza nel Paese, visti i risultati dei comuni, a partire da Roma, e c’è una maggioranza anche in questo Parlamento, colleghi del PD e del MoVimento 5 Stelle, una maggioranza diversa da quella che sostiene il Governo. E, allora, colleghi e colleghe, come è stato detto da fonti autorevoli, scongeliamola al più presto (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Roccella. Ne ha facoltà.

  EUGENIA ROCCELLA. Signor Presidente, sull'obiezione di coscienza aleggia un grande equivoco, che alimenta le polemiche sulla legge n. 194: l'idea che i problemi dell'accesso all'interruzione volontaria di gravidanza nel nostro Paese dipendano dall'obiezione di coscienza.
  In altre parole, c’è l'idea che attraverso l'obiezione venga boicottata la legge sull'aborto, ponendo ostacoli alle donne che vi vogliono ricorrere. Vorrei cominciare col dire che, a prescindere dalle opinioni di ciascuno sulla legge n. 194, a favore o contro, si tratta di una legge dello Stato che va attuata integralmente, compresa fra l'altro la prima parte, che riguarda il sostegno alle maternità difficili e che non è mai stata veramente applicata ed è stata sostanzialmente affidata alle attività del volontariato e ad iniziative a macchia di leopardo. Il diritto all'obiezione di coscienza, e cioè il diritto a potersi astenere da qualcosa che sia profondamente contrario alla coscienza individuale, è un diritto che solo uno Stato autoritario o uno Stato etico possono negare. In una Pag. 131democrazia liberale l'obiezione di coscienza deve essere pienamente garantita e ha un grande valore concreto e simbolico per la libertà di coscienza del singolo.
  Entriamo nel merito di quello che appare come un luogo comune e cioè che il diritto all'obiezione di coscienza penalizzi l'accesso all'interruzione di gravidanza e verifichiamolo sul piano delle cifre, perché questo è l'unico modo laico per verificare se un'affermazione è vera o è falsa. Dai dati delle relazioni annuali al Parlamento sull'applicazione della legge n. 194, dati capillari e assolutamente attendibili, emerge un altro quadro: i numeri dimostrano che alla costante e continua diminuzione del numero di aborti corrisponde un aumento molto meno significativo del numero di obiettori di coscienza, che è sostanzialmente stabile negli ultimi dieci anni. Le cifre, cioè, dicono che non si possono riscontrare correlazioni fra il numero di obiettori di coscienza e i tempi di attesa delle donne che accedano all'interruzione volontaria di gravidanza. Quest'ultimo dato, i tempi di attesa, è il migliore che abbiamo a disposizione per misurare l'effettiva efficienza del servizio. Come abbiamo rilevato nella mozione presentata dal PdL, dai dati disponibili si vede come in alcune regioni all'aumentare degli obiettori di coscienza diminuiscano i tempi di attesa delle donne e, viceversa, in altre regioni, al diminuire del numero di obiettori aumentino i tempi di attesa, contrariamente a quanto si può immaginare. Consideriamo, per esempio, gli anni dal 2006 al 2009, perché è un triennio in cui gli obiettori erano in aumento: la percentuale di donne che aspetta meno di due settimane è aumentata ed è diminuita la percentuale di donne che aspetta da 22 a 28 giorni. Il che significa che il servizio è migliorato. Nello stesso triennio, nel Lazio, gli obiettori sono aumentati, i tempi di attesa diminuiti; un andamento analogo si ha in Piemonte e in Lombardia, invece, gli obiettori diminuiscono e i tempi di attesa aumentano, cioè sono peggiorati. In Umbria la situazione è come in Lombardia, ma più accentuata nelle cifre; in Emilia Romagna succede una cosa ancora diversa: diminuiscono gli obiettori e anche i tempi di attesa.
  I dati, dunque, dimostrano che le modalità di accesso all'interruzione volontaria di gravidanza sono completamente scisse dal numero degli obiettori di coscienza e dipendono, invece, dall'organizzazione sanitaria delle singole regioni. Non è possibile del resto che in tutte le strutture del Servizio sanitario nazionale si offrano tutti gli interventi sanitari; una mobilità dei cittadini fra le strutture del Servizio sanitario nazionale è inevitabile e le interruzioni volontarie di gravidanza non ne possono essere escluse, anche per motivi di sicurezza. Avviene così, ad esempio, per i punti nascita: è noto che al di sotto di un certo numero di parti l'anno una struttura sanitaria non può garantire sicurezza, esperienza e strumentazioni sufficienti; lo stesso si può dire di servizi essenziali come le terapie intensive, che non vengono offerte capillarmente in tutte le strutture sanitarie, e potremmo continuare a lungo.
  In realtà la cultura italiana ed il sistema sanitario hanno impedito che l'aborto fosse considerato un sistema di controllo delle nascite come in altri Paesi tanto che anche tra le straniere, che ricorrono da alcuni anni all'aborto mediamente molto più delle italiane, si nota ormai una stabilizzazione, quando non una diminuzione degli aborti. Vorrei dire che l'applicazione della legge n. 194 in Italia è una best practice, è una buona pratica, ed è così che dovrebbe essere considerata nel confronto con le altre realtà europee. D'altra parte, le politiche tradizionalmente considerate efficaci come metodi di prevenzione dell'aborto, come ad esempio il ricorso massiccio alla cosiddetta contraccezione d'emergenza, hanno mostrato il loro fallimento. Solo in Italia in tutta Europa il ricorso all'aborto, dopo il picco del 1982, è diminuito costantemente negli anni. In Svezia, in Inghilterra, in Francia, la pillola del giorno dopo è venduta senza ricetta medica e il suo uso è diffusissimo.Pag. 132
  Dal 1999, in Francia, la pillola del giorno dopo è negli armadietti scolastici per le classi con studenti a partire dagli 11 anni, e può essere data all'insaputa dei genitori. In Inghilterra, due anni fa, è partito un progetto per il quale le ragazzine fra gli 11 – ripeto, 11 – e i 13 anni possono chiedere la pillola del giorno dopo via sms, evitando il rapporto con la famiglia. Eppure gli aborti in questi due Paesi continuano ad aumentare, anche e soprattutto fra le minorenni. Secondo i dati disponibili, per le donne con meno di venti anni, nel 2008, in Italia, il tasso di abortività è pari al 7,2 per mille, in Inghilterra del 24 per mille, in Svezia del 24 per mille, in Spagna del 13 per mille, in Francia del 15 per mille, negli Stati Uniti del 20 per mille. In Europa, il Paese con il maggior tasso di abortività, il maggior numero di aborti, è la Svezia, che è il regno delle politiche di prevenzione che possiamo definire classiche, cioè facilità di accesso alla pillola del giorno dopo e alta diffusione della contraccezione chimica. Altrettanto avviene in Francia e in Inghilterra. Non è quindi dagli altri Paesi che dobbiamo imparare le politiche di prevenzione, ma dobbiamo meglio definire e implementare il modello italiano, che è un buon modello, nonostante tutte le sue imperfezioni e criticità.
  Abbiamo apprezzato, comunque, l'attenzione di tutti i gruppi nei confronti di un tema così delicato e lo sforzo per trovare punti di contatto e individuare impegni per il Governo che fossero condivisibili, pur nella differenza delle premesse contenute nelle mozioni e delle impostazioni culturali di ciascun gruppo parlamentare. Voglio ringraziare in particolare il Ministro, per il lavoro fatto e per la volontà di impegnarsi per uno scopo comune, una volontà dimostrata, devo dire, da tutti, quello della tutela della salute delle donne e insieme della libertà di coscienza, che è un prezioso bene per ogni cittadino (Applausi dei deputati del gruppo Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Di Vita. Ne ha facoltà.

  GIULIA DI VITA. Signor Presidente, colleghi, Ministri, l'interruzione volontaria di gravidanza veniva approvata il 22 maggio 1978, ben 35 anni fa. Prima di allora la disciplina penale considerava l'aborto provocato intenzionalmente come un grave reato. Fu una norma molto contestata, ma di sicuro fu la più avanzata. Se fino ad allora si registravano tra le 350 e le 450 mila interruzioni di gravidanza, l'anno successivo all'approvazione della legge n. 194 gli aborti documentati scesero a 237 mila. Oggi i dati ministeriali parlano di 115 mila interruzioni volontarie, nel 75 per cento dei casi si tratta di donne straniere. Nel dibattito sull'obiezione di coscienza non viene quasi mai messo in discussione il fatto che gli operatori sanitari possano rivendicare il diritto all'obiezione di coscienza. La premessa è che una società libera dovrebbe consentire ai propri cittadini di vivere in maniera conforme ai propri valori e di vedere rispettata la propria autonomia. È ovvio che lo scenario ideale sarebbe quello di trovare una soluzione che permetta di conciliare il diritto alla salute e all'autonomia del paziente con quella del medico, ovvero: la libertà della donna di decidere se continuare o no la gravidanza con la libertà del medico di decidere se partecipare o no all'interruzione di gravidanza.
  Dobbiamo prendere atto, però, che la ricerca di questa soluzione ideale è fallita. I ginecologi obiettori sono ormai più del 80 per cento e per le donne diventa ogni giorno più difficile riuscire a interrompere la gravidanza. Ci si trova di fronte alla situazione di dover scegliere se tutelare l'autonomia del professionista sanitario oppure schierarsi dalla parte delle donne e della loro battaglia per la libertà e per i diritti. Legittimo è il diritto all'obiezione di coscienza del professionista sanitario sull'interruzione di gravidanza, ma, d'altra parte, sembra chiaro che il buon medico non è quello che non pratica le interruzioni di gravidanze, ma quello che sta Pag. 133vicino alla donna, la quale sceglie liberamente, e non la lascia sola in un momento difficile. Tuttavia, il sistema sanitario nazionale affida alla buona volontà dei medici e degli operatori sanitari l'applicazione della legge. Nelle sue varie articolazioni territoriali, si sta rivelando, però, incapace di gestire la corretta applicazione della legge n. 194. L'obiezione di coscienza è un diritto consolidato, ma è responsabilità dello Stato far sì che non si traduca nella soppressione di altri diritti di pari dignità, come il diritto alla salute fisica e psichica della donna.
  Per le donne, questo si tramuta in un rischio altissimo, frequente e molto concreto di non potersi avvalere di un diritto garantito sul piano normativo. La conseguenza logica di questa situazione è il ricorso, praticamente inevitabile, all'aborto clandestino, in una misura difficilmente quantificabile in modo attendibile. In relazione alle condizioni in cui gli operatori si trovano a lavorare negli ospedali, un accento particolare è stato riservato alla stigmatizzazione verso tutto ciò che ruota attorno all'interruzione volontaria di gravidanza. Tale situazione di Cenerentola della ginecologia è il risultato anche del crescente numero degli obiettori, fattore che determina un pesante isolamento nell'ambito lavorativo, definito come una vera e propria ghettizzazione professionale.
  Nonostante questo difficile contesto, la ragione che li induce a mantenere la non obiezione è probabilmente la forte convinzione di voler applicare una legge frutto delle lotte delle donne. Il diritto all'obiezione di coscienza, essendo la coscienza elemento costitutivo della persona, non può che essere inteso come diritto fondamentale della stessa, inviolabile e costituzionalmente fondato. Lo Stato non può invadere e controllare l'interiorità dell'uomo, tuttavia, in uno Stato, se la volontà del singolo non può prevalere su quella della collettività e viceversa, si deve allora trovare il giusto equilibrio tra il difendere i nuovi diritti e il garantirne uno elementare e universale che li tiene in piedi tutti, cioè che la vita resta sempre un valore primario.
  Bisogna fare in modo che la libertà degli uni finisca dove inizia quella degli altri. Dall'approvazione della legge sull'aborto non vi è stata una regolamentazione specifica della materia. Va ricordato, ad esempio, che un medico, anche se obiettore di coscienza, non può rifiutarsi di curare la paziente che si è sottoposta a interruzione volontaria della gravidanza in ospedale: l'ha affermato la Cassazione in una recente sentenza con la quale è stata condannata all'interdizione dall'esercizio della professione medica e ad un anno di reclusione una dottoressa che, per via della sua dichiarata obiezione di coscienza, si era rifiutata di soccorrere una donna con una forte emorragia post interruzione volontaria di gravidanza.
  Pertanto, riteniamo sia arrivato il momento di attivarci per affrontare la problematica che si è venuta a creare, approfondendo innanzitutto lo studio del fenomeno. Infatti, come emerge dallo studio delle ricercatrici Galanti e Borzacchiello, in Italia, i medici non obiettori sono ormai pochissimi: i ginecologi obiettori sono passati dal 58,7 per cento nel 2005 al 70,7 per cento nel 2009, stabilizzandosi intorno a questa quota negli anni successivi e raggiungendo picchi dell'80 per cento nelle regioni meridionali.
  Ancora più allarmanti sono i dati relativi agli ospedali pubblici: la Laiga, libera associazione italiana ginecologi per l'applicazione della legge n. 194, denuncia che nel Lazio i ginecologi obiettori sono ormai oltre il 91 per cento. Non facciamo poi finta di non sapere che alcuni professionisti sanitari si dichiarano obiettori di coscienza nelle strutture pubbliche per poi praticare l'aborto in strutture private dove operano autonomamente. Questa non è deontologia professionale, ma nemmeno rispetto per il valore stesso della vita: questo si chiama opportunismo e speculazione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  Per provvedere in modo concreto riteniamo, quindi, indispensabile agire di con Pag. 134certo con le regioni che, nel tavolo di monitoraggio tra Stato centrale e assessorati regionali, potranno dare necessaria applicazione allo studio e al controllo del fenomeno. Di rilevante peso è anche il coinvolgimento di associazioni della società civile per la tutela della salute della donna, così come la valorizzazione del ruolo centrale dei consultori familiari.
  Infine, il nostro auspicio è che si provveda di concerto con tutte le forze politiche, con un intervento legislativo risolutivo, che possa garantire allo stesso livello entrambi i diritti in gioco, provvedendo ad assicurare la tutela della donna tramite l'impiego di strumenti e risorse alternativi in tutti quei casi in cui questa possa essere messa a repentaglio.
  Pertanto, voteremo a favore della nostra mozione e della mozione Migliore ed altri n. 1-00045 anche come impegno per le prossime azioni legislative di questo Parlamento, che ci auguriamo possano, d'ora in poi, riflettere con maggiore adesione alla realtà le concrete priorità di un Paese in emergenza che in ambito sanitario e della garanzia e tutela dei diritti umani ha molto altro ancora da affrontare e lo dobbiamo fare il più presto possibile (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Lenzi. Ne ha facoltà.

  DONATA LENZI. Signor Presidente, oggi alla nostra attenzione vi è il tema dell'obiezione di coscienza in ambito sanitario, e in particolare applicato alla legge n. 194. È un ambito particolarmente delicato, dove il diritto del singolo a non agire contro le proprie convinzioni si scontra con quello della libertà di scelta per la singola donna e contro la piena applicazione di una legge dello Stato.
  Non si tratta dell'unico caso in cui il nostro ordinamento si occupa dell'obiezione di coscienza: lo fa, per esempio, per la legge n. 40, lo fa sul tema della sperimentazione animale. Vorrei, però, qui ricordare che, per molti della mia generazione, il tema dell'obiezione di coscienza voleva dire, negli stessi anni, anche l'obiezione alla leva militare. Perché lo ricordo ? Perché il tema di come noi affrontiamo l'obiezione di coscienza può presentarsi a ciascuno di noi, a volte da parti e da punti di prospettiva diversi.
  Bene, oggi, dopo avere ascoltato la signora Ministro, dopo avere ascoltato gli interventi dei colleghi, lette le mozioni e le successive modifiche, noi possiamo dire che questo Parlamento, in larghissima maggioranza, considera la legge n. 194 un punto di certezza (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico) e si riconosce nell'equilibrio, faticosamente raggiunto in quegli anni, che la legge contiene, in particolare all'articolo 9. Vorrei ricordare la durezza del confronto negli anni Settanta, di come, poi, vi furono le basi per arrivare ad un referendum, ma vorrei ricordare a quest'Aula che in quel Parlamento si cercò anche di lavorare ad un testo che il più possibile tenesse conto delle diverse anime e delle diverse opinioni.
  Infatti, siamo nella stessa situazione, siamo in un Parlamento dove è possibile e dobbiamo rivendicare la possibilità di trovare nuovi punti di unità. Vi ricordo, allora, che l'articolo 9 della legge n. 194 riconosce l'obiezione di coscienza alle attività specificatamente e necessariamente dirette a determinare l'interruzione di gravidanza, e – ricordiamocelo – non all'assistenza antecedente e conseguente l'intervento, assistenza che spetta sempre alla donna.
  A fianco di quel riconoscimento, vi è l'obbligo – l'obbligo – degli enti ospedalieri e delle case di cura di assicurare l'interruzione di gravidanza e la responsabilità delle regioni per organizzare il servizio, anche ricorrendo alla mobilità del personale.
  Quando gli obiettori superano in alcune regioni l'80 per cento, è il momento di soffermarsi a comprendere quali sono le ragioni di una così ampia scelta, perché, Pag. 135inevitabilmente, vi è il rischio che, invece che valoriali, siano la conseguenza dello scoraggiamento conseguente all'aumento del carico di lavoro, ed è difficile dire che non incida in alcuna misura sulla possibilità delle donne, almeno nelle regioni che sono più significativamente colpite, di accedere ai servizi.
  Trentacinque anni dopo, la legge n. 194 si dimostra una buona legge, che permette e contiene al suo interno anche le risposte. Il numero degli aborti è calato drasticamente, il tasso di abortività, che è il migliore indicatore, è passato da 17,2 aborti per mille donne in età fertile, nel 1982, al 7,8 per mille del 2010.
  Se la legge ha aiutato ad uscire tante donne dalla clandestinità, hanno contribuito a questo risultato anche la rete dei consultori, l'avvento del Servizio sanitario nazionale e anche il generale innalzamento del reddito e dell'istruzione. Sono tanti i fattori che hanno permesso a questo Paese di essere uno di quelli in Europa dove il tasso di abortività è più basso.
  Questi, però, colleghi, sono dati del 2010. Ringrazio il Ministro di avere preso l'impegno a portare a noi in tempi brevi la relazione completa con tutti i dati richiesti dal Parlamento, la nuova relazione del 2013.
  Io però vorrei ricordare che un parlamentare non basa il proprio orientamento solo sui numeri, solo sui dati. Li basa anche sull'ascolto, sull'interpretazione, sulla rappresentanza della voce di quelli che vengono a segnalare i problemi. Allora, signor Ministro, mi permetto di esprimere preoccupazione perché c’è più povertà, molta più precarietà, molta più paura del futuro e nel contempo ci sono meno servizi, molti meno consultori e molte risorse in meno per il Servizio sanitario e per i comuni. Non sono le condizioni migliori per una scelta libera, consapevole di avere figli e questa rischia di essere un'epoca in cui saremo di nuovo di fronte a difficili decisioni rispetto alla maternità. Io mi auguro che questo Parlamento, che in questo mese ha dedicato già due sedute alla condizione femminile, possa dedicare altro tempo e soprattutto buone leggi per affrontare modo propositivo il tema complessivo della tutela della donna, della maternità della donna e del nostro diritto al lavoro e a una vita piena (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto.

(Votazioni)

  PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
  Come da prassi, gli atti di indirizzo saranno posti in votazione per le parti non assorbite o non precluse da votazioni precedenti, anche tenendo conto che il parere del Governo è favorevole. Come mi è stato richiesto dal deputato Rosato, ricorderemo la riformulazione, e chiederò al Governo di ricordare le varie riformulazioni proposte per le mozioni interessate.
  Passiamo alla votazione della mozione Migliore ed altri n. 1-00045 (Ulteriore nuova formulazione). Chiedo al Governo di ricordare la riformulazione proposta.

  BEATRICE LORENZIN, Ministro della salute. Signor Presidente, negli impegni, al numero 6, dopo «non obiettori» aggiungere «anche attraverso una diversa gestione e mobilità del personale, garantendo la presenza di una adeguata rete di servizi in ogni regione».

  PRESIDENTE. Passiamo ai voti. Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Migliore ed altri n. 1-00045 (Ulteriore nuova formulazione), nel testo riformulato, accettata dal Governo.

  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Ravetto, Turco, Tancredi, De Lorenzis, Zaccagnini, Di Lello, Cera, Sisto...

Pag. 136

  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

   (Presenti  507   
   Votanti  253   
   Astenuti  254   
   Maggioranza  127   
    Hanno votato
 230    
    Hanno votato
no   23).    

  Passiamo alla votazione della mozione Lenzi ed altri n. 1-00074 (Nuova formulazione), riformulata dal Governo. Chiedo al Governo di ricordare la riformulazione proposta.

  BEATRICE LORENZIN, Ministro della salute. Signor Presidente, negli impegni, al quarto capoverso, dopo «intraprendere» aggiungere «fornendo alle medesime la previa conoscenza delle modalità e dei rischi connessi».

  PRESIDENTE. Passiamo ai voti. Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Lenzi ed altri n. 1-00074 (Nuova formulazione), nel testo riformulato, accettata dal Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Hanno votato tutti ? Placido, Tancredi, Amici... Hanno votato tutti ?
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

   (Presenti  509   
   Votanti  467   
   Astenuti   42   
   Maggioranza  234   

    Hanno votato  449    
    Hanno votato no   18).    

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Lorefice ed altri n. 1-00078 (Nuova formulazione), accettata dal Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Mantero, Silvia Giordano, Di Battista, Farina, Piepoli, Patriarca. Hanno votato tutti ?
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

   (Presenti  509   
   Votanti  230   
   Astenuti  279   
   Maggioranza  116   

    Hanno votato  210    
    Hanno votato
no   20).    

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Brunetta ed altri n. 1-00079, accettata dal Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Chi non ha votato ? Silvia Giordano, Tancredi, Minardo, Giorgis... Qualcun altro non ha votato ? Vignaroli... Qualcun altro non ha votato ?
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

   (Presenti  510   
   Votanti  116   
   Astenuti  394   
   Maggioranza   59   
    Hanno votato
 116)    

  Passiamo alla votazione della mozione Rondini ed altri n. 1-00080, riformulata dal Governo. Chiedo al Governo di ricordare la riformulazione proposta.

  BEATRICE LORENZIN, Ministro della salute. Signor Presidente, negli impegni, al secondo capoverso, dopo «finalizzati» aggiungere «a rafforzare il ruolo dei consultori familiari per una piena e corretta applicazione della legge nella parte relativa alla tutela della maternità» ed eliminare le parole da «offrire» fino a «aborto».

Pag. 137

  PRESIDENTE. Passiamo ai voti. Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Rondini ed altri n. 1-00080, nel testo riformulato, accettata dal Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Silvia Giordano, Colonnese, Mantero... Chi altro non ha votato ? Placido, Gribaudo... Hanno votato tutti ?

  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

   (Presenti  508   
   Votanti  264   
   Astenuti  244   
   Maggioranza  133   
    Hanno votato
  87    
    Hanno votato
no  177).    

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Binetti ed altri n. 1-00081, accettata dal Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Carrescia, Gadda, Maria Stella Bianchi, Bolognese, Oliaro, Cani...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   (Presenti  508   
   Votanti  274   
   Astenuti  234   
   Maggioranza  138   
    Hanno votato
sì  100    
    Hanno votato no  174).

  (La Camera respinge – Vedi votazioni).

  Passiamo alla mozione Tinagli ed altri n. 1-00082. Chiedo al Governo di ricordare la riformulazione proposta.

  BEATRICE LORENZIN, Ministro della salute. L'ultimo punto del dispositivo viene sostituito interamente da: «ad attivarsi perché l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica sia proposta come opzione alle donne che entro i limiti di età gestazionale imposti dalla metodica devono poter scegliere quale percorso intraprendere, fornendo alle medesime la piena conoscenza delle modalità e dei rischi connessi».

  PRESIDENTE. Passiamo ai voti. Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Tinagli ed altri n. 1-00082, nel testo riformulato, accettata dal Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Colonnese, Rizzetto, Nesci, Carfagna, Daniele Farina.
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  512   
   Votanti  243   
   Astenuti  269   
   Maggioranza  122   
    Hanno votato  228    
    Hanno votato no  15.    
  (La Camera approva – Vedi votazioni).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Formisano ed altri n. 1-00087, accettata dal Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Toninelli, Madia...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  512   
   Votanti  218   
   Astenuti  294   
   Maggioranza  110   
    Hanno votato  204    
    Hanno votato no   14.    Pag. 138
  (La Camera approva – Vedi votazioni).

  Passiamo alla mozione Meloni ed altri n. 1-00089. Chiedo al Governo di ricordare la riformulazione proposta.

  BEATRICE LORENZIN, Ministro della salute. All'inizio del quarto capoverso introdurre le parole: «a verificare la possibilità di adottare».

  PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Meloni ed altri n. 1-00089, come riformulata su richiesta del Governo e sulla quale il Governo ha espresso parere favorevole.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Onorevole Stumpo... onorevole Luigi Gallo... hanno votato tutti ? Onorevole Palazzotto...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

   (Presenti  506   
   Votanti  262   
   Astenuti  244   
   Maggioranza  132   
    Hanno votato
  78    
    Hanno votato
no  184).    

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Locatelli ed altri n. 6-00014, accettata dal Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Onorevole Murer... Onorevole Fico... Onorevole Fantinati... Onorevole Romele... Onorevole Tancredi Paolo... Onorevole Polidori... Onorevole Cancelleri... Onorevole Gribaudo...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

   (Presenti  512   
   Votanti  259   
   Astenuti  253   
   Maggioranza  130   
    Hanno votato
 236    
    Hanno votato
no   23).    

Modifica nella composizione dell'ufficio di presidenza di un gruppo parlamentare e affidamento dei poteri attribuiti dal Regolamento nell'ambito dell'ufficio di presidenza del medesimo gruppo parlamentare.

  PRESIDENTE. Comunico che con lettera pervenuta in data odierna il presidente del gruppo parlamentare Fratelli d'Italia ha reso noto che sono stati nominati vicepresidente il deputato Fabio Rampelli e tesoriere il deputato Pasquale Maietta. Al deputato Achille Totaro è stato inoltre affidato l'esercizio dei poteri attribuiti in caso di assenza o impedimento del presidente, secondo quanto previsto dall'articolo 15, comma 2, del Regolamento della Camera.

Sull'ordine dei lavori (ore 20,40).

  GENEROSO MELILLA. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  GENEROSO MELILLA. Signor Presidente, colleghi deputati, già quindici giorni fa, avevo posto un problema che non solo non si è risolto...

  PRESIDENTE. Cortesemente, se lasciate l'Aula, se potete farlo a bassa voce, grazie.

  GENEROSO MELILLA. ..., ma si è ulteriormente aggravato perché il Governo continua a non rispondere alle interrogazioni e alle interpellanze, facendo venire meno un diritto importante che i parlamentari, in questo caso i deputati, hanno per quanto riguarda il controllo dell'attività politica e di Governo. L'articolo 129 Pag. 139del nostro Regolamento parla chiaro e dà un limite di due settimane al Governo per la risposta alle interrogazioni e alle interpellanze. Io chiedo alla Presidenza della Camera di far applicare questo articolo del Regolamento e di reintrodurre una relazione corretta tra il Governo e il Parlamento (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle).

  NAZZARENO PILOZZI. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  NAZZARENO PILOZZI. Signor Presidente, sabato pomeriggio, un ragazzo per bene, Federico, è stato insultato, offeso e aggredito a colpi di pietra, per fortuna senza gravi conseguenze, mentre tornava a piedi dalla stazione per rientrare a casa.
  Federico ha solo vent'anni ed è l'ennesima vittima di una vergognosa violenza omofoba nei confronti di un ragazzo gay, un ragazzo impegnato Federico, militante di SEL e candidato nelle ultime elezioni amministrative nella sua città, Aprilia. Atti come questo sono inammissibili in una comunità civile. A Federico e a tutte le vittime della violenza omofoba dobbiamo far percepire chiaramente che non sono soli. Dobbiamo dimostrare che quest'Aula è, senza se e senza ma, al loro fianco.
  Quindi, basta chiacchiere e «bla bla bla»: impegniamoci tutti a calendarizzare e approvare la legge contro l'omofobia (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Ecologia Libertà e MoVimento 5 Stelle), presentata come primi firmatari dagli onorevoli Scalfarotto e Zan. Basta fare melina su questo tema ! L'Italia deve cessare di essere il Paese dove l'omosessualità è vissuta come un peso e come un problema. Un Paese potrà dirsi autenticamente libero e democratico quando discriminazioni e pregiudizi non esisteranno più (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Ecologia Libertà e MoVimento 5 Stelle).

  ALESSANDRO ZAN. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  ALESSANDRO ZAN. Signor Presidente, è successo a Treviso: manifesti con su scritto «Con la sinistra a Treviso tutti avranno gli stessi diritti: cittadini onesti e delinquenti» e accanto a questo slogan le foto della Presidente Boldrini e del giovane candidato di SEL poi eletto in consiglio comunale, Said Chaibi. Said Chaibi, 23 anni, è stato il più votato della lista. È di origine marocchina ed ha vissuto tutto il ventennio leghista in città, ossia è cresciuto nella Treviso di Gentilini, che si divertiva ad evocare gli spari ai leprotti immigrati. È in questo clima che Said, durante la campagna elettorale, è stato vittima, oltre che di quei manifesti, anche di insulti e minacce sulla rete, di pesanti insinuazioni, offese ed anche di un episodio di intimidazione, con un inseguimento avvenuto mentre attaccava i manifesti.
  Ne parliamo oggi ad elezioni concluse perché lo stesso Said, con grande coraggio e responsabilità, ha voluto aspettare la fine della campagna elettorale, ma con forza diciamo oggi che ci troviamo di fronte ad azioni inqualificabili per la nostra democrazia. Concludo: a Said abbiamo espresso tutta la nostra solidarietà, ma ci vuole una condanna politica di atteggiamenti e comportamenti che sono esplicitamente razzisti e violenti. E la Lega dovrebbe prendere le distanze e condannare questi episodi. Non farlo è segno di complicità con una politica che non rispetta i più elementari e fondamentali diritti di cui questo Parlamento è garanzia per la nostra democrazia (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Ecologia Libertà e MoVimento 5 Stelle).

  CLAUDIO FAVA. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  CLAUDIO FAVA. Signor Presidente, il portavoce del Governo greco ha annunciato un paio d'ore fa che questa sera, a mezzanotte, le trasmissioni della televisione pubblica greca e della radio greca cesseranno. Da mezzanotte di oggi quattro Pag. 140canali di televisione pubblica greca e cinque canali radiofonici greci non esisteranno più. Tutto questo – spiega il portavoce del Governo greco – per rispondere alle richieste della trojka e per procedere in questo processo di privatizzazione delle aziende a partecipazione statale, che dovrebbe permettere, nella logica della spending review che è stata proposta alla Grecia, di rientrare rispetto alle condizioni di debito pubblico. Io e noi la consideriamo un fatto grave, un grave vulnus al pluralismo, al giornalismo indipendente, alla qualità della democrazia, alla stessa idea di Europa, che oggi si vede costretta ad obbedire anzitutto alle richieste e ai privilegi dei banchieri, a scapito di un'idea di Europa che avrebbe dovuto privilegiare intanto il diritto civile dei greci ad avere una televisione e una radio pubblica (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Ecologia Libertà e MoVimento 5 Stelle).

  ILEANA ARGENTIN. Chiedo di parlare per fatto personale.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  ILEANA ARGENTIN. Signor Presidente, sulla questione personale devo dire che durante la seduta, dopo il mio intervento, mi si è avvicinato il deputato Buonanno, che mi ha fatto risentire la registrazione.
  Effettivamente c'era una serie di attacchi più che alle persone disabili o, comunque, alle persone cui veniva erogato un servizio, ai medici, a tutto ciò che era intorno alla sporcizia, che era intorno alla legge n. 104. Se è così che intendeva io desidero scusarmi, ma per quanto riguarda le parole successive di Fedriga io non ho mai utilizzato né mai ho strumentalizzato nulla che avesse a che vedere con la disabilità. Non permetto né a lei né a nessun altro di pensare che io possa essere una foglia di fico. Io sono una persona che ama vivere e sono qui per il gusto di rappresentare migliaia e migliaia di persone, non per strumentalizzare la mia patologia, le assicuro, perché trovo vergognoso...

  MASSIMILIANO FEDRIGA. Nessuno ha detto questo!

  ILEANA ARGENTIN. No, lei mi vuole rifar sentire...no, le ho sentite bene.

  PRESIDENTE. Non fate dibattito cortesemente, concluda.

  ILEANA ARGENTIN. Credo sia necessario ricordare che se lei ha l'idea che io stia strumentalizzando perché me lo posso permettere in quanto su una carrozzina (Commenti del deputato Massimiliano Fedriga)..., no scusi mi faccia finire però, poi lei dirà la sua ovviamente. Io le dico francamente che la cosa non sta né in cielo né in terra. Ho sempre portato avanti i diritti delle persone con disabilità, finalmente oggi qualcuno mi ha contraddetta e finalmente sono passata dalla scafetta, come dire, al giusto e corretto disappunto verso il parere di un altro onorevole. Per cui vi ringrazio anche per questo, però io non ho strumentalizzato nessuna parola (Commenti del deputato Massimiliano Fedriga)..., no ! Non le ho strumentalizzate...

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  ILEANA ARGENTIN. Le chiedo scusa. E non mi sono permessa in nessun modo di attaccare nessuno se non perché avevo capito male sulla legge n. 104, ma non ho strumentalizzato nessuna parola. Grazie. (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Sinistra Ecologia Libertà, MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Per fatto personale ha chiesto di intervenire il deputato Buonanno.

  GIANLUCA BUONANNO. Grazie. Ringrazio la collega Argentin perché sinceramente mi sono trovato in imbarazzo e mi dispiace che l'Aula sia mezza vuota, perché essere incolpati di una cosa quando non è così e lontana dal mio pensiero, mi è dispiaciuto molto. Vorrei anche sottolineare, visto che si parla di fatto personale, che sulla questione dei portatori di handicap, Pag. 141ho una sensibilità abbastanza particolare perché mio zio, che non c’è più, è nato portatore di handicap al 100 per cento ed è vissuto tanti anni vicino a me e quindi so benissimo che cosa significa vivere vicino a chi ha delle difficoltà e nel mio intervento, volevo solo specificare, così com’è nella registrazione e come sarà certamente nel resoconto, che nella legge n. 104 bisogna difendere chi ha queste difficoltà, ma bisogna fare in modo di combattere chi abusa di questa legge e di chi, grazie anche all'aiuto di qualche medico che dovrebbe essere radiato dall'albo, si fa certificare degli handicap, che poi in realtà non ha, solo per avere dei privilegi.
  Questo è stato il mio intervento che voglio ribadire in questo momento all'Aula. Quindi, per il fatto di aver chiesto scusa, ringrazio la collega Argentin ed affermo che il collega Fedriga, quello che ha detto e lo sottoscrivo. Ciò, per difendere sia quello che ho detto io sia il contesto, perché il testo di quello che io ho letto precedentemente l'avevamo concordato, quindi il collega Fedriga è praticamente uguale a me in quello che è stato l'intervento precedente.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Buttiglione. Ne ha facoltà.

  ROCCO BUTTIGLIONE. Grazie Presidente. Ma solo per difendere l'onore di qualche decina o diverse decine di migliaia di ginecologi italiani. Ho sentito in quest'Aula delle parole che mi hanno veramente fatto inorridire. Pensiamo davvero che tutti i ginecologi italiani obiettori siano persone le quali fanno gli aborti privati di nascosto per fare dei soldi ? Ce ne sarà qualcuno, ma vedere in un fenomeno di questa portata decine e decine di migliaia di operatori sanitari che rifiutano di fare gli aborti, un fenomeno di corruzione è una cosa che è inammissibile, inaccettabile, indegna dell'Aula in cui viene rappresentato il popolo italiano di cui questi medici fanno parte.
  E mi ha stupito che a nessuno sia venuto in mente che forse alcuni di loro – forse molti, forse pochi – non vogliono fare gli aborti semplicemente per un motivo: perché vedono un bambino fatto a pezzi, e questo fa orrore (Commenti dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Sinistra Ecologia Libertà).

  GIANLUCA BENAMATI. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  GIANLUCA BENAMATI. Signor Presidente, intervengo brevemente perché desidero richiamare la sua attenzione, e per suo tramite quella del Presidente della Camera, onorevole Boldrini, su un'anomalia che a mio avviso occorre sanare con una certa celerità, e che concerne il funzionamento dell'Aula.
  In occasione della formazione dell'Esecutivo Letta, alcuni membri dell'Ufficio di Presidenza hanno assunto incarichi ministeriali, e coerentemente hanno rassegnato le dimissioni dalle loro funzioni. Ciò fa sì che oggi la Camera lavori con un ufficio di Presidenza incompleto, cosa non giustificabile, non ammissibile anche ai sensi del nostro Regolamento. Chiedo quindi che, trascorso un ragionevole lasso di tempo (lo chiedo come deputato), la Presidente della Camera onorevole Boldrini – e per questo mi rivolgo alla Presidente, per suo tramite – ponga in essere tutte le procedure atte a reintegrare il normale funzionamento e la completezza dell'Ufficio di Presidenza della Camera.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Sarà mia premura informare la Presidente.

  KHALID CHAOUKI. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  KHALID CHAOUKI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi riferisco agli attacchi violenti e vili che sempre più spesso ricevono le sedi del nostro partito, il Partito Democratico, prima in Abruzzo e anche questa mattina all'alba, in Calabria, dai militanti di Forza Nuova, che ci preoccupano ma non ci fermeranno. Aggressioni Pag. 142alle sedi del PD da parte dei militanti calabresi di Forza Nuova a Crotone, Catanzaro, Lamezia, Rossano, Reggio Calabria e Cosenza, con l'affissione di striscioni recanti la scritta: «L'immigrazione uccide»; e il loro comunicato, che mi unisce alla Ministra Kyenge come causa della loro presa di posizione, perché impegnati in Aula insieme a tanti altri colleghi sul fronte della riforma dell'attuale legge sulla cittadinanza.
  Queste vergognose e codarde manifestazioni non possono che rinsaldare il nostro lavoro a fianco dei lavoratori immigrati, e in particolare delle seconde generazioni, tutti qui italiani di fatto, ma stranieri per legge, che attendono dalla politica non più parole, ma finalmente una riforma seria e la cancellazione di inaccettabili discriminazioni.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  KHALID CHAOUKI. Diciamo a questi signori che la società multietnica che tanto temono non è una prospettiva futura, ma è già qui; e magari queste persone che nella notte, coperti dall'oscurità, attaccano le sedi di un partito, davanti alle televisioni gioiscono invece per la vittoria della nazionale di calcio, possibile grazie anche a giocatori come Balotelli e El Shaarawy.
  Questi gravissimi atti, come è avvenuto stamane, rappresentano certamente il delirio di una minoranza in un'Italia ormai plurale, ma in questi difficili tempi di crisi crediamo potrebbero portare a gravi problemi in termini di coesione sociale e conflitti pericolosi. Una iniezione continua di veleni, di razzismo e xenofobia, che spopolano sui siti web, sulle nostre pagine Facebook e con i messaggi privati. A questa odiosa deriva diciamo «basta», diciamo «basta» alla ricerca spietata di un facile capro espiatorio.

  PRESIDENTE. La invito nuovamente a concludere.

  KHALID CHAOUKI. Sollecitiamo quindi il Ministro Alfano a individuare immediatamente i responsabili di questi atti, e chiediamo anche a tutti i partiti e ai colleghi di condannare in modo netto questa deriva razzista e xenofoba, che supera ormai davvero dei limiti inaccettabili e che non possiamo più tollerare.

  DAVIDE TRIPIEDI. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  DAVIDE TRIPIEDI. Signor Presidente, intervengo in ricordo di Enrico Berlinguer, e mi scuso se non l'ho fatto prima.
  Dieci anni prima che nascesse Tangentopoli, il vero compagno Enrico Berlinguer rilasciò un'intervista a Eugenio Scalfari, ex direttore di La Repubblica, che a distanza di anni fa rabbrividire. «Oggi la situazione descritta è sfruttata a pieno regime dai partiti. Oggi i partiti sono macchine di potere, di clientela, di scarsa conoscenza della vita e dei problemi reali della società e della gente: programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile pari a zero. I partiti gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta loschi, e comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, distorcendoli senza perseguire il bene comune».

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  DAVIDE TRIPIEDI. «I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal Governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, i giornali, la RAI TV. Insomma tutto è lottizzato e spartito. Il risultato è drammatico: tutte le operazioni che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell'interesse del partito o della corrente o del clan a cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi ai rapporti di clientela».
  Potrei andare avanti con l'intervista, ma mi fermo qui. Questo è il pensiero di Enrico Berlinguer. Quanto è attuale questa intervista. Quanto sentimento e sincerità Pag. 143in queste parole. Questo è il modo in cui dice «ciao» alla politica dei corrotti. Noi, come Enrico Berlinguer, vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato e noi, come MoVimento 5 Stelle, ce la stiamo mettendo tutta per scardinare questo sistema malefico.
  Faccio un appello a tutti i cittadini affinché ci aiutino in questo difficile compito e alle persone oneste sedute in questo Parlamento: fatelo anche voi. Dico: grazie Enrico, ti ricorderemo sempre come un grande uomo onesto, un vero onorevole di Stato, da cui tante persone dovrebbero prendere esempio. Grazie ancora, Enrico Berlinguer (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  MARCO CARRA. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  MARCO CARRA. Signor Presidente, desidero rappresentarle un fatto estremamente preoccupante. L'Unione europea ha stanziato 670 milioni quale contributo alla ricostruzione dei territori colpiti dal sisma nel maggio dello scorso anno. Lo stanziamento è stato stabilito all'incirca alla fine del 2012, quindi sono passati esattamente sei mesi. Di questi 670, 37 sono stati destinati alla Lombardia ovvero al territorio mantovano. Ebbene, il territorio ha compreso solo pochissimo tempo fa che questi fondi, cioè quelli destinati a Mantova, non sono ancora disponibili in ragione di una opposizione – non mi viene un altro termine – della sezione lombarda della Corte dei conti. La Corte dei conti infatti chiede un provvedimento specifico del Governo, non ritenendo sufficiente l'atto amministrativo prodotto dal prefetto Gabrielli, circa dieci giorni fa. Ovviamente, signor Presidente, vorrei solo chiederle di farsi interprete nei confronti del Governo affinché venga adottato questo provvedimento nel primo Consiglio dei ministri utile. Purtroppo, ancora una volta registriamo la latitanza della regione Lombardia, che ha fatto trascorrere sei mesi non interessandosene, non assumendo alcuna iniziativa al riguardo, se non attraverso un tardivo e timido intervento del presidente Maroni.
  Fra le altre cose, visto che in qualche modo mi sento portavoce dei tanti amministratori locali che stanno su questo terreno conducendo una battaglia particolarmente robusta, intendo, signor Presidente, chiederle di farsi interprete nei confronti del Governo affinché nella relazione con l'Unione europea ci si adoperi per tentare di portare a casa una proroga, perché questi fondi vanno rendicontati tra novembre e dicembre dell'anno in corso e con questo ritardo pensiamo che non sarà possibile utilizzarli tutti. Credo che questo sarebbe un male per quei territori colpiti dal sisma e che non hanno alcuna responsabilità di questi ritardi.

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Mercoledì 12 giugno 2013, alle 9:

  1. – Informativa urgente del Governo sul grave attentato in Afghanistan che ha causato la morte del capitano Giuseppe La Rosa nonché il ferimento di altri tre militari italiani.

  (ore 10,30)

  2. – Informativa urgente del Governo sugli sviluppi della situazione in Turchia.

  (ore 12)

  3. – Informativa urgente del Governo sugli incidenti verificatisi in occasione della manifestazione degli operai dell’ex Thyssen a Terni il 5 giugno scorso.

  (ore 15)

  4. – Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

  (ore 16)

Pag. 144

  5. – Discussione della proposta di legge:
   GARAVINI ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere (C. 482).

   e delle abbinate proposte di legge: MIGLIORE ed altri; BRUNETTA ed altri (C. 887-1001).

  La seduta termina alle 21.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO TIZIANO ARLOTTI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI RATIFICA N. 875-A ED ABB.

  TIZIANO ARLOTTI, Relatore. Onorevoli colleghi, esprimo particolare soddisfazione per il fatto che la Commissione Affari esteri riferisca oggi all'Assemblea sul provvedimento di ratifica dell'accordo fiscale tra Italia e San Marino che costituisce un rilevante coronamento dell'insieme degli storici rapporti bilaterali.
  Il provvedimento in esame intende ratificare sia la Convenzione tra Italia e San Marino per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le frodi e l'evasione fiscale, fatta a Roma il 21 marzo 2002, sia il relativo Protocollo di modifica, firmato a Roma il 13 giugno 2012. Il Protocollo, in particolare, predispone la base normativa adeguata allo scopo di aggiornare alcune delle disposizioni contenute nella stessa Convenzione, con particolare riferimento allo scambio di informazioni fiscali, prevedendo il sostanziale superamento del segreto bancario.
  Desidero sottolineare che la ratifica in discussione completa un percorso lungo e complesso finalizzato a normalizzare, anche rispetto agli standards internazionali, le relazioni tra i due Paesi ponendo inoltre le basi – come segnalato, a nome del Governo, dal viceministro degli affari esteri Lapo Pistelli nel corso del dibattito svolto in Commissione – per l'ulteriore ratifica di due altri accordi fondamentali, risalenti al 2009, in materia di cooperazione economica e di collaborazione finanziaria.
  L'approvazione del presente disegno di legge assume oggi ancora più valore in quanto risponde a un orientamento condiviso, emerso nel Consiglio europeo di Bruxelles del 22 maggio scorso, finalizzato a delineare un'efficace risposta europea al fenomeno dell'evasione e della frode fiscale, che ammonterebbe ormai, a livello UE, a circa 864 miliardi di euro (di cui 180 miliardi soltanto in Italia).
  Al riguardo ricordo che il Consiglio europeo ha convenuto di dare la massima priorità alla promozione, a livello internazionale, dello scambio automatico di informazioni ed ha raccomandato espressamente agli Stati membri il ricorso ad accordi contro le doppie imposizioni – come quello al nostro esame – nell'intento di evitare la creazione di enclaves con assenza totale di imposizione – e di perfezionare gli accordi dell'UE tra alcuni Paesi, tra i quali figura anche la Repubblica di San Marino.
  Non potendo in questa sede illustrare analiticamente le disposizioni contenute nel testo, rinvio all'ampio dibattito svolto in Commissione e concluso conferendo all'unanimità il mandato al Relatore a riferire all'Assemblea, ma desidero rimarcare due aspetti di fondamentale rilievo sui quali è intervenuta la Convenzione.
  Mi riferisco innanzitutto all'articolo 15 che, nel regolare la tassazione dei circa 5 mila quattrocento lavoratori frontalieri residenti in Italia, stabilisce che i due Stati contraenti convengono di applicare il sistema di tassazione concorrente, con tassazione definitiva nello Stato di residenza. Viene così preclusa la famigerata «tassa etnica» a carico dei frontalieri italiani. Pertanto, la legislazione sanmarinese non potrà che essere adeguata in tal senso, una volta che l'Accordo sia entrato in vigore, ponendo fine alla palese disparità di trattamento rispetto ai lavoratori residenti a San Marino introdotta a partire dal 2011 in termini particolarmente gravosi ed iniqui.Pag. 145
  D'altra parte, mi preme sottolineare che l'Italia si è a sua volta impegnata, ai sensi dell'articolo 4 del Protocollo aggiuntivo, a prevedere una norma di legge che esenti una quota del reddito lordo dei lavoratori frontalieri, al fine di regolamentare definitivamente la materia secondo un principio di equità fiscale che riconosca l'alto valore per il Paese del lavoro all'estero.
  Si realizza quindi, proprio in avvio di questa legislatura, quella pax fiscale che la stessa Commissione esteri della passata legislatura aveva promosso attraverso due riunioni congiunte con l'omologa Commissione del Consiglio grande e generale di San Marino, nell'intento di superare l'impasse creatasi tra i nostri Stati in relazione all'adozione degli accordi in materia economico-finanziaria.
  L'altro punto sul quale vorrei richiamare l'attenzione dell'Assemblea è stato evidenziato, peraltro, anche nei pareri resi, in sede consultiva, dalle Commissioni Bilancio e Finanze e riguarda l'articolo 26 della Convenzione – così come sostituito dall'articolo IV del citato Protocollo del giugno 2012 – in materia di scambio di informazioni fiscali.
  La norma citata, nello stabilire che le Parti non possono rifiutarsi di fornire le informazioni di natura tributaria per il solo fatto che esse siano detenute da una banca ovvero da un'altra istituzione finanziaria, permette il superamento del segreto bancario in ottemperanza alle raccomandazioni formulate nel 2011 dall'OCSE circa la necessità che San Marino proseguisse nella politica di maggiore trasparenza intrapresa concludendo alcuni accordi internazionali per lo scambio di informazioni fiscali.
  L'approvazione della ratifica consentirà di risolvere il nodo dell'inserimento della Repubblica di San Marino nella cosiddetta black list collegata al decreto-incentivi del Ministero dell'economia e delle finanze.
  Con la conclusione dell'iter di ratifica della Convenzione, si perfezionerà, infatti, la realizzazione di un clima di trasparenza e di fiducia nelle relazioni bilaterali tra i due Paesi, clima che si è rafforzato con l'adozione, da parte sanmarinese, di una serie di efficaci interventi normativi tra cui, per citarne solo alcuni, le modifiche alla normativa in materia di segreto bancario per permettere un effettivo scambio di informazioni; la riforma della normativa in materia di società, comprendente l'eliminazione della forma giuridica della società anonima, le misure di rafforzamento degli strumenti di contrasto alle frodi e agli illeciti tributari; il riassetto della normativa in materia di rogatorie e assistenza giudiziaria in materia penale al fine di agevolare ulteriormente la cooperazione giudiziaria con le autorità degli altri paesi in materia penale e in campo bancario e finanziario.
  Formulo, infine, l'auspicio di una celere conclusione del procedimento di ratifica, anche in vista delle commemorazioni del 75o anniversario della Convenzione di amicizia e buon vicinato tra l'Italia e la Repubblica di San Marino, firmata il 31 marzo 1939, che ricorrerà Fanno prossimo.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO DANIELE PESCO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI RATIFICA N. 875-A ED ABB.

  DANIELE PESCO. Per il moVimento 5 Stelle sistemi d'evasione come i paradisi fiscali devono essere combattuti con ogni mezzo. Riscontriamo infatti come questi espedienti per eludere il fisco siano riservati a pochi privilegiati e creino situazioni di disagio molto pericolose nei contribuenti onesti e lavoratori dipendenti, i quali sono costretti a subire una pressione fiscale eccessiva ed ingiusta.
  Riteniamo che la concessione d'elusione nei paradisi fiscali abbia un impatto diseducativo, soprattutto se svolto dalla classe dirigente e dalle grosse aziende o multinazionali, che incentivano così anche le piccole a cercare stratagemmi evasivi.
  Se ne parla moltissimo sia a livello nazionale che internazionale, ma la politica non sembra troppo determinata a muoversi per attuare concretamente qualche Pag. 146provvedimento a danno di chi sposta grandi capitali e grandi interessi.
  Per fortuna almeno il Parlamento europeo se ne sta occupando. Mi riferisco ad una recente risoluzione, quella del 21 maggio 2013 sulla lotta contro la frode fiscale, l'evasione fiscale e i paradisi fiscali (2013/2060(INI))
  Molti diranno che il Parlamento europeo rispetto alla Commissione europea non conta molto, un po’ come qui da noi, ma sono ottimista, vero colleghi, che prima di tornare a casa almeno una legge la facciamo dall'inizio alla fine in Parlamento senza che il Governo ci dica come fare ? Che dite magari, una legge sul falso in bilancio ? O sul conflitto d'interessi ?
  In ogni modo tale risoluzione è molto interessante soprattutto nella parte delle considerazioni dove il Parlamento europeo prende atto: che si stima che ogni anno nell'UE vada perduta – a causa della frode fiscale, dell'evasione e dell'elusione fiscale nonché della pianificazione fiscale aggressiva – la scandalosa cifra di mille miliardi di euro di gettito potenziale, il che rappresenta un costo annuo di circa 2 mila euro per ogni cittadino europeo, senza che siano adottati provvedimenti adeguati per far fronte al problema; che la frode fiscale e l'evasione fiscale costituiscono attività illecite di evasione del debito d'imposta mentre, d'altro canto, l'elusione rappresenta l'utilizzo legale ma improprio del regime fiscale per ridurre o eludere i debiti d'imposta; e che la pianificazione fiscale aggressiva consiste nell'approfittare degli aspetti tecnici di un regime fiscale o delle differenze fra due o più regimi fiscali allo scopo di ridurre il debito d'imposta; che il permanere di distorsioni causate da pratiche fiscali non trasparenti o dannose da parte di giurisdizioni che fungono da paradisi fiscali può causare flussi artificiali ed effetti negativi in seno al mercato interno dell'UE; che la dannosa concorrenza fiscale all'interno dell'UE è chiaramente contraria alla logica del mercato unico; che si deve fare di più per armonizzare le basi imponibili all'interno di un'Unione economica, fiscale e di bilancio sempre più integrata. Aggiungiamo noi che queste cose forse andavano fatte prima dell'unione monetaria ma, proseguiamo che il ricorso a pratiche di elusione fiscale da parte delle aziende multinazionali contrasta con il principio della concorrenza leale e della responsabilità delle imprese; che, in risposta alle misure adottate dagli Stati membri per rimediare alla mancanza di trasparenza, alcuni contribuenti convogliano le loro operazioni d'affari attraverso un'altra giurisdizione con un livello di trasparenza inferiore..., da noi non è mai capitato che i giornalisti investigativi, il settore non governativo e il mondo accademico sono stati determinanti nel far emergere casi di frode fiscale, elusione fiscale e paradisi fiscali e nell'informare debitamente l'opinione pubblica in proposito. Grazie giornalisti; che il potere legislativo in materia fiscale attualmente appartiene agli Stati membri.
  Sottolinea l'importanza di attuare nuove strategie e di utilizzare in modo più efficiente le strutture esistenti a livello dell'UE per migliorare la lotta alla frode sull'IVA, in particolare la frode «carosello»; secondo me qui parla di alcuni cittadini italiani tra i quali sicuramente c’è un ex premier; invita il Consiglio, a tale proposito, ad adottare e attuare tempestivamente la direttiva che – modifica la direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto per quanto riguarda un meccanismo di reazione rapida contro le frodi in materia di IVA; accoglie con favore i primi passi adottati contro l'evasione fiscale in occasione delle revisioni tra pari del Forum mondiale; reputa tuttavia che, puntando sul sistema di scambio di informazioni «su richiesta» dell'OCSE, le norme del Forum mondiale saranno prive di efficacia per ridurre i flussi finanziari illeciti; evidenzia che, privilegiando un approccio bilaterale anziché multilaterale nei confronti delle questioni fiscali transnazionali, gli accordi di doppia imposizione rischiano di incoraggiare i prezzi di trasferimento e l'arbitraggio normativo; molto bella la risoluzione del Parlamento europeo ma quello che purtroppo manca è la concretezza, che non può che arrivare dai paesi Pag. 147membri che verso i paradisi fiscali devono prendere una posizione decisa e non parziale !
  Ad esempio: oggi ratifichiamo la convenzione con San Marino, ma con la Svizzera ?
  Ci si stava muovendo verso un accordo, che poi è slittato. Ci sono stime di centinaia di miliardi depositati illecitamente li, ma ovviamente quando bisogna prendere i soldi nelle tasche dei più deboli la politica è efficientissima, mentre quando ci sono da agguantare grossi evasori o delinquenti dopo mesi di contrattazioni l'idea migliore che vi è venuta in mente è stata lo scudo fiscale, bravi, complimenti, volete che tutti paghino le tasse e che facciano sacrifici, ma siete i primi a dare un esempio veramente criminale votando questi provvedimenti per condonare i proventi d'affari illeciti.
  La parte di cittadini che rappresentiamo non sopporta più di essere martoriata dalle tasse e di continuare a vedere questi comportamenti ed esige che i politici siano meno incoerenti e i primi a dare l'esempio alla società, ne va della sopravvivenza di quel poco che ne rimane dell'integrità economica e morale del paese e magari perché no prendendo spunto dalla risoluzione menzionate sopra.
  Per quanto riguarda il tema della seduta ossia la ratifica della convenzione con San Marino per evitare le doppie imposizioni significhiamo che non ci è piaciuto né la fretta con la quale è stata affrontato questo argomento nelle varie commissioni né il modo: nel titolo si parla di frode fiscale ma all'interno della relazione tecnica non una parola su come per anni si è perpetrato tale reato.
  Non una parola sul modo in cui si è arrivati a questa convenzione ed ai motivi per i quali non è stata ratificata in 10 anni.
  Per arrivare alla modifica della convenzione costruita e siglata un anno fa dal Governo Monti e vi dirò che già solo per questo motivo un po’ più di calma e chiarezza l'avremmo gradita nell'affrontare l'argomento.
  Ad esempio non è stata fatta una diesamina sui protocolli siglati dagli altri paesi Europei con San Marino, in tema di prevenzione di doppie imposizioni e frodi fiscali. Ebbene, l'abbiamo fatta noi e ci è stato facile vedere come siano state prese soluzioni simili ma con parametri differenti per quanto riguarda il pagamento d'imposte al paese d'origine ad esempio sui dividendi per i detentori di quote rilevanti di società dall'OCSE. L'articolo 4 della modifica stabilisce difatti che sarà obbligatorio lo scambio di informazioni bancarie finalizzate: al rispetto degli accordi convenzionali; all'applicazione di quanto stabilito dalla stessa convenzione; alle attività svolte dai necessari organi di controllo preposti.
  Questo ci piace molto peccato però che l'articolo quinto sancisce che lo scotto da pagare per l'ottenimento di queste informazioni è legata a un forte sconto, in alcuni casi totale, su quanto l'Italia potrebbe tassare i capitali con destinazione San Marino.
  Stiamo parlando di dividendi, canoni, interessi, che nella convenzione del 2002 potevano essere tassati nel paese d'origine con percentuali dal 5 al 10 al 15 per cento, nella modifica si registra la forte presenza di percentuali pari allo 0 per cento – ripeto 0 per cento – di possibile tassazione fatta dal paese d'origine. In realtà si tratta sempre di accordi bilaterali, ma sinceramente ho una vaga sensazione che i capitali qui da noi siano sempre orientati dall'Italia verso l'estero e difficilmente viceversa.
  Sarà che la parola accordo, per natura, non ci fa impazzire: a noi piacciono le parole trasparenza, equità, condivisione, in quanto rappresentano principi base che secondo noi sono principi etici e universali che non hanno bisogno di essere barattati con i soldi.
  Per non parlare degli accordi fatti dall'Italia con altri paesi: sempre a proposito di dividendi il principio base è che gli stessi siano tassati dal paese in cui la persona risiede, tuttavia ci si è accordati anche per una tassazione applicata nel paese d'origine tramite aliquote che ad Pag. 148esempio nel caso della Bulgaria al 10 per cento, con il Belgio al 15 per cento, con l'Austria al 15 per cento, con la Germania al 15 per cento e al 10 per cento, San Marino 0 per cento.
  Dalle relazioni fornite dalla Camera dei deputati si apprende che il mancato gettito non è alto ma secondo noi questa soluzione altro non è che un invito a spostare le società. a spostare i dividendi a spostare i capitali verso un paese, si certo amico, ma con l'unico scopo di pagare meno tasse.
  Riscontriamo ad ogni modo dei passi in avanti in materia con l'approvazione del protocollo pretendiamo giustizia, massimo impegno ed attenzione da parte dei rappresentanti della politica sul tema perché sono i cittadini onesti a chiederlo a gran voce.
  Stiamo parlando delle persone normali, che non hanno conti offshore o partecipazioni rilevanti in aziende e sono stufe del servilismo svolto da parte di molti rappresentanti della democrazia nei confronti dei poteri forti.

TESTO INTEGRALE DEGLI INTERVENTI DEI DEPUTATI DORINA BIANCHI E ANDREA VECCHIO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLE MOZIONI CONCERNENTI IL DIRITTO ALL'OBIEZIONE DI COSCIENZA IN AMBITO MEDICO-SANITARIO

  DORINA BIANCHI. Gentile Presidente, onorevoli colleghi, l'obiezione di coscienza è un diritto proprio di ogni ordinamento liberale, fondato su una visione laica dell'etica, che vede nel primato della coscienza, intesa come «norma ultima concreta dell'agire umano», un suo cardine fondamentale.
  In Italia, in ambito medico sanitario, il diritto all'obiezione è espressamente codificato e disciplinato, quindi riconosciuto, nella legge n. 194 del 1978, all'articolo 9, sulla interruzione volontaria della gravidanza, oltre che nella legge n. 413 del 1993 sulla sperimentazione animale e nella legge n. 40 del 2004 all'articolo 16 sulla procreazione medicalmente assistita.
  Inoltre, la risoluzione n. 1763 del 2010 dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa «The right of conscientious objection in lawful medical care» afferma che: «nessuna persona, ospedale o istituzione deve essere costretta, ritenuta responsabile o discriminata in alcun modo per il rifiuto a eseguire, accogliere, assistere o sottoporsi a un aborto, all'esecuzione di un aborto spontaneo umano, o all'eutanasia o a qualsiasi atto che potrebbe causare, per qualsiasi ragione, la morte di un feto o di un embrione umano».
  La donna ha certamente diritto a ricorrere all'interruzione volontaria della gravidanza, nei termini previsti dalla legge 194, ma è importante ricordare che anche il personale medico ha il diritto di agire secondo le proprie convinzioni e quindi di avvalersi del diritto di fare obiezione di coscienza, senza sentirsi accusato di utilizzare l'obiezione in termini strumentali o come vessillo politico.
  In quest'Aula è doveroso ricordare a tutti che la legge n. 194 del 1978 ha come primaria finalità la tutela del valore sociale della maternità. Prevede una serie di compiti affidati ad enti, istituzioni e alla società stessa, affinché l'aborto sia un'eccezione e il rispetto della vita sin dal suo inizio sia la regola.
  In particolare, il disposto della legge riconosce alla madre, in caso di gravidanza che le crei difficoltà, la possibilità di scegliere fra la propria vita o salute e la vita del figlio che porta in utero, come unica eccezione in un contesto generale di diritto che tutela sia la madre che il concepito.
  Proprio a tutela del valore sociale della maternità, è doveroso inoltre ricordare che la legge 194 sollecita lo Stato a mettere in atto interventi concreti affinché la donna possa avere margini di scelta più ampi rispetto a quelli che la società spesso le impone. Questo è forse l'aspetto della legge che finora è stato più trascurato, per dare seguito invece a strumentalizzazioni politiche della normativa. Vorrei in particolare Pag. 149ricordare ai presenti quanto disposto dall'articolo 1 della legge, nel quale si afferma che lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconoscendo non solo il valore sociale della maternità ma anche «la tutela alla vita umana fin dal suo inizio».
  Sempre secondo la legge (articolo 2) i consultori familiari hanno il compito di contribuire a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all'interruzione della gravidanza. I consultori, inoltre, sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita.
  Le strutture sanitarie, dunque, come del resto i consultori, hanno il compito, specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall'incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, le possibili soluzioni dei problemi, tentando di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza. È dunque la struttura sanitaria ad essere chiamata quale primo presidio a sostegno della donna, offrendole – come dispone la legge – «tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto».
  È innegabile inoltre il legame tra la situazione economica e la scelta di continuare la gravidanza: mettere in grado la donna di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, dovrebbe essere un dovere di tutti, ma cercare insieme a lei di affrontare le avversità della vita nei momenti bui, offrendole una seconda altra visione, è compito di chi la sostiene anche dal punto di vista sanitario.
  I dati che emergono dalle relazioni ISTAT del 2005, del 2008 e del 2010 segnalano un tasso di interruzioni volontarie della gravidanza in costante riduzione, ma un costante incremento nella abortività spontanea. In particolare, rispetto al 1988 (ma anche al 1993), anno in cui gli aborti spontanei erano 55.000, essi sono aumentati di 11.000 unità all'anno nel 2001 (+20 per cento), di 17.000 all'anno nel 2005 (+ 30 per cento) e di 22.000 unità all'anno nel 2007 (+37 per cento).
  Secondo i dati ufficializzati dal Ministero della salute nella «Relazione 2012 sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l'interruzione volontaria di gravidanza (legge 194/78)», si legge che nel 2011 sono state effettuate 109.538 IVG, con un decremento del 5,6% rispetto al dato definitivo del 2010 (115.981 casi) e un decremento del 53,3% rispetto al 1982, anno in cui si è registrato il più alto ricorso all'IVG (234.801 casi). I dati raccolti dunque registrano una continua diminuzione del ricorso delle donne all'aborto. A tale diminuzione corrisponde, sempre secondo i dati della relazione del Ministero della salute, un aumento molto meno significativo del numero di obiettori di coscienza, sostanzialmente stabile negli ultimi anni. Sempre nella relazione, si legge che in materia di obiezione di coscienza, il Comitato nazionale per la bioetica ha recentemente formulato un parere, nel quale ha riconosciuto che l'obiezione di coscienza è un diritto fondamentale della persona, costituzionalmente tutelato, e ha altresì affermato che la tutela dell'obiezione di coscienza «non deve limitare né rendere più gravoso l'esercizio di diritti riconosciuti per legge». Al riguardo il Comitato nazionale per la bioetica, affinché l'obiezione di coscienza venga esercitata in modo sostenibile, raccomanda che la legge 194 preveda, accanto alla tutela dell'obiezione di coscienza, «misure adeguate a garantire l'erogazione dei servizi», che la disciplina sia tale «da non discriminare né gli obiettori né i non obiettori e quindi non far gravare sugli uni o sugli altri, in via esclusiva, servizi particolarmente gravosi o poco qualificanti», nonché «la predisposizione di un'organizzazione delle mansioni e del reclutamento Pag. 150(...) che può prevedere forme di mobilità del personale e di reclutamento differenziato atti a equilibrare, sulla base dei dati disponibili, il numero degli obiettori e dei non obiettori».
  A queste considerazioni si aggiunga inoltre che può essere attentamente valutata l'opportunità di un coinvolgimento del personale obiettore di coscienza in attività di prevenzione dell'aborto, in maniera coerente con le convinzioni di coscienza manifestate.
  A fronte della continua riduzione del ricorso all'aborto tra le donne italiane, riduzione tuttavia più lenta nelle condizioni di maggiore svantaggio sociale, l'aumento degli aborti effettuati da donne straniere, dovuto al costante incremento della loro presenza nel Paese, rappresenta una criticità importante. La maggiore incidenza dell'IVG tra le donne con cittadinanza estera impone, inoltre, una particolare attenzione rispetto all'analisi del fenomeno, in quanto le cittadine straniere, oltre a presentare un tasso di abortività, peraltro diverso per nazionalità, stimato 3-4 volte maggiore di quanto attualmente risulta tra le italiane, hanno una diversa composizione socio-demografica, che muta nel tempo a seconda del peso delle diverse nazionalità, dei diversi comportamenti riproduttivi e della diversa utilizzazione dei servizi. È dunque necessario diffondere una cultura della vita, anche mediante apposite campagne di sensibilizzazione, rivolte in particolare non solo alle giovani italiane ma altresì alle donne straniere, mediante l'implementazione di interventi e servizi in multilingua nelle scuole e nei servizi sociali.
  Gentile Presidente, onorevoli colleghi: come detto all'inizio, lo sforzo deve essere comune affinché sia adottata ogni iniziativa per la piena applicazione della legge 194. È necessario valorizzare la legge in particolare nella parte dedicata alla prevenzione a tutela della maternità, all'importanza della maternità come valore sociale, all'importanza di predisporre iniziative volte al sostegno psicologico delle donne, lavoratrici e non, che non ritengono di poter far fronte ad una maternità.
  È dunque necessario assumere ogni iniziativa volta ad eliminare qualsiasi tipo di discriminazione fra lavoratori obiettori e non obiettori di coscienza, affinché tutti siano posti nelle medesime condizioni di lavorare in modo sereno e corrispondente alla propria coscienza e specialmente siano in grado, qualora le condizioni lo permettano, di essere di reale appoggio psicologico alle scelte della donna, aiutandola a costruire con spirito collaborativo una visione differente del futuro.

  ANDREA VECCHIO. Signora Presidente, colleghe e colleghi deputati, ecco cosa si legge nei cartelli scritti a penna appesi in molti ospedali italiani: «Qui non si effettuano più interruzioni volontarie di gravidanza.» E se magari si chiedono informazioni, ci si sente rispondere: «Tutti i medici qui sono obiettori, vada da qualche altra parte».
  L'altra parte può essere un altro ospedale, un'altra città, un'altra regione e perfino l'estero.
  Ma spesso, l'altra parte è una squallida stanza approntata alla meno peggio per un aborto clandestino.
  Proprio come accadeva prima del 22 maggio del 1978 (giorno in cui la legge 194 veniva approvata), quando gli aborti erano affidati a mammane praticone, che tra arnesi agghiaccianti ed erbe curative, ne tramandavano i segreti e la presunta vergogna.
  Oggi, secondo il ministero della salute, sono ventimila le interruzioni di gravidanza illegali, ma i dati reali parlano di numeri molto più alti.
  Accedere ai diritti che la 194 dovrebbe garantire è, infatti, difficilissimo. Un percorso a ostacoli.
  Così per le donne più fragili, troppo giovani o poco dotate economicamente, è normale finire nella trappola della clandestinità.
  Si parla, quindi, di aborti d'oro: eseguiti in studi medici attrezzati, in Italia o all'estero.
  E si parla di aborti poveri: donne che abortiscono da sole usando farmaci acquistati illegalmente.Pag. 151
  Ragazzine che si aggirano sperdute alla ricerca di spacciatori che le riforniscano di un farmaco per l'ulcera a base di misoprostolo, che assunto in dosi elevate provoca l'aborto.
  Si tratta spesso di minorenni che nulla sanno della legge 194, dei consultori, dei giudici tutelari, e che inghiottendo qualche pillola mettono fine a un incubo tutto vissuto in solitudine.
  Ma gli aborti poveri si praticano pure in ambulatori abusivi nelle mani di medici senza scrupoli.
  Una clinica degli orrori e ovviamente fuorilegge è stata scoperta e chiusa dalla Guardia di Finanza proprio poche settimane fa.
  Si trovava a Padova, era gestita dalla mafia cinese e incassava 4000 euro al giorno.
  Ma perché, se in Italia da ben 35 anni c’è una legge per sostenere le donne che non vogliono portare avanti la gravidanza ?
  Il 69,3 per cento dei medici ginecologi italiani fa obiezione di coscienza. È una cifra impressionante che addirittura raggiunge punte dell'80 per cento nel meridione.
  Contro la legge 194 c’è un complotto silenzioso, spinto anche dai cosiddetti movimenti per la vita.
  Secondo testimonianze documentate, i volontari dei movimenti pro life, incredibilmente collocati nei consultori, accolgono le pazienti invitandole a riflettere, cercando di convincerle a non farlo e parlando apertamente di omicidio.
  È, per esempio, il caso di Piera: una donna di 44 anni, che avendo già 3 figli di cui una down, non poteva permettersi una gravidanza anche per il rischio di un nuovo handicap, e si è trovata a dover fronteggiare l'umiliante terzo grado di alcuni volontari del movimento per la vita.
  Sarebbe ora di finirla con la condanna morale dell'aborto e con gli isterismi che ne alimentano da decenni il dibattito.
  I medici che praticano l'interruzione di gravidanza sono ormai dei cinquanta-sessantenni che hanno avuto verso la legalizzazione dell'aborto un approccio politico e militante.
  Mentre gli obiettori, tantissimi, sono medici più giovani che, obiettando, evitano che la loro carriera si impantani nella sola pratica dell'interruzione di gravidanza.
  Altro discorso andrebbe fatto per le scelte di convenienza legate agli equilibri di potere nelle strutture sanitarie.
  Equilibri che, nei fatti, costringono a obiettare per non infastidire nessuno in un Paese che fatica a essere davvero laico.
  La smisurata crescita dell'obiezione di coscienza significa che fra circa 5 anni ci sarà un'improvvisa diminuzione di personale in grado di praticare l'interruzione di gravidanza.
  Vorrà dire disperdere una tradizione tecnica che non potrà avere facilmente ricambio, perché l'interruzione di gravidanza non si insegna nelle università.
  Ma, soprattutto, significherà rischiare che un'ottima legge dello Stato non potrà di fatto essere applicata.
  Una legge che ha subito ben 35 ricorsi di incostituzionalità.
  Tutti respinti, ma che dimostrano che la 194 dà ancora e sempre fastidio. Dà fastidio la sua modernità e la sua aconfessionalità.
  Dà fastidio l'autodeterminazione della donna. E riguardo a questo, cari colleghi, vorrei dire una cosa.
  Il diritto all'interruzione di gravidanza non dovrebbe riguardare solo le donne, se è vero che le donne non si fecondano da sole. Anche gli uomini dovrebbero iniziare una seria riflessione su un tema che viene a gravare esclusivamente sulle donne.
  Prima del 1978, si registravano negli ospedali circa 400mila interruzioni di gravidanza l'anno, trattate come aborti spontanei ma, in gran parte, procurati.
  L'anno seguente all'approvazione della 194, gli aborti erano scesi a circa 200mila.
  Oggi sono 115 mila e nel 75 per cento dei casi riguardano donne straniere.Pag. 152
  Ogni anno in Italia vengono condannati 7 operatori sanitari per aborti praticati in strutture non idonee.
  Credo sia chiaro che la legge 194 sia un grande strumento di civiltà che ha sottratto le donne all'aborto clandestino, garantendo loro – almeno sulla carta – assistenza e cure sanitarie adeguate.
  Però, la 194 in questo momento traballa.
  Risale a più di trent'anni fa e sarebbe ormai tempo di vederla attuata compiutamente, senza sbavature e contraddizioni.
  Senza ostilità da parte del personale sanitario, senza umiliazioni per le donne.
  Una donna che decide di abortire dovrebbe sentirsi protetta e rispettata in una struttura sanitaria che ha il dovere di accoglierla. Se, infatti, è giusto che un Paese moderno offra la possibilità, per temi così delicati, dell'obiezione di coscienza – che da laico tollerante ritengo sia un grande strumento d'intelligenza e civiltà – la legge 194 prevede però che la prestazione sanitaria venga comunque offerta dalla struttura a chi ha il diritto di richiederla.
  Vorrei ricordare, e concludo, un'altra importante questione: quella dei consultori.
  Presidi di civiltà che dovrebbero garantire un aiuto concreto e che nel nostro Paese stanno sempre più perdendo centralità e importanza.
  Invece di dare spazio a controversi movimenti oscurantisti, bisognerebbe insistere con una corretta informazione sulle pratiche contraccettive.
  Manca, inoltre, una mappatura ufficiale delle interruzioni di gravidanza provenienti dalle ASL, che permetterebbe di ridurre le liste d'attesa e di servirsi della mobilità del personale, come prevede la legge.
  Ecco cosa servirebbe al nostro Paese: informazione, trasparenza, chiarezza, efficienza.
  Cari colleghi, vi chiedo dunque di votare «sì» alla mozione Tinagli per garantire, semplicemente, l'applicazione di un'importante legge in una nazione che si definisce laica ed europeista.

VOTAZIONI QUALIFICATE EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 3 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 13)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Nom. Ddl 875-A e abb. - articolo 1 492 492 247 492 40 Appr.
2 Nom. articolo 2 487 487 244 487 40 Appr.
3 Nom. articolo 3 502 502 252 501 1 39 Appr.
4 Nom. articolo 4 510 510 256 510 39 Appr.
5 Nom. odg 9/875-A e abb./3 524 507 17 254 109 398 38 Resp.
6 Nom. Ddl 875-A e abb. - voto finale 525 525 263 525 36 Appr.
7 Nom. Ddl 841 - articolo 1 528 528 265 528 36 Appr.
8 Nom. articolo 2 534 534 268 534 36 Appr.
9 Nom. articolo 3 540 540 271 540 36 Appr.
10 Nom. Ddl 841 - voto finale 524 524 263 523 1 36 Appr.
11 Nom. Moz. Gallo L. e a. 1-00035 527 488 39 245 109 379 35 Resp.
12 Nom. Moz. Giordano G. e a. 1-00076 530 426 104 214 33 393 35 Resp.
13 Nom. Moz. Buonanno e a. 1-00083 529 521 8 261 16 505 35 Resp.

F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M = Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui è mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi è premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.

INDICE ELENCO N. 2 DI 3 (VOTAZIONI DAL N. 14 AL N. 26)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
14 Nom. Moz. Formisano e a. 1-00086 rif. 530 371 159 186 370 1 35 Appr.
15 Nom. Moz.Giorgia Meloni e a. 1-00090 ri 529 524 5 263 384 140 35 Appr.
16 Nom. Moz. Coscia e a. 1-00091 530 388 142 195 372 16 35 Appr.
17 Nom. Ris. Di Lello e a. n. 6-00013 532 394 138 198 9 385 35 Resp.
18 Nom. Moz. Migliore e a. 1-00045 n.f. 507 253 254 127 230 23 34 Appr.
19 Nom. Moz. Lenzi e a. 1-00074 n.f. 509 467 42 234 449 18 34 Appr.
20 Nom. Moz. Lorefice e a. 1-00078 n.f. 509 230 279 116 210 20 34 Appr.
21 Nom. Moz. Brunetta e a. 1-00079 510 116 394 59 116 34 Appr.
22 Nom. Moz. Rondini e a. 1-00080 rif. 508 264 244 133 87 177 34 Resp.
23 Nom. Moz. Binetti e a. 1-00081 508 274 234 138 100 174 34 Resp.
24 Nom. Moz. Tinagli e a. 1-00082 512 243 269 122 228 15 34 Appr.
25 Nom. Moz. Formisano e a. 1-00087 512 218 294 110 204 14 34 Appr.
26 Nom. Moz.Giorgia Meloni e a.1-00089 rif 506 262 244 132 78 184 34 Resp.


INDICE ELENCO N. 3 DI 3 (VOTAZIONI DAL N. 27 AL N. 27)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
27 Nom. Ris. Locatelli e a. 6-00014 512 259 253 130 236 23 34 Appr.