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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 23 di lunedì 27 maggio 2013

Pag. 1

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LAURA BOLDRINI

  La seduta comincia alle 16,05.

  ANNALISA PANNARALE, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 22 maggio 2013.
  (È approvato).

Annunzio dell'attribuzione del titolo di Viceministro a sottosegretari di Stato.

  PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Consiglio dei Ministri ha inviato, in data odierna, la seguente lettera:
  «Onorevole Presidente, informo la Signoria vostra che con decreto del Presidente della Repubblica in data odierna, adottato su mia proposta, previa approvazione da parte del Consiglio dei Ministri, a norma dell'articolo 10, comma 3, della legge del 23 agosto 1988, n. 400, delle deleghe di funzioni conferite dal Ministro degli affari esteri, è stato attribuito il titolo di Viceministro ai sottosegretari di Stato presso il medesimo Dicastero onorevole dottor Bruno Archi, dottoressa Marta Dassù e onorevole dottor Lapo Pistelli.
Firmato: Enrico Letta».

Missioni.

  PRESIDENTE. Invito il segretario Pannarale a procedere alla lettura delle missioni.

  ANNALISA PANNARALE, Segretario, legge:
  Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Alfreider, Amici, Archi, Baretta, Berretta, Bocci, Borletti Dell'Acqua, Bray, Caparini, Capezzone, Carrozza, Casero, D'Alia, Dambruoso, De Girolamo, Dell'Aringa, Dellai, Fassina, Ferranti, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Alberto Giorgetti, Kyenge, Letta, Lorenzin, Lupi, Merlo, Migliore, Orlando, Pisicchio, Sani, Santelli e Speranza sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quaranta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

  Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

In ricordo di Fabiana Luzzi (ore 16,07).

  PRESIDENTE. Prima di procede alla discussione della ratifica della Convenzione di Istanbul vorrei che il pensiero di questa Assemblea andasse a Fabiana Luzzi (l'Assemblea e il rappresentante del Governo si levano in piedi), bruciata viva per gelosia a sedici anni da un ragazzo di diciassette, il suo fidanzato.
  Ancora una volta la violenza travestita da amore, un orrore al quale non possiamo assuefarci e che dimostra come la sfida alla quale siamo chiamati sia culturale. Lo dice bene la Convenzione che Pag. 2andiamo a ratificare, laddove nei suoi principi introduttivi ricorda che «l'uguaglianza di genere de iure e de facto è un elemento chiave per prevenire la violenza contro le donne». Dunque, nessuna violenza può essere debellata fino a quando il rapporto uomo-donna non si libererà di concetti come subalternità e possesso.
  Ma la Convenzione di Istanbul dice anche di più: per la prima volta la violenza contro le donne viene incardinata nell'ambito della violenza dei diritti umani, ovvero dei diritti fondamentali della persona. Animati da questi principi, auspico che si arrivi subito alla sua ratifica e alle leggi necessarie per la sua pratica applicazione.
  In segno di lutto, invito l'Assemblea ad osservare un minuto di silenzio per Fabiana e per tutte coloro che come lei sono state uccise (Si leva in piedi – L'Assemblea osserva un minuto di silenzio – Applausi).

Sull'ordine dei lavori (ore 16,10).

  FABRIZIO CICCHITTO. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  FABRIZIO CICCHITTO. Signor Presidente, volevo cogliere questa occasione – prima che inizino i nostri lavori, e sapendo e cogliendo il fatto che la vicenda non è collegata esattamente alla questione che noi svolgeremo – per esprimere la solidarietà mia, della Commissione affari esteri, e, credo, di tutta la Camera dei deputati, a Barbara De Anna. Barbara De Anna è stata colpita da una incursione terroristica in Afghanistan. È una operatrice che sta sul campo per una Commissione dell'ONU che riguarda i migranti. I giornali ce l'hanno descritta – io non ho purtroppo l'onore di averla conosciuta – come una persona colta, appassionata, che è stata anni sul campo, facendo questo difficilissimo lavoro. Io credo che noi dobbiamo cogliere questa occasione comunque per esprimerle la nostra solidarietà e l'augurio di una pronta guarigione (Applausi).

  PRESIDENTE. La ringrazio e la Presidenza si associa a questo augurio.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge Mogherini ed altri; Spadoni ed altri; Migliore ed altri, Bergamini ed altri, Giorgia Meloni ed altri: Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta ad Istanbul l'11 maggio 2011 (A.C. 118-878-881-940-968-A) (ore 16.11).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge di ratifica nn. 118-878-881-940-968-A: Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l'11 maggio 2011.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 15 maggio 2013. A seguito dell'odierna riunione della Conferenza dei Presidenti di gruppo, a ciascun gruppo è stato assegnato, per la sola discussione sulle linee generali, un tempo aggiuntivo fino a 15 minuti.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 118-A ed abbinate)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Informo che i Presidenti dei gruppi parlamentari Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente, Partito Democratico e Sinistra Ecologia Libertà ne hanno chiesto l'ampliamento.
  Avverto che la Commissione Affari esteri si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di svolgere la relazione la relatrice, deputata Maria Rosaria Carfagna.

  MARIA ROSARIA CARFAGNA, Relatore. Grazie Presidente. Onorevoli colleghi, Pag. 3desidero iniziare questa mia relazione esprimendo particolare soddisfazione per il fatto che la Commissione Affari esteri abbia inteso iniziare i lavori di questa legislatura riferendo all'Assemblea sulle proposte di legge di iniziativa parlamentare relative alla ratifica ed esecuzione della Convenzione di Istanbul, vale a dire il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che istituisce, nel quadro del Consiglio d'Europa, un meccanismo di tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza, includendo la prevenzione, la repressione, ma anche l'assistenza e la protezione delle vittime.
  Vorrei anche sottolineare il significativo rilievo politico rappresentato dal fatto che risultano abbinati cinque testi presentati dai gruppi parlamentari sia di maggioranza che di opposizione, che la Conferenza dei Presidenti di gruppo, per unanime volontà delle parti politiche, confortata e supportata dalla sensibilità della Presidente della Camera, ha tempestivamente calendarizzato in Assemblea.
  Il fenomeno della violenza sulle donne in tutte le sue forme è ormai un dramma quotidiano. Le storie di Ilaria, di Alessandra, di Chiara, di Fabiana – per citare soltanto le più recenti – raccontano di episodi di una efferatezza inaudita, di donne giovanissime, di adolescenti che hanno pagato con la vita la volontà di ribellarsi a legami con uomini che le consideravano, evidentemente, poco più che un oggetto di loro proprietà.
  La violenza è ancora troppo spesso una manifestazione di rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato e continuano a portare alla dominazione sulle donne, alla loro discriminazione, alla sopraffazione degli uomini sulle donne.
  È una realtà persistente e pervasiva che anche in società avanzate come la nostra assume la dimensione di una inaccettabile violazione dei diritti umani e di un autentico pericolo sociale, come confermato dalle statistiche sul femminicidio.
  Ecco, allora, che la ratifica della Convenzione di Istanbul costituisce un'occasione da non perdere per continuare ad affrontare e contrastare il fenomeno della violenza nei confronti delle donne in un'ottica globale, anche attraverso la promozione di un cambiamento culturale, poiché è ormai innegabile che la violenza sulle donne affonda le sue radici in una cultura dominante e profondamente indifferente o addirittura ostile ad una piena uguaglianza tra uomini e donne.
  Con la ratifica di questa Convenzione Parlamento e Governo hanno l'opportunità di proseguire un percorso virtuoso di aggiornamento ed armonizzazione della legislazione, come del resto auspicato anche da tutte le mozioni che sono state presentate in Assemblea mercoledì scorso, aventi come primi firmatari i colleghi Brunetta, Binetti, Speranza e Locatelli.
  È bene, tuttavia, evidenziare come non si parta da zero e soprattutto come negli ultimi anni si siano apprestate misure legislative ed amministrative, che hanno reso l'ordinamento italiano tra quelli che già assicurano un elevato grado di conformità alla Convenzione anche sotto il profilo della tutela penale. Tutto questo grazie anche al consenso bipartisan che ha sempre contraddistinto l'approccio a questo tema da parte delle forze politiche. È proprio in virtù di questa sensibilità che, svolgendo le funzioni di Ministro per le pari opportunità, ho potuto promuovere la legge che introduce il reato di stalking e quella che introduce le aggravanti contro i reati di violenza sessuale e anche il Piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking.
  Proprio l'avvio del Piano nazionale contro la violenza e lo stalking, redatto al termine di un serrato confronto con tutte le associazioni impegnate nel settore e durato più di un anno, ha significato per il nostro Paese l'inizio di un impegno unitario e concreto per contrastare la violenza in ogni sua forma, incidendo attivamente anche sui processi culturali, nella convinzione che le misure di intervento debbano integrare azioni repressive con politiche coordinate in campo sociale, educativo, informativo e normativo. Una logica di intervento, si può dire, che ha Pag. 4anticipato l'approccio successivamente adottato dalla Convenzione di Istanbul.
  La Convenzione in esame si compone di un preambolo, di 81 articoli raggruppati in dodici capitoli e di un allegato. Non entrerò nel merito delle singole norme e mi limito a sottolineare che il punto di riferimento del contrasto alla violenza nei confronti delle donne è identificato nel principio di non discriminazione in tutte le sue articolazioni, anche al fine – recita la Convenzione – di eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra pratica basata sull'idea dell'inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini.
  La Convenzione dedica ampio spazio alla prevenzione, alla sensibilizzazione, all'educazione, all'informazione e alla protezione delle vittime, prescrivendo la creazione di case-rifugio, l'allestimento di linee telefoniche gratuite di assistenza continua – che in Italia già esistono – nonché di servizi di supporto specializzati.
  Quanto alla parte penale, in cui sono prescritte sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive, comparando le previsioni della Convenzione con un'analisi del quadro normativo nazionale, possiamo evidenziare come il nostro ordinamento giuridico già preveda un quadro molto articolato di misure volte a contrastare la violenza di genere e lo stalking.
  Mi preme valorizzare come l'impianto della Convenzione si incentri su un penetrante meccanismo di controllo, affidato ad un gruppo di esperti indipendenti, chiamato ad esaminare le legislazioni approntate dagli Stati parte ed a valutarle sotto il profilo della corrispondenza con le norme convenzionali.
  Quanto all'entrata in vigore della Convenzione sono necessarie le ratifiche di dieci Stati firmatari, di cui almeno otto facenti parte del Consiglio d'Europa. Ad oggi hanno sottoscritto la Convenzione 29 Stati, quattro dei quali hanno già provveduto alla ratifica.
  Al riguardo credo che la nostra Commissione ed il Parlamento italiano nel suo complesso non debbano limitarsi ad una tempestiva ratifica, che sarebbe ovviamente già un ottimo segnale, ma debbano impegnare il Governo a sollecitare gli altri Stati, firmatari e non, a procedere in tal senso, utilizzando tutte le sedi multilaterali disponibili. Ricordo, peraltro, che la firma della Convenzione è aperta anche agli Stati non facenti parte del Consiglio d'Europa e potrebbe, quindi, costituire un'utile occasione, un'utilissima occasione, anche per i Paesi della sponda meridionale del Mediterraneo.
  Insisto molto su questa esigenza – l'ho già fatto in seno alla Commissione – dal momento che buona parte della futura efficacia di questo strumento dipende anche dalla cooperazione internazionale da dispiegare ai sensi del Capitolo VIII, ivi inclusa l'assistenza giudiziaria, l'estradizione, nonché lo scambio di informazioni a fini sia preventivi che repressivi.
  Ritengo doveroso poi sottolineare come l'ampio dibattito svoltosi in seno alla III Commissione (Affari esteri) in sede referente con il contributo di esponenti di tutti i gruppi parlamentari e del Governo abbia fornito spunti molto utili di riflessione. Si è in particolare preso atto della necessità di rispondere alle osservazioni sulla condizione delle donne in Italia formulate in sede ONU dalla relatrice speciale sulla violenza contro le donne, Rashida Manjoo e un'interessante prospettiva è stata tracciata dal Viceministro degli affari esteri, Lapo Pistelli, circa un'iniziativa europea per inserire l'eliminazione della violenza contro le donne tra gli obiettivi post 2015, che le Nazioni Unite adotteranno per aggiornare gli obiettivi di sviluppo del millennio.
  Segnalo inoltre il fatto che le Commissioni competenti in sede consultiva hanno reso pareri non formali che vale la pena richiamare seppur brevemente. In particolare la I Commissione (Affari costituzionali) ha evidenziato come il raggiungimento dell'uguaglianza di genere de iure e de facto sia un elemento chiave per prevenire la violenza contro le donne. La II Commissione (Giustizia) ha rilevato la necessità di verificare l'adeguatezza dell'ordinamento interno, al fine di dare una compiuta ed urgente attuazione alla Convenzione, Pag. 5deliberando altresì lo svolgimento di un'indagine conoscitiva al riguardo. La VII Commissione (Cultura) ha tra l'altro invocato il rispetto della dignità delle donne e della soggettività femminile e la prevenzione di ogni forma di discriminazione di genere nell'esercizio dell'attività giornalistica, nei messaggi pubblicitari, nei palinsesti e nelle trasmissioni radiotelevisive. La XII Commissione (Affari sociali) ha richiamato l'esigenza di sostenere adeguatamente nell'attuazione della Convenzione le donne vittime di violenza e le vittime di violenza domestica.
  Il testo unificato di cui oggi inizia l'esame in Assemblea risulta integrato da una clausola di neutralità finanziaria in ordine alle spese amministrative, che recepisce una condizione posta dalla V Commissione (Bilancio) il cui parere precisa che i nuovi e maggiori oneri derivanti dalle misure legislative di attuazione della Convenzione saranno quantificabili all'atto dell'adozione delle misure stesse.
  In tale ottica, associandomi all'appello recentemente rilanciato dalla Presidente Boldrini perché questa ratifica sia tempestivamente implementata e non resti una mera dichiarazione di intenti, desidero manifestare apprezzamento per l'impegno in tal senso preannunciato dal Ministro Idem in Commissione affari esteri, a nome del Governo. I tempi tecnici che intercorreranno fino al raggiungimento della soglia di adesioni necessaria all'entrata in vigore della Convenzione, offrono infatti una finestra di opportunità da sfruttare in questa direzione.
  Credo che a questo importante obiettivo la Camera possa ulteriormente contribuire adottando, a conclusione della discussione, un atto di indirizzo redatto in termini vincolanti e specifici. Concludo quindi auspicando la più celere conclusione del presente iter di ratifica in entrambi i rami del Parlamento, che avrebbe il significato di confermare la sensibilità e la forte determinazione del nostro Paese nella lotta contro la violenza sulle donne (Applausi).

  PRESIDENTE. Mi congratulo, onorevole Carfagna, per questa dettagliata relazione. La ringrazio. Spiace solo vedere che questa Aula sia così vuota (Applausi). Noi comunque continuiamo con il nostro impegno e i nostri lavori.
  Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

  JOSEFA IDEM, Ministro per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili. Signor Presidente, devo dire che questo ultimo femminicidio avvenuto, di una ragazzina, Fabiana, di 15 anni, mi ha profondamente colpito. Devo dire che è stato di una crudeltà inaudita essere stata bruciata viva a quell'età, il che ci rafforza ulteriormente nella convinzione che bisogna procedere nella legislazione nel combattere questo fenomeno.
  Devo dire che sono veramente profondissimamente colpita, cosicché oggi sono anche felice di essere qui, tra i pochi presenti, per contribuire a migliorare il futuro delle donne del nostro Paese.
  Desidero, infatti, parlare a nome delle tante donne, mogli, madri, sorelle, figlie, vittime ogni giorno di violenza domestica e maltrattamenti. Desidero dare voce alle centinaia di donne uccise nel 2012 e a quelle uccise (più di trenta e, non ultimo, questo caso) nei primi mesi del 2013. È per loro che oggi quest'Aula, con il pieno sostegno del Governo, si appresta ad approvare il testo unificato di proposte di legge di ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, la cosiddetta Convenzione di Istanbul.
  Le storie e le vite spezzate delle donne maltrattate, stalkizzate, uccise, come quelle di altre donne di tutti i Paesi, hanno contribuito a fare emergere una nuova consapevolezza sul fenomeno della violenza contro le donne, fenomeno che ha assunto, negli ultimi anni, una visibilità crescente, che ha risvegliato le nostre coscienze, che ha suscitato una progressiva attenzione, fino a diventare – e dico: finalmente – una priorità di azione da inserire e prevedere all'interno delle Pag. 6agende di Governo e delle organizzazioni internazionali.
  Per i suddetti motivi, il Governo, e, in particolare, il Ministero che ho l'onore di guidare, fin dall'inizio ha inteso sostenere e appoggiare il progetto di legge parlamentare in ordine al quale non si possono non condividere le finalità. A conferma di quanto sopra, mi preme sottolineare che anche il Governo aveva predisposto un disegno di legge volto alla ratifica della Convenzione di Istanbul. Si è scelto, tuttavia, di privilegiare l'iniziativa di proposta di legge parlamentare in quanto su tale tema già si è espresso – e la discussione odierna ne è conferma – il più ampio consenso delle forze parlamentari, nonché della stessa Presidente della Camera dei deputati.
  L'esigenza di un'immediata ratifica della Convenzione di Istanbul è stata da me ribadita anche nel corso dell’audit nazionale sulla violenza di genere svoltosi a Roma il 22 maggio scorso. In quella sede ho incontrato le istituzioni e le associazioni impegnate a livello nazionale e locale nella prevenzione e nel contrasto del fenomeno della violenza contro le donne. Si è trattato di un utile e proficuo confronto, che ha evidenziato l'importanza di porre in essere, ancor più che nel passato, azioni positive volte a sensibilizzare l'intera collettività sul fenomeno, a formare adeguatamente gli operatori sanitari e le forze dell'ordine istituzionalmente competenti, a potenziare i centri antiviolenza esistenti sul territorio e a reperire maggiori risorse finanziarie da destinare alla prevenzione e al contrasto alla violenza di genere. Ritengo, infatti, che solo attraverso la più ampia collaborazione con il mondo delle associazioni e delle istituzioni a diversi livelli si potranno affrontare e risolvere le questioni ancora aperte per la piena affermazione dei diritti di tutte le persone.
  L'approvazione del progetto di legge di ratifica della Convenzione di Istanbul sarà, pertanto, un utile strumento per introdurre nel nostro ordinamento adeguate misure di carattere amministrativo e misure di carattere normativo.
  Com’è noto, affinché la Convenzione entri in vigore, è necessario che venga ratificata da almeno dieci Stati, di cui almeno otto del Consiglio d'Europa. Ad oggi, hanno ratificato quattro Paesi e, pertanto, il traguardo è vicino, ma non vicinissimo.
  Nelle more dell'entrata in vigore della citata Convenzione stiamo lavorando per l'istituzione di una task force a livello governativo che riunisca tutti i ministeri interessati (interno, giustizia, salute, lavoro e politiche sociali, istruzione, università e ricerca ed economia e finanze). Quando una donna è vittima di violenza, il percorso di protezione e di assistenza non può prescindere dall'intervento congiunto di competenze intersettoriali quali forze di polizia, magistrati, medici, datori di lavoro e docenti, in grado di intervenire in modo efficace e di ridurre il danno subito dalla vittima ed evitarne di più gravi. Poiché è necessario, inoltre, disporre di informazioni complete e aggiornate, quantitative e qualitative – e qui siamo davvero in difetto – sul fenomeno, intendo costituire un osservatorio nazionale sulla violenza di genere e sullo stalking, che raccolga, tra l'altro, dati uniformi, come richiesto anche dall'Unione europea. Noi disponiamo di tanti dati, ma sono tutti un po’ disgiunti.
  Per i suddetti motivi stiamo lavorando alla predisposizione di un disegno di legge governativo sulla violenza contro le donne che affronti, in modo organico e sistemico, il problema sotto il profilo giuridico, culturale e sociale.
  Le misure prioritarie che ho in sintesi illustrato potranno, pertanto, trovare un valido supporto nel momento in cui entrerà in vigore la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, in ordine al cui progetto di legge di ratifica all'esame di quest'Aula ribadisco il pieno appoggio e il più ampio sostegno da parte dell'intera compagine governativa.
  Per prevenire e contrastare la violenza contro le donne è necessario, dunque, l'impegno di tutti. Decisiva è la dimensione educativa e culturale del nostro impegno, Pag. 7nel senso di educare la società ai valori dell'uguaglianza di tutti i cittadini, senza distinzione di sesso, al valore contenuto nel già richiamato articolo 3 della Costituzione e al valore della non discriminazione cui ci vincola l'articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.
  Il mio auspicio è, dunque, questo: un cambiamento culturale che, nel rispetto delle diversità, approdi al pieno riconoscimento dei diritti umani, della dignità e della libertà di ogni individuo.
  Vi ringrazio per l'attenzione, Presidente, onorevoli deputati (Applausi).

  PRESIDENTE. Grazie, Ministra.
  È iscritta a parlare la deputata Centemero. Ne ha facoltà.

  ELENA CENTEMERO. Signora Presidente, signora Ministra, onorevoli colleghe e colleghi, oggi dibattiamo la ratifica della Convenzione di Istanbul e devo dirle che mi sarebbe piaciuto che si fosse incardinata e dibattuta, insieme alla Convenzione, anche la mozione che alcune forze politiche, tra cui il Popolo della Libertà, hanno presentato sulla lotta alla violenza contro le donne, perché questa fosse una giornata dedicata alla lotta contro la violenza.
  Signora Presidente, mi affido a lei, però, perché anche l'attività di quest'Assemblea, in questa legislatura, porti con sé una sensibilità nuova, più profonda, per le donne e per le pari opportunità nelle scelte politiche: un compito che abbiamo insieme, tutte e tutti, anche se con sensibilità diverse. Non dobbiamo dividerci.
  La Convenzione di Istanbul ha come obiettivo il contrasto alla violenza contro le donne, ma anche alla discriminazione, e il sostegno a politiche di parità. Vede, Giovanni Falcone diceva: chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola. Dobbiamo avere il coraggio di parlare e di raccontare delle violenze e, soprattutto, dobbiamo insegnare alle altre donne, alle donne che crescono e alle donne già adulte, di qualunque contesto, nazione o etnia, che si può e si deve avere il coraggio di dire, di denunciare. Va superata la cultura della vergogna, che sa tanto di ancestrale, di popoli lontani nel tempo.
  La Convenzione è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza. In essa si afferma un principio che nessuna e nessuno di noi deve dimenticare, che, anzi, va trasmesso con la forza delle parole che le madri dicono alle figlie e ai figli: la violenza contro le donne è una violenza dei diritti umani, è una forma di discriminazione.
  Il fenomeno nel nostro Paese ha dei dati sconcertanti: dal 2005 al 2012, sono stati 903 i casi di donne uccise da uomini e gli assassini sono uomini, nella maggior parte dei casi, appartenenti al nucleo familiare, alla cerchia degli affetti più vicini a queste donne. I valori più elevati sono nel centro-nord e nei centri metropolitani, dove le donne vivono situazioni di maggiore autonomia e indipendenza e sono meno propense ad accettare di subire violenza e disparità di potere.
  Ecco, questi numeri sottolineano l'ampiezza del fenomeno e il suo profondo radicamento, soprattutto, nella cultura del nostro Paese, nella vita delle famiglie.
  La Convenzione è valida sia per gli atti di violenza in tempo di pace, sia in tempo di guerra (non dobbiamo dimenticare questo aspetto). Essa prevede risorse per politiche, misure e programmi destinati a prevenire e a combattere ogni forma di violenza; prevede la raccolta dei dati e la ricerca su questi dati, ma sono tre gli aspetti più significativi, a mio giudizio. Innanzitutto, vi è la necessità di promuovere dei cambiamenti nei comportamenti sociali e culturali delle donne e degli uomini: superare i pregiudizi, superare l'idea di inferiorità della donna o di modelli stereotipati.
  In secondo luogo, un ruolo centrale lo hanno la scuola, i centri di cultura, i centri sportivi, campagne o programmi di sensibilizzazione e, soprattutto, l'inclusione, nei programmi scolastici di ogni ordine e grado, di materiali didattici sui temi della Pag. 8parità tra i sessi, di ruoli di genere non stereotipati, ma soprattutto reciproco rispetto.
  Da ultimo, una grande attenzione dobbiamo averla per l'informazione e i mezzi di comunicazione, che devono trasmettere – lo abbiamo sottolineato nel parere della VII Commissione – il rispetto per la dignità della donna e la soggettività femminile.
  Mi vorrei però soffermare su un altro aspetto che ritengo importante e che vorrei che tutti noi ricordassimo: la violenza perpetrata dalle associazioni di stampo mafioso verso le donne, le madri, le mogli, le sorelle, le figlie che si dissociano e che si affidano allo Stato (Applausi).
  È decisivo prevedere aggravanti per chi uccide o commette atti di violenza verso le donne, la certezza della pena, ma anche l'istituzione di un vero reato: il femminicidio. Rosa Luxemburg diceva che il primo gesto rivoluzionario è chiamare le cose con il loro vero nome: femminicidio. Tutti insieme dobbiamo avere questa forza, la forza che ebbero le donne dell'Assemblea costituente. Nonostante fossero solo ventuno, riuscirono a far sì che la nostra Costituzione fosse pervasa di una sensibilità profonda verso le donne e verso le pari opportunità. La violenza contro le donne non può essere slegata dalla dignità delle donne, dalla parità nella vita sociale, culturale ed economica del nostro Paese.
  L'articolo 3 della Costituzione dice: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Ma al primo posto c’è: «senza distinzione di sesso». Un'uguaglianza formale che deve diventare sostanziale: «È compito della Repubblica – ricorda ancora l'articolo 3 – rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini».
  Dall'articolo 3 sono discesi gli articoli 29 e 37 della Costituzione. L'articolo 29, sulla famiglia, dice che il matrimonio è ordinato sull'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi; e nell'articolo 37 si dice che la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Nell'articolo 51 si dice che agli uffici pubblici e alle cariche elettive si accede in condizione di eguaglianza. Non dobbiamo dimenticarci questi principi costituzionali.
  Concludo dicendo che il Popolo del libertà ha presentato un impegno fattivo e culturale, un impegno in una mozione, un impegno nella ratifica della Convenzione di Istanbul, un impegno non solo formale, ma che consiste in una serie di azioni volte a contrastare il fenomeno della violenza. Noi, con i nostri Governi, con il Ministro Carfagna, che è qui a fianco a me, abbiamo sempre sostenuto che la violenza sulle donne vada affrontata in modo organico, agendo non solo secondo una logica di emergenza, ma attraverso una seria e profonda azione culturale, un'azione di informazione e di prevenzione.
  Dunque, agiamo insieme e facciamo per le altre donne italiane e straniere ciò che le donne della Costituente fecero per noi. Grazie a loro oggi siamo arrivate fino a qui tutte insieme (Applausi).

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Centemero, non posso che essere più che d'accordo e, per quanto riguarda le mozioni, cerchiamo di introdurle per la prossima settimana.
  È iscritto a parlare il deputato Fava. Ne ha facoltà.

  CLAUDIO FAVA. Signora Presidente, signora Ministro, signora relatrice, colleghi della Camera, noi ci troviamo oggi in una condizione di privilegio, perché siamo alla vigilia di un voto che, quasi certamente, sancirà all'unanimità l'approvazione di questa proposta di ratifica di questa convenzione. L'unanimità è sempre una condizione particolarmente virtuosa per un corpo legislativo, ma è anche una condizione di rischio, perché l'unanimità può diventare un pretesto, un modo per dire siamo tutti assolti, siamo tutti innocenti, e così non è.
  Non vorrei che questo voto diventasse la celebrazione di una promessa, mentre Pag. 9noi siamo qui per assumere un impegno, che avrà bisogno, a partire da domani, non di parole virtuose, ma di fatti, di norme, di comportamenti legislativi e che sappia anche modificare i molti errori delle norme e delle leggi che questa Camera ha consumato in passato.
  Le Nazioni Unite, per bocca della inviata speciale, hanno parlato della condizione della donna, del femminicidio, della violenza nei confronti della donna in Italia, di un'emergenza nazionale e non può che essere così, se andiamo a vedere i dati che ci offre l'Istat: 7 milioni di donne tra i 16 e i 70 anni hanno subìto violenza fisico-morale, una donna su tre; potremmo dire che non esiste famiglia in cui non vi sia stata una donna costretta a passare attraverso l'umiliazione di subire una violenza; 5 milioni di donne hanno subìto violenza sessuale, una su quattro; 1 milione di donne hanno subìto o sono riuscite ad evitare uno stupro.
  In Italia la condizione della donna spesso è un pedaggio, in famiglia, nella società, nella politica, sul lavoro, e non parliamo naturalmente solo della violenza, ma di una condizione di persistente discriminazione, che è una forma più subdola, ma spesso più oscena, di violenza.
  Le Nazioni Unite hanno detto che le istituzioni italiane non hanno fatto abbastanza e questa ratifica certamente è un punto di avanzamento, a patto di dare un senso vero, profondo e autentico alle parole che sono spese in questa Convenzione, e non sarà facile.
  L'articolo 42 parla di onore e di un'idea piuttosto picaresca e obsoleta di onore, come se fosse davvero un concetto con il quale non dobbiamo più misurarci. Vorrei ricordare che fino al 1981 – l'altro ieri – esisteva nel nostro codice penale l'articolo 544, che diceva che la violenza sessuale era un reato contro la morale e che veniva sanato da un matrimonio riparatore, per cui se si veniva sequestrate e stuprate da un uomo, ma si decideva di convolare a giuste e sante nozze con quell'uomo, la legge considerava questa una condizione di non punibilità e la donna doveva subire una doppia umiliazione: la violenza e il matrimonio come gesto di riparazione sociale per la violenza subita.
  È stato per una ragazza siciliana di sedici anni, Franca Viola, che nel 1966 decise di resistere a questo ricatto morale (rapita da dodici persone, violentata dal guappo di paese, figlio del mafiosetto locale, che lei si rifiutò di sposare), che fu messo in crisi un sistema morale che era fortemente condiviso fino al 1981.
  Il preambolo della Convenzione è netto, signora Ministro, noi lo conosciamo e lo abbiamo letto con attenzione. La violenza contro le donne è la manifestazione di rapporti di forza straordinariamente diseguali, ma soprattutto indica la premessa necessaria per superare questa condizione: il raggiungimento dell'uguaglianza di genere de iure e de facto è l'elemento cardine per prevenire la violenza. È questo il punto: rimuovere gli ostacoli giuridici e materiali che rendono la condizione della donna diseguale e superare ogni discriminazione culturale e sociale. In questo la Presidente Boldrini è stata attenta a sollecitare un intervento, una discussione all'interno di questa Camera – e di questo la ringraziamo –, ma non sempre siamo stati all'altezza di questo impegno che stiamo assumendo oggi.
  Io vorrei ricordare che il primo atto legislativo della scorsa Assemblea, della scorsa Legislatura, fu quello di cancellare con un colpo di penna, per opera della maggioranza di centrodestra, una legge assai virtuosa che questa Camera aveva votato e che voleva impedire le dimissioni in bianco, cioè l'accettazione di una donna che come donna, come madre, si deve esporre a un contratto di lavoro sapendo che in questo rapporto di forza l'unico modo per esporsi e per essere accolta nel mondo del lavoro è quello di firmare un foglio di carta che dice «mi dimetto» in bianco e lo rimette ai buoni uffici del datore di lavoro (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Ecologia Libertà, Partito Democratico, MoVimento 5 Stelle e Scelta Civica per l'Italia).Pag. 10
  Quella legge, di grande civiltà, fu bocciata come primo atto da questa Camera dei deputati la scorsa legislatura.
  Non possiamo limitarci peraltro soltanto ad immaginare percorsi normativi. Vanno modificati comportamenti diffusi, il sentire comune, la cultura complessiva di un Paese: e questo chiama in causa noi maschi. Perché se in questo Parlamento sono poche le donne elette, se fuori da qui si è consolidata l'idea che la violenza, come ricordava la Presidente, possa essere un atto d'amore travestito, se, come ci ricordava Sofri, la certezza del diritto naturale di possedere la donna fa ormai parte di questo Paese, ecco, questo non chiama soltanto in causa lacune di legge, bensì un perverso sentimento che in questo Paese si è fortemente codificato e fortemente consolidato. Tutto questo racconta la nostra debolezza di maschi, l'ipocrisia di un mondo e di un Paese che abbiamo voluto declinare fortemente al maschile. Questa ratifica non è un motivo di esultanza: consideriamola un atto di umiltà dovuta: dovuta alle donne e – mi permetto di aggiungere – dovuta al Paese (Applausi).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Agostini. Ne ha facoltà.

  ROBERTA AGOSTINI. Signor Presidente, colleghi e colleghe, è con grande soddisfazione che oggi intervengo in questa discussione sulla legge di ratifica della Convenzione di Istanbul, per la quale molte di noi e molti di noi hanno lavorato, fuori e dentro le Aule parlamentari nei mesi scorsi, perché si giungesse rapidamente all'approvazione.
  Oggi siamo tante. Le donne nelle Aule parlamentari, tra Camera e Senato, sono quasi il 30 per cento: è un salto di presenza in avanti rispetto alla scorsa legislatura. È forse anche grazie a questa presenza che siamo riuscite tutte quante a far approvare la legge di ratifica in tempi così brevi, a fare in modo che fosse il primo atto approvato dalla Commissione esteri.
  Oggi discutiamo di come dobbiamo affrontare la strage delle donne, che quasi ogni giorno puntuale viene raccontata sulle pagine dei giornali. È di ieri la tragica notizia dell'ennesima vittima, per la quale abbiamo chiesto un minuto di silenzio: una ragazza giovanissima, che ha provocato un'impressione terribile in tutti noi.
  Eppure non è che la punta di un iceberg, quello che leggiamo sulle pagine dei giornali. Un gruppo di giornaliste nel 2006 ha scritto un libro, Amorosi assassini: hanno raccolto i giornali di un anno intero e ne hanno costruito un libro, quasi una Spoon River delle donne, degli omicidi, degli assassini, dei femminicidi, delle violenze. Leggerlo fa una grandissima impressione, eppure non è che il racconto quotidiano di quello che leggiamo sulle pagine dei giornali. È la punta dell’iceberg: ciò che si vede di un fenomeno sommerso, di cui noi non conosciamo l'entità, perché appunto non c’è un osservatorio; l'ultima ricerca che veniva citata l'ha fatta l'ISTAT, nel 2007.
  Non sappiamo neppure quante si scoraggiano per i tempi dei processi, per l'incertezza della pena, perché hanno paura. C’è qui un'enorme responsabilità, credo, della politica, dello Stato, delle istituzioni, nel dire basta a un fenomeno che non è un fatto privato, ma che ha una rilevanza pubblica, sociale, politica. C’è una responsabilità affinché le donne possano trovare nelle istituzioni la forza per denunciare, e una responsabilità perché chi trova la forza per denunciare poi venga effettivamente protetta. È di qualche settimana fa l'uccisione di una donna ad Ostia, Michela Fioretti, che aveva denunciato più volte il proprio marito, ed è stata uccisa sulle strade della nostra città.
  Non è un caso se dove funzionano i centri antiviolenza, gli sportelli, i servizi, le denunce aumentano. Dalla rete dei centri abbiamo una statistica: la maggior parte delle donne che si rivolgono ai centri sono in fuga dalla famiglia; e non esiste distinzione di età, non esiste distinzione di censo, di istruzione, di provenienza geografica.
  La violenza è la costante in tutte le società in cui prevale un modello, antico e Pag. 11moderno insieme, di relazioni sbagliate, fatte di dominio e di prevaricazione tra uomini e donne, in cui è impedita una libertà femminile che ha cambiato profondamente la società e la famiglia in questi anni.
  La questione della violenza è drammaticamente una questione maschile – uomini che reagiscono ad un potere che sfugge – e interroga un sistema in cui la ripartizione del lavoro, delle responsabilità e delle risorse è fortemente sbilanciata.
  Dal nostro articolo 3, che veniva prima giustamente citato, della Costituzione hanno preso vita leggi importantissime, dalla legge sul divorzio fine alla legge contro la violenza, ma le condizioni materiali di vita delle donne italiane sono ancora molto lontane dagli obiettivi di parità. Per tasso di occupazione femminile l'Italia è l'ultimo Paese in Europa, siamo ultimi per tasso di natalità, il lavoro di cura grava sulle spalle delle donne.
  Stereotipi e pregiudizi lavorano nella società e nella coscienza dei singoli ed emergono ciclicamente quando le donne che ricoprono incarichi ed incarichi di responsabilità vengono offese e giudicate in quanto donne, vengono creati stereotipi e pregiudizi, vengono amplificati, rimandati come in uno specchio dal sistema dei media, sul quale è urgente intervenire non con censura ma con una presa di consapevolezza collettiva, con una riscossa civica delle coscienze del nostro Paese.
  Rashida Manjoo, rapporteur dell'ONU, denuncia questo intreccio tra violenza, rappresentazione simbolica, cultura, condizioni materiali. Ci sono alcune e buone leggi, ci dice Rashida Manjoo, alcune cose sono state fatte ma non bastano assolutamente, allora la Convenzione indica una strada, una strategia: nomina il femminicidio come una violazione dei diritti umani delle donne basata sul genere, è un concetto di analisi politica perché lega l'uccisione delle donne con i diritti negati. È una parola che parte dal Messico, come sappiamo, e arriva fino in India, dove milioni di persone sono scese in piazza per protestare contro le barbariche uccisioni che nei mesi scorsi si sono succedute. La Convenzione indica una strategia complessiva, per attuare questa strategia servono azioni concrete, servono risorse e probabilmente sicuramente serve una legge specifica che ne recepisca i contenuti.
  Bisogna estendere la rete dei Centri antiviolenza, oggi sono solo 130, moltissimi sono a rischio di chiusura e sono concentrati per la maggior parte nelle regioni del Centro-Nord. Non sono semplici servizi i Centri, ma sono laboratori sociali. Uso parole non mie ma di una delle donne che più di tutte ha lavorato a questa esperienza e che ci parla dei Centri come di luoghi in cui si restituiscono i diritti e il primo diritto, quello alla propria vita. Descrivendo l'incontro con una giovane donna che arriva distrutta, confusa e disonorata ad un Centro a Betlemme questa donna dice: non ho bisogno di ospedali psichiatrici, non ho bisogno della pietà ma ho bisogno di parlare con le donne, con donne come me, come siete voi. Ecco, i Centri sono il prodotto di un percorso delle donne che riconosce le donne non come vittime ma come figure resistenti alla violenza.
  Poi ci serve la formazione degli operatori, la costruzione di una rete territoriale fatta di servizi, ospedali, pronto soccorso, consultori e servono, come abbiamo detto, campagne di educazione, di prevenzione e di educazione al rispetto tra i sessi nelle scuole.
  Bene questa approvazione, bene l'accordo tra i gruppi, dobbiamo metterci delle risorse, dobbiamo fare in modo che si attivi presso la task force di cui ha parlato e che ha proposto la Ministra Josefa Idem, dobbiamo dotarci di misure di monitoraggio, di strumenti di monitoraggio sulla Convenzione e coinvolgere le associazioni che hanno fatto un lavoro straordinario. Il Partito Democratico è impegnato in queste Aule ed è impegnato nelle regioni e negli enti locali per l'attuazione di questi impegni, il lavoro di contrasto alla violenza è un lavoro...

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  ROBERTA AGOSTINI. Signor Presidente, mi avvio alla conclusione. È un Pag. 12lavoro di affermazione di cittadinanza più piena delle donne, di democrazia paritaria e di educazione ad una cultura di rispetto e di parità (Applausi).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Rondini. Ne ha facoltà.

  MARCO RONDINI. Signor Presidente, il Parlamento si è adoperato per recepire coralmente, unanimemente e con la massima tempestività, questo documento del Consiglio d'Europa, firmato a Istanbul l'11 maggio del 2011, che non stravolge l'architettura giuridica del nostro ordinamento, ma certamente vorrebbe avviare una rivoluzione culturale perché pone il problema in primo piano, tra le emergenze a cui rispondere.
  La Convenzione non riguarda solo la violenza sulle donne in senso generale, ma la violenza domestica, accezione sottile, che comprende però anche bambini, anziani e tutte le figure che, nell'ambito delle mura familiari, sono poste o costrette in una condizione di debolezza. Si è voluto, quindi, affermare chiaramente, con la priorità attribuitagli dal Parlamento, che questa odiosa forma di violenza intendiamo riconoscerla e vogliamo condannarla senza eccezioni. E così sappiamo che la pensa la stragrande maggioranza dei nostri concittadini.
  Al momento, la Convenzione non è ancora in vigore perché non è stato ancora raggiunto un sufficiente numero di ratifiche: solo quattro Stati hanno ratificato, quattro ratifiche, peraltro, non scontate: quella dell'Albania, del Montenegro, del Portogallo e della Turchia. Dunque, ne mancano almeno altri sei perché possa entrare in vigore. Anche da questo punto di vista, dunque, il nostro Paese si conferma tra i più veloci e motivati, se – come auspichiamo – questo iter di ratifica si concluderà nei prossimi giorni. La questione culturale è centrale. Recentemente, purtroppo, i fatti di cronaca, susseguitisi a intervalli molto ravvicinati, che hanno riportato episodi di violenza grave e gravissima contro le donne, può forse dare l'impressione che il fenomeno sia improvvisamente esploso. I numeri confermano che eventi di questo genere sono numerosi, ma non sono certo un fenomeno odierno. Chiamare questi episodi con il loro nome e riconoscere la mentalità dispregiativa della parità di genere che li anima, questo sì che è un fenomeno in crescendo, necessario ad avviare un dibattito onesto sul tema e a trovare coralmente il modo di porre fine a questi veri e propri crimini.
  La Convenzione è uno strumento elaborato in seno al Consiglio d'Europa, un'organizzazione internazionale che basa la sua attività sul rispetto e la promozione dei diritti umani nella loro accezione più ampia. Il Consiglio d'Europa travalica la dimensione geografica della sfera europea e occidentale, comprendendo anche aree molto diverse dal punto di vista del retaggio storico, culturale e religioso.
  Per questo, un documento con un appoggio così ampio ha un significato che travalica i contesti culturali e può avere la forza di incidere proprio su questi. Dobbiamo riconoscere che la battaglia culturale è ancora, però, tutta da fare, impresa non facile, se pensiamo a quanto accertato dal rapporto dell'inviato dell'ONU per la violenza contro le donne, che ci ricorda che gli stereotipi di genere sono molto radicati in tutta la penisola. Vi è un dato, però, su cui riflettere: il fatto che in media la disoccupazione femminile sia molto più alta nelle regioni del sud del Paese. A rendere, poi, ancora più difficile la battaglia culturale, è sicuramente il dato di fatto che, presso altre culture, quelle a cui si riferiscono buona parte degli immigrati presenti sul territorio italiano, la donna ha un ruolo di totale subalternità; basti pensare a come viene considerata la donna presso la comunità di religione islamica. Certo, a ciò vanno aggiunte alcune sentenze che lasciano semplicemente esterrefatti e che tendono, magari, di fatto, a garantire la mutilazione genitale femminile, non perseguendola come reato. A titolo d'esempio, vale la pena di citare quella sentenza della seconda sezione della Corte d'appello del tribunale di Venezia, con la quale venivano assolti i due genitori nigeriani che hanno sottoposto le Pag. 13due figlie ad infibulazione. Certo, fatti, o meglio fattacci di questo tipo, non aiutano a vincere la battaglia culturale, che abbiamo il dovere di combattere.
  Come ho già detto, la battaglia culturale, la doverosa battaglia culturale è ancora tutta da fare, dal punto di vista dell'ordinamento, ma il nostro Paese è comunque, certamente, tra quelli che maggiormente garantiscono quanto richiesto dalla Convenzione che andiamo a ratificare, anche grazie a misure legislative ed amministrative adottate negli ultimi anni.
  La Convenzione rappresenta uno strumento che affronta e contrasta la violenza sulle donne e la violenza domestica in modo completo, riservando il giusto spazio sia a strumenti legislativi e processuali, compresa l'assistenza processuale e servizi di supporto specializzati, sia alla prevenzione, alla sensibilizzazione, all'educazione e all'informazione.
  Un punto assai significativo è l'impegno, per gli Stati aderenti, ad applicare le disposizioni di tutela dalla violenza contro le donne sia in tempo di pace sia in tempo di guerra, ben sapendo tutti che durante i conflitti le regole saltano e i comportamenti più aberranti dilagano. Elemento, poi, di novità per il nostro Paese, apportato dall'adesione ad uno strumento internazionale, è la contemporanea adesione ad un meccanismo di controllo, affidato ad un gruppo di esperti indipendenti, GREVIO, chiamato ad esaminare le legislazioni approntate dai Paesi aderenti e a valutarle sotto il profilo della corrispondenza con le norme convenzionali. Sarà proprio il Parlamento a ricevere i rapporti e, dunque, a valutare la costante aderenza del nostro Paese alla Convenzione.
  In conclusione, la ratifica di questo documento è un passo importante a cui ne dovranno, però, seguire altri, perché il percorso è ancora lungo.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Mario Marazziti. Ne ha facoltà.

  MARIO MARAZZITI. Signor Presidente, signor Ministro, signora relatrice, onorevoli colleghi, siamo qui perché vogliamo provare a svuotare, fermare ed eliminare un balzello, la tassa per le donne e per le bambine, per essere vive e semplicemente per il fatto di essere donne. È una tassa primitiva, un po’ animale, che denota e mostra uno squilibrio di potere mai accettabile, mai più adesso.
  Dopo la firma del Trattato, il 27 settembre 2012, accompagnata da una Nota verbale del Governo italiano al Consiglio d'Europa, cui fa riferimento anche l'ordine del giorno che abbiamo presentato e presenteremo in maniera unitaria, proveniente dalla Commissione affari esteri, c’è stata una mobilitazione del Parlamento italiano per accelerare questa ratifica che va a contrastare una delle forme di violazione dei diritti umani più comune al mondo. Ma, ad ogni violenza di donna, spesso corrispondono anche bambini che assistono. È una violenza aggiuntiva su altri esseri umani e mi piace dirlo, con dolore seppure, nel giorno in cui ricordiamo la nascita di un grande uomo come don Lorenzo Milani, che ha dedicato la sua vita per la dignità dei bambini e per liberare dalla violenza tutti.
  Siamo su un terreno scivoloso che tocca abitudini mentali, culture, sanzioni sociali ineguali, rapporti di forza, al punto che anche le donne vittime di violenze gravi tendono a minimizzare, a considerare la violenza subita in famiglia come qualcosa di diverso da un reato e una donna su tre, ci dicono gli studi disponibili, la definisce semplicemente un fatto accaduto nel passato.
  Abbiamo sentito, lo sappiamo, da sondaggi non recentissimi che quasi 7 milioni di donne hanno subito episodi di violenza fisica o sessuale nell'arco della loro vita, ma non abbiamo le vittime sotto i 16 anni e, quindi, sono di più. Una donna su quattro ha subito molestie sessuali. Sappiamo che dal 2005 al 2012 almeno 900 donne hanno perso la vita per reati definibili femicidio o femminicidio, passati da 80, 90 casi a stabilmente più di 120 negli ultimi due anni, sottostimati perché sono solo notizie di stampa.
  Ma la violenza non è tutta uguale, nemmeno quella contro le donne. Il 69 per Pag. 14cento delle vittime è di nazionalità italiana. Il 31 per cento sono donne immigrate, di 21 nazionalità. Donne romene, marocchine, nigeriane, donne soprattutto dell'Est Europa, poi africane e, in misura minore, di altre provenienze.
  Le donne immigrate subiscono violenza nella violenza tre volte più intensamente delle donne italiane. È un orrore crescente. Quindi abbiamo una responsabilità in più per interrompere queste pratiche barbariche, troppo tollerate, poco prevenute, poco percepite.
  Occorre, secondo me e secondo noi, fare della ratifica di questa Convenzione un impegno concreto del Paese per ridurre la violenza ancora prima del raggiungimento del numero minimo di ratifiche che renderà il trattato vincolante. Il nostro Parlamento deve impegnare il Governo a mettere in atto i dispositivi previsti dalla Convenzione di Istanbul – spero – fin dai prossimi mesi, uno ad uno. Intervengo volentieri perché questa violenza umilia non sono le donne, ma tutta la nostra società. Umilia anche gli uomini, colpevoli, tolleranti, disattenti, vittime quando erano bambini, ma vittime di comportamenti che non hanno fermato e quindi vittime e colpevoli. Occorre agire sulla prevenzione, sulla solidarietà concreta, offrendo alle vittime di violenze il sostegno necessario per spezzare questa catena criminale che confina spesso con la schiavitù, la dipendenza psicologica, la fatica di interrompere una situazione invivibile per un mix di paura e isolamento sociale.
  Allora, concludo con alcune piccole proposte aggiuntive a quanto gli onorevoli colleghi e le onorevoli colleghe già hanno sottolineato e, intervenendo successivamente, proporranno, e a quanto negli ordini del giorno è già previsto. Credo che sia opportuno immaginare di predisporre un registro pubblico dello stalking, nei casi di denunce avvenute, una sanzione ed un deterrente sociale, perché anche nel caso di nuovi rapporti e conoscenze veicolate dalla rete, si abbia uno strumento di deterrenza, di prevenzione e di verifica.
  È possibile attivare nei pronto soccorso un codice rosa automatico. Sono tutte cose che non sono previste dalla Convenzione.

  PRESIDENTE. La prego di concludere.

  MARIO MARAZZITI. Signor Presidente, concludo, sono due proposte. Un codice rosa automatico nel caso di lesioni fisiche femminili, che avvii una registrazione automatica all'arrivo al pronto soccorso ancora prima della visita vera e propria, che può avvenire anche a distanza di ore o mai – perché in molti casi il partner sopraggiunge e convince a non svolgere alcuna denuncia – al fine di creare banche dati che possano essere incrociate e creare reti di protezione, non solo quando la vittima persegua nell'atto di denuncia le richieste di protezione.
  Occorre rendere efficace l'interdizione dell'accesso nei luoghi di vita, nei quartieri e nelle città, di vittime di minacce e violenze, mentre si predispongono piani di aiuto. Occorre formare le forze dell'ordine a questo speciale tipo di attenzione, sostegno psicologico ed umano, azione ed interdizione, non lasciandole sole.
  Vanno sostenute le vittime di violenza oggetto di minacce, anche quando il titolo di soggiorno legale nel nostro Paese sia legato all'autore delle violenze e non alla vittima, offrendo un titolo di soggiorno autonomo. È l'unico modo per ridurre lo spropositato numero di violenze a danno di donne immigrate. Tutto questo aiuta a creare un'Italia più vivibile e umana, dove non solo vale la pena vivere, ma dove le donne possano vivere senza paura (Applausi).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Spadoni. Ne ha facoltà.

  MARIA EDERA SPADONI. Signor Presidente, sia le mie colleghe che i miei colleghi hanno già ampiamente spiegato l'importanza della ratifica della Convenzione di Istanbul, quindi vorrei partire da una riflessione: l'Italia è un Paese storicamente sessista: solo il 2 giugno del 1946 alle italiane fu concesso il primo voto al Pag. 15referendum per scegliere tra monarchia e Repubblica; solo nel 1981 sono state abolite le attenuanti per il cosiddetto delitto d'onore; solo nel 1996 la violenza sessuale è stata riconosciuta come reato contro la persona; solo dal 2009, grazie alla collega Carfagna, lo stalking è definito come atto persecutorio.
  Mentre gli omicidi diminuiscono di due terzi in vent'anni, i femminicidi restano stabili, circa uno ogni tre giorni. Inoltre abbiamo un'avvilente percentuale di occupazione femminile: oltre il 70 per cento del lavoro domestico e di cura continua a ricadere sulle spalle delle donne e l'Italia continua ad essere ampiamente sotto media OSCE per aiuti alla famiglia.
  È necessario pertanto un cambiamento radicale di mentalità nella società, per eliminare i pregiudizi e la diffusa giustificazione della violenza verso le donne per motivi di natura culturale, storica o religiosa.
  La violenza è una costante di tutte le società in cui predomina ancora un modello patriarcale nella relazione tra i sessi e in famiglia. Nel 2012 sono state circa 15 mila le donne che hanno chiesto aiuto perché vittime di abusi da parte di uomini. Il loro numero è in aumento rispetto agli anni scorsi. La maggioranza di queste donne, quasi il 90 per cento dei casi, ha subito maltrattamenti all'interno della famiglia o da conviventi o da ex. Potrei darvi i dati, i numeri che testimoniano questa tragedia. Preferisco, invece, darvi alcuni esempi attuali dell'emergenza in Italia, alcuni dei quali sono già stati ricordati in quest'Aula, quest'oggi.
  Carolina, 14 anni, filmata durante una violenza di gruppo ad una festa, si toglie la vita il 5 gennaio, dopo la diffusione del video, postato sui social network. Angelica, 35 anni, mamma di un figlio tredicenne, uccisa dall'ex con un coltello da cucina venerdì 24 maggio. Fabiana, 15 anni, sparita dopo essere uscita da scuola sabato 25 maggio: il suo corpo viene trovato carbonizzato. Dall'autopsia, risulta morta dopo essere stata accoltellata. Oggi, come già ricordava la Presidente Boldrini, il suo ragazzo diciassettenne ha affermato di averle dato fuoco mentre era ancora in vita. Silvana, 50 anni, uccisa con un colpo alla nuca dal convivente.
  Ritornando alla Convenzione, vorrei concentrarmi sull'articolo 17, che sancisce che le parti incoraggiano il settore privato, il settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione e i mass media, nel rispetto della loro indipendenza e libertà di espressione, a partecipare all'elaborazione e all'attuazione di politiche e alla definizione di linee guida e di norme di autoregolazione per prevenire la violenza contro le donne e rafforzare il rispetto della loro dignità.
  È di importanza vitale parlare di rispetto e di dignità, soprattutto in un Paese, come il nostro, dove i mass media, come in passato, mostrano quasi solo lo stereotipo della donna oggetto: una donna svestita, una donna discriminata, una donna «inferiorizzata» (Applausi).
  Cosa è stato fatto, negli anni, di fronte a questa vergogna ? Abbiamo bisogno di un cambiamento che sia in primis culturale. Si possono adottare le migliori misure legislative, potremo ratificare tutte le convenzioni che hanno come obiettivo la tutela delle donne e dei bambini, ma tutto questo rimarrà solo carta straccia senza un vero cambiamento culturale.
  Attualmente, la pubblicità sessista è regolata dall'articolo 10 del codice dell'Istituto dell'autodisciplina pubblicitaria, IAP, secondo cui la comunicazione commerciale non deve offendere le convinzioni morali, civili e religiose. Purtroppo, però, non è sufficiente, anche considerando che, sempre secondo lo IAP, la media complessiva di intervento di questo Istituto si aggira sulle tre settimane, tempo sufficiente per diffondere il messaggio negativo.
  Ancora più grave è il fatto che non esistano sanzioni per chi, dopo la pronuncia del giurì o l'ingiunzione del comitato di controllo che ritengano una comunicazione commerciale contraria al codice, usi uno stile pubblicitario che inneggi alla violenza, alla volgarità, all'indecenza, all'offesa delle convinzioni morali, civili e religiose e della dignità della persona, alla Pag. 16comunicazione commerciale che può arrecare danno ai bambini e agli adolescenti.
  In poche parole, non esistono sanzioni se si decide di pubblicizzare un prodotto con immagini di donne in costume o in reggiseno o nude abbinate a frasi come «Provale tutte, una tira l'altra», «E tu dove glielo metteresti ?», «Fidati, te la do gratis», «Fatti la cubana» o «Montami a costo zero». E non sto qui a raccontare in che modo tremendo e offensivo le donne vengono mostrate in abbinamento a queste frasi, anche perché, molto probabilmente, tutti i colleghi lo avranno visto nelle strade.
  È necessario sanzionare economicamente le pubblicità offensive (Applausi). Quindi, mi rivolgo al nuovo Parlamento, al Parlamento ringiovanito, al Parlamento che ha una così alta rappresentanza di donne, e lo chiedo anche alle tante colleghe che hanno più volte dimostrato, attraverso vari interventi, l'importanza della tutela dei bambini.
  Chiedo se sia possibile portare ad un cambiamento culturale vero, che non faccia «spallucce» di fronte a frasi offensive e degradanti, dette dagli stessi rappresentanti delle istituzioni, ignorando il potere che queste frasi, dette in modo ironico, possono avere in un Paese informato prevalentemente attraverso i programmi televisivi.
  D'altra parte, che rispetto della donna possiamo aspettarci se all'estero siamo visti come il popolo del «bunga bunga», o quando, nel 2010, come citato nell'articolo pubblicato su Corriere.it, parlando con il Premier albanese Berisha sullo stop agli sbarchi degli immigrati clandestini in Italia, l'allora Premier Silvio Berlusconi dichiara che si farà un'eccezione per chi porta belle ragazze, o quando, il 10 febbraio 2013, in visita in una ditta per la campagna elettorale, chiede ad una donna quante volte viene, provocando l'ilarità dei presenti alla scena (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle, Partito Democratico, Scelta Civica per l'Italia e Sinistra Ecologia Libertà) ?
  Umiliare una donna è una forma di violenza, è sottovalutare le conseguenze di quello che viene detto, di quello che viene percepito. Che questo Parlamento non si faccia portavoce della tutela delle donne solo a parole ! Che, soprattutto, non siano solo le donne a battersi contro una cultura sessista, ma che siano anche gli uomini, delle istituzioni e non, a farsi carico di questo cambiamento culturale, di una forma mentis diversa, partendo da oggi, attraverso le parole, le frasi, le azioni e il rispetto ! (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle, Partito Democratico, Scelta Civica per l'Italia e Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. Grazie. È iscritta a parlare la deputata Annagrazia Calabria. Ne ha facoltà.

  ANNAGRAZIA CALABRIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi è data la possibilità a questa Assemblea di mettere da parte le legittime ragioni di polemica e di divisione, per recuperare invece il senso della responsabilità, richiesto dalla difficile e straordinaria fase che sta vivendo il nostro Paese.
  Siamo convinti, infatti, che il tema che verrà discusso è parte integrante di una questione cruciale del nostro tempo, se è vero che esso può definirsi, come lo definì anni fa un lungimirante pensatore italiano, Norberto Bobbio, «l'Età dei diritti».
  È importante sottolineare come la Convenzione di Istanbul sia stata già approvata all'unanimità in XII Commissione (affari sociali) alla Camera, e questo consenso bipartisan da parte di tutte le forze politiche, rappresenta un importante segnale di attenzione su una tematica tanto attuale, che necessita di provvedimenti concreti ed immediati per combattere il dramma della violenza sulle donne.
  Mai come negli ultimi decenni si era giunti a una visione così ampia, a una consapevolezza così profonda del riconoscimento dei diritti umani come condizione di convivenza civile, libera e democratica. La convenzione di Istanbul compie un passo ulteriore verso questa prospettiva e per la prima volta l'articolo 3 definisce la violenza contro le donne una violazione Pag. 17dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne. Supera dunque la vecchia formula dei diritti dell'uomo, dando risalto alle problematiche proprie di quella metà dell'universo che è fatta di donne.
  Sempre in questa ottica di consolidamento dei diritti, bisogna attribuire alla Convenzione un secondo ed ulteriore merito di portata completamente innovativa: l'articolo 4 della Convenzione sancisce il principio secondo il quale ogni individuo ha il diritto di vivere libero dalla violenza, sia nella sfera pubblica che in quella privata. La vita libera dalla violenza è dunque un diritto, non un regalo dell'uomo, del compagno, del partner violento, come invece è stato ed è vissuto troppe volte dalle donne.
  È innegabile che in Paesi evoluti e ricchi come l'Italia, dotati di Costituzione e di sistemi giuridici altamente sensibili ai diritti fondamentali delle donne, continuano a verificarsi fatti inauditi, come ci dimostrano gli ultimi atroci episodi di cronaca che mietono vittime sempre più giovani, come tra l'altro testé ricordato dal Presidente della Camera. Non è più tollerabile che in Europa, come ci indicano i dati più recenti, ogni giorno 7 donne vengano uccise dal proprio partner e che in Italia siano state uccise nello scorso anno più di centoventi donne, una ogni 3 giorni.
  I dati ISTAT ci dicono che il fenomeno della violenza e dei maltrattamenti contro le donne ha, nel nostro Paese, grande rilevanza. Sono stimate in quasi 7 milioni le donne italiane tra i 16 e i 70 anni che hanno subito nel corso della vita, dentro o fuori dalla famiglia, una forma di violenza, fisica o sessuale. Un milione e 400 mila donne hanno infatti subito forme di violenza sessuale prima dei 16 anni. Oltre 7 milioni di donne hanno subito o subiscono violenza psicologica. Spesso inoltre coloro che subiscono forme di violenza psicologica sono anche vittime di violenze fisiche o sessuali. E ciò, nonostante il Parlamento italiano, in particolare durante le scorse legislature e per merito della lotta a tutto a tutto campo, appassionata e determinata, intrapresa dall'allora ministro Carfagna, si sia impegnato in una severa legislazione sulla violenza contro le donne come reato contro la persona, e abbia affrontato anche l'aspetto delle molestie, delle persecuzioni e discriminazioni contro le donne nei luoghi di lavoro.
  La convenzione di Istanbul ci dota dunque dei mezzi per opporci a questa vera e propria piaga sociale, ma fa anche di più: ci obbliga tutti, uomini e donne, a combattere la violenza per far prevalere la democrazia ed il diritto di essere liberi dalle violenze.
  Oltre a servizi di supporto materiale e morale alle donne vittime di violenza e a misure che facilitino il loro recupero, come ad esempio consulenze legali, sostegno psicologico, assistenza finanziaria, alloggio o appoggio nella ricerca di un lavoro, quello che appare un traguardo importante della Convenzione è l'attenzione che viene rivolta al tema della sensibilizzazione. La Convenzione prevede, infatti, misure finalizzate alla prevenzione di un fenomeno tanto diffuso ormai in Paesi anche considerati civili e tanto esteso da non potere essere più affrontato soltanto con un inasprimento delle pene, ma che va arginato alle origini, indirizzando l'intera società verso forme di maggiore rispetto nei confronti delle donne.
  Sono previste, infatti, delle campagne di sensibilizzazione per aumentare la consapevolezza e la comprensione del fenomeno ed educare l'opinione pubblica sulla necessità di prevenire forme di violenza e sopraffazione nei confronti del genere femminile. A questo proposito risulta particolarmente significativa la richiesta ai media di un'attenzione particolare e di un'autoregolamentazione responsabile. Troppo spesso, infatti, l'immagine delle donne fornita dai mezzi di comunicazione opera per stereotipi di genere ed offre al «basso pubblico» immagini degradanti e fuorvianti su quello che è e deve essere il ruolo della donna nella società.
  Permettetemi altre due considerazioni. Vorrei sottolineare la profonda dimensione educativa espressa dalla Convenzione, dimensione educativa non solo nel Pag. 18senso di assicurare l'accesso delle bambine e delle donne all'educazione, ancora negata in tanta parte del mondo, ma nel senso di educare l'insieme della nostra società al valore dell'uguaglianza di tutti i cittadini senza distinzioni di sesso, secondo il dettame dell'articolo 3 della Costituzione italiana, ed al valore della non discriminazione, secondo i dettami dell'articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.
  Questo è un impegno di indubbia attualità oggi in Italia, intanto perché stiamo sperimentando la complessità della presenza crescente di comunità immigrate e del conseguente processo di integrazione da portare avanti, integrazione i cui cardini sono il rispetto dell'individuo e della sua dignità, da garantire insieme ai principi ed alle leggi nazionali che regolano l'appartenenza alle società di accoglienza, ed è da tenersi presente la particolare situazione di vulnerabilità delle donne insieme con il loro specifico contributo.
  Altro punto fondamentale e di indubbia attualità è il richiamo operato dalla Convenzione alla non discriminazione, cui ci vincola la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che indica tutti i possibili motivi di discriminazione da mettere al bando: il sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le convinzioni personali, le convinzioni politiche, fino – così recita l'articolo 21 della Carta – alla disabilità ed all'orientamento sessuale.
  La lotta contro ogni sopruso ai danni delle donne è, dunque, lotta all'intolleranza ed alla violenza, in larga misura oggi alimentate in Italia dall'ignoranza, dalla perdita di valori ideali e morali, da un allontanamento spesso inconsapevole dai principi su cui la nostra Costituzione ha fondato la convivenza nazionale di pace e di democrazia. È la lotta a chi è nell'errore e compensa con la violenza ciò che gli manca in verità ed in forza.
  La concreta affermazione dei diritti umani costituisce, dunque, un'innegabile pietra di paragone della condizione effettiva delle popolazioni, delle persone e del grado di avanzamento materiale e spirituale di un Paese. Per tale motivo chiediamo, dunque, con fermezza la rapida approvazione della legge di ratifica per dare un nuovo slancio alla donne italiane, per fare sentire meno solo chi è più fragile, per dare una speranza ad un Paese, che in questo momento necessita di confrontarsi a testa alta ed al medesimo passo rispetto ad altri Paesi europei anche su delicati temi sociali, e per costruire la cultura della libertà e del rispetto (Applausi).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Marisa Nicchi. Ne ha facoltà.

  MARISA NICCHI. Signora Presidente, se siamo qui a parlare della ratifica della Convenzione di Istanbul, lo dobbiamo anche alla sua determinazione.
  Signori del Governo, colleghi e colleghe – che avremmo voluto fossero più numerosi – la domanda da cui partiamo è la seguente: come può la violenza maschile essere ancora la prima causa di morte delle donne ? La ratifica della Convenzione di Istanbul che ci accingiamo a fare, è un atto di volontà politica, che impegna gli Stati a rispondere a questa domanda ed a fermare quella violenza che da sempre ha vissuto nel silenzio e nell'indicibile. È un impegno che noi prendiamo entro, e direi anche oltre, la griglia dei propositi che la Convenzione delinea, perché io penso che nel nostro Paese servano oggi più politiche e più buone pratiche di non violenza, anziché nuove e più aspre leggi penali.
  È su queste politiche che mi voglio soffermare e parto dalla questione delle risorse pubbliche impegnate in questa materia. Il Fondo per un piano contro la violenza sulle donne viene istituito nel 2008 con 20 milioni di euro – la relatrice conosce bene questa materia –, ma bisogna arrivare al 2011 perché diventi operativo, con uno stanziamento di quasi 19 milioni di euro che ha consentito di attivare i servizi di emergenza. Il bilancio di previsione del 2013 prevede alla fine, tra stanziamenti iniziali e riporti di bilancio, 4,5 milioni di euro. Sono dati che ci ha fornito il servizio legislativo della Camera. Pag. 19Ecco, sono somme evidentemente ridotte e che mettono in luce un primo problema, quello dell'incremento e del buon utilizzo. E allora, signori del Governo, noi suggeriamo alcuni orientamenti. In primo luogo non perdiamo i contorni della peculiarità della questione, non allarghiamo troppo. La violenza, il femminicidio, sono dati strutturali che possono essere indicati con parole precise: la violenza degli uomini sulle donne, l'orribile e atroce reazione maschile per annientare fisicamente fino alla morte, ma non solo, l'identità e il desiderio di libertà delle donne. Ci parlano delle relazioni «proprietarie» che per secoli gli uomini hanno convinto le donne ad accettare e che oggi le donne non accettano più e a cui si vogliono sottrarre.
  Signori del Governo, si agisca con le competenze che al Governo appartengono per costruire la rete tra i soggetti da coinvolgere, affinché non ci siano più ritardi, inefficienze ed omissioni. Penso e pensiamo più ad una rete, meno ad una task force direttiva, una rete che metta insieme cultura, scuola, media, servizi sociali, lavoro e formazione. Signori del Governo, si connettano tutti quei luoghi dei passi femminili fatti talvolta vanamente dalle donne per cercare soluzione alle proprie offese. Si mettano insieme le questure, i pronto soccorsi, gli studi legali, i tribunali, i centri antiviolenza. È un coordinamento prezioso per cui serve sapere e volere, non tanti soldi, ma è un bene prezioso, se il Governo lo realizza con le sue competenze. Una rete in cui tutti sappiano cosa fare e cosa condividere. Si ascoltino le buone pratiche che si sono affermate. In Italia non si parte da zero. I centri antiviolenza sono la porta aperta alle donne maltrattate per percorsi di uscita a loro misura, affiancate da altre donne. Sono buone pratiche che si sono sviluppate volontariamente e di cui si avvalgono gli enti locali. Si dia sicurezza e stabilità al funzionamento di base di questi centri, troppo appesi a precarie risorse pubbliche. C’è bisogno di finanziamenti nazionali certi ed integrati con quelli delle regioni e dei comuni, e questi servizi devono diventare con la loro specificità un anello dei livelli essenziali di assistenza. Di questo parleremo presto nella sede della XII Commissione (Affari sociali). Si valorizzino metodologie e competenze femminili messe a punto da anni di esperienza nel campo, impostazioni non giudicanti che puntano sull'autonomia di decisione femminile. Nulla si può agire al di sopra della volontà di una donna e penso che, per esempio, la procedibilità di ufficio per i provvedimenti giudiziari nei casi di violenza che sono previsti dagli articoli 44 e 55 della Convenzione, rischia di saltare questa volontà.
  Rischia di saltare un protagonismo che è indispensabile. Il protagonismo di una donna è indispensabile per uscire da situazioni complesse di dolore, per ricostruire una vita e quella dei propri figli affrancata dagli inganni d'amore, dalle minacce economiche e dalle ritorsioni. Concludo: signori del Governo, colleghi e colleghe, si punti, per affrontare questa materia così complessa, sulla risorsa prima, l'autonomia delle donne. La «colpa» più diffusa delle violenze e della morte è quella di essersi prese la libertà di decidere, di essersi sottratte al potere e al controllo del padre, marito, compagno, amante, fratello. Gli uomini amano le donne, ma non sempre reggono la loro libertà, la nuova soggettività delle donne. È la dinamica oscura e distruttiva che spesso muove la mano assassina, mano che possiede le chiavi di casa e, talvolta, anche del cuore.
  Su libertà e autonomia delle donne non si torna indietro, sapendo che sono percorsi non lineari né univoci, ma sono cose complicate. Le donne li percorrono ogni giorno, in ogni parte del mondo ed è la forza che renderà questo mondo più umano, la forza di nuovi rapporti d'amore liberi da pregiudizi e costrizioni, come si dice in quel film che oggi ha vinto il Festival di Cannes e come lo scorso San Valentino, per la festa degli innamorati, in occasione di un flash mob mondiale, le donne hanno scritto: «Se un miliardo di donne stuprate sono un'atrocità, un miliardo di donne che ballano solo una rivoluzione» (Applausi).

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  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Murer. Ne ha facoltà.

  DELIA MURER. Signor Presidente, onorevoli colleghi e onorevoli colleghe, penso che oggi sia un giorno importante, non solo per le donne italiane, ma per tutto il nostro Paese e credo che il Parlamento dia un bel segnale con la ratifica della Convenzione, una ratifica che, come è stato ricordato, è stata sollecitata da tante parti, dai movimenti delle donne ed è stata sollecitata anche con raccolta di firme in tutto il nostro Paese. Quindi, questo Parlamento così cambiato – io sono una parlamentare della passata legislatura e devo dire che è un Parlamento molto più giovane, pieno di donne – mi auguro che segni un'inversione di tendenza e un grande cambiamento. Il cambiamento è quello di assumersi le proprie responsabilità. Questo a me piace dire. Non credo che sia un fatto banale ratificare questa Convenzione. Ratificare questa Convenzione significa, per lo Stato italiano, assumersi degli impegni molto precisi, impegni trasversali su vari aspetti, ma che partono dal fatto di riconoscere che la violenza contro le donne è la violazione di un diritto umano, una violenza di genere e, quindi, quando capiamo questo poi, leggendo tutta la Convenzione, vediamo quanti aspetti e su quanti aspetti ci debba essere poi coerenza da parte dello Stato.
  Io vorrei ricordare, perché nel dibattito ci sono state alcuni accenti che secondo me non sono così precisi, che, appunto, non basta prendersi questo impegno, dovranno seguire atti normativi e anche un impegno che preveda un recupero di risorse nel nostro Paese. Sappiamo essere questo un punto difficile e dolente, ma se vogliamo che questa sia una scelta che facciamo, che abbia poi una coerenza, questo deve venire. E questo lo dico perché, come ricordava qualche intervento, noi abbiamo ricevuto dalla rete dei centri antiviolenza e da tanti comuni una richiesta ben precisa, che questi centri possano esistere, che non ci sia una episodicità nel loro sostegno, nelle sovvenzioni, nella possibilità di operare concretamente.
  Noi sappiamo che nel nostro Paese ci sono realtà dove esistono centri pubblici, ci sono realtà dove esistono centri e case protette, aperte e costruite da associazioni di donne, ma abbiamo anche tante parti del Paese dove non c’è nulla. E, allora, quelle donne che sono andate a denunciare si sono trovate, poi, prive di un sostegno, prive di quell'aiuto che permettesse di venire via dai loro contesti familiari, permettesse di cominciare la costruzione del percorso di autonomia, di libertà e di ricostruzione di vita che loro volevano portare avanti nel momento della denuncia.
  Io credo sia molto importante che il nostro Governo si assuma una responsabilità: non è nell'atto di ratifica della Convenzione che questa responsabilità può venire, ma verrà nel confronto su proposte di legge, perché, appunto, ci possa essere il finanziamento dei centri antiviolenza; ma che il piano non sia una cosa effimera e che tutta la rete delle associazioni possa essere coinvolta non solo nel redigere le risposte che il nostro Paese dà, ma anche nella raccolta dei dati. Mi ha fatto molto piacere sentire la Ministra Idem dire che vuole dar vita ad un osservatorio. Credo che questo sia uno strumento importante e utile. Credo che, però, davvero serva un'inversione di rotta: serve che tutti noi ci facciamo carico di cambiare le condizioni concrete di vita delle donne e degli uomini su questo tema.
  E, allora, le risorse si debbono trovare, i centri antiviolenza si debbono costruire anche in quelle realtà che non li hanno, si deve adeguare con molta forza la formazione del personale delle forze dell'ordine, così come vanno trovate risposte anche nell'ambito delle strutture sanitarie. Io condivido molto il fatto che si possa addivenire, con un'intesa con la Conferenza Stato-regioni, al fatto che nei pronto soccorso si individui il codice rosa. Credo che anche questo sarebbe uno strumento concreto, ma non è uno strumento che si improvvisa o un bollino che si mette. Anche questo richiede un lavoro, richiede un percorso, richiede una grande serietà, richiede un lavoro di rete da costruire Pag. 21anche tra tutti i servizi e in relazione, poi, con i centri antiviolenza e con le case protette.
  Io penso, quindi, che la ratifica della Convenzione sia un passo in avanti, ma sia un punto di rilancio di tutta una serie di interventi e di politiche che possono davvero cambiare l'atteggiamento del Paese di fronte a questa emergenza (Applausi).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Di Stefano. Ne ha facoltà.

  MANLIO DI STEFANO. Signor Presidente, gentili colleghi e colleghe, il MoVimento 5 Stelle è davvero soddisfatto di questo passo che l'Italia sta compiendo: siamo il quinto Paese che si appresta a ratificare la Convenzione di Istanbul e ci auguriamo che ciò possa essere l'avvio di un processo virtuoso che spinga gli altri Paesi a seguirci, nell'ottica di arrivare presto a quelle dieci adesioni necessarie all'attuazione della Convenzione.
  Vedete, colleghi, per un uomo, con tutta l'apertura mentale di questo mondo, non è semplice comprendere il fenomeno della violenza sulle donne, perché, banalmente, fin da piccoli, non siamo abituati a scontrarci con questa problematica e, di conseguenza, non la facciamo nostra. Mi sono chiesto, allora, cosa generi la violenza e che ruolo abbia la donna in questi fenomeni, e a poco a poco mi sono fatto un'idea.
  La violenza non è contro la donna. Lo so che vi sembrerà assurdo, ma lasciatemi proseguire. Io credo che la violenza sia sempre orientata al diverso. L'uomo, l'infame, che picchia, abusa o, addirittura, uccide una donna, sta in realtà provando a sottomettere un diverso, percepito come tale in termini sia fisici sia ideologici, e lo fa usando ciò che intrinsecamente l'ha sempre contraddistinto, ovvero il predominio fisico. La donna di contro, come spesso avviene, tende ad accettare il suo ruolo di controparte debole del maschio, che la porterà, infine, a soccombere.
  Ora mi chiedo, e sarebbe bene lo facessimo tutti: cosa porta l'uomo e la donna a sviluppare queste convinzioni ? Cosa porta l'uomo a voler sottomettere la donna e, spesso, la donna a non accorgersi del rischio ? Beh, colleghi, io credo che questo sia dovuto alla nostra evoluzione fin da bambini. Credo che ognuno di noi porti dentro un retaggio culturale direttamente proporzionale all'esempio ricevuto dal proprio nucleo familiare, ma anche e, soprattutto, da ciò che lo circonda.
  Cresciamo bombardati dalle immagini che la mia collega Spadoni ha già descritto e ci formiamo in una palestra che poco ha a che fare col rispetto del diverso. Siamo abituati ad imporre il nostro volere in qualità di maschio o ad accettare quello altrui per rispetto delle gerarchie domestiche. Ci illudiamo così di rispettare e proteggere nostra sorella, ma in realtà la stiamo scavalcando nella sua facoltà di autodeterminare il suo ruolo sociale, ed ecco quindi, ancora una volta, il ruolo del maschio che ci hanno inculcato. Passa il tempo e la nostra ragazza diventa, appunto, «nostra», e faremmo qualsiasi cosa per proteggerla, persino eliminare l'avversario o, perché no, la ragione del contendere. Ancora una volta ecco il ruolo del maschio.
  Arriva poi la fase adulta e nuovi modelli, tra i quali spicca la politica ed il dibattito pubblico, e lì, purtroppo, scopriamo che sottomettere significa ottenere ragione, o comunque ottenere qualsiasi cosa sia desiderata ma non sia dovuta. Per ottenere questa sostanza si usano delle forme, ed è perciò ipocrita la distinzione tra forma e sostanza in un contesto in cui il mezzo è legittimato dagli attori ancor più che il fine. Per ottenere qualcosa, quindi, si accetta il compromesso della violenza e della discriminazione, e questo avviene a livelli così alti che l'emulazione è pressoché naturale.
  Colleghi, a tal proposito, questo è il palazzo che negli anni ha visto pochissime donne ottenere un ruolo centrale, quasi mai all'interno dei rispettivi gruppi politici, ma che ha sempre avuto il bel coraggio di discutere di quote rosa. Non abbiamo mai visto un Presidente del Consiglio donna, figuriamoci un Presidente della Repubblica. Onorevoli colleghi, il Pag. 22MoVimento 5 Stelle vi ha dimostrato che le quote rosa servono esclusivamente laddove la discriminazione si fa alla base (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), perché quando invece si lascia scegliere liberamente e si eliminano gli ostacoli di accesso alla carica allora il bilanciamento dei ruoli uomo-donna è automaticamente ottenuto per via delle competenze. Senza liste chiuse e senza quote rosa abbiamo portato il 38 per cento di donne nel gruppo, di cui il 61 per cento come capolista nelle rispettive circoscrizioni: esempio autorevole, emulazione. Questa è l'Aula del Parlamento che non proferì mai in modo unanime lo sdegno per le ignobili parole proferite alla deputata Bindi dal gentleman Berlusconi, il cavaliere (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), per sottometterla verbalmente: «lei è più bella che intelligente». La forma, appunto, e nemmeno il Ministro delle pari opportunità, onorevole Mara Carfagna, disse nulla; esempio autorevole, emulazione. Questa è l'Aula del Parlamento che disse «no» all'autorizzazione per il «caso Ruby», coprendo, di fatto, un chiaro caso di prostituzione femminile minorile commesso dall'allora Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Oltre ai 12 assenti tra gli esponenti dell'allora opposizione – scusate, larga maggioranza –, vi furono 315 deputati che votarono favorevolmente tra PdL e Lega Nord, dei quali ottantotto sono ancora tra questi scranni e spicca – e credetemi, questo mi sconforta profondamente – uno dei nomi tra quelli che si sono più battuti per questa ratifica, ovvero la relatrice stessa, l'ex Ministro delle pari opportunità, onorevole Mara Carfagna; ancora una volta, esempio autorevole, emulazione.
  Combattere una battaglia di principio, colleghi, significa battersi anche quando il principio sbagliato gioca a proprio sfavore, anche quando difendere una donna o attaccare un sistema significa andare contro i propri interessi personali o di casta. Questa è storia, cari colleghi, non è complottismo, e davanti alla storia dobbiamo imparare a cambiare, perché il valore dell'esempio deve tornare ad essere centrale nelle nostre istituzioni. Schieriamoci allora contro ogni forma di violenza verso le donne, sia verbale sia fisica che di discriminazione. Schieriamoci contro le cattive tradizioni, contro la supponenza, contro la sottomissione, contro lo sfruttamento, e iniziamo a discutere in queste stanze di come uscire dal buio degli ultimi anni, trovando la strada per rendere naturale l'inserimento della donna nella vita di tutti i giorni e contrastare ogni forma di violenza verso chi è percepito come diverso.
  La vera ricerca è quella della parità, che non significa che siamo tutti uguali per caratteristiche biologico-caratteriali, bensì siamo tutti allo stesso livello in quanto a diritti, dignità e socialità. Serve un cambiamento di mentalità, quindi; serve la rivoluzione culturale che noi del MoVimento 5 Stelle portiamo come nostro baluardo dal giorno della nostra fondazione. Quando avremo finito di smantellare ogni forma di preconcetto e avremo innescato un circuito virtuoso di rispetto reciproco, allora la Convenzione di Istanbul sarà un lontano ricordo, perché in presenza di valori innati non serviranno nuove regole (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle e di deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Locatelli. Ne ha facoltà.

  PIA ELDA LOCATELLI. Signora Presidente, la ringrazio non solo per avermi dato la parola, ma anche per aver dato rilevanza politica al tema della violenza contro le donne sin dal suo primo discorso in quest'Aula. Avere affrontato il tema nel suo discorso di insediamento e la sua successiva coraggiosa denuncia anche sulle pagine di quotidiani e riviste ha contribuito a imporre il tema della violenza alle donne nell'agenda del nostro Paese; bisogna anche dire che è un tema che s'impone da solo nell'agenda, anche perché è di ieri un'altra tragedia perpetrata con modalità crudeli ed efferate.Pag. 23
  Purtroppo – e avete notato che siamo in un Parlamento paritario quanto a numeri oggi ? Siamo un centinaio, più o meno, metà uomini e metà donne –, la calendarizzazione in una giornata elettorale contribuisce a rendere meno concentrata la nostra attenzione, soprattutto ad avere minore presenza di colleghi, cui il nostro messaggio è rivolto in modo particolare, perché è soprattutto agli uomini che vogliamo parlare. Troppo spesso abbiamo parlato fra noi donne e troppo a lungo la violenza contro le donne è stata considerata questione di donne e questione privata. Non avrebbe mai dovuto essere né l'una né l'altra cosa: è questione politica, in quanto fenomeno di pericolosità sociale che riguarda tutta la società; è questione di uomini e di donne, perché riguarda i rapporti tra uomini e donne.
  Qualche mese fa Mariella Gramaglia ha scritto che c’è uno strato roccioso, buio, sotterraneo nei rapporti tra uomini e donne, soprattutto fra quelli che si frequentano, si uniscono e dovrebbero amarsi, che si chiama «violenza» e che nella quasi totalità dei casi conosce una sola direzione: da lui a lei.
  Purtroppo, le istituzioni del nostro Paese non hanno mostrato un'efficace impegno nel contrasto a questo tragico fenomeno, tant’è che la relatrice speciale alle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne ha offerto – si dice in questo modo, con un linguaggio elegante – allo Stato italiano una lunga lista di raccomandazioni, che evidenziano la nostra inadeguatezza e incapacità. Sono diciannove diverse raccomandazioni e ciò significa che c’è un lungo elenco di cose da fare.
  Ma perché la realtà italiana è così triste ? Purtroppo, la spiegazione sta nella nostra cultura, nella nostra storia e nella nostra legislazione. A volte dimentichiamo – ma ce l'ha ricordato il collega Fava – che nel nostro Paese il delitto d'onore è stato abolito poco più di trent'anni fa e questo delitto veniva punito con la reclusione da tre a sette anni; se l'articolo in questione valeva per entrambi i sessi, in un Paese in cui tutto è sempre stato declinato al maschile, in quel caso era scritto nell'accezione femminile, nella presunzione che soltanto l'uomo potesse venir colpito dall'offesa arrecata all'onor suo e della famiglia di cui era signore e anche padrone. Così come il reato di adulterio era solo a carico della moglie che aveva tradito il marito, perché per il marito si parlava di concubinato, senza prevedere che ci potesse essere una reazione della moglie.
  E ancora, il codice civile del 1942 stabiliva la condizione di inferiorità della donna nei rapporti personali e patrimoniali, e il codice penale stabiliva che chi abusava di mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità – e la moglie era per legge sottoposta – veniva punito se le lesioni erano gravi. Insomma, il marito era libero di picchiare la moglie. Tutto questo è storia, è storia recente, perché questo contesto fu superato dal punto di vista giuridico – e sottolineo giuridico, non nella realtà dei fatti – solo con il nuovo diritto di famiglia del 1975, ma fino ad allora l'esercizio del potere maschile coincideva con il diritto ad esercitarlo.
  Non ho ricordato tutti questi articoli per amore della storia. L'ho fatto per una ragione precisa: c’è qualcuno che, oggi, attribuisce le morti violente delle donne – i femminicidi – alla liberalizzazione dei costumi, al venire meno della tenuta delle famiglie, manifestando una sorta di nostalgia per quei «bei tempi passati» che ho descritto prima. Noi non rimpiangiamo questo passato e abbiamo lavorato per cambiare la società, per migliorare la condizione delle donne e per consentire loro, a partire dalle giovani donne, di vivere appieno la vita in condizioni di opportunità equivalenti a quelle dei loro coetanei, nella vita privata, sociale e professionale.
  Fermare questa tragedia è impegno che riguarda tutti e tutte, in particolare chi, come noi, si trova a ricoprire ruoli istituzionali. Fermare questa tragedia significa assumere impegni precisi per avviare azioni di contrasto, protezione, prevenzione e sensibilizzazione, con politiche attive, coerenti e coordinate, che coinvolgano Pag. 24i diversi attori, istituzionali e non, a tutti i livelli, ponendo il tema della violenza contro le donne come priorità assoluta.
  L'approvazione del progetto di legge per la ratifica della Convenzione di Istanbul è un impegno che va nella direzione giusta. Saremo il quinto Paese a ratificare la Convenzione e ne servono altri cinque perché la Convenzione entri in vigore. Facciamolo presto, ma facciamolo bene, per evitare che questo atto si riduca a pura operazione di immagine, perché tale sarebbe se si lasciasse immutata la legislazione vigente.
  Questo ci chiede nei fatti la Convenzione di Istanbul, proponendo un approccio complessivo e integrale, capace di affrontare il tema nella sua drammatica complessità.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  PIA ELDA LOCATELLI. Questo ci invitano a fare le promotrici della Convenzione No More !, che insieme ad altre associazioni impegnate sul tema della violenza ci indicano una strada. Queste promotrici (sono insieme tante associazioni) ci indicano una metodologia di azioni da compiere come parte di un unico percorso, a completamento di questo percorso, e ci suggeriscono di focalizzare i contenuti specifici della Convenzione in singoli obiettivi di intervento, di esaminare la legislazione vigente e, in particolare, gli strumenti di protezione e assistenza alle vittime cosiddette vulnerabili, di reperire risorse finanziarie, di verificare gli strumenti giuridici internazionali o le fonti normative dell'Unione europea. Ci sono quattro direttive europee da ratificare; non le elenco, sono nell'ordine del giorno che abbiamo presentato.
  Prima di concludere dico una sola cosa, a titolo personale, perché va oltre l'ordine del giorno presentato. Quando il Governo italiano ha firmato la Convenzione, ha contestualmente depositato una nota a verbale, con la quale ha dichiarato che applicherà la Convenzione nel rispetto dei principi e delle previsioni costituzionali. La nota nasce a causa della definizione del termine «genere» contenuta nella Convenzione.

  PRESIDENTE. La invito nuovamente a concludere.

  PIA ELDA LOCATELLI. Una sola riga... L'articolo 3 dice infatti: «Con il termine di genere ci si riferisce a ruoli, comportamenti e attività socialmente costruiti, che una determinata società considera appropriati per uomini e donne». Il nostro Governo ha ritenuto che questa definizione fosse troppo ampia e incerta e presentasse profili di criticità con l'impianto costituzionale italiano. È difficile per me da capire e chiedo a lei, Presidente, al Ministro delle pari opportunità e al Viceministro Pistelli di fare pressioni sul Governo attuale perché tale nota a verbale sia ritirata e la nostra ratifica della Convenzione risulti piena, limpida e senza incertezze ed eccezioni (Applausi).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Nissoli. Ne ha facoltà.

  FUCSIA NISSOLI. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, nel momento in cui il Parlamento italiano si accinge a ratificare la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, una riflessione attenta unita ad un forte senso di imbarazzo non possono non invadere tutti noi e indurci a interrogarci profondamente, visto che ci sembra quasi di fare un passo indietro di fronte a diritti che tutti abbiamo ritenuto acquisiti e ci troviamo invece di fronte a dati incredibili.
  Centoventiquattro donne uccise nel 2012 in Italia con un trend generale che è in aumento, in controtendenza con la diminuzione in termini assoluti degli omicidi, mentre recenti notizie di cronaca ci lasciano sgomenti.
  Se guardiamo al percorso fatto notiamo che l'impegno per la tutela dei diritti umani fondamentali, che caratterizza l'attività del Consiglio d'Europa sin dall'inizio Pag. 25degli anni Cinquanta, si è tradotto, com’è noto, in una serie di strumenti giuridici vincolanti e in un numero ancora più elevato di raccomandazioni riguardanti varie situazioni fino ad arrivare ai diritti cosiddetti di quarta o di ultima generazione, i diritti derivanti dal progresso scientifico e tecnologico.
  Di fronte a questa evoluzione o progresso che ha portato ad individuare soluzioni e strumenti sempre più raffinati per tutelare persone in situazioni nuove ed inedite, oggi ci vediamo catapultati indietro nel tempo a considerare un diritto umano fondamentale di prima generazione, appartenente ai diritti civili e politici: il diritto alla vita, insieme al diritto a non essere sottoposti alla tortura né a punizioni o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, secondo gli articoli 6 e 7 del Patto internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite del 1966.
  Si tratta di diritti fondamentali in quanto appartengono alla persona umana in quanto tale e che trovano origine nell'imprescindibile nozione di dignità umana. Perché allora approntare una disciplina specifica sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica ? Forse è che la nostra società, tanto evoluta e attenta al benessere e alla qualità della vita dei propri cittadini, non si sia accorta di un fenomeno a dir poco inquietante e dell'assenza di strumenti adeguati per contrastarlo ?
  Si deve a Norberto Bobbio la cosiddetta specificazione dei diritti umani che considera l'individuo non come entità generica o soggetto in senso astratto, ma porta a guardare alla specificità e alla concretezza delle diverse modalità dell'essere e dello stare nella società.
  Sin dall'inizio degli anni Novanta il Consiglio d'Europa ha intrapreso una serie di iniziative per contrastare la violenza contro le donne, in sintonia con altre iniziative internazionali delle Nazioni Unite e di alcune organizzazioni regionali, sensibilizzando altresì l'opinione pubblica e le istituzioni nazionali rispetto ad una vera e propria piaga sociale. Più recenti sono le riflessioni e le iniziative volte a sensibilizzare e a contrastare la violenza di genere. In questa prospettiva, anche l'utilizzo del neologismo femminicidio introduce un'ottica di genere nello studio di crimini neutri, consentendo di rendere visibile il fenomeno, spiegarlo, potenziare l'efficacia delle risposte punitive.
  La Convenzione di Istanbul dell'11 maggio 2011, al nostro esame, è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza. La Convenzione interviene specificamente anche nell'ambito della violenza domestica che non colpisce solo le donne ma anche altri soggetti, ad esempio bambini e anziani, ai quali altrettanto si applicano le medesime norme di tutela. In quest'ottica, di particolare importanza appare l'articolo 4 della Convenzione che stabilisce il principio secondo il quale ogni individuo ha il diritto di vivere libero dalla violenza nella sfera pubblica e privata. Ampio spazio viene dato dalla Convenzione alla prevenzione della violenza contro le donne e della violenza domestica; la prevenzione richiede un profondo cambiamento di atteggiamenti e il superamento di concezioni culturali che favoriscono o giustificano l'esistenza di tali forme di violenza.
  La cronaca ci presenta quotidianamente fatti agghiaccianti di donne trucidate dai propri compagni o conviventi, considerate brave persone, e sorge spontaneo un interrogativo: com’è potuto accadere e cosa si poteva fare per evitarlo ?
  In questo senso, l'implementazione di procedure come quelle del «codice rosa», già avviate con successo in varie località italiane, rappresenta un doveroso impegno di tutti noi per essere accanto alle vittime in maniera concreta.
  A tal proposito, un altro punto fondamentale della Convenzione è la protezione delle vittime e particolare enfasi viene posta sulla necessità di creare meccanismi di collaborazione per un'azione coordinata tra tutti gli organismi, statali e non, che rivestono un ruolo nella funzione di protezione Pag. 26e sostegno alle donne vittime di violenza, o alle vittime di violenza domestica.
  Si stabilisce, inoltre, l'obbligo per le parti di adottare normative che permettano alle vittime di ottenere giustizia nel campo civile e compensazione, in primo luogo, dall'offensore, ma anche dalle autorità statali, se queste non hanno messo in atto tutte le misure preventive e di tutela volte ad impedire la violenza, ed individua anche una serie di reati perseguibili penalmente, promuovendo altresì un'armonizzazione delle legislazioni nazionali. Tali legislazioni vanno armonizzate, in primis, a livello dell'Unione europea e, pertanto, chiedo che il Governo si attivi nei tavoli bilaterali, affinché tutti gli altri Paesi membri ratifichino al più presto la Convenzione, in maniera che possa entrare subito in vigore.
  La dignità della donna non può essere un optional e, pensando, come eletta all'estero, alle tante donne italiane emigrate, che in solitudine si trovano di fronte a situazioni in cui la loro dignità viene calpestata, chiedo che il nostro Governo abbia un'attenzione anche per loro, magari istituendo un numero rosa di aiuto che funzioni anche dall'estero. Sono convinta che raccoglierebbe la disponibilità forte delle strutture di volontariato e delle associazioni di settore. Ritengo, inoltre, importante il fatto che la Convenzione istituisca, all'articolo 66, un gruppo di esperti sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, il GREVIO, costituito da esperti indipendenti incaricati di monitorare l'attuazione della Convenzione da parte degli Stati aderenti. Significativo appare il ruolo affidato ai Parlamenti nazionali, che ricevono i rapporti dal GREVIO e partecipano al controllo delle misure attuative della Convenzione.
  Signor Presidente, la ratifica della Convenzione di Istanbul è senz'altro un impegno fondamentale del Parlamento italiano, non soltanto per le finalità e gli strumenti predisposti – tutti condivisibili –, non tanto per l'adesione alle più attuali lotte di genere, ma per l'armonia – come più volte sottolineato, sia dal Presidente Monti che dal Presidente Letta – con la centralità della donna nella società italiana, del suo ruolo e della sua dignità, quali elementi fondamentali del patrimonio di valori della nostra nazione (Applausi).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Costantino. Ne ha facoltà.

  CELESTE COSTANTINO. Signora Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, anch'io non posso non iniziare che ricordando Fabiana ed esprimendo la vicinanza alla sua famiglia. La confessione dell'uccisione di Fabiana, avvenuta ieri da parte di un diciassettenne, suo coetaneo e concittadino di Corigliano Calabro, lascia sgomenti.
  Durante l'interrogatorio, i giornali, che continuano a titolare colpevolmente: «Dramma della gelosia», anziché «Femminicidio», ci dicono che il ragazzo non ha dimostrato il benché minimo pentimento per aver accoltellato e bruciato viva la sua fidanzata. È chiaro che un fatto del genere sciocca e indigna, eppure quello che è accaduto a Corigliano non è diverso da ciò che si consuma quotidianamente. Quello che cambia ogni giorno è solo il nome, l'età, la provenienza geografica, lo stato sociale della vittima e del carnefice perché purtroppo, quando pronunciamo la parola femminicidio, ci riferiamo proprio alle tante Fabiana di questo Paese.
  Questa Convenzione, che l'Italia si appresta a ratificare, sottolinea la necessità di iniziare un percorso culturale, che parta dallo sguardo sociale sulle donne, parta cioè dalla ricostruzione di quell'idea per cui la causa della violenza dipende dai nostri comportamenti. C’è ancora chi pensa che, se fossimo donne ubbidienti e caste, forse gli uomini non sarebbero così violenti, come se una prostituta, invece, meritasse di essere violentata, picchiata o uccisa.
  No, la verità è che «troppo non è mai abbastanza», come ci ha raccontato Ulli Lust facendoci vergognare del nostro Paese. Donne pensate e immaginate come Pag. 27oggetti di proprietà, come cose da possedere. E più vivono condizioni di precarietà economica e sociale e più facile diventa la reificazione. Che c’è di meglio, per esempio, delle donne immigranti, badanti sequestrate dentro le case degli anziani che accudiscono ? Famiglie italiane che pensano che pagando un lavoro comprano la vita di queste donne.
  Ho intrapreso da poco un viaggio per i centri antiviolenza del nostro Paese e l'ho voluto chiamare «Restiamo vive». La prima tappa è stata proprio a Cosenza, al centro «Roberta Lanzino», a pochi passi da Corigliano Calabro. Ebbene, quel centro qualche anno fa è stato costretto a chiudere la casa rifugio per donne maltrattate per mancanza di fondi. E sempre in questo viaggio, al centro «Ester Scardaccione» di Potenza, ho ascoltato, tra le altre, le testimonianze di tante donne straniere, a cui per lavorare veniva chiesto anche di accettare clausole non scritte, come far godere sessualmente il malato o il parente a lui vicino.
  In questo quadro bisogna demolire modelli e stereotipi, bisogna avere la capacità di ripensare un nuovo concetto di cittadinanza per tutti coloro che nascono e vivono in Italia. Ed ecco perché un ruolo centrale in questo percorso lo rivestono la scuola e l'università, i mezzi di comunicazione, l'informazione. La Convenzione che stiamo per ratificare al Capitolo III, dall'articolo 12 all'articolo 17, ci parla proprio di questo, dell'importanza, per esempio, dell'insegnamento dell'educazione sentimentale, della formazione all'affettività, per far sì che i bambini non seguano quelli che in tutti questi anni sono stati spacciati come elementi innati e che, invece, sono soltanto le costruzioni sociali e culturali del maschile e del femminile. Bisogna mettersi, questa volta sì, dalla parte di tutte le bambine e di tutti i bambini. Un accesso alla scuola libero, pubblico e laico, come ha stabilito il referendum a Bologna, in cui restituire a ogni individuo che nasce la possibilità di autodeterminarsi nel modo che gli è più congeniale, indipendentemente dal sesso a cui appartiene.
  In quest'ottica di formazione di una classe di insegnanti nuovi, un ruolo importante lo ha l'università, con gli studi di genere o gender studies, come vengono chiamati nel mondo anglosassone. In questo momento in Italia questi studi, anziché essere valorizzati, sono sotto scacco. In Italia, applicati dalla riforma Gelmini, i primi corsi che sembrano scomparire sono proprio questi. Noi di Sinistra Ecologia Libertà siamo intervenuti, anche con successo, aprendo un dibattito pubblico che ha bloccato la soppressione dei corsi.
  Concludo, dicendo che da qui si riparte, da un'ammissione di colpevolezza da parte della politica, dall'atteggiamento miope di chi, in questi anni, ha preferito parlare di sicurezza e convocare Consigli dei Ministri d'urgenza quando era del tutto evidente che l'emergenza fosse strutturata e radicata da chi utilizza il corpo delle donne per portare avanti della propaganda razzista o moralista, che non contrasta ma aumenta l'odio nel Paese e demonizza la bellezza.
  Vede, signora Presidente, io tra qualche giorno farò 34 anni. Sono nata nel 1979. Sono figlia della tv commerciale. Mi sono imbevuta, nel corso della mia vita, di cartoni animati con principesse, di telefilm americani in cui il padre andava a lavorare e la mamma faceva i biscotti, di programmi come Non è la Rai. Sognavo, da adolescente, di essere bella come quelle ragazze e, quindi, lungi da me uno sguardo giudicante o bigotto nei confronti di chi investe sulla propria fisicità e nel mondo dello spettacolo. Ma, oggi c’è un vero e proprio abuso mediatico del corpo femminile, che viene associato a qualsiasi prodotto da reclamizzare fino ad arrivare, addirittura, a inscenare un femminicidio per pubblicizzare un panno per la polvere.
  Faccio parte anche di quella generazione che ha ereditato dal movimento delle donne il concetto di libertà e di autodeterminazione e tanto altro ancora. E pensavo, ingenuamente, che quei concetti e quei diritti nessuno li avrebbe più messi in discussione. Oggi, invece di parlare della precarietà, come tratto della mia generazione che figli non ne fa più perché Pag. 28non è neanche nelle condizioni di poterli fare, devo ancora stare qui a difendere la legge n. 194 dagli obiettori di coscienza e dai movimenti pro life (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà), spalleggiati da corpuscoli politici fanatici e anacronistici, e rabbrividire sui dati relativi agli aborti clandestini.
  Con la ratifica della Convenzione di Istanbul rinunciamo a tutto questo e proviamo finalmente a ridare dignità a Fabiana, a tutte le vittime e a tutte le donne e gli uomini di questo Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Ecologia Libertà, Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato D'Alessandro. Ne ha facoltà.

  LUCA D'ALESSANDRO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il tema della violenza contro le donne, affrontato dalla Convenzione di Istanbul, che questo Parlamento si appresta a ratificare, riporta alla mente la drammaticità di un'emergenza ormai quotidiana, di una realtà persistente e pervasiva che anche in società avanzate come la nostra assume la dimensione di una inaccettabile violazione dei diritti umani, come recita il testo della Convenzione, e di un autentico pericolo sociale, come confermato dalle statistiche sul cosiddetto femminicidio. Deve essere evidente la consapevolezza che la violenza contro le donne non è un fatto privato ma una discriminazione e, come tale, un problema che riguarda tutta la società. La cronaca, anche di queste ore, ci riporta casi di violenza generata da motivi che spesso non appaiono riconducibili all'odio di genere e alla misoginia, ma alla violenza in famiglia, alla gelosia, alla possessività; il femminicidio diventa quindi non un omicidio inaspettato, ma l'ultimo atto di violenza estrema dopo una serie di maltrattamenti all'interno della coppia. Nel 2012 in Italia sono state uccise più di centoventi donne, una ogni due giorni. Il 40 per cento di queste aveva già subito violenza da parte del partner o dell'ex partner. Ma il dato più eclatante è quello che riguarda le denunce della violenza in famiglia: nel nostro paese il 93 per cento delle violenze commesse dal coniuge o dall'ex non viene denunciato. La ratifica della Convenzione di Istanbul si inserisce all'interno di un percorso che il nostro Paese ha l'obbligo di portare avanti con determinazione, costruendo una cornice di tutela contro la violenza domestica e contro la violenza alle donne, che passa per il sostegno alle vittime, la prevenzione di questi reati, e da una reale e concreta forma di tutela in sede giuridica. Dunque tre temi chiave: prevenzione, tutela e sostegno. In particolare, le politiche di prevenzione richiedono innanzitutto un profondo cambiamento di atteggiamenti e il superamento di stereotipi culturali che favoriscano o giustifichino l'esistenza di tali forme di violenza. A tale scopo, la Convenzione impegna non solo ad adottare le misure legislative per prevenire la violenza, ma anche alla promozione di campagne di sensibilizzazione, a favorire nuovi programmi educativi e a formare adeguate figure professionali. Per quanto riguarda invece la tutela giuridica, la Convenzione prescrive sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive. Su questo punto vorrei però evidenziare come il nostro ordinamento giuridico già preveda un quadro molto articolato di misure volte a contrastare la violenza di genere e lo stalking. Tra le misure di carattere repressivo si ricordano infatti le norme ricomprese nell'ambito dei delitti contro la libertà morale, previste e punite dagli articoli 610 e seguenti del codice penale, volte a punire chiunque comprometta l'integrità psicologica di una persona con la coercizione e le minacce; la norma che punisce la commissione di atti persecutori, cioè lo stalking, di cui all'articolo 612-bis del codice penale; le norme ricomprese nell'ambito dei delitti contro la vita e l'incolumità individuale, previste dagli articoli 575 e seguenti del codice penale, tra cui percosse e lesioni personali, che puniscono il comportamento intenzionale di chi commette atti di violenza fisica nei confronti di un'altra persona; l'articolo 572 del codice penale, che sanziona i maltrattamenti contro i familiari e i conviventi; le norme Pag. 29contro la violenza sessuale semplice e di gruppo; le norme nei confronti di chiunque ponga in essere pratiche di mutilazione genitale femminile, pratica aberrante che purtroppo ha registrato casi anche nel nostro Paese. È del tutto evidente quindi che, pur essendovi alcuni aspetti da affinare, il nostro ordinamento sia già all'avanguardia nella previsione di strumenti per il contrasto della violenza sulle donne, grazie anche ai numerosi interventi in materia fatti dal Ministro Carfagna. A questo proposito, sarebbe opportuno non trasformare tale momento importante e condiviso in un'occasione per piccole polemiche strumentali e fuori luogo. Ultimo punto: il sostegno. È infatti di fondamentale importanza individuare specifiche iniziative volte a potenziare i servizi e le misure di assistenza delle vittime di violenza, prevedendo un'organica risposta a livello territoriale e di rete, e rendendo omogeneo lo sviluppo di servizi idonei, attraverso la collaborazione e la cooperazione tra soggetti pubblici e privati, pronto soccorso, associazioni, sportelli antiviolenza, forze dell'ordine, servizi sociali, comuni, che operano per la prevenzione, il contrasto alla violenza contro le donne e che forniscono servizi di supporto ed assistenza.
  In conclusione, è necessario implementare e sostenere politiche di prevenzione, tutela e assistenza, affinché questa ratifica sia non un punto d'arrivo, ma un significativo e ulteriore passo avanti nel percorso di cui le istituzioni e cittadini siano responsabili, ognuno per la sua parte, allo scopo di porre fine all'incontenibile sequenza di violenze commesse nei confronti delle donne, che rappresenta un'inaccettabile violazione dei diritti umani e una pagina nera per l'intera nostra società (Applausi).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Mara Mucci. Ne ha facoltà.

  MARA MUCCI. Signor Presidente, gentili deputate e deputati, siamo qui oggi, in quest'Aula, per la ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne.
  Nel XXI secolo noi donne dobbiamo ancora lottare contro le discriminazioni e le violenze perpetrate nei nostri confronti solo per il fatto di appartenere al genere femminile. Che cosa abbiamo fatto per prevenire le violenze, le disparità, le disuguaglianze ? Troppo poco. Negli ultimi 20 anni l'uso del corpo delle donne è giunto a livelli insopportabili. Le nostre città, la televisione, i giornali propongono le donne ancora troppo spesso come oggetti, inquinando la nostra cultura, distruggendo la dignità del genere femminile. Anche questa è violenza !
  Sul corpo delle donne stiamo combattendo una delle più grandi battaglie dell'umanità. Noi donne ci ribelliamo all'umiliazione della nostra dignità, alla violenza sessuale che fa più morti del cancro e degli incidenti stradali, ai maltrattamenti tra le mura domestiche, alla paura di denunciare i propri carnefici.
  Le donne di Paesi a noi vicini insorgono contro quella barbarie che sono le mutilazioni genitali, primordiale forma di dominio sul corpo, sul piacere e sulla riproduzione, e noi qui, in Italia, ancora combattiamo contro capi che ci chiedono spesso di rinunciare ad un figlio, facendo leva anche sulla precarietà dei contratti che ci vengono somministrati in quanto donne, subendo l'umiliazione – sì, l'umiliazione – di un mancato rinnovo per l'attesa di un figlio, alla stregua di una discriminazione razziale.
  E allora dobbiamo optare tra affetti e lavoro, tra il diritto di essere madre e quello di essere una lavoratrice, come se la maternità fosse una menomazione, perché, ancora oggi, il maschio padrone, e non l'evoluzione di questo, l'uomo acculturato, ritiene che la capacità di riprodursi sia solo sua e, ancora una volta, il corpo della donna sia solo un mezzo.
  Le donne ancora oggi non sono libere e vengono condannate quando scelgono, con il dolore nell'anima e nel corpo, di interrompere una gravidanza, e ancora quando si vogliono sottoporre a qualsiasi metodica per avere un figlio. Questo offende Pag. 30la nostra dignità, violenta la nostra libertà ! Se scegliamo di diventare madri, dobbiamo combattere per rimanere sul posto di lavoro, veniamo ridicolizzate e additate perché chiediamo part-time o asili nido ! Eppure, lavoriamo come i nostri colleghi uomini, ma, a parità di mansioni e competenze, guadagniamo meno. Anzi, spesso lavoriamo di più, a casa e fuori !
  Questo mondo ci chiede di essere contemporaneamente superdonne, supercasalinghe, supermanager, ma così ci costringono spesso a lavorare in nero, ad essere sottopagate, ad occuparci delle categorie più deboli, senza mai riconoscerci la nostra dignità, il nostro valido contributo all'evoluzione della società in cui viviamo.
  Forse noi donne dovremmo ricordare prima a noi stesse e poi ai nostri figli, mariti, colleghi, capi, quanto facciamo ogni giorno, l'immensa fatica per tenere insieme se stesse, famiglia e lavoro, sempre con il massimo impegno, sempre ad alti livelli !
  E allora, come donna, chiedo che il dominio maschile sulla donna abbia fine, perché questa è la più antica oppressione e la più persistente. Chiedo che nessun uomo né la società in cui vivo mi puniscano perché auspico di godere dei diritti fondamentali come l'altra metà del cielo.
  Essere donna non significa essere relegata a un ruolo sociale e, per questo, essere assoggettata fisicamente, psicologicamente, economicamente, giuridicamente, politicamente e socialmente, annientando la mia identità. Oggi, più che 20 anni fa, noi donne italiane possiamo affermare che, se le discriminazioni basate sul genere e sull'orientamento sessuale sembrano acuirsi, è anche perché vengono riproposte direttamente anche da coloro che, rappresentando le istituzioni, dovrebbero, invece, adoperarsi per contrastarle (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  Troppo spesso dimentichiamo che il nostro compito non è creare nuovi ostacoli al godimento dei diritti delle donne a causa dei nostri pregiudizi, ma di riconoscerli e di rimuoverli. Ormai da decenni le Nazioni Unite hanno riconosciuto che la violenza maschile sulle donne costituisce una violazione dei diritti umani ed è anche la più grave forma di discriminazione nei confronti delle donne.
  Già nel 1993 la Dichiarazione dell'ONU contro la violenza maschile sulle donne riconosceva che questa è una manifestazione delle relazioni di potere storicamente diseguali fra uomini e donne, che ha portato alla dominazione e alla discriminazione contro le donne da parte degli uomini e ha impedito il pieno avanzamento delle donne, ed è uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata.
  La violenza sulle donne, dice l'articolo 1 della Dichiarazione ONU, è una violenza fondata sul genere, che colpisce la donna in quanto donna. Anche la Raccomandazione generale n. 19 della CEDAW, Convenzione ONU ratificata dall'Italia nel lontano 1985, al paragrafo 6, afferma che si definisce violenza di genere la violenza che è diretta contro le donne in quanto donne o che colpisce le donne in modo sproporzionato. Vi rientrano le azioni che procurano sofferenze o danni fisici, mentali o sessuali, nonché la minaccia di tali azioni, la coercizione, la privazione della libertà.
  E sembra assurdo dover ripetere e difendere questi concetti oggi, quando già da più di vent'anni essi sono entrati nel nostro ordinamento e questo Parlamento avrebbe dovuto porre questi principi alla base di tutta la sua produzione normativa.
  La Convenzione che oggi ratifichiamo ribadisce e rafforza, per l'area europea, dei concetti già consolidati nell'ambito delle Nazioni Unite e già entrati nel nostro ordinamento con la ratifica della Convenzione ONU per l'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  Per troppo tempo questo Parlamento ha dimenticato di essere soggetto nella sua attività ai principi di questa Convenzione. Ce lo ha dovuto ricordare la società civile, che nel 2011 ha presentato all'ONU il Rapporto Ombra sull'implementazione della CEDAW in Italia e ha denunciato come tutte le raccomandazioni che l'Italia Pag. 31riceveva non venivano tradotte e diffuse, non entravano nel dibattito parlamentare. Quel tempo deve finire ! Come donna e come parlamentare mi vergogno che sia stata la società civile, e non le istituzioni di questo Paese, a denunciare che in Italia 7 donne su 10, di quelle uccise, avevano già chiesto aiuto, e che, per questo motivo, l'Italia è il primo Paese europeo per cui l'ONU ha parlato di «femminicidio», l'unico Paese europeo che è stato rimproverato dal Comitato CEDAW perché l'elevato numero di donne uccise dai propri partner o ex-partner può indicare il fallimento delle autorità dello Stato nel proteggere adeguatamente le vittime dei loro partner o ex.
  Il femminicidio è solo la punta dell'iceberg di una serie di maltrattamenti e atti persecutori che le donne e bambine che vivono in Italia subiscono nella famiglia. Non possiamo inventarci numeri per quantificare questa violenza, perché questi numeri non esistono, perché non sappiamo quante denunce per questi reati sono state presentate da donne nei confronti di uomini, non sappiamo la relazione tra autore e vittima, non sappiamo quanti di questi procedimenti sono stati archiviati, quanti sono arrivati a condanna, quali misure sono state adottate per evitare la rivittimizzazione della donna e se queste misure sono state efficaci o la donna è morta nel frattempo.
  Le istituzioni troppo a lungo sono rimaste inerti. La ratifica della Convenzione di Istanbul costituisce il primo passo per riconoscere che serve un impegno serio da parte di tutte le istituzioni per capire la specificità di questo fenomeno, e contrastarlo in maniera adeguata. La ratifica deve avvenire senza riserve. Questa volta devono vincere i diritti, e prevalere sulla morale. Altrimenti, che questo Parlamento abbia il coraggio di ritirare la ratifica anche alla convenzione ONU ! Così che si capisca che questo Paese odia le donne alla pari di quei Paesi dove la religione è legge, nega alle donne il godimento dei diritti umani sulla base di principi morali e di ideologie personali !
  È proprio questa cultura, fatta di pregiudizi e di stereotipi sul ruolo della donna, che sta alla base della violenza e dell'inadeguata protezione che troppo spesso le donne ricevono dalle istituzioni.
  E allora, cosa dovrebbero fare le donne e gli uomini che come me rappresentano le istituzioni ? Innanzitutto, ratificare questa Convenzione e riconoscere che la violenza maschile sulle donne è frutto di una cultura patriarcale ancora troppo radicata nel nostro Paese. Una cultura patriarcale che fa credere agli uomini di poter usare violenza, a fatti o parole, solo perché si appartiene alla stessa famiglia, e che per questo tutto è dovuto, perché tanto non si avrà mai il coraggio di allontanarsi, perché la famiglia è la famiglia, perché le persone che trattiamo peggio sono quelle a cui diciamo di tenere di più. A parole, certo. E intanto la donna subisce un cambiamento interiore lento, ma inarrestabile, che la porta ad avere paura della sua stessa ombra, che la fa sobbalzare nel sonno, che la fa sentire osservata, che la riempie di lividi. Questo non è amore e non lo sarà mai e la prima che deve rendersene conto è la donna stessa. Partiamo da qui.
  E il passo successivo ? È l'immediata istituzione di una Commissione bicamerale di inchiesta sulla violenza maschile sulle donne, perché, prima di fare qualsiasi proposta legislativa per l'attuazione di questa Convenzione, abbiamo il dovere di capire qual è la reale situazione delle donne che subiscono violenza in questo Paese. Abbiamo il dovere di raccogliere i dati da ogni singola istituzione che interviene nella loro protezione. Abbiamo il dovere di guardare di persona quei fascicoli relativi ai femminicidi, capire dove abbiamo sbagliato, ascoltare le associazioni e gli esperti e farci spiegare le critiche puntuali che ci sono state mosse nel Rapporto Ombra e che pure l'ONU ha condiviso, e decidere insieme come superare questi ostacoli che oggi per troppe donne impediscono il godimento pieno del diritto alla vita e all'integrità psicofisica.
  A partire dagli ostacoli economici, legati ad una modalità di finanziamento Pag. 32totalmente inadeguata ai centri antiviolenza, come già hanno rilevato alcune colleghe, e raccogliendo l'invito della Presidente Boldrini e della Ministra Idem, dobbiamo prenderci l'impegno personale, a partire dalle parole che pronunciamo in quest'Aula e pubblicamente come parlamentari, a non riproporre più pregiudizi e stereotipi legati al ruolo della donna e dell'uomo nella società, a non insultare le colleghe con epiteti sessisti e ad estirpare i pregiudizi.
  Partiamo da qui. Solo promuovendo un cambiamento culturale, riconoscendo che la libertà di scelta della donna e la sua integrità psicofisica sono valori assoluti che vanno riconosciuti, senza lasciar spazio a compromessi di tipo morale e religioso, solo questo significa parità fra uomini e donne, rispetto per le donne.

  PRESIDENTE. La prego di concludere.

  MARA MUCCI. Come donna e come parlamentare del MoVimento 5 Stelle chiedo finalmente che il Parlamento si renda responsabile politicamente del riconoscimento dei diritti umani delle donne attraverso la ratifica integrale della Convenzione del Consiglio d'Europa tout court, senza alcuna limitazione e restrizione, auspicando l'impegno da parte di tutti i soggetti privati e pubblici per la promozione dei principi sanciti dalla Convenzione, e l'accordo di tutte le forze presenti in Parlamento per una celere istituzione di una Commissione bicamerale di inchiesta sulla violenza maschile sulle donne in Italia (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Michela Marzano. Ne ha facoltà.

  MICHELA MARZANO. Signora Presidente, onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, ieri Fabiana è stata bruciata viva. È stata bruciata viva perché voleva essere libera. È stata bruciata, è stata uccisa, perché voleva mettere fine ad una relazione. In fondo, dietro il gesto di Fabiana, c'era la volontà di affermare la propria volontà, la propria autonomia, il proprio desiderio. Dietro questo gesto c’è stato non soltanto il tentativo di bruciare la vita di questa giovane ragazza, ma il tentativo di bruciare e di uccidere quello che tutte le donne cercano da tanto tempo di fare: affermare la loro libertà ed affermare la loro autonomia.
  Di fronte a queste violenze non c’è più tempo, di tempo ne è stato perso tanto. La ratifica della Convenzione di Istanbul è il primo passo, però, si tratta al tempo stesso di una condizione necessaria, ma non sufficiente. Ratificando questa Convenzione ci si impegna ad adottare una serie di misure concrete per prevenire la violenza di genere e per proteggere le vittime. Non si tratta a questo punto di moltiplicare le leggi, perché a forza di moltiplicarle si rischia di non renderle operative, ma si tratta di stabilire una lista di priorità, così come è stato già ricordato da alcune colleghe e da alcuni colleghi, per esempio mettendo su una roadmap, che sia capace di indicarci quali sono le lacune esistenti e in che modo queste lacune potrebbero essere colmate.
  Non mi soffermerò su punti che sono stati già avanzati e che sono stati già analizzati dalle altre colleghe. Quello su cui vorrei soffermarmi qualche istante è l'importanza di affrontare questo problema delle violenze contro le donne in quanto problema strutturale. Come si fa ad affrontare un problema strutturale in maniera strutturale ? Come si fa a prevenire e a proteggere, lottando contro le discriminazioni e in favore dell'uguaglianza, quando – credo – il vero problema è quello che non si sa esattamente il significato del termine disuguaglianza, del termine discriminazione e del termine uguaglianza ?
  Se non si impara a nominare in maniera corretta le cose – diceva Albert Camus – non si riuscirà mai a diminuire il disordine e la sofferenza che ci sono nel mondo. Ma come si fa a nominare in maniera chiara non soltanto la violenza – ormai la si nomina come femminicidio – ma anche questa incapacità di arrivare ad Pag. 33una forma di uguaglianza tra gli uomini e le donne ? E per quale motivo dico che non si riesce ad arrivarci da un punto di vista culturale ? Non capita solo in Italia, capita anche nel resto del mondo e nel resto dell'Europa.
  Recentemente a Cannes ci sono stati due episodi in cui due famosi registi, Roman Polanski e François Ozon, hanno fatto pubblicamente una serie di affermazioni, che cercherò di raccontare brevemente, e che dimostrano quest'incapacità di capire il senso pieno del termine uguaglianza.
  Roman Polanski, parlando dell'uso della pillola, è arrivato a dire che attraverso l'uso della pillola si arriva ad un livellamento delle relazioni tra generi e che è proprio nel momento in cui si cerca di promuovere la parità che si arriva a relazioni noiose.
  François Ozon, dal suo punto di vista, ha cercato di convincerci che il fantasma di ogni donna sarebbe quello di vivere delle relazioni di dominazione. Il fantasma di ogni donna sarebbe quello di diventare una prostituta, non tanto e non solo per farsi pagare, ma soprattutto per essere trattata come un oggetto. In entrambi questi casi non c’è soltanto un'incapacità di capire la psicologia maschile e la psicologia femminile, ma c’è soprattutto un problema profondo, il cui significato è il non capire, appunto, il significato del termine uguaglianza, e pensare che l'uguaglianza implichi necessariamente un'identità.
  Parlare di uguaglianza non significa livellare le differenze, significa al contrario promuoverle, per promuovere al tempo stesso proprio quell'uguaglianza in termini di diritti, che la promozione delle differenze può permettere. Non si tratta quindi di gerarchizzare le differenze, si tratta di promuovere questa uguaglianza, promuovendo però al tempo stesso le differenze. È solo così che si riuscirà al tempo stesso a difendere un pari rispetto e una pari dignità.
  Dietro queste violenze, prima ancora di arrivare ai femminicidi – perché il femminicidio naturalmente rappresenta la punta dell'iceberg – dietro le molteplici violenze abbiamo un problema identitario molto tipico delle società contemporanee, un problema dell'identità maschile, un problema dell'identità femminile. Chi sono io che ho bisogno di dire a te; «Tu sei mia» ? Chi sono io che ho bisogno di dire a te: «Tu sei mio» ? Nel momento in cui le relazioni si traducono attraverso un rapporto di possesso, vuol dire che c’è qualcosa di profondamente malato all'interno della relazione. Non si potranno combattere le violenze di genere se non si arriva ad una riscrittura della grammatica delle relazioni, se non si arriva ad insegnare, sin dalla più tenera età, ai bambini, che per gestire i conflitti, perché i conflitti restano...

  PRESIDENTE. La prego di concludere.

  MICHELA MARZANO. ... intrinseci alla condizione umana, non è necessario passare per la violenza. Il problema, colleghi e colleghe, non è quello di cancellare la violenza. La violenza non potrà essere mai cancellata, la violenza fa parte anch'essa della condizione umana. Il problema è quello di contrastare l'aggressività estrema. Freud ci ha insegnato che esistono almeno tre barriere psichiche: pudore, disgusto e compassione. Negli atti di violenza non c’è pudore, non c’è disgusto e non c’è più nessuna compassione.
  Non c’è più tempo. Sono costretta a concludere perché sono al di là del tempo a mia disposizione. Siamo di fronte ad una questione di vita o di morte. Il compito, non solo delle nostre istituzioni ma di ognuno di noi a livello educativo, è quello di proteggere tutte le vittime e quando dico tutte non intendo soltanto le donne ma tutti i diversi, gli omosessuali compresi.
  Ho iniziato ricordando Fabiana. Vorrei terminare ricordando Davide, un omosessuale che ha scritto recentemente una lettera in cui chiedeva solo il diritto di vivere. Donne e omosessuali chiedono il diritto di vivere.
  Concludo con una citazione di Audre Lorde, una femminista e poetessa che negli Pag. 34anni Novanta, a Stanford, cercava di spiegare che l'unico modo per contrastare la violenza è quello di costruire una casa della differenza. Audre Lorde disse in un famoso seminario «Stare insieme alle donne gay non era abbastanza, eravamo diverse».

  PRESIDENTE. La prego di concludere.

  MICHELA MARZANO. Concludo subito. «Stare accanto alle donne nere non era abbastanza, eravamo diverse... C’è voluto un bel po’ di tempo prima di renderci conto che il nostro posto era la casa della differenza». Di tutte le differenze, le differenze di genere e le differenze di orientamento sessuale (Applausi).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Pannarale. Ne ha facoltà.

  ANNALISA PANNARALE. Signor Presidente, signora Ministra, deputati e deputate, sappiamo di essere ad un passaggio fondamentale ma ancora parziale. Fondamentale perché ci prepariamo a ratificare il primo valido strumento giuridico internazionale che individua nel processo di lotta e liberazione dalla violenza una precondizione per il raggiungimento effettivo e progressivo della parità tra donne e uomini.
  Tuttavia parziale, perché questo passaggio rischia di essere vanificato se non sarà propedeutico ad un piano nazionale di intervento e di azione che faccia di una modalità reticolare tra enti, istituzioni, associazioni e movimenti e dell'investimento strutturale nell'educazione e nella prevenzione, il terreno più adeguato ed efficace per un processo, innanzitutto culturale, di eliminazione di ogni forma di violenza e di discriminazione e di trasformazione delle relazioni fra i sessi. Non di una questione per donne e di donne stiamo parlando oggi, non di una questione privata e di conflittualità amorosa, e neanche di un fenomeno sporadico acuto che richieda approcci emergenziali e magari, come spesso accade, securitari. Parliamo, invece, di una questione pubblica, politica, culturale, diffusa e sommersa, che racconta di codici di potere e di violenza tradizionali e che parla di un'asimmetria nei ruoli sociali, che vede la donna come corpo oggetto sempre disponibile. Non è stato facile rovesciare un discorso pubblico, il discorso pubblico, quello che sembrava un campo molto intimo invece, per la difficoltà di vincere le paure, la vergogna, l'impunità, per i sensi di colpa, per l'incapacità di nominare in maniera autentica tutto quello che prova a vestirsi d'amore e che, invece, suda soltanto sopruso e morte.
  Dietro ai corpi ammazzati, dietro alle violenze fisiche e psicologiche, dietro alle stesse violenze sul web che, nelle ultime settimane, hanno colpito anche lei, Presidente Boldrini, c’è il volto feroce di una società sessista, regolata da stereotipi e da immagini umilianti e degradanti di corpi di donne, bloccata in tutte le sue potenzialità di crescita dalle difficoltà di accesso ai mondi del lavoro, da pratiche vergognose come le dimissioni in bianco, da differenziali retributivi e contrattuali tra donne e uomini, dalla costante sottrazione di risorse economiche pubbliche a tutte le agenzie educative, da un attacco sistematico a leggi di libertà e di salvaguardia della salute e dell'integrità fisica e psicologica delle donne, come la legge n. 194, attraverso un uso strumentale, diffuso e illegittimo dell'obiezione di coscienza.
  Allora, è di un ribaltamento culturale che abbiamo bisogno, di un mosaico nuovo di idee, di ruoli, di immagini, di visioni e delle stesse parole. Sono già passati venticinque anni da quando Alma Sabatini aveva offerto a questo Paese una ricerca sul linguaggio sessista. Ancora oggi i nostri atti e i nostri documenti ufficiali non utilizzano un linguaggio di genere. Anche in questo ramo del Parlamento si continua ad utilizzare il maschile neutro per fare riferimento a presidenti, a segretari, a ministri, indifferentemente dal fatto che siano uomini o donne. Ma l'abbiamo detto molte volte, il neutro non esiste nel linguaggio. Il linguaggio è specchio di un immaginario, è espressione di sentimenti, di punti di vista, di sguardi, ne è al tempo Pag. 35stesso veicolo, motore, potente spinta creatrice ed evocatrice di realtà, di comportamenti, di intenzioni.
  E, allora, i libri, i programmi scolastici, i mass media, la rete, hanno un ruolo fondamentale nella formazione di un linguaggio scevro da stereotipi e nella formazione di una cultura delle differenze. Riuscirà questo Parlamento, dopo la ratifica di questa Convenzione, a dare e a darsi indirizzi e indicazioni finalmente ufficiali per realizzare uno spostamento di linguaggio che finalmente declini femminile e maschile ?
  Dopo politiche sbagliate di tagli lineari che hanno mortificato la classe docente e sacrificato conoscenze e futuro di questo Paese, questo Parlamento e questo Governo metteranno tra le priorità l'investimento della scuola pubblica come terreno primario e privilegiato per la scoperta del senso delle differenze e per la costruzione di relazioni tra i sessi sempre più ampie e positive, per la rimozione di stereotipi nella lettura del mondo e nella passione che ci vuole per provare a cambiarlo quel mondo stesso ? E come si può realizzare un percorso di rovesciamento di stereotipi se non cominciando a sanzionare chi adopera quegli stereotipi nella rappresentazione pubblica del corpo delle donne, se non programmando una revisione delle illustrazioni dei libri di testo sin dalla scuola dell'infanzia e primaria, se non attraverso una riforma degli stessi programmi ministeriali che prevedano finalmente l'obbligo in questo Paese dell'educazione all'affettività, alla sessualità, ai sentimenti, se non stabilendo linee guida di educazione al rispetto di genere e prevedendo per legge corsi di sensibilizzazione e di educazione per docenti, per giornalisti, per tutte e per tutti coloro che operano al servizio di agenzie preposte ad educare, a comunicare saperi e a costruire immaginario pubblico ?
  Questa la prima direttrice; poi la seconda su cui concentrare impegno e azione legislativa, quella che ha a che fare con la tutela e l'autonomia delle donne vittime di abusi e di violenze.
  Fare uscire le donne violate e maltrattate dal silenzio significa riconoscere strumenti di riconoscimento di dignità e autodeterminazione. Quando diciamo che il reddito minimo garantito non ha a che fare con la povertà ma con la liberazione da condizioni di precarietà contrattuale e di subalternità reddituale o emotiva, pensiamo anche a quelle donne e ai loro figli che, spesso, non riescono a sottrarsi al gioco della sudditanza e della violenza perché il ricatto dell'assenza di reddito e di autonomia lavorativa appare senza via d'uscita. Quando chiediamo finanziamenti certi e regolari ai centri antiviolenza, oggi affidati al lavoro volontario di tante donne, pensiamo a quelle donne che non riescono a spezzare la catena domestica di botte, di umiliazioni e di lividi, perché non avrebbero altro rifugio per sé, perché manca ancora in questo Paese una rete strutturata e conosciuta di centri antiviolenza che siano finanziati adeguatamente e che possano prendere in carico le donne maltrattate seguendole e orientandole a percorsi di riabilitazione relazionale, sociale e lavorativa.
  Concludo. Senza la lotta a ogni forma di discriminazione e senza la centralità della libertà delle donne, la democrazia di questo Paese e il suo tessuto produttivo, occupazionale e civile, continueranno ad essere mutilati. Se faremo seguire, dopo il sostegno a questa Convenzione di Istanbul, politiche concrete di investimento nella scuola, nella comunicazione responsabile e consapevole, nel lavoro sicuro, nella distribuzione di reddito, nelle strutture di accoglienza e di lotta alla violenza, forse, questo Parlamento e questo Governo avranno colmato un pezzetto della loro drammatica distanza dalle vite e dai desideri delle persone (Applausi – Congratulazioni).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Cesaro. Ne ha facoltà.

  ANTIMO CESARO. Signora Presidente, onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, Giuseppina, Francesca, Sanaa, Serena, Shafilea, Grazia, sono idealmente tutte qui tra Pag. 36noi. Immaginiamole sedute tra i nostri paludati scranni, oggi troppo, troppo, desolatamente vuoti. Sono le vittime dell'inaudita violenza dell'uomo, di un maschio adulto troppo spesso ancora sprezzantemente attardato in uno stadio evolutivo di retroguardia nel comune e generale processo di ominazione.
  Queste donne, di cui prima ho evocato i nomi, non chiedono vendetta, urlano piuttosto il loro inappagato desiderio di giustizia, quella giustizia che viene loro negata prima e, troppo spesso, anche dopo la violenza subita.
  Il 15 per cento dei femminicidi è preceduto da denunce e richieste di aiuto. Un persecutore su tre è recidivo, ma per vederlo in carcere ci vogliono almeno sei anni di processo. Tre donne su dieci, per questo, evitano di palesare il loro disagio. Moltissime, impietrite dall'angoscia, ritirano le denunce. Ma non si ferma la paura che, invece, continua a perseguitarle in ogni momento.
  È il giorno di San Valentino di quest'anno. Alle ore 12, all'ospedale Cardarelli di Napoli, Giuseppina Di Fraia muore dopo tre giorni di ricovero nel reparto grandi ustioni. Pochi giorni prima, Giuseppina stava andando al lavoro; un uomo l'ha inseguita e investita: era il marito. Davanti agli occhi increduli dei presenti, le ha chiesto di salire in auto assicurando a tutti che l'avrebbe portata in ospedale. Pochi metri dopo l'ha fatta scendere, l'ha cosparsa di benzina e le ha dato fuoco.
  A Brescia, una diciannovenne pakistana, nei mesi scorsi, è stata rinchiusa in casa, picchiata e violentata dal padre e dal cugino, perché rifiutava un matrimonio combinato. Shafilea, Sanaa, Hina e, da ultima, Fabiana, sono qui in mezzo a noi, onorevoli colleghi, in questa austera Aula, e ci guardano. Ci osservano con occhi increduli e, allo stesso tempo, fiduciosi, come quelli dei bambini e delle bambine costretti ad assistere alle violenze consumate tra le mura di casa.
  È angosciosamente lunga la lista degli eventi terribili cui la Convenzione che oggi ci apprestiamo a ratificare cerca di porre argine e riparo: 877 le donne uccise dal 2005 al 2012; decine di migliaia gli episodi di violenza; dallo scorso gennaio, in Italia, sono circa quaranta le donne assassinate. Ed è un bollettino di guerra che si aggiorna di ora in ora.
Gli abusi e i maltrattamenti tra le mura domestiche sono la prima causa di morte o invalidità permanente delle donne. Ed è preoccupante rilevare che solo il 18 per cento di coloro che hanno subito violenza considera quanto patito un reato e solo il 7 per cento denuncia i soprusi subiti.
Ma la violenza si manifesta anche in tante altre forme. Il mercato della prostituzione è una di esse. Secondo l'ultimo rapporto mondiale sugli abusi sessuali, la maggior parte delle donne che si prostituiscono nel mondo si trova alle dipendenze di un «padrone». In Italia, oltre 20 mila donne (ed è un calcolo per difetto) sono ridotte in schiavitù per essere avviate al mercato della prostituzione. Ed è allarmante la presenza di ragazzine, spesso neanche maggiorenni, che affollano i marciapiedi delle nostre strade: persone «esposte», immagini terribili a cui il nostro occhio sembra aver fatto l'abitudine. Ma è possibile – mi chiedo e vi chiedo – assuefarsi alla bruttura ? Ed è quella stessa insensibilità che ci rende talvolta distratti e indifferenti davanti a quelle pubblicità eccessive che, strumentalizzando la bellezza femminile, la riducono a cliché stereotipato di una trivialità sempre più imperante, sintomo decadente del declino morale di una comunità.
Non a caso il Consiglio d'Europa chiede ai media un'attenzione particolare in merito alla considerazione dell'immagine delle donne offerta dai mezzi di comunicazione. Anche queste forme sottili di violenza, questi degradanti luoghi comuni della volgarità di genere, devono essere prevenuti e condannati, come ha detto la collega Spadoni, con la dovuta attenzione alla quale ci sollecita la Convenzione di Istanbul.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  ANTIMO CESARO. La Convenzione che ci apprestiamo a ratificare funga da sprone alle forze dell'ordine, inducendole Pag. 37a prestare un'attenzione maggiore alle denunce e a provvedere ad accertare, nel minor tempo possibile, il rischio reale per l'incolumità della persona.
La Convenzione si presenta, infatti, come un valido strumento di protezione sociale e di tutela giuridica. Il documento evidenzia che la causa della violenza contro le donne è diretta conseguenza delle ineguaglianze di genere ed è alimentata dalla pseudo-cultura del silenzio, dell'omertà, della negazione e – talvolta – della supponenza di un preteso «onore».
Si miri, invece, in forza di questa significativa carta internazionale, a raggiungere un'eguaglianza di genere effettiva, sostanziale, de jure e soprattutto de facto.
In quest'ottica, l'auspicio che, in conclusione, mi sento di formulare è che la Convenzione di Istanbul non si manifesti come l'ennesimo documento di buoni principi e di commendevoli speranze, come ha detto l'onorevole Fava.
Giuseppina, Hina, Shafilea e Fabiana pretendono azioni concrete – non buoni propositi ! – azioni concrete che richiedono a tutti un'assunzione di responsabilità. Educare, prevenire, assistere le vittime, perseguire e punire i responsabili di crimini atroci è un obbligo, non una scelta.

  PRESIDENTE. Concluda.

  ANTIMO CESARO. E non ci sono attenuanti da invocare, argomenti plausibili, giustificazioni a discarico, davanti ad un uomo che ha segnato per sempre la vita di una donna. Anche la parola «amore», in un tale contesto, è parola stonata, che stride come un gessetto spezzato su una lastra di lavagna nera.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Giuseppe Brescia. Ne ha facoltà.

  GIUSEPPE BRESCIA. Signor Presidente, colleghe e colleghi, sono davvero contento di esordire in quest'Aula con un discorso sulla non violenza. La Convenzione di Istanbul, sottoscritta dall'Italia il 27 settembre 2012 e di cui oggi si discute la ratifica, rappresenta il primo strumento internazionale per la creazione di un sistema giuridico volto alla protezione delle donne da qualsiasi forma di violenza. I dati in merito sono allarmanti: in Italia, una donna su tre tra i sedici ed i settant'anni è stata vittima di forme di violenza. Ebbene, il 35 per cento di esse non ha denunciato i responsabili, segno che il nostro sistema di tutela non è affatto adeguato e non suscita fiducia nelle vittime di violenza.
  Tale considerazione è stata purtroppo confermata dal relatore speciale sulla violenza contro le donne delle Nazione Unite, Rashida Manjoo, che nel suo report del 2012 ha duramente criticato il nostro Paese affermando che il femminicidio in Italia è tollerato dalle istituzioni, incapaci di prevenire, proteggere e tutelare le donne che vivono svariate forme di violenza e discriminazioni nel corso della loro vita.
  Le discriminazioni di genere sono tutt'oggi, nel nostro Paese, la normalità. Secondo il Global Gender Gap Report del 2012, il nostro Paese è soltanto al 101o posto per la partecipazione economica e opportunità per le donne, al 65o posto quanto all'accesso all'istruzione di base e di livello superiore, al 76o per quel che concerne salute e sopravvivenza e al 71o per la rappresentanza politica; ed io, in quanto cittadino italiano, me ne vergogno.
  Noi del Movimento 5 Stelle vogliamo sottolineare l'importanza di questo provvedimento in Italia, dove parte dell'arretratezza culturale in tema di discriminazioni e violenza di genere affonda le sue radici storiche nei precetti del patriarcato fascista, che riteneva uomini e donne diversi per natura, che politicizzò tale differenza a vantaggio dei maschi e la sviluppò in un sistema particolarmente repressivo, inteso a definire i diritti delle donne come cittadine e a controllarne la sessualità, il lavoro salariato e la partecipazione sociale.
  Il fascismo, per realizzare la sua politica demografica, impose un controllo sul corpo femminile e sulle funzioni riproduttive; per preservare la famiglia impose una severa morale, che però coinvolgeva solo le Pag. 38donne, e per limitare l'impiego femminile in presenza di un'elevata disoccupazione maschile escogitò un elaborato sistema di tutele e divieti teso a regolare il lavoro femminile. Fece tutto questo relegando di fatto la donna a ruolo di sposa e madre esemplare e riuscì a farlo anche attraverso il controllo della stampa e dei testi scolastici.
  È ovvio che da allora siano stati compiuti fondamentali passi in avanti verso l'uguaglianza di genere, ma è come se uno strascico di quelle distorte convinzioni facesse fatica ad essere estirpato.
  A nostro avviso un'importante causa della situazione attuale è l'assoluta mancanza di percorsi educativi specifici. Non educare le nuove generazioni, fin dalla più tenera età, al rispetto dell'altro sesso crea le condizioni perché queste, in età adulta, mostrino un totale disprezzo di tali imprescindibili presupposti per un reale progresso sociale nel nostro Paese. Non a caso, la Convenzione condivide con la legge-quadro spagnola del 2004 – molto avanzata in materia – l'istituzione di una nuova disciplina obbligatoria nelle scuole superiori, nonché l'individuazione in ogni istituto scolastico di un membro incaricato a garantirne i principi.
  Detta legge specifica in ambito educativo gli obblighi del sistema per la trasmissione di valori di rispetto della dignità delle donne e della parità tra uomini e donne, esplicitando l'obiettivo fondamentale dell'educazione come quello di offrire una formazione integrale che permetta di formare la propria identità e di costruire una concezione della realtà che integri al tempo stesso la conoscenza e il valore etico della conoscenza.
  Ebbene, noi riteniamo che tale esempio virtuoso debba essere seguito e possa essere addirittura superato, prevedendo fin dalla scuola primaria l'introduzione di quegli insegnamenti necessari affinché l'uguaglianza di genere entri a fa parte del patrimonio culturale degli uomini di domani, tanto più che sottoscrivendo questo documento ci impegniamo ad adottare le misure necessarie per promuovere i cambiamenti nei comportamenti socio-culturali delle donne e degli uomini al fine di eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra pratica basata sull'idea dell'inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini.
  E mi chiedo: come riuscirci se non partendo dalla scuola, che è il primo e più importante luogo di sviluppo della socialità ? Come il testo stesso della Convenzione ci suggerisce, dobbiamo intraprendere le azioni necessarie per includere nelle scuole di ogni ordine e grado materiali didattici su temi quali la parità dei sessi, i ruoli di genere non stereotipati, il reciproco rispetto e la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali.
  Crediamo, pertanto, che la ratifica da parte del nostro Paese della Convenzione di Istanbul sia un atto doveroso nei confronti delle donne, le nostre madri e sorelle, le compagne di vita, le nostre figlie e nipoti.
  Prima di concludere, concedetemi una brevissima digressione personale. Sono zio di una splendida nipotina di sette mesi e a lei e a tutte le bambine di oggi, donne di domani, voglio lasciare un mondo migliore in cui vivere e lo dico non per cadere in mero sentimentalismo, ma perché sono fermamente convinto che la politica debba riportare l'umanità al centro delle sue scelte.
  Con questa ratifica l'Italia sarà il quinto Stato ad introdurre nell'ordinamento interno tale atto, contribuendo all'avvicinamento della soglia minima di dieci Paesi ratificanti richiesta perché essa entri in vigore. Pertanto è con profonda convinzione che il MoVimento 5 Stelle appoggia la ratifica della Convenzione di Istanbul (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Deborah Bergamini. Ne ha facoltà.

  DEBORAH BERGAMINI. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, signor Ministro, credo che la ratifica della Convenzione Pag. 39di Istanbul giunga nel momento sicuramente più adatto e proprio per questo, forse, immancabilmente troppo tardi. Quello che stiamo vedendo in questi giorni è stato ampiamente commentato e riceve ovviamente tutta la nostra più partecipata vicinanza, ma soprattutto dimostra l'urgenza di arrestare un ciclo intollerabile di violenza ai danni delle donne.
  Per questo, accolgo con grande favore il pieno sostegno del Governo a questa ratifica e quanto anticipato dal Ministro Idem, cioè il progetto di fare un disegno di legge governativo contro la violenza alle donne.
  Mi sembra importante ricordare che questa ratifica, che è il primo atto di questo Parlamento con una così tanta e grande forza simbolica, arriva dopo lungo cammino che è stato svolto all'interno del Consiglio d'Europa: un lungo cammino (tre anni) di campagne di comunicazione dedicate alla violenza domestica, alla violenza contro le donne, che – lo voglio ricordare – ha visto proprio la Camera dei deputati farsi protagonista attiva. Ricordo la conferenza di Roma sulle donne protagoniste della Primavera araba nell'ottobre del 2011; il seminario organizzato qualche mese fa proprio intitolato «Verso la ratifica della Convenzione di Istanbul».
  Credo che sia opportuno – è già stato fatto – sottolineare che finalmente, quando questa Convenzione entrerà in vigore, perché mancano ancora le ratifiche di alcuni Stati, sarà il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante. Questo significa che gli Stati saranno ritenuti responsabili se non daranno delle risposte adeguate nella prevenzione della violenza domestica e della violenza contro le donne.
  La cosa, però, che mi sembra ancora più importante sottolineare è che per la prima volta si cerca, con questo testo importante, di fare un lavoro coordinato, di istituire una cornice culturale che sia in grado di cambiare profondamente l'attitudine verso il fenomeno della violenza alle donne, che cambi la testa, che cambi la cultura, o forse è meglio dire «l'incultura», che gravita attorno a questo fenomeno, considerato ahimè, fino a poco tempo fa, un fenomeno privato, da gestire nell'intimità, nel nascondimento, all'interno delle famiglie, soprattutto delle famiglie.
  E questo cambiamento di cultura o di incultura è quanto mai necessario perché nessuno può giudicarsene esente, nessuno può ritenere di essere esente dalla necessità di un cambiamento di testa, di un cambiamento di cultura. Lo dico, in particolare, a chi – cito testualmente e mi riferisco al MoVimento 5 Stelle – si erge o si autodefinisce baluardo del cambiamento culturale di questo Paese.
  Perché, citando per esempio, come ha fatto la collega Spadoni prima, alcune battute o gaffe di tipo sessista (ed è vero che il sessismo è un fenomeno importante in questo Paese), dimentica poi di citare, magari, una gaffe sessista del proprio leader, Beppe Grillo: egli qualche mese fa – forse lo ricordate – in modo del tutto degradante si riferì con una gaffe (chiamiamola così) al «punto G» della dissidente Federica Salsi, colpevole di essere stata partecipe di un programma televisivo. Attenzione, allora, quando si sceglie di provocare su un argomento del genere, perché nessuno è esente da scivolate su questo tema.
  Proprio elementi come questi ci fanno capire che i risultati che si raggiungono veramente nella lotta per arrivare all'emancipazione, alla pari dignità delle donne, non sono risultati stabili, sono quanto mai deperibili, purtroppo. Proprio per questo, siccome questi risultati non hanno pace (ricordiamo quanto lontana è la Conferenza di Pechino del 1995, con il suo ambizioso, eppure sembrava allora realistico programma in questo ambito) e sono così deperibili, credo che neppure noi dovremmo darci pace nel lavorare insieme, come si è fatto nella legislatura precedente, in modo del tutto multipartisan, in modo del tutto coordinato, senza propaganda, senza provocazioni, senza e ideologie di partenza, affinché questi risultati, finalmente, possano un giorno definirsi acquisiti. Purtroppo, la strada è Pag. 40ancora lunga (Applausi dei deputati dei gruppi Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente e Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Marietta Tidei. Ne ha facoltà.

  MARIETTA TIDEI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Parlamento italiano ha oggi di fronte a sé un appuntamento con la storia, oserei dire: stiamo infatti per ratificare una Convenzione che rappresenta il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante, volto a creare un quadro normativo completo, che affronti il fenomeno della violenza sulle donne e che può dare un contributo concreto sia a combatterlo che a prevenirlo.
  Oggi in quest'Aula, tutti insieme e senza distinzione di colore politico, abbiamo la possibilità di mandare a tutti i cittadini un messaggio di grande forza: la violenza sulle donne è un errore e le forze politiche tutte, anche in un momento così difficile per il nostro Paese, hanno preso coscienza dell'assoluta priorità del problema e la reazione delle istituzioni, nei confronti della violenza contro le donne, dovrà essere quella, da questo momento in poi, della tolleranza zero.
  Su questo terreno – lo voglio ricordare, è quello dei diritti dell'umanità intera – non ci devono essere distinguo, barriere, confini, ma solo intenti comuni. In questo senso non possiamo tirarci indietro: lo dobbiamo a quel percorso di parificazione dei generi, che è stato una strada di civiltà e di diritti nel nostro Paese. Ma soprattutto lo dobbiamo a tutte quelle donne, che vedono i loro diritti primari ancora violati e brutalizzati e non sta a me certo dirvelo, sono tantissime in Italia: due femminicidi solo negli ultimi tre giorni, molti colleghi hanno ricordato i nomi, hanno ricordato i fatti.
  In questo Parlamento in molti veniamo da piccoli centri urbani, piccoli centri dove ci si conosce tutti e dove le storie di violenza, purtroppo, le conosciamo personalmente: non abbiamo bisogno di leggerle sui giornali, di leggerle dalle statistiche, che comunque sono agghiaccianti (ne abbiamo ricordate tante, anche in quest'Aula). Sappiamo quanto questa epidemia sia diffusa a tutti i livelli sociali e culturali nel nostro Paese e quanta distruzione generi anche all'interno delle famiglie, spesso anche nei rapporti tra le madri, vittime di violenze, e i figli, costretti ad assistere agli orrori più indicibili. Pochi mesi fa una mia concittadina, malmenata dal marito da nove anni, mi ha raccontato che anche le sue figlie di cinque e di nove anni la insultano. Chiaramente non c’è stata nessuna denuncia e sui nove anni di incubo ha prevalso la paura di vedersi tolte le figlie, di trovarsi da sola, senza lavoro, senza una casa, senza nulla.
  Di fronte a queste storie, ci si rende conto che non si può più indugiare, ma si deve reagire nella maniera più forte, più rapida, più efficace possibile. Sarebbe un segnale particolarmente importante che fosse il nostro il quinto Paese, su 29 firmatari, a ratificare la Convenzione di Istanbul: da noi, infatti, il fenomeno del femminicidio è allarmante non solo per le dimensioni – lo abbiamo ricordato – in cui si manifesta, ma anche perché il nostro sistema giuridico fatica ad inquadrarlo e quindi a contrastarlo adeguatamente.
  Ora ci vuole però uno scatto in avanti, la ratifica oggi rappresenta un passaggio fondamentale e determinante, ma da sola non basta, lo abbiamo detto in molti. Quello di oggi deve essere l'inizio di un iter che dovrà vederci impegnati e uniti, senza distinzioni, da un lato ad accogliere la normativa redatta ad Istanbul e, dall'altro, a mettere in campo un piano di interventi articolato per prevenire, contrastare e sconfiggere la violenza contro le donne e contro i minori.
  Se, infatti, è indispensabile condannare fermamente il reato di genere e munirsi degli strumenti idonei a punirlo, è altrettanto fondamentale approntare un'energica azione di prevenzione, ma la prevenzione richiede di poter incidere sui comportamenti e vanno dunque cambiati i molti atteggiamenti tristemente diffusi, anche nel nostro Paese. Vanno superati certi stereotipi culturali, certamente. Vorremmo Pag. 41non dover leggere mai più volantini come quelli del sacerdote di Lerici, che solo pochi mesi fa affermava che spesso le violenze sulle donne sono conseguenze di atteggiamenti sfacciati o provocanti; vorremmo altresì non vedere più certe pubblicità o assistere a certe trasmissioni televisive. Perciò ci vogliono campagne di sensibilizzazione e moderni programmi educativi, oltre che chiaramente la formazione di adeguate figure professionali. Dovremo cooperare e dare pieno sostegno alle istituzioni nazionali per i diritti umani, alle ONG, alle associazioni, ai centri antiviolenza, che fanno della battaglia dei diritti la loro ragione d'essere.
  Mi sia consentito, signor Presidente, un brevissimo accenno a un'esperienza personale: un paio di anni fa ho fatto parte della giuria popolare in un processo che vedeva imputate tre persone per il reato di induzione in schiavitù ai danni di una cittadina rumena e, oltre all'orrore inenarrabile e indicibile che è emerso dalle varie testimonianze e dalle intercettazioni telefoniche, ho potuto verificare lo straordinario lavoro svolto dalle forze dell'ordine e dalle operatrici dei centri anti-violenza, che hanno accolto e sostenuto la vittima.
  Le strutture che svolgono un'opera così importante, volta non solo a curare le ferite delle vittime, ma anche a restituire loro la speranza di una vita normale, libera dalla violenza, non possono preoccuparsi ogni anno anche della copertura finanziaria sufficiente a sostenere la loro attività, lo abbiamo ricordato tutti in quest'Aula. È particolarmente significativo che nelle zone nelle quali ci sono questi centri antiviolenza si sia potuto registrare negli anni un significativo aumento nel tasso di denuncia: ciò vuol dire che la presenza sul territorio di tali strutture aiuta a sostenere le vittime di violenza nel difficilissimo percorso di elaborazione e di denuncia del crimine subito. Sappiamo che è un momento difficile, ma sarà indispensabile reperire le risorse per garantire l'attività dei centri e l'adeguata formazione di figure professionali che si occupino delle vittime durante tutto il percorso che si renda necessario, e ho potuto verificare che spesso si tratta di un percorso purtroppo lunghissimo.
  Se oggi pensiamo che una fase si chiuda, se pensiamo che la ratifica di questa Convenzione chiuda il cerchio, per così dire, vinciamo certamente una battaglia importante, ma rischiamo di non vincere la guerra; ci vuole ancora tanto lavoro, tante misure da adottare e la guardia non può essere abbassata, non ci si può fermare ad una mera operazione di immagine.
  Penso, però, che oggi sia comunque un bel giorno, perché noi possiamo, tra i primi in Europa, segnare un passaggio determinante, che dovrà portare ad una vittoria culturale sulla discriminazione di genere e sulla violenza contro le donne, una vittoria che contribuirà, al di là di ogni dubbio, a rendere l'Italia un Paese migliore (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Tinagli. Ne ha facoltà.

  IRENE TINAGLI. Signor Presidente, mi scusi ma non ci entro (Applausi)...

  PRESIDENTE. Poverina, certo che non ci entra, come si deve fare ? Non era previsto a quel tempo...

  IRENE TINAGLI. Signor Presidente, colleghi e colleghe, siamo oggi a discutere la ratifica di una Convenzione che pone alla nostra attenzione un tema di grande e purtroppo tristissima attualità, la violenza che ancora oggi incredibilmente affligge milioni di donne in tutto il mondo.
  Sono già stati citati molti dati, come l'indagine condotta dall'ISTAT pochi anni fa che ci ha mostrato come una donna su tre, tra i 16 ed 70 anni, ha subito violenza fisica o sessuale nell'arco della sua vita, una donna su tre, e quasi la metà di queste, ovvero circa 3 milioni di donne, ha subito tali violenze dal partner o dall'ex-partner. Quindi, sono violenze che prendono moltissime forme, che rendono impossibile una vita serena e libera da parte Pag. 42delle donne e che, purtroppo, in molti casi sfociano nell'uccisione delle vittime o nell'induzione al suicidio, com’è avvenuto nel gennaio scorso per Carolina, l'adolescente di Novara che si è tolta la vita dopo atti di violenza fisica e psicologica perpetrata dai suoi stessi amici e compagni di scuola.
  Il dramma di questi crimini riguarda non solo le persone direttamente coinvolte, ma anche quel senso di impotenza di chi era vicino alle vittime, di chi è stato spesso testimone di violenze ripetute, del percorso che ha portato al crimine, che spesso si dice «era annunciato» o «si sapeva».
  Quindi, è ora davvero di intervenire con la massima urgenza e incisività. La Convenzione di Istanbul rappresenta, da questo punto di vista, uno strumento fondamentale perché impegna gli Stati firmatari ad adottare le misure necessarie per assistere adeguatamente le vittime, fornendo loro il necessario sostegno legale, medico ed economico perché vincola i Paesi a definire pene e sanzioni adeguate per questi crimini odiosi, prevedendo anche specifiche aggravanti – non ci dimentichiamo che, spesso, questi crimini coinvolgono i bambini e i familiari – e sopratutto perché impegna gli Stati sottoscrittori ad avviare le necessarie misure di prevenzione, che sono troppo spesso sottovalutate ed ignorate. Una sottovalutazione incomprensibile, soprattutto se si considera che, in molti casi, questi crimini sono il frutto di comportamenti pregressi, di violenze reiterate, di situazioni note. Tra le donne che, nell'arco della loro vita, hanno subito violenza da parte di mariti, compagni o fidanzati, il 40 per cento dichiara che il partner aveva problemi di alcolismo, con ubriacature praticamente quotidiane e, nel 50 per cento dei casi, questi uomini avevano già avuto problemi con le Forze dell'ordine a causa di comportamenti violenti fuori dalla famiglia. Dunque, in molti casi, anche se chiaramente non tutti, è possibile conoscere le situazioni di rischio, le persone più esposte, ed è quindi fondamentale rafforzare le azioni di prevenzione e di tutela delle vittime attuali e potenziali. Quindi, sarà importantissimo creare gli opportuni strumenti giuridici affinché, per esempio, le vittime di stalking siano protette al meglio e il controllo e la punizione anche degli aggressori sia più stringente e includa anche il risarcimento per i danni, così come viene previsto dalla Convenzione.
  Ma il problema – come molti altri colleghi hanno già sottolineato – non riguarda solo le singole persone a rischio, ma il contesto culturale in cui certi comportamenti maturano. È una cultura che purtroppo travalica le situazioni di rischio e che tocca fasce sociali insospettabili, che si insinua nel modo di ragionare e di vedere il mondo anche dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze e che, spesso, conduce, non solo ad alimentare le condizioni della violenza, ma persino a giustificarla, a minimizzarla, a renderla accettabile persino dalle donne che la subiscono, o facendone addirittura ricadere la colpa sulle vittime stesse. Quante volte abbiamo sentito dire: «se l’è andata a cercare» ? Non ci dimentichiamo casi, come quello di Montalto di Castro, avvenuto il 31 marzo 2007: un episodio orribile in cui un gruppo di otto ragazzi violentò una ragazzina di quindici anni, che, oltre a subire questa orribile violenza, vide tutto il Paese schierato con quei bravi ragazzi, identificando nella ragazza la vera colpevole. «Aveva la minigonna», disse un paesano a una trasmissione, e addirittura il sindaco, Salvatore Carai, aveva varato una delibera comunale, per fortuna successivamente revocata, per anticipare a spese del comune, le spese per difendere quei bravi ragazzi violentatori. Come possiamo vedere, anche se spesso le azioni singole arrivano con maggiore probabilità da persone con determinate caratteristiche, tuttavia il contesto culturale collettivo in cui certi comportamenti maturano non riguarda solo situazioni di degrado, ma riguarda un'impostazione culturale della nostra società intera, riguarda tutti noi, ed è questo contesto che porta troppo spesso le donne, soprattutto le ragazze più fragili, a tacere, ad avere paura a denunciare e a sentirsi loro stesse responsabili, loro stesse la colpa, e anche a non considerare – come Pag. 43altri hanno già sottolineato – un reato le violenze che subiscono, soprattutto quando vengono perpetrate dal partner o dal marito.
  Sono solo il 7 per cento le donne che hanno subito violenza da parte del partner, che lo considerano un reato; per il 51 per cento è un fatto che è accaduto e, per il 41 per cento, è sì un fatto grave, ma comunque non un reato.
  Quindi, è fondamentale intervenire con misure forti su tanti fronti. Ne cito tre, che sono stati già in vario modo citati e quindi sarò sintetica. Il primo fronte su cui intervenire è quello dell'autonomia economica delle donne e la loro effettiva emancipazione anche nel mercato del lavoro. Molte donne hanno paura a staccarsi dal compagno o dal marito perché sono economicamente dipendenti.
  La Convenzione ci impone misure di supporto legale e anche materiale: accoglienza per loro e per i loro bambini. E sarà fondamentale provvedere al più presto a rendere operative queste misure e anche a stanziare le risorse necessarie.
  Ma lo strumento migliore e più potente sarà sempre e comunque l'autonomia delle donne ex ante, che è data da una sana posizione lavorativa che garantisca un salario equo e prospettive di crescita. Questo aumenta la sicurezza e la posizione di forza delle donne. Un recente studio di una economista della Brown University dimostra che proprio la riduzione del gap salariale per le donne riduce significativamente la probabilità di violenza sulle donne e su questo noi in Italia, purtroppo, avremo moltissimo da fare. Non ci scordiamo che circa la metà delle nostre donne è inattiva, il che significa completamente dipendente da qualcun altro da un punto di vista economico.
  Il secondo fronte su cui lavorare – anche di questo si è parlato molto – è fare un corretto uso dell'immagine della donna e del rapporto tra i sessi, non solo della donna, nella pubblicità, nei media, nella comunicazione. E non si tratta tanto e solo di regolamentare l'uso del nudo femminile, per esempio. Non è solo quello il punto e, anzi, a volte il nudo può anche essere espressione di libertà, di autodeterminazione, perché ci sono tanti tipi di nudi. Il punto è proprio l'oggettificazione della donna, la promozione di messaggi sessisti che stigmatizzano ruoli attribuiti ai due sessi. Tutte cose che possono avvenire anche senza immagini, attraverso messaggi verbali, dichiarazioni, esempi e modelli proposti dai media o da personaggi famosi e influenti (molti sono già stati anche citati).
  Studi condotti negli ultimi 15 anni hanno portato all'elaborazione della teoria dell'oggettificazione, confermata anche poi da tanti studi empirici, secondo cui l'esposizione a situazioni o immagini che propongono un'oggettificazione delle donne ha pesanti conseguenze psicologiche, inclusa una crescente tendenza ad autoggettificarsi. Le donne, soprattutto quelle più giovani e fragili, tendono a interiorizzare certi modelli, a tal punto da oggettificare se stesse, il proprio corpo, e a porsi in ruoli subordinati e di servizio nei confronti degli uomini, perché pensano che questo sia l'unico modo per essere socialmente accettate ed apprezzate e questo le porta a subire di più gli abusi e ad accettarli, perché fa parte del ruolo che hanno interiorizzato. Quindi, bisogna rafforzare il monitoraggio sulla rappresentazione dei ruoli e dei comportamenti sessisti nei media, rafforzando i meccanismi di autoregolamentazione che oggi sono troppo blandi, ignorati e inefficaci.
  L'ultimo punto su cui intervenire con urgenza – anche questo già ricordato – è condurre un'azione educativa seria e profonda, non solo rivolta alle ragazze e alle donne ma anche ai ragazzi, ai bambini, agli uomini, perché non possiamo pensare che questo cambiamento culturale, così profondo, debba ricadere solo sulle spalle delle donne. Non sono solo le donne che devono imparare a ribellarsi, a denunciare, a difendersi (Applausi), ma sono anche gli uomini che devono imparare a rispettare, ad ascoltare, a gestire la propria rabbia...

Pag. 44

  PRESIDENTE. Concluda, per favore.

  IRENE TINAGLI. ... a relazionarsi alle proprie compagne, colleghe, mogli e amiche.
  Esistono già progetti di questo genere. Bisogna valorizzarli e monitorarli – di questo si è parlato molto – e io confido molto in questo Parlamento, in questo Governo, nella Ministra Idem, perché tutte le azioni necessarie siano intraprese in questa legislatura (Applausi).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Eleonora Cimbro. Ne ha facoltà.

  ELEONORA CIMBRO. Signor Presidente, onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, come è stato ricordato in più interventi abbiamo avviato la scorsa settimana, in Commissione Affari esteri, l'iter di ratifica della Convenzione di Istanbul. L'Italia sarà il quinto Paese a ratificare la Convenzione, che per entrare in vigore necessita della ratifica di almeno dieci Stati, tra i quali otto membri del Consiglio d'Europa. Di qui il nostro impegno, da subito, a sollecitare la ratifica anche da parte degli altri Stati firmatari quanto prima.
  Si tratta, quindi, di un passaggio importante, decisivo, che arriva dopo un percorso che ha visto il nostro Paese in prima linea su alcuni provvedimento fondamentali già in passato e a cui oggi si deve dare seguito. È doveroso riconoscere che il primo impegno assunto dalla Commissione III sia stato proprio quello di portare in quest'Aula la ratifica della Convenzione.
  Per noi tutti dunque è prioritario dare un segnale forte a questo Paese sul tema della violenza contro le donne, che purtroppo si è palesata negli ultimi anni in un crescendo allarmante, nella sua forma più atroce, quella del femminicidio. Come giustamente è emerso dalla discussione in Commissione affari esteri, siamo di fronte ad un problema culturale non emergenziale. Qui non si tratta unicamente di armonizzare un quadro giuridico normativo per dare strumenti certi volti ad intervenire dopo che la violenza è stata perpetrata, ma soprattutto di creare le condizioni culturali affinché si arrivi ad un rispetto di genere che ancora in Italia non c’è. Per queste ragioni la Convenzione fornisce importanti strumenti per la prevenzione che comportano un profondo cambiamento di atteggiamenti ed il superamento di stereotipi culturali che favoriscono e giustificano l'esistenza di tali forme di violenza. È necessario partire da campagne di sensibilizzazione attraverso adeguate figure professionali che inizino ad operare nelle scuole e nei luoghi di lavoro per creare una nuova cultura del rispetto di genere. Occorre scardinare da subito meccanismi distorti che generano adulti incapaci di vivere relazioni paritarie che prevedono il pieno raggiungimento dell'emancipazione dell'individuo. La crisi economica, sociale e culturale che stiamo attraversando non aiuta. Le donne sono quelle maggiormente penalizzate, anche rispetto al raggiungimento di un'indipendenza economica, e questo ha un peso enorme rispetto alla possibilità di liberarsi da condizioni di subalternità forzata. E la prevenzione riguarda anche la tutela dei bambini che assistono a scene di violenza e che, loro malgrado, sono vittime di un circuito perverso che in molti casi li porterà a perpetrare a loro volta la violenza a cui hanno assistito. Violenza che è nelle parole, nei gesti e che è sottesa purtroppo anche nell'immagine e nelle parole di tante trasmissioni televisive per cui la donna diventa oggetto e, come tale, strumento e non persona. Questo Parlamento ha eletto moltissime donne. Per la prima volta siamo nelle condizioni di poter dare un contributo concreto a tutte le donne che ancora hanno paura, che non sanno cosa fare, che non sono tutelate e che aspettano solo che ci siano strumenti efficaci perché possano liberarsi da un fardello che non è loro, ma che hanno ricevuto in eredità quando sono nate. Dico questo perché credo sia giusto sottolineare che questi uomini violenti sono figli delle donne italiane. È da noi come madri che deve partire la rivoluzione culturale di cui si parlava prima. È da noi, dai nostri figli Pag. 45che deve iniziare la rottura di stereotipi che non hanno mai avuto ragione d'essere. Questa rivoluzione culturale è possibile solo se tutti però collaboriamo affinché il rispetto di genere diventi un dato assodato. Ci attende un lungo percorso che può partire da noi qui con la ratifica della Convenzione di Istanbul, ma che poi deve continuare, sia attraverso la creazione concreta di strumenti che necessitano di fondi per essere efficaci, sia attraverso il nostro impegno in prima persona. Ebbene, dunque la sfida è grande, ma solo se saremo in grado di affrontarla con determinazione oggi potremo sperare di aver lasciato un segno indelebile che sarà alla base di una società più equa e giusta domani. È questo un impegno per tutte le donne che hanno perso la vita, per tutte le donne che subiscono violenza e per tutti noi che siamo qui in questo Parlamento, perché ci siamo assunti la responsabilità di governare questo Paese e di renderlo migliore (Applausi).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Binetti. Ne ha facoltà.

  PAOLA BINETTI. Signor Presidente, signor Ministro, colleghi, la violenza contro le donne costituisce un'intollerabile violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, alla luce dei principi sanciti dalla nostra Costituzione e dalla Convenzione delle Nazioni Unite. L'obiettivo condiviso a livello nazionale e internazionale è l'eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne secondo un iter che prevede tre passaggi chiave: prevenire, reprimere e punire ogni forma di violenza, anche la tratta di persone, in particolare di donne e bambine, che richiede una lotta condivisa contro la criminalità organizzata a livello transnazionale.
  La Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, la cosiddetta Convenzione di Istanbul che stiamo per ratificare, è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza. La Convenzione intende predisporre una forma di tutela completa per le donne, intervenendo non solo sul piano della repressione, ma anche su quello della prevenzione, dell'assistenza, della sensibilizzazione culturale e dell'educazione.
  Il focus principale è sulle situazioni di particolare vulnerabilità legate a fattori quali l'età, le condizioni di salute, la disabilità, lo stato di migrante. Negli ultimi anni, in diversi consessi internazionali, lo Stato italiano è stato fortemente redarguito dalle Nazioni Unite per il suo scarso e inefficace impegno nel contrastare la violenza maschile nei confronti delle donne. Come è già stato ricordato dai colleghi, la rapporteur alle Nazioni unite ci ha detto che l'Italia resta un problema grave. Femminicidio e femminidio sono crimini di Stato tollerati dalle pubbliche istituzioni per incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne, che subiscono diverse forme di discriminazione e di violenza durante tutta la loro esistenza.
  In Italia sono stati fatti sforzi da parte del Governo attraverso l'adozione di leggi e politiche, compreso il Piano di azione nazionale contro la violenza, ma non hanno portato una diminuzione dei femminicidi e non si sono tradotti in un miglioramento della condizione di vita delle donne e delle bambine.
  Il raggiungimento dell'uguaglianza de iure e de facto è elemento chiave per prevenire la violenza contro le donne e, in tal senso, occorre identificare tutte le forme di discriminazione, anche quelle apparentemente più sottili e meno rilevanti, sapendo che, nel loro complesso, concorrono a mantenere una mentalità tendenzialmente giustificazionista rispetto alle microviolenze del quotidiano, propedeutiche a quelle più gravi e spesso irreparabili.
  Niente può e deve giustificare la discriminazione, anche la più piccola, pericolosa sul piano psicologico oltre che su quello fisico, perché è essa stessa una forma di violenza. Nello specifico, abbiamo ricordato più volte oggi pomeriggio i numeri e Pag. 46credo che comunque l'agghiacciante testimonianza dell'ultimo caso abbia lasciato un'impronta forte nella testa, nel cuore e nell'emozione di tutti noi e costituisca un punto veramente importantissimo di unificazione di tutta l'Aula per dichiarare questo «no» forte e deciso alla violenza.
  La cosa più grave per le donne che sono morte, anche nel caso specifico della ragazza di Cosenza, è che il 70 per cento di quelle uccise nel 2012 aveva denunciato il proprio assassino per stalking. Si sapeva, peraltro, che la loro relazione era difficile: maltrattamenti, abusi, ossia violenza. Peccato che non siano state adeguatamente prese in considerazione e tutelate.
  Fortunatamente, oggi, però, vi è una maggiore attenzione sulla stampa nella descrizione dei femminicidi, un'attenzione che va oltre la solita etichetta di omicidio passionale, per focalizzare la propria descrizione sui maltrattamenti e le denunce che hanno preceduto il delitto. La prevenzione di questi delitti è possibile e necessaria, ma richiede una tipologia di interventi diversificati a seconda della situazione concreta in cui vive la donna, dalla sua autonomia economica alla presenza o meno di figli, dalla sua capacità di reagire con energia alla sua tendenza, invece, a subire passivamente le situazioni.
  La prevenzione si può realizzare offrendo una protezione sempre maggiore e sempre più qualificata e personalizzata alle donne. Per questo, occorre destinare ai centri antiviolenze, come peraltro, in risposta ad una recente interpellanza, il Ministro ha promesso, maggiori risorse, attraverso finanziamenti regolari e continuati nel tempo, proprio per creare una rete di interventi sistematici che possano aiutare le donne nella fase acuta del distacco dall'aggressore e, successivamente, accompagnarle in un itinerario di progressiva riconquista della propria autonomia, anche sul piano psicologico.
  Ma poiché il Trattato parla specificamente di violenza domestica, è indispensabile attuare contemporaneamente politiche di supporto alla famiglia per contrastare i livelli di povertà e di disagio, che spesso hanno nella donna la prima e principale vittima di un sistema sociale in cui la disoccupazione può generare frustrazione e degrado, fino ad arrivare alla violenza vera e propria, anche se non si può avallare il binomio povertà-violenza, dal momento che episodi di violenza domestica sono presenti anche in contesti sociali di livello medio-alto.
  Bisogna promuovere una forte campagna di prevenzione e di sensibilizzazione culturale, che giunga a tutti i livelli della nostra società, per ribadire un «no» secco alla violenza, in tutte le sue forme, identificando con chiarezza i soggetti violenti e rimandando le persone, vittime e aggressori, ai centri in cui possono essere, ciascuno a suo modo, presi in cura.
  Per questo è necessario mettere in atto un'operazione culturale di ampio respiro che garantisca che le autorità, i funzionari, i rappresentanti statali, le istituzioni e tutti i soggetti pubblici si comportino in conformità a tale obbligo.
  È necessario assicurare che i pubblici ufficiali, in particolare i funzionari e gli addetti delle Forze dell'ordine, sia nel settore giudiziario che sanitario, siano specificatamente formati per affrontare tutte le forme di violenza contro le donne. Essi debbono acquisire le competenze necessarie per un ascolto attento delle donne, sia il personale sanitario – insisto – che quello di polizia, sia nei pronto soccorso che in questura.
  Ma occorre anche adottare tutte le iniziative opportune per promuovere, nell'esercizio dell'attività giornalistica, nei messaggi pubblicitari, nei palinsesti e nelle trasmissioni di radio e televisione, il rispetto della dignità delle donne e della soggettività femminile. La donna va vista e descritta con uno sguardo globale e non solo nella prospettiva di un riduzionismo a sfondo sessuale.
  Ricorre quest'anno il venticinquesimo anniversario della lettera apostolica Mulieris dignitatem di Giovanni Paolo II, pubblicata il 15 agosto 1988. In essa il beato Karol Wojtyla diceva con grande energia che Dio affida l'essere umano alla donna, per cui ogni offesa alla donna e ogni tradimento della sua dignità, non possono Pag. 47che tradursi in una sofferenza di tutti gli esseri umani. Nell'enciclica in cui si sottolinea il genio femminile, si descrive anche con chiarezza il ruolo della donna a salvaguardia dell'umano, indispensabile per edificare una autentica civiltà dell'amore e non della prepotenza. È da qui che dobbiamo ripartire per definire l'identità della donna nell'ottica dell'etica della cura, con un capovolgimento radicale rispetto al paradigma della violenza che avvelena i rapporti umani a livello interpersonale e sociale.
  La Convenzione oggetto di ratifica, presenta una sostanziale coerenza con i principi della Costituzione ed in particolare con l'articolo 2, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità, con l'articolo 3, per cui tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza discriminazioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali, e con l'articolo 32, che tutela la salute.
  Ed è sulla base di questa coerenza con la nostra Costituzione che il trattato va recepito e tradotto nella relativa normativa applicativa, evitando alcune ambiguità specifiche che nel trattato sono contenute nel paragrafo 3, quello delle definizioni. Di fatto non si sentiva alcun bisogno di introdurre il concetto di genere in un trattato in cui al centro dell'attenzione c’è la donna, in evidente e chiara contrapposizione con il maschio, vittima la prima, aggressore il secondo.
  Ed è proprio sul tema della diversa identità sessuale che la dialettica tra i sessi assume il suo aspetto più drammatico, perché la violenza inficia il clima di unità e di collaborazione, di amicizia e di complementarietà che dovrebbe caratterizzare un rapporto certamente complesso, ma, proprio per questo, ricco di straordinarie opportunità affettive ed effettive per tutta la famiglia e la società.
  Nonostante la violenza femminile sia un tema pressoché universale, come dichiara il trattato di Istanbul, non sussiste ancora, allo stato attuale, un sistema adeguato di monitoraggio, di raccolta dati sulle diverse forme di violenza contro le donne, inclusa la violenza domestica, né a livello nazionale né a livello internazionale, per cui il «sommerso» di questo drammatico fenomeno è ancora tutto da esplorare ed è necessario ed urgente istituire uno specifico organismo di coordinamento, come previsto dall'articolo 10 della Convenzione.
  Bisogna però passare dalle parole ai fatti, dalle affermazioni di principio – concludo –, pure indispensabili e fondamentali, alle attuazioni pratiche, ed è ormai improcrastinabile adottare un piano d'azione per il contrasto alla violenza e alle molestie, dotato delle occorrenti risorse finanziarie che preveda efficaci misure di prevenzione e di tutela della vittima e garantisca la certezza e l'adeguatezza delle pene.
  Dall'approvazione del trattato ci aspettiamo a tutti i livelli un più ampio e profondo riconoscimento della mulieris dignitatem, in casa, nel posto di lavoro, a livello nazionale ed internazionale. Grazie
(Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia).

  PRESIDENTE. Grazie. È iscritto a parlare il deputato Vincenzo Amendola. Ne ha facoltà.

  VINCENZO AMENDOLA. Gentile Presidente, signora Ministra, deputate e deputati, la consapevolezza espressa in questo dibattito in questa Aula per la ratifica della Convenzione di Istanbul è un merito che va ascritto innanzitutto a tutti i gruppi politici qui rappresentati. È merito delle deputate e dei deputati che dalla precedente legislatura si sono battuti caparbiamente per la firma e la ratifica della Convenzione.
  È merito dell'unanimità della III Commissione (affari esteri), della sua presidenza e dei sottoscrittori dell'iniziativa legislativa. È anche merito di chi è fuori di qui, e che con grande sensibilità, si è mobilitato fuori da quest'Aula per far sì che la nostra Convenzione – che diventa con il voto domani una Convenzione per il Pag. 48nostro Paese – diventasse un manifesto di progresso civile.
  Io concordo pienamente con gli interventi sin qui svolti, a partire dall'esposizione della relatrice. La Convenzione contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica non ha un carattere né formale né rituale, è piuttosto un manifesto, un manifesto di progresso civile che ci impone di cambiare la nostra configurazione sociale, prevenendo mali del nostro tempo, proteggendo le vittime e punendo reati che stanno assumendo un rilievo quotidiano nelle cronache del nostro Paese.
  Progresso civile, estensione dei diritti, difesa dei più deboli per migliorare noi stessi e per rafforzare una proiezione dell'Italia nel mondo come portatrice di un messaggio di liberazione ed emancipazione contro le discriminazioni. Io mi vorrei fermare su questo aspetto, sottolinearlo: la nostra ritrovata vocazione in uno scenario vicino e lontano, dove la storia degli uomini e delle donne deve avanzare nel solco di una globalizzazione dei diritti e delle libertà, che non abbia timore dei relativismi o di un'errata lettura delle diversità.
  Innanzitutto partiamo da noi, qui in Italia. Io concordo con l'onorevole Tinagli. Tanti di voi qui hanno raccontato casi che ci fanno soffrire e fanno sì che il nostro dibattito sia pieno, colmo, nel cuore, di sentimenti duri, amari. Ma quello che molto spesso ci pervade e ci fa sentire ancora più sofferenti, è il contesto, la lettura ed i racconti intorno a casi di cronaca che stiamo vivendo.
  Raccontava un noto giornalista, pochi giorni fa, la storia di Maria Immacolata Rumi, impiegata, madre e sposa da trent'anni. Arrivata in ospedale i sanitari spiegavano di averla raccolta e accolta piegata in due, con il volto tumefatto. Mentre la prendevano in custodia, il marito le ha gridato: Maria, stai ferma, sennò ti meno un pugno. È morta 14 minuti dopo – racconta Gramellini – per lesioni interne causate dalle percosse. Quello che fa soffrire è che i figli hanno raccontato senza stupore e quasi con rassegnazione: papà l'ha picchiata per tutta la vita e sempre per futili motivi. Il necrologio era imbarazzante: Maria Immacolata è mancata improvvisamente, improvvisamente dopo trent'anni di violenza. E anche l'omelia suonava stonata: Maria si è sacrificata, ha sofferto, si è liberata.
  Nessun sacrificio – conclude il corsivo – questo, come altri e come sempre più spesso succede nel silenzio della quotidianità, è stato un assassinio premeditato, dentro un modello familiare patriarcale ed omertoso, non ammissibile più in questo secolo. Tanti di voi hanno citato i dati: 127 donne uccise nel 2011, 6-7 per cento in più rispetto al 2010, 124 nel 2012 e già più di 30 nel 2013. Quello che spaventa è che l'autore è il marito per il 48 per cento dei casi, è il convivente per il 12 per cento, è un ex per il 23 per cento, e nelle statistiche, nei due terzi dei casi, è un uomo che è considerato «normale», tra virgolette, così come l'84 per cento delle violenze continuano ad avvenire in casa, all'interno di una relazione anche qui definita «normale».
  Allora, approvando questa Convenzione oggi, non solo eleviamo al rango che merita la battaglia contro la violenza nei confronti delle donne, ma imbocchiamo nel nostro Paese, cara Ministra, la strada maestra per definire strumenti, norme e politiche per la reale promozione di pari opportunità, alzando una barriera di civiltà contro ogni discriminazione tra i sessi e contro quel contorno culturale di tolleranza ed indifferenza che in larghi strati della nostra società, in forme antiche o moderne, costruiscono muri di gomma.
  Con l'articolo 4 riconosciamo il principio secondo il quale ogni individuo ha il diritto di vivere libero dalla violenza nella sfera pubblica e in quella privata, una libertà fondamentale impermeabile a giustificazionismi culturali, a cui noi comunità dobbiamo garantire tutto, ogni misura, dal sostegno al risarcimento, nelle compensazioni civili come nei procedimenti penali, per tutte, senza limitazione di stato giuridico, come le donne migranti o richiedenti asilo.Pag. 49
  E proprio a partire da queste, dalle donne migranti e richiedenti asilo, mi piace sottolineare in conclusione il mandato forte che assumiamo al di fuori dei nostri confini nazionali, ratificando, tra i primi Paesi del Consiglio d'Europa, una Convenzione che parla di progresso civile e libertà.
  Il Governo, ne siamo certi, nel suo operare per una diplomazia della democrazia e delle diversità, saprà portare nei suoi incontri, nei suoi interscambi, questa ratifica nella prossime settimane. Siamo contenti, come testimoniava oggi qui il Viceministro Lapo Pistelli, che già dal Consiglio europeo di domani verrà inserita la violenza...

  PRESIDENTE. La prego di concludere.

  VINCENZO AMENDOLA. ... contro le donne tra gli Obiettivi del millennio post-2015.
  Noi scegliamo un esempio di Paese, un esempio per i nostri cooperanti che ogni giorno, in giro per il mondo, parleranno dell'Italia. Non è solo un merito. È un modello che migliora noi e migliora quelli che sono al di fuori dei nostri confini. Perché ha ragione Luce Irigaray: «il più indispensabile passaporto per attraversare i propri confini senza smarrirsi né ridurre l'altro a se stessi, è come noi cambiamo la società e come crediamo nel dialogo, nella diversità tra le culture, l'irriducibile presupposto di ogni incontro, che è quello, in quest'epoca che si dice multiculturale, del rispetto non solo dei diritti umani, ma di una società che chiede progresso (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Velo. Ne ha facoltà.

  SILVIA VELO. Signora Presidente, colleghi, come tanti altri hanno fatto prima di me, esprimo la soddisfazione per essere arrivati finalmente alla ratifica della Convenzione di Istanbul che è, come è stato detto, il primo strumento giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza. È bene sottolineare tutti, in tanti lo hanno fatto, come lo si faccia in un momento complicato per il nostro Paese. I dati dell'ISTAT certificano una riduzione degli omicidi nell'ultimo ventennio, che però ha riguardato solo gli uomini. Gli omicidi delle donne sono rimasti invariati e in un numero impressionante: 137 nel 2011, 124 nel 2012 e 46 solo nei primi quattro mesi del 2013. Sette donne muoiono ogni giorno in Europa per mano dei loro partner. La prima causa di morte è la violenza fra le mura domestiche, più della malaria, più del cancro, più degli incidenti stradali. È un dato sconvolgente. Allo stesso tempo – questo invece ci sconvolge positivamente – le donne, le ragazze di tutto il mondo, dentro le diverse civiltà, le diverse culture, non solo nel mondo più ricco, premono per vedere riconosciuti i loro diritti e stanno diventando, ogni giorno di più, il soggetto promotore di un cambiamento positivo della società.
  «È un genocidio nascosto» ha detto Amartya Sen, e lo ha detto giustamente, perché non è la violenza sulle donne oggi un fenomeno residuale, non è un fenomeno arcaico, ma è un fenomeno della contemporaneità, che dimostra una vera e propria crisi di identità nel rapporto tra i generi che si manifesta, spesso, purtroppo, sempre più spesso, nella parte più intima della relazione che è quella amorosa. Di fronte all'affermarsi di nuove identità femminili, di fronte al progressivo affermarsi del tasso di consapevolezza e di autonomia delle donne, stenta ad affermarsi, anzi non riesce spesso ad affermarsi, una nuova identità maschile in grado di stabilire una relazione positiva paritaria ed equilibrata con l'altro sesso. È qui appunto che sta la radice della violenza nei confronti delle donne, in quest'asimmetria, come dicevo, non in un retaggio del passato, in un modello arcaico, ma come il portato di un equilibrio irrisolto all'interno delle dinamiche di genere che è stato riacceso dal riposizionamento delle donne. Dietro il femminicidio c’è il tentativo di negare la personalità delle donne, e il fatto che Pag. 50sempre più spesso questi episodi riguardino personalità cosiddette «normali» ne è la prova.
  L'Italia poi, in questo quadro, occupa un posto negativo perché è fra i Paesi a più alto tasso di femminicidio, al livello del Messico e lo rileva un rapporto dell'ONU, così come il rapporto dell'ONU rileva che in Italia gli stereotipi di genere sono profondamente radicati e incidono negativamente, pregiudizialmente, sui ruoli delle donne e degli uomini nella società. Ecco perché è importante che nel nostro Paese si proceda rapidamente oggi alla ratifica della Convenzione, riconoscendo il valore dei suoi princìpi, contenuti nell'articolo 1, ma anche – li sottolineo qui – quelli contenuti nell'articolo 5, che prevede forme di risarcimento nei confronti delle vittime e, soprattutto, il riferimento e l'ampio spazio che viene dato al tema della prevenzione, dell'educazione, della sensibilizzazione e della formazione di adeguate figure professionali che aiutino la prevenzione del fenomeno nella società.
  Noi sappiamo che la Convenzione da sola non garantisce la cogenza legislativa. Per questo, ci tengo, in conclusione del mio intervento, a fare un appello al Parlamento: le difficoltà finanziarie ed economiche che sta attraversando il nostro Paese non debbono e non possono essere motivazione per giustificare la diminuzione di risorse e di attenzioni dedicate alla prevenzione e al trattamento della violenza sulle donne e sulle bambine. Questo dibattito così interessante di oggi, e che proseguirà domani, deve essere da stimolo al Parlamento perché riesca a dimostrare che ha capito l'allarme che ci arriva dalle organizzazioni internazionali, che ha capito l'enorme solitudine e sofferenza di tante donne e che ha capito, il nostro Parlamento, l'inadeguatezza delle risposte fornite fino ad oggi. Lo dico ringraziando le tante associazioni che si stanno impegnando e si impegnano, spesso senza risorse adeguate, per la prevenzione della violenza e per l'assistenza delle donne che ne sono vittime. E mi auguro che da domani, con la ratifica, si inizi il più rapidamente possibile, e si arrivi all'approvazione delle proposte di legge che sono state depositate, tante, contro il femminicidio, perché, appunto, dalla Convenzione e dall'enunciazione di principio, si passi a strumenti cogenti legislativi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Constato l'assenza del deputato Lattuca, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato. È iscritto a parlare il deputato Verini. Ne ha facoltà.

  WALTER VERINI. Signor Presidente, credo che il Parlamento questa sera e domani stia scrivendo una pagina importante, una bella pagina, e per uno come me è difficile dire qualcosa di più di quanto già non sia stato detto un po’ in tutti gli interventi che mi hanno preceduto, però credo che sia anche giusto dire qualcosa, e io ringrazio il mio gruppo che mi ha chiesto di pronunciare un breve intervento. Infatti, le cronache, come è stato detto, ogni giorno si incaricano di rappresentarci quello di cui si parla quando si parla di violenza contro le donne. Però, agli orrori della cronaca arrivano solo, spesso, gli episodi più strazianti, più drammatici; c’è un volgere quotidiano nella vita delle persone, nelle mura domestiche, nei rapporti interpersonali, che spesso non arriva alle cronache e viene vissuto nel silenzio, viene vissuto nella mortificazione, viene vissuto spesso nell'indifferenza.
  Si parla di violenza, che è manifestazione di sopraffazione di un genere sull'altro, di una posizione dominante su una di inferiorità. Violenza che può voler dire appunto percosse, acido che sfigura, ma anche ingiurie verbali, mobbing, soprusi psicologici, discriminazione.
  La violenza sulle donne non è un fenomeno sociale, non è un fenomeno di costume, non è un insieme di fatti di cronaca, non è una questione antropologica, culturale o che rappresenta retaggi arcaici: è un po’ tutte queste cose insieme ed altre ancora. È un reato contro l'umanità o, almeno, contro una metà di essa e come tale va prevenuto, perseguito e condannato.Pag. 51
  Perciò la Convenzione è un punto importante, ma – dobbiamo saperlo – è un punto di partenza. È un punto di grande importanza, perché è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante, finalizzato, però, a creare un quadro normativo completo, volto al contrasto di qualsiasi forma di violenza contro le donne. È importante, perché la violenza viene finalmente riconosciuta come violazione dei diritti umani; ma è un punto di partenza, perché non prevede un obbligo di recepimento di nessuna norma nel nostro ordinamento e, quindi, la sua ratifica non è sufficiente.
  E qui, allora, devono intervenire la sensibilità collettiva, la nostra etica – di tutti ! – a guidare l'azione legislativa. Sarebbe sbagliato su questi temi – non mi pare che lo si stia facendo – issare bandierine di partito. Dovremmo essere tutti una sola voce, dovremmo poter essere una sola penna per poter scrivere tutti insieme quelle norme, quei programmi, per provare a stanziare quei fondi, per colpire e punire severamente gli autori di quei reati, di quei reati così orribili, per aiutare le vittime, ma, soprattutto, per far sì che questo fenomeno sia contrastato all'origine, perché cambi la nostra mentalità, il senso comune, perché non accadano più violenze, anche – come dicevo – quando non si vedono, ma esistono, soprattutto, contro le donne, ma anche, più in generale – lo ricordava qualche collega –, contro i soggetti più deboli, contro i diversi.
  Io credo che sia un grande fatto parlarne nelle scuole e aggiornare i programmi scolastici, perché esiste in questo Paese – lo ricordava, e non credo sia sbagliato citarlo, il precedente Pontefice – un'emergenza educativa. Ognuno può avere il suo punto di vista, ma innegabilmente, in questo Paese, c’è bisogno di aggiornare anche i parametri educativi della nostra contemporaneità.
  Dicevo che è un punto di partenza, perché la Convenzione di Istanbul dovrebbe essere, secondo me, il quadro di lettura di tutta la nostra azione di legislatori, perché non possiamo permetterci di intervenire solo a tragedia avvenuta, con interventi mirati su una specifica azione, ma dovremmo ispirarci ad essa anche nella trattazione quotidiana dei vari temi di cui ci occupiamo. Non si può parlare di convenzione e, magari, non occuparsi della condizione specifica e particolare – chessò – delle donne detenute; non possiamo licenziare con superficialità la questione della rappresentanza di genere nelle istituzioni o nelle imprese, come abbiamo fatto, o la disparità di genere economica e lavorativa che spesso ritroviamo; né potevamo non indignarci tutti – mi pare fosse Claudio Fava a ricordarlo – davanti a quella palese violazione di diritti che erano le dimissioni in bianco, uno dei pochi successi della scorsa legislatura (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Sinistra Ecologia Libertà).
  Il merito della Convenzione – e mi avvio a concludere – e della legislazione di quei Paesi che ad essa si sono ispirati, come la Spagna e la Francia, è stato infatti l'approccio globale alla questione della violenza. Le azioni – è stato ricordato – possono essere sintetizzate in cinque momenti di intervento: prevenzione, protezione, repressione, monitoraggio e integrazione delle singole politiche. Tutte le parti, allora, e in primo luogo lo Stato, devono sentirsi coinvolte e agire insieme, soprattutto, al fine di ridurre, se non annullare, gli episodi di violenza. Lo Stato – quindi noi che lo rappresentiamo – deve porsi garante e sentirsi il primo responsabile di quanto accade.
  Ci sono articoli bellissimi della nostra Costituzione – l'articolo 2 e l'articolo 3, in particolare –, leggerli fa bene e dovremmo davvero tutti tenerli sempre a mente. Il rispetto dei diritti umani è compito di ogni individuo e della loro tutela è garante lo Stato, siamo noi, e questo ci ricordano quegli articoli della Costituzione con parole incancellabili.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  WALTER VERINI. Questo atto, questa ratifica aiuteranno questo Parlamento a essere all'altezza del suo ruolo, aiuteranno questa politica a essere un po’ più credibile Pag. 52e aiuteranno questo Paese a essere un po’ più civile e un po’ più comunità (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Blazina. Ne ha facoltà.

  TAMARA BLAZINA. Signora Presidente, signora Ministro, colleghe e colleghi, in questa discussione c'era il rischio di ripeterci, ma io penso che ciò non sia un male: ripetere dieci, cento, mille volte che vogliamo contrastare il fenomeno della violenza nei confronti delle donne è uno dei modi che abbiamo per ottenere il risultato.
  Sono le tante donne vittime della violenza che lo dicono di giorno, sono le tante donne giovani e meno giovani che lo hanno ripetuto nelle piazze italiane con il movimento «Se non ora, quando ?» insieme a tante associazioni e ad altri soggetti della società civile, a partire dalle ONG. Ma a chiederlo sono soprattutto gli altissimi numeri di violenze e di femminicidi che stanno diventando per il Paese non solo un'emergenza sociale, ma un fenomeno strutturale e radicato.
  Mi soffermerò solo su alcune brevissime considerazioni. La prima riguarda il rimprovero che ci me viene mosso sul fatto che la ratifica della Convenzione di Istanbul non sia sufficiente perché ci vorrebbero norme più stringenti: condivido tale affermazione ma, nello stesso tempo, riaffermo che la Convenzione è il primo e fondamentale tassello di un mosaico più grande che andremo a comporre successivamente. In questo senso si sono espresse le Commissioni, in questo senso si è impegnata la Ministro per le pari opportunità, Idem, con l'annuncio della costituzione di una task force e di un osservatorio dedicato.
  Anche gli altri contenuti della Convenzione dovranno essere realizzati con celerità, partendo dalla consapevolezza che la Convenzione rappresenta lo stato più avanzato per combattere la violenza sulle donne, offrendo un quadro giuridico completo e articolato.
  C’è la necessità di mettere in campo risorse finanziarie. D'altra parte, nessuna vera riforma o innovazione può essere attuata senza un forte investimento di risorse. Chiediamo perciò al Governo di inserire questo tema tra le sue priorità, soprattutto in vista della prossima legge di stabilità, altrimenti rischiamo di vanificare anche questo risultato.
  La seconda considerazione riguarda l'auspicata trasversalità che dovrebbe accompagnare questo iter, sia quella politica sia quella di genere. La violenza sulle donne non è un tema delle donne, anzi, riguarda soprattutto i maschi, visto che sono proprio loro i principali fautori di tali violenze. È pertanto giusto e necessario che vengano coinvolti in tutte le fasi dell’iter legislativo e poi di quello attuativo e, in particolare, nella profonda trasformazione culturale di cui ha bisogno il Paese.
  Questo è forse il punto nodale, perché il cambio di mentalità in seno alla società per estinguere i pregiudizi fondati sulla cosiddetta inferiorità delle donne e sui ruoli stereotipati attribuiti a donne e uomini è ancora lontano.
  L'altra trasversalità è quella politica: è importante che anche su questo argomento, come già accaduto per altri provvedimenti recentemente approvati in quest'Aula, ci sia un'ampia condivisione.
  Forse, come già hanno detto gli altri colleghi, siamo veramente approdati ad una nuova fase e stagione politica, caratterizzata da un significativo rinnovo della Camera con una forte presenza di donne, il che ci permetterà di portare a termine importanti leggi sul tema dei diritti. E oggi stiamo parlando di diritti, visto che la Convenzione riconosce la violazione sulle donne come violazione dei diritti umani e come forma di discriminazione.
  Leggendo i dati sul fenomeno della violenza emergono due aspetti di grande criticità, cioè l'alto numero di violenza all'interno dell'ambito domestico e il costante aumento della violenza tra i giovanissimi. Sono temi che ci devono fare riflettere e indurci a ripensare, in particolare, il ruolo della famiglia, che è profondamente Pag. 53cambiata negli ultimi decenni. È vero, essa rimane tuttora la cellula fondamentale dell'organizzazione sociale, ma troppe volte è fondata su presupposti sbagliati, su rapporti coniugali e genitoriali fragili.
  È necessario porre alla base della famiglia la dignità di ogni singola persona che la compone, dal bambino all'anziano, dall'uomo alla donna; se non c’è un equilibrio consapevole basato sulla parità, sul rispetto e sulla solidarietà, allora può diventare il luogo di violenza.
  Il fenomeno dei giovani esige poi una specifica lettura. Come si costruiscono i rapporti tra i generi nell'adolescenza ? Quali influenze subiscono ? Come si esprime la crisi di identità maschile ?
  E poi c’è il tema dei gruppi marginalizzati, tra i quali tante donne che non trovano spazio sulle pagine dei giornali, ma soffrono in silenzio: sono le donne emigranti, le donne recluse nei CIE e nei CARA, le detenute con figli, cioè le donne più vulnerabili che subiscono soprusi e violenze più sottili, ma non per questo meno gravi.
  Da tutto ciò appare evidente quanto il tema della violenza contro le donne sia molto complesso e presenti tante sfaccettature. Oggi diamo solo una prima risposta, ma dovremo farci carico di continuare su questa strada intanto vigilando sul Senato perché approvi la ratifica in tempi stretti, dando prova così tutti insieme di civiltà e democrazia (Applausi).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Andrea De Maria. Ne ha facoltà.

  ANDREA DE MARIA. Presidente, colleghi, credo che questa sia una giornata davvero importante per noi, per la Camera dei deputati, lo è per l'atto che compiamo (stiamo ratificando una Convenzione di grande valore come è stato spiegato molto bene), lo è anche perché questo per noi non è un atto isolato – lo si è sentito nel dibattito, ci tornerò tra un attimo – perché dopo questa Convenzione, nel lavoro di questa Camera, sono già previsti altri passaggi molto importanti. Penso, ad esempio, alla mozione contro il femminicidio, a cui alcune nostre colleghe stanno lavorando, che credo sarà un altro momento significativo del nostro impegno.
  Dicevo del dibattito: abbiamo fatto secondo me un dibattito bello, unitario. Quelli che sono presenti hanno ascoltato tutto e credo che dal dibattito siano emersi alcuni punti di grande valore per tutti noi, per l'azione di questa Camera.
  Il primo è il fatto che l'Italia, con questa ratifica, si mette alla testa di una battaglia di valore globale, che va oltre i nostri confini; saremo il quinto Stato che ratificherò la Convenzione di Istanbul, vuol dire che siamo a metà del percorso (sapete che servono dieci Stati, di cui otto europei, perché la Convenzione acquisti definitivamente valore), e questo è sicuramente un impegno che il nostro Paese nella dimensione internazionale dovrà sviluppare.
  La dimensione globale è fondamentale, perché in questo mondo di oggi con i suoi problemi, le sue contraddizioni, la lotta contro la violenza alle donne, senza confini in tutto il mondo, la lotta per i diritti delle donne è una grande frontiera di libertà, di civiltà e di cambiamento in tanti Paesi. Pensate cosa sta succedendo in India, con un grande movimento popolare che è nato e si è sviluppato proprio nella lotta contro la violenza alle donne, contro le complicità che nello stesso apparato dello Stato su questi atti di violenza in quel Paese si sono manifestate.
  Nella Convenzione si afferma un fatto molto importante, cioè che la violenza contro le donne è una gravissima violazione dei diritti umani. È la prima volta che questo viene affermato in uno strumento internazionale di questo tipo e si traduce in una serie di impegni importanti. Per esempio, nell'articolo 2 ci sono una serie di indicazioni che riguardano il rispetto dei diritti delle donne, il contrasto alla violenza alle donne nelle situazione di conflitto, che è una delle situazioni – l'abbiamo visto anche a pochi chilometri dall'Italia – dove le forme di violenza sulle donne si manifestano in modo più drammatico.Pag. 54
  C’è l'articolo sui matrimoni forzati, contro le mutilazioni genitali, e così via.
  Poi, accanto al significato internazionale, c’è il significato che riguarda il nostro Paese. Questa cornice internazionale può consentirci di rafforzare l'impegno in Italia contro ogni forma di violenza contro le donne. Qui voglio citare fondamentalmente alcuni aspetti.
  Il primo è il tema dei diritti e della protezione delle vittime, molto presente nella Convenzione, che riguarda la violenza alle donne; ma secondo me è un tema anche più generale, che riguarda le vittime dei reati, ovviamente in questo caso con particolare drammaticità: su cui credo anche che in questo caso in Aula dovremo tornare. E poi la prevenzione della violenza, che è l'azione a tutela di chi ha denunciato la violenza: tanti sono i casi di donne che avevano denunciato situazioni di aggressione, di minacce, e che poi sono andate a finire, purtroppo, ancora peggio, rispetto alle quali non si è intervenuto per tempo, ma è anche una battaglia culturale.
  Questa battaglia interpella e interroga davvero prima di tutto gli uomini, perché sono gli uomini che commettono le violenze, e perché è prima di tutto anche un movimento di uomini che deve creare le condizioni per isolare e combattere qualunque forma di violenza contro le donne. Un movimento di uomini che è anche contro l'indifferenza: perché c’è chi commette gli atti violenti, ma è presente anche un'indifferenza diffusa, una tolleranza; mentre se un nostro amico, un uomo che conosciamo, è violento, intollerante verso le donne, è nostro dovere intervenire, e fare sentire una voce in nome invece dei diritti e della difesa del ruolo delle donne (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
  Nel corso del dibattito in Aula è stata detta un'altra cosa, che ritengo molto importante: nella società italiana di oggi c’è un crescere del protagonismo delle donne; e non credo sia casuale il fatto che proprio di fronte al crescere di questo protagonismo, crescano anche le situazioni di violenza, di aggressione, di intolleranza contro le donne. Perché in realtà la violenza è un modo per perpetuare una subordinazione delle donne all'uomo: l'idea di una superiorità maschile che quando è messa in crisi dal protagonismo delle donne, degenera in violenza, perché l'uomo ha paura di quel protagonismo; mentre il protagonismo delle donne è una delle forze più vive e più importanti della nostra società.
  Ed è anche per questo che la lotta contro qualunque forma di violenza verso le donne è una grande lotta di libertà, di democrazia, di cambiamento per tutta la società italiana; e che ci mette davanti al fatto che non ci sono alibi. Non è che chi commette violenza appartiene ad una certa etnia, ad una certa religione, a una certa classe sociale: le vittime, come i carnefici, appartengono a tutte le generazioni, a tutte le provenienze, a tutte le classi sociali; perché il punto di fondo è questo: la violenza contro le donne è il modo di perpetuare una subordinazione, e la lotta contro questa subordinazione è un compito di tutta la nostra società.
  In questo credo, che anche col voto di oggi, il Parlamento italiano dia una bella prova: bene farlo in quest'Aula ! Credo che ognuno di noi debba sentire il dovere di fare questa battaglia dappertutto: di farla nella società, di farla nella propria iniziativa politica, di farla nella propria iniziativa istituzionale. È una grande battaglia di libertà, di cambiamento; è una grande battaglia di civiltà e di umanità; è una battaglia che può fare questo Paese e questo mondo davvero migliori (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Caterina Bini. Ne ha facoltà.

  CATERINA BINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, desidero partire da una data: venerdì 24 maggio, solo tre giorni fa. Angelica, romena di 35 anni, un figlio di 13, è stata uccisa a coltellate a Guardamiglio, in provincia di Lodi, nei giardini pubblici, dal suo ex convivente, italiano, 49 anni, due figlie con un'altra donna. La Pag. 55tormentava da un anno, dopo che lei lo aveva lasciato e se n'era andata di casa, oltretutto dopo una denuncia per maltrattamenti.
  Yamila, 41 anni, cubana, madre di due figli, badante, è stata ferita con tre colpi di pistola dopo essere stata buttata giù da un'auto in mezzo al quartiere genovese di Marassi. Bruno, 58 anni, reo confesso, aveva il sospetto che Yamila si prendesse gioco di lui, che lo volesse lasciare.
  Fabiana, 15 anni, citata da molti, viene accoltellata e poi bruciata viva a Corigliano, Cosenza. Il ragazzo l'ha uccisa, nonostante lo supplicasse, perché lei lo voleva lasciare, voleva essere libera.
  Tre storie in un giorno, tre violenze terribili: le ultime di una lunga serie, che hanno in comune la donna come vittima, la donna sottomessa, la donna non libera di scegliere se stare con un uomo, la donna indifesa di fronte alla furia dell'orrore.
  Oggi siamo qui a concludere, con l'approvazione da parte del Parlamento, Camera e Senato, l’iter di ratifica della Convenzione di Istanbul, sottoscritta dal nostro Governo nel settembre 2012 e ratificata dal Consiglio dei ministri l'11 dicembre dello stesso anno.
  Ad oggi solo quattro Paesi hanno fatto altrettanto benché ventinove abbiano firmato. Almeno in questa occasione, la lunghezza del nostro processo legislativo e parlamentare non è stata d'impedimento a che l'Italia contribuisca alla soglia dei dieci Paesi, di cui otto Stati europei, perché questa importante Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica entri pienamente in vigore.
  Tutto ciò sancisce anche una legge interna, avanzata e garante per le donne. Siamo dunque a discutere di un fatto importante, il cui merito va, in primo luogo, a tutte quelle persone e alle moltissime donne che, in questi anni, non hanno mai cessato di denunciare con forza l'atavica disumanità di questa violenza, fonte di soprusi quotidiani ma anche di delitti efferati mascherati e presentati talvolta dai protagonisti, ma anche da taluni commentatori, come eccessi di amore e gelosia.
  Del resto, il cammino, anche del nostro Paese, per arrivare ad oggi, alla cultura più avanzata che sostiene il provvedimento che stiamo discutendo, è stato lungo e tutt'altro che lineare. Non sono molti i decenni che ci separano dalla cancellazione dal nostro codice penale del delitto d'onore che, guarda caso, lasciava praticamente impuniti omicidi in cui le vittime erano sempre donne.
  Ringrazio l'onorevole Mogherini, prima firmataria della proposta di legge, e tutti gli altri colleghi e colleghe che, anche insieme a me, l'hanno sottoscritta. Non possiamo tacere di fronte alla violenza, non possiamo denunciarla solo ogni volta che accade un fatto grave, non possiamo non occuparcene fino in fondo.
  Ma che significa compiutamente violenza sulle donne ? Non è solo il femminicidio, seppure questa sia la piaga più terribile ed estrema. Quante altre forme di violenza dobbiamo prevenire e denunciare prima che divengano follia omicida ?
  Partiamo dalla violenza domestica, la più comune, una delle più gravi perché travestita dall'amore ma che con l'amore nulla ha a che fare. Quante donne subiscono maltrattamenti fisici o verbali fra le mura domestiche, quante donne non denunciano ma anzi subiscono in silenzio, quante donne addirittura arrivano a giustificare questi atti come se fossero normali o meritati ? Quante donne vivono nella paura di un potere gerarchico del marito, compagno o padrone, accettato come elemento culturale ancora troppo presente, anche nel nostro Paese ? Per non parlare dei figli, dei bambini, turbati nella loro crescita e nel loro processo educativo da immagini che ne condizionano la psiche per sempre. Le donne in molti, troppi casi hanno paura a denunciare questi fatti.
  Un altro fenomeno importante e crescente è lo stalking: molte donne subiscono minacce, vengono ossessionate da uomini che le seguono e le importunano, spesso ex Pag. 56che non accettano di perderle. Purtroppo sappiamo che spesso fenomeni di stalking sono preliminari ad atti di violenza.
  Ci sono poi forme di violenza tipiche di altre culture ma presenti anche nel nostro Paese; penso alla mutilazione dei genitali femminili, all'aborto forzato, all'obbligo di tenere viso e corpo interamente coperti. Sono forme diverse ma tutte violente, forme che impediscono la libertà della donna, la sua emancipazione, la sua personalità.
  Per concludere, anche se ho fatto solo alcuni esempi e molti altri se ne potrebbero fare, la violenza sessuale: il corpo della donna usato come oggetto per soddisfare un desiderio fisico che niente ha in comune con l'amore.
  Questa Convenzione non è dunque un atto formale, specifica tutte le forme di violenza presenti cosicché non ci debbano essere interpretazioni diverse nei diversi Paesi, così che ci sia un codice di regole comuni. Si parla di prevenzione, di come educare culturalmente ad una reale parità di genere a partire dalle scuole, di come denunciare e proteggersi dalla violenza. Si parla di case-rifugio, luoghi dove donne e bambini possano proteggersi, di centri ascolto dove possano parlare e trovare conforto. Si parla di come assistere le donne che denunciano e di come sanzionare chi fa violenza.
  Nel 2012, dati ISTAT: 3 milioni 961 mila donne hanno subito violenza fisica, 5 milioni violenza sessuale; nel nostro Paese più o meno una donna ogni tre giorni viene uccisa. Questi dati sono allarmanti e sono solo quelli conosciuti. Molti sono nascosti dietro la paura. Ecco, noi oggi possiamo dire «no» con la forza della democrazia a tutto ciò, restituire alla vittima un po’ di giustizia ma soprattutto cominciare una nuova storia, con meno dolore e più sorrisi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Giuliani. Ne ha facoltà.

  FABRIZIA GIULIANI. Gentile Presidente, signora Ministro, care colleghe e cari colleghi, è vero quanto è stato detto finora, che quest'Aula non è pienissima, per usare un eufemismo, però io credo anche che qualche piccolo passo avanti noi lo abbiamo fatto, almeno rispetto allo scorso settembre, quando la discussione che avviò questo processo di ratifica si dovette interrompere al Senato perché mancavano le presidenze, mancavano le presidenze vicarie, mancavano i vicari dei vicari. Ecco, quando parliamo di distanza delle istituzioni rispetto ai cittadini, ci dobbiamo ricordare delle nostre responsabilità. Io credo che oggi – anche se quest'Aula è stata non proprio pienissima – il dibattito che qui si è tenuto è stato così importante e così ricco e – anche grazie alla sua disponibilità e alle sue sollecitazioni – abbiamo potuto accorciare un po’ le distanze tra le istituzioni e i cittadini (Applausi).
  Prenderò davvero poco tempo, però voglio dire che la relatrice del provvedimento, l'onorevole Carfagna, e i colleghi e le colleghe che mi hanno preceduto, hanno sottolineato, come meglio non avrebbero potuto fare, il valore civile e politico di questa Convenzione ed io vorrei veramente sottolineare solo un aspetto, che definirei di prospettiva. Mi aiutano a farlo – vorrei ricordarle – le parole con le quali è stato conferito il premio Nobel per la pace all'Unione europea perché, a mio avviso, quegli argomenti illustrano bene il senso della nostra discussione. Senza di essi – vorrei essere ancora più radicale – si smarrisce il senso profondo di questa ratifica. All'Unione Europea è stato assegnato il Nobel per il successo nello sforzo per la pace, per la riconciliazione, per la democrazia e per i diritti umani. In quelle parole, la memoria dei conflitti sanguinosi che hanno attraversato il nostro continente, ma in esse io leggo anche l'affermazione che la qualità democratica dello spazio comune europeo, che ancora non è compiuta, è garanzia e tutela dei diritti umani fondamentali. E allora, se questo è vero, ogni volta che parliamo di politiche nazionali e sovranazionali di intervento per la prevenzione e la repressione della violenza contro le donne e la violenza Pag. 57domestica, dobbiamo tenere presente questo nesso che, del resto, è quello che ha guidato il percorso che la Convenzione di Istanbul ha portato a sancire come vincolanti per gli Stati aderenti l'azione del contrasto e della lotta contro ogni forma di violenza.
  In questo percorso è passata l'identificazione di concetti specifici, come la nozione di femminicidio – l'hanno ricordato anche altri – che, a mio avviso, vorrei dire all'onorevole Binetti, sgombra davvero il campo rispetto a quelle ambiguità sul gender che evocava: ha sancito, cioè, che parliamo di donne ogni volta che parliamo di violenza e di vittime della violenza, o parliamo delle bambine e delle ragazze, che diventeranno donne. In questo percorso, è passato anche il riconoscimento del legame che lega gli abusi e le violenze ai rapporti di forza diseguali che generano forme discriminatorie e i nomi e le parole contano perché, se le cose non si possono dire – ce lo dice la filosofia del linguaggio – le cose non esistono.
  Con la ratifica di Istanbul, il nostro Paese si dota, dunque, di uno strumento indispensabile. Non aggiungo davvero nulla a quanto hanno detto i colleghi sull'emergenza italiana. Del resto, la Special Rapporteur, Manjoo, che aveva visitato il nostro Paese nel 2011, sottolineando la gravità della situazione italiana, a proposito dei numeri e della qualità degli episodi di violenza, aveva sottolineato quanto essa si possa presentare con questi numeri e in queste forme solo se una cultura la tollera. E una cultura che continua a raccontare e a reiterare la disponibilità delle donne – non poteva dirlo con parole migliori la collega Tinagli – non fa che ribadirlo.
  Per queste ragioni, credo che oggi dobbiamo ratificare, però poi dobbiamo continuare a discutere, come nella mozione che le abbiamo chiesto di poter sostenere, per condividere bene e mettere a fuoco le misure con le quali attrezzarci per rendere esecutivi questi provvedimenti.
  Il nostro Paese – lei lo ha ricordato molte volte – deve affrontare, senza esitare ancora, il volto oscuro e il volto nascosto della violenza contro le donne, il male che dobbiamo raccontare, riconoscendone il carattere universale e multiforme, agendo soprattutto per la prevenzione. Io qui vorrei richiamarmi ai colleghi che mi hanno preceduto, dicendo che la prevenzione riguarda soprattutto gli autori delle violenze, riguarda gli uomini perché, se molte donne subiscono violenza, vuol dire che molti uomini la esercitano.
  Se una donna su tre subisce violenza, vuol dire che la barbarie è tra noi e che l'uomo nero non c'entra, ma riguarda anche noi nella misura in cui – lo ricordava l'onorevole Cimbro, prima di me – educhiamo i nostri figli maschi.
  Concludo veramente tornando all'Europa. La qualità democratica dello spazio comune europeo ancora incompiuta deve essere, quindi, tutela dei diritti fondamentali. Non appaia come una digressione, non penso che vi sia possibilità di uscire dalla crisi, crisi economica e democratica che l'Europa attraversa se si ammettono o si tollerano ricadute che contemplano livelli inferiori di tutela dei diritti fondamentali perché questo, signora Presidente, per le donne vale davvero due volte (Applausi).

  PRESIDENTE. Questo era l'ultimo intervento. Quindi, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
  Prima vorrei, però, veramente ringraziarvi per il modo in cui è stato condotto questo dibattito, un modo maturo, sentito, un modo mirato al futuro di questo Paese. È stato fatto un dibattito veramente di qualità da parte delle deputate e dei deputati e di questo vi sono veramente grata (Applausi).

(Repliche del relatore e del Governo – A.C. 118-A ed abbinate)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, la deputata Maria Rosaria Carfagna.

  MARIA ROSARIA CARFAGNA, Relatore. Signor Presidente, vorrei utilizzare il Pag. 58tempo a mia disposizione per ringraziare la Commissione Affari esteri e tutti i colleghi della Commissione Affari esteri per avermi onorata dell'incarico di riferire in Aula su questo provvedimento. Vorrei anche esprimere soddisfazione, così come ha fatto lei, per l'alto livello della discussione che si è svolta questo pomeriggio. Ringrazio i colleghi perché, grazie ai loro interventi, sono pervenuti suggerimenti, idee, proposte e contributi utilissimi, che hanno concentrato l'attenzione, credo, sulla necessità di agire – di agire presto – sulla cultura, oltre che sulla prevenzione e sulla protezione delle vittime e sulla repressione dei reati.
  Condivido con lei il dispiacere nel vedere un'Aula semivuota, dispiacere compensato soltanto in parte dal tono appassionato e partecipato di ogni intervento. E ringrazio ancora i colleghi perché oggi, e domani, ovviamente, ancora di più, il Parlamento scriverà un'altra bella pagina e sottolineo un'altra, perché ricordo ancora che la scorsa legislatura è stata una legislatura particolarmente proficua per tutto quello che riguarda le leggi e i provvedimenti a favore dei diritti delle donne. Allora, l'auspicio è che anche questa legislatura possa essere altrettanto proficua e che quello di oggi possa essere un altro passo verso un'Europa e, ovviamente, un'Italia libere da ogni forma di violenza.
  Mi deve, però, consentire una digressione, signora Presidente, e non sa quanto mi duole farlo, proprio perché male si inserisce in un contesto come quello che lei ha definito maturo, sentito e di alto livello. Avrei voluto evitare ma mi trovo costretta a farlo, chiamata in causa da una collega che, proprio nel mezzo di una discussione così sentita, così partecipata, su un tema così drammatico, preferiva, anziché dare il suo contributo in Aula, divertirsi su Facebook. E allora mi lasci dire, signora Presidente, che il più delle volte devo constatare che la violenza sulle donne, il tema che oggi è oggetto della discussione in quest'Aula, proviene proprio dalle donne stesse che, nel vile tentativo di screditare altre donne, usano le modalità più ignobili e più infamanti (Applausi), quelle che spesso utilizzano i maschi – e utilizzo «maschi» come accezione –, modalità che siamo qui oggi a condannare. Magari giovani donne, giovani donne che non si rendono conto di dove si trovano, non si rendono conto del rispetto che si dovrebbe avere di questo luogo e dei temi che si trattano, a maggior ragione dei temi che oggi stiamo trattando, e che non sono in grado di capire che la violenza e la giustificazione di essa nasce proprio – mi perdoni il termine – dall'imbecillità di preconcetti o da battute ad effetto che, purtroppo, alla fine qualificano solo la sventurata che le fa per quello che è (Applausi).
  La violenza spesso parte proprio dagli insulti, dalle ingiurie, dai comportamenti superficiali che vogliono giudicare non sui fatti, ma sulla base di pregiudizi. Cari colleghi, quando sono stata chiamata a misurarmi nelle sedi istituzionali, credo di aver prodotto provvedimenti, atti normativi e amministrativi, che hanno generato risultati utili per le donne di questo Paese. Mi auguro, cari colleghi del MoVimento 5 Stelle che, dopo aver messo a posto le questioni relative a scontrini e diarie, anche voi fra cinque anni possiate dire la stessa cosa (Applausi).

  PRESIDENTE. Mi dispiace di questa cosa, non ne ero al corrente.
  Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

  JOSEFA IDEM, Ministro per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili. Signor Presidente, non è una replica, ma una considerazione finale. Devo dire che più vengo a conoscenza della realtà che cerchiamo di cambiare, più tocco con mano questo fenomeno, più mi assale un senso di impotenza per quanto riguarda le vittime, che non ci sono più, alle quali non abbiamo potuto dare nessun aiuto, e più mi strazia il pensiero che ce ne saranno altre e noi non potremo fare niente, sebbene siamo qui oggi nel tentativo di portare sul cammino leggi nuove e provvedimenti nuovi a tutela di una cultura diversa e a protezione delle donne che sempre più Pag. 59sono vittime, e sappiamo anche che il cambiamento sarà molto a lungo termine. Allora mi è venuta oggi un'idea, perché qui in realtà ci sono tanti non presenti e tanti presenti che comunque rappresentano a loro volta una fetta di territorio. E più che stare qui a parlare di questo fenomeno, che è una cosa giustissima, perché poi troverà la sua espressione nelle leggi che andremo a fare, penso che sarebbe utile e giusto che ognuno di noi qui presente – e mi includo – e ognuno di tutti quelli che oggi non sono presenti riflettano su come possono portare nel loro territorio soluzioni. In realtà non so perché mi colpisce così tanto questa ragazza bruciata viva, perché in realtà è una tra tante, però forse è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Questa ragazza è stata uccisa dopo aver subito violenze alle quali hanno assistito dei compagni. Quindi penso che tutti noi dovremmo portare nel nostro territorio una maggiore sensibilizzazione rispetto a questo tema, affinché non venga più trattato con leggerezza e affinché denunci anche chi non è direttamente coinvolto. Quindi volevo concludere con questa riflessione e con questa proposta ad ogni singolo deputato e anche ad ogni singolo senatore e ad ogni singolo Ministro. Vi ringrazio (Applausi).

  PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
  Sono state avanzate alla Presidenza numerose richieste di intervento a fine seduta su diverse questioni, che devo dire tutte di grande importanza. Però, data l'ora – è abbastanza tardi e l'Aula purtroppo è semivuota – per dare il giusto rilievo alle questioni prospettate, è stata fatta presente agli interessati l'opportunità di differire i loro interventi a domani pomeriggio, dopo il voto sulla ratifica in esame. Tutti hanno accettato e quindi rimandiamo a domani.

Sui lavori della Camera (ore 20,33).

  PRESIDENTE. Comunico che, a seguito dell'odierna riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, è stato stabilito che la discussione delle mozioni relative all'avvio del percorso delle riforme costituzionali inizierà alle ore 10,30 di mercoledì 29 maggio e proseguirà con tempi contingentati (quattro ore e trenta minuti). La replica del Presidente del Consiglio, le dichiarazioni di voto e la votazione avranno luogo, con ripresa televisiva diretta, a partire dalle ore 18. Lo svolgimento del question time non avrà luogo.
  È stato altresì stabilito che il seguito dell'esame, con votazioni, della proposta di legge n. 118 e abbinate – Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l'11 maggio 2011, avrà luogo domani a partire dalle ore 15. Le dichiarazioni di voto finale avranno luogo dalle ore 16, con ripresa televisiva diretta.
  L'organizzazione dei tempi per l'esame delle mozioni relative all'avvio del percorso delle riforme costituzionali sarà pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta odierna.

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì 28 maggio 2013, alle 15:
  Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
   MOGHERINI ed altri; SPADONI ed altri; MIGLIORE ed altri; BERGAMINI ed altri; GIORGIA MELONI: Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l'11 maggio 2011 (C. 118-878-881-940-968-A).
  — Relatore: Carfagna.

  La seduta termina alle 20,35.

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ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI DI ESAME DELLE MOZIONI CONCERNENTI L'AVVIO DEL PERCORSO DELLE RIFORME COSTITUZIONALI

Mozioni – Avvio del percorso delle riforme costituzionali

Tempo per la discussione generale (compresa l'illustrazione): 4 ore e 30 minuti.

Richiami al Regolamento 5 minuti
Tempi tecnici 5 minuti
Interventi a titolo personale 49 minuti (con il limite massimo di 7 minuti per ciascun deputato)
Gruppi 3 ore e 31 minuti
 Partito Democratico 1 ora e 1 minuto
 MoVimento 5 Stelle 31 minuti
 Popolo della Libertà – Berlusconi
 Presidente
30 minuti
 Scelta civica per l'Italia 22 minuti
 Sinistra Ecologia Libertà 20 minuti
 Lega Nord e Autonomie 17 minuti
 Fratelli d'Italia 15 minuti
 Misto: 15 minuti
  Centro Democratico 4 minuti
  Minoranze linguistiche 4 minuti
  Socialisti italiani 4 minuti
  MAIE – Movimento Associativo italiani
all'estero
3 minuti

Al tempo sopra indicato si aggiungono 30 minuti circa per l'intervento del Governo.

Per le dichiarazioni di voto sono attribuiti a ciascun gruppo 10 minuti. Un tempo aggiuntivo è attribuito al gruppo misto (durata complessiva: 1 ora e 25 minuti).