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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Martedì 7 novembre 2017

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 7 novembre 2017.

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Alli, Amendola, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Bosco, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Capelli, Capezzone, Casero, Castiglione, Catania, Causin, Cenni, Censore, Antimo Cesaro, D'Alia, D'Ambrosio, Dal Moro, Dambruoso, Damiano, De Menech, De Micheli, Del Basso De Caro, Dell'Aringa, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Frusone, Galati, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Kronbichler, La Russa, Laforgia, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Marcon, Antonio Martino, Mazziotti Di Celso, Giorgia Meloni, Meta, Migliore, Orfini, Orlando, Paglia, Pes, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Francesco Saverio Romano, Rosato, Rughetti, Ruocco, Sanga, Santerini, Sandra Savino, Scalfarotto, Scanu, Schullian, Sereni, Sibilia, Tabacci, Tancredi, Taranto, Tofalo, Turco, Simone Valente, Valeria Valente, Vazio, Vignali, Vignaroli, Villarosa, Zanetti, Zoggia, Zolezzi.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Alli, Amendola, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Catania, Causin, Censore, Antimo Cesaro, Cicchitto, D'Alia, D'Ambrosio, Dambruoso, Damiano, De Menech, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Fraccaro, Franceschini, Frusone, Galati, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Kronbichler, La Russa, Laforgia, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Marcon, Antonio Martino, Mazziotti Di Celso, Meta, Miccoli, Migliore, Morassut, Orlando, Pes, Pisicchio, Piso, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Francesco Saverio Romano, Rosato, Rossomando, Rughetti, Sanga, Sani, Santerini, Scalfarotto, Scanu, Schullian, Sereni, Tabacci, Tofalo, Turco, Simone Valente, Valeria Valente, Vignali, Vignaroli, Zolezzi.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 6 novembre 2017 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   BECATTINI: «Disposizioni per la promozione e il sostegno dell'imprenditoria giovanile nel settore artigiano» (4724);
   CARRESCIA: «Modifiche al decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 dicembre 2016, n. 229, e altre disposizioni in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici degli anni 2016 e 2017» (4725).

  Saranno stampate e distribuite.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:

   II Commissione (Giustizia):
  MARTELLI ed altri: «Modifica all'articolo 162-ter del codice penale, in materia di estinzione del reato per condotte riparatorie» (4708) Parere delle Commissioni I e V.

   Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e IX (Trasporti):
  VILLECCO CALIPARI ed altri: «Disposizioni per favorire la costituzione e lo sviluppo di start-up innovative nel settore della sicurezza cibernetica» (4660) Parere delle Commissioni II, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), X (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale), XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

   Commissioni riunite XI (Lavoro) e XII (Affari sociali):
  PESCO ed altri: «Istituzione e disciplina del reddito di cittadinanza, nonché delega al Governo per l'introduzione del salario minimo orario» (2723) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), III, IV, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, VIII, IX, X, XIII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Trasmissioni dalla Presidenza del Consiglio dei ministri.

  La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 2 novembre 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 1, comma 1, del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56, e dell'articolo 6, comma 4, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 19 febbraio 2014, n. 35, in materia di procedure per l'attivazione di poteri speciali nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente l'esercizio di poteri speciali mediante l'opposizione all'acquisto da parte della società Altran Italia Spa delle quote rappresentative della totalità del capitale della società Next AST Srl.

  Questo decreto è trasmesso alla I Commissione (Affari costituzionali), alla IV Commissione (Difesa) e alla X Commissione (Attività produttive).

  La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 2 novembre 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 2 del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56, e dell'articolo 6, comma 4, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 25 marzo 2014, n. 86, in materia di procedure per l'attivazione di poteri speciali nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente esercizio di poteri speciali mediante l'imposizione di specifiche prescrizioni e condizioni nei confronti di TIM Spa.

  Questo decreto è trasmesso alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla IX Commissione (Trasporti).

Annunzio di sentenze della Corte costituzionale.

  La Corte costituzionale ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 30, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, copia delle seguenti sentenze che, ai sensi dell'articolo 108, comma 1, del Regolamento, sono inviate alle sottoindicate Commissioni competenti per materia, nonché alla I Commissione (Affari costituzionali):
  in data 27 ottobre 2017, sentenza n. 228 del 26 settembre – 25 ottobre 2017 (Doc. VII, n. 890),
   con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale degli articoli 7 e 32, comma 3, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 12 dicembre 2016, n. 25 (Ordinamento contabile e finanziario dei comuni e delle comunità comprensoriali della Provincia di Bolzano);
    dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 7 della legge della Provincia autonoma di Bolzano n. 25 del 2016, promossa, in riferimento all'articolo 81, quarto e sesto comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri:
   alla V Commissione (Bilancio);
  in data 27 ottobre 2017, Sentenza n. 229 del 10-25 ottobre 2017 (Doc. VII, n. 891),
   con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 19 della legge della Regione siciliana 29 settembre 2016, n. 20 (Disposizioni per favorire l'economia. Disposizioni varie):
   alla VIII Commissione (Ambiente);
  in data 02 novembre 2017, Sentenza n. 231 del 26 settembre – 2 novembre 2017 (Doc. VII, n. 893),
   con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 541, lettera a), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2016)», nella parte in cui si applica alle Province autonome di Trento e di Bolzano;
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 574, lettera b), della legge n. 208 del 2015, nella parte in cui impone alle Province autonome di Trento e di Bolzano di adottare misure alternative al fine di garantire, in ogni caso, l'invarianza dell'effetto finanziario;
    dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 1, commi 541, 542, 543, 544 e 574, della legge n. 208 del 2015, nel testo risultante a seguito delle modifiche introdotte dall'articolo 1, comma 10, lettere a) e b), del decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244 (Proroga e definizione di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2017, n. 19, e dalla proroga introdotta dall'articolo 20, comma 10, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75 (Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e), 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l), m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), promosse dalla Provincia autonoma di Bolzano limitatamente al riferimento agli articoli 80, 81, 87, 88, 99, 100, 103, 104 e 107 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige);
    dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 1, commi 541 (nella parte residua), 542, 543 e 544 della legge n. 208 del 2015, nel testo risultante a seguito delle modifiche introdotte dall'articolo 1, comma 10, lettere a) e b), del decreto-legge n. 244 del 2016, e dalla proroga introdotta dall'articolo 20, comma 10, del decreto legislativo n. 75 del 2017, promosse dalla Provincia autonoma di Bolzano, in riferimento agli articoli 4, n. 7), 8, n. 1), 9, n. 10), 16, 79 dello Statuto della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol e relative norme di attuazione, di cui al decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale), nonché degli articoli 3, 117, secondo, terzo, quarto e sesto comma, 118, 119, quest'ultimo in combinato disposto con l'articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione), e 120 della Costituzione, e dalla Provincia autonoma di Trento in riferimento agli articoli 8, n. 1), 9, n. 10), 16, 79 dello Statuto della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, nonché dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, quest'ultimo in combinato disposto con l'articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001;
    dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 574, della legge n. 208 del 2015, promossa dalla Regione Veneto in riferimento agli articoli 3, 97, 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 della Costituzione:
   alle Commissioni riunite XI (Lavoro) e XII (Affari sociali).

  La Corte costituzionale ha depositato in cancelleria la seguente sentenza che, ai sensi dell'articolo 108, comma 1, del Regolamento, è inviata alle Commissioni riunite VIII (Ambiente) e X (Attività produttive) nonché alla I Commissione (Affari costituzionali):
  sentenza n. 230 del 10-27 ottobre 2017 (Doc. VII, n. 892),
   con la quale:
    dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione promosso dalla Regione Puglia, nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione al silenzio del Ministero dello sviluppo economico tenuto a seguito delle note del Presidente della Regione Puglia n. 2918/SP del 21 giugno 2016 e n. 4060/SP del 21 settembre 2016.

Trasmissione dal Ministro dell'interno.

  Il Ministro dell'interno, con lettera in data 2 novembre 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 59 della legge 20 maggio 1985, n. 222, il bilancio assestato del Fondo edifici di culto per l'anno 2017, corredato dai relativi allegati.

  Questo documento è trasmesso alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla V Commissione (Bilancio).

Trasmissione dall'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 6 novembre 2017, ha trasmesso la comunicazione recante il programma di lavoro della Commissione per il 2018 – Un programma per un'Unione più unita, più forte e più democratica (COM(2017) 650 final), corredata dai relativi allegati (da COM(2017) 650 final – Annex 1 a COM(2017) 650 final – Annex 5).

  Questo documento è trasmesso a tutte le Commissioni permanenti.

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 6 novembre 2017, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   Proposta di decisione del Consiglio relativa alla firma, a nome dell'Unione, e all'applicazione provvisoria della modifica 1 del memorandum di cooperazione NAT-I-9406 tra gli Stati Uniti d'America e l'Unione europea (COM(2017) 620 final), corredata dal relativo allegato (COM(2017) 620 final – Annex 1), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
   Proposta di decisione del Consiglio relativa alla posizione da adottare, a nome dell'Unione europea, in sede di Comitato misto SEE in merito a una modifica del regolamento interno del Comitato misto SEE (COM(2017) 638 final), corredata dai relativi allegati (COM(2017) 638 – Annex 1 e COM(2017) 638 – Annex 2), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
   Proposta di decisione del Consiglio relativa alla posizione da adottare, a nome dell'Unione europea, in sede di Comitato misto SEE in merito a una modifica dell'allegato XXI (Statistiche) dell'accordo SEE (COM(2017) 639 final), corredata dal relativo allegato (COM(2017) 639 final – Annex 1), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
   Proposta di decisione del Consiglio relativa alla posizione da adottare, a nome dell'Unione europea, in sede di Comitato misto SEE in merito a una modifica dell'allegato II (Regolamentazioni tecniche, norme, prove e certificazioni) dell'accordo SEE (COM(2017) 640 final), corredata dal relativo allegato (COM(2017) 640 final – Annex 1), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
   Proposta di decisione del Consiglio relativa alla posizione che deve essere adottata a nome dell'Unione europea in seno al Comitato misto veterinario istituito dall'accordo tra la Comunità europea e la Confederazione Svizzera sul commercio di prodotti agricoli per quanto riguarda la decisione n. 1/2017 relativa alla modifica dell'appendice 6 dell'allegato 11 dell'accordo (COM(2017) 641 final), corredata dal relativo allegato (COM(2017) 641 final – Annex 1), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
   Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni che accompagna la valutazione intermedia del programma LIFE (COM(2017) 642 final), che è assegnata in sede primaria alla VIII Commissione (Ambiente);
   Proposta di decisione del Consiglio relativa alla posizione da adottare a nome dell'Unione europea in sede di Comitato degli ambasciatori ACP-UE riguardo all'applicazione dell'articolo 68 dell'accordo di partenariato ACP-UE (COM(2017) 644 final), corredata dal relativo allegato (COM(2017) 644 final – Annex 1), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
   Rettifica del 6.11.2017 del regolamento delegato (UE) 2017/1018 della Commissione, del 29 giugno 2016, che integra la direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai mercati degli strumenti finanziari per quanto riguarda le norme tecniche di regolamentazione che specificano le informazioni che devono essere comunicate dalle imprese di investimento, dai gestori del mercato e dagli enti creditizi (Gazzetta ufficiale dell'Unione europea L 155 del 17 giugno 2017) (C(2017) 7245 final), che è assegnata in sede primaria alla VI Commissione (Finanze).

  La Commissione europea, in data 6 novembre 2017, ha trasmesso un nuovo testo della comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea degli investimenti – Investire in un'industria intelligente, innovativa e sostenibile – Una nuova strategia di politica industriale dell'Unione europea (COM(2017) 479 final/2) e del relativo allegato (COM(2017) 479 final/2 – Annex 1), che sostituiscono i documenti COM(2016) 479 final e COM(2017) 479 final – Annex 1, già assegnati, in data 6 novembre 2017, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alla X Commissione (Attività produttive), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Trasmissione dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico.

  Il Presidente dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, con lettera in data 6 novembre 2017, ha trasmesso una segnalazione concernente il completamento della riforma delle tariffe applicabili alle utenze elettriche domestiche relativamente alle componenti tariffarie a copertura degli oneri generali di sistema.

  Questa segnalazione è trasmessa alla X Commissione (Attività produttive).

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

ERRATA CORRIGE

  Nell’Allegato A al resoconto della seduta del 6 novembre 2017, a pagina 7, prima colonna, decima riga, dopo la parola: «I,» deve intendersi inserita la seguente: «III,».

INTERROGAZIONI

Chiarimenti in ordine alla portata normativa dell'articolo 9 del decreto legislativo n. 177 del 2016, con riferimento al riparto di competenze in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi – 3-03335; 3-02815; 3-03337

A)

   MASSIMILIANO BERNINI, TERZONI, BASILIO, PARENTELA e LUPO. – Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della difesa, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   all'articolo 9 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177, si legge che al Corpo nazionale dei vigili del fuoco (CNVVF) sono attribuite le seguenti competenze del Corpo forestale dello Stato in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi e spegnimento con mezzi aerei degli stessi: a) concorso con le regioni nel contrasto degli incendi boschivi con l'ausilio di mezzi da terra e aerei; b) coordinamento delle operazioni di spegnimento, d'intesa con le regioni, anche per quanto concerne l'impiego dei gruppi di volontariato antincendi (AIB); c) partecipazione della struttura di coordinamento nazionale e a quelle regionali;
   purtuttavia, nella legge 6 febbraio 2004, n. 36, «Nuovo ordinamento del Corpo forestale dello Stato» non vi è traccia di competenze esclusive del Corpo forestale dello Stato in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi, piuttosto all'articolo 2, comma 1, lettera l), tra le competenze del Corpo forestale dello Stato si annoverano: pubblico soccorso e interventi di rilievo nazionale di protezione civile su tutto il territorio nazionale, con riferimento anche al concorso con le regioni nella lotta attiva agli incendi boschivi e allo spegnimento con mezzi aerei degli stessi;
   la «legge quadro in materia di incendi boschivi», legge 21 novembre 2000 n. 353, all'articolo 7 «Lotta attiva contro gli incendi boschivi», comma 5, riporta che «le regioni assicurano il coordinamento delle operazioni a terra anche ai fini dell'efficacia dell'intervento dei mezzi aerei per lo spegnimento degli incendi boschivi. A tali fini, le regioni possono avvalersi del Corpo forestale dello Stato tramite i centri operativi antincendi boschivi articolabili in nuclei operativi speciali e di protezione civile (...)»;
   dalla legge delega n. 124 del 2015 (cosiddetta «legge Madia») si evince che il coordinamento per lo spegnimento degli incendi boschivi viene affidato ai Vigili del fuoco e non più alle regioni come da legge n. 353;
   i Vigili del fuoco subentrano nel coordinamento, ad avviso degli interroganti, senza un'adeguata implementazione di personale, mezzi e trattamento economico; infatti, dal Corpo forestale dello Stato transitano ai vigili del fuoco solo 390 unità contro le 7.177 passate ai carabinieri (CC), di cui solo 10 dirigenti ai Vigili del fuoco e 95 ai carabinieri; inoltre, su 33 aeromobili, transitano ai Vigili del fuoco solamente 16 elicotteri;
   gli incendi boschivi che hanno interessato la regione Liguria nel mese di gennaio 2017 hanno costretto i Vigili del fuoco a turni massacranti per fronteggiare al contempo più focolai vista l'esiguità delle dotazioni: un vigile ogni 15 mila abitanti, una caserma ogni 300 chilometri quadrati età media superiore a 50 anni, carenza e inadeguatezza dei mezzi di soccorso;
   ad oggi, sul sito della protezione civile sulla pagina «attività rischio incendi» si legge che alle regioni compete, innanzitutto, l'attivazione delle sale operative per consentire il coordinamento dei diversi soggetti che concorrono alla lotta agli incendi; spetta alle stesse inoltre attivare i piani regionali di previsione, prevenzione e d'intervento aggiornati ogni anno ed elaborati su base provinciale –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se l'articolo 9 del decreto legislativo n.177 del 2016 debba essere interpretato come un trasferimento delle competenze in materia di coordinamento delle operazioni di spegnimento dalle regioni al Corpo nazionale dei Vigili del fuoco;
   se non ritengano urgente assumere iniziative per un chiarimento della normativa sulle funzioni di coordinamento;
   se non ritengano urgente in vista delle prossime campagne antincendio, implementare l'organico e le risorse economiche e strumentali dei Vigili del fuoco, viste le nuove competenze attribuite agli stessi, dalla legge delega n. 124 del 2015;
   se non si ritenga urgente assumere iniziative per rivedere la tabella A del decreto legislativo n. 177 del 2016 al fine di incrementare le dotazioni organiche trasferite dal Corpo forestale dello Stato ai Vigili del fuoco; parimenti, se non si intenda trasferire un maggior contingente di mezzi terrestri ed aerei dell'ex Corpo forestale dello Stato ai Vigili del fuoco.
(3-03335)


   TERZONI, BASILIO, COZZOLINO e DIENI. – Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della difesa, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   in data 13 febbraio 2017 il Comando generale dell'Arma dei carabinieri ha trasmesso all'Ispettorato degli istituti di specializzazione, ai comandi regionali carabinieri forestali e al Comando delle scuole dell'Arma dei carabinieri, la richiesta di fornire l'elenco dei nominativi dei militari del ruolo forestale in possesso della qualifica di direttore delle operazioni di spegnimento completo, di anno di conseguimento e di riferimenti allo svolgimento di eventuali corsi di aggiornamento;
   questo perché, si legge nella circolare in materia, «L'Arma ha fornito al Dipartimento della Protezione Civile la disponibilità alla propria collaborazione tecnica per la campagna anti incendi boschivi 2017»;
   con l'emanazione della legge n. 124 del 2015 e del decreto legislativo n. 177 del 2016, si dispone il trasferimento delle funzioni e delle risorse correlate alle competenze in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi al Corpo nazionale dei vigili del fuoco. In particolare, all'articolo 9 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177, si legge che al Corpo nazionale dei vigili del fuoco (Cnvvf) sono attribuite le seguenti competenze del Corpo forestale dello Stato in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi e spegnimento, con mezzi aerei degli stessi: a) concorso con le regioni nel contrasto degli incendi boschivi con l'ausilio di mezzi da terra e aerei; b) coordinamento delle operazioni di spegnimento, d'intesa con le regioni, anche per quanto concerne l'impiego dei gruppi di volontariato antincendi (AIB); c) partecipazione della struttura di coordinamento nazionale e a quelle regionali;
   in un comunicato diffuso in data 15 febbraio 2017 la Cgil evidenzia come la circolare sopra riportata mostra come sia venuto meno uno degli effetti che sarebbero dovuti derivare dall'applicazione della normativa di recente emanazione ossia «il trasferimento completo di personale e strutture al Corpo Vvf nonché la riaffermazione del principio di esclusività nello svolgimento di funzioni specialistiche e diffuse nel territorio»;
   in effetti, risulta del tutto evidente, leggendo il testo della circolare, come l'Arma dei carabinieri abbia trattenuto nel proprio organico personale specializzato nelle operazioni di spegnimento degli incendi;
   nel comunicato, la Cgil denuncia anche il rischio di sovrapposizione delle competenze e «di indeterminazione nella titolarità delle funzioni che non potrà non produrre nocumento all'efficacia dei servizi alla cittadinanza e ai territori e ulteriore aumento dei costi»;
   nell'interrogazione n. 4-15564, che è ancora in attesa di risposta, si chiede un chiarimento di interpretazione della legge 6 febbraio 2004, n. 36, della legge 21 novembre 2000 n. 353, della sopra riportata legge n. 124 del 2015 e del decreto legislativo n. 177 del 2016 e nonché chiarimenti in merito al trasferimento di personale e mezzi antincendio dall'ex Corpo forestale dello Stato, Arma dei carabinieri e Vigili del fuoco –:
   come il Governo ritenga che, alla luce delle notizie sopra riportate, possa trovare piena applicazione quanto previsto dalla normativa vigente circa il trasferimento delle competenze riguardanti le operazioni di spegnimento degli incendi dal Corpo forestale dello Stato al Corpo dei vigili del fuoco;
   se non ritenga di dover intervenire per far sì che il personale qualificato per lo spegnimento degli incendi ed i mezzi in dotazione per tale compito appartenute all'ex Corpo forestale dello Stato, e trattenuto dall'Arma dei carabinieri, venga trasferito al Corpo dei vigili del fuoco;
   in che modo si intendano tutelare la professionalità e le capacità delle lavoratrici e dei lavoratori dell'ex Corpo forestale dello Stato, garantendo anche la piena chiarezza circa i compiti che questi sono chiamati ad assolvere. (3-02815)


   TERZONI e BUSTO. – Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. – Per sapere – premesso che:
   la regione Piemonte in data 28 febbraio ha comunicato delle disposizioni operative relative all'applicazione della legge n. 353 del 2000, «Legge quadro sugli incendi boschivi», al Comando Regione Carabinieri Forestali, alla direzione regionale Vigili del Fuoco e al Corpo Volontari AIB;
   nel testo della comunicazione, in cui si fa riferimento a «disfunzioni operative su recenti incendi» avvenuti nel territorio regionale, si dispone che «i mezzi aerei, regionali e nazionali necessari per il supporto alla lotta attiva, vanno richiesti esclusivamente, da parte delle forze operative in campo, alla sala operativa 1515 – Carabinieri Forestali» la quale dovrà poi informare la sala operativa dei Vigili del Fuoco;
   per i mezzi aerei regionali si dispone che la richiesta venga fatta e concordata tra la sala operativa 1515 Carabinieri Forestali, che viene indicata come centrale per la segnalazione di tutti gli incendi boschivi, e Settore regionale competente;
   infine il ruolo di coordinatore delle forze operative in campo viene assegnata ad un rappresentante dei carabinieri forestali inviato sul sito degli incendi dal comandante regionale; il suo ruolo oltre a quello di coordinatore sarà anche quello di dettare le strategie da attuare per il contrasto agli incendi boschivi;
   di fatto la regione Piemonte demanda il coordinamento e la direzione degli interventi in contrasto agli incendi boschivi ai carabinieri forestali anche per «garantire l'efficacia degli interventi, la sicurezza degli operatori Volontari del Corpo AIB Piemonte, nonché dirimere eventuali controversie di tipo operativo che dovessero sorgere.»;
   questo nonostante con l'emanazione della legge n. 124 del 2015 e del decreto legislativo n. 177 del 2016, si disponga il trasferimento delle funzioni e delle risorse correlate alle competenze in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi al Corpo nazionale dei vigili del fuoco. In particolare, all'articolo 9 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177, si legge che al Corpo nazionale dei vigili del fuoco (Cnvvf) sono attribuite le seguenti competenze del Corpo forestale dello Stato in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi e spegnimento, con mezzi aerei degli stessi: a) concorso con le regioni nel contrasto degli incendi boschivi con l'ausilio di mezzi da terra e aerei; b) coordinamento delle operazioni di spegnimento, d'intesa con le regioni, anche per quanto concerne l'impiego dei gruppi di volontariato antincendi (AIB); c) partecipazione della struttura di coordinamento nazionale e a quelle regionali;
   di fatto nonostante la «legge quadro in materia di incendi boschivi», legge 21 novembre 2000 n. 353, all'articolo 7 «Lotta attiva contro gli incendi boschivi», comma 5, riporta che «le regioni assicurano il coordinamento delle operazioni a terra anche ai fini dell'efficacia dell'intervento dei mezzi aerei per lo spegnimento degli incendi boschivi. A tali fini, le regioni possono avvalersi del Corpo forestale dello Stato tramite i centri operativi antincendi boschivi articolabili in nuclei operativi speciali e di protezione civile (...)», dalla legge delega n. 124 del 2015 (cosiddetta «legge Madia») si evince che il coordinamento per lo spegnimento degli incendi boschivi viene affidato ai Vigili del fuoco e non più alle regioni come da legge n. 353 –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non ritengano di dover chiarire quali siano le competenze circa il coordinamento degli interventi per il contrasto agli incendi boschivi;
   quali iniziative intendano assumere per garantire omogeneità sul territorio nazionale nelle procedure di intervento in caso di incendi boschivi;
   se non ritengano che nella riorganizzazione del servizio per lo spegnimento degli incendi boschivi debba essere chiarita anche la titolarità della gestione della sala operativa 1515. (3-03337)


Elementi ed iniziative di competenza in merito a recenti fatti di cronaca che vedono coinvolto il reparto di rianimazione dell'ospedale San Carlo di Potenza – 3-02957

B)

   GALGANO. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   hanno destato sgomento i recenti fatti di cronaca che hanno coinvolto il reparto di rianimazione dell'ospedale San Carlo di Potenza, con la morte, prima di un'anziana signora, Angelina Croce in Venetucci, una donna di 70 anni di Picerno venuta a mancare dopo essere stata ricoverata e, pochi giorni dopo, di un professionista potentino, Antonio Tesoro, morto in circostanze analoghe;
   la procura di Potenza ha aperto un fascicolo d'indagine per appurare le reali cause della morte. Su disposizione del pubblico ministero Vincenzo Lanni è stata sequestrata la cartella clinica della donna, che era giunta in ospedale;
   all'origine della decisione della procura di avviare le indagini sul primo dei due casi, ci sarebbe la denuncia presentata dai familiari della donna che hanno lamentato di non aver avuto dai medici elementi chiari sulle cause della morte della loro congiunta. Il figlio, in particolare, mercoledì mattina si è recato al posto di polizia presente presso lo stesso nosocomio potentino raccontando che nessuno dei vari medici con cui aveva parlato dopo il decesso aveva indicato con chiarezza le cause della morte;
   a quanto raccontato dai familiari, gli stessi medici avrebbero parlato di valori tutti in regola da parte della loro congiunta, qualcuno avrebbe anche aggiunto che era stato fatto tutto quanto era possibile fare, ma i familiari non avrebbero compreso la causa del decesso –:
   quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, affinché venga rapidamente fatta luce su entrambe le vicende, che potrebbero ledere nell'opinione pubblica l'ottima reputazione di una struttura, quella dell'ospedale di Potenza, che nel corso degli anni ha dato prova di efficacia e efficienza. (3-02957)


Elementi ed iniziative di competenza in merito a episodi di contagio dal virus «West Nile» verificatisi in Veneto – 3-03203; 3-03278

C)

   CRIVELLARI. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   nel corso del 2016, nel territorio della provincia di Rovigo, si sono registrati due decessi dovuti al contagio dal virus «West Nile»;
   da giugno a novembre dello stesso anno, in tutta Italia, sono stati trovati positivi 71 pazienti, 34 dei quali hanno manifestato sintomi neuro-invasivi;
   in questi ultimi giorni, la rete di monitoraggio allestita dall'Ulss 5 del Polesine ha intercettato due nuovi «ceppi» di zanzare infette, rispettivamente a Buso, frazione del comune di Rovigo, e a Porto Viro;
   la nota recentemente diramata dalla Ulss 5 sottolinea «l'importanza di programmare ed effettuare interventi larvicidi atti a ridurre i focolai di sviluppo larvale. Il virus viene trasmesso dalla puntura di zanzara all'uomo e, normalmente, in persone sane, può risultare del tutto asintomatico o presentare i sintomi di una piccola influenza. Il problema si pone invece per persone anziane, ammalate, con sistema immunitario compromesso, nelle quali si può manifestare patologia neurologica grave, che può anche condurre alla morte» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della particolare situazione del territorio polesano e quali iniziative, più in generale, intenda mettere in atto per garantire un adeguato monitoraggio e un contrasto efficace nei confronti del virus «West Nile». (3-03203)


   CRIVELLARI. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi si è registrato il quarto caso di West Nile Disease in Polesine nel giro di poche settimane: il paziente, un uomo di 52 anni residente nella zona del Delta del Po, avrebbe sviluppato la forma più grave della malattia, quella neuroinvasiva, poiché già gravato da patologie pregresse;
   nel frattempo l'Ulss 5 polesana ha già previsto un intervento di emergenza nel comune di residenza della persona ammalata, con l'obiettivo di evitare il possibile insorgere di focolai e diminuire i rischi, ma resta la preoccupazione per la nuova diffusione del contagio sul territorio provinciale;
   si ricorda che il virus West Nile è una malattia infettiva acuta virale trasmessa dalla puntura di zanzare infette del genere «Culex» che pungono prevalentemente dall'imbrunire, durante la notte e all'alba. Il virus ha come serbatoio alcuni tipi di uccelli (passeriformi e corvidi) e i mammiferi, tra cui il cavallo e l'uomo, che sono ospiti occasionali e non trasmettono la malattia. La malattia non si trasmette per contatto diretto con una persona ammalata;
   nel mese di gennaio 2017, confermando l'allerta ministeriale anche per il 2017, il Governo – per tramite del sottosegretario Davide Faraone – affermava che «le attività di sorveglianza umana non sono state modificate rispetto alla scorsa stagione e prevedono che vengano individuati e segnalati casi clinici importati tutto l'anno, autoctoni da giugno a ottobre, di forme cliniche neuro-invasive nelle aree a dimostrata circolazione. Il piano prevede inoltre la sorveglianza entomologica con l'attuazione di protocolli operativi diversificati in relazione alla presenza o meno di casi umani, basati sia sull'informazione della popolazione che su interventi ordinari di controllo con prodotti larvicidi, al fine di ridurre la presenza di focolai larvali peridomestici di zanzare, sia l'uso di adulticidi in caso di elevata densità delle zanzare» –:
   se il Governo sia a conoscenza di questa nuova diffusione della febbre West Nile in Veneto e quale sia lo stato dell'arte relativamente alle attività di sorveglianza e contrasto del virus preventivamente programmate. (3-03278)


Iniziative in ordine alle carenze di organico degli uffici dell'esecuzione penale esterna – 3-03081

D)

   BAZOLI. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   in questi ultimi tre anni, grazie al preciso indirizzo politico assunto dal Governo, sono stati fatti interventi normativi volti a promuovere e incentivare forme alternative alla detenzione per l'esecuzione della pena, grazie ai quali l'Italia si è allineata ai più evoluti Paesi europei, raggiungendo un rapporto equilibrato tra il numero di persone condannate sottoposte a pena detentiva e il numero di condannati sottoposti a pena alternativa;
   si tratta di una politica assai positiva e da proseguire, anche tenuto conto degli effetti recidivanti della detenzione in carcere, che vede circa il 70 per cento dei detenuti tornare a delinquere, e viceversa delle positive esperienze legate alle forme alternative della pena, molto più in linea con la finalità rieducativa prevista dalla Costituzione, se si pensa che solo il 19 per cento di chi sconta in tale modo la condanna ricommette reati;
   con l'emanazione del decreto ministeriale 23 febbraio 2017 pubblicato il 2 maggio 2017 il Ministero della giustizia ha in particolare definito il nuovo assetto e l'articolazione territoriale del dipartimento della giustizia minorile, nel quale sono incardinati gli uffici dell'esecuzione penale esterna, che si occupano della gestione delle pene alternative;
   il nuovo indirizzo di politica criminale sopra ricordato ha determinato un notevole incremento di lavoro degli Uepe;
   in particolare, si è venuti a conoscenza da organi di stampa, oltre che da fonte sindacale, che i casi gestiti dall'Uepe di Brescia sono passati da poco più di 3000 nel 2014 a oltre 4500 nel 2016, e a maggio 2017 sono già 3500, con una previsione a fine anno 2017 di circa 8000 casi, quasi tre volte il carico di lavoro di tre anni fa;
   l'incremento è dovuto al notevole aumento dei casi di messa alla prova, a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 67 del 2014, ma anche all'incremento di indagini e di casi di gestione di misure alternative, come semilibertà detenzioni domiciliari, libertà vigilata;
   l'incremento di competenze e di carichi non appare adeguatamente supportato da un corrispondente aumento delle dotazioni di personale, anche in rapporto ad altre province, come di recente segnalato anche da organismi di rappresentanza di categoria, che hanno proclamato per tale ragione lo stato di agitazione;
   questa situazione rischia di pregiudicare gli sforzi e il positivo percorso intrapreso volto a incentivare e supportare l'attuazione di progetti riparativi, nonché il controllo e la progettazione della pena alternativa –:
   se siano previste revisioni delle dotazioni organiche degli uffici di esecuzione penale esterna e se, in tale ipotesi, siano stati considerati adeguatamente, per quanto di competenza, i differenti carichi di lavoro delle diverse realtà territoriali, avuto riguardo in particolare alla obiettive carenze registrate dall'ufficio dell'esecuzione penale esterna di Brescia;
   se siano state adeguatamente promosse sinergie con i servizi sociali territoriali degli enti locali e con le realtà del privato sociale, anche attraverso la stipula di appositi protocolli, al fine di impiegare al meglio tutte le risorse del territorio utili alle indagini e alle verifiche necessarie per l'adozione delle misure alternative;
   se siano previsti nuovi concorsi per l'assunzione di funzionari di servizio sociale, funzionari contabili, operatori amministrativi, da inserire negli uffici dell'esecuzione penale esterna.
(3-03081)


MOZIONI MARTELLI ED ALTRI N. 1-01716, CARFAGNA ED ALTRI N. 1-01727, BINETTI ED ALTRI N. 1-01732, SALTAMARTINI ED ALTRI N. 1-01733, BRIGNONE ED ALTRI N. 1-01734, VEZZALI ED ALTRI N. 1-01735, GALGANO ED ALTRI N. 1-01736, SPADONI ED ALTRI N. 1-01737, RIZZETTO ED ALTRI N. 1-01739, BECHIS ED ALTRI N. 1-01740, DI SALVO, GEBHARD, SCOPELLITI ED ALTRI N. 1-01742 E SANTERINI ED ALTRI 1-01745 CONCERNENTI INIZIATIVE PER PREVENIRE E CONTRASTARE LA VIOLENZA CONTRO LE DONNE

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    è un diritto umano fondamentale di ogni persona, e in particolare delle donne, vivere una vita libera dalla violenza, tanto nella sfera pubblica, quanto in quella privata;
    la discriminazione nei confronti delle donne non può che essere vietata in tutte le sue manifestazioni, anche mediante il ricorso a sanzioni, così come devono essere abolite le pratiche discriminatorie nei confronti delle donne;
    necessarie misure speciali per prevenire e proteggere le donne dalla violenza basata sul genere non possono ritenersi discriminatorie;
   le politiche pubbliche dovrebbero contemplare una prospettiva di genere, attuando la parità fra donne e uomini, nonché l'autonomia e l'autodeterminazione (empowerment) delle donne;
    la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e sulla lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (la cosiddetta «Convenzione di Istanbul»), approvata dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa il 7 aprile 2011, introduce un nuovo paradigma nel definire la violenza contro le donne, dando impulso a politiche pubbliche a contrasto della stessa. In particolare, infatti, prevede:
     a) la correlazione tra l'assenza della parità di genere e il fenomeno della violenza;
     b) una nozione ampia di violenza, che comprende anche quella psicologica ed economica, e, soprattutto, l'attenzione verso la forma di violenza più diffusa, quella domestica;
     c) la necessità di politiche antidiscriminatorie e che favoriscano l'effettiva parità fra i sessi al pari di misure atte alla prevenzione e al contrasto alla violenza nei confronti delle donne;
    oltre alla legge 27 giugno 2013, n. 77, concernente la Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, il Parlamento ha anche approvato la legge 15 ottobre 2013, n. 119, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere; inoltre, in data 7 luglio 2015, è stato anche adottato, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, il piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere;
    la definizione «violenza nei confronti delle donne» si riferisce a tutte le forme di violenza nei confronti delle donne ai sensi del capitolo V della Convenzione di Istanbul, ovvero la violenza psicologica, gli atti persecutori, la violenza fisica, la violenza sessuale, compreso lo stupro, il matrimonio forzato, le mutilazioni genitali femminili, l'aborto forzato, la sterilizzazione forzata e le molestie sessuali. Essa si riferisce, inoltre, alla violenza domestica nei confronti delle donne, definita come la violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verifica all'interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l'autore condivida, o abbia condiviso, la stessa residenza con la vittima;
    la Corte europea dei diritti umani ha stabilito che l'obbligo positivo di proteggere il diritto alla vita richiede che le autorità statali diano prova della dovuta diligenza, prendendo misure di prevenzione operative, a tutela della persona la cui vita sia in pericolo (in attuazione dell'articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo);
    nel nostro Paese si registra ormai un livello particolarmente preoccupante di recrudescenza nell'ambito della violenza contro le donne,

impegna il Governo:

1) ad ottimizzare al più presto le modalità di ricognizione e di denuncia del fenomeno della violenza di genere e a promuovere con urgenza misure atte ad evitare l'impunità per i responsabili di reati tanto gravi, quali quelli relativi alla violenza contro le donne;

2) ad assumere iniziative normative per rendere più agevole, snello e protetto l'accesso, da parte delle donne vittime di violenza di genere, agli strumenti inerenti alle misure restrittive nei confronti degli aggressori e, più in generale, in ambito processuale, per garantire la priorità assoluta nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei processi relativi ai reati di violenza di genere;

3) in conformità con l'articolo 31 della Convenzione di Istanbul, a promuovere un intervento normativo affinché, a fronte di separazioni e divorzi, in sede di determinazione dei diritti di custodia e di visita dei figli, si tenga conto delle condanne per maltrattamenti o stalking, ma anche di eventuali processi penali pendenti per maltrattamenti a carico del padre in danno della madre, nonché per escludere l'affidamento condiviso dei figli, ove risultino precedenti di violenze nelle coppie che si separano, in particolare prevedendo che i maltrattamenti costituiscano causa di esclusione dell'affido condiviso;

4) ad assumere iniziative normative per escludere il ricorso ai sistemi alternativi di risoluzione delle controversie, quali la mediazione e la conciliazione, nei casi di violenza di genere contro le donne, sistemi vietati dall'articolo 48 della Convenzione di Istanbul, in quanto presuppongono una situazione di parità delle parti, ontologicamente esclusa nelle situazioni di violenza, anche rispetto ai casi di stalking qualificati come «meno gravi» – che potrebbero invece sfociare e tradursi, di fatto, in forme gravi di violenza contro le donne – nonché per far sì che, rispetto a tali casi, l'istituto introdotto dall'articolo 162-ter del codice penale, relativo all'estinzione del reato per condotte riparatorie, non sia applicabile;

5) a promuovere al più presto politiche pubbliche per contrastare l'impatto cumulativo e la intersezione tra atti razzisti, xenofobici e sessisti contro le donne;

6) ad istituire una commissione di studio sulle cause strutturali della violenza di genere contro le donne;

7) ad incrementare, utilizzando i più rapidi strumenti normativi a disposizione, le politiche pubbliche volte all’empowerment femminile;

8) ad assumere iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, per sanare le disparità regionali e locali inerenti alla disponibilità e alla qualità dei servizi di protezione, compresi i rifugi per le donne vittime di violenza, nonché rispetto alle forme di discriminazione contro le donne vittime di violenza che appartengono a minoranze.
(1-01716) «Martelli, Roberta Agostini, Bossa, Simoni, Albini, Duranti, Murer, Nicchi, Ricciatti, Rostan, Cimbro, Scotto, Laforgia, Speranza, Piras, Ferrara, Zaratti, Quaranta, Franco Bordo, Giorgio Piccolo, Folino, Mognato, Zappulla, Formisano, Zoggia, Matarrelli, Lacquaniti, Ragosta, Kronbichler, Leva, Fontanelli».


   La Camera,
   premesso che:
    è un diritto umano fondamentale di ogni persona, e in particolare delle donne, vivere una vita libera dalla violenza, tanto nella sfera pubblica, quanto in quella privata;
    la discriminazione nei confronti delle donne non può che essere vietata in tutte le sue manifestazioni, anche mediante il ricorso a sanzioni, così come devono essere abolite le pratiche discriminatorie nei confronti delle donne;
    necessarie misure speciali per prevenire e proteggere le donne dalla violenza basata sul genere non possono ritenersi discriminatorie;
   le politiche pubbliche dovrebbero contemplare una prospettiva di genere, attuando la parità fra donne e uomini, nonché l'autonomia e l'autodeterminazione (empowerment) delle donne;
    la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e sulla lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (la cosiddetta «Convenzione di Istanbul»), approvata dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa il 7 aprile 2011, introduce un nuovo paradigma nel definire la violenza contro le donne, dando impulso a politiche pubbliche a contrasto della stessa. In particolare, infatti, prevede:
     a) la correlazione tra l'assenza della parità di genere e il fenomeno della violenza;
     b) una nozione ampia di violenza, che comprende anche quella psicologica ed economica, e, soprattutto, l'attenzione verso la forma di violenza più diffusa, quella domestica;
     c) la necessità di politiche antidiscriminatorie e che favoriscano l'effettiva parità fra i sessi al pari di misure atte alla prevenzione e al contrasto alla violenza nei confronti delle donne;
    oltre alla legge 27 giugno 2013, n. 77, concernente la Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, il Parlamento ha anche approvato la legge 15 ottobre 2013, n. 119, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere; inoltre, in data 7 luglio 2015, è stato anche adottato, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, il piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere;
    la definizione «violenza nei confronti delle donne» si riferisce a tutte le forme di violenza nei confronti delle donne ai sensi del capitolo V della Convenzione di Istanbul, ovvero la violenza psicologica, gli atti persecutori, la violenza fisica, la violenza sessuale, compreso lo stupro, il matrimonio forzato, le mutilazioni genitali femminili, l'aborto forzato, la sterilizzazione forzata e le molestie sessuali. Essa si riferisce, inoltre, alla violenza domestica nei confronti delle donne, definita come la violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verifica all'interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l'autore condivida, o abbia condiviso, la stessa residenza con la vittima;
    la Corte europea dei diritti umani ha stabilito che l'obbligo positivo di proteggere il diritto alla vita richiede che le autorità statali diano prova della dovuta diligenza, prendendo misure di prevenzione operative, a tutela della persona la cui vita sia in pericolo (in attuazione dell'articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo);
    nel nostro Paese si registra ormai un livello particolarmente preoccupante di recrudescenza nell'ambito della violenza contro le donne,

impegna il Governo:

1) a proseguire nell'attività di prevenzione e di contrasto del fenomeno della violenza di genere, anche al fine di incrementare la denuncia da parte delle vittime e evitare l'impunità per i responsabili di reati tanto gravi, quali quelli relativi alla violenza contro le donne;

2) a monitorare l'applicazione dei criteri e degli strumenti processuali, già introdotti nell'ordinamento, volti ad assicurare la celere trattazione e la pronta definizione dei procedimenti e dei processi relativi ai reati di violenza di genere;

3) a promuovere l'eliminazione del delitto di cui all'articolo 612-bis del codice penale dal novero dei reati suscettibili di estinzione in seguito a condotte riparatorie ai sensi dell'articolo 162-ter del codice penale;

4) a promuovere il rafforzamento delle politiche pubbliche per contrastare l'impatto cumulativo e la intersezione tra atti razzisti, xenofobici e sessisti contro le donne;

5) a promuovere il coordinamento tra i diversi organismi istituzionali che operano, a diversi livelli, per l'analisi delle cause strutturali della violenza di genere, anche attraverso la condivisione dei dati informativi a disposizione per la più approfondita conoscenza del fenomeno e la pianificazione degli interventi necessari;

6) ad incrementare, utilizzando i più rapidi strumenti normativi a disposizione, le politiche pubbliche volte all’empowerment femminile;

7) a proseguire nelle iniziative, nell'ambito delle competenze di ciascuno, volte a sanare le disparità regionali e locali inerenti alla disponibilità e alla qualità dei servizi di protezione, compresi i rifugi per le donne vittime di violenza, nonché rispetto alle forme di discriminazione contro le donne vittime di violenza che appartengono a minoranze.
(1-01716)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Martelli, Roberta Agostini, Bossa, Simoni, Albini, Duranti, Murer, Nicchi, Ricciatti, Rostan, Cimbro, Scotto, Laforgia, Speranza, Piras, Ferrara, Zaratti, Quaranta, Franco Bordo, Giorgio Piccolo, Folino, Mognato, Zappulla, Formisano, Zoggia, Matarrelli, Lacquaniti, Ragosta, Kronbichler, Leva, Fontanelli».


   La Camera,
   premesso che:
    la violenza contro le donne rappresenta una delle più estese violazioni dei diritti umani e costituisce il principale ostacolo al raggiungimento della parità dei sessi, del godimento dei diritti fondamentali, nonché dell'integrità fisica e psichica;
    come stabilito dall'articolo 1 della Dichiarazione sull'eliminazione della violenza contro le donne delle Nazioni Unite del 1993 l'espressione «violenza contro le donne significa ogni atto di violenza fondato sul genere che abbia, o possa avere, come risultato un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione e la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata»;
    la violenza di genere è un fenomeno globale, che riguarda tutte le etnie e tutte le classi sociali e che, come ribadito da Kofi Annan, già Segretario generale delle Nazioni Unite, «non conosce confini né geografia, cultura o ricchezza»;
    le notizie di cronaca riportano, in modo sistematico, episodi commessi nei confronti di donne che vengono molestate, minacciate, violentate, stuprate e uccise e che si trovano a vivere nella paura e nel disagio per le strade, nei mezzi pubblici e, specialmente, nelle proprie case;
    la violenza di genere rappresenta un freno all’empowerment femminile che è in grado di generare barriere che ostacolano la piena partecipazione delle donne alla vita sociale, economica e politica del proprio Paese;
    se si esamina il fenomeno il quadro è allarmante, tanto che i numeri parlano di un vero e proprio eccidio, una carneficina, che fa più vittime della mafia: la violenza è la prima causa di morte per le donne di età compresa tra i 16 ed i 44 anni;
    se nel mondo una donna su tre ha subito violenza fisica o sessuale, in Italia il numero delle donne che hanno subìto una forma di abuso o di violenza supera i 7 milioni: ogni anno più di 100 donne vengono uccise per mano di chi decide di amarle con una media di una donna uccisa ogni 3 giorni;
    durante il IV Governo Berlusconi, per la prima volta, è stato adottato un piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking, finanziato con più di 18 milioni di euro con una strategia di contrasto delineata su base nazionale, con l'obiettivo di mettere in rete l'esperienza dei centri antiviolenza nelle regioni italiane e del numero verde 1522 e le professionalità delle forze dell'ordine;
    nel 2009, con l'introduzione nell'ordinamento giuridico italiano del reato di stalking il Governo e il Parlamento hanno dimostrato la grande attenzione rivolta all'individuazione di strategie di contrasto e di prevenzione della violenza, compiendo un passo in avanti fondamentale nell'ordinamento italiano;
    il decreto-legge n. 11 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 38 del 2009, oltre a prevedere il reato di stalking nell'ordinamento italiano, ha introdotto ulteriori interventi in materia di violenza sessuale; il provvedimento, in particolare, ha introdotto l'arresto obbligatorio in flagranza per la violenza sessuale e la violenza sessuale di gruppo, nonché disposizioni volte a rendere più difficile ai condannati per taluni delitti a sfondo sessuale l'accesso ai benefici penitenziari, tra cui le misure alternative alla detenzione. La medesima legge ha, inoltre, consentito l'accesso al gratuito patrocinio, anche in deroga ai limiti di reddito ordinariamente previsti, a favore della persona offesa da taluni reati a sfondo sessuale. Il decreto-legge n. 11 del 2009 ha poi previsto, quale aggravante speciale dell'omicidio, il fatto che esso sia commesso in occasione della commissione del delitto di violenza sessuale, di atti sessuali con minorenne e violenza sessuale di gruppo, nonché da parte dell'autore del delitto di atti persecutori nei confronti della stessa persona offesa;
    nell'ambito delle numerose attività portate avanti durante i Governi Berlusconi per contrastare la violenza nei confronti delle donne, a partire dal 2009, ogni anno (dal 12 al 18 ottobre) nelle scuole di ogni ordine e grado sono state organizzate iniziative di sensibilizzazione, informazione e formazione sulla prevenzione della violenza fisica e psicologica, compresa quella fondata sull'intolleranza razziale, religiosa e di genere, al fine di creare un momento di riflessione sui temi del rispetto, della diversità e della legalità al fine di coinvolgere studenti, genitori e docenti;
    con protocollo d'intesa siglato il 15 gennaio 2009 tra il Ministro per le pari opportunità e il Ministero della difesa è stata istituita presso il Dipartimento per le pari opportunità la sezione atti persecutori dei carabinieri: una task force composta da 13 carabinieri (uomini e donne) impegnati nelle strategie di prevenzione e di contrasto dei reati di stalking e di violenza contro le donne;
    con protocollo d'intesa siglato il 3 luglio 2009 tra il Ministro per le pari opportunità e il Ministero dell'interno sono state adottate misure per consentire una specifica preparazione delle forze di polizia nel contrasto dei reati di violenza contro le donne;
    l'impegno di quel Governo non si è fermato ai confini nazionali: il 9 e 10 settembre 2009 si è tenuta a Roma la prima conferenza internazionale sulla violenza contro le donne, su iniziativa della Presidenza italiana del G8 a cui hanno preso parte ai lavori oltre 20 Stati. Dalle conclusioni della Presidenza è emerso un impegno al rafforzamento della cooperazione internazionale nel contrasto alla violenza sulle donne ed alla violazione dei loro diritti umani;
    nel settembre 2012, l'Italia ha sottoscritto la «Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica» dell'11 maggio 2011 (Convenzione di Istanbul), la cui legge di autorizzazione alla ratifica è stata approvata dalla Camera dei deputati il 28 maggio 2013;
    la Convenzione di Istanbul è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che si prefigge l'obiettivo di creare un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza, grazie a misure di prevenzione, di tutela in sede giudiziaria e di sostegno alle vittime;
    ad oggi, da parte dell'Esecutivo non vi è una chiara strategia volta a contrastare il fenomeno della violenza sulle donne, tanto che, per circa tre anni, è mancato un interlocutore istituzionale unico con delega relativa alle politiche delle pari opportunità, dedicato ad una concreta e seria azione di Governo volta a promuovere e coordinare le azioni in materia di violenza contro le donne e da quando la delega è stata assegnata non si sono registrati progressi;
    in merito agli interventi economici, la prima tranche dello stanziamento del fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità del 2013-2014 è stata trasferita alle regioni solo nell'autunno del 2014 e, una volta che la somma è arrivata nelle casse regionali, nella maggior parte dei casi se n’è persa traccia. Come documentato da Actionaid Italia, di trasparenza nella distribuzione ce n’è stata ben poca, tanto che a novembre 2015 solo per dieci amministrazioni era possibile consultare la lista delle strutture beneficiarie dei fondi, di cui solo cinque – Veneto, Piemonte, Sardegna, Sicilia e Puglia – hanno pubblicato on line i nomi di ciascuna struttura e i fondi ricevuti;
    la Corte dei conti, con deliberazione 5 settembre 2016, n. 9/2016/G, critica severamente la gestione ordinamentale amministrativa e finanziaria delle politiche pubbliche contro la violenza; nello specifico «passando al finanziamento specificamente destinato al potenziamento delle strutture destinate all'assistenza alle donne vittime di violenza e ai loro figli, deve farsi presente che del tutto insoddisfacente è risultata la gestione delle risorse assegnate per gli anni 2013-2014, le uniche ripartite nel periodo all'esame. Le comunicazioni degli enti territoriali all'autorità centrale si sono rilevate carenti e inadeguate rispetto alle finalità conoscitive circa l'effettivo impiego delle risorse e all'esigenza della valutazione dei risultati»;
    per quanto riguarda più propriamente gli interventi di natura legislativa, nel 2014, grazie ad una puntuale proposta emendativa di Forza Italia è stata scongiurata l'abolizione della carcerazione preventiva per il reato di stalking prevista, inizialmente, nel disegno di legge in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria;
    l'ultimo piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere è stato adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 luglio 2015 con durata biennale; riguardo al nuovo piano nazionale antiviolenza, vi è stata soltanto la presentazione di una bozza delle linee strategiche quando, invece, l'importanza del fenomeno impone, come assoluta priorità di ogni livello di governo, di dover mettere in campo ogni possibile misura normativa, nonché lo studio e l'attuazione di interventi volti a prevenire episodi di violenza, abuso e vessazione di cui le donne sono vittime;
     con decreto del 25 luglio 2016 del Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento con delega alle pari opportunità, è stata istituita la cabina di regia interistituzionale e un osservatorio; tuttavia, ad oggi non si è a conoscenza né del numero delle riunioni, né delle politiche attuate;
    tutta questa superficialità nell'affrontare un tema che dovrebbe essere priorità delle istituzioni, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, è dovuta senz'altro alla scarsa attenzione nei confronti di questa tematica, dimostrata da ultimo con la riforma del codice penale, approvata con la legge 23 giugno 2017, n. 103, che, tra le varie misure, reca disposizioni in materia di estinzione del reato per condotte riparatorie e introduce, attraverso l'articolo 162-ter del codice penale, la possibilità per uno stalker di estinguere il suo reato pagando una somma decisa dal giudice anche se la vittima è contraria e rifiuta il denaro;
    una delle principali ragioni che ha spinto il legislatore a introdurre la specifica incriminazione di «atti persecutori» (articolo 612-bis del codice penale) è stata proprio la necessità di assicurare una risposta sanzionatoria adeguata di fronte a condotte persecutorie spesso devastanti per la personalità dei soggetti passivi;
    la fattispecie criminosa di cui all'articolo 612-bis del codice penale prevede un limite edittale massimo di cinque anni di reclusione; la suddetta soglia è necessaria per consentire l'applicazione delle misure cautelari coercitive a carico degli stalker, al fine di evitare la protrazione dei comportamenti persecutori che, il più delle volte, possono sfociare in atti di violenza nei confronti delle donne;
    partendo dal presupposto che solo con un profondo mutamento culturale si potrebbe combattere in modo efficace il fenomeno della violenza di genere, è necessario mettere in campo iniziative, anche in sede legislativa, volte a porre un freno all'incontenibile fenomeno di violenze che, purtroppo, ancora oggi molte donne sono costrette a subire,

impegna il Governo:

1) a dare contezza delle tempistiche di attuazione del nuovo piano nazionale contro la violenza sessuale e di genere e ad illustrarlo quanto prima alle Camere;

2) ad informare il Parlamento sui costi della violenza, sia in termini economici sia in termini sociali, al fine di avere un quadro che sia il più chiaro possibile su cui poter intervenire attraverso gli opportuni strumenti legislativi;

3) ad assumere iniziative per prevedere un intervento nelle scuole con programmi mirati di formazione agli studenti per prevenire la violenza nei confronti delle donne in riferimento all'utilizzo dei social media e di internet;

4) ad assumere iniziative volte a garantire ulteriori stanziamenti da erogare ai centri antiviolenza e alle case rifugio per evitare la loro chiusura e ad eliminare le disparità regionali e locali concernenti la disponibilità e la qualità dei servizi di protezione per tutte le donne vittime di violenza;

5) ad assumere le opportune iniziative al fine di garantire le misure volte a prevenire e proteggere le donne dalla violenza, in particolar modo in riferimento agli strumenti inerenti alle misure cautelari, le quali rappresentano un forte elemento dissuasivo per tutti quegli uomini che intendono porre in essere atti spregevoli nei confronti delle donne;

6) ad effettuare una ricognizione sul numero degli ordini di allontanamento e degli ordini di protezione applicati annualmente dai tribunali in Italia e, in particolar modo, sui tempi di attuazione;

7) ad adottare ogni opportuna iniziativa legislativa volta ad escludere che nella fattispecie di cui all'articolo 612-bis del codice penale, in materia di atti persecutori, sia applicabile l'istituto previsto all'articolo 162-ter del codice penale, relativo all'estinzione del reato per condotte riparatorie;

8) a rendere note le attività svolte, gli obiettivi raggiunti e le volte in cui si siano riuniti la cabina di regia interistituzionale e l'osservatorio e a divulgare le politiche nazionali proposte, nonché le buone pratiche che sono state condivise tra i territori mediante l'operato della cabina di regia.
(1-01727) «Carfagna, Brunetta, Gelmini, Bergamini, Biancofiore, Calabria, Centemero, De Girolamo, Giammanco, Ravetto, Prestigiacomo, Occhiuto, Archi, Crimi, Gullo, Labriola, Laffranco, Longo, Milanato, Minardo, Palmizio, Polidori, Elvira Savino, Sisto, Vella».


   La Camera,
   premesso che:
    il 4 giugno 2013, dopo appena pochi mesi dall'inizio di questa legislatura, il Parlamento approvò, pressoché all'unanimità, una mozione sottoscritta anche dalla prima firmataria del presente atto di indirizzo per la lotta e il contrasto alla violenza sulle donne. Il 28 maggio 2013 è stata approvata la legge di autorizzazione alla ratifica della Convenzione di Istanbul del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, dell'11 maggio 2011. Più tardi sono state approvate dal Parlamento la legge contro il femminicidio e molte altre iniziative legislative, tutte centrate sulla lotta alla violenza, nelle sue molteplici forme, compresa la violenza che si manifesta sui social media, che con tanta volgarità aggrediscono senza motivo donne, fortemente impegnate nel loro ruolo pubblico;
    l'articolo 1 della Dichiarazione sull'eliminazione della violenza contro le donne delle Nazioni Unite del 1993 afferma: «violenza contro le donne significa ogni atto di violenza fondato sul genere che abbia, o possa avere, come risultato un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione e la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata»;
    si è eredi di una storia di enormi condizionamenti che, in tutti i tempi e in ogni latitudine, hanno reso difficile il cammino della donna, misconosciuta nella sua dignità, travisata nelle sue prerogative, non di rado emarginata e persino ridotta in servitù. Ciò le ha reso più difficile essere fino in fondo se stessa, e ha impoverito tutta la società di autentiche ricchezze spirituali. Non sarebbe certamente facile additare precise responsabilità, considerando la forza delle sedimentazioni culturali che, lungo i secoli, hanno plasmato mentalità e istituzioni. È giunto il momento di guardare con il coraggio della memoria e il riconoscimento delle rispettive responsabilità alla lunga storia in cui le donne hanno dato un contributo non inferiore a quello degli uomini e il più delle volte in condizioni ben più disagiate, esposte alla sottovalutazione, al misconoscimento ed anche all'espropriazione del loro apporto intellettuale. Della molteplice opera delle donne nella storia, purtroppo, molto poco è rimasto di rilevabile con gli strumenti della storiografia scientifica;
    ancora oggi sono molti gli ostacoli che, in tante parti del mondo, impediscono alle donne il pieno inserimento nella vita sociale, politica ed economica. Basti pensare a come viene spesso penalizzato, più che gratificato, il dono della maternità, a tal punto che in Italia si soffre una crisi demografica senza precedenti. È urgente ottenere dappertutto l'effettiva uguaglianza dei diritti della persona e dunque parità di salario rispetto a parità di lavoro, tutela della lavoratrice-madre, giuste progressioni nella carriera, riconoscimento di tutto quanto è legato ai diritti e ai doveri di chi vive in una democrazia come la nostra, pur con le sue luci e le sue ombre. Si tratta di un atto di giustizia, ma anche di una necessità. I gravi problemi sul tappeto vedono nella nostra politica sempre più coinvolte le donne: tempo libero, qualità della vita, migrazioni, servizi sociali, eutanasia, droga, sanità e assistenza, ecologia e altro. In tutti questi campi, una maggiore presenza sociale della donna appare preziosa, necessaria per far esplodere le contraddizioni di una società organizzata su puri criteri di efficienza e produttività. Eppure la violenza si scatena sulla donna anche in abito domestico, laddove il suo contributo è più concreto, continuativo e competente;
    uno degli aspetti più delicati della situazione femminile nel mondo è la lunga e umiliante storia di soprusi perpetrati nei confronti delle donne nel campo della sessualità. Non basta condannare con vigore, dando vita ad appropriati strumenti legislativi di difesa, le forme di violenza sessuale che hanno per oggetto le donne. In nome del rispetto della persona non si può non denunciare una sempre più diffusa cultura edonistica e mercantile che promuove il sistematico sfruttamento della sessualità, inducendo anche ragazze in giovanissima età a cadere nei circuiti della corruzione e a prestarsi alla mercificazione del loro corpo. Una pubblicità volgare e sessista, legata ad oggetti che nulla hanno a che vedere con la stessa sessualità, appare spesso in televisione e nei grandi cartelloni che si trovano in città dal centro alle periferie;
    in Italia ogni due giorni una donna viene uccisa. Solo lo scorso anno sono state 120 le vittime ammazzate da un marito, fidanzato o convivente. Per capire il fenomeno basta dare uno sguardo ai dati aggiornati, presentati nell'indagine condotta dall'Istat in collaborazione con il Ministero della giustizia. Il fenomeno ha enormi proporzioni e i numeri parlano chiaro: quasi sette milioni di donne hanno subito qualche forma di abuso nel corso della loro vita. Dalle violenze domestiche allo stalking, dallo stupro all'insulto verbale, la vita femminile è costellata di violazioni della propria sfera intima e personale. Spesso un tentativo di cancellarne l'identità, di minarne profondamente l'indipendenza e la libertà di scelta. Il tragico estremo di tutto questo è rappresentato dal femminicidio, che, anche se in leggero calo rispetto agli anni precedenti, dimostra di essere ancora un reato diffuso ed un problema che necessita di una risposta non solo giudiziaria, ma culturale e educativa;
    e proprio il femminicidio, l'uccisione di una donna con la quale si hanno legami sentimentali o sessuali, rappresenta la parte preponderante degli omicidi contro il genere femminile. Più dell'82 per cento dei delitti commessi a scapito di una donna, nel nostro Paese, sono classificati come femminicidi. Un numero gigantesco: oltre quattro su cinque. Negli ultimi 5 anni si registrano 774 casi di omicidio di donne, una media di circa 150 all'anno. Significa che in Italia ogni due giorni (circa) viene uccisa una donna. Il 16,1 per cento delle donne italiane, secondo lo stesso rapporto, è stato invece vittima di stalking nella maggioranza dei casi da parte di un ex partner. Le conseguenze di queste violenze a breve e lungo termine non si limitano alle lesioni patite, ma anche a stati di depressione cronica, dipendenza da sostanze stupefacenti e alcol e suicidi;
    cinque anni fa c’è stato il richiamo dell'Onu al Governo: «In Italia resta un problema grave, risolverlo è un obbligo internazionale». Rashida Manjoo, Special Rapporteur delle Nazioni Unite per il contrasto della violenza sulle donne, rivolgeva al nostro Paese critiche pesanti: «Femmicidio e femminicidio sono crimini di Stato tollerati dalle pubbliche istituzioni per incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne, che vivono diverse forme di discriminazioni e di violenza durante la loro vita. In Italia, sono stati fatti sforzi da parte del Governo, attraverso l'adozione di leggi e politiche, incluso il Piano di Azione Nazionale contro la violenza, ma questi risultati non hanno però portato a una diminuzione di femminicidi e non si sono tradotti in un miglioramento della condizione di vita delle donne e delle bambine»;
    la violenza sulle donne, pur essendo un fenomeno molto diffuso, vede ben poche denunce, anche perché spesso le stesse denunce sottopongono le donne ad una diversa e più sottile forma di violenza: la violenza di non essere credute o di essere indotte a minimizzare l'offesa subita. Esse sono soggette a percosse, spintoni e abusi sessuali, ma anche vessazioni psicologiche, minacce e stalking. Oltre a riempire periodicamente le pagine di cronaca nera, la violenza sulle donne è un fenomeno vasto e dalle sfumature complesse, drammaticamente diffuso ancora a ogni latitudine. Lo dicono i numeri raccolti che tracciano una tendenza chiara, in Italia come all'estero;
    ai nostri tempi la questione dei «diritti della donna» ha acquistato un nuovo significato nel vasto contesto dei diritti della persona umana. La stessa violenza dell'uomo non si sconfigge con la violenza sull'uomo, ma sembra che in tanti anni alcuni uomini non abbiano ancora finito di scoprire questa verità elementare e trasparente: l'unità che si genera dalla differenza è la principale ricchezza dell'intero genere umano;
    diventa necessario a questo punto agire su di un doppio fronte: promuovere in tutti i modi opportuni le donne, valorizzando il femminile che c’è in loro, con un preciso processo di empowerment e contrastare ogni forma di violenza, che scaturisce spesso da uomini immaturi, prepotenti, incapaci di una apertura affettiva che li ponga su di un effettivo piano di integrazione delle differenze,

impegna il Governo:

1) ad accelerare l'adozione e l'effettiva attuazione di una rinnovata politica nazionale anti-violenza e anti-discriminazione, che tenga conto della specificità femminile anche in relazione alla maternità, agli impegni familiari, e alla tutela professionale, soprattutto in quegli ambiti in cui finora la discriminazione è stata maggiore;

2) a promuovere campagne di sensibilizzazione per politici, giornalisti, insegnanti e altre figure professionali al fine di accrescere la comprensione che la violenza femminile è una ferita profonda a tutto il sistema sociale e che la partecipazione piena, uguale, libera e democratica delle donne, nella vita politica e pubblica, è requisito indispensabile per la piena attuazione dei diritti umani delle donne;

3) ad assumere iniziative per rivedere la normativa sullo stalking e sulle molestie sessuali, che attualmente non risulta del tutto efficace per il raggiungimento degli obiettivi specifici;

4) ad assumere iniziative affinché già dal disegno di legge di bilancio 2018 si possa prevedere attraverso politiche sociali adeguate la possibilità di sostenere le donne che hanno subito violenza facilitando l'allontanamento da casa, con i figli e favorendo nuove e diverse forme di inserimento professionale, nonché agevolare la possibilità per le ragazze che desiderano lasciare la prostituzione di sottrarsi a vere e proprie forme di schiavitù e di trovare attività lavorative alternative, assicurando risorse umane, tecniche e finanziarie per la realizzazione sistematica ed efficace delle misure di contrasto della violenza contro le donne;

5) a sostenere, nell'ambito della politica internazionale e nel rapporto con i diversi Stati, i diritti delle donne attraverso misure di contrasto positive alla violenza e alla discriminazione della donna.
(1-01732) «Binetti, Buttiglione, Cera, De Mita, Pisicchio».


   La Camera,
   premesso che:
    il 4 giugno 2013, dopo appena pochi mesi dall'inizio di questa legislatura, il Parlamento approvò, pressoché all'unanimità, una mozione sottoscritta anche dalla prima firmataria del presente atto di indirizzo per la lotta e il contrasto alla violenza sulle donne. Il 28 maggio 2013 è stata approvata la legge di autorizzazione alla ratifica della Convenzione di Istanbul del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, dell'11 maggio 2011. Più tardi sono state approvate dal Parlamento la legge contro il femminicidio e molte altre iniziative legislative, tutte centrate sulla lotta alla violenza, nelle sue molteplici forme, compresa la violenza che si manifesta sui social media, che con tanta volgarità aggrediscono senza motivo donne, fortemente impegnate nel loro ruolo pubblico;
    l'articolo 1 della Dichiarazione sull'eliminazione della violenza contro le donne delle Nazioni Unite del 1993 afferma: «violenza contro le donne significa ogni atto di violenza fondato sul genere che abbia, o possa avere, come risultato un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione e la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata»;
    si è eredi di una storia di enormi condizionamenti che, in tutti i tempi e in ogni latitudine, hanno reso difficile il cammino della donna, misconosciuta nella sua dignità, travisata nelle sue prerogative, non di rado emarginata e persino ridotta in servitù. Ciò le ha reso più difficile essere fino in fondo se stessa, e ha impoverito tutta la società di autentiche ricchezze spirituali. Non sarebbe certamente facile additare precise responsabilità, considerando la forza delle sedimentazioni culturali che, lungo i secoli, hanno plasmato mentalità e istituzioni. È giunto il momento di guardare con il coraggio della memoria e il riconoscimento delle rispettive responsabilità alla lunga storia in cui le donne hanno dato un contributo non inferiore a quello degli uomini e il più delle volte in condizioni ben più disagiate, esposte alla sottovalutazione, al misconoscimento ed anche all'espropriazione del loro apporto intellettuale. Della molteplice opera delle donne nella storia, purtroppo, molto poco è rimasto di rilevabile con gli strumenti della storiografia scientifica;
    ancora oggi sono molti gli ostacoli che, in tante parti del mondo, impediscono alle donne il pieno inserimento nella vita sociale, politica ed economica. Basti pensare a come viene spesso penalizzato, più che gratificato, il dono della maternità, a tal punto che in Italia si soffre una crisi demografica senza precedenti. È urgente ottenere dappertutto l'effettiva uguaglianza dei diritti della persona e dunque parità di salario rispetto a parità di lavoro, tutela della lavoratrice-madre, giuste progressioni nella carriera, riconoscimento di tutto quanto è legato ai diritti e ai doveri di chi vive in una democrazia come la nostra, pur con le sue luci e le sue ombre. Si tratta di un atto di giustizia, ma anche di una necessità. I gravi problemi sul tappeto vedono nella nostra politica sempre più coinvolte le donne: tempo libero, qualità della vita, migrazioni, servizi sociali, eutanasia, droga, sanità e assistenza, ecologia e altro. In tutti questi campi, una maggiore presenza sociale della donna appare preziosa, necessaria per far esplodere le contraddizioni di una società organizzata su puri criteri di efficienza e produttività. Eppure la violenza si scatena sulla donna anche in abito domestico, laddove il suo contributo è più concreto, continuativo e competente;
    uno degli aspetti più delicati della situazione femminile nel mondo è la lunga e umiliante storia di soprusi perpetrati nei confronti delle donne nel campo della sessualità. Non basta condannare con vigore, dando vita ad appropriati strumenti legislativi di difesa, le forme di violenza sessuale che hanno per oggetto le donne. In nome del rispetto della persona non si può non denunciare una sempre più diffusa cultura edonistica e mercantile che promuove il sistematico sfruttamento della sessualità, inducendo anche ragazze in giovanissima età a cadere nei circuiti della corruzione e a prestarsi alla mercificazione del loro corpo. Una pubblicità volgare e sessista, legata ad oggetti che nulla hanno a che vedere con la stessa sessualità, appare spesso in televisione e nei grandi cartelloni che si trovano in città dal centro alle periferie;
    in Italia ogni due giorni una donna viene uccisa. Solo lo scorso anno sono state 120 le vittime ammazzate da un marito, fidanzato o convivente. Per capire il fenomeno basta dare uno sguardo ai dati aggiornati, presentati nell'indagine condotta dall'Istat in collaborazione con il Ministero della giustizia. Il fenomeno ha enormi proporzioni e i numeri parlano chiaro: quasi sette milioni di donne hanno subito qualche forma di abuso nel corso della loro vita. Dalle violenze domestiche allo stalking, dallo stupro all'insulto verbale, la vita femminile è costellata di violazioni della propria sfera intima e personale. Spesso un tentativo di cancellarne l'identità, di minarne profondamente l'indipendenza e la libertà di scelta. Il tragico estremo di tutto questo è rappresentato dal femminicidio, che, anche se in leggero calo rispetto agli anni precedenti, dimostra di essere ancora un reato diffuso ed un problema che necessita di una risposta non solo giudiziaria, ma culturale e educativa;
    e proprio il femminicidio, l'uccisione di una donna con la quale si hanno legami sentimentali o sessuali, rappresenta la parte preponderante degli omicidi contro il genere femminile. Più dell'82 per cento dei delitti commessi a scapito di una donna, nel nostro Paese, sono classificati come femminicidi. Un numero gigantesco: oltre quattro su cinque. Negli ultimi 5 anni si registrano 774 casi di omicidio di donne, una media di circa 150 all'anno. Significa che in Italia ogni due giorni (circa) viene uccisa una donna. Il 16,1 per cento delle donne italiane, secondo lo stesso rapporto, è stato invece vittima di stalking nella maggioranza dei casi da parte di un ex partner. Le conseguenze di queste violenze a breve e lungo termine non si limitano alle lesioni patite, ma anche a stati di depressione cronica, dipendenza da sostanze stupefacenti e alcol e suicidi;
    cinque anni fa c’è stato il richiamo dell'Onu al Governo: «In Italia resta un problema grave, risolverlo è un obbligo internazionale». Rashida Manjoo, Special Rapporteur delle Nazioni Unite per il contrasto della violenza sulle donne, rivolgeva al nostro Paese critiche pesanti: «Femmicidio e femminicidio sono crimini di Stato tollerati dalle pubbliche istituzioni per incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne, che vivono diverse forme di discriminazioni e di violenza durante la loro vita. In Italia, sono stati fatti sforzi da parte del Governo, attraverso l'adozione di leggi e politiche, incluso il Piano di Azione Nazionale contro la violenza, ma questi risultati non hanno però portato a una diminuzione di femminicidi e non si sono tradotti in un miglioramento della condizione di vita delle donne e delle bambine»;
    la violenza sulle donne, pur essendo un fenomeno molto diffuso, vede ben poche denunce, anche perché spesso le stesse denunce sottopongono le donne ad una diversa e più sottile forma di violenza: la violenza di non essere credute o di essere indotte a minimizzare l'offesa subita. Esse sono soggette a percosse, spintoni e abusi sessuali, ma anche vessazioni psicologiche, minacce e stalking. Oltre a riempire periodicamente le pagine di cronaca nera, la violenza sulle donne è un fenomeno vasto e dalle sfumature complesse, drammaticamente diffuso ancora a ogni latitudine. Lo dicono i numeri raccolti che tracciano una tendenza chiara, in Italia come all'estero;
    ai nostri tempi la questione dei «diritti della donna» ha acquistato un nuovo significato nel vasto contesto dei diritti della persona umana. La stessa violenza dell'uomo non si sconfigge con la violenza sull'uomo, ma sembra che in tanti anni alcuni uomini non abbiano ancora finito di scoprire questa verità elementare e trasparente: l'unità che si genera dalla differenza è la principale ricchezza dell'intero genere umano;
    diventa necessario a questo punto agire su di un doppio fronte: promuovere in tutti i modi opportuni le donne, valorizzando il femminile che c’è in loro, con un preciso processo di empowerment e contrastare ogni forma di violenza, che scaturisce spesso da uomini immaturi, prepotenti, incapaci di una apertura affettiva che li ponga su di un effettivo piano di integrazione delle differenze,

impegna il Governo:

1) ad accelerare l'adozione e l'effettiva attuazione di una rinnovata politica nazionale anti-violenza e anti-discriminazione, che tenga conto della specificità femminile anche in relazione alla maternità, agli impegni familiari, e alla tutela professionale, soprattutto in quegli ambiti in cui finora la discriminazione è stata maggiore;

2) a proseguire nell'attività di promozione e organizzazione di campagne di sensibilizzazione dell'opinione pubblica, del mondo della scuola, delle professioni e del lavoro al fenomeno della violenza di genere; nonché nelle attività di formazione specifica degli operatori dell'informazione per l'utilizzo consapevole del linguaggio e una corretta informazione sul tema;

3) a proseguire nelle azioni, nell'ambito delle competenze di ciascuno, tese a sanare le disparità regionali e locali inerenti alla disponibilità e alla qualità dei servizi di protezione, compresi i rifugi per le donne vittime di violenza, nonché rispetto alle forme di discriminazione contro le donne vittime di violenza che appartengono a minoranze;

4) a sostenere, nell'ambito della politica internazionale e nel rapporto con i diversi Stati, i diritti delle donne attraverso misure di contrasto positive alla violenza e alla discriminazione della donna.
(1-01732)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Binetti, Buttiglione, Cera, De Mita, Pisicchio».


   La Camera,
   premesso che:
    con la ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza contro le donne e la violenza domestica, fatta ad Istanbul l'11 maggio 2011, la cui ratifica è avvenuta con la legge 27 giugno 2013, n. 77, l'Italia ha assunto l'impegno ad introdurre, nel proprio ordinamento, specifiche misure di prevenzione e di tutela giudiziaria a sostegno delle donne oggetto di atti di violenza;
    occorre proseguire nell'impegno di garantire alle donne, nel nostro Paese, pari diritti, ma, soprattutto, maggiore tutela alla luce dei troppi fatti di cronaca che nell'ultimo periodo hanno evidenziato, in maniera preoccupante, un aumento di casi di violenza contro le donne;
    le cronache, ormai quotidianamente, riportano episodi nei confronti delle donne: minacce, molestie, violenze sessuali, stupri, omicidi. Fatti che si traducono in paura e disagio per le strade, sui mezzi pubblici, nei luoghi di lavoro e nelle proprie case;
    da un attento esame del fenomeno emerge un quadro allarmante, con numeri che registrano una vera e propria carneficina;
    i reati contro le donne di violenza sessuale, domestica e i reati di atti persecutori (stalking) sono in costante aumento. Come risulta da un'indagine Istat del 2015 la violenza contro le donne è fenomeno ampio e diffuso: 6 milioni 788 mila donne hanno subito, nel corso della propria vita, una qualche forma di violenza fisica o sessuale, il 31,5 per cento delle donne tra i 16 e i 70 anni: il 20,2 per cento ha subito violenza fisica, il 21 per cento violenza sessuale, il 5,4 per cento forme più gravi di violenza sessuale come stupri e tentati stupri. Sono 652 mila le donne che hanno subito stupri e 746 mila le vittime di tentati stupri. Il 10,6 per cento delle donne ha subito violenze sessuali prima dei 16 anni. Considerando il totale delle violenze subite da donne con figli, aumenta la percentuale dei figli che hanno assistito ad episodi di violenza sulla propria madre (dal 60,3 per cento del dato del 2006 al 65,2 per cento rilevato nel 2014);
    le violenze contro le donne sono anche – come previsto dalla Convenzione di Istanbul – matrimonio forzato, aborto forzato e mutilazioni genitali femminili – MGF – (in Italia sono 57.000 le donne che hanno subito queste ultime (fonte lastampa.it), tutte forme di violenza ignobile di cui sono vittime sempre più ragazze minorenni;
    l'Italia è uno dei Paesi sostenitori della risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni unite di messa al bando universale delle mutilazioni genitali femminili (2012);
    l'obiettivo è quello di introdurre nell'ordinamento italiano una tutela che, come viene sancito dalla Convenzione di Istanbul, garantisca la ferma condanna ad «ogni forma di violenza sulle donne e la violenza domestica». Riconoscendo «la natura strutturale della violenza contro le donne, in quanto basata sul genere», la Convenzione di Istanbul riconosce inoltre che «la violenza contro le donne è uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini»;
    con la legge n. 103 del 2017, è stata introdotto l'articolo 162-ter del codice penale che consente l'estinzione del reato per condotte riparatorie ed è possibile applicarlo anche al delitto di atti persecutori di cui all'articolo 612-bis codice penale, e tale scelta appare incomprensibile in un momento in cui si registrano, in maniera preoccupante, un aumento di casi di violenza contro le donne;
    l'Assemblea dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) ha designato il 25 novembre come «Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne» in cui si organizzano in tutto il mondo attività volte a sensibilizzare l'opinione pubblica sul triste fenomeno, in ricordo del caso delle tre sorelle Mirabal, violentate e uccise da uomini dell'esercito dominicano nel 1960, per ricordarle e ricordare tutte le altre milioni di vittime di violenza, che ogni anno perdono la vita;
    durante i Governi di centrodestra numerose sono state le iniziative legislative e di natura culturale volte ad affrontare la questione della lotta contro la violenza sulle donne. Dall'introduzione del reato di stalking con un Piano nazionale contro la violenza finanziato con 18 milioni di euro; al decreto-legge n. 11 del 2009 convertito dalla legge n. 38 del 2009 con cui si è introdotto l'arresto obbligatorio in flagranza di reato di violenza sessuale singola e di gruppo, nonché alla promozione di misure per rendere più difficile per i condannati per delitti a sfondo sessuale l'accesso ai benefici penitenziari, tra cui le misure alternative alla detenzione. La stessa legge ha inoltre previsto l'accesso al gratuito patrocinio, anche in deroga ai limiti di reddito ordinariamente previsti; si è inoltre previsto quale aggravante speciale dell'omicidio il fatto che esso sia stato commesso in occasione della commissione del delitto di violenza sessuale, di atti sessuali con minore e violenza sessuale di gruppo;
    dopo la prolungata assenza di un rappresentante del Governo con apposita delega sulla materia da parte del Governo in carica, non è stata avviata, a giudizio dei presentatori del presente atto di indirizzo, alcuna strategia mirata a contrastare il fenomeno della violenza sulle donne;
    i fondi stanziati nei capitoli di bilancio relativi ai diritti e alla pari opportunità sono stati trasferiti con notevole ritardo alle regioni e, nella maggior parte dei casi, se ne è persa traccia rendendo difficile per le istituzioni locali poter approntare misure ed iniziative volte al contrasto della violenza sulle donne;
    l'ultimo piano nazionale contro la violenza sulle donne è del luglio 2015 e, oltre ad una bozza delle linee strategiche, nessuna azione ha preso il via dalla sua approvazione tanto che l'Osservatorio istituito nel 2016, ad oggi, non ha prodotto alcuna relazione e nulla si sa dell'attività svolta;
    per combattere e contrastare la violenza sulle donne occorre intervenire sul piano culturale, sul piano della prevenzione e delle politiche per la sicurezza e su quello normativo per assicurare certezza della pena per i colpevoli e un sistema giudiziario veloce che incentivi le donne a denunciare e a non doversi trovare, come purtroppo accaduto ad una ragazza di Torino, doppiamente «violentate» perché i propri carnefici a causa di una giustizia lentissima sono stati lasciati liberi poiché il reato è caduto in prescrizione,

impegna il Governo:

1) a dare contezza, anche attraverso illustrazione alle Camere del nuovo Piano nazionale contro la violenza sulle donne;

2) ad assumere ogni iniziativa normativa che consenta di introdurre nell'ordinamento italiano il reato di femminicidio, affinché per reati gravi commessi a danno delle donne vi sia l'applicazione di una circostanza aggravante ad effetto speciale che aumenti la pena dalla metà fino a due terzi;

3) ad assumere ogni iniziativa normativa che consenta di escludere l'applicazione dell'istituto introdotto dall'articolo 162-ter del codice penale, relativo all'estinzione del reato per condotte riparatorie, al delitto di atti persecutori previsto e punito dall'articolo 612-bis del codice penale;

4) ad assumere ogni iniziativa normativa che comporti un deciso aumento della pena massima del delitto di atti persecutori di cui all'articolo 612-bis codice penale, oggi punito, nel massimo, con la pena della reclusione fino a cinque anni;

5) ad assumere ogni iniziativa normativa che consenta la non applicazione dei riti speciali, rito abbreviato e applicazione della pena su richiesta delle parti, nei confronti di coloro che abbiano commesso reati gravi nei confronti delle donne;

6) ad assumere iniziative normative per escludere il ricorso ai sistemi alternativi di risoluzione delle controversie, quali mediazione e conciliazione, nei casi di violenza commessa a danno delle donne, in quanto presuppongono una situazione di parità delle parti, ontologicamente esclusa nelle situazioni di violenza;

7) a riferire semestralmente al Parlamento con quali modalità, frequenza e consistenza vengano spesi i fondi per i diversi interventi, tra cui il suddetto piano di azione nazionale, in ordine al fenomeno delle violenze contro le donne, compresi quelli destinati ai centri antiviolenza;

8) ad assumere iniziative normative per modificare il codice di procedura penale in modo tale da consentire, nella maggior parte dei reati commessi contro le donne, l'applicazione automatica della misura della custodia cautelare in carcere, nonché garantire la priorità assoluta nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei relativi processi, affinché non accada che reati similari, come avvenuto, vadano in prescrizione;

9) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per eliminare disparità locali e regionali in ordine alla qualità, quantità e numero di servizi di protezione nei confronti delle donne vittime di violenza;

10) a prevedere un piano di formazione nelle scuole per prevenire la violenza sulle donne;

11) ad assumere iniziative per promuovere, in vista del 25 novembre, Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, una campagna di sensibilizzazione dell'opinione pubblica che consenta di affrontare in modo serio e deciso il fenomeno della violenza sulle donne.
(1-01733) «Saltamartini, Castiello, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    la violenza sulle donne è un fenomeno trasversale, che colpisce tutte le età, anche quelle più giovani. Il contrasto e la prevenzione della violenza richiedono necessariamente un cambiamento culturale profondo che va costruito con il contributo di tutti: la cultura del rispetto e della parità tra gli uomini e le donne deve essere uno degli obiettivi fondamentali di ogni livello istituzionale;
    le violenze sulle donne sono un intollerabile attacco alla persona e alla libertà individuale, in violazione dei diritti umani delle donne come riconosciuto dalla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (cosiddetta Convenzione di Istanbul), ratificata dall'Italia con la legge 27 giugno 2013, n. 77;
    la violenza contro le donne è costituita da «qualunque atto di violenza sessista che produca, o possa produrre, danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche, ivi compresa la minaccia di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica sia nella vita privata», come ebbe già a definirla la «Dichiarazione Onu sull'eliminazione della violenza contro le donne» del 1983;
    nonostante la Convenzione di Istanbul costituisca uno dei più recenti strumenti giuridicamente vincolanti per prevenire gli atti di violenza, proteggere le vittime e perseguire gli aggressori, la situazione relativa alle violenze sulle donne e ai femminicidi rimane grave sul piano fattuale, si pone la necessità di monitorare la sua concreta attuazione e che le istituzioni, pubbliche e private, adottino rapidamente e ad ogni livello tutte le misure utili a produrre risultati positivi e duraturi;
    il Senato della Repubblica nel gennaio 2017 ha istituito una Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, che include tra i suoi ambiti di competenza anche l'indagine sulla concreta attuazione della Convenzione di Istanbul e l'accertamento del livello di attenzione e della capacità di intervento delle autorità e delle pubbliche amministrazioni, centrali e periferiche, competenti a svolgere attività di prevenzione e di assistenza alle vittime di violenza di genere;
    in attesa di potersi avvalere anche delle conclusioni dei lavori di questa Commissione, si rileva la gravità della situazione che è resa evidente dai numeri diffusi dall'Istat: 1 milione 150 mila donne hanno subito stupri o tentati stupri nel corso della vita, quasi 7 milioni di donne hanno subito violenza fisica o sessuale, il 36 per cento delle donne che hanno subito violenza da partner ha avuto paura per la sua vita;
    i numeri di cui si dispone non consentono, tuttavia, di affermare come la situazione stia cambiando, come ricordato da Linda Laura Sabbadini, perché le indagini statistiche sono costose e in Italia quelle «di genere» non sono svolte ogni anno. Alle rilevazioni del 2006 e del 2014 ne seguirà un'altra solo nel 2019, nonostante già nel 1995 la Conferenza mondiale sulle donne di Pechino abbia dichiarato l'importanza degli studi statistici sulla condizione femminile;
    il bilancio dei primi mesi del 2017 in Italia è drammatico per il ripetersi quotidiano di fatti di cronaca di donne ammazzate, anche se gli ultimi dati del Viminale riferiscono che le denunce per stupro sono in diminuzione;
    la «forza» dei numeri di cui si dispone non è però in grado di rappresentare effettivamente la realtà in quanto la stragrande maggioranza delle donne continua a non denunciare le violenze subite;
    una grandissima parte di stupri non è denunciata, ad esempio, perché si consuma in famiglia, ad opera di mariti, ex mariti, compagni o ex compagni. Altrettanto sommerse rimangono le altre violenze che avvengono tra le mura domestiche (circa il 90 per cento del totale);
    tutelare le donne che non riescono a denunciare una violenza per paura o per vergogna deve divenire anche un obbligo istituzionale a fronte di un 56,3 per cento delle donne vittima di violenze che non trova un confidente cui rivolgersi anche per la mancanza di fiducia verso le istituzioni;
    i centri antiviolenza e le case rifugio sono nel nostro Paese, gli unici presidi a protezione e sostegno delle donne vittime della violenza maschile;
    in Italia, da Nord a Sud, sono presenti 160 strutture, a fronte di quasi 7 milioni di donne italiane che hanno subito violenza almeno una volta nella loro vita. La sproporzione è impressionante e nonostante si facciano carico quasi per intero degli interventi a supporto delle vittime, sopperendo alle mancanze delle istituzioni, quello che viene fatto è svolto in larga parte senza l'aiuto del Governo e di risorse pubbliche;
    numericamente insufficienti, privi di risorse umane e materiali rispetto all'entità del fenomeno, i centri anti-violenza non riescono a fare fronte a tutte le richieste di sostegno, soccorso e appoggio da parte delle vittime;
    i centri antiviolenza sono coinvolti nei tavoli istituzionali e agli incontri voluti dal Dipartimento Pari Opportunità in vista del nuovo Piano nazionale antiviolenza, ma sono sistematicamente messi da parte nella fase decisionale;
    i fondi, già insufficienti, sono spesso assegnati ad enti e associazioni che decidono di occuparsi di violenza all'ultimo minuto, spesso senza professionalità da spendere e progetti validi. La realtà racconta quanto manchi una visione che valorizzi il patrimonio rappresentato dai Centri antiviolenza;
    un aspetto della violenza che non viene quasi mai preso in considerazione dagli interventi pubblici sono i costi diretti della violenza che vengono sopportati dalle donne, a tacere di quelli pubblici e sociali. L'Istat nel 2015 ha calcolato che tra le vittime, una quota di poco inferiore al 15 per cento (14,3 per cento) ha dovuto sostenere spese per cure mediche e psicologiche presso strutture private, spese per farmaci (18,6 per cento), spese legali (12,3 per cento) e per danni a proprietà (5 per cento; molte donne si sono dovute assentare dal lavoro e hanno avuto difficoltà a gestire le attività quotidiane (rispettivamente 5,7 per cento e il 6,7 per cento), nella maggior parte dei casi per più di 10 giorni;
    un altro corno del problema è rappresentato dalle azioni che vanno adottate per cambiare il paradigma della cultura patriarcale e violenta, permettendo di uscire dalla logica degli interventi emergenziali, che spesso sono frutto di improvvisazione e poco efficaci, come quelli individuati dal decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, che usa la norma penale quale strumento privilegiato di protezione delle vittime percepite come soggetti deboli da tutelare;
    presso la VII commissione della Camera dei deputati, da oltre un anno e mezzo è in corso l'esame di una serie di proposte di legge abbinate che recano l'introduzione dell'educazione di genere nelle attività didattiche delle scuole del sistema nazionale di istruzione. Sarebbe assai auspicabile che tutte le forze politiche si adoperassero per portare a conclusione l'iter in questione molto rapidamente;
    le notizie di stupri, di donne morte ammazzate per mano di un uomo sono oggetto della cronaca quasi ogni giorno, ma le parole e le analisi che le accompagnano, sia nei media che da parte delle istituzioni, spesso costituiscono esse stesse un'ulteriore forma di violenza poiché le donne, i loro corpi e le loro sofferenze vengono sovente strumentalizzate in occasione di un evento tanto drammatico e doloroso;
    quando si parla della violenza di genere il corpo delle donne è presentato spesso come oggetto di conquista, visto con lo sguardo della cultura patriarcale che porta al conseguente gesto della violenza maschile e alle sue molteplici giustificazioni;
    quando a compiere la violenza è un migrante le donne diventano le «nostre donne» – proprietà dei «patri uomini» – da difendere contro l'invasione straniera. Se, invece, autore della violenza è un maschio italiano, a volte il messaggio che passa è che la violenza possa essere colpa delle donne, delle loro abitudini, nel fatto che credano nel principio dell'autodeterminazione, nell'autodifesa, nella libertà. Il corpo allora andrebbe coperto, circondato da una «corazza protettiva», secondo le parole del «manuale per le donne» di recente pubblicato da Il Messaggero. Oppure, come ripetuto sempre di recente da un rappresentante delle istituzioni, le donne dovrebbero tenere conto che il desiderio maschile è «istinto primordiale», quasi che, se lo dimenticassero, la responsabilità della violenza possa essere loro;
    l'omicidio di una ragazza di 16 anni, uccisa da un ragazzo di 17, ha svelato nella cronaca il comune tentativo di derubricare la violenza a fatto di gelosia e devianza e a occultare questioni ben più scomode, che porterebbero a interrogarsi sui modelli dell'identità maschile piuttosto che stilare vademecum antistupro;
    contrastare gli stereotipi e contribuire ad un cambiamento culturale a partire da un'informazione corretta e un uso consapevole del linguaggio, dovrebbe essere alla base di qualunque attività di formazione e aggiornamento dei giornalisti e di chiunque lavori nel campo dei media, nonché patrimonio di tutti e tutte coloro che operano nelle istituzioni;
    nonostante il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93 prevedesse l'adozione di un Piano nazionale antiviolenza, che considerato il contesto normativo nel quale era inserito avrebbe dovuto essere adottato con urgenza, ci sono voluti ben due anni perché questo fosse approvato; il Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, è stato infatti adottato dopo una lunga gestazione tra polemiche e dubbi sull'utilizzo dei fondi da parte delle Regioni;
    i contenuti di quel Piano sono stati contestati da associazioni di donne, centri antiviolenza, sindacato, che hanno espresso delusione e rabbia per un'occasione mancata. Il risultato è stato un Piano che appare non innovativo e per certi aspetti peggiorativo della situazione esistente; sarebbe opportuno – a distanza di due anni – produrre un'analisi degli effetti e dei risultati conseguiti da tale piano per non ripetere gli stessi errori;
    a distanza di due ulteriori anni, risulta ancora in gestazione il nuovo piano nazionale antiviolenza, che la Sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio con delega alle pari opportunità a settembre 2017 ha annunciato essere in corso di definizione, e che sarà oggetto dell'approvazione finale da parte della Conferenza unificata e del Consiglio dei ministri insieme con la proposta di linee guida per le aziende sanitarie e ospedaliere per il soccorso e l'assistenza sociosanitaria alle donne vittime di violenza;
    mentre l'Italia, seguendo la logica emergenziale, continua a procedere molto lentamente, ignorando che le donne vittime della violenza maschile non possono aspettare, altri Paesi si dotano di piani complessi e molto articolati per tentare di risolvere alla radice il problema;
    è il caso, ad esempio, della Spagna, il cui Parlamento il 28 settembre 2017 ha adottato in via definitiva, all'esito di un iter parlamentare di soli sei mesi, un piano che include ben 213 azioni puntuali, che dovranno essere realizzate nella scuola, nell'informazione e nella pubblicità, nel Parlamento e nelle altre istituzioni, nella pubblica amministrazione e nelle forze armate, nell'assistenza alle vittime di violenza alle donne;
    per realizzare le azioni del piano nazionale spagnolo è stato stanziato un miliardo di euro in 5 anni, mentre – per fare un esempio – la legge di bilancio per il 2017 ha incrementato di soli 5 milioni di euro, per ciascuno degli anni 2017, 2018 e 2019, lo stanziamento destinato al finanziamento delle azioni per i centri antiviolenza e le case-rifugio, la cui dotazione ammontava a soli 10 milioni di euro annui, a cui sono stati aggiunti ulteriori 12 milioni di euro, a marzo 2016, mediante un bando per il potenziamento delle attività sopra citate. Si tratta di previsioni finanziarie obiettivamente incommensurabili;
    la disattenzione del Governo si è vista, secondo i presentatori del presente atto, anche nelle recenti iniziative normative, che consentono di considerare il reato di stalking fatto di lieve entità, come è accaduto nel recente procedimento svoltosi dinanzi al tribunale di Torino, nel quale uno stalker offriva 1550 euro di risarcimento alla vittima, che rifiutava, per estinguere il reato. Nonostante il rifiuto, il giudice decideva di «non doversi procedere» in quanto la proposta di risarcimento veniva considerata congrua e il reato era da considerarsi estinto,

impegna il Governo:

1) a dare piena applicazione alla Convenzione di Istanbul, quale strumento che punta a favorire l'autodeterminazione delle donne e a non considerarle soggetti deboli da tutelare;

2) a mettere in atto strategie e azioni strutturali ed integrate per affrontare il problema della violenza maschile sulle donne da un punto di vista educativo e culturale, assumendo come impegno prioritario quello di favorire, per quanto di competenza, un rapido iter delle proposte di legge in materia, con particolare riferimento a quelle in materia di educazione di genere nelle attività didattiche delle scuole del sistema nazionale di istruzione;

3) ad assumere iniziative volte a finanziare attività di formazione dei giornalisti e degli operatori dei media, all'interno di università e scuole di giornalismo, sul tema del contrasto della violenza di genere, favorendo l'utilizzo di un uso consapevole del linguaggio e un'informazione corretta;

4) ad assumere iniziative per rafforzare, con la massima urgenza, gli strumenti di tutela delle donne già vittime di violenza, garantendo la presenza capillare sul territorio dei centri antiviolenza e il numero delle case rifugio, destinando a tali strutture adeguate risorse economiche per conseguire almeno quanto indicato dal Consiglio d'Europa che raccomanda la presenza di un centro antiviolenza ogni 10.000 abitanti e un centro d'accoglienza ogni 50.000 abitanti (Raccomandazione Ue – Expert Meeting sulla violenza contro le donne – Finlandia 8-10 novembre 1999, sugli standard dei centri), prevedendo in particolare almeno 5700 posti letto (a fronte delle poche centinaia oggi esistenti);

5) a riconoscere i centri antiviolenza operanti sul territorio nazionale, innanzitutto attraverso una mappatura ufficiale, sostenendo una veloce conclusione delle ricerche in corso da parte dell'Istat e del Cnr e indicando chiaramente tali centri come strutture fondamentali del Nuovo piano nazionale antiviolenza;

6) a finanziare le statistiche di genere correlate al fenomeno della violenza maschile sulle donne, aumentandone il numero e la frequenza, quali strumenti indispensabili per l'elaborazione e l'attuazione di politiche efficaci;

7) ad assumere iniziative finalizzate a promuovere l'approvazione di una legge specifica contro la violenza di genere che preveda, oltre al potenziamento dei consultori, il riconoscimento del ruolo delle case delle donne maltrattate, dei centri antiviolenza e delle associazioni che svolgono sul territorio azioni di sostegno alle vittime, nonché l'incremento del Fondo che consenta di garantire continuità all'erogazione dei servizi;

8) ad assumere iniziative volte a garantire il rimborso da parte dello Stato – in forma di indennizzo o di risarcimento – di tutti i costi diretti della violenza che vengono sopportati dalle donne;

9) a estendere e finanziare i centri di ascolto per uomini maltrattanti (Cam), autori di comportamenti violenti, con l'obiettivo di incoraggiarli a riflettere sul comportamento nelle relazioni affettive e aiutarli a uscire dalla situazione di violenza perpetrata ai danni delle donne;

10) ad assumere iniziative normative al fine di escludere che, con riferimento al reato di stalking, possa in alcun modo trovare applicazione l'istituto dell'estinzione del reato per condotte riparatorie, previsto dall'articolo 162-ter del codice penale;

11) ad assumere iniziative per stanziare una congrua e specifica provvista finanziaria, che incrementi le ridotte risorse previste, da impegnare per tutti gli interventi contro la violenza maschile sulle donne;

12) a mettere in campo strumenti d'intervento volti a contrastare ogni tipo di abuso e molestia, sia essa psicologica che fisica, *nei confronti delle donne appartenenti al mondo dello spettacolo ove siano previste forme di finanziamento pubblico, nonché forme di tutela delle donne che denunciano gli atti a sfondo sessuale perpetrati nei loro confronti.
(1-01734)
(Nuova formulazione) «Brignone, Pannarale, Costantino, Gregori, Pellegrino, Marcon, Civati, Fratoianni, Andrea Maestri, Pastorino, Palazzotto, Airaudo».


   La Camera,
   premesso che:
    la violenza sulle donne è un fenomeno trasversale, che colpisce tutte le età, anche quelle più giovani. Il contrasto e la prevenzione della violenza richiedono necessariamente un cambiamento culturale profondo che va costruito con il contributo di tutti: la cultura del rispetto e della parità tra gli uomini e le donne deve essere uno degli obiettivi fondamentali di ogni livello istituzionale;
    le violenze sulle donne sono un intollerabile attacco alla persona e alla libertà individuale, in violazione dei diritti umani delle donne come riconosciuto dalla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (cosiddetta Convenzione di Istanbul), ratificata dall'Italia con la legge 27 giugno 2013, n. 77;
    la violenza contro le donne è costituita da «qualunque atto di violenza sessista che produca, o possa produrre, danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche, ivi compresa la minaccia di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica sia nella vita privata», come ebbe già a definirla la «Dichiarazione Onu sull'eliminazione della violenza contro le donne» del 1983;
    nonostante la Convenzione di Istanbul costituisca uno dei più recenti strumenti giuridicamente vincolanti per prevenire gli atti di violenza, proteggere le vittime e perseguire gli aggressori, la situazione relativa alle violenze sulle donne e ai femminicidi rimane grave sul piano fattuale, si pone la necessità di monitorare la sua concreta attuazione e che le istituzioni, pubbliche e private, adottino rapidamente e ad ogni livello tutte le misure utili a produrre risultati positivi e duraturi;
    il Senato della Repubblica nel gennaio 2017 ha istituito una Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, che include tra i suoi ambiti di competenza anche l'indagine sulla concreta attuazione della Convenzione di Istanbul e l'accertamento del livello di attenzione e della capacità di intervento delle autorità e delle pubbliche amministrazioni, centrali e periferiche, competenti a svolgere attività di prevenzione e di assistenza alle vittime di violenza di genere;
    in attesa di potersi avvalere anche delle conclusioni dei lavori di questa Commissione, si rileva la gravità della situazione che è resa evidente dai numeri diffusi dall'Istat: 1 milione 150 mila donne hanno subito stupri o tentati stupri nel corso della vita, quasi 7 milioni di donne hanno subito violenza fisica o sessuale, il 36 per cento delle donne che hanno subito violenza da partner ha avuto paura per la sua vita;
    i numeri di cui si dispone non consentono, tuttavia, di affermare come la situazione stia cambiando, come ricordato da Linda Laura Sabbadini, perché le indagini statistiche sono costose e in Italia quelle «di genere» non sono svolte ogni anno. Alle rilevazioni del 2006 e del 2014 ne seguirà un'altra solo nel 2019, nonostante già nel 1995 la Conferenza mondiale sulle donne di Pechino abbia dichiarato l'importanza degli studi statistici sulla condizione femminile;
    il bilancio dei primi mesi del 2017 in Italia è drammatico per il ripetersi quotidiano di fatti di cronaca di donne ammazzate, anche se gli ultimi dati del Viminale riferiscono che le denunce per stupro sono in diminuzione;
    la «forza» dei numeri di cui si dispone non è però in grado di rappresentare effettivamente la realtà in quanto la stragrande maggioranza delle donne continua a non denunciare le violenze subite;
    una grandissima parte di stupri non è denunciata, ad esempio, perché si consuma in famiglia, ad opera di mariti, ex mariti, compagni o ex compagni. Altrettanto sommerse rimangono le altre violenze che avvengono tra le mura domestiche (circa il 90 per cento del totale);
    tutelare le donne che non riescono a denunciare una violenza per paura o per vergogna deve divenire anche un obbligo istituzionale a fronte di un 56,3 per cento delle donne vittima di violenze che non trova un confidente cui rivolgersi anche per la mancanza di fiducia verso le istituzioni;
    i centri antiviolenza e le case rifugio sono nel nostro Paese, gli unici presidi a protezione e sostegno delle donne vittime della violenza maschile;
    in Italia, da Nord a Sud, sono presenti 160 strutture, a fronte di quasi 7 milioni di donne italiane che hanno subito violenza almeno una volta nella loro vita. La sproporzione è impressionante e nonostante si facciano carico quasi per intero degli interventi a supporto delle vittime, sopperendo alle mancanze delle istituzioni, quello che viene fatto è svolto in larga parte senza l'aiuto del Governo e di risorse pubbliche;
    numericamente insufficienti, privi di risorse umane e materiali rispetto all'entità del fenomeno, i centri anti-violenza non riescono a fare fronte a tutte le richieste di sostegno, soccorso e appoggio da parte delle vittime;
    un aspetto della violenza che non viene quasi mai preso in considerazione dagli interventi pubblici sono i costi diretti della violenza che vengono sopportati dalle donne, a tacere di quelli pubblici e sociali. L'Istat nel 2015 ha calcolato che tra le vittime, una quota di poco inferiore al 15 per cento (14,3 per cento) ha dovuto sostenere spese per cure mediche e psicologiche presso strutture private, spese per farmaci (18,6 per cento), spese legali (12,3 per cento) e per danni a proprietà (5 per cento; molte donne si sono dovute assentare dal lavoro e hanno avuto difficoltà a gestire le attività quotidiane (rispettivamente 5,7 per cento e il 6,7 per cento), nella maggior parte dei casi per più di 10 giorni;
    un altro corno del problema è rappresentato dalle azioni che vanno adottate per cambiare il paradigma della cultura patriarcale e violenta, permettendo di uscire dalla logica degli interventi emergenziali, che spesso sono frutto di improvvisazione e poco efficaci, come quelli individuati dal decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, che usa la norma penale quale strumento privilegiato di protezione delle vittime percepite come soggetti deboli da tutelare;
    presso la VII commissione della Camera dei deputati, da oltre un anno e mezzo è in corso l'esame di una serie di proposte di legge abbinate che recano l'introduzione dell'educazione di genere nelle attività didattiche delle scuole del sistema nazionale di istruzione. Sarebbe assai auspicabile che tutte le forze politiche si adoperassero per portare a conclusione l'iter in questione molto rapidamente;
    le notizie di stupri, di donne morte ammazzate per mano di un uomo sono oggetto della cronaca quasi ogni giorno, ma le parole e le analisi che le accompagnano, sia nei media che da parte delle istituzioni, spesso costituiscono esse stesse un'ulteriore forma di violenza poiché le donne, i loro corpi e le loro sofferenze vengono sovente strumentalizzate in occasione di un evento tanto drammatico e doloroso;
    quando si parla della violenza di genere il corpo delle donne è presentato spesso come oggetto di conquista, visto con lo sguardo della cultura patriarcale che porta al conseguente gesto della violenza maschile e alle sue molteplici giustificazioni;
    quando a compiere la violenza è un migrante le donne diventano le «nostre donne» – proprietà dei «patri uomini» – da difendere contro l'invasione straniera. Se, invece, autore della violenza è un maschio italiano, a volte il messaggio che passa è che la violenza possa essere colpa delle donne, delle loro abitudini, nel fatto che credano nel principio dell'autodeterminazione, nell'autodifesa, nella libertà. Il corpo allora andrebbe coperto, circondato da una «corazza protettiva», secondo le parole del «manuale per le donne» di recente pubblicato da Il Messaggero. Oppure, come ripetuto sempre di recente da un rappresentante delle istituzioni, le donne dovrebbero tenere conto che il desiderio maschile è «istinto primordiale», quasi che, se lo dimenticassero, la responsabilità della violenza possa essere loro;
    l'omicidio di una ragazza di 16 anni, uccisa da un ragazzo di 17, ha svelato nella cronaca il comune tentativo di derubricare la violenza a fatto di gelosia e devianza e a occultare questioni ben più scomode, che porterebbero a interrogarsi sui modelli dell'identità maschile piuttosto che stilare vademecum antistupro;
    contrastare gli stereotipi e contribuire ad un cambiamento culturale a partire da un'informazione corretta e un uso consapevole del linguaggio, dovrebbe essere alla base di qualunque attività di formazione e aggiornamento dei giornalisti e di chiunque lavori nel campo dei media, nonché patrimonio di tutti e tutte coloro che operano nelle istituzioni;
    è il caso, ad esempio, della Spagna, il cui Parlamento il 28 settembre 2017 ha adottato in via definitiva, all'esito di un iter parlamentare di soli sei mesi, un piano che include ben 213 azioni puntuali, che dovranno essere realizzate nella scuola, nell'informazione e nella pubblicità, nel Parlamento e nelle altre istituzioni, nella pubblica amministrazione e nelle forze armate, nell'assistenza alle vittime di violenza alle donne;
    per realizzare le azioni del piano nazionale spagnolo è stato stanziato un miliardo di euro in 5 anni, mentre – per fare un esempio – la legge di bilancio per il 2017 ha incrementato di soli 5 milioni di euro, per ciascuno degli anni 2017, 2018 e 2019, lo stanziamento destinato al finanziamento delle azioni per i centri antiviolenza e le case-rifugio, la cui dotazione ammontava a soli 10 milioni di euro annui, a cui sono stati aggiunti ulteriori 12 milioni di euro, a marzo 2016, mediante un bando per il potenziamento delle attività sopra citate. Si tratta di previsioni finanziarie obiettivamente incommensurabili,

impegna il Governo:

1) a dare piena applicazione alla Convenzione di Istanbul, quale strumento che punta a favorire l'autodeterminazione delle donne e a non considerarle soggetti deboli da tutelare;

2) a proseguire nelle iniziative destinate a diffondere, presso gli studenti, una cultura dell'affettività che ripudi ogni forma di discriminazione e violenza di genere, anche in relazione all'utilizzo dei social media e di internet;

3) a proseguire le iniziative volte a finanziare attività di formazione dei giornalisti e degli operatori dei media, all'interno di università e scuole di giornalismo, sul tema del contrasto della violenza di genere, favorendo l'utilizzo di un uso consapevole del linguaggio e un'informazione corretta;

4) a proseguire le iniziative per rafforzare, con la massima urgenza, gli strumenti di tutela delle donne già vittime di violenza, garantendo la presenza capillare sul territorio dei centri antiviolenza e il numero delle case rifugio, destinando a tali strutture adeguate risorse economiche per conseguire almeno quanto indicato dal Consiglio d'Europa che raccomanda la presenza di un centro antiviolenza ogni 10.000 abitanti e un centro d'accoglienza ogni 50.000 abitanti (Raccomandazione Ue – Expert Meeting sulla violenza contro le donne – Finlandia 8-10 novembre 1999, sugli standard dei centri), prevedendo in particolare almeno 5700 posti letto (a fronte delle poche centinaia oggi esistenti);

5) a riconoscere i centri antiviolenza operanti sul territorio nazionale, innanzitutto attraverso una mappatura ufficiale, sostenendo una veloce conclusione delle ricerche in corso da parte dell'Istat e del Cnr e indicando chiaramente tali centri come strutture fondamentali del Nuovo piano nazionale antiviolenza;

6) ad effettuare una ricognizione periodica dei dati statistici relativi ai casi di violenza e alle misure cautelari applicate dal giudice penale per i reati di maltrattamenti in famiglia e di atti persecutori, nonché agli ordini di protezione contro gli abusi familiari emessi dal giudice civile, alle misure adottate dal tribunale per i minorenni nei casi di violenza assistita, ed alle misure di prevenzione;

7) a potenziare il sistema di ristoro delle vittime di violenza, secondo le risorse rese disponibili allo scopo;

8) a estendere e finanziare i centri di ascolto per uomini maltrattanti (Cam), autori di comportamenti violenti, con l'obiettivo di incoraggiarli a riflettere sul comportamento nelle relazioni affettive e aiutarli a uscire dalla situazione di violenza perpetrata ai danni delle donne;

9) a promuovere l'eliminazione del delitto di cui all'articolo 612-bis del codice penale dal novero dei reati suscettibili di estinzione in seguito a condotte riparatorie ai sensi dell'articolo 162-ter del codice penale;

10) a reperire le risorse finanziarie da destinare agli interventi a favore delle vittime di violenza;

11) a mettere in campo strumenti d'intervento volti a contrastare ogni tipo di abuso e molestia, sia essa psicologica che fisica, *nei confronti delle donne appartenenti al mondo dello spettacolo ove siano previste forme di finanziamento pubblico, nonché forme di tutela delle donne che denunciano gli atti a sfondo sessuale perpetrati nei loro confronti.
(1-01734)
(Nuova formulazione) (Testo modificato nel corso della seduta) «Brignone, Pannarale, Costantino, Gregori, Pellegrino, Marcon, Civati, Fratoianni, Andrea Maestri, Pastorino, Palazzotto, Airaudo».


   La Camera,
   premesso che:
    Catherine Ashton, già Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell'Unione europea, ha definito la violenza sulle donne «la più diffusa violazione dei diritti umani del nostro tempo»;
    la violenza di genere non conosce barriere geografiche, culturali, di classe o etniche;
    nel tempo è stata semplicisticamente ricondotta alla storica disuguaglianza di potere tra donne e uomini. Comprende invece tutti gli atti che si traducono o possono tradursi in lesioni, sofferenze fisiche e sessuali o psicologiche, minacce, coercizione, la privazione della libertà sia pubblica che privata;
    non essendoci una comune definizione di «violenza sulle donne», a livello europeo e internazionale non esiste una omogeneità di metodi e strumenti utilizzati per la repressione del fenomeno;
    secondo studi condotti dal Consiglio d'Europa, sono state vittime di violenze fisiche almeno una volta nella vita tra il 20 e il 25 per cento delle donne;
    in Europa ogni giorno una donna su cinque subisce una violenza e più di una su dieci l'ha subita con la forza; l'ambito nel quale la violenza è più diffusa è quello domestico dove tra il 12 e il 15 per cento delle donne ne è stata vittima dopo i 16 anni di età;
    le donne subiscono la violenza anche nei luoghi di lavoro fra insulti, mobbing, molestie sessuali, soprattutto nei paesi economicamente più sviluppati;
    fin dal 1999, il 25 novembre è la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. Lo ha decretato, con la risoluzione n. 54/134 del 17 dicembre 1999, l'Assemblea generale delle Nazioni unite a dimostrazione della gravità di un fenomeno di profonda inciviltà che, purtroppo, investe indistintamente tutto il mondo;
    una indagine dell'Istat del 2014 fornisce dati rilevanti: nel complesso diminuisce il numero delle violenze, tranne gli stupri, ma aumenta la loro gravità;
    la stessa indagine dice quanto è alto il costo economico, pubblico e privato, della violenza. Le vittime sono costrette a sostenere spese per cure mediche e psicologiche presso strutture private, per farmaci, legali e per danni alla proprietà. Molte si sono dovute assentare dal lavoro con costi a carico del sistema produttivo o hanno avuto difficoltà a gestire le attività quotidiane. Ai costi diretti vanno aggiunti quelli legati alle prestazioni sanitarie pubbliche, i servizi erogati dai centri antiviolenza, gli interventi di polizia e del sistema giudiziario, nonché i costi sociali indiretti se sono stati coinvolti i figli;
    le donne italiane, purtroppo, denunciano più spesso la violenza se sono vittime di uno straniero e per il tentato stupro il numero di denunce arriva ad essere 10 volte maggiore;
    una indagine dell'Istat condotta nel 2016 stima che siano state 1 milione e 403 mila le donne che nel corso della loro vita lavorativa, hanno subito molestie o ricatti sessuali sul posto di lavoro e che solo una donna su cinque ha raccontato la propria esperienza e quasi nessuna ha denunciato il fatto alle forze dell'ordine;
    da quando nel 2009 è entrata in vigore la legge che definisce il reato, le condanne per stalking sono in aumento e i reati più frequentemente associati allo stalking sono la violenza privata, le lesioni personali e le ingiurie;
    l'Italia si colloca fra le posizioni più elevate della classifica dei Paesi dove si perpetua il reato di violenza domestica e domestica di genere anche se i dati raccolti a livello ufficiale costituiscono una parte molto ristretta rispetto al dilagare del fenomeno;
    a tale proposito va citata la risoluzione del Parlamento europeo sull'eliminazione della violenza contro le donne del 26 novembre 2009;
    da una rilevazione condotta dal dipartimento delle pari opportunità sul numero di emergenza 1522 risulta che nell'ultimo trimestre siano giunte 222 richieste di aiuto per stalking, 1154 richieste di aiuto da vittime di violenza e che 356 persone hanno segnalato un caso di violenza; tutte richieste esplicite di aiuto che le donne o le persone a loro vicine rivolgono al servizio, in assenza di strumenti alternativi efficaci per rispondere ad un bisogno immediato. La fascia di età più vulnerabile è compresa fra i 35 e i 54 anni;
    la Convenzione del Consiglio d'Europa del 7 aprile 2011 sulla prevenzione e sulla lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, più conosciuta come la Convenzione di Istanbul, evidenzia la relazione fra la violenza e l'assenza di parità di genere; amplia la portata del termine violenza includendo anche quella economica, psicologica e domestica; rileva la necessità di politiche che favoriscano l'effettiva parità fra i sessi e di quelle necessarie ad assicurarne la prevenzione;
    la ratifica ed esecuzione della Convenzione sopra citata è avvenuta con legge n. 77 il 27 giugno 2013; mentre il 15 ottobre dello stesso anno il Parlamento ha approvato la legge 119 recante misure urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere; nel 2015, invece, è stato adottato, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, il piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere,

impegna il Governo:

1) a prevedere campagne di informazione capaci di incoraggiare le donne a denunciare le violenze di cui sono vittime e a richiedere l'assistenza, psicologica, pratica ed economica necessaria all'abbandono dell'ambiente violento;

2) a sostenere il sistema di istruzione affinché promuova fin dall'infanzia forme di comunicazione verbali, figurative e scritte, rispettose della parità di genere anche grazie a corsi di formazione del personale docente per assicurare una educazione che superi vecchi stereotipi, le disuguaglianze e le discriminazioni di genere;

3) a individuare forme efficaci di rilevazione del fenomeno e di condivisione dei dati fra istituzioni pubbliche e forze dell'ordine al fine di comprenderne la reale portata e prevedere misure di contrasto efficaci;

4) a valutare di assumere iniziative per l'inasprimento delle pene per i reati di violenza contro le donne, affinché i violenti siano scoraggiati dal riprovarci, visto che per una somma di benefici spesso tornano liberi dopo pochissimo tempo;

5) a valutare la possibilità di recuperare risorse economiche sufficienti al fine di rendere possibile l'uso del braccialetto elettronico per accompagnare i provvedimenti di ammonimento per lesioni e garantire la tutela delle persone offese;

6) a valutare l'adozione di iniziative per l'istituzione di un fondo per le vittime di violenza e per i loro familiari affinché possano avere risorse sufficienti per ricominciare una vita dignitosa, anche in considerazione del fatto che spesso sono costretti a lunghe cure, anche psicologiche o versano in situazione di invalidità permanente e, per questo sono obbligati a interrompere il lavoro;

7) ad assumere iniziative per prevedere, in presenza di violenze familiari note e reiterate ai danni delle donne, nei casi di separazione, che i maltrattamenti divengano causa di esclusione dell'affido condiviso.
(1-01735) «Vezzali, Francesco Saverio Romano, Abrignani, Auci, Borghese, D'Alessandro, D'Agostino, Faenzi, Galati, Marcolin, Merlo, Parisi, Rabino, Sottanelli, Zanetti».


   La Camera,
   premesso che:
    Catherine Ashton, già Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell'Unione europea, ha definito la violenza sulle donne «la più diffusa violazione dei diritti umani del nostro tempo»;
    la violenza di genere non conosce barriere geografiche, culturali, di classe o etniche;
    nel tempo è stata semplicisticamente ricondotta alla storica disuguaglianza di potere tra donne e uomini. Comprende invece tutti gli atti che si traducono o possono tradursi in lesioni, sofferenze fisiche e sessuali o psicologiche, minacce, coercizione, la privazione della libertà sia pubblica che privata;
    non essendoci una comune definizione di «violenza sulle donne», a livello europeo e internazionale non esiste una omogeneità di metodi e strumenti utilizzati per la repressione del fenomeno;
    secondo studi condotti dal Consiglio d'Europa, sono state vittime di violenze fisiche almeno una volta nella vita tra il 20 e il 25 per cento delle donne;
    in Europa ogni giorno una donna su cinque subisce una violenza e più di una su dieci l'ha subita con la forza; l'ambito nel quale la violenza è più diffusa è quello domestico dove tra il 12 e il 15 per cento delle donne ne è stata vittima dopo i 16 anni di età;
    le donne subiscono la violenza anche nei luoghi di lavoro fra insulti, mobbing, molestie sessuali, soprattutto nei paesi economicamente più sviluppati;
    fin dal 1999, il 25 novembre è la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. Lo ha decretato, con la risoluzione n. 54/134 del 17 dicembre 1999, l'Assemblea generale delle Nazioni unite a dimostrazione della gravità di un fenomeno di profonda inciviltà che, purtroppo, investe indistintamente tutto il mondo;
    una indagine dell'Istat del 2014 fornisce dati rilevanti: nel complesso diminuisce il numero delle violenze, tranne gli stupri, ma aumenta la loro gravità;
    la stessa indagine dice quanto è alto il costo economico, pubblico e privato, della violenza. Le vittime sono costrette a sostenere spese per cure mediche e psicologiche presso strutture private, per farmaci, legali e per danni alla proprietà. Molte si sono dovute assentare dal lavoro con costi a carico del sistema produttivo o hanno avuto difficoltà a gestire le attività quotidiane. Ai costi diretti vanno aggiunti quelli legati alle prestazioni sanitarie pubbliche, i servizi erogati dai centri antiviolenza, gli interventi di polizia e del sistema giudiziario, nonché i costi sociali indiretti se sono stati coinvolti i figli;
    una indagine dell'Istat condotta nel 2016 stima che siano state 1 milione e 403 mila le donne che nel corso della loro vita lavorativa, hanno subito molestie o ricatti sessuali sul posto di lavoro e che solo una donna su cinque ha raccontato la propria esperienza e quasi nessuna ha denunciato il fatto alle forze dell'ordine;
    da quando nel 2009 è entrata in vigore la legge che definisce il reato, le condanne per stalking sono in aumento e i reati più frequentemente associati allo stalking sono la violenza privata, le lesioni personali e le ingiurie;
    l'Italia si colloca fra le posizioni più elevate della classifica dei Paesi dove si perpetua il reato di violenza domestica e domestica di genere anche se i dati raccolti a livello ufficiale costituiscono una parte molto ristretta rispetto al dilagare del fenomeno;
    a tale proposito va citata la risoluzione del Parlamento europeo sull'eliminazione della violenza contro le donne del 26 novembre 2009;
    da una rilevazione condotta dal dipartimento delle pari opportunità sul numero di emergenza 1522 risulta che nell'ultimo trimestre siano giunte 222 richieste di aiuto per stalking, 1154 richieste di aiuto da vittime di violenza e che 356 persone hanno segnalato un caso di violenza; tutte richieste esplicite di aiuto che le donne o le persone a loro vicine rivolgono al servizio, in assenza di strumenti alternativi efficaci per rispondere ad un bisogno immediato. La fascia di età più vulnerabile è compresa fra i 35 e i 54 anni;
    la Convenzione del Consiglio d'Europa del 7 aprile 2011 sulla prevenzione e sulla lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, più conosciuta come la Convenzione di Istanbul, evidenzia la relazione fra la violenza e l'assenza di parità di genere; amplia la portata del termine violenza includendo anche quella economica, psicologica e domestica; rileva la necessità di politiche che favoriscano l'effettiva parità fra i sessi e di quelle necessarie ad assicurarne la prevenzione;
    la ratifica ed esecuzione della Convenzione sopra citata è avvenuta con legge n. 77 il 27 giugno 2013; mentre il 15 ottobre dello stesso anno il Parlamento ha approvato la legge 119 recante misure urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere; nel 2015, invece, è stato adottato, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, il piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere,

impegna il Governo:

1) a proseguire con le campagne di informazione capaci di incoraggiare le donne a denunciare le violenze di cui sono vittime e a richiedere l'assistenza, psicologica, pratica ed economica necessaria all'abbandono dell'ambiente violento;

2) a proseguire nelle iniziative destinate al sistema di istruzione affinché promuova fin dall'infanzia forme di comunicazione verbali, figurative e scritte, rispettose della parità di genere anche grazie a corsi di formazione del personale docente per assicurare una educazione che superi vecchi stereotipi, le disuguaglianze e le discriminazioni di genere;

3) a individuare forme efficaci di rilevazione del fenomeno e di condivisione dei dati fra istituzioni pubbliche e forze dell'ordine al fine di comprenderne la reale portata e prevedere misure di contrasto efficaci;

4) a valutare la possibilità di recuperare risorse economiche sufficienti al fine di rendere possibile l'uso del braccialetto elettronico per accompagnare i provvedimenti di ammonimento per lesioni e garantire la tutela delle persone offese;

5) a proseguire nelle azioni già intraprese con l'istituzione del fondo destinato al ristoro patrimoniale delle vittime di reati internazionali violenti al fine di monitorare l'adeguatezza della copertura finanziaria;
(1-01735)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Vezzali, Francesco Saverio Romano, Abrignani, Auci, Borghese, D'Alessandro, D'Agostino, Faenzi, Galati, Marcolin, Merlo, Parisi, Rabino, Sottanelli, Zanetti».


   La Camera,
   premesso che:
    le violenze fisiche, sessuali e psicologiche contro le donne rappresentano un abuso contro i diritti umani;
    l'Agenzia dei diritti fondamentali dell'Unione europea (FRA) ha presentato a Bruxelles il nuovo rapporto sulla violenza contro le donne. Dall'analisi emerge che una donna su tre (il 33 per cento) ha subito violenza fisica e/o violenza sessuale dai 15 anni in su. La percentuale sale al 43 per cento nei casi di violenza psicologica;
    è sconcertante rilevare quanto siano ancora troppo poche le donne che, a seguito di un episodio di violenza, denunciano gli abusi alle autorità competenti. Dal rapporto emerge che solo il 14 per cento ha denunciato alla polizia l'episodio di violenza più grave subito dal partner, percentuale che scende al 13 per cento per i casi in cui l'aggressore non era il partner;
    in Italia, secondo un recente studio dell'Istat sono oltre cento le donne che ogni anno, vengono uccise da uomini. Nel 2016 sono state 120 le vittime di femminicidio e nel 2017 la media è di una vittima ogni tre giorni. Negli ultimi dieci anni le donne uccise sono state circa 1.740, di cui 1.251 (il 71,9 per cento) in famiglia. Inoltre, è stato rilevato che: 3 milioni e 466 mila sono le donne che nell'arco della propria vita hanno subito stalking, ovvero atti persecutori da parte di qualcuno. Di queste: 2 milioni e 151 mila sono le vittime di comportamenti persecutori dell'ex partner. Il dato preoccupante è che il 78 per cento delle donne che ha subito stalking, non si è rivolta ad alcuna istituzione e non ha cercato aiuto;
    da uno studio dell'Istat pubblicato nel giugno del 2015, emerge che sono circa 6 milioni 788 mila le donne che hanno subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Il 20,2 per cento ha subito violenza fisica, il 21 per cento violenza sessuale, il 5,4 per cento forme più gravi di violenza sessuale come stupri e tentati stupri. Sono 652 mila le donne che hanno subito stupri e 746 mila le vittime di tentati stupri;
    dai dati forniti dalla polizia la durezza delle violenze è sempre più grave: aumentano quelle che hanno subito ferite (dal 26,3 per cento al 40,2 per cento da partner) e il numero di donne che hanno temuto per la propria vita (dal 18,8 per cento del 2006 al 34,5 per cento del 2014);
    il 19 giugno 2013 il Parlamento italiano ha approvato, in via definitiva, la legge per la ratifica e l'esecuzione della convenzione del Consiglio d'Europa, nota come Convenzione di Istanbul, contro la violenza sulle donne e la violenza domestica;
    la convenzione di Istanbul pone l'accento su un tema importante, quello della «vittimizzazione secondaria», ovvero la colpevolizzazione della vittima, che consiste nel ritenere chi ha subito una violenza o altre sventure parzialmente o interamente responsabile di ciò che le è accaduto, inducendo la stessa ad autocolpevolizzarsi. Un atteggiamento di «colpevolizzazione» è anche connesso con l'ipotesi che si deve conoscere e accettare una supposta «natura intrinseca»;
    dalle indagini all'eventuale dibattimento si richiedono tempi che spesso non sono assolutamente conciliabili con le esigenze di urgenza legate ad una situazione di violenza. La fase istruttoria dura solitamente due anni e altrettanti ce ne vogliono per avere la sentenza di primo grado. Se si continua in secondo e terzo grado possono essere necessari anche sino a 10 anni e, solo a conclusione di tutto l’iter processuale, l'eventuale sentenza di condanna diventa definitiva e può essere eseguita; sono numerosi gli esempi di casi prescritti come purtroppo accaduto a Torino in un odioso caso di violenza su una bambina di sette anni, procedimento non concluso e prescritto dopo venti anni (già ricordato nella interrogazione a risposta immediata in Assemblea n. 3/02837 del 1 marzo 2017); l'obbligo del braccialetto elettronico per i responsabili di violenze note, già segnalate e denunciate e che abbiano conseguentemente ricevuto un provvedimento di ammonimento, sarebbe un ottimo strumento per tenere sotto controllo chi è indagato o accusato di molestie sulle donne. L'utilizzo di questo dispositivo permetterebbe la costante localizzazione da parte delle forze dell'ordine dei «persecutori»;
    la mancata denuncia del proprio «persecutore» da parte delle donne vittime di violenza di genere è da attribuire anche al fatto di essere spesso la parte economicamente debole;
    in Italia si registra un alto tasso di disoccupazione femminile: secondo un recente studio dell'Istat il tasso di occupazione delle donne (15-64 anni) a giugno 2017 ha raggiunto il 48,8 per cento, dato tra i più bassi in Europa (fonte Eurostat);
    le vittime di violenza di genere hanno il diritto di avere giustizia e poter vivere una vita per quanto sia possibile normale, senza il timore di ritorsioni da parte dei loro aggressori violenti; l'ultimo piano straordinario nazionale contro la violenza sessuale e di genere è stato adottato con decreto del Consiglio dei ministri del 7 luglio 2015 con durata biennale. Attualmente, si è a conoscenza solo di una bozza delle linee strategiche del prossimo piano,

impegna il Governo

1) ad assumere iniziative normative per abbreviare la durata dei processi in materia, al fine di arrivare ad una sentenza che venga emessa prima dei tempi previsti per la prescrizione;
2) ad assumere iniziative per consentire e favorire l'utilizzo della video registrazione come testimonianza delle vittime in sede di incidente probatorio, per evitare alle donne una ulteriore violenza psicologica causata da testimonianze reiterate durante il percorso giudiziario;
3) ad assumere iniziative per destinare fondi per la formazione specialistica del personale dell'amministrazione della giustizia, dei Corpi di sicurezza statali, del pronto soccorso e del personale sanitario, per affrontare in modo professionale la tutela delle vittime e il contrasto alla violenza di genere;
4) a sostenere una maggiore diffusione del manuale comunitario delle buone pratiche per combattere la violenza contro le donne;
5) a promuovere campagne istituzionali di educazione, sensibilizzazione e informazione sul tema della violenza di genere;
6) a monitorare l'applicazione delle disposizioni vigenti in materia di braccialetto elettronico;
7) a istituire un fondo speciale per il microcredito a favore di start up costituite da vittime di violenza;
8) a rendere noti i risultati del piano 2015-2017, nonché i contenuti e le tempistiche del nuovo piano nazionale contro la violenza sessuale e di genere;
9) a fornire la rendicontazione in formato open data circa le attività finanziate attraverso i fondi della legge 119/2013 che le amministrazioni locali hanno gestito, al fine di monitorare l'impiego delle risorse suddette e valutare l'impatto sociale delle misure adottate.
(1-01736)
(Nuova formulazione) «Galgano, Oliaro, Mucci, Bueno, Monchiero, Mazziotti Di Celso, Menorello, Molea, Quintarelli, Bombassei, Catalano, Vaccaro».


   La Camera,
   premesso che:
    le violenze fisiche, sessuali e psicologiche contro le donne rappresentano un abuso contro i diritti umani;
    l'Agenzia dei diritti fondamentali dell'Unione europea (FRA) ha presentato a Bruxelles il nuovo rapporto sulla violenza contro le donne. Dall'analisi emerge che una donna su tre (il 33 per cento) ha subito violenza fisica e/o violenza sessuale dai 15 anni in su. La percentuale sale al 43 per cento nei casi di violenza psicologica;
    è sconcertante rilevare quanto siano ancora troppo poche le donne che, a seguito di un episodio di violenza, denunciano gli abusi alle autorità competenti. Dal rapporto emerge che solo il 14 per cento ha denunciato alla polizia l'episodio di violenza più grave subito dal partner, percentuale che scende al 13 per cento per i casi in cui l'aggressore non era il partner;
    in Italia, secondo un recente studio dell'Istat sono oltre cento le donne che ogni anno, vengono uccise da uomini. Nel 2016 sono state 120 le vittime di femminicidio e nel 2017 la media è di una vittima ogni tre giorni. Negli ultimi dieci anni le donne uccise sono state circa 1.740, di cui 1.251 (il 71,9 per cento) in famiglia. Inoltre, è stato rilevato che: 3 milioni e 466 mila sono le donne che nell'arco della propria vita hanno subito stalking, ovvero atti persecutori da parte di qualcuno. Di queste: 2 milioni e 151 mila sono le vittime di comportamenti persecutori dell'ex partner. Il dato preoccupante è che il 78 per cento delle donne che ha subito stalking, non si è rivolta ad alcuna istituzione e non ha cercato aiuto;
    da uno studio dell'Istat pubblicato nel giugno del 2015, emerge che sono circa 6 milioni 788 mila le donne che hanno subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Il 20,2 per cento ha subito violenza fisica, il 21 per cento violenza sessuale, il 5,4 per cento forme più gravi di violenza sessuale come stupri e tentati stupri. Sono 652 mila le donne che hanno subito stupri e 746 mila le vittime di tentati stupri;
    dai dati forniti dalla polizia la durezza delle violenze è sempre più grave: aumentano quelle che hanno subito ferite (dal 26,3 per cento al 40,2 per cento da partner) e il numero di donne che hanno temuto per la propria vita (dal 18,8 per cento del 2006 al 34,5 per cento del 2014);
    il 19 giugno 2013 il Parlamento italiano ha approvato, in via definitiva, la legge per la ratifica e l'esecuzione della convenzione del Consiglio d'Europa, nota come Convenzione di Istanbul, contro la violenza sulle donne e la violenza domestica;
    la convenzione di Istanbul pone l'accento su un tema importante, quello della «vittimizzazione secondaria», ovvero la colpevolizzazione della vittima, che consiste nel ritenere chi ha subito una violenza o altre sventure parzialmente o interamente responsabile di ciò che le è accaduto, inducendo la stessa ad autocolpevolizzarsi. Un atteggiamento di «colpevolizzazione» è anche connesso con l'ipotesi che si deve conoscere e accettare una supposta «natura intrinseca»;
    dalle indagini all'eventuale dibattimento si richiedono tempi che spesso non sono assolutamente conciliabili con le esigenze di urgenza legate ad una situazione di violenza. La fase istruttoria dura solitamente due anni e altrettanti ce ne vogliono per avere la sentenza di primo grado. Se si continua in secondo e terzo grado possono essere necessari anche sino a 10 anni e, solo a conclusione di tutto l’iter processuale, l'eventuale sentenza di condanna diventa definitiva e può essere eseguita; sono numerosi gli esempi di casi prescritti come purtroppo accaduto a Torino in un odioso caso di violenza su una bambina di sette anni, procedimento non concluso e prescritto dopo venti anni (già ricordato nella interrogazione a risposta immediata in Assemblea n. 3/02837 del 1 marzo 2017); l'obbligo del braccialetto elettronico per i responsabili di violenze note, già segnalate e denunciate e che abbiano conseguentemente ricevuto un provvedimento di ammonimento, sarebbe un ottimo strumento per tenere sotto controllo chi è indagato o accusato di molestie sulle donne. L'utilizzo di questo dispositivo permetterebbe la costante localizzazione da parte delle forze dell'ordine dei «persecutori»;
    la mancata denuncia del proprio «persecutore» da parte delle donne vittime di violenza di genere è da attribuire anche al fatto di essere spesso la parte economicamente debole;
    in Italia si registra un alto tasso di disoccupazione femminile: secondo un recente studio dell'Istat il tasso di occupazione delle donne (15-64 anni) a giugno 2017 ha raggiunto il 48,8 per cento, dato tra i più bassi in Europa (fonte Eurostat);
    le vittime di violenza di genere hanno il diritto di avere giustizia e poter vivere una vita per quanto sia possibile normale, senza il timore di ritorsioni da parte dei loro aggressori violenti; l'ultimo piano straordinario nazionale contro la violenza sessuale e di genere è stato adottato con decreto del Consiglio dei ministri del 7 luglio 2015 con durata biennale. Attualmente, si è a conoscenza solo di una bozza delle linee strategiche del prossimo piano,

impegna il Governo

1) ad assumere iniziative normative per abbreviare la durata dei processi in materia, al fine di arrivare ad una sentenza che venga emessa prima dei tempi previsti per la prescrizione;
2) ad assicurare il potenziamento delle strutture tecnologiche atte a supportare la diffusa applicazione delle disposizioni normative che hanno introdotto i sistemi protetti di audizione della persona offesa nei procedimenti per reati di violenza di genere;
3) a proseguire nelle iniziative per la formazione specialistica del personale dell'amministrazione della giustizia, dei Corpi di sicurezza statali, del pronto soccorso e del personale sanitario, per affrontare in modo professionale la tutela delle vittime e il contrasto alla violenza di genere;
4) a sostenere una maggiore diffusione del manuale comunitario delle buone pratiche per combattere la violenza contro le donne;
5) a proseguire e rafforzare campagne istituzionali di educazione, sensibilizzazione e informazione sul tema della violenza di genere;
6) a monitorare l'applicazione delle disposizioni vigenti in materia di braccialetto elettronico;
7) ad ampliare l'accessibilità delle donne al settore imprenditoriale anche attraverso forme di incentivazione ed agevolazione giuridiche ed economiche;
8) a rendere noti i risultati del piano 2015-2017, nonché i contenuti e le tempistiche del nuovo piano nazionale contro la violenza sessuale e di genere;
9) a fornire la rendicontazione in formato open data circa le attività finanziate attraverso i fondi della legge 119/2013 che le amministrazioni locali hanno gestito, al fine di monitorare l'impiego delle risorse suddette e valutare l'impatto sociale delle misure adottate.
(1-01736)
(Nuova formulazione) (Testo modificato nel corso della seduta) «Galgano, Oliaro, Mucci, Bueno, Monchiero, Mazziotti Di Celso, Menorello, Molea, Quintarelli, Bombassei, Catalano, Vaccaro».


   La Camera,
   premesso che:
    per quanto la violenza di genere sia un fenomeno sociale drammatico difficile da quantizzare, i dati disponibili ne evidenziano le enormi proporzioni: quasi sette milioni di donne hanno subìto qualche forma di abuso nel corso della loro vita, come violenze domestiche, stalking, stupro, insulto verbale e violazioni della propria sfera intima e personale, che rappresentano spesso tentativi di cancellarne l'identità, di minarne l'indipendenza e la libertà di scelta;
    i numeri del femminicidio, forma estrema del fenomeno, sono inquietanti: negli ultimi 5 anni se ne registrano 774, una media di circa 150 all'anno; in Italia ogni due giorni circa viene uccisa una donna: nel 2016 ci sono stati 120 casi di femminicidio e anche nel 2017, al momento, la media è di una vittima ogni tre giorni; negli ultimi dieci anni le donne uccise in Italia sono state 1.740, di cui 1.251 (il 71,9 per cento) in famiglia;
    l'Italia ha firmato e ratificato la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ovvero la cosiddetta Convenzione di Istanbul, aperta alla firma l'11 maggio del 2011: si tratta del primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza;
    il Parlamento italiano ne ha autorizzato la ratifica con la legge n. 77 del 2013; pertanto la Convenzione è in vigore dal 1o agosto 2014; l'articolo 3 stessa precisa che la violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani ed è una forma di discriminazione contro le donne;
    con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 luglio 2015 è stato adottato il piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, previsto dall'articolo 5 del decreto-legge n. 93 del 14 agosto 2013, convertito dalla legge n. 119 del 2013, con l'obiettivo di disegnare un sistema di politiche pubbliche che integri dal punto di vista degli interventi le previsioni di carattere penale contenuti nella legge;
    il piano, in attuazione della citata Convenzione, rappresenta la presa di coscienza politica del carattere strumentale e antropologico della violenza maschile contro le donne in Italia e mette in luce la connessione che esiste tra discriminazione e violenza in un modello sociale in cui la costruzione dei ruoli corrisponde ancora a rapporti di forza tra uomini e donne;
    per tali finalità la legge n. 119 del 2013 ha stanziato risorse per finanziare progetti territoriali e formazione al fine di dare attuazione agli interventi per la valorizzazione dei progetti territoriali, per la formazione degli operatori impegnati negli interventi, per il sostegno all'emancipazione delle donne maltrattate e alle iniziative di prevenzione culturale della violenza sessuale e di genere, soprattutto sul fronte dell'educazione e del recupero;
    il piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere è scaduto il 17 luglio 2017 e attualmente si è ancora in attesa del nuovo piano, sebbene siano terminati i lavori dei gruppi di esperti creati ad hoc presso il dipartimento per le Pari opportunità;
    tra le finalità del piano nazionale emerge quella di creare e mettere in esercizio una banca dati nazionale e informatizzata, come strumento determinante e completo per lo studio del fenomeno della violenza contro le donne basata sul genere e per la conseguente definizione di azioni e politiche di intervento attraverso il miglioramento della conoscenza di dettaglio, tanto per la tutela delle vittime quanto per la prevenzione e la repressione dei fenomeni stessi, nonché per il monitoraggio dell'incidenza dei suddetti interventi;
    ai sensi della Convenzione, è stato istituito un gruppo di esperti indipendenti sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Group of Experts on Action against Violence against Women and Domestic Violence – Grevio), incaricato di monitorare l'attuazione della stessa da parte degli Stati aderenti; il Grevio è tenuto a pubblicare i report valutativi degli strumenti adottati dalle Parti per attribuire efficacia alle previsioni contenute nella Convenzione;
    l'Italia sarà chiamata alla trasmissione del proprio report nel gennaio 2018; pertanto, a partire da questa data, sulla base della compilazione effettuata, sarà possibile verificare l'efficacia degli strumenti utilizzati per l'attuazione dei precetti contenuti nella Convenzione;
    nel marzo 2016 è stata approvata all'unanimità dal Consiglio d'Europa la risoluzione Systematic collection of data on violence against women, della prima firmataria del presente atto di indirizzo, sulla necessità di creare una banca dati sistematica secondo metodologie omogenee fra paesi; basti pensare che allo stato attuale, nelle banche dati esistenti, non è stato ancora inserito il dato riguardante la relazione fra autore e vittima;
    la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna adottata a livello internazionale nel 1979 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite ed entrata in vigore il 3 settembre 1981, ha istituito un Comitato (Committee on the elimination of discrimination against women – Cedaw) con il compito di verificare lo stato di applicazione delle norme contenute nella Convenzione e che è composto da esperte nel campo dei diritti delle donne, provenienti da 23 Paesi ed elette a scrutinio segreto da una lista di candidature presentate dagli Stati firmatari della Convenzione;
    l'Italia ha ratificato la Cedaw il 10 giugno 1985 e aderito al Protocollo opzionale il 29 ottobre 2002;
    ogni Stato che ratifica la Convenzione, o vi aderisce, ha l'obbligo di presentare al Cedaw dei rapporti periodici in cui vengano illustrate le azioni compiute dallo Stato in questione per dare applicazione alle norme contenute nella suddetta convenzione. Il primo rapporto va presentato entro un anno dalla data di ratifica, e successivamente, i rapporti vanno presentati ogni quattro anni;
    a seguito dell'analisi del rapporto, a carattere quadriennale, presentato a Ginevra dal Governo italiano il 4 luglio 2017, il Cedaw ha pubblicato il «Concluding observations on the seventh periodic report of Italy», datato 21 luglio 2017, nel quale sulla base di diffuse criticità, ha esplicitato le proprie perplessità e indicato le lacune alle quali il Governo italiano dovrà provvedere e rispondere con un nuovo rapporto fra due anni;
    in particolare, il Comitato evidenzia che per l'Italia è necessario rafforzare la consapevolezza delle donne circa i loro diritti ai sensi della Convenzione e i rimedi a loro disposizione per denunciare le violazioni di tali diritti. Allo stesso tempo, si afferma anche che il Governo italiano dovrà impegnarsi a rendere fruibili le informazioni sulla Convenzione, sul protocollo facoltativo e sulle raccomandazioni generali del Comitato a tutte le donne, nessuna esclusa. Dal rapporto si evince che in Italia manca il coordinamento tra le varie componenti regionali e locali e una chiara definizione dei mandati e delle responsabilità. Il Comitato suggerisce di aumentare le risorse assegnate al Dipartimento per le pari opportunità e di istituire un Ministero ad hoc necessario per avviare, coordinare e attuare le politiche di uguaglianza di genere;
    per una più incisiva prevenzione appare fondamentale intervenire nelle scuole, avviando con gli studenti un'attività interdisciplinare che conduca a riflettere sugli stereotipi di genere, a combatterli e a mostrare le continue e distorte costruzioni dei ruoli maschili e femminili. Solo instaurando un dialogo attivo su queste tematiche sarà possibile combattere e superare quei presupposti culturali che alimentano e incentivano la discriminazione tra i sessi e che, se non contrastati, continueranno a crescere;
    pertanto, sarebbe oltremodo auspicabile che sia garantita pari opportunità di educazione, istruzione, cura, relazione e gioco, superando diseguaglianze e barriere nonché ai fini della conciliazione tra tempi di vita, di cura e di lavoro dei genitori, della promozione della qualità dell'offerta educativa e della continuità tra i vari servizi educativi e scolastici e la partecipazione delle famiglie;
    la legge 23 giugno 2017, n. 103, tra le varie misure, reca disposizioni in materia di estinzione del reato per condotte riparatorie e introduce, attraverso l'articolo 162-ter del codice penale, la possibilità per uno stalker di estinguere il suo reato pagando una somma decisa dal giudice anche se la vittima è contraria e rifiuta il denaro;
    il triste fenomeno di violenza sulle donne si radica soprattutto nel contesto familiare, portando con sé, oltre alle drammatiche conseguenze che ormai sono sempre più frequentemente oggetto di cronaca, anche tutta una serie di situazioni paradossali che vedono il reo autore di violenza, anziché essere considerato indegno, in caso di morte della vittima, a mantenere di una serie di benefici economici successori legati allo status di coniuge, anche spesso a discapito dei figli;
    quando si parla di violenza contro le donne, più spesso ci si riferisce alla violenza fisica, sessuale, psicologica, ma si parla poco di una violenza altrettanto diffusa e lesiva quale la violenza economica, che rappresenta una forma di violenza difficilmente riconoscibile e poco denunciata e che ancora prima di radicarsi nell'ambito familiare, comincia nella nostra cultura, dove la donna viene ancora oggi penalizzata da molti punti di vista, compreso il mondo del lavoro, determinando di fatto uno stato di subalternità economica, fisica e psicologica, con tutte le devastanti conseguenze che ne derivano,

impegna il Governo:

1) ad assicurare che i finanziamenti stanziati annualmente siano erogati senza ritardi e vincolati all'assunzione di impegni precisi, all'individuazione delle priorità e alla valutazione dei risultati ottenuti;

2) ad intervenire, con iniziative anche di tipo normativo, per compensare nel breve periodo le gravi lacune, citate in premessa, del sistema italiano evidenziate dal rapporto «Concluding observations on the seventh periodic report of Italy»;

3) a prevedere indicatori per la valutazione, da effettuarsi con cadenza annuale o comunque per ogni ciclo di finanziamento, dell'impatto degli stanziamenti per informare circa le future strategie di intervento, tramite la consultazione delle organizzazioni della società civile e dei centri antiviolenza;

4) a predisporre una sezione all'interno del sito del Dipartimento per le pari opportunità volta a rendere accessibile, in tempi rapidi, la rendicontazione completa delle attività finanziate con i fondi della legge n. 119 del 2013, nella quale le amministrazioni regionali e locali possano caricare direttamente e in autonomia la documentazione rilevante (delibere, risultati bandi, reportistica delle attività svolte da parte dei beneficiari dei fondi e altro), facendo sì che tali informazioni siano disponibili in formato «aperto» (open data);

5) ad aggiornare la mappatura dei centri antiviolenza del Dipartimento per le pari opportunità secondo la reportistica ricevuta da regioni e province autonome, anche al fine di stimare il fabbisogno reale dei centri antiviolenza per la loro sopravvivenza e il loro adeguato funzionamento, informando di conseguenza circa lo stanziamento necessario per assicurare servizi adeguati su tutto il territorio;

6) ad adottare quanto prima il nuovo piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere per il periodo 2017-2020 e renderlo pubblico tempestivamente sul sito del Dipartimento per le pari opportunità, nonché a valutare la ormai improcrastinabile necessità di superare il carattere di straordinarietà del piano stesso a favore di azioni non improntate all'eccezionalità, ma a carattere sistematico;

7) ad inserire nella costituenda banca dati nazionale il dato, citato in premessa, riguardante la relazione fra la vittima e l'autore della violenza;

8) ad assumere iniziative per incoraggiare il settore privato, il settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione e i mass-media, nel rispetto della loro indipendenza e libertà di espressione, a partecipare all'elaborazione e all'attuazione di politiche e alla definizione di linee guida e di norme di autoregolamentazione per prevenire la violenza contro le donne e rafforzare il rispetto della loro dignità, anche promuovendo una comunicazione improntata al pieno rispetto della dignità culturale e professionale delle donne e vietando forme di comunicazione che possano indurre una fuorviante percezione dell'immagine femminile;

9) a predisporre, all'interno del Dipartimento per le pari opportunità, uno strumento efficace e incisivo di segnalazione di materiale sessista che non si limiti esclusivamente all'ambito pubblicitario;

10) ad assumere iniziative per introdurre, nell'ambito delle istituzioni scolastiche, anche contemplando il potenziamento dell'offerta formativa, percorsi e progetti mirati a garantire pari opportunità di educazione, istruzione, cura, relazione e gioco, con il coinvolgimento delle famiglie al fine di superare ogni tipo di disuguaglianza e discriminazione, in tal modo educando le nuove generazioni alla parità di genere e all'affettività;

11) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, finalizzate a rendere obbligatoria una formazione specifica di tutti/e gli/le operatori/operatrici di giustizia (giudici, pubblici ministeri, appartenenti alle forze dell'ordine, operatori/operatrici dei servizi sociali, polizia penitenziaria, personale addetto alle case di accoglienza o case rifugio o comunità) per meglio affrontare e contrastare il dilagante fenomeno della violenza di genere;

12) ad assumere iniziative normative atte ad escludere dall'applicabilità dell'istituto introdotto all'articolo 162-ter del codice penale, relativo all'estinzione del reato per condotte riparatorie, i delitti contro la persona, in particolare al fine di perseguire con il massimo rigore i casi di violenza di genere;

13) ad assumere iniziative normative, in caso di condanna per omicidio aggravato di una donna, finalizzate ad introdurre come pena accessoria la «indegnità» del reo rispetto agli eredi, affinché il giudice penale possa dichiarare il condannato decaduto da ogni diritto ereditario in quanto «indegno a succedere», senza necessità di un'azione civile da parte degli eredi;

14) ad adottare le iniziative legislative, finanziarie o di altro tipo necessarie, nel rispetto dell'articolo 16 della Convenzione di Istanbul, per sostenere programmi di trattamento per la prevenzione della recidiva degli autori di violenza, in particolare per i reati di natura sessuale, anche tramite centri di ascolto coordinati a livello nazionale;

15) considerato che la fragilità sociale è uno dei fattori che maggiormente espone le donne a forme di violenza di genere, a promuoverne fermamente l'autonomia economica e l'inserimento nel mondo del lavoro.
(1-01737) «Spadoni, Nesci, Lorefice, Grillo, Colonnese, Silvia Giordano, Mantero, Baroni, Ciprini, Chimienti, Ferraresi».


   La Camera,
   premesso che:
    per quanto la violenza di genere sia un fenomeno sociale drammatico difficile da quantizzare, i dati disponibili ne evidenziano le enormi proporzioni: quasi sette milioni di donne hanno subìto qualche forma di abuso nel corso della loro vita, come violenze domestiche, stalking, stupro, insulto verbale e violazioni della propria sfera intima e personale, che rappresentano spesso tentativi di cancellarne l'identità, di minarne l'indipendenza e la libertà di scelta;
    i numeri del femminicidio, forma estrema del fenomeno, sono inquietanti: negli ultimi 5 anni se ne registrano 774, una media di circa 150 all'anno; in Italia ogni due giorni circa viene uccisa una donna: nel 2016 ci sono stati 120 casi di femminicidio e anche nel 2017, al momento, la media è di una vittima ogni tre giorni; negli ultimi dieci anni le donne uccise in Italia sono state 1.740, di cui 1.251 (il 71,9 per cento) in famiglia;
    l'Italia ha firmato e ratificato la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ovvero la cosiddetta Convenzione di Istanbul, aperta alla firma l'11 maggio del 2011: si tratta del primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza;
    il Parlamento italiano ne ha autorizzato la ratifica con la legge n. 77 del 2013; pertanto la Convenzione è in vigore dal 1o agosto 2014; l'articolo 3 stessa precisa che la violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani ed è una forma di discriminazione contro le donne;
    con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 luglio 2015 è stato adottato il piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, previsto dall'articolo 5 del decreto-legge n. 93 del 14 agosto 2013, convertito dalla legge n. 119 del 2013, con l'obiettivo di disegnare un sistema di politiche pubbliche che integri dal punto di vista degli interventi le previsioni di carattere penale contenuti nella legge;
    il piano, in attuazione della citata Convenzione, rappresenta la presa di coscienza politica del carattere strumentale e antropologico della violenza maschile contro le donne in Italia e mette in luce la connessione che esiste tra discriminazione e violenza in un modello sociale in cui la costruzione dei ruoli corrisponde ancora a rapporti di forza tra uomini e donne;
    per tali finalità la legge n. 119 del 2013 ha stanziato risorse per finanziare progetti territoriali e formazione al fine di dare attuazione agli interventi per la valorizzazione dei progetti territoriali, per la formazione degli operatori impegnati negli interventi, per il sostegno all'emancipazione delle donne maltrattate e alle iniziative di prevenzione culturale della violenza sessuale e di genere, soprattutto sul fronte dell'educazione e del recupero;
    il piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere è scaduto il 17 luglio 2017 e attualmente si è ancora in attesa del nuovo piano, sebbene siano terminati i lavori dei gruppi di esperti creati ad hoc presso il dipartimento per le Pari opportunità;
    tra le finalità del piano nazionale emerge quella di creare e mettere in esercizio una banca dati nazionale e informatizzata, come strumento determinante e completo per lo studio del fenomeno della violenza contro le donne basata sul genere e per la conseguente definizione di azioni e politiche di intervento attraverso il miglioramento della conoscenza di dettaglio, tanto per la tutela delle vittime quanto per la prevenzione e la repressione dei fenomeni stessi, nonché per il monitoraggio dell'incidenza dei suddetti interventi;
    ai sensi della Convenzione, è stato istituito un gruppo di esperti indipendenti sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Group of Experts on Action against Violence against Women and Domestic Violence – Grevio), incaricato di monitorare l'attuazione della stessa da parte degli Stati aderenti; il Grevio è tenuto a pubblicare i report valutativi degli strumenti adottati dalle Parti per attribuire efficacia alle previsioni contenute nella Convenzione;
    l'Italia sarà chiamata alla trasmissione del proprio report nel gennaio 2018; pertanto, a partire da questa data, sulla base della compilazione effettuata, sarà possibile verificare l'efficacia degli strumenti utilizzati per l'attuazione dei precetti contenuti nella Convenzione;
    nel marzo 2016 è stata approvata all'unanimità dal Consiglio d'Europa la risoluzione Systematic collection of data on violence against women, della prima firmataria del presente atto di indirizzo, sulla necessità di creare una banca dati sistematica secondo metodologie omogenee fra paesi; basti pensare che allo stato attuale, nelle banche dati esistenti, non è stato ancora inserito il dato riguardante la relazione fra autore e vittima;
    la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna adottata a livello internazionale nel 1979 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite ed entrata in vigore il 3 settembre 1981, ha istituito un Comitato (Committee on the elimination of discrimination against women – Cedaw) con il compito di verificare lo stato di applicazione delle norme contenute nella Convenzione e che è composto da esperte nel campo dei diritti delle donne, provenienti da 23 Paesi ed elette a scrutinio segreto da una lista di candidature presentate dagli Stati firmatari della Convenzione;
    l'Italia ha ratificato la Cedaw il 10 giugno 1985 e aderito al Protocollo opzionale il 29 ottobre 2002;
    ogni Stato che ratifica la Convenzione, o vi aderisce, ha l'obbligo di presentare al Cedaw dei rapporti periodici in cui vengano illustrate le azioni compiute dallo Stato in questione per dare applicazione alle norme contenute nella suddetta convenzione. Il primo rapporto va presentato entro un anno dalla data di ratifica, e successivamente, i rapporti vanno presentati ogni quattro anni;
    a seguito dell'analisi del rapporto, a carattere quadriennale, presentato a Ginevra dal Governo italiano il 4 luglio 2017, il Cedaw ha pubblicato il «Concluding observations on the seventh periodic report of Italy», datato 21 luglio 2017, nel quale sulla base di diffuse criticità, ha esplicitato le proprie perplessità e indicato le lacune alle quali il Governo italiano dovrà provvedere e rispondere con un nuovo rapporto fra due anni;
    in particolare, il Comitato evidenzia che per l'Italia è necessario rafforzare la consapevolezza delle donne circa i loro diritti ai sensi della Convenzione e i rimedi a loro disposizione per denunciare le violazioni di tali diritti. Allo stesso tempo, si afferma anche che il Governo italiano dovrà impegnarsi a rendere fruibili le informazioni sulla Convenzione, sul protocollo facoltativo e sulle raccomandazioni generali del Comitato a tutte le donne, nessuna esclusa. Dal rapporto si evince che in Italia manca il coordinamento tra le varie componenti regionali e locali e una chiara definizione dei mandati e delle responsabilità. Il Comitato suggerisce di aumentare le risorse assegnate al Dipartimento per le pari opportunità e di istituire un Ministero ad hoc necessario per avviare, coordinare e attuare le politiche di uguaglianza di genere;
    per una più incisiva prevenzione appare fondamentale intervenire nelle scuole, avviando con gli studenti un'attività interdisciplinare che conduca a riflettere sugli stereotipi di genere, a combatterli e a mostrare le continue e distorte costruzioni dei ruoli maschili e femminili. Solo instaurando un dialogo attivo su queste tematiche sarà possibile combattere e superare quei presupposti culturali che alimentano e incentivano la discriminazione tra i sessi e che, se non contrastati, continueranno a crescere;
    pertanto, sarebbe oltremodo auspicabile che sia garantita pari opportunità di educazione, istruzione, cura, relazione e gioco, superando diseguaglianze e barriere nonché ai fini della conciliazione tra tempi di vita, di cura e di lavoro dei genitori, della promozione della qualità dell'offerta educativa e della continuità tra i vari servizi educativi e scolastici e la partecipazione delle famiglie;
    la legge 23 giugno 2017, n. 103, tra le varie misure, reca disposizioni in materia di estinzione del reato per condotte riparatorie e introduce, attraverso l'articolo 162-ter del codice penale, la possibilità per uno stalker di estinguere il suo reato pagando una somma decisa dal giudice anche se la vittima è contraria e rifiuta il denaro;
    il triste fenomeno di violenza sulle donne si radica soprattutto nel contesto familiare, portando con sé, oltre alle drammatiche conseguenze che ormai sono sempre più frequentemente oggetto di cronaca, anche tutta una serie di situazioni paradossali che vedono il reo autore di violenza, anziché essere considerato indegno, in caso di morte della vittima, a mantenere di una serie di benefici economici successori legati allo status di coniuge, anche spesso a discapito dei figli;
    quando si parla di violenza contro le donne, più spesso ci si riferisce alla violenza fisica, sessuale, psicologica, ma si parla poco di una violenza altrettanto diffusa e lesiva quale la violenza economica, che rappresenta una forma di violenza difficilmente riconoscibile e poco denunciata e che ancora prima di radicarsi nell'ambito familiare, comincia nella nostra cultura, dove la donna viene ancora oggi penalizzata da molti punti di vista, compreso il mondo del lavoro, determinando di fatto uno stato di subalternità economica, fisica e psicologica, con tutte le devastanti conseguenze che ne derivano,

impegna il Governo:

1) ad assicurare che i finanziamenti stanziati annualmente siano erogati senza ritardi e vincolati all'assunzione di impegni precisi, all'individuazione delle priorità e alla valutazione dei risultati ottenuti;

2) ad adottare quanto prima il nuovo piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere per il periodo 2017-2020 e renderlo pubblico tempestivamente sul sito del Dipartimento per le pari opportunità, nonché a valutare la ormai improcrastinabile necessità di superare il carattere di straordinarietà del piano stesso a favore di azioni non improntate all'eccezionalità, ma a carattere sistematico;

3) ad inserire nella costituenda banca dati nazionale il dato, citato in premessa, riguardante la relazione fra la vittima e l'autore della violenza;

4) a proseguire con le iniziative, per quanto di competenza, finalizzate a rendere obbligatoria una formazione specifica di tutti/e gli/le operatori/operatrici di giustizia (giudici, pubblici ministeri, appartenenti alle forze dell'ordine, operatori/operatrici dei servizi sociali, polizia penitenziaria, personale addetto alle case di accoglienza o case rifugio o comunità) per meglio affrontare e contrastare il dilagante fenomeno della violenza di genere;

5) a promuovere l'eliminazione del delitto di cui all'articolo 612-bis del codice penale dal novero dei reati suscettibili di estinzione in seguito a condotte riparatorie ai sensi dell'articolo 162-ter del codice penale;

6) ad adottare le iniziative legislative, finanziarie o di altro tipo necessarie, nel rispetto dell'articolo 16 della Convenzione di Istanbul, per sostenere programmi di trattamento per la prevenzione della recidiva degli autori di violenza, in particolare per i reati di natura sessuale, anche tramite centri di ascolto coordinati a livello nazionale;

7) considerato che la fragilità sociale è uno dei fattori che maggiormente espone le donne a forme di violenza di genere, a promuoverne fermamente l'autonomia economica e l'inserimento nel mondo del lavoro.
(1-01737)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Spadoni, Nesci, Lorefice, Grillo, Colonnese, Silvia Giordano, Mantero, Baroni, Ciprini, Chimienti, Ferraresi».


   La Camera,
   premesso che:
    la violenza contro le donne è la più diffusa forma di violazione di diritti umani nel mondo, e da sempre è connotata da particolari difficoltà sia nella fase della denuncia, e quindi della effettiva quantificazione del fenomeno, sia ai fini della prevenzione che della sanzione;
    solo nel 1993, con la dichiarazione delle Nazioni Unite sull'eliminazione della violenza contro le donne, si ha una prima definizione del fenomeno come «ogni atto di violenza fondata sul genere che provochi un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà»;
    in Italia migliaia di donne ogni anno sono vittime di molestie, maltrattamenti fisici e psichici, aggressioni e persecuzioni, e secondo i dati dell'Istat sono quasi sette milioni le donne che nel corso della propria vita hanno subito una qualche forma di abuso;
    i dati sulle violenze, inoltre, non sono certi, stante la persistente ritrosia di numerosissime vittime a sporgere denuncia contro i proprio aguzzini, che nella stragrande maggioranza sono persone legate a loro da un vincolo familiare o almeno affettivo, e lo scarso numero di denunce sta comportando, in particolar modo negli ultimi anni, un terribile aumento dei femminicidi;
    negli ultimi dieci anni, infatti, le donne uccise in Italia sono state 1.740, di cui 1.251 (il 71,9 per cento) nell'ambito del nucleo familiare, e anche nel 2017 la media è di una vittima ogni tre giorni, un fenomeno che ha oramai assunto le dimensioni di una vera e propria emergenza sociale;
    numerose vittime di femminicidio avevano già denunciato quelli che poi sono diventati i loro assassini ma, ciononostante, non è stato possibile impedire la terribile escalation della loro violenza;
    in questo quadro si inserisce anche il fenomeno dello stalking, spesso prodromico all'aggressione fatale, del quale, sempre secondo l'Istat, sono state oggetto tre milioni e mezzo di donne, due terzi delle quali sono state vittime dei comportamenti persecutori da parte dell'ex partner, ma rispetto al quale esiste ancora un «sommerso» di quasi l'ottanta per cento dei casi;
    l'Italia è stata tra i primi Stati europei a ratificare, con la legge 27 giugno 2013, n. 77, la «Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica», meglio nota come «Convenzione di Istanbul», adottata dal Consiglio d'Europa l'11 maggio 2011 ed entrata in vigore il 1o agosto 2014;
    la Convenzione è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro globale e integrato che consenta la protezione delle donne contro qualsiasi forma di violenza, nonché a prevedere la cooperazione internazionale e il sostegno alle autorità e alle organizzazioni che perseguano tale finalità;
    la Convenzione interviene specificamente anche nell'ambito della violenza domestica, che non colpisce solo le donne, ma anche altri soggetti considerati «deboli», come bambini ed anziani, ai quali si applicano le medesime norme di tutela;
    gli obiettivi della Convenzione sono elencati nel dettaglio dall'articolo 1 del testo: «a) proteggere le donne da ogni forma di violenza e prevenire, perseguire ed eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica; b) contribuire ad eliminare ogni forma di discriminazione contro le donne e promuovere la concreta parità tra i sessi, ivi compreso rafforzando l'autonomia e l'autodeterminazione delle donne; c) predisporre un quadro globale, politiche e misure di protezione e di assistenza a favore di tutte le vittime di violenza contro le donne e di violenza domestica; d) promuovere la cooperazione internazionale al fine di eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica; e) sostenere e assistere le organizzazioni e autorità incaricate dell'applicazione della legge in modo che possano collaborare efficacemente, al fine di adottare un approccio integrato per l'eliminazione della violenza contro le donne e la violenza domestica»;
    con il decreto-legge n. 93 del 14 agosto 2013 sono state introdotte nell'ordinamento norme finalizzate a prevenire e reprimere la violenza domestica e di genere, recependo parzialmente i contenuti della Convenzione di Istanbul;
    in particolare, l'articolo 5 del citato decreto-legge n. 93 del 2013 ha previsto l'adozione di un Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, con lo scopo di contrastare il fenomeno in modo organico e in sinergia con i principali attori coinvolti, sia a livello centrale che territoriale;
    il piano in questione, adottato con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 7 luglio 2015, interveniva in molteplici ambiti: dall'educazione nelle scuole, alla sensibilizzazione dell'opinione pubblica, anche attraverso un'adeguata informazione da parte dei media; dal potenziamento dei centri antiviolenza e del sostegno alle vittime al recupero degli autori dei reati; dalla raccolta di dati statistici alla formazione degli operatori di settore;
    il Piano nazionale d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere è scaduto lo scorso 17 luglio 2017 e, ad oggi, non si è ancora a conoscenza del testo del nuovo Piano, e non sono disponibili dati idonei per verificare se il piano precedente sia stato concretamente efficace;
    in attuazione della Convenzione, inoltre, nel gennaio 2018 l'Italia dovrà trasmettere un report relativo alle misure adottate, che sarà sottoposto al Group of experts on action against violence against women and domestic violence, un gruppo di monitoraggio appositamente istituito dal Consiglio d'Europa, finalizzato al controllo sull'applicazione effettiva della Convenzione da parte degli Stati che hanno deciso di partecipare alla ratifica;
    il 4 luglio 2017, presso la sede delle Nazioni Unite a Ginevra, è stato presentato il Rapporto periodico del Governo italiano al Comitato istituito dalla «Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna» (CEDAW), ratificata dall'Italia il 10 giugno 1985;
    il 21 luglio 2017 il Comitato ha pubblicato le osservazioni conclusive in merito al Rapporto italiano, evidenziando tra l'altro, come le misure economico-finanziarie adottate dallo Stato italiano abbiano avuto un «impatto negativo e sproporzionato sulle donne in tutti i settori della vita», raccomandava che lo stesso: «1) accresca la consapevolezza delle donne con riguardo ai loro diritti nella cornice della Convenzione ed i rimedi nella loro disponibilità per denunciare le violazioni di detti diritti; ed assicuri che le informazioni sulla Convenzione, il Protocollo Opzionale e le Raccomandazioni Generali del Comitato siano fornite a tutte le donne; 2) rafforzi ulteriormente i programmi di formazione e capacity building legale per giudici, pubblici ministeri, avvocati ed altri professionisti con riguardo alla Convenzione, al relativo Protocollo opzionale, alle Raccomandazioni generali del Comitato e ai punti di vista del Comitato per consentire l'adeguata applicazione delle disposizioni della Convenzione e interpretare la legislazione nazionale in linea con la medesima»;
    ad oggi, in Italia, i quotidiani episodi di violenza presenti nelle notizie di cronaca, i dati e i rapporti riferibili al fenomeno, mettono in rilievo come il Governo italiano, nel contrasto alla violenza di genere, sia carente sotto più profili, rendendo necessaria ed urgente l'adozione di idonee ed efficaci azioni a tutela delle donne, per garantirne diritti, dignità, integrità e sicurezza e prevenire ogni forma di violenza di cui potrebbero restare vittime. Allo stesso tempo, vanno intraprese delle importanti iniziative a sostegno delle donne e dei loro stretti familiari, sia da un punto di vista psicologico che legale, nei casi in cui hanno subito dei reati,

impegna il Governo:

1) ad assumere le iniziative di competenza volte ad istituire la figura del Garante nazionale per la tutela dei diritti delle vittime dei reati intenzionali violenti, che, in ogni regione, verifichi in particolare l'istituzione di strutture idonee ad accogliere e sostenere le donne vittime di reati, che hanno subito violenza, garantendo assistenza medica, legale e psicologica;

2) ad intervenire affinché siano superate le criticità messe in rilievo dal Comitato CEDAW del luglio 2017 sulle azioni compiute dallo Stato italiano per dare attuazione alle norme contenute nella Convenzione di Istanbul;

3) ad assumere iniziative normative per la modifica dell'istituto del rito abbreviato, affinché non si possa ricorrere a tale rito per i delitti più gravi come l'omicidio volontario, preterintenzionale o aggravato, il tentato omicidio, nonché per i reati di violenza sessuale, pedofilia, lesioni gravissime e stalking, in particolare al fine di assicurare il massimo rigore nei casi di violenza contro le donne;

4) a individuare e promuovere l'adozione delle modifiche normative necessarie a garantire la speditezza di tutti i procedimenti giudiziari che abbiano ad oggetto atti di violenza sulle donne, al fine di garantire la piena efficacia delle disposizioni vigenti;

5) ad assumere iniziative volte a creare sezioni specializzate presso i competenti uffici giudiziari territoriali allo scopo di definire, entro tempi celeri, le indagini e gli eventuali successivi processi nei confronti degli indagati/imputati per omicidio volontario, preterintenzionale o aggravato, il tentato omicidio, nonché per i reati di violenza sessuale, pedofilia, lesioni gravissime e stalking, in particolare al fine di assicurare la massima efficienza ed efficacia dei procedimenti che riguardino la violenza contro le donne;

6) a promuovere iniziative per la creazione di corsi di formazione specialistica sui reati di violenza contro le donne, destinati agli operatori del diritto (magistrati, avvocati);

7) a disporre un aumento delle risorse finanziarie destinate ai Centri antiviolenza, e a verificare l'adeguata distribuzione sul territorio, l'operatività e l'effettiva fruibilità di tali strutture;

8) a promuovere un maggiore coordinamento tra assistenti sociali, forze dell'ordine, centri antiviolenza e strutture per l'assistenza legale, finalizzato alla realizzazione di un piano di protezione delle vittime di violenza davvero efficace.
(1-01739) «Rizzetto, Rampelli, Cirielli, La Russa, Giorgia Meloni, Murgia, Nastri, Petrenga, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    la violenza contro le donne è la più diffusa forma di violazione di diritti umani nel mondo, e da sempre è connotata da particolari difficoltà sia nella fase della denuncia, e quindi della effettiva quantificazione del fenomeno, sia ai fini della prevenzione che della sanzione;
    solo nel 1993, con la dichiarazione delle Nazioni Unite sull'eliminazione della violenza contro le donne, si ha una prima definizione del fenomeno come «ogni atto di violenza fondata sul genere che provochi un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà»;
    in Italia migliaia di donne ogni anno sono vittime di molestie, maltrattamenti fisici e psichici, aggressioni e persecuzioni, e secondo i dati dell'Istat sono quasi sette milioni le donne che nel corso della propria vita hanno subito una qualche forma di abuso;
    i dati sulle violenze, inoltre, non sono certi, stante la persistente ritrosia di numerosissime vittime a sporgere denuncia contro i proprio aguzzini, che nella stragrande maggioranza sono persone legate a loro da un vincolo familiare o almeno affettivo, e lo scarso numero di denunce sta comportando, in particolar modo negli ultimi anni, un terribile aumento dei femminicidi;
    negli ultimi dieci anni, infatti, le donne uccise in Italia sono state 1.740, di cui 1.251 (il 71,9 per cento) nell'ambito del nucleo familiare, e anche nel 2017 la media è di una vittima ogni tre giorni, un fenomeno che ha oramai assunto le dimensioni di una vera e propria emergenza sociale;
    numerose vittime di femminicidio avevano già denunciato quelli che poi sono diventati i loro assassini ma, ciononostante, non è stato possibile impedire la terribile escalation della loro violenza;
    in questo quadro si inserisce anche il fenomeno dello stalking, spesso prodromico all'aggressione fatale, del quale, sempre secondo l'Istat, sono state oggetto tre milioni e mezzo di donne, due terzi delle quali sono state vittime dei comportamenti persecutori da parte dell'ex partner, ma rispetto al quale esiste ancora un «sommerso» di quasi l'ottanta per cento dei casi;
    l'Italia è stata tra i primi Stati europei a ratificare, con la legge 27 giugno 2013, n. 77, la «Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica», meglio nota come «Convenzione di Istanbul», adottata dal Consiglio d'Europa l'11 maggio 2011 ed entrata in vigore il 1o agosto 2014;
    la Convenzione è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro globale e integrato che consenta la protezione delle donne contro qualsiasi forma di violenza, nonché a prevedere la cooperazione internazionale e il sostegno alle autorità e alle organizzazioni che perseguano tale finalità;
    la Convenzione interviene specificamente anche nell'ambito della violenza domestica, che non colpisce solo le donne, ma anche altri soggetti considerati «deboli», come bambini ed anziani, ai quali si applicano le medesime norme di tutela;
    gli obiettivi della Convenzione sono elencati nel dettaglio dall'articolo 1 del testo: «a) proteggere le donne da ogni forma di violenza e prevenire, perseguire ed eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica; b) contribuire ad eliminare ogni forma di discriminazione contro le donne e promuovere la concreta parità tra i sessi, ivi compreso rafforzando l'autonomia e l'autodeterminazione delle donne; c) predisporre un quadro globale, politiche e misure di protezione e di assistenza a favore di tutte le vittime di violenza contro le donne e di violenza domestica; d) promuovere la cooperazione internazionale al fine di eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica; e) sostenere e assistere le organizzazioni e autorità incaricate dell'applicazione della legge in modo che possano collaborare efficacemente, al fine di adottare un approccio integrato per l'eliminazione della violenza contro le donne e la violenza domestica»;
    con il decreto-legge n. 93 del 14 agosto 2013 sono state introdotte nell'ordinamento norme finalizzate a prevenire e reprimere la violenza domestica e di genere, recependo parzialmente i contenuti della Convenzione di Istanbul;
    in particolare, l'articolo 5 del citato decreto-legge n. 93 del 2013 ha previsto l'adozione di un Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, con lo scopo di contrastare il fenomeno in modo organico e in sinergia con i principali attori coinvolti, sia a livello centrale che territoriale;
    il piano in questione, adottato con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 7 luglio 2015, interveniva in molteplici ambiti: dall'educazione nelle scuole, alla sensibilizzazione dell'opinione pubblica, anche attraverso un'adeguata informazione da parte dei media; dal potenziamento dei centri antiviolenza e del sostegno alle vittime al recupero degli autori dei reati; dalla raccolta di dati statistici alla formazione degli operatori di settore;
    in attuazione della Convenzione, inoltre, nel gennaio 2018 l'Italia dovrà trasmettere un report relativo alle misure adottate, che sarà sottoposto al Group of experts on action against violence against women and domestic violence, un gruppo di monitoraggio appositamente istituito dal Consiglio d'Europa, finalizzato al controllo sull'applicazione effettiva della Convenzione da parte degli Stati che hanno deciso di partecipare alla ratifica;
    il 4 luglio 2017, presso la sede delle Nazioni Unite a Ginevra, è stato presentato il Rapporto periodico del Governo italiano al Comitato istituito dalla «Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna» (CEDAW), ratificata dall'Italia il 10 giugno 1985;
    il 21 luglio 2017 il Comitato ha pubblicato le osservazioni conclusive in merito al Rapporto italiano, evidenziando tra l'altro, come le misure economico-finanziarie adottate dallo Stato italiano abbiano avuto un «impatto negativo e sproporzionato sulle donne in tutti i settori della vita», raccomandava che lo stesso: «1) accresca la consapevolezza delle donne con riguardo ai loro diritti nella cornice della Convenzione ed i rimedi nella loro disponibilità per denunciare le violazioni di detti diritti; ed assicuri che le informazioni sulla Convenzione, il Protocollo Opzionale e le Raccomandazioni Generali del Comitato siano fornite a tutte le donne; 2) rafforzi ulteriormente i programmi di formazione e capacity building legale per giudici, pubblici ministeri, avvocati ed altri professionisti con riguardo alla Convenzione, al relativo Protocollo opzionale, alle Raccomandazioni generali del Comitato e ai punti di vista del Comitato per consentire l'adeguata applicazione delle disposizioni della Convenzione e interpretare la legislazione nazionale in linea con la medesima»,

impegna il Governo:

1) a favorire e sostenere l'adozione delle misure idonee a dare completa attuazione alle prescrizioni del report;

2) a valutare un diverso e più restrittivo assetto della disciplina processuale relativa ai riti alternativi nei casi di reati con la pena dell'ergastolo;

3) monitorare l'applicazione dei criteri e degli strumenti processuali già introdotti nell'ordinamento, volti ad assicurare la celere trattazione e la pronta definizione dei procedimenti e dei processi relativi ai reati di violenza di genere;

4) a promuovere iniziative per la creazione di corsi di formazione specialistica sui reati di violenza contro le donne, destinati agli operatori del diritto (magistrati, avvocati);

5) a disporre un aumento delle risorse finanziarie destinate ai Centri antiviolenza, e a verificare l'adeguata distribuzione sul territorio, l'operatività e l'effettiva fruibilità di tali strutture;

6) a proseguire nell'attività di coordinamento tra assistenti sociali, forze dell'ordine, centri antiviolenza e strutture per l'assistenza legale, finalizzato alla realizzazione di un piano di prote   zione delle vittime di violenza davvero efficace.
(1-01739)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Rizzetto, Rampelli, Cirielli, La Russa, Giorgia Meloni, Murgia, Nastri, Petrenga, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    in un racconto tratto dal libro «Racconti di fantasmi» di Daniel Defoe risalente al 1700, si racconta di un uomo che giornalmente mortificava la moglie con la sua gelosia infondata fino a umiliarla di fronte a chiunque annientando la personalità della vittima, finché la stessa non si rifugerà altrove abbandonando il proprio marito;
    il fenomeno della violenza contro le donne, compresa quella psicologica appena descritta, rappresenta una piaga presente da secoli in tutto il mondo e, nell'ambito europeo, secondo gli studi condotti dal Consiglio d'Europa, il 20-25 per cento delle donne è stato vittima almeno una volta nella vita di violenza fisica;
    non esistono statistiche sicure e pur tenendo conto delle sentenze di condanna per fatti di violenza contro le donne, sarebbe un dato non attendibile, perché sono pochissime le donne che denunciano di aver subito violenza, e ancora meno poi i casi che arrivano a sentenza;
    uno degli ultimi studi risalente al 2014 è una ricerca dell'Istituto di statistica italiano, l'Istat, che ha chiesto ad un campione di 24.761 donne di raccontare se negli anni precedenti avevano subito violenze o molestie con un risultato terribile, dal quale è emerso che «6 milioni 788 mila donne hanno subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, il 31,5 per cento delle donne tra i 16 e i 70 anni: il 20,2 per cento ha subìto violenza fisica, il 21 per cento violenza sessuale, il 5,4 per cento forme più gravi di violenza sessuale come stupri e tentati stupri. Sono 652 mila le donne che hanno subìto stupri e 746 mila le vittime di tentati stupri» e ancora «Le donne subiscono anche molte minacce (12,3 per cento). Spesso sono spintonate o strattonate (11,5 per cento), sono oggetto di schiaffi, calci, pugni e morsi (7,3 per cento). Altre volte sono colpite con oggetti che possono fare male (6,1 per cento)»;
    la forma di violenza più diffusa è quella domestica, mentre all'interno delle comunità il fenomeno è spesso legato alla tradizione (pratiche dannose alla salute, crimini d'onore, matrimoni forzati); mentre i Paesi dell'Europa settentrionale e occidentale hanno già adottato da tempo misure legislative e servizi a sostegno delle vittime, gli Stati meridionali e orientali hanno cominciato solo recentemente a trattare la questione seriamente;
    le forme di violenza più sanzionate sono quella domestica e la tratta di esseri umani, mentre pochi sono i piani d'azione specifici volti a combattere la violenza basata sulla tradizione, le molestie sessuali sul luogo di lavoro e lo stalking;
    sulla base delle considerazioni raccolte, l'11 maggio 2011 il Consiglio d'Europa ha varato la Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e contro la violenza domestica, ratificata finora da 26 Paesi, compresa l'Italia e che rappresenta un passaggio importante, perché è il primo strumento internazionale legalmente vincolante che affronta la questione;
    il testo fornisce un quadro giuridico di riferimento per gli Stati aderenti e affronta gli aspetti fondamentali per combattere il fenomeno della violenza sulle donne attraverso politiche integrate che puntino alla prevenzione, alla protezione delle vittime e alla persecuzione dei colpevoli, oltre a prevedere un programma di monitoraggio, che risulta essenziale per l'efficacia delle strategie adottate;
    dal 2000, inoltre, la Commissione europea ha avviato una serie di programmi denominati «Daphne», con l'obiettivo di definire misure preventive, di supporto e protezione per bambini e donne vittime della violenza;
    il panorama europeo rispetto a quello italiano è senza dubbio più confortante:
     a) in Francia è stata approvata nel 2010 una legge specifica sulla violenza contro le donne, sulla violenza in seno alla coppia e sulle conseguenze che questa può avere sui bambini. Il provvedimento facilita il deposito delle denunce e prevede misure d'urgenza per la vittima, come un'ordinanza di protezione e l'allontanamento del coniuge violento. Il testo include la violenza psicologica e morale come crimine punibile fino a 5 anni di carcere e 75 mila euro di ammenda;
     b) in Spagna già nel 2004 con il Governo Zapatero è stata introdotta una legge contro la violenza di genere, che ha inasprito le pene e adottato misure di protezione d'urgenza e di riabilitazione per le donne maltrattate;
     c) il Portogallo ha adottato una legge specifica sulla violenza contro le donne;
     d) Paesi come Austria, Svizzera, Bulgaria, Norvegia, Svezia e Slovacchia hanno introdotto provvedimenti in materia di protezione, assistenza e supporto delle vittime;
    in Italia sono state introdotte misure legislative contro la violenza sessuale, domestica e contro lo stalking, ma manca ancora una legge specifica sulla violenza alle donne, come osservato anche da Rashida Manjoo, Special Rapporteur delle Nazioni Unite;
    la direttiva europea 2004/80/CE, inoltre, prevede che lo Stato risarcisca le vittime di tutti i reati dolosi qualora i colpevoli non siano in grado di farlo e il nostro Paese è l'unico inadempiente. Nel 2009 il Comitato Cedaw, dopo aver letto il rapporto «Ombra», ha criticato l'inadeguatezza delle politiche italiane di contrasto alla violenza di genere, nonostante la firma alla Convenzione di Istanbul la strada da fare è ancora lunga;
    i dati preoccupanti sul femminicidio in Italia hanno spinto un gruppo di donne di varie organizzazioni non governative e centri antiviolenza a lavorare al testo di una proposta di legge di contrasto a tale fenomeno, ma per il momento non sono ancora state ascoltate dalle istituzioni;
    le campagne elettorali di molte liste che si presenteranno alle prossime elezioni promettono provvedimenti concreti per contrastare la violenza di genere e si può soltanto sperare che si tratti di impegni che verranno rispettati;
    sarebbe opportuno diffondere una cultura delle pari opportunità nel mondo studentesco, avendo il coraggio di affrontare anche il fenomeno della «violenza rosa», del «bullismo rosa», della violenza nelle coppie, offrendo una visione più ampia del fenomeno della violenza;
    bisognerebbe ridurre al minimo ogni forma di discriminazione di genere nel mondo del lavoro, anche attraverso una maggiore valorizzazione del/della figura del Consigliere/a di parità al fine di rafforzarne il ruolo;
    è necessario incrementare la spinta verso una maggior condivisione dei compiti familiari e di cura che variano nel corso della vita (anche aumentando il congedo di paternità obbligatorio), promuovendo misure atte a modernizzare il mondo del lavoro attraverso forme innovative di organizzazione dei luoghi di lavoro bilanciando le esigenze di entrambi i generi di trovare un equilibrio tra vita privata e quella professionale, con gli obiettivi di produttività delle imprese;
    per stare al passo anche con gli altri Paesi europei bisognerebbe incrementare le tutele per le donne in gravidanza inasprendo le pene per chi licenzia una donna in stato interessante magari introducendo il divieto di licenziare o sospendere la neo «mamma» dall'inizio del periodo di gravidanza fino al compimento dei 3 anni di età del bambino;
    nel nostro Paese non esiste il reato di alienazione genitoriale che sarebbe necessario prevedere al fine di supportare e tutelare i bambini nelle coppie etero e omosessuali (lesbiche) in caso di separazioni conflittuali,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per dare piena attuazione alla Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e contro la violenza domestica;

2) a valutare l'opportunità di dare piena attuazione ai programmi denominati «Daphne», con l'obiettivo di definire misure preventive, di supporto e protezione per donne vittime della violenza;

3) ad assumere iniziative per definire al più presto una legge specifica sulla violenza alle donne;

4) a valutare la possibilità di assumere iniziative per istituire un Fondo per il risarcimento alle vittime di tutti i reati dolosi contro le donne, qualora i colpevoli non siano in grado di provvedervi;

5) ad assumere iniziative al fine di rafforzare le politiche italiane di contrasto alla violenza di genere, come previsto dalla Convenzione di Istanbul;

6) a valutare la possibilità di assumere iniziative normative che tengano conto dell'impegno profuso dalle donne di varie organizzazioni non governative e centri antiviolenza che hanno lavorato alla stesura di una bozza di proposta di legge di contrasto al femminicidio;

7) ad assumere iniziative atte a diffondere una cultura diffusa di pari opportunità nel mondo studentesco, avendo il coraggio di affrontare anche il fenomeno della «violenza rosa», del «bullismo rosa» e della violenza nelle coppie, offrendo una visione più ampia del fenomeno della violenza;

8) a valutare la possibilità di assumere iniziative per inasprire le pene per il cosiddetto reato di stalking giudiziario al fine di tutelare le vere vittime di violenza.
(1-01740) «Bechis, Artini, Baldassarre, Segoni, Turco, Cristian Iannuzzi, Prodani, Nesi, Pisicchio».


   La Camera,
   premesso che:
    in un racconto tratto dal libro «Racconti di fantasmi» di Daniel Defoe risalente al 1700, si racconta di un uomo che giornalmente mortificava la moglie con la sua gelosia infondata fino a umiliarla di fronte a chiunque annientando la personalità della vittima, finché la stessa non si rifugerà altrove abbandonando il proprio marito;
    il fenomeno della violenza contro le donne, compresa quella psicologica appena descritta, rappresenta una piaga presente da secoli in tutto il mondo e, nell'ambito europeo, secondo gli studi condotti dal Consiglio d'Europa, il 20-25 per cento delle donne è stato vittima almeno una volta nella vita di violenza fisica;
    non esistono statistiche sicure e pur tenendo conto delle sentenze di condanna per fatti di violenza contro le donne, sarebbe un dato non attendibile, perché sono pochissime le donne che denunciano di aver subito violenza, e ancora meno poi i casi che arrivano a sentenza;
    uno degli ultimi studi risalente al 2014 è una ricerca dell'Istituto di statistica italiano, l'Istat, che ha chiesto ad un campione di 24.761 donne di raccontare se negli anni precedenti avevano subito violenze o molestie con un risultato terribile, dal quale è emerso che «6 milioni 788 mila donne hanno subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, il 31,5 per cento delle donne tra i 16 e i 70 anni: il 20,2 per cento ha subìto violenza fisica, il 21 per cento violenza sessuale, il 5,4 per cento forme più gravi di violenza sessuale come stupri e tentati stupri. Sono 652 mila le donne che hanno subìto stupri e 746 mila le vittime di tentati stupri» e ancora «Le donne subiscono anche molte minacce (12,3 per cento). Spesso sono spintonate o strattonate (11,5 per cento), sono oggetto di schiaffi, calci, pugni e morsi (7,3 per cento). Altre volte sono colpite con oggetti che possono fare male (6,1 per cento)»;
    la forma di violenza più diffusa è quella domestica, mentre all'interno delle comunità il fenomeno è spesso legato alla tradizione (pratiche dannose alla salute, crimini d'onore, matrimoni forzati); mentre i Paesi dell'Europa settentrionale e occidentale hanno già adottato da tempo misure legislative e servizi a sostegno delle vittime, gli Stati meridionali e orientali hanno cominciato solo recentemente a trattare la questione seriamente;
    le forme di violenza più sanzionate sono quella domestica e la tratta di esseri umani, mentre pochi sono i piani d'azione specifici volti a combattere la violenza basata sulla tradizione, le molestie sessuali sul luogo di lavoro e lo stalking;
    sulla base delle considerazioni raccolte, l'11 maggio 2011 il Consiglio d'Europa ha varato la Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e contro la violenza domestica, ratificata finora da 26 Paesi, compresa l'Italia e che rappresenta un passaggio importante, perché è il primo strumento internazionale legalmente vincolante che affronta la questione;
    il testo fornisce un quadro giuridico di riferimento per gli Stati aderenti e affronta gli aspetti fondamentali per combattere il fenomeno della violenza sulle donne attraverso politiche integrate che puntino alla prevenzione, alla protezione delle vittime e alla persecuzione dei colpevoli, oltre a prevedere un programma di monitoraggio, che risulta essenziale per l'efficacia delle strategie adottate;
    dal 2000, inoltre, la Commissione europea ha avviato una serie di programmi denominati «Daphne», con l'obiettivo di definire misure preventive, di supporto e protezione per bambini e donne vittime della violenza;
    il panorama europeo rispetto a quello italiano è senza dubbio più confortante:
     a) in Francia è stata approvata nel 2010 una legge specifica sulla violenza contro le donne, sulla violenza in seno alla coppia e sulle conseguenze che questa può avere sui bambini. Il provvedimento facilita il deposito delle denunce e prevede misure d'urgenza per la vittima, come un'ordinanza di protezione e l'allontanamento del coniuge violento. Il testo include la violenza psicologica e morale come crimine punibile fino a 5 anni di carcere e 75 mila euro di ammenda;
     b) in Spagna già nel 2004 con il Governo Zapatero è stata introdotta una legge contro la violenza di genere, che ha inasprito le pene e adottato misure di protezione d'urgenza e di riabilitazione per le donne maltrattate;
     c) il Portogallo ha adottato una legge specifica sulla violenza contro le donne;
     d) Paesi come Austria, Svizzera, Bulgaria, Norvegia, Svezia e Slovacchia hanno introdotto provvedimenti in materia di protezione, assistenza e supporto delle vittime;

impegna il Governo:

1) a proseguire nelle iniziative per dare piena attuazione alla Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e contro la violenza domestica;

2) a proseguire nell'attuazione dei programmi denominati «Daphne», con l'obiettivo di definire misure preventive, di supporto e protezione per donne vittime della violenza;

3) a potenziare il sistema di ristoro delle vittime di violenza, secondo le risorse rese disponibili allo scopo;

4) a proseguire con le iniziative al fine di rafforzare le politiche italiane di contrasto alla violenza di genere, come previsto dalla Convenzione di Istanbul;

5) a valutare la possibilità di assumere iniziative normative che tengano conto dell'impegno profuso dalle donne di varie organizzazioni non governative e centri antiviolenza che hanno lavorato alla stesura di una bozza di proposta di legge di contrasto al femminicidio;

6) a proseguire nelle iniziative destinate a diffondere, presso gli studenti, una cultura dell'affettività che ripudi ogni forma di discriminazione e violenza di genere, anche in relazione all'utilizzo dei social media e di internet;
(1-01740)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Bechis, Artini, Baldassarre, Segoni, Turco, Cristian Iannuzzi, Prodani, Nesi, Pisicchio».


   La Camera,
   premesso che:
    la violenza maschile contro le donne rappresenta una violazione dei diritti umani fondamentali;
    non si può relegare tale violenza nella sfera privata o familiare poiché investe al contrario direttamente la responsabilità pubblica;
    la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e sulla lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (la cosiddetta «Convenzione di Istanbul»), approvata dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa il 7 aprile 2011, ha introdotto un nuovo paradigma nel definire la violenza contro le donne e ha dato impulso a politiche pubbliche di contrasto della stessa. In particolare ha fatto emergere la correlazione tra l'assenza della parità di genere e il fenomeno della violenza e la necessità di politiche antidiscriminatorie che favoriscano l'effettiva parità fra i sessi al pari di misure atte alla prevenzione e al contrasto alla violenza;
    la violenza maschile contro le donne chiama in causa la relazione tra donne e uomini e dunque la necessità di un lavoro educativo che cominci nelle scuole per promuovere il rispetto dei ragazzi nei confronti delle persone e della libertà delle donne;
    come mostrano i dati valutati a livello internazionale, non presenta più un tratto solo «emergenziale», ma si configura piuttosto più come un fenomeno strutturale;
    in ragione di questa presa d'atto per contrastarla in modo efficace sono necessarie misure sistematiche e coordinate; occorre agire quindi su diversi piani con forza e sinergia: sul piano della prevenzione, sul piano della repressione, sul piano della formazione, su quello dell'accesso al mondo del lavoro, sul piano culturale ed educativo a tutti i livelli, senza stabilire una vera e propria gerarchia ma piuttosto un'azione sinergica tra i diversi livelli;
    le statistiche mostrano che «le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner, parenti o amici»: nel 62,7 per cento dei casi gli stupri dichiarati sono stati commessi da partner, nel 3,6 per cento da parenti e nel 9,4 per cento da amici, un'evoluzione confermata anche per quel che riguarda le violenze fisiche come schiaffi, calci, pugni e morsi, mentre gli sconosciuti sono autori soprattutto di molestie sessuali;
    negli ultimi dieci anni le donne uccise in Italia sono state 1.740, di cui 1.251 (il 71,9 per cento) in famiglia. Gli omicidi in ambito familiare secondo le forze dell'ordine, appaiono in lieve ma costante calo: 117 nel 2014, 111 nel 2015, 108 nel 2016. Ma poiché il dato complessivo degli omicidi è in progressivo calo da diversi anni mentre il dato relativo ai femminicidi resta sostanzialmente costante, si registra una maggiore incidenza dei delitti contro le donne e in particolare in ambito familiare;
    nel corso di questa legislatura è stato portato avanti un lavoro intenso e sistematico, non a caso il primo atto della legislatura è stata la Ratifica della Convenzione d'Istanbul che ha sanato un vulnus lasciato aperto nel corso della scorsa legislatura; la convenzione approvata ad Istanbul l'11 maggio 2011 ha rappresentato il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante;
    in attuazione dell'articolo 5 della Convenzione, con il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93 convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 15 ottobre 2013, n. 119 – si è proceduto alla definizione di un Piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere. Il Piano è stato adottato con Decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri nel luglio 2015 e registrato dalla Corte dei Conti il 25 agosto 2015;
    nel piano per la realizzazione delle azioni individuate nel documento programmatico si prevede uno stanziamento complessivo di risorse finanziarie pari a 38.127.353 milioni di euro, e vengono stabilite specifiche linee di azione e di intervento con specifici stanziamenti;
    in particolare sono stati previsti interventi volti a finanziare la formazione di coloro che prestano soccorso e assistenza alle donne; l'inserimento lavorativo delle donne vittime di violenza; l'autonomia abitativa alle donne vittime di violenza e l'implementazione dei sistemi informativi utili ai fini della Banca dati nazionale dedicata al fenomeno della violenza che viene istituita, le azioni afferenti l'ambito di intervento della prevenzione del fenomeno attraverso gli strumenti della comunicazione, dell'educazione e della formazione; la realizzazione di progetti volti a sviluppare la rete di sostegno alle donne e ai loro figli attraverso il rafforzamento dei servizi territoriali, dei centri antiviolenza e dei servizi di assistenza, prevenzione e contrasto del fenomeno;
    la Sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio, Sesa Amici, in risposta ad un question time in commissione affari costituzionali alla Camera, ha ricordato inoltre, che la scorsa legge di bilancio ha incrementato, nella misura di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017, 2018 e 2019 lo stanziamento destinato al finanziamento delle azioni per i centri antiviolenza e le case-rifugio, la cui dotazione ammontava a 10 milioni di euro annui, nonché che, nel marzo 2016 è stato emanato dal Dipartimento per le pari opportunità un Avviso pubblico per il potenziamento delle attività sopra citate che ha messo a disposizione ulteriori 12 milioni di euro;
    sulla scorta delle indicazioni e dei principi della Convenzione la legge n. 119 del 2013 ha, per la prima volta definito con chiarezza la centralità e la peculiarità della violenza compiuta entro le mura domestiche da chi ha vincoli familiari o affettivi con la persona colpita; ha inoltre introdotto profonde modifiche processuali a tutela della vittima e introdotto misure di sostegno per le donne e i minori coinvolti nella fase processuale- modalità protette per le testimonianze, gratuito patrocinio, dovere di comunicazione del giudice rispetto alle modifiche delle misure cautelari, processi più rapidi e l'estensione del permesso di soggiorno alle donne straniere vittime di violenza domestica slegato dal permesso del marito, irrevocabilità della querela per le situazioni particolarmente gravi di stalking;
    per quanto riguarda la dotazione di strumenti «repressivi», di particolare rilievo appare l'introduzione di un'aggravante per gravi delitti violenti da applicare in caso di «violenza assistita», e cioè avvenuta in presenza di minori, con particolare riferimento al regime della querela di parte che è diventata irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate e aggravate. In tutti gli altri casi la remissione potrà avvenire soltanto in sede processuale, ma il delitto resta perseguibile d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità;
    si è agito, inoltre, introducendo importanti misure di prevenzione, quali l'ammonimento del questore anche per condotte di violenza domestica, sulla falsariga di quanto già previsto per il reato di stalking, e l'allontanamento – anche d'urgenza – dalla casa familiare e l'arresto obbligatorio in flagranza dell'autore delle violenze;
    si è cercato di agire per migliorare l'interazione tra chi subisce violenza e le autorità. Inoltre, i reati di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e stalking sono stati inseriti tra quelli che hanno priorità assoluta nella formazione dei ruoli d'udienza, ed è stato esteso il gratuito patrocinio. Il decreto legislativo n. 212 del 15 dicembre 2015, in vigore dal 20 gennaio 2016, ha istituito un fondo destinato al ristoro patrimoniale delle vittime di reati intenzionali violenti; la legge di bilancio 2017 ha inoltre destinato all'indennizzo delle vittime dei reati intenzionali violenti contro la persona le somme dovute a titolo di sanzione pecuniaria civile;
    sono stati siglati due protocolli, uno con l'Arma dei carabinieri, per la formazione che l'Arma stessa deve fare non soltanto al proprio interno ma anche alle operatrici e agli operatori del numero 1522, e un protocollo con la polizia di Stato, che riguarda invece più la formazione proprio di funzionari della Polizia di Stato sul tema del contrasto alla violenza di genere;
    il Governo ha avviato nell'ambito del piano anche protocolli per progetti di recupero degli uomini maltrattanti, progetti molto utili in un'ottica di prevenzione della recidiva;
    occorre poi proseguire e concretizzare alcune misure già approvate con la definizione delle linee guida, previste dall'articolo 1, commi 790 e 791, della legge n. 208 del 28 dicembre 2015 per rendere operativo a livello nazionale il percorso di protezione denominato «Percorso di tutela delle vittime di violenza», con la finalità di tutelare le persone vulnerabili vittime dell'altrui violenza, con particolare riferimento alle vittime di violenza sessuale, maltrattamenti o atti persecutori (stalking); un percorso che ha già trovato attuazione in alcune regioni del nostro Paese, attestandosi come una «buona pratica» riconosciuta a livello internazionale nel contrasto e nella prevenzione della violenza di genere;
    altrettanto rilevanti appaiono le misure contenute nel disegno di legge, recentemente approvato dalla Camera – e ora, si auspica fortemente, in via di approvazione al Senato, che per la prima volta definisce supporto e tutela per gli orfani di femminicidio; il provvedimento contiene inoltre una modifica del codice penale che equipara l'omicidio del coniuge agli altri omicidi familiari;
    la prevenzione non può che partire dalla scuola. Un segnale importante in questo senso è rappresentato dai 5 milioni di euro che sono stati messi a bando e che sono già stati erogati per finanziamenti di progetti nelle scuole, proprio nell'ottica della formazione e dell'educazione al contrasto ad ogni forma di discriminazione di genere e di violenza di genere, poiché risulta evidente come l'educazione alla parità tra i sessi e al rispetto delle differenze, sia lo strumento fondamentale per la prevenzione della violenza contro le donne;
    la scuola, dunque, deve mettere in campo gli strumenti necessari per valorizzare le differenze ed educare i giovani alla cultura del rispetto e, proprio in questo senso, essa deve fornire strumenti e metodologie per il superamento di pregiudizi e stereotipi e per attivare tutti gli interventi di prevenzione, informazione e sensibilizzazione. In questo senso il comma 16 della legge n. 107 del 2015 stabilisce che: «il piano triennale dell'offerta formativa assicura l'attuazione dei principi di pari opportunità, promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l'educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119»;
    tale comma dà attuazione ai principi fondamentali di pari dignità e non discriminazione di cui all'articolo 2 e, soprattutto all'articolo 3 della Costituzione italiana, principi che trovano espressione e completamento in altri precetti costituzionali e nei valori costitutivi del diritto costituzionale ed europeo che proibisce la discriminazione per ragioni connesse anche al genere. La discriminazione passa anche attraverso il linguaggio. Il progetto «Polite – Pari Opportunità nei libri di testo», ha prodotto un codice di «autoregolamentazione» e due vademecum, con l'obiettivo di riqualificare i materiali didattici in vista di una maggiore attenzione all'identità di genere e alla cultura delle pari opportunità, fornendo una rappresentazione equilibrata delle differenze e promuovendo la formazione verso una cultura della differenza di genere;
    il decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, di attuazione della legge n. 183 del 2014 (cosiddetto Jobs Act), sui temi di conciliazione lavoro-vita privata ha introdotto il congedo per le donne vittime di violenza di genere che intraprendono percorsi di protezione. Le lavoratrici dipendenti del pubblico e del privato e anche le lavoratrici autonome che subiscono violenza, per motivi legati allo svolgimento di tali percorsi, hanno diritto ad astenersi dal lavoro per un periodo di tre mesi, anche non continuativo, interamente retribuito. È inoltre prevista la possibilità di trasformare il rapporto di lavoro da tempo pieno a part-time, nonché l'opportunità di trasformarlo nuovamente, a seconda delle esigenze della lavoratrice, in rapporto di lavoro a tempo pieno, nonché la facoltà, per le collaboratrici a progetto di sospendere il rapporto contrattuale per motivi connessi allo svolgimento dei suddetti percorsi di protezione: in questo modo la violenza di genere esce dalla specificità e settorialità a cui è solitamente relegata per contaminare altre politiche a partire dalla disciplina che regola i rapporti di lavoro;
    si ricorda poi che nel mese di gennaio 2017 è stata istituita la Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio nonché su ogni forma di violenza di genere;
    il Senato sta, inoltre, fattivamente lavorando, per escludere definitivamente il reato di stalking di cui all'articolo 612-bis da ogni forma di giustizia riparativa; importante anche il risultato che nell'ambito del G7 la presidenza italiana ha raggiunto nelle conclusioni condivise dai leader a Taormina in materia di road map sulla parità di genere e su una netta presa di posizione per il contrasto alla violenza sulle donne che prelude ad un'ipotesi di lavoro condiviso tra i Paesi del G7;
    questo lungo excursus, è parso utile a dimostrare che moltissimo è stato fatto, ma che la strada per sconfiggere definitivamente e culturalmente il fenomeno della violenza contro le donne è ancora lunga,

impegna il Governo:

1) a mettere in campo tutte le misure necessarie al fine di mettere in rete e rendere efficiente il complesso sistema di strumenti e di tutele che sono già stati predisposti dal legislatore, al fine di renderli effettivamente conosciuti e soprattutto accessibili a tutte le donne, con la finalità di far emergere, per mezzo della denuncia, le violenze subite, anche attraverso la eventuale predisposizione di protocolli o linee guida che rendano omogenea su tutto il territorio nazionale l'azione preventiva, repressiva e di sostegno della vittima da parte di tutti gli attori istituzionali coinvolti;

2) poiché la protezione delle vittime passa necessariamente per un efficace e tempestivo intervento, a promuovere un facile accesso alle informazioni sui propri diritti, un adeguato sostegno psicologico e una tutela pregnante della riservatezza e della dignità della persona, e, nel contempo, la creazione e l'efficientamento di strutture e servizi specializzati di sostegno, quali i centri antiviolenza e presidi di prossimità;

3) a dare piena attuazione alla Convenzione di Istanbul in tema di prevenzione della violenza medesima, con la finalità ulteriore (che ne rappresenta anche uno dei presupposti) del raggiungimento di una piena uguaglianza di genere, tramite azioni che rafforzino l'autonomia delle donne e il loro accesso al lavoro;

4) a rafforzare la prevenzione attraverso l'educazione, in particolare dando piena attuazione al comma 16 dell'articolo 1, della legge n. 107 del 2015, e quindi attuando e diffondendo quanto più possibile le linee guida nazionali in via di presentazione da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;

5) a rafforzare la prevenzione attraverso la predisposizione di un piano prioritario di formazione del personale scolastico ed in particolare dei docenti;

6) a favorire la piena attuazione del  codice Polite – Pari opportunità nei libri di testo;

7) ad adottare iniziative volte all'eliminazione delle discriminazioni linguistiche negli atti normativi e amministrativi, nonché alla revisione linguistica della legislazione relativa alla violenza di genere;

8) ad assumere iniziative per rendere operativo su tutto il territorio nazionale il percorso di protezione denominato «Percorso di tutela delle vittime di violenza»;

9) ad assumere, nell'ambito delle sue competenze, le iniziative necessarie per arrivare ad escludere definitivamente il reato di stalking di cui all'articolo 612-bis da ogni forma di giustizia riparativa;

10) nelle more dell'approvazione del provvedimento in materia attualmente all'esame del Senato, ad adottare ogni iniziativa utile al sostegno e alla tutela degli orfani di femminicidio e di crimini domestici;

11) a monitorare e vigilare sulla efficacia e sulla applicazione delle misure introdotte, al fine di renderle effettivamente operative in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale, quali ad esempio alcune importanti misure di prevenzione, come ad esempio l'ammonimento, gli ordini di protezione;

12) ad assumere iniziative per investire risorse adeguate per la formazione specifica adeguata ed aggiornata del personale chiamato ad interagire con la vittima, di polizia e carabinieri, magistrati e personale della giustizia e personale sanitario, anche nell'ambito di specifiche provviste finanziarie destinate alla violenza di genere;

13) a giungere al più presto all'approvazione definitiva del piano, nonché a promuovere in sede internazionale l'impegno dell'Italia affinché tutti i Paesi del G7 arrivino ad adottare un piano nazionale contro la violenza di genere.
(1-01742) «Di Salvo, Gebhard, Scopelliti, Fregolent, Rosato, Mauri, Grassi, Gribaudo, Martella, Morani, Marco Di Maio, Cinzia Maria Fontana, Bini, Garavini, Giorgis, Giuseppe Guerini, Pollastrini, Marantelli, Giuliani, Fabbri, Amoddio, Bazoli, Berretta, Campana, Di Lello, Ermini, Ferranti, Greco, Iori, Magorno, Mattiello, Giuditta Pini, Rossomando, Tartaglione, Vazio, Verini, Zan, Amato, Argentin, Paola Boldrini, Paola Bragantini, Carnevali, D'Incecco, Lenzi, Mariano, Miotto, Piazzoni, Piccione, Sbrollini, Gnecchi, Malpezzi, Coscia, Malisani, Sgambato, Ventricelli, Carocci, Rocchi, Coccia, Ascani, Bruno Bossio, Cenni».


   La Camera,
   premesso che:
    la violenza maschile contro le donne rappresenta una violazione dei diritti umani fondamentali;
    non si può relegare tale violenza nella sfera privata o familiare poiché investe al contrario direttamente la responsabilità pubblica;
    la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e sulla lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (la cosiddetta «Convenzione di Istanbul»), approvata dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa il 7 aprile 2011, ha introdotto un nuovo paradigma nel definire la violenza contro le donne e ha dato impulso a politiche pubbliche di contrasto della stessa. In particolare ha fatto emergere la correlazione tra l'assenza della parità di genere e il fenomeno della violenza e la necessità di politiche antidiscriminatorie che favoriscano l'effettiva parità fra i sessi al pari di misure atte alla prevenzione e al contrasto alla violenza;
    la violenza maschile contro le donne chiama in causa la relazione tra donne e uomini e dunque la necessità di un lavoro educativo che cominci nelle scuole per promuovere il rispetto dei ragazzi nei confronti delle persone e della libertà delle donne;
    come mostrano i dati valutati a livello internazionale, non presenta più un tratto solo «emergenziale», ma si configura piuttosto più come un fenomeno strutturale;
    in ragione di questa presa d'atto per contrastarla in modo efficace sono necessarie misure sistematiche e coordinate; occorre agire quindi su diversi piani con forza e sinergia: sul piano della prevenzione, sul piano della repressione, sul piano della formazione, su quello dell'accesso al mondo del lavoro, sul piano culturale ed educativo a tutti i livelli, senza stabilire una vera e propria gerarchia ma piuttosto un'azione sinergica tra i diversi livelli;
    le statistiche mostrano che «le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner, parenti o amici»: nel 62,7 per cento dei casi gli stupri dichiarati sono stati commessi da partner, nel 3,6 per cento da parenti e nel 9,4 per cento da amici, un'evoluzione confermata anche per quel che riguarda le violenze fisiche come schiaffi, calci, pugni e morsi, mentre gli sconosciuti sono autori soprattutto di molestie sessuali;
    negli ultimi dieci anni le donne uccise in Italia sono state 1.740, di cui 1.251 (il 71,9 per cento) in famiglia. Gli omicidi in ambito familiare secondo le forze dell'ordine, appaiono in lieve ma costante calo: 117 nel 2014, 111 nel 2015, 108 nel 2016. Ma poiché il dato complessivo degli omicidi è in progressivo calo da diversi anni mentre il dato relativo ai femminicidi resta sostanzialmente costante, si registra una maggiore incidenza dei delitti contro le donne e in particolare in ambito familiare;
    nel corso di questa legislatura è stato portato avanti un lavoro intenso e sistematico, non a caso il primo atto della legislatura è stata la Ratifica della Convenzione d'Istanbul che ha sanato un vulnus lasciato aperto nel corso della scorsa legislatura; la convenzione approvata ad Istanbul l'11 maggio 2011 ha rappresentato il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante;
    in attuazione dell'articolo 5 della Convenzione, con il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93 convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 15 ottobre 2013, n. 119 – si è proceduto alla definizione di un Piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere. Il Piano è stato adottato con Decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri nel luglio 2015 e registrato dalla Corte dei Conti il 25 agosto 2015;
    nel piano per la realizzazione delle azioni individuate nel documento programmatico si prevede uno stanziamento complessivo di risorse finanziarie pari a 38.127.353 milioni di euro, e vengono stabilite specifiche linee di azione e di intervento con specifici stanziamenti;
    in particolare sono stati previsti interventi volti a finanziare la formazione di coloro che prestano soccorso e assistenza alle donne; l'inserimento lavorativo delle donne vittime di violenza; l'autonomia abitativa alle donne vittime di violenza e l'implementazione dei sistemi informativi utili ai fini della Banca dati nazionale dedicata al fenomeno della violenza che viene istituita, le azioni afferenti l'ambito di intervento della prevenzione del fenomeno attraverso gli strumenti della comunicazione, dell'educazione e della formazione; la realizzazione di progetti volti a sviluppare la rete di sostegno alle donne e ai loro figli attraverso il rafforzamento dei servizi territoriali, dei centri antiviolenza e dei servizi di assistenza, prevenzione e contrasto del fenomeno;
    la Sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio, Sesa Amici, in risposta ad un question time in commissione affari costituzionali alla Camera, ha ricordato inoltre, che la scorsa legge di bilancio ha incrementato, nella misura di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017, 2018 e 2019 lo stanziamento destinato al finanziamento delle azioni per i centri antiviolenza e le case-rifugio, la cui dotazione ammontava a 10 milioni di euro annui, nonché che, nel marzo 2016 è stato emanato dal Dipartimento per le pari opportunità un Avviso pubblico per il potenziamento delle attività sopra citate che ha messo a disposizione ulteriori 12 milioni di euro;
    sulla scorta delle indicazioni e dei principi della Convenzione la legge n. 119 del 2013 ha, per la prima volta definito con chiarezza la centralità e la peculiarità della violenza compiuta entro le mura domestiche da chi ha vincoli familiari o affettivi con la persona colpita; ha inoltre introdotto profonde modifiche processuali a tutela della vittima e introdotto misure di sostegno per le donne e i minori coinvolti nella fase processuale- modalità protette per le testimonianze, gratuito patrocinio, dovere di comunicazione del giudice rispetto alle modifiche delle misure cautelari, processi più rapidi e l'estensione del permesso di soggiorno alle donne straniere vittime di violenza domestica slegato dal permesso del marito, irrevocabilità della querela per le situazioni particolarmente gravi di stalking;
    per quanto riguarda la dotazione di strumenti «repressivi», di particolare rilievo appare l'introduzione di un'aggravante per gravi delitti violenti da applicare in caso di «violenza assistita», e cioè avvenuta in presenza di minori, con particolare riferimento al regime della querela di parte che è diventata irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate e aggravate. In tutti gli altri casi la remissione potrà avvenire soltanto in sede processuale, ma il delitto resta perseguibile d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità;
    si è agito, inoltre, introducendo importanti misure di prevenzione, quali l'ammonimento del questore anche per condotte di violenza domestica, sulla falsariga di quanto già previsto per il reato di stalking, e l'allontanamento – anche d'urgenza – dalla casa familiare e l'arresto obbligatorio in flagranza dell'autore delle violenze;
    si è cercato di agire per migliorare l'interazione tra chi subisce violenza e le autorità. Inoltre, i reati di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e stalking sono stati inseriti tra quelli che hanno priorità assoluta nella formazione dei ruoli d'udienza, ed è stato esteso il gratuito patrocinio. Il decreto legislativo n. 212 del 15 dicembre 2015, in vigore dal 20 gennaio 2016, ha istituito un fondo destinato al ristoro patrimoniale delle vittime di reati intenzionali violenti; la legge di bilancio 2017 ha inoltre destinato all'indennizzo delle vittime dei reati intenzionali violenti contro la persona le somme dovute a titolo di sanzione pecuniaria civile;
    sono stati siglati due protocolli, uno con l'Arma dei carabinieri, per la formazione che l'Arma stessa deve fare non soltanto al proprio interno ma anche alle operatrici e agli operatori del numero 1522, e un protocollo con la polizia di Stato, che riguarda invece più la formazione proprio di funzionari della Polizia di Stato sul tema del contrasto alla violenza di genere;
    il Governo ha avviato nell'ambito del piano anche protocolli per progetti di recupero degli uomini maltrattanti, progetti molto utili in un'ottica di prevenzione della recidiva;
    occorre poi proseguire e concretizzare alcune misure già approvate con la definizione delle linee guida, previste dall'articolo 1, commi 790 e 791, della legge n. 208 del 28 dicembre 2015 per rendere operativo a livello nazionale il percorso di protezione denominato «Percorso di tutela delle vittime di violenza», con la finalità di tutelare le persone vulnerabili vittime dell'altrui violenza, con particolare riferimento alle vittime di violenza sessuale, maltrattamenti o atti persecutori (stalking); un percorso che ha già trovato attuazione in alcune regioni del nostro Paese, attestandosi come una «buona pratica» riconosciuta a livello internazionale nel contrasto e nella prevenzione della violenza di genere;
    altrettanto rilevanti appaiono le misure contenute nel disegno di legge, recentemente approvato dalla Camera – e ora, si auspica fortemente, in via di approvazione al Senato, che per la prima volta definisce supporto e tutela per gli orfani di femminicidio; il provvedimento contiene inoltre una modifica del codice penale che equipara l'omicidio del coniuge agli altri omicidi familiari;
    la prevenzione non può che partire dalla scuola. Un segnale importante in questo senso è rappresentato dai 5 milioni di euro che sono stati messi a bando e che sono già stati erogati per finanziamenti di progetti nelle scuole, proprio nell'ottica della formazione e dell'educazione al contrasto ad ogni forma di discriminazione di genere e di violenza di genere, poiché risulta evidente come l'educazione alla parità tra i sessi e al rispetto delle differenze, sia lo strumento fondamentale per la prevenzione della violenza contro le donne;
    la scuola, dunque, deve mettere in campo gli strumenti necessari per valorizzare le differenze ed educare i giovani alla cultura del rispetto e, proprio in questo senso, essa deve fornire strumenti e metodologie per il superamento di pregiudizi e stereotipi e per attivare tutti gli interventi di prevenzione, informazione e sensibilizzazione. In questo senso il comma 16 della legge n. 107 del 2015 stabilisce che: «il piano triennale dell'offerta formativa assicura l'attuazione dei principi di pari opportunità, promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l'educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119»;
    tale comma dà attuazione ai principi fondamentali di pari dignità e non discriminazione di cui all'articolo 2 e, soprattutto all'articolo 3 della Costituzione italiana, principi che trovano espressione e completamento in altri precetti costituzionali e nei valori costitutivi del diritto costituzionale ed europeo che proibisce la discriminazione per ragioni connesse anche al genere. La discriminazione passa anche attraverso il linguaggio. Il progetto «Polite – Pari Opportunità nei libri di testo», ha prodotto un codice di «autoregolamentazione» e due vademecum, con l'obiettivo di riqualificare i materiali didattici in vista di una maggiore attenzione all'identità di genere e alla cultura delle pari opportunità, fornendo una rappresentazione equilibrata delle differenze e promuovendo la formazione verso una cultura della differenza di genere;
    il decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, di attuazione della legge n. 183 del 2014 (cosiddetto Jobs Act), sui temi di conciliazione lavoro-vita privata ha introdotto il congedo per le donne vittime di violenza di genere che intraprendono percorsi di protezione. Le lavoratrici dipendenti del pubblico e del privato e anche le lavoratrici autonome che subiscono violenza, per motivi legati allo svolgimento di tali percorsi, hanno diritto ad astenersi dal lavoro per un periodo di tre mesi, anche non continuativo, interamente retribuito. È inoltre prevista la possibilità di trasformare il rapporto di lavoro da tempo pieno a part-time, nonché l'opportunità di trasformarlo nuovamente, a seconda delle esigenze della lavoratrice, in rapporto di lavoro a tempo pieno, nonché la facoltà, per le collaboratrici a progetto di sospendere il rapporto contrattuale per motivi connessi allo svolgimento dei suddetti percorsi di protezione: in questo modo la violenza di genere esce dalla specificità e settorialità a cui è solitamente relegata per contaminare altre politiche a partire dalla disciplina che regola i rapporti di lavoro;
    si ricorda poi che nel mese di gennaio 2017 è stata istituita la Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio nonché su ogni forma di violenza di genere;
    il Senato sta, inoltre, fattivamente lavorando, per escludere definitivamente il reato di stalking di cui all'articolo 612-bis da ogni forma di giustizia riparativa; importante anche il risultato che nell'ambito del G7 la presidenza italiana ha raggiunto nelle conclusioni condivise dai leader a Taormina in materia di road map sulla parità di genere e su una netta presa di posizione per il contrasto alla violenza sulle donne che prelude ad un'ipotesi di lavoro condiviso tra i Paesi del G7;
    questo lungo excursus, è parso utile a dimostrare che moltissimo è stato fatto, ma che la strada per sconfiggere definitivamente e culturalmente il fenomeno della violenza contro le donne è ancora lunga,

impegna il Governo:

1) a mettere in campo tutte le misure necessarie al fine di mettere in rete e rendere efficiente il complesso sistema di strumenti e di tutele che sono già stati predisposti dal legislatore, al fine di renderli effettivamente conosciuti e soprattutto accessibili a tutte le donne, con la finalità di far emergere, per mezzo della denuncia, le violenze subite, anche attraverso la eventuale predisposizione di protocolli o linee guida che rendano omogenea su tutto il territorio nazionale l'azione preventiva, repressiva e di sostegno della vittima da parte di tutti gli attori istituzionali coinvolti;

2) poiché la protezione delle vittime passa necessariamente per un efficace e tempestivo intervento, a promuovere un facile accesso alle informazioni sui propri diritti, un adeguato sostegno psicologico e una tutela pregnante della riservatezza e della dignità della persona, e, nel contempo, la creazione e l'efficientamento di strutture e servizi specializzati di sostegno, quali i centri antiviolenza e presidi di prossimità;

3) a proseguire nella piena attuazione della Convenzione di Istanbul in tema di prevenzione della violenza medesima, con la finalità ulteriore (che ne rappresenta anche uno dei presupposti) del raggiungimento di una piena uguaglianza di genere, tramite azioni che rafforzino l'autonomia delle donne e il loro accesso al lavoro;

4) a rafforzare la prevenzione attraverso l'educazione, in particolare dando piena attuazione al comma 16 dell'articolo 1, della legge n. 107 del 2015, e quindi attuando e diffondendo quanto più possibile le linee guida nazionali in via di presentazione da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;

5) a rafforzare la prevenzione attraverso la predisposizione di un piano prioritario di formazione del personale scolastico ed in particolare dei docenti;

6) a favorire la piena attuazione del  codice Polite – Pari opportunità nei libri di testo;

7) ad adottare iniziative volte all'eliminazione delle discriminazioni linguistiche negli atti normativi e amministrativi, nonché alla revisione linguistica della legislazione relativa alla violenza di genere;

8) a proseguire nelle azioni volte ad assicurare la piena diffusione sul territorio del percorso di protezione denominato «Percorso di tutela delle vittime di violenza»;

9) a promuovere l'eliminazione del delitto di cui all'articolo 612-bis del codice penale dal novero dei reati suscettibili di estinzione in seguito a condotte riparatorie ai sensi dell'articolo 162-ter del codice penale;

10) nelle more dell'approvazione del provvedimento in materia attualmente all'esame del Senato, ad adottare ogni iniziativa utile al sostegno e alla tutela degli orfani di femminicidio e di crimini domestici;

11) a effettuare una ricognizione periodica dei dati statistici relativi ai casi di violenza e alle misure cautelari applicate dal giudice penale per i reati di maltrattamenti in famiglia e di atti persecutori, nonché agli ordini di protezione contro gli abusi familiari emessi dal giudice civile, alle misure adottate dal tribunale per i minorenni nei casi di violenza assistita, ed alle misure di prevenzione;

12) a proseguire nelle attività di formazione specifica adeguata ed aggiornata del personale chiamato ad interagire con la vittima, di polizia e carabinieri, magistrati e personale della giustizia e personale sanitario, anche nell'ambito di specifiche provviste finanziarie destinate alla violenza di genere;

13) a giungere al più presto all'approvazione definitiva del piano, nonché a promuovere in sede internazionale l'impegno dell'Italia affinché tutti i Paesi del G7 arrivino ad adottare un piano nazionale contro la violenza di genere.
(1-01742)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Di Salvo, Gebhard, Scopelliti, Fregolent, Rosato, Mauri, Grassi, Gribaudo, Martella, Morani, Marco Di Maio, Cinzia Maria Fontana, Bini, Garavini, Giorgis, Giuseppe Guerini, Pollastrini, Marantelli, Giuliani, Fabbri, Amoddio, Bazoli, Berretta, Campana, Di Lello, Ermini, Ferranti, Greco, Iori, Magorno, Mattiello, Giuditta Pini, Rossomando, Tartaglione, Vazio, Verini, Zan, Amato, Argentin, Paola Boldrini, Paola Bragantini, Carnevali, D'Incecco, Lenzi, Mariano, Miotto, Piazzoni, Piccione, Sbrollini, Gnecchi, Malpezzi, Coscia, Malisani, Sgambato, Ventricelli, Carocci, Rocchi, Coccia, Ascani, Bruno Bossio, Cenni».


   La Camera,
   premesso che,
    i dati Istat 2016, pur rilevando una complessiva riduzione delle forme di violenza, e nonostante una maggiore tendenza delle donne a denunciare gli abusi, evidenziano che la diminuzione nel tempo della violenza contro le donne ha invece seguito ritmi molto più lenti rispetto a quella degli uomini, e quindi i delitti contro di loro sono diminuiti meno in proporzione. Occorre quindi accelerare i processi di empowerment delle donne senza tuttavia incentivare fenomeni di panico morale che rischiano di avere effetti opposti;
    a fronte di una cultura sociale che ancora nega evidenti diritti alle donne e ad una diffusa violenza contro di loro, gli interventi politici e giuridico-normativi devono eliminare ogni discriminazione di tipo sessista, evitando tuttavia una visione improntata solo alla eccezionalità che le vede come intrinsecamente vittime di nuove fattispecie di reato;
    per prevenire e impedire la violenza domestica o lo stalking, è opportuno il ricorso anche alla giustizia riparativa e, in generale, ai percorsi di rieducazione degli autori, percorsi che soli possono davvero consentire la protezione delle vittime. L'attenzione va posta quindi non solo sulla donna come vittima ma anche sugli interventi di recupero degli uomini che maltrattano;
    a questo proposito la versione ufficiale inglese dell'articolo 48 della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (ratificata con la legge del 27 giugno 2013, n. 77, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del primo luglio 2013) esclude il ricorso a programmi obbligatori di giustizia riparativa ma certamente non li proibisce in assoluto;
    mentre anche la Corte costituzionale italiana ha giudicato illegittimo l'obbligo di mediazione in ambito civile, quest'ultima rimane certamente consentita se volontaria. Proibirla sarebbe, d'altronde, in contrasto con altri strumenti internazionali che invece raccomandano l'adozione della giustizia riparativa, si rileva al proposito il programma del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, «Basic Principles on the Use of Restorative Justice Programmes in Criminal Matters», 2002; la Raccomandazione del Consiglio d'Europa n. (99)19 sulla mediazione in ambito penale;
    oltre che su eclatanti casi di cronaca è opportuno porre l'attenzione sul retroterra culturale della violenza, dato che le vessazioni psicologiche e uno stato di soggezione riguardano 4 donne su 10: il 40,4 per cento (oltre 8,3 milioni) sono le vittime di violenza psicologica, ad esempio attraverso la svalutazione o sottomissione;
    è necessario un importante lavoro culturale perché si arrivi ad un discorso di effettiva parità. Secondo uno studio di «Science», le bambine già in prima elementare sono convinte di essere meno brave dei loro compagni maschi nonostante non vi sia alcuna evidenza di questo. La scuola è quindi uno degli strumenti più importanti per agire sul senso di autostima delle donne e sulla creazione di un reale rispetto tra i sessi;
    a fronte di evidenti ingiuste discriminazioni verso le donne sul mercato del lavoro è importante non solo condannare la violenza, ma dare alle donne la possibilità di sviluppare il loro talento e di godere sul posto di lavoro di pari opportunità;
    a livello di prevenzione, particolare attenzione va data al discorso d'odio online così come descritto nella relazione finale della Commissione «Jo Cox» sull'intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio promossa dalla Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, su impulso del Consiglio d'Europa, in cui si rileva che le manifestazioni di odio nei confronti delle donne si esprimono per lo più nella forma del disprezzo;
    nel citato rapporto si legge: «Troppo spesso il discorso sessista non viene preso in seria considerazione, essendo ritenuto meno grave di altre forme di hate speech. Eppure le donne sono chiaramente individuabili come categoria di individui oggetto di manifestazioni di odio [...]. “Tali manifestazioni si esprimono per lo più nella forma del disprezzo, della degradazione e spersonalizzazione, per lo più con connotati esplicitamente sessuali”. [...] Un recente rapporto della Commissione ONU denuncia che nel mondo tre quarti di tutte le donne che usano Internet sono state esposte a qualche forma di cyberviolenza»,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative volte ad attuare le raccomandazioni relative al contrasto dell'odio contro le donne previste nella Relazione finale della Commissione «Jo Cox» sull'intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio;

2) a predisporre tempestive iniziative finalizzate a prevenire la violenza contro le donne a livello culturale, formativo e educativo, anche attraverso l'attuazione delle Linee guida nazionali (articolo 1, comma 16, della legge 107 del 2015) del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca «Educare al rispetto: per la parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le forme di discriminazione»;

3) a consentire forme di giustizia riparativa ancorché non obbligatorie, alla luce dell'articolo 48 nella versione ufficiale inglese della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (ratificata con legge 27 giugno 2013 n.  77, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del primo luglio 2013).
(1-01745) «Santerini, Dellai, Sberna».


   La Camera,
   premesso che,
    i dati Istat 2016, pur rilevando una complessiva riduzione delle forme di violenza, e nonostante una maggiore tendenza delle donne a denunciare gli abusi, evidenziano che la diminuzione nel tempo della violenza contro le donne ha invece seguito ritmi molto più lenti rispetto a quella degli uomini, e quindi i delitti contro di loro sono diminuiti meno in proporzione. Occorre quindi accelerare i processi di empowerment delle donne senza tuttavia incentivare fenomeni di panico morale che rischiano di avere effetti opposti;
    a fronte di una cultura sociale che ancora nega evidenti diritti alle donne e ad una diffusa violenza contro di loro, gli interventi politici e giuridico-normativi devono eliminare ogni discriminazione di tipo sessista, evitando tuttavia una visione improntata solo alla eccezionalità che le vede come intrinsecamente vittime di nuove fattispecie di reato;
    per prevenire e impedire la violenza domestica o lo stalking, è opportuno il ricorso anche alla giustizia riparativa e, in generale, ai percorsi di rieducazione degli autori, percorsi che soli possono davvero consentire la protezione delle vittime. L'attenzione va posta quindi non solo sulla donna come vittima ma anche sugli interventi di recupero degli uomini che maltrattano;
    a questo proposito la versione ufficiale inglese dell'articolo 48 della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (ratificata con la legge del 27 giugno 2013, n. 77, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del primo luglio 2013) esclude il ricorso a programmi obbligatori di giustizia riparativa ma certamente non li proibisce in assoluto;
    mentre anche la Corte costituzionale italiana ha giudicato illegittimo l'obbligo di mediazione in ambito civile, quest'ultima rimane certamente consentita se volontaria. Proibirla sarebbe, d'altronde, in contrasto con altri strumenti internazionali che invece raccomandano l'adozione della giustizia riparativa, si rileva al proposito il programma del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, «Basic Principles on the Use of Restorative Justice Programmes in Criminal Matters», 2002; la Raccomandazione del Consiglio d'Europa n. (99)19 sulla mediazione in ambito penale;
    oltre che su eclatanti casi di cronaca è opportuno porre l'attenzione sul retroterra culturale della violenza, dato che le vessazioni psicologiche e uno stato di soggezione riguardano 4 donne su 10: il 40,4 per cento (oltre 8,3 milioni) sono le vittime di violenza psicologica, ad esempio attraverso la svalutazione o sottomissione;
    è necessario un importante lavoro culturale perché si arrivi ad un discorso di effettiva parità. Secondo uno studio di «Science», le bambine già in prima elementare sono convinte di essere meno brave dei loro compagni maschi nonostante non vi sia alcuna evidenza di questo. La scuola è quindi uno degli strumenti più importanti per agire sul senso di autostima delle donne e sulla creazione di un reale rispetto tra i sessi;
    a fronte di evidenti ingiuste discriminazioni verso le donne sul mercato del lavoro è importante non solo condannare la violenza, ma dare alle donne la possibilità di sviluppare il loro talento e di godere sul posto di lavoro di pari opportunità;
    a livello di prevenzione, particolare attenzione va data al discorso d'odio online così come descritto nella relazione finale della Commissione «Jo Cox» sull'intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio promossa dalla Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, su impulso del Consiglio d'Europa, in cui si rileva che le manifestazioni di odio nei confronti delle donne si esprimono per lo più nella forma del disprezzo;
    nel citato rapporto si legge: «Troppo spesso il discorso sessista non viene preso in seria considerazione, essendo ritenuto meno grave di altre forme di hate speech. Eppure le donne sono chiaramente individuabili come categoria di individui oggetto di manifestazioni di odio [...]. “Tali manifestazioni si esprimono per lo più nella forma del disprezzo, della degradazione e spersonalizzazione, per lo più con connotati esplicitamente sessuali”. [...] Un recente rapporto della Commissione ONU denuncia che nel mondo tre quarti di tutte le donne che usano Internet sono state esposte a qualche forma di cyberviolenza»,

impegna il Governo:

1) a proseguire nelle iniziative volte ad attuare le raccomandazioni relative al contrasto dell'odio contro le donne previste nella Relazione finale della Commissione «Jo Cox» sull'intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio;

2) a proseguire nelle iniziative destinate a diffondere, presso gli studenti, una cultura dell'affettività che ripudi ogni forma di discriminazione e violenza di genere, anche in relazione all'utilizzo dei social media e di internet;

3) a proseguire nelle iniziative dedicate al sostegno ed all'ascolto degli uomini maltrattanti, per promuovere la maturazione di una nuova cultura dell'affettività.
(1-01745) (Testo modificato nel corso della seduta) «Santerini, Dellai, Sberna».


Risoluzioni

   La Camera,
   premesso che:
    la violenza contro le donne è un fenomeno drammatico che colpisce le donne di tutti i Paesi, di tutte le condizioni sociali, economiche e culturali, di tutte le età, a partire dai primissimi anni di vita;
    i dati relativi al nostro Paese, forniti dal presidente dell'Istat nell'audizione del 27 settembre 2017 presso la Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere del Senato, hanno evidenziato la gravità del fenomeno, in particolare della violenza domestica;
    delle 149 vittime di omicidi volontari nel 2016, quasi 3 su 4 sono stati commessi nell'ambito familiare: 59 donne sono state uccise dal partner, 17 da un ex partner e altre 33 da un parente e, per la relazione tra vittima e autore, questi delitti possono essere definiti «femminicidi» secondo la Classificazione internazionale dei reati (il femminicidio è «un omicidio di una donna compiuto nell'ambito familiare, ovvero dal partner, da un ex partner, o da un parente»);
    se la violenza è la forma più estrema della manifestazione della disuguaglianza tra uomini e donne ed il femminicidio la forma più estrema della violenza contro le donne, ad essi si accompagnano molte altre gravi forme violente;
    la «misurazione» della violenza, che è fenomeno antico, è un fatto recente nel nostro Paese. La prima indagine risale al 2006, la seconda, arricchita da riferimenti alle donne straniere e alle donne disabili, al 2014. La violenza è fenomeno difficile da misurare perché non riconosciuto nella sua gravità dal contesto in cui avviene e soprattutto perché rimane sommersa proprio per la vicinanza tra vittima e autore nella stragrande maggioranza dei casi;
    secondo l'Istat quasi sette milioni di donne tra i 16 e i 70 anni hanno subito qualche forma di violenza, fisica o sessuale, dalle meno alle più gravi o gravissime: molestie fisiche e sessuali, tentati stupri, stupri, altre forme di abusi sessuali. In più di un milione di casi (1 milione e 157 mila) si è trattato delle forme più gravi: stupro (3,0 per cento; 652 mila) e tentato stupro (3,5 per cento; 746 mila). Gli autori delle violenze più gravi sono prevalentemente i partner o gli ex partner;
    le minori non vengono risparmiate: il 10,6 per cento delle donne dichiara di aver subito una qualche forma di violenza sessuale prima dei 16 anni;
    anche la violenza assistita è in aumento: secondo l'Istat la percentuale di minori che hanno assistito a episodi di violenza sulla propria madre è passata dal 60,3 per cento al 69 per cento tra il 2006 e il 2014 e i e le minori direttamente coinvolti dal 15,9 per cento al 24,6 per cento, il che fa prevedere un perpetuarsi del fenomeno, in quanto vi è relazione diretta tra vittimizzazione vissuta e assistita e comportamento violento adulto;
    le donne di origine straniera condividono con le italiane la stessa intensità della violenza subita essendo identica la percentuale dei casi violenti, ma le seconde mostrano percentuali, di denuncia e di richiesta di aiuto ai centri antiviolenza più alte: rispettivamente 17,1 per cento contro l'11,4 per cento e 6,4 per cento contro il 3,2 per cento;
    le migrazioni portano con sé culture, tradizioni e norme sociali. In alcuni casi la cultura d'origine viene progressivamente abbandonata, in altri diventa espressione identitaria e le norme sociali dei Paesi di origine vengono confermate quando non rafforzate; per questa ragione le bambine e le ragazze di origine straniere presenti nel nostro Paese sperimentano forme di violenza dovute a pratiche tradizionali dannose, come le mutilazioni dei genitali femminili e i matrimoni precoci e forzati;
    la violenza sulle donne si manifesta anche sul posto di lavoro: in una rilevazione del 2016 l'Istat stima che siano quasi un milione e mezzo le donne che hanno subito molestie, anche in forma di ricatti, nella loro vita lavorativa in una percentuale che si avvicina al 10 per cento ma solo lo 0,7 per cento ha denunciato di esserne stata vittima;
    conoscere il fenomeno nei suoi aspetti quantitativi e qualitativi è indispensabile per capire le cause ed i contesti in cui maturano questi crimini e consentire l'elaborazione di efficaci politiche di prevenzione e di contrasto, oltre che di repressione;
    il Parlamento italiano nel maggio 2013 ha approvato all'unanimità la legge di ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza contro le donne e la violenza domestica, adottata il 7 aprile 2011 (cosiddetta Convenzione di Istanbul) e la stessa attua una strategia di intervento che privilegia la prevenzione del fenomeno e, soprattutto la protezione delle vittime,

impegna il Governo

1) ad assumere iniziative per implementare il contenuto nella Convenzione d'Istanbul nel rispetto dello spirito della stessa, secondo le previste linee guida necessarie ad un'efficace lotta alla violenza di genere e, in particolare, contro le donne con misure di prevenzione, protezione, repressione, monitoraggio e integrazione delle singole politiche;
2) ad accelerare la predisposizione, la presentazione e l'attuazione del nuovo piano nazionale contro la violenza, le molestie, lo stalking, gli atti persecutori, i maltrattamenti sulle donne, con attenzione alle diverse età, fondato sulla prevenzione, sulla protezione, sull'assistenza e sulla certezza della pena, prevedendo un'organica risposta a livello territoriale, che coinvolga associazioni, centri antiviolenza, reti, movimenti ed istituzioni, al fine di rendere omogenee l'assistenza e la protezione delle donne e dei loro familiari, in particolare i e le minori;
3) a promuovere campagne di educazione, sensibilizzazione e di promozione della consapevolezza sui temi della violenza di genere soprattutto fra le giovani generazioni perché siano in grado di cogliere presto segnali premonitori (early warnings) di una relazione violenta;
4) a promuovere, in collaborazione con le amministrazioni pubbliche, le imprese e le organizzazioni sindacali, campagne di sensibilizzazione sui luoghi di lavoro in tema di molestie, atti persecutori e violenze;
5) ad assumere iniziative per prevedere risorse e corsi per la formazione del personale sanitario, di polizia e dell'amministrazione giudiziaria e di tutti i soggetti coinvolti per assistere e accompagnare adeguatamente le vittime della violenza dal momento immediatamente successivo ai fatti violenti sino alla conclusione del procedimento giudiziario;
6) ad assumere iniziative per prevedere misure di assistenza psicologica e sociale, sostegno economico e logistico (ad esempio l'abitazione), facilitazioni per l'accesso al lavoro per le vittime di violenza e di violenza assistita, e dei loro familiari, in particolare le e gli orfani di femminicidio;
7) ad assumere iniziative per introdurre nelle scuole di ogni ordine e grado specifici progetti e corsi di educazione all'affettività e alle relazioni interpersonali e tra i generi basate sui principi di uguaglianza e libertà, nel rispetto delle differenze di genere, dell'orientamento sessuale e di tutte le diversità;
8) a intraprendere una immediata iniziativa normativa al fine di escludere l'applicazione dell'istituto dell'estinzione del reato per condotte riparatorie, introdotto dall'articolo 162-ter del codice penale, al delitto di atti persecutori previsto e punito dall'articolo 612-bis del codice penale;
9) a prevedere un regolare e sistematico monitoraggio statistico con frequenza definita, che includa indicatori specifici per valutare il fenomeno nella sue diverse manifestazioni, comprese le forme di violenza sulle donne e sulle bambine di origine straniera, vittime di pratiche tradizionali dannose come le mutilazioni dei genitali femminili e i matrimoni precoci e forzati;
10) ad assumere iniziative per prevedere nei reparti di pronto soccorso degli ospedali, nei commissariati e nelle stazioni dei carabinieri la presenza di personale femminile dedicato ed in ogni procura sezioni specializzate in tema di reati di violenza sulle donne e unità specifiche per la valutazione dei dati della violenza contro le donne e dei tempi relativi ai procedimenti ad essi riferiti.
(6-00367) «Locatelli, Marzano, Pastorelli».


   La Camera,
   premesso che:
    la violenza contro le donne è un fenomeno drammatico che colpisce le donne di tutti i Paesi, di tutte le condizioni sociali, economiche e culturali, di tutte le età, a partire dai primissimi anni di vita;
    i dati relativi al nostro Paese, forniti dal presidente dell'Istat nell'audizione del 27 settembre 2017 presso la Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere del Senato, hanno evidenziato la gravità del fenomeno, in particolare della violenza domestica;
    delle 149 vittime di omicidi volontari nel 2016, quasi 3 su 4 sono stati commessi nell'ambito familiare: 59 donne sono state uccise dal partner, 17 da un ex partner e altre 33 da un parente e, per la relazione tra vittima e autore, questi delitti possono essere definiti «femminicidi» secondo la Classificazione internazionale dei reati (il femminicidio è «un omicidio di una donna compiuto nell'ambito familiare, ovvero dal partner, da un ex partner, o da un parente»);
    se la violenza è la forma più estrema della manifestazione della disuguaglianza tra uomini e donne ed il femminicidio la forma più estrema della violenza contro le donne, ad essi si accompagnano molte altre gravi forme violente;
    la «misurazione» della violenza, che è fenomeno antico, è un fatto recente nel nostro Paese. La prima indagine risale al 2006, la seconda, arricchita da riferimenti alle donne straniere e alle donne disabili, al 2014. La violenza è fenomeno difficile da misurare perché non riconosciuto nella sua gravità dal contesto in cui avviene e soprattutto perché rimane sommersa proprio per la vicinanza tra vittima e autore nella stragrande maggioranza dei casi;
    secondo l'Istat quasi sette milioni di donne tra i 16 e i 70 anni hanno subito qualche forma di violenza, fisica o sessuale, dalle meno alle più gravi o gravissime: molestie fisiche e sessuali, tentati stupri, stupri, altre forme di abusi sessuali. In più di un milione di casi (1 milione e 157 mila) si è trattato delle forme più gravi: stupro (3,0 per cento; 652 mila) e tentato stupro (3,5 per cento; 746 mila). Gli autori delle violenze più gravi sono prevalentemente i partner o gli ex partner;
    le minori non vengono risparmiate: il 10,6 per cento delle donne dichiara di aver subito una qualche forma di violenza sessuale prima dei 16 anni;
    anche la violenza assistita è in aumento: secondo l'Istat la percentuale di minori che hanno assistito a episodi di violenza sulla propria madre è passata dal 60,3 per cento al 69 per cento tra il 2006 e il 2014 e i e le minori direttamente coinvolti dal 15,9 per cento al 24,6 per cento, il che fa prevedere un perpetuarsi del fenomeno, in quanto vi è relazione diretta tra vittimizzazione vissuta e assistita e comportamento violento adulto;
    le donne di origine straniera condividono con le italiane la stessa intensità della violenza subita essendo identica la percentuale dei casi violenti, ma le seconde mostrano percentuali, di denuncia e di richiesta di aiuto ai centri antiviolenza più alte: rispettivamente 17,1 per cento contro l'11,4 per cento e 6,4 per cento contro il 3,2 per cento;
    le migrazioni portano con sé culture, tradizioni e norme sociali. In alcuni casi la cultura d'origine viene progressivamente abbandonata, in altri diventa espressione identitaria e le norme sociali dei Paesi di origine vengono confermate quando non rafforzate; per questa ragione le bambine e le ragazze di origine straniere presenti nel nostro Paese sperimentano forme di violenza dovute a pratiche tradizionali dannose, come le mutilazioni dei genitali femminili e i matrimoni precoci e forzati;
    la violenza sulle donne si manifesta anche sul posto di lavoro: in una rilevazione del 2016 l'Istat stima che siano quasi un milione e mezzo le donne che hanno subito molestie, anche in forma di ricatti, nella loro vita lavorativa in una percentuale che si avvicina al 10 per cento ma solo lo 0,7 per cento ha denunciato di esserne stata vittima;
    conoscere il fenomeno nei suoi aspetti quantitativi e qualitativi è indispensabile per capire le cause ed i contesti in cui maturano questi crimini e consentire l'elaborazione di efficaci politiche di prevenzione e di contrasto, oltre che di repressione;
    il Parlamento italiano nel maggio 2013 ha approvato all'unanimità la legge di ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza contro le donne e la violenza domestica, adottata il 7 aprile 2011 (cosiddetta Convenzione di Istanbul) e la stessa attua una strategia di intervento che privilegia la prevenzione del fenomeno e, soprattutto la protezione delle vittime,

impegna il Governo

1) a proseguire nelle politiche volte alla piena attuazione dei princìpi delle migliori prassi individuati in sede internazionale per favorire l'autodeterminazione delle donne;
2) ad accelerare la predisposizione, la presentazione e l'attuazione del nuovo piano nazionale contro la violenza, le molestie, lo stalking, gli atti persecutori, i maltrattamenti sulle donne, con attenzione alle diverse età, fondato sulla prevenzione, sulla protezione, sull'assistenza e sulla certezza della pena, prevedendo un'organica risposta a livello territoriale, che coinvolga associazioni, centri antiviolenza, reti, movimenti ed istituzioni, al fine di rendere omogenee l'assistenza e la protezione delle donne e dei loro familiari, in particolare i e le minori;
3) a promuovere campagne di educazione, sensibilizzazione e di promozione della consapevolezza sui temi della violenza di genere soprattutto fra le giovani generazioni perché siano in grado di cogliere presto segnali premonitori (early warnings) di una relazione violenta;
4) a promuovere, in collaborazione con le amministrazioni pubbliche, le imprese e le organizzazioni sindacali, campagne di sensibilizzazione sui luoghi di lavoro in tema di molestie, atti persecutori e violenze;
5) ad assumere iniziative per prevedere risorse e corsi per la formazione del personale sanitario, di polizia e dell'amministrazione giudiziaria e di tutti i soggetti coinvolti per assistere e accompagnare adeguatamente le vittime della violenza dal momento immediatamente successivo ai fatti violenti sino alla conclusione del procedimento giudiziario;
6) ad assumere iniziative per prevedere misure di assistenza psicologica e sociale, sostegno economico e logistico (ad esempio l'abitazione), facilitazioni per l'accesso al lavoro per le vittime di violenza e di violenza assistita, e dei loro familiari, in particolare le e gli orfani di femminicidio;
7) ad assumere iniziative per introdurre nelle scuole di ogni ordine e grado specifici progetti e corsi di educazione all'affettività e alle relazioni interpersonali e tra i generi basate sui principi di uguaglianza e libertà, nel rispetto delle differenze di genere, dell'orientamento sessuale e di tutte le diversità;
8) a intraprendere una immediata iniziativa normativa al fine di escludere l'applicazione dell'istituto dell'estinzione del reato per condotte riparatorie, introdotto dall'articolo 162-ter del codice penale, al delitto di atti persecutori previsto e punito dall'articolo 612-bis del codice penale;
9) a prevedere un regolare e sistematico monitoraggio statistico con frequenza definita, che includa indicatori specifici per valutare il fenomeno nella sue diverse manifestazioni, comprese le forme di violenza sulle donne e sulle bambine di origine straniera, vittime di pratiche tradizionali dannose come le mutilazioni dei genitali femminili e i matrimoni precoci e forzati;
10) ad assumere iniziative per prevedere nei reparti di pronto soccorso degli ospedali, nei commissariati e nelle stazioni dei carabinieri la presenza di personale femminile dedicato ed in ogni procura sezioni specializzate in tema di reati di violenza sulle donne e unità specifiche per la valutazione dei dati della violenza contro le donne e dei tempi relativi ai procedimenti ad essi riferiti.
(6-00367)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Locatelli, Marzano, Pastorelli».


   La Camera,
   premesso che:
    la violenza di genere è un crimine e rappresenta una violazione fondamentale dei diritti umani; ha una matrice di carattere sociale ed è una violazione del godimento della libertà individuale di tutte le donne; è una questione culturale radicata profondamente nella relazione tra donne e uomini, nelle famiglie, nei luoghi di lavoro e di studio;
    la violenza contro le donne non è un problema che riguarda solo le donne ma riguarda tutta la società e da tutta la società deve essere affrontata;
    la drammatica realtà della violenza di genere richiede una condanna assoluta da parte di tutte le istituzioni ma soprattutto richiede la costruzione di una risposta chiara, coerente, integrata e competente che coinvolga tutti i soggetti parte della realtà nella quale viviamo;
    il 4 giugno 2013 la Camera ha approvato la mozione Speranza, Binetti, Brunetta, Locatelli, Migliore, Mucci, Rondini e Giorgia Meloni n. 1-00067 concernente iniziative volte al contrasto di ogni forma di violenza nei confronti delle donne;
    la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, siglata a Istanbul l'11 maggio 2011, è stata ratificata dall'Italia con la legge 27 giugno 2013, n. 77, ed è entrata in vigore il 1o agosto 2014;
    gli articoli 29 e 30 della Convenzione di Istanbul, in particolare, prevedono che alle vittime di episodi di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica fondati sul genere – che si verificano anche all'interno della famiglia o del nucleo familiare – sia riconosciuto il diritto di richiedere un adeguato ed equo indennizzo allo Stato;
    la direttiva 2004/80/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa all'indennizzo delle vittime di reato, mira a facilitare l'accesso ad un indennizzo per i cittadini dell'Unione che, vittime di un reato intenzionale e violento in uno Stato membro diverso da quello di residenza, non siano riusciti ad ottenere un risarcimento dall'autore del reato, in quanto questi non possiede le risorse necessarie oppure non può essere identificato o perseguito;
    in applicazione della Convenzione di Istanbul lo Stato italiano, con l'approvazione della legge 15 ottobre 2013, n. 119 di conversione del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, ha introdotto nuove norme in materia di maltrattamenti, violenza sessuale e atti persecutori attraverso modifiche al codice penale e al codice di procedura penale, nuove misure di prevenzione per condotte di violenza domestica, nuove disposizioni relative alla tutela per gli stranieri vittime di violenza domestica;
    il decreto-legge ha ricevuto forti critiche dalla magistratura, dall'avvocatura, dall'accademia e dagli operatori che si occupano della protezione delle vittime (associazioni, case delle donne) che, in generale, hanno evidenziato la mancanza di sistematicità del provvedimento di urgenza, l'assenza di una adeguata indagine conoscitiva preliminare, una linea di intervento che privilegia la finalità di ridurre l'allarme sociale connesso alla commissione di gravi reati «in danno di soggetti deboli», piuttosto che la tutela del diritto fondamentale della donna all'integrità psicofisica;
    per quanto attiene più specificamente ai profili strettamente penalistici del tema, secondo la rete dei centri antiviolenza, il nodo dell'intera discussione non è tanto la procedibilità del reato di stalking, quanto piuttosto l'assenza nel nostro ordinamento di una norma che – in ossequio al disposto dell'articolo 48 della Convenzione di Istanbul – vieti il ricorso a metodi alternativi di risoluzione dei conflitti tra cui la mediazione e la conciliazione nei casi di violenza di genere. Una semplice clausola di esclusione risolverebbe alla radice il problema. A tal proposito ci si aspetta pertanto da un Governo coerente non tanto la modifica per rendere procedibile d'ufficio il reato di atti persecutori, bensì l'esclusione della applicabilità dell'articolo 62-ter del codice penale al reato di atti persecutori e in ogni caso l'esclusione di ogni forma alternativa o riparativa per la definizione di giudizi che vedono le donne vittime della violenza da parte degli uomini, come sancito dalla Convenzione di Istanbul;
    alla ratifica della Convenzione è seguito il varo del Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere (con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 luglio 2015);
    il Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, che prevede la realizzazione di un sistema integrato di politiche pubbliche, dovrebbe superare l'impostazione dell'intervento basato sull'emergenza, in particolare prevedendo un programma di prevenzione ed emersione. L'educazione, la comunicazione e la formazione divengono elementi importanti in affiancamento alle politiche praticate;
    in parallelo, negli ultimi anni, il problema della violenza di genere è emerso in maniera forte nei discorsi pubblici e nella percezione sociale. La cronaca nazionale riporta, purtroppo sempre più spesso, episodi di cosiddetto femminicidio, maltrattamenti, stalking e discriminazione;
    ogni giorno in Italia vengono stuprate dalle 9 alle 11 donne. È successo più spesso tra il 2012 e il 2013 (alla fine dell'anno i casi denunciati furono quasi 5 mila), un po’ meno tra il 2013 e il 2014 (4.607), ancora meno l'anno successivo (3.624). Il confronto tra il 2017 e il 2016 non riserva sorprese: da gennaio a luglio del 2016 il Viminale aveva registrato 2.345 violenze sessuali, che sono scese a 2.333 quest'anno;
    la vera emergenza resta tuttavia quella relativa al numero degli stupri che avvengono sì, ma di cui nessuno sa niente. Secondo l'Istat – gli ultimi dati disponibili sono quelli relativi al 2014 – vengono commessi nel 62,7 per cento dei casi da partner o ex, nel 3,6 per cento da parenti e nel 9,4 per cento da amici. Il che significa, questa sì una sorpresa; in quasi 8 casi su 10 la violenza sessuale non avviene per strada, ad opera di uno sconosciuto. Di più: secondo il rapporto stilato dall'Agenzia dei diritti fondamentali dell'Unione europea, solo il 14 per cento delle donne denuncia gli abusi del partner, percentuale che per l'Italia scende al 10 per cento. Il risultato è che della quasi totalità degli stupri – che dunque avviene tra le mura domestiche o per mano di chi le donne conoscono e amano – non c’è traccia;
    i dati, quindi, sono ben poco incoraggianti e mettono in luce come il problema della violenza di genere sia ancora diffuso e grave;
    ciò che sembra mancare è una seria volontà politica di intervenire concretamente per contrastare la violenza contro le donne, considerato che ciò di cui si discute è un Piano – fondamentale perché dovrebbe contenere azioni concrete e tempi di realizzazione precisi e ovviamente relativi finanziamenti – previsto da una legge addirittura del 2013. Insomma, a distanza di quattro anni ben poco è stato fatto. E quel che è stato realizzato, lo si è fatto con clamorosi ritardi e tempi lunghi, come peraltro gravemente denunciato dalla Corte dei conti;
    la relazione della Corte dei conti sulla gestione delle risorse finanziarie per l'assistenza e il sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli (deliberazione 5 settembre 2016, n. 9/2016/G), ha infatti evidenziato diversi profili di criticità sulla gestione delle risorse che il decreto-legge 14 luglio 2013, n. 93 ha destinato al Dipartimento per le pari opportunità per la realizzazione del Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, nonché per il potenziamento delle forme di assistenza e di sostegno della rete dei servizi territoriali, dei centri antiviolenza e dei servizi di assistenza alle donne vittime di violenza;
    più in particolare, secondo la relazione, i fondi relativi alle annualità 2013 e 2014 sono in gran parte rimasti inutilizzati. Il Governo aveva stanziato, tramite la stessa legge del 2013 e la successiva legge di stabilità, ben 40 milioni di euro che sarebbero dovuti servire per progetti specifici del Piano antiviolenza (29 milioni circa), per progetti regionali (13 milioni) e, infine, per interventi diretti della Presidenza del Consiglio dei ministri (altri 7). Di questi, denunciavano allora i magistrati contabili, sono stati spesi solo seimila euro, ovvero appena lo 0,01 per cento;
    quanto al piano, la Corte rilevava che ad impedire il raggiungimento delle finalità indicate dal legislatore hanno concorso i ritardi nella predisposizione del piano stesso (adottato soltanto nel luglio 2015), nelle procedure di costituzione dei due organismi cui è stata intestata la conduzione del sistema (cabina di regia e Osservatorio) – esaurite solo con l'emanazione del decreto del 25 luglio 2016 del Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento con delega alle pari opportunità –, nonché le carenze e i ritardi nella conduzione complessiva del sistema e nell'espletamento delle funzioni centrali di direzione e coordinamento intestate alla Presidenza del Consiglio dei ministri, affermando in particolare che «in presenza della gravità della situazione esistente (che larga eco trova, quasi quotidianamente, sui mass media), non appaiono assolutamente giustificabili i tempi di elaborazione del documento, né, tanto meno, può ritenersi ammissibile l'estrema lentezza che ha informato l'attivazione e l'espletamento delle procedure di costituzione della cabina di regia e dell'osservatorio» e che «sebbene si riconosca la necessità di una programmazione condivisa, è innegabile che ulteriori ritardi nella gestione delle risorse non possano essere più tollerati.»;
    invero, nel corso dell'attuale legislatura, sono registrati forti ritardi nella definizione di una guida stabile presso il Dipartimento per le pari opportunità e, più precisamente, nell'assegnazione della relativa delega ministeriale, il tutto a discapito della continuità dei lavori nelle materie di competenza del medesimo Dipartimento;
    a parere della firmataria del presente atto di indirizzo l'importanza del Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri non può non ritenersi cruciale, giacché competente del coordinamento di tutte le iniziative normative e amministrative in tutte le materie attinenti in particolare la promozione dei diritti della persona, delle pari opportunità e della parità di trattamento, la prevenzione e rimozione di ogni forma e causa di discriminazione;
    la delega alle pari opportunità riguarda competenze ed argomenti importantissimi e centrali nel welfare, tendenti a garantire l'assenza di ostacoli alla partecipazione economica, politica e sociale di un qualsiasi individuo, soprattutto dei soggetti più deboli, per ragioni connesse in particolare al genere, religione e convinzioni personali, razza e origine etnica, disabilità, età, orientamento sessuale;
    in tale direzione, con rispettivi atti di indirizzo e controllo e con una petizione popolare, la firmataria del presente atto di indirizzo ha a più riprese chiesto che il Governo si impegnasse a proporre la nomina di un Ministro senza portafoglio con delega alle pari opportunità; ciò nonostante si è continuato a registrare negativamente un generale disinteresse politico dell'Esecutivo in merito, non avendo questi dato seguito tempestivo alla questione sollevata – come pur evidenziato dalla Corte dei conti –, rendendosi in tal modo complice della descritta situazione di impasse;
    la mancata assegnazione della delega in questione ha generato altresì forti perplessità e preoccupazioni relativamente al corretto funzionamento di uffici facenti capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri, cooperanti stabilmente con il Dipartimento per le pari opportunità, come ad esempio l'UNAR (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali), istituito con il decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, di recepimento della direttiva comunitaria n. 2000/43 CE, che opera nell'ambito del Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri svolgendo l'importante funzione di garantire l'effettività del principio di parità di trattamento fra le persone, anche in un'ottica che tenga conto del diverso impatto che le stesse discriminazioni possono avere su donne e uomini;
    la legislazione italiana, dunque, garantisce «formalmente» alle donne le cosiddette «pari opportunità» e i diritti fondamentali; tuttavia in Italia, come in molti altri Paesi, nonostante i principi della Convenzione di Istanbul siano stati declinati in una normativa interna «di pari opportunità», di fatto la donna viene ancora discriminata ed è soggetta a violenza quotidiana;
    qui, e in altri luoghi, i diritti fondamentali delle donne a livello normativo sono riconosciuti, quello che manca però è una concreta attuazione del quadro normativo esistente, una efficace risposta di prevenzione e repressione, oltre ad adeguati stanziamenti di fondi che garantiscano alle donne il concreto godimento dei loro diritti;
    esemplare della scarsa sensibilità e inadeguatezza del Governo, con riferimento alla materia di cui si discute, è il caso giudiziario di Elisaveta Talpis: nel marzo scorso la Corte aveva condannato l'Italia per non aver agito adeguatamente nel proteggere una donna e il figlio dalla violenza del marito, che alla fine aveva ucciso il ragazzo e tentato di assassinare la moglie. A ricorrere a Strasburgo, nel 2014, era stata proprio Elisaveta Talpis che, prima della tragedia, aveva denunciato invano le violenze del marito. La Corte ha riconosciuto che Elisaveta Talpis è stata oggetto di discriminazione in quanto donna e che la sua denuncia è stata sottovalutata. Invece di ricorrere contro la sentenza della Corte il nostro Governo avrebbe dovuto assumersi le responsabilità del caso e correggendo un sistema di protezione che è evidentemente inadeguato come la governance del Piano Nazionale antiviolenza. Questa sentenza – è stato da più parti ribadito – mette il Governo di fronte alla necessità di riconoscere questa inadeguatezza e rimediare;
    il Governo italiano ha dunque un comportamento ambiguo, poiché da una parte a parole dichiara di combattere la violenza sulle donne e la ritiene inaccettabile, mentre poi presenta ricorso per un riesame alla Grande Camera sulla sentenza Talpis, quasi rivendicando come corrette proprio quelle azioni che sono state condannate dalla Corte e hanno avuto un esito tragico;
    nonostante i mutamenti sociali, i diritti acquisiti e le leggi varate in questi anni, il fenomeno rimane ancora un problema irrisolto: mancano serie politiche di contrasto della violenza, ricerche e progetti di sensibilizzazione e di formazione;
    il metodo con cui viene affrontato il fenomeno della violenza di genere è ancora prevalentemente centrato sulla considerazione del problema dal punto di vista della «sicurezza pubblica» (che pure esiste ed è grave), mentre si fatica a trattare il problema come esigenza di tutela dei diritti fondamentali delle donne e mancano interventi organici che, partendo da un approccio socio-culturale al problema, garantiscano una risposta sistematica e interdisciplinare alla violenza intrafamiliare;
    per promuovere il cambiamento culturale necessario ad affrontare il fenomeno della violenza di genere declinato come violazione dei diritti fondamentali della persona e migliorare l'efficacia dell'intervento giudiziario resta molto da fare;
    la sostanziale mancanza di risorse finanziarie statali dedicate non consente, infatti, agli enti locali di continuare a svolgere in questo ambito un'attività importante se non con notevoli difficoltà; tuttavia, un ruolo significativo potrebbe essere svolto sul territorio proprio da fondamentali presìdi quali i centri antiviolenza, la casa delle donne maltrattate, i centri di soccorso presso gli ospedali, e altro;
    occorrono investimenti, risorse umane e progettualità capaci di farsi carico della realtà della condizione delle donne in Italia e degli ostacoli materiali che le vittime incontrano quando vogliono uscire dalla violenza, offrendo loro supporto e protezione. Il piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere previsto va nella direzione giusta, ma è solo un primo passo, cui necessariamente dovranno seguirne altri;
    la Cedaw, la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna delle Nazioni Unite, ha istituito una nuova importante raccomandazione in tema di violenza contro le donne. La raccomandazione generale 35 è stata adottata a luglio 2017 e aggiorna la raccomandazione 19 (introdotta nel 1992) dedicata in specifico sulla violenza di genere. La raccomandazione 35 riconosce espressamente, tra l'altro, le nuove forme di violenza legate alla tecnologia e alla cyberviolenza, si occupa della forme di violenza multipla ed intersezionale, riconosce la necessità di formazione costante degli operatori giudiziari e afferma ancora una volta il divieto di mediazione e conciliazione nei casi di violenza di genere. In tal senso, la raccomandazione prevede uno specifico e importante impegno per tutti gli Stati che hanno sottoscritto la Convenzione;
    nel frattempo, i centri antiviolenza stanno piano piano chiudendo per mancanza di fondi. Sono decine le associazioni in difficoltà, sebbene la legge del 2013 sul femminicidio aveva previsto l'erogazione di 10 milioni di euro all'anno per i centri antiviolenza;
    è altresì indispensabile un'opera di sensibilizzazione e formazione degli operatori del diritto (magistrati avvocati e forze dell'ordine) e di quelli sanitari: l'esperienza dimostra che tanto più alta è la specializzazione e tanto maggiore è la tutela effettiva dei diritti lesi. La mancanza di conoscenza del fenomeno, di una specializzazione e di una formazione in materia, di una cultura che riconosca il disvalore sociale e criminale dei maltrattamenti agiti dagli uomini nelle relazioni di intimità produce gravi pregiudizi alla parte offesa e la pone a rischio della vita;
    dal canto loro, anche le istituzioni scolastiche devono promuovere nelle scuole di ogni ordine e grado l'educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93;
    l'implementazione di tali iniziative scolastiche deve essere promossa e veicolata dall'UNAR (Ufficio antidiscriminazioni razziali): a seguito del programma promosso dal Consiglio d'Europa «Combattere le discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere», per l'attuazione e l'implementazione della Raccomandazione del Comitato dei ministri CM/REC (2010)5, al quale l'UNAR ha aderito estendendo, così, le sue competenze, è stata elaborata la Strategia nazionale per la prevenzione ed il contrasto delle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere, predisposta e coordinata dall'UNAR, in collaborazione con le diverse realtà istituzionali, le associazioni LGBT e le parti sociali;
    gli innumerevoli fatti di cronaca che hanno descritto in questi ultimi anni episodi di violenze e discriminazioni consumatisi principalmente in ambiente scolastico spingono le istituzioni a porre in essere i necessari provvedimenti, consci del fatto che la difficile via da seguire per contrastare il dilagare degli stereotipi e dei ruoli di genere e i conseguenti drammi che il bullismo omofobico sa scatenare sia proprio la via dell'educazione;
    per incidere attivamente sulla prevenzione è fondamentale intervenire nelle scuole, avviando con gli studenti specifiche attività che conducano a riflettere sugli stereotipi di genere, a combatterli e a mostrare le continue e distorte costruzioni dei ruoli maschili e femminili. Solo instaurando un dialogo attivo su questi temi sarà possibile combattere e superare quei presupposti culturali che alimentano e incentivano la discriminazione tra i sessi e che, se non contrastati, continueranno a crescere;
    la violenza sulle donne costituisce una violazione dei diritti umani che ostacola o rende impossibile il godimento di altri diritti umani, compromettendo altresì il raggiungimento della parità di opportunità tra donne e uomini;
    si auspica, pertanto, che – al di là degli annunci – i sopracitati provvedimenti governativi ricevano stavolta concreta e piena attuazione in tempi rapidi e con un adeguato stanziamento di risorse finanziarie,

impegna il Governo

1) a porre in essere ogni utile iniziativa volta a garantire la corretta stesura ed efficace attuazione del nuovo Piano antiviolenza secondo i principi della Convenzione di Istanbul, ricorrendo in particolare al coinvolgimento tempestivo delle associazioni di settore e dei centri antiviolenza di maggior esperienza dislocati nel territorio, in particolare nella fase di pianificazione degli interventi e coordinamento degli stessi a livello nazionale, in modo da evitare le inefficienze riscontrate nell'attuazione del precedente Piano antiviolenza straordinario varato nel 2015;
2) a prevedere, nell'ambito della redazione del nuovo Piano antiviolenza, maggiore cura e capillarità d'intervento nella formazione degli operatori, a tutti i livelli, a contatto con le vittime di violenza, quali gli operatori sanitari, le forze dell'ordine, gli assistenti sociali, gli operatori giuridici, in particolare avvalendosi anche della cooperazione dei centri antiviolenza di maggior esperienza dislocati nel territorio;
3) a stimare il fabbisogno reale dei centri antiviolenza per la loro sopravvivenza e il loro adeguato funzionamento, informando di conseguenza circa lo stanziamento necessario per assicurare servizi adeguati su tutto il territorio e reperendo le risorse atte a garantire la dotazione necessaria del Fondo contro la violenza alle donne finalizzato alla prevenzione, all'informazione e alla sensibilizzazione nei confronti del fenomeno della violenza contro le donne di cui all'articolo 1, comma 359, legge 11 dicembre 2016, n. 232;
4) di concerto con le rappresentanze scolastiche locali, a porre in essere e dare incentivo, per quanto di competenza, ad iniziative volte alla prevenzione di qualunque forma di discriminazione basata sul genere di appartenenza e sull'orientamento sessuale nei contesti scolastici, in particolare implementando percorsi didattici e programmi di educazione alla parità di genere, all'affettività e alla sessualità consapevole nelle scuole secondarie di primo grado e nei primi due anni delle scuole secondarie di secondo grado, nonché integrazione dei corsi di studio universitari, al fine di evitare il perpetrarsi di conseguenti fenomeni di violenza e di bullismo;
5) a riconoscere e attribuire piena autonomia e implementazione del raggio d'azione dell'UNAR, estendendone la sfera di competenza a tutte le forme di discriminazione, non solo quelle razziali, provvedendo altresì a modificare anche la sua stessa denominazione, ormai anacronistica, in «UNA» (Ufficio nazionale antidiscriminazioni), garantendone trasparenza nelle modalità di gestione e finanziamento;
6) a garantire la promozione delle attività propedeutiche alla realizzazione del sistema integrato di raccolta ed elaborazione dei dati, in collaborazione con l'ISTAT e la Rete nazionale dei Centri antiviolenza D.i.Re., e all'analisi dei medesimi al fine di individuare eventuali best practices da replicare sul territorio nazionale;
7) a predisporre una sezione all'interno del sito del dipartimento per le pari opportunità volta a rendere accessibile, in tempi rapidi, la rendicontazione completa delle attività finanziate con i fondi della legge n. 119 del 2013, nella quale le amministrazioni regionali/locali possano caricare direttamente e in autonomia la documentazione rilevante (delibere, risultati dei bandi, reportistica delle attività svolte da parte dei beneficiari dei fondi e altro), facendo sì che tali informazioni siano disponibili in formato aperto (open data), consentendo così di verificare periodicamente l'effettivo impiego dei finanziamenti e di conoscere, nel contempo, le valutazioni della regione sull'impatto sociale ed economico che gli interventi posti in essere hanno determinato;
8) ad adottare le iniziative necessarie per assicurare una maggiore attenzione verso il rispetto (sostanziale, e non solo formale) delle modalità di leale collaborazione, tra lo Stato e le regioni, con particolare riguardo alla comunicazione al Dipartimento per le pari opportunità del concreto impiego delle risorse e delle valutazioni quali-quantitative effettuate sui risultati conseguiti, di modo che lo stesso possa, a sua volta, rassegnare al Parlamento le informazioni a questo dovute sulla concreta attuazione della legge;
9) a garantire la predisposizione degli strumenti necessari a instaurare un efficace collegamento con i Tavoli di coordinamento istituiti presso la sede degli ambiti territoriali, cui è intestata la governance territoriale;
10) ad assicurare che i finanziamenti stanziati annualmente in virtù della legge n. 119 del 2013 siano erogati senza ritardi e a rendere note le cause dei ritardi riscontrati tramite una apposita relazione periodica al Parlamento;
11) ad aggiornare la mappatura dei centri antiviolenza del Dipartimento per le pari opportunità secondo la reportistica ricevuta da regioni e province autonome;
12) a prevedere indicatori per la valutazione, da effettuarsi con cadenza annuale, o comunque per ogni ciclo di finanziamento, dell'impatto degli stanziamenti per informare circa le future strategie di intervento, tramite la consultazione delle organizzazioni della società civile e dei centri antiviolenza;
13) ad assumere iniziative urgenti, anche di carattere normativo, al fine di garantire il riconoscimento del diritto di un adeguato ed equo indennizzo allo Stato, in base agli articoli 29 e 30 della Convenzione di Istanbul, alle vittime di episodi di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica fondati sul genere, nonché dare completa attuazione alla direttiva 2004/80/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004 e istituire il fondo a garanzia delle italiane vittime di violenza, evitando così ulteriori condanne da parte della Corte di giustizia dell'Unione europea in merito;
14) a porre in essere le opportune iniziative di carattere legislativo volte a garantire l'esclusione della applicabilità dell'articolo 162-ter c.p. al reato di atti persecutori e in ogni caso l'esclusione di ogni forma alternativa di risoluzione di controversie, o di giustizia riparativa per la definizione di giudizi che vedono le donne vittime della violenza da parte degli uomini, alla luce della Convenzione di Istanbul;
15) a porre in essere le opportune attività, anche di carattere legislativo, volte a dar seguito agli impegni previsti dalla raccomandazione generale 35 della Cedaw, adottata a luglio 2017;
16) ad attivare ed intensificare gli interventi per il recupero e l'accompagnamento degli autori di violenza nelle relazioni affettive e dei soggetti a rischio e per la prevenzione della recidiva per i reati di natura sessuale, riconoscendo comunque priorità nell'attuazione delle misure ai diritti ed alla sicurezza delle vittime, supportando e intensificando l'attività dei centri di ascolto coordinati a livello nazionale e garantendo la collaborazione degli stessi con il circuito già attivo di assistenza alle vittime, in modo da strutturare azioni coordinate per il recupero dell'uomo e dell'individuazione dell'uomo maltrattante;
17) ad adottare ogni utile iniziativa, anche attraverso apposite campagne di informazione e sensibilizzazione, volta a incoraggiare gli uomini e i ragazzi a contribuire attivamente alla prevenzione di ogni forma di violenza che rientra nel campo di applicazione della Convenzione di Istanbul.
(6-00368) «Di Vita, Nuti».


   La Camera,
   premesso che:
    la violenza di genere è un crimine e rappresenta una violazione fondamentale dei diritti umani; ha una matrice di carattere sociale ed è una violazione del godimento della libertà individuale di tutte le donne; è una questione culturale radicata profondamente nella relazione tra donne e uomini, nelle famiglie, nei luoghi di lavoro e di studio;
    la violenza contro le donne non è un problema che riguarda solo le donne ma riguarda tutta la società e da tutta la società deve essere affrontata;
    la drammatica realtà della violenza di genere richiede una condanna assoluta da parte di tutte le istituzioni ma soprattutto richiede la costruzione di una risposta chiara, coerente, integrata e competente che coinvolga tutti i soggetti parte della realtà nella quale viviamo;
    il 4 giugno 2013 la Camera ha approvato la mozione Speranza, Binetti, Brunetta, Locatelli, Migliore, Mucci, Rondini e Giorgia Meloni n. 1-00067 concernente iniziative volte al contrasto di ogni forma di violenza nei confronti delle donne;
    la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, siglata a Istanbul l'11 maggio 2011, è stata ratificata dall'Italia con la legge 27 giugno 2013, n. 77, ed è entrata in vigore il 1o agosto 2014;
    gli articoli 29 e 30 della Convenzione di Istanbul, in particolare, prevedono che alle vittime di episodi di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica fondati sul genere – che si verificano anche all'interno della famiglia o del nucleo familiare – sia riconosciuto il diritto di richiedere un adeguato ed equo indennizzo allo Stato;
    la direttiva 2004/80/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa all'indennizzo delle vittime di reato, mira a facilitare l'accesso ad un indennizzo per i cittadini dell'Unione che, vittime di un reato intenzionale e violento in uno Stato membro diverso da quello di residenza, non siano riusciti ad ottenere un risarcimento dall'autore del reato, in quanto questi non possiede le risorse necessarie oppure non può essere identificato o perseguito;
    in applicazione della Convenzione di Istanbul lo Stato italiano, con l'approvazione della legge 15 ottobre 2013, n. 119 di conversione del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, ha introdotto nuove norme in materia di maltrattamenti, violenza sessuale e atti persecutori attraverso modifiche al codice penale e al codice di procedura penale, nuove misure di prevenzione per condotte di violenza domestica, nuove disposizioni relative alla tutela per gli stranieri vittime di violenza domestica;
    per quanto attiene più specificamente ai profili strettamente penalistici del tema, secondo la rete dei centri antiviolenza, il nodo dell'intera discussione non è tanto la procedibilità del reato di stalking, quanto piuttosto l'assenza nel nostro ordinamento di una norma che – in ossequio al disposto dell'articolo 48 della Convenzione di Istanbul – vieti il ricorso a metodi alternativi di risoluzione dei conflitti tra cui la mediazione e la conciliazione nei casi di violenza di genere. Una semplice clausola di esclusione risolverebbe alla radice il problema. A tal proposito ci si aspetta pertanto da un Governo coerente non tanto la modifica per rendere procedibile d'ufficio il reato di atti persecutori, bensì l'esclusione della applicabilità dell'articolo 62-ter del codice penale al reato di atti persecutori e in ogni caso l'esclusione di ogni forma alternativa o riparativa per la definizione di giudizi che vedono le donne vittime della violenza da parte degli uomini, come sancito dalla Convenzione di Istanbul;
    il Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, che prevede la realizzazione di un sistema integrato di politiche pubbliche, dovrebbe superare l'impostazione dell'intervento basato sull'emergenza, in particolare prevedendo un programma di prevenzione ed emersione. L'educazione, la comunicazione e la formazione divengono elementi importanti in affiancamento alle politiche praticate;
    in parallelo, negli ultimi anni, il problema della violenza di genere è emerso in maniera forte nei discorsi pubblici e nella percezione sociale. La cronaca nazionale riporta, purtroppo sempre più spesso, episodi di cosiddetto femminicidio, maltrattamenti, stalking e discriminazione;
    ogni giorno in Italia vengono stuprate dalle 9 alle 11 donne. È successo più spesso tra il 2012 e il 2013 (alla fine dell'anno i casi denunciati furono quasi 5 mila), un po’ meno tra il 2013 e il 2014 (4.607), ancora meno l'anno successivo (3.624). Il confronto tra il 2017 e il 2016 non riserva sorprese: da gennaio a luglio del 2016 il Viminale aveva registrato 2.345 violenze sessuali, che sono scese a 2.333 quest'anno;
    la vera emergenza resta tuttavia quella relativa al numero degli stupri che avvengono sì, ma di cui nessuno sa niente. Secondo l'Istat – gli ultimi dati disponibili sono quelli relativi al 2014 – vengono commessi nel 62,7 per cento dei casi da partner o ex, nel 3,6 per cento da parenti e nel 9,4 per cento da amici. Il che significa, questa sì una sorpresa; in quasi 8 casi su 10 la violenza sessuale non avviene per strada, ad opera di uno sconosciuto. Di più: secondo il rapporto stilato dall'Agenzia dei diritti fondamentali dell'Unione europea, solo il 14 per cento delle donne denuncia gli abusi del partner, percentuale che per l'Italia scende al 10 per cento. Il risultato è che della quasi totalità degli stupri – che dunque avviene tra le mura domestiche o per mano di chi le donne conoscono e amano – non c’è traccia;
    i dati, quindi, sono ben poco incoraggianti e mettono in luce come il problema della violenza di genere sia ancora diffuso e grave;
    ciò che sembra mancare è una seria volontà politica di intervenire concretamente per contrastare la violenza contro le donne, considerato che ciò di cui si discute è un Piano – fondamentale perché dovrebbe contenere azioni concrete e tempi di realizzazione precisi e ovviamente relativi finanziamenti – previsto da una legge addirittura del 2013. Insomma, a distanza di quattro anni ben poco è stato fatto. E quel che è stato realizzato, lo si è fatto con clamorosi ritardi e tempi lunghi, come peraltro gravemente denunciato dalla Corte dei conti;
    la delega alle pari opportunità riguarda competenze ed argomenti importantissimi e centrali nel welfare, tendenti a garantire l'assenza di ostacoli alla partecipazione economica, politica e sociale di un qualsiasi individuo, soprattutto dei soggetti più deboli, per ragioni connesse in particolare al genere, religione e convinzioni personali, razza e origine etnica, disabilità, età, orientamento sessuale;
    in tale direzione, con rispettivi atti di indirizzo e controllo e con una petizione popolare, la firmataria del presente atto di indirizzo ha a più riprese chiesto che il Governo si impegnasse a proporre la nomina di un Ministro senza portafoglio con delega alle pari opportunità; ciò nonostante si è continuato a registrare negativamente un generale disinteresse politico dell'Esecutivo in merito, non avendo questi dato seguito tempestivo alla questione sollevata – come pur evidenziato dalla Corte dei conti –, rendendosi in tal modo complice della descritta situazione di impasse;
    la legislazione italiana, dunque, garantisce «formalmente» alle donne le cosiddette «pari opportunità» e i diritti fondamentali; tuttavia in Italia, come in molti altri Paesi, nonostante i principi della Convenzione di Istanbul siano stati declinati in una normativa interna «di pari opportunità», di fatto la donna viene ancora discriminata ed è soggetta a violenza quotidiana;
    qui, e in altri luoghi, i diritti fondamentali delle donne a livello normativo sono riconosciuti, quello che manca però è una concreta attuazione del quadro normativo esistente, una efficace risposta di prevenzione e repressione, oltre ad adeguati stanziamenti di fondi che garantiscano alle donne il concreto godimento dei loro diritti;
    per promuovere il cambiamento culturale necessario ad affrontare il fenomeno della violenza di genere declinato come violazione dei diritti fondamentali della persona e migliorare l'efficacia dell'intervento giudiziario resta molto da fare;
    occorrono investimenti, risorse umane e progettualità capaci di farsi carico della realtà della condizione delle donne in Italia e degli ostacoli materiali che le vittime incontrano quando vogliono uscire dalla violenza, offrendo loro supporto e protezione. Il piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere previsto va nella direzione giusta, ma è solo un primo passo, cui necessariamente dovranno seguirne altri;
    la Cedaw, la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna delle Nazioni Unite, ha istituito una nuova importante raccomandazione in tema di violenza contro le donne. La raccomandazione generale 35 è stata adottata a luglio 2017 e aggiorna la raccomandazione 19 (introdotta nel 1992) dedicata in specifico sulla violenza di genere. La raccomandazione 35 riconosce espressamente, tra l'altro, le nuove forme di violenza legate alla tecnologia e alla cyberviolenza, si occupa della forme di violenza multipla ed intersezionale, riconosce la necessità di formazione costante degli operatori giudiziari e afferma ancora una volta il divieto di mediazione e conciliazione nei casi di violenza di genere. In tal senso, la raccomandazione prevede uno specifico e importante impegno per tutti gli Stati che hanno sottoscritto la Convenzione;
    è altresì indispensabile un'opera di sensibilizzazione e formazione degli operatori del diritto (magistrati avvocati e forze dell'ordine) e di quelli sanitari: l'esperienza dimostra che tanto più alta è la specializzazione e tanto maggiore è la tutela effettiva dei diritti lesi. La mancanza di conoscenza del fenomeno, di una specializzazione e di una formazione in materia, di una cultura che riconosca il disvalore sociale e criminale dei maltrattamenti agiti dagli uomini nelle relazioni di intimità produce gravi pregiudizi alla parte offesa e la pone a rischio della vita;
    dal canto loro, anche le istituzioni scolastiche devono promuovere nelle scuole di ogni ordine e grado l'educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93;
    gli innumerevoli fatti di cronaca che hanno descritto in questi ultimi anni episodi di violenze e discriminazioni consumatisi principalmente in ambiente scolastico spingono le istituzioni a porre in essere i necessari provvedimenti, consci del fatto che la difficile via da seguire per contrastare il dilagare degli stereotipi e dei ruoli di genere e i conseguenti drammi che il bullismo omofobico sa scatenare sia proprio la via dell'educazione;
    per incidere attivamente sulla prevenzione è fondamentale intervenire nelle scuole, avviando con gli studenti specifiche attività che conducano a riflettere sugli stereotipi di genere, a combatterli e a mostrare le continue e distorte costruzioni dei ruoli maschili e femminili. Solo instaurando un dialogo attivo su questi temi sarà possibile combattere e superare quei presupposti culturali che alimentano e incentivano la discriminazione tra i sessi e che, se non contrastati, continueranno a crescere;
    la violenza sulle donne costituisce una violazione dei diritti umani che ostacola o rende impossibile il godimento di altri diritti umani, compromettendo altresì il raggiungimento della parità di opportunità tra donne e uomini,

impegna il Governo

1) a porre in essere ogni utile iniziativa volta a garantire la corretta stesura ed efficace attuazione del nuovo Piano antiviolenza secondo i principi della Convenzione di Istanbul, ricorrendo in particolare al coinvolgimento tempestivo delle associazioni di settore e dei centri antiviolenza di maggior esperienza dislocati nel territorio, in particolare nella fase di pianificazione degli interventi e coordinamento degli stessi a livello nazionale, in modo da evitare le inefficienze riscontrate nell'attuazione del precedente Piano antiviolenza straordinario varato nel 2015;
2) a prevedere, nell'ambito della redazione del nuovo Piano antiviolenza, maggiore cura e capillarità d'intervento nella formazione degli operatori, a tutti i livelli, a contatto con le vittime di violenza, quali gli operatori sanitari, le forze dell'ordine, gli assistenti sociali, gli operatori giuridici, in particolare avvalendosi anche della cooperazione dei centri antiviolenza di maggior esperienza dislocati nel territorio;
3) a stimare il fabbisogno reale dei centri antiviolenza per la loro sopravvivenza e il loro adeguato funzionamento, informando di conseguenza circa lo stanziamento necessario per assicurare servizi adeguati su tutto il territorio e reperendo le risorse atte a garantire la dotazione necessaria del Fondo contro la violenza alle donne finalizzato alla prevenzione, all'informazione e alla sensibilizzazione nei confronti del fenomeno della violenza contro le donne di cui all'articolo 1, comma 359, legge 11 dicembre 2016, n. 232;
4) di concerto con le rappresentanze scolastiche locali, a porre in essere e dare incentivo, per quanto di competenza, ad iniziative volte alla prevenzione di qualunque forma di discriminazione basata sul genere di appartenenza e sull'orientamento sessuale nei contesti scolastici, in particolare implementando percorsi didattici e programmi di educazione alla parità di genere, all'affettività e alla sessualità consapevole nelle scuole secondarie di primo grado e nei primi due anni delle scuole secondarie di secondo grado, nonché integrazione dei corsi di studio universitari, al fine di evitare il perpetrarsi di conseguenti fenomeni di violenza e di bullismo;
5) a riconoscere e attribuire piena autonomia e implementazione del raggio d'azione dell'UNAR, estendendone la sfera di competenza a tutte le forme di discriminazione, non solo quelle razziali, provvedendo altresì a modificare anche la sua stessa denominazione, ormai anacronistica, in «UNA» (Ufficio nazionale antidiscriminazioni), garantendone trasparenza nelle modalità di gestione e finanziamento;
6) a garantire la promozione delle attività propedeutiche alla realizzazione del sistema integrato di raccolta ed elaborazione dei dati, in collaborazione con l'ISTAT e la Rete nazionale dei Centri antiviolenza D.i.Re., e all'analisi dei medesimi al fine di individuare eventuali best practices da replicare sul territorio nazionale;
7) a migliorare ed ottimizzare il rilevamento e l'accessibilità alle informazioni già disponibili sul sito istituzionale del Dipartimento per le pari opportunità;
8) ad adottare le iniziative necessarie per assicurare una maggiore attenzione verso il rispetto (sostanziale, e non solo formale) delle modalità di leale collaborazione, tra lo Stato e le regioni, con particolare riguardo alla comunicazione al Dipartimento per le pari opportunità del concreto impiego delle risorse e delle valutazioni quali-quantitative effettuate sui risultati conseguiti, di modo che lo stesso possa, a sua volta, rassegnare al Parlamento le informazioni a questo dovute sulla concreta attuazione della legge;
9) a garantire la predisposizione degli strumenti necessari a instaurare un efficace collegamento con i Tavoli di coordinamento istituiti presso la sede degli ambiti territoriali, cui è intestata la governance territoriale;
10) ad assicurare che i finanziamenti stanziati annualmente in virtù della legge n. 119 del 2013 siano erogati senza ritardi, ad accertare le cause di eventuali ritardi riscontrati al fine di adottare tutte le misure necessarie per porvi rimedio;
11) ad aggiornare la mappatura dei centri antiviolenza del Dipartimento per le pari opportunità secondo la reportistica ricevuta da regioni e province autonome;
12) a proseguire nelle azioni già intraprese con l'istituzione del fondo destinato al ristoro patrimoniale delle vittime al fine di monitorare l'adeguatezza della copertura finanziaria;
13) a porre in essere le opportune iniziative di carattere legislativo volte a garantire l'esclusione della applicabilità dell'articolo 162-ter c.p. al reato di atti persecutori e in ogni caso l'esclusione di ogni forma alternativa di risoluzione di controversie, o di giustizia riparativa per la definizione di giudizi che vedono le donne vittime della violenza da parte degli uomini, alla luce della Convenzione di Istanbul;
14) a porre in essere le opportune attività, anche di carattere legislativo, volte a dar seguito agli impegni previsti dalla raccomandazione generale 35 della Cedaw, adottata a luglio 2017;
15) ad attivare ed intensificare gli interventi per il recupero e l'accompagnamento degli autori di violenza nelle relazioni affettive e dei soggetti a rischio e per la prevenzione della recidiva per i reati di natura sessuale, riconoscendo comunque priorità nell'attuazione delle misure ai diritti ed alla sicurezza delle vittime, supportando e intensificando l'attività dei centri di ascolto coordinati a livello nazionale e garantendo la collaborazione degli stessi con il circuito già attivo di assistenza alle vittime, in modo da strutturare azioni coordinate per il recupero dell'uomo e dell'individuazione dell'uomo maltrattante;
16) ad adottare ogni utile iniziativa, anche attraverso apposite campagne di informazione e sensibilizzazione, volta a incoraggiare gli uomini e i ragazzi a contribuire attivamente alla prevenzione di ogni forma di violenza che rientra nel campo di applicazione della Convenzione di Istanbul.
(6-00368)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Di Vita, Nuti».