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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Mercoledì 10 maggio 2017

TESTO AGGIORNATO ALL'11 MAGGIO 2017

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 10 maggio 2017.

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Alli, Amendola, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bressa, Brunetta, Bueno, Buttiglione, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Catania, Causin, Censore, Antimo Cesaro, Cirielli, Colonnese, Coppola, Costa, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Menech, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Ferrara, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Frusone, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Giorgis, Gozi, Lorenzo Guerini, Guerra, La Russa, Laforgia, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Marcon, Marotta, Martella, Antonio Martino, Mazziotti Di Celso, Meta, Migliore, Monchiero, Mucci, Orlando, Pannarale, Pes, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Francesco Saverio Romano, Rosato, Domenico Rossi, Rossomando, Rostan, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Scanu, Schullian, Sereni, Sottanelli, Speranza, Tabacci, Terzoni, Tofalo, Turco, Valeria Valente, Velo, Vignali, Villecco Calipari.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta)

  Adornato, Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Alli, Amendola, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bressa, Brunetta, Bueno, Buttiglione, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Catania, Causin, Censore, Antimo Cesaro, Cicchitto, Cirielli, Colonnese, Coppola, Costa, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Menech, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Ferrara, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Frusone, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Giorgis, Gozi, Lorenzo Guerini, Guerra, La Russa, Laforgia, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Marcon, Marotta, Martella, Antonio Martino, Mazziotti Di Celso, Meta, Migliore, Mucci, Nicoletti, Orlando, Pannarale, Pes, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Francesco Saverio Romano, Rosato, Domenico Rossi, Rossomando, Rostan, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Scanu, Schullian, Sereni, Sottanelli, Speranza, Tabacci, Terzoni, Tofalo, Turco, Valeria Valente, Velo, Venittelli, Vignali, Villecco Calipari.

Annunzio di disegni di legge.

  In data 9 maggio 2017 è stato presentato alla Presidenza il seguente disegno di legge:
   dal Presidente del Consiglio dei ministri e dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale:
    «Ratifica ed esecuzione dell'Accordo relativo alla protezione dell'ambiente marino e costiero di una zona del Mare Mediterraneo (Accordo RAMOGE), tra Italia, Francia e Principato di Monaco, fatto a Monaco il 10 maggio 1976 ed emendato a Monaco il 27 novembre 2003» (4475).

  Sarà stampato e distribuito.

Adesione di deputati a proposte di legge.

  La proposta di legge VECCHIO ed altri: «Modifica all'articolo 20 della legge 23 febbraio 1999, n. 44, concernente la rateizzazione del debito per le vittime delle richieste estorsive e dell'usura» (4073) è stata successivamente sottoscritta dalla deputata Amoddio.

  La proposta di legge GUIDESI ed altri: «Modifiche alla legge 8 ottobre 2010, n. 170, per favorire l'inserimento scolastico delle persone con disturbi specifici di apprendimento» (4397) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Altieri, Calabrò, Ciracì, Distaso e Vezzali.

Modifica del titolo di proposte di legge.

  La proposta di legge n. 4449, d'iniziativa dei deputati SIMONETTI ed altri, ha assunto il seguente titolo: «Istituzione della carta di lavoro saltuario e temporaneo e disciplina dello svolgimento di prestazioni lavorative saltuarie e temporanee».

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:

   III Commissione (Affari esteri):
  S. 2052. – «Ratifica ed esecuzione dell'Accordo complementare del Trattato di cooperazione generale tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica della Colombia relativo alla cooperazione nel settore della difesa, fatto a Roma il 29 luglio 2010 e a Bogotà il 5 agosto 2010» (Approvato dal Senato) (4461) Parere delle Commissioni I, IV, V e X;
  S. 2051. – «Ratifica ed esecuzione dell'Accordo sulla cooperazione militare e di difesa tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica gabonese, fatto a Roma il 19 maggio 2011» (Approvato dal Senato) (4464) Parere delle Commissioni I, II, IV, V e X.

   VI Commissione (Finanze):
  PILI: «Modifiche all'articolo 29 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, in materia di accertamento e riscossione delle imposte e di aggio dovuto all'agente della riscossione, nonché disposizioni concernenti la sospensione temporanea dei procedimenti esecutivi di riscossione nel caso di richiesta di dilazione e sospensione del pagamento» (208) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, X, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

   VII Commissione (Cultura):
  PILI: «Disposizioni per la tutela, la conoscenza e la valorizzazione della civiltà nuragica e dei suoi monumenti» (209) Parere delle Commissioni I, IV, V, VI, VIII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), IX, X, XI, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

   XI Commissione (Lavoro):
  MENORELLO: «Disposizioni concernenti la riammissione in servizio dei pubblici dipendenti sospesi dal servizio o collocati in quiescenza a seguito di provvedimento di sospensione successivamente revocato dall'amministrazione» (4386) Parere delle Commissioni I, II, V, XII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
  SIMONETTI ed altri: «Istituzione della carta di lavoro saltuario e temporaneo e disciplina dello svolgimento di prestazioni lavorative saltuarie e temporanee» (4449) Parere delle Commissioni I, II, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, VIII, IX, X, XII, XIII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Trasmissione dalla Commissione parlamentare di controllo sulle attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale.

  Il Presidente della Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale, con lettera in data odierna, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 143, comma 1, del Regolamento della Camera, la «Relazione sui bilanci consuntivi 2011-2012-2013-2014-2015, dei bilanci preventivi 2012-2013-2014-2015 e del bilancio tecnico attuariale al 31 dicembre 2014 della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense», approvata il 10 maggio 2017 dalla Commissione medesima (Doc. XVI-bis, n. 10).

  Tale documento sarà stampato e distribuito.

Trasmissione dalla Corte dei conti.

  Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 5 maggio 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), per l'esercizio 2015, e le connesse determinazione e relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria della CONI Servizi Spa, per il medesimo esercizio. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dagli enti ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 519).

  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla VII Commissione (Cultura).

Trasmissione dal Ministero dell'interno

  Il Ministero dell'interno ha trasmesso decreti ministeriali recanti variazioni di bilancio tra capitoli dello stato di previsione del medesimo Ministero, di pertinenza del centro di responsabilità «Vigili del fuoco, soccorso pubblico e difesa civile», autorizzate, nel corso del 2016, ai sensi dell'articolo 3, comma 5, del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279, dell'articolo 16, comma 2, della legge 10 agosto 2000, n. 246, e dell'articolo 11, comma 4, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119.

  Questi decreti sono trasmessi alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla V Commissione (Bilancio).

Trasmissioni dal Ministero dello sviluppo economico.

  Il Ministero dello sviluppo economico ha trasmesso un decreto ministeriale recante variazioni di bilancio tra capitoli dello stato di previsione del medesimo Ministero, di pertinenza del centro di responsabilità «Direzione generale per il mercato elettrico, le rinnovabili e l'efficienza energetica, il nucleare», autorizzate, in data 3 marzo 2017, ai sensi dell'articolo 23, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289.

  Questo decreto è trasmesso alla V Commissione (Bilancio) e alla X Commissione (Attività produttive).

  Il Ministero dello sviluppo economico ha trasmesso un decreto ministeriale recante variazioni di bilancio tra capitoli dello stato di previsione del medesimo Ministero, di pertinenza dell'Istituto superiore delle comunicazioni e delle tecnologie dell'informazione, autorizzate, in data 3 marzo 2017, ai sensi dell'articolo 23, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289.

  Questo decreto è trasmesso alla V Commissione (Bilancio) e alla IX Commissione (Trasporti).

Trasmissioni dal Ministero dell'economia e delle finanze.

  Il Ministero dell'economia e delle finanze ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 18, comma 3, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, il decreto ministeriale n. 26528 del 30 marzo 2017, recante modifiche di struttura allo stato di previsione del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e variazioni di bilancio tra capitoli del medesimo stato di previsione.

  Questo decreto è trasmesso alla III Commissione (Affari esteri) e alla V Commissione (Bilancio).

  Il Ministero dell'economia e delle finanze ha trasmesso decreti ministeriali recanti variazioni di bilancio tra capitoli dello stato di previsione del medesimo Ministero, di pertinenza del centro di responsabilità «Dipartimento del tesoro», autorizzate, in data 12 e 28 aprile 2017, ai sensi dell'articolo 33, comma 4-quinquies, della legge 31 dicembre 2009, n. 196.

  Questi decreti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio).

Trasmissione dal Ministero della difesa.

  Il Ministero della difesa ha trasmesso un decreto ministeriale recante variazioni di bilancio tra capitoli dello stato di previsione del medesimo Ministero, autorizzate, in data 3 aprile 2017, ai sensi dell'articolo 617, comma 2, del codice di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66.

  Questo decreto è trasmesso alla IV Commissione (Difesa) e alla V Commissione (Bilancio).

Trasmissione dal Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri.

  Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 9 maggio 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 4 e 5, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, la relazione in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'uso del sistema d'informazione Schengen per il rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (COM(2016) 881 final).

  Questa relazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

ERRATA CORRIGE

  Nell’Allegato A al resoconto della seduta del 9 maggio 2017, a pagina 4, seconda colonna, decima riga, dopo la parola: «Regolamento),» deve intendersi inserita la seguente: «IV,».

DISEGNO DI LEGGE: CONVERSIONE IN LEGGE DEL DECRETO-LEGGE 2 MAGGIO 2017, N. 55, RECANTE MISURE URGENTI PER ASSICURARE LA CONTINUITÀ DEL SERVIZIO SVOLTO DA ALITALIA S.P.A. (A.C. 4452)

A.C. 4452 – Questione pregiudiziale

QUESTIONE PREGIUDIZIALE

  La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 2 maggio 2017, n. 55, recante misure urgenti per assicurare la continuità del servizio svolto da Alitalia S.p.A., presenta profili di incompatibilità con diverse norme costituzionali e con la giurisprudenza Costituzionale che è intervenuta ripetutamente in merito alle circostanze che rendono ammissibile o meno l'utilizzo dello strumento del decreto-legge;
    il decreto-legge in esame, che conferma l'intervento dello Stato nella gestione Alitalia attraverso la procedura di amministrazione straordinaria, è contrario a quanto disposto dall'articolo 41 della Costituzione che sancisce la libertà dell'iniziativa economica privata, profilandosi una sorta di statalizzazione della società che vede lo Stato invadere la sfera del privato. Infatti, la procedura di amministrazione straordinaria delle imprese in stato di insolvenza nasce per la ristrutturazione e/o vendita delle imprese a partecipazione pubblica o operanti nei settori dei servizi pubblici essenziali ma l'intervento su Alitalia è un esproprio nella gestione della proprietà attraverso l'intervento generale dello Stato nel settore privato;
    la dichiarazione dello stato di emergenza dovrebbe inoltre servire per periodi brevi, altrimenti comporta una stabilizzazione dell'emergenza che costituisce una forzatura del sistema democratico del governo del Paese. Invece dal 2008 ad oggi lo Stato, riconoscendo la condizione di crisi della società di bandiera, ha avuto un'ingerenza forte in numerose occasioni con diversi interventi, elargendo dal 2008 (anno del primo prestito ponte di 300 milioni di euro) fino al 2014 (anno dell'ingresso per il 49 per cento di Etihad e la nascita della «nuova» Alitalia svincolata dallo Stato) una somma pari a 4,1 miliardi di euro, escludendo l'attuale prestito ponte di 600 milioni. Nel medesimo arco temporale, il nostro Paese ha vissuto una delle crisi economiche più rilevanti dell'ultimo secolo e i Governi che si sono succeduti hanno scelto di destinare ingenti risorse economiche per il risanamento dell'Alitalia anche dopo la sua completa privatizzazione e la consistente partecipazione azionaria dell'Etihad, compagnia aerea di bandiera degli Emirati Arabi. È evidente che la deliberata scelta di destinare sistematicamente ingenti risorse pubbliche distogliendole da interventi mirati a far uscire il nostro Paese dalla crisi economica, presenta profili di criticità rispetto ai principi costituzionali sanciti dagli articoli 3, 4, 9, 31, 32, 36, 38, 47;
    tale ingerenza statale, che perdura da un decennio, snatura le caratteristiche straordinarie di necessità e urgenza dell'intervento governativo ai sensi dell'articolo 77 della Costituzione e non si presenta risolutiva delle problematiche legate all'Alitalia, tanto più che la gestione delle emergenze attraverso l'adozione di regimi commissariali, anziché accelerare la messa in atto di azioni concrete, in molti casi, ha ritardato la soluzione del problema;
    la prassi legislativa del ricorso continuo e reiterato all'uso della decretazione d'urgenza che è stata più volte censurata dalla Corte Costituzionale svuota e mortifica il ruolo del Parlamento, in contrasto ai dettami dell'articolo 70 della Costituzione che affida alle due Camere l'esercizio della funzione legislativa,

delibera

di non procedere all'esame del disegno di legge n. 4452.
N. 1. Allasia, Fedriga, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti.

DISEGNO DI LEGGE: DELEGA AL GOVERNO IN MATERIA DI AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA DELLE GRANDI IMPRESE IN STATO DI INSOLVENZA (A.C. 3671-TER-A) E ABBINATA PROPOSTA DI LEGGE: ABRIGNANI ED ALTRI (A.C. 865)

A.C. 3671-ter-A – Parere della I Commissione

PARERE DELLA I COMMISSIONE SULLE PROPOSTE EMENDATIVE PRESENTATE

NULLA OSTA

sugli emendamenti contenuti nel fascicolo n. 1.

A.C. 3671-ter-A – Parere della V Commissione

PARERE DELLA V COMMISSIONE SUL TESTO DEL PROVVEDIMENTO E SULLE PROPOSTE EMENDATIVE PRESENTATE

Sul testo del provvedimento in oggetto:

PARERE FAVOREVOLE

Sugli emendamenti trasmessi dall'Assemblea:

PARERE CONTRARIO

sugli emendamenti 2.1, 2.2, 2.5, 2.6 e 2.9, in quanto suscettibili di determinare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica privi di idonea quantificazione e copertura,

NULLA OSTA

sulle restanti proposte emendative.

A.C. 3671-ter-A – Articolo 1

ARTICOLO 1 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE

Art. 1.
(Oggetto della delega al Governo e procedura per il suo esercizio).

  1. Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della giustizia, sentito il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con l'osservanza dei princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 2, un decreto legislativo per la riforma organica della disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, di cui al decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, e al decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39.
  2. Lo schema del decreto legislativo di cui al comma 1 è trasmesso alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, entro il sessantesimo giorno antecedente la scadenza del termine per l'esercizio della delega, per l'espressione dei pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per gli aspetti finanziari, da rendere entro il termine di trenta giorni. Decorso tale termine il decreto può essere comunque adottato.
  3. Dall'esercizio della delega di cui al presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 1 DEL DISEGNO DI LEGGE

ART. 1.
(Oggetto della delega al Governo e procedura per il suo esercizio).

  Al comma 1, sostituire le parole: con l'osservanza con le seguenti: nel rispetto.
1. 1. Da Villa, Crippa, Cancelleri, Della Valle, Fantinati, Vallascas.
(Approvato)

  Al comma 2, sopprimere il secondo periodo.
1. 2. Civati, Marcon, Brignone, Airaudo, Andrea Maestri, Placido.

A.C. 3671-ter-A – Articolo 2

ARTICOLO 2 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE

Art. 2.
(Princìpi e criteri direttivi).

  1. Nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
   a) introdurre un'unica procedura di amministrazione straordinaria, con finalità conservative del patrimonio produttivo, diretta alla regolazione dell'insolvenza di singole imprese ovvero, alle condizioni indicate dall'articolo 81 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, di gruppi di imprese che, in ragione della loro notevole dimensione, assumano un rilievo economico-sociale di carattere generale, anche sotto il profilo della tutela occupazionale;
   b) individuare i presupposti di accesso alla procedura, con riguardo all'esistenza congiunta di:
    1) uno stato di insolvenza;
    2) un rilevante profilo dimensionale, da ancorare alla media del volume di affari degli ultimi tre esercizi;
    3) un numero di dipendenti pari ad almeno 250 unità per la singola impresa e ad almeno 800 unità, da calcolare cumulativamente, in caso di contestuale richiesta di ammissione alla procedura di più imprese appartenenti al medesimo gruppo di imprese;
    4) concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico delle attività imprenditoriali e di salvaguardia della continuità produttiva e dell'occupazione diretta e indiretta;
   c) stabilire che l'intero procedimento si svolga, su domanda del debitore, dei creditori, del Ministero dello sviluppo economico o del pubblico ministero, dinanzi al tribunale sede della sezione specializzata in materia di impresa, all'esito di un'istruttoria improntata alla massima celerità, omessa ogni formalità non essenziale al rispetto dei princìpi del contraddittorio e del diritto di difesa;
   d) disciplinare l'operatività di misure protettive analoghe a quelle previste per il concordato preventivo, a decorrere dalla pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di accertamento dei presupposti per l'ammissione alla procedura;
   e) prevedere che il tribunale, entro dieci giorni dal deposito della domanda di cui alla lettera c), accertata la sussistenza dei presupposti di cui ai numeri 1), 2) e 3) della lettera b), dichiari lo stato di insolvenza e disponga l'apertura della procedura per l'ammissione all'amministrazione straordinaria, nominando un giudice delegato;
   f) istituire presso il Ministero dello sviluppo economico, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, l'albo dei commissari straordinari per l'amministrazione delle grandi imprese in stato di insolvenza, determinando in particolare i requisiti di indipendenza, professionalità, onorabilità, trasparenza e assenza di conflitti di interesse, necessari per l'iscrizione nell'albo medesimo; prevedere tra i requisiti per l'iscrizione nell'albo l'avere svolto funzioni di amministrazione o funzioni direttive nell'ambito di imprese di notevoli dimensioni o nell'ambito di procedure concorsuali di natura conservativa e l'avere maturato specifica esperienza e professionalità nel campo della ristrutturazione delle imprese in crisi;
   g) stabilire che il Ministro dello sviluppo economico nomini con tempestività il commissario straordinario, ovvero, nei casi di eccezionale complessità, tre commissari straordinari, ai quali sono attribuite l'amministrazione e la rappresentanza dell'impresa insolvente, individuandoli tra gli iscritti nell'albo dei commissari straordinari di cui alla lettera f); prevedere che lo stesso soggetto non possa essere investito della funzione commissariale con riferimento a più imprese contemporaneamente, salvo che si tratti di imprese appartenenti al medesimo gruppo, ovvero in casi eccezionali e motivati; prevedere altresì per i commissari straordinari il divieto, sanzionabile con la revoca dall'incarico, di ricevere incarichi professionali da professionisti incaricati della stessa funzione o di conferirli ai medesimi;
   h) stabilire criteri e modalità di remunerazione del commissario che tengano conto dell'efficienza ed efficacia dell'opera prestata e siano parametrati, secondo fasce coerenti con le dimensioni dell'impresa:
    1) all'attivo realizzato e al passivo accertato, nel rispetto dei limiti stabiliti per le altre procedure concorsuali;
    2) al fatturato realizzato durante l'esercizio dell'impresa, nel rispetto dei limiti previsti dalla legge per i compensi degli amministratori delle società pubbliche non quotate;
   i) prevedere che il tribunale, entro quarantacinque giorni dall'apertura della procedura per l'ammissione all'amministrazione straordinaria, previa acquisizione del parere favorevole del Ministero dello sviluppo economico e in considerazione del piano predisposto dal commissario straordinario, disponga con decreto l'ammissione del debitore all'amministrazione straordinaria, se risulta comprovata la sussistenza di concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico delle attività imprenditoriali, ovvero, ove lo ritenga utile o necessario, conferisca a un professionista iscritto nell'albo dei commissari straordinari di cui alla lettera f) l'incarico di attestare, entro i successivi trenta giorni, la sussistenza dei presupposti per il recupero dell'equilibrio economico delle attività imprenditoriali, al fine di adottare il decreto di ammissione del debitore all'amministrazione straordinaria; prevedere che, in alternativa, il tribunale dichiari aperta la procedura di liquidazione giudiziale;
   l) prevedere che per le società quotate in mercati regolamentati, per le imprese con almeno 1.000 dipendenti e un volume di affari pari a un multiplo significativo di quello individuato ai sensi della lettera b), numero 2), nonché per le imprese operanti nei servizi pubblici essenziali per le quali sussistano i presupposti di cui alla lettera b), il Ministro dello sviluppo economico possa direttamente disporre, in via provvisoria, l'ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria, con contestuale nomina del commissario straordinario secondo i criteri di cui alla lettera g), e che in tal caso il tribunale, accertata la sussistenza dei presupposti di cui ai numeri 1), 2) e 3) della lettera b), confermi entro breve termine l'ammissione alla procedura medesima;
   m) prevedere che le imprese oggetto di confisca ai sensi del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, siano ammesse all'amministrazione straordinaria anche in mancanza dei requisiti di cui alle lettere a) e b) del presente comma;
   n) disciplinare le modalità di nomina del comitato di sorveglianza da parte del Ministro dello sviluppo economico e, per quanto riguarda i componenti da individuare tra i creditori, da parte del tribunale, nonché la sua composizione e i relativi poteri, specialmente con riguardo alla vigilanza sugli interessi dei creditori, sull'attuazione del programma e sulle concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico delle attività imprenditoriali;
   o) disciplinare le modalità con cui il tribunale, su ricorso del commissario straordinario, sentito il comitato di sorveglianza, può autorizzare:
    1) la sospensione ovvero lo scioglimento dei contratti pendenti;
    2) il pagamento di crediti pregressi strategici al di fuori delle regole del riparto;
    3) l'esonero dalle azioni revocatorie per i pagamenti effettuati dall'imprenditore;
   p) definire i contenuti del programma di ristrutturazione sulla base delle disposizioni di cui agli articoli 4 e 4-bis del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39, nonché la durata dei programmi di ristrutturazione e di cessione dei complessi aziendali, assicurandone la flessibilità in funzione delle caratteristiche dell'impresa e dei mercati di riferimento;
   q) legittimare il commissario straordinario e il comitato di sorveglianza a presentare al tribunale istanza di conversione dell'amministrazione straordinaria in liquidazione giudiziale ordinaria, in caso di mancata realizzazione del programma ovvero di comprovata insussistenza o del venire meno delle concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico; attribuire analoga facoltà a una percentuale non irrisoria dei creditori, consentendone l'esercizio non prima di un congruo termine, in modo da garantire la stabilità della procedura, nella fase iniziale, e l'effettività della tutela dei creditori;
   r) disciplinare l'accesso delle imprese in amministrazione straordinaria al concordato, anche sulla base di proposte concorrenti;
   s) prevedere, per quanto non altrimenti disciplinato e in particolare per quanto attiene alla disciplina dei gruppi d'impresa e all'esecuzione del programma, che trovino applicazione i criteri ispiratori della disciplina di cui al decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, sostituendo il fallimento con la liquidazione giudiziale, e che, entro i limiti consentiti dalla normativa dell'Unione europea, sia tenuta ferma la possibilità per lo Stato di garantire i debiti contratti dalle imprese in amministrazione straordinaria ai sensi dell'articolo 2-bis del decreto-legge 30 gennaio 1979, n. 26, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 aprile 1979, n. 95.

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 2 DEL DISEGNO DI LEGGE

ART. 2.
(Princìpi e criteri direttivi).

  Al comma 1, lettera a), aggiungere, in fine, le parole: e della salvaguardia della continuità aziendale.
2. 3. Allasia.

  Al comma 1, lettera b), numero 2), sostituire le parole: ancorare alla con le seguenti: quantificare sulla base della.
2. 4. Da Villa, Crippa, Cancelleri, Della Valle, Fantinati, Vallascas.
(Approvato)

  Al comma 1, lettera b), numero 3), sostituire la parola: 800 con la seguente: 400.
2. 5. Allasia.

  Al comma 1, dopo la lettera e), aggiungere la seguente:
   e-bis) prevedere che, nell'ambito di programmi di ristrutturazione per la selezione di potenziali acquirenti di complessi d'azienda o di rami della medesima, sia salvaguardata la continuità dei lavori affidati a terzi, a tutela dell'indotto.
2. 8. Allasia.

  Al comma 1, lettera g), dopo le parole: ovvero in casi eccezionali aggiungere le seguenti:, espressamente previsti.
2. 7. Da Villa, Crippa, Cancelleri, Della Valle, Fantinati, Vallascas.

  Al comma 1, dopo la lettera g) aggiungere la seguente:
   g-bis)
prevedere che il commissario straordinario possa essere successivamente revocato, per giusta causa, dal Ministro dello sviluppo economico, anche su istanza motivata del comitato di sorveglianza.
2. 15. Camani.
(Approvato)

  Al comma 1, lettera i), sostituire le parole: in considerazione con le seguenti: sulla base.
2. 10. Da Villa, Crippa, Cancelleri, Della Valle, Fantinati, Vallascas.
(Approvato)

  Al comma 1, lettera l), sostituire le parole: ai numeri 1), 2) e 3) della con le seguenti: alla.
2. 11. Da Villa, Crippa, Cancelleri, Della Valle, Fantinati, Vallascas.

  Al comma 1, dopo la lettera l) aggiungere la seguente:
   l-bis)
prevedere che gli ammortizzatori sociali per i lavoratori coinvolti nelle imprese in amministrazione straordinaria decorrano dal momento dell'apertura della procedura per l'ammissione e prevedere il loro utilizzo fino all'esecuzione del programma nonché fino all'esecuzione degli obblighi occupazionali correlati alla vendita dei complessi aziendali.
*2. 1. Civati, Marcon, Brignone, Airaudo, Andrea Maestri, Placido.

  Al comma 1, dopo la lettera l) aggiungere la seguente:
   l-bis)
prevedere che gli ammortizzatori sociali per i lavoratori coinvolti nelle imprese in amministrazione straordinaria decorrano dal momento dell'apertura della procedura per l'ammissione e prevedere il loro utilizzo fino all'esecuzione del programma nonché fino all'esecuzione degli obblighi occupazionali correlati alla vendita dei complessi aziendali.
*2. 6. Ricciatti, Ferrara.

  Al comma 1, dopo la lettera l) aggiungere la seguente:
   l-bis)
stabilire che l'utilizzo degli ammortizzatori sociali per i lavoratori delle imprese in amministrazione straordinaria, nell'ambito delle esistenti disponibilità economiche, decorra dalla data di apertura della procedura per l'ammissione e continui fino all'esecu-zione del programma predisposto dal commissario straordinario nonché all'adempimento degli obblighi di salvaguardia dell'occupazione correlati alla vendita dei complessi aziendali.
**2. 2. Civati, Marcon, Brignone, Airaudo, Andrea Maestri, Placido.

  Al comma 1, dopo la lettera l) aggiungere la seguente:
   l-bis)
stabilire che l'utilizzo degli ammortizzatori sociali per i lavoratori delle imprese in amministrazione straordinaria, nell'ambito delle esistenti disponibilità economiche, decorra dalla data di apertura della procedura per l'ammissione e continui fino all'esecuzione del programma predisposto dal commissario straordinario nonché all'adempimento degli obblighi di salvaguardia dell'occupazione correlati alla vendita dei complessi aziendali.
**2. 9. Camani.

  Al comma 1, sopprimere la lettera m).
*2. 12. Sarti, Businarolo, Ferraresi, Bonafede, Agostinelli, Colletti, Vallascas, Crippa, Da Villa, Fantinati, Cancelleri, Della Valle.
(Approvato)

  Al comma 1, sopprimere la lettera m).
*2. 13. Camani, Naccarato.
(Approvato)

  Al comma 1, sopprimere la lettera m).
*2. 14. Allasia.
(Approvato)

A.C. 3671-ter-A – Ordini del giorno

ORDINI DEL GIORNO

   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge ora al voto, deriva dallo stralcio dell'originario disegno di legge A.C. 3671, concernente la «Delega al Governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza», presentato alla Camera dei deputati l'11 marzo 2016;
    il provvedimento contiene i principi e i criteri direttivi di delega per la riforma dell'istituto dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, al fine di ricondurlo ad un quadro di regole generali comuni, come derivazione particolare della procedura generale concorsuale;
    in tal senso ed in conseguenza dello stralcio è stato inserito un nuovo articolo con il quale si specifica che l'oggetto della delega è la riforma organica della disciplina della amministrazione straordinaria di cui al decreto legislativo 8 luglio 1999 n. 270 e al decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39 e successive modificazioni,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di attenersi, nell'ambito dell'esercizio della delega di cui sopra, al complesso di norme funzionali a disciplinare la crisi di grandi imprese tenendo presente che esse necessitano sempre dell'intervento pubblico finalizzato alla salvaguardia dell'attività di impresa e al mantenimento dell'integrità aziendale nel rispetto della normativa comunitaria.
9/3671-ter-A/1Nesi.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge ora al voto, deriva dallo stralcio dell'originario disegno di legge A.C. 3671, concernente la «Delega al Governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza», presentato alla Camera dei deputati l'11 marzo 2016;
    il provvedimento contiene i principi e i criteri direttivi di delega per la riforma dell'istituto dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, al fine di ricondurlo ad un quadro di regole generali comuni, come derivazione particolare della procedura generale concorsuale;
    in tal senso ed in conseguenza dello stralcio è stato inserito un nuovo articolo con il quale si specifica che l'oggetto della delega è la riforma organica della disciplina della amministrazione straordinaria di cui al decreto legislativo 8 luglio 1999 n. 270 e al decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39 e successive modificazioni,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di attenersi, nell'ambito dell'esercizio della delega di cui sopra, al complesso di norme funzionali a disciplinare la crisi di grandi imprese.
9/3671-ter-A/1. (Testo modificato nel corso della seduta) Nesi.


   La Camera,
   premesso che:
    il testo in esame contiene la Delega al Governo in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza;
    tra i presupposti per l'accesso alla procedura di insolvenza vengono indicate, al punto 4 della sopra citata lettera b), «concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico delle attività imprenditoriali e di salvaguardia della continuità produttiva e dell'occupazione diretta e indiretta»;
    la ratio della disciplina resta la salvaguardia dell'equilibrio tra le esigenze dei creditori e l'interesse pubblico alla conservazione del patrimonio e alla tutela dell'occupazione di imprese in stato di insolvenza,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di considerare, in ogni caso, nella concreta attività di amministrazione straordinaria, come obiettivo strategico, la salvaguardia della continuità produttiva e dell'occupazione.
9/3671-ter-A/2Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il Disegno di legge di Delega al Governo in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza (Già articolo 15 del disegno di legge n. 3671, stralciato con deliberazione dall'Assemblea il 18 maggio 2016) prevede disposizioni che impattano sui lavoratori delle imprese in amministrazione straordinaria,

impegna il Governo

a valutare l'introduzione di iniziative normative o strumenti a tutela dei lavoratori coinvolti nelle imprese in amministrazione straordinaria, con particolare riguardo all'impegno che gli ammortizzatori sociali decorrano dal momento dell'apertura della procedura per l'ammissione e prevedere il loro utilizzo fino all'esecuzione del programma nonché fino all'esecuzione degli obblighi occupazionali correlati alla vendita dei complessi aziendali.
9/3671-ter-A/3Ricciatti, Ferrara.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge di Delega al Governo in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza (Già articolo 15 del disegno di legge n. 3671, stralciato con deliberazione dall'Assemblea il 18 maggio 2016) prevede disposizioni che impattano sui lavoratori delle imprese in amministrazione straordinaria,

impegna il Governo

a valutare l'introduzione di iniziative normative o strumenti a tutela dei lavoratori coinvolti nelle imprese in amministrazione straordinaria, con particolare riguarda all'impegno che gli ammortizzatori sociali decorrano dal momento dell'apertura della procedura per l'ammissione e prevedere il loro utilizzo fino all'esecuzione del programma nonché fino all'esecuzione degli obblighi occupazionali correlati alla vendita dei complessi aziendali.
9/3671-ter-A/4Camani, Benamati, Arlotti, Bargero, Basso, Becattini, Bini, Cani, Donati, Ginefra, Iacono, Impegno, Martella, Montroni, Peluffo, Scuvera, Senaldi, Taranto, Tentori, Vico.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame reca la delega al Governo per la riforma organica della disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, dettando, all'articolo 2, i principi e criteri direttivi per l'esercizio della delega stessa;
    i criteri direttivi intervengono su diversi aspetti della procedura dell'amministrazione straordinaria con l'obiettivo di contemperare, in primo luogo, le esigenze dei creditori e l'interesse pubblico alla conservazione del patrimonio produttivo e alla tutela dell'occupazione;
    occorre garantire, oltre alla salvaguardia della continuità produttiva e dell'occupazione, anche la prosecuzione dei rapporti di fornitura e servizi con le imprese dell'indotto, in quanto esse risultano strategiche per la continuità produttiva dell'azienda in amministrazione straordinaria sul territorio nazionale,

impegna il Governo

a prevedere, nell'ambito di programmi di ristrutturazione per la selezione di potenziali acquirenti di complessi d'azienda o di rami della medesima, la garanzia della prosecuzione dei rapporti di fornitura e servizi tra l'impresa in amministrazione straordinaria e le imprese dell'indotto.
9/3671-ter-A/5Allasia.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame reca la delega al Governo per la riforma organica della disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, dettando, all'articolo 2, i principi e criteri direttivi per l'esercizio della delega stessa;
    i criteri direttivi intervengono su diversi aspetti della procedura dell'amministrazione straordinaria con l'obiettivo di contemperare, in primo luogo, le esigenze dei creditori e l'interesse pubblico alla conservazione del patrimonio produttivo e alla tutela dell'occupazione;
    occorre garantire, oltre alla salvaguardia della continuità produttiva e dell'occupazione, anche la prosecuzione dei rapporti di fornitura e servizi con le imprese dell'indotto, in quanto esse risultano strategiche per la continuità produttiva dell'azienda in amministrazione straordinaria sul territorio nazionale,

impegna il Governo

a valutare l'adozione di tutte le iniziative utili alla salvaguardia delle attività produttive e dell'occupazione diretta e indiretta.
9/3671-ter-A/5. (Testo modificato nel corso della seduta) Allasia.


   La Camera,
   premesso che:
    nel disegno di legge in esame il commissario straordinario – che secondo la legislazione vigente è nominato dal Ministro dopo l'apertura dell'amministrazione straordinaria –, viene nella nuova procedura nominato dal Ministro già nella prima fase della procedura e ad esso è attribuita ab initio la gestione e la rappresentanza dell'impresa insolvente e l'elaborazione di un piano di recupero dell'equilibrio economico dell'impresa;
    il provvedimento prevede anche l'istituzione e la disciplina dell'albo dei commissari straordinari per l'amministrazione delle grandi imprese in stato di insolvenza, per l'iscrizione al quale sono predeterminati i requisiti di indipendenza, professionalità, onorabilità, trasparenza, ma è assente un intervento sull'indennità del Commissario. Infatti il decreto ministeriale del 3 novembre 2016 che determina, ai sensi dell'articolo 47, del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, i criteri di liquidazione dell'ammontare dei compensi spettanti al commissario giudiziale, al commissario straordinario e ai membri del comitato di sorveglianza nelle procedure di amministrazione straordinaria, prevede che ai commissari spetta una percentuale sui ricavi dell'azienda per preparare il piano operativo per la continuità aziendale. Se non superano i 100 milioni, a ciascun commissario spetta lo 0,25 per cento, lo 0,15 per cento per le somme superiori;
    prendendo ad esempio il bilancio disponibile della Compagnia Alitalia, quello del 2015, nel quale i ricavi da traffico sono stati 2,8 miliardi, più altri ricavi operativi per 300 milioni. I tre Commissari appena nominati potrebbero prendere un compenso di 3,3 milioni di euro a testa;
    ovviamente il Mise ha smentito le notizie apparse in questi giorni sui compensi dei Commissari ma senza precisare l'ammontare esatto della cifra e dichiarando che il parametro di guadagno dei Commissari dipende dalla durata e dal suo esito della procedura. A riguardo sarebbe opportuno per evitare equivoci e dubbi stabilire un tetto massimo di guadagno per i Commissari straordinari nella procedura di Amministrazione straordinaria,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa, anche normativa, al fine di applicare un tetto al trattamento economico onnicomprensivo da corrispondere al Commissario straordinario sul modello degli stipendi dei manager pubblici che non potrà comunque eccedere il limite massimo di euro 240.000.
9/3671-ter-A/6Crippa, Da Villa, Vallascas, Cozzolino, Della Valle, Fantinati, Cancelleri.


   La Camera,
   premesso che:
    nel disegno di legge in esame il commissario straordinario – che secondo la legislazione vigente è nominato dal Ministro dopo l'apertura dell'amministrazione straordinaria –, viene nella nuova procedura nominato dal Ministro già nella prima fase della procedura e ad esso è attribuita ab initio la gestione e la rappresentanza dell'impresa insolvente e l'elaborazione di un piano di recupero dell'equilibrio economico dell'impresa;
    il provvedimento prevede anche l'istituzione e la disciplina dell'albo dei commissari straordinari per l'amministrazione delle grandi imprese in stato di insolvenza, per l'iscrizione al quale sono predeterminati i requisiti di indipendenza, professionalità, onorabilità, trasparenza, ma è assente un intervento sull'indennità del Commissario. Infatti il decreto ministeriale del 3 novembre 2016 che determina, ai sensi dell'articolo 47, del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, i criteri di liquidazione dell'ammontare dei compensi spettanti al commissario giudiziale, al commissario straordinario e ai membri del comitato di sorveglianza nelle procedure di amministrazione straordinaria, prevede che ai commissari spetta una percentuale sui ricavi dell'azienda per preparare il piano operativo per la continuità aziendale. Se non superano i 100 milioni, a ciascun commissario spetta lo 0,25 per cento, lo 0,15 per cento per le somme superiori;
    prendendo ad esempio il bilancio disponibile della Compagnia Alitalia, quello del 2015, nel quale i ricavi da traffico sono stati 2,8 miliardi, più altri ricavi operativi per 300 milioni. I tre Commissari appena nominati potrebbero prendere un compenso di 3,3 milioni di euro a testa;
    ovviamente il Mise ha smentito le notizie apparse in questi giorni sui compensi dei Commissari ma senza precisare l'ammontare esatto della cifra e dichiarando che il parametro di guadagno dei Commissari dipende dalla durata e dal suo esito della procedura. A riguardo sarebbe opportuno per evitare equivoci e dubbi stabilire un tetto massimo di guadagno per i Commissari straordinari nella procedura di Amministrazione straordinaria,

impegna il Governo

ad adottare in tema di determinazione dei compensi dei commissari criteri improntati a trasparenza ed efficacia dell'opera prestata nonché, per quel che riguarda il fatturato, criteri coerenti con i limiti previsti dalla legge per le società pubbliche non quotate.
9/3671-ter-A/6. (Testo modificato nel corso della seduta) Crippa, Da Villa, Vallascas, Cozzolino, Della Valle, Fantinati, Cancelleri.


PROPOSTA DI LEGGE: S. 1349 – D'INIZIATIVA DEI SENATORI: MARCUCCI ED ALTRI: INIZIATIVE PER PRESERVARE LA MEMORIA DI GIACOMO MATTEOTTI E DI GIUSEPPE MAZZINI (APPROVATA DALLA 7a COMMISSIONE PERMANENTE DEL SENATO) (A.C. 3844-A)

A.C. 3844-A – Parere della V Commissione

PARERE DELLA V COMMISSIONE SUL TESTO DEL PROVVEDIMENTO

Sul testo del provvedimento in oggetto:

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti condizioni, volte a garantire il rispetto dell'articolo 81 della Costituzione:
   All'articolo 4, comma 1, lettera b), capoverso Art. 10-bis, comma 1, apportare le seguenti modifiche:
    al primo periodo, dopo le parole: può stipulare aggiungere le seguenti:, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica,;
    al secondo periodo, dopo le parole: convenzione stipulata aggiungere le seguenti:, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica,;
   all'articolo 4, comma 1, lettera b), capoverso Art. 10-bis, comma 2, aggiungere in fine il seguente periodo: Dall'attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.;
   all'articolo 4, dopo il comma 1, inserire il seguente: 1-bis. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

A.C. 3844-A – Articolo 1

ARTICOLO 1 DELLA PROPOSTA DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE

Art. 1.

  1. Al fine di preservare la memoria di Giacomo Matteotti, tenuto anche conto del novantesimo anniversario della morte, celebrato nel 2014, attraverso lo svolgimento di attività continuative organizzate uniformemente su tutto il territorio nazionale, la tutela dei beni archivistici e la ricerca storica, è stanziato, per l'anno 2017, un contributo di 300.000 euro. A tal fine, è istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri uno specifico fondo da destinare al finanziamento di progetti relativi allo studio del pensiero matteottiano e alla sua diffusione.
  2. I progetti finanziabili ai sensi del comma 1 hanno ad oggetto l'erogazione di borse di studio, la digitalizzazione e catalogazione di materiale bibliografico di rilevante valore culturale, la digitalizzazione, il riordinamento e l'inventariazione di materiale archivistico di rilevante valore culturale, la cura e il restauro delle strutture museali, il finanziamento di pubblicazioni inedite relative allo studio del pensiero politico di Matteotti, nonché iniziative didattiche e formative, attraverso il coinvolgimento diretto degli istituti scolastici dell'intero territorio nazionale, in collaborazione con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
  3. Ai fini dell'attuazione del presente articolo, la Presidenza del Consiglio dei ministri, sentito il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, provvede, con proprio decreto e mediante l'utilizzo delle risorse umane e strumentali disponibili a legislazione vigente, all'istituzione di un bando di selezione per la realizzazione di progetti relativi alle finalità indicate nel comma 2.
  4. I progetti di cui al presente articolo devono essere presentati da istituti culturali dotati di personalità giuridica, attivi almeno da cinque anni e privi di scopo di lucro. Tali progetti sono esaminati dalla Commissione prevista dall'articolo 8 del regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 luglio 2009, n. 126, allo scopo appositamente integrata da un rappresentante della Direzione generale biblioteche e istituti culturali del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e da un rappresentante della Direzione generale per gli archivi del medesimo Ministero, ai quali non spetta alcun compenso, rimborso spese, gettone di presenza o emolumento comunque denominato.

A.C. 3844-A – Articolo 2

ARTICOLO 2 DELLA PROPOSTA DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE

Art. 2.

  1. La Casa Museo Matteotti in Fratta Polesine, nella provincia di Rovigo, è dichiarata monumento nazionale.

A.C. 3844-A – Articolo 3

ARTICOLO 3 DELLA PROPOSTA DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE

Art. 3.

  1. Al finanziamento del fondo di cui all'articolo 1, comma 1, pari a 300.000 euro per l'anno 2017, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2017-2019, nel programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2017, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.
  2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

A.C. 3844-A – Articolo 4

ARTICOLO 4 DELLA PROPOSTA DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE

Art. 4.

  1. Alla legge 14 agosto 1952, n. 1230, concernente l'istituzione della «Domus mazziniana» di Pisa, per la promozione degli studi sulla vita, sul pensiero e sull'opera di Giuseppe Mazzini e la conservazione della sua memoria, sono apportate le seguenti modificazioni:
   a) al numero 2) del primo comma dell'articolo 5:
    1) la lettera c) è sostituita dalla seguente:
   « c) un rappresentante del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo»;
    2) la lettera d) è sostituita dalla seguente:
   « d) il direttore della Scuola normale superiore»;
    3) dopo la lettera g) è aggiunta la seguente:
   « g-bis) il rettore della Scuola superiore “Sant'Anna” di Pisa»;
   b) dopo l'articolo 10 è inserito il seguente:
  «Art. 10-bis. – 1. Ai fini della gestione dell'istituto e della valorizzazione delle sue raccolte, il Consiglio di amministrazione può stipulare convenzioni con gli enti in esso rappresentati. L'amministrazione dell'istituto è assicurata dall'università degli studi di Pisa, dalla Scuola normale superiore e dalla Scuola superiore “Sant'Anna” di Pisa sulla base di una convenzione stipulata tra esse e l'istituto stesso e rinnovata ogni tre anni, che determina la ripartizione delle rispettive funzioni. Il Consiglio di amministrazione nomina il Segretario generale, che dirige ed è responsabile dello svolgimento di tutte le attività di carattere amministrativo e gestionale e, sulla base della convenzione prevista dal secondo periodo, può avvalersi a questo fine degli uffici dei predetti istituti di istruzione universitaria.
  2. Gli enti rappresentati nel Consiglio di amministrazione possono assegnare proprio personale all'istituto, anche soltanto per una parte dell'orario di lavoro, in particolare per lo svolgimento di attività relative alla tutela, alla valorizzazione e alla fruizione pubblica dei beni archivistici, librari, museali e documentari dell'istituto medesimo».

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 4 DELLA PROPOSTA DI LEGGE

ART. 4.

  Al comma 1, lettera b), capoverso Art. 10-bis, comma 1, primo periodo, dopo le parole: può stipulare aggiungere le seguenti:, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

  Conseguentemente, al medesimo capoverso, medesimo comma, secondo periodo, dopo le parole: convenzione stipulata aggiungere le seguenti:, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica,.
4. 100. (da votare ai sensi dell'articolo 86, comma 4-bis, del Regolamento)
(Approvato)

  Al comma 1, lettera b), capoverso Art. 10-bis, comma 2, aggiungere, in fine, il seguente periodo: Dall'attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
4. 101. (da votare ai sensi dell'articolo 86, comma 4-bis, del Regolamento)
(Approvato)

  Dopo il comma 1, aggiungere il seguente:
  
2. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
4. 102. (da votare ai sensi dell'articolo 86, comma 4-bis, del Regolamento)
(Approvato)

A.C. 3844-A – Ordini del giorno

ORDINI DEL GIORNO

   La Camera,
   premesso che:
    la proposta di legge n. 3844-A contiene disposizioni riguardanti «Iniziative per preservare la memoria di Giacomo Matteotti»;
    che tali iniziative devono avvenire anche attraverso lo svolgimento di attività continuative organizzate su tutto il territorio nazionale, la tutela dei beni archivistici e la ricerca storica;
    viene istituito uno specifico fondo presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri con dotazione per l'anno 2017 di 300.000 euro da utilizzare per il finanziamento di progetti relativi allo studio del pensiero di Giacomo Matteotti e alla sua diffusione,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere forme di vigilanza e monitoraggio sulla spesa sostenuta e sulla attuazione dei progetti realizzati.
9/3844-A/1Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il riordino normativo dell'Istituto Domus Mazziniana di Pisa, di cui alla proposta di legge AC 3844-A, intende porre fine ad una gestione commissariale durata troppo a lungo e garantire al predetto ente pubblico le condizioni per riprendere la propria attività con il concorso delle istituzioni rappresentate in seno al suo Consiglio di amministrazione;
    la riapertura continuativa alla fruizione pubblica della Domus Mazziniana rappresenta un obiettivo importante dal punto di vista sia storico che educativo;
    le collezioni della Domus Mazziniana costituiscono un patrimonio didattico di inestimabile valore anche alla luce delle finalità di cui alla legge 23 novembre 2012, n. 222, in materia di studio della cittadinanza e di valorizzazione dell'inno nazionale,

impegna il Governo:

   a favorire, nel più breve tempo possibile, il ritorno alla regolare consultazione, presso la sede della Domus Mazziniana, delle sue raccolte librarie ed archivistiche, anche in virtù di una razionalizzazione degli spazi disponibili;
   a utilizzare presso la Domus Mazziniana un docente di scuola secondaria a fini di supporto didattico per l'insegnamento della storia del Risorgimento e dell'educazione civica, ripristinando l'applicazione dell'articolo 10 della legge 14 agosto 1952, n. 1230;
   a tenere conto, nella predisposizione della tabella triennale di ripartizione dei contributi ministeriali agli istituti di cultura, dell'esigenza di rilanciare le attività della Domus Mazziniana che sono state negli ultimi anni rallentate dai lavori di restauro e dalla mancanza di personale.
9/3844-A/2Rocchi.


   La Camera,
   premesso che:
    il riordino normativo dell'Istituto Domus Mazziniana di Pisa, di cui alla proposta di legge AC 3844-A, intende porre fine ad una gestione commissariale durata troppo a lungo e garantire al predetto ente pubblico le condizioni per riprendere la propria attività con il concorso delle istituzioni rappresentate in seno al suo Consiglio di amministrazione;
    la riapertura continuativa alla fruizione pubblica della Domus Mazziniana rappresenta un obiettivo importante dal punto di vista sia storico che educativo;
    le collezioni della Domus Mazziniana costituiscono un patrimonio didattico di inestimabile valore anche alla luce delle finalità di cui alla legge 23 novembre 2012, n. 222, in materia di studio della cittadinanza e di valorizzazione dell'inno nazionale,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di favorire, nel più breve tempo possibile, il ritorno alla regolare consultazione, presso la sede della Domus Mazziniana, delle sue raccolte librarie ed archivistiche, anche in virtù di una razionalizzazione degli spazi disponibili;
   a utilizzare presso la Domus Mazziniana anche docenti di scuola secondaria a fini di supporto didattico per l'insegnamento della storia del Risorgimento e dell'educazione civica, ripristinando l'applicazione dell'articolo 10 della legge 14 agosto 1952, n. 1230.
9/3844-A/2. (Testo modificato nel corso della seduta).  Rocchi.


   La Camera.
   premesso che:
    il provvedimento in esame ha come obiettivi descritti all'articolo 1 l'allestimento di una mostra sul delitto Matteotti e la realizzazione di un museo virtuale dedicato a Giacomo Matteotti mediante digitalizzazione di documenti originali e rari,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di individuare modalità idonee per l'estensione della ricerca e di quanto all'articolo 1 al patrimonio librario privato di Pasquale Galliano Magno, avvocato di Velia Titta, vedova Matteotti nel processo di Chieti.
9/3844-A/3Amato.


   La Camera,
   premesso che:
    al fine di preservare la memoria di Giacomo Matteotti, celebrata nel 2014, attraverso lo svolgimento di attività continuative, organizzate su tutto il territorio nazionale, è istituito presso la Presidenza del Consiglio un fondo da destinare al finanziamento dei progetti relativi allo studio del pensiero matteottiano;
    i progetti finanziabili hanno ad oggetto l'erogazione di borse di studio, digitalizzazione e catalogazione di materiale bibliografico, la cura ed il restauro di opere museali, il finanziamento delle pubblicazioni inedite relative al pensiero matteottiano, ed attività didattiche che coinvolgano le scuole in collaborazione diretta con il MIUR,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di promuovere iniziative di divulgazione, relative ai progetti in premessa, che coinvolgano l'opinione pubblica attraverso le reti televisive, radiofoniche e digitali e la pubblicità delle strutture turistiche affinché le attività di interesse culturale relative alla Memoria di Matteotti risultino essere uno stimolo ulteriore ai flussi turistici.
9/3844-A/4Nesi.


   La Camera dei Deputati,
   premesso che:
    l'articolo 1 della proposta di legge d'iniziativa dei senatori Marcucci, Nencini, Zanda, recante iniziative per preservare la memoria di Giacomo Matteotti – approvata dalla 7a Commissione permanente (Istruzione Pubblica, Beni Culturali, ricerca scientifica, spettacolo e sport) del Senato della Repubblica l'11 maggio 2016 – prevede, al fine di preservare la memoria di Giacomo Matteotti, che vengano svolte attività continuative ed organizzate uniformemente su tutto il territorio nazionale attraverso la creazione, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, di uno specifico fondo da destinare al finanziamento di progetti relativi allo studio del pensiero matteottiano e alla sua diffusione per mezzo dello stanziamento di un contributo di 300.000 euro per la tutela dei beni archivistici e la ricerca storica,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di adottare iniziative che possano rendere fruibile – tramite apposito sito internet o sezione dedicata di una pagina già esistente – il materiale bibliografico la cui digitalizzazione è finanziata con la presente legge, permettendo, così, la reale accessibilità al pubblico.
9/3844-A/5Tinagli.


INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

Iniziative volte a sospendere le procedure per la restituzione delle somme richieste ai familiari delle vittime del terremoto de l'Aquila a seguito del processo penale relativo alle responsabilità della Commissione Grandi Rischi, in attesa della definizione del contenzioso civile – 3-03004

   MELILLA, RICCIATTI, LAFORGIA, SPERANZA, SCOTTO, FRANCO BORDO, FOLINO, MOGNATO, ROBERTA AGOSTINI, ALBINI, BERSANI, BOSSA, CAPODICASA, CIMBRO, D'ATTORRE, DURANTI, EPIFANI, FAVA, FERRARA, FONTANELLI, FORMISANO, FOSSATI, CARLO GALLI, KRONBICHLER, LEVA, MARTELLI, MATARRELLI, MURER, NICCHI, GIORGIO PICCOLO, PIRAS, QUARANTA, RAGOSTA, ROSTAN, SANNICANDRO, STUMPO, ZACCAGNINI, ZAPPULLA, ZARATTI e ZOGGIA. — Al Ministro per i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   il Governo ha chiesto ai familiari delle vittime del terremoto de L'Aquila la restituzione dei pagamenti effettuati a seguito della sentenza n. 380 del 2012 depositata il 18 gennaio 2013 nel procedimento penale contro la Commissione grandi rischi, organo scientifico della Presidenza del Consiglio dei ministri. L'accusa, come è noto, era di aver rassicurato la popolazione dopo la riunione del 31 marzo 2009, a pochi giorni dalla catastrofe che distrusse L'Aquila;
   i risarcimenti furono, a seguito delle condanne, immediatamente esecutivi, a prescindere dai processi civili in corso;
   il 10 novembre 2014 la sentenza è stata riformata in appello e 6 dei luminari sono stati assolti, mentre è stato condannato il braccio destro dell'allora capo della Protezione civile;
   il 20 novembre 2015 la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di appello;
   la Presidenza del Consiglio dei ministri è andata subito ad aggredire le parti civili intimando la restituzione delle somme elargite, anche con atti di messa in mora e intimazione di pagamenti immediati;
   la sentenza di appello non ha revocato le provvisionali;
   sulle responsabilità della Commissione grandi rischi ci sono inoltre cause civili in corso –:
   se non ritenga doveroso assumere iniziative per sospendere le procedure di restituzione delle somme versate, oltre che degli interessi calcolati dal giorno del percepimento, a carico dei familiari delle vittime del terremoto de L'Aquila, in attesa della definizione del contenzioso civile, per evidenti ragioni istituzionali, di ragionevolezza e anche di umanità nei confronti di persone duramente colpite dalla morte dei loro cari. (3-03004)


Chiarimenti in merito alla concentrazione nell'aria di sostanze tossiche a seguito dell'incendio sviluppatosi presso il deposito della società Eco-X di Pomezia – 3-03005

   PELLEGRINO, FASSINA, BRIGNONE, GREGORI, MARCON, AIRAUDO, CIVATI, COSTANTINO, DANIELE FARINA, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, ANDREA MAESTRI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PASTORINO e PLACIDO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   venerdì 5 maggio 2017 un vasto rogo è divampato all'interno della Eco-X, società che si occupa di raccolta e smaltimento dei rifiuti nel comune di Pomezia, sprigionando una colonna di fumo visibile a chilometri di distanza;
   l'Arpa Pomezia ha registrato, nella giornata del 5 maggio 2017, nell'aria valori del Pm 10 pari a 130 mentre il valore massimo a legislazione vigente è fissato a 50;
   nella giornata del 7 maggio 2017 la procura di Velletri ha disposto il sequestro dell'impianto e ha incaricato l'Arpa di verificare anche il grado di diossina eventualmente sprigionatosi nell'aria;
   il 3 novembre 2016, il comitato di quartiere «Castagnetta Cinque Poderi» di Pomezia, aveva manifestato al sindaco Fucci, il timore che nel piazzale della Eco-X potessero svilupparsi incendi e che da questi potevano derivare danni alla salute e all'ambiente;
   malesseri si sono verificati fra i lavoratori e lavoratrici dell'outlet di Castel Romano, tanto che alcuni sono stati ricoverati e sottoposti a cura cortisonica;
   il sindaco di Pomezia Fabio Fucci insieme al commissario straordinario del comune di Ardea hanno emanato l'ordinanza di divieto di raccolta degli ortaggi e di pascolo degli animali in un raggio di 5 chilometri dal luogo dell'incendio dell'impianto;
   il sindaco Fucci ha firmato, altresì, un'ordinanza che dispone la chiusura di tutte le scuole di ogni ordine e grado ed ha disposto l'evacuazione delle case nel raggio di 100 metri dal luogo dell'incendio e di tenere le finestre chiuse nel raggio di 2 chilometri dal deposito andato a fuoco;
   il direttore del dipartimento prevenzione dell'azienda sanitaria locale Roma 6 Mariano Sigismondi ha confermato la presenza di amianto nelle coperture del tetto dei capannoni andati a fuoco, ma ad oggi non si è a conoscenza di valutazioni degli effetti del calore sulla sostanza;
   tra i cittadini di una vasta area che non comprende solo Pomezia è molto forte la preoccupazione per la salute e si fa pressante la richiesta di notizie certe e di azioni a tutela della salute –:
   quali siano i dati relativi alla concentrazione delle polveri fini PM10, di idrocarburi policiclici aromatici e diossine, nonché quelli relativi all'amianto che potrebbe essersi diffuso e, in tale contesto, quali iniziative di competenza intenda avviare al fine di garantire la salute e una corretta e completa informazione ai cittadini, in attuazione di quanto sancito dall'articolo 32 della Costituzione. (3-03005)


Iniziative di competenza in ordine alla situazione della gestione dei rifiuti a Roma – 3-03006

   SCOPELLITI e MOTTOLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la situazione relativa allo smaltimento dei rifiuti nella città di Roma ha assunto connotati particolarmente gravi ed allarmanti;
   la capitale d'Italia si confronta quotidianamente con una pericolosa presenza di rifiuti;
   in particolare, alcune aree periferiche registrano condizioni di grave degrado con cumuli di immondizia che non vengono raccolti e costituiscono un pericolo costante per la salute dei cittadini. Le situazioni più complicate si registrano ad est della città, tra Pietralata, Centocelle, Tor Tre teste ed il Casilino;
   le segnalazioni dei romani in merito alle numerose problematiche determinate da questa incredibile situazione rappresentano un quadro sicuramente allarmante;
   fortissima preoccupazione, poi, desta l'annunciato fermo per manutenzione degli inceneritori situati nell'Italia settentrionale che ricevono i rifiuti romani e che si verificherà nel mese di luglio;
   il piano della giunta comunale spinge sulla raccolta differenziata e punta a portarla al 70 per cento ma non prevede una discarica di servizio per le circa 300 tonnellate di immondizia non riciclabile che ogni giorno gli impianti di trattamento dell'AMA non riescono a lavorare. Tale Piano appare vago e non prevede alcun ulteriore impianto, ma quattro centri di compostaggio, ancora da localizzare;
   ancora una volta Roma paga il suo fragilissimo sistema relativo al trattamento dei rifiuti che, per 500 tonnellate al giorno, dipende da strutture esterne;
   il comune di Roma ha posto in essere un contenzioso con la regione alla quale attribuisce responsabilità che andranno chiarite: ma tale rimpallo di responsabilità rende ancora più grave lo stato di confusione, di degrado, di pericolo per la salute pubblica e non costituisce di sicuro un aiuto per superare le problematiche esistenti –:
   se il Governo non ritenga necessario intervenire, per quanto di competenza e alla luce di quella che gli interroganti considerano l'inerzia manifestata dalla giunta comunale di Roma, per risolvere la problematica dello smaltimento dei rifiuti, che non solo nuoce gravemente all'immagine della capitale e del Paese intero ma rischia di diventare una vera e propria emergenza, coinvolgendo direttamente i cittadini romani e la loro salute. (3-03006)


Chiarimenti sullo stato del procedimento di adozione dei decreti legislativi del cosiddetto «collegato agricolo» – 3-03007

   SCHULLIAN, ALFREIDER, GEBHARD, PLANGGER, OTTOBRE e MARGUERETTAZ. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la legge 28 luglio 2016, n. 154, reca: «Deleghe al Governo e ulteriori disposizioni in materia di semplificazione, razionalizzazione e competitività dei settori agricolo e agroalimentare, nonché sanzioni in materia di pesca illegale»;
   si tratta di un tassello importante che fa parte di un percorso che ha visto la XVII legislatura produrre, finalmente, importanti provvedimenti dedicati all'agricoltura;
   il «collegato agricolo» rappresenta, infatti, uno strumento efficace di cui il settore ha bisogno per rilanciare la competitività delle imprese agricole, per sostenere il reddito degli agricoltori e per tutelare la salute dei cittadini;
   sicuramente il provvedimento contiene molte deleghe, si è detto che siano troppe, ma si ritiene che questo non sia un difetto del provvedimento, la cosa veramente importante è che esse vengano esercitate nei tempi previsti. Nessuna delega è scaduta, non essendo trascorso neanche un anno dall'entrata in vigore della legge;
   si ricorda in primis la delega al Governo per il riordino e la semplificazione della normativa in materia di agricoltura, prevista dall'articolo 5, il cui termine per l'adozione del codice agricolo previsto è di 18 mesi dalla data di entrata in vigore della legge;
   non meno importante la delega prevista dall'articolo 6, che rinvia ad un decreto legislativo che disciplini le forme di affiancamento tra agricoltori ultra-sessantacinquenni o pensionati e giovani; quella contenuta nell'articolo 15 che, entro il termine di diciotto mesi, disciplina il riordino e la riduzione degli enti e delle agenzie vigilati dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, nonché la revisione della normativa del settore ippico nazionale e della legge n. 30 del 1991 in materia di riproduzione animale;
   si ricorda anche l'articolo 21 che delega il Governo a riordinare gli strumenti di gestione del rischio in agricoltura, favorendo lo sviluppo di strumenti assicurativi a copertura dei danni alle produzioni e alle strutture agricole e disciplinando i Fondi di mutualità per la copertura dei danni da avversità atmosferiche, epizoozie e fitopatie, nonché per compensare gli agricoltori che subiscono danni causati da fauna protetta e per rivedere la normativa in materia di regolazione dei mercati;
   in ultimo l'articolo 31 che contiene un'altra importante delega al Governo ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, norme per il sostegno del riso –:
   quale sia lo stato del procedimento di adozione dei decreti legislativi previsti nel «collegato agricolo». (3-03007)


Iniziative, anche in sede europea, in materia di gestione del rischio in agricoltura, in caso di danni derivanti da eccezionale maltempo o da calamità ambientali – 3-03008

   OLIVERIO, SANI, LUCIANO AGOSTINI, ANTEZZA, CARRA, COVA, CUOMO, DAL MORO, DI GIOIA, FALCONE, IORI, MARROCU, MONGIELLO, PALMA, PRINA, ROMANINI, TARICCO, TERROSI, VENITTELLI, ZANIN, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il territorio italiano si mostra sempre più fragile, colpito da eccezionali ondate di maltempo – come da ultimo nel centro nord – o da calamità ambientali – come nel caso di Pomezia – con conseguenti danni ingenti alle aziende ortofrutticole e zootecniche;
   a livello nazionale opera il Fondo di solidarietà nazionale (Fsn) di cui al decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102, che è destinato ad interventi di incentivo alla stipula di contratti assicurativi (interventi ex ante) e – per i rischi non inseriti nel piano assicurativo agricolo annuale – ad interventi di ripristino delle infrastrutture connesse all'attività agricola: interventi compensativi – indennizzatori o ex post, nonché interventi di bonifica;
   il sistema italiano delle assicurazioni di gestione del rischio in agricoltura non riesce ad assicurare la necessaria tutela degli agricoltori e degli allevatori che lamentano la scarsa attrattività degli strumenti previsti, gli elevati costi burocratici, gli sfasamenti ed i ritardi nell'erogazione dei contributi e la mancanza di strumenti fondamentali per affrontare i mercati internazionali;
   sono ormai svariati anni che in ambito europeo si è sviluppata una riflessione sugli strumenti individuali di gestione del rischio, che è andata di pari passo con una riduzione del sistema di garanzie finalizzate alla stabilizzazione dei mercati agricoli;
   questo arretramento delle protezioni accordate al settore, ha generato un ampliamento dell'area del rischio per gli imprenditori agricoli italiani ed europei;
   alla peculiare esposizione ai rischi naturali si è aggiunta, quindi, quella prodotta dall'integrazione con i mercati internazionali, legata alla variabilità dei prezzi degli input e degli output e spesso acuita dalle modalità con cui i segnali di mercato si trasferiscono lungo le filiere;
   il maggior peso assunto dalle dinamiche di mercato si somma all'incertezza e allo stress associati ai processi di ristrutturazione, in alcuni casi profonda, tuttora in corso in diverse importanti componenti dell'agricoltura –:
   come il Ministro interrogato intenda intervenire in sede europea per garantire tipologie di assicurazioni maggiormente collegate a situazioni climatiche e di mercato e come a livello nazionale intenda operare per compensare le gravi perdite economiche subite dal settore primario a seguito di calamità mediante iniziative che semplifichino e favoriscano l'accesso agli strumenti di gestione del rischio previsti dal decreto legislativo n. 102 del 2004. (3-03008)


Iniziative volte a promuovere il risarcimento dei danni subiti dai pensionati italiani truffati dall'ex direttore dell'Inca Cgil di Zurigo – 3-03009

   CIPRINI, CHIMIENTI, LOMBARDI, COMINARDI, DALL'OSSO e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   al di fuori del confine nazionale operano da anni associazioni e, in particolare, patronati che fanno capo ai maggiori sindacati di rappresentanza che, per citarne alcuni, sono CGIL, CISL, UIL, ACLI;
   l'attività di maggiore intensità dei patronati all'estero è quella di consulenza fiscale, assistenza e tutela, anche con poteri di rappresentanza, nei confronti dei nostri connazionali per il disbrigo delle pratiche pensionistiche, dichiarazioni reddituali e altro;
   il finanziamento dei patronati è possibile grazie ai versamenti obbligatori, nella misura dello 0,199 per cento del totale, effettuati da tutti i lavoratori all'Inps, all'Inail e all'Ipsema, ed è commisurato all'organizzazione degli uffici e del volume d'affari, anche in rapporto all'esito favorevole delle suddette pratiche;
   dal Comitato per le questioni degli italiani all'estero, da un dossier giornalistico de «Il Fatto quotidiano», dall'esposto di Marco Tommasini presidente del Comitato difesa famiglie, nonché dalla denuncia di un ex sindacalista ed ex responsabile dell'Inca-Cgil in Argentina, sono venute alla luce gravi inadempienze e irregolarità che, per negligenza, coinvolgerebbero anche il Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   in particolare, come denunciato dalla puntata de «Le Iene» del 9 aprile 2017, in data 16 settembre 2015 è stato condannato a 9 anni di detenzione e al risarcimento delle vittime di una truffa, Antonio Giacchetta, direttore del patronato Inca-Cgil di Zurigo, che tra il 2001 e il 2009 si sarebbe intascato i risparmi e le pensioni di circa 70 emigranti;
   l'attività sospetta del patronato gestito dal Giacchetta, sarebbe stata segnalata più volte al Ministero del lavoro e delle politiche sociali che, sebbene obbligato ad attività ispettiva e di controllo, non avrebbe effettuato i controlli e adottato i provvedimenti dovuti ed opportuni –:
   quali iniziative si intendano intraprendere per farsi carico del risarcimento danni a favore dei pensionati truffati in Svizzera dal direttore Inca-Cgil di Zurigo, stante la grave inadempienza e responsabilità relativa all'attività ispettiva imputabile al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, agendo eventualmente in rivalsa nei confronti della Inca-Cgil.
(3-03009)


Chiarimenti sul ritardo dell'avvio dell'Ape, social e volontaria, nonché sulle misure a garanzia del diritto alla pensione per i cittadini che intendano aderire all'Ape volontaria – 3-03010

   SIMONETTI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PAGANO, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI e SALTAMARTINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   lo stop & go del Governo sull'avvio dell'Ape ha del paradossale al limite del ridicolo;
   dopo aver annunciato trionfalmente a dicembre 2016 lo strumento sperimentale per rendere più flessibile l'età pensionistica ed averlo introdotto in legge di bilancio per il 2017 con decorrenza 1o maggio 2017, ad oggi sembra che i nodi da sciogliere siano ancora tanti;
   l'Ape social risulta in «stallo» perché il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, già inviato dal Consiglio dei ministri soltanto il 19 aprile 2017, è ancora fermo ai rilievi del Consiglio di Stato;
   senza il regolamento non è possibile presentare le domande, tant’è che si ipotizza uno slittamento dei tempi al 15 o addirittura al 31 luglio 2017, anziché al 30 giugno 2017, con l'inevitabile conseguenza di un rischio caos per l'Inps che dovrebbe stilare entro il 30 settembre 2017 la prima graduatoria degli aventi diritto in rapporto ai 300 milioni disponibili;
   quanto all'Ape volontaria i ritardi sembrano dovuti alla piattaforma informatica non ancora pronta, ma ancor più preoccupante è la risposta fornita il 27 aprile 2017 in Commissione lavoro dal Sottosegretario Bobba all'atto di sindacato ispettivo della Lega Nord n. 5-11128, con il quale si esprimevano preoccupazioni in merito alle dichiarazioni – riportate su Il Sole 24 ore di martedì 11 aprile 2017 – del consigliere economico dell'unità di coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio dei ministri, ovvero che l'Ape non è un anticipo pensionistico, ma un anticipo finanziario a garanzia pensionistica;
   detto altrimenti significa che la sottoscrizione del prestito e l'adesione all'Ape non comporta alcuna certificazione del diritto alla pensione;
   in sede di risposta il rappresentante del Governo, come rassicurazione, rispondeva che «l'Ape è una misura sperimentale [che] opererà in un orizzonte temporale limitato all'interno del quale al momento non è prevista alcuna modificazione dei (..) requisiti pensionistici. (...) Qualora nei prossimi anni [si] decidesse di intervenire su requisiti pensionistici, sarà senz'altro (...) cura prevedere tutte le misure idonee ad evitare che i beneficiari dell'Ape si trovino sprovvisti di reddito e di pensione»;
   tali affermazioni sono tutt'altro che rassicuranti, ricordato che la «riforma Fornero» ha innalzato l'età pensionabile soudainement, creando una nuova piaga sociale, quella degli esodati –:
   quali siano le reali ragioni del ritardo per l'avvio dell'Ape – social e volontaria – e come il Governo intenda garantire il diritto di accesso alla pensione per chi usufruirà del prestito pensionistico per l'Ape volontaria. (3-03010)


Iniziative urgenti volte a scongiurare la sospensione dell'attività dei centri di assistenza fiscale (CAF) – 3-03011

   RIZZETTO, RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, GIORGIA MELONI, MURGIA, NASTRI, PETRENGA, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i centri di assistenza fiscale hanno annunciato che a partire dal prossimo lunedì, 15 maggio, non effettueranno più il servizio di compilazione delle DSU, le dichiarazioni sostitutive contenenti le informazioni di carattere anagrafico, reddituale e patrimoniale necessarie a descrivere la situazione economica del nucleo familiare per ottenere l'indicatore ISEE ai fini della richiesta di prestazioni sociali agevolate;
   il blocco dell'attività dei CAF è motivata dal mancato raggiungimento dell'accordo con Inps e Ministero del lavoro sul rinnovo della convenzione, scaduta lo scorso 31 dicembre, che regola i servizi collegati alla richiesta dell'Isee;
   in particolare, argomento del contendere è il rimborso economico spettante ai CAF per l'erogazione del servizio di compilazione delle DSU, che viene offerto gratuitamente ai cittadini;
   la sospensione dell'attività dei CAF, se confermata, penalizzerà gravemente i cittadini, specie quelli delle fasce economiche più deboli;
   sono, infatti, migliaia le famiglie che si rivolgono ogni anno ai centri di assistenza fiscale per poter usufruire dei servizi per il rilascio della certificazione ISEE e poter poi quindi accedere alle esenzioni e riduzioni dei costi per numerosi servizi, da quelli socio-sanitari agli assegni familiari, dall'asilo nido all'università e alle mense scolastiche –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere per scongiurare l'annunciata sospensione dell'attività dei centri di assistenza fiscale, riconoscendo la valenza sociale del servizio svolto e tutelando migliaia di famiglie. (3-03011)


Iniziative di competenza volte a colmare le gravi carenze di organico che interessano gli Uffici scolastici della Sardegna – 3-03012

   CAPELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 8 del regolamento di organizzazione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 98 del 2014, definisce le importanti caratteristiche e i numerosi compiti degli uffici scolastici regionali (Usr), che richiedono la presenza attiva di molte unità lavorative;
   la situazione per quel che riguarda la Sardegna evidenzia una carenza di organico estremamente preoccupante, pari a circa il 50 per cento del personale, sulla dotazione organica complessiva, con punta del il 60 per cento per la qualifica professionale di funzionario;
   dati recenti evidenziano che a fronte delle previste dalla dotazione organica, decreto ministeriale n. 773 del 2015, solo 27 su 69 sono le unità all'area III in Sardegna presenti; 49 invece di 96 per l'area II e 5 invece di 11 per. In totale, quindi, delle 176 unità previste ne sono presenti solo 81;
   la situazione è peggiorata dalla distribuzione attuale dei funzionari titolari del procedimento amministrativo: su 27, 20 sono a Cagliari, mentre solo 7 sono negli altri tre uffici regionali sardi (3 a Sassari, 2 a Nuoro, 2 a Oristano);
   inoltre, la riorganizzazione prevista dalla direzione regionale è intesa ad avocare a se la definizione degli organici di tutta la Sardegna per il personale ata, le scuole dell'infanzia, gli insegnanti di religione e per gli Educatori degli istituti professionali;
   si tratterebbe di una risposta momentanea ma che non affronterebbe alla radice il tema dell'evidente squilibrio territoriale determinato dalla carenza di organico sopra ricordata;
   non può essere dimenticato il legame che intercorre nei territori in particolare tra autonomie territoriali, dirigenti scolastici e sindaci, che ha portato a risultati positivi, ora messi a rischio dall'accentramento a Cagliari;
   le soluzioni sinora progettate sembrano poter dare una risposta solo parziale a quanto sopra esposto;
   l'attivazione da parte della Difesa dell'istituto del comando per circa 20 unità operative in tutta la Sardegna è certo utile ma non può essere una risposta definitiva: che le citate unità devono prima essere formate al loro nuovo compito, rischiando poi di essere richiamati ai comandi di appartenenza dopo solo due anni;
   sarebbe auspicabile che anche per la Sardegna si aprisse la possibilità della mobilità intercompartimentale, in modo da consentire a personale di altre pubbliche amministrazioni di far domanda per gli uffici del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro interrogato per affrontare la situazione sopra esposta che, se non risolta, rischia di portare ben presto alla paralisi degli Usr della Sardegna. (3-03012)


Intendimenti in ordine alla erogazione di un finanziamento straordinario a favore dell'Istituto statale per sordi di Roma, attualmente a rischio di chiusura per mancanza di risorse – 3-03013

   VEZZALI e FRANCESCO SAVERIO ROMANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   all'interrogazione n. 5-10564, nella quale il primo firmatario del presente atto di sindacato ispettivo richiamava l'importanza dell'Istituto statale per sordi di Roma che per mancanza di finanziamenti rischia la chiusura, il 16 marzo 2017, il Sottosegretario di Stato De Filippo ha fornito una risposta dalla quale si evince che: «in riferimento al quadro normativo attinente alla materia degli istituti a carattere atipico di cui alla parte I, titolo II, capo III, del testo unico in materia di istruzione (decreto legislativo n. 297 del 1994) è recentemente intervenuta una disposizione normativa introdotta dalla legge 20 febbraio 2017, n. 19, di conversione del decreto-legge cosiddetto “Milleproroghe”. All'articolo 4 del citato decreto-legge è stato inserito il comma 5-bis il quale prevede che “per l'attuazione dell'articolo 21, comma 10, della legge 15 marzo 1997, n. 59, in materia di ordinamento degli istituti per sordomuti di Roma, Milano e Palermo di cui alla parte I, titolo II, capo III, sezione II, del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, continua ad applicarsi l'articolo 67, comma 1, del medesimo testo unico”. Alla luce di questa disposizione normativa, voluta dal legislatore, la questione degli istituti a carattere atipico potrà essere riesaminata, auspicandone una sua definitiva soluzione.»;
   questo istituto ha assunto nel tempo le funzioni di centro di eccellenza sulla sordità, unico in tutto il territorio nazionale;
   la sua chiusura comporterebbe la perdita di posti di lavoro e l'interruzione di servizi e attività offerti gratuitamente alle persone sorde, alle loro famiglie e alla cittadinanza;
   la trasformazione dell'Istituto statale per sordi di Roma necessita di un regolamento governativo di riordino che ne disciplini le funzioni e lo doti di una pianta organica. Negli ultimi 17 anni, questo ente pubblico è stato costretto a stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa avvalendosi solo di lavoratori precari, 21 persone di cui 8 sorde, e a sopravvivere senza finanziamenti da parte dello Stato;
   il 27 aprile 2017 dalle agenzie di stampa si è appreso che i lavoratori precari dell'Istituto statale per sordi di Roma hanno manifestato nei pressi del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca nella speranza di ottenere risposte a un incontro del 15 marzo 2017 rimasto senza seguito –:
   se non ritenga, in attesa del regolamento di riordino, necessaria l'erogazione di un finanziamento straordinario che consenta alla scuola di proseguire le sue attività e salvare i 21 lavoratori, precari da 17 anni, di cui 8 sordi. (3-03013)


Chiarimenti in merito alla designazione di Alessandro Profumo quale amministratore delegato di Leonardo spa, nonché in merito alla revisione della direttiva sui requisiti degli amministratori delle società controllate dal Ministero dell'economia e delle finanze – 3-03014

   BRUNETTA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 18 marzo 2017 è stato ufficializzato dal Ministro dell'economia e delle finanze il deposito della proposta di designazione di Alessandro Profumo come prossimo amministratore delegato di Leonardo Spa (di cui lo Stato è azionista al 30,2 per cento), da nominare ufficialmente nell'assemblea del 16 maggio 2017;
   a prescindere dalla qualità personali e professionali del manager, che non rilevano ai fini della presente interrogazione e su cui non si intende esprimere un giudizio di merito, sussistono condizioni oggettive che rendono tale indicazione anomala e quantomeno inopportuna;
   risulta, infatti, alquanto anomala la designazione di un amministratore, ex presidente di Monte dei Paschi di Siena, rinviato a giudizio il 1o marzo 2017 per un caso di usura bancaria, e nei confronti del quale è stato disposto il 21 aprile 2017 un provvedimento di imputazione coatta, contro cui il Ministero dell'economia e delle finanze potrà costituirsi parte civile nel procedimento penale che ne dovrà stabilire la responsabilità per i presunti reati di falso in bilancio e manipolazione informativa in Monte dei Paschi di Siena, di cui sempre il Ministero dell'economia e delle finanze è azionista;
   è altresì oltremodo inopportuno che il Ministro abbia firmato il 16 marzo 2017 (due giorni prima della designazione) una direttiva (n. 20004) sulla governance delle società controllate, che ha di fatto abrogato le disposizioni della direttiva n. 14656 del 24 giugno 2013, varata dal Ministro pro tempore Saccomanni in esecuzione di un atto di indirizzo del Senato della Repubblica (mozione 1-00060, approvata il 19 giugno 2013), cancellando i criteri che prevedevano l'ineleggibilità nel caso di «notifica del decreto che dispone il giudizio» per delitti previsti «dalle norme che disciplinano l'attività bancaria, finanziaria, mobiliare, assicurativa», ed eliminando l'obbligo di assoggettare le nomine ad un «parere positivo» reso da un apposito comitato di garanzia, istituito per assicurare una valutazione indipendente delle candidature;
   data l'importanza, anche a livello internazionale, che riveste un'azienda come Leonardo, è determinante garantire la massima trasparenza nelle scelte del top management, per assicurare credibilità nei mercati e presso gli investitori –:
   se, alla luce dei fatti esposti, il Ministro interrogato intenda confermare, in vista della imminente assemblea degli azionisti, la designazione di Alessandro Profumo quale amministratore delegato di Leonardo e se intenda chiarire in maniera univoca e definitiva le motivazioni che hanno portato ad una modifica della direttiva sui requisiti degli amministratori a soli due giorni dalle designazioni, nonché quelle che hanno determinato la scelta di Profumo, rinviato a giudizio per reati gravissimi compiuti a danno di una società partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze, quale nuovo amministratore delegato di Leonardo. (3-03014)


MOZIONI MARCON ED ALTRI N. 1-01589, CAPEZZONE ED ALTRI N. 1-01600, CASO ED ALTRI N. 1-01601, MELILLA ED ALTRI N. 1-01602, BRUNETTA N. 1-01604, GUIDESI ED ALTRI N. 1-01609, RAMPELLI ED ALTRI N. 1-01626 E ROSATO, TANCREDI, DELLAI, PISICCHIO ED ALTRI N. 1-01627 CONCERNENTI LA QUESTIONE DELL'INSERIMENTO DEL COSIDDETTO FISCAL COMPACT NEI TRATTATI EUROPEI, NONCHÉ LE POLITICHE ECONOMICHE E DI BILANCIO DELL'UNIONE EUROPEA

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    per la prima volta dalla firma del Trattato di Roma nel 1957, le spinte verso la disintegrazione prevalgono sulla costruzione di «una Unione sempre più stretta fra i popoli europei». L'Unione europea è ben lungi dalla stabilità, dalla legittimità, dallo sviluppo concertato che avevano garantito le sue classi dirigenti. Alla vigilia dei negoziati della Brexit, che rappresenta un campanello d'allarme sull'impopolarità del «progetto europeo», sembra al contrario che, questo, sia entrato in una crisi irreversibile e la sua stessa esistenza sia messa in questione;
    si sono accumulati ostacoli e contraddizioni la cui coincidenza non dipende dal caso; questi sono:
     a) persistente effetto divaricante e deflattivo dell'euro e conseguente innalzamento dei debiti pubblici in rapporto al Pil senza che si intraveda una soluzione;
     b) tragedia dei rifugiati che l'accordo con la Turchia non ha fatto che spostare temporaneamente da una frontiera all'altra;
     c) continuità delle politiche mercantiliste legate all'austerità e alla svalutazione del lavoro che accelerano la deindustrializzazione dei territori e mettono in concorrenza al ribasso i lavoratori di diverse nazionalità e liquidano le risorse del welfare;
     d) crisi delle istituzioni parlamentari nazionali;
     e) guerra lungo tutti i confini d'Europa, dall'Ucraina alla Siria alla Libia;
    l'obiettivo di un'unione sempre più stretta ha ceduto il passo a un sistema di integrazione a «varie velocità». Le celebrazioni ufficiali per il 60esimo della firma dei Trattati di Roma hanno segnato, di fatto, la decisione di disintegrare l'Europa che, lungo la rotta dei Trattati europei e del Fiscal compact, porta a disintegrare l'Unione europea, con la solita prassi di dichiarare che si tratta di un grande passo in avanti nella direzione del suo rafforzamento;
    l'unione monetaria così come è stata realizzata, all'insegna del mercantilismo tedesco e senza politiche comuni in ambito economico, fiscale e sociale, si è dimostrata insostenibile: si è realizzata attraverso una svalutazione del lavoro, la riduzione della spesa pubblica e degli investimenti pubblici, la privatizzazione del patrimonio collettivo ed ha alimentato gli squilibri geografici, ha depresso l'economia e la crescita, ha fatto crescere le diseguaglianze; l'organizzazione dell'eurogruppo presieduto da Dijsselbloem si è dimostrata per i presentatori del presente atto di indirizzo una struttura opaca, non democratica e senza regole condivise;
    l'euro-riformismo di facciata che chiede «più Europa», la riforma dei trattati, maggiore flessibilità e meno rigore, ma che in realtà si accontenta del piccolo cabotaggio e degli «zero-virgola», rispettoso di regole ingiuste e controproducenti non è una soluzione; è la continuazione di politiche neoliberiste che fanno crescere povertà e diseguaglianze;
    infatti, se le pratiche attuali dell'eurogruppo proseguiranno, si avrà presto una grave crisi politico-finanziaria italiana, che avrà ricadute anche in Germania. Si riaffaccia, inoltre, il progetto della «Kernel Europa», un'Unione europea a più velocità ed a cerchi concentrici subordinati ad un nucleo centrale. Questo piano è destinato al fallimento nel medio termine. In ogni caso, l'Italia ne verrebbe probabilmente esclusa di fatto;
    altre forze politiche nazionaliste e xenofobe premono per una disintegrazione dell'Unione europea, la fine della democrazia liberale e una ricostruzione di muri e frontiere;
    ma oltre la falsa opposizione fra Europa e Stato nazionale, la questione chiave sarà come ricostruire potere popolare per cambiare e democratizzare entrambi;
    il «Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell'Unione economica e monetaria» o «Patto di Bilancio Europeo» (cosiddetto «Fiscal compact») è un trattato intergovernativo europeo, sottoscritto dai Paesi dell'eurozona, il quale prevede, in particolare:
     a) il vincolo dello 0,5 per cento di deficit «strutturale» rispetto al Pil;
     b) l'obbligo di ridurre il rapporto debito/Pil di almeno 1/20esimo all'anno per i Paesi con un rapporto superiore al 60 per cento, come previsto dal Trattato di Maastricht;
     c) l'obbligo di mantenere al massimo al 3 per cento il rapporto tra deficit e Pil, come previsto dal Trattato di Maastricht;
    per l'Italia – vista la situazione del suo bilancio strutturale e con un rapporto debito/Pil attualmente pari a circa il 133 per cento – si tratterebbe di impostare manovre finanziarie annuali da decine di miliardi di euro, onde rispettare l'accordo;
    il Fiscal compact prevede, inoltre, l'introduzione dell'equilibrio di bilancio per ciascuno Stato in «disposizioni vincolanti di natura permanente - preferibilmente costituzionale»;
    l'Italia ha proceduto non solo al recepimento del Trattato – senza, peraltro, alcuna consultazione popolare, ma solo con un passaggio parlamentare – nel luglio 2012, ed è tra i pochi Paesi dell'eurozona che ha introdotto tale obbligo in Costituzione nel 2012 (legge costituzionale n.  1 del 2012);
    ma lo stesso Fiscal compact ha obbligato sì a introdurre principi di equilibrio dei conti «tramite disposizioni vincolanti e di natura permanente», ma con una semplice indicazione di «preferenza» per il livello costituzionale (articolo 3, comma 2). La scelta dunque di «costituzionalizzare» il princìpio dell'equilibrio di bilancio ricade pienamente nella responsabilità politica del Parlamento italiano. Ciò comporta il gravissimo effetto di rendere immodificabili le politiche del rigore anche nell'ipotesi – auspicabile e da perseguire politicamente – di un ravvedimento a livello europeo;
    l'articolo 16 del Trattato prevede che, entro cinque anni dall'entrata in vigore (1o gennaio 2013) del Fiscal compact, esso venga inserito nell'ordinamento comunitario; di conseguenza che avvenga la sua trasformazione – entro il 31 dicembre 2017 – da accordo intergovernativo in parte integrante dei trattati fondativi dell'Unione europea;
    tale trasformazione imporrà ai Paesi sottoscrittori il pieno dispiegamento dei suoi obblighi, il suo farsi parte costitutiva e fondante dell'Unione europea, e assai più difficoltoso, complesso e arduo procedere alla sua cancellazione o anche solo ad una sua revisione;
    per l'inserimento del Fiscal compact nei Trattati europei è necessaria l'unanimità dei consensi;
    il Fiscal compact è solo uno di quelli che appaiono ai presentatori del presente atto i soffocanti paletti imposti dall'inizio della crisi. Infatti, l'Europa ha adottato una serie di regole che – sommate alle storture congenite dell'unione monetaria europea – obbediscono alla stessa logica, quella di evitare la condivisione dei rischi:
     a) nel 2010-2012, il programma straordinario di acquisti di titoli di Stato (Securities Market Programme - SMP), mentre aiutava i Paesi periferici a risollevarsi, ha trasferito 10 miliardi di euro alla Banca centrale europea (Bce) (di cui oltre 2 sono andati alla Bundesbank) sotto forma di interessi pagati sui titoli coinvolti nel programma;
     b) i 2 mega-prestiti a lungo termine (LTRO) da 1.000 miliardi di euro erogati dalla Bce tra dicembre 2011 e febbraio 2012 alle banche della periferia che, con questa liquidità, hanno saldato i debiti con le banche tedesche e comprato titoli emessi dai loro rispettivi governi. Così le banche tedesche hanno ridotto la loro esposizione verso la periferia per oltre 750 miliardi di euro;
     c) a marzo 2012, il Fiscal Compact ha aggravato gli interventi di contenimento della spesa pubblica, compresa quella destinata agli investimenti infrastrutturali, il cui crollo è la causa della perdita di quasi 1/4 della nostra produzione industriale;
     d) nell'autunno 2012, l'accordo sul Meccanismo europeo di stabilità ha imposto clausole di azione collettiva (CAC) sulle nuove emissioni di titoli di Stato a partire dal gennaio 2013, con le quali una minoranza degli obbligazionisti (appena il 25 per cento+1) può bloccare la ridenominazione del debito nella nuova valuta nazionale nel caso un Paese esca dalla moneta unica;
     e) per coprirsi dal rischio del debito privato, a gennaio 2016, è entrato in vigore il bail-in che riversa sui risparmiatori domestici le perdite delle banche dovute a una prolungata congiuntura avversa;
     f) il Quantitative Easing (QE) risponde alla stessa logica di segregazione dei rischi. Le banche centrali nazionali si fanno carico della maggioranza degli acquisti di titoli emessi dai rispettivi Governi e, per farlo, si indebitano con la Bce; perciò, se un Governo non paga, a farne le spese è la sua banca centrale, mentre – proprio come in un derivato di credito – la Bce non subirà perdite. Il saldo negativo più o meno elevato dei Paesi periferici dell'eurozona all'interno del sistema Target2, in larga misura, è dovuto proprio al QE. La liquidità ricevuta dai Paesi periferici nell'ambito del QE non è andata a supportare la loro economia reale, bensì è finita all'estero, pompando il loro disavanzo Target2 e, in parallelo, l'avanzo tedesco. La somma dei saldi negativi di Italia e Spagna corrisponde quasi al surplus Target2 della Germania, cieca 720 miliardi di euro. Per l'Italia, il conto sarebbe di 363 miliardi di euro, oltre il 20 per cento del Pil;
    nel 2016, la Bce ha continuato e addirittura rafforzato la sua politica di creazione di abbondante liquidità. Ma tale politica sembra aver raggiunto i suoi limiti. Nel corso della crisi, la Bce ha acquisito nuovi ampi poteri e responsabilità, che fanno ancora di più della sua indipendenza da tutti gli organi politici dell'Unione europea una forzatura dei principi democratici;
    tali politiche, che hanno imposto l'austerità dei conti pubblici all'insieme dell'eurozona, come ha dovuto ammettere ormai anche la maggior parte degli economisti mainstream, hanno avuto effetti negativi sulla crescita economica;
    nell'ambito di un quadro di recessione globale, la zona euro mostra, infatti, particolari difficoltà e il peggioramento dell'economia si è accompagnato a una crisi sociale senza precedenti, mentre si sono sviluppati movimenti xenofobi e antieuropei; l'Europa ha risposto alla crescente instabilità dei mercati finanziari, imboccando la strada dell'austerità. A partire dalla primavera 2010, sono stati così varati programmi di riequilibrio delle bilance commerciali dei Paesi in deficit, attraverso drastici interventi sui conti pubblici, simultanei e concentrati in un lasso di tempo relativamente breve. Nei Paesi periferici, il riequilibrio della bilancia commerciale è avvenuto al prezzo di pesanti ricadute economiche e sociali (catastrofiche, nel caso greco), che hanno determinato un aumento del debito pubblico in rapporto al Pil dovuto alla recessione indotta dalle politiche di austerità;
    la gestione neoliberista della crisi economica ha aumentato le asimmetrie e le disuguaglianze esistenti all'interno dei Paesi europei e tra di loro, attuando una competizione sulla base di svalutazioni interne concorrenziali che si sono tradotte in un attacco sistematico al lavoro ed al welfare;
    nel 2008 la Germania e la Grecia avevano quasi lo stesso livello di disoccupazione, nel 2015 la Germania l'aveva ridotto dal 7,4 per cento al 4,6 per cento, mentre in Grecia è aumentato dal 7,8 per cento al 25 per cento. La gestione della crisi economica in Europa ha portato benefici al Nord contro il Sud Europa;
    in Italia, la disoccupazione è aumentata ad oltre il 12 per cento (quella giovanile oltre il 43 per cento), la capacità produttiva del sistema industriale è scesa del 25 per cento (rispetto all'inizio della crisi) e lo stesso debito pubblico è continuato a salire arrivando nel 2016 al 133 per cento sul Pil che, in 9 anni di crisi, è sceso di oltre 7 punti;
    è sostanzialmente l'analisi delle cause profonde della crisi ad essere sbagliata. Essa viene fatta risalire alla «crisi dei debiti sovrani», mentre i debiti sovrani sono peggiorati a seguito della crisi e non viceversa. Nel biennio della grande recessione, l'aumento del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo (Pil) è stato, nei Paesi periferici, solo leggermente superiore alla media della zona euro. La sfiducia dei mercati finanziari è stata innescata dai crescenti squilibri macroeconomici tra i sistemi produttivi più forti (Germania in primis), molto competitivi e in forte avanzo commerciale, e i Paesi periferici considerati – a causa di debolezze strutturali che sono andate aggravandosi negli anni duemila – meno capaci in prospettiva di onorare i propri debiti pubblici;
    i risultati di queste politiche economiche sono stati largamente fallimentari ed hanno portato alla stagnazione e alla depressione economica. La disoccupazione è cresciuta del 40 per cento, gran parte dei Paesi della zona euro è stata colpita dalla recessione e – nonostante le politiche dei tagli – il debito pubblico è cresciuto mediamente dal 66 per cento (in rapporto al Pil) del 2008 al 93 per cento del 2015;
    pensare che il taglio nei deficit pubblici possa essere compensato dall'aumento di altre componenti della domanda aggregata è una pia illusione. Come mostrato in studi e dall'esperienza pratica (Grecia), il moltiplicatore fiscale, in una fase di recessione, è positivo e l'austerità porterà, quindi, a un calo del Pil maggiore del calo del debito, rendendo impossibile raggiungere l'obiettivo della riduzione del rapporto tra debito e Pil;
    si è attuata una transizione dei poteri dagli Stati nazionali all'oligarchia dell'Unione europea, una vera espropriazione della democrazia a favore di una tecnocrazia che risponde, di fatto, solo ai poteri finanziari e a ristretti gruppi sociali che, secondo i presentatori del presente atto, di tali politiche di austerità si stanno avvantaggiando in maniera scandalosa; tra il 1976 e il 2006, la quota dei salari (incluso il reddito dei lavoratori autonomi) sul Pil è diminuita in media di 10 punti, scendendo dal 67 al 57 per cento circa. In Italia, è andata peggio: il calo ha toccato i 15 punti, dal 68 al 53 per cento (dati dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), un trasferimento di ricchezza, a favore soprattutto del capitale finanziario, pari – in moneta attuale – a 240 miliardi di euro;
    le misure economiche varate in questi ultimi 15 anni stanno dunque minando alle radici, insieme alla dimensione sostanziale e sociale del costituzionalismo europeo, lo stesso processo di integrazione dell'Unione europea;
    l'unità politica di un popolo è data dall'uguaglianza nei diritti, stabiliti nelle Costituzioni, di quanti in esso si riconoscono, appunto come uguali. È quanto afferma lo stesso preambolo alla Carta europea dei diritti fondamentali: «l'Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà». Prima ancora, del resto, il Consiglio europeo di Colonia del 3-4 giugno 1999 aveva dichiarato: «la tutela dei diritti fondamentali costituisce un principio fondatore dell'Unione europea» e «il presupposto indispensabile della sua legittimità»;
    l'Unione europea, ben più che un mercato comune, è quindi un insieme di popoli che si vogliono unificati da comuni valori di civiltà, oggi, però, posposti ai valori dei bilanci dalle inadeguate tecnocrazie comunitarie; le quali, mentre minacciano l'espulsione della Grecia, culla dell'Europa, nulla dicono delle derive autoritarie dell'Ungheria e del riemergere in tanti Paesi di rigurgiti neonazisti, antisemiti e razzisti. Ben più della libera concorrenza, l'unificazione politica dell'Europa richiederebbe, insomma, come presupposto, l'uguaglianza dei cittadini europei e l'indivisibilità dei loro diritti fondamentali;
    l'economia, che dai padri costituenti dell'Europa fu concepita e progettata come un fattore di unificazione – dapprima il mercato comune e poi la moneta unica – è oggi diventata, in assenza di politiche in grado di governarla, un fattore di conflitto e divisione;
    la ricetta giusta per uscire dalla crisi è sopperire alla carenza di domanda privata con la politica di bilancio. In un periodo durante il quale consumi ed investimenti privati faticano a crescere, è lo Stato che deve intervenire con politiche espansive, in particolare aumentando la spesa pubblica per investimenti per stimolare direttamente la domanda. Date le attuali condizioni di sottoutilizzo della capacità produttiva, è altamente probabile che lo stimolo fiscale incrementi a sua volta anche consumi ed investimenti privati, perché l'impatto positivo dell'aumento del reddito sarebbe superiore all'impatto negativo dell'aumento dei tassi di interesse. Grazie all'effetto moltiplicatore, la politica espansiva genera un aumento più che proporzionale dell’output, innescando un circolo virtuoso: maggiore produzione, maggiori investimenti e maggior capacità produttiva;
    lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, Matteo Renzi, ebbe a dichiarare nel novembre 2016 che: «Nel 2017 il “fiscal compact”, le regole del pareggio di bilancio dovrebbero entrare nei trattati. Io sono nettamente contrario a questa ipotesi. Monti, Bersani e Brunetta ci hanno regalato il fiscal compact. Nel 2017 l'Italia dirà no al suo inserimento nei trattati», ed ha aggiunto: «Al netto delle elezioni francesi, tedesche e olandesi, sarà l'anno in cui, in un senso o nell'altro, si metterà la parola fine alle discussioni sulle politiche europee. La politica dell’austerity è fallita». C’è da chiedersi se il Governo attualmente in carica, sostenuto dalla stessa maggioranza parlamentare del Governo pro tempore, darà un seguito concreto a tali affermazioni;
    il pareggio di bilancio strutturale dei nostri conti pubblici, calcolato al netto del ciclo e delle una tantum, era previsto in origine nel 2014, ma è slittato di anno in anno. Lo stesso calcolo dell’output gap (la differenza tra crescita effettiva e crescita potenziale) è una costruzione artificiosa, tant’è che esistono diverse metodologie di calcolo che danno risultati molto diversi: con i criteri della Commissione europea, si è in deficit, ma per i criteri Ocse si è in surplus, mentre per i criteri del Fondo monetario internazionale si è in pareggio;
    l'inserimento del Fiscal Compact nei Trattati europei avrebbe effetti moltiplicativi di queste politiche fallimentari, oltre ad alimentare un clima di distacco e sfiducia delle popolazioni europee verso l'Unione europea. Tale clima potrebbe contribuire a determinare una vera e propria disintegrazione dell'Unione europea e portare all'acuirsi del consenso a soggettività politiche che individuano in politiche nazionalistiche e di colpevolizzazione dei migranti le responsabilità della situazione venutasi a creare;
    il dogma dell'obbedienza cieca ai parametri del Fiscal compact è stato contraddetto anche dalla sentenza della Corte costituzionale italiana n.  275 dell'ottobre 2016, dove si indica – in estrema sintesi – che servizi primari incomprimibili per i cittadini non possono venir negati da vincoli di bilancio e che il corpus normativo costituzionale nazionale ha primazia sul rispetto dei trattati medesimi (anche se inserito in un singolo articolo della Carta costituzionale). Aspetto, quest'ultimo, già sentenziato dagli organi preposti dello Stato tedesco;
    l'8 marzo 2016 la Commissione europea ha presentato una prima stesura del «Pilastro europeo dei diritti sociali». Il 31 dicembre 2016 si è conclusa la consultazione europea che ha visto la partecipazione di istituzioni, parlamenti, sindacati e associazioni; ora si tratta di procedere alla stesura definitiva che dovrà avvenire entro il 2017;
    il «Pilastro europeo dei diritti sociali» rappresenta un obiettivo condivisibile se il risultato finale è quello di fissare principi essenziali da garantire in tutti i Paesi aderenti all'Unione europea. Nel «Pilastro europeo dei diritti sociali», si afferma tra gli altri, il diritto ad un reddito minimo; ma non viene posto in essere un vincolo giuridico per stabilire a livello europeo un reddito minimo, né tantomeno per gli altri diritti sociali in esso contenuti. Se la volontà è di andare in questa direzione, allora occorre definire questo diritto e renderlo effettivo per tutti gli Stati aderenti come misura fondamentale di lotta all'esclusione sociale;
    la politica macroeconomica dell'Unione europea richiede un approccio alternativo che, nel breve periodo, generi una dinamica di sviluppo capace di auto sostenersi, che assicuri la piena occupazione e, in una prospettiva di lungo periodo, una crescita equa e capace di correggere gli evidenti squilibri macroeconomici;
    è necessario ottenere innovazioni radicali dei trattati che regolano le relazioni intraeuropee, a partire dal Fiscal compact, in almeno sei distinte aree:
     a) il requisito di bilancio in pareggio deve essere sostituito da un requisito di bilanciamento dell'economia, che includa fra gli obiettivi livelli di occupazione alti e sostenibili. Merita ricordare che, nelle versioni consolidate del Trattato dell'Unione europea e del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea ricorrono pochissime volte espressioni che impegnino l'Unione a promuovere «un elevato livello di occupazione». Tale obiettivo non risulta attualmente un impegno dell'Unione, bensì appare come l'esito dell'economia sociale di mercato fortemente competitiva, di stampo neo-liberale, che purtroppo l'Unione e le sue istituzioni (Banca centrale europea in testa) hanno promosso. La modifica dei trattati dell'Unione europea nel senso indicato può segnare il ritorno allo spirito della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, che «pone la persona al centro della sua azione», ridisegnando la sua «costituzione economica», contro quella «costituzione finanziaria» che, acriticamente assunta, ha sottratto linfa allo spirito e alla lettera della Carta dei diritti fondamentali e alla costruzione del «popolo europeo»;
     b) in una prospettiva di lungo termine, le dimensioni del budget comunitario devono aumentare sostanzialmente, così da poter finanziare investimenti europei, insieme a beni e servizi pubblici e poter mettere in atto una politica fiscale anticiclica europea, a supporto delle politiche fiscali nazionali;
     c) piuttosto che concentrare l'attenzione solamente sulla crescita complessiva, dare priorità anche al superamento delle disuguaglianze regionali e intersettoriali;
     d) è necessaria una strategia europea per gli investimenti a lungo termine, finalizzata allo sviluppo europeo, nazionale e locale;
     e) politiche per la (re)industrializzazione dei Paesi periferici, che richiedono l'introduzione di specifiche misure protezionistiche. Le politiche anti-cicliche di breve periodo dovrebbero includere misure per la promozione di una ristrutturazione del tessuto produttivo esistente. Tutto ciò richiede, ovviamente, specifici interventi di messa in discussione dell'attuale regolamentazione europea e dell’acquis comunitario;
     f) l'odierna strategia deflazionistica di svalutazione competitiva deve essere rimpiazzata da una strategia di crescita dei salari che assicuri un'inflazione stabile e la partecipazione dei lavoratori alla crescita del reddito nazionale;
     g) vanno poste in atto misure incisive per combattere la concorrenza fiscale,

impegna il Governo:

1) ad intervenire con forza, in tutte le sedi europee, assumendo iniziative per una radicale riscrittura dei Trattati europei per ridurne le contraddizioni con i princìpi delle Costituzioni dei Paesi dell'Unione europea, nate dopo la II Guerra mondiale. In assenza di tale riscrittura, a rifiutare di inserire il Fiscal compact nei Trattati europei, opponendo il veto in sede europea;

2) a promuovere la rimozione delle disposizioni pro-cicliche (come quelle contenute nel Fiscal compact) e lo scorporo della spesa per investimenti dal calcolo del saldo strutturale dal momento che, senza investimenti pubblici, è impensabile che il Pil possa riprendere a crescere oltre lo zero virgola, e quindi permettere al Paese di creare da sé le risorse necessarie per finanziare il fabbisogno del settore pubblico e ridurne il debito;

3) a proporre la mutualizzazione dei rischi del Quantitative Easing e l'introduzione, a livello europeo, di politiche di bilancio di compensazione dei disallineamenti dei cicli economici dei vari Stati membri, esattamente come accadrebbe in una unione monetaria completata dall'unione politica (si veda l'esempio degli Stati Uniti d'America);

4) a proporre una conferenza europea sui debiti sovrani per affrontare le situazioni nazionali più critiche;

5) a proporre, in sede europea, che i titoli di Stato comprati dalle banche centrali nazionali nell'ambito del Quantitative Easing siano trasferiti nell'attivo di bilancio della Banca centrale europea e successivamente congelati a tempo indefinito, senza alcuna sterilizzazione;

6) ad assumere iniziative per reperire, in sede europea, le necessarie risorse finanziarie e, per garantire, specialmente nei Paesi più poveri, che i trasferimenti sociali ai rifugiati non siano a loro spese, e per realizzare diversi interventi di sostegno sia verso i richiedenti asilo, che verso le aree più sotto pressione dai flussi migratori considerato che entrambi gli obiettivi potrebbero essere perseguiti se l'Unione europea potesse incanalare in tale direzione almeno una parte della moneta creata attraverso il Quantitative Easing della Banca centrale europea;

7) a mettere in discussione l'aumento delle spese militari dell'Unione europea, respingendo le proposte di rafforzamento della capacità militare dell'Unione in risposta alla crisi, dato che il ricorso alla coercizione nazionale e internazionale non potrà risolvere i problemi socio-economici più di quanto non abbia fatto in passato;

8) a proporre l'utilizzazione, a livello europeo, di una quota del gettito della tassa sulle transazioni finanziarie, unitamente all'emissione di eurobond e project bond, per finanziare e promuovere l'occupazione, in particolare quella giovanile, e la riconversione ecologica del sistema produttivo;

9) a proporre la ridefinizione del ruolo della Banca centrale europea come prestatrice di ultima istanza;

10) a proporre un programma europeo, una sorta di « social compact», per lo sviluppo sostenibile e la coesione sociale, la lotta alle disuguaglianze ed alla povertà, da concordare con gli altri partner continentali, nel quale inserire, in particolare, un'indennità di disoccupazione europea;

11) a promuovere una modifica dei Trattati e del diritto dell'Unione europea nel senso di includere la lotta alla disoccupazione e la promozione di un'elevata occupazione tra gli obiettivi principali delle politiche dell'Unione, nonché ad assumere iniziative per integrare e a modificare lo Statuto del sistema europeo di Banche centrali (Sebc) e della Banca centrale europea (Bce), al fine di includere tra i princìpi generali per le operazioni di credito a banche dell'eurozona la condizione per cui un credito viene concesso soltanto se appare promuovere sicuramente l'occupazione netta nel Paese dell'ente richiedente;

12) ad assumere iniziative per fare sì che, in sede di Unione europea, la stesura finale del «Pilastro europeo dei diritti sociali»:
  a) sia approvata definitivamente entro giugno del 2017;
  b) si riferisca espressamente all'articolo 151, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea ovvero alla armonizzazione verso l'alto, e che non si limiti alla sola necessità di una maggiore convergenza degli Stati, affermando che i principi sociali di riferimento siano da garantire in tutti Paesi aderenti all'Unione europea;

13) a sostenere, a livello nazionale, attraverso risorse adeguate, azioni, programmi ed iniziative di carattere normativo, il diritto ad un reddito minimo e tutti i diritti recati dal «Pilastro europeo dei diritti sociali»;

14) ad assumere le opportune iniziative normative al fine di cancellare le modifiche agli articoli 81, 97 e 119 della Costituzione, apportate dalla legge costituzionale n.  1 del 2012, al fine di eliminare il principio dell’«equilibrio di bilancio» e di garantire la salvaguardia dei diritti fondamentali;

15) ad assumere le opportune iniziative anche al fine di modificare i meccanismi di cui alla cosiddetta «legge rinforzata», la legge 24 dicembre 2012, n.  243, con particolare riguardo alla definizione del saldo strutturale, alla cosiddetta «regola del debito» per quanto concerne i fattori rilevanti, alla cosiddetta «regola della spesa», alle modalità del monitoraggio da parte del Ministro dell'economia e delle finanze del livello della spesa, alla definizione di eventi eccezionali, alle norme concernenti gli enti territoriali, al ruolo dell'Ufficio parlamentare di bilancio che dovrà essere di supporto del ruolo democratico e sovrano del Parlamento.
(1-01589) «Marcon, Fratoianni, Civati, Airaudo, Brignone, Costantino, Daniele Farina, Fassina, Giancarlo Giordano, Gregori, Andrea Maestri, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pastorino, Pellegrino, Placido».


   La Camera,
   premesso che:
    il 25 marzo 2017 si sono celebrati i sessanta anni dalla firma dei Trattati di Roma e dell'inizio di un percorso che sino a tempi recenti ha assicurato non solo pace, ma anche prosperità al continente europeo;
    il testo finale della «Dichiarazione di Roma», lungi dal definire un minimo comune denominatore europeo, al fine di ottenere la sottoscrizione di tutti e 27 gli Stati aderenti e di contenere la sottolineatura che l'Unione europea è «indivisa e indivisibile», non poteva che essere il risultato di compromessi e ambiguità tali che dalla sua interpretazione ognuno si potrà appellare a ciò che più convince, interessa e conviene;
    sul problema dei profughi e migranti si limita a indicare una generica politica «efficace, responsabile, sostenibile, rispettosa delle norme internazionali», senza nemmeno accennare ad una cooperazione europea per l'esercizio di filtri più efficaci, soprattutto sul versante mediterraneo;
    ancora più evanescente appare il paragrafo dedicato all'economia, che non indica alcuna priorità decisiva, se non l'affermazione che si vuole la crescita sostenibile, la coesione, la convergenza, tenuto conto della diversità dei sistemi nazionali, la lotta contro la disoccupazione e la discriminazione e l'esclusione sociale;
    il Consiglio dei capi di Stato e di governo dell'Unione, riuniti a Bruxelles il 9 e 10 marzo 2017 ha riproposto quanto, a Versailles, Germania, Francia, Italia e Spagna, il 7 marzo 2017, avevano annunciato: l'idea di un'Europa a più velocità, che, di fatto già da alcuni decenni è attuata grazie alle varie «cooperazioni rafforzate». Un'idea che difficilmente potrà rilanciare in modo efficace il progetto europeo;
    nessuna riflessione per un rilancio di un processo di «federalismo competitivo», in cui i vari Stati competono virtuosamente tra loro per trovare le soluzioni migliori; nessuna idea per un'Unione più moderna e più giusta o per una riflessione su un modello confederale o federale; nessun accenno allo storico deficit democratico delle istituzioni europee;
    il «Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell'Unione economica e monetaria», più noto come «Fiscal Compact», all'articolo 16, stabilisce che, al più tardi entro cinque anni dalla data dalla sua entrata in vigore (1o gennaio 2013), «sulla base di una valutazione dell'esperienza maturata in sede di attuazione, sono adottate in conformità del trattato sull'Unione europea e del trattato sul funzionamento dell'Unione europea le misure necessarie per incorporare il contenuto del presente trattato nell'ordinamento giuridico dell'Unione europea»;
    tra fine 2017 e inizio 2018, quindi gli Stati membri dovranno decidere che futuro riservare al Fiscal compact e come modificarlo, ricordando che, per l'inserimento nei trattati europei, è richiesta l'unanimità degli Stati membri;
    il Fiscal compact è stato firmato in occasione del Consiglio europeo del 1o-2 marzo 2012 da tutti gli Stati membri dell'Unione europea ad eccezione di Regno Unito e Repubblica ceca (che ha aderito nel 2014);
    il suddetto trattato, concordato al di fuori della cornice giuridica dei trattati europei, all'articolo 3, ha impegnato le Parti contraenti ad applicare e ad introdurre, entro un anno dalla sua entrata in vigore, con norme vincolanti e a carattere permanente, preferibilmente di tipo costituzionale, o di altro tipo purché ne garantiscano l'osservanza nella procedura di bilancio nazionale, diverse regole, in aggiunta a e senza pregiudizio per gli obblighi derivanti dal diritto dell'Unione europea:
     a) il bilancio dello Stato dovrà essere in pareggio o in attivo; tale regola si considera rispettata se il disavanzo strutturale dello Stato è pari all'obiettivo a medio termine specifico per Paese, con un deficit che non eccede lo 0,5 per cento del Pil;
     b) gli Stati contraenti potranno temporaneamente deviare dall'obiettivo a medio termine o dal percorso di aggiustamento solo nel caso di circostanze eccezionali, ovvero eventi inusuali che sfuggono al controllo dello Stato interessato e che abbiano rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria della pubblica amministrazione, oppure in periodi di grave recessione, a patto che tale disavanzo non infici la sostenibilità di bilancio a medio termine;
     c) qualora il rapporto debito pubblico/Pil risulti significativamente al di sotto della soglia del 60 per cento, e qualora i rischi per la sostenibilità a medio termine delle finanze pubbliche siano bassi, il valore di riferimento del deficit può essere superiore allo 0,5 per cento, ma in ogni caso non può eccedere il limite dell'1 per cento del Pil;
     d) qualora il rapporto debito pubblico/Pil superi la misura del 60 per cento, le parti contraenti si impegnano a ridurlo mediamente di 1/20 all'anno per la parte eccedente tale misura. Il ritmo di riduzione, tuttavia, dovrà tener conto di alcuni fattori rilevanti, quali la sostenibilità dei sistemi pensionistici e il livello di indebitamento del settore privato;
    il Parlamento italiano, oltre a ridisegnare la propria disciplina contabile ordinaria, con la legge costituzionale 12 aprile 2012, n. 1, ha introdotto nella Costituzione il pareggio di bilancio, modificando gli articoli 81, 97, 117 e 119 della Costituzione;
    già nel gennaio 2014 la Camera dei deputati, approvando tre diversi atti di indirizzo ha evidenziato l'opportunità ed ha impegnato il Governo ad agire in sede europea per un riesame dei meccanismi posti a presidio delle regole della governance economica al fine dell'introduzione di una maggiore flessibilità degli obiettivi di bilancio a medio termine. Con lo scopo di liberare risorse da destinare alle politiche di sviluppo e crescita;
    in vista della scadenza del dicembre 2017, nell'ambito dell'Unione europea, sta operando un gruppo di lavoro sulla revisione del Fiscal compact, che starebbe seguendo l'idea di rendere il Fiscal compact più flessibile, incorporandolo, contestualmente, nel Trattato di Maastricht;
    la necessità di dover «ratificare» il Fiscal compact nei Trattati europei può costituire un'opportunità unica per inserire la norma di buon senso volta a scorporare gli investimenti che creano valore. Inoltre, è un'occasione sia per rivedere i parametri di Maastricht, che non hanno retto alla prova di circa un quarto di secolo di esperienza, sia per ripensare le basi stesse dell'unione monetaria – senza per questo percorrere la via del ritorno alle monete nazionali – a cominciare dall'esistenza di una moneta senza un bilancio comune e una condivisione dei rischi. Una tale riflessione diventa ancora più importante per l'Italia, anche in prospettiva di un probabile prossimo ridimensionamento del Quantitative easing da parte della Bce;
    il Trattato di Maastricht venne firmato nella convinzione che si sarebbe presto giunti a una piena integrazione politico-statuale europea; invece, venne creata una valuta priva di Stato e furono trasferite alle istituzioni comunitarie le politiche monetarie e la garanzia del mercato unico,

impegna il Governo:

1) nell'ambito di una revisione del Fiscal Compact, a promuovere una rinegoziazione complessiva di tutti gli altri trattati dell'Unione europea vigenti, nessuno escluso;

2) ad assumere iniziative per fare dell'Italia la promotrice e la protagonista, con le opportune alleanze, di un processo di rinegoziazione globale nell'Unione europea, nella direzione della flessibilità, del riconoscimento delle diversità territoriali, del rifiuto di soluzioni uniche – specialmente fiscali e di bilancio – imposte indiscriminatamente all'intera Unione;

3) sul piano interno, a perseguire una politica di consistente riduzione di tasse-spesa-debito, visto che non è infatti in discussione il principio astratto del pareggio di bilancio, ma il livello concreto di tassazione e di spesa pubblica al quale questo pareggio viene conseguito.
(1-01600) «Capezzone, Palese, Altieri, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».


   La Camera,
   premesso che:
    nel preambolo alla carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che a partire dal Trattato di Lisbona è stata equiparata come valenza ai trattati istitutivi dell'Unione europea si legge: «l'Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà; l'Unione si basa sui principi di democrazia e dello stato di diritto. [...]. L'Unione contribuisce al mantenimento e allo sviluppo di questi valori comuni, nel rispetto della diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli europei, dell'identità nazionale degli Stati membri e dell'ordinamento dei loro pubblici poteri a livello nazionale, regionale e locale; essa cerca di promuovere uno sviluppo equilibrato e sostenibile e assicura la libera circolazione delle persone, dei beni, dei servizi e dei capitali nonché la libertà di stabilimento»;
    gli articoli 99 e 104 del Trattato di Roma istitutivo della Comunità economica europea (così come modificato con il Trattato di Maastricht e dal Trattato di Lisbona) trovano attuazione attraverso il rafforzamento delle politiche di vigilanza sui deficit ed i debiti pubblici, nonché con un particolare tipo di procedura di infrazione;
    la procedura per deficit eccessivo (pde), che ne costituisce il principale strumento, è stata implementata dal Patto di stabilità e crescita (psc). Stipulato nel 1997, il Patto di stabilità e crescita ha rafforzato le disposizioni sulla disciplina fiscale nell'unione economica e monetaria, di cui agli articoli 99 e 104 del suddetto trattato di Roma, ed è entrato in vigore con l'adozione dell'euro, il 1o gennaio 1999;
    in base al Patto di stabilità e crescita, gli Stati membri devono continuare a rispettare nel tempo i parametri di deficit pubblico (3 per cento) e di debito pubblico (60 per cento del prodotto interno lordo);
    da più parti si è sottolineata l'eccessiva rigidità del patto, perché questa, se non applicata considerando l'intero ciclo economico, genera rischi involutivi derivanti dalla contrazione della politica degli investimenti;
    l'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha in diversi studi fatto presente come il prodotto interno lordo non sia un indicatore esaustivo per parametrare il benessere di un Paese e dei suoi cittadini, e che bisogna tener conto anche di altri indicatori, come la qualità e il costo delle abitazioni, salari, sicurezza dell'impiego e disoccupazione, l'educazione, la coesione sociale, la qualità dell'ambiente, la salute, la sicurezza e altri;
    la politica economica europea nel suo complesso non è riuscita a risolvere gli enormi squilibri tra i Paesi dell'Unione europea, in particolare i problemi di decadimento sociale e di mancati livelli minimi di benessere dei cittadini, accentuati dalla crisi sopraggiunta a partire dal 2007;
    le misure di austerità adottate in Italia, e non solo, non hanno prodotto gli effetti positivi sperati, anzi hanno acuito effetti ciclici negativi;
    le misure di austerità avevano come scopo di diminuire la spesa pubblica e miravano a equilibrare il bilancio, con l'ovvia conseguenza di ridurre ulteriormente la spesa nazionale senza risultati notevoli in termini di crescita, recupero, nonché in termini di riduzione del rapporto debito/prodotto interno lordo;
    tali politiche di austerità hanno prodotto come risultato una riduzione della domanda aggregata e, direttamente e indirettamente, hanno indebolito il potere d'acquisto dei lavoratori (ad esempio, riducendo la spesa per i servizi pubblici, sanità e istruzione);
    le cattive performance dell'Italia, stando ai dati, sono da ricercarsi nelle cattive politiche legislative e, in particolare, relative alla non tutela dei posti di lavoro;
    oltre a essere dannose, le politiche di austerity sono anche tarate su vincoli oramai anacronistici. Il numero «3» del famoso vincolo del 3 per cento deficit/Prodotto interno lordo deriva da una mera espressione algebrica e serviva a stabilizzare il rapporto debito/Prodotto interno lordo al valore medio (60 per cento) dei primi Paesi che, negli anni ’90, sono entrati nell'Unione monetaria europea, tutto ciò a condizione che il Prodotto interno lordo reale crescesse, in media, attorno al 3 per cento annuo. Tale obiettivo (60 per cento rapporto debito/Prodotto interno lordo) e tale ipotesi (3 per cento crescita annua Prodotto interno lordo) si sono rivelati nei trascorsi 20 anni, secondo i presentatori del presente atto, palesemente irrealistici;
    tale parametro non era nato da considerazioni di tipo politico, e a maggior ragione non lo è dopo 20 anni dal suo primo utilizzo, ma è stato riutilizzato acriticamente e sistematicamente senza nessuna correlazione coi Paesi a cui si riferisce;
    oltre all'anacronismo della misura di austerity, va tenuto presente che da ricerche effettuate sia dal Fondo monetario internazionale, che in ambito accademico, emerge che, in periodo di crisi finanziaria, i moltiplicatori assumono valori molto più alti. Da ciò si desume che è proprio nei momenti di crisi che l'investimento genera i maggiori benefici;
    essendo oramai chiaro che tali vincoli sono troppo penalizzanti per la nostra economia, appare evidente che la miglior strategia da adottare per superare lo stallo in cui è precipitato il nostro Paese e rilanciarne la crescita economica, è quella di superare tali vincoli;
    servirebbero politiche, sia a livello nazionale che europeo, coerenti con un sano sviluppo delle economie europee, tendenti quindi a migliorare il benessere dei cittadini, con policy atte a aumentare gli investimenti, nonché l'occupazione e la stabilità del salario, sia con politiche di sostegno al reddito, che eliminando qualsivoglia politica di precarizzazione del mercato del lavoro,

impegna il Governo:

1) a intervenire nelle sedi europee rifiutando in modo perentorio l'inserimento del Fiscal compact nei Trattati europei, e quindi opponendo il veto dell'Italia;

2) a intervenire nelle sedi europee assumendo iniziative volte a modificare i trattati europei per promuovere il ritorno ad una Unione europea dei popoli, realmente dedita alla creazione e allo sviluppo di un'unione ove si concretizzino i valori fondamentali comuni codificati nelle Costituzioni degli Stati nella parte in cui promuovono la solidarietà tra i popoli;

3) ad assumere iniziative per rimuovere le deleterie disposizioni di austerity inserite con legge costituzionale n. 1 del 2012;

4) a intervenire nelle sedi europee, in attesa di una coerente rivisitazione dei trattati, per promuovere una interpretazione estensiva dei trattati esistenti in modo da contrastare le attuali interpretazioni promotrici di politiche di austerità e passare a interpretazioni foriere di espansione economica;

5) a intervenire, anche nelle sedi europee, per rilanciare il principio di una gestione autonoma del debito da parte degli Stati, basata non più su politiche di austerity, ma di riduzione progressiva del debito, attraverso la crescita economica;

6) a programmare una politica di crescita basata su obiettivi chiari e ben definiti e sulla promozione dell'innovazione nei settori chiave come quello dell'energia pulita;

7) ad assumere iniziative per scorporare dal computo dell'indebitamento netto gli investimenti pubblici relativi a finanziamenti per opere innovative, per la ricerca, per la salute, il benessere dei cittadini, la coesione sociale, l'occupazione e la sicurezza dell'impiego e per gli obiettivi di missione intrapresi dai Paesi per il loro rilancio economico;

8) a intervenire in sede europea per una armonizzazione interna dei montanti di surplus/deficit tra i vari Paesi dell'Unione europea;

9) a non considerare in alcun caso come vincolante l'obiettivo di mantenere al 3 per cento il rapporto deficit/Prodotto interno lordo;

10) a considerare come vincolanti gli indicatori di benessere equo e sostenibile recentemente individuati nel documento di economia e finanza, rendendoli programmatici;

11) a promuovere misure adeguate di sostegno al reddito e di inclusione sociale, di entità non inferiore a quelle già adottate dagli altri Paesi europei, considerando anche le proposte di legge depositate in Parlamento su tali temi.
(1-01601) «Caso, Cariello, Brugnerotto, Castelli, D'Incà, Sorial, Cecconi».


   La Camera,
   premesso che:
    nel suo programma legislativo per il 2017, la Commissione europea, illustrando le misure cui dar corso per assicurare «un'Unione economica e monetaria più profonda e più equa», sottolinea come il Libro bianco sul futuro dell'Europa, che dovrà indicare le tappe per riformare l'Unione europea a 27 Stati membri sessant'anni dopo i Trattati di Roma, comprenderà un ampio capitolo sul futuro dell'Unione economica monetaria, nel quale saranno incluse una revisione del patto di stabilità e crescita incentrata sulla stabilità e misure per conformarsi all'articolo 16 del Fiscal Compact ossia per integrarne il contenuto nel quadro giuridico dell'Unione europea;
    firmato in occasione del Consiglio europeo dell'1 e 2 marzo 2012 da tutti gli Stati membri dell'Unione europea a eccezione del Regno Unito e della Repubblica ceca, il Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell'Unione economica e monetaria (cosiddetto Fiscal Compact) incorpora e integra in una cornice unitaria alcune delle regole di finanza pubblica e delle procedure per il coordinamento delle politiche economiche, in buona parte già introdotte o in via di introduzione nel quadro della governance economica europea. Tra gli elementi principali ivi contenuti meritano di essere richiamati:
     a) l'impegno delle parti contraenti ad applicare e introdurre, entro un anno dall'entrata in vigore del trattato, con norme costituzionali o di rango equivalente, la «regola aurea» in base alla quale il bilancio dello Stato deve essere in pareggio o in attivo. Sotto tale profilo si evidenzia che in Italia, il 17 aprile 2012, è stata approvata la legge costituzionale n. 1 del 2012, volta a introdurre in Costituzione il principio del pareggio di bilancio, nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea. Con successiva legge «rinforzata» n. 243 del 2012, approvata a maggioranza assoluta dei membri di ciascuna Camera ai sensi del nuovo comma 6 dell'articolo 81 della Costituzione, sono state dettate le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni;
     b) l'impegno delle parti contraenti, qualora il rapporto debito pubblico/Pil superi la misura del 60 per cento, a ridurlo mediamente di 1/20 l'anno per la parte eccedente tale misura;
     c) la possibilità, per qualsiasi parte contraente che consideri un'altra parte contraente inadempiente rispetto agli obblighi stabiliti dal patto di bilancio, di adire la Corte di giustizia dell'Unione europea, anche in assenza di un rapporto di valutazione della Commissione europea;
     d) la potestà, per le parti contraenti, di fare ricorso a cooperazioni rafforzate nei settori essenziali per il buon funzionamento dell'eurozona, senza tuttavia recare pregiudizio al mercato interno;
     e) l'istituzione di «vertici euro» informali dei Capi di Stato e di governo delle parti contraenti la cui moneta è l'euro, insieme con il Presidente della Commissione europea;
    come noto, il Fiscal Compact è entrato in vigore il 1o gennaio 2013, dopo essere stato ratificato – come previsto dall'articolo 14 del medesimo trattato – da dodici Paesi dell'Eurozona (Austria, Cipro, Germania, Estonia, Spagna, Francia, Grecia, Italia, Irlanda, Finlandia, Portogallo, Slovenia), oltre che da quattro Paesi non aderenti alla zona euro (Lettonia, Lituania, Romania e Danimarca). Il nostro Paese ha ratificato il Fiscal Compact con la legge n. 114 del 23 luglio 2012. Ultimo Paese a ratificare è stato il Belgio, in data 21 marzo 2014;
    per quanto concerne il livello cui i singoli Stati membri hanno dato seguito agli impegni assunti, firmando e ratificando il Fiscal Compact, uno studio del Servizio Studi e Ricerche del Parlamento europeo (ERPS), pubblicato nel mese di giugno del 2016 (Fiscal Compact Treaty: Scorecard for 2015), evidenziava, a tre anni dall'entrata in vigore, un quadro contrastato;
    gli sforzi per rispettare i termini del Fiscal Compact – incluse le norme volte a rafforzare la disciplina di bilancio – hanno registrato forti variazioni tra uno Stato membro e l'altro. Alcuni Paesi sono riusciti a ridurre significativamente il deficit pubblico, mantenendo una posizione di bilancio solida, in linea con i requisiti del Fiscal Compact. Altri Paesi sono riusciti a tagliare il debito pubblico con la cadenza prevista dal trattato, ma altri ancora hanno realizzato progressi decisamente più limitati. Ciò ha indotto numerosi studiosi ed economisti ad affermare che il Fiscal Compact è stato «inefficace», facendo riferimento, per esempio, ai bilanci di Francia e Italia nel 2015, che risultavano entrambi palesemente disallineati rispetto al Fiscal Compact, oltre a violare gli impegni precedentemente assunti in materia di riduzione deficit. Lo studio del Parlamento europeo si sofferma sulle posizioni espresse dal Fmi e dalla Bce, che hanno entrambi sottolineato come il rispetto del quadro fiscale dell'Unione europea «sia rimasto debole», nonostante gli sforzi per rafforzare l'efficacia delle politiche economiche e il loro coordinamento. Parallelamente, la Corte dei conti europea, in un suo rapporto, ha evidenziato la crescente complessità del quadro di governance dell'economia, che rischia inevitabilmente di comprometterne l'efficacia;
    ormai si discute da anni, sia a livello parlamentare sia extraparlamentare, della necessità di porre con forza il tema della revisione del Fiscal Compact relativamente ai parametri e ai vincoli legati alla riduzione del debito, del rapporto deficit-Pil e della distinzione netta, nell'ambito del patto di stabilità, delle risorse di parte corrente da quelle in conto capitale per gli investimenti;
    già nel gennaio 2014 l'Assemblea della Camera dei deputati approvava tre mozioni, firmate sia da parlamentari di maggioranza che di opposizione e sulle quali il Governo aveva espresso parere favorevole, con cui si evidenziava l'opportunità, e si impegnava in tal senso l'Esecutivo, di agire in sede europea per un riesame degli attuali meccanismi posti a presidio delle regole della governance economica al fine dell'introduzione di una maggiore flessibilità degli obiettivi di bilancio a medio termine al fine di liberare risorse da destinare alle politiche di sviluppo economico e alla crescita;
    ciononostante, al netto degli sforzi profusi dal Governo in sede europea, sino ad oggi, purtroppo, è stato perpetuato un approccio estremamente miope e rigido nella gestione della politica di bilancio e dell'integrazione europea perché si è continuato a governare secondo principi di austerità impraticabili che hanno solo aggravato crisi e recessioni, con l'interdizione di ogni forma di eurobond garantiti pro quota dagli Stati nazionali ed una contraddizione evidente fra politica fiscale restrittiva e politica ultraespansiva della Bce che avrebbe dovuto compensarne gli effetti con la sola leva monetaria;
    a ciò si aggiungono i risultati modestissimi del cosiddetto «Piano Junker», l'arretramento degli investimenti pubblici e del loro potenziale traino agli investimenti privati, gli altissimi livelli di disoccupazione soprattutto giovanile e, infine, il dilagare di una gravissima sofferenza sociale e povertà diffusa;
    in tale contesto, appare quanto mai urgente che il Governo assuma una posizione forte, puntando innanzitutto all'eliminazione di quei paletti rigidi che oggi bloccano la crescita e gli investimenti pubblici in infrastrutture e trasporti, ricerca, innovazione, formazione, politiche per il lavoro e green economy;
    come si ricorderà anche l'ex Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, nel corso di un comizio svoltosi in data 29 ottobre 2016 in Piazza del Popolo a Roma, aveva dichiarato: «Noi diciamo che siccome nel 2017 casualmente a Roma si riuniranno i capi di governo e in UE arriva a scadenza il tema del Fiscal Compact, noi non accetteremo di inserirlo nei trattati UE» e il riferimento al citato articolo 16 del Fiscal Compact appariva chiaro in quanto esso prevede che «al più tardi entro 5 anni (ovverosia entro l'anno 2017), dalla data di entrata in vigore del presente trattato (1o gennaio 2013), sulla base di una valutazione dell'esperienza maturata in sede di attuazione, sono adottate in conformità del Trattato sull'Unione europea e del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea le misure necessarie per incorporare il contenuto del presente trattato nell'ordinamento giuridico dell'Unione europea»;
    del resto, appare a tutti chiara la necessità di avviare un confronto critico teso ad una revisione profonda del Fiscal Compact e delle regole europee del bilancio. Il criterio con cui affrontare questo lavoro è noto e dovrebbe essere quello, come più volte auspicato, dell'eliminazione dai vincoli di bilancio di tutte le spese pubbliche definite, con estrema cura e precisione, di investimento, secondo regole e monitoraggi costruiti in modo rigoroso a livello comunitario e applicati da organismi comunitari del tutto indipendenti dai governi e dagli apparati nazionali. Per questa quota di investimenti nazionali riconosciuti come spese di investimento dovrebbe, inoltre, risultare agevole costruire forme di copertura comunitaria a debito e/o forme di garanzia diretta e indiretta del bilancio comunitario, a cui occorrerebbe garantire uno zoccolo fiscale europeo più significativo;
    una strada per trovare una soluzione c’è ed è possibile ed il Governo ha l'opportunità e la possibilità di chiedere e ottenere una modifica del Fiscal Compact che vada nella direzione di una golden rule relativa a spese di investimento, anche nazionali, concordate con e controllate dalla Commissione europea al fine di evitare abusi e usi impropri;
    solo in questo modo l'Italia e l'Europa potranno tornare a crescere e ristabilire un clima di consenso presso le loro popolazioni;
    l'avvento di Trump e ancor prima la Brexit, il ritorno di politiche protezionistiche e di scenari geopolitici che si sperava definitivamente chiusi negli archivi del passato, non lasciano dubbi circa l'assoluta necessità di una svolta europea in questo senso. I lavoratori, i loro diritti, le tutele, il welfare subirebbero effetti devastanti da un improvviso ritorno alle monete nazionali, alle barriere doganali e valutarie, alle svalutazioni competitive, all'inflazione galoppante e un debito pubblico sempre più alto;
    per il nostro Paese la situazione appare molto delicata per diversi fattori che sono sotto gli occhi di tutti. Negli ultimi mesi, lo spread è cresciuto di circa 80 punti base; la crescita rimane stentata, e la performance dell'Italia continua ad occupare l'ultimo posto tra i principali Paesi europei; la Commissione europea ha chiesto una manovra correttiva di 3,4 miliardi di euro; a fine anno, o forse anche prima, verrà meno il Quantitative Easing della Bce, e quindi i tassi di interesse saliranno con effetti preoccupanti sui nostri conti; con la manovra del prossimo anno dovremo, inoltre, compensare le clausole di salvaguardia di poco meno di 20 miliardi di euro;
    occorre dunque una nuova strategia da declinare a livello europeo che oltre a mettere in sicurezza dei conti, punti a indirizzare tutte le risorse disponibili ad un massiccio programma di spese per investimenti (almeno mezzo punto di Pil l'anno per tre anni), spese che negli ultimi 10 anni sono state ridotte di oltre 10 miliardi di euro,

impegna il Governo:

1) ad adoperarsi, costruendo le opportune alleanze, affinché il Fiscal Compact sia modificato nella direzione di una golden rule sugli investimenti anche nazionali da esercitare almeno entro il limite del 3 per cento oppure, in caso contrario, a contrastare l'inserimento del Fiscal Compact nei Trattati europei;

2) a intraprendere ogni iniziativa di competenza presso le sedi europee volta a modificare le regole sulla misurazione del pareggio strutturale, attraverso un metodo di calcolo condiviso fra la Commissione europea, il Fmi e l'Ocse, e, in particolare, a riconsiderare quelli che per i presentatori del presente atto sono parametri astrusi e particolarmente penalizzanti per l'Italia, quali l’Output Gap e il NAWRU, in base ai quali per il nostro Paese è considerato di «equilibrio», rispetto a possibili tensioni inflazionistiche, un livello di disoccupazione oltre il 10 per cento ancora per i prossimi anni, con la conseguenza di comprimere la possibilità di adottare politiche espansive e anti-cicliche, adoperandosi affinché siano rivisti i criteri in base ai quali la Commissione calcola i disavanzi strutturali: in particolare, proponendo di rivedere il sistema di calcolo insieme a Fmi e Ocse in modo da avere valutazioni condivise a livello internazionale;

3) ad adottare iniziative presso le competenti sedi europee affinché la Germania ridimensioni il proprio surplus commerciale entro il limite indicato dai Trattati in vigore.
(1-01602) «Melilla, Albini, Capodicasa, Laforgia, D'Attorre, Scotto, Speranza, Zoggia, Bersani, Ragosta, Epifani, Roberta Agostini, Franco Bordo, Bossa, Cimbro, Duranti, Fava, Ferrara, Folino, Fontanelli, Formisano, Fossati, Carlo Galli, Kronbichler, Leva, Martelli, Matarrelli, Mognato, Murer, Nicchi, Giorgio Piccolo, Piras, Quaranta, Ricciatti, Rostan, Sannicandro, Stumpo, Zaccagnini, Zappulla, Zaratti».


   La Camera,
   premesso che:
    nel suo programma legislativo per il 2017, la Commissione europea, illustrando le misure cui dar corso per assicurare «un'Unione economica e monetaria più profonda e più equa», sottolinea come il Libro bianco sul futuro dell'Europa, che dovrà indicare le tappe per riformare l'Unione europea a 27 Stati membri sessant'anni dopo i Trattati di Roma, comprenderà un ampio capitolo sul futuro dell'Unione economica monetaria, nel quale saranno incluse una revisione del patto di stabilità e crescita incentrata sulla stabilità e misure per conformarsi all'articolo 16 del Fiscal Compact ossia per integrarne il contenuto nel quadro giuridico dell'Unione europea;
    firmato in occasione del Consiglio europeo dell'1 e 2 marzo 2012 da tutti gli Stati membri dell'Unione europea a eccezione del Regno Unito e della Repubblica ceca, il Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell'Unione economica e monetaria (cosiddetto Fiscal Compact) incorpora e integra in una cornice unitaria alcune delle regole di finanza pubblica e delle procedure per il coordinamento delle politiche economiche, in buona parte già introdotte o in via di introduzione nel quadro della governance economica europea. Tra gli elementi principali ivi contenuti meritano di essere richiamati:
     a) l'impegno delle parti contraenti ad applicare e introdurre, entro un anno dall'entrata in vigore del trattato, con norme costituzionali o di rango equivalente, la «regola aurea» in base alla quale il bilancio dello Stato deve essere in pareggio o in attivo. Sotto tale profilo si evidenzia che in Italia, il 17 aprile 2012, è stata approvata la legge costituzionale n. 1 del 2012, volta a introdurre in Costituzione il principio del pareggio di bilancio, nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea. Con successiva legge «rinforzata» n. 243 del 2012, approvata a maggioranza assoluta dei membri di ciascuna Camera ai sensi del nuovo comma 6 dell'articolo 81 della Costituzione, sono state dettate le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni;
     b) l'impegno delle parti contraenti, qualora il rapporto debito pubblico/Pil superi la misura del 60 per cento, a ridurlo mediamente di 1/20 l'anno per la parte eccedente tale misura;
     c) la possibilità, per qualsiasi parte contraente che consideri un'altra parte contraente inadempiente rispetto agli obblighi stabiliti dal patto di bilancio, di adire la Corte di giustizia dell'Unione europea, anche in assenza di un rapporto di valutazione della Commissione europea;
     d) la potestà, per le parti contraenti, di fare ricorso a cooperazioni rafforzate nei settori essenziali per il buon funzionamento dell'eurozona, senza tuttavia recare pregiudizio al mercato interno;
     e) l'istituzione di «vertici euro» informali dei Capi di Stato e di governo delle parti contraenti la cui moneta è l'euro, insieme con il Presidente della Commissione europea;
    come noto, il Fiscal Compact è entrato in vigore il 1o gennaio 2013, dopo essere stato ratificato – come previsto dall'articolo 14 del medesimo trattato – da dodici Paesi dell'Eurozona (Austria, Cipro, Germania, Estonia, Spagna, Francia, Grecia, Italia, Irlanda, Finlandia, Portogallo, Slovenia), oltre che da quattro Paesi non aderenti alla zona euro (Lettonia, Lituania, Romania e Danimarca). Il nostro Paese ha ratificato il Fiscal Compact con la legge n. 114 del 23 luglio 2012. Ultimo Paese a ratificare è stato il Belgio, in data 21 marzo 2014;
    per quanto concerne il livello cui i singoli Stati membri hanno dato seguito agli impegni assunti, firmando e ratificando il Fiscal Compact, uno studio del Servizio Studi e Ricerche del Parlamento europeo (ERPS), pubblicato nel mese di giugno del 2016 (Fiscal Compact Treaty: Scorecard for 2015), evidenziava, a tre anni dall'entrata in vigore, un quadro contrastato;
    gli sforzi per rispettare i termini del Fiscal Compact – incluse le norme volte a rafforzare la disciplina di bilancio – hanno registrato forti variazioni tra uno Stato membro e l'altro. Alcuni Paesi sono riusciti a ridurre significativamente il deficit pubblico, mantenendo una posizione di bilancio solida, in linea con i requisiti del Fiscal Compact. Altri Paesi sono riusciti a tagliare il debito pubblico con la cadenza prevista dal trattato, ma altri ancora hanno realizzato progressi decisamente più limitati. Ciò ha indotto numerosi studiosi ed economisti ad affermare che il Fiscal Compact è stato «inefficace», facendo riferimento, per esempio, ai bilanci di Francia e Italia nel 2015, che risultavano entrambi palesemente disallineati rispetto al Fiscal Compact, oltre a violare gli impegni precedentemente assunti in materia di riduzione deficit. Lo studio del Parlamento europeo si sofferma sulle posizioni espresse dal Fmi e dalla Bce, che hanno entrambi sottolineato come il rispetto del quadro fiscale dell'Unione europea «sia rimasto debole», nonostante gli sforzi per rafforzare l'efficacia delle politiche economiche e il loro coordinamento. Parallelamente, la Corte dei conti europea, in un suo rapporto, ha evidenziato la crescente complessità del quadro di governance dell'economia, che rischia inevitabilmente di comprometterne l'efficacia;
    ormai si discute da anni, sia a livello parlamentare sia extraparlamentare, della necessità di porre con forza il tema della revisione del Fiscal Compact relativamente ai parametri e ai vincoli legati alla riduzione del debito, del rapporto deficit-Pil e della distinzione netta, nell'ambito del patto di stabilità, delle risorse di parte corrente da quelle in conto capitale per gli investimenti;
    già nel gennaio 2014 l'Assemblea della Camera dei deputati approvava tre mozioni, firmate sia da parlamentari di maggioranza che di opposizione e sulle quali il Governo aveva espresso parere favorevole, con cui si evidenziava l'opportunità, e si impegnava in tal senso l'Esecutivo, di agire in sede europea per un riesame degli attuali meccanismi posti a presidio delle regole della governance economica al fine dell'introduzione di una maggiore flessibilità degli obiettivi di bilancio a medio termine al fine di liberare risorse da destinare alle politiche di sviluppo economico e alla crescita;
    ciononostante, al netto degli sforzi profusi dal Governo in sede europea, sino ad oggi, purtroppo, è stato perpetuato un approccio estremamente miope e rigido nella gestione della politica di bilancio e dell'integrazione europea perché si è continuato a governare secondo principi di austerità impraticabili che hanno solo aggravato crisi e recessioni, con l'interdizione di ogni forma di eurobond garantiti pro quota dagli Stati nazionali ed una contraddizione evidente fra politica fiscale restrittiva e politica ultraespansiva della Bce che avrebbe dovuto compensarne gli effetti con la sola leva monetaria;
    a ciò si aggiungono i risultati modestissimi del cosiddetto «Piano Junker», l'arretramento degli investimenti pubblici e del loro potenziale traino agli investimenti privati, gli altissimi livelli di disoccupazione soprattutto giovanile e, infine, il dilagare di una gravissima sofferenza sociale e povertà diffusa;
    in tale contesto, appare quanto mai urgente che il Governo assuma una posizione forte, puntando innanzitutto all'eliminazione di quei paletti rigidi che oggi bloccano la crescita e gli investimenti pubblici in infrastrutture e trasporti, ricerca, innovazione, formazione, politiche per il lavoro e green economy;
    come si ricorderà anche l'ex Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, nel corso di un comizio svoltosi in data 29 ottobre 2016 in Piazza del Popolo a Roma, aveva dichiarato: «Noi diciamo che siccome nel 2017 casualmente a Roma si riuniranno i capi di governo e in UE arriva a scadenza il tema del Fiscal Compact, noi non accetteremo di inserirlo nei trattati UE» e il riferimento al citato articolo 16 del Fiscal Compact appariva chiaro in quanto esso prevede che «al più tardi entro 5 anni (ovverosia entro l'anno 2017), dalla data di entrata in vigore del presente trattato (1o gennaio 2013), sulla base di una valutazione dell'esperienza maturata in sede di attuazione, sono adottate in conformità del Trattato sull'Unione europea e del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea le misure necessarie per incorporare il contenuto del presente trattato nell'ordinamento giuridico dell'Unione europea»;
    del resto, appare a tutti chiara la necessità di avviare un confronto critico teso ad una revisione profonda del Fiscal Compact e delle regole europee del bilancio. Il criterio con cui affrontare questo lavoro è noto e dovrebbe essere quello, come più volte auspicato, dell'eliminazione dai vincoli di bilancio di tutte le spese pubbliche definite, con estrema cura e precisione, di investimento, secondo regole e monitoraggi costruiti in modo rigoroso a livello comunitario e applicati da organismi comunitari del tutto indipendenti dai governi e dagli apparati nazionali. Per questa quota di investimenti nazionali riconosciuti come spese di investimento dovrebbe, inoltre, risultare agevole costruire forme di copertura comunitaria a debito e/o forme di garanzia diretta e indiretta del bilancio comunitario, a cui occorrerebbe garantire uno zoccolo fiscale europeo più significativo;
    una strada per trovare una soluzione c’è ed è possibile ed il Governo ha l'opportunità e la possibilità di chiedere e ottenere una modifica del Fiscal Compact che vada nella direzione di una golden rule relativa a spese di investimento, anche nazionali, concordate con e controllate dalla Commissione europea al fine di evitare abusi e usi impropri;
    solo in questo modo l'Italia e l'Europa potranno tornare a crescere e ristabilire un clima di consenso presso le loro popolazioni;
    l'avvento di Trump e ancor prima la Brexit, il ritorno di politiche protezionistiche e di scenari geopolitici che si sperava definitivamente chiusi negli archivi del passato, non lasciano dubbi circa l'assoluta necessità di una svolta europea in questo senso. I lavoratori, i loro diritti, le tutele, il welfare subirebbero effetti devastanti da un improvviso ritorno alle monete nazionali, alle barriere doganali e valutarie, alle svalutazioni competitive, all'inflazione galoppante e un debito pubblico sempre più alto;
    per il nostro Paese la situazione appare molto delicata per diversi fattori che sono sotto gli occhi di tutti. Negli ultimi mesi, lo spread è cresciuto di circa 80 punti base; la crescita rimane stentata, e la performance dell'Italia continua ad occupare l'ultimo posto tra i principali Paesi europei; la Commissione europea ha chiesto una manovra correttiva di 3,4 miliardi di euro; a fine anno, o forse anche prima, verrà meno il Quantitative Easing della Bce, e quindi i tassi di interesse saliranno con effetti preoccupanti sui nostri conti; con la manovra del prossimo anno dovremo, inoltre, compensare le clausole di salvaguardia di poco meno di 20 miliardi di euro;
    occorre dunque una nuova strategia da declinare a livello europeo che oltre a mettere in sicurezza dei conti, punti a indirizzare tutte le risorse disponibili ad un massiccio programma di spese per investimenti (almeno mezzo punto di Pil l'anno per tre anni), spese che negli ultimi 10 anni sono state ridotte di oltre 10 miliardi di euro,

impegna il Governo:

1) ad adoperarsi, costruendo le opportune alleanze, affinché il Fiscal Compact sia modificato nella direzione di una golden rule sugli investimenti anche nazionali da esercitare almeno entro il limite del 3 per cento oppure, in caso contrario, a contrastare l'inserimento del Fiscal Compact nei Trattati europei;

2) a intraprendere ogni iniziativa di competenza presso le sedi europee volta a modificare le regole sulla misurazione del pareggio strutturale, attraverso un metodo di calcolo condiviso fra la Commissione europea, il Fmi e l'Ocse, e, in particolare, a riconsiderare quelli che per i presentatori del presente atto sono parametri astrusi e particolarmente penalizzanti per l'Italia, quali l’Output Gap e il NAWRU, in base ai quali per il nostro Paese è considerato di «equilibrio», rispetto a possibili tensioni inflazionistiche, un livello di disoccupazione oltre il 10 per cento ancora per i prossimi anni, con la conseguenza di comprimere la possibilità di adottare politiche espansive e anti-cicliche, adoperandosi affinché siano rivisti i criteri in base ai quali la Commissione calcola i disavanzi strutturali: in particolare, proponendo di rivedere il sistema di calcolo insieme a Fmi e Ocse in modo da avere valutazioni condivise a livello internazionale;

3) ad adottare le iniziative opportune presso le competenti sedi europee affinché sia garantito il rispetto della regola che fissa al 6 per cento il surplus commerciale massimo consentito ad ogni Paese.
(1-01602)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Melilla, Albini, Capodicasa, Laforgia, D'Attorre, Scotto, Speranza, Zoggia, Bersani, Ragosta, Epifani, Roberta Agostini, Franco Bordo, Bossa, Cimbro, Duranti, Fava, Ferrara, Folino, Fontanelli, Formisano, Fossati, Carlo Galli, Kronbichler, Leva, Martelli, Matarrelli, Mognato, Murer, Nicchi, Giorgio Piccolo, Piras, Quaranta, Ricciatti, Rostan, Sannicandro, Stumpo, Zaccagnini, Zappulla, Zaratti».


   La Camera,
   premesso che:
    all'origine, il fiscal compact avrebbe dovuto essere un atto europeo – si pensava a un regolamento – per «compattare» (copyright Mario Draghi) in un testo unico tutte le normative che erano state adottate nel periodo della grande crisi dell'eurozona (Six Pack, Two Pack);
    per il Regno Unito un regolamento avrebbe avuto un'influenza eccessiva anche per i Paesi non euro, limitando, per esempio, la libertà di circolazione dei servizi finanziari, e si oppose;
    per superare questa impasse si usò la formula dell'accordo internazionale, la stessa utilizzata in precedenza anche per Schengen, e fu inserito l'articolo 16, per cui a 5 anni data dalla firma (quindi nel 2017) si sarebbe valutata la possibilità di recepire l'accordo internazionale nell'ambito dei Trattati europei (come è effettivamente accaduto, in altra sede e con altri tempi, per Schengen);
    l'appuntamento dei 5 anni non è una scadenza, non è un rinnovo, non è neanche un tagliando/controllo. Al massimo, quello che un Paese può fare è, come per ogni accordo internazionale, ritirare la firma e uscire dal fiscal compact. Resta comunque, come Stato dell'Unione europea vincolato a tutte le regole del Six Pack e del Two Pack, che rimangono in vigore;
    l'unico vincolo di cui ci si libererebbe sarebbe l'equilibrio di bilancio, se non fosse che lo si è inserito nella Costituzione. Quindi si sarebbe tenuti a rispettarlo comunque, salvo nuove modifiche costituzionali;
    l'uscita da fiscal compact preclude la possibilità di ricorso, qualora ve ne fosse bisogno, alle risorse del fondo Salva-Stati;
    piuttosto, è necessario cancellare l’«imbroglio» del dopo Maastricht, e tornare al suo spirito originario con la sospensione delle norme che ne hanno modificato l'impianto iniziale;
    tornare a Maastricht significa recuperare la lezione di Guido Carli. Fu su proposta dell'allora Ministro del tesoro, infatti, che nel testo fu inserita una clausola che, con riferimento ai parametri fissati, consentiva agli Stati «di tenere conto della tendenza ad avvicinarsi al valore di riferimento e di eventuali cause eccezionali o temporanee di scostamento da quei parametri»;
    il patto di stabilità del 1997 (e le modifiche successive) ha cambiato, tra l'altro con modalità di dubbia legittimità, proprio questo punto fondamentale del Trattato, inviso ovviamente ai tedeschi, in quanto contrario alla loro dottrina calvinista e alla loro ossessione nei confronti dell'inflazione;
    così facendo, è stato dato un segnale alla speculazione e ai mercati, che si sono scatenati a scommettere sulla prevedibilità del non rispetto di quei «paletti», considerati troppo rigidi e per questo irrealizzabili. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, soprattutto negli ultimi anni;
    è ora di tornare all'Europa vera, solidale, illuminata, lungimirante, della crescita, vincendo così anche i populismi e gli estremisti. «Sì» alla genialità di Maastricht, ma basta agli egemonismi e ai «ricatti» tedeschi;
    solo così l'Italia e l'Europa tornerebbero più forti, in grado di affrontare le sfide e le difficoltà più grandi. Abbiamo le idee e gli strumenti per ridisegnare il futuro. O ne saremo travolti;
    il trattato di Maastricht fu firmato il 7 febbraio 1992, ma il passaggio clou di tutte le negoziazioni fu l'Ecofin (riunione dei Ministri economici e finanziari) del 21 settembre 1991;
    grazie alla clausola citata, inserita su proposta italiana, gli Stati che non rispettavano i «paletti» di Maastricht non erano costretti a realizzarli attraverso un piano di rientro a tappe forzate che avrebbe richiesto misure di politica economica restrittive, bensì adottando politiche virtuose che comportassero miglioramenti progressivi. Vale a dire senza stress eccessivo, e controproducente, bensì impegnandosi a sforzi graduali e compatibili con lo stato dell'economia e del tessuto sociale e produttivo del Paese, senza costringerlo a imprese impossibili;
    viene, cioè, fissato l'obiettivo, ma il suo conseguimento è affidato alle politiche che ciascun Governo adotta autonomamente, tenendo conto delle specificità e delle concrete condizioni della propria economia. Per cui il grado di conseguimento dell'obiettivo varia da Paese a Paese e di anno in anno. «I criteri di convergenza economica rispetto a debito, deficit, inflazione e tassi di interesse da inserire nel Trattato non devono essere applicati in maniera meccanica e occorre lasciare la possibilità di sviluppare un'attenta valutazione politica», annunciò in conferenza stampa, soddisfatto, Guido Carli;
    i parametri, dunque, furono fissati, ma con una dose di flessibilità. Il deficit, per esempio, doveva essere minore o uguale al 3 per cento del prodotto interno lordo, certo, ma andava comunque tutto bene anche se i singoli Stati dimostravano che il rapporto diminuiva in modo sostanziale e continuo nel tempo, raggiungendo livelli sempre più vicini al valore di riferimento. Allo stesso modo, il debito non doveva superare il 60 per cento del prodotto interno lordo, a meno che il Paese non dimostrasse di essere in grado di ridurre quel rapporto in misura sufficiente, avvicinandosi al valore di riferimento con un ritmo adeguato;
    pochi anni dopo, nel 1997, il trattato di Maastricht è stato modificato proprio in questo punto fondamentale. Ma non attraverso un nuovo Trattato, che avrebbe comportato la ratifica dei parlamenti nazionali o un referendum popolare, come era già avvenuto per Maastricht; bensì attraverso dei regolamenti, che non necessitano di alcun via libera popolare, diretto o indiretto per via parlamentare;
    con il patto di stabilità, quindi, dei regolamenti sono stati elevati al rango di Trattati, allorquando essi possono solo disciplinare l'applicazione delle disposizioni previste dai trattati, senza mai entrare, però, in contraddizione con questi ultimi;
    i regolamenti in questione, che costituiscono il patto di stabilità, sono il n. 1466/97 e il n. 1467/97, del 17 giugno 1997, entrati in vigore a marzo 1998. Con un colpo di mano, introducono quel principio di rigidità che Guido Carli era riuscito a evitare. Pertanto il rispetto dei vincoli di bilancio diventa forzato e indipendente dai governi e dalle politiche che essi intendono implementare, nonché incurante delle fasi di congiuntura economica sfavorevole;
    inoltre, vengono inseriti meccanismi di sorveglianza e sanzionatori che, oltre a far venire meno la filosofa portante del trattato di Maastricht, tolgono di fatto agli Stati membri la piena autonomia nelle scelte di politica economica. Si realizza così, con strumenti giuridicamente inadeguati (si ripete: due regolamenti e non un trattato), il primo vero «scippo» di sovranità degli Stati nazionali da parte dell'Europa. Anzi, per essere precisi, di Germania e Francia. Il tutto senza alcun dibattito politico-parlamentare. D'altronde, i regolamenti non lo richiedevano. Tattica perfetta dell'asse franco-tedesco;
    il patto di stabilità resta in vigore fino al 6 dicembre 2011, e pochi giorni dopo, il 13 dicembre 2011, ne entra in vigore uno nuovo e rinforzato. Le misure in esso contenute, denominate six pack, sono scritte in 5 regolamenti e una direttiva approvate dal Parlamento europeo a novembre 2011. Stessi principi dei due precedenti regolamenti, stessi meccanismi di sorveglianza e sanzionatori;
    anche in questo caso (Consiglio europeo del 17 giugno 2010), qualcuno fece inserire una clausola di flessibilità, sulla linea di quanto fatto in passato da Guido Carli: l'allora Presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, che insistette a lungo affinché nel percorso di avvicinamento agli obiettivi di bilancio si tenesse conto dei cosiddetti «fattori rilevanti», vale a dire delle specificità delle economie dei singoli Paesi, e del ciclo economico;
    in particolare, la proposta di Berlusconi era incentrata sulla previsione di «attribuire importanza maggiore ai livelli, all'andamento e alla sostenibilità globale dell'indebitamento degli Stati» e che, pertanto, nel calcolo del rapporto debito/prodotto interno lordo si comprendesse, al nominatore, oltre al debito pubblico, anche quello di famiglie e imprese;
    prendendo in considerazione l'indebitamento aggregato, infatti, l'Italia è seconda solo alla Germania. E rivedendo in tal senso i parametri del six pack, sarebbe chiamata a uno sforzo di riduzione del debito pubblico ridotto almeno alla metà rispetto alle manovre del 3 per cento annuo del prodotto interno lordo per 20 anni previste dalle regole attuali e che oggi strozzano il nostro Paese;
    è nato così il fiscal compact, approvato dai capi di Stato e di governo a Bruxelles il 2 marzo 2012, e ratificato in Italia il 19 luglio 2012. Nonostante esso rechi «Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell'unione economica e monetaria», neanche il fiscal compact ha il rango di trattato in grado di modificare Maastricht, in quanto non è stato adottato all'unanimità, visto che è mancato il voto dell'Inghilterra. Per questo oggi, a cinque anni di distanza, ci si trova a valutare, come previsto dall'articolo 16 dello stesso, la possibilità di recepire l'accordo internazionale nell'ambito dei Trattati europei,

impegna il Governo

1) ad intervenire in tutte le sedi europee, assumendo ogni opportuna iniziativa volta al ritorno all'impianto originale del trattato di Maastricht e alla sospensione di tutte le modifiche intervenute successivamente, in primis il Fiscal Compact, attraverso strumenti legislativi inadeguati e, per alcuni versi, di dubbia legittimità, che hanno squilibrato il sistema europeo.
(1-01604) «Brunetta».


   La Camera,
   premesso che:
    in occasione del Consiglio europeo dell'1-2 marzo 2012 è stato firmato, da tutti gli Stati membri dell'Unione europea ad eccezione di Regno Unito e Repubblica Ceca, il Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell'Unione economica e monetaria, il cosiddetto Fiscal Compact;
    la governance economica europea aveva già iniziato a dotarsi di strumenti volti alla riduzione dei debiti dei Paesi membri in occasione della costituzione economica e monetaria: al fine di rafforzare il percorso d'integrazione monetaria intrapreso nel 1992 con la sottoscrizione del trattato di Maastricht, il quale prevedeva che non fossero superati, nel corso di un normale ciclo economico, i limiti del 3 per cento del prodotto interno lordo, per il deficit (o indebitamento netto) e il 60 per cento per il debito, si proseguì, nel 1997, con la firma del Patto di stabilità e di crescita (PSC), costituito da una risoluzione del Consiglio europeo e da due regolamenti del Consiglio del 7 luglio dello stesso anno che ne precisavano gli aspetti tecnici sul controllo della situazione di bilancio e del coordinamento delle politiche economiche e sull'applicazione della procedura d'intervento in caso di deficit eccessivi;
    con questo patto, a ciascun Stato membro veniva richiesto di conseguire un saldo di bilancio strutturale corrispondente al proprio obiettivo a medio termine (MTO) nazionale, oppure un saldo in rapida convergenza verso di esso (con una correzione annuale del saldo strutturale pari almeno a 0,5 punti percentuali di prodotto interno lordo come benchmark). Per tutti i Paesi che non l'hanno raggiunto, era richiesto un più elevato aggiustamento nelle fasi positive del ciclo economico, così da avere maggiore flessibilità in quelle negative. Per i Paesi lontani dal raggiungimento dell'obiettivo di medio periodo, i regolamenti europei richiedevano invece manovre correttive anche nelle fasi negative del ciclo, benché con uno sforzo più limitato rispetto al benchmark dello 0,5 per cento;
    con la seconda riforma del patto di stabilità e crescita nel 2011, è stato poi inserito un ulteriore requisito per gli Stati membri che non hanno raggiunto l'MTO e che presentino un livello di debito che ecceda il 60 per cento del prodotto interno lordo: assicurare una velocità di convergenza maggiore verso il proprio MTO (maggiore dello 0,5 per cento del prodotto interno lordo come benchmark nelle fasi positive del ciclo);
    il PSC è stato poi integrato al fine di introdurre margini di flessibilità per l'adozione di riforme strutturali e investimenti pubblici per un limite massimo dello 0,75 per cento del prodotto interno lordo di deviazione complessiva che si ottiene cumulando le due clausole concernenti le riforme e gli investimenti. Il Six Pack del 2011 ha previsto un'ulteriore clausola (eventi eccezionali) che permette deviazioni rispetto al percorso di raggiungimento dell'obiettivo di medio termine;
    il trattato sul Fiscal Compact arrivò in seguito alla dichiarazione dei Capi di Stato e di Governo dell'Eurozona, adottata il 9 dicembre 2011, a cui aderirono anche altri nove Stati membri (Bulgaria, Danimarca, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, e Ungheria; Svezia e Repubblica Ceca che poi, però, non firmò il trattato) in cui si prevedeva l'adozione di una serie di obiettivi e misure che rafforzassero la disciplina di bilancio e il coordinamento delle politiche economiche in base alle proposte formulate nel rapporto presentato dal Presidente Van Rompuy in attuazione del mandato Consiglio europeo del 26 ottobre 2011 per il rafforzamento economico dell'Unione;
    il nuovo trattato è stato negoziato e stipulato al di fuori del quadro istituzionale dell'Unione europea e delle procedure previste per la modifica dei Trattati, anche per le diverse divergenze che portarono, come già detto, Regno Unito e Repubblica Ceca a non firmare il documento;
    l'articolo 16 dello stesso trattato, però, stabilisce che entro cinque anni dall'entrata in vigore, sulla base di una valutazione della sua attuazione, verranno fatti i passi necessari, in conformità con le disposizioni dei Trattati dell'Unione europea, allo scopo di incorporare le norme del trattato intergovernativo nella cornice giuridica dell'Unione europea;
    tra i punti principali del trattato, si ricorda, innanzitutto, la cosiddetta «regola aurea», secondo la quale il bilancio dello Stato deve essere in pareggio o in attivo. Il bilancio è considerato in pareggio o in attivo qualora il disavanzo strutturale dello Stato è pari all'obiettivo a medio termine specifico per Paese come stabilito dal Patto di stabilità con un deficit che non ecceda lo 0,5 per cento del prodotto interno lordo. Le parti contraenti devono assicurare la convergenza verso il rispettivo obiettivo a medio termine, il cui arco temporale è proposto dalla Commissione tenendo conto i rischi di sostenibilità del Paese interessato. I progressi nel percorso di convergenza sono valutati, come precisato dall'ultima versione del progetto, sulla base di un esame del bilancio che includa l'analisi delle spese al netto delle misure discrezionali in materia di entrate, in linea con le disposizioni del Patto di stabilità come modificate dal Six Pack;
    l'articolo 3 del trattato sul Fiscal compact stabiliva infatti che gli Stati contraenti potessero temporaneamente deviare dall'obiettivo a medio termine o dal percorso di aggiustamento solo nel caso di circostanze eccezionali, ovvero eventi inusuali che sfuggono al controllo dello Stato interessato e che abbiano rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria della pubblica amministrazione, oppure in periodi di grave recessione, a patto che tale disavanzo non infici la sostenibilità di bilancio a medio termine;
    in base all'articolo 4 dello stesso trattato, si introduceva l'obbligo, per le parti, di ridurre immediatamente il valore del debito pubblico al ritmo di un 1/20 all'anno, qualora il rapporto debito pubblico/prodotto interno lordo superasse la soglia del 60 per cento. Il ritmo di riduzione di 1/20 all'anno del debito pubblico deve inoltre tenere conto di alcuni fattori rilevanti, quali la sostenibilità dei sistemi pensionistici e il livello di indebitamento del settore privato;
    simili regole di austerità, decise in un momento di gravissima crisi economica come quella che si è attraversata a partire dal 2009 e le cui conseguenze si fanno ancora sentire in molti Paesi europei, tra cui il nostro, hanno causato esclusivamente un aggravamento delle condizioni economiche dei Stati che hanno aderito al trattato;
    l'Italia, oggi, a causa di queste regole che hanno portato alle note misure montiane di «lacrime e sangue» di contenimento della spesa pubblica e di tagli indiscriminati, soprattutto alle politiche sociali, si ritrova con un tasso di disoccupazione altissimo (la media del tasso di disoccupazione dei giovani si attesta intorno al 40 per cento e quella del tasso di disoccupazione generale intorno al 12 per cento) e la crescita più lenta d'Europa, a fronte della pressione fiscale più alta d'Europa. Secondo quanto riportato in alcuni studi di settore, negli ultimi 15 anni, il risultato fiscale emerso dalla comparazione con la media europea è costantemente peggiorato: se nel 2000 sui contribuenti italiani gravava una pressione fiscale pari a quella media presente nell'Unione europea, oggi il carico fiscale è maggiore di circa 900 euro. Per le imprese, inoltre, la pressione fiscale in assoluto la più alta d'Europa, con un differenziale di 21 punti sopra la media europea;
    la carenza di lavoro e l'altissima pressione fiscale, congiuntamente alla contrazione delle politiche sociali, hanno generato, nel nostro Paese, una rapida diffusione di situazioni di disagio ed indigenza, con oltre 4 milioni di individui in povertà assoluta e l'11,9 per cento della popolazione in gravi difficoltà economiche;
    a ciò si sono aggiunte le circostanze eccezionali del sisma e dell'enorme flusso di migranti che hanno sicuramente impegnato ulteriori risorse che, seppur svincolate dai «paletti» europei grazie alla richiesta di flessibilità, hanno richiesto uno sforzo importante alla casse del bilancio statale. Mentre, però, per quanto riguarda il sisma, l'evento è effettivamente di natura imprevedibile e non controllabile, e il Governo impegnerà un miliardo di euro all'anno, secondo quanto riportato nel documento di economia e finanza 2017, l'emergenza del flusso migratorio sarebbe, invece, anche determinata dalle politiche adottate dall'attuale Governo e da quello precedente in tema di immigrazione, che anziché adottare misure ed iniziative immediate che bloccassero tali flussi, hanno incentivato le partenze dai Paesi di origine e transito degli immigrati con il miraggio di una accoglienza indiscriminata che costerà, secondo quanto riportato dalle stesse previsioni governative, ben 4,6 miliardi solo nel 2017;
    sono note le resistenze di molti Paesi europei che non vogliono partecipare alla redistribuzione dei migranti e, nonostante l'imposizione, da parte dell'Europa, al soccorso indiscriminato - a volte addirittura favorito dalle operazioni comuni - i costi sono, quasi per intero, sostenuti dal nostro Paese. Lo stesso documento di economia e finanza 2017 riporta che a fronte di una spesa di 4,6 miliardi, i contributi dell'Unione europea sono solo di 91 milioni;
    a latere del Fiscal Compact, si procedette con la modifica dell'articolo 136 del TFUE che ha previsto l'istituzione di un meccanismo permanente di stabilità (MES o ESM, European Stability Mechanism), detto anche Fondo salva-Stati, che costituisce l'altro pilastro del nuovo sistema di governance economica europea. Il MES ha sostituito gli altri strumenti di stabilizzazione finanziaria quali l’European financial stabilisation mechanism (EFSM) e l’European financial stability facility (EFSF), istituiti originariamente fino al 31 dicembre 2012, e poi prorogati fino al 30 giugno 2013;
    la modifica al suddetto articolo 136 è stata approvata con decisione del Consiglio europeo del 24-25 marzo 2011, secondo la procedura semplificata di revisione dei trattati, con cui si è aggiunto il seguente paragrafo: «Gli Stati membri la cui moneta è l'euro possono istituire un meccanismo di stabilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme. La concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell'ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità»;
    una prima versione del trattato istitutivo del MES, sulla base della modifica all'articolo 136 del TFUE, è stata firmata dagli Stati membri della zona euro l'11 luglio 2011; tenuto conto della predisposizione del Fiscal Compact e dell'esigenza di rafforzare il meccanismo alla luce delle tensioni sui mercati del debito sovrano, il 2 febbraio 2012 è stato firmato un nuovo Trattato poi sottoposto a ratifica: in base all'articolo 1 del Trattato, il MES è costituito dalle parti contraenti quale organizzazione finanziaria internazionale con l'obiettivo istituzionale di «mobilizzare risorse finanziarie e fornire un sostegno alla stabilità». A questo scopo è conferito al MES il potere di raccogliere fondi con l'emissione di strumenti finanziari o la conclusione di intese o accordi finanziari o di altro tipo con i propri membri, istituzioni finanziarie o terzi;
    il capitale totale sottoscritto fu pari a 700 miliardi di euro, di cui 80 miliardi di capitale versato dagli Stati membri della zona euro e una combinazione di capitale richiamabile impegnato e di garanzie degli Stati membri della zona euro per un importo totale di 620 miliardi di euro;
    la ripartizione delle quote di ciascuno Stato membro al capitale del MES fu basata, analogamente all'EFSF, sulla quota di partecipazione al capitale della BCE: il nostro Paese, avendo una quota di capitale BCE pari al 12,49 per cento, partecipò al 17,86 per cento, per un totale di 125,395 miliardi di euro, pari all'8 per cento del prodotto interno lordo; in base al DEF 2012, l'Italia, tra il 2012 e il 2014 avrebbe versato nel capitale del MES 14 miliardi di euro annui. Ugualmente, nel triennio 2015-2019, il contributo resterebbe di 14 miliardi di euro all'anno;
    il MES, simile nel suo funzionamento al Fondo monetario internazionale, è attivo da luglio 2012 ed ha una capacità effettiva di prestito pari a 500 miliardi di euro. Uno Stato membro del MES può rivolgere una richiesta di assistenza finanziaria al presidente del consiglio dei governatori che assegna alla Commissione europea, di concerto con la Bce, il compito di valutare: l'esistenza di un rischio per la stabilità finanziaria della zona euro nel suo complesso o dei suoi Stati membri, a meno che la BCE non abbia già presentato un'analisi al riguardo; la sostenibilità del debito pubblico (valutazione da effettuarsi insieme al Fondo monetario internazionale, se opportuno e possibile); le esigenze finanziarie effettive o potenziali del membro del MES interessato;
    considerata la partecipazione dell'Italia al MES e considerata la situazione patrimoniale di molte banche italiane, tra cui 114 sarebbero a rischio a causa delle sofferenze presenti nei propri bilanci, non si comprende perché il Governo abbia proceduto alla ricapitalizzazione di Monte dei Paschi di Siena con i fondi dei soli contribuenti italiani o abbia dovuto chiedere l'autorizzazione alle Camere, a dicembre dello scorso anno, per contrarre maggior debito per 20 miliardi di euro da usare «a scopo precauzionale» per intervenire nelle banche e salvare i risparmiatori;
    l'applicazione meccanica dei vincoli esterni, con obiettivi di bilancio irrealizzabili, ha palesemente fallito. La politica di austerity, che ne è la diretta conseguenza, ha portato miseria in alcuni Paesi come la Grecia, ha compromesso, come già detto, prospettive di crescita e piena occupazione di altri, fra cui l'Italia, ma soprattutto ha indebolito l'Unione europea, la sua capacità di integrare e far convergere i Paesi aderenti, portandola al concreto rischio di dissoluzione;
    inoltre, si è gravemente intaccato il sistema dello Stato sociale che, smantellato, da un lato, dalla crisi finanziaria e, dall'altro, dallo svuotamento di sovranità statale ad opera dell'integrazione europea, ha lasciato un pericoloso vuoto che non è stato colmato da una adeguata struttura europea;
    le politiche keynesiane che hanno permesso la crescita e l'accrescimento del benessere degli Stati del Novecento dimostrano la fondatezza della teoria secondo la quale, in caso di congiuntura economica sfavorevole, gli Stati debbano mettere in campo delle politiche economiche espansive, favorendo gli sgravi fiscali e il sostegno ai contribuenti in difficoltà, attraverso un vasto programma di politiche sociali. Proprio quelle politiche che l'Europa ha contribuito a disfare, imponendo, come contropartita, misure di austerity che sono state criticate, non soltanto da economisti di fama mondiale, ma anche dallo stesso Fondo monetario internazionale;
    quindi, in presenza di crisi sistemiche, sembra evidente che solo l'uso della spesa pubblica, secondo una linea di politica espansiva, può limitare gli effetti di contrazione della domanda privata, poiché spetta allo Stato intervenire in momenti di recessione economica per non rischiare il crack inoltre, è necessario che le politiche economiche concentrino più risorse nel settore dell'economia reale, specie nello sviluppo dell'industria e nel sostegno alla realtà manifatturiera tipica del nostro tessuto economico, piuttosto che nel sistema bancario che si ritrova ora in condizioni patrimoniali disastrose, con grande rischio di contagio, anche grazie alla gestione dissennata da parte dei vertici orientata solo al profitto dei grandi speculatori,

impegna il Governo:

1) a farsi promotore, per quanto di propria competenza, in tutte le opportune sedi europee, di una revisione totale del trattato del Fiscal compact, in occasione della scadenza dei cinque anni al termine dei quali si dovrà negoziare l'inserimento di questo accordo all'interno del quadro costituzionale europeo, nonché di una revisione totale della normativa europea riguardante la governance economica e monetaria al fine di:
  a) rivedere tutti i parametri stabiliti dal patto di stabilità e crescita e dal Fiscal compact, congiuntamente ai vincoli sulla finanza pubblica stabiliti dal Trattato di Maastricht, in modo da tenere maggiormente conto dello stato delle diverse economie europee e del loro impatto sociale e sulla crescita dei vari Paesi, in assenza, di una politica fiscale convergente fra i diversi membri dell'Unione;
  b) rivedere, in particolare modo, i parametri del 3 per cento, del rapporto deficit/prodotto interno lordo, e del 60 per cento per il debito pubblico e rinegoziare gli obiettivi di medio termine;
  c) prevedere, in caso di recessione economica grave, un'interpretazione maggiormente estensiva delle cosiddette «circostanze eccezionali» che permettono uno scostamento dagli obiettivi di medio termine, eliminando l'obbligo di contenere il disavanzo per non inficiare la sostenibilità di bilancio di medio termine, al fine di permettere, agli Stati colpiti, di attuare le necessarie politiche anticicliche per contenere le conseguenze della crisi e aiutare più velocemente la ripresa;
  d) prevedere dei meccanismi di flessibilità più ampi per i Paesi che, per posizione geografica, sono maggiormente coinvolti nell'emergenza del fenomeno migratorio e si impegnano nel contrasto effettivo all'immigrazione irregolare anche mediante il presidio dei confini terrestri, marittimi ed aerei per impedire l'ingresso di immigrati irregolari ed il rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi privi dei requisiti per il soggiorno;
  e) prevedere un meccanismo automatico di intervento del fondo «Salva-Stati» quando la situazione patrimoniale dei maggiori istituti di credito del Paese necessiti di intervento statale tramite risorse pubbliche nazionali, dal caso della ricapitalizzazione fino alla sottoposizione a risoluzione dell'istituto, con particolare riguardo alla protezione dei risparmiatori.
(1-01609) «Guidesi, Simonetti, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini».


   La Camera,
   premesso che:
    nell'ambito della politica economica dell'Unione europea è stato introdotto l'obbligo di inserire negli ordinamenti nazionali regole, costituzionali o legislative, volte ad assicurare il rispetto dei valori di riferimento relativi al disavanzo e al debito fissati a livello europeo;
    tale obbligo, tuttavia, non discende dalle disposizioni dei Trattati in materia di Unione economica e monetaria, elemento portante della struttura istituzionale ed economica della Unione europea, imperniata sull'adozione di una moneta unica, ma da impegni previsti da strumenti di diversa natura introdotti nel quadro della nuova governance economica europea;
    già nel marzo del 2011, con un accordo non giuridicamente vincolante definito «Patto europlus», gli Stati dell'area euro e alcuni altri membri dell'Unione avevano assunto l'obbligo di recepire nelle Costituzioni o nella legislazione nazionale le regole del Patto di stabilità e crescita varato nel 1997;
    in questo quadro, e di fronte all'aggravarsi della crisi dell'euro, a sua volta dovuta alla perdurante crisi finanziaria mondiale che ha colpito in modo differenziato i diversi Stati aderenti alla moneta unica, nel marzo 2012 si è giunti ad approvare il «Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e monetaria», più comunemente noto come fiscal compact, sottoscritto da tutti i Paesi dell'eurozona e da alcuni Stati membri dell'Unione non aderenti alla moneta unica;
    il Trattato ha impegnato le Parti contraenti ad applicare e ad introdurre nella procedura di bilancio nazionale, entro un anno dalla sua entrata in vigore, con «norme vincolanti e di natura permanente, preferibilmente di tipo costituzionale», o di altro tipo, purché ne garantiscano l'osservanza, una serie di regole chiamate golden rules;
    le «regole d'oro» hanno previsto l'inserimento nell'ordinamento di ciascuno Stato del principio del pareggio di bilancio, ribadito il limite allo 0,5 del deficit strutturale rispetto al prodotto interno lordo (rispetto al quale uno scostamento potrà essere ammesso solo a fronte di circostanze eccezionali o periodi di grave recessione senza che esso infici la sostenibilità di bilancio a medio termine, e rispetto al quale, comunque, nel caso di deviazioni significative le parti contraenti dovranno attivare un meccanismo di correzione automatica), l'obbligo, già previsto dal trattato di Maastricht, di mantenere il rapporto tra deficit e prodotto interno lordo entro il valore massimo del tre per cento, e l'obbligo in capo agli Stati con un rapporto tra debito e prodotto interno lordo superiore al sessanta per cento di ridurlo di almeno un ventesimo all'anno; sino a raggiungere il parametro fissato dal trattato di Maastricht;
    di fatto, quindi, con il fiscal compact sono stati ribaditi e resi maggiormente vincolanti alcuni dei parametri già fissati dal trattato di Maastricht e sui quali si erano già appuntate numerose critiche, quali, in primo luogo, il vincolo del tre per cento, che non solo impedisce di fare delle spese in investimenti per rilanciare l'economia, ma, addirittura, condiziona la pubblica amministrazione in misura tale da non potere fare le spese di ordinaria di gestione anche nel caso in cui nelle proprie casse vi siano le risorse per poter finanziare le necessità dei propri cittadini;
    la norma più contestata in assoluto è quella che prevede la riduzione del rapporto nella citata misura di un ventesimo all'anno, una declinazione estremistica del parametro fissato dal trattato di Maastricht rispetto al rapporto tra debito e prodotto interno lordo, e che nel caso specifico dell'Italia rischia di costringere il nostro Paese a fare ogni anno dolorosissime manovre di finanza pubblica del valore di circa quaranta miliardi di euro per volta;
    in Italia, diversamente che in altri Stati che hanno egualmente sottoscritto il fiscal compact, il principio del pareggio di bilancio e quello della sostenibilità del debito delle pubbliche amministrazioni sono stati inseriti nella Carta costituzionale, attraverso la legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, che ha novellato gli articoli 81, 97, 117 e 119;
    in particolare, il principio del pareggio è contenuto nel novellato articolo 81, il quale stabilisce che «lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico», e che la possibilità di derogare a tale regola, facendo ricorso all'indebitamento, è ammessa «solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e al verificarsi di eventi eccezionali», che, ai sensi dell'articolo 5 della medesima legge costituzionale, possono consistere in gravi recessioni economiche, crisi finanziarie e gravi calamità naturali;
    inoltre, con un'apposita novella all'articolo 97 della Costituzione, l'obbligo di assicurare l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico in coerenza l'ordinamento dell'Unione europea è stato esteso a tutte le pubbliche amministrazioni, mentre le modifiche apportate all'articolo 119 sono volte a specificare che «i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea»;
    la novella all'articolo 117, infine, inserisce la materia della armonizzazione dei bilanci pubblici nel novero delle materie sulle quali lo Stato ha una competenza legislativa esclusiva;
    è opportuno rilevare in primo luogo come nel «nuovo» articolo 81 non vi è alcun riferimento ai cosiddetti vincoli europei e la sovranità di bilancio è dunque totalmente nazionale, forma di esercizio costituzionale della responsabilità esclusiva del Parlamento della Repubblica, e, in secondo luogo, come lo stesso articolo disponga di limitare per il futuro la crescita ulteriore del deficit e del debito pubblico italiani, cosa ben diversa dalla riduzione dello stock storico del nostro debito pubblico forzosamente imposta dal fiscal compact;
    la legge di attuazione principio del pareggio di bilancio, tuttavia, è radicalmente uscita da questo schema, incorporando e persino rafforzando le nuove politiche di bilancio a matrice europea basate, nella logica del fiscal compact, sull'idea del corso forzoso alla riduzione dello stock storico del debito pubblico italiano;
    con la legge 24 dicembre 2012, n. 243, infatti, non solo sono stati introdotti nel nostro ordinamento a tutti gli effetti i dettami del fiscal compact, ma ad essi è stato riconosciuto un ancoraggio costituzionale sulla scia del principio generale di «desovranizzazione» contenuto nell'articolo 117, che al primo comma subordina l'esercizio della potestà legislativa da parte dello Stato e delle regioni al rispetto della Costituzione, nonché ai «vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario»;
    per effetto del combinato disposto di queste norme, quindi, il fiscal compact è arrivato ad essere, di fatto, lo strumento attraverso il quale si esercita il dominio dell'Europa sulle politiche economiche nazionali, costringendo l'Italia a operare scelte che rischiano di affossare definitivamente la sua economia e a subire ogni possibile forma di condizionamento, riduzione, e addirittura azzeramento della sovranità nazionale;
    le politiche cosiddette di austerità che risultano dall'applicazione delle regole imposte dall'Europa, portate avanti negli ultimi anni soprattutto come risposta diametralmente opposta a quelle necessarie alla crisi finanziaria hanno prodotto effetti devastanti sulla mancata ripresa economica, sull'impoverimento dei cittadini europei, sull'acuirsi delle disuguaglianze sociali, e hanno agito nel senso di una sistematica disintegrazione del sistema di protezione sociale;
    non è sostenibile imporre le medesime regole finanziarie a Stati diversi per tessuto produttivo, imprenditoriale ed industriale, con differenti capacità economiche e sistemi fiscali assolutamente disomogenei, e con tradizioni, storie e culture diverse, senza tenere conto delle peculiarità di ciascuno di essi, e le attuali vicende dell'Unione, rispetto alle quali la «Brexit» rappresenta un segnale da non sottovalutare, lo stanno dimostrando;
    il «Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell'Unione economica e monetaria», all'articolo 16, stabilisce che, al più tardi entro cinque anni dalla data dalla sua entrata in vigore, vale a dire entro il gennaio del 2018,«sulla base di una valutazione dell'esperienza maturata in sede di attuazione, sono adottate in conformità del trattato sull'Unione europea e del trattato sul funzionamento dell'Unione europea le misure necessarie per incorporare il contenuto del presente trattato nell'ordinamento giuridico dell'Unione europea»;
    il recepimento del fiscal compact nei trattati europei renderebbe ancora più difficoltoso correggere l'eccessiva rigidità dei parametri in esso contenuti, con ulteriori conseguenze negative sui bilanci degli Stati membri e sul clima di sfiducia e di distacco che già si respira da parte dei cittadini dell'Unione rispetto alle sue istituzioni, rischiando di generare ulteriori casi di uscita di singoli Stati come già accaduto con la Gran Bretagna;
    con la sentenza n. 275 del 2016 la Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi in merito ad una controversia tra la regione Abruzzo e la provincia di Pescara sul servizio di trasporto scolastico per studenti disabili, i cui fondi erano stati decurtati dalla regione a causa dei limiti di bilancio, ha stabilito che garantire i diritti fondamentali, quale quello allo studio, è obbligo della Repubblica ed i vincoli imposti in questi anni dal pareggio di bilancio che ne limitano l'esigibilità rappresentano una palese violazione costituzionale;
    la Corte ha ritenuto illegittima la legge regionale, spiegando che «il nucleo invalicabile di garanzie minime per rendere effettivo il diritto allo studio e all'educazione degli alunni disabili non può essere finanziariamente condizionato in termini assoluti e generali, è di tutta evidenza che la pretesa violazione dell'articolo 81 Cost. è frutto di una visione non corretta del concetto di equilibrio del bilancio, sia con riguardo alla Regione che alla Provincia cofinanziatrice. È la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l'equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione»;
    il fiscal compact, intervenendo in maniera diretta sulla politica fiscale dei singoli Stati ha comportato la cessione di una fetta della propria sovranità economica di ogni Paese a un ente sovranazionale, l'Unione europea, e le modalità di recepimento adottate in Italia hanno aggravato tale processo di desovranizzazione;
    prima che si giungesse alla formalizzazione del fiscal compact nel 2012, l'idea di una disciplina europea dei bilanci nazionali si basava su una doppia formula, capace di integrare la riduzione del deficit e degli stock di debito pubblico con una maggiore solidarietà;
    il Trattato sul fiscal compact non è l'unico atto europeo che penalizza gravemente la nostra Nazione, i suoi comparti produttivi anche di eccellenza e la sua competitività economica internazionale,

impegna il Governo:

1) ad attivarsi affinché non avvenga il recepimento del fiscal compact all'interno dei trattati costitutivi dell'Unione europea;
2) a sostenere in sede europea la necessità di un alleggerimento dei vincoli finanziari o di una maggiore flessibilità degli stessi e, nell'ambito delle modifiche proposte, ad assumere iniziative per scorporare dal debito le spese per investimenti e introdurre una maggiore flessibilità nella individuazione delle circostanze eccezionali di cui all'articolo 81 della Costituzione;
3) ad avviare da subito negoziati in ambito europeo per rivedere l'impostazione del complesso dei vincoli derivanti all'Italia dal fiscal compact, al fine di avviare una politica di crescita sostenibile e di ripresa economica e produttiva;
4) a promuovere le opportune iniziative, per quanto di competenza, volte a modificare la legge n. 243 del 2012 e le norme costituzionali in materia, riaffermando il valore della sovranità nazionale anche in ambito europeo;
5) a farsi promotore, nell'ambito dell'Unione europea, di un processo di revisione di tutte le norme europee che penalizzano l'Italia.
(1-01626) «Rampelli, Cirielli, La Russa, Giorgia Meloni, Murgia, Nastri, Petrenga, Rizzetto, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    la severità della recessione e gli effetti delle successive tensioni sui debiti sovrani hanno determinato, nel 2011, l'avvio di una riforma della governance economica europea con l'obiettivo di rafforzare la disciplina già prevista nel Patto di stabilità e crescita (PSC) in termini di coordinamento e sorveglianza delle politiche di bilancio e macroeconomiche degli Stati membri: sono stati approvati il Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell'unione economica e monetaria – noto come Fiscal compact, accordo approvato da 25 Stati membri dell'Unione europea ed entrato in vigore il 1o gennaio 2013 – e alcuni regolamenti e direttive comunitarie, raccolti nel Six pack (2011) e nel Two pack (2013);
    tale riforma, pur fornendo gli strumenti alle autorità europee per disporre di una visione coordinata delle decisioni di bilancio nazionali, soprattutto attraverso l'istituzione del semestre europeo, si è in realtà tradotta in una convulsa produzione normativa, peraltro in una fase ormai molto avanzata della crisi economica: stando alle evidenze empiriche, si attribuisce a questo complesso framework di regole fiscali la responsabilità di aver impresso un carattere prociclico alle politiche di bilancio dei Paesi europei a causa di manovre correttive imposte durante le fasi negative del ciclo, con effetti depressivi su investimenti e crescita;
    la riforma del quadro normativo in tema di gestione delle finanze pubbliche non ha tuttavia giovato alla chiarezza e alla trasparenza delle regole previste a livello europeo, che non risultano organizzate in maniera ordinata, sono eccessivamente tecniche e caratterizzate da discrezionalità politica nelle procedure, tanto da rendere necessaria la nota interpretativa da parte della Commissione europea del gennaio 2015 su alcuni fondamentali aspetti relativi agli spazi di flessibilità di bilancio correlati con lo stato della congiuntura e la posizione comune del novembre 2015, poi adottata dal Consiglio Ecofin a febbraio 2016, che dettaglia i margini di utilizzo delle «clausole di flessibilità» per le riforme strutturali e gli investimenti rilevanti;
    successivamente alle richiamate comunicazioni di chiarimento, la governance economica europea relativa ai vincoli sulla finanza pubblica non è stata innovata, ma è acceso il dibattito sull'urgenza di una nuova riforma, che conduca ad un radicale ripensamento di alcune fra le regole più discusse e opache;
    è emblematico come alla base della richiesta italiana dell'aprile 2016, accordata dalla Commissione europea, di un ulteriore rinvio del raggiungimento dell'equilibrio di bilancio ci sia, fra le varie motivazioni, la sottostima degli effetti di un periodo recessivo di durata e intensità senza precedenti a causa dell'inadeguatezza dei parametri di calcolo della componente ciclica definiti in sede europea; il riferimento è, in particolare, alla metodologia di stima del prodotto potenziale adottata dalla Commissione: una sua sottostima restituisce un output gap che comporta, nel conseguente calcolo dell'indebitamento netto strutturale, deficit più elevati, richiedendo aggiustamenti annuali di bilancio più consistenti;
    già in occasione della Presidenza di turno dell'Unione europea (luglio-dicembre 2014) il Governo italiano aveva sollecitato con forza una svolta nel campo della politiche economiche comunitarie, in favore del superamento dell'austerità e verso lo stimolo alla crescita, attraverso una combinazione di investimenti e riforme strutturali, che ha contribuito a orientare un dibattito in Europa da cui è poi scaturito il piano Juncker per gli investimenti strategici; dal punto di vista tecnico, ad ottobre 2015 l'Italia ha proposto l'istituzione di un'assicurazione europea contro la disoccupazione, meccanismo comune di stabilizzazione automatica per attenuare i cicli economici attualmente in discussione presso la Commissione europea;
    in un clima non facile tra i partner del progetto europeo, il 22 giugno 2015 è stato pubblicato il Rapporto «Completare l'Unione economica e monetaria dell'Europa» elaborato dal Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, in stretta collaborazione con il Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, il Presidente dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, il Presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, e il Presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, che espone un piano di riforma che si articola in due fasi temporali; la prima, in scadenza il 30 giugno 2017, agisce tramite provvedimenti attuabili nel medio periodo per il rafforzamento dell'unione economica, finanziaria, fiscale e politica, mentre la seconda, prevista prospetticamente fino al 2025, completa tali intenti, attraverso in particolare una serie di standard a livello europeo che ogni Governo dovrà raggiungere – in ambito di mercato del lavoro, competitività, contesto imprenditoriale, pubblica amministrazione e politica tributaria – al fine di rendere più vincolante il processo di convergenza, l'istituzione di sistema di stabilizzatori comuni per reagire agli shock (sulla base proprio della richiamata proposta italiana) a cui potranno accedere i Paesi che avranno fatto le riforme e l'istituzione di una tesoreria europea al fine di migliorare il coordinamento delle decisioni di bilancio nazionali;
    della prima fase temporale, di cui residua poco meno di un bimestre, numerosi obiettivi originariamente fissati non appaiono conseguiti; per quanto concerne l'Unione finanziaria, il suo completamento necessita della costruzione dell'Unione dei mercati dei capitali, al fine di diversificare le fonti di finanziamento dell'economia, ma soprattutto dell'approvazione del cruciale terzo pilastro dell'Unione bancaria, concernente il sistema comune di garanzia dei depositi, che continua a scontare le perplessità di fronte alla prospettiva di mutualizzazione del rischio da parte di alcuni Stati membri;
    il rafforzamento dell'unione economica, fiscale e politica dovrebbe invece prevedere, fra i vari obiettivi contenuti nel Rapporto, una maggiore concentrazione sull'obiettivo dell'occupazione, per cui non sono stati definiti efficaci strumenti comuni, e un miglior coordinamento delle politiche economiche da perseguire attraverso una riorganizzazione del Semestre europeo, che non pare aver subito mutamenti sostanziali; inoltre, in occasione della revisione del Fiscal Compact a cinque anni dalla sua entrata in vigore ai sensi dell'articolo 16 dell'Accordo, è prevista entro la fine del 2017 una decisione a livello nazionale in ordine alla sua introduzione nei trattati, soluzione sostenuta nel Rapporto dei cinque Presidenti, ma che necessita l'unanimità degli Stati firmatari in sede di approvazione;
    al fine di rilanciare il dibattito sulla governance dell'Eurozona dopo la pubblicazione del Rapporto, l'Italia a febbraio 2016 ha pubblicato un documento per «Una strategia europea condivisa per crescita, lavoro e stabilità» che ha suscitato una vasta eco e dalla quale il dibattito europeo è risultato arricchito, con proposte non soltanto in campo economico, ma anche sul tema della gestione comune delle frontiere esterne dell'Unione europea, confluite nel Migration compact;
    nell'ambito delle regole di finanza pubblica, è del 22 marzo 2016 la lettera inviata alla Commissione europea dal Ministro Padoan insieme ad altri otto Ministri dell'economia dell'Unione nella quale viene chiesto un ampliamento dell'orizzonte di previsione per migliorare la metodologia di stima del Pil potenziale, a cui è seguito, nell'aprile del 2016, l'invito della Presidenza di turno olandese del Consiglio dell'unione che, al fine di promuovere un'efficace riforma del quadro di regole fiscali, propone di utilizzare un indicatore alternativo al saldo strutturale, in particolare basato sull'evoluzione della spesa pubblica e dunque osservabile e meno variabile; da ultimo, il Ministro Padoan, insieme ai Ministri dell'economia di Francia, Spagna e Portogallo, lo scorso 3 maggio ha inviato una lettera alla Commissione europea finalizzata a sottolineare la necessità che nelle prossime valutazioni dei bilanci degli Stati membri si tenga conto delle criticità legate alle procedure di stima del deficit strutturale, nonché della bassa crescita nominale, degli effetti della crisi sul mercato del lavoro e dei rischi indotti da attitudini protezionistiche su crescita e occupazione sul breve-medio termine;
    prosegue da parte del Governo italiano il confronto con le Istituzioni europee per quanto concerne gli aspetti di calcolo degli indicatori che definiscono gli sforzi di bilancio richiesti ai fini del raggiungimento dell'OMT, attraverso il sostegno di innovazioni metodologiche che permetterebbero di risolvere alcune criticità econometriche legate alle stime; al riguardo la Commissione europea e l’Output Gap Working Group hanno recentemente messo a punto una metodologia per valutare la plausibilità delle stime dell’output gap ottenute mediante il modello ufficiale che dimostrerebbe come risulti sottostimata, in valore assoluto, l'ampiezza di tale indicatore per l'Italia, richiedendo sforzi di bilancio eccessivi e non commisurati con l'effettiva condizione ciclica dell'economia; questa metodologia alternativa, utilizzata altresì dal Governo Italiano per conferire robustezza alle stime strutturali proposte nel Documento di economia e finanza 2017, costituisce un primo piccolo passo verso un quadro di regole più efficace;
    una rinnovata governance economica europea, che definisce il quadro entro il quale gli Stati membri possono manovrare i propri strumenti di finanza pubblica, deve essere in grado di consentire il miglior bilanciamento tra l'obiettivo delle finanze pubbliche sane e quello del sostegno all'economia reale e alla crescita; a tal fine il Governo Italiano, oltre ad avanzare continue proposte di riforma, ha richiesto con forza all'Unione europea un pieno uso degli strumenti di flessibilità previsti dal quadro di regole vigenti e a fronte di circostanze eccezionali che hanno caratterizzato il contesto degli ultimi anni, fornendo evidenze a supporto del riconoscimento di tali circostanze nella ridefinizione di un credibile percorso di raggiungimento dell'OMT;
    in particolare, nel 2015 sono state attivate clausole per eventi non usuali, correlati con i costi per il fenomeno dei rifugiati, per lo 0,03 per cento del Prodotto interno lordo; nel 2016 sono state pienamente utilizzate le clausole di flessibilità per le riforme strutturali, per lo 0,5 per cento del Prodotto interno lordo e per gli investimenti, per lo 0,25 per cento del Prodotto interno lordo, nonché, per quanto concerne gli eventi non usuali, per lo 0,05 per cento del Prodotto interno lordo per i costi legati ai rifugiati e per lo 0,06 per cento del Prodotto interno lordo per quelli della sicurezza; infine, nel 2017, la flessibilità ammonterebbe, unicamente per eventi non usuali, allo 0,014 per cento del Prodotto interno lordo per i costi dei rifugiati e allo 0,18 per cento del Prodotto interno lordo per quelli dei recenti eventi sismici che hanno colpito il centro Italia; tali spazi di flessibilità hanno consentito di fronteggiare tali eventi eccezionali, conferendo altresì un'intonazione anticiclica alla politica di bilancio nazionale a sostegno della ritrovata ripresa economica;
    le priorità per il 2017 si inscrivono in un contesto particolarmente delicato per il futuro dell'Unione europea, caratterizzato da un largo consenso verso movimenti euroscettici in molti Stati membri, che fanno leva, da un lato, sulle perdurante stagnazione economica, finanziaria e occupazionale, e dall'altro, sui timori derivanti dalla pressione migratoria e dalla minaccia terroristica;
    l'orientamento fortemente espansivo della Banca centrale europea – accentuatosi all'inizio del 2016 – ha contribuito a garantire stabilità finanziaria, a scongiurare fenomeni deflattivi e a migliorare le condizioni economiche e la verosimile riduzione degli stimoli monetari nel medio periodo induce a ritenere necessario un maggiore coordinamento delle politiche fiscali, in chiave anticiclica ed espansiva, degli stati dell'Eurozona;
    il futuro dell'Unione europea dipende in prima istanza dalla capacità di offrire risposte convincenti a tale complesso contesto, anche al fine di rinnovare l'adesione valoriale dei cittadini europei al progetto di integrazione politica dell'Unione: la discontinuità politica annunciata dalla nuova Commissione europea a fine 2014, e in parte attuata nel corso degli ultimi due anni, con priorità e strumenti nuovi, maggiormente idonei ad affrontare e risolvere le crisi e a mitigarne gli effetti negativi, deve essere rinforzata attraverso un'azione di riforma del quadro di governance economica sufficientemente ambiziosa,

impegna il Governo:

1) a sostenere in sede europea l'opposizione all'incorporazione del contenuto del Fiscal compact nell'ordinamento giuridico dell'Unione europea;

2) a promuovere una riforma complessiva della governance economica europea che nel breve periodo avvenga a trattati vigenti, al fine di favorire la tempestiva approvazione degli auspicati cambiamenti nell'ambito del «braccio preventivo» del Patto di stabilità e crescita in senso più orientato allo sviluppo e volto a ridurre le correzioni fiscali richieste per i prossimi anni, liberando spazi di bilancio da impiegare in direzione anticiclica, e nel lungo periodo preveda, in un'ottica più ampia di coordinamento delle politiche fiscali degli Stati membri, le opportune modifiche ai Trattati sull'Unione europea e sul funzionamento dell'Unione europea;

3) a proseguire il confronto con le istituzioni europee per la revisione delle metodologie di calcolo del prodotto potenziale tale da produrre stime più realistiche dell’output gap, e a sostenere che nella programmazione di bilancio sia conferito un maggior rilievo ad indicatori legati all'evoluzione della spesa pubblica, meno soggetti all'incertezza e alla variabilità delle stime che caratterizza gli indicatori calcolati in termini strutturali;

4) ad adoperarsi in sede europea affinché si affianchi alla politica monetaria espansiva della BCE un maggiore coordinamento delle politiche fiscali degli Stati dell'Eurozona, sostenute in particolare dai Paesi che dispongano di sufficienti spazi di bilancio, e a promuovere con maggior forza l'introduzione di strumenti comuni di stabilizzazione macroeconomica, in particolare volti a far fronte all'aumento del tasso di disoccupazione in caso di shock asimmetrici, nonché di efficaci strumenti di mutualizzazione dei rischi tra i Paesi membri, anche accelerando il processo di completamento dell'Unione bancaria;

5) al fine di perseguire un maggiore controllo democratico e un maggior grado di legittimità e di rafforzamento istituzionale, a promuovere interazioni più sistematiche tra le istituzioni europee, in particolare la Commissione, e i parlamenti nazionali, sia nel corso della fase di programmazione economico-finanziaria annuale sia nella fase di effettiva attuazione della politica di bilancio.
(1-01627) «Rosato, Tancredi, Dellai, Pisicchio, Marchi, Fanucci, Boccadutri, Paola Bragantini, Cenni, Covello, Dell'Aringa, Cinzia Maria Fontana, Ginato, Giulietti, Guerra, Losacco, Marchetti, Melilli, Misiani, Parrini, Pilozzi, Preziosi, Rubinato, Zanetti, Malisani, Locatelli».