Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Mercoledì 26 aprile 2017

ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI DI ESAME DEGLI ARGOMENTI IN CALENDARIO

Ddl di ratifica nn. 3980, 4226, 4254 e 2714

Tempo complessivo: 2 ore per ciascun disegno di legge di ratifica (*).

Relatore 5 minuti
Governo 5 minuti
Richiami al Regolamento 5 minuti
Tempi tecnici 5 minuti
Interventi a titolo personale 11 minuti (con il limite massimo di 2 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 1 ora e 29 minuti
 Partito Democratico 16 minuti
 MoVimento 5 Stelle 11 minuti
 Forza Italia – Popolo della Libertà –
 Berlusconi Presidente
8 minuti
 Articolo 1 – Movimento Democratico
 e Progressista
6 minuti
 Alternativa Popolare – Centristi
 per l'Europa – NCD
5 minuti
 Lega Nord e Autonomie –
 Lega dei Popoli – Noi con Salvini
5 minuti
 Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia
 Libertà – Possibile
5 minuti
 Civici e Innovatori 5 minuti
 Scelta Civica – ALA per la Costituente
 Liberale e Popolare – MAIE
5 minuti
 Democrazia Solidale – Centro
 Democratico
5 minuti
 Fratelli d'Italia – Alleanza Nazionale 4 minuti
 Misto: 14 minuti
  Conservatori e Riformisti 2 minuti
  Minoranze Linguistiche 2 minuti
  Alternativa Libera – Tutti insieme
  per l'Italia
2 minuti
  UDC 2 minuti
  USEI-IDEA (Unione Sudamericana
  Emigrati Italiani)
2 minuti
  FARE! – Pri 2 minuti
  Partito Socialista Italiano (PSI) –
  Liberali per l'Italia (PLI)
2 minuti

(*) I tempi sono stati in parte utilizzati nella seduta del 3 aprile 2017.

Pdl n. 302 e abb. – Disposizioni per lo sviluppo e la competitività della produzione agricola e agroalimentare con metodo biologico

Seguito dell'esame: 8 ore.

Relatore 20 minuti
Governo 20 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 1 ora e 30 minuti
Interventi a titolo personale 1 ora e 4 minuti (con il limite massimo di 7 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 4 ore e 36 minuti
 Partito Democratico 1 ora e 14 minuti
 MoVimento 5 Stelle 31 minuti
 Forza Italia – Il Popolo della Libertà –
 Berlusconi Presidente
23 minuti
 Articolo 1 – Movimento Democratico
 e Progressista
21 minuti
 Alternativa popolare – Centristi
 per l'Europa – NCD
18 minuti
 Lega nord e autonomie –
 Lega dei Popoli – Noi con Salvini
16 minuti
 Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia
 Libertà – Possibile
15 minuti
 Civici e Innovatori 15 minuti
 Scelta civica ALA per la Costituente
 liberale e popolare – MAIE
15 minuti
 Democrazia solidale – Centro
 Democratico
15 minuti
 Fratelli d'Italia – Alleanza nazionale 14 minuti
 Misto: 19 minuti
  Conservatori e Riformisti 5 minuti
  Minoranze Linguistiche 3 minuti
  Alternativa Libera – Tutti insieme
  per l'Italia
3 minuti
  UDC 2 minuti
  USEI-IDEA (Unione Sudamericana
  Emigrati Italiani)
2 minuti
  FARE! – Pri 2 minuti
  Partito Socialista Italiano (PSI) –
  Liberali per l'Italia (PLI)
2 minuti

Ddl n. 4314 e abb. – Disposizioni per la celebrazione dei 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci e Raffaello Sanzio e dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri

Seguito dell'esame: 5 ore.

Relatore 10 minuti
Governo 10 minuti
Richiami al Regolamento 5 minuti
Tempi tecnici 15 minuti
Interventi a titolo personale 49 minuti (con il limite massimo di 5 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 3 ore e 31 minuti
 Partito Democratico 44 minuti
 MoVimento 5 Stelle 30 minuti
 Forza Italia – Il Popolo della Libertà –
 Berlusconi Presidente
21 minuti
 Articolo 1 – Movimento Democratico
 e Progressista
15 minuti
 Alternativa popolare – Centristi
 per l'Europa – NCD
13 minuti
 Lega nord e autonomie –
 Lega dei Popoli – Noi con Salvini
13 minuti
 Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia
 Libertà – Possibile
12 minuti
 Civici e Innovatori 12 minuti
 Scelta civica ALA per la Costituente
 liberale e popolare – MAIE
12 minuti
 Democrazia solidale – Centro
 Democratico
12 minuti
 Fratelli d'Italia – Alleanza nazionale 11 minuti
 Misto: 16 minuti
  Conservatori e Riformisti 4 minuti
  Minoranze Linguistiche 2 minuti
  Alternativa Libera – Tutti insieme
  per l'Italia
2 minuti
  UDC 2 minuti
  USEI-IDEA (Unione Sudamericana
  Emigrati Italiani)
2 minuti
  FARE! – Pri 2 minuti
  Partito Socialista Italiano (PSI) –
  Liberali per l'Italia (PLI)
2 minuti

Pdl 3785-A/R e abb. – Modifica all'articolo 59 del codice penale in materia di legittima difesa

Seguito dell'esame: 8 ore e 30 minuti.

Relatore per la maggioranza 20 minuti
Relatori di minoranza 20 minuti (complessivamente)
Governo 20 minuti
Richiami al regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 30 minuti
Interventi a titolo personale 1 ora e 15 minuti (con il limite massimo di 8 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 5 ore e 35 minuti
 Partito Democratico 1 ore e 30 minuti
 MoVimento 5 Stelle 38 minuti
 Forza Italia – Popolo della Libertà –
 Berlusconi Presidente
28 minuti
 Articolo 1 – Movimento Democratico
 e Progressista
25 minuti
 Alternativa popolare – Centristi
 per l'Europa – NCD
21 minuti
 Lega Nord e Autonomie –
 Lega dei Popoli – Noi con Salvini
20 minuti
 Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia
 Libertà – Possibile
19 minuti
 Civici e Innovatori 18 minuti
 Scelta Civica – ALA per la Costituente
 Liberale e Popolare – MAIE
18 minuti
 Democrazia Solidale – Centro
 Democratico
18 minuti
 Fratelli d'Italia – Alleanza Nazionale 17 minuti
 Misto: 23 minuti
  Conservatori e Riformisti 6 minuti
  Minoranze Linguistiche 4 minuti
  Alternativa Libera – Possibile 3 minuti
  UDC 3 minuti
  USEI-IDEA (Unione Sudamericana
  Emigrati Italiani)
3 minuti
  FARE! – Pri 2 minuti
  Partito Socialista Italiano (PSI) –
  Liberali per l'Italia (PLI)
2 minuti

Mozione n. 1-01508 e abb. – Robotica ed intelligenza artificiale

Tempo complessivo, comprese le dichiarazioni di voto: 6 ore (*).

Governo 25 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 5 minuti
Interventi a titolo personale 1 ora (con il limite massimo di 6 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 4 ore e 20 minuti
 Partito Democratico 1 ora e 11 minuti
 MoVimento 5 Stelle 29 minuti
 Forza Italia – Popolo della Libertà –
 Berlusconi Presidente
21 minuti
 Articolo 1 – Movimento Democratico
 e Progressista
19 minuti
 Alternativa Popolare – Centristi
 per l'Europa – NCD
17 minuti
 Lega Nord e Autonomie – Lega
 dei Popoli – Noi con Salvini
15 minuti
 Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia
 Libertà – Possibile
15 minuti
 Civici e Innovatori 14 minuti
 Scelta Civica – ALA per la Costituente
 Liberale e Popolare – MAIE
14 minuti
 Democrazia Solidale – Centro
 Democratico
14 minuti
 Fratelli d'Italia – Alleanza Nazionale 13 minuti
 Misto: 18 minuti
  Conservatori e Riformisti 4 minuti
  Minoranze Linguistiche 3 minuti
  Alternativa Libera – Tutti insieme
  per l'Italia
3 minuti
  UDC 2 minuti
  USEI-IDEA (Unione Sudamericana
  Emigrati Italiani)
2 minuti
  FARE! – Pri 2 minuti
  Partito Socialista Italiano (PSI) –
  Liberali per l'Italia (PLI)
2 minuti

(*) I tempi sono stati in parte utilizzati nella seduta del 27 marzo 2017.

Pdl n. 3844 – Iniziative per preservare la memoria di Giacomo Matteotti

Tempo complessivo: 13 ore e 30 minuti, di cui:
• discussione generale: 8 ore e 30 minuti;
• seguito dell'esame: 5 ore.

Discussione generale Seguito dell'esame
Relatore 15 minuti 10 minuti
Governo 15 minuti 10 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti 5 minuti
Tempi tecnici 15 minuti
Interventi a titolo personale 1 ora e 28 minuti (con il limite massimo di 15 minuti per ciascun deputato) 47 minuti (con il limite massimo di 5 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 6 ore e 22 minuti 3 ore e 33 minuti
 Partito Democratico 39 minuti 57 minuti
 MoVimento 5 Stelle 33 minuti 24 minuti
 Forza Italia – Il Popolo della
 Libertà – Berlusconi Presidente
32 minuti 17 minuti
 Articolo 1 – Movimento
 Democratico e Progressista
31 minuti 16 minuti
 Alternativa popolare – Centristi
 per l'Europa – NCD
31 minuti 13 minuti
 Lega nord e autonomie – Lega
 dei Popoli – Noi con Salvini
31 minuti 12 minuti
 Sinistra Italiana – Sinistra
 Ecologia Libertà – Possibile
31 minuti 12 minuti
 Civici e Innovatori 31 minuti 12 minuti
 Scelta civica ALA per la
 Costituente liberale e popolare –
 MAIE
31 minuti 11 minuti
 Democrazia solidale – Centro
 Democratico
31 minuti 11 minuti
 Fratelli d'Italia – Alleanza
 nazionale
30 minuti 11 minuti
 Misto: 31 minuti 17 minuti
  Conservatori e Riformisti 10 minuti 4 minuti
  Minoranze Linguistiche 5 minuti 3 minuti
  Alternativa Libera – Tutti
  insieme per l'Italia
4 minuti 2 minuti
  UDC 3 minuti 2 minuti
  USEI-IDEA (Unione
  Sudamericana Emigrati Italiani)
3 minuti 2 minuti
  FARE! – Pri 3 minuti 2 minuti
  Partito Socialista Italiano (PSI)
  – Liberali per l'Italia (PLI)
3 minuti 2 minuti

Ddl di ratifica n. 3918 – Convenzione del Consiglio d'Europa contro il traffico di organi umani

Discussione generale: 3 ore.

Relatori 20 minuti
Governo 10 minuti
Richiami al Regolamento 5 minuti
Tempi tecnici 5 minuti
Interventi a titolo personale 21 minuti (con il limite massimo di 3 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 1 ora e 59 minuti
 Partito Democratico 23 minuti
 MoVimento 5 Stelle 17 minuti
 Forza Italia – Popolo della Libertà –
 Berlusconi Presidente
12 minuti
 Articolo 1 – Movimento Democratico
 e Progressista
8 minuti
 Alternativa Popolare – Centristi
 per l'Europa – NCD
7 minuti
 Lega Nord e Autonomie – Lega dei
 Popoli – Noi con Salvini
7 minuti
 Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia
 Libertà – Possibile
7 minuti
 Civici e Innovatori 6 minuti
 Scelta Civica – ALA per la Costituente
 Liberale e Popolare – MAIE
6 minuti
 Democrazia Solidale – Centro
 Democratico
6 minuti
 Fratelli d'Italia – Alleanza Nazionale 6 minuti
 Misto: 14 minuti
  Conservatori e Riformisti 2 minuti
  Minoranze Linguistiche 2 minuti
  Alternativa Libera – Tutti insieme
  per l'Italia
2 minuti
  UDC 2 minuti
  USEI-IDEA (Unione Sudamericana
  Emigrati Italiani)
2 minuti
  FARE! – Pri 2 minuti
  Partito Socialista Italiano (PSI) –
  Liberali per l'Italia (PLI)
2 minuti

Ddl di ratifica n. 4225 – Accordo fra il Governo della Repubblica italiana e il Governo dello Stato di Israele in materia di pubblica sicurezza

Tempo complessivo: 2 ore.

Relatore 5 minuti
Governo 5 minuti
Richiami al regolamento 5 minuti
Tempi tecnici 5 minuti
Interventi a titolo personale 11 minuti (con il limite massimo di 2 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 1 ora e 29 minuti
 Partito Democratico 16 minuti
 MoVimento 5 Stelle 11 minuti
 Forza Italia – Popolo della Libertà –
 Berlusconi Presidente
8 minuti
 Articolo 1 – Movimento Democratico
 e Progressista
6 minuti
 Alternativa Popolare – Centristi
 per l'Europa – NCD
5 minuti
 Lega Nord e Autonomie – Lega dei
 Popoli – Noi con Salvini
5 minuti
 Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia
 Libertà – Possibile
5 minuti
 Civici e Innovatori 5 minuti
 Scelta Civica – ALA per la Costituente
 Liberale e Popolare – MAIE
5 minuti
 Democrazia Solidale – Centro
 Democratico
5 minuti
 Fratelli d'Italia – Alleanza Nazionale 4 minuti
 Misto: 14 minuti
  Conservatori e Riformisti 2 minuti
  Minoranze Linguistiche 2 minuti
  Alternativa Libera – Tutti insieme
  per l'Italia
2 minuti
  UDC 2 minuti
  USEI-IDEA (Unione Sudamericana
  Emigrati Italiani)
2 minuti
  FARE! – Pri 2 minuti
  Partito Socialista Italiano (PSI) –
  Liberali per l'Italia (PLI)
2 minuti

Pdl n. 3558 – Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell'estremismo violento di matrice jihadista

Seguito dell'esame: 7 ore e 30 minuti.

Relatore per la maggioranza 15 minuti
Relatore di minoranza 10 minuti
Governo 15 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 30 minuti
Interventi a titolo personale 1 ora e 10 minuti (con il limite massimo di 7 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 5 ore
 Partito Democratico 1 ora e 21 minuti
 MoVimento 5 Stelle 34 minuti
 Forza Italia – Il Popolo della Libertà –
 Berlusconi Presidente
25 minuti
 Articolo 1 – Movimento Democratico
 e Progressista
22 minuti
 Alternativa popolare – Centristi
 per l'Europa – NCD
19 minuti
 Lega nord e autonomie – Lega dei
 Popoli – Noi con Salvini
17 minuti
 Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia
 Libertà – Possibile
17 minuti
 Civici e Innovatori 17 minuti
 Scelta civica ALA per la Costituente
 liberale e popolare – MAIE
16 minuti
 Democrazia solidale – Centro
 Democratico
16 minuti
 Fratelli d'Italia – Alleanza nazionale 15 minuti
 Misto: 21 minuti
  Conservatori e Riformisti 7 minuti
  Minoranze Linguistiche 3 minuti
  Alternativa Libera – Tutti insieme
  per l'Italia
3 minuti
  UDC 2 minuti
  USEI-IDEA (Unione Sudamericana
  Emigrati Italiani)
2 minuti
  FARE! – Pri 2 minuti
  Partito Socialista Italiano (PSI) –
  Liberali per l'Italia (PLI)
2 minuti

Ddl n. 3671-ter e abb. – Delega al Governo in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza

Seguito dell'esame: 6 ore.

Relatore 10 minuti
Governo 10 minuti
Richiami al Regolamento 5 minuti
Tempi tecnici 30 minuti
Interventi a titolo personale 57 minuti (con il limite massimo di 6 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 4 ore e 8 minuti
 Partito Democratico 54 minuti
 MoVimento 5 Stelle 36 minuti
 Forza Italia – Il Popolo della Libertà –
 Berlusconi Presidente
24 minuti
 Articolo 1 – Movimento Democratico
 e Progressista
17 minuti
 Alternativa popolare – Centristi
 per l'Europa – NCD
15 minuti
 Lega nord e autonomie – Lega dei
 Popoli – Noi con Salvini
15 minuti
 Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia
 Libertà – Possibile
15 minuti
 Civici e Innovatori 13 minuti
 Scelta civica ALA per la Costituente
 liberale e popolare – MAIE
14 minuti
 Democrazia solidale – Centro
 Democratico
13 minuti
 Fratelli d'Italia – Alleanza nazionale 13 minuti
 Misto: 19 minuti
  Conservatori e Riformisti 5 minuti
  Minoranze Linguistiche 3 minuti
  Alternativa Libera – Tutti insieme
  per l'Italia
3 minuti
  UDC 2 minuti
  USEI-IDEA (Unione Sudamericana
  Emigrati Italiani)
2 minuti
  FARE! – Pri 2 minuti
  Partito Socialista Italiano (PSI) –
  Liberali per l'Italia (PLI)
2 minuti

Mozione n. 1-01435 e abb. – Iniziative volte all'identificazione dei migranti deceduti nella traversata del Mediterraneo

Tempo complessivo, comprese le dichiarazioni di voto: 6 ore (*).

Governo 25 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 5 minuti
Interventi a titolo personale 1 ora (con il limite massimo di 6 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 4 ore e 20 minuti
 Partito Democratico 1 ora e 11 minuti
 MoVimento 5 Stelle 29 minuti
 Forza Italia – Popolo della Libertà –
 Berlusconi Presidente
21 minuti
 Articolo 1 – Movimento Democratico
 e Progressista
19 minuti
 Alternativa Popolare – Centristi
 per l'Europa – NCD
17 minuti
 Lega Nord e Autonomie – Lega dei
 Popoli – Noi con Salvini
15 minuti
 Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia
 Libertà – Possibile
15 minuti
 Civici e Innovatori 14 minuti
 Scelta Civica – ALA per la Costituente
 Liberale e Popolare – MAIE
14 minuti
 Democrazia Solidale – Centro
 Democratico
14 minuti
 Fratelli d'Italia – Alleanza Nazionale 13 minuti
 Misto: 18 minuti
  Conservatori e Riformisti 4 minuti
  Minoranze Linguistiche 3 minuti
  Alternativa Libera – Tutti insieme
  per l'Italia
3 minuti
  UDC 2 minuti
  USEI-IDEA (Unione Sudamericana
  Emigrati Italiani)
2 minuti
  FARE! – Pri 2 minuti
  Partito Socialista Italiano (PSI) –
  Liberali per l'Italia (PLI)
2 minuti

(*) I tempi sono stati in parte utilizzati nella seduta del 13 marzo 2017.

Mozione n. 1-01589 e abb. – Inserimento del cosiddetto Fiscal Compact nei Trattati europei nonché politiche economiche e di bilancio dell'Unione europea

Tempo complessivo, comprese le dichiarazioni di voto: 6 ore (*).

Governo 25 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 5 minuti
Interventi a titolo personale 1 ora (con il limite massimo di 6 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 4 ore e 20 minuti
 Partito Democratico 1 ora e 11 minuti
 MoVimento 5 Stelle 29 minuti
 Forza Italia – Popolo della Libertà –
 Berlusconi Presidente
21 minuti
 Articolo 1 – Movimento Democratico
 e Progressista
19 minuti
 Alternativa Popolare – Centristi
 per l'Europa – NCD
17 minuti
 Lega Nord e Autonomie – Lega dei
 Popoli – Noi con Salvini
15 minuti
 Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia
 Libertà – Possibile
15 minuti
 Civici e Innovatori 14 minuti
 Scelta Civica – ALA per la Costituente
 Liberale e Popolare – MAIE
14 minuti
 Democrazia Solidale – Centro
 Democratico
14 minuti
 Fratelli d'Italia – Alleanza Nazionale 13 minuti
 Misto: 18 minuti
  Conservatori e Riformisti 4 minuti
  Minoranze Linguistiche 3 minuti
  Alternativa Libera – Tutti insieme
  per l'Italia
3 minuti
  UDC 2 minuti
  USEI-IDEA (Unione Sudamericana
  Emigrati Italiani)
2 minuti
  FARE! – Pri 2 minuti
  Partito Socialista Italiano (PSI) –
  Liberali per l'Italia (PLI)
2 minuti

(*) I tempi sono stati in parte utilizzati nella seduta del 18 aprile 2017.

Mozione n. 1-01439 e abb. – Funzionamento dei cosiddetti centri hotspot per i migranti

Tempo complessivo, comprese le dichiarazioni di voto: 6 ore (*).

Governo 25 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 5 minuti
Interventi a titolo personale 1 ora (con il limite massimo di 6 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 4 ore e 20 minuti
 Partito Democratico 1 ora e 11 minuti
 MoVimento 5 Stelle 29 minuti
 Forza Italia – Popolo della Libertà –
 Berlusconi Presidente
21 minuti
 Articolo 1 – Movimento Democratico
 e Progressista
19 minuti
 Alternativa Popolare – Centristi
 per l'Europa – NCD
17 minuti
 Lega Nord e Autonomie – Lega dei
 Popoli – Noi con Salvini
15 minuti
 Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia
 Libertà – Possibile
15 minuti
 Civici e Innovatori 14 minuti
 Scelta Civica – ALA per la Costituente
 Liberale e Popolare – MAIE
14 minuti
 Democrazia Solidale – Centro
 Democratico
14 minuti
 Fratelli d'Italia – Alleanza Nazionale 13 minuti
 Misto: 18 minuti
  Conservatori e Riformisti 4 minuti
  Minoranze Linguistiche 3 minuti
  Alternativa Libera – Tutti insieme
  per l'Italia
3 minuti
  UDC 2 minuti
  USEI-IDEA (Unione Sudamericana
  Emigrati Italiani)
2 minuti
  FARE! – Pri 2 minuti
  Partito Socialista Italiano (PSI) –
  Liberali per l'Italia (PLI)
2 minuti

(*) I tempi sono stati in parte utilizzati nella seduta del 21 aprile 2017.

Mozione n. 1-01525 e abb. – Iniziative volte all'estensione dei cosiddetti poteri speciali al fine di salvaguardare gli assetti proprietari delle aziende italiane di rilevanza strategica

Tempo complessivo, comprese le dichiarazioni di voto: 6 ore (*).

Governo 25 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 5 minuti
Interventi a titolo personale 1 ora (con il limite massimo di 6 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 4 ore e 20 minuti
 Partito Democratico 1 ora e 11 minuti
 MoVimento 5 Stelle 29 minuti
 Forza Italia – Popolo della Libertà –
 Berlusconi Presidente
21 minuti
 Articolo 1 – Movimento Democratico
 e Progressista
19 minuti
 Alternativa Popolare – Centristi
 per l'Europa – NCD
17 minuti
 Lega Nord e Autonomie – Lega dei
 Popoli – Noi con Salvini
15 minuti
 Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia
 Libertà – Possibile
15 minuti
 Civici e Innovatori 14 minuti
 Scelta Civica – ALA per la Costituente
 Liberale e Popolare – MAIE
14 minuti
 Democrazia Solidale – Centro
 Democratico
14 minuti
 Fratelli d'Italia – Alleanza Nazionale 13 minuti
 Misto: 18 minuti
  Conservatori e Riformisti 4 minuti
  Minoranze Linguistiche 3 minuti
  Alternativa Libera – Tutti insieme
  per l'Italia
3 minuti
  UDC 2 minuti
  USEI-IDEA (Unione Sudamericana
  Emigrati Italiani)
2 minuti
  FARE! – Pri 2 minuti
  Partito Socialista Italiano (PSI) –
  Liberali per l'Italia (PLI)
2 minuti

(*) I tempi sono stati in parte utilizzati nella seduta del 20 marzo 2017.

Pdl n. 4144 e abb. – Aree Protette

Seguito dell'esame: 14 ore.

Relatore 30 minuti
Governo 30 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 2 ore
Interventi a titolo personale 2 ore e 3 minuti (con il limite massimo di 13 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 8 ore e 47 minuti
 Partito Democratico 2 ore e 23 minuti
 MoVimento 5 Stelle 59 minuti
 Forza Italia – Il Popolo della Libertà –
 Berlusconi Presidente
43 minuti
 Articolo 1 – Movimento Democratico
 e Progressista
39 minuti
 Area popolare – NCD – Centristi
 per l'Europa
34 minuti
 Lega nord e autonomie – Lega dei
 Popoli – Noi con Salvini
30 minuti
 Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia
 Libertà – Possibile
29 minuti
 Civici e Innovatori 29 minuti
 Scelta civica ALA per la Costituente
 liberale e popolare – MAIE
29 minuti
 Democrazia solidale – Centro
 Democratico
28 minuti
 Fratelli d'Italia – Alleanza nazionale 27 minuti
 Misto: 37 minuti
  Conservatori e Riformisti 12 minuti
  Minoranze Linguistiche 6 minuti
  Alternativa Libera – Tutti insieme
  per l'Italia
5 minuti
  UDC 4 minuti
  USEI-IDEA (Unione Sudamericana
  Emigrati Italiani)
4 minuti
  FARE! – Pri 3 minuti
  Partito Socialista Italiano (PSI) –
  Liberali per l'Italia (PLI)
3 minuti

Mozione n. 1-01582 e abb. – Iniziative relative all'applicazione della cosiddetta direttiva Bolkestein al commercio su aree pubbliche

Tempo complessivo, comprese le dichiarazioni di voto: 6 ore (*).

Governo 25 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 5 minuti
Interventi a titolo personale 1 ora (con il limite massimo di 6 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 4 ore e 20 minuti
 Partito Democratico 1 ora e 11 minuti
 MoVimento 5 Stelle 29 minuti
 Forza Italia – Popolo della Libertà –
 Berlusconi Presidente
21 minuti
 Articolo 1 – Movimento Democratico
 e Progressista
19 minuti
 Alternativa Popolare – Centristi
 per l'Europa – NCD
17 minuti
 Lega Nord e Autonomie – Lega dei
 Popoli – Noi con Salvini
15 minuti
 Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia
 Libertà – Possibile
15 minuti
 Civici e Innovatori 14 minuti
 Scelta Civica – ALA per la Costituente
 Liberale e Popolare – MAIE
14 minuti
 Democrazia Solidale – Centro
 Democratico
14 minuti
 Fratelli d'Italia – Alleanza Nazionale 13 minuti
 Misto: 18 minuti
  Conservatori e Riformisti 4 minuti
  Minoranze Linguistiche 3 minuti
  Alternativa Libera – Tutti insieme
  per l'Italia
3 minuti
  UDC 2 minuti
  USEI-IDEA (Unione Sudamericana
  Emigrati Italiani)
2 minuti
  FARE! – Pri 2 minuti
  Partito Socialista Italiano (PSI) –
  Liberali per l'Italia (PLI)
2 minuti

(*) Al tempo sopra indicato si aggiungono 5 minuti per l'illustrazione di ciascuna mozione.

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 26 aprile 2017.

  Adornato, Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Alli, Amendola, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bergamini, Bernardo, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Blazina, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Catania, Causin, Censore, Centemero, Antimo Cesaro, Cimbro, Cirielli, Colonnese, Coppola, Costa, D'Alia, Damiano, De Menech, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Manlio Di Stefano, Epifani, Faraone, Fava, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Frusone, Galati, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Kronbichler, La Russa, Laforgia, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Marcon, Mattiello, Mazziotti Di Celso, Meta, Migliore, Mucci, Nicoletti, Nuti, Orlando, Pannarale, Pes, Piccoli Nardelli, Piepoli, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Francesco Saverio Romano, Rosato, Domenico Rossi, Rostan, Rughetti, Sanga, Sani, Santerini, Sarti, Scalfarotto, Schullian, Sereni, Sottanelli, Spadoni, Tabacci, Taglialatela, Terzoni, Valeria Valente, Velo, Vignali.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Alli, Amendola, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bergamini, Bernardo, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Blazina, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Catania, Causin, Censore, Centemero, Antimo Cesaro, Cicchitto, Cimbro, Cirielli, Colonnese, Coppola, Costa, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Menech, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Manlio Di Stefano, Epifani, Faraone, Fava, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Frusone, Galati, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Giorgis, Gozi, Kronbichler, La Russa, Laforgia, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Marcon, Mattiello, Mazziotti Di Celso, Meta, Migliore, Mucci, Nicoletti, Nuti, Orlando, Pannarale, Pes, Piccoli Nardelli, Piepoli, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Francesco Saverio Romano, Rosato, Domenico Rossi, Rostan, Rughetti, Sanga, Sani, Santerini, Sarti, Scalfarotto, Scanu, Schullian, Sereni, Sottanelli, Spadoni, Tabacci, Taglialatela, Terzoni, Valeria Valente, Velo, Vignali.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 21 aprile 2017 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   VARGIU ed altri: «Disposizioni per la promozione dell'invecchiamento attivo della popolazione e per la valorizzazione del ruolo sociale delle persone di età compresa tra sessantacinque e ottanta anni» (4441);
   TINAGLI: «Modifiche al decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, in materia di semplificazione della disciplina del lavoro intermittente» (4442);
   BIANCOFIORE ed altri: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla condizione del gruppo linguistico italiano e della popolazione mistilingue nella provincia autonoma di Bolzano e sull'equilibrio dei diritti tra i gruppi linguistici» (4443).

  In data 24 aprile 2017 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   DE ROSA ed altri: «Introduzione dell'articolo 6-bis della legge 14 gennaio 2013, n. 10, concernente l'unità di misura arboricola, nonché disposizioni per l'attuazione dell'articolo 6 della medesima legge, in materia di sviluppo degli spazi verdi urbani» (4445);
   RAMPELLI e LAFFRANCO: «Modifiche al decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, e al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, in materia di commercio sulle aree pubbliche» (4446).

  Saranno stampate e distribuite.

Annunzio di disegni di legge.

  In data 24 aprile 2017 è stato presentato alla Presidenza il seguente disegno di legge:
   dal Presidente del Consiglio dei ministri e dai Ministri dell'economia e delle finanze e delle infrastrutture e dei trasporti:
    «Conversione in legge del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, recante disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo» (4444).

  Sarà stampato e distribuito.

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 21 e 24 aprile 2017, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sull'attuazione e sulla valutazione della direttiva 2008/118/CE del Consiglio, del 16 dicembre 2008, relativa al regime generale delle accise (COM(2017) 184 final), che è assegnata in sede primaria alla VI Commissione (Finanze);
   Progetto di bilancio rettificativo n. 2 al bilancio generale 2017 che iscrive l'eccedenza dell'esercizio 2016 (COM(2017) 188 final), che è assegnata in sede primaria alla V Commissione (Bilancio);
   Proposta congiunta della Commissione europea e dell'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza di decisione del Consiglio relativa alla posizione che l'Unione deve adottare in sede di consiglio di associazione istituito dall'accordo euromediterraneo che istituisce un'associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica araba d'Egitto, dall'altra, in merito all'adozione di una raccomandazione riguardante le priorità del partenariato UE-Egitto (JOIN(2017) 14 final), corredata dal relativo allegato (JOIN(2016) 14 final – Annex 1), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
   Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Quadro di valutazione UE della giustizia 2017 (COM(2017) 167 final), che è assegnata in sede primaria alla II Commissione (Giustizia);
   Proposte di decisione del Consiglio relative rispettivamente alla firma, a nome dell'Unione europea e dei suoi Stati membri, e all'applicazione provvisoria nonché alla conclusione, a nome dell'Unione europea e dei suoi Stati membri, di un protocollo all'accordo di partenariato e di cooperazione che istituisce un partenariato tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica dell'Uzbekistan, dall'altra, per tener conto dell'adesione della Repubblica di Croazia all'Unione europea (COM(2017) 186 final e COM(2017) 187 final), corredate dai rispettivi allegati (COM(2017) 186 final – Annex 1 e COM(2017) 187 final – Annex 1), che sono assegnate in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
   Relazione della Commissione al Consiglio – Relazione 2011-2015 sull'attuazione del regime di aiuti nazionali a lungo termine a favore dell'agricoltura delle zone nordiche della Finlandia e della Svezia in applicazione delle decisioni 2009/3067 e 2010/6050 della Commissione (COM(2017) 189 final), che è assegnata in sede primaria alla XIII Commissione (Agricoltura);
   Raccomandazione di decisione del Consiglio che approva la conclusione da parte della Commissione europea, a nome della Comunità europea dell'energia atomica, di un protocollo all'accordo di partenariato e di cooperazione che istituisce un partenariato tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica dell'Uzbekistan, dall'altra, per tener conto dell'adesione della Repubblica di Croazia all'Unione europea (COM(2017) 190 final), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
   Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio – Applicazione e valutazione del regolamento (CE) n. 1224/2009 del Consiglio che istituisce un regime di controllo unionale per garantire il rispetto delle norme della politica comune della pesca, come previsto a norma dell'articolo 118 – REFIT – Valutazione dell'impatto della normativa in materia di pesca (COM(2017) 192 final), che è assegnata in sede primaria alla XIII Commissione (Agricoltura).

  La proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che conferisce alle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri poteri di applicazione più efficace e assicura il corretto funzionamento del mercato interno (COM(2017) 142 final), già trasmessa dalla Commissione europea e assegnata, in data 31 marzo 2017, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alla X Commissione (Attività produttive), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), è altresì assegnata alla medesima XIV Commissione ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà; il termine di otto settimane per la verifica di conformità, ai sensi del Protocollo sull'applicazione dei princìpi di sussidiarietà e di proporzionalità allegato al Trattato sull'Unione europea, decorre dal 24 aprile 2017.

Trasmissione dall'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione.

  Il Presidente dell'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione, con lettera in data 21 aprile 2017, ha trasmesso un esemplare dell'ordinanza, emessa dall'Ufficio nella medesima data, con la quale è stata disposta la sospensione delle operazioni relative ai referendum popolari aventi, rispettivamente, le denominazioni «Abrogazione disposizioni limitative della responsabilità solidale in materia di appalti» e «Abrogazione disposizioni sul lavoro accessorio (voucher)».

  Questo documento è depositato presso il Servizio per i Testi normativi a disposizione degli onorevoli deputati.

Richiesta di parere parlamentare su atti del Governo.

  La Ministra per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 21 aprile 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 11, commi 1, lettera p), 2 e 3, della legge 7 agosto 2015, n. 124, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 171, di attuazione della delega di cui all'articolo 11, comma 1, lettera p), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di dirigenza sanitaria (410).

  Questa richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del Regolamento, alla XII Commissione (Affari sociali) e, per le conseguenze di carattere finanziario, alla V Commissione (Bilancio), che dovranno esprimere i prescritti pareri entro il 25 giugno 2017.

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

DOCUMENTO DI ECONOMIA E FINANZA 2017 (DOC. LVII, N. 5)

Doc. LVII, n. 5 – Risoluzioni relative al Documento di economia e finanza 2017

RISOLUZIONI

   La Camera,
   in sede di esame del Documento di economia e finanza 2017,
   premesso che:
    l'Italia è ancora il Paese che cresce più lentamente in Europa, nonostante a livello europeo ed internazionale si sia registrato un miglioramento e la crescita europea abbia accelerato: secondo i dati dell'organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo, aggiornati a marzo 2017, l'Italia è il Paese che cresce più lentamente anche tra tutti i maggiori paesi dell'OCSE, seppur quest'ultima abbia rialzato di 0,1 punti la stima del Pil italiano nel 2017, la cui crescita dovrebbe restare stabile all'1 per cento annuo, come nel 2016 e nel 2018;
    anche in questo Documento di economia e finanza, la revisione della spesa pubblica viene presentata come uno degli strumenti fondamentali di risanamento dello stato di salute dei conti pubblici. Nonostante i risparmi conseguiti ammontino a circa 3,6 miliardi nel 2014, 18 miliardi nel 2015, 25 miliardi nel 2016, il debito pubblico, per contro, è continuato a salire, da 2,137 miliardi di euro nel 2014 a 2.217 nel 2016, passando dal 131,8 per cento al 132,6 per cento in rapporto al PIL. Il Governo stima che il rapporto debito/PIL si attesterà, nel 2017, al 132,5 per cento, soltanto uno 0,1 per cento in meno rispetto al 2016;
    si tenga costantemente presente, a latere, che il 19 dicembre scorso, il Governo in carica si è presentato alle Camere ottenendo dalla maggioranza l'autorizzazione a contrarre un debito di 20 miliardi di euro nel 2017 per intervenire sul sistema bancario e, nello specifico, a procedere con una ricapitalizzazione da 8,8 miliardi di risorse pubbliche della banca Monte dei Paschi di Siena;
    si ricorda che il precedente Governo, di cui l'attuale rappresenta essenzialmente la prosecuzione, ha continuamente posticipato il raggiungimento dell'obiettivo del pareggio di bilancio, spostato di anno in anno. Nel febbraio 2014, infatti, il pareggio di bilancio era previsto per il 2014, ma subito, nell'aprile dello stesso anno, l'esecutivo allora in carica chiese il posticipo al 2016; nello stesso anno, a causa di una revisione al ribasso delle stime sull'andamento dell'economia italiana per l'anno in corso e per il 2015, il Governo fu costretto a chiedere di rinviare il conseguimento dell'obiettivo del pareggio di bilancio al 2017, e, di nuovo, di posticiparlo, con il DEF 2016, al 2019;
    a causa di questi continui scostamenti dall'obiettivo di medio termine al cui raggiungimento l'Italia è tenuta in base ai parametri fissati dalla nuova governance europea dopo Maastricht, la Commissione europea ha ritenuto troppo «significativa» questa deviazione, bocciando la manovra italiana per il 2017. Si ricorda che la stessa Commissione, a novembre, aveva già avvertito il Governo italiano in occasione della presentazione del Documento programmatico di bilancio 2017 e, in merito a ciò, la Lega Nord aveva chiesto al Ministro dell'economia e delle finanze se esistesse un piano di bilancio alternativo. Il Ministro, all'epoca, replicò negativamente motivando la sua risposta sulla netta convinzione che la nuova legge di bilancio 2017 avrebbe passato indenne la verifica della Commissione. Il 17 gennaio scorso, invece, la Commissione ha richiesto espressamente al Governo italiano di indicare «puntuali» misure correttive del disavanzo strutturale di bilancio previsto per il 2017, congiuntamente all'aggiornamento della dinamica del debito, onde evitare di incorrere in una procedura di disavanzo eccessivo a causa del mancato rispetto del debito per il 2015. Secondo le previsioni europee dell'autunno dello scorso anno, infatti, il deficit italiano, nel 2017, senza alcuna manovra correttiva, si sarebbe attestato intorno al 2,4 per cento, ossia due decimali in più rispetto a quanto concordato a Bratislava e due decimali sopra il livello massimo previsto per evitare la procedura di infrazione;
    in un primo momento, la reazione dell'attuale Governo, è stata esclusivamente quella di giustificare il discostamento dei conti pubblici dal Patto di stabilità e crescita, imputando il deficit eccessivo a fattori come la bassa inflazione e le spese per far fronte all'accoglienza dei migranti e per i terremoti che dal 24 agosto hanno colpito le regioni del centro Italia. In un secondo momento, però, l'esecutivo si è dovuto impegnare ad adottare un intervento correttivo di circa 3,4 miliardi, pari allo 0,2 per cento del Pil, modulati per circa un quarto sul versante delle uscite (0,85 miliardi) e per tre quarti sul lato delle entrate di bilancio (2,55 miliardi);
    nonostante i risparmi di spesa previsti, alla luce del mancato raggiungimento degli obiettivi e del continuo aumento del debito pubblico, è evidente quindi che gli stessi non siano sufficienti e, tantomeno adeguati, perché ad essi non è stata ancora accompagnata una vera implementazione del federalismo fiscale come già previsto – ma mai attuato – nella legge n. 42 del 2009 di attuazione dell'articolo 119 della Costituzione. Allo stesso modo, non si comprende come la riforma del bilancio dello Stato e la ridefinizione delle regole dell'equilibrio di bilancio di regioni ed enti locali possano portare a veri risparmi, senza il passaggio dalla spesa storica (che finanzia servizi e sprechi) al costo standard (che finanzia invece i servizi). Quest'ultimo, infatti, si presenta come l'unico efficace metodo per orientare la politica delle amministrazioni verso una nuova logica meritocratica che eviti le note inefficienze del passato, attivando il circuito della responsabilità e favorendo la trasparenza delle decisioni di spesa e la loro imputabilità, al fine di garantire un elevatissimo grado di solidarietà e di gestione responsabile del pubblico denaro;
    la mancata implementazione dei costi e fabbisogni standard, inoltre, ha avuto – ed avrà in futuro – delle gravi ripercussioni in uno dei settori più delicati ed importanti della spesa pubblica, quello sanitario, in cui i tagli lineari e indiscriminati si ripercuotono pesantemente sui cittadini, e soprattutto sui cittadini meno abbienti che, nel corso degli ultimi tempi, rinunciano sempre più spesso alle cure a causa dell'aumento esponenziale del loro costo (ovviamente inversamente proporzionale all'entità dei tagli);
    da anni si discute sulle capacità di risparmio nel settore sanitario confondendo tra il concetto di taglio con quello di spending review; la revisione della spesa consiste nell'applicare i costi standard immediatamente, in tutto il Paese, tagliando dove si spreca, imponendo le best practies a tutte le regioni ed evitando che i tagli lineari incidano a detrimento della buona sanità regionale;
    nonostante l'entrata in vigore di sedici provvedimenti normativi di attuazione della delega contenuta nella legge n. 124 del 2015. Statisticamente la nostra Pubblica Amministrazione resta ancora la peggior pagatrice d'Europa e l'annunciata semplificazione non sembra essere arrivata: «Sul fronte della qualità la nostra Pubblica amministrazione arranca nei bassifondi della classifica europea. Si colloca infatti al 17o posto su 23 Paesi analizzati. Solo Grecia, Croazia, Turchia e alcuni paesi dell'ex blocco sovietico presentano un indice di qualità inferiore al nostro. Tra le migliori 30 regioni europee, purtroppo, non è presente nessuna amministrazione pubblica del nostro Paese. La prima, ovvero la Provincia autonoma di Trento, si colloca al 36o posto della classifica generale». Restano infatti delle diseguaglianze enormi tra le varie aree del Paese e sarebbe dunque necessario intervenire al fine di omogeneizzare la qualità e il servizio reso ai cittadini dall'amministrazione pubblica, inserendo come parametro, ai fini della redistribuzione delle risorse dallo Stato centrale, anche quello relativo all'indice di produttività del pubblico impiego, accanto a quello della spesa standard;
    nel Programma nazionale di riforma di questo Documento di economia e finanza, il Governo propone, da un lato, il completamento della riforma del catasto prevista con la delega fiscale di cui alla legge n. 23 del 2014 e, dall'altro, quello del riordino delle tax expenditures, previsto dal decreto legislativo n. 160/2015. Riguardo alla prima riforma, ad oggi, è stato approvato soltanto il decreto legislativo riguardante le commissioni censuarie, rispetto all'immenso riassetto che si dovrebbe porre in essere e che dovrebbe determinare la nuova base imponibile entro dicembre 2019. L'esecutivo ha assicurato che ci sarà invarianza di gettito e punta al superamento di alcune storture, come la presenza di molti immobili sopravvalutati o sottovalutati in base al loro valore di mercato reale. Allo stesso tempo, le nuove regole, secondo l'esecutivo, porteranno ad un miglioramento nella lotta all'evasione fiscale e renderanno il Paese più attrattivo per gli investimenti immobiliari, ma, come avvertono da tempo le associazioni di categoria, in oltre la metà dei comuni italiani non si raggiunge il numero minimo di compravendite che servirebbe ad offrire una base statistica solida, per cui i valori del nuovo sistema catastale potrebbero essere calcolati su aree più vaste del previsto, con evidente pericolo di non rispettare l'invarianza di gettito e di conseguente iniquità nei confronti dei contribuenti residenti nelle diverse aree del Paese;
    in merito alla pressione fiscale, è altresì importante evitare di far scattare le clausole di salvaguardia. Il Governo, in questo DEF, manifesta la volontà di disattivare le clausole di salvaguardia previste dalle leggi di stabilità 2014 e 2015 del precedente Governo, sostituendole con misure riguardanti sia la spesa che le entrate, tramite maggiori risparmi – di almeno un miliardo all'anno – e tramite il rafforzamento della lotta all'evasione. Il valore delle clausole di salvaguardia è però pari a 19,6 miliardi per il 2018 e a 23,3 miliardi a partire dal 2019 e seppur il DEF evidenzi che nel corso dell'attività di recupero dell'evasione abbia fatto registrare incassi per un ammontare pari a 19 miliardi (+28 per cento rispetto al 2015), per un totale di oltre 48 miliardi nel triennio 2014-2016, gli incassi del 2016 includono gli effetti della voluntary disclosure (4,1 miliardi) e quelli del 2017 includeranno anche i 4,6 miliardi attesi dalla definizione agevolata delle cartelle. Essendo queste delle misure una tantum, non si comprende dove il Governo voglia reperire le risorse per la sterilizzazione completa delle clausole di salvaguardia e si teme una ennesima inversione di rotta verso l'aumento delle accise e dell'IVA che, oltre a causare un forte arresto della già debolissima ripresa, rafforzerebbe anche il primato italiano per la più alta pressione fiscale presente in Europa. Non è inusuale, infatti, che il Governo sia spesso altalenante sulle misure da assumere in materia fiscale;
    a ciò si aggiunga anche che il Governo deve costantemente reperire sempre maggiori risorse per l'emergenza migranti, per cui il nostro Paese è già stato obbligato a chiedere tutta la flessibilità concessa dall'ordinamento europeo relativamente agli eventi eccezionali, accanto alla richiesta di flessibilità per le calamità sismiche: già nel 2015 e nel 2016, per le spese relative all'afflusso di migranti (complessivamente 0,07 per cento del PIL), è stato riconosciuto provvisoriamente lo 0,14 per cento del PIL ed un ulteriore 0,18 per cento è stato invece considerato ammissibile per la salvaguardia antisismica, per un totale di 0,32 per cento del PIL nel 2017, da portare a riduzione della correzione di 0,6 per cento richiesta in base alle condizioni congiunturali. Mentre, però, per quanto riguarda il sisma, l'evento è effettivamente di natura imprevedibile e non controllabile, e il Governo impegnerà un miliardo all'anno, secondo quanto riportato nello stesso DEF 2017, l'emergenza del flusso migratorio sarebbe, invece, determinata soprattutto dalle politiche adottate dall'attuale Governo e da quello precedente in tema di immigrazione, che anziché adottare misure ed iniziative immediate che bloccassero tali flussi, hanno incentivato le partenze dai paesi di origine e transito degli immigrati con il miraggio di una accoglienza indiscriminata;
    le spese complessive per la gestione dei flussi migratori in Italia hanno registrato un vertiginoso aumento, passando, al netto dei contributi dell'Unione europea, da 829 milioni di euro nel 2012 ad un importo stimato per l'anno 2017 di circa 4,6 miliardi, di cui circa ben il 68 per cento destinato alle attività di accoglienza;
    invece, il contributo da parte dell'Unione europea alle spese sostenute dall'Italia per l'emergenza migratoria è rimasto sostanzialmente invariato negli anni, essendo di circa 90 milioni nel 2012 e ancora di 91 nel 2017 e rappresentando, dunque, una quota irrisoria rispetto alle risorse impiegate;
    benché i contributi europei siano rimasti più o meno costanti negli ultimi anni, è altresì innegabile che il massiccio afflusso di immigrati sulle coste italiane sia conseguenza anche delle diverse missioni navali che operano nel Mediterraneo centrale, tra cui la stessa operazione Sophia della missione navale EuNavFor Med, le flotte delle operazioni Triton (Unione europea-Frontex) e Mare Sicuro, che di fatto si limitano a raccogliere in mare immigrati non regolari per portarli in Italia, favorendo e incoraggiando i flussi migratori illegali, a dispetto della propria missione di contrasto all'immigrazione clandestina;
    secondo i dati forniti periodicamente dal Ministero dell'interno – Dipartimento per le Libertà Civili e l'immigrazione, il numero delle presenze registrate all'interno del sistema di accoglienza è passato da 22.118 nel 2013, a 103.792 nel 2015 fino ad arrivare a 176.554 nel 2016, con un incremento del +73,77 per cento rispetto al 2015 e che solo nei primi tre mesi del 2017, gli immigrati giunti illegalmente via mare in Italia sono stati 24.280, con un incremento del +29,31 per cento rispetto allo stesso periodo di riferimento nel 2016;
    indubbiamente a fronte delle spese a carico dell'Italia, non più sostenibili per la perdurante crisi economica che investe la stessa, occorre, dunque, procedere ad immediate misure per fermare l'eccezionale flusso migratorio verso le nostre coste;
    sebbene secondo le ultime rilevazioni dell'Istat sarebbero ben 7 milioni e 209 mila le persone che in Italia vivono in condizioni di « grave deprivazione materiale» e il tasso di disoccupazione sia aumentato rispetto allo scorso anno arrivando all'11,9 per cento a gennaio 2017, le risorse stanziate dal Governo per interventi di contrasto alla povertà ammontano invece solo a circa 1 miliardo di euro per l'anno corrente;
    l'Istat, si ricorda, ha quantificato in 4,4 milioni le persone che vivono in una situazione di povertà assoluta, il che significa che il Governo, stanziando «solo» un miliardo, ha destinato circa 250 euro annui per povero, ovvero appena 70 centesimi al giorno per il singolo indigente, cifra ben al di sotto della spesa giornaliera sostenuta per ciascun immigrato accolto sul nostro territorio (pari a 35 euro);
    una attenzione maggiore del Governo verso gli immigrati rispetto ai propri cittadini è confermata anche dalla recente sottoscrizione da parte del Ministero dell'interno di un protocollo di intesa con Confindustria per attuare tirocini e percorsi di formazione, della durata di sei mesi e del valore di 500 euro al mese, per i destinatari del sistema di accoglienza nazionale;
    di contro, il Governo ha riportato nel sommerso i nostri giovani ed i nostri anziani con l'abrogazione tout court dei voucher;
    il Governo continua ad enfatizzare nel DEF, con riguardo al mercato del lavoro, i risultati del jobs act e gli incentivi finanziari per l'occupazione, in termini di sgravi contributivi per ogni soggetto assunto con contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, ignorando la «bolla» occupazionale che la riforma jobs act ha creato;
    gli ultimi dati Istat su occupati e disoccupati, infatti, registrano che a febbraio 2017 la stima degli occupati è stabile rispetto a gennaio, il tasso di occupazione è fermo al 57,5 per cento, è in crescita la stima degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (+0,4 per cento, pari a 51 mila unità, nell'ultimo mese) e che è salito solo il numero dei lavoratori a tempo determinato, mentre calano i lavoratori a tempo indeterminato;
    tali dati sono l'ulteriore conferma che la riforma jobs act, ad oramai due anni dalla sua data di entrata in vigore, non ha innescato alcuna crescita dell'occupazione, al contrario, essendo le assunzioni correlate agli incentivi, ridotti questi ultimi, sono diminuite anche le prime;
    il problema principale permane sull'elevato costo del lavoro, abbattuto solo parzialmente e temporaneamente dagli effetti del jobs act, e sul gravoso cuneo fiscale peraltro riconosciuto nello stesso DEF tra i più elevati d'Europa (... nel 2015 in Italia i cunei fiscali sui singoli lavoratori che percepiscono un salario basso o medio, rispettivamente al 41 per cento e al 48 per cento...);
    sempre il DEF, richiamando il Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei conti, menziona che il «cuneo fiscale, riferito alla situazione media di un dipendente dell'industria, colloca al livello più alto la differenza tra il costo del lavoro a carico dell'imprenditore e il reddito netto che rimane in busta paga al lavoratore; il 49 per cento prelevato a titolo di contributi (su entrambi) e di imposte (a carico del lavoratore) eccede di ben 10 punti l'onere che si registra mediamente nel resto d'Europa»;
    l'Ocse, nel rapporto annuale sul peso fiscale dei salari (taxing wage 2016), colloca l'Italia al quinto posto tra i Paesi Ocse per il più alto livello di imposte sul lavoro, con una media del cuneo fiscale per lavoratore del 47,8 per cento rispetto ad una media dei paesi Ocse del 36 per cento;
    detassazione e decontribuzione strutturali e non temporanee rappresentano, pertanto, misure non più procrastinabili per creare nuova occupazione e, di conseguenza, dare maggiore competitività alle nostre imprese;
    contemporaneamente, per arginare il fenomeno della fuga dei giovani all'estero, rappresentato non soltanto da chi è in cerca di occupazione bensì anche da chi è in cerca di retribuzioni migliori e maggiore riconoscimento, è doveroso agire anche sulla meritocrazia, per la quale l'Italia si pone in fondo alla classifica con appena 23,3 punti (meno della metà della Finlandia, con 67,7 punti e dieci punti più in basso rispetto alla Spagna, con il 34,9, ed alla Polonia, con 38,8 punti);
    accanto alla fuga di cervelli, si registra, nel nostro Paese, un ulteriore grave fenomeno demografico: il calo delle nascite. La responsabilità, anche in questo caso, può essere imputata all'inadeguatezza delle politiche sociali messe in atto perché quando si affronta il problema di misure di sostegno economico alle famiglie con interventi mirati, si agisce in modo assistenzialistico e non con una politica programmata di contrasto alla denatalità. Queste misure di sostegno economico per le famiglie sono viziate, quasi sempre, da un approccio errato al problema estendendo la misura oltre che a tutti i cittadini italiani comunitari anche a tutti cittadini extracomunitari;
    ogni efficace politica di sostegno alla famiglia non può tuttavia prescindere da strumenti fiscali mirati e graduati. In Italia il sistema fiscale sembra ancora ritenere che la capacità contributiva delle famiglie non sia influenzata dalla presenza di figli e dall'eventuale scelta di uno dei due coniugi di dedicare parte del proprio tempo a curare, crescere ed educare i figli, mentre di norma in Europa a parità di reddito la differenza tra chi ha e chi non ha figli a carico è consistente;
    si ritiene necessario un intervento che nel breve periodo possa offrire una risposta rapida alle richieste di posti nelle strutture socio-educative e per far questo è importante agire con formule nuove cercando di coniugare l'iniziativa pubblica a quella privata applicando sistemi di collegamento rapidi tra le istituzioni nel rispetto del principio di sussidiarietà verticale e orizzontale;
    è importante lavorare al fine di realizzare l'ambizioso obiettivo volto ad introdurre un sistema territoriale gratuito di servizi socio-educativi per la prima infanzia. Tutto ciò è realizzabile concependo e istituzionalizzando l'idea di un sistema articolato dei servizi socio-educativi per la prima infanzia. Sistema cui concorrono il pubblico, il privato, il privato sociale e i datori di lavoro, creando sul territorio un'offerta flessibile e differenziata di qualità;
    dunque, nel contesto riassunto nell'attuale DEF, assume poca credibilità l'affermazione del Governo riguardante la volontà di continuare ad «operare misure espansive» e di ridurre la pressione fiscale, congiuntamente alla prosecuzione delle riforme in tutti gli ambiti che influenzano il livello di benessere della popolazione e il clima di investimento del Paese. Prova ne sono la manovra per il 2017 che, varata senza adeguato reperimento delle necessarie risorse finanziarie, ha portato al rischio di procedura per disavanzi eccessivi e la pressione fiscale a cui sono sottoposti i nostri contribuenti e le nostre imprese che risulta costantemente fra le più alte in Europa (riguardo all'IRPEF, un contribuente italiano paga infatti quasi 1000 euro in più rispetto alla media europea e per le imprese vantiamo il triste primato di tassazione più alta in assoluto nell'eurozona con un differenziale di oltre 21 punti percentuali e un total tax rate pari al 64,8 per cento). Ugualmente, per quanto concerne invece gli investimenti, sia pubblici che privati, il nostro Paese risulta essere uno tra i meno competitivi e attrattivi d'Europa;
    in particolare, su questo fronte, la situazione è preoccupante: secondo gli ultimi dati pubblicati dalla Banca d'Italia il totale dei prestiti al settore privato è passato dai 1.409 miliardi di febbraio 2016 ai 1.405 miliardi di febbraio 2017, con un calo complessivo di quasi 4 miliardi (-0,26 per cento) e una diminuzione di 12 miliardi per i prestiti concessi dagli istituti di credito alle aziende. Ciò si è verificato anche a causa dell'aumento delle rate non rimborsate da parte delle imprese – le sofferenze lorde sono infatti cresciute di 7 miliardi – che scontano ancora gli effetti della pesante crisi economica del 2008;
    è evidente come il comparto imprenditoriale non sia stato adeguatamente sostenuto in passato e si continua anche oggi a non creare le condizioni per far ripartire gli investimenti. Oltre alla giustizia civile lenta e in molte aree del Paese anche poco efficiente, all'eccesso di burocrazia che ha raggiunto livelli difficilmente riscontrabili altrove e il pesantissimo deficit logistico-infrastrutturale, si è introdotto anche lo strumento dello split-payment. Quest'ultimo, presentato come un valido mezzo di lotta all'evasione fiscale, è in realtà uno strumento che sottrae un'enorme quantità di liquidità alle imprese che lavorano con la Pubblica amministrazione che, come già detto, si presenta come la peggior pagatrice d'Europa;
    dunque, mentre l'esecutivo presenta lo split payment come misura finalizzata alla compliance fiscale, quando in realtà si tratta di un mezzo per trattenere alla fonte le risorse, le aziende italiane ancora scontano la grave crisi di liquidità degli anni appena passati, senza che nel cronoprogramma del Governo si rilevino misure atte ad influenzare positivamente il potenziale di crescita e di sviluppo delle imprese italiane;
    alla mancanza di una visione strategica che individui nel sistema produttivo del nostro Paese l'elemento trainante dell'economia italiana, si aggiunge l'impatto che la regolazione europea relativa ai servizi del mercato interno ha prodotto in alcuni settori strategici per l'economia italiana, con particolare riferimento alle concessioni per il commercio sulle aree pubbliche;
    lo sviluppo del settore dei servizi deve essere perseguito in maniera equilibrata e sostenibile e, comunque, in modo tale da non pregiudicare la crescita e i livelli occupazionali esistenti nei paesi membri dell'Unione europea;
    alla luce dello stato profondamente critico in cui attualmente si trova il settore del commercio ambulante sulle aree pubbliche, si rende necessario un intervento volto ad introdurre una deroga ai principi stabiliti dalla direttiva 2006/123/CE, facendo prevalere l'interesse nazionale che necessariamente coincide con la salvaguardia di questo specifico comparto;
    con riguardo agli investimenti pubblici, si confermano anche per il 2017 grosse criticità nello sviluppo delle reti del trasporto pubblico locale, nonostante questo rappresenti un servizio fondamentale dal punto di vista economico e sociale per la collettività, dovute principalmente al perpetrarsi di una carenza di programmazione nel settore svincolata da politiche accentratrici. Non sembra riscontrarsi, nel documento in esame, un'inversione di tendenza e un piano strategico volto a garantire finalmente che il servizio venga svolto su tutto il territorio nazionale nel rispetto di più alti criteri di qualità, soprattutto nei settori a maggiore richiesta, e a prezzi sostenibili per i cittadini;
    il Programma di stabilità del DEF in oggetto – con riferimento ai dati dell'economia italiana nel 2016 – indica un ragguardevole calo del valore aggiunto dell'agricoltura (-0,7 per cento), questo a dimostrazione delle politiche fallimentari e fortemente insufficienti del Governo in tema di agricoltura. Il comparto primario è ancora pesantemente gravato dall'aumento dei costi di produzione e dalla scarsa remunerazione per gli agricoltori, nonché dalla concorrenza sleale di Paesi europei ed extra-europei in settori che rivestono un ruolo centrale nell'agricoltura italiana quali il lattiero-caseario e cerealicolo;
    la stessa sezione, con riferimento al sisma che ha colpito le regioni dell'Italia centrale, ricorda che, con i tre decreti-legge ad hoc, ai soggetti residenti nei comuni interessati dal sisma titolari di reddito d'impresa e di reddito di lavoro autonomo, nonché esercenti attività agricole, è stata da ultimo riconosciuta una serie di esenzioni e di agevolazioni a livello creditizio e fiscale;
    il cronoprogramma per le riforme ricorda che è stato emanato il decreto interministeriale 9 dicembre 2016 concernente l'indicazione in etichetta dell'origine della materia prima per il latte e i prodotti lattiero caseari. L'indicazione di origine è un argomento cardine per il settore agroalimentare per garantire ai consumatori una informazione chiara e completa sulla provenienza e l'origine della materia prima. Anche una consultazione pubblica effettuata dal Mipaaf ha evidenziato che per più del 90 per cento dei consumatori è fondamentale che in etichetta sia indicata chiaramente la provenienza per non essere indotti in errore in merito alla vera origine dell'ingrediente primario dei prodotti agroalimentari,

impegna il Governo:

1) con riguardo alla revisione della spesa pubblica e della spending review:
   a) a dare piena esecuzione alla riforma del federalismo fiscale di cui alla legge n. 42 del 2009, di attuazione del vigente articolo 119 della Costituzione, con cui si prevedono non soltanto l'equilibrio dei bilanci degli enti locali e territoriali, nel rispetto dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea, ma anche l'autonomia di entrata e di spesa, e di tenere sempre in dovuto conto, nella predisposizione delle normative che riguardano il tema della fiscalità territoriale, soprattutto in merito alla redistribuzione delle risorse, delle disposizioni della legge n. 42 del 2009;
   b) ad adottare una revisione della spesa pubblica sul modello del federalismo fiscale e ad istituire forme premiali crescenti per le regioni che si avvicinano gradualmente ai costi standard, al fine di creare un meccanismo di efficientamento del complessivo sistema di gestione della spesa pubblica in cui le regioni e gli enti locali virtuosi rappresentino un traino e un esempio per le restanti amministrazioni, anche attraverso la previsione legislativa dell'obbligo di importazione dei modelli virtuosi nelle regioni più indebitate e con i costi più alti, in particolar modo nel settore della sanità pubblica, affinché il costo ragionevole dei servizi e degli strumenti sanitari, a parità di disponibilità finanziarie, possa diventare il riferimento nazionale nell'ambito delle politiche sanitarie ed il presupposto fondamentale per garantire il pieno diritto alla salute;
   c) ad individuare, attraverso una revisione della spesa pubblica sul modello del federalismo fiscale, più efficaci misure di spending review suscettibili di creare effettivi risparmi di spesa tali da escludere con certezza l'applicazione delle clausole di salvaguardia sulle accise e l'imposta sul valore aggiunto;

2) nell'ambito della riforma della tax expenditures, a prevedere, accanto al riordino delle spese fiscali, una revisione definitiva, concreta ed efficiente dell'intero sistema fiscale contributivo, in direzione di una vera semplificazione che attiri gli investimenti e non vessi i contribuenti (sia cittadini che le imprese) e di una efficace lotta all'evasione fiscale, data per lo più dall'enorme carico fiscale imposto nel nostro Paese, che introduca un criterio proporzionale di imposizione fiscale con l'applicazione di un'aliquota fissa al 15 per cento e una deduzione fissa pari a 3.000 euro per ciascun contribuente o carico familiare, in modo da rispettare i principi costituzionalmente previsti della progressività dell'imposta e dell'uguaglianza sostanziale tra i cittadini, tenuto conto della loro condizione economica e sociale;

3) sul lato dell'efficientamento dei servizi della Pubblica Amministrazione:
   a) a prevedere una disciplina più stringente in termini di ritardi amministrativi che, spesso, soprattutto in merito agli investimenti pubblici per la realizzazione di infrastrutture, sono riconducibili all'inadempienza dell'amministratore, al fine di evitare la perenzione delle somme, la perdita dei requisiti per l'accesso ai finanziamenti europei o lo spropositato livello di contenzioso e sperpero di risorse pubbliche per la realizzazione di opere non più adeguate temporalmente al momento del loro completamento;
   b) assunto che le misure assunte finora non sono ancora sufficienti, a prevedere una maggiore semplificazione delle procedure e degli iter, nonché della relazione cittadino/Pubblica amministrazione, stabilendo, eventualmente, forme premiali di diversa natura a quelle amministrazioni con più alto indice di produttività e in ordine con i pagamenti;

4) sul versante degli investimenti pubblici:
   a) ad accelerare la definizione delle procedure necessarie a rendere spendibili le risorse del Fondo Sviluppo e Coesione individuate e messe a disposizione nei «patti per lo sviluppo» già siglati, sia per il livello regionale che locale, oltreché adottare tutti gli atti necessari per il pieno utilizzo di tutte le risorse per gli investimenti finanziati con questa importante leva di sviluppo e coesione territoriale;
   b) ad implementare e potenziare – proiettandolo anche sul bilancio pluriennale per gli esercizi 2018/2019 – il meccanismo individuato nel decreto-legge «Disposizioni urgenti in materia finanziaria e per il contenimento della spesa pubblica, iniziative a favore degli enti territoriali e delle popolazioni colpite da eventi sismici e misure per il rilancio economico e sociale» che utilizza il ruolo delle regioni come soggetti che costituiscono il volano degli investimenti sul territorio permettendo una programmazione pluriennale con risorse certe e qualificando altresì la spesa pubblica;
   c) ad emanare il decreto ministeriale sulla compartecipazione regionale all'IVA applicativo del decreto legislativo n. 68 del 2011 atteso che la norma è dell'anno 2011 (articolo 9, comma 2), così da permettere alle regioni un ruolo attivo nella lotta all'evasione fiscale sull'IVA in collaborazione con le altre istituzioni così come già accade per l'IRAP e per l'addizionale regionale all'IRPEF ai sensi del medesimo decreto legislativo n. 68 del 2011;
   d) a permettere l'utilizzo, per gli enti locali, dell'avanzo di bilancio per investimenti finalizzati al territorio e al miglioramento dei servizi pubblici per i cittadini;

5) ad adottare gli opportuni provvedimenti affinché le regioni virtuose destinatarie del «turismo sanitario» possano recuperare entro tempi celeri i crediti vantati, trattandosi di cifre considerevoli che le regioni medesime potrebbero utilizzare a compensazione dei tagli subìti per garantire la qualità dei servizi erogati e le fasce di popolazione esentate dal pagamento del ticket sui farmaci;

6) nell'ambito dell'emanazione dei provvedimenti attuativi della riforma del catasto, a mantenere l'invarianza di gettito e, dunque, evitare l'aumento dell'imposizione fiscale sulle rendite catastali;

7) con riguardo all'emergenza dei flussi migratori:
   a) ad attivarsi nelle più opportune sedi dell'Unione europea, in difetto di incisive politiche volte a presidiare in modo efficace le frontiere esterne e a fermare il continuo flusso degli arrivi sulle coste italiane, affinché venga aumentata la quota di partecipazione della stessa alle spese per far fronte all'emergenza migratoria in atto rispetto alle risorse stanziate dall'Italia;
   b) ad assumere le più idonee iniziative affinché venga attuata, anche in ambito comunitario, una tempestiva politica di contenimento dei flussi migratori e di contrasto all'immigrazione clandestina, in particolare mediante l'effettivo presidio e controllo delle frontiere marittime, terrestri e aeree, anche con azioni di respingimento, e mediante la destinazione di adeguate risorse, anziché per l'accoglienza, per assicurare invece, anche in un'ottica dissuasiva, l'immediato allontanamento e rimpatrio di tutti gli stranieri irregolari presenti in Italia;
   c) ad impiegare le risorse nazionali destinate al settore immigrazione e accoglienza per programmi ed interventi finalizzati al sostegno economico e reingresso nel mercato del lavoro a favore dei cittadini che si trovano in stato di disoccupazione e grave difficoltà economica a seguito del perdurare della crisi del mercato del lavoro interno;

8) sul lato delle politiche del lavoro:
   a) ad agire in maniera strutturale e permanente sulla riduzione del costo del lavoro, attraverso l'introduzione di una flate rate volta ad uniformare e standardizzare alla media europea il costo del lavoro italiano, e di una tax rate omnicomprensiva che semplifichi in termini burocratici e fiscali il costo medesimo, perseguendo la duplice finalità di aumentare l'occupazione e rendere maggiormente competitivo il nostro sistema produttivo;
   b) a consolidare la decontribuzione sulle assunzioni a tempo indeterminato prevedendo l'applicazione di un'aliquota percentuale crescente nei primi dieci anni di rapporto di lavoro a tempo indeterminato sino ad un tetto massimo corrispondente alla media europea;
   c) ad intervenire sulle retribuzioni salariali agendo sul tasso di meritocrazia e rivedendo i meccanismi di aumento automatici per anzianità, anche valutando di rendere strutturale la detassazione dei premi e del salario di produttività;

9) con riguardo alle politiche sociali della famiglia:
   a) a porre in essere maggiori misure fiscali ad incentivare la natalità attraverso strumenti di sostegno economici strutturali e non una tantum;
   b) a riconoscere quale priorità inderogabile nell'attuazione delle linee politico programmatiche la realizzazione di interventi in materia di servizi socio-educativi per l'infanzia finalizzati ad efficientare il funzionamento del servizio territoriale, la sua diversificazione, flessibilità e capillarizzazione sul territorio secondo un sistema articolato. Sistema cui concorrono il pubblico, il privato, il privato sociale e i datori di lavoro secondo i seguenti principi:
    1) gratuità dei servizi e delle prestazioni;
    2) requisito prioritario della residenza continuativa della famiglia nel territorio in cui sono richiesti i servizi e le prestazioni;
    3) partecipazione attiva della rete parentale alla definizione degli obiettivi educativi e delle scelte organizzative, nonché alla verifica della loro rispondenza ai bisogni quotidiani delle famiglie e della qualità dei servizi resi;
   c) a promuovere l'incremento delle risorse destinate al Fondo Nazionale delle politiche sociali verificandone, inoltre l'equa ripartizione garantendo che in tutte le città italiane vi sia la medesima accessibilità ai servizi;
   d) ad introdurre un sistema fiscale basato sul quoziente familiare, lo splitting o il fattore famiglia;
   e) a promuovere una politica finalizzata a contrastare la crisi demografica introducendo, nei futuri provvedimenti a sostegno della famiglia e della natalità, un criterio volto ad individuare i beneficiari tra i cittadini italiani comunitari e i cittadini extracomunitari che abbiano dimostrato, realmente, di volersi integrare, avendo acquisito secondo i parametri di valutazione fissati dall'accordo di integrazione di cui all'articolo 4-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998 testo unico sull'immigrazione, un punteggio pari ad almeno 30 punti;

10) a prendere immediati provvedimenti, anche attraverso l'utilizzo dello strumento della decretazione di urgenza, a tutela del settore del commercio sulle aree pubbliche, varando norme di carattere speciale, in deroga ai principi generali che derivano dall'applicazione della normativa europea;

11) nell'ambito delle politiche a sostegno del trasporto pubblico locale previste dal programma governativo di medio periodo, a promuovere un'intesa in sede di conferenza unificata, fatte salve le competenze delle regioni, nelle more dell'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, avente ad oggetto una strategia comune di interventi e di investimenti nel settore del trasporto pubblico locale, individuando piani di efficientamento e razionalizzazione delle reti con il duplice obiettivo di innalzare i livelli di sicurezza e di qualità a beneficio dei passeggeri, e, contemporaneamente, contenere la spesa attraverso l'individuazione dei costi standard a livello nazionale;

12) in tema di interventi infrastrutturali prioritari:
   a) ad inserire nella programmazione gli interventi già definiti e cofinanziati da parte delle regioni e degli enti locali;
   b) tra gli interventi considerati prioritari ad assegnare precedenza assoluta alla realizzazione dei collegamenti con gli Stati esteri confinanti, per i quali risultano contratti già in essere e per i quali sono già state ultimate le tratte estere;
   c) a provvedere allo stanziamento, in tempi brevi, delle risorse necessarie per le impellenti attività di monitoraggio e manutenzione della rete stradale e autostradale ormai a rischio in vari punti, come testimoniano i ripetuti crolli di cavalcavia, e a procedere agli interventi di messa in sicurezza antisismica già programmati come quelli relativi ai viadotti delle autostrade A24 e A25, previsti già nella legge di stabilità 2012, ma mai realizzati;
   d) a provvedere allo stanziamento delle risorse necessarie per avviare la redazione di carte di microzonazione sismica che coprano tutte le aree a più elevata pericolosità sismica del Paese;
   e) in considerazione dei tagli di risorse finanziarie già disposti negli ultimi anni per le province e i comuni, a prevedere meccanismi efficaci e sistematici per finanziare la progettazione esecutiva degli interventi infrastrutturali da parte degli enti locali, allo scopo di poter conformarsi a quanto disposto dalla recente riforma del Codice dei contratti pubblici sulla predisposizione dei progetti da porre a base delle gare di appalto;
   f) a provvedere allo stanziamento di maggiori risorse per la riqualificazione urbana e per la sicurezza delle periferie delle città;

13) in tema di agricoltura:
   a) a considerare di mettere in atto misure aggiuntive, rispetto a quelle già adottate nei tre decreti-legge approvati, in favore degli agricoltori e degli allevatori colpiti dal sisma del 2016 e 2017 anche attraverso l'incremento del Fondo di solidarietà nazionale al fine di finanziare gli interventi a titolo compensativo di cui al decreto legislativo n. 102 del 2004;
   b) ad adottare ulteriori atti normativi, oltre a quello emanato per il settore lattiero-caseario, per rendere obbligatoria l'indicazione in etichetta dell'origine delle materie prime utilizzate, a partire dal grano e dal riso, al fine di garantire ai consumatori una informazione esaustiva e completa sulla tracciabilità del prodotto, quale strumento fondamentale per la tutela e la valorizzazione del Made in Italy.
(6-00306) «Fedriga, Guidesi, Simonetti, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini».


   La Camera,
   premesso che:
    siamo in presenza, da un lato, di un DEF del tutto provvisorio in attesa dei risultati della trattativa con la Commissione europea e, dall'altro, di un DEF «finto» perché incorpora nel tendenziale l'incremento delle aliquote Iva per un aumento di gettito di circa 19,5 miliardi. La manovra di conseguenza risulta formalmente di dimensioni modeste;
    a legislazione vigente, la manovra prevista nel 2018 per raggiungere l'obiettivo programmatico è pari a 0,1 per cento del Pil, ossia lo scarto tra il tendenziale (-1,3 per cento), ovviamente inclusivo dell'applicazione delle clausole di salvaguardia, e il programmatico (-1,2 per cento). Quindi, se si lasciassero scattare le clausole di salvaguardia, la manovra correttiva sarebbe leggera. Anzi, dopo l'approvazione del decreto correttivo degli andamenti 2017, sarebbe una manovra espansiva dato che il deficit tendenziale scenderebbe a circa -1 per cento del Pil;
    la manovra diventa pesante in quanto si vogliono disinnescare le clausole di salvaguardia. Dati gli effetti strutturali del decreto correttivo appena emanato, per disinnescare le clausole di salvaguardia sono necessari nel 2018 circa 14-15 miliardi. Altre risorse vanno trovate per finanziare il rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici e per altre spese sempre rifinanziate (ad esempio, le agevolazioni fiscali per autotrasporto, la pesca, ecc...);
    complessivamente, si prospetta, dunque, una manovra pesante che rischia di rallentare la timida crescita del Pil, già condizionata dalla struttura economica del nostro Paese e dalla polarizzazione del reddito;
    le previsioni economiche e di finanza pubblica contenute nel Def sono oltretutto molto ottimistiche, e sostanzialmente smentite dalle previsioni dei principali organismi internazionali (Commissione europea; FMI; Ocse; Consensus Forecasts), essendo il nostro Paese in presenza di fattori di rischio legati allo scenario internazionale (emergere di posizioni protezionistiche da parte degli Usa, intensificarsi di tensioni nello scacchiere geo-politico, esaurirsi della fase di debolezza dell'euro che ha, sinora, favorito le nostre esportazioni), e sostanzialmente effimere, stante l'elevato grado di incertezza che caratterizza, in questa fase, la definizione della politica di bilancio ipotizzata nel Documento;
    l'Ufficio parlamentare di bilancio ha rilevato che: «il quadro programmatico della politica di bilancio è sostanzialmente indefinito», e mancano indicazioni sulle caratteristiche e le dimensioni degli interventi espansivi e di riduzione della pressione fiscale ai quali il Documento accenna;
    siamo di fronte ad un DEF ed a un PNR con indicazioni ambiziose al limite della pura propaganda. C’è qualcosa di profondamente sbagliato quando un governo presenta il più importante documento di finanza pubblica ed annuncia degli obiettivi che sa di non poter e di non voler raggiungere;
    un Documento che ha messo in luce le contraddizioni tra il Governo ed il partito di maggioranza relativa nonché con altre forze della maggioranza che non hanno esitato a scrivere che il DEF è «un testo apocrifo»;
   considerato che:
    nel 60-esimo dei Trattati di Roma, nonostante il clima eccessivamente celebrativo, dovremmo provare a fare un’«operazione verità» sulle condizioni e le prospettive dell'Unione europea e dell'euro-zona;
    l'Ue e l'euro-zona sono su una rotta insostenibile. Gli equilibri sono sempre più precari, puntellati da una politica monetaria di emergenza sempre più mal sopportata da larghi settori del Paese leader. Le condizioni strutturali per una ripresa stabile e significativa, ossia in grado di innalzare quantità e qualità dell'occupazione, non vi sono. Anzi, la fisiologia indotta dai Trattati europei e dal Fiscal Compact è di segno opposto. Siamo invischiati in uno scenario di sotto-occupazione e insostenibilità del debito pubblico;
    la ragione di fondo del quadro anemico è il mercantilismo liberista e la conseguente svalutazione del lavoro dell'impianto dei Trattati e del Fiscal Compact. Il problema non è l'Italia, la Spagna o la Grecia, sempre indietro nel percorso delle «riforme strutturali». Il problema non sono i malati poco responsabili e poco disponibili a somministrarsi l'amara ma efficace medicina. Il Problema è la medicina che aggrava la malattia;
    l'insostenibilità del mercantilismo liberista dell'euro-zona diventa ancora più stringente nel contesto della Presidenza Trump che archivia la funzione di consumatore di ultima istanza svolta dalla fine della II Guerra mondiale dagli Stati Uniti;
    in tale contesto, è estremamente preoccupante il sostegno del Governo italiano alla cosiddetta «Europa a più velocità». Accelerare lungo una rotta insostenibile determina l'anticipazione dell'impatto del Titanic Europa con l’iceberg della sofferenza economica e sociale interpretata da forze politiche regressive;
    è, invece, urgente cambiare radicalmente rotta al fine di rivitalizzare una crescita diffusa e qualificata, buona e piena occupazione, sostenibilità del debito pubblico. Cambiare radicalmente rotta non solo in termini di finanza pubblica, ma nella regolazione degli scambi di merci e servizi (attraverso l'introduzione di standard sociali e ambientali) per proteggere il lavoro e l'ambiente e dei movimenti di capitali (attraverso controlli e limiti), nella politica industriale per l'intervento pubblico discrezionale, nella regolazione del mercato unico, ad esempio attraverso la cancellazione della Direttiva Bolkestein;
    è necessaria la sospensione del Fiscal Compact per realizzare una virata keynesiana a favore degli investimenti pubblici. Una manovra espansiva, rispetto al deficit tendenziale, di almeno mezzo punto di Pil all'anno per un triennio, diretta a progetti di messa in sicurezza del territorio e delle scuole e alla mobilità sostenibile, in stretta interazione con Comuni e Regioni. Gli effetti macro-economici sarebbero molto contenuti sulla nostra bilancia commerciale, dato il carattere labour intensive dei programmi finanziati e comunque largamente sostenibili dato l'ampio surplus dell'Italia. Gli effetti di breve periodo sul debito pubblico sarebbero negativi ma modesti e compensati nel medio periodo da una ripresa robusta e radicata del reddito e dell'occupazione;
    purtroppo, anche il Def 2018-20 conferma la linea mercantilista percorsa dal Governo Renzi negli ultimi anni in un quadro subalterno ai vincoli, impossibili, del Fiscal Compact. Le principali misure di policy hanno tutte il segno supply side, mentre nulla viene indicato in termini di misure restrittive sul versante della spesa e/o delle entrate;
    nonostante il Governo, nel parlare degli indicatori del Benessere equo e sostenibile (BES) si sia compiaciuto per i risultati e i progressi fatti dall'Italia, sostenendo, tra l'altro, che i famigerati 80 euro hanno ridotto le diseguaglianze quando l'ISTAT ha dichiarato proprio il contrario (che quella misura ha favorito le classi medio-alte e non i poveri) il quadro appare francamente scoraggiante, con la continuazione, in piccolo, delle politiche seguite in questi anni. Un po’ di sgravi, una riduzione delle tasse mai attuata, poche risorse finanziarie per i rinnovi dei contratti dei dipendenti pubblici, qualche spicciolo per il welfare e una montagna di privatizzazioni;
    introdurre un BES governativo con 4 indicatori, quando l'ISTAT lo fa con 130, serve a poco e non offre una vera idea del Benessere equo e sostenibile del nostro Paese. Presentare le performance italiane senza alcun paragone con gli altri paesi europei è scientificamente e politicamente inaccettabile: un modo per evitare un confronto per noi impietoso. Affrontare l'indicatore delle diseguaglianze senza trattare il tema della povertà è un modo abile per indorare la pillola. Parlare di indicatori del lavoro prendendo solo la «mancata partecipazione al lavoro», senza citare la precarizzazione e coloro che non cercano più lavoro — è un inno alla parzialità;
   valutato che:
    nel PNR viene confermato l'impegno sulle privatizzazioni, sia pure ridimensionato da 8 a 5 mld l'anno nel triennio (dallo 0,5 allo 0,3 per cento del Pil). Lo strumento dovrebbe essere la cd. «super-Cdp»;
    il Servizio bilancio del Senato «ritiene auspicabile un approfondimento, con indicazioni più dettagliate sulle partecipazioni oggetto di dismissioni, circa la realizzabilità degli introiti attesi dalle privatizzazioni, cifrati pari a 0,3 punti percentuali annui dal 2017, anche alla luce del fatto che, a fronte di una stima del Def 2016 che li stimava pari allo 0,5 per cento del Pil per il medesimo anno, i ricavi effettivamente conseguiti sono stati pari a circa 0,1 punti percentuali di Pil.»;
    un rilievo simile viene dalla Banca d'Italia che in riferimento alle dismissioni osserva come il Def non dà informazioni sulla strategia da seguire in merito: «se si vuole dissipare del tutto l'incertezza occorrerà meglio esplicitare i programmi»;
    complessivamente, il nostro debito pubblico, malgrado la politica di privatizzazioni, la più imponente nell'ambito dell'Unione europea, attuata ad iniziare dal 1990 con le banche di interesse nazionale e a seguire con le industrie pubbliche e con gli immobili pubblici, si è impennato;
    sul versante delle entrate il Def 2017 sembra scontare le inadempienze e i ritardi del precedente premier Renzi nell'affrontare i temi della progressività fiscale e della redistribuzione del reddito ed, in generale, del ricorso ad una diversa politica delle entrate, la cui distorsione sta alla base del costante aumento negli ultimi anni del debito pubblico, ma che sarebbe la sola in grado di garantire enormi margini di recupero di risorse da destinare da un lato al risanamento dei conti pubblici e dall'altro ad un piano di investimenti per la realizzazione di infrastrutture pubbliche, offerta di nuovo welfare, tutela del territorio, etc.;
    il suddetto approccio è peraltro avvalorato dal passaggio, all'interno del documento, che evidenzia il profilo tendenziale delle entrate per il quadriennio 2017-2020 e per il quale non si registrerà alcuna variazione particolarmente significativa per la pressione fiscale, destinata a rimanere stabile. Di contro, l'unico ricorso alla leva fiscale ritracciabile nel documento ed in perfetta continuità con il passato, è quello orientato a sostenere, peraltro in modo iniquo e generalizzato, le imprese, dimostrando come il Governo, con la programmazione fiscale, si ostini a voler perseguire l'obiettivo di una maggiore competitività dei costi, anziché da un'efficace, efficiente ed equa allocazione delle risorse e dei fattori produttivi, perseguendo una strategia del tutto coerente alla linea liberista delle istituzioni europee, che punta sulla competitività dei costi per far ripartire la produzione, ma che ha già in passato dato prova della sua inefficacia in termini di aumento di crescita economica ed occupazione;
    la conferma di tale strategia si evince anche dalla considerazione che il tanto sbandierato taglio delle aliquote Irpef, che il precedente Governo puntava a realizzare entro la legislatura, è scomparso dal cronoprogramma delle riforme: il PNR, viceversa, indica come cruciale il taglio del cuneo fiscale per ridurre il costo del lavoro ed aumentare parallelamente il reddito disponibile dei lavoratori, un impegno però condizionato dalla sua compatibilità con gli obiettivi di bilancio;
    altro obiettivo dichiarato nel PNR, questa volta orientato ad una maggiore equità del prelievo fiscale e ad una redistribuzione del reddito, è quello, insieme all'aggiornamento del patrimonio informativo catastale, di una revisione delle cc.dd. tax expenditures ovvero l'insieme delle detrazione, deduzioni e crediti d'imposta che consentono al contribuente, in sede di dichiarazione dei redditi, di sottrarsi parzialmente all'eccessiva pressione fiscale abbattendo sensibilmente il totale dell'imposta dovuta. Ma la galassia delle tax expenditures contempla voci di agevolazioni la cui quota maggiore si concentra su casa e famiglia, come le spese per mutui, sanità, assegno di mantenimento, erogazioni liberali etc., pertanto la loro revisione si tradurrà in un inesorabile aumento della pressione fiscale;
    in più passaggi del Def 2017 il Governo ricorda che pende ancora sui conti pubblici la parte non sterilizzata delle cc.dd. clausole di salvaguardia (nel 2017 per 15,1 miliardi di euro e nel 2018 per 19,6 miliardi di euro) cioè quegli aumenti di IVA ed accise messe a garanzia di provvedimenti risalenti al 2014 e 2015, sostanzialmente finanziati a debito (Jobs Act, incentivi per l'assunzione del lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, bonus 80 euro, abolizione della TASI sulla prima casa) ma che, se non disinnescate in tempo, imporrebbero il programmato aumento dell'IVA, lo spettro di una trappola in grado di deprimere la domanda con pesanti conseguenze sulla produzione di beni e servizi e sull'intera economia;
    grande assente all'interno del PNR è una strategia organica per la riduzione strutturale dell'evasione fiscale, anche se è condivisibile la strada fin qui battuta dal Governo di volersi affidare alla tecnologia per aumentare la compliance, piuttosto che puntare sulla repressione dell'evasione ormai consumata. Anche i positivi risultati in termini di gettito della voluntary disclosure, dello split payment (rispetto al quale il Governo punta dal 2017 ad una sua estensione anche alle aziende controllate direttamente o indirettamente dallo Stato o dagli Enti pubblici territoriali e le società quotate in Borsa) e del reverse charge, non sembrano suggerire al Governo modifiche sostanziali in materia di lotta ai paradisi fiscali e di riorganizzazione dei pagamenti IVA;
    il PNR, nel tracciare una rassegna delle disposizioni emanate negli ultimi anni per il sistema creditizio, sembra sottovalutare il fatto che il problema principale che da anni affligge il settore, è rappresentato da quella imponente massa di crediti deteriorati o incagliati (cosiddetti NPL) detenuta dalle banche italiane, che pesando sui loro bilanci rende difficile l'erogazione di nuovi prestiti e quindi il finanziamento dell'economia reale;
    malgrado il suddetto contesto preconizzasse il rischio di una crisi sistemica del settore, il Governo pro tempore, ne ha colpevolmente ed irresponsabilmente sottovalutato la portata, gestendola con logica emergenziale, disponendo una serie di interventi (di cui ai decreti legge n. 3 del 2015, n. 18 e n. 59 del 2016), presentandoli come una riforma complessiva ed organica del settore, che sostanzialmente hanno lasciata invariata l'incidenza dei NPL sui bilanci delle banche italiane ed alterato significativamente, compromettendolo, il quadro di tutele giuridiche e costituzionali di riferimento, con immaginabili e deleterie ricadute per i risparmiatori e per la tenuta dell'intero sistema;
    benché l'analisi del Governo converga spesso sulla necessità di maggiori Investimenti fissi, si programma un'ulteriore riduzione degli investimenti pubblici (dal 2,1 del 2016 al 2,0 per cento del PIL nel 2020). Tale impostazione, purtroppo, risulta coerente con le privatizzazioni programmate (1,2 punti di PIL nel quadriennio, ovvero 5 miliardi di euro all'anno) e la riedizione di molti incentivi generalizzati alle imprese, pur essendo ormai riconosciuto da tutti – compreso il MEF – che l'ingente numero di risorse erogate al mercato abbia restituito solo una minima parte di investimenti, innovazione e occupazione all'economia reale;
    si esaltano i 47 miliardi del piano di investimenti da qui al 2032. In 15 anni rappresentano lo 0,2 per cento del Pil (3,133 miliardi l'anno). Uno spot che ci si poteva risparmiare;
    per la spesa in conto capitale le previsioni tendenziali del DEF mostrano un andamento complessivamente decrescente nel periodo 2017-2020: a fine periodo l'aggregato si attesta su un valore pari a 56,7 miliardi, inferiore di circa 1 miliardo rispetto al valore previsto per il 2017. L'andamento descritto viene confermato dalla dinamica della spesa in termini di PIL, che dal 3,4 per cento del 2017 scende al 3,0 per cento nel 2020. Si determinano peraltro valori più elevati nel 2018 e nel 2019, che mostrano un'incidenza della spesa in conto capitale rispetto al PIL, rispettivamente, del 3,5 per cento e del 3,3 per cento;
    anche il piano Juncker, sbandierato tre anni fa come il toccasana della crescita, con investimenti per i quali era prevista una leva 1:15, è sostanzialmente fallito. A fronte di soli 21 miliardi — sottratti in gran parte ad altri capitoli di spesa o forniti dalla BERS – si sarebbero dovuti ottenere ben 315 miliardi di investimenti dai privati. Un flop del velleitario piano Juncker prevedibile (e previsto da Sinistra italiana). In controluce sembra proprio che l'OCSE sostenga che è illusorio contare sugli investimenti privati per rilanciare la domanda;
    il piano industria 4.0, che prevede una serie di incentivi volti alla diffusione di tecnologie digitali nel sistema produttivo, può costituire un utile mezzo volto alla crescita della competitività e dello sviluppo del sistema produttivo italiano. Generalmente ci si riferisce ad una serie di cambiamenti nei modi di produzione di beni e servizi che porterà inevitabilmente anche un profondo cambiamento nei rapporti di produzione, tra datore di lavoro e lavoratore;
    l'azione di un Governo responsabile non può limitarsi a fornire incentivi spesso calati «a pioggia» senza un'opera «di accompagnamento culturale» come precondizione necessaria perché le tecnologie digitali e il loro utilizzo si diffondano oltre gli attuali confini e producano effetti sistemici e rivoluzionari, non a scapito esclusivamente della forza lavoro, attraverso la sua drastica diminuzione;
    i temi della coesione, del riequilibrio territoriale e del Mezzogiorno nel DEF vengono affrontati enfatizzando immotivatamente i risultati relativi ai dati sulla chiusura del primo ciclo di programmazione 2007-2013, per il quale come osserva la UIL nell'audizione svolta «è stata fatta una corsa disperata per evitare di perdere risorse», anche se tale «corsa disperata» non ha dato tutti i frutti sperati in quanto sussiste ancora il rischio di desertificazione per una quota di circa un miliardo di euro, più precisamente 972 milioni relativi al PON Ricerca, poiché ai sensi dell'articolo 95 del Reg. (CE) 1083/06 ne è stata richiesta la sospensione. Senza considerare che la stragrande maggioranza dei singoli progetti finanziati, soprattutto al Sud, sono relativi a interventi micro-settoriali, di scarso impatto sullo sviluppo reale delle aree più bisognose, e che configurano obiettivi qualitativi che non danno la certezza di validi risultati nel medio periodo;
    nel DEF si accenna a misure di riequilibrio territoriale incentrate sui fondi strutturali, ai cosiddetti «patti per il sud», che dovrebbero collocare gli interventi in un quadro più coerente, e alla definizione di una Strategia per le Aree Interne rivolte ad invertire nel prossimo decennio il calo demografico in 68 aree pilota che comprendono 1.043 Comuni. È evidente l'inadeguatezza delle misure previste e delle risorse finanziarie stanziate rispetto alla complessità delle questioni che intervengono nei processi di abbandono territoriale. Ad infrastrutture, trasporti, difesa del suolo e ricerca sono destinati appena 2,6 miliardi l'anno. Concorre a determinare un sostanziale stallo degli interventi il tentativo del Governo di centralizzare a Palazzo Chigi la gestione delle risorse e delle competenze, peraltro in un quadro di dubbia costituzionalità. Il riferimento in questo contesto è alla struttura di missione «Casa Italia» che, sovrapponendosi alle Regioni, rischia addirittura di ritardare l'implementazione del Piano nazionale contro il dissesto idrogeologico, la cui attuazione è invece di primario rilievo per il recupero territoriale delle aree interne e l'incremento dell'occupazione. Noi di sinistra italiana insisteremo nel ripresentare in questo documento di programmazione interventi volti alla messa in sicurezza del nostro territorio, perché oggi non possiamo più continuare semplicemente e solamente a tamponare le emergenze a tragedia avvenuta;
    nonostante le politiche specificatamente rivolte al Mezzogiorno esplicitate dal Masterplan per il Sud a partire dal 2015, implementato nel 2016 con una assegnazione supplementare da parte del CIPE di 13,4 miliardi di euro a valere sul Fondo di Sviluppo e Coesione (FSC) e l'emanazione nel 2017 del Decreto Mezzogiorno che prevede interventi urgenti per occupazione, ambiente, risanamento dell'Ilva, incremento del Fondo per le non autosufficienze, i risultati positivi e, soprattutto, qualitativamente significativi, non si vedono;
    nel Mezzogiorno il tasso di occupazione cresce complessivamente dello 0,9 per cento in un anno, meno tuttavia rispetto al Nord (+1,1 per cento) e ancora del 2,6 per cento sotto il livello raggiunto nel 2008. Rimangono poi estremamente accentuati i divari territoriali: nel Centro-Nord sono occupate 6 persone su 10, mentre nel Mezzogiorno il loro numero cala a 4 su 10. Il tasso di disoccupazione cresce solo al Sud, in concomitanza inoltre con una forte diminuzione del numero degli inattivi e in costanza di un continuo, incessante spopolamento del Meridione a causa del manifestarsi di un inarrestabile e crescente fenomeno di emigrazione specie di giovani laureati e diplomati, per cui i divari relativi di disoccupazione nei territori nazionali si ampliano: i disoccupati crescono al 19,6 per cento al Sud e scendono al 7,6 per cento al Nord;
    un recente studio dello SVIMEZ rivela inoltre che se l'introduzione del principio di riequilibrio territoriale nelle spese in conto capitale, tardivamente anche se meritoriamente previsto nel Decreto Mezzogiorno quest'anno, fosse stato applicato nel 2008, all'inizio della crisi, la perdita di PIL e occupazione al Sud sarebbe risultata dimezzata rispetto a quella effettivamente subita e senza ulteriori e significativi impatti negativi sull'intera economia del Paese. Come a certificare, secondo il detto popolare, che ora «si chiude la stalla quando i buoi sono scappati»;
    l'Istat ha rilevato che 4,6 milioni di persone nel nostro Paese sono in condizione di povertà assoluta e più di 8 milioni sono quelle in condizione di povertà relativa, mentre ancora una volta la scelta del Governo è quella di un intervento parziale e neanche esaustivo nei confronti delle famiglie in povertà assoluta senza prevedere alcun intervento strutturale di reddito minimo a livello europeo, previsto dall'articolo 34 della Carta di Nizza, ma anche dal Pilastro europeo dei diritti sociali;
    il tasso di occupazione è rimasto poco sopra il 50 per cento, fra i più bassi d'Europa. Se i lavori a chiamata e intermittenti sono aumentati del 2,5 per cento, quelli in somministrazione del 13 per cento, più in generale, nel 2016, abbiamo nuovi impieghi a tempo indeterminato che superano di poco il 20 per cento, mentre quelli a tempo determinato sfiorano il 65 per cento (con un aumento di oltre il 10 per cento fra i giovani), secondo la nota trimestrale sulle tendenze dell'occupazione resa pubblica il 30 marzo dall'Istat. In particolare si è assistito al boom dei voucher cresciuti in un anno di quasi il 25 per cento, superando abbondantemente il tetto dei 30 milioni nell'ultimo trimestre dell'anno passato;
    il Governo Renzi con la distribuzione a pioggia di 21 miliardi di sgravi e bonus fiscali non ha ottenuto altro risultato se non quello di aumentare la diseguaglianza economica che secondo l'Ocse, in Italia dagli anni ’80 è cresciuta del 33 per cento (il dato più alto fra i paesi Ocse). Nel 2016 i sette italiani più ricchi hanno una ricchezza pari ai 20 milioni più poveri. L'1 per cento detiene il 25 per cento del reddito nazionale e il 20 per cento delle persone più ricche possiede più di quanto detenuto dal 67 per cento della popolazione. Questa forbice è il prodotto di chiare scelte politiche: la detassazione delle grandi eredità; la detassazione della prima casa anche per i più abbienti; un sistema fiscale che penalizza lavoratori autonomi;
    quello che si prospetta, quindi, è una massa di working poors destinati a sopravvivere, a causa dell'ulteriore precarizzazione e dei bassi oneri contributivi associati al loro sfruttamento, con una pensione ben al di sotto della soglia di sussistenza, se mai saranno in grado di averla;
    nelle premesse al Documento il Governo esibisce come risultato della inversione di tendenza in materia occupazionale una crescita degli occupati di circa 734 mila unità, una contrazione del numero degli inattivi, la riduzione del tasso di disoccupazione e del ricorso ai trattamenti di cassa integrazione. Nessuna rilevanza viene attribuita, invece, al fatto che l'INPS ha segnalato che nel 2016 vi è stato un calo delle assunzioni, nel settore privato, incluse le assunzioni stagionali, di 464.000 unità rispetto al corrispondente periodo del 2015 (-7,4 per cento). Il rallentamento delle assunzioni ha riguardato principalmente i contratti a tempo indeterminato (pari a -37,6 per cento). Come lo stesso INPS ha sottolineato, la riduzione va collegata all'abbattimento integrale dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro per un periodo di tre anni per le assunzioni effettuate nel 2015. Come in molti avevamo denunciato, dunque, finiti gli incentivi è finito il vantaggio ad assumere, specie a tempo indeterminato, a riprova del sostanziale fallimento del Jobs Act;
    quello che il Documento di Finanza tace, inoltre, è che l'aumento complessivo dei contratti a tempo indeterminato rispetto a inizio 2015, non ha riguardato i giovani. La frattura generazionale, anzi, complice le rigidità della legge Fornero che ha allungato l'età pensionabile, si è allargata: in 23 mesi il numero di ultracinquantenni al lavoro in Italia è cresciuto di 690mila unità. I nuovi posti per i ragazzi tra i 14 e i 25 sono stati invece solo 36mila. E se da un lato vi è stata una crescita del numero di chi è tornato a cercare un impiego, dall'altro il 2016 ha segnato un nuovo record di oltre 100.000 giovani italiani che hanno abbandonato il proprio paese per andare a trovare fortuna all'estero;
    il DEF insiste, infine, sul tema delle politiche attive del lavoro, la seconda gamba del Jobs Act, ma a parte i ritardi accumulati, quanto viene scritto ha un aspetto propagandistico, perché vi sono problemi strutturali che non ci si cura di affrontare. Basti pensare che oltre il 70 per cento dei lavoratori dell'agenzia nazionale delle politiche attive (Anpal) sono precari con contratti a tempo determinato e collaborazioni, che hanno cominciato a scadere da marzo. Proprio loro che dovrebbero coadiuvare i centri per l'impiego (anch'essi popolati da almeno 2 mila precari) i disoccupati e i precari a trovare un lavoro o ad affrontare i programmi di ricollocazione, sono dei precari a loro volta;
    per quanto concerne il settore previdenziale, il Documento di Finanza si limita a richiamare gli interventi realizzati dal Governo con la legge di bilancio per il 2017, che sostanzialmente si riducono all'introduzione dell'APE, per applicare la quale dovranno essere superati ancora molti problemi e dalla quale tanti sono i soggetti esclusi. Si tratta peraltro di una misura la cui natura è solo secondariamente previdenziale, trattandosi di un prestito che verrà fatto pagare a pensionandi già impoveriti – considerata peraltro le ridotte risorse stanziate per l'APE sociale e i requisiti per averne diritto che consentiranno l'accesso a un ridotto numero di lavoratori;
    nessun riferimento o intervento viene invece previsto per risolvere i problemi determinati dall'ultima e inutile riforma delle pensioni del 2011 con la legge Fornero, che ha prodotto dannose conseguenze sociali e occupazionali e di contro ha contribuito solo per un terzo ai risparmi che sono venuti a determinarsi, pari ad una riduzione cumulata dell'incidenza della spesa previdenziale di circa 60 punti percentuali del PIL fino al 2050, dai complessivi interventi che si sono susseguiti dal 2004;
    vi è l'esigenza di una forma di previdenza complementare pubblica presso INPS che determini maggiori entrate attraverso i contributi volontari con miglioramento dei bilanci dell'INPS e dello Stato per svariati miliardi con la possibilità di utilizzare le risorse per lo sviluppo economico del Paese, mentre oggi la previdenza complementare privata investe gran parte delle risorse in titoli stranieri;
    nel Documento il Governo, alla sezione del PNR 2017 afferma, in generale, che «il completamento e l'attuazione della riforma della Pubblica Amministrazione entro l'anno è un obiettivo chiave del Governo poiché da essa dipendono un migliore ambiente imprenditoriale, maggiori investimenti e la crescita della produttività»;
    alle dichiarazioni contenute nel DEF non corrispondono, tuttavia, dei cambi di direzione che vadano nella direzione di migliorare la grave situazione nella quale versa la Pubblica Amministrazione a causa dei continui tagli lineari alle risorse e alle assunzioni. Il DEF riporta che l'incidenza della spesa per prestazioni di lavoro pubblico è calato al 9,8 per cento del prodotto interno lordo nel 2016, contro il 10,9 per cento registrato nel 2009, per l'effetto congiunto dei provvedimenti volti a contenere le retribuzioni e di quelli che hanno limitato il turn over nelle pubbliche amministrazioni. Il blocco del turn over nel pubblico impiego, tuttavia, non ha prodotto una razionalizzazione efficace e un miglioramento dei servizi e delle prestazioni ma è stata semplicemente una delle voci ragionieristiche di spending rewiew i cui effetti si sono rilevati catastrofici per i lavoratori e per i cittadini;
    anche sul fronte dei rinnovi contrattuali nel settore del pubblico impiego, sui quali è stato raggiunto l'accordo lo scorso novembre tra Governo e sindacati, il Documento di economia e finanza non reca precise indicazioni circa le risorse necessarie per finanziarli e questa mancanza è davvero grave;
    quelli della formazione scolastica ed universitaria sembrano essere temi sfuggenti nell'ambito del Def 2017. Per entrambi, infatti, il PNR non indica nuove misure da adottare limitandosi a ricapitolare da un lato l'adozione dei provvedimenti di attuazione della legge n. 107 del 2015 (c.d. Buona Scuola) e dall'altro gli stanziamenti, peraltro del tutto insufficienti e non risolutivi per entità e destinazione, previsti dalla legge di bilancio 2017 per l'aumento dell'organico dell'autonomia, per la contribuzione studentesca, il diritto allo studio, l'orientamento ed il tutorato, il finanziamento delle attività di ricerca di base e dei dipartimenti universitari di eccellenza;
    con riferimento all'istruzione, il PNR 2017 si limita ad evidenziare che nei sei ambiti di azione che costituiscono gli assi portanti sui quali è basata la strategia da attuare nell'intervallo annuale che ci separa dal prossimo PNR, insieme alle politiche attive per il lavoro, vanno stimolate le competenze (attraverso l'apprendistato e l'alternanza scuola-lavoro), per ridurre il mismatch con il mercato del lavoro, a riprova che il Governo persiste nell'ottica, profondamente regressiva e limitativa, che tende a considerare la scuola ed i luoghi della formazione come esclusive interfacce del mondo del lavoro;
    eppure da oltre un decennio gli interventi normativi relativi all'istruzione ed all'università hanno avuto come unico fattore denominatore la logica della riduzione dei costi e del pareggio di bilancio, attuata con tagli indiscriminati alle risorse, sia umane che economiche, e con una quota di finanziamenti complessivi erogati pari all'1,1 per cento del PIL, contro il 2 per cento destinato in media dagli altri Paesi europei: un dato che ci colloca agli ultimi posti della classifica OCSE e capace di evocare lo spettro di una strisciante desertificazione culturale, scientifica e tecnologica;
    il primo grave colpo alla scuola pubblica, a cui non è stato ancora posto rimedio neanche con la riforma della Buona scuola, è stato inferto dalla legge finanziaria per l'anno 2009, che ha rivisto l'assetto ordinamentale e didattico del sistema scolastico italiano, attraverso un aumento del numero degli alunni per classe, la riduzione del personale docente ed amministrativo, l'accorpamento delle classi di concorso, la revisione dei curricula e degli orari delle discipline: un'operazione che, attraverso il taglio di 140.000 posti di lavoro e più di 8 miliardi di euro di finanziamenti, ha minato irrimediabilmente il sistema dalle fondamenta;
    precondizione essenziale ed imprescindibile per risanare il sistema d'istruzione italiano è la stabilizzazione di quell'esercito variegato di precari storici che negli ultimi decenni, con abnegazione e grande spirito di servizio, hanno consentito al sistema di funzionare nonostante tutto, in una girandola di incarichi che non può non incidere negativamente sulla continuità didattica e sui livelli di apprendimento degli alunni. Anche in quest'ambito fino ad oggi si sono avvicendati una serie di interventi normativi privi di una visione sistemica ed in grado di mettere ordine e di far uscire il sistema scolastico dalla palude del precariato storico;
    il fenomeno del precariato compromette la qualità complessiva della scuola e potrà essere pienamente superato solo attraverso una più articolata ad autonoma organizzazione del lavoro scolastico, rendendo immediatamente disponibili per l'immissione a tempo indeterminato, tutti i posti attualmente coperti con incarico annuale, sia per posto comune che per sostegno, avviando, in prospettiva, un piano pluriennale di stabilizzazioni e garantendo, inoltre, un costante equilibrio tra immissioni dalle graduatorie e nuovo reclutamento;
    pur avendo la precarietà abitativa numeri impressionanti nel nostro Paese, nel DEF 2017 non si trova traccia di alcun intervento o programma in merito; non si fa neanche menzione di interventi volti a correggere l'ultima legge di bilancio che ha azzerato il fondo contributo affitto di cui all'articolo 11 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, e ridotto il fondo morosità incolpevole dai circa 60 milioni di euro del 2016 ai 37 milioni di euro del 2017;
    la spesa sanitaria è prevista in diminuzione dal 2018 a partire dal 2019 dal 6,5 per cento al 6,4 per cento del Pil non garantendo risorse sufficienti per l'applicazione uniforme su tutto il territorio nazionale dei Lea, mentre il Censis ha rilevato che sono 11 milioni gli italiani che hanno dovuto rinunciare a prestazioni sanitarie nell'ultimo anno;
    il Governo tende, a partire dalla legge di stabilità 2016, a finanziare le mutue sostitutive del SSN tramite il cd. «welfare aziendale» depotenziando l'articolo 32 della Costituzione in materia di diritto alla salute;
    senza investimenti adeguati che non si fermino alla sola stabilizzazione delle risorse come previsto dal Def 2017, il trasporto pubblico non può essere in grado di mettersi al livello degli standard europei; la Commissione europea, aveva sottolineato come gli investimenti in infrastrutture di trasporto abbiano subito riduzioni dall'1,6 per cento del PIL nel 2006 allo 0,5 per cento nel 2013 con una bassa qualità del trasporto. Lo stesso trasporto ferroviario è soggetto a proteste periodiche da parte dei pendolari. Il trasporto pendolare diventa così il paradigma sul quale testare la volontà del Governo in materia di trasporto pubblico;
    il Governo dichiara di essere in grado di sottoporre alla consultazione pubblica e all'approvazione entro il 2017 la nuova Strategia Energetica Nazionale (SEN) che dovrà costituire il quadro di riferimento per l'attuazione degli obblighi derivanti dall'Accordo di Parigi sul clima e per ridefinire il ruolo del settore nell'ambito della crescita sostenibile del Paese. In questo contesto vengono declinate nel Programma Nazionale di Riforma una serie di azioni rivolte a ridurre i costi energetici per le imprese, a incrementare l'efficienza nell'impiego delle risorse, a migliorare la sicurezza dell'approvvigionamento energetico nazionale;
    per interpretare più efficacemente la reale strategia energetica del Governo bisogna in realtà rintracciarne l'orientamento in un altro capitolo del Programma Nazionale di Riforma, laddove si delineano gli interventi in materia di concessioni pubbliche, in particolare per quanto concerne le concessioni relative alla ricerca, all'estrazione e allo stoccaggio di idrocarburi liquidi e gassosi. Nel prossimo quadriennio scadranno 130 concessioni già in essere e il Ministero dello Sviluppo Economico, con il decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 3 aprile, ha già chiaramente definito una strategia rivolta a potenziare le estrazioni di fonti fossili, anche agendo in deroga al divieto di estrarre nella fascia di 12 miglia dalla costa e concedendo alle imprese già titolari di diritti estrattivi di variare il programma concessorio con l'installazione di nuovi impianti;
    una politica per l'energia che si sostanzia pertanto in un'evidente ambivalenza, che vede il Presidente del Consiglio a più riprese avventurarsi in dichiarazioni che intendono collocare l'Italia nella fascia più avanzata dei paesi europei, quando invece dal Governo giungono segnali di orientamento opposto, con gli interventi riduttivi già operati sugli incentivi per le fonti rinnovabili e con il rilancio, di fatto, di politiche rivolte all'incremento dell'estrazione e dell'impiego di fonti fossili;
    l'Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici e l'Agenda 2030 dell'Onu che reca 17 obiettivi per uno sviluppo sostenibile, rappresentano una sfida e un impegno che devono entrare nell'agenda politica ed economica del Governo;
    nel Def 2017 non viene presa in considerazione la riallocazione dei sussidi ecologicamente dannosi (di cui al relativo Catalogo reso disponibile dal febbraio scorso dal Ministero dell'Ambiente), pari a circa 16 miliardi annui, e destinabili a nuovi interventi sostenibili per l'avvio della strategia di raggiungimento degli obiettivi di COP 21 con importanti benefici sia sul versante dell'abbattimento della CO2 che sul versante occupazionale, con un aumento stimato di circa 200.000 ULA anno;
    attualmente il settore agroalimentare mantiene un'interessante vivacità nelle esportazioni che testimonia le potenzialità di sviluppo del comparto, in prospettiva trainante per la ripresa economica e per l'immagine dell'Italia nel mondo. Il Governo richiama nel DEF gli sgravi fiscali introdotti a favore dell'agricoltura con la Legge di Stabilità per il 2017, la recente legge di contrasto del caporalato e la necessità di dare attuazione alle deleghe conferite dal Parlamento per la riforma della normativa di settore;
    non compare invece nel DEF alcun riferimento alle gravi crisi settoriali che stanno interessando il comparto agricolo e minando la sua capacità di fronteggiare le sfide della competizione internazionale. Il riferimento va in particolare al comparto del latte, dell'allevamento zootecnico e alle aziende cerealicole, con la grave crisi di redditività che ha interessato queste produzioni di primario rilievo nel corso del 2016 e il conseguente incremento delle importazioni;
    nella Strategia per lo Sviluppo Sostenibile, alla quale si accenna nel DEF, non trovano una adeguata collocazione gli interventi per la tutela e la valorizzazione delle aree naturali protette. È noto che la maggioranza ed il Governo sostengono il disegno di legge di riforma del settore (A.C. 4144), già approvato al Senato e attualmente in discussione alla Camera dei deputati, che ha incontrato la ferma opposizione di gran parte delle associazioni ambientaliste, anche a seguito del tentativo di condizionare ulteriormente la governance dei parchi con interessi localistici;
    nessuna novità contiene il DEF in materia di immigrazione e questo costituisce una grave mancanza. Il Documento si limita a ricordare che la realizzazione dei piani UE di ricollocamento non ha dato luogo agli esiti attesi, ma che l'Italia continuerà a realizzare nuovi centri hotspot, anche tramite strutture mobili in mare;
    il recente decreto-legge n. 13 del 2017 ha persistito in una prevalente ottica repressiva del fenomeno, con l'accentuazione degli strumenti di rimpatrio forzoso, attraverso alcune modifiche di dettaglio della disciplina del rimpatrio, ma, soprattutto, con la decisione di dare inizio all'apertura di numerosi nuovi centri di detenzione amministrativa in attesa del rimpatrio (ora chiamati Centri di permanenza per i rimpatri, invece che CIE);
    da anni risulta chiaro, invece, come un sistema efficiente di rimpatri non possa basarsi solo sull'esecuzione coattiva degli stessi, ma debba, in primo luogo, riformare le norme in materia di ingresso e soggiorno, aprendo canali di ingresso regolare diversi da quello, ora quasi unico, della protezione internazionale, così dando maggiore stabilità ai soggiorni, oggi resi precari da disposizioni eccessivamente rigide, riducendo così il ricorso all'allontanamento per ipotesi limitate e comunque incentivando i rimpatri volontari, con strumenti normativi e finanziari specifici;
    secondo i dati contenuti nel Rapporto annuale dell'Alleanza atlantica presentato nel marzo scorso la spesa per la Difesa nel 2016 in Italia è aumentata del 10,63 per cento rispetto all'anno precedente e si è attestata sull'1,11 per cento del Pil quando nel 2015 la spesa era stata pari all'1,01 per cento. Quello del 2016 è il primo aumento della spesa da oltre un decennio. Raggiungere l'obiettivo del 2 per cento del Pil in spese per la Difesa come chiesto da Donald Trump per non «moderare» l'impegno degli Usa nell'Alleanza Atlantica, rappresenterebbe un conto da oltre 96 miliardi di dollari in più all'anno per i 22 paesi della Ue che fanno anche parte della Nato. All'Italia spetterebbe un aumento di 0,9 punti di Pil che corrispondono a circa 20 miliardi. Nel recente incontro a Washington Trump ha rinnovato, al nostro Presidente del Consiglio, la sua richiesta di aumento delle spese militari dando seguito alla propria politica che da un lato punta ad incentivare le spese militari interne, accentuando le proprie politiche di «gendarme del mondo» e dall'altro punta a chiede un maggior coinvolgimento degli alleati nella Nato pretendendo dagli stessi un aumento delle spese per il mantenimento della struttura. Su tale nefasta prospettiva, in netta controtendenza e in contrasto rispetto alle politiche volte alla crescita, all'uscita dalla crisi, alla lotta alla povertà e all'aumento dell'occupazione, il Governo italiano non si pronuncia,

impegna il Governo

1) per quanto concerne le privatizzazioni:
   ad evitare ulteriori privatizzazioni dirette o indirette (via Cassa Depositi e Prestiti) di asset pubblici per fare cassa, comunque irrilevanti ai fini della sostenibilità del nostro debito pubblico;
2) per quanto concerne la politica in Europa:
   ad intervenire con forza, in tutte le sedi europee, al fine di una radicale riscrittura dei Trattati europei, rimuovendo le disposizioni pro-cicliche, come quelle contenute nel Fiscal compact, scorporare la spesa per investimenti dal calcolo del saldo strutturale e in assenza di tale riscrittura, porre, assolutamente il veto all'inserimento del Fiscal compact nei Trattati europei;
   a richiedere la mutualizzazione dei rischi del Quantitative Easing e l'introduzione, a livello europeo, di politiche di bilancio di compensazione dei disallineamenti dei cicli economici dei vari Stati membri, esattamente come accadrebbe in una unione monetaria completata dall'unione politica;
   ad ottenere l'emissione di eurobond e project bond, per finanziare e promuovere l'occupazione, in particolare quella giovanile, e la riconversione ecologica del sistema produttivo europeo;
   ad assumere le opportune iniziative normative al fine di cancellare le modifiche agli articoli 81, 97 e 119 della Costituzione, apportate dalla legge costituzionale n. 1 del 2012, al fine di eliminare il principio dell’«equilibrio di bilancio» e di garantire la salvaguardia dei diritti fondamentali, come richiesto dalla nostra Corte costituzionale e nel contempo sospendere, per un triennio, l'applicazione del Fiscal Compact concentrando le risorse aggiuntive sul sostegno selettivo alla domanda interna, quindi investimenti pubblici nei seguenti ambiti: piano nazionale per il contrasto al dissesto idrogeologico, piano straordinario per il lavoro per un Green New Deal, riconversione ecologica dell'economia, programma straordinario di piccole opere a partire dalle zone sismiche e dall'eliminazione dell'amianto;
   a prevedere che le stime del BES – sui dati ISTAT – siano elaborate da un istituto indipendente, sul modello e la natura dell'Ufficio Parlamentare di Bilancio, che non sia influenzabile dall'esecutivo di turno al fine di evitare omissioni, manipolazioni e strumentalizzazioni;
3) per quanto riguarda la politica fiscale:
   a modificare la propria politica dei redditi, ricorrendo alla leva fiscale al fine di far emergere le diverse capacità economiche dei contribuenti, di sostenere lo sviluppo, di redistribuire il reddito e di contrastare l'evasione fiscale ed il lavoro sommerso, attraverso:
    l'introduzione di un'imposta sui grandi patrimoni e la rimodulazione delle aliquote dell'imposta sulle successioni e donazioni;
    l'allargamento della base imponibile dell'imposta sulle transazioni finanziarie (c.d. Tobin tax), estendendola alle azioni, alle obbligazioni (tra cui i Titoli di Stato scambiati sul mercato secondario) ed a tutti gli strumenti derivati;
    l'introduzione nell'ordinamento giuridico della c.d. web-tax;
    l'accentuazione della progressività fiscale dell'IRPEF con la previsione di un'ulteriore aliquota per lo scaglione di redditi oltre i 100.000 euro;
    l'assoggettamento alla TASI degli immobili di pregio adibiti ad abitazione principale;
    revisione della tassazione IMU per gli enti ecclesiastici;
    l'aumento delle royalties sull'estrazione di idrocarburi;
    l'aumento della tassazione sul porto d'armi e la vendita d'armi;
    la reintroduzione della tassa di stazionamento sulle unità da diporto;
     l'abolizione del regime fiscale di favore per attrarre capitali stranieri (c.d. flat tax);
    l'inasprimento delle pene attualmente previste per il reato di falso in bilancio;
    la conclusione dell'iter di revisione delle rendite catastali;
    il ripristino, con effetto per i periodi d'imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2017, dell'aliquota nominale dell'IRES di misura pari al 27,5 per cento;
   a sostenere la domanda ed i consumi anche attraverso la sterilizzazione degli aumenti dell'IVA per 19,5 miliardi;
   ad adottare un piano di smaltimento dei non performing loans che si basi sull'acquisizione da parte di un fondo pubblico dei crediti deteriorati con garanzia reale, al fine di destinare ad uso sociale gli immobili sottostanti;
   ad adottare ulteriori politiche relative al sistema del credito tali da garantire in maniera assoluta le tutele giuridiche e costituzionali relative alle ricadute per i risparmiatori e per la tenuta dell'intero sistema economico;
4) per quanto riguarda il rilancio degli investimenti pubblici:
   a cambiare rotta ed utilizzare un punto di Pil rispetto al tendenziale, che oggi è intorno al 2,5-2,6, e arrivare al 3,6 per fare politiche pubbliche di investimento in particolare per la messa in sicurezza del paese e per l'ambiente e dare una scossa a questo Paese. Il nostro debito pubblico è alto ma anche altri paesi, tra l'altro Spagna e Francia, hanno in questi anni sforato il rapporto deficit/PIL senza che questo creasse nessun terremoto;
   ad investire 8 miliardi di euro per un programma straordinario di mille piccole opere per la messa in sicurezza del territorio, delle zone sismiche, delle scuole, per la rigenerazione urbana in collaborazione con il sistema delle autonomie locali: 5mila cantieri per interventi sul territorio per l'ambiente, le scuole da mettere in sicurezza – a partire da quelle nelle zone sismiche e dall'eliminazione dell'amianto – le energie rinnovabili (pannelli su tutti gli edifici pubblici), le infrastrutture sociali (1.500 nuovi asili nido). Riservando il 45 per cento degli investimenti pubblici al Mezzogiorno (ripristino della «Clausola Ciampi»). Mettere fuori dal Fiscal compact gli investimenti pubblici anche nazionali e non le spese militari;
5) per quanto concerne Industria 4.0:
   a salvaguardare la straordinaria biodiversità produttiva italiana che basa la sua forza nella presenza del 99,4 per cento di micro e piccole imprese nel sistema produttivo italiano;
   ad assicurare nuovi investimenti pubblici a sostegno della riuscita del progetto, innanzitutto come infrastrutture strategiche, materiali e immateriali, risorse per la ricerca e lo sviluppo, innovazione nella P.A. e incentivi «selettivi» affinché la politica industriale si fondi su una governance più democratica, considerato che la condizione del lavoro e la creazione di nuova e buona occupazione sono prerequisiti indispensabili per far crescere il nostro apparato produttivo e assicurare un salto di qualità nel nostro modello di specializzazione;
   ad assicurare che Industria 4.0 sia affiancato a Lavoro 4.0, come chiedono unanimemente i sindacati italiani. Non solo gli aspetti di innovazione tecnologica devono divenire centrali ma i temi della formazione e delle competenze, quello degli orari, della loro gestione, di una diversa redistribuzione e di nuove possibilità di riduzione, anche per fronteggiare efficacemente i rischi di disoccupazione tecnologica già messi in evidenza dal caso ormai divenuto paradigmatico dell'Adidas;
6) per quanto concerne la politica per il Mezzogiorno:
   a dimostrare di tenere in seria considerazione che lo sviluppo e la crescita del Paese passa necessariamente dalla crescita qualitativamente significativa del Mezzogiorno e intervenire non con politiche straordinarie, ma con proposte economiche concrete di medio periodo valide per tutto il territorio nazionale che contengano una declinazione specifica per il Sud e una maggiore intensità di aiuti da destinare a quei territori, così come prevedeva la cosiddetta e dimenticata «clausola Ciampi per il Sud»;
   a prevedere un piano decennale o ventennale contro il dissesto idrogeologico e la messa in sicurezza del nostro Paese al fine di salvare le comunità locali e anche tutti i nostri beni culturali e le nostre bellezze;
7) per quanto concerne il contrasto alla povertà:
   ad istituire ed adottare il reddito minimo come unico strumento strutturale, efficace di contrasto alla povertà sia assoluta che relativa e di reinserimento nella società, allo scopo di affrontare strategicamente la povertà e la disoccupazione, uno strumento necessario per garantire anche un sostegno concreto ai lavoratori che perdono il posto di lavoro, prevedendo uno stanziamento complessivo a regime non inferiore ai 7 miliardi di euro;
8) per quanto riguarda il lavoro:
   a finanziare piano straordinario del lavoro per 200mila nuovi posti di lavoro per un Green New Deal collegato ai 5mila cantieri pubblici per le piccole opere e alla riconversione ecologica (quali la rigenerazione delle periferie, l'efficienza energetica degli immobili, l'innovazione tecnologica, la cura e la valorizzazione del paesaggio e dei beni culturali, pranzi bio nelle scuole e negli ospedali, ecc...) ed anche attraverso una serie di misure specifiche come: «l'imponibile di manodopera» sugli appalti pubblici, un piano speciale per il lavoro di cittadinanza di 50mila giovani nei servizi sociali del welfare locale, il sostegno ai contratti di solidarietà espansiva per ridurre l'orario di lavoro ed aumentare l'occupazione;
   ad invertire la rotta imboccata con il Jobs Act favorendo l'occupazione stabile con misure che agiscano come leve per la creazione di nuovi posti di lavoro, come proposto da Sinistra Italiana con il programma Green New Deal; sostenendo con misure adeguate i contratti di solidarietà espansiva per favorire la contrattazione della riduzione di orario a parità di salario, e ripristinando la tutela reale in caso di licenziamento illegittimo dei lavoratori, approvando un Nuovo Statuto dei Lavoratori come quello proposto dalla legge d'iniziativa popolare promossa dalla Cgil;
   nel settore degli ammortizzatori sociali occorre che il Governo, intervenga con provvedimenti mirati in quanto il perdurare della crisi economica, fa avvertire l'insufficienza di un unico strumento, quale la NaspI, che non appare in grado di coprire tutte le situazioni di criticità cui, nel passato, facevano fronte anche gli ammortizzatori sociali in deroga e l'istituto della mobilità;
9) per quanto concerne il settore previdenziale:
   a prevedere interventi per ristabilire la solidarietà interna al sistema pensionistico, mediante il principio della flessibilità di accesso alla pensione di vecchiaia, riportando l'anzianità contributiva richiesta a 40 anni, tenendo conto che la spesa pensionistica per ogni singolo soggetto non muta all'interno del regime contributivo;
   ad introdurre meccanismi di solidarietà e garanzia per tutti i percorsi lavorativi, al fine di eliminare le diseguaglianze derivanti dal rapporto intercorrente tra l'età media attesa di vita e quella dei singoli settori di attività;
   ad eliminare le diseguaglianze e le conseguenze negative delle riforme pensionistiche degli ultimi anni sulle donne;
   ad introdurre meccanismi di rafforzamento dei percorsi contributivi dei lavoratori discontinui;
   ad aumentare la concorrenza nel settore della previdenza integrativa, istituendo una forma di previdenza complementare pubblica presso INPS;
10) per quanto concerne il pubblico impiego:
   a risolvere il problema del turn over introducendo un ricambio minino del 100 per cento dei dipendenti andati in quiescenza, mentre le ipotesi di elevazione del tetto attualmente in vigore sono di molto al di sotto dei bisogni effettivi, soprattutto presso gli enti locali;
   a precisare esattamente l'entità delle risorse finanziarie certe per i rinnovi contrattuali nel settore del pubblico impiego, sui quali è stato raggiunto l'accordo lo scorso novembre tra Governo e sindacati;
11) per quanto concerne l'istruzione, la formazione e la ricerca:
   a provvedere ad un immediato e costante incremento dell'investimento pubblico per la formazione scolastica ed universitaria al fine di allinearlo con le richieste delle strategie europee e ad elevare l'attuale spesa per Ricerca e Sviluppo ad un livello pari al 3 per cento del PIL, anche al fine di accrescere i livelli di conoscenza, di produttività, di occupazione e di benessere sociale del nostro Paese;
   ad avviare nella scuola un piano straordinario di stabilizzazioni, capace di contrastare il fenomeno del precariato storico e di evitarne la sua ricostituzione, che garantisca un costante equilibrio tra immissioni dalle graduatorie e nuovo reclutamento;
12) per quanto concerne le politiche abitative:
   ad assumere misure finanziarie efficaci in materia di politiche abitative per l'incremento dell'offerta di alloggi di edilizia residenziale pubblica anche prevedendo l'istituzione di un apposito fondo presso la Cassa depositi e prestiti per il sostegno di programmi da parte dei Comuni al recupero di immobili pubblici inutilizzati del demanio civile e militare ai fini di edilizia residenziale pubblica da destinare alle famiglie collocate nelle graduatorie comunali per l'accesso ad alloggi a canone sociale e per famiglie con sfratto eseguito o da eseguire per morosità incolpevole;
   a rifinanziare il fondo contributo affitto di cui all'articolo 11 della legge 9 dicembre 1998 n. 431, e ad incrementare il fondo per la morosità incolpevole;
13) per quanto concerne il diritto alla salute:
   ad assumere le necessarie misure per garantire l'effettiva universalità del Servizio sanitario nazionale al fine di raggiungere l'obiettivo di una spesa sanitaria al 7 per cento di incidenza sul PIL in particolare attraverso il finanziamento dei Livelli Essenziali di Assistenza del Fondo per la non autosufficienza, l'eliminazione del superticket, la riduzione delle liste di attesa, avviando il superamento del blocco del turn over nel comparto sanitario; individuando risorse adeguate a garantire il rinnovo dei contratti e per la stabilizzazione dei precari;
   ad attuare un contrasto efficace alla corruzione e agli sprechi nel comparto sanitario destinando le maggiori risorse: ai farmaci innovativi, alla cura delle malattie croniche, all'aumento delle risorse per la non autosufficienza, alla garanzia dell'applicazione uniforme su tutto il territorio nazionale della legge 194 in materia di interruzione volontaria di gravidanza;
14) per il diritto alla mobilità:
   ad avviare un Programma per la mobilità sostenibile con una dotazione annuale adeguata, nel triennio, 2018-2020 per il rinnovo e l'aumento della dotazione dei treni destinati alle tratte dei pendolari nonché di autobus urbani e extraurbani, utilizzati in particolare da lavoratori e studenti pendolari;
15) per quanto concerne la politica energetica:
   a ridurre e progressivamente ad azzerare i sussidi alle fonti fossili con un programma di decarbonizzazione della nostra economia, anche attraverso un preciso piano di sensibile diminuzione e quindi cancellazione degli aiuti pubblici e dei sussidi diretti e indiretti alle fonti fossili, prime responsabili delle emissioni di CO2, dell'inquinamento e dei cambiamenti climatici;
   a garantire che il piano energetico nazionale preveda la centralità delle fonti energetiche rinnovabili e che le linee guida e le incentivazioni in esso contenute siano coerenti e conformi con le reali esigenze del Paese, con mezzi finanziari adeguati e procedure e misure incentivanti idonee ed efficaci e con il sostegno dell'innovazione tecnologica nel campo della produzione di energia da fonti rinnovabili;
   a prevedere interventi normativi concreti per la realizzazione di una maggior efficienza energetica da parte del comparto privato, del comparto pubblico e del comparto industriale, in linea con quanto fatto già dall'industria europea in termini di investimento e realizzazione in questo settore e al fine di ridurre il fabbisogno energetico;
16) per il raggiungimento degli obiettivi di COP 21:
   ad utilizzare le risorse derivanti dalla riallocazione dei sussidi dannosi di cui al «Catalogo dei sussidi dannosi e dei sussidi favorevoli» del Ministero dell'Ambiente ai fini dell'operatività effettiva dell'accordo COP 21 di Parigi e per l'attuazione dell'Agenda 2030 dell'ONU per uno sviluppo sostenibile, anche definendo, con un apposito provvedimento normativo, le modalità per la riallocazione sostenibile dei sussidi dannosi all'ambiente, ai fini della fase di transizione;
17) per quanto concerne la politica agroalimentare:
   a delineare una strategia di politica nazionale per l'agroalimentare, che si lasci alle spalle gli interventi spot e configuri un sostegno attivo alle aziende a conduzione familiare che costituiscono tuttora la spina dorsale del settore;
18) per quanto concerne le aree naturali protette:
   a rilanciare gli investimenti nella conservazione, con un nuovo Piano triennale per le aree protette adeguatamente finanziato, rivedere a fondo la dotazione organica e la capacità finanziaria degli Enti gestori, oggi allo stremo, con evidenti riflessi negativi sulle attività istituzionali, a cominciare dalla vigilanza;
19) per quanto concerne la politica migratoria:
   ad abbandonare nei fatti l'approccio repressivo al fenomeno e chiudere i centri hotspot ove si consuma una sistematica violazione dei diritti umani delle persone migranti;
   a procedere ad una ampia e organica revisione delle strategie dei flussi migratori, con la rivisitazione delle norme del testo unico sull'immigrazione che impediscono un ordinato programma di regolarizzazione ed inserimento controllato dei migranti;
   ad instaurare, parallelamente, una cooperazione mirata e rafforzata con i Paesi di origine e transito dei flussi che preveda un piano di investimenti per fronteggiare le cause di fondo del fenomeno, la ricerca di condizioni di vita dignitose, della sicurezza, del lavoro. All'offerta di supporto finanziario e operativo ai Paesi partner devono corrispondere impegni precisi in termini di efficace controllo delle frontiere, riduzione dei flussi di migranti, cooperazione in materia di rimpatri/riammissioni, rafforzamento dell'azione di contrasto al traffico di esseri umani e al terrorismo;
20) per quanto concerne la difesa:
   a ridurre la spesa complessiva per la difesa almeno del 10 per cento, pari a 2, 3 miliardi di euro; provvedere ad un graduale ma concreto disimpegno negli impegni nella Nato al fine di ridurre drasticamente le spese militari dirette ed indirette; annullare le partecipazioni alle missioni internazionali; cancellare gli impegni sin qui assunti sugli F35 e sulle fregate FREMM.
(6-00307) «Marcon, Pastorino, Fratoianni, Pellegrino, Paglia, Fassina, Airaudo, Brignone, Civati, Costantino, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Gregori, Andrea Maestri, Palazzotto, Pannarale, Placido».


   La Camera,
   premesso che:
    le previsioni programmatiche per il periodo 2017-2020, illustrate nel Documento in esame, prospettano un indebitamento netto al 2,1 per cento del PIL per il 2017, all'1,2 nel 2018, allo 0,2 nel 2019 per raggiungere poi il pareggio nel 2020;
    le previsioni dell'indebitamento del 2017 al 2,1 sono già comprensive della correzione richiesta dalla Commissione Europea nella misura dello 0,2 per cento del PIL, e le misure correttive non sono contenute nello specifico nel presente Documento, ma solo elencate e riguardano anche interventi di aumento della pressione fiscale, quali la rimodulazione delle accise sul tabacco, la revisione dello Split Payment, che, come rilevato da CONFAPI in audizione «rischia di sottrarre alle nostre aziende liquidità e Iva a credito». Dunque, la difficoltà di raggiungere gli obiettivi prefissati nel Documento di economia e finanze 2016, nonostante le ripetute richieste di flessibilità, dimostra la fragilità e ristrettezza dei margini entro i quali il Governo anche per il 2017-2020 cerca di programmare la ripresa economica;
    il rapporto debito/PIL nel 2017 permane altissimo e si attesta al 132,5 per cento, ed è prevista una riduzione di 1,5 punti percentuali nel 2018, di 2,8 punti percentuali nel 2019 e di 2,5 punti percentuali nel 2020, anno in cui è previsto un rapporto debito/PIL pari a 125,7 per cento, ben oltre il limite del 120 per cento da ridurre di un ventesimo l'anno, secondo i parametri del fiscal compact, per arrivare al 60 per cento !;
    la congiuntura internazionale è favorevole, infatti nel 2016 l'economia mondiale ha registrato un incremento del 3 per cento rispetto al 2015 e si è stabilizzata su un sentiero di crescita in tutti i paesi avanzati, come si registra dai dati del primo trimestre del 2017. Anche in area euro ci sono evidenti segnali di ripresa e nel 2016 la crescita del PIL è stata dell'1,7 per cento, grazie soprattutto alla ripresa del mercato del lavoro, ha visto ridurre il tasso di disoccupazione dal 10 per cento del 2016 al 9,6 del gennaio 2017, nonostante essa permanga ancora alta. In Italia, invece, il tasso di disoccupazione è ancora critico, pari all'11,5 nel 2017, in calo solo di 0,2 punti rispetto al 2016 e previsto all'11,2 nel 2018, al 10, 8 nel 2019 e al 10,2 nel 2020;
    per quanto riguarda l'Italia, secondo l'OCSE e il Fondo Monetario Internazionale la crescita del PIL per il 2017 e 2018 si attesterà all'1,6 per cento, mentre, grazie al miglioramento del clima favorevole registrato nel primo trimestre 2017, il Governo ha rivisto in rialzo il dato di crescita per quest'anno di 0,1 punti prevedendo una crescita dell'1,1 in termini percentuali, ma ha adottato previsioni a ribasso prudenziali per la crescita nella misura dell'1,0 per cento per il 2018, 1,1 per cento per il 2019 e 1,1 per cento per il 2020, inferiore sia alla media europea che alla media della crescita mondiale del 3 per cento, a causa della possibilità dell'attivazione nel 2018 delle clausole di salvaguardia (aumento aliquote IVA e accise sui carburanti), che ostacolerebbero l'accelerazione tendenziale dell'economia;
    infatti il PIL nominale tendenziale, considerato l'aumento dei prezzi e l'aumento delle aliquote IVA crescerebbe del 2,2 per cento nel 2017, del 2,9 per cento nel 2018-2019 e attestandosi al 2,8 nel 2020;
    le previsioni di crescita programmatiche sono insoddisfacenti e la esaltata riduzione dell'output gap, che dal 3,8 del 2015 si riduce allo 0,5 per cento nel 2019, è falsata da una valutazione a ribasso del tasso di crescita del PIL, influenzata dal prolungarsi della recessione. Il ritorno ad una politica economica espansiva porterebbe ad una ricchezza nazionale più elevata nel medio e lungo periodo;
    i proventi attesi dal piano di privatizzazioni è pari allo 0,3 per cento annuo, destinato alla riduzione graduale del debito pubblico;
    i consumi privati delle famiglie in leggero rallentamento nel 2017 (+0,8 per cento) rispetto al 2016 (+1,2 per cento) rappresenteranno il maggior fattore di sostegno della domanda interna per la crescita del PIL, nonostante permanga una alta propensione al risparmio, una erosione del reddito disponibile legata all'aumento dell'IVA e la moderazione salariale;
    le esportazioni, come fattore di crescita, subiscono una leggera flessione dal 3,7 per cento previsto nel 2017, attestandosi ad una media del 3,2 per cento leggermente inferiore al tasso dei mercati esteri di interesse dell'Italia;
    per quanto concerne il saldo primario, ossia la differenza fra il totale delle entrate finali e le spese finali al netto degli interessi, l'Italia tra il 2009 e il 2016, insieme alla Germania, è il Paese che ha mantenuto l'avanzo primario in media più elevato e tra i pochi ad aver prodotto un saldo positivo, a fronte della gran parte degli altri Paesi membri, che invece hanno visto deteriorare la loro posizione nel periodo. L'avanzo primario programmatico è previsto all'1,7 nel 2017, al 2,5 nel 2018 per arrivare al 3,8 nel 2020;
    la spesa per interessi in percentuale al PIL, anche se segue un percorso di riduzione, appare peggiore rispetto alle previsioni della scorsa Nota di aggiornamento e passa dal 3,9 nel 2017 (65.979 milioni) al 3,7 per cento (65.531 milioni) nel 2019 per poi crescere nel 2020 al 3,8 per cento, a causa del peggioramento del fabbisogno e dell'intervento a sostegno delle banche, nonché della scadenza di titoli di Stato nel 2019;
    la spesa in conto capitale, secondo le previsioni tendenziali, presenta un percorso decrescente nel periodo considerato, passando dal 3,4 per cento del 2016 al 3,0 per cento del PIL al 2020, pari a 56,7 miliardi, andamento collegato alla riduzione della spesa primaria. Preoccupa a tal proposito una ulteriore riduzione dal lato della spesa, che, come si vede, si riflette anche sulla spesa per investimenti. E la preoccupazione nasce proprio in merito all'intenzione del Governo di disattivare le clausole di salvaguardia IVA e accise, sostituendole con misure, «sul lato della spesa e delle entrate». A tal proposito si tenga presente che dal lato delle entrate si propongono, come di consuetudine, anche misure di recupero e contrasto all'evasione, che, ben sappiamo, sono misure indefinite nell’«an» e nel «quantum». Inoltre, dal lato delle spese il Governo non può che tagliare gli stanziamenti di bilancio, non potendo più imporre tagli agli enti locali, che, in seguito all'introduzione del «pareggio di bilancio» possono chiudere con un passato di tagli annuali insostenibili di risorse conseguenti alle multiple revisioni dei «patti di stabilità». Vivendo in condizioni di estrema fragilità di risorse, non si ravvede la possibilità di adottare ulteriori tagli a carico dei predetti enti. Quindi è lecito aspettarsi riduzioni di stanziamenti nel bilancio dei dicasteri, che, comunque, in presenza di una mancata ed effettiva razionalizzazione della spesa pubblica indirizzata a migliore produttività ed efficienza di servizi, può comportare ulteriori tagli di spesa di servizi per la collettività;
    le specifiche misure con cui il Governo sostituirà l'aumento dell'IVA e delle accise sui carburanti saranno indicate nella Nota di aggiornamento prossima, ma ricordiamo che trattasi di reperire risorse pari a circa 19,5 miliardi nel 2018 e 23,2 miliardi per il 2019 e 2020. Sono ingenti risorse che, a causa dell'assoggettamento al fiscal compact, non possiamo destinare ad interventi di riduzione del carico fiscale sul lavoro ovvero ad investimenti strutturali, che generano occupazione;
    per quanto concerne il Piano Nazionale delle Riforme, si rileva che nel Documento in esame non sono state inserite novità rispetto alle riforme già contenute nel DEF 2016, nonostante l'attesa della revisione della tassazione dell'IRPEF e la pubblicizzata riduzione a regime del cuneo fiscale, necessarie per recuperare in tempi brevi i livelli occupazionali e di crescita pre-crisi;
    il quadro macroeconomico e gli obiettivi di finanza pubblica per gli anni successivi prospettati dal Governo, nonché le strategie per il conseguimento di tali obiettivi, risultano essere anche quest'anno inidonei e quindi di difficile realizzabilità;
    il Governo anche quest'anno mostra delle stime inadeguate e quindi generatrici di incertezza;
    l'ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB) indica come «sostanzialmente indefinito» il quadro del tutto insoddisfacente della linea politica di bilancio;
    concordiamo con l'UPB che pone giustamente l'accento sulle indicazioni e le caratteristiche degli interventi espansivi su cui si basa il documento in esame. Tale scenario rende del tutto impossibile la disattivazione delle clausole di salvaguardia. Tutto il quadro prospettato dal Governo è attraversato da una incertezza di base sulla dimensione dell'aggiustamento necessario e delle manovre da attuare;
    benché formalmente il Consiglio dell'UPB abbia validato le previsioni tendenziali, anche quest'anno ricorda al Governo che utilizza delle stime eccessivamente ottimistiche. Tale sopravvalutazione del quadro tendenziale, che poi è alla base della politica economica del Governo non potrà far altro che generare nuova incertezza e misure inadeguate;
   in materia di affari costituzionali:
    in ordine alla gestione dei flussi migratori di eccezionale portata, quali quelli che si stanno registrando e, in particolare, dell'estensivo utilizzo dei cosiddetti hotspot, preme segnalare che essi sono privi, al momento, di una chiara ed approfondita base giuridica, non vi sono sufficienti garanzie del trattamento riservato ai migranti al loro interno;
    in ordine alle modalità di gestione dei servizi pubblici locali, questione che dovrà essere rimessa all'adozione di un nuovo decreto delegato, preme segnalare che la disciplina comunitaria mette sullo stesso piano, in maniera dunque equiordinata le modalità di gestione, compreso dunque l’in house e che la Corte costituzionale ha ravvisato in uno dei quesiti del referendum del 2011 l'obiettivo di non limitare le ipotesi di affidamento diretto, previste dal diritto comunitario, in particolare quelle di gestione cosiddetta «in house»;
   in materia di giustizia:
    così come per il Documento di Economia e finanza per il 2016 – ove gli interventi sulla giustizia si sostanziavano nel mero conseguimento di positivi risultati in termini di bilancio, attraverso provvedimenti tesi, di fatto, ad evitare la celebrazione di nuovi processi per ridurre le pendenze – il Documento in esame conferma la medesima impostazione attraverso il prosieguo di una legislazione nel settore civile, penale, fallimentare, che parte dal dichiarato presupposto, ribadito nella sezione «strategia di riforma», per cui l'attuale sistema giudiziario, rappresenta un «freno alla crescita», ostacolo alla competitività. Da qui, le ricorrenti esigenze di snellire, velocizzare, efficientare, semplificare, razionalizzare, degiurisdizionalizzare riti e procedimenti (contemplando financo l'estinzione anticipata dei reati e l'abrogazione degli stessi per evitare i procedimenti penali ovvero favorendo oltremodo il ricorso alla conciliazione ed all'arbitrato, al fine di evitare o interrompere il processo civile), così da realizzare una giustizia che soddisfi il principale requisito della «celerità», attrattiva per «investimenti esteri e nazionali», sacrificando, se necessario, il diritto del cittadino a vedere tutelati i propri diritti davanti ad un giudice in un'aula di giustizia;
    a complemento di un intervento sugli aspetti normativi a costo zero – tra tutti, il disegno di legge delega per l'efficienza del processo civile (A.S. 2284) e la proposta di legge sul processo penale e la disciplina della prescrizione (A.C. 4368) –, il Documento caldeggia altresì un'opera di armonizzazione delle performance dei tribunali basate sull'adozione delle best practices, relegando a poche righe consuntive la reale questione alla base delle inefficienze della giustizia e della connessa mancanza di competitività del «sistema Paese», ovvero, le politiche del personale dell'amministrazione giudiziaria. Politiche che, in prospettiva, secondo il Documento in esame, potrebbero contare, attraverso una formula del tutto generica e non circostanziata, su di un «incremento delle risorse a disposizione dell'amministrazione giudiziaria»;
    ai fini di un concreto recupero di risorse sottratto da redistribuire, anche per significativi interventi in favore dell'efficienza del comparto giustizia, il DEF – che non prevede specifiche misure di rafforzamento dei compiti e degli strumenti a disposizione dell'Autorità nazionale anticorruzione – avrebbe dovuto allora contemplare, o quantomeno prefigurare, una severa e risoluta legislazione anticorruzione. La «lotta alla corruzione», aspetto strategico del rilancio della competitività del Paese, risulta unicamente menzionata nel breve capitolo relativo all'approvazione della riforma del processo penale, in cui vengono peraltro eluse le richieste europee che prescrivevano un'azione in tal senso attraverso la riforma della prescrizione;
    il documento, è poi carente di una necessaria revisione del criterio di indennizzo per le vittime dei reati violenti, tardivamente introdotto dalla legge 7 luglio 2016, n. 122 in seguito a due procedure di infrazione europee in violazione della direttiva del 2004/80, in quanto tale sistema di indennizzo risulta non solo pressoché inaccessibile per le vittime, ma anche insufficiente riguardo ai profili risarcitori e dunque passibile di condurre ad ulteriori procedure di infrazione nei confronti del nostro Paese;
   in materia di affari esteri:
    nel Documento di Economia e Finanza 2017, nell'ambito del Quadro macroeconomico, si legge testualmente: «Le prospettive per il settore estero nel 2017 si muovono nella direzione di un progressivo rafforzamento in alcuni mercati chiave. È infatti da rilevare che i dati mensili tendenziali di inizio anno mostrano valori molto promettenti nei flussi di esportazioni verso la Russia, la Cina e altri paesi asiatici»; gli ultimi dati ISTAT, infatti, indicano che a gennaio 2017 Russia, Cina, Stati Uniti e Giappone risultano essere gli sbocchi più dinamici per le esportazioni del nostro Paese;
    tuttavia, risultano ancora in essere le sanzioni nei confronti della Russia che gravano, per il reiterarsi nel tempo delle pesanti conseguenze provocate da questa decisione, sul made in Italy con una stima di oltre 1,5 miliardi di euro e sulla riduzione delle esportazioni pari a circa 1,25 miliardi di euro, che interessa in modo sostanziale il settore agroalimentare comportando un danno gravoso;
   in materia di difesa:
    il documento prevede nell'ambito del cronoprogramma delle riforme le iniziative elencate dal Libro bianco per la sicurezza internazionale e la difesa del 2015, di cui si prevede l'attuazione entro il 2017;
    il Programma nazionale di riforma menziona altresì le misure di riordino delle carriere delle forze armate e delle forze di polizia, previste da specifiche norme di delega legislativa (inserite nella legge n. 124 del 2015 e nella legge n. 244 del 2012). Il DEF tace però le evidenti contraddizioni presenti nel Libro Bianco con gli Atti del Governo 395 e 396 ed in particolare il fatto che questi ultimi allontanano in modo decisivo l'obiettivo architrave del Libro Bianco ovvero portare il bilancio della difesa in equilibrio tra il 50 per cento di spese per gli investimenti, il 25 per cento per il personale e il 25 per cento per l'esercizio;
    in particolare, la scelta di aumentare la piramide gerarchica (con ben 16 gradi), comporta un costo di quasi un miliardo soltanto per i primi tre anni. Dopo di che – a regime – saranno necessari circa 400 milioni ogni anno. Per sempre: ai gradi più elevati sarà concesso un aumento di stipendio fisso del 6 per cento ogni due anni. Per non parlare della quantità di stellette. Gli ufficiali superiori con grado da maggiore in su sarebbero oggi 12.346: e con i 470 (quattrocentosettanta) generali, arriviamo a 12.816. Una cifra destinata a crescere ininterrottamente fino ai 16.031 del 2022, per scendere poi pian piano fino al 2026 quando i 13.926 appartenenti agli alti gradi saranno pur sempre 1.110 più del numero previsto oggi dal riordino. I generali resteranno sempre gli stessi: 57 di Corpo d'armata, 104 di Divisione e 309 di Brigata. Molti di più rispetto ai posti di comando disponibili fra Esercito, Marina e Aeronautica. Abbiamo metà dei generali degli Usa (900 circa) che contano però su un milione e mezzo di effettivi. Dieci volte i nostri, previsti ridursi a 150 mila entro il 2024, quando avremo un ufficiale superiore per ogni dieci militari;
    non solo non si rimette in discussione il privilegio dell'ausiliaria ma si cerca di far rientrare dalla finestra ciò che nella legge di Stabilità il Parlamento ha voluto far uscire dalla porta (la promozione automatica al grado superiore alla vigilia del congedo);
    manca totalmente una visione tesa a ridimensionare sul serio le spese militari a partire dalla totale assenza di ogni taglio nei sistemi d'arma più costosi (come gli F35), alla ridiscussione di alcune missioni internazionali ormai anacronistiche (l'Afghanistan ma non solo) e a contrastare e prevenire i fenomeni di corruzione nei grandi programmi di ammodernamento dei sistemi d'arma (a cominciare dalla cosiddetta Legge Navale) nonché alle gare di appalto oggetto di diverse inchieste giudiziarie che stanno coinvolgendo una parte dei vertici delle Forze Armate;
   in materia fiscale e tributaria:
    la programmata riduzione della pressione fiscale sui fattori produttivi, da realizzare mediante la riduzione del cuneo fiscale e aumento del reddito disponibile dei lavoratori, non risulta supportata da politiche di revisione strutturale del sistema fiscale tali da garantire un'equa redistribuzione dei carichi fiscali tra famiglie e imprese e tra le diverse classi di redditi. Contrariamente a quanto si sostiene, il livello di pressione fiscale resta ancora oggi tra quelli più elevati in ambito europeo e internazionale, con pesanti ricadute sia in termini di consumi delle famiglie (di cui solo il 10 per cento percepisce più di 55.000 euro annui) che di investimenti per le imprese;
    non sono definite le modalità di attuazione della prevista razionalizzazione delle spese fiscali e delle tax expenditures. Si rammenta che tale obiettivo trova origine nell'esigenza di recuperare gettito attraverso l'eliminazione di spese fiscali superflue in termini di costi/benefici, nell'ottica di garantire una maggiore equità fiscale nella distribuzione dei benefici;
    la riforma del sistema di tassazione del patrimonio immobiliare su base catastale, individuata tra gli strumenti che dovrebbero garantire un progressivo passaggio della tassazione dalle persone alle «cose», non è accompagnata da una contestuale riduzione del sistema di tassazione sul reddito. Allo stato, dunque, la programmata riforma del catasto rischia di diventare uno strumento di aumento della pressione fiscale sui patrimoni immobiliari, in chiaro contrasto peraltro con la delega fiscale che prevedeva una revisione del catasto immobiliare ad invarianza di gettito per realizzare una ripartizione dei carichi fiscali in favore della classi di contribuenti medio basse;
    in tema di lotta all'evasione, gli obiettivi previsti (miglioramento della collaborazione tra amministrazione e contribuente e incentivi all'adempimento spontaneo) non trovano riscontro nelle misure introdotte negli ultimi anni, caratterizzate per lo più da interventi di breve periodo e di stampo condonistico finalizzati al mero recupero di gettito. Mentre sul versante della semplificazione fiscale, con l'introduzione della fatturazione elettronica e l'invio telematico dei dati di fatturazione è stata sprecata nuovamente l'occasione di realizzare una significativa riduzione degli oneri contabili e dichiarativi a carico di imprese e professionisti. Di fatto dunque le misure che si prevedono, tra cui il potenziamento e l'estensione dello split payment (con i suoi effetti distorsivi) nonché un irrigidimento delle procedure di compensazione, si sostanziano in aggravi fiscali e burocratici ai danni del comparto produttivo e professionale senza alcun apprezzabile beneficio in termini di riduzione della pressione fiscale e tutele da verifiche e accertamenti;
    gli interventi predisposti dal Governo per rendere maggiormente stabile il sistema come la garanzia pubblica «GACS», il rilascio di garanzie pubbliche per l'emissione di nuove obbligazioni ed il programma di ricapitalizzazione precauzionale rappresentano interventi preposti alla mitigazione degli effetti della crisi del sistema bancario e non di certo alla risoluzione delle problematiche «ontologiche» infatti l'incidenza dei crediti deteriorati sul totale dei finanziamenti non ha subito sostanziali modifiche ed il tasso di copertura dei crediti deteriorati è aumentato al 47,3 per cento;
    i correttivi apportati al rimborso forfettario di cui al c.d. «decreto 4 banche», relativo alla risoluzione della crisi di Banca Marche, Banca popolare dell'Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio di Chieti, non sono qualificabili soddisfacenti in quanto non sono orientati ad una effettiva ed integrale tutela dei risparmiatori soprattutto in considerazione del fenomeno del misselling;
   in materia istruzione e beni culturali:
    dall'analisi dei grafici di spesa in rapporto al PIL percentuale l'Italia continuerà ad occupare gli ultimi posti nelle medie europee in relazione ai finanziamenti da destinare al comparto istruzione, rilevandosi in tutta la sua gravità l'inadeguatezza delle attuali previsioni politiche ed economiche. Tali dati risultano gravati, inoltre, dai benefici pressoché assenti relativi alla recente riforma scolastica, rendendosi pertanto necessaria l'urgente inversione di tale tendenza;
    con particolare riferimento ai decreti legislativi recentemente adottati dal Governo, si consideri l'investimento di risorse insufficienti, attraverso misure non condivise e non accettabili, rilevandosi, altresì, l'assenza di provvedimenti urgenti in materia di definizione e garanzia dei livelli essenziali delle Prestazioni (LEP), nonché la mancanza di misure in materia di internalizzazione dei servizi scolastici, ancora gestiti attraverso il sistema Consip, per la diminuzione del numero di alunni per classe, per l'aumento del tempo pieno, con particolare riferimento alle regioni del Sud, e, infine, per la coincidenza dell'organico di fatto con quello di diritto;
    si ritiene priva di alcun fondamento l'affermazione contenuta nel Documento in esame secondo la quale le università «stanno velocemente convergendo verso uno standard comune», considerate le gravissime distorsioni che anche per l'anno 2017 verranno determinate dalla distribuzione della parte premiale ancora una volta direttamente sottratta dal Fondo di Finanziamento Ordinario, dal riparto di una ulteriore quota di FFO, pari a 55 milioni nel 2017 e 105 milioni a regime a partire dal 2018, secondo il calcolo del costo standard per Ateneo, nonché dalla volontà di procedere all'assunzione di nuovi docenti anche attraverso chiamata diretta. Inadeguato al regolare funzionamento risulta, infine, lo stanziamento previsto per il Fondo ordinario per il finanziamento degli Enti di Ricerca, il più basso degli ultimi 5 anni;
    in materia di sicurezza degli edifici scolastici, si considerano assolutamente non sufficienti le dotazioni previste per gli interventi di ristrutturazione e messa in sicurezza nell'ambito della programmazione nazionale, assicurando la verifica della piena conformità alle vigenti disposizioni in materia di edilizia e alle norme tecniche antisismiche, l'attestazione dell'indice vulnerabilità sismica, nonché l'eventuale e conseguente adeguamento derivante dall'assenza dei requisiti richiamati. Risulta necessario implementare, inoltre, l'Anagrafe dell'edilizia scolastica del Miur, affinché costituisca un sistema continuamente aggiornato di tali dati tra il Ministero e le regioni, assicurando un continuo aggiornamento e garantendo la dovuta trasparenza;
    nell'ambito delle misure previste dal federalismo demaniale culturale risulta necessario garantire per i beni di interesse storico artistico la sussistenza del vincolo di destinazione d'uso, ovvero il divieto di alienazione di tali beni a soggetti privati, affinché tali disposizioni non si trasformino in svendite del patrimonio culturale a terzi;
    si rileva, inoltre, la totale assenza di programmazione all'interno del Documento in materia di Sport e attività connesse, tra le quali l'adeguato finanziamento al fondo «Sport e Periferie» introdotto dal decreto-legge n. 185 del 2015;
   in materia di ambiente:
    l'inserimento degli indicatori del benessere equo e sostenibile – come previsto dalla legge n. 163 del 2016 – che tengono conto di fattori importanti per il benessere di una società – qualità e sostenibilità dell'ambiente, diseguaglianze economiche, qualità del lavoro, salute e livello di istruzione della popolazione – è un'innovazione positiva e condivisibile, ma appare in palese contraddizione con le scelte strategiche del Governo, che sembra piuttosto ancorato a modelli produttivi e di sviluppo basati sulla depredazione del territorio e delle sue risorse e privi della dovuta attenzione per l'impatto sulla collettività di tali scelte;
    dal cronoprogramma per le riforme si evidenzia l'elaborazione del primo Rapporto sul Capitale Naturale, previsto dal Collegato Ambientale (legge 221/2015), una novità che stride con il disegno di legge in corso di esame sulla contestatissima riforma sui parchi che di fatto monetizza e mette a «valorizzazione» economica beni comuni primari; proprio in riferimento al Rapporto sul Capitale Naturale il Governo cita la riforma della legge sui parchi, che rischia di far prevalere sulla tutela dell'ambiente i micro-interessi locali, mette a repentaglio la fauna con il rischio che si permetta l'attività venatoria ai confini dei parchi e delle aree protette e fa prevalere gli interessi economici sulle ragioni della protezione della biodiversità;
    l'allegato sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas serra ricostruisce puntualmente le varie fasi che hanno portato l'Unione europea ad adottare l'Accordo di Parigi che definisce quale obiettivo di lungo termine il contenimento dell'aumento della temperatura al di sotto dei 2o; l'Accordo di Parigi ha effetto dal 2020 e intende proseguire e rafforzare quanto avviato con il Protocollo di Kyoto e con il suo emendamento (Emendamento di Doha3) che stabiliscono impegni di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra da parte dei Paesi industrializzati, rispettivamente, nei periodi 2008-2012 e 2013-2020;
   a livello di Unione europea con il Pacchetto Quadro clima-energia 2030 sono stati introdotti nuovi obiettivi per il periodo 2021-2030, relativi a: riduzione dei gas serra di almeno il 40 per cento a livello europeo rispetto all'anno 1990; obiettivo vincolante a livello europeo pari ad almeno il 27 per cento di consumi energetici da rinnovabili; obiettivo indicativo a livello europeo pari ad almeno il 27 per cento per il miglioramento dell'efficienza energetica nel 2030 rispetto alle proiezioni del futuro consumo di energia; proposte, queste, che rimangono buoni propositi in quanto necessitano di una seria politica di decarbonizzazione;
   sul fronte del dissesto idrogeologico, il Governo ha varato il programma «Casa Italia»: ampie risorse, destinate a diversi capitoli di spesa, sono state raggruppate in quello che si può definire un «carrozzone vuoto», con l'obiettivo dichiarato, ma non chiaramente delineato, della prevenzione, della manutenzione e della ristrutturazione delle infrastrutture, delle abitazioni e dei contesti urbani che hanno subito i danni del terremoto o che comunque sono a rischio sismico o idrogeologico; sono, inoltre, in corso di emanazione i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri volti a ripartire il «Fondo di investimento» pluriennale, una quota rilevante del quale sarà assegnata nel 2017 per garantire la messa in sicurezza di scuole e uffici pubblici e l'adozione di misure per prevenire il rischio sismico e il dissesto idrogeologico (stimata pari a 0,5 miliardi);
   nelle premesse al DEF 2017 si legge che per il piano nazionale contro il dissesto sono stati finanziati ulteriori 2 miliardi di euro che finanzieranno progetti di intervento non meglio specificati, ma nulla si dice a proposito del grave ritardo nella realizzazione delle opere, confermato dallo stesso ministro Galletti, il quale ha dichiarato a novembre del 2016 che solo il 15 per cento degli 800 milioni è ad oggi nelle casse regionali, mentre, secondo quanto affermato dalla Struttura di missione, solo 3 sono i cantieri avviati dei 33 previsti;
    il quadro degli investimenti relativi alle infrastrutture idriche previsti dal DEF 2017 registra la più totale assenza di programmazione da parte del Governo rispetto ad un contesto piuttosto preoccupante, con elevata età media delle infrastrutture e con il servizio fognario che copre circa l'84 per cento della popolazione residente ed il livello di copertura del servizio di depurazione dell'acqua ad usi civili pari ad un valore medio del 73 per cento; per quanto riguarda le reti idriche, il valore medio delle perdite in rete risulta pari quasi al 40 per cento circa del volume approvvigionato; la perdita giornaliera reale ammonta a circa 50 m3 per ciascun chilometro delle reti di distribuzione: un volume che soddisferebbe le esigenze idriche di un anno di 10,4 milioni persone; nel 2016, il 9,4 per cento delle famiglie italiane lamenta ancora un'erogazione irregolare dell'acqua nelle abitazioni, una percentuale che assume valori pari a 37,5 per cento in Calabria, 29,3 per cento in Sicilia e 17,9 per cento in Abruzzo;
    all'interno del DEF 2017 inoltre si fa riferimento alle «ultime» 15 procedure di infrazione europee rimaste aperte contro l'Italia per mancato recepimento delle direttive e che questo sia il miglior risultato di sempre; eppure per quanto riguarda le infrastrutture idriche sull'Italia pendono ancora ben 3 procedure di infrazione europea; in queste procedure la Commissione europea afferma, in sostanza, che «la mancanza di idonei sistemi di raccolta e trattamento, previsti dall'Unione europea già dal 1998, comporta rischi per la salute umana, le acque interne e l'ambiente marino» e che nonostante «i buoni progressi la gravità delle persistenti lacune ha indotto ad adire nuovamente alla Corte di giustizia»;
    questa è la prova tangibile della incapacità di spesa e investimenti in questo settore negli ultimi 20 anni; il dato ancora più allarmante è che, pur in presenza di risorse – 3,2 miliardi di euro (2,8 miliardi di euro solo per il sud) stanziati – quasi 900 opere tra depuratori, fognature e acquedotti non sono ancora state avviate a gara; né gli strumenti miracolosi del Governo Renzi, come lo sblocca Italia, sono serviti a risolvere i problemi;
    relativamente alla riforma della PA ed alla riforma dei servizi pubblici locali si afferma nel DEF 2017 che a breve sarà emanata una disposizione con cui: prevedere «la riduzione della gestione pubblica ai soli casi di stretta necessità», «garantire la razionalizzazione delle modalità di gestione dei servizi pubblici locali, in un'ottica di rafforzamento del ruolo dei soggetti privati» e «attuare i principi di economicità ed efficienza nella gestione dei servizi pubblici locali, anche al fine di valorizzare il principio della concorrenza»;
   in materia di trasporti:
    relativamente ai profili di interesse della Commissione trasporti, si segnala come nel documento in esame vengano esaminati solo superficialmente le linee d'azione che intende perseguire il Governo in materia di infrastrutture stradali e ferroviarie, oltre che nell'ambito del trasporto pubblico locale, della mobilità sostenibile e del trasporto merci, senza l'individuazione degli interventi necessari al reperimento delle risorse;
    per quanto attiene il trasporto ferroviario, il Programma nazionale delle riforme definisce la cura del ferro come una attività in fase di realizzazione e sottolinea l'importanza dei nuovo contratto di servizio, a durata decennale, stipulato con Trenitalia a gennaio 2017, quale strumento fondamentale per il conseguimento degli obiettivi di potenziamento e velocizzazione delle infrastrutture ferroviarie esistenti;
    suddetto contratto di servizio, per ammissione dello stesso amministratore delegato di RFI in occasione di una sua audizione, è stato definito carente dal punto di vista finanziario con uno stanziamento non all'altezza del fabbisogno stimato da RFI. Non risulta chiaro quindi con quante e quali risorse il Governo intenda provvedere all'ammodernamento della rete e agli altri interventi contenuti nel documento;
    nelle appendici 1 e 2 dell'allegato III sono elencati i programmi di interventi e gli interventi prioritari. Suddetto elenco risulta contenere opere dalla dubbia utilità sociale oltre che strategicità e dal rilevante impatto ambientale. Alla luce di evidenti situazioni di indisponibilità delle risorse, sarebbe il caso di rivedere la realizzazione di alcuni interventi ivi elencati, quali, ad esempio, l'attraversamento dello stretto paventato nell'ambito dell'intervento n. 12, o altre opere già definite prioritarie ed elencate nell'Allegato al DEF 2015;
    sebbene il documento pluriennale di pianificazione, individuato dal Governo come uno dei due principali strumenti di pianificazione, non sia ancora stato redatto, nonostante la norma prevedesse come termine ultimo il 18 aprile 2017, molte nuove opere non ricomprese nell'elenco delle opere strategiche del Governo, stanno procedendo nel loro iter progettuale con le modalità della legge obiettivo, ignorando, quindi, di fatto, le modifiche introdotte dalla riforma della disciplina degli appalti pubblici e delle concessioni, contenuta nel decreto legislativo n. 50 del 2016;
    nei giorni precedenti alla emanazione del Documento di economia e finanza, articoli di stampa riportavano l'intenzione del Governo di procedere con le operazioni di privatizzazione, ovvero la vendita della seconda tranche di Poste Italiane Spa e la privatizzazione di Ferrovie dello Stato, così come confermato anche nei documenti inviati a febbraio dal Governo a Bruxelles;
    sebbene nel documento non compaiano passaggi relativi a Poste Italiane e Ferrovie dello Stato, nel cronoprogramma vengono definiti in avanzamento gli interventi di privatizzazione volti a diminuire il debito pubblico;
    poiché risulta essere totalmente assente una politica seria di lungo periodo mirante all'abbattimento del debito pubblico, tali interventi di c.d. privatizzazione rischiano di non essere risolutivi ed essere, piuttosto, controproducenti, raggiungendo risultati effimeri e assolutamente limitati temporalmente;
    secondo le stime del Sole 24 Ore l'incasso per la cessione del 30 per cento di Poste, alla luce degli andamenti di borsa, dovrebbe attestarsi attorno a 2,4 miliardi e i proventi dall'operazione di privatizzazione di Ferrovie dello Stato dovrebbero attestarsi intorno a 3,5 miliardi. Le stime governative in merito sembrano più ottimistiche in quanto dalle due operazioni, secondo il Ministro dell'economia, il valore degli incassi dovrebbe aggirarsi sugli 8.5 miliardi. Suddetta discrasia risulta inaccettabile;
    oltre agli aspetti meramente economici, una privatizzazione di Ferrovie dello Stato avrebbe delle inevitabili ricadute sul diritto alla mobilità dei cittadini, sulla sicurezza negli spostamenti e sul compito dello Stato di rispettare gli obblighi legati al servizio universale. Le logiche di mercato rischierebbero di ledere ulteriormente i servizi meno profittevoli quali il trasporto regionale e locale e rendere ancora più onerosi per lo Stato i necessari interventi di ammodernamento ed elettrificazione della rete esistente;
    analoghe perplessità riguardanti le ricadute sulla qualità dei servizi universali erogati emergono relativamente alla vendita della seconda tranche di Poste Italiane Spa;
    le operazioni di privatizzazione, dunque non possono essere la risposta alla necessità di abbattere il debito pubblico;
   in materia di attività produttive:
    si rileva che in Italia il carbone è utilizzato per produrre il 13 per cento dell'energia ma i costi ambientali e sanitari non sono mai stati conteggiati dal sistema economico nazionale;
    esiste, al contrario, un'ampia letteratura scientifica sulla quantificazione economica di tali impatti. In Italia ci sono 2 tra i 30 impianti a carbone maggiormente responsabili delle emissioni in Europa;
    l’Health and Environment Alliance (HEAL), un'organizzazione non governativa internazionale che si propone di migliorare la salute attraverso politiche pubbliche che promuovano un ambiente più pulito e sicuro, in un suo recente studio scientifico intitolato «Europe's Dark Cloud - How coal-burning countries are making their neighbours sick» stima che i costi totali per la salute associati ai fumi delle centrali a carbone italiane siano tra 920 e 1720 milioni di euro all'anno. Questi impatti includerebbero 620 morti premature, 370 nuovi casi di bronchiti croniche tra gli adulti, 190.660 giorni di assenza dal lavoro e 16.580 giorni di asma per i bambini;
   in materia di mercato del lavoro:
    i dati relativi al mercato del lavoro sono indicativi dei ritardi storici accumulati dalle regioni meridionali, nonché dagli effetti determinati dal periodo di grande crisi economica;
    per quanto concerne il mercato del lavoro, il Documento sembrerebbe rilevare una crescita dell'occupazione dal 57,9 per cento di quest'anno al 58,3 per cento del 2018 per arrivare al 58,8 per cento nel 2019; flebile crescita che non si mostra sufficiente per dare una risposta concreta al mercato occupazionale. Il tasso di disoccupazione sembrerebbe previsto in leggera decrescita passando dall'11,5 per cento di quest'anno all'11,2 per cento nel 2018 e al 10,8 per cento nel 2019, valore che, è bene ricordarlo, è ben lontano dai valori pre-crisi (nel 2008 era al 6,7 per cento);
    a livello territoriale, nelle regioni meridionali il tasso di occupazione 15-64 anni cresce di 0,9 punti in un anno (a fronte di +1,1 nel Nord e +0,6 nel Centro). I divari territoriali, pertanto, restano accentuati: se nel Centro-Nord sono occupate oltre 6 persone su 10 tra i 15 e i 64 anni, nel Mezzogiorno continuano ad esserlo appena poco più di 4. I disoccupati e il relativo tasso crescono soprattutto nel Mezzogiorno, in corrispondenza della diminuzione degli inattivi. Si ampliano dunque i divari relativi alla disoccupazione: l'indicatore sale al 19,6 per cento nel Mezzogiorno e scende al 10,4 per cento nel Centro e al 7,6 per cento nel Nord;
    non risultano cogenti le riforme realizzate per intervenire, in maniera radicale sullo sviluppo economico, sociale e occupazionale;
    la permanenza del tasso di disoccupazione italiano sopra all'11 per cento nel biennio 2017-18 è stata evidenziata anche dalle previsioni della Commissione Europea (Winter Forecast del febbraio 2017), secondo cui la creazione di occupazione netta avverrà ad un ritmo inferiore rispetto al biennio precedente: il tasso di disoccupazione è dunque destinato a rimanere sopra l'11 per cento nei prossimi anni (11,6 per cento nel 2017 e 11,4 per cento nel 2018 secondo la Commissione Europea);
    la Commissione rileva inoltre che, nonostante il graduale miglioramento del mercato del lavoro, la disoccupazione di lunga durata e quella giovanile restano alte. Il tasso di disoccupazione di lunga durata è stato del 7 per cento circa nel 2016. Il tasso di disoccupazione giovanile è del 40 per cento circa e più di 1,2 milioni di giovani non studiano, non frequentano corsi di formazione e non lavorano. L'attuazione della riforma delle politiche attive del mercato del lavoro, compreso il rafforzamento dei servizi pubblici per l'impiego, è ancora nelle prime fasi. La contrattazione a livello aziendale non è molto diffusa, il che ostacola la distribuzione efficace delle risorse e l'adeguamento delle retribuzioni alle condizioni economiche;
    la riforma del lavoro, il cosiddetto Jobs Act, ha depotenziato l'articolo 18,con la conseguenza di determinare, in materia di licenziamento ingiustificato, economico e disciplinare, «la regola della sola indennità»;
    con riferimento agli incentivi finanziari per l'occupazione, dopo aver ripercorso le misure di recente predisposte – che come evidenziato non hanno portato agli effetti attesi – il Documento individua come futuri interventi (da adottare entro il 2017) senza tuttavia entrare nel dettaglio, il rafforzamento delle misure strutturali di decontribuzione del costo del lavoro e l'adozione di misure mirate sui redditi familiari più bassi;
    nell'ambito delle cosiddette politiche attive, la costituzione dell'ANPAL non sembra contribuire al miglioramento dei Centri per l'impiego, che risultano estremamente carenti in termini di risorse umane e finanziarie;
    si rileva che il Fondo per le politiche attive sia stato a tutt'oggi utilizzato dal Governo per esigenze improprie, come il finanziamento della Cassa integrazione in deroga;
    il PNR 2017 contiene un focus sul disegno di legge relativo al lavoro autonomo e il lavoro agile, attualmente all'esame in Senato, per la seconda lettura. Questo provvedimento registra un disegno complessivo non pienamente coerente al proprio interno, poiché l'applicazione di importanti norme vede come destinatari i professionisti iscritti agli ordini o collegi escludendo quella ampia platea di professionisti disciplinati dalla legge n. 4 del 2013 ovvero iscritti alla gestione separata INPS e fortemente presenti in Italia. Relativamente al lavoro agile il citato disegno di legge governativo mantiene alcune rigidità che rischiano di vanificare le opportunità offerte dall'innovazione tecnologica, per la definizione di una migliore organizzazione del lavoro;
    i dati forniti dall'Istat in audizione sul DEF, davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato, hanno posto in evidenza le drammatiche condizioni di povertà in cui versano l'11,9 per cento delle famiglie italiane, ovvero 7 milioni e 209mila persone, che nel 2016 si sono trovate nelle condizioni di «grave deprivazione materiale». I minori che nel 2016 risultano in condizioni di «grave deprivazione» sono 1.250.000, pari al 12,3 per cento della popolazione con meno di 18 anni. Secondo i dati dell'Istat, tra il 2015 e il 2016 l'indice di grave deprivazione peggiora per le persone anziane (65 anni e più), passando dall'8,4 per cento all'11,6 per cento, e per chi vive in famiglie con persona di riferimento in cerca di occupazione (da 32,1 per cento a 35,8 per cento);
    la grave situazione di stagnazione economica e deflazione della nostra economia con la riduzione dei salari e la mancanza di aumento della produttività non ha fatto altro che aumentare le disuguaglianze e accrescere la perdita di potere d'acquisto dei salari;
    per quanto riguarda il divario di genere, come tutti i dati dimostrano, il nostro Paese continua ad avere un problema soprattutto occupazionale. Giovani donne «in famiglie con due figli con tasso di occupazione al 40 per cento rispetto al maschio, con tasso di occupazione dell'80 per cento, è un dato colossale che, così come rilevato anche in audizione dall'Istat, deve stimolare» a trovare soluzioni concrete;
    si rileva che come risposta alla grave situazione esposta, il Governo si limita ad adottare il reddito di inclusione, come «misura universale di sostegno economico ai nuclei in condizione di povertà»; riordino delle prestazioni assistenziali; rafforzamento e coordinamento degli interventi in materia di servizi sociali, «finalizzato a garantire maggiore omogeneità territoriale nell'erogazione delle prestazioni». Le risorse stanziate dal Governo ammontano solo a 1,2 miliardi nel 2017 e 1,7 nel 2018;
    il Movimento 5 Stelle sostiene da sempre la necessità di inserire nel nostro ordinamento una misura come il reddito di cittadinanza condizionato alla soglia di povertà e a interventi di politica attiva. Per il Movimento 5 Stelle, quindi, uno strumento che possa dirsi sul piano fattuale veramente efficace deve avere requisiti ben specifici: la misura deve essere condizionata alla soglia di rischio di povertà elaborata da Eurostat, fissata al 60 per cento del reddito disponibile equivalente mediano nazionale; prevenire le situazioni di grave privazione materiale e far uscire le famiglie da tali situazioni. Per contrastare in modo efficace la trappola della povertà, il complesso delle misure di sostegno al reddito deve essere fortemente condizionato dagli investimenti nelle politiche attive del lavoro e in particolare nei servizi sociali e nei servizi per l'impiego pubblici; investimenti mai fatti in questi quattro anni di Governo, malgrado ve ne fosse la possibilità nell'ambito della discussione sul Jobs act;
    per le persone in età lavorativa è necessario prevedere l'obbligo della partecipazione a reali misure di sostegno per incoraggiare l'inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro quali: percorsi di formazione e riqualificazione professionale, ricerca attiva del lavoro, percorsi di accompagnamento all'inserimento lavorativo. In riferimento agli ultimi due punti, il Movimento 5 Stelle propone anche una seria riforma dei centri per l'impiego nell'ottica di rendere pienamente operativi tali organi statali, già esistenti, ma scarsamente efficienti, e renderli, quindi, finalmente produttivi;
    la garanzia di un reddito minimo è compresa nella prima stesura del pilastro dei diritti sociali e, durante la conferenza ad alto livello tenutasi a Bruxelles il 23 gennaio 2017, a conclusione della consultazione pubblica su questo tema, il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, ha ribadito che misure di reddito minimo dovrebbero essere adottate da tutti gli Stati membri. Inoltre, nell'allegato alla comunicazione della Commissione europea sul pilastro europeo dei diritti sociali, si può leggere che «la maggior parte degli Stati membri, ma non tutti, erogano un reddito minimo alle persone in condizioni di povertà o a rischio di povertà che non dispongono di altri mezzi di sussistenza. Tra i problemi attuali, però, figurano l'inadeguatezza della prestazione (che non permette ai beneficiari di sottrarsi alla povertà), una copertura ridotta e il mancato ottenimento di tale sostegno a causa della complessità delle procedure». Queste caratteristiche negative, scritte proprio dalla Commissione, sono tutte comprese nel disegno di legge che in questo momento il Governo sta portando all'esame dell'Assemblea;
    Il DEF evidenzia come la Legge di bilancio 2017, introducendo misure volte a flessibilizzare l'età pensionabile, non abbia tuttavia modificato l'impianto strutturale del sistema pensionistico. La cd. «Ape volontaria» costituisce, infatti, una misura che prevede un prestito a garanzia pensionistica, che – secondo il Governo – determina comunque oneri per lo Stato, poiché il prestito sarà restituito in 20 anni, a decorrere dal raggiungimento dell'età pensionabile, il DEF ne valuta le conseguenze in termini di maggior impatto della spesa pensionistica sul PIL (fino a 0,14 per cento nel 2021), che nel periodo di previsione (cioè fino al 2060) dovrebbe attenersi a una percentuale di circa 0,1;
    come ampiamente affermato dal Movimento 5 Stelle al momento dell'approvazione della legge di bilancio per il 2017, le disposizioni su entrambe le APE apparivano e si confermano più come misure elettorali che come effettivi interventi migliorativi delle condizioni dei soggetti interessati. In un caso, infatti, si concede il prepensionamento a spese dell'interessato e nell'altro si riconosce una indennità di prepensionamento a soggetti deboli o che svolgono lavori gravosi ma con limiti di spesa e di tempo, di cui al momento non si conosce l'effettivo perimetro poiché tutto quanto viene rinviato ad un Dpcm che, ad oggi, è ancora all'esame del Consiglio di Stato;
    la riduzione del costo del lavoro è un tema affrontato in sede di legge di stabilità 2015. L'Unione europea ha segnalato più volte:
     1) l'elevato costo del lavoro in Italia;
     2) l'eccessivamente bassa aliquota Iva ridotta (10 per cento);
     3) la necessità di trasferire il carico fiscale dalle persone alle cose.

  Secondo dati recenti, su un lavoratore grava mediamente un cuneo fiscale che oscilla intorno al 48 per cento (oltre 10 punti sopra la media Ocse). Le misure da predisporre dovranno tenere conto delle esigenze dei lavoratori. Quasi la metà del cuneo tra costo del lavoro e retribuzione netta è costituito dagli oneri sociali a carico dell'impresa. È quindi evidente che non si può realizzare una significativa riduzione del cuneo fiscale, e conseguentemente del costo del lavoro, senza agire su questo versante. Il PNR non prefigura scostamenti significativi rispetto alle linee guida tracciate dal precedente Governo Renzi, ossia la riduzione della pressione fiscale sui fattori produttivi ed, in particolare, il taglio del cuneo fiscale e contributivo sul lavoro, con precedenza per lavoratori giovani e donne;
    nell'ambito del pubblico impiego, l'intesa raggiunta dalle parti sociali, con il contratto collettivo quadro del 5 aprile 2016, di assicurare incrementi economici non inferiori a 85 euro mensili lordi medi, cifra analoga alla dinamica contrattuale del settore privato nel medesimo periodo. Gli importi stanziati nella legge di bilancio per il 2017, sembrano coprire solo in parte l'impegno assunto. In termini di contabilità nazionale, il costo dei contratti a regime, sulla base della cifra indicata nel citato Protocollo d'intesa e dell'ultimo dato disponibile sull'occupazione nel settore pubblico, dovrebbe attestarsi su un valore di circa 5 miliardi; il PNR 2017, ricorda la necessità di accompagnare le imprese, con un piano di ricollocazione e di politiche attive, nel processo di cambiamento produttivo e tecnologico;
    le frequenti delocalizzazioni aziendali in paesi esteri, provocano un depauperamento del tessuto economico e sociale dei territori;
   in materia di sanità ed affari sociali:
    in riferimento alle misure di «riduzione della spesa» adottate dal Governo il DEF fa rientrare anche la rideterminazione del livello di finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard e richiama la disciplina contenuta nel Patto per la Salute relativo al triennio 2014-2016 ove la definizione del livello del finanziamento (già per il 2015 un finanziamento del SSN per circa 115 miliardi) è stata di fatto disattesa attraverso una rilevante e progressiva riduzione fissandola in 113 miliardi per il 2017, 114 miliardi per il 2018 e 115 miliardi nel 2019, vincolando, a partire dal 2017, una quota pari a 1 miliardo alla spesa per l'acquisto di particolari tipi di farmaci, come peraltro già avvenuto anche con i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) la cui erogazione di 800 milioni erano condizionati all'adozione del decreto sui LEA;
    il DEF evidenzia che, rispetto al 2015, la spesa per i redditi da lavoro dipendente è in riduzione mentre è in crescita la spesa per l'acquisto dei prodotti farmaceutici, per lo più imputabile alla spesa per farmaci innovativi, tra i quali quelli oncologici e quelli per la cura dell'epatite C e sulla politica del farmaco il Governo, anche nell'ambito del sistema di riforme che lo stesso propone, nulla innova e nulla dice riguardo la necessità di garantire la trasparenza delle misure che regolano la fissazione dei prezzi dei farmaci e a garantire il corretto esplicarsi di un sistema concorrenziale, a garanzia sia dell'appropriatezza e sia della ragionevole e universalistica accessibilità da parte degli utenti del sistema salute;
    le previsioni per gli anni 2018-2020 prevedono che il rapporto fra la spesa sanitaria e PIL decresce e si attesta, alla fine dell'arco temporale considerato, ad un livello pari al 6,4 per cento e tale previsione si basa, tra le diverse cose, proprio sul contributo del Servizio sanitario nazionale alla manovra di finanza pubblica e sugli interventi di contenimento della spesa sanitaria già programmati a legislazione vigente;
    il DEF 2017 ribadisce che, in ogni caso, le misure di sostegno dei redditi e di modernizzazione del sistema saranno affiancate dalle misure di revisione della spesa pubblica, implementate da una nuova fase della spending review, che «dovrà essere più selettiva». Occorre, a riguardo, ricordare la «selettività» operata di recente proprio sul Fondo nazionale per le politiche sociali e sul Fondo per le non autosufficienze, privati rispettivamente di 211 milioni di euro sui 311,58 milioni e di 50 milioni sui 500 previsti, dopo che appena pochi mesi prima il Governo, quasi con meraviglia, li aveva aumentati;
    unico barlume del programma nazionale di riforma è l'introduzione del «benessere equo e sostenibile» (BES), quale indicatore o parametro di misura atto ad efficientare la politica economica del Paese e a riguardo si auspica che, tra gli indicatori del benessere equo e sostenibile, sia individuato quanto prima proprio l'indicatore di salute tenuto conto che lo sviluppo sostenibile per i cittadini è caratterizzato trasversalmente proprio dalla necessità prioritaria di promuovere salute e benessere psico-fisico e sociale ed in tale senso è oggi imprescindibile una visione intersettoriale del sistema salute, cui far corrispondere decisioni politiche fortemente integrate;
    in relazione ai nuovi LEA che il DEF vanta quasi non fosse un atto dovuto dopo ben 15 anni di latitanza, si rileva che l'impatto economico finanziario, stimato in 800 milioni di euro, è il risultato di una diffusa e diversificata opera di compensazione, non chiaramente desumibile dall'esame del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in vigore e scaturente dall'eliminazione di talune prestazioni e l'introduzione di nuove;
    nell'ambito della prevenzione collettiva e della sanità pubblica, i nuovi LEA includono il Nuovo piano nazionale vaccini (NPNV) 2016-2018, già diffuso e richiamato nell'Intesa del 7 settembre 2016, e introduce nuovi e costosi vaccini alcuni dei quali, senz'altro, non possono definirsi né obbligatori e né fortemente raccomandati e, ciò nonostante, sono posti a carico del Servizio sanitario nazionale con specifici fondi stanziati dalla legge di bilancio 2017;
    il DEF annovera come misura di efficientamento del Servizio sanitario nazionale anche la riforma della dirigenza sanitaria, adottata in attuazione della cosiddetta «delega Madia», poi dichiarata incostituzionale in alcune sue parti; ebbene a riguardo occorre evidenziare che le nomine dirigenziali in sanità, come anche segnalato dall'Anac con delibera n. 1388 del 14 dicembre 2016, godono di un peculiare regime di trasparenza rispetto alla generalità dei dirigenti pubblici poiché non sono ad esempio obbligati a pubblicare tutti i compensi a carico della finanza pubblica; è inaccettabile che le disposizioni sulla trasparenza previste per la generalità della dirigenza pubblica non trovino invece applicazione esaustiva per la dirigenza sanitaria che, peraltro, si trova a gestire ingenti e importanti risorse economiche del paese destinate alla salute dei cittadini e che, per contiguità alla politica e ad interessi politico-elettorali è, più di ogni altra dirigenza, collocata in un contesto a forte rischio di corruzione, quella corruzione che nella sanità vale ben 6 miliardi di euro;
   in materia di agricoltura:
    le misure introdotte con legge di bilancio 2017, segnatamente l'esonero contributivo riconosciuto ad alcune categorie di operatori, l'abolizione della cosiddetta IRPEF agricola e il contrasto al caporalato e al lavoro sommerso non sono sufficienti ad assicurare la ripresa e lo sviluppo del settore primario;
    a seguito del rilevante calo del valore aggiunto nell'agricoltura, silvicoltura e pesca, l'azione dal Governo, con riferimento al comparto primario, continua ad apparire del tutto insufficiente ad incidere in modo significativo sulle problematiche del settore: l'aumento continuo dei costi di produzione, la riduzione dei prezzi delle materie prime agricole, le conseguenze del cambiamento climatico in atto, la concorrenza sleale, la contraffazione e l'aumento della tassazione sono ancora le criticità più evidenti per le aziende agricole e delle pesca;
    con riferimento al carico fiscale è necessario sopprimere l'IMU sui terreni concessi in affitto e in comodato a coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali per un contratto che non abbia durata inferiore a 5 anni;
    l'indicazione dell'origine resta una tematica fondamentale per il settore agroalimentare non solo al fine di garantire ai consumatori un'informazione chiara ed esaustiva sulla tracciabilità dei prodotti ma anche per tutelare il nostro made in da una contraffazione sempre più diffusa e pertanto è necessaria una revisione della normativa comunitaria nel senso di rendere almeno obbligatoria l'indicazione dell'origine degli alimenti mono ingrediente;
    la ricerca in agricoltura, specie per quanto riguarda quella sulla biodiversità agricola, è uno strumento indispensabile non solo al progresso del settore ma anche e soprattutto alla conservazione delle varietà e al mantenimento degli ecosistemi e a tal fine è urgente l'istituzione di una Rete nazionale per la conservazione del germoplasma;
    nel nostro Paese i numerosi braccianti agricoli stranieri, il cui lavoro di raccolta è indispensabile per l'economia agricola nazionale, risiedono in strutture di fortuna al limite della dignità umana ed è pertanto indispensabile ed urgente l'adozione da parte del Governo di misure volte a garantire la sistemazione logistica di detti lavoratori;
    il Fondo di solidarietà per il settore della pesca previsto dalla legge di bilancio 2017 non risulta ancora istituito nonostante il 31 marzo 2017 quale termine ultimo per l'emanazione del decreto istitutivo, è sempre più urgente la definizione di strumenti che garantiscano un sistema strutturato di ammortizzatori sociali al comparto della pesca, con l'intento di affrontare in modo organico una questione che, di anno in anno, viene affrontata in maniera episodica con lo stanziamento di fondi a copertura dei fermi biologici,

impegna il Governo:

   in materia di politica economica:
    ad adottare tutte le misure di politica economica per accelerare il tasso di crescita dell'economia, derogando sin dalla programmazione 2017-2020 in corso alle regole di austerity imposte dal fiscal compact, nell'ottica di porre il veto all'inserimento del medesimo nei trattati europei e dare corso ad un periodo di politica economica espansiva, che abbia come priorità la destinazione di tutte le risorse disponibili agli investimenti pubblici, al sostegno dei redditi più bassi e al miglioramento delle condizioni di vita della collettività;
    a sospendere l'applicazione del raggiungimento del pareggio di bilancio e quindi il rispetto dell'indebitamento entro il 3 per cento del PIL, fino al conseguimento di uno stato di benessere sociale, in termini di sicurezza dell'occupazione, servizi ai cittadini, forme di sostegno ai redditi più bassi, innovazione e qualità dell'ambiente, pari ai livelli più elevati della media europea;
    a sostenere nelle sedi europee la politica di espansione, tramite l'interpretazione estensiva dei trattati esistenti, in modo da abbandonare l'attuale interpretazione promotrice di politiche di austerità;
    a intervenire, anche nelle sedi europee, per rilanciare il principio di una gestione autonoma del debito da parte degli Stati, basata non più su politiche di rigore, ma di riduzione progressiva del debito attraverso la crescita economica;
    a promuovere in sede europea iniziative per l'armonizzazione interna dei montanti di surplus/deficit tra i vari Paesi dell'Unione;
    a programmare una politica mission oriented incentrata sulla promozione dell'innovazione nei settori chiave con particolare attenzione al comparto dell'energia pulita;
    a considerare come vincolanti gli indicatori di Benessere Equo e Sostenibile, completando quei pochi recentemente individuati nel Documento di Economia e Finanza, rendendoli programmatici;
    a promuovere misure adeguate di sostegno al reddito e di inclusione sociale, di entità non inferiore a quelle già adottate dagli altri Paesi europei, considerando anche le proposte di legge depositate in Parlamento su tali temi;
    a invertire le politiche economiche adottate sino ad oggi, basate sul principio del labour intensive, adottando politiche economiche capital intensive nei settori quali l'energia pulita e l'innovazione;
   in materia di finanza locale:
    a reperire risorse per ridimensionare i tagli a carico degli enti locali per il 2017-2018 adottati dal decreto-legge n. 66 del 2014;
    a porre in essere iniziative per risolvere le problematiche connesse alla dotazione organica dei comuni, in particolar modo alle esigenze di implementazione dei lavoratori stagionali;
    a mettere in campo tutte le misure necessarie per dare la possibilità agli enti locali di uscire dalla spirale del cosiddetto Matthew Effect, che comporta che i comuni più bisognosi e in difficoltà abbiano paradossalmente dotazioni minori di quelli più facoltosi, quindi ripartire meglio le risorse loro destinate nonché dare loro la possibilità di rinegoziare il loro debito;
   in materia di affari costituzionali e sicurezza:
    ad incrementare significativamente ed in maniera strutturale le risorse economico-finanziarie destinate al comparto della sicurezza e dell'ordine pubblico, sia per consentire adeguati investimenti di carattere strumentale, sia per quelli necessari all'incremento del personale e al pieno adeguamento delle retribuzioni a quelle delle forze di polizia europee;
    ad incrementare le dotazioni del fondo per l'acquisto e ammodernamento dei mezzi strumentali in uso alle Forze di polizia e al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, in considerazione delle indifferibili esigenze contingenti, anche in relazione ai fenomeni migratori in atto ed ai recenti eventi sismici;
    a prevedere il pieno ristoro del mancato adeguamento contrattuale dall'anno 2010 all'anno 2015, in relazione alla dichiarata illegittimità costituzionale del blocco stipendiale derivante dal regime di sospensione della contrattazione collettiva;
    a voler prevedere un piano straordinario di assunzioni nel settore della sicurezza e dell'ordine pubblico, volto prioritariamente all'incremento del personale nelle aree del Paese più esposte al fenomeno migratorio ed alla criminalità, oltreché in quelle colpite dai recenti e disastrosi eventi sismici;
    a voler procedere ad una rivisitazione delle piante organiche del personale di Polizia di Stato ormai risalenti nel tempo e non più adeguate alle accresciute necessità di sicurezza dei cittadini;
    ad assumere le opportune iniziative, di carattere normativo e regolamentare, affinché il personale dei corpi di Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza e di ogni altro corpo chiamato a svolgere funzioni di ordine pubblico sia munito – con assoluta urgenza – di sistemi idonei di equipaggiamento, con priorità per il personale operante in aree a rischio;
    a voler assicurare, attraverso i più idonei provvedimenti di carattere amministrativo, l'addestramento costante del personale dei corpi di polizia, in conformità alle nuove esigenze di sicurezza connesse al terrorismo internazionale; a voler effettuare una dettagliata ricognizione del personale di polizia assegnato a funzioni di carattere amministrativo, ovvero di scorta personale, al fine di una gestione efficiente ed efficace delle risorse organiche anche in relazione alle attuali esigenze di sicurezza;
    a dismettere i centri hotspot attualmente operativi nel territorio nazionale, costosi ed inefficaci tanto sul piano economico quanto sul piano della tutela dei diritti fondamentali costituzionalmente riconosciuti ai migranti e a non dare seguito all'istituzione, come annunciato, di ulteriori e nuovi centri hotspot;
    a non assumere iniziative normative che, rispetto alle modalità di gestione dei servizi pubblici, escludano la gestione pubblica e limitino la gestione diretta anche tramite società a totale capitale pubblico;
   in materia di giustizia:
    a reperire adeguate risorse finanziarie, volte ad adeguare, oltre alle facoltà assunzionali previste, il numero dei magistrati a disposizione e del completamento delle piante organiche del personale amministrativo degli uffici giudiziari al fine dell'abbattimento del contenzioso arretrato, fermo restando che il ripristino della piena funzionalità del sistema giudiziario italiano, inteso come investimento strategico, non possa passare solo dalla «riforma» della procedura penale, civile, fallimentare;
    a contemplare, o quantomeno prefigurare, una severa e risoluta legislazione anticorruzione, tale da prevedere: un «DASPO» per i corrotti e corruttori, cioè l'interdizione perpetua dai pubblici uffici e l'incapacità a contrarre con la pubblica amministrazione per chi è stato condannato definitivamente per un reato contro la P.A.; l'aumento delle pene per tutti i reati contro la Pubblica amministrazione: riallineando le fattispecie e recuperando la logica delle sanzioni nel codice; una revisione della prescrizione che la interrompa dal momento del rinvio a giudizio dell'imputato nonché al raddoppio dei termini di prescrizione per i reati di corruzione; una tutela del segnalatore di reati, il whistleblower, con l'inserimento nel cronoprogramma del 2017 della definitiva approvazione della proposta di legge «Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell'ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato», attualmente all'esame del Senato; l'eliminazione delle soglie di non punibilità per il reato di falso in bilancio e, al fine di scoraggiare qualsiasi alleanza tra politica e criminalità organizzata, revisione della tipizzazione dell'articolo 416-ter del codice penale;
    a ripristinare l'integrale tutela giudiziale, degradando a mera facoltà delle parti – e non a una condizione di procedibilità della domanda giudiziale – il ricorso agli strumenti di composizione stragiudiziale delle controversie, nella radicata e ferma convinzione che non si debba alleggerire il carico di lavoro dei giudici e fare fronte all'enorme arretrato dei tribunali comprimendo i diritti dei cittadini;
    ad adoperarsi per escludere, nel corso dell’iter del disegno di legge delega governativo (A.S. 2284) sul processo civile relativamente alla disciplina del Tribunale delle imprese, la previsione del raddoppio del contributo unificato limitatamente alle società di persone e le piccole imprese, così da generare un positivo effetto sulla concorrenza, laddove anche ai soggetti economici di dimensioni ridotte sia pienamente consentito di agire in giudizio per far valere i propri diritti;
    a ricomprendere tra le riforme necessarie, utili anche sotto il profilo del contenimento dei costi, l'introduzione di un vera class-action, votata alla Camera all'unanimità nel giugno del 2015 ed esclusa dai crono-programmi del 2016 e del 2017. Proposta che, se approvata in via definitiva, potrebbe da sola ridurre sensibilmente, accorpandole, le cause da parte di molteplici cittadini, consumatori e non, lesi dalle condotte offensive di un medesimo soggetto economico;
    ad inserire nel cronoprogramma delle riforme per il 2017, la definitiva approvazione della proposta di legge C. 2168, dal 10 luglio 2015 al vaglio del Senato per la seconda lettura, che introduce nel codice penale il reato di tortura, espressamente vietata in alcuni atti internazionali sottoscritti dall'Italia, onde evitare nuove ed ulteriori sanzioni per lo Stato da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo;
    ad adoperarsi per escludere, nel corso dell’iter del disegno di legge delega governativo sul processo civile, approvato alla Camera ed attualmente al vaglio del Senato, che l'amministrazione della giustizia in ambito minorile, con particolare riferimento a quella penale, non possa essere assolutamente parificata e regolamentata secondo gli schemi della giustizia ordinaria, anche al fine di una più celere ed efficiente trattazione dei casi da parte di magistrati effettivamente specializzati;
    ad incentivare l'accesso alla magistratura togata da parte dei giovani neolaureati, incrementando la frequenza dei concorsi, ampliando altresì i posti messi a disposizione ed abolendo l'attuale limite delle tre consegne per i candidati;
    nell'ambito di una complessiva revisione della legge 24 marzo 2001, n. 89 rispondente al dettato ed alla giurisprudenza della CEDU, valutare gli effetti applicativi delle disposizioni introdotte con la Legge di stabilità 2016, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere che l'esperimento dei rimedi preventivi alla durata irragionevole del processo non sia obbligatorio, bensì facoltativo, nonché il quantum per l'indennizzo da riconoscere per ciascun anno che eccede il termine ragionevole durata del processo permanga nei parametri in vigore nel 2015;
   in materia di affari esteri e difesa:
    all'interno del quadro macroeconomico del DEF 2017, a chiarire inequivocabilmente l'esatta corrispondenza tra i «promettenti valori nei flussi di esportazioni verso la Russia» e l'attuale, reiterato regime di sanzioni alla Russia, al fine di evitare che vengano colpiti ancora così duramente gli interessi nazionali, così come certificato dalle associazioni dei settori merceologici maggiormente interessati;
    a ritirare lo schema legislativo recante disposizioni in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze Armate (Atto del governo n.396) e ripresentarlo tenendo presente le prescrizioni dello stesso Libro bianco per la sicurezza internazionale e la difesa del 2015, ovvero portare il bilancio della difesa in equilibrio tra il 50 per cento di spese per gli investimenti, il 25 per cento per il personale e il 25 per cento per l'esercizio. Riequilibrio che può essere conseguito evitando la superfetazione di nuovi gradi, attuando la riduzione consistente del numero degli ufficiali ed in particolare dei generali e l'abolizione dell'istituto dell'Ausiliaria; a rivedere la partecipazione italiana ad alcune missioni internazionali ormai fallimentari (Afghanistan tra le prime);
    a ridimensionare le spese per armamenti incompatibili con il carattere difensivo delle nostre Forze Armate come gli F35 e a contrastare e prevenire i fenomeni di corruzione nei grandi programmi di ammodernamento dei sistemi d'arma (a cominciare dalla cosiddetta Legge Navale) nonché alle gare di appalto oggetto di diverse inchieste giudiziarie che stanno coinvolgendo una parte dei vertici delle Forze Armate;
   in materia fiscale e tributaria:
    a ridurre la pressione fiscale sul reddito delle persone fisiche attraverso la revisione degli scaglioni IRPEF privilegiando, nell'ottica di redistribuzione della ricchezza, le fasce di contribuenti medio-basse, i nuclei familiari monoreddito e con più componenti e le diversità territoriali del Paese;
    a ridurre il costo fiscale del lavoro su imprese, in particolare per le piccole realtà imprenditoriali, professionali e artigianali, incentivando gli investimenti per imprenditoria giovanile e start-up;
    a introdurre regimi fiscali semplificati per imprese e società che garantiscono adeguate forme di affidabilità e regolarità fiscale con riduzioni di imposta e immunità da determinate tipologie di accertamento e verifiche fiscali;
    a riformare il sistema di riconoscimento delle agevolazioni e detrazioni fiscali semplificando le modalità di fruizione, anche attraverso l'introduzione di modalità alternative volte a favorire il trasferimento del beneficio e ad anticiparne gli effetti;
    a potenziare e razionalizzare, anche nell'ambito della riorganizzazione del sistema delle agenzie fiscali, gli attuali strumenti di riduzione dell'indebitamento fiscale, limitando il ricorso alle esecuzioni forzate sui beni personali del debitore;
    ad introdurre disposizioni di carattere normativo al fine di vietare allo Stato, alle Fondazioni bancarie, alle imprese bancarie, finanziarie ed assicurative di effettuare investimenti in strumenti finanziari derivati o speculativi che implichino un rischio di perdite patrimoniali e siano pregiudizievoli per le risorse erariali e per il risparmio dei cittadini;
    promuovere la separazione tra banche commerciali e banche d'investimento nonché l'istituzione di una banca pubblica degli investimenti al fine di favorire il finanziamento e la ripresa dell'economia reale;
   in materia di istruzione e beni culturali:
    a prevedere adeguati stanziamenti da destinare al comparto istruzione, affinché sia invertita con urgenza la grave tendenza a sottostimare gli investimenti nel settore, assicurando un rapporto tra spesa e PIL adeguato agli standard europei e idoneo allo sviluppo culturale del Paese;
    ad assicurare misure idonee all'efficientamento complessivo dell'intero sistema scolastico italiano, ponendo rimedio a gravi inadempienze quali, in particolare: assenza di provvedimenti in materia di internalizzazione dei servizi scolastici e conseguente superamento del sistema di appalti esterni; urgente necessità di definire e garantire i livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione; diminuzione del numero minimo di alunni o studenti per classe, anche in proporzione al numero di alunni con disabilità presenti per classe; assenza di misure per l'aumento del tempo pieno, con particolare riferimento alle regioni del Sud; l'auspicata e necessaria coincidenza dell'organico di fatto con quello di diritto;
    ad assicurare con urgenza, per le istituzioni universitarie e per gli Enti di ricerca, una quota premiale aggiuntiva al finanziamento ordinario, con riferimento al FFO, nonché al FOE, rivedendo contestualmente la distribuzione dei finanziamenti attualmente attribuiti al FFO secondo il calcolo del costo standard per Ateneo, impedendo l'assunzione di personale docente attraverso il sistema di «chiamata diretta» e stabilendo stanziamenti adeguati espressamente finalizzati all'opera e all'attività degli Enti di ricerca;
    a sancire l'indispensabile processo di integrazione e armonizzazione dei diversi percorsi formativi nell'intera filiera delle scuole musicali e a portare a compimento, a far tempo dalla legge n. 508 del 1999, l'incompiuta riforma dell'alta formazione artistica e musicale (AFAM);
    a prevedere stanziamenti idonei in materia di sicurezza degli edifici scolastici, destinando risorse che assicurino la verifica della piena conformità alle vigenti disposizioni in materia di edilizia e alle norme tecniche antisismiche, l'attestazione dell'indice di vulnerabilità sismica, nonché l'eventuale e conseguente adeguamento derivante dall'assenza dei requisiti richiamati; a implementare, inoltre, l'Anagrafe dell'edilizia scolastica del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca affinché costituisca un sistema continuamente aggiornato di tali dati tra il Ministero e le Regioni che, con la dovuta trasparenza, possa promuovere, indirizzare e coordinare le attività di studio, ricerca, monitoraggio e normazione tecnica espletate dalle Regioni e dagli enti locali territoriali in ordine alle strutture scolastiche;
    a garantire l'assunzione di misure idonee che, in materia di federalismo demaniale culturale, assicurino per i beni di interesse storico artistico la presenza del «vincolo di destinazione d'uso», ivi compreso il divieto di alienazione di tali beni a soggetti privati;
    a disporre un adeguato piano per la programmazione di lungo periodo in materia di Sport e attività connesse, con particolare riferimento all'adeguamento degli stanziamenti previsti per il fondo «Sport e Periferie» introdotto dal decreto-legge n. 185 del 2015, assicurando il raggiungimento delle finalità definite dal provvedimento;
   in materia di ambiente:
    ad avviare quanto prima un processo partecipativo e consultivo che coinvolga associazioni, rappresentanti del mondo delle imprese, del lavoro e della società civile che si articoli in due fasi: una prima fase di informazione diffusa sulle problematiche e gli obiettivi della Strategia energetica nazionale e una seconda fase di proposte operative per favorire il risparmio energetico ed uso efficiente dell'energia e della sua domanda e un progressivo abbandono delle fonti fossili con diverse fasi a medio e lungo termine;
    a promuovere le innovazioni tecnologiche nei settori dell'efficientamento energetico, delle fonti energetiche rinnovabili, dei sistemi di accumulo e di distribuzione;
    a supportare gli obiettivi di decarbonizzazione totale con un'adeguata politica fiscale che contempli: l'eliminazione di tutti i sussidi diretti ed indiretti al fossile graduali e programmati nel tempo, ma totali nel medio termine; l'introduzione della carbon tax, tassa graduale e programmata su tutte le risorse energetiche, e non solo, che emettono biossido di carbonio nell'atmosfera; strumenti fiscali per cui ogni tonnellata di inquinamento da anidride carbonica rilasciata sarà soggetto ad un'aliquota fissata dal Governo;
    a risparmiare le risorse previste per Casa Italia, rafforzando invece il ruolo del Ministero dell'Ambiente in modo che torni a svolgere il suo ruolo di coordinamento e di programmazione in correlazione con le Autorità di bacino, con il Dipartimento per il Servizio Geologico e con la protezione Civile e ad investire sulla strategia nazionale per le aree interne sostenuta con fondi SIE e con risorse nazionali; a garantire l'efficientamento della capacità di spesa e realizzazione dei fondi già stanziati;
    ad aumentare il controllo del territorio, contrastare l'abusivismo edilizio con seri provvedimenti, dare adeguata attenzione non solo al rischio sismico, ma anche adeguate mappature delle criticità territoriali dove insistono rischi vulcanici, idrici, chimici e ambientali;
    a programmare un piano straordinario di investimenti nel settore idrico, che preveda l'aumento del Fondo per le Risorse Idriche di almeno 500 milioni di euro annui, e che abbia la finalità di dare certezze e produrre un'accelerazione degli investimenti previsti e di indirizzarli prevalentemente verso la ristrutturazione della rete idrica, con l'obiettivo di ridurre le perdite di rete, e verso le nuove opere, in particolare del sistema di depurazione e di fognatura;
    ad investire maggiori risorse, a razionalizzare e monitorare con trasparenza ed efficacia, quanto previsto nei Patti per il Sud in cui sono previsti fondi e accordi di programma sul tema delle infrastrutture idriche;
    ad elaborare una riforma dei servizi pubblici locali che fermi l'incentivazione delle privatizzazioni e garantisca l'accesso a tutti i cittadini ai servizi pubblici locali di qualità, a costi sostenibili, sottoposti ad una governance trasparente e partecipata, con il fine di rilanciare gli investimenti in questo settore;
   in materia di trasporti:
    ad adoperare una reale revisione nonché razionalizzazione del numero complessivo degli interventi inseriti nelle appendici 1 e 2 dell'allegato III, tenendo conto della reale domanda di mobilità del paese, delle esigue risorse finanziarie disponibili e della vetustà degli studi di fattibilità;
    a ridurre gli investimenti per la costruzione di nuovi corridoi e di nuove linee ferroviarie, destinando le esigue risorse disponibili ad interventi miranti al recupero, messa in sicurezza ed elettrificazione delle linee ferroviarie esistenti;
    ad adottare interventi volti a migliorare la sostenibilità ambientale ed economica dei trasporti anche attraverso una ridefinizione dell'equilibrio modale che favorisca il trasporto delle merci e delle persone su ferro;
    ad adeguare, senza adoperare una privatizzazione né liberalizzazione del settore con servizi a gara, l'offerta di trasporto pubblico locale alle reali esigenze di mobilità della popolazione, puntando sulla valorizzazione e l'efficientamento delle aziende di trasporto pubblico, da realizzarsi attraverso piani industriali credibili, stabilità del quadro normativo, incremento delle risorse finanziarie pubbliche e la definizione di criteri trasparenti di assegnazione delle stesse, ammodernamento della flotta, promozione della pianificazione integrata trasporti-territorio, nonché favorendo la trasparenza attraverso forme di partecipazione degli utenti nella programmazione e nel controllo;
    a rivedere l'attuale impostazione relativa al project financing e agli altri istituti del Partenariato Pubblico Privato al fine di ridimensionare il coinvolgimento dei capitali non pubblici nella realizzazione delle opere pubbliche e di pubblica utilità in Italia;
    a sospendere ed annullare, poiché risulta essere totalmente assente una politica seria di lungo periodo mirante all'abbattimento del debito pubblico, gli interventi di c.d. privatizzazione messi in campo dal Governo, soprattutto per quanto concerne Poste S.p.a., e Ferrovie dello Stato;
    ad emanare, nel più breve tempo possibile, il documento pluriennale di pianificazione contenente l'elenco degli interventi relativi al settore dei trasporti e della logistica;
   in materia di attività produttive:
    a promuovere una vera conversione della politica economica, attraverso nuove misure di sostegno in favore, dello sviluppo delle vere fonti energetiche rinnovabili e dell'efficienza energetica, puntando in modo netto sulla valorizzazione dell'economia verde;
    adottare una norma interpretativa autentica volta ad estendere l'imposta municipale propria anche agli immobili costruiti su strutture artificiali ubicate nel mare territoriale;
    ad attuare con gli strumenti della politica nazionale un'efficace lotta alla contraffazione nelle dogane e sul territorio, in difesa dei consumatori e della produzione nazionale;
    a certificare, in tempi brevi, i debiti della pubblica amministrazione ai fini della compensazione con crediti fiscali da parte delle imprese, assumendo iniziative per prevedere delle sanzioni nei confronti degli enti inadempienti;
    ad adottare ogni iniziativa in sede europea, finalizzata a concordare con la Commissione europea un piano straordinario, di natura una tantum, per il pagamento dei debiti pregressi delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese creditrici, che preveda che l'uscita di cassa non vada ad incidere sul pareggio di bilancio strutturale del nostro Paese per tutto il periodo ritenuto necessario per l'azzeramento dei debiti pregressi accumulati;
    a rendere stabile e certa la detrazione fiscale per interventi di efficienza energetica/ristrutturazione edile, prevedendo una premialità nei confronti degli interventi che massimizzano l'efficacia rispetto al costo per la collettività, e garantendo un riequilibrio della capacità d'accesso agli incentivi che li renda convenienti anche per i contribuenti a minor reddito;
    a sostenere il rilancio del settore turistico italiano attraverso l'adozione di misure per la riduzione del carico fiscale, la semplificazione burocratica e la facilitazione all'accesso al credito per le imprese turistiche, con particolare riferimento a quelle di medie e piccole dimensioni;
   in materia di politiche energetiche:
    a migliorare l'efficacia delle detrazioni fiscali per gli interventi di efficienza energetica/ristrutturazione degli immobili, prevedendo una premialità nei confronti di quelli che massimizzano l'efficacia rispetto al costo per la collettività, e garantendo un riequilibrio della capacità d'accesso agli incentivi che li renda utili per i contribuenti a minor reddito nel contrasto alla povertà energetica;
    a inserire dei criteri di efficienza ambientale per l'allocazione delle risorse previste nei capitoli di spesa del Ministero per lo sviluppo economico, comprese quelle destinate al finanziamento di programmi d'armamento della Difesa;
   in materia di lavoro:
    a porre in essere una concreta razionalizzazione ed una semplificazione degli strumenti di sostegno al reddito attualmente esistenti al fine di pervenire, al pari di altri paesi europei, all'introduzione del reddito di cittadinanza quale meccanismo di protezione sociale universale, finalizzato a contrastare le disuguaglianze e a conseguire risultati concreti per contrastare la povertà;
    ad incrementare le risorse e gli strumenti per le politiche attive del lavoro, investendo maggiori risorse per il riordino dei servizi per l'impiego al fine del rafforzamento della funzionalità dei centri, anche mediante l'assunzione di nuovi operatori, nell'ottica di un disegno complessivo di riforma, nonché a procedere al monitoraggio, valutazione ed eventuale revisione dei compiti delle agenzie per il lavoro di somministrazione di lavoro e operare una generale razionalizzazione dei servizi per l'impiego;
    a porre in essere, attraverso opportuni strumenti normativi, una drastica riduzione della pressione fiscale per le aziende che investono in Italia e che creano posti di lavoro a tempo indeterminato, prevedendo inoltre sgravi contributivi crescenti a favore dei datori di lavoro che mantengono il lavoratore in azienda garantendone la costante riqualificazione; abbandonare il sistema degli incentivi «una tantum» che hanno avuto il solo effetto di drogare il mercato del lavoro e ripristinare invece le misure di cui all'articolo 8, comma 9, della legge 29 dicembre 1990, n. 407;
    a rendere immediatamente operativa, l'interoperabilità dei dati, introdotta nel nostro ordinamento grazie alle richieste del Movimento 5 stelle, a seguito dell'adozione del sistema unitario informativo e il Fascicolo personale elettronico del lavoratore, a partire dai soggetti pubblici già esistenti (compresi i sistemi informativi dell'ISTAT), al fine di favorire l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, lo scambio di informazioni tra organi ed enti deputati alla formazione ed al collocamento sì da garantirne una sempre maggiore efficacia di azione, consentendo al lavoratore di poter documentare in modo certo le competenze acquisite in ambito formale, non formale ed informale e le pregresse esperienze lavorative;
    a valutare l'opportunità di ripristinare l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori;
    a valutare l'opportunità di realizzare «piani industriali» nei settori strategici, con finalità occupazionali, attraverso:
     a) la riduzione dell'orario di lavoro;
     b) adeguati investimenti pubblici e privati;
    a valutare l'opportunità di prevedere un programma di riqualificazione professionale dei lavoratori coinvolti in un'eventuale conversione digitale delle aziende; nell'ambito del pubblico impiego, a porre in essere tutte le misure atte a garantire l'assegnazione di risorse corrispondenti al numero effettivo dei beneficiari, finalizzate al rinnovo contrattuale;
    nell'ambito del lavoro autonomo, a introdurre l'individuazione di parametri standard minimi, concernenti la natura, il contenuto e le caratteristiche delle prestazioni svolte dal lavoratore autonomo professionista sia nei confronti della committenza privata, sia nei confronti della pubblica amministrazione;
    nell'ambito del lavoro agile, a prevedere l'introduzione di «fasce di reperibilità» entro le quali il lavoratore può essere contattato ed è tenuto a «rispondere», l'introduzione di una nuova disciplina dei controlli a distanza con la previsione del divieto di apparecchiature o dispositivi per finalità di controllo dell'attività dei lavoratori;
    nell'ambito del sistema pensionistico, a procedere a una modifica delle attuali politiche in materia pensionistica e previdenziale a partire dall'abolizione della c.d. «riforma Fornero» di cui all'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, dalla salvaguardia delle pensioni di reversibilità e dall'aumento degli assegni sociali;
    a introdurre una flessibilità pensionistica diversa da quella prospettata con «Anticipo pensionistico», conditio sine qua non per favorire il ricambio generazionale;
    nell'ambito della riduzione del «cuneo fiscale» a prevedere – come sottolineato in sede di audizione da Confindustria – la rimodulazione del contributo CUAF (Cassa Unica Assegni Familiari), che porterebbe a una riduzione di circa 2 punti percentuali dei contributi sociali a carico delle imprese;
    a prevedere altresì un tetto massimo pari a 5000 euro per i trattamenti pensionistici e la destinazione delle risorse ricavate da tale misura ad interventi di aumento delle pensioni minime;
    ad assumere iniziative per una rivalutazione che accresca tale limite di reddito, quanto meno con riguardo alle pensioni a favore dei superstiti di assicurato e pensionato (c.d. reversibilità) percepite dagli orfani, al fine di innalzare la soglia oltre la quale il genitore superstite perde il beneficio della detrazione per carichi di famiglia a essi riferita;
   in materia di sanità ed affari sociali:
    a chiarire, senza alcuna ambiguità e soprattutto in termini economici, la valenza del termine «condizionato» che, nell'ambito del livello di finanziamento del Fondo sanitario nazionale, crea diffuse incertezze sulla effettività delle risorse laddove sono «condizionate» al conseguimento di taluni atti o decreti, come fatto con gli 800 milioni dei LEA per il 2016 e come, da ultimo, si prevede, per il 2017, in relazione all'acquisto di farmaci innovativi per 1 miliardo di euro;
    a presentare un nuovo Patto per la Salute per il triennio 2017-2019 ove il livello del finanziamento del SSN sia ritenuto inderogabile, garantendo risorse adeguate e rivedendo la politica dei tagli, così da assicurare che l'incidenza della spesa sanitaria sul PIL sia collocata ad un livello accettabile tale da garantire il principio universalistico della tutela della salute e soprattutto così da assicurare l'effettiva esigibilità dei LEA, sulla base delle quantificazioni effettuate in sede di intesa Stato-regioni dell'11 febbraio 2016;
    a dare seguito alle raccomandazioni avanzate dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nell'ambito dell'indagine conoscitiva condotta sui vaccini nell'anno 2016, tenuto conto della rilevanza dei vaccini in termini di spesa sanitaria a carico del Sistema Sanitario Nazionale (oltre 300 milioni di euro l'anno), in particolare nella parte in cui la citata Autorità raccomanda che sia chiarita l'evoluzione della profilassi in tal senso avvenuta nei confronti dei soggetti a cui l'offerta vaccinale viene destinata, e altresì nella parte in cui raccomanda che le decisioni di inclusione di un prodotto vaccinale in un programma pubblico di prevenzione e/o la sua qualifica in termini di essenzialità avvengano sempre con le massime garanzie di scientificità, trasparenza e indipendenza, facendo altresì ricorso in maniera espressa e verificabile agli strumenti ormai già ampiamente disponibili di analisi tecnico-economica, in particolare per i profili di costo-efficacia dei diversi prodotti vaccinali, alla luce delle indicazioni e migliori pratiche esistenti a livello internazionale, ciò tenuto conto che, rispetto all'offerta, l'inclusione e il successivo mantenimento di un vaccino nell'elenco di quelli essenziali ai sensi dei PNPV/LEA comportano un notevole vantaggio competitivo, in molti casi corrispondente a una sorta di garanzia d'acquisto da parte del SSN e tenuto conto dei condizionamenti della domanda e dell'impatto economico-commerciale che ne conseguono;
    ad adottare misure atte a controllare i prezzi dei farmaci, garantendo che le intese in materia di prezzi sui farmaci siano trasparenti e conoscibili, con evidenza del metodo utilizzato per la definizione del prezzo e degli utili, anche modificando il sistema di rimborso dei farmaci e avviando un processo di riordino dell'Aifa;
    a garantire che nell'ambito degli interventi di contenimento della spesa sanitaria concomitanti al DEF all'esame, il personale sanitario sia esonerato dal contribuire ulteriormente sia in termini di riduzione di organico e sia in termini di riduzione delle risorse destinate al trattamento economico permanente e accessorio, mantenendo altresì gli impegni concernenti le assunzioni di personale sanitario, dando così piena attuazione all'articolo 14 della legge n. 161 del 2014 (attuativa della legge europea) che, entrata in vigore nel novembre 2015, reca disposizioni attuative sull'organizzazione del lavoro del personale ospedaliero;
    ad intervenire affinché siano recuperate le risorse recentemente sottratte sia al Fondo nazionale per le politiche sociali e sia Fondo per le non autosufficienze, privati rispettivamente di 211 milioni di euro sui 311,58 milioni e di 50 milioni sui 500 previsti;
    ad intervenire affinché nell'ambito del «benessere equo e sostenibile» (BES), quale indicatore o parametro di misura atto ad efficientare la politica economica del Paese, sia individuato quanto prima proprio l'indicatore di salute, tenuto conto che lo sviluppo sostenibile per i cittadini è caratterizzato trasversalmente proprio dalla necessità prioritaria di promuovere salute e benessere psico-fisico e sociale;
    ad intervenire affinché nell'ambito della riforma della dirigenza sanitaria, annoverata nel DEF come misura di efficientamento del SSN, sia recuperata ogni misura utile e rescindere l'inaccettabile meccanismo che lega le nomine della dirigenza sanitaria agli interessi della politica e sia dato seguito all'atto di segnalazione al Parlamento e al Governo fatto dall'Anac con delibera n. 1388 del 14 dicembre 2016;
   in materia di agricoltura:
    ad esentare dal pagamento dell'IMU i terreni agricoli concessi in affitto e/o in comodato a coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali il cui contratto di locazione e/o comodato abbia durata di almeno 5 anni;
    ad istituire, almeno in via sperimentale, l'obbligo di indicazione in etichetta dell'origine degli alimenti mono-ingrediente commercializzati in Italia e ad intervenire nelle competenti sedi comunitarie affinché tale obbligo sia introdotto a livello unionale;
    ad istituire una Rete nazionale per la conservazione del germoplasma e ad incentivare e sostenere ulteriormente la ricerca finalizzata alla tutela e conservazione della biodiversità agricola;
    ad adottare urgentemente misure volte a garantire la sistemazione logistica dei numerosi braccianti agricoli stranieri il cui lavoro di raccolta è indispensabile per l'economia agricola nazionale e che risiedono in strutture di fortuna al limite della dignità umana; ad adottare urgentemente un sistema strutturato di ammortizzatori sociali per il settore della pesca.
(6-00308) «Caso, Cecconi, Fico, Cariello, Castelli, Sorial, D'Incà, Brugnerotto, Del Grosso, Spadoni, Dieni, Ferraresi, Manlio Di Stefano, Frusone, Sibilia, Di Benedetto, Daga, Spessotto, Vallascas, Chimienti, Nesci, L'Abbate, Battelli».


   La Camera,
   premesso che:
    in data 12 aprile 2017, il Governo ha presentato alle Camere il testo del DEF come previsto dall'articolo 10 della legge n. 196 del 2009;
    le previsioni di crescita riportate nel nuovo quadro macroeconomico programmatico indicano:
   a) per quanto riguarda il PIL, un aumento dell'1,1 per cento nel 2017, dell'1,0 per cento nel 2018 e 2019, e dell'1,1 per cento nel 2020;
   b) una diminuzione del tasso di disoccupazione che scende all'11,5 nel 2017, all'11,1 nel 2018, al 10,5 nel 2019 e al 10 per cento nel 2020;
   c) un indebitamento netto pari al 2,1 per cento nel 2017, all'1,2 per cento nel 2018, allo 0,2 per cento nel 2019 e al pareggio nel 2020;
   d) un saldo primario che si colloca all'1,7 per cento nel 2017, al 2,5 per cento nel 2018, al 3,5 per cento nel 2019 e al 3,8 per cento nel 2020;
   e) una spesa per interessi che si colloca al 3,9 del PIL nel 2018, per scendere al 3,7 nel 2018 e 2019 e, nuovamente in salita, al 3,8 nel 2020;
   f) un debito pubblico lordo previsto al 132,5 per cento del PIL nel 2017, al 131 per cento nel 2018, al 128,2 per cento nel 2019 e al 125,7 per cento nel 2020;
   g) un dato relativo al PIL tendenziale in valori assoluti che viene stimato a 1.709,5 milioni di euro nel 2017, 1.758,6 nel 2018, 1.810,4 nel 2019 e 1.861,9 nel 2010;
   h) un dato relativo al PIL programmatico in valori assoluti stimato a 1.710,6 milioni di euro nel 2017, 1.757,1 milioni di euro nel 2018; 1.809,3 nel 2019 e 1.860,6 nel 2020;
    come riportato nello stesso Documento, il Governo attua immediatamente misure di riduzione dell'indebitamento strutturale pari a 0,2 punti del PIL per quest'anno; il pacchetto comprende misure volte alla riduzione dell'evasione dell'IVA e di altri tributi; vengono ridotte alcune spese e vengono previsti maggiori investimenti nelle zone colpite dai recenti eventi sismici pari a 1 miliardo di euro annui per il periodo 2017-2020;
    l'effetto congiunto degli interventi delineati, determina una revisione al ribasso dell'indebitamento netto programmatico del 2017 dal 2,3 al 2,1 per cento del PIL;
    lo scenario programmatico del DEF prevede, quindi, una discesa del deficit nei due anni successivi stimato all’ 1,2 per cento del PIL nel 2018 e allo 0,2 per cento nel 2019, mentre per il 2020, si prevede un ulteriore miglioramento del saldo verso il pareggio di bilancio;
    con riferimento alle Amministrazioni pubbliche, l'indebitamento netto nel 2016 è stato pari 40,8 miliardi di euro con una riduzione di quasi 3,4 miliardi rispetto al 2015, miglioramento ascrivibile anche alla riduzione degli interessi passivi che hanno determinato margini per 1,8 miliardi;
    la spesa per interessi si è ridotta per il quarto anno consecutivo, collocandosi a 66,3 miliardi nel 2016, mentre l'incidenza della spesa per interessi sul PIL è scesa al 4 per cento del PIL ed è stimata, come suindicato, in discesa al 3,9 nel 2017 e poi al 3,7 nel 2018 e 2019, per risalire al 3,8 nel 2020;
    l'avanzo primario in rapporto al PIL collocatosi all'1,5 per cento nel 2016, viene confermato allo stesso valore percentuale nel 2017 e in crescita al 2,4 nel 2018, al 3,1 nel 2019, al 3,4 nel 2020;
    la pressione fiscale calcolata al 42,9 per cento nel 2016, è prevista in riduzione di 0,6 punti percentuali nel 2017, in aumento al 42,8 nel 2017 nel 2018 e nel 2019 e poi al 42,4 nel 2020;
    a fronte della prolungata emergenza legata all'immigrazione clandestina – che continua a evidenziare un aumento costante dei flussi –, degli eventi terroristici in Europa e stante l'urgenza degli interventi sul territorio a seguito dei numerosi eventi sismici che si sono succeduti dal mese di agosto 2016, il Governo ha richiesto all'Europa il pieno utilizzo degli strumenti di flessibilità previsti nelle regole del Patto di stabilità e di crescita;
    in particolare, per fronteggiare l'emergenza legata all'aumento dei flussi migratori, il DEF stima una spesa per il 2017 pari a 4,7 miliardi, in crescita quindi rispetto ai 3,7 impegnati nel 2016;
    per il rafforzamento della sicurezza nazionale in considerazione degli avvenimenti internazionali relativi ai gravi eventi terroristici, è indicata una spesa pari a 1.038,3 milioni nel 2016;
    con riferimento agli eventi sismici, invece, per la messa in sicurezza degli edifici il costo degli incentivi fiscali è stimato nel DEF pari a 2 miliardi di euro; tale cifra rappresenta un anticipo di circa il 15 per cento della spesa totale prevista nel 2017, mentre – come si legge nel Documento – una quota rilevante sarà assegnata nel 2017 per garantire la messa in sicurezza di scuole e uffici pubblici e l'adozione di interventi per prevenire il rischio sismico e il dissesto idrogeologico;
    rispetto agli 829 miliardi del totale delle spese del 2016, si passa a 839 nel 2017, 849 nel 2018, 861 nel 2019 e 874 nel 2020;
    per le entrate si passa dai 788 miliardi del 2016, ai 799 del 2017, agli 826 del 2018, agli 850 del 2019 e agli 865 del 2020;
    con riferimento alle entrate, si registreranno misure one-off per 7,5 miliardi nel 2017 e per 3 miliardi nel 2018;
    gli interventi di dismissioni immobiliari prevedono entrate pari a 900 milioni nel 2017, 850 nel 2018 e 870 per ciascuno degli anni 2019 e 2020;
    come evidenziato nel DEF, nonostante nel 2016 il PIL mondiale abbia registrato un incremento di circa il 3,0 per cento, e pur in presenza di una ripresa negli ultimi mesi, la crescita del commercio internazionale ha continuato a essere molto debole. Il DEF evidenzia, altresì che lo scenario internazionale continua ad essere caratterizzato da una prevalenza di rischi al ribasso di natura economica; che sono ancora pienamente da verificare i possibili danni al commercio internazionale e all'economia mondiale derivanti da eventuali misure protezionistiche da parte degli Stati Uniti; che gli effetti della Brexit rimangono di difficile quantificazione; che le nazioni con disavanzi di partite correnti, elevata posizione debitoria in dollari e maggiore dipendenza commerciale verso gli Stati Uniti potrebbero essere soggette a maggiori rischi al ribasso nel breve termine;
   considerato che:
    il Programma Nazionale di Riforma (PNR) 2017 è strutturato su un doppio binario di breve e medio periodo, prevedendo da un lato le misure che necessitano di immediata approvazione (gli interventi di liberalizzazione, la riforma del processo penale e la disciplina della prescrizione), e dall'altro misure declinate secondo 6 ambiti strategici con l'obiettivo di affrontare gli squilibri macroeconomici del Paese (tra questi, il PNR indica le misure per la produttività; l'azione di contrasto alla povertà attraverso il varo del reddito di inclusione; il riordino delle prestazioni assistenziali e il rafforzamento del coordinamento degli interventi in materia di servizi sociali, finalizzato a garantire maggiore omogeneità delle prestazioni sul territorio);
    anche sul fronte del debito pubblico, nel DEF 2017 emerge l'impegno del Governo a raggiungere un sostanziale pareggio strutturale di bilancio nel 2019 al fine di poter intraprendere un percorso discendente dello stesso, unitamente alla ulteriore riduzione della pressione fiscale sui fattori produttivi. A tal fine, il PNR indica come obiettivo il taglio del cuneo fiscale per ridurre il costo del lavoro;
    il PNR non reca più la previsione della riduzione dell'IRPEF;
    come si legge nella premessa al PNR «In merito alle clausole di salvaguardia tuttora previste in termini di aumento delle aliquote IVA e delle accise, il Governo intende sostituirle con misure sul lato della spesa e delle entrate, comprensive di ulteriori interventi di contrasto all'evasione. Tale obiettivo sarà perseguito nella Legge di bilancio per il 2018...»;
    l'approvazione definitiva della legge annuale per la concorrenza e quella della riforma della giustizia (come il processo penale, l'efficienza del processo civile e la prescrizione) sono solo due degli obiettivi prioritari per rilanciare gli investimenti e la competitività del Paese e recare immediati benefici in termini di produttività e di crescita;
    con riferimento agli investimenti fissi lordi, il DEF indica per gli anni 2017-2020 una ulteriore riduzione dal 2,1 del 2016 al 2,0 per cento del PIL nel 2020;
    al di là dei lodevoli intenti enunciati nel DEF, e degli obiettivi che il Governo si prefigge per rilanciare gli investimenti e per conferire maggiore centralità alle politiche di coesione, le misure e le azioni di contrasto per ridurre il gap tra il Mezzogiorno e il resto del Paese appaiono ancora marginali e comunque non risolutive in ordine al divario infrastrutturale ed economico tra le due aree del Paese;
    secondo i dati Eurostat comunicati a gennaio 2017, nella zona euro il tasso di disoccupazione si è stabilito al 9,6 per cento a dicembre 2016, rispetto al 9,7 per cento del mese di novembre, mentre 1 anno prima il livello di disoccupazione era al 10,5 per cento. Nell'Unione europea il tasso di disoccupazione si è fermato all'8,2 per cento, il livello più basso dal mese di febbraio 2009; la disoccupazione è ai minimi storici nella Repubblica Ceca (3,5 per cento) e in Germania (3,9 per cento), mentre resta elevata in Grecia (23 per cento) e in Spagna (18,4 per cento). Con riferimento ai Paesi più grandi l'Eurostat evidenzia tassi di disoccupazione del 12 per cento per l'Italia, del 9,6 per cento per la Francia, del 5,9 per cento per la Polonia e del 4,8 per cento per il Regno Unito (4,8 per cento); il record negativo della disoccupazione giovanile under 25 spetta a Grecia, Spagna e Italia, con dati superiori al 40 per cento;
    nonostante il Governo proceda nell'attuazione della riforma del mercato del lavoro e nonostante la legge di bilancio per il 2017 abbia introdotto alcune misure che si prefiggono di incentivare le politiche attive rivolte ai giovani disoccupati e di favorire il reinserimento delle categorie più svantaggiate (quali incentivi per l'occupazione al Sud; incentivi per i giovani NEET; sgravi contributivi per le assunzioni di studenti in alternanza scuola-lavoro; incentivi per assunzione degli over 50), il nostro Paese registra ancora un elevato tasso di disoccupazione a causa del quale (unitamente alla mancanza di un efficace sistema di protezione sociale per le famiglie più svantaggiate) corre il serio rischio di un ulteriore ampliamento delle diseguaglianze;
    con riferimento al sistema previdenziale, nel DEF 2017 non viene affrontato il tema della rivalutazione delle pensioni, con particolare attenzione a quelle minime;
    con riferimento alla spesa sanitaria, sebbene il DEF la preveda in valori assoluti in crescita – da 112 miliardi nel 2016 a 114 miliardi di euro nel 2018 e a 115 miliardi nel 2019 – si evidenzia una riduzione della stessa in rapporto al PIL, fattore che rischia di generare ulteriori tagli sui servizi sanitari e, di conseguenza, sugli interventi volti a garantire il diritto alla salute e alle cure dei cittadini, dato ancora più preoccupante se considerato in relazione ai processi ormai consolidati di denatalità e invecchiamento della popolazione, con conseguente espansione dell'area sociale di coloro che richiedono un maggiore contributo da parte del SSN, e, correlativamente, dall'afflusso crescente di cittadini stranieri che, in attesa della definizione della relativa posizione rispetto alla normativa sugli ingressi, comunque aumentano progressivamente il numero di coloro che si rivolgono al SSN senza possibilità di discriminazione di sorta al riguardo;
   evidenziato che:
    si riscontra ancora una volta un drastico ribasso rispetto ai DEF precedenti; il Documento del 2014 prevedeva per quell'anno una crescita del PIL dello 0,8 per cento, per il 2015 +1,3, per il 2016 +1,6, per il 2017 +1,8 e per il 2018 +1,9; in realtà nel 2014 si ebbe un calo dello 0,35 per cento, per il 2015 +0,8, per il 2016 +0,9 per cento; il DEF di quest'anno prevede per il 2017 una crescita dell'1,1 per cento, per il 2018 dell'1 per cento; in totale, dunque, nel 2014 si prevedeva una crescita del 7,4 per cento mentre sommando i dati già consolidati per il 2014-2016 alle previsioni di quest'anno per il 2017-2018 si arriva solo a un +3,45; una differenza di ben 3,95 punti, pari a oltre 60 miliardi di PIL annuale persi rispetto alle previsioni;
    tutte le Istituzioni ascoltate in Commissione bilancio sul DEF 2017 hanno sottolineato che il Paese non pare essere ancora uscito dalla crisi e che la ripresa prosegue molto lentamente, e che quindi le previsioni del Governo, anche per il 2017, sembrano eccessivamente ottimistiche;
    il Servizio del Bilancio della Camera e del Senato ha rilevato che «... per il 2017 l'incremento in valore assoluto del debito pubblico (+48 miliardi) indicato nel DEF non sembra compatibile con le stime relative alle sue componenti, che sembrano condurre ad un risultato complessivo inferiore, pari a circa 43 miliardi di euro. Analoghe discrasie sembrano emergere in relazione agli anni successivi. Infine, si osserva che il rapporto di inizio anno del Governo consegnato alla Commissione indica un valore del rapporto debito/PIL pari al 132 per cento per il 2017, al netto del supporto al sistema bancario. Atteso che la stima per il presente anno non dovrebbe aver subito modificazioni per altre motivazioni, si può presumere che l'indicazione per l'omologo dato del valore del 132,5 per cento nel presente DEF derivi dall'ipotesi di un impatto ulteriore per mezzo punto percentuale sul fabbisogno delle misure precauzionali predisposte a tutela del settore bancario...»;
    dal documento dell'ISTAT emergono dati preoccupanti: nel 2016 in Italia ammonta a 1,1 milione (535 mila nel 2008) il numero di famiglie in cui tutti i componenti appartenenti sono in cerca di occupazione e non percepiscono, quindi, redditi da lavoro. Di questi, più della metà (il 54,1 per cento) è residente nel Mezzogiorno; il 2016 non ha registrato alcuna riduzione dell'indicatore di grave deprivazione materiale e, secondo i dati provvisori del 2016, la quota di persone in famiglia che sperimentano sintomi di disagio si attesta all'11,9 per cento, sostanzialmente stabile rispetto al 2015;
    sempre dai dati Istat emerge che nel 2016 risultano in condizione di grave deprivazione 1 milione e 250 mila minori, pari al 12,3 per cento della popolazione con meno di 18 anni. I dati confermano pertanto l'urgenza degli interventi previsti dal Governo per il contrasto alla povertà;
    i dati forniti da Rete Imprese Italia fotografano una ripresa economica fragile, con un tasso di crescita tra il 2017 e il 2018 tra i più bassi d'Europa, situazione aggravata da un eccessivo prelievo fiscale rispetto all'Eurozona e che richiederebbe maggiori investimenti e la necessità di risposte rapide e concrete alle imprese;
    secondo Confedilizia, nonostante gli obiettivi generali dichiarati dal Governo siano condivisibili, il quadro degli interventi specifici ipotizzati non lascia intravedere coraggiosi cambi di rotta in termini di diminuzione della spesa pubblica, di privatizzazione e di riduzione del carico fiscale. Il settore immobiliare è ancora in piena sofferenza, se si considera che nel 2016 il numero delle compravendite è stato inferiore di circa il 25 per cento rispetto al 2008 e di circa il 14 per cento rispetto al 2011. Per tali ragioni, Confedilizia ritiene «essenziale avviare un'opera di correzione delle politiche tributarie avviate nel 2011, riducendo progressivamente un carico impositivo che comprime la crescita, l'occupazione e i consumi...»;
    le previsioni macroeconomiche dell'Italia pubblicate dal Fondo monetario internazionale nel World economie outlook, e diffuse nei giorni scorsi, forniscono una visione più pessimistica rispetto a quella delineata nel DEF – +1,1 per cento e + 1 per cento rispettivamente nel 2017 e nel 2018 –, prevedendo i successivi 2 anni stabili con un PIL a + 0,8 per cento;
    con riferimento al rapporto deficit-PIL, il FMI lo prevede al -2,4 per cento e al -1,4 per cento nel 2018, mentre la stima sul debito pubblico in rapporto al Pil è prevista al 132,8 per cento (rispetto al 132,5 per cento indicata dal Governo, al 132,7 per cento) dell'OCSE e al 133,3 per cento dell'Unione europea);
    secondo il FMI, la crescita potenziale è trattenuta da una produttività debole e da fattori demografici negativi, e l'inflazione rimarrà in Italia ben al di sotto del 2 per cento, traguardo di medio periodo della Bce: +1,4 per cento quest'anno e + 1,3 per cento nel 2018. Con riferimento ai conti pubblici, il Fondo stima che l'indebitamento netto sarà al 2,4 per cento del Pil nel 2017 e all'1,4 per cento l'anno prossimo (mentre il saldo netto strutturale sarà negativo, rispettivamente, per l'1,6 per cento e per lo 0,8 per cento); valuta lo stock del debito pubblico in rapporto al prodotto pari al 132,8 per cento quest'anno e al 131,6 per cento nel 2018;
    ancora una volta, quindi, il quadro programmatico macroeconomico descritto nel Def, se confrontato con le previsioni del Fondo Monetario Internazionale e della Commissione europea, risulta venato da una notevole dose d'ottimismo;
    l'Italia rimane il fanalino di coda tra i paesi europei, in termini di crescita, unica tra i paesi membri dell'Unione europea a registrare un tasso di crescita del Pil inferiore al +1 per cento;
    il problema dell'enorme debito pubblico accumulatosi nel tempo non viene per nulla risolto e a nulla giova farlo apparire in riduzione attraverso qualche gioco contabile né, ancor peggio, con masochistiche vendite, a prezzi spaventosamente bassi, dei «gioielli di famiglia», che se anche contribuiscono a una momentanea riduzione dello stock di debito riducono, allo stesso tempo, gli incassi da dividendi per un ammontare analogo, cosicché il rapporto debito/Pil, ormai superiore alla soglia del 132 per cento, continui a crescere di mese in mese;
    secondo le previsioni dell'Esecutivo il debito comincerà a scendere già a partire da quest'anno. Trend confermato anche per i successivi tre anni. Ma c’è sentore di trucco contabile. La diminuzione del rapporto debito/Pil è, infatti, dovuta soltanto all'aumento del denominatore. Il Governo sovrastima la crescita del prodotto interno lordo a partire da quest'anno e per gli anni a venire. Prospettiva che, senza l'attuazione di un serio piano di spending review, senza un piano di privatizzazioni, in uno scenario economico caratterizzato da bassa crescita e con deficit di nuovo in aumento, è di impossibile realizzo. In ogni caso, anche se il rapporto debito/PIL dovesse scendere al ritmo ottimistico previsto dal Governo, tale discesa non sarebbe affatto sufficiente ad assicurare il rispetto della relativa regola numerica comunitaria entro l'orizzonte di programmazione;
    della spending review non vi è traccia. Anzi. Nei prossimi 4 anni le spese dello Stato, a legislazione vigente, cresceranno costantemente, con un incremento in valore assoluto di quasi 45 miliardi di euro, ovvero del +5,4 per cento. La spesa pubblica passerà dagli 829 miliardi del 2016 agli 874 miliardi di euro del 2019;
    tra il 2017 e il 2020, in base a quanto scritto nel Def, è prevista una stangata fiscale di quasi 80 miliardi di euro. Nei prossimi 4 anni le tasse aumenteranno sistematicamente e il gettito complessivo supererà quota 865 miliardi rispetto ai 788 miliardi del 2016;
    un pericolo ulteriore deriva dall'aumento dell'inflazione programmata, che secondo le stime del DEF passerà dal +0,2 per cento del 2016 al +1,2 per cento del 2017, per aumentare ulteriormente al +1,7 per cento nel 2018. L'aumento generalizzato dei prezzi, considerato che crescerà ad un ritmo superiore al tasso di crescita del Pil, comporterà inevitabilmente una forte erosione del potere d'acquisto delle famiglie italiane e ad un generale peggioramento delle condizioni di vita degli italiani, già duramente provati da 9 anni di crisi;
    è fuor di dubbio che la produttività del lavoro difficilmente aumenta in periodi di recessione, almeno nella fase iniziale, perché la caduta della produzione per assenza di domanda è in genere superiore alla riduzione immediata di occupazione. Ma, dopo nove anni di crisi e un massiccio aumento della disoccupazione, il fatto che la produttività continui a non aumentare in maniera significativa è preoccupante;
    nel periodo 2007-2012, con l'impatto violento generato dalla crisi, la produttività del lavoro è rimasta stagnante, per poi crollare successivamente. Una discesa della produttività del lavoro non avviene quasi mai nelle fasi di ripresa, per questo l'eccezione italiana è un segnale inquietante;
    in Italia sono diventati negativi anche gli investimenti al netto degli ammortamenti. Ciò significa che si è ridotto lo stock di capitale in valore assoluto. Non sorprende, quindi, che i dati Eurostat indichino una caduta del prodotto potenziale italiano, cioè della sua capacità produttiva. La questione è europea: se non ripartono gli investimenti non aumenta la domanda interna e, soprattutto, la produttività. Tutti ormai invocano un aumento di investimenti pubblici, dalla Bce al Fondo monetario internazionale, perché, soprattutto quelli in infrastrutture materiali e immateriali, servono ad aumentare anche il rendimento, cioè la produttività, degli investimenti privati;
    in Italia, nei due anni di Governo Renzi e con il Governo Gentiloni, gli investimenti pubblici, che pur nel pieno della crisi si erano mantenuti intorno al 3 per cento del Pil (poi scesi al 2,6 per cento nel corso della crisi del debito del 2012) sono crollati al loro minimo nel 2016, al 2,1 per cento, e così si manterranno nei prossimi anni, secondo le ultime previsioni della Commissione europea;
    da queste due gravi debolezze dell'economia italiana (bassa produttività e scarsi investimenti) deriva anche la debolezza del nostro Paese nelle trattative con gli altri partner europei, i quali comprendono certamente che la produttività non può crescere per decreto governativo, ma anche che l'uso di risorse scarse per finanziare spese correnti di vario tipo non rappresenta una politica di sostegno all'innovazione tecnologica e alla formazione di quel capitale umano necessario per fare la quarta rivoluzione industriale attualmente in corso nei paesi più industrializzati. Questa è la vera critica fatta all'Italia dai più importanti economisti internazionali, mentre il Governo continua a propagandare le sue false riforme e i suoi falsi risultati strabilianti di politica economica e finanza pubblica. È evidente che non solo i conti nel nostro Paese non sono in ordine, ma essi sono pericolosamente a rischio, mentre l'aumento della produttività e degli investimenti sono un tema da cui non si può prescindere se si vuole davvero cambiare il Paese;
    il giudizio in merito all'atteggiamento dell'Esecutivo sul tema della cosiddetta «flessibilità» è pesantemente negativo: l'Italia, con il Governo Renzi prima e con quello Gentiloni poi, la chiede per il quarto anno consecutivo, ma le regole europee consentono ai paesi membri di fare maggior deficit solo una volta e sulla base delle riforme effettuate, che nel caso italiano non solo non sono state ancora completate, ma la cui efficacia è tutta ancora da verificare. Su questo, valgono le parole di Mario Draghi secondo cui l'abuso di «flessibilità», vale a dire una politica economica orientata alla creazione di ulteriore deficit, porta alla perdita di credibilità dei paesi che ne abusano. E la credibilità del sistema paese è quella che orienta le decisioni dei mercati e degli investitori internazionali, con le relative ricadute sull'economia reale e sull'acquisto dei nostri titoli di Stato; ne è una dimostrazione il recente aumento dello spread tra i BTP e i Bund tedeschi, ormai costantemente sopra la pericolosa soglia dei 200 punti base, anche per effetto del prossimo completamento del programma di Quantitative Easing da parte della BCE, che ha contribuito fortemente a garantire, negli scorsi anni, bassi rendimenti sui titoli di Stato italiani, anche in relazione a quelli degli altri paesi finanziariamente più solidi;
    l'Italia ha bisogno di una vera manovra espansiva, che crei crescita e occupazione, con l'aumento della produttività dei fattori e della competitività del Paese, la riduzione vera della pressione fiscale e la cancellazione definitiva delle clausole di salvaguardia relative all'aumento dell'Iva, che il Governo Renzi ha sempre rinviato ma che ormai anche l'Ufficio Parlamentare del Bilancio giudica di «difficile realizzazione»;
   tenuto conto che:
    in risposta all'annessione della Crimea da parte della Russia avvenuta nel marzo 2014, l'Unione europea ha imposto una serie di azioni restrittive contro la Federazione Russa, rafforzate a settembre dello stesso anno. Sono azioni di natura diplomatica (l'esclusione, ad esempio, dalle riunioni del G8), di carattere restrittivo (congelamento dei beni e il divieto di visto applicati a persone ed entità responsabili di azioni contro l'integrità territoriale dell'Ucraina) e di tipo economico, azioni che sono state da ultimo prorogate fino al 31 luglio 2017 dal Consiglio Europeo (decisione del Consiglio del 19 dicembre 2016);
    a seguito delle decisioni assunte dall'Unione, la Federazione Russa ha posto limiti all'importazione, in particolare, di alcuni prodotti della filiera alimentare, e agli acquisti da parte degli enti pubblici russi di prodotti tessili, di abbigliamento, di calzature e pelli, di dispositivi medici, di veicoli, di mezzi d'opera e di servizio, limiti che sono costati alle imprese italiane 3,7 miliardi di euro. Le esportazioni verso la Federazione russa sono, infatti, scese dai 10,7 miliardi del 2013 ai 7,1 miliardi di euro del 2015 (- 34 per cento), mentre nei primi 10 mesi del 2016 hanno subito una ulteriore vistosa perdita, con stime per l'anno non inferiori a 1 miliardo;
    inoltre, la riduzione delle esportazioni verso la Federazione russa ha provocato la perdita di posti di lavoro e una situazione di eccesso di offerta con conseguente riduzione dei prezzi;
   valutato che:
    negli ultimi 7 anni le imposte statali e quelle locali sono cresciute, così come il costo dei servizi delle utenze a tariffa. Le prime sono salite del 6,1 per cento, le seconde, invece, dell'8 per cento, anche se in valore assoluto quelle nazionali (come IRPEF, IVA, IRES) sono aumentate di 21,6 miliardi e quelle locali (IMU, IRAP, addizionali comunali e regionali IRPEF, etc.) di 7,7 miliardi di euro. Tra le principali tasse locali, solo l'IRAP (-4,2 miliardi pari a una variazione del -13 per cento) ha subito una contrazione abbastanza decisa: tutte le altre, invece, hanno registrato un netto aumento. Tra il 2010 e il 2015 l'addizionale regionale IRPEF è aumentata di 3,1 miliardi di euro (+39 per cento) mentre quella comunale è aumentata di 1,4 miliardi (+51 per cento):
    le imposte che hanno subito l'incremento più sensibile dal 2011 ad oggi sono state quelle sugli immobili. Nel 2016 si è registrato un gettito pari a circa 50 miliardi. In particolare 20 miliardi da IMU e TASI, 11 miliardi da TARI, tributo provinciale per l'ambiente, contributi ai consorzi di bonifica, 9 miliardi di tributi indiretti sui trasferimenti (IVA, imposta di bollo, imposta di registro, imposte ipotecarie e catastali, imposta sulle successioni e donazioni), 9 miliardi di tributi reddituali (IRPEF, addizionali regionale e comunale, IRES, cedolare secca), 1 miliardo di tributi indiretti sulle locazioni (imposte di registro e di bollo), con una pressione fiscale sul settore immobiliare più che triplicata nel periodo di riferimento con effetti che non possono che deprimere in maniera drammatica il settore immobiliare e tutta la filiera di riferimento (dall'edilizia residenziale e non residenziale al settore del mobile e del «bianco», tradizionali punti di forza per sostenere la domanda interna), accrescendo i volumi invenduti che, a loro volta, pesano sui bilanci delle imprese di costruzione e si deprezzano ulteriormente in un circolo vizioso che l'assenza di interventi a sostegno da parte degli ultimi esecutivi non fa altro che amplificare gravemente;
    il mercato immobiliare ha subito un calo delle compravendite del 25 per cento tra il 2008 (anno di inizio della crisi mondiale) e il 2016, e del 14 per cento tra il 2011 (anno in cui viene inasprita la tassazione immobiliare) e il 2016. Inoltre tra il 2011 e il 2016 il valore delle abitazioni esistenti è sceso del 20 per cento. La eccessiva tassazione degli immobili non abitativi locati sta contribuendo alla chiusura delle attività commerciali. Peraltro, quest'ultimo dato deve essere inteso come direttamente incidente sulla ricchezza delle famiglie, posto che, come è noto, gran parte della ricchezza immobiliare complessiva risulta da investimenti effettuati nel passato delle famiglie anche in immobili ad uso non abitativo; con effetti, quindi, di ulteriore incremento della pressione fiscale e riduzione della ricchezza reale nei loro confronti;
    i crediti delle imprese nei confronti della PA, secondo l'ultimo aggiornamento sul sito on-line del MEF dell'11 agosto 2015, fotografano la seguente situazione: il Governo ha stanziato 56 miliardi di euro per il pagamento dei debiti non estinti dalla PA maturati al 31 dicembre 2014, 38,6 miliardi (69 per cento) è stato l'importo con cui sono stati pagati i creditori, le risorse finanziarie disponibili agli enti debitori è pari a 44,6 miliardi (79 per cento). La Ragioneria Generale dello Stato ha creato una piattaforma per il monitoraggio dei crediti commerciali, il cui ultimo aggiornamento è del 2 aprile 2016 e da cui si desume che vi sono 21,5 mln di fatture emesse per un valore di 129 miliardi di euro. Gli Enti registrati sono oltre 20.000 di cui 7.400 (35 per cento) sono «enti pubblici attivi», cioè operano oltre il 75 per cento delle fatture registrate e indirizzate a loro. Il debito di questi enti ammonta a 8,9 mln di fatture pagate, per un importo di circa 60,5 miliardi, con un tempo medio di lavorazione di una fattura di 46 giorni;
    ricordato che i cittadini e le imprese operanti in territori della ex Jugoslavia, già soggetti alla sovranità italiana hanno subito, e continuano ancora oggi a subire un'illegittima discriminazione rispetto ad altri cittadini italiani egualmente illegittimamente espropriati dei loro beni in terre ora straniere ma che un tempo furono soggette alla sovranità italiana,

impegna il Governo:

1) a valutare una semplificazione dell'attuale sistema fiscale e una riduzione del suo peso:
   a) adottando interventi percepibili di diminuzione della pressione fiscale, a partire dalla riduzione dell'IRPEF, così come previsto e non attuato dal DEF 2016, finanziando l'operazione anche attraverso tagli alla spesa pubblica inefficiente, utilizzando e potenziando il programma di spending review elaborato a fine 2013-inizio 2014 dall'allora commissario Cottarelli, in grado di generare risparmi per un totale di 60-65 miliardi nel prossimo triennio;
   b) scongiurando la annunciata revisione delle tax expenditures su lavoro e famiglie;
   c) sterilizzando le clausole di salvaguardia poste a garanzia dei conti pubblici, che farebbero aumentare IVA e accise nel 2018;
   d) introducendo, anche in via sperimentale o progressiva, il cd. «quoziente familiare», che considera il nucleo familiare, e non più il singolo contribuente, come soggetto passivo dell'Irpef, con conseguenti vantaggi fiscali per le famiglie più numerose;
2) a soprassedere da qualsiasi decisione circa l'ulteriore distribuzione a pioggia di risorse e moltiplicazione di «bonus» estemporanei, impostando una strategia di politica economica che non rimandi le necessarie misure da intraprendere ad un tempo indefinito e/o disallineato rispetto alle dinamiche della congiuntura internazionale, e conseguentemente, a chiarire le misure di politica economica che intende mettere in atto ai fini della necessaria correzione dei conti pubblici italiani, onde evitare l'apertura di una procedura di infrazione per debito eccessivo nei confronti del nostro Paese da parte della Commissione europea;
3) a valutare l'attivazione di politiche di sostegno alla crescita, ai consumi, alla domanda interna e alla produttività:
   a) individuando misure strutturali e universali per la riduzione del costo del lavoro, con riguardo al cuneo fiscale e contributivo, vincolando l'impresa a reinvestire i conseguenti minori oneri e determinando contemporaneamente un immediato incremento del reddito percepito dal lavoratore;
   b) introducendo la possibilità di compensazione tra crediti commerciali e debiti tributari, previdenziali e assistenziali, da attivare su iniziativa del creditore a fronte di inadempimenti degli enti territoriali, aziende del SSN e amministrazioni centrali dello Stato;
   c) rendendo il sistema camerale più efficace e meno oneroso per le imprese;
   d) incentivando gli investimenti privati, anche attraverso la previsione di agevolazioni fiscali non distribuite a vantaggio di imprese non residenti e che non generano occupazione in Italia, ma concentrate a favore delle imprese italiane ed Unione europea che producano effetti positivi in termini occupazionali e di gettito fiscale in Italia;
   e) introducendo misure di più equa distribuzione della pressione fiscale rispetto ad imprese che dirottino i proventi delle attività svolte in Italia verso la tassazione in Paesi con un ordinamento fiscale più accondiscendente, così determinando una situazione di alterazione delle regole di corretta competizione concorrenziale soprattutto rispetto alle PMI che non possono avvalersi di strumenti elusivi di tale sofisticazione;
   f) prevedendo la deducibilità di IMU e TASI corrisposta sugli immobili strumentali delle imprese dalle imposte dei redditi e dall'IRAP;
   g) abolendo l'applicazione del meccanismo dello split-payment, in quanto questo rappresenta una ingiusta penalizzazione delle piccole imprese e dei professionisti;
   h) modificando le disposizioni di attuazione nel nostro Paese della cosiddetta direttiva Bolkestein sulle concessioni che regolano le attività sulle aree pubbliche e demaniali, che riguardano le piccole e micro imprese;
4) a valutare un responsabile piano di semplificazione delle procedure e della complessità della struttura della Pubblica Amministrazione:
   a) accompagnando una revisione strutturale delle piante organiche laddove, in conseguenza della semplificazione dei procedimenti e delle autorizzazioni e a seguito della digitalizzazione della PA, queste risultino ancora ridondanti;
   b) programmando, di conseguenza, una graduale riduzione della spesa per redditi da lavoro dipendente delle amministrazioni pubbliche, che ha superato i 164 miliardi di euro nel 2016 pur senza determinare effetti di riduzione retributiva, ma anzi consentendo l'effettiva selezione meritocratica e la valorizzazione anche dal punto di vista retributivo non distribuita a pioggia, ma concentrata sul merito reale;
   c) adottando misure reali ed effettive per la riduzione credibile degli oneri relativi ai consumi intermedi delle amministrazioni pubbliche centrali, al di là di mere enunciazioni o operazioni contabili costantemente riproposte in maniera solo formale;

5) ad adottare un nuovo approccio nei confronti degli Enti territoriali che in questi cinque anni hanno sopportato la parte prevalente della spending review, per un valore complessivo di 25 miliardi di tagli tra Regioni, Province e Comuni:
   a) adottando una previsione finanziaria sostenibile per le funzioni delle regioni a garanzia dell'attuazione dei Livelli Essenziali dell'Assistenza;
   b) adottando una previsione finanziaria sostenibile per supportare le funzioni fondamentali delle Province relative alle strade e all'edilizia scolastica che, nonostante il ridisegno operato dalla legge Delrio, sono ancora previste dalla Costituzione;
   c) adottando nell'ambito della regola dell'equilibrio di bilancio dei comuni una ulteriore semplificazione dei vincoli di finanza pubblica degli Enti territoriali, che ampli le possibilità di finanziamento degli investimenti sul territorio;
   d) adottando ulteriori misure di revisione della spesa, ma esclusivamente a carico delle amministrazioni centrali e delle aziende da queste partecipate;
6) a promuovere un grande piano per il Mezzogiorno, intervenendo per compensare il ridimensionamento delle quote di cofinanziamento dei fondi strutturali nell'ambito dei programmi operativi regionali del Sud, aumentando la spesa in conto capitale ordinaria dello Stato in favore delle aree territoriali che rientrano nel «piano di convergenza», al fine di sostenere l'economia meridionale e il capitale sociale dell'area, i servizi di pubblica utilità e alla persona, la messa in sicurezza dei territori; più in generale, ad adottare ogni iniziativa volta a rafforzare l'attività e la capacità competitiva degli impianti produttivi che già operano nel Mezzogiorno, attraverso il potenziamento dei presidi di legalità, l'implementazione di interventi mirati a colmare il gap infrastrutturale e di servizi, nonché misure specifiche volte a garantire l'accesso al credito, sostenendo altresì politiche di decontribuzione rafforzata, in particolare per le nuove imprese che decidono di investire nella zona creando conseguentemente sviluppo e posti di lavoro;
7) a valutare l'introduzione di misure volte ad una riduzione del carico tributario sugli immobili, al fine di rendere più dinamico il mercato immobiliare e far ripartire il comparto delle costruzioni:
   a) evitando la revisione del catasto laddove portasse ad un aumento del prelievo fiscale indiscriminato sugli immobili e comunque scongiurando ogni ipotesi di aumento del prelievo in capo a ogni singolo cittadino;
   b) estendendo la cedolare secca alla tassazione degli affitti dei locali commerciali;
   c) stabilizzando al 10 per cento la cedolare secca per i contratti di locazione a canone calmierato sull'intero territorio nazionale;
   d) uniformando la disciplina relativa alle locazioni non abitative a quella delle locazioni abitative in materia di imposizione sui canoni non percepite;
   e) ripristinando la deduzione IRPEF del 15 per cento per i redditi da locazione;
   f) estendendo l'esenzione dell'IMU per gli immobili non venduti alle società immobiliari;
   g) anticipando una norma che preveda il blocco dell'aumento della TARI da parte dei comuni;
   h) agevolando l'aggregazione delle imprese edilizie, al fine di favorire un aumento dei livelli di produttività del settore;
   i) riducendo le incombenze normative e fiscali in materia edilizia a carico dei cittadini e delle imprese;
8) a proseguire senza indugio il programma di infrastrutturazione del Paese:
   a) riducendo l'impatto delle normative e dei passaggi burocratici adottando misure per un rapido avvio dei cantieri e della ricostruzione degli edifici pubblici e privati e delle infrastrutture nelle zone colpite dai più recenti eventi sismici, dove il tempo sembra essersi fermato al 24 agosto 2016;
   b) attuando un puntuale monitoraggio delle condizioni e dello stato di manutenzione del patrimonio infrastrutturale esistente (ponti, cavalcavia, strade, ferrovie);
   c) attuando una responsabile valutazione delle infrastrutture non completate (opere finanziate, risorse impegnate e spese), per regione, con una nota ragionata sull'effettiva utilità pubblica dell'opera stessa;
   d) individuando e avviando nuove grandi opere infrastrutturali, completando la parte italiana che collega il nostro Paese ai corridoi europei, accanto alla necessaria azione di costruzione e completamento delle reti di collegamento delle aree urbane e dei poli produttivi e turistici strategici;
   e) introducendo ulteriori azioni che rendano ancora più economica la mobilità dei passeggeri e delle merci;
9) ad accompagnare il programma di ricostruzione nelle aree colpite da calamità naturali con misure strutturali di carattere generale volte a stabilizzare in maniera credibile gli oneri a carico dei bilanci pubblici e sostenere nel tempo il valore delle unità immobiliari, attraverso un programma di assicurazione generale del patrimonio immobiliare, anche progressivo o sperimentale, assistito da misure di calmierazione degli oneri in presenza di una concorrente responsabilizzazione delle amministrazioni locali sull'uso del territorio e attiva partecipazione dei cittadini residenti;
10) ad implementare le politiche di fruizione dell'immenso patrimonio culturale italiano, trasferendo, ove possibile, le risorse dei Fondi europei nella conservazione dei beni storici, un settore che possiede uno tra i più alti moltiplicatori dell'investimento ed agisce da volano per l'intera industria del turismo;
11) ad adoperarsi affinché l'Unione europea interrompa l'applicazione di misure restrittive nei confronti della Federazione russa, tenuto conto sia del fatto che si tratta di un partner strategico e indispensabile per il mantenimento della stabilità internazionale e l'efficace contrasto al diffondersi di radicalismi, sia dei motivi connessi ad un miglioramento dell'export di prodotti agricoli e manifatturieri dell'economia italiana;
12) a proporre una nuova politica in tema di migrazioni:
   a) attivandosi presso le istituzioni europee affinché l'Unione europea si faccia completamente carico delle spese legate alla emergenza immigrazione, cresciute a dismisura nel bilancio dello Stato dagli 840 milioni di euro del 2011 ai 4,7 miliardi del 2017, risorse che vengono sistematicamente sottratte a famiglie e imprese italiane;
   b) fissando una riduzione dei trasferimenti monetari dell'Italia all'Unione europea, pari a 250 mila euro per ogni migrante accolto in Italia e non ricollocato secondo il meccanismo permanente per i ricollocamenti approvato dalla Unione europea, proponendo di conseguenza di porre tale penalizzazione in capo ai Paesi che non hanno accettato i ricollocamenti previsti;
   c) incrementando l'efficacia delle politiche di rimpatrio;
   d) portando la sfida al fenomeno della migrazione nei Paesi di origine, anche attraverso la creazione di un Fondo capiente in sede europea, a carico dei Paesi membri della Unione europea, per sostenere economicamente i Paesi del Nord Africa e del Medio oriente che si impegnino ad accogliere in loco e a frenare le partenze dei migranti, sul modello dell'accordo siglato da Unione europea e Turchia adottato per contenere le migrazioni dalla Siria;
13) a farsi promotore, in sede europea, di specifiche iniziative volte a modificare la direttiva BRRD sul bail-in degli istituti di credito, in maniera da ridurre il perimetro delle passività bancarie chiamate a sopportare le perdite in caso di fallimento della banca, escludendo, in ogni caso, quelle emesse e/o acquistate dai clienti prima dell'entrata in vigore della normativa di recepimento della suddetta direttiva, per evitare la retroattività di quest'ultima, e a predisporre strumenti eccezionali di intervento nel caso in cui si abbia la percezione che il sacrificio di azionisti e creditori derivante dall'applicazione del bail-in possa mettere a repentaglio la stabilità dell'intero sistema bancario;
14) ad assumere in sede europea opportune iniziative volte a disporre una garanzia europea comune sui depositi bancari, in quanto, in una unione monetaria, quale è l'Eurozona, la condivisione dei rischi, e di tutto quanto ne consegue in termini di sacrifici richiesti ai governi e ai propri cittadini, non può che procedere di pari passo con la condivisione delle garanzie che quei rischi stessi servono a coprire, anche per far fronte a episodi di «panico finanziario»;
15) a valutare la possibilità di promuovere un percorso normativo di ripensamento dei parametri e dei criteri che ad oggi regolano i procedimenti di indennizzo e contributo relativi alle perdite subite dai cittadini italiani nei territori ceduti alla Jugoslavia e nella zona B dell'ex territorio libero di Trieste, al fine di riconoscere la eguale misura di indennizzo a tutti i cittadini italiani illegittimamente espropriati dei propri beni in terre, ora straniere, ma che un tempo furono soggette alla sovranità italiana.
(6-00309) «Brunetta, Alberto Giorgetti, Occhiuto, Milanato, Prestigiacomo».


   La Camera,
   premesso che:
    il Documento economico Finanziario 2017 deve proporre una visione d'insieme strategica al fine di traguardare obiettivi precisi e definiti che perseguano principi costituzionali di fondamentale importanza come la coesione economica, sociale, e infrastrutturale;
    nel documento all'esame risultano carenti le analisi sui divari e sulle politiche di coesione e riequilibrio confermando discriminazioni strutturali e infrastrutturali che causano gravi ricadute economiche sul sistema Paese;
    risultano carenti e non strategiche le proposte sulle politiche di sviluppo del Mezzogiorno;
    assume un rilievo particolare la questione insulare, legata ai divari infrastrutturali e le politiche dello Stato verso le aree gravate da tale gap strutturale permanente;
    l'articolo 22 (Perequazione infrastrutturale) della legge n. 42 del 2009 dispone quanto segue: «In sede di prima applicazione, il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministro per le riforme per il federalismo, il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministro per i rapporti con le regioni e gli altri Ministri competenti per materia, predispone una ricognizione degli interventi infrastrutturali, sulla base delle norme vigenti, riguardanti le strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche nonché la rete stradale, autostradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, le strutture portuali ed aeroportuali. La ricognizione è effettuata tenendo conto, in particolare, dei seguenti elementi:
   g) specificità insulare con definizione di parametri oggettivi relativi alla misurazione degli effetti conseguenti al divario di sviluppo economico derivante dall'insularità, anche con riguardo all'entità delle risorse per gli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione».

  L'articolo 3 della Costituzione italiana dispone: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali:
   è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»;
   è indispensabile, per questo motivo, un modello di analisi che consenta di ridefinire il fabbisogno e di conseguenza porre le basi per una diversa valutazione del rapporto tra esigenze di infrastrutturazione e fabbisogni gli attuali criteri di distribuzione delle risorse disponibili;
   il primo elemento di valutazione deve essere quello relativo agli indicatori e alla loro definizione;
   dalla lettura e dall'analisi degli indicatori si giunge alla definizione di indici parametrici;
   nel caso delle infrastrutture di trasporto, un indicatore in grado di misurare in maniera soddisfacente la dotazione infrastrutturale di una realtà territoriale come la Sardegna deve necessariamente tenere conto non solo degli aspetti quantitativi (come ad esempio la lunghezza complessiva della rete viaria e la sua tipologia, o il numero di snodi ferroviari), ma anche degli aspetti qualitativi e prestazionali legati alla qualità della rete, all'orografia del territorio e alla tipologia del reticolo di trasporto. In questo modo è possibile ipotizzare e selezionare alcuni indicatori di tipo nuovo in grado di condurre alla costruzione di specifici indici;
   al fine di compiere analisi e definire puntuali azioni da inserire nel documento economico e finanziario è indispensabile predisporre un sistema di indicatori di dotazione infrastrutturale definito a seguito di un opportuno processo di media, che assuma come riferimento «indici di accessibilità» definiti a livello territoriale;
   in attesa di definire con apposite norme l'individuazione di tali indici sono sufficienti a comprendere il divario insulare che grava sulla Sardegna quelli messi a disposizione dall'atlante infrastrutturale (CNEL e Istituto Tagliacarne), dal quale emergono dati di comparazione assolutamente emblematici dell'assenza di coesione e unità nazionale;
   per quanto riguarda le reti energetiche, l'indice è di 100 per l'Italia; di 64,54 per il Mezzogiorno; di 35,22 per la Sardegna;
   per quanto riguarda le reti stradali, l'indice è di 100 per l'Italia; di 87,10 per il Mezzogiorno; di 45,59 per la Sardegna;
   per quanto riguarda le reti ferroviarie, l'indice è di 100 per l'Italia; di 87,81 per il Mezzogiorno; di 15,06 per la Sardegna;
   per quanto riguarda le infrastrutture economico-sociali, l'indice è di 100 per l'Italia; di 84,45 per il Mezzogiorno; di 66,16 per la Sardegna;
   a questi indici infrastrutturali di dotazione si aggiungono le analisi compiute dal centro ricerche economiche, sociologiche e di mercato (CRESME) relativamente alle risorse finanziarie pro capite e territoriali stanziate negli ultimi dieci anni relativamente alle infrastrutture, contenute nel rapporto predisposto a seguito della deliberazione dell'ufficio di presidenza dell'VIII Commissione (Ambiente, territorio e lavori pubblici) della Camera dei deputati;
   nell'analisi che si propone, prescindendo da ulteriori articolazioni e interdipendenze, come per esempio il divario conseguente all'insularità, sono stati presi in esame due parametri oggettivi, quali quello territoriale (spesa per chilometro quadrato) e quello demografico (spesa pro capite);
   con riferimento allo stanziamento per chilometro quadrato, il primo parametro preso in esame è quello della superficie territoriale dal quale emerge che il valore medio nazionale del costo dell'intero programma risulta pari a circa 1.190.000 euro per chilometro quadrato;
   nove sono le regioni con valori superiori a questa media nazionale: innanzitutto la Liguria, che sfiora i 4 milioni a chilometro quadrato, seguita dalla Calabria, con 3 milioni. Tra il milione e i due milioni si attestano alcune regioni più grandi, nell'ordine la Lombardia, il Veneto, la Sicilia e la Campania. Seguono tra le altre il Molise, il Friuli e il Piemonte. Leggermente al di sotto della media il Lazio. Ultime della graduatoria risultano la Sardegna con 237.000 euro per chilometro quadrato e le Marche con 225.000 euro per chilometro quadrato;
   i dati elaborati sull'intero programma di infrastrutture strategiche, il cui valore complessivo è attualmente pari a 358 miliardi di euro, in base ad una ripartizione sul parametro territoriale, fanno emergere la seguente graduatoria regionale – monitoraggio aprile 2010 – (euro per chilometro quadrato): Liguria 3.884.719 euro/chilometro quadrato; Calabria 3.074.912 euro/chilometro quadrato; Lombardia 1.646.189 euro/chilometro quadrato; Veneto 1.625.508 euro/chilometro quadrato; Sicilia 1.408.644 euro/chilometro quadrato; Campania 1.379.566 euro/chilometro quadrato; Molise 1.302.502 euro/chilometro quadrato; Friuli Venezia Giulia 1.289.567 euro/chilometro quadrato; Piemonte 1.217.754 euro/chilometro quadrato; Lazio 1.125.066 euro/chilometro quadrato; Emilia Romagna 1.069.755 euro/chilometro quadrato; Umbria 868.401 euro/chilometro quadrato; Basilicata 837.065 euro/chilometro quadrato; Abruzzo 767.266 euro/chilometro quadrato; Toscana 649.124 euro/chilometro quadrato; Puglia 448.032 euro/chilometro quadrato; Trentino Alto Adige 446.560 euro/chilometro quadrato; Valle d'Aosta 290.038 euro/chilometro quadrato; Sardegna 237.463 euro/chilometro quadrato; Marche 225.478 euro/chilometro quadrato;
   la rappresentazione economica del divario nella pianificazione infrastrutturale del Paese rende, ad avviso del firmatario del presente atto, il dato macroscopico tale da evidenziare una vera e propria emergenza nazionale sul piano della coesione economica ed infrastrutturale, minando i presupposti fondamentali della stessa Carta costituzionale in termini di coesione nazionale, eguaglianza tra cittadini e libertà;
   tale analisi assume una valenza ancor più significativa nel dato relativo al valore pro capite dell'investimento infrastrutturale nel nostro Paese;
   con riferimento allo stanziamento pro capite – dall'esame dello studio richiamato – il valore pro capite del costo dell'intero programma infrastrutturale ad oggi stimato è pari ad una media di circa 6.000 euro ad abitante se si considera l'intero costo, quindi compresa la quota non ripartibile a livello regionale (14.143 milioni di euro);
   il dato pro capite fa registrare la Calabria con circa 23.000 euro, il Molise con oltre 18.000 euro ad abitante, la Basilicata con 14.000 euro, la Liguria con 13.000 euro, il Friuli e l'Umbria con oltre 8.000 euro. Tra le regioni più grandi, al di sopra della media regionale si collocano; la Sicilia con oltre 7.000 euro; il Piemonte, con un importo leggermente inferiore (6.978 euro); il Veneto (oltre 6.000 euro). L'Emilia Romagna supera i 5.000 euro, la Lombardia registra un valore intorno ai 4.000 euro, come la Toscana, mentre Lazio e Campania si attestano sui 3.000 euro. La Sardegna si attesta sui 3.423 euro pro capite;
   il divario pro capite tra regioni è rappresentato dai seguenti dati (euro/persona): Calabria 23.085; Molise 18.018; Basilicata 14.165; Liguria 13.037; Friuli Venezia Giulia 8.231; Umbria 8.212; Valle d'Aosta 7.449; Sicilia 7.187; Piemonte 6.978; Veneto 6.119; Abruzzo 6.206; Trentino Alto Adige 5.965; Emilia Romagna 5.456; Lombardia 4.032; Toscana 4.025; Lazio 3.441; Sardegna 3.423; Campania 3.225; Puglia 2.127; Marche 1.393;
   i dati emersi configurano un gravissimo divario di trattamento tra regioni che, anche escludendo opere interregionali o di interesse nazionale, costituisce un vero e proprio ulteriore limite alla coesione nazionale che si mira a superare con parametri oggettivi e obiettivi;
   la questione insulare è quella più rilevante;
   l'ordinamento costituzionale italiano, che ha eliminato l'originario, anche se pleonastico, richiamo alle «isole», non ha in alcun modo recepito l'evoluzione ordinamentale dell'Unione europea relativamente alla questione insulare;
   l'articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFE), che costituisce la base giuridica per la politica di coesione economica e sociale dell'Unione, fa specifica menzione all'obiettivo di ridurre il ritardo delle regioni insulari. L'articolo 174 recita: «Per promuovere uno sviluppo armonioso dell'insieme dell'Unione, questa sviluppa e prosegue la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale;
   in particolare l'Unione mira a ridurre il divario tra i livelli di Sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite;
   tra le regioni interessate, un'attenzione particolare è rivolta alle zone rurali, alle zone interessate da transizione industriale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, quali le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna»;
   al Trattato di Amsterdam è seguita la contestuale dichiarazione n. 30 sulle regioni insulari che definisce gli obblighi della comunità nei confronti delle regioni insulari, come sancito dall'articolo 174 del TFE. La Dichiarazione n. 30 prevede: «La Conferenza riconosce che le regioni insulari soffrono, a motivo della loro insularità, di svantaggi strutturali il cui perdurare ostacola il loro sviluppo economico e sociale. La Conferenza riconosce pertanto che la legislazione comunitaria deve tener conto di tali svantaggi e che possono essere adottate misure specifiche, se giustificate, a favore di queste regioni per integrarle maggiormente nel mercato interno a condizioni eque»;
   analogo richiamo è contenuto all'articolo 349 del TFE, dove si prescrive di adottare misure specifiche per le regioni interessate, tenendo conto delle loro caratteristiche e dei vincoli, compresa la loro «insularità»;
   l'articolo 170 del TFE si occupa dalle reti trans-europee. Esso prevede che nello sviluppo di reti trans-europee l'Unione tiene conto in particolare della necessità di collegare alle regioni intercluse e periferiche alle regioni centrali dell'Unione;
   al fine di dare attuazione alle disposizioni contenute nei trattati europei la Commissione europea ha fatto predisporre, dal Consorzio Planistat Europe & Bradley Dunbar un rapporto finale riguardante l'analisi delle regioni insulari dell'Unione, dal quale emergono informazioni importanti circa l'esigenza di dotarsi di alcune precondizioni di base per aiutare le regioni insulari ad uscire dal loro isolamento;
   l'Eurostat ha classificato 286 territori insulari popolati da circa 10 milioni di abitanti, con una superficie di 100 mila chilometri quadrati (3 per cento della popolazione dell'Unione e 3,2 per cento della superficie totale);
   l'86 per cento di questa popolazione risiede nel Mediterraneo (53 per cento in Sicilia, la stessa che in Danimarca e Finlandia), 17 per cento in Sardegna, 8 per cento nelle Baleari, 5 per cento a Creta e 3 per cento in Corsica;
   la sola Italia conta il 78 per cento della popolazione totale con 31 isole (praticamente le più grandi) su 286, che aumenta al 95 per cento (con 123 isole) se si considera l'intero Mediterraneo;
   le analisi sulle strutture economiche delle regioni insulari fanno rilevare che le stesse sono basate su un unico o su un numero esiguo di settori di attività. I problemi principali collegati con l'insularità riguardano indicativamente;
   il costo elevato dei trasporti e delle comunicazioni, nonché la forte dipendenza da infrastrutture e sistemi di prestazione di servizi spesso insufficienti;
   il costo elevato per le imprese obbligate a immagazzinare le materie prime e altre merci in quantità maggiori (in media 2-3 mesi) per difendersi dai rischi di trasporto del clima e altro, che rende i loro fattori di produzione più cari del 20 per cento in media in rapporto alla concorrenza del Centro;
   lo scarso approvvigionamento e il costo elevato delle risorse idriche ed energetiche;
   la difficoltà di accesso a servizi come ad esempio l'istruzione, la sanità, l'aggiornamento, la comunicazione, l'informazione, le attività ricreative, l'amministrazione;
   l'emergere di problemi ambientali come l'inquinamento marino e costiero, l'inquinamento dovuto allo smaltimento di rifiuti solidi e liquidi, l'erosione e la desertificazione delle coste e del territorio in generale, l'esaurimento, la salinizzazione o l'inquinamento delle falde acquifere;
   la carenza di superfici utilizzabili e lo sfruttamento eccessivo o insufficiente delle località turistiche;
   la carenza di personale specializzato;
   la difficoltà di trattenere la popolazione, che impone di affrontare i problemi di diversificazione dell'economia locale, del carattere stagionale delle attività, della promozione di nuove attività produttive;
   tali problemi, dovuti alle piccole dimensioni delle isole, al loro isolamento naturale e alla lontananza rispetto ai centri europei e nazionali, determinano una ridotta competitività nelle imprese insulari e, in generale, una scarsa capacità di attrazione per l'insediamento permanente di individui, imprese e capitali;
   questi limiti, secondo il rapporto finale sui territori insulari, sono sintetizzabili in cinque grandi questioni;
   perifericità, trasporti, e accesso ai mercati;
   struttura economica;
   popolazione attiva e evoluzioni demografiche;
   accesso ai servizi pubblici quali le tecnologie dell'informazione e comunicazione, la salute e l'educazione;
   problemi ambientali e limitazione delle risorse naturali;
   occorre intraprendere la moderna frontiera della misurazione e compensazione dell'insularità;
   è evidente che l'insularità ha una ricaduta su gran parte degli indicatori economici e sociali e che quindi gli stessi devono essere individuati e con puntualità analizzati,

impegna il Governo:

1) a prevedere, nell'ambito della programmazione economica e finanziaria, risorse e progetti imprescindibili per l'attuazione dell'articolo 22 della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, che pone come elemento oggetto di valutazione la compensazione del divario infrastrutturale ed economico sociale rispetto alla media nazionale con particolare riferimento alle regioni insulari;
2) ad assumere iniziative per ridefinire i criteri di valutazione dei fabbisogni infrastrutturali collegandoli a modelli di sviluppo economico e sociale che tengano conto delle diverse specificità territoriali e ambientali in un determinato contesto politico-istituzionale;
3) a promuovere un piano di rinascita per le regioni insulari, anche nell'ambito delle politiche di riequilibrio, che preveda:
  a) un regime fiscale autonomo delle regioni insulari teso ad abbattere i costi dell'insularità sulle produzioni;
  b) un regime speciale delle tariffe energetiche teso a riequilibrare il divario con la media europea del costo energetico per i cittadini e per le imprese;
  c) un regime contributivo europeo permanente che compensi il divario economico, sociale e infrastrutturale legato alla condizione geografica permanente dell'insularità;
  d) un regime permanente di agevolazioni e di oneri del servizio pubblico per quanto riguarda la continuità territoriale tra passeggeri e merci;
  e) l'imposizione, d'intesa con lo Stato e l'Unione europea, sul territorio regionale di un onere del servizio pubblico sulla vendita dei prodotti petroliferi ai residenti e agli operatori che svolgano la propria attività sul territorio della regione;
  f) l'esenzione di contingentamenti per le regioni insulari, considerata la limitatezza del territorio e delle potenzialità produttive dello stesso, relativi ad alcuni settori primari del settore agricolo e zootecnico sia per quanto riguarda le quantità produttive che per la realizzazione di superfici irrigue;
  g) l'inserimento delle regioni insulari nei progetti europei relativamente alle reti transeuropee energetiche (metanodotto tra Algeria, Sardegna ed Europa) e alle reti commerciali europee delle autostrade del mare prevedendo appositi incentivi per il loro sviluppo;
  h) il riconoscimento alle regioni insulari delle condizioni permanenti di regione insulare al fine di compensare il divario economico, sociale e infrastrutturale e di predisporre con la regione una piattaforma strategica per il suo sviluppo;
  i) il finanziamento del piano di riequilibrio da parte dello Stato e dell'Unione europea con il concorso della regione anche attraverso risorse private;
  l) il finanziamento del piano con risorse dirette e attraverso il gettito fiscale ottenibile dall'attuazione della stessa;
  m) che il gettito della tassazione complessiva pertinente alla realizzazione della piattaforma sia destinato al finanziamento dell'intervento straordinario;
  n) che lo Stato e la regione Sardegna definiscano i regimi fiscali e contributivi da sottoporre all'Unione europea, compresa la realizzazione di una zona franca integrale di produzione per tutti quei settori che saranno individuati con apposita norma di attuazione come strategici nello sviluppo dell'isola.
(6-00310) «Pili».


   La Camera,
   esaminato il Documento di economia e finanza 2017;
   premesso che:
    a seguito di una crisi eccezionalmente lunga e profonda, che ha determinato tra il 2008 e il 2013 una perdita di prodotto senza precedenti nella storia recente, l'economia italiana continua a percorrere il sentiero di ripresa iniziato nel 2014 e proseguito nel biennio successivo, con un andamento più graduale rispetto ai precedenti cicli economici ma significativo, considerato il permanere di diffusi fattori di freno e incertezza a livello globale ed europeo;
    diverse evidenze testimoniano il recupero di capacità competitiva dell'economia italiana: l'avanzo commerciale ha raggiunto livelli elevati nel confronto storico ed è tra i più significativi dell'Unione Europea; i consumi privati, in ripresa dal 2014 e in crescita dell'1,3 per cento nel 2016, hanno beneficiato del sensibile recupero del reddito reale disponibile, anche grazie alla pressione fiscale scesa dal 43,6 nel 2013 al 42,3 per cento nel 2016 (al netto degli 80 euro mensili per i lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi), di più favorevoli condizioni di accesso al credito e del mercato del lavoro in ripresa, con un numero di occupati che ha superato di 734 mila unità il punto di minimo toccato nel settembre 2013;
    il miglioramento dei dati e delle aspettative nelle economie avanzate, Italia compresa, potrebbe giustificare una significativa revisione al rialzo della previsione di crescita del PIL per il 2017, tuttavia il Governo ha scelto di adottare una valutazione prudenziale volta a fornire stime robuste, attestando la previsione di crescita del PIL reale tendenziale per l'anno in corso all'1,1 per cento – comunque un decimo di punto percentuale più alta rispetto alla stima contenuta nella Nota di Aggiornamento del DEF 2016 e confermata nel Draft Budgetary Plan 2017 di ottobre 2016 – al pari della programmatica;
    l'elevato grado di incertezza del contesto di medio termine invoca una cautela previsionale ancor maggiore per il resto dell'orizzonte temporale, con una previsione tendenziale del Pil reale pari all'1 per cento nel 2018 e all'1,1 per cento per il biennio 2019 e 2020, sostanzialmente in linea con il quadro programmatico che solo per l'anno 2019 stima una crescita più bassa di 0,1 punti (1 per cento);
    per quanto concerne la finanza pubblica, nello scenario a legislazione vigente l'indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche prosegue il suo percorso di diminuzione, attestandosi a –2,3 per cento quest'anno, per poi migliorare nettamente nel corso dell'orizzonte previsionale, a –1,3 per cento nel 2018, –0,6 per cento nel 2019 e –0,5 per cento nel 2020, soprattutto grazie al rafforzamento dell'avanzo primario; tali stime risultano comunque superiori rispetto alle precedenti previsioni ufficiali, anche a causa del rialzo dei rendimenti sui titoli di Stato, che porta a prevedere spese per interessi più elevate;
    il Governo conferma l'impegno a introdurre le misure di bilancio correttive, di politica fiscale e controllo della spesa, con carattere strutturale e il cui impatto netto è stimato pari a 0,2 per cento per il 2017, 0,1 per cento per il 2018, 0,4 per cento per il 2019 e 0,5 per il 2020, necessarie a conciliare l'obiettivo di innalzare stabilmente la crescita e l'occupazione con il rispetto della sostenibilità delle finanze pubbliche; nel quadro programmatico l'obiettivo di indebitamento netto per il 2017 è pertanto rivisto al –2,1 per cento del PIL, per poi ridursi al –1,2 per cento nel 2018 e –0,2 per cento nel 2019 e raggiunge il pareggio di bilancio nel 2020;
    ne consegue che il corrispondente valore programmatico dell'indebitamento espresso in termini strutturali risulta in linea con quanto prescritto dai vincoli del braccio preventivo del Patto di stabilità e crescita (PSC), tenuto conto della stima – basata sulla metodologia concordata in sede europea – dell’output gap per il 2017, che, rivista al rialzo in valore assoluto di un punto percentuale (pari a –1,8 per cento del prodotto potenziale) suggerisce il protrarsi di condizioni cicliche avverse anche quest'anno, dei margini di flessibilità accordati per l'anno in corso dalla Commissione europea – sulla base di una valutazione ex ante, che verrà aggiornata sulla base delle Spring Forecasts di maggio – per i costi legati all'emergenza terremoto e alla gestione dei migranti, e dell'impatto netto della manovra correttiva: il valore del saldo si attesta a –1,5 per il 2017, per scendere a –0,7 nel 2018 e confermare il pieno raggiungimento dell'obiettivo di medio termine (OMT) nel 2019, segnando un avanzo strutturale pari a 0,1, e il suo mantenimento nel 2020, con il pareggio di bilancio;
    secondo i dati della Commissione Europea, tra il 2009 e il 2016 l'Italia risulta il Paese dell'Eurozona che, assieme alla Germania, ha mantenuto l'avanzo primario in media più elevato e tra i pochi ad aver prodotto un saldo positivo: in particolare, nel 2016 si è attestato all'1,5 per cento, contro una media dello 0,5 per cento del PIL per l'Area dell'Euro e dello 0,3 per cento dell'Unione Europea, valore che ha rafforzato la posizione italiana rispetto ad altri partner europei con un elevato debito pubblico;
    l'avanzo primario nel quadro tendenziale rimane stabile all'1,5 per cento del PIL nel 2017 ed è previsto salire progressivamente, al 2,4 per cento nel 2018, al 3,1 per cento nel 2019 e 3,4 per cento nel 2020, per effetto delle disposizioni legislative attualmente vigenti, sia della prevista ripresa della crescita economica; il corrispondente valore nel quadro programmatico stima valori ancor più significativi, pari a 1,7 per cento nel 2017, 2,5 per cento nel 2018, 3,5 per cento nel 2019 e 3,8 per cento nel 2020;
    l'evoluzione del rapporto debito su PIL conferma come le recenti politiche di finanza pubblica abbiano consentito di raggiungere nello scorso biennio il primo rilevante obiettivo di una sua sostanziale stabilizzazione, mentre la previsione programmatica, pari nel 2017 a 132,5 per cento (132,7 nel tendenziale), segna il primo decremento dall'avvio della crisi ad oggi; la discesa del rapporto debito/PIL dovrebbe accelerare nel prossimo triennio, registrando valori pari a 131 nel 2018, 128,2 nel 2019 e 125,7 nel 2020, inferiori agli andamenti tendenziali (131,5 nel 2018, 129,3 nel 2019 e 127,2 nel 2020), grazie all'aumento del surplus primario e ai proventi da dismissioni immobiliari e di quote di aziende pubbliche stimati nello 0,3 per cento del PIL all'anno per l'intero orizzonte di previsione;
    resta fermo l'intendimento del Governo, nell'impostazione della futura legge di bilancio, di proseguire nel percorso di disattivazione delle clausole di salvaguardia previste in termini di aumento delle aliquote IVA e delle accise, attraverso misure compensative sul lato della spesa e delle entrate, comprensive di ulteriori interventi di contrasto all'evasione;
    considerato che:
     l'aumento delle diseguaglianze negli ultimi decenni in Italia e in gran parte dei Paesi avanzati e la perdurante insufficiente attenzione alla sostenibilità ambientale richiedono un arricchimento del dibattito pubblico e delle strategie di politica economica;
     per la prima volta, il DEF include tra gli strumenti di programmazione e monitoraggio della politica economica nazionale gli indicatori di benessere equo e sostenibile, voluti dal Parlamento per valutare il progresso del Paese non solo dal punto di vista economico, ma anche in termini sociali, ambientali e distributivi;
     in attesa delle conclusioni del Comitato, istituito presso l'Istat, al quale la riformata legge n. 196 del 2009 dà il mandato di selezionare e definire gli indicatori che i governi saranno tenuti ad usare per monitorare l'evoluzione del benessere e valutare l'impatto delle politiche, il Governo ha deciso di introdurre in via sperimentale alcuni indicatori di benessere equo e sostenibile già in questo esercizio, esponendone gli andamenti dell'ultimo triennio e le previsioni per l'orizzonte di programmazione;
     il DEF illustra pertanto l'andamento del reddito medio disponibile, aggiustato pro-capite, da cui emerge l'importante funzione stabilizzatrice esercitata dalle politiche pubbliche nella presente legislatura in quanto l'indicatore subisce la crisi meno del PIL pro capite, della diseguaglianza dei redditi nonché della mancata partecipazione al mercato del lavoro, entrambe in riduzione nell'ultimo triennio, delle emissioni di CO2 e altri gas clima alteranti, sostanzialmente stabile pur in presenza di una ripresa industriale;
     tali tendenze sono confermate per ciascun anno dell'orizzonte previsivo, in modo ancor più significativo nel quadro programmatico, dimostrando gli effetti positivi in termini di benessere della politica economica sin qui adottata, quali ad esempio il piano di contrasto alla povertà e una maggiore partecipazione al lavoro di fasce potenziali di lavoratori, e in particolare di lavoratrici, che rientrano nel mercato incoraggiati dal miglioramento del contesto occupazionale e accompagnati dalle misure di politica attiva; in relazione all'indicatore ambientale, pur in presenza del rafforzamento del ciclo produttivo e industriale, le emissioni rimangono sostanzialmente stabili nel periodo considerato, grazie alle misure che hanno portato alla rapida crescita della produzione di energia da fonti rinnovabili e alle numerose azioni volte a migliorare l'efficienza energetica;
    valutato che:
     il programma nazionale di riforma (PNR), contenuto nella terza sezione del DEF definisce, in coerenza con il programma di stabilità, gli interventi da adottare per il raggiungimento degli obiettivi nazionali di crescita, produttività, occupazione e sostenibilità così come delineati e concordati in sede europea;
     il (PNR) 2017 si colloca temporalmente nella fase finale dell'attuale legislatura e in continuità con la politica di impronta riformatrice avviata per il cambiamento del tessuto economico e sociale del Paese, dando altresì conto dei risultati raggiunti, come riconosciuto anche dal recente Rapporto sull'Italia redatto dalla Commissione Europea, e di quelli che saranno conseguiti nei prossimi mesi, dal momento che le riforme strutturali approvate, quali ad esempio quelle riguardanti il mercato del lavoro, il settore bancario, il mercato dei capitali, le regole fiscali, la scuola, la pubblica amministrazione, la giustizia civile, le produzioni innovative, il sistema dei porti e della logistica, il turismo e il rilancio del Mezzogiorno, richiedono per loro natura un congruo lasso di tempo per dispiegare compiutamente la loro efficacia e il loro impatto sulla crescita del Paese;
     tuttavia è essenziale che questa spinta riformatrice non si esaurisca e che le riforme strutturali siano completate e attuate, in particolare quelle richieste nelle Raccomandazioni specifiche per Paese (CSRs), indirizzate dal Consiglio nell'ambito del Semestre Europeo;
     le azioni prioritarie del Governo, nel breve periodo, riguardano il rilancio del percorso di liberalizzazioni, del processo di efficientamento nella gestione degli stessi asset pubblici, lo spostamento del carico fiscale per favorire la crescita (tax shift) e l'occupazione in particolare giovanile e femminile, ulteriori misure per la produttività, l'approvazione di norme e innovazioni organizzative volte ad accrescere l'efficienza del sistema giudiziario e semplificare e velocizzare i tempi dei processi penali e la piena attuazione alla strategia di contrasto alla povertà delineata nella legge delega approvata dal Parlamento, con il varo del Reddito di Inclusione, il riordino delle prestazioni assistenziali e il rafforzamento del coordinamento degli interventi in materia di servizi sociali, finalizzato a garantire maggiore omogeneità territoriale;
    nel medio periodo il PNR 2017 basa la sua strategia per il futuro su sei ambiti di azione:
     a) coniugare la più generale strategia di crescita, equità e lotta alle disuguaglianze, con una riduzione del rapporto debito/PIL che sia credibile e sostenuta nel tempo;
     b) proseguire nella decisa azione di efficientamento del sistema fiscale, attraverso la riduzione della pressione fiscale, in particolare sui fattori produttivi, la revisione delle tax expenditures, la lotta all'evasione fiscale e la revisione della spesa pubblica, tagliando ulteriormente la spesa improduttiva;
     c) potenziare le misure che rendono il mercato del lavoro più tutelato ed efficiente e le politiche di stimolo alla crescita e alla produttività nonché alla partecipazione al mercato del lavoro;
     d) massimizzare l'efficacia degli strumenti messi a disposizione del sistema bancario, continuando a sviluppare il mercato dei crediti deteriorati ed incoraggiando l'adozione delle best practices europee nella gestione delle sofferenze;
     e) approvare ulteriori misure per un migliore ambiente imprenditoriale e la crescita della produttività, che riguardano la riduzione dei tempi della giustizia e il completamento e l'attuazione della riforma della Pubblica Amministrazione;
     f) accelerare la ripartenza degli investimenti pubblici e migliorare il loro allineamento con l'obiettivo di lungo termine di riequilibrio territoriale del Paese, anche attraverso il perfezionamento del quadro regolatorio in materia di appalti pubblici, con l'obiettivo di stabilizzare la normativa di riferimento incentivando la semplificazione, la trasparenza delle procedure e rafforzando la lotta alla corruzione;
    le previsioni macroeconomiche tendenziali e programmatiche per gli anni 2017-2020 sono state validate dall'ufficio parlamentare di bilancio rispettivamente il 31 marzo e il 19 aprile 2017,

impegna il Governo:

  nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica:
   a conseguire i saldi programmatici di finanza pubblica in termini di indebitamento netto rispetto al PIL, nonché il rapporto programmatico debito su PIL, nei termini e nel periodo di riferimento indicati nel Documento di economia e finanza;
   a continuare a promuovere una strategia di riforma degli orientamenti di politica economica e finanziaria prevalenti in sede comunitaria, volta a conferire, anche attraverso un confronto con gli organismi comunitari finalizzato a rendere meglio compatibile il percorso di progressivo avvicinamento all'Omt, una maggiore centralità alla crescita economica, all'occupazione e all'inclusione sociale;
   a sostenere con maggior forza l'introduzione di uno strumento comune di stabilizzazione macroeconomica, che possa consentire in particolare ai Paesi soggetti a vincoli di bilancio stringenti di adottare politiche anticicliche, facendo fronte all'aumento del tasso di disoccupazione in caso di shock asimmetrici, introducendo al contempo strumenti di condivisione dei rischi tra i Paesi membri, accanto a quelli di riduzione dei rischi associati a ciascuno di essi;
   a dare piena attuazione ai contenuti del Programma nazionale di riforma al fine di conseguire gli obiettivi nazionali di crescita, produttività, occupazione e sostenibilità;
   a disattivare l'incremento delle aliquote IVA e delle accise sugli olii minerali, che scatterebbe nel 2018 per effetto delle clausole di salvaguardia sostituendolo con misure compensative dal lato della spesa e delle entrate;
   a rafforzare gli investimenti pubblici, con priorità per quelli riguardanti la cura del territorio e il contrasto del dissesto idrogeologico e per quelli, anche riguardanti le grandi infrastrutture, delle aree del Mezzogiorno, favorendo in particolare gli investimenti degli enti territoriali, sotto soglia comunitaria, più immediatamente realizzabili, nonché ad accelerare la definizione delle procedure necessarie a rendere spendibili le risorse del Fondo Sviluppo e Coesione individuate e messe a disposizione nei «patti per lo sviluppo» già siglati, sia per il livello regionale che locale, oltreché adottare tutti gli atti necessari per il pieno utilizzo delle risorse;
   nell'ottica di conseguire una maggiore efficienza e razionalizzazione della spesa, a migliorare il percorso di programmazione, progettazione, effettiva realizzazione e valutazione delle opere, fornendo certezze procedurali e finanziarie indispensabili all'attività di investimento, nonché supporto tecnico e valutativo alle amministrazioni, anche territoriali;
   a favorire forme di reale autonomia e responsabilità finanziaria degli enti locali, creando le condizioni per il superamento del sistema di finanza derivata, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, definendo un assetto organico e complessivo della finanza locale caratterizzato da semplicità, sfoltimento dei vincoli contabili e ordinamentali, superati dal nuovo assetto delle regole finanziarie, allentamento dei vincoli al turn over, tenendo conto delle situazioni di precarietà cristallizzate nel tempo, e certezza delle risorse; a incentivare il ruolo attivo degli enti territoriali nelle attività di recupero dell'evasione fiscale;
   a garantire l'effettivo esercizio delle funzioni fondamentali da parte delle province e delle città metropolitane, anche mediante l'attribuzione a carattere strutturale di adeguate risorse finanziarie e le opportune modifiche alla legislazione vigente;
   a sviluppare politiche per una maggiore crescita inclusiva volta a ridurre le disuguaglianze, dando rapida attuazione alla legge delega per il contrasto alla povertà attraverso la definizione del Reddito di Inclusione per sostenere economicamente i nuclei in condizione di povertà e promuovere il reinserimento nella società e nel mondo del lavoro di coloro che ne sono esclusi, prevedendo un consistente incremento delle risorse previste a legislazione vigente per il contrasto alla povertà al fine di ricomprendere nella platea dei beneficiari tutti coloro che versano in condizione di povertà assoluta;
   a rafforzare le politiche attive del lavoro, rendendo effettivo l'assegno di ricollocazione, e quelle volte a stimolare le competenze; in questo contesto, a valorizzare e a dare piena efficacia al ruolo della contrattazione salariale di secondo livello con interventi sempre più mirati in materia di welfare aziendale integrativi e non sostitutivi del welfare pubblico;
   con riferimento al pubblico impiego, a dare seguito agli impegni assunti nell'accordo raggiunto dalle organizzazioni sindacali e dal Governo il 30 novembre 2016;
   a promuovere interventi volti a rafforzare la presenza femminile nel mondo del lavoro, proseguendo nell'introduzione di misure volte a favorire la condivisione dei carichi familiari e la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, nonché ampliando e rafforzando il Sistema integrato di educazione e di istruzione per l'infanzia e i servizi alla famiglia, in particolare nelle aree del Mezzogiorno;
   a favorire l'incremento dell'occupazione giovanile anche attraverso la predisposizione di interventi selettivi sul cuneo fiscale;
   a garantire l'universalità e l'equità del servizio sanitario nazionale, rafforzandone ulteriormente l'efficienza e la qualità delle prestazioni, anche prevedendo interventi volti ad allineare progressivamente la spesa italiana in rapporto al PIL a quella media europea;
   a proseguire la politica di sostegno alle famiglie e di contrasto alla prolungata tendenza al calo demografico, in particolare rafforzando sistema degli assegni per i figli a carico, anche procedendo alla necessaria razionalizzazione degli attuali istituti;
   in materia fiscale, a proseguire nell'azione di:
    a) semplificazione del sistema tributario, migliorando il rapporto fiduciario con i contribuenti caratterizzati da una maggiore compliance fiscale, puntando sulla riduzione degli adempimenti e sulla crescente qualificazione dei servizi erogati;
    b) efficientamento del rapporto tra l'amministrazione finanziaria e i contribuenti, assicurando, in tale contesto, il rispetto dei tempi previsti dalla legislazione vigente per le procedure di rimborso dei crediti Iva derivanti dall'applicazione dello split payment;
    c) ulteriore riduzione della pressione fiscale da perseguire prioritariamente attraverso il rafforzamento dell'attività di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale, anche al fine di ridefinire il sistema di tassazione personale (IRPEF);
   a proseguire nell'azione di riforma della giustizia già avviata, con particolare riguardo al processo penale, all'efficienza del processo civile e alla prescrizione;
   ad aprire una nuova fase della spending review, che dovrà essere più selettiva e al tempo stesso coerente con i principi stabiliti dalla riforma del bilancio, anche attraverso un più esteso utilizzo degli strumenti per la razionalizzazione degli acquisti di beni e servizi da parte della PA;
   a proseguire nell'azione di rafforzamento della capacità competitiva delle imprese italiane, nel solco degli interventi disposti negli ultimi tre anni, al fine di supportare la crescita dimensionale e l'internazionalizzazione, anche attraverso le politiche per la concorrenza e le liberalizzazioni dei mercati dei beni e dei servizi, il miglioramento dei modelli di governance e delle condizioni di accesso al mercato dei capitali, il rafforzamento di misure di incentivo a posizionarsi nella parte più alta della catena del valore;
   a valutare il processo di avanzamento del programma di privatizzazioni anche in rapporto agli obiettivi strategici della politica industriale;
   a proseguire nello sforzo di messa in sicurezza degli edifici e dei contesti urbani attraverso le misure di prevenzione, manutenzione e ristrutturazione, favorendo in particolare, nell'ambito delle agevolazioni esistenti per i condomìni, l'accessibilità al beneficio da parte dei contribuenti incapienti;
   a proseguire nel percorso di sviluppo sostenibile del Paese per stimolare la crescita economica conciliandola con la tutela dell'ambiente, la protezione e promozione sociale e, nel particolare ambito delle politiche ambientali, a rimodulare progressivamente le risorse per i cosiddetti sussidi dannosi, ai fini dell'operatività dell'accordo Parigi-COP21 e dell'attuazione dell'Agenda 2030 dell'ONU per lo sviluppo sostenibile;
   a considerare collegato alla manovra di finanza pubblica il provvedimento A.S. 2287-bis «Delega al Governo per il codice dello spettacolo», favorendone la rapida approvazione, nell'ottica di una più ampia riforma del settore.
(6-00311) «Rosato, Lupi, Monchiero, Dellai, Pisicchio, Alfreider, Buttiglione, Bueno, Locatelli».