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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Martedì 11 aprile 2017

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta dell'11 aprile 2017.

  Adornato, Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Alli, Amendola, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Catania, Causin, Antimo Cesaro, Cicchitto, Cirielli, Colonnese, Coppola, Costa, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Menech, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Manlio Di Stefano, Faraone, Fedriga, Ferranti, Ferrara, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Giorgis, Gozi, Lorenzo Guerini, La Russa, Laforgia, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Marcon, Meta, Migliore, Mucci, Nicoletti, Orlando, Pannarale, Pes, Piccoli Nardelli, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Francesco Saverio Romano, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scanu, Schullian, Sereni, Sottanelli, Speranza, Tabacci, Terzoni, Tofalo, Valeria Valente, Velo, Villecco Calipari.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 10 aprile 2017 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   RICCIATTI ed altri: «Disposizioni per il sostegno della produzione agroalimentare tipica e di eccellenza delle regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria colpite dagli eventi sismici degli anni 2016 e 2017» (4420);
   RAMPELLI ed altri: «Modifiche al decreto legislativo 9 gennaio 2012, n. 4, in materia di sanzioni applicabili alle attività della pesca e dell'acquacoltura» (4421).

  Saranno stampate e distribuite.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:

   I Commissione (Affari costituzionali):
  PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE LA RUSSA: «Modifiche agli articoli 11 e 117 della Costituzione, concernenti l'introduzione del principio di sovranità rispetto all'ordinamento dell'Unione europea» (4387) Parere delle Commissioni III e XIV.

   II Commissione (Giustizia):
  GRIMOLDI ed altri: «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di circostanza aggravante per taluni delitti commessi nei confronti di donne» (4345) Parere delle Commissioni I, V e XII.

   VII Commissione (Cultura):
  GALPERTI ed altri: «Disposizioni in materia di insequestrabilità delle opere d'arte prestate da Stati esteri o da enti o istituzioni culturali straniere, durante la permanenza in Italia per l'esposizione al pubblico» (4381) Parere delle Commissioni I, II, III, V e XIV;
  BECHIS ed altri: «Disposizioni per la promozione, la valorizzazione e il sostegno della musica popolare e amatoriale» (4402) Parere delle Commissioni I, III, V e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

   XII Commissione (Affari sociali):
  SBERNA: «Disposizioni concernenti il seppellimento dei resti mortali dei bambini non nati» (4355) Parere delle Commissioni I, II, V e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

   Commissioni riunite VIII (Ambiente) e X (Attività produttive):
  MELILLA ed altri: «Modifica all'articolo 38 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, in materia di pianificazione delle aree per lo svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e di deposito sotterraneo di gas naturale» (4378) Parere delle Commissioni I, V, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Trasmissione dal Ministro dell'economia e delle finanze.

  Il Ministro dell'economia e delle finanze, con lettera in data 3 aprile 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 26 del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185, le relazioni sull'attuazione delle misure incentivanti previste dal medesimo decreto legislativo n. 185 del 2000 in favore dell'imprenditorialità e dell'autoimpiego, riferite agli anni 2007, 2008, 2009, 2010, 2011, 2012, 2013, 2014 e 2015 (Doc. CCLIII, n. 1).

  Queste relazioni sono trasmesse alla V Commissione (Bilancio), alla X Commissione (Attività produttive) e alla XI Commissione (Lavoro).

Trasmissione dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo.

  Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, con lettera in data 7 aprile 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7, comma 1, del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2014, n. 106, la relazione concernente gli interventi realizzati e avviati nell'ambito del Piano strategico «Grandi progetti beni culturali», riferita all'anno 2016 (Doc. CCXXXVII, n. 3).

  Questa relazione è trasmessa alla VII Commissione (Cultura).

Trasmissione dal Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.

  Il Presidente del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, con lettera in data 3 aprile 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7, comma 5, lettera g), del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10, la prima relazione sull'attività svolta dal medesimo Garante, aggiornata al mese di febbraio 2017 (Doc. CCLIV, n. 1).

  Questa relazione è trasmessa alla II Commissione (Giustizia).

Trasmissione dal Garante del contribuente per la provincia autonoma di Trento.

  Il Garante del contribuente per la provincia autonoma di Trento, con lettera in data 30 marzo 2017, ha trasmesso la relazione sullo stato dei rapporti tra fisco e contribuenti nel campo della politica fiscale nella provincia di Trento, riferita all'anno 2016, predisposta ai sensi dell'articolo 13, comma 13-bis, della legge 27 luglio 2000, n. 212.

  Questa relazione è trasmessa alla VI Commissione (Finanze).

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

DISEGNO DI LEGGE: S. 2705 – CONVERSIONE IN LEGGE, CON MODIFICAZIONI, DEL DECRETO-LEGGE 17 FEBBRAIO 2017, N. 13, RECANTE DISPOSIZIONI URGENTI PER L'ACCELERAZIONE DEI PROCEDIMENTI IN MATERIA DI PROTEZIONE INTERNAZIONALE, NONCHÉ PER IL CONTRASTO DELL'IMMIGRAZIONE ILLEGALE (APPROVATO DAL SENATO) (A.C. 4394)

A.C. 4394 – Ordini del giorno

ORDINI DEL GIORNO

   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, reca disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale;
    l'articolo 8, con riferimento alla possibilità di impiego in attività sociali dei richiedenti asilo, stabilisce che i Prefetti promuovano di intesa con Comuni, Regioni e Province autonome ogni iniziativa utile all'implementazione dell'impiego di richiedenti protezione internazionale, su base volontaria, in attività di utilità sociale in favore delle collettività locali;
    nella ricognizione territoriale sulle buone pratiche in tema di accoglienza e integrazione, tra i vari contributi pervenuti dalle Prefetture, risulta, tra le segnalate, quelle della Prefettura di Cuneo, Lucca e Lodi che hanno avviato progetti di coinvolgimento volontario dei richiedenti asilo/rifugiati sia per le ordinarie attività gestionali nelle strutture ospitanti che nella comunità locale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere che i richiedenti asilo possano essere impegnati in lavori di manutenzione e di gestione dei servizi interni ai locali che li ospitano.
9/4394/1Marti.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, reca disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale;
    l'articolo 8, con riferimento alla possibilità di impiego in attività sociali dei richiedenti asilo, stabilisce che i Prefetti promuovano di intesa con Comuni, Regioni e Province autonome ogni iniziativa utile all'implementazione dell'impiego di richiedenti protezione internazionale, su base volontaria, in attività di utilità sociale in favore delle collettività locali;
    nella ricognizione territoriale sulle buone pratiche in tema di accoglienza e integrazione, tra i vari contributi pervenuti dalle Prefetture, risulta, tra le segnalate, quelle della Prefettura di Cuneo, Lucca e Lodi che hanno avviato progetti di coinvolgimento volontario dei richiedenti asilo/rifugiati sia per le ordinarie attività gestionali nelle strutture ospitanti che nella comunità locale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di forme di partecipazione e di coinvolgimento dei richiedenti asilo nelle attività all'interno dei centri di accoglienza.
9/4394/1. (Testo modificato nel corso della seduta) Marti.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, reca disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale;
    l'articolo 19 «Esecuzione dell'espulsione e Centri di permanenza per i rimpatri» qualifica tali centri come strutture a capienza limitata, dislocate su tutto il territorio nazionale, sentiti i Presidenti di Regioni e con una capienza complessiva di 1.600 posti;
    il numero di sbarchi in questi ultimi anni è aumentato in maniera esponenziale, basti pensare al 2016 che, secondo i dati del Ministero dell'interno, ha registrato arrivi di 181.436 migranti con un 18 per cento in più dell'anno precedente (153.842) e oltre il 6 per cento in più del 2014 che pure aveva registrato 170.100 arrivi;
    con molta probabilità alla prova dei fatti, la capacità totale dei centri di permanenza dei rimpatri potrebbe risultare eccessivamente limitata rispetto alla enorme portata del fenomeno migratorio;
    tale situazione potrebbe comportare il rischio che i centri si trasformino in lager sovraffollati con problemi di sicurezza e coabitazione di umanità differenti oltre a poter creare difficoltà nella procedura dei rimpatri,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di effettuare un'attività di monitoraggio costante sulla effettiva capienza e condizioni di vita dei «Centri di permanenza per i rimpatri», individuando, se del caso, misure o interventi volti a garantire condizioni idonee di accoglienza.
9/4394/2Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, reca disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale;
    l'articolo 19 «Esecuzione dell'espulsione e Centri di permanenza per i rimpatri» qualifica tali centri come strutture a capienza limitata, dislocate su tutto il territorio nazionale, sentiti i Presidenti di Regioni e con una capienza complessiva di 1.600 posti;
    il numero di sbarchi in questi ultimi anni è aumentato in maniera esponenziale, basti pensare al 2016 che, secondo i dati del Ministero dell'interno, ha registrato arrivi di 181.436 migranti con un 18 per cento in più dell'anno precedente (153.842) e oltre il 6 per cento in più del 2014 che pure aveva registrato 170.100 arrivi;
    con molta probabilità alla prova dei fatti, la capacità totale dei centri di permanenza dei rimpatri potrebbe risultare eccessivamente limitata rispetto alla enorme portata del fenomeno migratorio;
    tale situazione potrebbe comportare il rischio che i centri si trasformino in lager sovraffollati con problemi di sicurezza e coabitazione di umanità differenti oltre a poter creare difficoltà nella procedura dei rimpatri,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di continuare l'attività di monitoraggio in modo costante sulla effettiva capienza e condizioni di vita dei «Centri di accoglienza per i rimpatri», individuando, se del caso, misure o interventi volti a garantire condizioni idonee.
9/4394/2. (Testo modificato nel corso della seduta) Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, reca disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale;
    i numerosi atti di terrorismo islamico che si sono verificati negli ultimi anni in Europa (Parigi, Charleroi, Nizza, Berlino, Londra e la recentissima Stoccolma) devono necessariamente richiamare l'attenzione sulla tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza nazionale;
    allo stesso tempo costituisce elemento indispensabile l'esigenza di salvaguardare il ruolo delle moschee e degli stessi imam in Italia in un'ottica di rispetto e reciprocità, tenendo comunque fermo un principio, spesso sottovalutato, che le moschee debbano essere luoghi di culto e non fungere da centri di proselitismo radicale;

recentemente lo stesso Ministro degli Interni, in seguito alla sigla del patto nazionale per un Islam italiano, ha giustamente riconosciuto la necessità di arrivare in breve tempo ad istituire un albo degli Imam,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di istituire il Registro pubblico delle moschee e l'Albo nazionale degli imam.
9/4394/3Altieri.


   La Camera,
   premesso che:
    quest'Aula si accinge a convertire in via definitiva il decreto-legge n. 13 del 17 febbraio 2017 recante: «Disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale». Il provvedimento, in sintesi, contiene disposizioni volte a: snellire e accelerare i procedimenti amministrativi per il riconoscimento della protezione internazionale; semplificare e ottimizzare le procedure di identificazione degli stranieri trovati in una condizione di irregolarità sul territorio nazionale o soccorsi durante operazioni di salvataggio in mare; assicurare l'effettività dei provvedimenti di espulsione, respingimento e allontanamento (anche incrementando le risorse volte a garantire l'esecuzione dei rimpatri); potenziare le misure di contrasto all'immigrazione illegale e al traffico di migranti; rafforzare il principio di «leale collaborazione» tra Stato ed enti territoriali per quanto concerne l'organizzazione e la gestione del «sistema» accoglienza;
    l'articolo 20 pone, in capo al Governo per gli anni 2018, 2019 e 2020, l'onere della presentazione alle competenti Commissioni parlamentari, entro il 30 giugno di ogni anno, di una relazione sullo stato di attuazione delle disposizioni del decreto-legge «con particolare riferimento agli effetti prodotti e ai risultati conseguiti»,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere, in merito all'attività di trasmissione di cui sopra e all'ulteriore adempimento previsto ai sensi dell'articolo 6, comma 2-bis, del decreto-legge 22 agosto 2014, n. 119 convertito con modificazioni dalla legge n. 146 del 2014, che alle relazioni sia data la maggiore divulgazione possibile, anche attraverso la loro pubblicazione sul sito del Governo al fine di un coordinamento nazionale volto a garantire, in modo uniforme sull'intero territorio nazionale, l'applicazione delle disposizioni in oggetto.
9/4394/4Nesi.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in esame introduce disposizioni urgenti per l'accelerazione delle procedure amministrative e giurisdizionali in materia di protezione internazionale, per l'introduzione di misure volte ad accelerare le operazioni di identificazione dei cittadini di Paesi non appartenenti all'Unione europea e per il contrasto dell'immigrazione illegale;
    il decreto istituisce 14 sezioni di Tribunale specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea, che avranno competenza relativamente a: mancato riconoscimento del diritto di soggiorno sul territorio nazionale in favore di cittadini Ue; impugnazione del provvedimento di allontanamento nei confronti di cittadini Ue per motivi di pubblica sicurezza; riconoscimento della protezione internazionale; mancato rilascio, rinnovo o revoca del permesso di soggiorno per motivi umanitari; diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari; accertamento dello stato di apolidia;
    si introducono misure per la semplificazione e l'efficienza delle procedure innanzi alle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e di integrazione dei richiedenti, nonché per la semplificazione e l'efficienza dei procedimenti giudiziari di riconoscimento dello status di persona internazionalmente protetta e degli altri procedimenti giudiziari connessi ai fenomeni dell'immigrazione,

impegna il Governo

   allo scopo di diminuire il numero di chi è in attesa di valutazione da commissioni e tribunali, a valutare l'opportunità di introdurre un arco temporale di tre mesi in cui i richiedenti asilo che dimostrano di avere un contratto di lavoro in corso o di aver lavorato almeno 6 mesi negli ultimi 12 mesi, con un contratto di lavoro o di tirocinio e con i relativi contributi versati, possano ricevere il permesso di soggiorno per 2 anni;
   a garantire procedimenti più veloci per tutti gli altri soggetti interessati dai procedimenti giudiziari di riconoscimento dello status di persona internazionalmente protetta e dagli altri procedimenti.
9/4394/5Arlotti, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in esame introduce disposizioni urgenti per l'accelerazione delle procedure amministrative e giurisdizionali in materia di protezione internazionale, per l'introduzione di misure volte ad accelerare le operazioni di identificazione dei cittadini di Paesi non appartenenti all'Unione europea e per il contrasto dell'immigrazione illegale;
    il decreto istituisce 14 sezioni di Tribunale specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea, che avranno competenza relativamente a: mancato riconoscimento del diritto di soggiorno sul territorio nazionale in favore di cittadini Ue; impugnazione del provvedimento di allontanamento nei confronti di cittadini Ue per motivi di pubblica sicurezza; riconoscimento della protezione internazionale; mancato rilascio, rinnovo o revoca del permesso di soggiorno per motivi umanitari; diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari; accertamento dello stato di apolidia;
    si introducono misure per la semplificazione e l'efficienza delle procedure innanzi alle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e di integrazione dei richiedenti, nonché per la semplificazione e l'efficienza dei procedimenti giudiziari di riconoscimento dello status di persona internazionalmente protetta e degli altri procedimenti giudiziari connessi ai fenomeni dell'immigrazione,

impegna il Governo

   allo scopo di diminuire il numero di chi è in attesa di valutazione da commissioni e tribunali, a valutare l'opportunità di intervenire al fine di introdurre disposizioni che consentano di rilasciare un permesso di soggiorno provvisorio ai fini di lavoro nei confronti dei richiedenti asilo con tirocinio o contratto di lavoro in corso;
   a garantire procedimenti più veloci per tutti gli altri soggetti interessati dai procedimenti giudiziari di riconoscimento dello status di persona internazionalmente protetta e dagli altri procedimenti.
9/4394/5. (Testo modificato nel corso della seduta) Arlotti, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge all'esame dell'Assemblea contiene disposizioni per accelerare i procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto all'immigrazione illegale;
    le norme contenute nel provvedimento, tra l'altro, prevedono misure dirette alla proroga della permanenza dei migranti nei centri di permanenza e dispongono il potenziamento dei centri ai fini di una loro distribuzione omogenea sul territorio;
    la Regione Sicilia è il territorio che presenta le maggiori problematiche per la ricezione dei migranti che sono diretti sul suo territorio e che sono in costante aumento;
    occorre pertanto un'implementazione dei controlli sanitari soprattutto per gli operatori che ogni giorno svolgono la loro attività confrontandosi con migranti che provengono dagli Stati africani e che possono portare malattie infettive, come è necessario implementare gli uffici delle Asp siciliane nei luoghi di maggior approdo dei migranti (come ad esempio il porto di Pozzallo e di Augusta),

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di implementare i controlli sanitari sui migranti ed a potenziare, nell'ambito delle sue competenze, gli uffici delle ASP (con l'aumento delle risorse economiche alla Regione che poi utilizza le stesse per le ASP) presenti nei luoghi di maggior approdo dei migranti come i porti di Pozzallo e di Augusta.
9/4394/6Minardo.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame prevede disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale,

impegna il Governo

a mettere in atto azioni di monitoraggio e controllo più incisive presso il confine orientale in considerazione delle recenti decisioni assunte in tema di immigrazione dagli Stati confinanti della Slovenia e dell'Austria.
9/4394/7Rizzetto, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il testo in esame reca la conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, recante disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale;
    l'articolo 19 reca disposizioni urgenti che assicurino l'effettività delle espulsioni e il potenziamento dei centri di permanenza per i rimpatri;
    secondo i dati forniti dal Dipartimento della pubblica Sicurezza – Direzione centrale dell'immigrazione e della Polizia delle frontiere, nel 2016 gli stranieri rintracciati in posizione irregolare sarebbero stati circa 41 mila, con un aumento di 7 mila unità rispetto all'anno precedente;
    la Direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, è stata recepita dall'Italia con il decreto-legge n. 89 del 2011 convertito con modificazioni dalla legge n. 129 del 2011;
    la legge n. 129 del 2011, articolo 3 «Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in attuazione della direttiva 2008/115/CE», comma 1 lettera c) punto 3) stabilisce che «l'espulsione è eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica» quando si verifichino specifiche condizioni come il pericolo di fuga, la mancanza di documenti validi e violazioni del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286;
    dall'analisi dei dati del Ministero della Giustizia, emergerebbe che gli stranieri presenti all'interno delle carceri italiane rappresenterebbero il 33,6 per cento del totale dei detenuti ma solo il 10 per cento di questi sarebbe in possesso di requisiti che ne attestino la regolarità sul territorio e che il numero delle presenze vari in base agli Stati di provenienza;
    secondo i dati del 2015 l'Italia sarebbe al sesto posto in Europa per sovraffollamento delle carceri,

impegna il Governo

ad adottare misure idonee al fine di stipulare e attuare gli accordi bilaterali con i Paesi di maggiore provenienza dei flussi migratori per agevolare e assicurare i rimpatri di stranieri non regolari presenti sul territorio italiano, monitorando e verificando l'effettivo espletamento delle procedure anche negli Stati di origine, per quanto di competenza e sulla base degli accordi conclusi, per scongiurare il problema del sovraffollamento sia delle carceri e delle sanzioni ad esso collegate, sia dei centri di espulsione e identificazione.
9/4394/8Ciracì.


   La Camera,
   premesso che:
    in relazione alla procedura per il riconoscimento della protezione internazionale la nuova disciplina conferisce ampi poteri discrezionali al giudice nella decisione di audire o meno il richiedente, giustificando tale scelta con la possibilità per il giudice di prendere visione della videoregistrazione dell'audizione davanti alla Commissione Territoriale;
    l'esigenza di efficienza del sistema non può non essere contemperata alle necessarie garanzie per il richiedente la protezione internazionale, affinché egli sia messo in condizione di rappresentare adeguatamente le ragioni poste a fondamento della propria domanda;
    a tal fine, anche nella fase giurisdizionale della procedura risulta fondamentale per il richiedente poter essere ascoltato e poter dare indicazione sulle ragioni circa il timore di persecuzione o danno grave in caso di rimpatrio;
    la sostituzione del rito sommario di cognizione con quello camerale e, soprattutto, l'eliminazione – salvo pochi casi – dell'udienza e quindi della comparizione personale del ricorrente implicherebbe l'impossibilità per il giudice di primo grado di ascoltare di persona il ricorrente, in contrasto con la Direttiva europea sulle procedure, secondo la quale il ricorso effettivo comprende l'esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto e quindi, nel caso di specie, l'ascolto del richiedente la protezione;
    per garantire le regole del giusto processo e del principio del contraddittorio sanciti dall'articolo 111 della nostra Costituzione non può essere utilizzata una prova formata solo dall'Amministrazione, senza che al ricorrente sia consentito di replicare. Inoltre la decisione giudiziale non può basarsi su dichiarazioni rilasciate in fase amministrativa e non su dati e elementi acquisiti dal magistrato al momento della decisione;
    l'articolo 6 CEDU richiama tutte le garanzie previste nel processo, in particolare sotto i profili del principio del contraddittorio, della difesa e della terzietà del giudice ricompresi nella più ampia nozione di equo processo, accolta tanto a livello costituzionale (articoli 24 e 111) che convenzionale;
    inoltre, la Direttiva Rimpatri 115/2008 stabilisce un tempo massimo consentito di 180 giorni e non oltre per la possibilità di trattenere in regime di detenzione amministrativa lo straniero in attesa di rimpatrio;
    il termine «per il tempo strettamente necessario all'esecuzione del provvedimento di espulsione» contenuto nell'articolo 19 e riferito al ripristino dello stato di detenzione disposto dall'autorità giudiziaria nell'impossibilità di effettuare rimpatri per cause di forza maggiore è, perciò, vago e gravemente lesivo dei dettami della Corte Europea che non possono in alcun modo venire derogati dalle disposizioni di diritto interno di uno Stato membro,

impegna il Governo

   a garantire che l'audizione del richiedente la protezione internazionale possa essere disposta ogni qualvolta le parti abbiano fondati motivi per ritenere che gli elementi che emergono dalla videoregistrazione non siano sufficienti o necessitino ulteriori chiarimenti; ad assicurare attraverso futuri interventi normativi la fissazione dell'udienza per la convocazione delle parti come regola generale del procedimento;
   ad intervenire con successive disposizioni normative per cristallizzare il tempo massimo di 180 giorni garantito dai dettami di diritto comunitario nelle more della detenzione amministrativa; ad individuare i criteri di scelta in base ai quali opererà la selezione degli ospiti dei CPR.
9/4394/9Bruno Bossio.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 10-bis del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, (inserito dall'articolo 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94), ha introdotto, nel nostro ordinamento, il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, il c.d. «reato di immigrazione clandestina», punito con l'ammenda da 5.000 a 10.000 euro;
    l'articolo 2, comma 3, lettera b), della legge 28 aprile 2014, n. 67, recante delega al Governo per la riforma del sistema sanzionatorio dei reati, tra i principi e criteri direttivi per l'esercizio della stessa, prevede espressamente l'abrogazione del reato di ingresso e soggiorno illegale, con sua trasformazione in illecito amministrativo, pur mantenendo rilievo penale alle condotte di violazione dei provvedimenti amministrativi adottati in materia,
   considerato che:
    la citata delega è rimasta inattuata, in quanto il Governo, nel decreto legislativo 7/2016 di attuazione della legge 67/2014 non ha previsto l'abrogazione del reato;
    si è persa in tal modo la preziosa occasione di eliminare dal sistema penale italiano una norma inefficace ed assolutamente incompatibile con il quadro assiologico costituzionale;
    come anche di recente confermato dal Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Franco Roberti, i dati disponibili evidenziano che la previsione del reato di immigrazione clandestina nel nostro ordinamento non ha avuto finora una funzione efficacemente dissuasiva sull'immigrazione irregolare e che, anzi, molto spesso, ha costituito un ostacolo per le indagini;
    lo stesso Ministro della Giustizia ha dichiarato che il reato di immigrazione clandestina ha avuto un'efficacia limitata se non nulla sul piano della deterrenza che l'abrogazione del reato di immigrazione clandestina non solo comporterà un risparmio di risorse, giudiziarie e amministrative, ma avrà anche «effetti positivi per l'efficacia delle indagini in materia di favoreggiamento all'immigrazione clandestina e traffico di migranti»;
    la fattispecie di cui all'articolo 10-bis testo unico immigrazione risulta davvero poco compatibile con un sistema penale teleologicamente finalizzato all'attuazione dei principi costituzionali fondamentali;
    inoltre, l'analisi del profilo sanzionatorio della fattispecie mostra tutta la sua ineffettività e simbolicità, attraverso la previsione astratta di una pena pecuniaria realisticamente poco praticabile e di una pena sostitutiva che – oltre a generare dubbi di ragionevolezza del sistema – va a sovrapporsi confusamente alle sanzioni amministrative di allontanamento;
    tali considerazioni, non solo generano forti perplessità in ordine alla scelta dell'esecutivo di non procedere alla depenalizzazione del reato di «clandestinità», ma portano a ritenere che l'esercizio della suddetta delega da parte del Governo sia una condizione necessaria, ma non ancora sufficiente, per approntare le basi di un diritto dell'immigrazione costituzionalmente orientato;
    sembra imprescindibile, come già evidenziato, che il legislatore porti avanti un'ampia opera di riforma la quale, prendendo le distanze dalle politiche migratorie restrittive e protezionistiche adottate fino ad oggi con risultati più che fallimentari, sperimenti percorsi alternativi di integrazione ed inclusione sociale,

impegna il Governo

ad intervenire, per quanto di competenza, al fine di abrogare al più presto l'articolo 10-bis del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, ovvero il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato.
9/4394/10Sannicandro, D'Attorre, Quaranta, Rostan, Roberta Agostini, Leva, Fossati, Nicchi, Folino, Ricciatti, Cimbro, Carlo Galli, Murer, Duranti, Albini, Capodicasa, Martelli, Fontanelli.


   La Camera,
   premesso che:
    la natura e la portata del fenomeno migratorio richiedono un mutamento radicale delle politiche sul tema, al di là dell'emergenza, trattandosi di un fenomeno ormai strutturale e che attiene allo spostamento di milioni di persone, di ogni nazionalità e provenienti da diverse e drammatiche situazioni;
    le attuali politiche migratorie costituiscono un vero tradimento dei presupposti di solidarietà, democrazia e rispetto dei diritti umani, a partire dall'impianto securitario della prima accoglienza e le procedure volte di fatto a limitare l'accessibilità al diritto d'asilo, peraltro incompatibili con principi ed i valori fondativi della stessa Unione Europea;
    il sistema «Hotspot», in tale contesto, di recente attivazione, rappresenta uno dei punti di crisi maggiore del complesso delle politiche e delle procedure attuate dai governi europei;
    il termine «hotspot», traducibile in italiano con «punto di crisi», o anche «aree di sbarco attrezzate», viene identificato in riferimento alle frontiere più esposte ai flussi migratori; trattasi di un metodo che riguarda le operazioni di identificazione, registrazione e rilevamento delle impronte digitali dei migranti in arrivo sulle frontiere europee;
    ad oggi, non è, inoltre, stata definita la natura giuridica dei centri adibiti all'espletamento delle procedure Hotspot, in quanto non si ritrova nessun atto avente forza di legge che ne definisca i parametri di funzionamento, la natura, nonché le relative caratteristiche;
    tali strutture sono state attivate e funzionano in un regime di fatto di informalità incompatibile con le funzioni che sono chiamate a svolgere. Inoltre, le condizioni delle strutture risultano per lo più in contrasto con la possibilità di fornire una prima accoglienza che non sia lesiva della dignità umana;
    tali carenze sono estremamente gravi in quanto non possono che indebolire, se non violare, il diritto d'asilo come diritto umano universale, soggettivo perfetto, mettendo a rischio anche la tutela di categorie particolarmente vulnerabili, quali i minori e le vittime di tratta. Rappresentano, altresì, un precedente pericoloso anche rispetto alla violazione dei principi dello Stato di diritto;
    l'assenza di norme che regolino in dettaglio tali centri sta creando non poche opacità in merito anche agli affidamenti ad enti gestori sulla base di contratti relativi ad altri tipi di strutture;
    è evidente che, in assenza di adeguamento di tutto il sistema alle norme di diritto interno ed internazionale, che riconduca la gestione dei centri e delle operazioni di identificazione al rispetto dei diritti fondamentali della persona, l'applicazione dell'approccio Hotspot è da ritenersi del tutto priva di fondamento legale sotto diversi profili,

impegna il Governo

ad intervenire normativamente al fine di chiarire in maniera puntuale ed urgente la natura giuridica degli hotspots, nel pieno rispetto dei diritti fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione, garantendo altresì che in tali strutture sia sempre assicurata la presenza dell'UNHCR e delle associazioni umanitarie.
9/4394/11Quaranta, D'Attorre, Roberta Agostini, Sannicandro, Fossati, Rostan, Leva, Nicchi, Folino, Ricciatti, Cimbro, Carlo Galli, Murer, Albini, Capodicasa, Martelli, Fontanelli.


   La Camera,
   premesso che:
    al fenomeno migratorio, ormai strutturale, e alle sue evoluzioni sono state fornite risposte troppo spesso improntate ad una visione difensiva ed emergenziale;
    occorrerebbe prendere atto del mutamento dei contesti globali e del fatto che molte persone scappano da guerre, carestie, effetti dei cambiamenti climatici, eventi che molto spesso l'Occidente, e dunque anche l'Unione europea, ha spesso creato o quantomeno aggravato, anche con la sola inerzia;
    sono davvero cifre impressionanti quelle relative alle persone che spinte dalla necessità di abbandonare i loro paesi, spesso distrutti da guerre logoranti, da persecuzioni e torture, dalla povertà estrema e affidandosi a trafficanti senza scrupoli, hanno perso la vita in mare;
    i dati confermano la necessità, sempre più impellente, di trovare soluzioni concrete alle numerose morti che, ormai da troppo tempo, fanno del Mediterraneo il principale spettatore inerme;
    sono numeri che si aggiungono, in maniera drammatica, ad un bilancio che anno dopo anno diventa sempre più pesante e difficile da ignorare, non solo per il nostro Paese, ma per tutta l'Europa, che arranca nel tentativo di creare una policy condivisa,

impegna il Governo

a promuovere l'apertura immediata di corridoi umanitari di accesso in Europa per garantire «canali di accesso legali e controllati», attraverso i Paesi di transito ai rifugiati che scappano da persecuzioni, guerra e conflitti per mettere fine alle stragi in mare e in terra, in tal modo debellando il traffico di esseri umani.
9/4394/12Fossati, D'Attorre, Roberta Agostini, Sannicandro, Rostan, Quaranta, Leva, Nicchi, Folino, Ricciatti, Cimbro, Carlo Galli, Murer, Duranti, Albini, Capodicasa, Martelli, Fontanelli.


   La Camera,
   premesso che:
    è trascorso un anno e mezzo dall'approvazione da parte della Camera dei deputati del provvedimento che, in materia di cittadinanza, modifica la legge 5 febbraio 1992, n. 91;
    sulla materia, sin dall'inizio della legislatura, contando anche solo quelle presentate alla Camera dei deputati – dove era stato incardinato inizialmente l’iter – sono state depositate più di 20 proposte di legge, afferenti a tutti i gruppi parlamentari, nonché una proposta di iniziativa popolare;
    il testo, che introduce uno ius soli, seppur «temperato», giace ormai da troppo tempo in Commissione Affari costituzionali presso il Senato della Repubblica. L'ultima seduta sul testo risale ad un anno fa;
    nel nostro Paese vige una legge sulla cittadinanza fra le più restrittive: la legge n. 91 del 1992 è stata votata quando in Italia nascevano da genitori stranieri solo 5 mila 750 bambini, quasi l'1 per cento delle nascite totali; Vent'anni dopo, nel 2012, quando inizia la campagna «L'Italia sono anch'io», promossa da 23 associazioni e movimenti, nascevano nel nostro Paese più di 78 mila bambini, pari al 15 per cento delle nascite totali, un bambino su sei. Seconde generazioni, ma anche terze generazioni;
    il tema era ed è tra le priorità del Governo, come da diverse dichiarazioni;
    è dunque doveroso che riprendano al più presto i lavori al Senato sul provvedimento al fine di pervenire all'approvazione di tali norme di civiltà,

impegna il Governo

ad attivarsi, per quanto di competenza, affinché venga dato al più presto impulso alla ripresa dei lavori sul provvedimento in materia di cittadinanza, affinché venga per legge finalmente riconosciuto lo ius soli, ovvero il diritto, in capo a chi nasce in Italia, ad ottenere la cittadinanza italiana.
9/4394/13Roberta Agostini, Quaranta, D'Attorre, Fossati, Sannicandro, Leva, Rostan, Nicchi, Folino, Ricciatti, Cimbro, Carlo Galli, Murer, Duranti, Albini, Capodicasa, Martelli, Fontanelli.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento, all'articolo 8, comma 1, lett. d), introduce un nuovo articolo 22-bis al decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 «Partecipazione dei richiedenti protezione internazionale ad attività di utilità sociale»;
    in particolare, si prevede che i prefetti promuovano ogni iniziativa utile all'implementazione dell'impiego di richiedenti protezione internazionale, su base volontaria, in attività di utilità sociale in favore delle collettività locali;
    la previsione di un lavoro volontario, e dunque, non retribuito, rischia di fatto di configurarsi quale scambio tra la possibilità di permanenza nel nostro Paese e una sorta di lavoro forzato, un baratto tra diritti soggettivi e presunti doveri;
    tale previsione, nella sua applicazione, non solo rischia di rendere la protezione internazionale subordinata all'effettiva partecipazione del richiedente tale prestazione lavorativa in favore della collettività, ma anche di prestarsi ad abusi,

impegna il Governo

a intervenire normativamente al fine di chiarire che l'eventuale attività prestata dal richiedente protezione internazionale in favore della collettività non venga ritenuta di fatto un elemento che incida in qualsiasi forma sulla procedura di accesso all'accoglienza e alla protezione nel nostro Paese, anche prevedendo verifiche specifiche da effettuarsi da parte delle Prefetture per verificare eventuali abusi.
9/4394/14D'Attorre, Sannicandro, Quaranta, Roberta Agostini, Leva, Rostan, Fossati, Nicchi, Folino, Ricciatti, Cimbro, Carlo Galli, Murer, Albini, Capodicasa, Martelli, Fontanelli.


   La Camera,
   premesso che:
    l'immigrazione è un fenomeno di crescenti proporzioni che – in tema di diritti e di doveri – richiede risposte urgenti, ispirate ai princìpi di solidarietà e di convivenza civile;
    gli stranieri non devono e non possono essere considerati una minaccia per l'ordine pubblico e per l'occupazione, ma una straordinaria risorsa per il progresso civile, culturale ed economico della nostra società;
    è necessario definire e rafforzare politiche di cittadinanza nei confronti di chi vive, risiede, studia e lavora nel nostro Paese;
    gli immigrati regolari godono di diritti fondamentali in materia di tutela della maternità e dell'infanzia, di lavoro (anche autonomo), di accesso alle libere professioni e ai diritti previdenziali, in condizioni di parità con i cittadini italiani;
    in altre materie, che riguardano fondamentali diritti individuali, il nostro Paese, invece, è tuttora ancorato a concezioni ormai anacronistiche, che non hanno giustificazione rispetto ai princìpi base di una moderna democrazia;
    una delle gravi lacune – rispetto all'auspicato processo di integrazione nel nostro sistema politico e sociale di tali soggetti – consiste nel mancato riconoscimento agli stranieri, regolarmente e stabilmente residenti nel territorio nazionale, dell'elettorato attivo e passivo;
    l'Italia, fino ad oggi, non si è adeguata alla linea di tendenza europea rispetto al diritto di voto, e quindi alla partecipazione dello sviluppo democratico, non solo nelle consultazioni elettorali nazionali, ma neppure in quelle locali (già previsto, ad esempio, in Spagna e in Belgio);
    l'interpretazione corrente della nostra Carta costituzionale, sancita anche dalla giurisprudenza, estende i diritti fondamentali a «tutti», e non solo ai «cittadini»; nello stesso senso, come noto, vanno numerose convenzioni internazionali ratificate dall'Italia che in particolare definiscono il passaggio da una situazione di «tolleranza» ad un'altra caratterizzata da diritti garantiti a tutti, senza discriminazioni,

impegna il Governo

ad intervenire normativamente per riconoscere al più presto il diritto di voto attivo e passivo agli stranieri regolarmente presenti sul territorio.
9/4394/15Leva, Roberta Agostini, D'Attorre, Sannicandro, Fossati, Rostan, Quaranta, Nicchi, Folino, Ricciatti, Cimbro, Carlo Galli, Murer, Albini, Capodicasa, Martelli, Fontanelli.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 8 del provvedimento introduce, nel decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, l'articolo 5-bis in tema di iscrizione anagrafica;
    in particolare, si prevede che il richiedente protezione internazionale ospitato nei centri sia iscritto nell'anagrafe della popolazione residente ed è fatto obbligo al responsabile della convivenza dare comunicazione della variazione della convivenza al competente ufficio anagrafe entro venti giorni dall'avvenuta modifica;
    la comunicazione del responsabile della convivenza anagrafica relativa alla revoca delle misure di accoglienza o all'allontanamento non giustificato del richiedente protezione internazionale costituisce motivo di cancellazione anagrafica con effetto immediato;
    forte è la preoccupazione che si possa procedere alla cancellazione della residenza immediatamente dopo l'uscita dal centro d'accoglienza del richiedente senza verificare se il richiedente, privo di alloggio – e quindi in assenza di una dimora abituale – intenda o meno indicare un luogo di domicilio;
    sarebbe auspicabile, invece, che venisse garantita la possibilità di trasferire la residenza senza procedere ad un'immediata cancellazione della residenza,

impegna il Governo

a chiarire, anche con una circolare esplicativa, che ricorrendo i termini per la cancellazione anagrafica, prima che si proceda alla stessa, il rifugiato abbia in ogni caso la possibilità di trasferire la residenza in altro luogo da lui indicato quale propria dimora abituale o proprio domicilio.
9/4394/16Rostan, Leva, Roberta Agostini, D'Attorre, Sannicandro, Fossati, Quaranta, Nicchi, Folino, Ricciatti, Cimbro, Carlo Galli, Murer, Albini, Capodicasa, Martelli, Fontanelli.


   La Camera,
   premesso che:
    in relazione alle novità apportate dal provvedimento in tema di prima identificazione e di rimpatrio degli stranieri irregolari, appare persistere una prevalente ottica repressiva del fenomeno, con l'accentuazione degli strumenti di rimpatrio forzoso, attraverso alcune modifiche di dettaglio della disciplina del rimpatrio (come la previsione del trattenimento anche per gli stranieri non espulsi ma respinti, o l'allungamento del termine di trattenimento per coloro che hanno già scontato un periodo di detenzione in carcere), ma, soprattutto, con la decisione di dare inizio all'apertura di numerosi nuovi centri di detenzione amministrativa in attesa del rimpatrio;
    un sistema efficiente di rimpatri non può basarsi solo sull'esecuzione coattiva degli stessi, ma dovrebbe, in primo luogo, riformare le norme in materia di ingresso e soggiorno, aprendo canali di ingresso regolare diversi da quello, ora quasi unico, della protezione internazionale, così dando maggiore stabilità ai soggiorni, oggi resi precari da disposizioni eccessivamente rigide, riducendo così il ricorso all'allontanamento per ipotesi limitate e comunque incentivando i rimpatri volontari, con strumenti normativi e finanziari specifici;
    in ogni caso si è rivelato fallimentare, sotto il profilo dell'effettività e della sostenibilità economica, un approccio esclusivamente orientato all'allontanamento forzoso di soggetti le cui precarie condizioni sociali e civili interpellano, peraltro, il tema della garanzia dei diritti fondamentali,

impegna il Governo

ad intervenire normativamente per una più ampia e organica revisione delle strategie dei flussi migratori, con la rivisitazione delle norme del Testo Unico sull'immigrazione che impediscono un ordinato programma di regolarizzazione ed inserimento controllato dei migranti.
9/4394/17Nicchi, Roberta Agostini, D'Attorre, Quaranta, Fossati, Rostan, Leva, Sannicandro, Folino, Ricciatti, Cimbro, Carlo Galli, Murer, Duranti, Albini, Capodicasa, Martelli, Fontanelli.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 6 del provvedimento apporta numerose modifiche al Decreto Legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, rispetto alle procedure per il riconoscimento della protezione internazionale;
    in particolare, il comma 1 lettera a) di tale articolo, interviene sull'articolo 11 del decreto legislativo 25/2008, introducendo una nuova disciplina relativa alle notifiche degli atti e dei provvedimenti delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale;
    la previsione relativa alle notificazioni delle decisioni delle Commissioni in capo ai responsabili dei centri di accoglienza, anche a causa della genericità della norma di riferimento, può prestarsi a disfunzioni ed abusi nelle situazioni di irreperibilità o di revoca delle condizioni di accoglienza, rendendo ineffettivo il diritto alla difesa, in quanto dalla notificazione della decisione della Commissione decorrono i termini per l'impugnazione della stessa decisione;
    tale disciplina appare non del tutto coerente con il principio della presunzione della conoscibilità legale dell'atto amministrativo che è un principio cardine del sistema delle notificazioni, più in generale;
    per una maggiore garanzia del richiedente protezione internazionale, nei casi di irreperibilità, sarebbe opportuno che la decisione della Commissione Territoriale rimanesse disponibile, ai fini della notifica, presso la questura competente fino al trentesimo giorno successivo alla scadenza del permesso di soggiorno per richiesta asilo, intendendosi notificata allo scadere di suddetta data,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni di cui in premessa al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a garantire effettivamente la conoscibilità dell'atto amministrativo notificato presso i Centri di accoglienza al richiedente protezione internazionale e, conseguentemente, il diritto di difesa, prevedendo che la decisione della Commissione Territoriale rimanga disponibile, ai fini della notifica, presso la questura competente fino al trentesimo giorno successivo alla scadenza del permesso di soggiorno per richiesta asilo, intendendosi notificata allo scadere di suddetta data.
9/4394/18Folino, Roberta Agostini, D'Attorre, Quaranta, Fossati, Rostan, Leva, Sannicandro, Nicchi, Ricciatti, Cimbro, Carlo Galli, Murer, Albini, Capodicasa, Martelli, Fontanelli.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 19 del provvedimento, rubricato «Disposizioni urgenti per assicurare l'effettività delle espulsioni e il potenziamento dei centri di permanenza per i rimpatri» si prevede il cambio di denominazione dei centri di identificazione ed espulsione (CIE), in Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR);
    il trattenimento amministrativo in attesa del rimpatrio ha posto problemi di rispetto dei diritti fondamentali dello straniero (come testimoniano le innumerevoli denunce di commissioni di inchiesta istituzionali e di ONG, italiane e straniere, che negli anni hanno denunciato le condizioni inumane e degradanti di molti CIE);
    tale trattenimento si è rivelato anche in larga misura costoso ed inefficace, infatti le statistiche attestano che in meno del 50 per cento dei casi gli stranieri trattenuti vengono effettivamente rimpatriati;
    alla luce di tali considerazioni, negli ultimi due-tre anni il numero di CIE aperti era stato progressivamente ridotto a soli quattro centri in tutta Italia, con un numero di posti disponibile pari a poche centinaia di unità;
    l'articolo 19, comma 3 del decreto-legge in esame, segna invece una decisa inversione di tendenza rispetto a tale recente passato: la norma prevede infatti l'adozione di iniziative volte a «garantire l'ampliamento della rete dei centri... tenendo conto della necessità di realizzare strutture di capienza limitata idonee a garantire condizioni di trattenimento che assicurino l'assoluto rispetto della dignità della persona»;
   considerato che:
    l'esperienza dei CIE, quanto alle condizioni di trattenimento, non solo è stata condannata dal mondo giuridico, ma anche dalla stessa Corte europea dei diritti dell'Uomo,

impegna il Governo

ad assicurare la concreta attuazione di quanto stabilito all'articolo 19, comma 3, del decreto-legge affinché, al di là del cambiamento di nome disposto in riferimento ai CIE, le condizioni di trattenimento nei centri di permanenza per i rimpatri siano effettivamente rispettose dei diritti umani sanciti dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali sottoscritte dal nostro Paese.
9/4394/19Ricciatti, Folino, Roberta Agostini, D'Attorre, Quaranta, Fossati, Rostan, Leva, Sannicandro, Nicchi, Cimbro, Carlo Galli, Murer, Albini, Capodicasa, Martelli, Fontanelli.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13 prevede all'articolo 1 l'istituzione di 26 sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea; questa disposizione, come di fatto varie altre presenti nel decreto, è volta a potenziare la capacità e l'efficienza del sistema con l'obiettivo di comprimere i tempi per la definizione della posizione giuridica dei cittadini stranieri e avviare rapidamente i migranti in arrivo verso le forme di accoglienza previste ovvero verso le misure necessarie per il rimpatrio;
    molte e significative sono le competenze attribuite alle ricordate sezioni specializzate: mancato riconoscimento del diritto di soggiorno sul territorio nazionale in favore di cittadini Ue; impugnazione del provvedimento di allontanamento nei confronti di cittadini Ue per motivi di pubblica sicurezza; riconoscimento della protezione internazionale; mancato rilascio, rinnovo o revoca del permesso di soggiorno per motivi umanitari; diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari; accertamento dello stato di apolidia;
    si tratta, evidentemente, di questioni importanti che introducono misure per la semplificazione e l'efficienza delle procedure davanti le Commissioni territoriali preposte al riconoscimento della protezione internazionale e di integrazione dei richiedenti, oltre a quel che riguarda la semplificazione e l'efficienza dei provvedimenti giudiziari di riconoscimento dello status di persona internazionalmente protetta e degli altri procedimenti giudiziari connessi all'immigrazione;
    al riguardo desta tuttavia preoccupazione la possibile riduzione degli standard di garanzia dei richiedenti asilo qualora la sezione specializzata respinga la richiesta di protezione internazionale;
    si ricorda altresì che nel 2016 le richieste d'asilo in Italia sono aumentate del 47,2 per cento rispetto all'anno precedente, in un quadro internazionale che vede l'aumento generale dei rifugiati. Nel 2016 è stato respinto il 53 per cento delle richieste d'asilo, una richiesta su due; la maggior parte delle persone che ricevono una risposta negativa da parte delle commissioni territoriali presenta un ricorso in tribunale: dal 2014 al 2016 sono stati presentati 53.438 ricorsi e nel 70 per cento dei casi sono stati accolti;
    l'opzione relativa alla mancata previsione del secondo grado di giudizio (e affievolimento del diritto di difesa) fa dunque prevedere un aumento delle persone in condizione di irregolarità sul territorio italiano; il disegno prevede che gli attuali CIE (Centri di identificazione ed espulsione) vengano ripensati e la loro rete estesa: diventeranno Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR), ve ne sarà uno in ogni regione per un totale di venti centri sparsi per tutto il territorio nazionale. Secondo le rassicurazioni del Ministro, i centri ospiteranno un totale di 1600 persone. Anche non considerando le condizioni di vita di chi vi sarà recluso – che pure destano forti preoccupazioni – appare evidente come questa misura non potrà rispondere a tutte le persone che saranno spinte nelle condizioni di irregolarità: tale inefficacia sarà dovuta ai numeri del fenomeno, ai costi del sistema detentivo e di rimpatrio, alla lunghezza delle procedure burocratiche e alla scarsa collaborazione di alcuni paesi;
    l'effetto principale sarà dunque il possibile aumento degli irregolari presenti nel nostro paese. In molti casi si tratterà di profughi da anni accolti in Italia, per cui lo Stato ha speso dei soldi pubblici, che hanno avviato un percorso di integrazione nel nostro paese che sarà messo a dura prova dalla nuova condizione di irregolarità. Le ricerche scientifiche infatti mostrano come la condizione di irregolarità ostacoli l'inserimento nel tessuto locale. Lo studio Clicking on Heaven's Door: The Effect of Immigrant Legalization on Crime realizzato dall'Università Bocconi, mostra come gli stranieri che ottengono il permesso di soggiorno sono del 50 per cento in meno propensi a commettere reati economici gravi rispetto a chi non ha potuto mettersi in regola. Secondo il Viminale gli stranieri regolari hanno dati di criminalità in linea con gli italiani, mentre crescono drasticamente tra chi è senza permesso;
    un recente documento della Commissione europea «Action plan on the integration of third country nationals» mostra come l'inserimento lavorativo dei beneficiari di protezione internazionale potrebbe innalzare il PIL europeo dello 0,23 per cento entro il 2020;
    non ci sono stati sviluppi in merito a una revisione – che sarebbe invece auspicabile – dell'Accordo di Dublino III, pensato come risposta a una realtà differente rispetto ai flussi di richiedenti asilo iniziati nel 2013. Intanto, a marzo 2017, Maslah Mohamed, diciannovenne somalo respinto in Italia in base all'Accordo di Dublino, si è suicidato nel Cas di Pomezia. La scarsa collaborazione degli altri paesi Ue per i richiedenti asilo bloccati in Italia è mostrata dai dati insoddisfacenti delle relocation effettivamente applicate: soltanto 3.200 coloro che sono stati trasferiti dall'Italia in altri Paesi europei;
    al contempo continua de facto l'assenza di vie legali per l'ingresso in Italia, alternative alla richiesta di protezione internazionale. Gli ingressi legali in Italia per ragioni economiche sono possibili per numeri molto bassi: il decreto flussi 2017 prevede nuovi ingressi per solo 17.000 lavoratori stagionali (e 3.000 lavoratori di categorie specifiche);
    occorre sempre più coinvolgere e valorizzare la società civile nei processi di integrazione e di accoglienza ai profughi. Tra le tante, particolarmente utili appaiono le iniziative di apertura dei corridoi umanitari, un'eccellenza italiana che fa scuola in Europa, cioè una via legale, sicura, rispettosa della vita umana, di contrasto ai trafficanti, che potrebbe essere implementata dagli Stati europei;
    andrebbe quindi considerato – almeno per le controversie in materia di riconoscimento della protezione umanitaria nei casi di cui all'articolo 32, comma 3, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 – anche il positivo percorso di inserimento sociale, sostenuto in molti casi da associazioni ed istituzioni, compiuto dal ricorrente nel periodo successivo alla proposizione della domanda,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di valorizzare forme di riconoscimento del percorso di integrazione svolto dai profughi ospiti delle strutture italiane d'accoglienza, quali lo svolgimento di un'attività lavorativa o l'acquisizione della lingua italiana, nelle controversie in materia di riconoscimento della protezione umanitaria da parte delle nuove sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea istituite presso i Tribunali ordinari.
9/4394/20Santerini.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13 prevede all'articolo 1 l'istituzione di 26 sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea; questa disposizione, come di fatto varie altre presenti nel decreto, è volta a potenziare la capacità e l'efficienza del sistema con l'obiettivo di comprimere i tempi per la definizione della posizione giuridica dei cittadini stranieri e avviare rapidamente i migranti in arrivo verso le forme di accoglienza previste ovvero verso le misure necessarie per il rimpatrio;
    molte e significative sono le competenze attribuite alle ricordate sezioni specializzate: mancato riconoscimento del diritto di soggiorno sul territorio nazionale in favore di cittadini Ue; impugnazione del provvedimento di allontanamento nei confronti di cittadini Ue per motivi di pubblica sicurezza; riconoscimento della protezione internazionale; mancato rilascio, rinnovo o revoca del permesso di soggiorno per motivi umanitari; diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari; accertamento dello stato di apolidia;
    si tratta, evidentemente, di questioni importanti che introducono misure per la semplificazione e l'efficienza delle procedure davanti le Commissioni territoriali preposte al riconoscimento della protezione internazionale e di integrazione dei richiedenti, oltre a quel che riguarda la semplificazione e l'efficienza dei provvedimenti giudiziari di riconoscimento dello status di persona internazionalmente protetta e degli altri procedimenti giudiziari connessi all'immigrazione;
    al riguardo desta tuttavia preoccupazione la possibile riduzione degli standard di garanzia dei richiedenti asilo qualora la sezione specializzata respinga la richiesta di protezione internazionale;
    si ricorda altresì che nel 2016 le richieste d'asilo in Italia sono aumentate del 47,2 per cento rispetto all'anno precedente, in un quadro internazionale che vede l'aumento generale dei rifugiati. Nel 2016 è stato respinto il 53 per cento delle richieste d'asilo, una richiesta su due; la maggior parte delle persone che ricevono una risposta negativa da parte delle commissioni territoriali presenta un ricorso in tribunale: dal 2014 al 2016 sono stati presentati 53.438 ricorsi e nel 70 per cento dei casi sono stati accolti;
    l'opzione relativa alla mancata previsione del secondo grado di giudizio (e affievolimento del diritto di difesa) fa dunque prevedere un aumento delle persone in condizione di irregolarità sul territorio italiano; il disegno prevede che gli attuali CIE (Centri di identificazione ed espulsione) vengano ripensati e la loro rete estesa: diventeranno Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR), ve ne sarà uno in ogni regione per un totale di venti centri sparsi per tutto il territorio nazionale. Secondo le rassicurazioni del Ministro, i centri ospiteranno un totale di 1600 persone. Anche non considerando le condizioni di vita di chi vi sarà recluso – che pure destano forti preoccupazioni – appare evidente come questa misura non potrà rispondere a tutte le persone che saranno spinte nelle condizioni di irregolarità: tale inefficacia sarà dovuta ai numeri del fenomeno, ai costi del sistema detentivo e di rimpatrio, alla lunghezza delle procedure burocratiche e alla scarsa collaborazione di alcuni paesi;
    l'effetto principale sarà dunque il possibile aumento degli irregolari presenti nel nostro paese. In molti casi si tratterà di profughi da anni accolti in Italia, per cui lo Stato ha speso dei soldi pubblici, che hanno avviato un percorso di integrazione nel nostro paese che sarà messo a dura prova dalla nuova condizione di irregolarità. Le ricerche scientifiche infatti mostrano come la condizione di irregolarità ostacoli l'inserimento nel tessuto locale. Lo studio Clicking on Heaven's Door: The Effect of Immigrant Legalization on Crime realizzato dall'Università Bocconi, mostra come gli stranieri che ottengono il permesso di soggiorno sono del 50 per cento in meno propensi a commettere reati economici gravi rispetto a chi non ha potuto mettersi in regola. Secondo il Viminale gli stranieri regolari hanno dati di criminalità in linea con gli italiani, mentre crescono drasticamente tra chi è senza permesso;
    un recente documento della Commissione europea «Action plan on the integration of third country nationals» mostra come l'inserimento lavorativo dei beneficiari di protezione internazionale potrebbe innalzare il PIL europeo dello 0,23 per cento entro il 2020;
    non ci sono stati sviluppi in merito a una revisione – che sarebbe invece auspicabile – dell'Accordo di Dublino III, pensato come risposta a una realtà differente rispetto ai flussi di richiedenti asilo iniziati nel 2013. Intanto, a marzo 2017, Maslah Mohamed, diciannovenne somalo respinto in Italia in base all'Accordo di Dublino, si è suicidato nel Cas di Pomezia. La scarsa collaborazione degli altri paesi Ue per i richiedenti asilo bloccati in Italia è mostrata dai dati insoddisfacenti delle relocation effettivamente applicate: soltanto 3.200 coloro che sono stati trasferiti dall'Italia in altri Paesi europei;
    al contempo continua de facto l'assenza di vie legali per l'ingresso in Italia, alternative alla richiesta di protezione internazionale. Gli ingressi legali in Italia per ragioni economiche sono possibili per numeri molto bassi: il decreto flussi 2017 prevede nuovi ingressi per solo 17.000 lavoratori stagionali (e 3.000 lavoratori di categorie specifiche);
    occorre sempre più coinvolgere e valorizzare la società civile nei processi di integrazione e di accoglienza ai profughi. Tra le tante, particolarmente utili appaiono le iniziative di apertura dei corridoi umanitari, un'eccellenza italiana che fa scuola in Europa, cioè una via legale, sicura, rispettosa della vita umana, di contrasto ai trafficanti, che potrebbe essere implementata dagli Stati europei;
    andrebbe quindi considerato – almeno per le controversie in materia di riconoscimento della protezione umanitaria nei casi di cui all'articolo 32, comma 3, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 – anche il positivo percorso di inserimento sociale, sostenuto in molti casi da associazioni ed istituzioni, compiuto dal ricorrente nel periodo successivo alla proposizione della domanda,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di valorizzare forme di riconoscimento del percorso di integrazione svolto dai profughi ospiti delle strutture italiane d'accoglienza, quali lo svolgimento di un'attività lavorativa o l'acquisizione della lingua italiana ai fini di permesso di soggiorno provvisorio.
9/4394/20. (Testo modificato nel corso della seduta) Santerini.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 13 del 2017, recante «Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e di contrasto della immigrazione illegale», fra le finalità previste, contiene misure volte a enucleare con maggior rigore le attività di identificazione e riconoscimento dei migranti, sino a considerare il rifiuto come legittimo motivo di trattenimento per pericolo di fuga, e assicurare l'effettività degli eventuali provvedimenti di espulsione e allontanamento attraverso i nuovi centri di permanenza per una capienza ampliata a 1.600 posti;
    in tale ambito, il suesposto provvedimento prevede inoltre, stanziamenti per i rimpatri volontari e per l'attivazione del sistema automatizzato per la gestione dei procedimenti riguardanti l'ingresso e il soggiorno degli irregolari, collegati con altre piattaforme: interoperabilità delle banche dati necessaria in vista del rafforzamento della cooperazione giudiziaria europea e di polizia; i recenti e gravi attentati di matrice terroristica internazionale, legati alle milizie jihadiste dell'Isis, accrescono i livelli di allarme e preoccupazione in Europa ed in particolare nel nostro Paese, in particolare nei riguardi di alcune regioni di transito come la Sicilia, i cui livelli di sicurezza risultano fortemente a rischio, a causa dei continui sbarchi di immigrati provenienti dalla vicina Libia, territorio nel quale sono presenti com’è noto migliaia di miliziani islamici dell'Isis;
    a giudizio del sottoscrittore del presente atto, risulta urgente e indifferibile in considerazione del quadro internazionale attuale, che appare ulteriormente aggravato se si valutano gli ultimi e tragici avvenimenti verificatisi in Europa e in Medio Oriente, rafforzare i sistemi di controllo e di monitoraggio della sicurezza nel nostro Paese ed in particolare nella regione Sicilia, nei confronti degli immigrati clandestini che sbarcano sulle coste dell'isola, la cui vicinanza di molti di essi con la Jihad (come peraltro confermato anche dal capo della polizia prefetto Franco Gabrielli) è stata accertata in quanto buona parte dei sospettati aveva realmente intenzione di compiere atti terroristici e fare morti nel nostro Paese,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere, compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, misure normative ad hoc, volte a potenziare i livelli di sicurezza nei riguardi della regione Sicilia, sia potenziando i servizi di pattugliamento delle coste, che dei presidi all'interno dei centri di accoglienza presenti nell'isola, anche attraverso l'invio di ulteriore personale delle forze dell'ordine e dei militari, al fine di tutelare la comunità siciliana, che, a giudizio del sottoscrittore del presente atto, per la sua posizione geografica, al centro del Mediterraneo, risulta essere particolarmente esposta al rischio di attentati legati al terrorismo internazionale.
9/4394/21Riccardo Gallo.


   La Camera,
   premesso che:
    il massiccio fenomeno migratorio che sta interessando l'intera area europea e che nell'Italia e nella Grecia vede i paesi maggiormente esposti al primo impatto sulle rotte dei trafficanti di uomini, è caratterizzato da una reazione politica, sociale e mediatica orientata a una lettura del fenomeno in chiave di assoluta emergenza. In molti paesi europei il fenomeno è vissuto con reazioni tipiche dello «stato di emergenza nazionale o stato di crisi» con risposte governative curate soprattutto dagli apparati di sicurezza e di polizia;
    in Italia la situazione è decisamente complessa allo stato attuale la risposta all'arrivo dei migranti irregolari che giungono dalla costa sud del Mediterraneo, è assicurata da una moltitudine di Istituzioni centrali e periferiche in assoluta autonomia e nella pressoché totale mancanza di concertazione e coordinamento centrale. L'attuale gestione dei migranti sul territorio nazionale e le attività realizzate all'estero in materia di contenimento dei flussi migratori, non sembrano dare una risposta adeguata e quantomeno coordinata e concertata ad un fenomeno che presenta rilevanti aspetti di complessità;
    rilevata la frammentazione di competenze e funzioni in ordine alla gestione dei migranti, che riguarda, a vario titolo, una pluralità di istituzioni tra le quali il Ministero degli Affari Esteri – con le Direzioni Generali Affari Politici, Italiani all'Estero e Politiche Migratorie, Europa, Cooperazione allo Sviluppo – e l'Agenzia per la Cooperazione allo Sviluppo; il Ministero degli Interni, con il Dipartimento per le Libertà Civili e l'immigrazione; la Polizia di Stato e l'Arma dei Carabinieri; le Prefetture e le Questure sul territorio; il Ministero della Difesa, con Esercito e Marina; il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, con Guardia Costiera e Autorità Portuali; il Ministero della Giustizia; il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della ricerca; il Ministero della Salute con La Direzione della Prevenzione Sanitaria, oltre alle Aziende Sanitarie sul territorio; il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali; il sistema delle Autonomie locali, dal livello regionale a quello comunale; la Croce Rossa Italiana; l'associazione dei comuni italiani e la Conferenza Stato Regioni;
    alle citate istituzioni va aggiunta una lunga lista di interlocutori appartenenti alle Organizzazioni del Privato Sociale, della Società Civile e del Mondo del Volontariato nazionale che gestiscono su incarico delle istituzioni territoriali e centrali diversi centri di raccolta, punti di arrivo degli sbarchi, centri per minori non accompagnati, centri di assistenza sanitaria, nonché le Agenzie delle Nazioni Unite, segnatamente UNHCR e OIM, e le Organizzazioni Umanitarie Internazionali, quali Medicine sans Frontiere, Save the Children Fund, Oxfam, Emergency ed altri. A questo lungo elenco di gruppi e associazioni che – a diverso titolo e con diversi livelli di responsabilità – contribuiscono alla gestione del fenomeno in Italia, si aggiunge il complesso mondo della Cooperazione Internazionale e di quanti seguono programmi di sviluppo e di emergenze umanitarie finalizzati al contenimento e al controllo del movimento dei profughi nei paesi di origine e in quelli di transito, nonché gli accordi di rimpatrio e riammissione che vengono sottoscritti attraverso l'UE, o direttamente con i Governi. Appare evidente che siamo di fronte ad un universo variegato che sembra non rispondere a una precisa strategia e politica in materia di migrazioni ma piuttosto a logiche legate ai singoli dicasteri, oltre che a strategie e interessi squisitamente locali;
    assume quindi particolare rilievo, in questo variegato quadro di competenze, il ruolo di monitoraggio e di verifica affinché le diverse istituzioni siano coerenti e rispondano alle linee d'indirizzo politico discusse e approvate in Aula, in modo che siano elaborati documenti, informazioni e dati che rappresentino l'intero scenario del fenomeno. Ciò imporrebbe la creazione di una «Cabina di regia» o una «Struttura di missione» – peraltro più volte annunciata ma al momento ancora non esaustivamente compiuta – presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri quale snodo di sintesi e di monitoraggio dell'attività delle varie componenti del sistema, anche alla luce delle novità introdotte dal decreto in esame;

impegna il Governo

ad implementare le forme di coordinamento pubblico, controllo e verifica, valutando, in particolare la realizzazione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri di una struttura permanente che – nel rispetto delle diverse competenze istituzionali e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, all'uopo utilizzando e rafforzando gli organismi esistenti – possa effettivamente svolgere i fondamentali compiti di coordinamento, informazione e costante monitoraggio delle attività compiute sul territorio nazionale e all'estero in materia di migrazione da tutti i diversi attori del sistema, anche al fine di fornire alle competenti Commissioni parlamentari un quadro conoscitivo esaustivo e aggiornato del fenomeno, di razionalizzare gli interventi, evitare sovrapposizioni e duplicazioni di ruoli e conseguire un cospicuo contenimento dei costi nonché un potenziamento dell'efficacia e della qualità dei servizi resi.
9/4394/22Massimiliano Bernini.


   La Camera,
   esaminato il decreto-legge in conversione, recante disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale;
   dal contenuto del decreto-legge emerge con chiarezza la scelta del Governo di perseverare nella scelta di politiche migratorie securitarie, irrazionali e fallimentari, che hanno comportato un ingente costo di vite umane e di sperpero di risorse, senza risolvere le questioni fondamentali poste dagli attuali flussi migratori;
   il decreto-legge manca di una prospettiva e una visione lungimirante attraverso l'adozione di politiche e buone pratiche che possono offrire soluzioni in grado di salvare la dignità e la vita umana di tanti profughi, di aiutare l'opinione pubblica italiana ed europea ad un diverso rapporto con il fenomeno migratorio e ad investire meglio le risorse spese;
   ad esempio, in moltissimi appelli, manifestazioni, mobilitazioni di diverso tipo, i «corridoi umanitari» sono diventati da tempo un concetto chiave e una parola d'ordine: fare arrivare i migranti provenienti da zone di violenza e conflitto senza far loro attraversare la violenza delle frontiere proibite d'Europa, esterne o interne che siano;
   la Carta di Lampedusa, sottoscritta il primo febbraio 2014, afferma la necessità della completa riconversione delle risorse investite per proteggere le frontiere dall'arrivo dei profughi, per assicurare quelli che chiama «percorsi di arrivo garantito» per le persone che migrano;
   i corridoi umanitari o «Percorsi di arrivo garantito», sono un modo per sottrarre i profughi ai trafficanti, per proteggere le loro vite molto prima di ridurli a naufraghi da salvare o da lasciare annegare nel Mediterraneo. Un modo per programmare realmente un'accoglienza dignitosa e razionale, e per rispettare la vita e le scelte delle persone in movimento, peraltro permettendo loro di arrivare ancora con i loro soldi in tasca, e da soggetti di diritto liberi;
   i Corridoi Umanitari sono un pilastro di Mediterranean Hope, un progetto in atto contro la logica delle frontiere e degli Hotspot. Si tratta di una buona pratica condivisa dalla Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, dalla Tavola valdese e dalla Comunità di Sant'Egidio, tesa a garantire mille visti per l'accesso legale e sicuro in Italia dei migranti in condizioni di vulnerabilità concentrati in Libano, Marocco ed Etiopia;
   tale buona pratica è stata resa possibile da un protocollo d'intesa sottoscritto dagli enti proponenti e dai Ministeri dell'Interno e degli Affari Esteri nel dicembre 2015. La base giuridica dei corridoi umanitari è rintracciabile nell'articolo 25 del Regolamento di Schengen che consente ai Paesi Ue di rilasciare presso le proprie sedi consolari dei «visti umanitari» a persone vulnerabili;
   in un confronto tra gli enti proponenti e le rappresentanze ministeriali, in pochi mesi sono stati definiti i criteri che qualificano la vulnerabilità, identificando come potenziali destinatari dei visti profughi di guerra, donne vittime di tratta, minori non accompagnati, persone malate o disabili;
   ad oggi sono già arrivati in Italia circa 700 migranti sui 1000 previsti. Giunti in Italia, le persone vengono accolte per un «congruo periodo» dai promotori – come recita il protocollo – a loro intero carico finanziario (la Tavola valdese ha messo a disposizione una quota del suo 8 per mille);
   il bilancio di questo progetto è molto positivo. L'opinione pubblica ha compreso la priorità umanitaria del progetto e apprezza che esso si realizzi in condizioni di assoluta sicurezza sia per i migranti (che evitano i rischi delle traversate in mare) che per gli italiani (che accolgono persone già identificate e accompagnate). È un modo sicuro per tutti, perché il rilascio dei visti umanitari prevede i necessari controlli da parte delle autorità italiane;
   la società civile si è anche mobilitata a favore del corridoio umanitario con gesti di solidarietà offrendo biglietti aerei, fondi per le terapie, auto, abiti, case, eccetera. È il segno incoraggiante di un'Italia diversa da quella impaurita che sembra voler scaricare sui migranti la responsabilità di tutto quello che non funziona, della crisi, della disoccupazione e del degrado di alcune aree urbane. È la retorica dell’«immigrato espiatorio», cacciato il quale si redime la società e il Paese; un mito antico e primordiale che, benché cavalcato da certe forze politiche, non ha consistenza né futuro;
   i corridoi umanitari di Mediterranean Hope sono l'esempio di una buona pratica da replicare e adottare a livello istituzionale, in Italia e negli altri Paesi europei, anche per gli indubbi vantaggi economici. Il progetto Mediterranean Hope avrà un costo complessivo, a carico dei soggetti proponenti, di 2,5 milioni di euro per portare in Italia, in sicurezza, sottraendoli alle mani dei trafficanti, mille profughi. Basti pensare che alla Turchia sono stati promessi 6 miliardi di euro per l'implementazione del Joint Action Plan del marzo 2016. Con quei soldi si sarebbe potuto aprire un corridoio umanitario per mettere in salvo 2,4 milioni di persone,

impegna il Governo

a promuovere l'apertura immediata di corridoi umanitari di accesso in Italia e in Europa per garantire canali di accesso legali e controllati, attraverso i Paesi di transito ai rifugiati che scappano da persecuzioni, guerra e conflitti per mettere fine alle stragi in mare e in terra, e quindi debellare il traffico di esseri umani.
9/4394/23Daniele Farina, Andrea Maestri, Costantino, Marcon, Civati, Fratoianni, Palazzotto.


   La Camera,
   premesso che:
    esaminato il decreto-legge in conversione, recante disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale;
    l'articolo 6, comma 1, lettere f) e g) del decreto-legge disciplina il procedimento da seguire per l'impugnazione dei provvedimenti relativi al riconoscimento della protezione internazionale, inserendo nel decreto legislativo n. 25 del 2008 il nuovo articolo 35-bis e conseguentemente modificando l'articolo 35 del decreto legislativo con finalità di coordinamento;
    rispetto alla disciplina vigente (articolo 19 del decreto legislativo n. 150 del 2011, abrogato dall'articolo 7 del decreto-legge in commento) il decreto-legge prevede per tali controversie l'applicazione del rito camerale a contraddittorio scritto e a udienza eventuale, mentre attualmente si applica il rito sommario di cognizione;
    la nuova disciplina prevede che il provvedimento giudiziale – in deroga a quanto previsto con riguardo ai procedimenti camerali in genere dall'articolo 739 del codice di procedura civile – non è reclamabile, ma esclusivamente ricorribile per Cassazione;
    il nuovo rito per i ricorsi giurisdizionali in materia di protezione internazionale appare criticabile sotto il profilo costituzionale, anche dopo le modifiche introdotte dal Senato;
    l'illegittimità costituzionale delle scelte operate deriva dall'avere previsto contestualmente:
     1) il rito camerale per la trattazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale;
     2) il rito camerale ove l'esistenza dell'udienza di discussione è solo eventuale ed eventuale è anche la partecipazione della parte al processo e la sua audizione;
     3) la soluzione di cui alle precedenti lettere nell'ambito di un processo che vede, quale principale fonte di prova, le dichiarazioni della parte, le quali devono essere valutate ex nunc dal giudice per espressa previsione normativa europea (articolo 46 della Direttiva 2013/32/UE);
     4) la eliminazione del doppio grado di giudizio di merito;
     5) quanto sopra nell'ambito del sistema processuale attuale che prevede, nello stesso processo per Cassazione derivante dalla recente approvazione della legge 197/2016, lo sviluppo di un modello camerale in assenza di dialogo con gli avvocati ed in assenza di udienza;
    da tutto ciò deriva la lesione del principio di eguaglianza, sotto il profilo della ragionevolezza, della riserva di legge in materia di stranieri, del diritto alla difesa (che in materia di protezione internazionale deve essere effettiva secondo la direttiva UE sulle procedure di esame delle domande) e del contraddittorio nel processo (artt. 3, 10,24, 111 e 117 Cost.);
    in particolare, la non reclamabilità del decreto del Tribunale che decide sul ricorso, ovvero l'eliminazione del doppio grado di merito è unica quanto alla tutela accordata nel processo italiano ai diritti soggettivi coperti da garanzie costituzionali;
    la scelta di prevedere per questo procedimento – così come per le controversie avverso la decisione dell'Unità Dublino (articolo 6, lettera 0a) – un unico grado di merito è motivata dal Governo nella relazione illustrativa del disegno di legge di conversione dalla circostanza per cui «i flussi dei procedimenti di protezione internazionale attualmente registrati presso le corti d'appello sono tali da non consentire la costituzione di sezioni specializzate presso il giudice di secondo grado»;
    sempre nella Relazione si osserva come la mancata previsione di un secondo grado di merito sia comunque «pienamente compatibile con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE». In proposito viene ricordata la sentenza resa nella causa Samba Diouf (C-69/10): in tale occasione la Corte ha rilevato che il diritto ad un ricorso effettivo ai sensi della legislazione europea non si riferisce ad un certo numero di gradi di giudizio. Il principio della tutela giurisdizionale effettiva attribuirebbe quindi al singolo il diritto di adire un giudice, e non il diritto a più gradi di giudizio;
    nella relazione si rileva, inoltre, come un'analisi comparata mostri come i sistemi di impugnazione presenti nei diversi Stati membri si articolino su un numero variabile di gradi giudizio, con una prevalenza di Paesi (fra cui Francia, Spagna, Paesi Bassi e Belgio) nei quali – con riguardo alle controversie in materia di asilo – l'esame in fatto e in diritto è riservato esclusivamente al primo grado, mentre il procedimento di secondo grado può aver ad oggetto esclusivamente profili di legittimità;
    infine per quanto concerne la compatibilità della previsione di un unico grado di giudizio con la Costituzione viene rilevato come il doppio grado di giurisdizione in materia civile non sembra trovare copertura costituzionale, come ha più volte sostenuto la Corte costituzionale;
    tuttavia nessuna delle motivazioni addotte dal Governo nella Relazione al disegno di legge sono pertinenti e decisive;
    la Corte costituzionale ha ritenuto legittimo il modello processuale della Volontaria giurisdizione a condizione, tra le altre, della «facoltà della impugnazione – sia per motivi di merito che per ragioni di legittimità» (sentenza 170/2009);
    l'eliminazione del doppio grado di giudizio è in palese contrasto con i principi costituzionali, considerando che la protezione internazionale diventa l'unica materia, pur afferente a diritti costituzionali rientranti tra i principi fondamentali della Repubblica (articolo 10, comma 3 Cost.) e regolati anche da norme dell'UE e da norme internazionali, in cui l'appello è soppresso, così determinando un diritto speciale, per i soli richiedenti asilo, con violazione dell'articolo 3 della Costituzione;
    l'eliminazione dell'appello appare irrazionale nell'ordinamento italiano in cui la garanzia del doppio grado di merito è prevista anche per controversie civili di ben minor valore rispetto all'accertamento se sussista o meno in capo allo straniero un fondato rischio di persecuzione o di esposizione a torture, trattamenti disumani e degradanti o eventi bellici in caso di rientro nel proprio Paese, e l'inevitabile trasferimento nel giudizio dinanzi alla Corte di cassazione delle criticità e delle disfunzioni che si dichiara di voler eliminare;
    l'eliminazione dell'appello inoltre sopprimerà per la sola materia della protezione internazionale un essenziale momento di uniformazione degli orientamenti giurisprudenziali e finirà per gravare pesantemente sui carichi della Cassazione (tenuta a decidere entro sei mesi dalla presentazione del ricorso), che finora si era occupata in misura ridotta della materia proprio a causa dell'efficacia del filtro dell'appello;
    in ogni caso l'eliminazione del doppio grado di merito produrrà inevitabilmente un notevole aumento dei ricorsi davanti alla Corte di cassazione, pur con tutti i limiti intrinseci a tale giudizio, che esclude una rivisitazione dei fatti;
    in definitiva, la previsione da parte dell'articolo 6 del decreto di un unico grado di merito caratterizzato da una cognizione di regola cartolare, nel quale l'udienza è solo un'eventualità e ha forma camerale, viola il principio del contraddittorio e della pubblicità del processo, garantiti dall'articolo 111 Cost. e dall'articolo 6 Conv. eur. dir. uomo, come ribadito nella giurisprudenza costituzionale e della Corte europea dei diritti dell'uomo, e da ultimo riaffermato dalla Cassazione con sentenza n. 395/2017 (richiamata nel comunicato del 14.2.2017 della sezione ANM della Cassazione);
    la scelta di eliminare il grado di appello crea un'odiosa e incostituzionale apartheid giuridica riservata ai diritti fondamentali (quello alla protezione e quello alla difesa) dei richiedenti asilo,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della soppressione del grado di appello, valutando in maniera appropriata i profili di incostituzionalità che essa comporta, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a ripristinare il secondo grado di giudizio.
9/4394/24Costantino, Marcon, Civati, Palazzotto, Andrea Maestri, Fratoianni, Daniele Farina.


   La Camera,
   premesso che:
    esaminato il decreto-legge in conversione, recante disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale;
    l'articolo 19, commi 1 e 3, riqualifica i centri di identificazione ed espulsione con il nome di centri di permanenza per i rimpatri, qualificati come strutture a capienza limitata, prevedendone un ampliamento ed una «distribuzione sull'intero territorio nazionale», con una rete volta a raggiungere una capienza totale di 1.600 posti;
    la legge Turco – Napolitano aveva previsto per la prima volta la possibilità di trattenere i destinatari di provvedimenti di espulsione in apposite costruzioni definite Centri di permanenza temporanea e assistenza (CPTA), trasformati nel 2011 in Centri di identificazione ed espulsione (CIE);
    a sua volta, il decreto legislativo n. 142/2015, di recepimento delle direttive 2013/32/UE e 2013/33/UE, ha ridisegnato il sistema di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale sulla base, per quanto riguarda le strutture, del Piano nazionale definito di intesa tra Stato, Regioni ed enti locali del 10 luglio 2014, inserendo la previsione di strutture temporanee appositamente destinate ad accoglienza straordinaria in caso di saturazione delle strutture ordinarie, a seguito di flussi ravvicinati. In particolare sono state ridisegnate le strutture di prima accoglienza, mediante una «riconversione» degli attuali centri per i richiedenti asilo (CARA) e centri di accoglienza (CDA) quali hub temporanei;
    il decreto-legge prevede che ai centri di permanenza per i rimpatri si applichino le disposizioni sulle visite di cui all'articolo 67 della legge n. 354/1975 sull'ordinamento penitenziario (in base a quanto specificato con una modifica approvata nel corso dell'esame al Senato). I centri sono di conseguenza visitabili senza autorizzazione solo da soggetti ben definiti;
    l'articolo 17 del decreto-legge, inoltre, introduce disposizioni in materia di identificazione degli stranieri soccorsi in operazioni di salvataggio in mare o rintracciati come irregolari in occasione dell'attraversamento della frontiera (nuovo l'articolo 10-ter al decreto legislativo 286/98);
    viene prescritto che lo straniero venga condotto presso appositi «punti di crisi» e che qui sia sottoposto a rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico e, al contempo, riceva informazioni sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell'Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito;
    nell'introdurre l'articolo 10-ter al decreto legislativo 286/98 il Governo fa riferimento al decreto-legge 30 ottobre 1995, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563 (cd. legge Puglia). Esso, tuttavia, non contiene alcuna disciplina giuridica dei centri di primo soccorso ed assistenza né dei tempi nei quali il cittadino straniero da identificare può essere limitato nella sua libertà personale;
    il decreto-legge 13/2017 ha inteso legittimare i «punti di crisi» (cd. hotspot) con un mero richiamo al decreto-legge 451/95 ed ai Centri governativi di prima accoglienza, di cui all'articolo 9 decreto legislativo 142/2015 (cd. Hub), omettendo di qualificarne la natura e soprattutto senza definire il tempo in cui il cittadino straniero da identificare possa essere limitato nella sua libertà personale;
    l'articolo 13 della Costituzione indica precise e tassative condizioni al potere di limitazione della libertà personale, che nel decreto-legge 17/2017 sono totalmente assenti;
    né vale a sanare detta illegittimità il fatto che, teoricamente, il cittadino straniero possa sottrarsi all'identificazione, poiché tale comportamento determinerebbe l'integrarsi del «pericolo di fuga», presupposto per l'ordine di trattenimento in un Centro di rimpatrio, ma non eliminerebbe l'incostituzionalità del periodo precedente, affidato alle mere modalità organizzative dell'Autorità di pubblica sicurezza;
    va ricordato, in proposito, che anche recentemente l'Italia è stata condannata dalla Grande Camera della CEDU nel caso Khlaifia v. Italia per il trattenimento illegittimo dei cittadini stranieri (violazione articolo 5 CEDU) nel centro di accoglienza di Lampedusa (un hotspot, appunto) e sulle navi divenute centri di detenzione in quanto non vi era alla base un provvedimento di un giudice che legittimasse tale detenzione, rendendo impossibile un ricorso effettivo (violazione articolo 13 CEDU);
    in tal senso insoddisfacente è la scelta di non fornire alcuna disciplina dei centri definiti «punti di crisi» (gli hotspot della terminologia dei documenti della Commissione europea), per il cui funzionamento si rinvia a testi normativi (la cd. Legge Puglia del 1995) che non contengono alcuna precisazione circa la natura di questi luoghi e le funzioni che vi si svolgono, in violazione della riserva di legge in materia di stranieri (articolo 10, comma 2 Cost.) e della riserva assoluta di legge in materia di provvedimenti restrittivi della libertà personale (articolo 13 Cost.);
    in moltissime occasioni le istituzioni europee e il Consiglio d'Europa hanno invitato l'Italia a disciplinare per legge le fasi di prima accoglienza e di identificazione dei migranti, come avviene in pressoché tutti i Paesi europei;
    la normativa del decreto-legge non appare coerente con tali sollecitazioni, muovendosi piuttosto nel senso della ulteriore destrutturazione della disciplina legale dei fenomeni, affidando al potere amministrativo di polizia la gestione di centri che sono a tutti gli effetti, e per periodi di tempo spesso significativi, dei luoghi di privazione di libertà;
    il decreto-legge persiste in una prevalente ottica repressiva del fenomeno, con l'accentuazione degli strumenti di rimpatrio forzoso, attraverso alcune modifiche di dettaglio della disciplina del rimpatrio (come la previsione del trattenimento anche per gli stranieri richiedenti protezione non espulsi ma respinti, o l'allungamento del termine di trattenimento per coloro che hanno già scontato un periodo di detenzione in carcere), ma, soprattutto, con la decisione di dare inizio all'apertura di numerosi nuovi centri di detenzione amministrativa in attesa del rimpatrio (ora chiamati – come già scritto – Centri di permanenza per i rimpatri, invece che CIE);
    da anni risulta chiaro come un sistema efficiente di rimpatri non possa basarsi solo sull'esecuzione coattiva degli stessi, ma debba, in primo luogo, riformare le norme in materia di ingresso e soggiorno, aprendo canali di ingresso regolare diversi da quello, ora quasi unico, della protezione internazionale, così dando maggiore stabilità ai soggiorni, oggi resi precari da disposizioni eccessivamente rigide, riducendo così il ricorso all'allontanamento per ipotesi limitate e comunque incentivando i rimpatri volontari, con strumenti normativi e finanziari specifici;
    appare quindi necessaria una più ampia e organica revisione delle strategie di governo dei flussi migratori, con la rivisitazione delle norme del TU immigrazione che impediscono un ordinato programma di regolarizzazione ed inserimento controllato dei migranti, prendendo atto del fallimento, sotto il profilo dell'effettività e della sostenibilità economica, di un approccio esclusivamente orientato all'allontanamento forzoso di soggetti le cui precarie condizioni sociali e civili interpellano peraltro il tema della garanzia dei diritti fondamentali,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per la definitiva chiusura dei centri di identificazione ed espulsione e una riforma strutturale della materia dei rimpatri.
9/4394/25Palazzotto, Costantino, Fratoianni, Andrea Maestri, Daniele Farina, Marcon, Civati.


   La Camera,
   premesso che:
    esaminato il decreto-legge in conversione, recante disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale;
    il decreto-legge istituisce sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'UE che, secondo quanto precisato nella relazione illustrativa del disegno di legge di conversione, rispondono all'esigenza di assicurare una maggiore celerità ai ricorsi giurisdizionali in materia di immigrazione, a fronte di significativo aumento delle richieste di protezione internazionale registratosi negli anni 2013-2016;
    nella logica di velocizzare i procedimenti e compensare il carico di lavoro dei tribunali, il decreto-legge ha anche introdotto la modifica del rito applicabile ai ricorsi e l'abrogazione del grado di appello;
    la logica e le motivazioni che avrebbero spinto il Governo alla modifica delle procedure giudiziarie e delle strutture chiamate a valutare i ricorsi – tanto urgenti da aver richiesto l'adozione di un decreto-legge – appaiono non supportate dal fatto che il Governo non le abbia applicate anche in materia penale, dove resta in vigore l'assurdo reato di clandestinità per il quale si registra ormai da tempo una sorta di disapplicazione del reato, soprattutto nei grandi uffici giudiziari, dove il carico di lavoro è tale per cui i processi per il reato di clandestinità non si celebrano, preferendo i capi degli uffici privilegiare le scarse risorse per perseguire altre fattispecie ben più gravi, cui attribuire la precedenza;
    il «reato di ingresso e soggiorno irregolare nel territorio dello Stato» è previsto dall'articolo 10-bis del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286;
    tale reato fu introdotto dalla legge n. 94 del 2009 per volere dell'allora Governo di centrodestra sostenuto dalla Lega nord e dal Popolo delle libertà;
    la legge delega n. 67 del 2014, all'articolo 2, comma 3, lettera b), aveva stabilito che il Governo abrogasse il reato di immigrazione clandestina previsto dall'articolo 10-bis, trasformandolo in illecito amministrativo;
    tuttavia, il Governo ha preferito non dare seguito alla delega legislativa lasciando in vigore il reato di clandestinità;
    tanto è accaduto, nonostante la Commissione Giustizia della Camera dei deputati, a cui era stato trasmesso lo schema di decreto-legislativo di attuazione della legge n. 67 del 2004 per l'espressione del prescritto parere, si fosse espressa per l'abrogazione del reato;
    il Governo ha deciso di soprassedere e di rinviare a fini di consenso elettorale e per opportunità politica, temendo che l'abrogazione di questo inutile reato minasse la percezione di sicurezza di una parte dell'opinione pubblica, psicologicamente di nuovo preoccupata dagli eventi terroristici;
    questo è accaduto nonostante lo stesso Ministro della giustizia, in un'audizione presso la Commissione Affari costituzionali del Senato della Repubblica, avesse definito il reato di clandestinità «inefficace, con una capacità limitata, se non nulla, di deterrenza. L'abrogazione del reato di immigrazione clandestina non solo comporterà un risparmio di risorse, giudiziarie e amministrative, ma produrrà anche effetti positivi per l'efficacia delle indagini in materia di traffico di migranti e favoreggiamento all'immigrazione clandestina»;
    la persistenza del reato produce effetti devastanti sulla condizione dei migranti che continuano a essere considerati come criminali perché soggiornanti irregolarmente in Italia e alimenta i casi di sfruttamento, caporalato e schiavitù;
    fin dalla introduzione del reato di clandestinità si registrò un unanime coro di commenti negativi su una norma che si palesava per tutti come inutile, se non addirittura controproducente. L'articolo 10-bis del testo unico, infatti, punisce lo straniero che fa ingresso o si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del testo unico, con l'ammenda da 5.000 a 10.000 euro: pena che, oltre a non spaventare chi arriva sulle coste italiane, essendo spinto dalla disperazione e dalla fuga da contesti di guerra o di estrema povertà, oggettivamente non viene mai pagata;
    poiché l'Europa impone agli Stati membri di non comminare una pena detentiva per il reato di clandestinità, la formula delle sanzioni pecuniarie in Italia è stato uno strumento normativo di matrice populista che ha cavalcato la paura atavica dello straniero, alimentando sentimenti di xenofobia e di razzismo;
    inoltre, la pena pecuniaria non prevede l'adozione di forme limitative della libertà personale, quali l'arresto o il fermo di polizia, perché il nostro sistema processuale penale non consente di mettere in carcere una persona per un reato che non è punito con la pena detentiva e quindi lo straniero che entra o soggiorna illegalmente è denunciato a «piede libero»;
    la prima considerazione che saltò subito agli occhi di tutti fu che non aveva senso punire con una pena pecuniaria uno straniero irregolare che, proprio perché privo di permesso di soggiorno, non può aprire un conto corrente, non può essere assunto regolarmente e non può intestarsi beni. Lo Stato, quindi, non ha nessuna garanzia di recuperare non solo le pene pecuniarie irrogate, ma nemmeno le spese di giustizia che lo Stato stesso anticipa per la celebrazione di un processo e che, dopo, cerca di recuperare dal condannato;
    la Procura nazionale antimafia, che ha sostenuto l'abrogazione del citato articolo 10-bis, ha evidenziato come il reato in oggetto ostacoli le indagini volte all'accertamento delle responsabilità dei trafficanti di esseri umani che gestiscono gli sbarchi sulle nostre coste. Infatti, se gli immigrati devono essere indagati per ingresso illegale, non possono essere sentiti come persone informate sui fatti, ma devono essere interrogati con la necessaria assistenza di un difensore e possono avvalersi della facoltà di non rispondere;
    il reato di clandestinità, quindi, risulta essere esclusivamente un inutile vessillo simbolico;
    l'abrogazione del reato di clandestinità è quindi una necessità giuridica, oltre che un dovere civico, morale e politico,

impegna il Governo

ad assumere iniziative normative per l'abolizione del cosiddetto reato di clandestinità previsto dall'articolo 10-bis del testo unico sull'immigrazione, ritenuto dalla stessa magistratura un ostacolo al perseguimento dei reati legati al fenomeno migratorio come la tratta, lo sfruttamento lavorativo e la riduzione in schiavitù.
9/4394/26Andrea Maestri, Daniele Farina, Costantino, Marcon, Civati, Palazzotto, Fratoianni.


   La Camera,
   premesso che:
    il presente decreto-legge si rende necessario e urgente per apprestare misure adeguate a definire sempre più celermente i procedimenti amministrativi innanzi alle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale (nonché i relativi ricorsi giurisdizionali), in considerazione dell'aumento esponenziale delle domande di protezione internazionale, collegato alle crisi internazionali in atto;
    nello specifico, l'articolo 8 modifica in più punti il decreto legislativo n. 142 del 2015, recante norme in materia di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale e di procedura ai fini del suo riconoscimento o revoca (di attuazione delle due direttive dell'Unione europea n. 33 e n. 32 del 2013);
    in particolare, si individuano i casi nei quali il richiedente protezione internazionale deve essere trattenuto nei centri di identificazione ed espulsione (ridenominati dall'articolo 19 «centri di permanenza per i rimpatri»);
    la lettera a-bis), introdotta al Senato, introduce nel citato decreto legislativo l'articolo 5-bis, disponendo che il richiedente protezione internazionale ospitato nei centri di permanenza sia iscritto nell'anagrafe della popolazione residente;
    la lettera d) introduce il nuovo articolo 22-bis, relativo alla partecipazione dei richiedenti protezione internazionale, su base volontaria, in attività di utilità sociale in favore delle collettività locali: la disposizione, nel far rinvio alla normativa vigente in materia di lavori socialmente utili, individua nel prefetto, d'intesa con i comuni e con le regioni e le province autonome, il soggetto promotore di tal tipo di attività, anche con la stipula di protocolli di intesa con i comuni, con le regioni e le province autonome e con le organizzazioni del terzo settore,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare misure finalizzate a garantire in modo certo che i migranti siano impiegati secondo i parametri e le modalità previsti dalla normativa dei lavori socialmente utili, allo scopo di evitare abusi.
9/4394/27Galgano, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    i firmatari del presente atto accolgono favorevolmente il contenuto del decreto in corso di conversione anche perché raccoglie diverse indicazioni contenute nella mozione 1-01048 da loro presentata in data 28 ottobre 2015 e accolta integralmente dal Governo;
    tra i vari impegni previsti dalla mozione sopracitata, i firmatari chiedevano al Governo anche di valutare modifiche ai meccanismi di remunerazione dei membri delle commissioni territoriali incaricate di esaminare le domande di protezione internazionale;
    tale richiesta, ancora attuale, era ed è legata alla necessaria incentivazione dell'efficienza e della qualità del lavoro svolto;
    il decreto in esame, all'articolo 12, autorizza il Ministero dell'interno, per il biennio 2017-2018, a bandire procedure concorsuali per assumere 250 unità a tempo indeterminato, altamente qualificate, da destinare agli uffici delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e della Commissione nazionale per il diritto di asilo;
    il testo del decreto, così come modificato da un emendamento approvato al Senato, ha, inoltre, incrementato la spesa prevista per far fronte a tale impegno autorizzando lo stanziamento di 2.766.538 euro (rispetto ai 2.566.538 inizialmente previsti) per l'anno 2017 e di 10.266.150 euro a decorrere dall'anno 2018,

impegna il Governo:

   a valutare modifiche ai meccanismi di remunerazione dei membri delle commissioni territoriali che si basino sull'incentivazione dell'efficienza e qualità del lavoro svolto;
   a stabilire nel bando di concorso per l'assunzione delle 250 unità da destinare al potenziamento delle commissioni territoriali meccanismi per l'incentivazione dell'efficienza e della qualità del lavoro effettivamente svolto.
9/4394/28Mazziotti Di Celso, Monchiero, Galgano, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    i centri di cui all'articolo 19 devono essere realizzati in modo da consentire più agevoli procedure per combattere il fenomeno della immigrazione clandestina, che si concentra principalmente nelle aree più popolose;
    la collocazione dei medesimi centri deve essere percepita come occasione, soprattutto per i territori viciniori, per ottenere più efficaci politiche per la sicurezza,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di programmare l'ampliamento dei centri di cui all'articolo 19, comma 3, nel senso di ipotizzare almeno un «centro di permanenza per i rimpatri» in ogni regione con popolazione superiore a tre milioni di abitanti, altresì adoperandosi affinché il provvedimento di dislocazione del Ministro competente contenga, qualora possibile, opportuni indirizzi al fine di promuovere particolari misure di sicurezza sul territorio del Comune ospitante il «centro di permanenza per i rimpatri».
9/4394/29Menorello.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge reca disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale;
    l'articolo 8, comma 1, lettera d), anche alla luce delle esperienze maturate nella prassi amministrativa, introduce nel decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, un nuovo articolo 22-bis, relativo alla partecipazione dei richiedenti protezione internazionale, su base volontaria, ad attività di utilità sociale in favore delle collettività locali, affidando al prefetto, d'intesa con i comuni e con le regioni e le province autonome, il compito di promuovere ogni iniziativa utile all'implementazione dell'impiego di richiedenti protezione internazionale in tali attività di utilità sociale;
    l'articolo 12 autorizza il Ministero dell'interno ad assumere fino a 250 unità di personale a tempo indeterminato per il biennio 2017-2018, da destinare agli uffici delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e della Commissione nazionale per il diritto di asilo;
    l'articolo 13 autorizza il Ministero della giustizia ad avviare procedure concorsuali nel biennio 2017-2018, anche mediante scorrimento delle graduatorie in corso di validità, in deroga ai limiti assunzionali previsti dalla normativa vigente;
    l'articolo 21-bis, introdotto al Senato, proroga al 15 dicembre 2017 la sospensione degli adempimenti e dei versamenti fiscali, contributivi e assicurativi obbligatori per i datori di lavoro privati e per i lavoratori autonomi operanti nel territorio dell'isola di Lampedusa e demanda ad un provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate il compito di definire le modalità e i termini per effettuare gli adempimenti tributari diversi dai versamenti,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità anche in relazione agli interventi previsti dal provvedimento in esame, di destinare risorse alla remunerazione del lavoro straordinario del personale amministrativo degli uffici giudiziari, ove il prolungamento dell'orario ecceda, entro specifici termini, i limiti orari stabiliti per il lavoro straordinario stesso.
9/4394/30Mucci, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 13 del provvedimento in esame prevede, al fine di supportare interventi educativi e programmi di inserimento lavorativo per il miglioramento del trattamento dei soggetti richiedenti asilo e protezione internazionale prevede l'assunzione di funzionari della professionalità giuridico pedagogica, di servizio sociale e di mediazione culturale;
    l'articolo 20 prevede che, entro il 30 giugno di ciascuno dei tre anni successivi di entrata in vigore della legge di conversione, il Governo presenti alle Commissioni parlamentari competenti una relazione che evidenzi lo stato di attuazione delle disposizioni del presente decreto,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità e la possibilità che, nella relazione inviata alle Commissioni parlamentari competenti, si specifichino anche gli effetti prodotti e i risultati conseguiti in termini di interventi educativi e di programmi di inserimento lavorativo per il miglioramento del trattamento dei soggetti richiedenti asilo e protezione internazionale.
9/4394/31Marzano, Pastorelli, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in via di conversione all'articolo 17 interviene sulla procedura di identificazione delle persone rintracciate in condizione di irregolarità del soggiorno o successivamente ad operazioni di salvataggio in mare;
    viene infatti introdotto un articolo 10-ter nel Testo Unico Immigrazione (D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286), prevedendo l'istituzione di «punti di crisi», allestiti all'interno dei Centri di Primo Soccorso e Accoglienza di cui al decreto-legge 30 ottobre 1995, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563;
    tali centri sono disciplinati in maniera piuttosto stringata nella cosiddetta «Legge Puglia» di cui al capoverso precedente, non essendo chiaro quali siano i tempi di accoglienza e le garanzie per le persone ospitate, soprattutto in relazione alle misure restrittive della libertà personale,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della disposizione in premessa anche ai fini dell'adozione di ulteriori iniziative normative volte a fornire una puntuale disciplina giuridica dei Centri di Primo Soccorso e Accoglienza, con specifico riferimento ai tempi di permanenza nel centro, ai servizi forniti, alle garanzie per le persone ospitate, tra cui l'accesso ai propri diritti e doveri, e alle misure restrittive della libertà personale.
9/4394/32Giuseppe Guerini, Beni, Palese.


   La Camera,
    rilevato che la direttiva europea 2008/115 pone in capo agli Stati membri precisi obblighi per il rimpatrio e l'allontanamento dei cittadini di paesi terzi in posizione irregolare e prevede il trattenimento degli stessi in appositi centri fino a diciotto mesi onde consentire l'identificazione e l'avvio delle procedure di espulsione per rendere effettivo il loro rimpatrio;
    preso atto che recentemente la Commissione europea ha raccomandato agli Stati membri di adottare misure immediate al fine di procedere all'effettivo e rapido rimpatrio degli immigrati irregolari, tra cui lo snellimento delle procedure burocratiche e legislative;
    rilevato infine che tra le nazionalità maggiormente rappresentate tra quelle dichiarate dai cittadini stranieri al momento del loro ingresso irregolare via mare vi sono quella nigeriana, pakistana, gambiana, senegalese e ivoriana, e che, ad esempio, nel 2016 su 18.542 domande di asilo di cittadini nigeriani ben 13.066 hanno ricevuto un diniego dalle Commissioni territoriali esaminatrici, altri 755 sono risultati irreperibili, mentre, sempre nello stesso anno, risultano solo 760 quelli rimpatriati su 1.937 rintracciati,

impegna il Governo

a stipulare e rendere operativi gli accordi bilaterali di riammissione con i paesi di origine che risultano tra le nazionalità maggiormente rappresentate tra quelle dichiarate dai cittadini stranieri al momento del loro ingresso irregolare dai confini marittimi, terrestri e aerei.
9/4394/33Allasia, Molteni, Invernizzi, Palese.


   La Camera,
   esaminato il disegno di legge recante «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, recante disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale»;
   rilevato che in Italia, secondo i dati forniti dalla Commissione Nazionale per il diritto di asilo, al 31 dicembre 2016 tra i principali paesi di origine dei richiedenti protezione internazionale vi è il Pakistan, al secondo posto dopo la Nigeria, con ben 13.510 domande d'asilo registrate lo scorso anno;
   preso atto che, benché il Pakistan sia la seconda nazione per numero di richieste di protezione internazionale, secondo le informazioni fornite dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza – Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere, con riguardo alle nazionalità dichiarate al momento dello sbarco, risulta che nel 2016 gli immigrati di origine pakistana sono stati solo 2.773 (1.901 nel 2015), un numero quindi decisamente inferiore rispetto alle domande di asilo;
   rilevato altresì che, nonostante la proclamata interruzione della rotta balcanica, dal consistente divario tra il numero degli arrivi registrati al momento degli sbarchi e quello delle domande di asilo presentate, si deduce chiaramente che la maggior parte degli immigrati di nazionalità pakistana che nel 2016 hanno formulato richiesta di protezione internazionale in Italia sono dunque arrivati via terra, probabilmente percorrendo la già nota rotta balcanica, dopo aver attraversato altri paesi europei, per giungere, infine, in Italia,

impegna il Governo

ad adottare specifiche e idonee misure per contrastare l'ingresso irregolare via terra di immigrati dagli altri Stati europei confinanti, Francia, Svizzera, Austria e Slovenia, mediante capillari e opportuni controlli alle frontiere terrestri, in particolar modo, con l'Austria e la Slovenia, entrambi paesi aderenti allo Spazio Schengen.
9/4394/34Borghesi, Molteni, Invernizzi, Palese.


   La Camera,
   esaminato il disegno di legge recante «Conversione in legge, con modificazioni del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, recante disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale»;
   rilevato che secondo gli ultimi dati forniti dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza – Direzione centrale dell'immigrazione e della Polizia delle frontiere, nel 2016 gli stranieri rintracciati in posizione irregolare sono stati complessivamente 41.473, in aumento rispetto a quelli rintracciati il precedente anno, 34.107 nel 2015;
   preso atto che le richieste dell'Italia di riammissione attive in Paesi terzi accolte sono state solo 1.738 nel 2015 e 2.629 nel 2016, mentre quelle dei Paesi terzi di riammissione passive in Italia accolte sono state di gran lunga superiori e per la precisione 26.023 nel 2015 e 23.234 nel 2016;
   rilevato infine che l'articolo 7 del Regolamento UE 604/2013 dispone una gerarchia tra i criteri per la determinazione dello stato competente all'esame di una richiesta di protezione internazionale di cui ai successivi articoli e che quello del paese di ingresso e/o soggiorno previsto dall'articolo 13 è al quarto posto,

impegna il Governo

ad adottare opportune e tempestive iniziative al fine di potenziare i controlli con i Paesi confinanti, Slovenia, Austria, Svizzera e Francia, e incrementare le riammissioni nei Paesi terzi degli stranieri rintracciati in posizione irregolare.
9/4394/35Molteni, Invernizzi.


   La Camera,
   esaminato il disegno di legge recante «Conversione in legge, con modificazioni del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, recante disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale»;
   rilevato che il programma di ricollocazione, c.d. «Relocation», adottato dall'Unione europea nell'ambito dell'Agenda europea sulla migrazione del 3 maggio 2015 e divenuto operativo nel settembre del medesimo anno per effetto delle Decisioni del Consiglio Europeo n. 1523 e n. 1601, prevedeva, in parziale deroga al Regolamento «Dublino III» (1.604/2013), una prima fase per la redistribuzione di circa 40 mila richiedenti protezione internazionale da Italia e Grecia in altri Stati membri dell'Unione entro il 26 settembre 2017;
   preso atto che secondo quanto stabilito, possono beneficiare del ricollocamento solo i richiedenti protezione internazionale «in clear need of protection», ossia appartenenti a determinate nazionalità, o apolidi, per le quali il tasso di riconoscimento della protezione internazionale, sulla base dei dati Eurostat dell'ultimo quadrimestre, è pari o superiore al 75 per cento, cioè siriani, iracheni e eritrei;
   rilevato infine che al 27 febbraio 2017 risultano ricollocati dall'Italia solo 3.703 richiedenti protezione internazionale e che le nazionalità dei richiedenti indicate nel piano di ricollocamento europeo non risultano, secondo i dati disponibili al 31 dicembre 2016, tra quelle dichiarate al momento del fotosegnalamento per asilo politico né tra quelle dei richiedenti asilo, dove ai primi posti tra i Paesi di origine vi sono Nigeria, Pakistan, Gambia, Senegal e Costa d'Avorio,

impegna il Governo

ad adottare idonee iniziative nelle opportune sedi al fine di procedere ad una revisione degli accordi adottati in ambito europeo per estendere la possibilità del ricollocamento a richiedenti protezione internazionale di altre nazionalità rispetto a quelle già individuate dal piano europeo.
9/4394/36Attaguile, Molteni, Invernizzi.


   La Camera,
   esaminato il disegno di legge recante «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, recante disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale»;
   rilevato che è proprio da una direttiva comunitaria, precisamente la numero 2008/115 recepita nel decreto legislativo 286/98, che discende il preciso obbligo in capo agli Stati membri dell'UE di allontanare dal proprio territorio i cittadini non comunitari irregolari e di procedere al loro effettivo rimpatrio, successivamente all'avvio delle procedure di espulsione e al loro trattenimento in appositi centri;
   preso atto che, dal 1o gennaio 2016 al 31 dicembre 2016, gli immigrati registrati allo sbarco sulle nostre coste sono stati 181.436 mentre le istanze di protezione internazionale formalizzate dalle questure con il modello c.d. C3 sono state 123.600 che, sempre nello stesso anno di riferimento, sono stati 51.170 gli immigrati che hanno ricevuto un diniego a seguito dell'esame della domanda da parte delle Commissioni territoriali competenti, altri 3.084 sono risultati irreperibili, mentre gli stranieri irregolari rimpatriati sono stati solo 8.446 di cui però 2.629 oggetto di riammissioni passive in Paesi Terzi;
   rilevato infine che recentemente la stessa Commissione europea ha sollecitato gli Stati membri ad adottare una serie di misure, tra cui il trattenimento «in centri chiusi» degli immigrati irregolari in attesa di essere trasferiti verso i loro Paesi di origine, al fine di evitare così fughe per sottrarsi all'effettivo rimpatrio e conseguenti movimenti secondari,

impegna il Governo

a garantire che la capienza effettiva dei centri di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 sia tale da garantire il trattenimento di tutti i cittadini di Paesi terzi, il cui ingresso o soggiorno sia irregolare, presenti sul territorio nazionale e ad aumentare il periodo di trattenimento nei centri di detenzione amministrativa fino a 18 mesi, in linea con l'articolo 15 commi 5 e 6 della direttiva 2008/115.
9/4394/37Busin, Molteni, Invernizzi.


   La Camera,
   rilevato che le recenti raccomandazioni adottate dalla Commissione europea si sono rese necessarie a fronte dei tassi di rimpatrio registrati in generale tra i paesi membri, inadeguati ed eccessivamente bassi, e che tra questi, secondo i dati dell'ufficio statistico europeo, l'Italia risulta il paese che rimpatria meno: nel 2015 in Italia le espulsioni sono state 26.058 ma gli effettivi rimpatri 11.944 a fronte, ad esempio, degli 86.000 della Francia e dei 65.000 della Gran Bretagna;
   preso atto che il riconoscimento dello status di rifugiato, ai sensi dell'articolo 1 della Convenzione di Ginevra, rispetto alle domande avanzate è passato dal 13 per cento nel 2013 al 5 per cento nel 2015 e poi anche nel 2016 e, in generale, il numero delle domande accolte, ossia alle quali è stata riconosciuta una delle tre forme di protezione (status di rifugiato, protezione sussidiaria e umanitaria) è drasticamente diminuito, passando dal 60,9 per cento nel 2013 al 40,2 per cento registrato nel 2016;
   rilevato, infine, che la chiusura della maggior parte dei Centri di Identificazione ed Espulsione (5 su 9), l'abbassamento del tempo massimo di trattenimento con legge 161/2014 da diciotto mesi a novanta giorni, hanno, di fatto, vanificato le procedure di espulsione, esponendoci non solo ad eventuali rilievi per infrazione della normativa comunitaria ma, soprattutto, a pericoli per la sicurezza interna, stante la presenza di migliaia di clandestini solo individuati tramite i rilievi dattiloscopici ma non identificati che attualmente circolano liberamente sui nostri territori,

impegna il Governo

a destinare adeguate risorse al Fondo di cui all'articolo 14-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 e successive modificazioni al fine di procedere all'effettivo allontanamento e rimpatrio degli stranieri irregolari e clandestini.
9/4394/38Giancarlo Giorgetti, Molteni, Invernizzi, Palese.


   La Camera,
   rilevato che, secondo gli ultimi dati del Ministero dell'interno, sebbene nel corso dell'anno 2016 gli immigrati che hanno fatto ingresso illegalmente via mare nel territorio italiano siano stati 181.439, con un incremento del 17,94 per cento rispetto al precedente anno, e le richieste di asilo siano state 123.600, con un aumento del 47,20 per cento rispetto al 2015, tuttavia gli esiti positivi alle domande si sono mantenuti costanti nei due anni, ossia solo al 5 per cento è stato riconosciuto lo status di rifugiato, al 14 per cento la protezione sussidiaria, al 21 per cento quella umanitaria, mentre i rigetti sono aumentati passando dal 53 per cento a ben il 58 per cento nel 2016;
   preso atto che nonostante la diminuzione del numero delle domande accolte, invece, gli immigrati richiedenti protezione internazionale presenti nel sistema di accoglienza sono passati da 22.118 nel 2013 a 103.792 nel 2015 fino a 176.554 nel 2016 con un trend in crescita esponenziale;
   rilevato che il costo per la gestione degli immigrati è passato da 1.609 milioni di euro del 2013 (di cui solo 101 quale contributo dall'Unione europea) a 3.994 milioni di euro nel 2016 (di cui 112 dalla UE),

impegna il Governo

a presentare con cadenza annuale al Parlamento una relazione dettagliata sul numero degli ingressi di cittadini stranieri nel territorio italiano dai confini terrestri, marittimi e aerei, sull'esito delle richieste di protezione internazionale presentate ed esaminate e degli eventuali ricorsi giurisdizionali avverso le decisioni adottate dalla competente autorità esaminatrice, infine sui costi conseguenti alle politiche adottate in materia di immigrazione e asilo.
9/4394/39Pagano, Molteni, Invernizzi, Palese.


   La Camera,
   rilevato che dal 1o gennaio 2016 al 31.12.2016 gli immigrati che hanno fatto ingresso illegale dai confini marittimi sono stati 181.436 mentre le istanze di protezione internazionale sono state in numero inferiore, ossia 123.600 e che, sempre nello stesso anno di riferimento, su 91.102 richieste di asilo esaminate 51.170 hanno ricevuto un diniego da parte delle Commissioni territoriali, mentre altri 3.084 richiedenti sono risultati irreperibili;
   preso atto che nei primi mesi del 2017, e precisamente al 10 marzo 2017 gli immigrati giunti illegalmente via mare sono stati 15.843 con un incremento, nello stesso periodo di riferimento, del +66,84 per cento rispetto al 2016 e + 73,77 per cento rispetto al 2015 e, quindi, con un trend in crescita esponenziale, mentre nei Centri di cui all'articolo 14 del 25 luglio 1998, n. 286 le presenze registrate al 24 gennaio 2017 sono state solo 285, inferiori rispetto a quelle al 30 dicembre 2016 quando erano, comunque, solo 288;
   rilevato, infine, che gli stranieri rintracciati in posizione irregolare in territorio italiano dal 1o gennaio 2017 al 15 febbraio 2017 sono stati solo 5.296 e che, nello stesso periodo di riferimento, nel 2016, erano 5.118, di cui quelli effettivamente allontanati sono stati 2.388 nel 2017 e 2.202 nel 2016,

impegna il Governo

ad adottare le più opportune e tempestive iniziative al fine di individuare tutti i cittadini di paesi terzi presenti sul territorio nazionale il cui ingresso o soggiorno sia irregolare e di garantire il loro trattenimento nei centri di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
9/4394/40Bossi, Molteni, Invernizzi.


   La Camera,
   rilevato che, secondo i dati forniti periodicamente dal Ministero dell'interno-Dipartimento per le Libertà Civili e l'Immigrazione, il numero degli immigrati giunti dai confini marittimi sulle nostre coste dal 1o gennaio al 27 marzo 2017 sono stati 21.939, con un incremento del + 51,25 per cento rispetto allo stesso periodo del 2016 (14.505) e del + 115,83 per cento rispetto al 2015 (10.165);
   preso atto che, secondo i dati della Commissione nazionale di asilo, avuto riguardo agli esiti delle domande di protezione internazionale esaminate nel corso del 2016, al 30 dicembre 2016 risultavano 51.170 (56 per cento) immigrati la cui domanda aveva ricevuto un diniego da parte delle commissioni territoriali competenti e 3.084 (4 per cento) quelli irreperibili, a cui vanno aggiunti altri 10.841 immigrati destinatari di un provvedimento di rigetto della domanda di asilo e 962 irreperibili dal 1o gennaio al 24 marzo 2017;
   rilevato, infine, che Ministero dell'interno-Dipartimento della Pubblica Sicurezza gli stranieri rintracciati in posizione irregolare in territorio italiano dal 1o gennaio 2017 al 15 marzo 2017 sono stati solo 8.949, cui solo 4.317 quelli effettivamente allontanati,

impegna il Governo

ad adottare tempestivi provvedimenti per disporre l'assunzione di 2.000 agenti di polizia, anche in deroga alle normative vigenti in materia, al fine di implementare le attività di contrasto all'immigrazione clandestina e per individuare tutti i cittadini di Paesi terzi presenti sul territorio nazionale il cui ingresso o soggiorno sia irregolare ai fini del loro trattenimento ed effettivo allontanamento.
9/4394/41Caparini, Molteni, Invernizzi.


   La Camera,
   rilevato che il provvedimento in esame dispone modifiche al decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, che dovrebbe recepire anche l'ultima Direttiva 2013/32/UE del 26 giugno 2013 recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (rifusione);
   preso atto che la Direttiva 2013/32/UE all'articolo 37, paragrafo 1, dispone che «Gli Stati membri possono mantenere in vigore o introdurre una normativa che consenta, a norma dell'allegato I, di designare a livello nazionale paesi di origine sicuri ai fini dell'esame delle domande di protezione internazionale» al fine anche di prevedere una procedura accelerata e/o di frontiera ai sensi dell'articolo 31, paragrafo 8;
   rilevato, infine che, l'attuale normativa nazionale non ha ancora recepito gli articoli 36, 37 e 38 della Direttiva in materia di designazione di paese di origine e terzo sicuro e che, secondo gli ultimi dati forniti dalla Commissione nazionale di asilo, dal 1o gennaio al 25 marzo 2017 le domande di protezione internazionale sono aumentate del 64,80 per cento rispetto allo stesso periodo del 2016,

impegna il Governo

ad adottare misure di carattere normativo al fine di conformare la legislazione nazionale alle disposizioni previste dalla Direttiva 2013/32/UE in materia di designazione di paese di origine e terzo sicuro, anche al fine di accelerare le procedure di esame delle domande di protezione internazionale.
9/4394/42Picchi, Molteni, Invernizzi, Palese.


   La Camera,
   rilevato che la Direttiva 2011/95/UE del 13 dicembre 2011 recante «Norme sull'attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta», all'articolo 8 prevede la possibilità di adottare disposizioni nazionali che prevedano, nell'ambito dell'esame delle domande di protezione internazionale, la valutazione del ricollocamento interno o dell'alternativa di fuga, cosiddetta IFA/IRA (Internal Flight or Relocation Alternative);
   preso atto che secondo l'articolo 8, dunque, è possibile respingere una domanda di asilo se «in una parte del territorio del Paese di origine» il richiedente non corra il rischio di persecuzione o danno grave;
   rilevato, infine, che tale disposizione, diversamente da altri Paesi membri dell'Unione europea, ad oggi non risulta ancora recepita nel nostro ordinamento seguito del decreto legislativo 21 febbraio 2014, n. 28 recante «Attuazione della direttiva 2011/95/UE recante norme sull'attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta»,

impegna il Governo

ad adottare misure di carattere normativo al fine di conformare la legislazione nazionale alle disposizioni previste dalla Direttiva 2011/95/UE in materia di valutazione del ricollocamento interno o dell'alternativa di fuga, cosiddetta IFA/IRA (Internal Flight or Relocation Alternative).
9/4394/43Gianluca Pini, Molteni, Invernizzi.


   La Camera,
   rilevato che il provvedimento in esame prevede modifiche al decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30 che ha recepito la direttiva 2004/38/ CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri;
   preso atto che, avuto riguardo anche ai più recenti fatti di cronaca, sono in esponenziale aumento i reati commessi da cittadini comunitari, già destinatari di ordine di allontanamento dal territorio nazionale per motivi di ordine e sicurezza pubblica ma inottemperanti agli stessi;
   rilevato, infine, che, secondo gli ultimi dati del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, al 31 marzo 2017 tra i detenuti stranieri presenti nelle nostre carceri quelli di cittadinanza romena rappresentano il 14,2 per cento e quelli di cittadinanza albanese il 13,6 per cento, costituendo quindi, dopo quelli del Marocco con il 18 per cento, la presenza straniera più consistente tra la popolazione carceraria,

impegna il Governo

ad adottare le più opportune misure al fine di garantire l'effettività dei provvedimenti di allontanamento disposti per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato o di sicurezza pubblica nei confronti dei cittadini comunitari affinché gli stessi siano eseguiti coattivamente con accompagnamento immediato alla frontiera da parte delle forze di polizia.
9/4394/44Invernizzi, Molteni, Palese.


   La Camera,
   rilevato che, secondo i dati forniti dal Ministero dell'Interno, dal 2010 ad oggi gli ingressi irregolari dai confini marittimi, attraverso la rotta del Mediterraneo con partenza dai paesi dell'Africa occidentale, sono passati da 4.406 (2010) a 181.436 (2016), registrando lo scorso anno un vero proprio record, secondo quanto dichiarato anche dall'Agenzia Europea Frontex;
   preso atto che, solo nel 2016 sarebbero quasi 5.000 le vittime dei naufragi, una cifra che non solo rappresenta un altro record rispetto agli anni precedenti ma è in continua crescita proprio dal 2013 e dopo l'avvio dell'operazione Mare Nostrum (dai 3.500 morti e dispersi del 2014 ai 3.800 del 2015 fino ai 5.000 dello scorso anno) e che, sempre secondo gli ultimi dati ufficiali del Viminale, dal 1o gennaio al 31 marzo 2017 sarebbero già circa 24.280 gli immigrati arrivati illegalmente dai confini marittimi in Italia, il 29,31 per cento in più rispetto a quelli dello stesso periodo del 2016 e ben il 138,86 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2015;
   rilevato, infine, che, parimenti all'intensificarsi degli ingressi illegali in Italia via mare, dal 1o gennaio al 24 marzo 2017 le domande di protezione internazionale presentate in Italia sono aumentate del 64,80 per cento rispetto allo stesso periodo del 2016 e che, con riguardo agli esiti delle domande valutate nei primi mesi di quest'anno, il 54 per cento delle stesse ha ricevuto un diniego da parte della Commissione territoriale esaminatrice,

impegna il Governo

ad adottare idonee iniziative nelle più opportune sedi istituzionali al fine di disincentivare le partenze degli immigrati dai paesi di origine e di transito, anche mediante la creazione di centri di prima accoglienza nei paesi del Nord Africa per provvedere in tali centri all'esame delle richieste di protezione internazionale.
9/4394/45Fedriga, Molteni, Invernizzi, Palese.


   La Camera,
   rilevato che dal 2010 ad oggi gli ingressi irregolari dai confini marittimi, attraverso la rotta del Mediterraneo con partenza dai paesi dell'Africa occidentale, in Italia sono passati da 4.406 (2010) a 181.436 (2016), registrando lo scorso anno un vero proprio record;
   preso atto che dal primo gennaio al 31 marzo 2017 sarebbero già 24.280 gli immigrati arrivati illegalmente in Italia dai confini marittimi, con un aumento del 29,31 per cento rispetto allo stesso periodo del 2016;
   rilevato, infine, che, come emerso da numerose inchieste giornalistiche dei mesi scorsi e dai dati sull'aumento dei decessi durante le traversate del Mediterraneo, le politiche che incentivano tali partenze sono estremamente pericolose perché agevolano la tratta degli esseri umani da parte dei trafficanti mentre, invece, occorre adottare misure ed iniziative immediate che blocchino tali flussi, salvando così numerose vite umane,

impegna il Governo

ad adottare immediate misure per disincentivare le partenze degli immigrati dai paesi di origine e di transito, mediante una politica rigorosa finalizzata al controllo delle frontiere marittime, terrestri e aree anche con azioni di respingimento ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo n. 286 del 1998.
9/4394/46Saltamartini, Molteni, Invernizzi, Palese.


   La Camera,
   rilevato che l'articolo 8 dello stesso dispone modifiche al decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, in materia di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, e, in particolare, al comma 1, lettera d), introduce un nuovo articolo 22-bis, con il quale si prevede la «partecipazione dei richiedenti protezione internazionale ad attività di utilità sociale», promossa dai Prefetti, «d'intesa con i Comuni e con le regioni e le province autonome»;
   preso atto dei continui tagli dei trasferimenti ai Comuni, che, di fatto, hanno posto le amministrazioni locali sempre più in difficoltà nell'erogare i servizi ai propri cittadini,

impegna il Governo

ad esentare i Comuni, regioni e province autonome da qualsiasi onere economico, anche conseguente alla copertura degli obblighi assicurativi contro le malattie e gli infortuni dei richiedenti protezione internazionale coinvolti nelle attività di utilità sociale di cui al nuovo articolo 22-bis del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142.
9/4394/47Rondini, Molteni, Invernizzi.


   La Camera,
   rilevato che il provvedimento dispone modifiche al decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 recante «Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale.»;
   preso atto che, secondo gli ultimi dati forniti dal Ministero dell'Interno, dal 2014 al 31 marzo 2017 gli stranieri presenti nei diversi centri di accoglienza sono passati da 66.066 a 176.523 e che al 27.03.2017 all'interno dei CAS risultano registrate ben 138.011 presenze;
   rilevato, infine, che sebbene l'articolo 11 del decreto legislativo n. 142 del 2015 al comma 2 preveda che le Prefetture-uffici territoriali del Governo possano individuare strutture per l'accoglienza straordinaria (CAS), sentito l'ente locale nel cui territorio è situata la struttura, sono sempre più numerosi i casi, riportati anche dagli organi di stampa, di Sindaci, non consultati, che vengono a conoscenza della creazione di un centro di accoglienza nel proprio comune, per autonoma iniziativa del Prefetto, solo successivamente all'avvenuto invio e alloggiamento degli immigrati nella struttura a ciò adibita,

impegna il Governo

ad adottare tempestivamente idonee misure affinché l'occupazione e assegnazione di immobili pubblici e privati, ad uso o a destinazione catastale non residenziale, da destinare a centri di accoglienza per richiedenti protezione internazionale o a ciò adibiti anche conseguentemente al provvedimento di cui all'articolo 7 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 allegato E, non sia consentita qualora vi sia parere contrario da parte dell'ente locale, a ciò preventivamente consultato, nel cui territorio si trovi la struttura.
9/4394/48Grimoldi, Molteni, Invernizzi.


   La Camera,
   rilevato che il provvedimento dispone modifiche al decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 recante «Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale.»;
   preso atto che, secondo gli ultimi dati forniti dal Ministero dell'Interno, dal 2014 al 31 marzo 2017 gli stranieri presenti nei diversi centri di accoglienza sono passati da 66.066 a 176.523 e che al 27 marzo 2017 all'interno dei CAS risultano registrate ben 138.011 presenze;
   rilevato, infine, che l'articolo 11 del decreto legislativo n. 142 del 2015 al comma 2 prevede che le Prefetture-uffici territoriali del Governo possano individuare strutture per l'accoglienza straordinaria (CAS), sentito l'ente locale nel cui territorio è situata la struttura,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare tempestivamente idonee misure, anche di carattere legislativo, al fine di consentire all'ente locale nel cui territorio è situata la struttura adibita a centro di accoglienza di procedere alla sua immediata chiusura con propria ordinanza qualora ravvisi che la struttura individuata non ottemperi ai parametri previsti dal decreto ministeriale 5 luglio 1975, principalmente in riferimento al carico antropico per vano utilizzato.
9/4394/49Simonetti, Molteni, Invernizzi, Palese.


   La Camera,
   rilevato che, avuto riguardo alle nazionalità dichiarate al momento dello sbarco e dei principali paesi di origine dei richiedenti protezione internazionale nel 2017, secondo i dati forniti dal Ministero dell'interno, risulta che i flussi migratori dai paesi di religione a maggioranza islamica (ad esempio Guinea, Cambia, Bangladesh, Senegal, Pakistan) sono in maggior numero e in costante aumento;
   preso atto che sono in aumento i finanziamenti provenienti dall'estero, in particolare dai paesi islamici, per la realizzazione nel nostro Paese di luoghi di culto, sotto le più diverse forme, come centri culturali o di aggregazione, e che tali centri, per effetto di tali flussi migratori, è destinato pertanto ad aumentare;
   rilevato che tali centri, assumendo le più diverse forme, si sottraggono a qualsiasi doveroso e lecito controllo e che si rende, dunque, necessario intervenire necessariamente a colmare il vuoto legislativo esistente,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di introdurre una disciplina ad hoc relativamente alla tracciabilità dei finanziamenti impiegati per l'edilizia di culto, anche alla luce dell'attuale contesto migratorio.
9/4394/50Guidesi, Molteni, Invernizzi, Palese.


   La Camera,
   rilevato che la protezione umanitaria è una forma di protezione (non internazionale) diversa rispetto allo status di rifugiato e allo status di protezione sussidiaria, ed è riconosciuta al richiedente protezione internazionale quando la Commissione Territoriale, pur non accertando la sussistenza di esigenze di protezione internazionale, ritiene che esistano seri motivi di carattere umanitario che giustificano la permanenza del richiedente sul territorio nazionale;
   preso atto che la protezione umanitaria è disciplinata dall'articolo 5, comma 6 del Testo Unico sull'immigrazione e dall'articolo 32, comma 3 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 ma, poiché la disposizione normativa non enuncia in via esemplificativa quali debbano essere considerati i seri motivi, la stessa, pertanto, è suscettibile di ampia interpretazione e si presta a maggior utilizzo, costituendo la forma di protezione più riconosciuta ai richiedenti protezione internazionale (nel 2016 il 21 per cento rispetto al 5 per cento di status di rifugiato e al 14 per cento di status di protezione sussidiaria);
   valutato che la mancanza assoluta di una disciplina normativa che definisca il contenuto del titolo di soggiorno per motivi umanitari ha causato l'adozione di prassi del tutto difformi da parte delle diverse Commissioni territoriali e che la protezione umanitaria va ad aggiungersi ad altre forme di protezione già previste dal nostro ordinamento, in particolare dall'articolo 19 del decreto legislativo n. 286 del 1998, tra cui il permesso di soggiorno per cure mediche, per maternità o per minore età,

impegna il Governo

ad assumere le più opportune iniziative, anche di urgenza, al fine di razionalizzare i sistemi di protezione già disposti dal nostro ordinamento, mediante l'abrogazione della protezione umanitaria di cui all'articolo 5, comma 6 del decreto legislativo n. 286 del 1998 e articolo 32, comma 3 del decreto legislativo n. 25 del 2008.
9/4394/51Castiello, Molteni, Invernizzi.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge C. 4394 di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, reca disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale;
    il sopracitato disegno di legge, all'articolo 8 lettera d) apporta modifiche al decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 introducendo l'articolo 22-bis, nel quale si prevede il coinvolgimento dei richiedenti protezione internazionale, su base volontaria, in attività di utilità sociale in favore delle collettività locali;
    tale norma ha la meritoria finalità di favorire il contatto tra i richiedenti asilo e la comunità locale, con l'effetto di rafforzare i percorsi di integrazione, ed è perciò opportuno evitare che possa prestarsi ad eventuali abusi, attraverso l'adozione di principi di salvaguardia e un'attività di monitoraggio della sua applicazione;
    l'integrazione è certamente uno degli aspetti più critici del sistema asilo, soprattutto in ragione delle difficoltà che i rifugiati hanno nel guadagnare una propria autonomia lavorativa e alloggiativa, e anche da recenti analisi condotte dall'UNHCR emerge come quello del lavoro rappresenti il principale ostacolo all'integrazione;
    secondo stime di Banca d'Italia i richiedenti asilo e i rifugiati hanno, a cinque anni dall'arrivo in Italia, una probabilità d'impiego inferiore non solo ai nativi italiani, ma anche agli altri immigrati, e questo divario si riduce ma non si annulla neppure trascorsi dieci anni dall'ingresso;
    l'investimento di risorse economiche per sostenere i processi di inclusione lavorativa dei rifugiati comporta costi comunque inferiori a quelli che si rischia di pagare per la mancata integrazione, come viene sottolineato nel recente documento della Commissione Europea «Action plan of the integration of third country nationals», che evidenzia come l'inserimento lavorativo dei beneficiari di protezione internazionale potrebbe innalzare il Pil europeo dello 0,23 per cento entro il 2020,

impegna il Governo:

   a chiarire che, dal momento che l'impiego dei richiedenti protezione internazionale nelle attività di utilità sociale di cui all'articolo 8 comma 1 lettera d) avviene su base volontaria, l'accoglienza presso i centri di cui agli articoli 8, comma 2, 9, 11, 14, 19 e 19-bis del decreto-legislativo 18 agosto 2015 n. 142 non può comunque essere subordinata all'adesione a tali attività;
    a valutare l'opportunità di individuare specifiche misure finalizzate ad estendere ai beneficiari, di protezione internazionale, per un periodo limitato successivo al riconoscimento della protezione, la possibilità di godere dei benefici contributivi e fiscali previsti dalla legge n. 381 del 1991 sulle cooperative sociali di tipo B in materia di assunzione di lavoratori svantaggiati.
9/4394/52Beni, Giuseppe Guerini.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge C. 4394 di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, reca disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale;
    il sopracitato disegno di legge, all'articolo 8 lettera d) apporta modifiche al decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 introducendo l'articolo 22-bis, nel quale si prevede il coinvolgimento dei richiedenti protezione internazionale, su base volontaria, in attività di utilità sociale in favore delle collettività locali;
    tale norma ha la meritoria finalità di favorire il contatto tra i richiedenti asilo e la comunità locale, con l'effetto di rafforzare i percorsi di integrazione, ed è perciò opportuno evitare che possa prestarsi ad eventuali abusi, attraverso l'adozione di principi di salvaguardia e un'attività di monitoraggio della sua applicazione;
    l'integrazione è certamente uno degli aspetti più critici del sistema asilo, soprattutto in ragione delle difficoltà che i rifugiati hanno nel guadagnare una propria autonomia lavorativa e alloggiativa, e anche da recenti analisi condotte dall'UNHCR emerge come quello del lavoro rappresenti il principale ostacolo all'integrazione;
    secondo stime di Banca d'Italia i richiedenti asilo e i rifugiati hanno, a cinque anni dall'arrivo in Italia, una probabilità d'impiego inferiore non solo ai nativi italiani, ma anche agli altri immigrati, e questo divario si riduce ma non si annulla neppure trascorsi dieci anni dall'ingresso;
    l'investimento di risorse economiche per sostenere i processi di inclusione lavorativa dei rifugiati comporta costi comunque inferiori a quelli che si rischia di pagare per la mancata integrazione, come viene sottolineato nel recente documento della Commissione Europea «Action plan of the integration of third country nationals», che evidenzia come l'inserimento lavorativo dei beneficiari di protezione internazionale potrebbe innalzare il Pil europeo dello 0,23 per cento entro il 2020,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di individuare specifiche misure finalizzate ad estendere ai beneficiari, di protezione internazionale, per un periodo limitato successivo al riconoscimento della protezione, la possibilità di godere dei benefici contributivi e fiscali previsti dalla legge n. 381 del 1991 sulle cooperative sociali di tipo B in materia di assunzione di lavoratori svantaggiati.
9/4394/52. (Testo modificato nel corso della seduta) Beni, Giuseppe Guerini.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge n. 13 del 17 febbraio 2017 in via di conversione giustamente, all'articolo 18, prevede che il Ministero dell'interno sia chiamato ad assicurare, nell'ambito delle attività di contrasto dell'immigrazione irregolare, la gestione ed il controllo dei procedimenti amministrativi riguardanti le posizioni di ingresso e soggiorno irregolare anche attraverso il Sistema Informativo Automatizzato, al fine di poter disporre in tempo reale di un quadro aggiornato e completo di informazioni, presupposto necessario per poter adottare tutte le adeguate e tempestive decisioni in merito,

impegna il Governo

ad assumere e realizzare con urgenza ogni iniziativa utile, impiegando le risorse finanziarie stanziate a tal fine nel comma 2 del medesimo articolo 18, per predisporre un adeguato ed efficiente sistema di gestione e controllo degli indicati procedimenti, attraverso il raccordo, lo scambio di informazioni e gli indispensabili collegamenti operativi con i diversi strumenti disponibili, quali il Centro elaborazione dati interforze, il Sistema informativo Schengen, il Sistema Automatizzato di Identificazione delle Impronte, il Sistema gestione accoglienza del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno.
9/4394/53Tino Iannuzzi.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge n. 13 del 17 febbraio 2017 in via di conversione giustamente, all'articolo 18, prevede che il Ministero dell'interno sia chiamato ad assicurare, nell'ambito delle attività di contrasto dell'immigrazione irregolare, la gestione ed il controllo dei procedimenti amministrativi riguardanti le posizioni di ingresso e soggiorno irregolare anche attraverso il Sistema Informativo Automatizzato, al fine di poter disporre in tempo reale di un quadro aggiornato e completo di informazioni, presupposto necessario per poter adottare tutte le adeguate e tempestive decisioni in merito,

impegna il Governo

ad assumere ogni iniziativa utile, impiegando le risorse finanziarie stanziate a tal fine nel comma 2 del medesimo articolo 18, per predisporre un adeguato ed efficiente sistema di gestione e controllo degli indicati procedimenti, attraverso il raccordo, lo scambio di informazioni e gli indispensabili collegamenti operativi con i diversi strumenti disponibili, quali il Centro elaborazione dati interforze, il Sistema informativo Schengen, il Sistema Automatizzato di Identificazione delle Impronte, il Sistema gestione accoglienza del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno.
9/4394/53. (Testo modificato nel corso della seduta) Tino Iannuzzi.


   La Camera,
   premesso che:
    una delle maggiori criticità per i rimpatri è data dalla mancanza di Accordi con i Paesi d'origine dei non aventi diritto, soprattutto quelli africani, come pure dalla mancanza di informazioni complete per il giudice che deve disporli;
    è altresì necessario distinguere nelle strutture di permanenza coloro che provengono da strutture carcerarie rispetto a coloro che sono oggetto di un semplice rigetto della domanda di asilo o protezione internazionale,

impegna il Governo:

   ad assumere tutte le iniziative necessarie alla definizione di Accordi con i Paesi africani al fine di pervenire ad Accordi che agevolino il rimpatrio dei non aventi diritto;
   a garantire che durante l'eventuale permanenza in carcere di persone interessate a procedure di rimpatrio, respingimento o espulsione siano adottate tutte le misure necessarie per individuare i Paesi di provenienza per assicurare al giudice di disporre di tutte le informazioni occorrenti per le valutazioni di competenza;
   ad assicurare che, nella fase di permanenza nelle strutture previste dall'atto in discussione, siano adottate misure organizzative per distinguere le persone provenienti da strutture carcerarie da quelle oggetto di un semplice rigetto della domanda di asilo o protezione internazionale.
9/4394/54Carrescia.


   La Camera,
   premesso che:
    è all'esame di questo ramo del Parlamento l'AC 4394 che reca disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e di contrasto all'immigrazione illegale;
    in base alla normativa vigente il diritto di iscrizione alle liste anagrafiche, presupposto per l'esercizio di altri diritti fondamentali, è riconosciuto anche ai richiedenti asilo, in attesa di audizione presso la commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, in quanto titolari di un permesso di soggiorno;
    in Veneto, ed in particolare nella provincia di Treviso, ma anche in Trentino Alto Adige e in Umbria, alcuni amministratori locali e responsabili di uffici dell'anagrafe si stanno interrogando sulla sussistenza o meno dei presupposti per il rilascio della carta d'identità ai richiedenti asilo, ponendo in essere prassi amministrative differenti, talvolta di dubbia legittimità;
    secondo la normativa in vigore infatti, il permesso di soggiorno costituisce prerequisito sufficiente all'iscrizione nelle liste anagrafiche, ma, in mancanza di un passaporto o di un documento d'identità, diventa difficile attestare la reale identità dei soggetti, tanto che spesso le stesse questure appongono in alcuni documenti, ad uso interno, la dicitura testuale: «esatte generalità sconosciute», essendo il riconoscimento dei richiedenti asilo solo convenzionale;
    gli interrogativi maggiori stanno sorgendo in merito all'adeguatezza del rilascio della carta d'identità ai richiedenti asilo in una fase in cui non è stato ancora riconosciuto loro lo status di protezione internazionale: qualora infatti tale riconoscimento venisse successivamente negato, diverrebbe pressoché impossibile controllare gli spostamenti degli ex-richiedenti asilo, che nel frattempo hanno ottenuto una carta di identità della validità di dieci anni dal suo rilascio, che potrebbe essere esibita per le più varie esigenze in uffici pubblici e privati,

impegna il Governo

per quanto di sua competenza, ad adottare tutte le opportune iniziative, anche normative, per l'adozione di un documento di identità specifico e transitorio, che possa esplicare la propria validità in pendenza della procedura di riconoscimento della protezione internazionale, così coniugando la necessaria salvaguardia dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo con le esigenze di legalità e sicurezza del nostro Paese in caso di rigetto della domanda, e assicurando una procedura uniforme su tutto il territorio nazionale.
9/4394/55Rubinato, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    è all'esame di questo ramo del Parlamento l'AC 4394 che reca disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e di contrasto all'immigrazione illegale;
    in base alla normativa vigente il diritto di iscrizione alle liste anagrafiche, presupposto per l'esercizio di altri diritti fondamentali, è riconosciuto anche ai richiedenti asilo, in attesa di audizione presso la commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, in quanto titolari di un permesso di soggiorno;
    in Veneto, ed in particolare nella provincia di Treviso, ma anche in Trentino Alto Adige e in Umbria, alcuni amministratori locali e responsabili di uffici dell'anagrafe si stanno interrogando sulla sussistenza o meno dei presupposti per il rilascio della carta d'identità ai richiedenti asilo, ponendo in essere prassi amministrative differenti, talvolta di dubbia legittimità;
    secondo la normativa in vigore infatti, il permesso di soggiorno costituisce prerequisito sufficiente all'iscrizione nelle liste anagrafiche, ma, in mancanza di un passaporto o di un documento d'identità, diventa difficile attestare la reale identità dei soggetti, tanto che spesso le stesse questure appongono in alcuni documenti, ad uso interno, la dicitura testuale: «esatte generalità sconosciute», essendo il riconoscimento dei richiedenti asilo solo convenzionale;
    gli interrogativi maggiori stanno sorgendo in merito all'adeguatezza del rilascio della carta d'identità ai richiedenti asilo in una fase in cui non è stato ancora riconosciuto loro lo status di protezione internazionale: qualora infatti tale riconoscimento venisse successivamente negato, diverrebbe pressoché impossibile controllare gli spostamenti degli ex-richiedenti asilo, che nel frattempo hanno ottenuto una carta di identità della validità di dieci anni dal suo rilascio, che potrebbe essere esibita per le più varie esigenze in uffici pubblici e privati,

impegna il Governo

per quanto di sua competenza, ad adottare tutte le opportune iniziative, anche normative, per l'adozione di un documento di identità specifico e transitorio, che possa esplicare la propria validità in attesa della procedura di riconoscimento della protezione internazionale.
9/4394/55. (Testo modificato nel corso della seduta) Rubinato, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 12 del provvedimento in esame autorizza il Ministero dell'interno ad assumere fino a 250 unità di personale a tempo indeterminato per il biennio 2017-2018, da destinare agli uffici delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e della Commissione nazionale per il diritto di asilo;
    la necessità di aumentare le risorse umane degli uffici delle Commissioni richiamate deriva dagli impegni connessi all'eccezionale incremento del numero delle richieste di protezione internazionale e con la finalità di far fronte alle esigenze di servizio per accelerare la fase dei colloqui;
    la disposizione specifica che si tratta di personale «altamente qualificato per l'esercizio di funzioni di carattere specialistico», da ascrivere all'Area III dell'amministrazione civile dell'interno,

impegna il Governo

ad adottare ogni opportuna iniziativa volta a finalizzare le assunzioni previste dall'articolo riportato in premessa alla creazione di un corpo specializzato di istruttori intervistatori a supporto delle Commissioni territoriali e della Commissione nazionale per il diritto di asilo.
9/4394/56Ravetto.


   La Camera,
   premesso che:
    il massiccio fenomeno migratorio che sta interessando l'intera area europea e che nell'Italia vede uno dei paesi maggiormente esposti al primo impatto sulle rotte dei trafficanti di uomini;
    il decreto-legge investe una serie di problematiche a ciò conseguenti,

impegna il Governo

a fronte delle dichiarazioni rese in ordine all'istituzione di nuovi hotspot nel territorio nazionale, affinché nessun hotspot possa essere istituito presso la città di Messina.
9/4394/57D'Uva.


   La Camera,
   premesso che:
    la situazione internazionale in Siria ci ha recentemente mostrato immagini drammatiche che stanno sconvolgendo tutte le sedi internazionali. L'orrore del nuovo bombardamento ha il volto di bimbi colpiti anche negli ospedali dove erano appena stati ricoverati. Il raid aereo con gas tossici lanciato contro Khan Sheikhun, città nella provincia nord-occidentale di Idlib, attualmente sotto il controllo dei ribelli, ha fatto almeno 72 morti, tra i quali – secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani – almeno venti bambini e diciassette donne. E non è stato l'unico;
    nuovi raid sono stati segnalati nella zona e molte bombe hanno colpito gli ospedali. Importanti, e soprattutto veritiere, le testimonianze dei volontari che operano nella zona e sono inseriti in organizzazioni internazionali, che si prodigano nella cura di quei bambini;
    la denuncia in tempo reale della situazione riguarda presenti minori esposti ad ogni genere di violenza, compresa quella che scaturisce dalla fame, dalla mancanza di farmaci, dalla assenza dei genitori; si tratta di bambini soli alle prese con condizioni inimmaginabili per noi allo stato attuale dei fatti;
    la Comunità internazionale sta reagendo con durezza. Se sarà confermato che l'attacco in Siria è un attacco chimico, come sembra, la denuncia è quella di crimine di guerra. Anche la Commissione d'inchiesta delle Nazioni Unite sui diritti umani in Siria ha avviato le indagini sul bombardamento, ricordando che l'uso di armi chimiche come gli attacchi deliberati contro strutture mediche equivale a crimini di guerra ed a gravi violazioni del diritto umanitario internazionale. Sia la Francia che la Gran Bretagna hanno chiesto un incontro di emergenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite;
    il Parlamento ha recentemente votato una legge che riguarda i minori non accompagnati e che mette in evidenza tutta una serie di misure positive di accoglienza e di integrazione, in una prospettiva con forti valenze educative che fa dell'Italia il primo Paese ad essersi assunto responsabilità di così alto profilo umanitario;
    l'attuale II decreto-legge presenta un contenuto omogeneo, in quanto contiene un complesso di misure tra loro strettamente connesse, coordinate o conseguenti al nucleo fondamentale del provvedimento – finalizzate ad accelerare i procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché a contrastare l'immigrazione illegale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di considerare anche nell'ambito dei procedimenti in materia di protezione internazionale, lo stato di emergenza dei minori in Siria come una priorità di civiltà nell'attuale quadro europeo e quindi a sollecitare, anche in occasione del prossimo G7 di Taormina una presa di posizione da condividere a livello europeo per tutelare una intera generazione di piccoli siriani, garantendo loro, come ricorda la Carta dei diritti dell'infanzia gli indispensabili mezzi di sopravvivenza per assicurare diritto alla vita, alla salute, all'accesso all'istruzione.
9/4394/58Binetti, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame reca disposizioni per garantire l'identificazione degli stranieri presenti irregolarmente sul territorio nazionale,

impegna il Governo

a prevedere nei confronti dei medesimi stranieri accertamenti sanitari e le adeguate misure di profilassi, nonché accertamenti in merito alla presenza di eventuali precedenti penali o legami con organizzazioni o attività terroristiche.
9/4394/59Rampelli, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame all'articolo 6 disciplina il procedimento per l'impugnazione dei provvedimenti adottati dall'Unità di Dublino;
    tale unità decide in merito a quale Stato sia competente ad esaminare la richiesta di protezione internazionale in base al Regolamento di Dublino che individua il paese di primo ingresso,

impegna il Governo

ad adottare le iniziative di competenza in ambito internazionale volte alla revisione del Regolamento Dublino III.
9/4394/60Totaro, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame reca disposizioni per contrastare l'afflusso di migranti irregolari sul territorio nazionale;
    l'Unione europea sta vagliando l'ipotesi di organizzare una linea di blocco navale al fine di impedire ai trafficanti di esseri umani di svolgere la propria attività,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative in ambito europeo volte alla realizzazione di un blocco navale davanti alle coste della Libia.
9/4394/61La Russa, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    ad oggi l’iter per il riconoscimento della protezione umanitaria e dello status di rifugiato è durato mediamente almeno due anni tra richiesta, esito della Commissione territoriale, ricorsi giurisdizionali;
    durante tutto l'iter lo Stato italiano ha investito risorse significative a sostegno dell'accoglienza dei richiedenti la protezione;
    queste risorse spese dallo Stato si sono normalmente tradotte in un impegno profuso da Enti locali e privati del Terzo Settore volto all'insegnamento della lingua italiana e all'apprendimento di una professionalità da spendersi nel mercato del lavoro;
    ad oggi molti di questi iter si sono conclusi con il diniego di ogni forma di riconoscimento, fatto questo che preluderebbe all'ordine di rimpatrio,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di sanare la posizione di queste persone, con il rilascio di permessi di soggiorno di lungo periodo, verificato che nel frattempo le attività volte al sostegno dell'accoglienza nelle more dell’iter di cui sopra abbiano realizzato condizioni di integrazione sociale positive.
9/4394/62Mattiello, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    ad oggi l’iter per il riconoscimento della protezione umanitaria e dello status di rifugiato è durato mediamente almeno due anni tra richiesta, esito della Commissione territoriale, ricorsi giurisdizionali;
    durante tutto l’iter lo Stato italiano ha investito risorse significative a sostegno dell'accoglienza dei richiedenti la protezione;
    queste risorse spese dallo Stato si sono normalmente tradotte in un impegno profuso da Enti locali e privati del Terzo Settore volto all'insegnamento della lingua italiana e all'apprendimento di una professionalità da spendersi nel mercato del lavoro;
    ad oggi molti di questi iter si sono conclusi con il diniego di ogni forma di riconoscimento, fatto questo che preluderebbe all'ordine di rimpatrio,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità del rilascio di permessi di soggiorno nelle more dell’iter di cui sopra.
9/4394/62. (Testo modificato nel corso della seduta) Mattiello, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame istituisce sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea presso ogni tribunale distrettuale (tribunale avente sede nel capoluogo del distretto di Corte d'appello);
    l'istituzione di sezioni specializzate risponde all'esigenza di assicurare una maggiore celerità ai ricorsi giurisdizionali in materia di immigrazione, a fronte del significativo aumento delle richieste di protezione internazionale registratosi negli anni 2013-2016 in conseguenza dell'eccezionale afflusso di migranti,

impegna il Governo

ad adottare ogni opportuna iniziativa volta alla rideterminazione delle piante organiche degli uffici giudiziari, relativamente al personale di magistratura, per far fronte alle esigenze derivanti dall'attuazione delle disposizioni del provvedimento in esame.
9/4394/63Occhiuto, Ravetto, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame istituisce sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea presso ogni tribunale distrettuale (tribunale avente sede nel capoluogo del distretto di Corte d'appello);
    l'istituzione di sezioni specializzate risponde all'esigenza di assicurare una maggiore celerità ai ricorsi giurisdizionali in materia di immigrazione, a fronte del significativo aumento delle richieste di protezione internazionale registratosi negli anni 2013-2016 in conseguenza dell'eccezionale afflusso di migranti,

impegna il Governo

a valutare ogni opportuna iniziativa volta alla rideterminazione delle piante organiche degli uffici giudiziari, relativamente al personale di magistratura, per far fronte alle esigenze derivanti dall'attuazione delle disposizioni del provvedimento in esame.
9/4394/63. (Testo modificato nel corso della seduta) Occhiuto, Ravetto, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 20 del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13 recante «Disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale», nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale prevede che entro il 30 giugno di ciascuno dei tre anni successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione il Governo presenti alle Commissioni parlamentari una relazione sullo stato di attuazione del decreto in esame,

impegna il Governo

a pubblicare sul sito del Ministero dell'Interno i dati relativi allo stato di attuazione, in particolare sulle procedure di Identificazione e per la definizione della posizione giuridica del cittadini di paesi non appartenenti all'Unione europea nonché sulle misure adottate per il contrasto dell'immigrazione illegale e del traffico di migranti.
9/4394/64Cristian Iannuzzi.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame introduce diverse disposizioni relative alle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui all'articolo 1-quater del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39;
    le Commissioni territoriali decidono in merito alle domande di protezione internazionale e sono distribuite sul territorio nazionale: nella legislatura in corso, l'articolo 5 del decreto-legge n. 119 del 2014 ha aumentato da 10 a 20 il numero massimo delle Commissioni territoriali ed ha elevato fino ad un massimo di trenta per l'intero territorio nazionale il numero delle sezioni (composte da membri supplenti delle commissioni territoriali) che possono essere istituite con decreto del Ministro dell'interno al verificarsi di un eccezionale incremento delle domande di asilo connesso all'andamento dei flussi migratori e per il tempo strettamente necessario da determinare nello stesso decreto (articolo 4, comma 2-bis, decreto legislativo 25 del 2008). Il decreto ha disposto inoltre l'insediamento delle commissioni presso le prefetture, che forniscono il necessario supporto organizzativo e logistico, con il coordinamento del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno;
    gli impegni connessi all'eccezionale incremento del numero delle richieste di protezione internazionale determinano la necessità di aumentare le Commissioni territoriali, determinando il loro numero sulla base delle province,

impegna il Governo

ad adottare ogni opportuna iniziativa volta a rideterminare la distribuzione sul territorio nazionale delle Commissioni territoriali, istituendone almeno una per ogni provincia italiana.
9/4394/65Gregorio Fontana, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    la questione della presenza di detenuti stranieri nelle carceri è uno dei temi attualmente più condizionanti il sistema penitenziario italiano, data l'incidenza sull'annoso problema del sovraffollamento. Il fenomeno è poi strettamente connesso al considerevole aumento dei flussi migratori e delle inevitabili ripercussioni sul fronte della criminalità;
    il principale strumento per attuare il trasferimento delle persone condannate è la Convenzione del Consiglio d'Europa firmata a Strasburgo il 21 marzo 1983, che l'Italia ha ratificato nel 1988; la Convenzione ha infatti lo scopo di favorire il reinserimento sociale delle persone condannate permettendo ad uno straniero, privato della libertà in seguito a reato penale, di scontare la pena nel suo Paese d'origine,

impegna il Governo:

   a promuovere accordi bilaterali volti ad agevolare il trasferimento dei detenuti provenienti dai Paesi che fanno registrare il maggior flusso di immigrazione verso l'Italia, e, più in generale, con quei Paesi i cui cittadini registrano un alto tasso di presenza nelle carceri italiane;
   ad adottare ogni opportuna iniziativa volta ad incentivare l'utilizzo delle procedure previste dalla Convenzione di Strasburgo;
   ad adoperarsi, presso le sedi internazionali, per invitare i Paesi non firmatari ad aderire alla Convenzione di Strasburgo;
   a promuovere ogni iniziativa volta a semplificare le procedure di trasferimento dei detenuti stranieri, anche attraverso la promozione della conoscenza dello strumento del trasferimento e il confronto con gli organi giudiziari competenti nazionali e dei Paesi i cui cittadini hanno il più elevato tasso di presenza negli istituti penitenziari, come l'Albania e la Romania;
   ad informare annualmente il Parlamento in merito ai dati relativi all'attuazione di accordi bilaterali per il rimpatrio dei detenuti stranieri, nonché in riferimento all'utilizzo delle procedure previste dalla Convenzione di Strasburgo.
9/4394/66Bergamini, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame contiene alcune misure di contrasto all'immigrazione irregolare. In particolare si stabilisce che il Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno è tenuto ad assicurare la gestione e il monitoraggio, attraverso strumenti informatici, dei procedimenti amministrativi in materia di ingresso e soggiorno irregolare, anche attraverso l'attivazione di un Sistema Informativo Automatizzato – SIA, che dovrà essere interconnesso con i centri e i sistemi ivi indicati assicurando altresì lo scambio di informazioni tempestivo con il sistema di gestione accoglienza del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione dello stesso Ministero dell'interno;
    non è stato però previsto nessun intervento specifico in grado di colpire gli sbarchi dei migranti irregolari. Non è inoltre previsto alcun monitoraggio specifico relativo all'attività delle Organizzazioni non governative che operano nel Mar Mediterraneo. È noto infatti come l'intervento immediato delle navi delle Ong renda inutili le indagini sui facilitatori delle organizzazioni criminali. Tra l'altro, nonostante la presenza di diverse imbarcazioni, il numero dei morti durante i naufragi non è diminuito;
    da alcune settimane infatti la procura di Catania ha aperto un'indagine conoscitiva sul fenomeno delle Organizzazioni non governative che prestano soccorso ai migranti in mare nelle acque tra la Sicilia e il Nord Africa, visto che a partire dal settembre-ottobre 2016 è stato registrato un improvviso proliferare di unità navali delle Ong che accompagnano fino al nostro territorio i barconi dei migranti,

impegna il Governo:

   ad accertare quali imbarcazioni entrano nelle acque territoriali libiche per recuperare i migranti o segnalano la propria presenza mediante telecomunicazioni o dispositivi luminosi a trafficanti di persone e scafisti perché questi possano mettere in mare le persone che intendono trasportare in Italia;
   ad addebitare alle organizzazioni le quali gestiscono le imbarcazioni che tengono i comportamenti suddetti i costi dell'accoglienza delle persone da esse trasportate;
   ad escludere rigorosamente tali organizzazioni e quelle che con esse collaborano non occasionalmente da ogni tipo di attività di accoglienza di immigrati in qualsiasi modo retribuita a carico della finanza pubblica.
9/4394/67Vito, Occhiuto, Laffranco, Palese.