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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Mercoledì 25 gennaio 2017

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 25 gennaio 2017.

  Adornato, Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amendola, Amici, Amoddio, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bergamini, Bernardo, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonafede, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Capelli, Carbone, Casero, Caso, Castiglione, Catania, Causin, Centemero, Antimo Cesaro, Cicchitto, Cimbro, Cirielli, Colonnese, Coppola, Costa, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Menech, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Gadda, Galati, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Giorgis, Gozi, Guerra, Kronbichler, Lauricella, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Mantero, Marazziti, Mazziotti Di Celso, Migliore, Miotto, Mucci, Nicoletti, Orlando, Pannarale, Piepoli, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Francesco Saverio Romano, Rosato, Domenico Rossi, Rossomando, Rughetti, Sanga, Sani, Santerini, Scalfarotto, Scanu, Scotto, Sereni, Sottanelli, Spadoni, Tabacci, Valeria Valente, Velo, Vignali, Zampa.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

  Adornato, Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amendola, Amici, Amoddio, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bergamini, Bernardo, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonafede, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Capelli, Carbone, Casero, Caso, Castiglione, Catania, Causin, Centemero, Antimo Cesaro, Cicchitto, Cimbro, Cirielli, Colonnese, Coppola, Costa, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Menech, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Ferrara, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Fraccaro, Franceschini, Galati, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Giorgis, Gozi, Lorenzo Guerini, Guerra, Kronbichler, Lauricella, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Mazziotti Di Celso, Meta, Migliore, Mucci, Nicoletti, Orlando, Pannarale, Piccoli Nardelli, Piepoli, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Francesco Saverio Romano, Rosato, Domenico Rossi, Rossomando, Rughetti, Sanga, Sani, Santerini, Scalfarotto, Scanu, Scotto, Sereni, Sottanelli, Spadoni, Speranza, Tabacci, Tofalo, Valeria Valente, Velo, Vignali, Villecco Calipari, Zampa.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 24 gennaio 2017 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   NASTRI: «Disposizioni concernenti la concessione di garanzie in favore degli imprenditori che hanno subìto effetti derivanti dalla restrizione del credito bancario» (4242);
   CIRIELLI: «Disposizioni concernenti la tutela assicurativa per infortuni e malattie del personale del comparto sicurezza e difesa» (4243);
   CAUSIN: «Modifiche al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, in materia di sanzioni applicabili dal giudice di pace per comportamenti lesivi della sicurezza e del decoro urbano» (4244);
   VITO: «Disposizioni per la tutela del personale delle Forze armate e di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco» (4245).

  Saranno stampate e distribuite.

Adesione di deputati a proposte di legge.

  La proposta di legge IACONO ed altri: «Disposizioni per l'istituzione di ferrovie turistiche mediante il reimpiego di linee in disuso o in corso di dismissione situate in aree di particolare pregio naturalistico o archeologico» (1178) è stata successivamente sottoscritta in data 24 gennaio dalle deputate Malisani e Piccione.

  La proposta di legge FUCCI e DISTASO: «Disposizioni per introdurre l'educazione all'igiene orale nelle scuole di ogni ordine e grado» (4001) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Ciracì e Palese.

Trasmissione dalla Presidenza del Consiglio dei ministri.

  La Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per l'informazione e l'editoria, con lettera in data 20 gennaio 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 3, comma 6, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, un documento concernente le misure consequenziali adottate in riferimento alla relazione della Corte dei conti - Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato concernente la gestione dell'attività del Dipartimento per l'informazione e l'editoria (2005-2014), approvata con deliberazione n. 7/2016 del 5-20 luglio 2016, di cui è stato dato annuncio nell'Allegato A al resoconto della seduta del 2 agosto 2016.

  Questo documento è trasmesso alla V Commissione (Bilancio) e alla VII Commissione (Cultura).

Trasmissione dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali.

  Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha trasmesso un decreto ministeriale recante una variazione di bilancio tra capitoli dello stato di previsione del medesimo Ministero, autorizzata, in data 28 dicembre 2016, ai sensi dell'articolo 3, comma 5, del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279.

  Questo decreto è trasmesso alla V Commissione (Bilancio) e alla XIII Commissione (Agricoltura).

Trasmissione dal Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione.

  Il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, con lettera in data 23 gennaio 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 53, comma 16, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la relazione sui dati raccolti attraverso l'Anagrafe delle prestazioni e degli incarichi conferiti ai pubblici dipendenti e a consulenti e collaboratori esterni, riferita all'anno 2015 (Doc. CLI, n. 4).

  Questa relazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla XI Commissione (Lavoro).

Trasmissione dal Commissario di cui all'articolo 86 della legge 27 dicembre 2002, n. 289.

  Il Commissario di cui all'articolo 86 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, con lettera in data 9 gennaio 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 2, comma 2, primo periodo, del decreto-legge 12 maggio 2014, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 2014, n. 97, la relazione sull'attività svolta dal medesimo Commissario e sull'entità dei lavori ancora da eseguire, nonché la relativa rendicontazione contabile, aggiornata al 31 dicembre 2016 (Doc. CCXIX, n. 6).

  Questa relazione è trasmessa alla VIII Commissione (Ambiente).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 24 gennaio 2017, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio concernente l'efficacia della direttiva 89/665/CEE e della direttiva 92/13/CEE, come modificate dalla direttiva 2007/66/CE, sulle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione di appalti pubblici (COM(2017) 28 final), che è assegnata in sede primaria alle Commissioni riunite II (Giustizia) e VIII (Ambiente);
   Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Rafforzare i diritti dei cittadini in un'Unione di cambiamento democratico – Relazione sulla cittadinanza dell'Unione europea (COM(2017) 30 final), che è assegnata in sede primaria alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e XIV (Politiche dell'Unione europea);
   Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni ai sensi dell'articolo 25 TFUE sui progressi verso l'effettiva cittadinanza dell'Unione europea 2013-2016 (COM(2017) 32 final), che è assegnata in sede primaria alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e XIV (Politiche dell'Unione europea).

  Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 24 gennaio 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 1 e 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.
  Questi atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).
  Con la predetta comunicazione, il Governo ha altresì richiamato l'attenzione sui seguenti documenti, già trasmessi dalla Commissione europea e assegnati alle competenti Commissioni, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento:
   Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio – Ottava relazione sulla ricollocazione e il reinsediamento (COM(2016) 791 final);
   Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni relativa alle raccomandazioni di riforma per la regolamentazione dei servizi professionali (COM(2016) 820 final);
   Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a un test della proporzionalità prima dell'adozione di una nuova regolamentazione delle professioni (COM(2016) 822 final);
   Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al quadro giuridico e operativo della carta elettronica europea dei servizi introdotta dal regolamento... [regolamento ESC] (COM(2016) 823 final);
   Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che introduce una carta elettronica europea dei servizi e le relative strutture amministrative (COM(2016) 824 final);
   Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio – Terza relazione sui progressi compiuti verso un'autentica ed efficace Unione della sicurezza (COM(2016) 831 final);
   Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 806/2014 per quanto riguarda la capacità di assorbimento delle perdite e di ricapitalizzazione per gli enti creditizi e le imprese di investimento (COM(2016) 851 final);
   Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2014/59/UE sulla capacità di assorbimento di perdite e di ricapitalizzazione degli enti creditizi e delle imprese di investimento e le direttive 98/26/CE, 2002/47/CE, 2012/30/UE, 2011/35/UE, 2005/56/CE, 2004/25/CE e 2007/36/CE (COM(2016) 852 final);
   Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio – Valutazione dei programmi di monitoraggio condotti dagli Stati membri a norma della direttiva quadro sulla strategia per l'ambiente marino (COM(2017) 3 final);
   Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Lavoro più sicuro e più sano per tutti – Aggiornamento della normativa e delle politiche dell'Unione europea in materia di salute e sicurezza sul lavoro (COM(2017) 12 final);
   Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull'attuazione e la pertinenza del piano di lavoro dell'Unione europea per lo sport (2014 – 2017) (COM(2017) 22 final).

Annunzio di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo.

  La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettere in data 10 e 17 gennaio 2017, ha dato comunicazione, ai sensi della legge 9 gennaio 2006, n. 12, delle seguenti sentenze pronunciate dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nei confronti dello Stato italiano, divenute definitive nei mesi di dicembre 2016 e gennaio 2017, che sono inviate alle sottoindicate Commissioni competenti per materia nonché alla III Commissione (Affari esteri):
   sentenza del 15 dicembre 2016, Khlaifia ed altri n. 16483/12, in materia di espulsioni. In relazione ai ricorsi presentati da alcuni cittadini stranieri, trattenuti in un centro di soccorso e di prima accoglienza e poi rimpatriati, la Corte ha constatato: 1) la violazione dell'articolo 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), in quanto la privazione della libertà dei ricorrenti non si era conformato al principio generale della certezza del diritto e contrastava con lo scopo di proteggere l'individuo da detenzione arbitraria, perché priva di base legale nel diritto italiano; 2) la violazione dell'articolo 13 (diritto a un ricorso effettivo) della CEDU in relazione all'articolo 3 (divieto di trattamenti disumani e degradanti) della CEDU, poiché il Governo italiano non aveva indicato alcun rimedio che potesse essere esperito dai ricorrenti per denunciare le condizioni di trattenimento. La Corte non ha ritenuto invece sussistente la violazione dell'articolo 3 della CEDU sotto il profilo sostanziale, né la violazione dell'articolo 4 (divieto di espulsioni collettive) del Protocollo 4 alla CEDU e dell'articolo 13 della CEDU rispetto a quest'ultimo (Doc. CLXXIV, n. 113) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
   sentenza del 6 ottobre 2016, Richmond Yaw ed altri n. 3342/11, 3391/11, 3408/11, 3447/11, in materia di diritto alla libertà e alla sicurezza. In relazione ai ricorsi presentati da alcuni cittadini stranieri, per i quali era stato illegittimamente il trattenimento presso un centro di identificazione e di espulsione, volti a ottenere la riparazione del danno da ingiusta detenzione, la Corte ha constatato la violazione dell'articolo 5, paragrafo 1, lettera f), della CEDU, in quanto la proroga della detenzione non era legittima per mancanza del contraddittorio nonché la violazione dell'articolo 5, paragrafo 5, della CEDU, in considerazione dell'inapplicabilità dell'articolo 314 del codice di procedura penale, relativo alla domanda di riparazione per ingiusta detenzione, al caso dei ricorrenti (Doc. CLXXIV, n. 114) – alla II Commissione (Giustizia).

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

PROPOSTA DI LEGGE: S. 1375 – D'INIZIATIVA DEI SENATORI PAGLIARI ED ALTRI: MODIFICA ALLA LEGGE 20 DICEMBRE 2012, N. 238, PER IL SOSTEGNO E LA VALORIZZAZIONE DEL FESTIVAL VERDI DI PARMA E BUSSETO E DEL ROMA EUROPA FESTIVAL (APPROVATA DAL SENATO) (A.C. 4113)

A.C. 4113 – Parere della I Commissione

PARERE DELLA I COMMISSIONE SULLE PROPOSTE EMENDATIVE PRESENTATE

NULLA OSTA

sugli emendamenti contenuti nel fascicolo n. 1.

A.C. 4113 – Parere della V Commissione

PARERE DELLA V COMMISSIONE SULLE PROPOSTE EMENDATIVE PRESENTATE

PARERE CONTRARIO

sugli emendamenti 1.2 e 2.1, in quanto suscettibili di determinare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica privi di idonea quantificazione e copertura;

NULLA OSTA

sulle restanti proposte emendative.

A.C. 4113 – Articolo 1

ARTICOLO 1 DELLA PROPOSTA DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Art. 1.

  1. All'articolo 2, comma 1, della legge 20 dicembre 2012, n. 238, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «nonché, a decorrere dal 2017, un contributo di un milione di euro ciascuna a favore della Fondazione Teatro Regio di Parma per la realizzazione del Festival Verdi di Parma e Busseto e della Fondazione Romaeuropa Arte e Cultura per la realizzazione del Roma Europa Festival».

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 1 DELLA PROPOSTA DI LEGGE

ART. 1.

  Sopprimerlo.

  Conseguentemente, sopprimere gli articoli 2 e 3.
1. 1. Luigi Gallo, Vacca, Simone Valente, Di Benedetto, Brescia, Marzana, D'Uva.

  Sostituirlo con il seguente:

Art. 1.

  1. Con decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, da adottarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, è indetta la selezione dei progetti culturali finalizzati alla realizzazione di manifestazioni culturali. Il medesimo decreto definisce i criteri di selezione dei progetti, privilegiandone il carattere internazionale, nonché l'entità e le modalità di erogazione del finanziamento.
  2. Agli oneri derivanti dall'attuazione del comma 1 si provvede mediante riduzione di 2 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017 del Fondo di cui all'articolo 1, comma 200, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.

  Conseguentemente, sopprimere l'articolo 2.
1. 2. Luigi Gallo, Vacca, Simone Valente, Di Benedetto, Brescia, Marzana, D'Uva.

  Al comma 1, aggiungere, in fine, le parole:, nonché della Fondazione Umbria Jazz per la realizzazione del Festival di Umbria Jazz.

  Conseguentemente, all'articolo 2, comma 1, sostituire le parole: 2 milioni con le seguenti: 3 milioni.
1. 3. Polidori, Palmieri.

A.C. 4113 – Articolo 2

ARTICOLO 2 DELLA PROPOSTA DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Art. 2.

  1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, pari a 2 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2017, si provvede mediante riduzione dell'autorizzazione di spesa relativa al Fondo unico per lo spettacolo di cui all'articolo 1 della legge 30 aprile 1985, n. 163, come rideterminata dalla tabella C della legge 28 dicembre 2015, n. 208.

PROPOSTA EMENDATIVA RIFERITA ALL'ARTICOLO 2 DELLA PROPOSTA DI LEGGE

ART. 2.

  Sopprimerlo.
2. 1. Luigi Gallo, Vacca, Simone Valente, Di Benedetto, Brescia, Marzana, D'Uva.

A.C. 4113 – Articolo 3

ARTICOLO 3 DELLA PROPOSTA DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Art. 3.

  1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

A.C. 4113 – Ordini del giorno

ORDINI DEL GIORNO

   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame, già approvato dal Senato, reca disposizioni finalizzate a riconoscere un contributo annuo, a decorrere dal 2017, alla Fondazione Teatro Regio di Parma e alla Fondazione Roma Europa Arte e Cultura;
   nel presupposto che le risorse del Fondo unico per lo spettacolo utilizzate a copertura degli oneri derivanti dal provvedimento, ai sensi dell'articolo 2, siano esclusivamente quelle di parte corrente,

impegna il Governo

a prevedere, anche in successivi interventi normativi, ulteriori misure a favore della cultura dirette a valorizzare ulteriori fondazioni culturali.
9/4113/1Matarrelli, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il testo in esame riconosce il valore di due importanti manifestazioni del panorama culturale italiano tramite l'assegnazione di risorse fisse ed aggiuntive a valere sul Fondo Unico per lo spettacolo (Fus);
    la riorganizzazione ed il riordino del Fus rappresentano un tema di grande attualità che in questi anni, anche alla luce dei nuovi criteri triennali stabiliti nel 2014, ha prodotto novità significative, ma anche questioni problematiche che meritano una risoluzione e l'avvio di un confronto all'interno del disegno di legge S. 2287-bis, relativo allo spettacolo dal vivo attualmente all'esame della Commissione cultura del Senato;
    il disegno di legge sopracitato, nell'assegnare specifiche deleghe al Governo per la revisione delle disposizioni vigenti in materia, prevede la possibile redazione anche di un unico testo normativo denominato «codice dello spettacolo» diretto a conferire al settore un assetto più razionale e organico e conforme ai princìpi di semplificazione delle procedure amministrative e razionalizzazione della spesa e volto a incentivare e migliorare la qualità artistico culturale delle attività, nonché della fruizione da parte della collettività;
    compito primario del disegno di legge dovrà essere inoltre quello di favorire una nuova disciplina organica del Fus, che tenga conto di alcune delle criticità emerse nell'applicazione dei nuovi criteri triennali 2014-2017 e che contenga il ricorso a finanziamenti individuali, stabiliti per legge, a favore di specifici soggetti dello spettacolo dal vivo al fine di garantire pari opportunità di finanziamento adeguate a tutti i soggetti interessati,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere, nell'ambito della revisione della normativa concernente lo spettacolo dal vivo, una disciplina organica del Fus, contenendo il ricorso a finanziamenti individuali, stabiliti per legge, a favore di specifici soggetti dello spettacolo dal vivo al fine di garantire pari opportunità di finanziamento adeguate a tutti i soggetti interessati.
9/4113/2Manzi, Rampi, Narduolo, Malisani, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento all'esame, è finalizzato ad erogare un contributo annuale alla Fondazione Teatro Regio di Parma e alla Fondazione Romaeuropa Arte e Cultura, che attualmente beneficiano anche di contributi a valere sul Fondo unico per lo spettacolo (FUS);
    con il presente ordine del giorno si vuole focalizzare l'attenzione sulla Fondazione Teatro Regio di Parma e sulla mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori che da un anno chiedono a dirigenza e al principale socio della Fondazione, il Comune, un confronto su organizzazione del lavoro, rispetto degli orari, carichi di lavoro, verifica ed adeguamento dei livelli di inquadramento, premio integrativo di produttività e sulla formazione, fondamentale per garantire la salvaguardia dell'occupazione, professionalità, qualità, periodi di lavoro, rispetto degli accordi sulle assunzioni degli stagionali. L'unica reazione alle richieste è stata la decisione unilaterale della fondazione di assumere a tempo indeterminato 11 lavoratori, non facenti parte dei precari storici che, secondo gli accordi aziendali del 2012 e del 2014, avrebbero dovuto prioritariamente ottenere la stabilizzazione. Le organizzazioni sindacali Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom Uil di Parma, Rsa, insieme all'assemblea dei lavoratori della Fondazione Teatro Regio di Parma, in una nota congiunta, evidenziano « la non più sostenibile gestione delle relazioni sindacali presso la Fondazione e gli innumerevoli problemi ancora irrisolti»;
    a giudizio degli interroganti, la condizione di disagio dei dipendenti getta un'ombra sulla correttezza dei rapporti tra l'amministrazione del personale della Fondazione, i dipendenti e rappresentanti sindacali, poiché si presuppone che chi beneficia di contributi statali, soldi pubblici che potrebbero essere dirottati per altre finalità, debba attenersi scrupolosamente e più di altri a condotte eticamente rispettose dei diritti dei suoi lavoratori,

impegna il Governo

a verificare la situazione lamentata dai lavoratori della Fondazione Teatro Regio di Parma, ponendo la soluzione delle controversie come condizione indispensabile ai fini dell'erogazione del contributo.
9/4113/3Andrea Maestri, Civati, Brignone, Matarrelli, Pastorino, Artini, Baldassarre, Bechis, Segoni, Turco, Labriola, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento all'esame, è finalizzato ad erogare un contributo annuale alla Fondazione Teatro Regio di Parma e alla Fondazione Romaeuropa Arte e Cultura, che attualmente beneficiano anche di contributi a valere sul Fondo unico per lo spettacolo (FUS);
    con il presente ordine del giorno si vuole focalizzare l'attenzione sulla Fondazione Teatro Regio di Parma e sulla mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori che da un anno chiedono a dirigenza e al principale socio della Fondazione, il Comune, un confronto su organizzazione del lavoro, rispetto degli orari, carichi di lavoro, verifica ed adeguamento dei livelli di inquadramento, premio integrativo di produttività e sulla formazione, fondamentale per garantire la salvaguardia dell'occupazione, professionalità, qualità, periodi di lavoro, rispetto degli accordi sulle assunzioni degli stagionali. L'unica reazione alle richieste è stata la decisione unilaterale della fondazione di assumere a tempo indeterminato 11 lavoratori, non facenti parte dei precari storici che, secondo gli accordi aziendali del 2012 e del 2014, avrebbero dovuto prioritariamente ottenere la stabilizzazione. Le organizzazioni sindacali Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom Uil di Parma, Rsa, insieme all'assemblea dei lavoratori della Fondazione Teatro Regio di Parma, in una nota congiunta, evidenziano « la non più sostenibile gestione delle relazioni sindacali presso la Fondazione e gli innumerevoli problemi ancora irrisolti»;
    a giudizio degli interroganti, la condizione di disagio dei dipendenti getta un'ombra sulla correttezza dei rapporti tra l'amministrazione del personale della Fondazione, i dipendenti e rappresentanti sindacali, poiché si presuppone che chi beneficia di contributi statali, soldi pubblici che potrebbero essere dirottati per altre finalità, debba attenersi scrupolosamente e più di altri a condotte eticamente rispettose dei diritti dei suoi lavoratori,

impegna il Governo

a seguire la situazione dei lavoratori della Fondazione Teatro Regio di Parma, anche in relazione all'erogazione del contributo.
9/4113/3. (Testo modificato nel corso della seduta) Andrea Maestri, Civati, Brignone, Matarrelli, Pastorino, Artini, Baldassarre, Bechis, Segoni, Turco, Labriola, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    premesso che il provvedimento in esame, che prevede lo stanziamento di specifiche risorse per il Festival Verdi di Parma e Busseto, rientra nella avvertita necessità di riconoscere alla figura di Giuseppe Verdi un prestigio internazionale pari a quello riconosciuto a festival musicali e operistici nel nostro Paese, ispirati ad altri notevoli compositori come Gioachino Rossini, Giacomo Puccini, Vincenzo Bellini e Gaetano Donizetti;
    considerato che per valorizzare al meglio l'immenso patrimonio musicale, teatrale e di riflesso storico e culturale, riconducibile a Giuseppe Verdi, giustamente si riconosce con questo provvedimento la necessità di affiancare alle risorse fino ad oggi messe in campo da enti ed istituzioni locali anche risorse nazionali al fine di rendere più forte e unitaria la promozione dell'identità nazionale della figura dell'artista oltre che quella della tradizione del suo specifico territorio;
    valutata inoltre la positiva esperienza delle manifestazioni del bicentenario della nascita del Maestro che, patrocinate e sostenute dal Governo, solo pochi anni fa hanno saputo valorizzare molti luoghi verdiani del territorio della provincia di Parma e determinato sinergie interessanti e positive di collaborazione tra enti ed associazioni di diversi comuni;
    rilevato che il territorio di Parma è, tutto, fortemente legato al Maestro Giuseppe Verdi e alla tradizione verdiana tanto che in tutta la provincia, si sono diffusi eventi ed appuntamenti che ne ricordano e celebrano il genio musicale;
    preso atto che il provvedimento in esame assegna alla Fondazione Teatro Regio di Parma un milione di euro a decorrere dal 2017 per la realizzazione del Festival Verdi di Parma e Busseto,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative normative volte a prevedere il coinvolgimento dei comuni della provincia di Parma nella programmazione del festival, al fine di promuovere, anche con il concorso di istituzioni pubbliche e private, l'esecuzione di rappresentazioni liriche, eventi musicali e attività di studio e ricerca su tutto il territorio provinciale.
9/4113/4Romanini, Patrizia Maestri.


   La Camera,
   premesso che:
    premesso che il provvedimento in esame, che prevede lo stanziamento di specifiche risorse per il Festival Verdi di Parma e Busseto, rientra nella avvertita necessità di riconoscere alla figura di Giuseppe Verdi un prestigio internazionale pari a quello riconosciuto a festival musicali e operistici nel nostro Paese, ispirati ad altri notevoli compositori come Gioachino Rossini, Giacomo Puccini, Vincenzo Bellini e Gaetano Donizetti;
    considerato che per valorizzare al meglio l'immenso patrimonio musicale, teatrale e di riflesso storico e culturale, riconducibile a Giuseppe Verdi, giustamente si riconosce con questo provvedimento la necessità di affiancare alle risorse fino ad oggi messe in campo da enti ed istituzioni locali anche risorse nazionali al fine di rendere più forte e unitaria la promozione dell'identità nazionale della figura dell'artista oltre che quella della tradizione del suo specifico territorio;
    valutata inoltre la positiva esperienza delle manifestazioni del bicentenario della nascita del Maestro che, patrocinate e sostenute dal Governo, solo pochi anni fa hanno saputo valorizzare molti luoghi verdiani del territorio della provincia di Parma e determinato sinergie interessanti e positive di collaborazione tra enti ed associazioni di diversi comuni;
    rilevato che il territorio di Parma è, tutto, fortemente legato al Maestro Giuseppe Verdi e alla tradizione verdiana tanto che in tutta la provincia, si sono diffusi eventi ed appuntamenti che ne ricordano e celebrano il genio musicale;
    preso atto che il provvedimento in esame assegna alla Fondazione Teatro Regio di Parma un milione di euro a decorrere dal 2017 per la realizzazione del Festival Verdi di Parma e Busseto,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare le opportune iniziative normative volte a prevedere il coinvolgimento dei comuni della provincia di Parma nella programmazione del festival, al fine di promuovere, anche con il concorso di istituzioni pubbliche e private, l'esecuzione di rappresentazioni liriche, eventi musicali e attività di studio e ricerca su tutto il territorio provinciale.
9/4113/4. (Testo modificato nel corso della seduta) Romanini, Patrizia Maestri.


   La Camera,
   premesso che:
    il testo in esame reca misure volte al sostegno e alla valorizzazione del Festival Verdi di Parma e Busseto e del Roma Europa Festival per i quali, a decorrere dal 2017, l'articolo 1 dispone l'assegnazione di un contributo pari ad euro 1 milione ciascuno allo scopo di sostenere e valorizzare i festival musicali e operistici italiani di prestigio internazionale;
    il contributo è stato qualificato «straordinario» in quanto esse ricevono anche il contributo annuale erogato dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo a valere sui fondi del cap. 3670, ai sensi dell'articolo 32, commi 2 e 3, della legge 448/2001 (finanziaria 2002) che, al fine di contenere e razionalizzare gli stanziamenti dello Stato in favore di enti, istituti, associazioni, fondazioni ed altri organismi, ha disposto che gli importi dei contributi siano iscritti in un'unica unità previsionale di base (UPB) dello stato di previsione di ciascun Ministero interessato;
    il Festival Verdi di Parma e Busseto, articolato in una serie di eventi che hanno luogo presso il Teatro Regio di Parma e il Teatro Giuseppe Verdi di Busseto, ha fra gli obiettivi la ricerca di giovani talenti, dedicando inoltre una serie di iniziative al pubblico delle famiglie, delle scuole, dell'università;
    il Romaeuropa Festival è dedicato alla creazione artistica contemporanea, spaziando tra danza, teatro, musica, cinema, incontri con gli artisti, arti visive e sfide tecnologiche;
    da una recente inchiesta de Il Fatto Quotidiano del luglio 2016, è emerso che «nel 2014 il Fondo unico per lo spettacolo ha garantito quasi 184 milioni di euro agli enti lirici» ma solo il 9 per cento degli italiani dedicherebbe il proprio tempo all'opera. Dalla medesima inchiesta emergerebbe inoltre il dato secondo cui «a fronte dei 9 italiani su 100 che nel 2013 andavano all'opera o più in generale a un concerto di musica classica, più del doppio (19) andava a teatro, ancora qualcuno in più, (21) si recava in un sito archeologico e quasi il triplo (26) andava a una mostra o in un museo». Inoltre, la fruizione dei siti internet dedicati al settore lirico sinfonico contava un afflusso di utenti poco significativo se paragonato al pubblico che preferiva navigare su siti dedicati a monumenti e siti archeologici, musei e mostre, teatro e cinema;
    a fronte di investimenti statali nel settore lirico sinfonico, fra i quali i recenti piani di risanamento di alcune fondazioni liriche che hanno coinvolto ad esempio il Petruzzelli di Bari e il Massimo di Palermo – e non solo –, quel che emerge in maniera significativa è l'assenza di pubblico disposto ad assistere agli eventi. Fra le cause di questo trend può essere annoverata la mancanza di educazione musicale che, se si esclude la formazione dei Licei Musicali e dei Conservatori che rappresentano esperienze specializzanti e frutto di scelte individuali, è un elemento di notevole rilievo nella Nazione considerata il «Paese del bel canto» e Patria di grandi maestri;
    il finanziamento di iniziative come quelle contenute nel provvedimento costituisce sicuramente uno stimolo alla diffusione della cultura musicale nel nostro Paese che, tuttavia, non è da ritenere sufficiente,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di inserire la materia di «storia musicale» fra gli insegnamenti obbligatori del ciclo scolastico, parimenti con il corso di «disegno e storia dell'arte» e «educazione artistica» al fine di sensibilizzare ed educare i giovanissimi alla conoscenza e all'esercizio musicale.
9/4113/5Ciracì, Marti, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    dal 1958 si svolge ogni anno a Spoleto il Festival dei Due Mondi, manifestazione internazionale di musica, arte, cultura e spettacolo, conosciuto anche con il nome di Spoleto Festival;
    il Festival rappresenta un evento di risonanza mondiale e per molto tempo unico nel suo genere in Italia che nel suo spirito si propone di mettere in contatto due universi artistici e due culture tra loro molto diverse quali sono quello europeo e quello americano;
    dal 1973 si svolge a Perugia il Festival di Umbria Jazz che rappresenta non soltanto il più importante festival musicale jazzistico italiano ma un evento di rilevanza internazionale al quale partecipano alcuni tra i più famosi artisti mondiali;
    i numerosi eventi sismici che hanno colpito da agosto 2016 anche la regione Umbria ha determinato pesanti ricadute sul tessuto economico della regione connesso alle attività turistiche e culturali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare iniziative volte ad inserire il Festival di Umbria Jazz tra gli eventi culturali destinatari di finanziamenti e di incrementare quello destinato al Festival dei Due Mondi di Spoleto anche per sostenere l'economia di una regione colpita dai terremoto nonché in considerazione del fatto che le manifestazioni in premessa rappresentano delle eccellenze culturali del nostro Paese e appuntamenti culturali importanti ed innovativi a livello mondiale.
9/4113/6Laffranco, Sereni, D'Incecco, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge 20 dicembre 2012, n. 238 «Disposizioni per il sostegno e la valorizzazione dei festival musicali ed operistici italiani di assoluto prestigio internazionale» all'articolo 2, a decorrere dal 2013, stabilisce un contributo di un milione di euro ciascuna a favore di alcune illustri Fondazioni musicali e operistiche;
    che la attuale «Modifica alla legge 20 dicembre 2012, n. 238, per il sostegno e la valorizzazione del Festival Verdi di Parma e Busseto e del Roma Europa Festival» integra di ulteriori due Fondazioni i soggetti individuati sostenuti dalla legge n. 238 del 2012;
    che sarebbe importante avere un quadro complessivo di tutti i soggetti che in campo musicale e operistico sono meritevoli di tale forma di sostegno pubblico,

impegna il Governo

ad una ricognizione puntuale di tutte le Fondazioni ed i Festival eventualmente non ancora individuati meritevoli del sostegno previsto con la legge n. 238 del 2012.

9/4113/7Taricco.


   La Camera,
   premesso che:
    la presente legge sostiene e valorizza i festival musicali ed operistici italiani di assoluto prestigio internazionale nell'ambito delle finalità di salvaguardia e di promozione del proprio patrimonio culturale, storico, artistico e musicale;
    il patrimonio culturale ed artistico italiano risulta essere una delle principali attrazioni di interesse internazionale tanto da risultare un forte stimolo per l'economia del turismo,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di promuovere ulteriori iniziative a sostegno delle fondazioni culturali, incentivando la pubblicizzazione internazionale del patrimonio artistico e culturale dell'Italia.
9/4113/8Nesi.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento all'esame dispone il finanziamento delle manifestazioni culturali: il Festival Verdi di Parma e Busseto e il Roma Europa Festival;
    nel 2013, su iniziativa del Centro per il libro e la lettura, della fondazione per il libro, la musica e la cultura nonché dell'Associazione nazionale comuni italiani (Anci), è stato avviato un processo mirato a individuare forme organiche di promozione e di collaborazione, individuato nel portale «Le Città del Libro, www.cittadellibro.it», realizzato con il supporto tecnico dell'Istituto poligrafico e zecca dello Stato;
    si ritiene fondamentale sostenere manifestazioni che rappresentano consolidati modelli virtuosi e sostenibili di promozione culturale, in grado di coinvolgere un pubblico notevole, al fine di migliorare gli allarmanti dati Istat sulla lettura in alcune zone del territorio italiano,

impegna il Governo

a porre in essere le necessarie iniziative per l'adeguato finanziamento del Centro per il libro e la lettura presso il Ministero per i beni e le attività culturali e il turismo affinché vengano finanziati progetti, in accordo con gli Enti locali, in grado di aumentare i tassi di lettura nei territori più svantaggiati.
9/4113/9L'Abbate.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento all'esame dispone il finanziamento delle manifestazioni culturali: il Festival Verdi di Parma e Busseto e il Roma Europa Festival;
    nel 2013, su iniziativa del Centro per il libro e la lettura, della fondazione per il libro, la musica e la cultura nonché dell'Associazione nazionale comuni italiani (Anci), è stato avviato un processo mirato a individuare forme organiche di promozione e di collaborazione, individuato nel portale «Le Città del Libro, www.cittadellibro.it», realizzato con il supporto tecnico dell'Istituto poligrafico e zecca dello Stato;
    si ritiene fondamentale sostenere manifestazioni che rappresentano consolidati modelli virtuosi e sostenibili di promozione culturale, in grado di coinvolgere un pubblico notevole, al fine di migliorare gli allarmanti dati Istat sulla lettura in alcune zone del territorio italiano,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di porre in essere le necessarie iniziative per l'adeguato finanziamento del Centro per il libro e la lettura presso il Ministero per i beni e le attività culturali e il turismo affinché vengano finanziati progetti, in accordo con gli Enti locali, in grado di aumentare i tassi di lettura nei territori più svantaggiati.
9/4113/9. (Testo modificato nel corso della seduta) L'Abbate.


MOZIONI AIRAUDO ED ALTRI N. 1-01451, SIMONETTI ED ALTRI N. 1-01481, CAPEZZONE ED ALTRI N. 1-01482, CIPRINI ED ALTRI N. 1-01488, PIZZOLANTE E BOSCO N. 1-01489, CIVATI ED ALTRI N. 1-01490, POLVERINI E OCCHIUTO N. 1-01491, ROSATO, MONCHIERO ED ALTRI N. 1-01492 E RIZZETTO ED ALTRI N. 1-01493 CONCERNENTI INIZIATIVE IN RELAZIONE AI QUESITI REFERENDARI IN MATERIA DI JOBS ACT

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    in data 11 gennaio 2017 la Corte Costituzionale si è pronunciata sull'ammissibilità delle richieste relative ai tre referendum popolari abrogativi in materia di lavoro e Jobs Act promossi dalla Cgil e sui quali sono state raccolte oltre 3 milioni di firme ove, in particolare, si chiedeva la riviviscenza delle disposizioni contenute nell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori e quindi la reintroduzione normativa dello stesso, l'abrogazione delle disposizioni che hanno istituito i voucher e, infine, la reintroduzione normativa delle disposizioni in materia di responsabilità solidale di appaltatore e appaltante in caso di violazioni nei confronti del lavoratore;
    in particolare, la Corte costituzionale ha dichiarato: ammissibile la richiesta di referendum denominato «abrogazione disposizioni limitative della responsabilità solidale in materia di appalti» (n. 170 Reg. Referendum); ammissibile la richiesta di referendum denominato «abrogazione disposizioni sul lavoro accessorio (voucher)» (n. 171 Reg. Referendum); inammissibile la richiesta di referendum denominato «abrogazione delle disposizioni in materia di licenziamenti illegittimi» (n. 169 Reg. Referendum);
    alla luce della pronuncia di ammissibilità da parte della Consulta delle due richieste di referendum in materia di appalti e voucher, il Governo dovrà fissare una data per il voto, tra il 15 aprile e il 15 giugno, fatto salvo quanto disposto dall'articolo 34, secondo e terzo comma, della legge n. 352 del 1970 ove si prevede che, in caso di anticipato scioglimento di una o di entrambe le Camere «il referendum già indetto si intende automaticamente sospeso all'atto della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto del Presidente della Repubblica di indizione dei comizi elettorali per la elezione delle nuove Camere o di una di esse». Si precisa, poi, che i «termini del procedimento per il referendum riprendono a decorrere a datare dal 365o giorno successivo alla data della elezione»;
    indipendentemente dall'esito della pronuncia di ammissibilità della Corte costituzionale, i quesiti sui quali la Cgil ha raccolto oltre tre milioni di firme affrontano tutti problematiche di cruciale importanza riguardando, come si è detto:
     a) la materia degli appalti e prevedendo che in caso di violazioni nei confronti del lavoratore rispondano in solido sia la stazione appaltante sia l'impresa appaltatrice, al fine di ripristinare le garanzie per i contributi dei lavoratori delle aziende che subappaltano i lavori. Il quesito, in particolare, recita: «Volete voi l'abrogazione dell'articolo 29 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, recante “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30», comma 2, limitatamente alle parole «Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti,” e alle parole “Il committente imprenditore o datore di lavoro è convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all'appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori. Il committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell'appaltatore medesimo e degli eventuali subappaltatori. In tal caso il giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, ma l'azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo l'infruttuosa escussione del patrimonio dell'appaltatore e degli eventuali subappaltatori.”»;
     b) la reintroduzione dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori attraverso l'abrogazione delle norme che hanno liberalizzato i licenziamenti economici. Il secondo quesito, ritenuto inammissibile dalla Corte, in particolare recitava: «Volete voi l'abrogazione del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183”, nella sua interezza e dell'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, recante “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”, comma 1, limitatamente alle parole “previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell'articolo 1345 del codice civile”; comma 4, limitatamente alle parole: “per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili,” e alle parole “, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell'indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto”; comma 5 nella sua interezza; comma 6, limitatamente alla parola “quinto”, e alle parole “, ma con attribuzione al lavoratore di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di quelle previste dal presente comma, le tutele di cui ai commi”, e alle parole “, quinto o settimo”; comma 7, limitatamente alle parole “che il licenziamento è stato intimato in violazione dell'articolo 2110, secondo comma, del codice civile. Può altresì applicare la predetta disciplina nell'ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento”, e alle parole “; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell'indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell'ambito della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo”; comma 8, limitatamente alle parole  “in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento”, alle parole “quindici lavoratori o più di cinque se si tratta di imprenditore agricolo, nonché al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell'ambito dello stesso comune occupa più di quindici dipendenti e all'impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa più di”, e alle parole “anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa più di sessanta dipendenti”»;
     c) l'abrogazione delle disposizioni relative ai voucher, ossia il cosiddetto lavoro accessorio, che può essere definito l'evoluzione della stabilizzazione del precariato nel nostro Paese. Il terzo quesito, in particolare, recita: «Volete voi l'abrogazione degli articoli 48, 49 e 50 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell'articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”»;
    secondo quanto si apprende dalla stampa nazionale, proprio in relazione a tali quesiti referendari, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti avrebbe recentemente dichiarato anche in riferimento alla coincidenza del referendum con la possibilità di elezioni anticipate che: «se si vota prima del referendum il problema non si pone», esplicitando in maniera chiara e inequivocabile non solo la difesa strenua del Jobs Act e del lavoro accessorio, ma anche il timore del Governo per l'indizione di un referendum che, per la seconda volta e nell'arco di pochissimi mesi, potrebbe sancire l'ennesima dimostrazione del profondo dissenso popolare nei confronti delle politiche economiche e sociali varate dal Governo Renzi, nella considerazione che il cuore dell'impianto strategico delle riforme del lavoro introdotte in questi ultimi anni hanno provocato, di fatto, una profonda destrutturazione degli elementi valoriali che sono alla base dei diritti dei lavoratori, legittimando la diffusione incontenibile di forme di precariato del tutto inaccettabili;
    la questione del diritto del lavoro e delle politiche del lavoro nel nostro Paese è una cosa talmente seria da dover essere affrontata urgentemente insieme, con il coinvolgimento di tutte le forze politiche e sociali in campo, perché fino a questo momento la recrudescenza del populismo ed effetti mediatici vari hanno provocato solo scollamento con il blocco sociale, senza portare ad alcun risultato socialmente apprezzabile come emerso inequivocabilmente dopo l'esito del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016;
    bisogna recuperare al più presto quel progetto di unità ed unitarietà in cui si sostanzia il significato basilare dell'articolo 1 della Carta Costituzionale dove si legge: «L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro», perché in termini legislativi non si può continuare a ragionare come se quell'unità e certi equilibri siano stati realmente raggiunti;
    si evidenzia, infine, che il 29 settembre 2016 la Cgil ha consegnato al Parlamento di 1 milione e 150.000 firme a sostegno della proposta di legge di iniziativa popolare sulla Carta dei diritti universali del lavoro: una riscrittura del diritto del lavoro in nome di un principio di uguaglianza che travalichi le varie, forme e tipologie nelle quali esso si è diversificato e frammentato negli anni. La Carta dei diritti universali del lavoro è un testo composto da 97 articoli che propone un nuovo statuto delle lavoratrici e dei lavoratori, che estenda diritti a chi non ne ha e li riscriva per tutti alla luce dei grandi cambiamenti di questi anni, rovesciando l'idea che sia l'impresa, il soggetto più forte, a determinare le condizioni di chi lavora, il soggetto più debole,

impegna il Governo:

1) ad adottare le opportune iniziative normative volte a dare seguito alle richieste contenute nei quesiti referendari promossi dalla Cgil, in relazione ai quali sono state raccolte oltre 3 milioni di firme;
2) ad assumere le iniziative di competenza al fine di fissare immediatamente la data per il voto referendario entro i termini previsti dalla legge.
(1-01451)
(Nuova formulazione) «Airaudo, Martelli, Placido, Scotto, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti».


   La Camera,
   premesso che:
    l'11 gennaio 2017 la Consulta si è espressa sull'ammissibilità dei tre quesiti referendari in materia di lavoro e jobs act promossi dalla Cgil, dichiarando ammissibili i due relativi all'abolizione dei voucher ed alla abrogazione delle norme che limitano la responsabilità solidale delle imprese in caso di appalti ed inammissibile il quesito che intendeva abrogare il contratto a tutele crescenti introdotto, appunto, con la riforma del jobs act;
    l'inammissibilità del quesito relativo all'abrogazione della «nuova» tipologia contrattuale era più che mai prevedibile, posto che il medesimo intendeva non solo ritornare alla versione «originaria» dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 1970) – dunque prima delle modifiche intervenute con la «riforma Fornero» del lavoro (legge n. 92 del 2012) e con il Jobs Act (legge n. 183 del 2014; decreto legislativo n. 23 del 2015), che ne hanno limitato l'applicazione sotto il profilo del reintegro del lavoratore licenziato ingiustamente, prediligendo la natura risarcitoria, ma addirittura ampliarne la portata, estendendone l'applicazione anche alle imprese sopra i 5 dipendenti, invece che sopra i 15;
    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo non serve un referendum per sancire il fallimento della riforma del lavoro nota come «jobs act»; sono sufficienti i dati Istat – e dello stesso Ministero del lavoro e delle politiche sociali – sul calo dei contratti a tempo indeterminato tra il 2015 ed il 2016 (nel secondo trimestre del 2016 le nuove attivazioni sono state 392.043, il 29,4 per cento in meno rispetto al 2015, pari a -163.099), per comprendere che diminuito lo sgravio contributivo per le nuove assunzioni a tempo indeterminato, si sarebbe ridotta la propensione ad assumere da parte delle imprese;
    da sempre si ritiene – e si denuncia – che per creare occupazione e rilanciare l'economia ed i consumi bisognava intervenire non già sulle tipologie contrattuali, bensì in maniera strutturale sul cuneo fiscale e sulla elevata tassazione delle imprese, introducendo una flate rate per standardizzare il costo del lavoro alla media europea per render più competitivo il mercato del lavoro, nonché una tax rate omnicomprensiva per una massima semplificazione del costo del lavoro sia in termini burocratici che fiscali, il tutto nell'ottica di accrescere l'occupabilità;
    parimenti non si ritiene risolutivo sostenere i costi di una consultazione referendaria per sanare le falle prodotte sempre dalla riforma del jobs act sui voucher, che ha generato un loro abuso ed ha causato un loro utilizzo per finalità molto differenti da quelle che il legislatore si era proposto;
    lo strumento del voucher – si ricorda – era stato introdotto nel nostro ordinamento con la «riforma Biagi» (decreto legislativo n. 276 del 2003) allo scopo di facilitare dal punto di vista amministrativo il ricorso a manodopera occasionale e, al contempo, regolarizzare le prestazioni temporanee e accessorie, fino ad allora puro fenomeno di lavoro sommerso;
    invero, il decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, uno dei tanti decreti attuativi della riforma «jobs act» per l'appunto, abrogando gli articoli da 70 a 73 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e sostituendone integralmente la disciplina, ha di fatto ampliato il campo di applicazione dei voucher, distorcendone la finalità iniziale e così consentendo il ricorso a prestazioni di lavoro in tutti i settori produttivi; fattore, questo, che ha contribuito ovviamente all'impennata del ricorso all'uso dei voucher registrata nell'ultimo biennio (nel 2015 c’è stato un aumento rispetto al 2014 del 57,7 per cento e del 51,2 per cento nel biennio 2014-2016);
    lo stesso Inps, nell'aggiornamento del 1o semestre 2016 sul lavoro accessorio nell'evidenziare che «dalla sperimentazione per le vendemmie del 2008, il sistema dei buoni lavoro è andato progressivamente ampliandosi sotto diversi profili» rileva che «La tipologia di attività per la quale è stato complessivamente acquistato il maggior numero di voucher è il Commercio (16,8 per cento). La consistenza della voce “altre attività” (36,7 per cento; include “altri settori produttivi”, “attività specifiche d'impresa”, “maneggi e scuderie”, “consegna porta a porta”, altre attività residuali o non codificate) è il riflesso della storia del lavoro accessorio, all'origine destinato ad ambiti oggettivi di impiego circoscritti (quindi codificabili), negli anni progressivamente ampliati, fino alla riforma contenuta nella legge n. 92 del 2012 che permette di fatto l'utilizzo di lavoro accessorio per qualsiasi tipologia di attività»;
    i dati dimostrano che, a fronte di un utilizzo di voucher pari al 19,7 per cento nei settori per i quali lo strumento era stato originariamente pensato (agricoltura: 4,3 per cento; giardinaggio: 5,8 per cento; lavori domestici: 3,3 per cento; manifestazioni sportive: 6,3 per cento), è stato utilizzato per l'80,3 per cento nei settori aggiunti dalla riforma del 2012 e poi da quella del 2015 (commercio: 16,8 per cento; turismo: 13,9 per cento; servizi: 12,9 per cento; altri settori: 36,7 per cento);
    è quindi doveroso intervenire subito in Parlamento con gli opportuni correttivi alla disciplina dei voucher per riportarli al loro spirito iniziale, al fine di limitare l'ambito soggettivo e oggettivo di applicazione dell'istituto del lavoro accessorio, ripristinando così l'impianto normativo originario del decreto legislativo n. 276 del 2003, il tutto ovviamente prima della data referendaria per evitare, oltre al costo delle operazioni elettorali, anche l'eventualità che un esito positivo dello stesso riporterebbe al sommerso tutto il lavoro accessorio ed occasionale,

impegna il Governo:

1) ad adottare le opportune iniziative normative correttive della legislazione vigente in materia di politiche del lavoro, anche di natura fiscale, al fine di fronteggiare le criticità che sono alla base dei quesiti referendari di cui in premessa e di creare nuova occupazione stabile e di qualità;
2) a valutare, anche al fine di evitare di scaricare sulle generazioni future i costi di un rilancio dell'occupazione basato esclusivamente sulla contribuzione figurativa, di assumere iniziative per l'applicazione di uno sgravio fiscale – in luogo della decontribuzione – sulle neo assunzioni a tempo indeterminato, solo relativamente alla tassazione del reddito di lavoro dipendente, ma in maniera proporzionale e crescente nei primi dieci anni di lavoro;
3) a favorire, per quanto di competenza, un rapido iter della proposta di legge n. 4206, recante modifiche alla disciplina del lavoro accessorio, il cui esame è già stato avviato in Commissione Lavoro.
(1-01481) «Simonetti, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini».


   La Camera,
   premesso che:
    in data 11 gennaio 2017 la Corte Costituzionale, pronunciandosi sull'ammissibilità di tre quesiti referendari promossi dalla Cgil, ha dichiarato l'inammissibilità del quesito relativo alla reintroduzione della cosiddetta «reintegra» in caso licenziamento senza giusta causa e alla sua estensione a tutte le imprese sopra i cinque addetti;
    tale referendum, secondo le intenzioni dei promotori, avrebbe dovuto, non solo ripristinare l'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 («statuto dei lavoratori») nella sua disciplina vincolistica anteriore alle modifiche introdotte dalla legge 28 giugno 2012, n. 92 («legge Fornero»), grazie anche all'abrogazione totale della legge 10 dicembre 2014 n. 183 del (« jobs act»), ma addirittura, tramite l'uso della tecnica abrogativa referendaria, estendere la sua applicabilità alle imprese con oltre 5 lavoratori;
    la Corte Costituzionale in questi decenni ha potuto dare vita ad una consolidata giurisprudenza per valutare l'ammissibilità dei quesiti referendari, in particolare, la Corte ha posto tre requisiti come indispensabili per l'ammissibilità dei quesiti: la loro chiarezza, univocità e omogeneità. In attesa della lettura delle motivazioni addotte dalla Consulta, si può ritenere che i supremi giudici abbiano potuto eccepire che il quesito ponendo tre distinte domande all'elettore, non soddisfacesse la consolidata giurisprudenza (sentenze 16/1978, quesiti sul codice penale e sul codice penale militare di pace; 27/1981 e 28/1987, caccia; 12/2014, revisione circoscrizioni giudiziarie e n. 6/2015 trattamenti pensionistici). Inoltre la Corte potrebbe aver censurato l'uso della cosiddetta «tecnica di ritaglio», attraverso la quale si mira a creare nuove disposizioni, trasformando quindi il referendum, che per legge è solo abrogativo, in un surrettizio referendum propositivo (sentenze 36/1997, quesito su tetti pubblicitari della Rai; 50/2000, durata massima della custodia cautelare; 43/2003, procedure semplificate e incentivi per l'incenerimento dei rifiuti e 45/2003, sicurezza alimentare);
    un'eventuale vittoria del «Si» sul quesito dichiarato inammissibile avrebbe prodotto una pericolosa ingessatura per l'operatività delle piccole imprese, vera spina dorsale della economia italiana, e un pericoloso disallineamento del diritto del lavoro italiano rispetto ai migliori standard dei Paesi dell'OECD, rendendo il nostro Paese sempre meno attrattivo per imprenditori e investitori indebolendo, di riflesso, i lavoratori italiani;
    la Corte costituzionale, invece, ha dichiarato ammissibile la richiesta di referendum denominato «Abrogazione disposizioni sul lavoro accessorio», cioè l'abrogazione delle disposizioni relative ai cosiddetti voucher che, in questi anni, hanno consentito al datore di lavoro, per prestazioni occasionali di breve o brevissima durata (agricoltura, lavoro domestico, lezioni private, turismo, commercio), di evitare di compiere tutti i complicati adempimenti burocratici previsti per la costituzione di un rapporto di lavoro determinando, allo stesso tempo, una emersione del lavoro nero e assicurando maggiore trasparenza e una migliore tutela del lavoratore stesso;
    i voucher, diffusi da molti anni nel Nord Europa, sono stati introdotti formalmente in Italia nel 2003 dalla legge del 14 febbraio 2003, n. 30 («legge Biagi»), anche se sono stati realmente utilizzabili solo dal 2008 per lavori occasionali per i quali mai si sarebbe stipulato un contratto (assistenza malati e portatori di handicap, lezioni private, giardinaggio e pulizia, manutenzione edifici, lavori stagionali agricoli); uno strumento che consente di mettere in regola, senza complessi adempimenti burocratici, molte attività di carattere occasionale che in passato non avevano alcuna regolamentazione ed esponevano pertanto sia l'utilizzatore che il prestatore a notevoli rischi anche di ordine penale, in caso di incidenti o contenziosi;
    la loro efficacia e validità, nel corso degli anni, ha comportato una diffusione esponenziale del loro impiego, essendosi passati dai circa 24 mila lavoratori «accessori» del 2014, al milione e trecentomila di percettori di voucher del 2015;
    la stessa Cgil, nonostante sia tra i promotori del referendum per la loro abolizione, ne ha ampiamente usufruito. Infatti, nel 2016, come segnalato dal presidente dell'Inps, il sindacato ha fatto uso di voucher per un valore complessivo di 750 mila euro e non solo per i pensionati. Analogamente, anche un altro sindacato, la Cisl, ne ha utilizzati per un valore pari ad 1 milione e mezzo di euro;
    l'utilizzo di voucher è altrettanto diffuso nella pubblica amministrazione, dove, dovrebbe prevalere il contratto a tempo indeterminato e, a norma di Costituzione, previo superamento di pubblico concorso:
     a) il comune di Napoli, attualmente amministrato dal centro sinistra, pur aderendo ufficialmente, con specifica delibera di giunta, alla raccolta di firme della Cgil per il referendum abrogativo, ha «coerentemente», attraverso specifico avviso pubblico, avviata una selezione di lavoratori disoccupati disposti ad effettuare presso l'ente prestazione di lavoro di accessorio retribuiti mediante voucher. Come ha affermato l'assessore al lavoro partenopeo: «non condividiamo lo strumento, tuttavia, abbiamo deciso di non privare i nostri cittadini dall'opportunità di godere di un contributo economico»;
     b) il comune di Torino, amministrato pro tempore da esponenti del Movimento 5 Stelle, a livello nazionale contrarissimi da sempre all'utilizzo dello strumento, utilizzerà i voucher per pagare alcuni giovani mediatori culturali;
    nonostante la validità dello strumento « voucher», nel corso degli anni il suo utilizzo è stato esteso a sempre più settori e lavoratori, compresi non saltuari, determinando, in alcuni casi un abuso nell'utilizzo dello stesso per finalità molto differenti da quelle originariamente previste. Ovviamente, pensare di cancellarli del tutto come chiesto dai promotori del quesito referendario, oltre a non risolvere il problema del lavoro nero, farebbe rimanere il nostro Paese con la più alta quota di sommerso in Europa e determinerebbe un ulteriore irrigidimento del mercato del lavoro, visto anche l'aumentare, nel corso degli ultimi anni, delle restrizioni legislative nell'ambito delle forme di lavoro coordinate e continuative;
    uno studio dell'Inps del 2015 evidenzia i precettori di voucher siano circa il 10 per cento pensionati, mentre il 55 per cento si divide tra chi ha un altro lavoro e i percettori di ammortizzatori sociali. Da questi dati emerge che circa i due terzi dei percettori utilizzano i voucher effettivamente per attività accessorie e per tipologie di mansioni in cui prima il nero era considerato imperante;
    resta fuori discussione la necessità di intervenire una serie di controlli incisivi per impedire abusi e per evitare che lo strumento sia utilizzato per coprire lavoro nero e va riconosciuto come l'entrata in vigore della tracciabilità costituisca una misura che opera in questa direzione;
    tuttavia, nonostante l'importanza rivestita dalla discussione sulla flessibilità dei contratti di lavoro, tema prioritario in una concreta discussione sul mondo del lavoro, resta il problema dell'elevato peso del cuneo fiscale che incide negativamente sul rilancio occupazionale nel nostro Paese. La mano del fisco sui salari è sempre più pesante visto che secondo lo studio « Taxing Wages» dell'Ocse, il cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti – cioè il prelievo complessivo sulla retribuzione lorda – nel 2015 è aumentato di 0,76 punti percentuali al 49 per cento. L'Italia si colloca così al quarto posto tra i 34 Paesi dell'Ocse per peso del fisco sul salario del lavoratore medio «single» senza figli, affiancando l'Ungheria, superando la Francia (48,5 per cento) e allontanandosi sempre di più dalla media dell'Ocse (35,9 per cento);
    la realtà, visti questi numeri, è che ad impoverire realmente i lavoratori, anzi a determinarne i licenziamenti e a impedire la creazione di nuovi posti di lavoro, sia lo Stato a causa di un livello intollerabile di tassazione che rende insostenibile, se non addirittura fuori mercato, qualsiasi produzione industriale in Italia (a meno di non ricevere aiuti diretti o indiretti dallo Stato stesso). Unica strada per tornare ad essere competitivi determinando un sensibile aumento dei livelli occupazionali, è intervenire subito per ridurre significativamente il cuneo fiscale,

impegna il Governo:

1) a mettere in atto, per quanto di competenza, iniziative adeguate volte ad accertare e sanzionare eventuali abusi nell'utilizzo dei cosiddetti voucher, anche attraverso una più adeguata attività ispettiva e di controllo, soprattutto in quei casi in cui il loro utilizzo sembra volto a trasformare illegittimamente lavoro regolare in lavoro accessorio, ma preservando comunque uno strumento che in questi anni ha comunque dato buone prove;

2) a centrare sforzi e risorse per ridurre il peso del cuneo fiscale attraverso politiche volte ad allineare il peso del fisco sul lavoro alle medie dell'Ocse.
(1-01482) «Capezzone, Palese, Altieri, Bianconi, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».


   La Camera,
   premesso che:
    in data 11 gennaio 2017 la Corte Costituzionale, pronunciandosi sull'ammissibilità di tre quesiti referendari promossi dalla Cgil, ha dichiarato l'inammissibilità del quesito relativo alla reintroduzione della cosiddetta «reintegra» in caso licenziamento senza giusta causa e alla sua estensione a tutte le imprese sopra i cinque addetti;
    tale referendum, secondo le intenzioni dei promotori, avrebbe dovuto, non solo ripristinare l'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 («statuto dei lavoratori») nella sua disciplina vincolistica anteriore alle modifiche introdotte dalla legge 28 giugno 2012, n. 92 («legge Fornero»), grazie anche all'abrogazione totale della legge 10 dicembre 2014 n. 183 del (« jobs act»), ma addirittura, tramite l'uso della tecnica abrogativa referendaria, estendere la sua applicabilità alle imprese con oltre 5 lavoratori;
    la Corte Costituzionale in questi decenni ha potuto dare vita ad una consolidata giurisprudenza per valutare l'ammissibilità dei quesiti referendari, in particolare, la Corte ha posto tre requisiti come indispensabili per l'ammissibilità dei quesiti: la loro chiarezza, univocità e omogeneità. In attesa della lettura delle motivazioni addotte dalla Consulta, si può ritenere che i supremi giudici abbiano potuto eccepire che il quesito ponendo tre distinte domande all'elettore, non soddisfacesse la consolidata giurisprudenza (sentenze 16/1978, quesiti sul codice penale e sul codice penale militare di pace; 27/1981 e 28/1987, caccia; 12/2014, revisione circoscrizioni giudiziarie e n. 6/2015 trattamenti pensionistici). Inoltre la Corte potrebbe aver censurato l'uso della cosiddetta «tecnica di ritaglio», attraverso la quale si mira a creare nuove disposizioni, trasformando quindi il referendum, che per legge è solo abrogativo, in un surrettizio referendum propositivo (sentenze 36/1997, quesito su tetti pubblicitari della Rai; 50/2000, durata massima della custodia cautelare; 43/2003, procedure semplificate e incentivi per l'incenerimento dei rifiuti e 45/2003, sicurezza alimentare);
    un'eventuale vittoria del «Si» sul quesito dichiarato inammissibile avrebbe prodotto una pericolosa ingessatura per l'operatività delle piccole imprese, vera spina dorsale della economia italiana, e un pericoloso disallineamento del diritto del lavoro italiano rispetto ai migliori standard dei Paesi dell'OECD, rendendo il nostro Paese sempre meno attrattivo per imprenditori e investitori indebolendo, di riflesso, i lavoratori italiani;
    la Corte costituzionale, invece, ha dichiarato ammissibile la richiesta di referendum denominato «Abrogazione disposizioni sul lavoro accessorio», cioè l'abrogazione delle disposizioni relative ai cosiddetti voucher che, in questi anni, hanno consentito al datore di lavoro, per prestazioni occasionali di breve o brevissima durata (agricoltura, lavoro domestico, lezioni private, turismo, commercio), di evitare di compiere tutti i complicati adempimenti burocratici previsti per la costituzione di un rapporto di lavoro determinando, allo stesso tempo, una emersione del lavoro nero e assicurando maggiore trasparenza e una migliore tutela del lavoratore stesso;
    i voucher, diffusi da molti anni nel Nord Europa, sono stati introdotti formalmente in Italia nel 2003 dalla legge del 14 febbraio 2003, n. 30 («legge Biagi»), anche se sono stati realmente utilizzabili solo dal 2008 per lavori occasionali per i quali mai si sarebbe stipulato un contratto (assistenza malati e portatori di handicap, lezioni private, giardinaggio e pulizia, manutenzione edifici, lavori stagionali agricoli); uno strumento che consente di mettere in regola, senza complessi adempimenti burocratici, molte attività di carattere occasionale che in passato non avevano alcuna regolamentazione ed esponevano pertanto sia l'utilizzatore che il prestatore a notevoli rischi anche di ordine penale, in caso di incidenti o contenziosi;
    la loro efficacia e validità, nel corso degli anni, ha comportato una diffusione esponenziale del loro impiego, essendosi passati dai circa 24 mila lavoratori «accessori» del 2014, al milione e trecentomila di percettori di voucher del 2015;
    la stessa Cgil, nonostante sia tra i promotori del referendum per la loro abolizione, ne ha ampiamente usufruito. Infatti, nel 2016, come segnalato dal presidente dell'Inps, il sindacato ha fatto uso di voucher per un valore complessivo di 750 mila euro e non solo per i pensionati. Analogamente, anche un altro sindacato, la Cisl, ne ha utilizzati per un valore pari ad 1 milione e mezzo di euro;
    l'utilizzo di voucher è altrettanto diffuso nella pubblica amministrazione, dove, dovrebbe prevalere il contratto a tempo indeterminato e, a norma di Costituzione, previo superamento di pubblico concorso:
     a) il comune di Napoli, attualmente amministrato dal centro sinistra, pur aderendo ufficialmente, con specifica delibera di giunta, alla raccolta di firme della Cgil per il referendum abrogativo, ha «coerentemente», attraverso specifico avviso pubblico, avviata una selezione di lavoratori disoccupati disposti ad effettuare presso l'ente prestazione di lavoro di accessorio retribuiti mediante voucher. Come ha affermato l'assessore al lavoro partenopeo: «non condividiamo lo strumento, tuttavia, abbiamo deciso di non privare i nostri cittadini dall'opportunità di godere di un contributo economico»;
     b) il comune di Torino, amministrato pro tempore da esponenti del Movimento 5 Stelle, a livello nazionale contrarissimi da sempre all'utilizzo dello strumento, utilizzerà i voucher per pagare alcuni giovani mediatori culturali;
    nonostante la validità dello strumento « voucher», nel corso degli anni il suo utilizzo è stato esteso a sempre più settori e lavoratori, compresi non saltuari, determinando, in alcuni casi un abuso nell'utilizzo dello stesso per finalità molto differenti da quelle originariamente previste. Ovviamente, pensare di cancellarli del tutto come chiesto dai promotori del quesito referendario, oltre a non risolvere il problema del lavoro nero, farebbe rimanere il nostro Paese con la più alta quota di sommerso in Europa e determinerebbe un ulteriore irrigidimento del mercato del lavoro, visto anche l'aumentare, nel corso degli ultimi anni, delle restrizioni legislative nell'ambito delle forme di lavoro coordinate e continuative;
    uno studio dell'Inps del 2015 evidenzia i precettori di voucher siano circa il 10 per cento pensionati, mentre il 55 per cento si divide tra chi ha un altro lavoro e i percettori di ammortizzatori sociali. Da questi dati emerge che circa i due terzi dei percettori utilizzano i voucher effettivamente per attività accessorie e per tipologie di mansioni in cui prima il nero era considerato imperante;
    resta fuori discussione la necessità di intervenire una serie di controlli incisivi per impedire abusi e per evitare che lo strumento sia utilizzato per coprire lavoro nero e va riconosciuto come l'entrata in vigore della tracciabilità costituisca una misura che opera in questa direzione;
    tuttavia, nonostante l'importanza rivestita dalla discussione sulla flessibilità dei contratti di lavoro, tema prioritario in una concreta discussione sul mondo del lavoro, resta il problema dell'elevato peso del cuneo fiscale che incide negativamente sul rilancio occupazionale nel nostro Paese. La mano del fisco sui salari è sempre più pesante visto che secondo lo studio « Taxing Wages» dell'Ocse, il cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti – cioè il prelievo complessivo sulla retribuzione lorda – nel 2015 è aumentato di 0,76 punti percentuali al 49 per cento. L'Italia si colloca così al quarto posto tra i 34 Paesi dell'Ocse per peso del fisco sul salario del lavoratore medio «single» senza figli, affiancando l'Ungheria, superando la Francia (48,5 per cento) e allontanandosi sempre di più dalla media dell'Ocse (35,9 per cento);
    la realtà, visti questi numeri, è che ad impoverire realmente i lavoratori, anzi a determinarne i licenziamenti e a impedire la creazione di nuovi posti di lavoro, sia lo Stato a causa di un livello intollerabile di tassazione che rende insostenibile, se non addirittura fuori mercato, qualsiasi produzione industriale in Italia (a meno di non ricevere aiuti diretti o indiretti dallo Stato stesso). Unica strada per tornare ad essere competitivi determinando un sensibile aumento dei livelli occupazionali, è intervenire subito per ridurre significativamente il cuneo fiscale,

impegna il Governo:

1) a proseguire nelle iniziative che consentono di accertare e sanzionare eventuali abusi nell'utilizzo dei cosiddetti voucher, preservando comunque questo strumento che ha mostrato risultati positivi nell'emersione del lavoro nero;

2) a valutare l'adozione di iniziative volte ad allineare alle medie OCSE il peso del fisco sul lavoro.
(1-01482)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Capezzone, Palese, Altieri, Bianconi, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».


   La Camera,
   premesso che:
    recentemente la Corte costituzionale si è espressa sull'ammissibilità di tre quesiti referendari in materia di lavoro e jobs act dichiarando ammissibili i quesiti concernenti rispettivamente l'abolizione dei voucher, e l'abrogazione delle disposizioni che limitano la responsabilità solidale delle imprese in caso di appalti;
    relativamente al terzo quesito referendario sull'articolo 18, la Consulta si è espressa negativamente sulla sua ammissibilità. In specie, il predetto quesito si proponeva di abrogare le modifiche apportate dal jobs act allo statuto dei lavoratori reintrodurre i limiti per i licenziamenti senza giusta causa;
    in particolare, il quesito referendario chiedeva il ripristino e l'ampliamento della «tutela reintegratoria nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo», estendendola però a tutte le aziende con oltre cinque dipendenti, a fronte del tetto massimo di 15 dipendenti, previsti dalla versione originaria dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori;
    il jobs act ha superato l'articolo 18, sostituendo il diritto al reintegro con un indennizzo economico in caso di licenziamento senza giusta causa;
   il quesito è stato elaborato dai proponenti in maniera un po’ complessa, investendo due diversi provvedimenti: il decreto legislativo n. 23 del 2015 («Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti») e numerose parti dell'articolo 18, nella versione modificata dalla «legge Fornero» del 2012;
    nel caso del decreto legislativo n. 23 del 2015 si proponeva l'abrogazione integrale del provvedimento, e dunque della disciplina sanzionatoria dei licenziamenti applicabile ai lavoratori assunti a partire dal 7 marzo 2015 (cioè dall'entrata in vigore dello stesso decreto);
    nel caso dell'articolo 18, invece, le relative abrogazioni erano finalizzate a modificare la norma, con due principali conseguenze: a) da un lato la semplificazione dei regimi sanzionatori del licenziamento invalido, che sarebbero divenuti soltanto due (e non più quattro, come nella «legge Fornero»), entrambi basati sulla reintegrazione nel posto di lavoro; b) dall'altro, la semplificazione e l'estensione del campo di applicazione della reintegrazione: questa, come già avviene oggi, si sarebbe applicata a tutti i datori di lavoro e a tutti i rapporti di lavoro (compresi i dirigenti) in caso di licenziamento discriminatorio o nullo, mentre in caso di licenziamento illegittimo, perché non giustificato, si sarebbe applicata, in caso di approvazione del referendum, ai lavoratori (non dirigenti) dipendenti da datori di lavoro che occupano più di cinque dipendenti;
    tale carattere ha inciso, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo; sulla decisione della Corte Costituzionale; l'Avvocatura dello Stato si è così espressa: «proponendosi di abrogare parzialmente la normativa in materia di licenziamento illegittimo, di fatto la sostituisce con un'altra disciplina assolutamente diversa ed estranea al contesto normativo di riferimento, “disciplina che il quesito ed il corpo elettorale non possono creare ex novo, né direttamente costruire”. Il quesito punta a estendere i vincoli al licenziamento “previsti dall'articolo 18 a tutte le aziende con più di 5 dipendenti”. Nell'articolo 18 l'ambito di applicazione della tutela reale viene stabilito differenziando a seconda che il datore di lavoro occupi più di 15 o più di 5 dipendenti: la disposizione contiene due regole speciali, la prima vale per le organizzazioni diverse dalle imprese agricole, la seconda per le imprese agricole»;
    secondo l'Avvocatura dello Stato, «l'intento dei promotori del referendum era quello di produrre una norma (la tutela reale per tutti i datori di lavoro con più di 5 dipendenti) che chiaramente estrae il limite dei 5 dipendenti, previsto per le sole imprese agricole, per applicarlo a tutti i datori di lavoro, a prescindere dal tipo di attività svolta»; tuttavia, considerando che, secondo costante giurisprudenza costituzionale in tema di referendum abrogativo, non sono ammesse tecniche di ritaglio dei quesiti che utilizzino il testo di una legge come serbatoio di parole cui attingere per costruire nuove disposizioni, l'Avvocatura dello Stato sostiene che l'eventuale esito positivo della consultazione avrebbe condotto ad una condizione di incertezza normativa, col rischio di incidere sulla regolamentazione delle vicende negoziali in essere al momento della modifica normativa;
    già nel 2003 la Corte costituzionale era stata chiamata a pronunciarsi su un quesito referendario non molto dissimile da quello in parola, che allora era stato ritenuto ammissibile. In quell'occasione, la proposta di abrogazione riguardava alcuni commi o patti di commi dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 1970 nel testo allora vigente); l'articolo 2, comma primo, e l'articolo 4, comma primo, della legge n. 108 del 1990; l'articolo 8 della legge n. 604 del 1996, con la finalità complessiva di estendere a tutti i rapporti di lavoro il regime della reintegrazione nel posto di lavoro. Il referendum non raggiunse il quorum di validità, e nell'ambito dei voti espressi la grande maggioranza degli elettori si pronunciò a favore dell'abrogazione;
    in assenza del referendum, in primis i lavoratori assunti a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015, e dunque assoggettati alla disciplina del contratto a tutele crescenti, restano in una condizione di grave sotto protezione nei confronti di un licenziamento illegittimo;
    da un punto di vista formale la legge delega n. 183 del 2014 (cosiddetto jobs act) non sostituisce o corregge l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori, ma lo lascia sopravvivere ad esaurimento per i lavoratori già assunti, ponendo un regime autonomo per i lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato all'indomani della sua entrata in vigore. Non è stato ripresentato il testo del precitato articolo 18, debitamente emendato, ma ne è stato proposto uno nuovo, che solo con riguardo al licenziamento discriminatorio, nullo o intimato in forma orale, riprende quello precedente. La riscrittura dell'articolo 18 dello statuto prefigurata dalla legge delega, sostituisce le limitazioni precedenti «per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra fra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi» (legge n. 92 del 2012, articolo 1, comma 42), che assegnava alla disciplina collettiva una parte essenziale nell'individuazione delle ipotesi di tutela reale;
    il doppio regime («tutele crescenti» per i neo assunti e tradizionali tutele per i lavoratori già dipendenti) ha indotto molti interpreti ad evidenziare la disparità di trattamento tra lavoratori all'interno della stessa azienda, i quali, di fronte a un medesimo provvedimento datoriale potranno ottenere differenti rimedi Una disparità di trattamento non già tra diverse categorie di lavoratori, indotta da ragioni oggettive, bensì tra colleghi di lavoro della stessa azienda, indotta da ragioni puramente soggettive (la data di assunzione). Con l'evidente possibilità che i giudici investiti di tali situazioni possano, a richiesta della parte ricorrente o meno, sollevare questione di incostituzionalità per violazione dell'articolo 3 della Costituzione;
    la mancata individuazione delle «specifiche fattispecie» di licenziamenti disciplinari ancora meritevoli di tutela reintegratoria non rappresenta soltanto violazione della delega ricevuta, anche ai sensi dell'articolo 76 della Costituzione, ma dà luogo anche ad un profilo aggiuntivo e autonomo di incostituzionalità; secondo molti interpreti, se per dimostrare l'insussistenza del «fatto materiale» il lavoratore licenziato dovesse essere costretto a fornire davvero una prova diretta, allora si tramuterebbe nel dovere di fornire una prova negativa, vietata in generale perché impossibile, con conseguente violazione dell'articolo 24 della Costituzione;
    il divieto per il giudice, sempre in tema di licenziamento disciplinare, di valutare la proporzionalità tra condotta effettivamente tenuta dal lavoratore incolpato e pena espulsiva inflittagli dal datore di lavoro, contrasta – secondo gli stessi interpreti – con l'esistenza stessa di una funzione giurisdizionale autonoma e indipendente dal potere legislativo/esecutivo, garante del principio di legalità: «Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso»; principio contenuto nell'articolo 25 della Costituzione, che a sua volta è contenuto nella Parte prima, «Diritti e doveri dei cittadini», e più esattamente nel relativo Titolo I, «Rapporti civili»; tale divieto si pone, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo anche in violazione dell'articolo 39 della Costituzione laddove smentisce tutto il lavoro svolto dalla contrattazione collettiva in tema di individuazione delle singole mancanze e delle singole sanzioni corrispondentemente applicabili;
    il Governo Renzi, con la riforma del lavoro, di americana memoria ha modificato la disciplina giuridica del rapporto e del mercato del lavoro, sotto l'occhio vigile di Bruxelles, resosi disponibile ad allentare la pressione finanziaria, purché, sull'onda della celeberrima «riforma Fornero», si continuasse ad effettuare ulteriori riforme strutturali, a cominciare proprio da una traduzione della formula comunitaria di gran moda della flexsecurity,

impegna il Governo:

1) ad assumere le iniziative di competenza al fine di fissare la data per il voto referendario entro i primi giorni utili previsti per legge in particolare il 23 aprile 2017;

2) ad adottare tutte le iniziative utili a tutelare i diritti della persona del lavoratore della sua libertà e dignità, della sua capacità e forza contrattuale, partendo da quelle volte all'abrogazione della legge n. 183 del 2014, cosiddetta «riforma del jobs act», anche alla luce delle criticità segnalate in premessa con riferimento al rispetto delle norme costituzionali, e specificamente dell'articolo 76 della Costituzione.
(1-01488) «Ciprini, Cominardi, Lombardi, Chimienti, Dall'Osso, Tripiedi, Cecconi».


   La Camera,
   premesso che:
    la Corte costituzionale in data 11 gennaio 2017, con due ordinanze ha dichiarato ammissibili i referendum costituzionali promossi dalla Cgil per l'abrogazione delle norme del Jobs Act in materia di voucher e di responsabilità solidale del committente e dell'appaltatore negli appalti pubblici. La Consulta ha ritenuto invece inammissibile il quesito volto ad abrogare la normativa in materia di licenziamenti illegittimi contenuta nell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Il referendum, ai sensi degli articoli 33 e 34 della legge n. 352 del 1970, dovrà tenersi in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno 2017;
    il lavoro occasionale accessorio include tutte le prestazioni lavorative che non sono riconducibili a contratti di lavoro di alcun tipo, in quanto svolte in modo saltuario e regolate attraverso i buoni lavoro o voucher che garantiscono la copertura Inps e Inail. I committenti che possono utilizzarli sono famiglie, enti o imprese di vario tipo;
    scopo dei voucher è quello di favorire l'occupazione di soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mondo del lavoro oppure in procinto di uscirne, oltre che di favorire l'emersione del lavoro nero;
    con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legislativo n. 185 del 24 settembre 2016, dall'8 ottobre 2016 è in vigore la comunicazione preventiva obbligatoria che permette la tracciabilità dei voucher per evitarne l'uso fraudolento. Pertanto, gli imprenditori che utilizzano i voucher dovranno inviare la comunicazione preventiva prima dell'inizio di ciascuna prestazione all'Ispettorato nazionale del lavoro;
    è necessario, pertanto, se si vuole garantire una restrizione sui voucher che, come riportato precedentemente sono stati fondamentali nell'emersione del lavoro nero, che ha costituito e costituisce una vera e propria «piaga sociale», attivare la liberalizzazione dei contratti intermittenti che possono essere stipulati anche a tempo indeterminato. Tra l'altro la cosiddetta legge Biagi ha avviato la sperimentazione limitata dei buoni prepagati ma ha consentito contemporaneamente la possibilità di fare emergere i lavori occasionali periodici o ripetuti (ad esempio i camerieri nei periodi in cui è più intensa l'attività della ristorazione attraverso il contratto a chiamata);
    un'eventuale riforma legislativa potrebbe poi escludere i voucher in un settore particolarmente esposto come l'edilizia o limitarne l'uso sulla base di tetti aziendali. In ogni caso è fondamentale consentire che ogni attività lavorativa, anche occasionale e di breve periodo, possa essere agevolmente regolata in modo da assicurarne l'emersione;
    per quanto riguarda l'altro quesito referendario ammesso, denominato «abrogazione disposizioni limitative della responsabilità solidale in materia di appalti in capo al datore di lavoro», si propone di abrogare una modifica introdotta dalla «riforma Fornero» del mercato del lavoro in tema di appalti. Infatti, in caso di appalti, il committente (cioè l'impresa che affida un'attività in appalto ad un altro soggetto definito appaltatore) può essere chiamato a rispondere nei casi in cui l'appaltatore non adempia ai suoi obblighi nei confronti dei dipendenti (per esempio non riconosca le retribuzioni o i contributi previdenziali). Questo criterio definito di responsabilità solidale è attualmente subordinato al fatto che siano già state esercitate tutte le possibili azioni di recupero nei confronti dell'appaltatore. Solo dopo che tali azioni siano state compiute e si siano rivelate infruttuose sarà possibile rivalersi sul committente. Il quesito propone abrogazione di quest'ultimo vincolo;
    questa tematica è molto delicata. Infatti, fino al 2012, il meccanismo era particolarmente complesso e confuso. Poteva accadere (quasi sempre) che il lavoratore per fare valere eventuali ragioni creditorie chiamava in giudizio il solo committente e non il suo datore di lavoro, cioè l'appaltatore. All'impresa committente veniva preclusa qualsiasi integrazione del contraddittorio, non potendo citare l'appaltatore, né difendersi, vista l'impossibilità per il committente di ingerirsi nel rapporto tra lavoratore ed appaltatore. E così si verificava che l'impresa madre era tenuta a pagare direttamente il lavoratore, salvo poi agire in rivalsa nei confronti dell'appaltatore (peraltro già retribuito per la commessa svolta e magari non più attivo);
    l'idea di attenuare questa responsabilità oggettiva in capo al committente è stata ripresa dalla cosiddetta «legge Fornero» e sono stati introdotti due fondamentali correttivi. Infatti, viene concesso alla contrattazione collettiva nazionale di derogare alla responsabilità solidale, prevedendo metodi e procedure di controllo della regolarità degli appalti, sostitutivi appunto della responsabilità solidale. In secondo luogo, in sede processuale, è previsto l'obbligo per il lavoratore di chiamare in giudizio congiuntamente il suo datore di lavoro ed il committente, consentendo a quest'ultimo di chiedere il beneficio della preventiva escussione in base al quale se il giudizio di merito si conclude con una condanna in solido, il lavoratore deve agire in via esecutiva prima nei confronti dell'appaltatore e, solo successivamente, se risulta inadempiente nei confronti del committente;
    questa normativa, che aveva reso ragionevole ed equilibrato il rapporto tra la tutela dei diritti dei lavoratori e delle imprese, è oggi operativa ed applicabile. La disciplina, pertanto, se abrogata darebbe luogo ad incertezze applicative,

impegna il Governo:

1) a completare l'opera di monitoraggio, così come previsto dall'ultima normativa in materia di voucher, ed, a seguito della stessa azione di controllo già avviata e alla luce dei provvedimenti che sono all'attenzione del Parlamento, ad assumere una propria iniziativa tesa a contrastare forme distorsive dell'utilizzo di questi strumenti, senza però giungere alla loro messa in discussione, considerata la loro utilità;
2) a valutare l'opportunità di assumere iniziative per la revisione della disciplina in materia di responsabilità solidale negli appalti richiamata in premessa, tenuto conto dell'esigenza di evitare incertezze applicative.
(1-01489) «Pizzolante, Bosco».


   La Camera,
   premesso che:
    la Corte costituzionale, con sentenze pronunciate l'11 gennaio 2017, ha ammesso due richieste di referendum abrogativi, relativi rispettivamente all'abrogazione di disposizioni limitative della responsabilità solidale in materia di appalti e all'abrogazione disposizioni sul lavoro accessorio (voucher);
    si tratta di due quesiti di fondamentale importanza, la cui richiesta è supportata, per ciascuno, da oltre un milione di firme, come risulta comprensibile, considerate le conseguenze negative che le ultime riforme del mercato del lavoro hanno determinato in relazione alla tutela dei diritti dei lavoratori e da quanto, a questo proposito, emerge sempre più evidentemente circa i «voucher» il loro utilizzo è stato oggetto di successivi ampliamenti, fino a renderli acquistabili in tabaccheria, nelle banche popolari o presso gli uffici postali, tanto che dalla nota trimestrale sulle tendenze dell'occupazione – in cui vengono documentati i primi risultati di un complesso programma di attività finalizzato a produrre informazioni armonizzate, complementari e coerenti, dati disponibili fino al terzo trimestre 2016; già rilasciati nei comunicati delle singole istituzioni – e sulla base di alcuni nuovi indicatori realizzati ad hoc per arricchire e rendere più coerente il quadro delle principali dinamiche del mercato del lavoro, risulta che, nei primi nove mesi del 2016, i voucher venduti sono stati 109,5 milioni, il 34,6 per cento in più rispetto all'analogo periodo dell'anno precedente; i voucher riscossi per attività svolte nel 2015 (quasi 88 milioni) corrispondono a circa 47 mila lavoratori annui full-time e rappresentano solo lo 0,23 per cento del totale del costo lavoro in Italia;
    intervenire sul punto è da tempo urgente e tuttavia, questo non è stato fatto, né, d'altronde, sarebbero stati in passato, né tantomeno sarebbero adesso, ad opera di questo Governo, accettabili interventi volti a realizzare modifiche marginali, incapaci di incidere sulle distorsioni provocate nell'ambito del mercato del lavoro e volte magari soltanto a creare confusione nel dibattito pubblico in vista del referendum;
    ai sensi dell'articolo 34, comma 1, della legge n. 352 del 1970, recante «Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo», il Presidente della Repubblica, ricevuta comunicazione della sentenza con cui la Corte costituzionale ammette il referendum, ne indice, su proposta del Consiglio dei ministri, la votazione in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno;
    la legge n. 352 del 1970 esclude la sovrapposizione tra il referendum abrogativo e le elezioni politiche, prevedendo, che nell'anno antecede alla scadenza di una delle Camere, non possano essere presentate richieste di referendum e, all'articolo 34, comma 2, che, se dopo l'indizione del referendum le Camere sono sciolte, il referendum si intende sospeso e i termini riprendono a decorrere dal 365o giorno successivo allo svolgimento delle elezioni;
    nessuna norma è invece volta a escludere il contemporaneo svolgimento del referendum abrogativo e di consultazioni popolari differenti da quelle per il rinnovo delle Camere;
    nel secondo semestre del 2016 e nel primo semestre del 2017 sono andate in scadenza o stanno per andare a scadenza diverse amministrazioni comunali;
    ai sensi dell'articolo 1 della legge n. 182 del 1991, recante «Norme per lo svolgimento delle elezioni dei consigli comunali e circoscrizionali» e successive modifiche ed integrazioni le elezioni amministrative si svolgono in un unico turno elettorale ordinario da tenersi in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno;
    il costo di un turno elettorale è stimato intorno a non meno di trecento milioni di euro;
    negli ultimi anni sono stati adottati alcuni provvedimenti per ridurre il costo delle elezioni (come il decreto-legge sulla spending review del Governo Letta che ha stabilito il voto nella sola giornata di domenica);
    è comunque necessario chiarire che nessuna politica di riduzione dei costi può incidere negativamente sulla possibilità per gli elettori di esprimersi in occasione delle votazioni, che stabiliscono attuazione del principio democratico di cui all'articolo 1 della Costituzione, ai sensi del quale il popolo esercita la sovranità (di cui è titolare) «nelle forme e nei limiti della Costituzione» stesse;
    la fissazione della data di svolgimento del referendum e delle elezioni per il rinnovo delle amministrazioni comunali in un'unica data non ha nessun impedimento giuridico e anzi, in base a quanto previsto rispettivamente dall'articolo 34 della legge n. 352 del 1970 e dall'articolo 1 della legge n. 182 del 1991 e successive modifiche ad integrazioni, in entrambi i casi la data di indizione deve essere fissata nel medesimo arco temporale dell'anno piuttosto stretto (15 aprile-15 giugno);
    l'individuazione della stessa data per lo svolgimento di entrambe le consultazioni popolari ottimizzerebbe l'organizzazione dei comizi, agevolerebbe i cittadini nella partecipazione (soprattutto da parte di chi ha maggiore difficoltà a esercitare materialmente il diritto di voto), determinerebbe un significativo risparmio per le casse dell'erario (coerentemente con le già adottate misure per lo svolgimento del referendum in un'unica giornata) e, naturalmente, assicurerebbe comunque anche a chi votasse in un comune in cui si svolgono entrambe le votazioni di partecipare all'una ma non all'altra (semplicemente non ritirando le schede delle consultazioni alle quali non intende partecipare),

impegna il Governo:

1) ad assumere le iniziative di competenza per fissare nella medesima domenica compresa tra il 15 aprile 2017 e il 15 giugno 2017 la data per lo svolgimento delle votazioni popolari relative ai referendum abrogativi ammessi dalla Corte costituzionale con le sentenze pronunciate l'11 gennaio 2017 e quella per lo svolgimento delle elezioni delle amministrazioni comunali e circoscrizionali che devono essere rinnovate nel 2017 ai sensi dell'articolo 1 della legge n. 182 del 1991.
(1-01490) «Civati, Baldassarre, Artini, Bechis, Brignone, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino, Segoni, Turco».


   La Camera,
   premesso che:
    la Corte costituzionale, con sentenze pronunciate l'11 gennaio 2017, ha ammesso due richieste di referendum abrogativi, relativi rispettivamente all'abrogazione di disposizioni limitative della responsabilità solidale in materia di appalti e all'abrogazione disposizioni sul lavoro accessorio (voucher);
    si tratta di due quesiti di fondamentale importanza, la cui richiesta è supportata, per ciascuno, da oltre un milione di firme, come risulta comprensibile, considerate le conseguenze negative che le ultime riforme del mercato del lavoro hanno determinato in relazione alla tutela dei diritti dei lavoratori e da quanto, a questo proposito, emerge sempre più evidentemente circa i «voucher» il loro utilizzo è stato oggetto di successivi ampliamenti, fino a renderli acquistabili in tabaccheria, nelle banche popolari o presso gli uffici postali, tanto che dalla nota trimestrale sulle tendenze dell'occupazione – in cui vengono documentati i primi risultati di un complesso programma di attività finalizzato a produrre informazioni armonizzate, complementari e coerenti, dati disponibili fino al terzo trimestre 2016; già rilasciati nei comunicati delle singole istituzioni – e sulla base di alcuni nuovi indicatori realizzati ad hoc per arricchire e rendere più coerente il quadro delle principali dinamiche del mercato del lavoro, risulta che, nei primi nove mesi del 2016, i voucher venduti sono stati 109,5 milioni, il 34,6 per cento in più rispetto all'analogo periodo dell'anno precedente; i voucher riscossi per attività svolte nel 2015 (quasi 88 milioni) corrispondono a circa 47 mila lavoratori annui full-time e rappresentano solo lo 0,23 per cento del totale del costo lavoro in Italia;
    intervenire sul punto è da tempo urgente e tuttavia, questo non è stato fatto, né, d'altronde, sarebbero stati in passato, né tantomeno sarebbero adesso, ad opera di questo Governo, accettabili interventi volti a realizzare modifiche marginali, in capaci di incidere sulle distorsioni provocate nell'ambito del mercato del lavoro e volte magari soltanto a creare confusione nel dibattito pubblico in vista del referendum;
    ai sensi dell'articolo 34, comma 1, della legge n. 352 del 1970, recante «Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo», il Presidente della Repubblica, ricevuta comunicazione della sentenza con cui la Corte costituzionale ammette il referendum, ne indice, su proposta del Consiglio dei ministri, la votazione in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno;
    la legge n. 352 del 1970 esclude la sovrapposizione tra il referendum abrogativo e le elezioni politiche, prevedendo, che nell'anno antecede alla scadenza di una delle Camere, non possano essere presentate richieste di referendum e, all'articolo 34, comma 2, che, se dopo l'indizione del referendum le Camere sono sciolte, il referendum si intende sospeso e i termini riprendono a decorrere dal 365o giorno successivo allo svolgimento delle elezioni;
    nessuna norma è invece volta a escludere il contemporaneo svolgimento del referendum abrogativo e di consultazioni popolari differenti da quelle per il rinnovo delle Camere;
    nel secondo semestre del 2016 e nel primo semestre del 2017 sono andate in scadenza o stanno per andare a scadenza diverse amministrazioni comunali;
    ai sensi dell'articolo 1 della legge n. 182 del 1991, recante «Norme per lo svolgimento delle elezioni dei consigli comunali e circoscrizionali» e successive modifiche ed integrazioni le elezioni amministrative si svolgono in un unico turno elettorale ordinario da tenersi in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno;
    il costo di un turno elettorale è stimato intorno a non meno di trecento milioni di euro;
    negli ultimi anni sono stati adottati alcuni provvedimenti per ridurre il costo delle elezioni (come il decreto-legge sulla spending review del Governo Letta che ha stabilito il voto nella sola giornata di domenica);
    è comunque necessario chiarire che nessuna politica di riduzione dei costi può incidere negativamente sulla possibilità per gli elettori di esprimersi in occasione delle votazioni, che stabiliscono attuazione del principio democratico di cui all'articolo 1 della Costituzione, ai sensi del quale il popolo esercita la sovranità (di cui è titolare) «nelle forme e nei limiti della Costituzione» stesse;
    la fissazione della data di svolgimento del referendum e delle elezioni per il rinnovo delle amministrazioni comunali in un'unica data non ha nessun impedimento giuridico e anzi, in base a quanto previsto rispettivamente dall'articolo 34 della legge n. 352 del 1970 e dall'articolo 1 della legge n. 182 del 1991 e successive modifiche ad integrazioni, in entrambi i casi la data di indizione deve essere fissata nel medesimo arco temporale dell'anno piuttosto stretto (15 aprile-15 giugno);
    l'individuazione della stessa data per lo svolgimento di entrambe le consultazioni popolari ottimizzerebbe l'organizzazione dei comizi, agevolerebbe i cittadini nella partecipazione (soprattutto da parte di chi ha maggiore difficoltà a esercitare materialmente il diritto di voto), determinerebbe un significativo risparmio per le casse dell'erario (coerentemente con le già adottate misure per lo svolgimento del referendum in un'unica giornata) e, naturalmente, assicurerebbe comunque anche a chi votasse in un comune in cui si svolgono entrambe le votazioni di partecipare all'una ma non all'altra (semplicemente non ritirando le schede delle consultazioni alle quali non intende partecipare),

impegna il Governo:

1) a valutare le opportune iniziative di competenza per fissare nella medesima domenica compresa tra il 15 aprile 2017 e il 15 giugno 2017 la data per lo svolgimento delle votazioni popolari relative ai referendum abrogativi ammessi dalla Corte costituzionale con le sentenze pronunciate l'11 gennaio 2017 e quella per lo svolgimento delle elezioni delle amministrazioni comunali e circoscrizionali che devono essere rinnovate nel 2017 ai sensi dell'articolo 1 della legge n. 182 del 1991.
(1-01490)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Civati, Baldassarre, Artini, Bechis, Brignone, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino, Segoni, Turco».


   La Camera,
   premesso che:
    la riforma del mercato del lavoro sostenuta e approvata dal Governo Renzi (contenuta nella legge delega n. 183 del 2014, il cosiddetto Jobs Act, e nei diversi decreti legislativi approvati) si è rivelata, per i presentatori del presente atto di indirizzo, fallimentare;
    gli stessi dati diffusi dall'Inps, negli ultimi mesi, certificano che la politica della «droga» delle decontribuzioni non ha funzionato: esaurito il « doping» al mercato del lavoro, con la fine degli incentivi per le assunzioni a tempo indeterminato, è immediatamente sceso il numero degli impieghi stabili. In sostanza, il Jobs Act ha solo aumentato le assunzioni con contratti a tutele crescenti, senza creare nuovi posti di lavoro e soprattutto senza creare sviluppo e crescita. Sono stati, dunque, bruciati quasi 20 miliardi di euro, spesi per finanziare l'inutile decontribuzione;
    nei primi dieci mesi del 2016 sono stati stipulati più di 1,3 milioni (1.370.320) di contratti a tempo indeterminato (comprese le trasformazioni), mentre le cessazioni, sempre di contratti a tempo indeterminato, sono state 1.308.680, con un saldo positivo di 61.640 unità. Il dato – si rileva dall'osservatorio Inps – è peggiore dell'89 per cento rispetto al saldo positivo di 588.039 contratti stabili dei primi dieci mesi 2015, risentendo della riduzione degli incentivi per le assunzioni stabili, e anche di gennaio-ottobre 2014 (+101.255 stabili);
    sempre da dati Inps si rileva che, nello stesso periodo gennaio-ottobre 2016, sono stati venduti 121,5 milioni di voucher destinati al pagamento delle prestazioni di lavoro accessorio, del valore nominale di 10 euro, con un incremento, rispetto ai primi dieci mesi del 2015, pari al 32,3 per cento. Il dato è particolarmente grave se si considera che, nei primi dieci mesi del 2015, la crescita dell'utilizzo dei voucher, rispetto al 2014, era stata pari al 67,6 per cento;
    il pagamento attraverso i voucher per alcuni tipi di lavori era stato introdotto con il decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (approvato in attuazione della legge 14 febbraio 2003, n. 30, cosiddette «legge Biagi») per far emergere dall'irregolarità, alcune forme di lavoro occasionale (come dare ripetizioni o tipi di lavoro domestico), ma, negli anni, ne è stato legittimato l'uso per quasi tutti i tipi di lavoro. La disciplina del lavoro accessorio è stata infatti modificata dal decreto legislativo n. 81 del 2015, uno dei decreti attuativi del Jobs Act. Tra i cambiamenti di maggior rilievo viene in considerazione l'innalzamento da 5.000 euro a 7.000 euro (annualmente rivalutati) nel corso di un anno civile e con riferimento alla totalità dei committenti, del limite massimo entro cui deve rientrare la retribuzione perché la prestazione possa configurarsi come lavoro accessorio. Questo fattore, insieme ad altre misure del Jobs Act che hanno ridotto altre tipologie di lavoro più flessibile, ha determinato un aumento dell'uso dei voucher da parte dei datori di lavoro;
    il legislatore è poi tornato nuovamente sulla disciplina del lavoro accessorio: ma le modifiche apportate da ultimo con il decreto legislativo 24 settembre 2016, n. 185, non sono apparse per nulla risolutive; l'intervento si è infatti limitato a introdurre un obbligo di comunicazione preventiva sul modello di quanto già previsto per il cosiddetto lavoro intermittente;
    per tali ragioni e per evitare che il lavoro accessorio alimenti una generazione di lavoratori poveri si rende necessario un ulteriore intervento legislativo. A tal proposito, e, più in generale, per modificare una parte della disciplina introdotta dal Jobs Act, la Cgil, nel luglio 2015, aveva depositato più di tre milioni di firme per la richiesta di tre referendum abrogativi;
    una delle richieste riguardava proprio l'abrogazione della disciplina dei voucher. Una seconda richiesta chiedeva l'abrogazione di norme che limitano la responsabilità in solido fra appaltante e appaltatore, L'ultima, la più complessa, mirava alla reintroduzione della reintegra in caso di licenziamento senza giusta causa, estendendola anche alle imprese sopra i 5 addetti;
    l'11 gennaio 2017, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile il quesito sui licenziamenti illegittimi, mentre ha dichiarato ammissibili le richieste di abrogazione della disciplina dei voucher, e delle limitazioni introdotte sulla responsabilità solidale in materia di appalti;
    la decisione della Consulta risulta equilibrata: il quesito dichiarato inammissibile si prestava in effetti ad ambiguità non proprie delle richieste di referendum abrogativo. La formulazione del quesito scritto andava infatti oltre il ripristino dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, perché estendeva di fatto il diritto alla reintegra nel posto di lavoro (in caso di scioglimento illegittimo del contratto da parte del datore) ai dipendenti delle aziende con un numero di dipendenti tra i 5 e i 15 (prefigurando tra l'altro un sistema ancora più rigido rispetto a quello vigente prima dell'entrata in vigore del Jobs Act), configurandosi quindi come quesito «propositivo» – in quanto di fatto avrebbe sostituito le norme in vigore con una disciplina diversa rispetto alle norme previgenti – e pertanto inammissibile;
    la «bocciatura» della Consulta è dunque arrivata puntuale e prevedibile, a seguito di un'evidente forzatura operata da parte dei proponenti in merito all'applicazione della soglia dei 5 dipendenti;
    ad oggi, se non interverranno modifiche legislative sulle norme oggetto dei quesiti resi ammissibili dalla Corte, tra il 15 aprile e il 15 giugno 2017, gli elettori saranno chiamati al voto referendario;
    è quindi necessario che il legislatore svolga un'accurata riflessione, e che la politica si concentri sui temi oggetto delle richieste dei cittadini relative al mondo del lavoro, a partire dalla disciplina sul lavoro accessorio;
    l'obiettivo dovrebbe essere innanzitutto quello di regolamentare l'utilizzo dei voucher, che comunque rimangono uno strumento utile a coloro che non godono di contratto stabile. Su tale fronte non è quindi necessario attendere il referendum, anche perché si tratta di una emergenza da risolvere nell'immediato. Anche il Governo si è già reso disponibile a modifiche, e la Commissione lavoro della Camera ha di recente avviato l'esame delle proposte di legge che disciplinano il lavoro accessorio;
    è necessario innanzitutto abbassare il tetto del compenso annuo e restringere l'ambito di applicazione dei ticket lavoro, sostanzialmente tornando alla disciplina già prefigurata dalla «legge Biagi»; con diverse e flessibili forme contrattuali, per rilanciare l'occupazione e offrire maggiori opportunità di lavoro,

impegna il Governo:

1) ad adottare ogni opportuna iniziativa volta a ripristinare sostanzialmente l'originario impianto normativo del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, per quanto attiene alla definizione dei voucher e al loro campo di applicazione, nonché alla puntuale individuazione delle tipologie di lavoratori ammessi allo svolgimento delle prestazioni di lavoro accessorio;
2) ad adottare opportune iniziative per offrire, a tutti i lavoratori che dichiarano la loro disponibilità ad effettuare prestazioni di lavoro accessorio, l'erogazione di una formazione di base in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro da parte dei servizi per l'impiego e degli enti accreditati;
3) nell'ambito di future iniziative normative in materia di lavoro, a rivedere gli strumenti di flessibilità, per evitare distorsioni nell'ambito applicativo della disciplina del lavoro accessorio, prevedendo forme di flessibilità anche alternative ai voucher, di maggiore tutela per i lavoratori.
(1-01491) «Polverini, Occhiuto».


   La Camera,

impegna il Governo:

1) a valutare le opportune iniziative, anche normative, per superare alcune problematiche nell'uso dell'istituto dei voucher;
2) a valutare, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, l'opportunità di intraprendere iniziative per offrire, a tutti i lavoratori che dichiarano la loro disponibilità ad effettuare prestazioni di lavoro accessorio, l'erogazione di una formazione di base in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro da parte degli enti preposti, tenuto conto in ogni caso che le disposizioni previste dal testo unico sulla sicurezza si applicano anche nei confronti dei lavoratori che effettuano prestazioni di lavoro accessorie (articolo 3, comma 8, del decreto legislativo n. 81 del 2008);
3) a proseguire nelle iniziative che consentano di accertare e sanzionare eventuali abusi nell'utilizzo dei cosiddetti voucher, preservando comunque questo strumento che ha mostrato risultati positivi nell'emersione del lavoro nero.
(1-01491)
(Testo modificato nel corso della seduta come risultante dalla votazione per parti separate)  «Polverini, Occhiuto».


   La Camera,
   premesso che:
    nel corso degli ultimi due anni, pur in una fase di faticosa fuoriuscita da una recessione epocale, sul piano dell'occupazione si sono registrati circa 656 mila posti di lavoro in più, oltre due terzi dei quali a tempo indeterminato e un calo degli inattivi di circa 665 mila unità, determinando, rispetto al 2014, una riduzione di oltre un punto del tasso di disoccupazione generale e di oltre 4 punti di quello giovanile. Tali risultati sono ascrivibili al profondo intervento di riordino normativo in materia di lavoro e alle misure di decontribuzione per le nuove assunzioni; i molteplici interventi anche da ultimo adottati dal Governo Renzi e dalla sua maggioranza nella legge di bilancio, daranno ulteriore slancio alla ripresa significativa degli investimenti e dei consumi e ciò potrà assicurare altri sensibili incrementi dei tassi di occupazione e, soprattutto, nuove opportunità di occupazione per le giovani generazioni;
    come è noto, su tre questioni al centro dell'attenzione dei lavoratori e dell'opinione pubblica, ovvero la disciplina del lavoro accessorio, la responsabilità solidale negli appalti e la tutela in materia di licenziamento, la CGIL ha promosso la raccolta di firme per altrettanti referendum popolari, ciascuno sottoscritto da oltre un milione di cittadini;
    su tali richieste referendarie la Corte costituzionale, nell'udienza dell'11 gennaio 2017, ha ammesso i quesiti sui voucher e sulla responsabilità solidale negli appalti ed ha respinto quello sulla disciplina della tutela in caso di licenziamento;
    per quanto riguarda l'utilizzo dei voucher, va anzitutto rilevato come la disciplina del lavoro accessorio di carattere meramente occasionale sia stata definita a partire dal 2003 e che da allora molteplici sono gli interventi legislativi che si sono susseguiti; segnatamente, l'istituto dei voucher è stato più recentemente disciplinato dal Governo Monti (legge Fornero) e, successivamente novellato dal Governo Letta e da ultimo dal Governo Renzi, nell'ambito della complessiva riforma del lavoro;
    lo strumento del voucher non è stato introdotto per flessibilizzare oltre modo il lavoro sino a sconfinare nella sua precarizzazione, quanto per contrastare la proliferazione del lavoro sommerso e irregolare. Tuttavia, l'impennata del loro utilizzo, soprattutto a seguito delle modifiche normative, intervenute negli anni 2011-2013, che ne hanno notevolmente ampliato l'ambito di applicazione, costituisce un ostacolo alla diffusione del lavoro stabile. L'uso distorto dei voucher, quindi, entra in contraddizione con gli obiettivi di stabilizzazione del lavoro, che il Jobs Act si è posto;
    nonostante l'attento monitoraggio sull'andamento dell'Istituto, che ha indotto il Governo Renzi ad adottare, nell'ambito di uno specifico decreto legislativo (n. 185 del 2016), interventi correttivi volti in particolare a rafforzare la tracciabilità nell'utilizzo dei voucher – introducendo l'obbligo di preventiva comunicazione dei dati dei prestatori e della data e dell'orario delle prestazioni – il ricorso agli stessi si è rivelato di particolare frequenza;
    gli ultimi dati rilasciati dall'Osservatorio dell'INPS per il 2016 riportano, infatti, un incremento delle vendite del 23,9 per cento su base annua, il quale segue la già significativa crescita del fenomeno registrata nel 2015, con una quota assoluta di assegni pari a quasi 134 milioni;
    dinanzi all'incremento esponenziale dell'utilizzo dei voucher il legislatore, proprio in virtù del meccanismo di monitoraggio contemplato dalla riforma del mercato del lavoro, è chiamato ad adottare ogni iniziativa utile tesa a prevenire l'abuso dello strumento che sembrerebbe poter emergere dai suddetti dati e, conseguentemente, addivenire a una rimodulazione dell'istituto che consenta di evitare l'uso distorto dei voucher, in coerenza proprio con i predetti obiettivi di stabilizzazione del lavoro sui quali si fonda la recente riforma del mercato del lavoro;
    per quanto concerne la disciplina della responsabilità solidale negli appalti, è indubbio che essa abbia registrato, negli anni passati, in virtù delle modifiche introdotte in attuazione della legge n. 30 del 2003 (cosiddetta legge Biagi) e in seguito alla legge n. 92 del 2012 (cosiddetta riforma Fornero), una progressiva erosione delle tutele per i lavoratori delle imprese impegnate in tali filiere produttive, con il paradosso di veder diminuire le garanzie alla retribuzione e alla regolarità contributiva proprio in quelle attività che, in gran parte dei casi, vedono le amministrazioni pubbliche come committenti;
    a tale ultimo riguardo, va peraltro rilevato come una inversione di tendenza sul piano delle politiche legislative nel settore degli appalti pubblici, con particolare riferimento a quelli relativi a contratti ad alta intensità di manodopera, si sia di converso registrata a seguito dell'adozione, nel 2016, del nuovo codice degli appalti, che ha espressamente regolamentato le clausole sociali nell'ottica della promozione dei diritti dei lavoratori e della continuità occupazionale;
   sul complesso di tali questioni sono già depositate diverse proposte di legge finalizzate a rivedere la normativa, ripristinando lo spirito originario dei suddetti istituti;
   per quanto attiene alle forme di tutela in caso di licenziamento, sebbene non siano oggetto dei prossimi referendum popolari, appare opportuno mantenere una speciale attenzione circa gli effetti della nuova disciplina, tenuto conto che i dati dell'Osservatorio dell'INPS offrono un quadro in chiaroscuro, dal momento che, se, da una parte, si evidenzia un lieve incremento dei licenziamenti complessivi dei primi dieci mesi del 2016 e in particolare di quelli disciplinari, dall'altra si assiste ad una assai maggiore diminuzione delle dimissioni che, per effetto anche della norma di contrasto alle cosiddette «dimissioni in bianco» contenuta nel Jobs act, si sono ridotte, negli stessi mesi di oltre centomila unità, passando da 762,517 a 658.666;
   come prospettato dal Jobs Act, la sfida del rilancio competitivo dell'economia passa, anche per un'organizzazione del mercato del lavoro che ponga al centro la buona e stabile occupazione, quale fattore di equilibrio sociale e presupposto per il recupero di produttività del nostro sistema produttivo;
   si rende necessario continuare a dare impulso alle politiche attive del lavoro e a prestare attenzione alla durata degli ammortizzatori sociali in relazione all'andamento del ciclo economico,

impegna il Governo:

1) ad assicurare il massimo impegno nell'attività di monitoraggio prevista dall'articolo 1, comma 13, del Jobs Act, al fine di un costante confronto con il Parlamento e le forze sociali, necessario, per una verifica condivisa degli effetti del nuovo quadro normativo;

2) ad assumere iniziative sulle materie in discussione, a partire dalle questioni oggetto dei quesiti referendari, tenendo conto anche delle proposte di legge già presentate in Parlamento.
(1-01492) «Rosato, Monchiero, Damiano, Gnecchi, Albanella, Arlotti, Baruffi, Boccuzzi, Casellato, Di Salvo, Cinzia Maria Fontana, Giacobbe, Gribaudo, Incerti, Patrizia Maestri, Miccoli, Paris, Giorgio Piccolo, Rostellato, Rotta, Simoni, Tinagli, Zappulla».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

   La Camera,
   premesso che:
    nel corso degli ultimi due anni, pur in una fase di faticosa fuoriuscita da una recessione epocale, sul piano dell'occupazione si sono registrati circa 656 mila posti di lavoro in più, oltre due terzi dei quali a tempo indeterminato e un calo degli inattivi di circa 665 mila unità, determinando, rispetto al 2014, una riduzione di oltre un punto del tasso di disoccupazione generale e di oltre 4 punti di quello giovanile. Tali risultati sono ascrivibili al profondo intervento di riordino normativo in materia di lavoro e alle misure di decontribuzione per le nuove assunzioni; i molteplici interventi anche da ultimo adottati dal Governo Renzi e dalla sua maggioranza nella legge di bilancio, daranno ulteriore slancio alla ripresa significativa degli investimenti e dei consumi e ciò potrà assicurare altri sensibili incrementi dei tassi di occupazione e, soprattutto, nuove opportunità di occupazione per le giovani generazioni;
    come è noto, su tre questioni al centro dell'attenzione dei lavoratori e dell'opinione pubblica, ovvero la disciplina del lavoro accessorio, la responsabilità solidale negli appalti e la tutela in materia di licenziamento, la CGIL ha promosso la raccolta di firme per altrettanti referendum popolari, ciascuno sottoscritto da oltre un milione di cittadini;
    su tali richieste referendarie la Corte costituzionale, nell'udienza dell'11 gennaio 2017, ha ammesso i quesiti sui voucher e sulla responsabilità solidale negli appalti ed ha respinto quello sulla disciplina della tutela in caso di licenziamento;
    per quanto riguarda l'utilizzo dei voucher, va anzitutto rilevato come la disciplina del lavoro accessorio di carattere meramente occasionale sia stata definita a partire dal 2003 e che da allora molteplici sono gli interventi legislativi che si sono susseguiti; segnatamente, l'istituto dei voucher è stato più recentemente disciplinato dal Governo Monti (legge Fornero) e, successivamente novellato dal Governo Letta e da ultimo dal Governo Renzi, nell'ambito della complessiva riforma del lavoro;
    lo strumento del voucher non è stato introdotto per flessibilizzare oltre modo il lavoro sino a sconfinare nella sua precarizzazione, quanto per contrastare la proliferazione del lavoro sommerso e irregolare. Tuttavia, l'impennata del loro utilizzo, soprattutto a seguito delle modifiche normative, intervenute negli anni 2011-2013, che ne hanno notevolmente ampliato l'ambito di applicazione, costituisce un ostacolo alla diffusione del lavoro stabile. L'uso distorto dei voucher, quindi, entra in contraddizione con gli obiettivi di stabilizzazione del lavoro, che il Jobs Act si è posto;
    nonostante l'attento monitoraggio sull'andamento dell'Istituto, che ha indotto il Governo Renzi ad adottare, nell'ambito di uno specifico decreto legislativo (n. 185 del 2016), interventi correttivi volti in particolare a rafforzare la tracciabilità nell'utilizzo dei voucher – introducendo l'obbligo di preventiva comunicazione dei dati dei prestatori e della data e dell'orario delle prestazioni – il ricorso agli stessi si è rivelato di particolare frequenza;
    gli ultimi dati rilasciati dall'Osservatorio dell'INPS per il 2016 riportano, infatti, un incremento delle vendite del 23,9 per cento su base annua, il quale segue la già significativa crescita del fenomeno registrata nel 2015, con una quota assoluta di assegni pari a quasi 134 milioni;
    dinanzi all'incremento esponenziale dell'utilizzo dei voucher il legislatore, proprio in virtù del meccanismo di monitoraggio contemplato dalla riforma del mercato del lavoro, è chiamato ad adottare ogni iniziativa utile tesa a prevenire l'abuso dello strumento che sembrerebbe poter emergere dai suddetti dati e, conseguentemente, addivenire a una rimodulazione dell'istituto che consenta di evitare l'uso distorto dei voucher, in coerenza proprio con i predetti obiettivi di stabilizzazione del lavoro sui quali si fonda la recente riforma del mercato del lavoro;
    per quanto concerne la disciplina della responsabilità solidale negli appalti, è indubbio che essa abbia registrato, negli anni passati, in virtù delle modifiche introdotte in attuazione della legge n. 30 del 2003 (cosiddetta legge Biagi) e in seguito alla legge n. 92 del 2012 (cosiddetta riforma Fornero), una progressiva erosione delle tutele per i lavoratori delle imprese impegnate in tali filiere produttive, con il paradosso di veder diminuire le garanzie alla retribuzione e alla regolarità contributiva proprio in quelle attività che, in gran parte dei casi, vedono le amministrazioni pubbliche come committenti;
    a tale ultimo riguardo, va peraltro rilevato come una inversione di tendenza sul piano delle politiche legislative nel settore degli appalti pubblici, con particolare riferimento a quelli relativi a contratti ad alta intensità di manodopera, si sia di converso registrata a seguito dell'adozione, nel 2016, del nuovo codice degli appalti, che ha espressamente regolamentato le clausole sociali nell'ottica della promozione dei diritti dei lavoratori e della continuità occupazionale;
   sul complesso di tali questioni sono già depositate diverse proposte di legge finalizzate a rivedere la normativa, ripristinando lo spirito originario dei suddetti istituti;
   per quanto attiene alle forme di tutela in caso di licenziamento, sebbene non siano oggetto dei prossimi referendum popolari, appare opportuno mantenere una speciale attenzione circa gli effetti della nuova disciplina, tenuto conto che i dati dell'Osservatorio dell'INPS offrono un quadro in chiaroscuro, dal momento che, se, da una parte, si evidenzia un lieve incremento dei licenziamenti complessivi dei primi dieci mesi del 2016 e in particolare di quelli disciplinari, dall'altra si assiste ad una assai maggiore diminuzione delle dimissioni che, per effetto anche della norma di contrasto alle cosiddette «dimissioni in bianco» contenuta nel Jobs act, si sono ridotte, negli stessi mesi di oltre centomila unità, passando da 762,517 a 658.666;
   come prospettato dal Jobs Act, la sfida del rilancio competitivo dell'economia passa, anche per un'organizzazione del mercato del lavoro che ponga al centro la buona e stabile occupazione, quale fattore di equilibrio sociale e presupposto per il recupero di produttività del nostro sistema produttivo;
   si rende necessario continuare a dare impulso alle politiche attive del lavoro e a prestare attenzione alla durata degli ammortizzatori sociali in relazione all'andamento del ciclo economico,

impegna il Governo:

1) ad assicurare il massimo impegno nell'attività di monitoraggio prevista dal Jobs Act all'articolo 1, comma 13, della legge n. 183 del 2014 al fine di un costante confronto con il Parlamento e le forze sociali, necessario, per una verifica condivisa degli effetti del nuovo quadro normativo;

2) ad assumere iniziative sulle materie in discussione, a partire dalle questioni oggetto dei quesiti referendari, tenendo conto anche delle proposte di legge già presentate in Parlamento.
(1-01492)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Rosato, Monchiero, Damiano, Gnecchi, Albanella, Arlotti, Baruffi, Boccuzzi, Casellato, Di Salvo, Cinzia Maria Fontana, Giacobbe, Gribaudo, Incerti, Patrizia Maestri, Miccoli, Paris, Giorgio Piccolo, Rostellato, Rotta, Simoni, Tinagli, Zappulla».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

   La Camera,
   premesso che:
    con la legge 10 dicembre 2014, n. 183, il Governo è stato delegato a operare una ampia riforma del mercato del lavoro, la cui attuazione si è concretizzata con l'adozione di ben otto decreti legislativi che intervengono su numerosi ambiti del settore lavoristico, ai quali si è ora aggiunto un primo decreto correttivo;
    gli interventi di riordino si sono essenzialmente concentrati sul tema degli ammortizzatori sociali, sui servizi per il lavoro di politiche attive, sugli aspetti relativi alla semplificazione delle procedure e degli adempimenti, sul riordino delle forme contrattuali e dell'attività ispettiva e sulla materia della tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro;
    tra gli argomenti più controversi affrontati dalla riforma, oltre alla già citata riforma degli ammortizzatori sociali, vi sono il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, la modifica dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, la riforma dell'indennità di disoccupazione e l'estensione dell'uso dei voucher per la retribuzione del lavoro accessorio;
    nel luglio del 2016 la Cgil ha depositato oltre tre milioni di firme per proporre tre referendum abrogativi di quelle disposizioni del jobs act che hanno introdotto, segnatamente, l'impiego dei cosiddetti voucher, la modifica dell'articolo 18 e il ripristino della responsabilità in solido di azienda appaltante e appaltatrice in caso di violazioni subite dai lavoratori;
    congiuntamente alla promozione dei referendum abrogativi, è stata presentata una proposta di legge d'iniziativa popolare volta alla stesura di una nuova carta dei diritti universali del lavoro;
    il primo referendum riguarda l'abolizione dei voucher, vale a dire dei «buoni lavoro», introdotti al fine di contrastare il fenomeno del lavoro nero, e disciplinati nella loro prima fase di applicazione dalla «legge Biagi»;
    in origine i voucher erano essenzialmente diretti a disciplinare forme di lavoro occasionale e con prestazioni di breve durata in ambito domestico svolte tra privati, al fine di consentire la regolarizzazione e, di conseguenza, la tutela di personale domestico quali collaboratrici domestiche, badanti, babysitter, giardinieri et similia, tipicamente pagati, spesso con l'assenso del lavoratore, in nero e per questo senza protezione assicurativa;
    la legge n. 33 del 2009 ha esteso, a partire dal 2010, l'applicazione dei voucher a molteplici soggetti, e nel 2012 con la riforma Fornero ha disposto una totale liberalizzazione in termini di settori o ambiti professionali nei quali potevano essere impiegati, ulteriormente rafforzata anche dal jobs act che ha innalzato il limite del reddito annuo da cinquemila a settemila euro e ha eliminato anche il requisito della occasionalità della prestazione che costituiva l'essenza stessa del voucher;
    l'aumento del limite di reddito, unitamente ad altre misure del jobs act che hanno ridotto altre forme di lavoro precario, ha determinato un aumento dell'uso dei voucher da parte dei datori di lavoro come confermato dagli ultimi dati diffusi dall'Inps, che ha certificato come l'uso del voucher nei primi dieci mesi del 2016 sia aumentato del trentadue per cento, mentre nei primi dieci mesi del 2015 era aumentato del sessantasette per cento rispetto allo stesso periodo del 2014;
    il secondo referendum proposto riguarda il ripristino dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, di cui alla legge 20 maggio 1970, n. 300, che sancisce il diritto al reintegro da parte del lavoratore licenziato senza una giusta causa nelle aziende con più di quindici dipendenti;
    l'articolo 18 aveva subito una prima sostanziale modifica nel 2012 con la «riforma Fornero» e il jobs act ne ha sancito il definitivo superamento, sostituendo il diritto al reintegro con un indennizzo economico in caso di licenziamento senza giusta causa;
    il terzo referendum chiede la soppressione di una norma del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e, laddove approvato, determinerebbe il ripristino della responsabilità in solido di azienda appaltante e azienda appaltatrice nel caso di violazioni dei diritti dei lavoratori impiegati;
    il complesso delle norme e dei provvedimenti comunemente noti come jobs act hanno rappresentato una rivoluzione mancata e continuano a registrarsi profonde criticità strutturali nel mondo del lavoro, quali l'elevata tassazione a carico delle imprese, l'eccessivo costo del lavoro, il fenomeno della delocalizzazione da parte di sempre più aziende, l'inefficace contrasto al lavoro in nero;
    proprio a dimostrazione di questo anche gli interventi che avrebbero dovuto accompagnare la tanto decantata riforma del mercato del lavoro, previsti dalle leggi di stabilità e consistenti perlopiù in incentivi alle assunzioni non stanno dando, dati alla mano soprattutto nel lungo periodo, i risultati sperati;
    già nel documento approvato dalla Commissione lavoro in esito alla indagine conoscitiva sulle misure per fronteggiare l'emergenza occupazionale, svolta nel 2013, era stato rilevato come «per quanto concerne gli incentivi finalizzati a nuove assunzioni o alla stabilizzazione di lavoratori flessibili, è stato osservato come il legislatore sia spesso vittima di una presunzione di efficacia, che porta a ricondurre a un incentivo tutti gli effetti che si osservano successivamente alla sua introduzione. Si tratta di una prospettiva fuorviante, che induce a una sistematica sovrastima degli effetti degli interventi, conducendo spesso a sprechi di risorse pubbliche. Non tutto quello che si osserva a seguito di un intervento normativo (in termini di assunzioni e stabilizzazioni), infatti, è ad esso legato da un nesso di causalità. Un'ormai confidata letteratura, fondata sulla cosiddetta analisi «controfattuale» (tesa cioè ad indagare cosa sarebbe comunque accaduto in assenza dell'intervento), mostra che gli effetti netti degli incentivi per l'occupazione sono spesso assai inferiori a quanto comunemente si ritiene»;
    lo stesso documento, inoltre, aveva stigmatizzato come già la «riforma Fornero» «pur modificando la composizione delle forme contrattuali, non abbia aiutato a rafforzare, nel suo complesso il mercato del lavoro in un periodo di crisi»,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a regolamentare e modificare la disciplina e l'uso dei voucher in modo da riportarli alla loro modalità d'impiego e funzione originarie;
2) ad adottare le iniziative per mantenere e rendere strutturali gli incentivi previsti dal jobs act solo in favore di quelle aziende che realizzano un saldo positivo di assunzioni;
3) a provvedere alla redazione di un approfondito documento da inviare alla Commissione europea deputata all'armonizzazione della pressione fiscale sul lavoro nella zona euro;
4) ad adottare ogni ulteriore iniziativa volta alla piena ed effettiva tutela dei lavoratori.
(1-01493) «Rizzetto, Rampelli, Cirielli, La Russa, Giorgia Meloni, Murgia, Nastri, Petrenga, Taglialatela, Totaro».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).


   La Camera,

impegna il Governo:

1) a valutare le opportune iniziative, anche normative, per superare alcune problematiche nell'uso dell'istituto dei voucher;
2)  a valutare le opportune iniziative per favorire lo sviluppo e la crescita dei contratti a tempo indeterminato, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica;
3) a valutare l'adozione di iniziative volte ad armonizzare, nell'Unione europea, il peso del fisco sul lavoro;
4) a valutare l'adozione di ogni ulteriore iniziativa volta alla piena ed effettiva tutela dei lavoratori.
(1-01493)
(Testo modificato nel corso della seduta come risultante della votazione per parti separate) «Rizzetto, Rampelli, Cirielli, La Russa, Giorgia Meloni, Murgia, Nastri, Petrenga, Taglialatela, Totaro».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

Misure in relazione all'emergenza dovuta alla mancanza di energia elettrica in Abruzzo e nelle Marche – 3-02724

   TANCREDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   oltre alla gravissima situazione determinata dal terremoto e dalle intense nevicate, l'Abruzzo è costretto ad affrontare una condizione di estrema emergenza dovuta alla mancanza di energia elettrica;
   nella giornata di lunedì 16 gennaio 2017 questo problema ha riguardato ben trecentomila persone e 160 mila utenze e si deve rilevare come, ad oggi, ancora oltre quindicimila risultino disattivate;
   le conseguenze di questa drammatica calamità hanno ulteriormente aggravato, in termini facilmente comprensibili, le condizioni di vita di migliaia di cittadini, colpendo particolarmente le fasce più disagiate per età, salute, condizioni economiche;
   l'Enel, nel corso del 2016, ha investito in Abruzzo cinquanta milioni di euro che avrebbero dovuto, dunque, determinare il rinnovo e la manutenzione di una rilevante quantità di chilometri di rete;
   è inaccettabile constatare come da oltre dieci giorni l'Abruzzo e le stesse Marche abbiano dovuto confrontarsi con una simile, impensabile emergenza;
   Abruzzo e Marche sono state colpite da un simile flagello proprio in un momento di grande sforzo che, nel campo dell'imprenditoria e del turismo in particolare, hanno posto in essere per rilanciare le condizioni socioeconomiche di due regioni già pesantemente colpite dal terremoto;
   il problema delle responsabilità è e sarà sicuramente oggetto, in tempi comprensibilmente lunghi, delle indagini degli organi preposti, mentre attuale ed indifferibile risulta la soluzione dei problemi denunciati –:
   quali siano le misure che il Governo ha posto o porrà in essere per risolvere nei modi più rapidi e definitivi la gravissima emergenza denunciata, ponendo sicure premesse perché la stessa non abbia più a verificarsi. (3-02724)


Iniziative di competenza in ordine al trattamento economico dei direttori generali delle aziende sanitarie locali, in particolare in considerazione della legge regionale della Sardegna n. 17 del 2016 – 3-02725

   CAPELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 luglio 1995, n. 502, stabilisce nella misura massima di 154.937 euro la retribuzione del direttore generale di un'azienda sanitaria, sommando, eventualmente, fino a 5.165 euro per iniziative alle quali debba partecipare per esigenze connesse al proprio ufficio ed un bonus, nella misura massima del 20 per cento, in relazione al conseguimento degli obiettivi assegnati;
   la legge regionale della Sardegna n. 17 del 2016, all'articolo 17, stabilisce che «il trattamento economico dei direttori generali (...) è determinato dalla giunta regionale, (...)», in base a vari parametri e con una possibile integrazione sino al 20 per cento per obiettivi raggiunti «nel rispetto del limite massimo al trattamento economico del personale pubblico e delle società partecipate, di cui all'articolo 13, comma 1, del decreto-legge n. 66 del 2014 (...)»;
   il parere della Ragioneria generale dello Stato relativo al citato articolo segnala che «l'assenza di riferimento al rispetto di quanto previsto in materia dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 502 del 1995 (...), le cui disposizioni costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, è suscettibile di determinare oneri non quantificati e non coperti, quindi in contrasto con gli articoli 81 e 117, comma 3, della Costituzione»;
   l'ufficio legislativo del Ministero della salute, inoltre, ha osservato che la norma citata «appare foriera di un'ampia discrezionalità in capo alla regione poiché svincolata dai parametri stabiliti a livello nazionale nella determinazione dei compensi attraverso il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 luglio 1995, n. 502 (...)»;
   appaiono all'interrogante insoddisfacenti le controdeduzioni fornite in merito dalla regione Sardegna, in quanto i pronunciamenti della Corte costituzionale a cui si fa riferimento (in particolar modo, la sentenza n. 341 del 30 dicembre 2009) mai parlano espressamente del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 502 n. 1995;
   il presidente della regione Sardegna impegnava la giunta regionale a proporre al consiglio regionale le modifiche normative richieste dal Ministero della salute, ma in realtà a tutt'oggi questo non è mai avvenuto;
   al contrario di quanto previsto dal decreto-legge n. 66 del 2014, la retribuzione del direttore generale dell'azienda per la tutela della salute è stato fissato nella misura di 200.000 euro, prevedendo un massimale di 240.000 euro, ben al di sopra dei limiti imposti dalla normativa vigente –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere, anche nelle competenti sedi di concertazione con le regioni, in relazione alla problematica sopra esposta.
(3-02725)


Iniziative di competenza per garantire il rispetto dei livelli essenziali di assistenza e il diritto alla salute, con riferimento al centro di III livello di cardiologia e cardiochirurgia pediatrica a Palermo, anche nel quadro del piano di rientro dai disavanzi sanitari – 3-02726

   PAGANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   tra i numerosi esempi di sprechi di denaro pubblico in ambito sanitario sul territorio nazionale, uno è rappresentato dalla polemica sulla collocazione del centro di cardiochirurgia pediatrica a Palermo, sancita dal decreto assessoriale n. 1364 del 2016, che sulla carta rappresenta una tappa molto importante al fine di realizzare in Sicilia un centro di riferimento di alta specializzazione di cardiologia e cardiochirurgia pediatrica di III livello aperto anche all'assistenza dei cardiopatici congeniti adulti «guch» (grown up congenital heart), superando i problemi territoriali, gestionali ed economici del centro realizzato a Taormina presso il presidio ospedaliero «San Vincenzo»;
   la destinazione ha animato un dibattito: l'assessore competente con decreto ha indicato l'Arnas civico, ma l'Assemblea regionale siciliana, con ordine del giorno n. 364 del 21 settembre 2016, ha dato mandato all'assessore regionale per la salute ad allocare il centro presso l'Irccs/Ismett di Palermo;
   secondo previsioni dettagliate, la scelta dell'Arnas civico come sede del centro comporterebbe un dispendio enorme di risorse per la ristrutturazione integrale dei locali con una spesa di oltre 1.300.000 euro, la dotazione di attrezzature di alta tecnologia, che, da fonti ufficiali, si aggirerà tra i 6,5 e gli 8,5 milioni di euro, e la ricostituzione di un’equipe di personale specializzato;
   l'Irccs/Ismett ha recentemente acquisito nuovi locali e sta ultimando una ristrutturazione, comprendente un'area infantile (in tale istituto si effettuano trapianti di organi solidi in età pediatrica), che potrebbe accogliere anche il nuovo reparto cardiochirurgico; pertanto i costi per realizzare il centro di III livello di assistenza cardiologica e cardiochirurgica pediatrica presso il già esistente ed accreditato «centro cuore» della cardiochirurgia adulti di Ismett sarebbero praticamente nulli;
   l'elevato standard di competenze presso l'Irccs/Ismett sarebbe garantito dalla ventennale e attuale joint venture con l'Università di Pittsburgh, in cui ha sede un dipartimento di cardiologia e cardiochirurgia pediatrica che è considerato uno dei centri leader mondiali per questa specializzazione –:
   se il Ministro interrogato non intenda intervenire, per quanto di competenza, per garantire ai cittadini il rispetto dei livelli essenziali di assistenza e il diritto alla salute, vigilando altresì affinché non vi siano sprechi di denaro pubblico e danni all'erario in generale, nello specifico con riguardo all'avvio del centro di III livello di cardiologia e cardiochirurgia pediatrica a Palermo, anche nel quadro del piano di rientro dai disavanzi sanitari, agevolando la soluzione più funzionale dal punto di vista strutturale, immediata dal punto di vista temporale ed economico e con garanzie di specializzazione assoluta.
(3-02726)


Iniziative per garantire la sicurezza nelle città italiane e adeguati controlli negli aeroporti e nei porti, nonché con riguardo al trasporto ferroviario di passeggeri – 3-02729

   PALESE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'ultimo anno l'immigrazione in Italia è aumentata di oltre il 20 per cento; la maggior parte degli arrivi avviene via mare sulle coste adriatiche e, in particolare, in Puglia;
   i recenti fatti di cronaca e le indagini antimafia e antiterrorismo hanno rivelato che cellule criminali si infiltrano tra i disperati in fuga da Paesi disastrati e per i quali il nostro Paese, in linea con gli accordi europei e con la cultura italiana dell'accoglienza e della carità umana, ha il dovere di garantire ospitalità;
   in particolare, è emerso dalle indagini della magistratura che i centri di accoglienza divengono veri e propri rifugi per queste cellule criminali che, a spese dello Stato italiano e dell'Europa, si organizzano per compiere atti criminosi o attentati terroristici;
   molti dei componenti di cellule terroristiche, che hanno agito recentemente in Europa, sono passati dalla Puglia, dagli aeroporti e dai porti di Bari e Brindisi ed hanno avuto contatti con loro connazionali nei centri di assistenza per i richiedenti asilo di Bari e di Rignano, riuscendo a spostarsi nel nostro Paese in auto o in treno;
   molto spesso in questi centri vi sono stati disordini e rivolte degli immigrati, che si lamentano dei lunghi tempi di permanenza e dei trattamenti che vengono loro riservati;
   la lentezza delle pratiche causa notevoli spese al Governo italiano e comporta che gli immigrati si trovino costretti a cercare una fonte di sostentamento, divenendo prede di sfruttatori o della criminalità organizzata;
   le città italiane sono invase da clandestini che chiedono l'elemosina e creano racket dell'accattonaggio; ogni giorno nei centri italiani si verificano risse, scippi e omicidi;
   la gestione del fenomeno va ripensata, ipotizzando di ospitare donne e bambini e di eseguire controlli accurati prima di accogliere incondizionatamente;
   si ritengono urgenti le stipule degli accordi internazionali con i principali Paesi di provenienza degli immigrati (Libia, Nigeria, Eritrea) per limitare la partenza da questi Paesi verso il nostro –:
   cosa intenda fare il Governo per garantire la sicurezza nelle città italiane, con quali misure il Ministro interrogato intenda rafforzare i controlli negli aeroporti e nei porti di Bari e Brindisi, che, ancora oggi, sono ben al di sotto di quelli adottati nelle altre città e negli altri Paesi europei, e se non ritenga di dover porre fine ad un fenomeno isolato in Europa, in base al quale è possibile viaggiare sui treni italiani con biglietti privi di intestazione, cosa che rende impossibile un reale controllo sulla circolazione. (3-02729)


Iniziative di competenza volte a contrastare la diffusione di movimenti di ispirazione nazista e fascista, che incitano all'odio razziale e all'antisemitismo, in particolare in considerazione della presenza di una formazione attiva in provincia di Varese – 3-02730

   FIANO, MARANTELLI, CIMBRO, ROBERTA AGOSTINI, BERSANI, CARBONE, CUPERLO, DE MENECH, MARCO DI MAIO, FABBRI, FAMIGLIETTI, FERRARI, GASPARINI, GIACHETTI, GIORGIS, LATTUCA, LAURICELLA, MARCO MELONI, NACCARATO, NARDI, PICCIONE, POLLASTRINI, RICHETTI, FRANCESCO SANNA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie a mezzo stampa si apprende che a Caidate, piccola frazione di Sumirago, in provincia di Varese, si è installata da più di quattro anni la più grande e organizzata comunità nazionalsocialista italiana, denominata Do.ra, acronimo che indicherebbe la comunità militante dei dodici raggi, in omaggio ai raggi del Sole nero, simbolo del castello tedesco di Wewelsburg, sede operativa delle SS;
   sotto le spoglie di un'associazione culturale, con sede in un ex magazzino con regolare contratto d'affitto, si celebrerebbe – secondo quanto riportato da organi di stampa – una vera e propria struttura di stampo militare, inserita nel network antisemita europeo Skin4Skin e dedita, secondo quanto dichiarato dai suoi stessi membri, ad una sorta di contro-informazione che, partendo dalla negazione o, addirittura, dall'esaltazione dell'Olocausto, ispirerebbe iniziative sul territorio o la propaganda di idee contro i «nemici» immigrati, ebrei, gay, centri sociali, polizia, banche e così via;
   tali iniziative andrebbero dalla celebrazione della festa di compleanno di Hitler, all'organizzazione di veri e propri cineforum tematici, anche tramite l'ausilio di una biblioteca con un'ampia gamma di testi revisionisti sul tema dell'Olocausto, il tutto non solo alla luce del sole, ma diffuso e amplificato tramite una pagina Facebook di riferimento molto attiva –:
   quale sia l'orientamento del Ministro interrogato in ordine a quanto riportato in premessa e quali iniziative urgenti intenda adottare, per quanto di competenza, al fine di contrastare movimenti e organizzazioni che si richiamano al fascismo e ai principi della discriminazione e dell'odio razziale. (3-02730)


Iniziative di competenza relative al riordino delle autonomie locali in Friuli Venezia Giulia – 3-02731

   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in Friuli Venezia Giulia, regione autonoma a statuto speciale che ha competenza primaria sulle autonomie locali, la giunta regionale, sotto la presidenza di Debora Serracchiani, ha proceduto ad un riordino delle autonomie locali attraverso lo strumento delle unioni territoriali intercomunali, prevedendo l'abolizione delle quattro province e la creazione di 18 unioni territoriali intercomunali;
   la legge costituzionale 28 luglio 2016, n. 1, ha poi modificato lo statuto speciale della regione Friuli Venezia Giulia, prevedendo la soppressione delle province e conseguenti modifiche dell'assetto istituzionale. L'articolo 1 della legge costituzionale n. 1 del 2016 sostituisce, infatti, il primo comma dell'articolo 2 dello statuto, al fine di registrare le modifiche amministrative intervenute. Il provvedimento, con il sopprimere il livello di governo delle province, delinea quindi un assetto istituzionale che contempla solo due livelli di governo: la regione ed i comuni, anche nella forma di città metropolitane;
   nel corso dell'esame in Parlamento, l'interrogante aveva denunciato le problematiche connesse al nuovo assetto: in particolare, attraverso la presentazione di una questione sospensiva, poi respinta dall'Assemblea, aveva chiesto di riprendere l'esame del provvedimento alla luce del risultato del referendum confermativo della riforma costituzionale approvata a maggioranza assoluta dalle Camere, che prevedeva l'abolizione delle province;
   ad oggi, il risultato della consultazione referendaria del mese di dicembre 2016 determina, nei fatti, l'incostituzionalità della riforma degli enti locali in Friuli Venezia Giulia;
   a seguito della bocciatura della riforma, infatti, la provincia risulta ancora un ente fondamentale della Repubblica ai sensi di quanto previsto dall'articolo 114 della Costituzione vigente; pertanto, la neonata riforma dello statuto regionale e il nuovo assetto delle unioni territoriali intercomunali, pregiudicando la possibilità di disporre di un quadro ordinamentale valido per tutti, presenta chiari profili di incostituzionalità;
   la gestione Serracchiani ha imposto scelte senza alcun confronto, lontane dalla definizione di un apparato snello, efficace e duraturo; imposizioni che creano solo strascichi nei tribunali o che rilevano questioni di dubbia costituzionalità –:
   quale sia la posizione del Governo su quanto esposto in premessa e se e quali iniziative di competenza intenda adottare per pervenire ad un contemperamento dell'assetto amministrativo del Friuli Venezia Giulia con il quadro ordinamentale generale. (3-02731)


Tempi e modalità di attuazione delle iniziative recentemente prospettate dal Governo in materia di contrasto all'immigrazione clandestina – 3-02732

   RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, GIORGIA MELONI, MURGIA, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   notizie di stampa riportano che nel mese di dicembre 2016 sarebbe stata diramata una circolare a tutte le questure e prefetture e ai comandi di Arma dei Carabinieri, Polizia, Guardia di finanza e Polizia penitenziaria, che dovrebbe segnare l'inizio del nuovo corso – almeno nelle intenzioni – del Governo nel contrasto all'immigrazione clandestina;
   la circolare sembra prevedere il coinvolgimento di tutte le forze dell'ordine in piani straordinari di controllo del territorio per conferire nuovo slancio all'attività di individuazione dei cittadini di Paesi terzi che soggiornino in Italia in posizione irregolare, anche attraverso maggiori controlli sugli ambiti lavorativi nei quali viene maggiormente sfruttata la manodopera degli immigrati clandestini;
   il potenziamento dell'attività ispettiva e di accertamento sul territorio dovrebbe essere accompagnato da un considerevole aumento del numero dei centri di identificazione ed espulsione, che dagli attuali quattro dovrebbero passare a uno in ciascuna regione;
   negli ultimi due anni l'Unione europea ha esortato i propri Stati membri a realizzare un maggior numero di rimpatri dei migranti irregolari dall'Europa e l'Italia – con quindicimila espulsioni in tre anni a fronte di cinquecentomila arrivi – appare gravemente inadempiente;
   in questo quadro si inserisce anche l'incapienza del fondo rimpatri, sinora progressivamente depauperato proprio per sopportare gli oneri di quella che appare agli interroganti un'accoglienza indiscriminata –:
   quali siano esattamente i termini delle iniziative esposte in premessa e quali i previsti tempi di attuazione e le risorse finanziarie a tal fine stanziate. (3-02732)


Iniziative normative per garantire piena effettività ai passaggi ad altri indirizzi di studio nella scuola secondaria superiore – 3-02727

   MAZZIOTTI DI CELSO e MOLEA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   alcune famiglie segnalano la difficoltà e la rigidità nei passaggi ad altri indirizzi di studio nella scuola secondaria superiore;
   in una lettera del febbraio 2016 inviata dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca alla direzione generale dell'ufficio scolastico regionale per la Lombardia, si precisa come la disposizione citata all'articolo 1, comma 7, del decreto legislativo n. 226 del 2005 concernente i passaggi ad altri indirizzi di studio, esami integrativi e d'idoneità non abbia trovato applicazione, rimanendo solo «enunciazione di un principio generale» priva della «relativa regolamentazione di dettaglio»;
   in virtù di questo vuoto normativo, fa notare il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, si deve fare riferimento all'articolo 24 dell'ordinanza ministeriale 21 maggio 2001, n. 90, secondo cui il passaggio ad altri indirizzi di studio è consentito solo previo svolgimento di esami integrativi da effettuarsi prima dell'inizio delle lezioni dell'anno scolastico successivo;
   a fronte di questo quadro fornito dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, si riscontrano nelle scuole incertezze e difficoltà nell'assicurare l'effettiva possibilità dei passaggi ad altri indirizzi di studio. In particolare, si nota una flessibilità discrezionale nei passaggi che avvengono dopo il secondo anno, anche in virtù di quanto enunciato dal decreto ministeriale n. 323 del 1999 (articolo 5, comma 1);
   l'articolo 8 dello schema di decreto legislativo sull'istruzione e formazione professionale – articolo 1, comma 181, lettera d), della legge n. 107 del 2015 – regolamenta in maniera puntuale il passaggio tra sistemi formativi;
   l'interrogante ritiene necessario un intervento di aggiornamento, chiarimento e semplificazione anche nei passaggi ad altri indirizzi di studio nella scuola secondaria superiore;
   tali modifiche permetterebbero una piena inclusione scolastica, consentendo a ogni studente di poter esprimere il proprio talento e contribuendo a lottare contro la dispersione, fenomeno in calo, ma ancora lontano dall'obiettivo europeo del 10 per cento entro il 2020;
   in questo senso, di concerto con famiglie e uffici scolastici regionali, vanno governate e sistematizzate, anche con processi di rilevazione e consultazione, le diverse attività sviluppate e sperimentate con successo a livello territoriale, con una valutazione sia degli aspetti legati all'adeguamento delle competenze, sia delle motivazioni, delle aspettative e delle attitudini –:
   se intenda intervenire per sanare questo vuoto lungo più di quindici anni.
(3-02727)


Iniziative relative al fenomeno della mobilità dei docenti, al fine di contemperare l'esigenza di garantire la continuità didattica degli studenti e il rispetto dei diritti dei lavoratori – 3-02728

   CHIMIENTI, VACCA, LUIGI GALLO, BRESCIA, SIMONE VALENTE, D'UVA, MARZANA e DI BENEDETTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'anno scolastico 2016/2017, il primo in cui le disposizioni contenute nella legge 13 luglio 2015, n. 107, sono entrate a regime, viene definito dal dossier di «Tutto Scuola», pubblicato in data 12 gennaio 2017, come il più caotico di sempre, con un tasso di mobilità di docenti triplicato rispetto agli anni precedenti;
   nel 2016/2017 sono infatti 207 mila i docenti trasferiti, pari al 30 per cento dell'organico di ruolo complessivo degli insegnanti statali; di questi, in 60 mila hanno lasciato la cattedra vacante al Centro-Nord per rientrare al Centro-Sud, usufruendo dell'istituto dell'assegnazione provvisoria introdotto dal decreto legge 29 marzo 2016, n. 42, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 89 del 2016, con lo scopo di prorogare anche al 2016/2017 le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 108, della legge 13 luglio 2015, n. 107;
   ad oggi, secondo le stime del dossier, sommando i 207 mila docenti trasferiti ai circa 50 mila docenti precari che annualmente prendono servizio in istituti scolastici diversi, risultano circa 257 mila gli insegnanti che hanno cambiato cattedra (il 200 per cento in più rispetto agli anni precedenti) e due milioni e mezzo gli studenti che hanno avuto uno o più insegnanti diversi rispetto all'anno precedente;
   la problematica si ripresenterà nell'anno scolastico 2017/2018, visti i contenuti dell'accordo sulla mobilità firmato dal Ministro interrogato con i sindacati in cui si prevedono deroghe da ogni vincolo di permanenza per tutti i docenti di ruolo, compresi quelli chiamati con incarico triennale dai dirigenti scolastici;
   l'avvicendamento annuale di docenti nelle istituzioni scolastiche inficia la continuità didattica e il successo formativo degli studenti, come dimostra uno studio del 2008 della Banca d'Italia intitolato «Educational choices and the selection process before and after compulsory schooling», che ha utilizzato fonti dell'Istat e del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, evidenziando come, a parità di condizioni, alla maggiore stabilità del personale docente corrisponda un minore numero di fallimenti scolastici –:
   quale strategia a lungo termine e pluriennale intenda attuare il Ministro interrogato per arginare il caos verificatosi nell'ultimo anno scolastico, contemperando l'esigenza di garantire la continuità didattica degli studenti e il rispetto dei diritti dei lavoratori. (3-02728)


Iniziative di competenza in merito al recente documento della Commissione grandi rischi relativo alla ripresa della sismicità nell'Appennino centrale – 3-02733

   SOTTANELLI, VEZZALI, FRANCESCO SAVERIO ROMANO, ABRIGNANI, BORGHESE, D'ALESSANDRO, D'AGOSTINO, FAENZI, GALATI, LAINATI, MARCOLIN, MERLO, MOTTOLA, PARISI, RABINO e ZANETTI. — Al Ministro per i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   il 20 gennaio 2017 la Commissione grandi rischi, d'intesa con il capo dipartimento della protezione civile, si è riunita a seguito della ripresa della sismicità che ha colpito l'Appennino centrale a partire dall'agosto del 2016;
   lo scopo dell'incontro era la valutazione dei possibili scenari evolutivi della sismicità in corso, alla luce delle informazioni attualmente disponibili;
   gli interroganti al riguardo evidenziano che, secondo quanto pubblicato sul sito della protezione civile, la regione Abruzzo, la cui area geografica era già stata colpita da sequenze sismiche e da grandi terremoti in passato, da ultimo quello dell'Aquila nel 2009, può essere interessata dalla ripresa di ulteriori scosse sismiche che possono propagarsi alle aree limitrofe, come già avvenuto nel passato, anche più recente nella zona di Amatrice, con eventi di magnitudo 5.9-6.5 negli ultimi cinque mesi;
   il comunicato della protezione civile rileva, altresì, che la commissione in oggetto, confermando l'impianto interpretativo già formulato a seguito degli eventi del 24 agosto e del 26 e 30 ottobre 2016, riporta che ad oggi non ci sono evidenze che la sequenza sismica sia in esaurimento, aggiungendo, inoltre, che le aree contigue alla faglia principale responsabile della sismicità in corso hanno il potenziale di produrre terremoti di elevata intensità addirittura pari a magnitudo 6-7;
   a giudizio degli interroganti, il contenuto che emerge dal documento pubblicato dalla protezione civile desta sconcerto e preoccupazione, se si considera che quanto rilevato non può che accrescere i livelli di allarme e sgomento tra le popolazioni delle regioni colpite dai gravissimi eventi sismici in corso da mesi, a cui si sono aggiunti quelli meteorologici delle scorse settimane, causati dalle abbondanti nevicate –:
   di quali elementi disponga con riferimento a quanto esposto in premessa e se al riguardo abbia già predisposto un piano di prevenzione, monitoraggio ed emergenza, al fine di tutelare le popolazioni dell'area interessata, coinvolgendo la filiera delle istituzioni locali, regioni, province e comuni, in relazione alle misure da adottare per garantire la massima sicurezza dei cittadini, la sicurezza dei luoghi pubblici e le infrastrutture critiche, quali le grandi dighe, in particolare quella di Campotosto in provincia dell'Aquila dove è situato il secondo bacino più grande d'Europa con tre dighe. (3-02733)


Interventi per un adeguato stanziamento di risorse a favore dei comuni dell'Appennino centrale colpiti dagli eventi sismici e dalla recente ondata di maltempo e iniziative di competenza volte a verificare eventuali responsabilità con riferimento alla disattivazione delle utenze elettriche – 3-02734

   MELILLA, RICCIATTI, ZARATTI, FRATOIANNI, SCOTTO, PELLEGRINO, FASSINA, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA e SANNICANDRO. — Al Ministro per i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   dopo le scosse del 18 gennaio 2017 e le bufere di neve che hanno travolto l'Appennino centrale, la situazione di queste aree si fa sempre più grave e la tragedia di Rigopiano ne è l'emblema più drammatico. Si sono evidenziati ritardi nella pulizia della strada provinciale da Farindola a Rigopiano per mancanza di mezzi e uomini da parte della provincia di Pescara, nel quadro della «legge Delrio» che ha chiuso e tolto risorse alle province senza pensare a chi poi deve pulire le strade e gestire i piani neve;
   l'attività della protezione civile vede attualmente impegnati oltre 8 mila persone e 3 mila mezzi nelle attività di ricerca e soccorso e nell'assistenza alle popolazioni, anche se molti cittadini continuano ad essere isolati;
   troppe sono le utenze elettriche che devono essere riattivate. Se le utenze nelle Marche sono in gran parte ripristinate, in Abruzzo ancora oggi sono 10 mila quelle disalimentate. Sotto questo aspetto emergerebbe una gravissima responsabilità di Terna per il livello obsoleto delle infrastrutture e di Enel che ha lasciato centinaia di migliaia di persone, non solo dei comuni montani ma anche di città capoluogo come Teramo, senza energia elettrica. Vari morti intossicati in casa e dal freddo, migliaia di cittadini senza luce, riscaldamento, acqua calda;
   di fronte a questa tragedia, va comunque confermata piena gratitudine alle forze civili, militari e ai volontari per l'impegno nel prestare soccorso alle popolazioni, colpite dal terremoto e da una quantità di precipitazioni nevose come non se ne vedevano da decenni;
   ai danni alla zootecnia e all'agricoltura locale, si aggiunge la crescita esponenziale delle spese straordinarie che si trovano a dover affrontare i comuni, molti dei quali piccoli;
   peraltro le ultime scosse sismiche hanno aggravato ulteriormente il bilancio dei danni provocati dai terremoti iniziati ad agosto 2016: il 40 per cento degli edifici sottoposti a verifiche risulterebbe inagibile e i danni complessivi ammonterebbero a 10 miliardi di euro. Di questi oltre 3 miliardi sarebbero imputabili alle nuove scosse di ottobre 2016 e all'ondata di maltempo eccezionale che sta colpendo questi territori –:
   se il Governo non ritenga indispensabile stanziare ben più cospicue risorse quale ristoro ai comuni colpiti, per affrontare al meglio questa emergenza, e aprire una trattativa con l'Unione europea, che in questi giorni ha chiesto all'Italia una manovra di correzione dei conti pubblici, e se non ritenga di verificare eventuali responsabilità di Terna ed Enel per i disservizi di cui in premessa. (3-02734)


RELAZIONI SULL'ATTIVITÀ SVOLTA, APPROVATE DALLA COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SUL RAPIMENTO E SULLA MORTE DI ALDO MORO (DOC. XXIII, NN. 10 e 23)

Doc XXIII, nn. 10 e 23 – Risoluzione

   La Camera,
   premesso che:
    l'attività di indagine della Commissione ha evidenziato i limiti e le incongruenze della ricostruzione del delitto Moro che si è consolidata a livello giudiziario e nelle precedenti inchieste parlamentari;
    la vicenda Moro è tuttora oggetto di indagine da parte della magistratura;
    l'acquisizione di documentazione di fonte interna e di fonte estera rilevante ai fini della comprensione di questo drammatico evento sia nei suoi aspetti storico-politici sia in quelli penalmente rilevanti non può dirsi conclusa;
    alcuni dei responsabili del rapimento e dell'omicidio di Aldo Moro non sono stati assicurati alla giustizia;
    appare auspicabile promuovere una adeguata conservazione e valorizzazione della documentazione relativa alla vicenda Moro;
    è indispensabile giungere entro il termine della legislatura a un complessivo riesame della vicenda in tutti i suoi aspetti,
   fa proprie le relazioni della Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro e impegna il Governo ad intraprendere ogni iniziativa utile al fine di portare a conclusione le procedure di declassifica delle informazioni relative al caso Moro provenienti da servizi di intelligence stranieri, attivando le necessarie intese, e a garantire, per quanto di competenza, la migliore tenuta e la piena consultabilità della documentazione giudiziaria che rimane dispersa tra molteplici archivi e sedi di conservazione, nonché la valorizzazione culturale dei reperti del sequestro e l'adeguata conservazione in siti aperti al pubblico sia della Renault 4, nella quale fu ritrovato il corpo di Aldo Moro, sia dell'Alfetta della scorta, che versa in condizioni di degrado.
(6-00289) «Grassi, Kronbichler, Pizzolante, Piepoli, Pisicchio, Distaso, Palladino, Gianluca Pini».