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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Mercoledì 18 gennaio 2017

ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI DI ESAME: PDL N. 1178, PDL N. 4113 E DOC. XXIII, NN. 10 E 23

Pdl n. 1178 – Disposizioni per l'istituzione di ferrovie turistiche

Tempo complessivo: 13 ore e 30 minuti, di cui:
• discussione generale: 7 ore e 30 minuti;
• seguito dell'esame: 6 ore.

Discussione generale Seguito dell'esame
Relatore 15 minuti 20 minuti
Governo 15 minuti 20 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti 10 minuti
Tempi tecnici 30 minuti
Interventi a titolo personale 1 ora e 16 minuti (con il limite massimo di 15 minuti per ciascun deputato) 49 minuti (con il limite massimo di 6 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 5 ore e 34 minuti 3 ore e 51 minuti
 Partito Democratico 33 minuti 1 ora e 5 minuti
 MoVimento 5 Stelle 31 minuti 27 minuti
 Forza Italia – Popolo della
 Libertà – Berlusconi Presidente
30 minuti 20 minuti
 Sinistra Italiana - Sinistra
 Ecologia Libertà
30 minuti 16 minuti
 Area Popolare - NCD – Centristi per l'Italia 30 minuti 15 minuti
 Lega Nord e Autonomie – Lega dei Popoli – Noi con Salvini 30 minuti 14 minuti
 Civici e Innovatori 30 minuti 14 minuti
 Scelta Civica – ALA per la
 Costituente Liberale e Popolare – MAIE
30 minuti 13 minuti
 Democrazia Solidale – Centro
 Democratico
30 minuti 13 minuti
 Fratelli d'Italia – Alleanza
 Nazionale
30 minuti 13 minuti
 Misto: 30 minuti 21 minuti
  Conservatori e Riformisti 7 minuti 4 minuti
  Alternativa Libera-Possibile 7 minuti 4 minuti
  Minoranze Linguistiche 4 minuti 3 minuti
  UDC 3 minuti 2 minuti
  USEI-IDEA (Unione Sudameri-
  cana Emigrati Italiani)
3 minuti 2 minuti
  FARE! – Pri 2 minuti 2 minuti
  Movimento PPA-Moderati 2 minuti 2 minuti
  Partito Socialista Italiano (PSI)-
  Liberali per l'Italia (PLI)
2 minuti 2 minuti

Pdl n. 4113 – Sostegno e valorizzazione del Festival Verdi di Parma e Busseto e del Roma Europa Festival

Tempo complessivo: 12 ore e 30 minuti, di cui:
• discussione generale: 7 ore e 30 minuti;
• seguito dell'esame: 5 ore.

Discussione generale Seguito dell'esame
Relatore 15 minuti 15 minuti
Governo 15 minuti 15 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti 10 minuti
Tempi tecnici 20 minuti
Interventi a titolo personale 1 ora e 16 minuti (con il limite massimo di 15 minuti per ciascun deputato) 40 minuti (con il limite massimo di 5 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 5 ore e 34 minuti 3 ore e 20 minuti
 Partito Democratico 33 minuti 55 minuti
 MoVimento 5 Stelle 31 minuti 23 minuti
 Forza Italia – Popolo della
 Libertà – Berlusconi Presidente
30 minuti 17 minuti
 Sinistra Italiana - Sinistra
 Ecologia Libertà
30 minuti 14 minuti
 Area Popolare - NCD – Centristi per l'Italia 30 minuti 13 minuti
 Lega Nord e Autonomie – Lega dei Popoli – Noi con Salvini 30 minuti 12 minuti
 Civici e Innovatori 30 minuti 12 minuti
 Scelta Civica – ALA per la
 Costituente Liberale e Popolare – MAIE
30 minuti 12 minuti
 Democrazia Solidale – Centro
 Democratico
30 minuti 11 minuti
 Fratelli d'Italia – Alleanza
 Nazionale
30 minuti 11 minuti
 Misto: 30 minuti 20 minuti
  Conservatori e Riformisti 7 minuti 4 minuti
  Alternativa Libera-Possibile 7 minuti 4 minuti
  Minoranze Linguistiche 4 minuti 2 minuti
  UDC 3 minuti 2 minuti
  USEI-IDEA (Unione Sudameri-
  cana Emigrati Italiani)
3 minuti 2 minuti
  FARE! – Pri 2 minuti 2 minuti
  Movimento PPA-Moderati 2 minuti 2 minuti
  Partito Socialista Italiano (PSI)
  – Liberali per l'Italia (PLI)
2 minuti 2 minuti

Doc XXIII, nn. 10 e 23 – Relazioni sull'attività svolta dalla Commissione d'inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro

Tempo complessivo per l'esame congiunto, comprese le dichiarazioni di voto: 5 ore.

Presidente della Commissione 20 minuti
Governo 20 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 5 minuti
Interventi a titolo personale 41 minuti (con il limite massimo di 5 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 3 ore e 24 minuti
 Partito Democratico 57 minuti
 MoVimento 5 Stelle 24 minuti
 Forza Italia – Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente 17 minuti
 Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia
 Libertà
14 minuti
 Area Popolare – NCD – Centristi per
 l'Italia
13 minuti
 Lega Nord e Autonomie – Lega dei
 Popoli – Noi con Salvini
12 minuti
 Civici e Innovatori 12 minuti
 Scelta Civica – ALA per la Costituente Liberale e Popolare – MAIE 12 minuti
 Democrazia Solidale – Centro
 Democratico
11 minuti
 Fratelli d'Italia – Alleanza Nazionale 11 minuti
 Misto: 21 minuti
  Conservatori e Riformisti 4 minuti
  Alternativa Libera - Possibile 4 minuti
  Minoranze Linguistiche 3 minuti
  UDC 2 minuti
  USEI-IDEA (Unione Sudamericana
  Emigrati Italiani)
2 minuti
  FARE! – Pri 2 minuti
  Movimento PPA - Moderati 2 minuti
  Partito Socialista Italiano (PSI) –
  Liberali per l'Italia (PLI)
2 minuti

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 18 gennaio 2017.

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonafede, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Capelli, Carbone, Casero, Caso, Castiglione, Catania, Causin, Antimo Cesaro, Cicchitto, Cirielli, Colonnese, Coppola, Costa, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Menech, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Galati, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Giorgis, Gozi, Guerra, La Russa, Lauricella, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Mannino, Marazziti, Antonio Martino, Mazziotti Di Celso, Meta, Migliore, Mucci, Orlando, Piccoli Nardelli, Piepoli, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rossomando, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scanu, Schullian, Scotto, Sereni, Sottanelli, Tabacci, Tidei, Valeria Valente, Velo, Vignali.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Stella Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonafede, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Capelli, Carbone, Casero, Caso, Castiello, Castiglione, Catania, Causin, Antimo Cesaro, Cicchitto, Cirielli, Colonnese, Coppola, Costa, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Menech, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Ferrara, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Galati, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Giorgis, Gozi, Lorenzo Guerini, Guerra, La Russa, Lauricella, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Mannino, Marazziti, Antonio Martino, Mazziotti Di Celso, Merlo, Meta, Migliore, Mucci, Orlando, Palma, Piccoli Nardelli, Piepoli, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scanu, Schullian, Scotto, Sereni, Sottanelli, Speranza, Tabacci, Tidei, Tofalo, Valeria Valente, Velo, Vignali, Vignaroli, Villecco Calipari.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 17 gennaio 2017 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   SIBILIA: «Istituzione del Parco nazionale dei Monti Picentini» (4230);
   MUCCI: «Modifiche al decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 127, in materia di incentivi all'opzione per la trasmissione telematica delle fatture o dei relativi dati e dei corrispettivi» (4231).

  Saranno stampate e distribuite.

Adesione di deputati a proposte di legge.

  La proposta di legge DI SALVO: «Disposizioni in materia di modalità di pagamento delle retribuzioni ai lavoratori» (1041) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Albanella, Arlotti, Baruffi, Giacobbe, Gnecchi, Gribaudo, Incerti, Patrizia Maestri, Miccoli, Paris e Polverini.

  La proposta di legge DANIELE FARINA ed altri: «Abrogazione dell'articolo 72 del codice penale e modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, concernenti il regime disciplinare penitenziario e la detenzione in isolamento» (4035) è stata successivamente sottoscritta dalla deputata Rostellato.

Modifica del titolo di proposte di legge.

  La proposta di legge n. 244, d'iniziativa del deputato SCALFAROTTO, ha assunto il seguente titolo: «Modifiche al codice civile, al codice di procedura civile e altre disposizioni in materia di eguaglianza nell'accesso al matrimonio e di filiazione da parte delle coppie formate da persone dello stesso sesso».

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:

   I Commissione (Affari costituzionali):
  PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE RUSSO: «Modifica dell'articolo 9 della Costituzione, in materia di tutela dell'ecosistema e delle biodiversità» (121) Parere delle Commissioni VII, VIII e XIII;
  PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE RUSSO: «Introduzione dell'elezione del Presidente della Repubblica a suffragio universale e diretto e della forma di governo semipresidenziale» (122) Parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
  RUSSO: «Istituzione del Difensore civico nazionale» (123) Parere delle Commissioni II, V, X, XI e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
  RUSSO: «Istituzione della festa nazionale del 17 marzo per la celebrazione della proclamazione dell'Italia unita» (124) Parere delle Commissioni V e XI.

   II Commissione (Giustizia):
  RUSSO: «Introduzione dell'articolo 348-bis del codice penale, concernente l'abusivo esercizio delle professioni medica e odontoiatrica» (125) Parere delle Commissioni I e XII;
  RUSSO: «Disposizioni per la tutela dei diritti patrimoniali derivanti dalla compravendita di beni immobili» (127) Parere delle Commissioni I, V, VI e VIII;
  RUSSO: «Disposizioni sull'intrasmissibilità dell'immobile abusivo all'erede» (128) Parere delle Commissioni I, V, VI, VIII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento) e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
  SCALFAROTTO: «Modifiche al codice civile, al codice di procedura civile e altre disposizioni in materia di eguaglianza nell'accesso al matrimonio e di filiazione da parte delle coppie formate da persone dello stesso sesso» (244) Parere delle Commissioni I, V e XII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento);
  SCALFAROTTO: «Norme in materia di modificazione dell'attribuzione di sesso» (246) Parere delle Commissioni I, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, XII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
  DI LELLO ed altri: «Disposizioni concernenti la sospensione dei procedimenti di esecuzione forzata, di recupero di crediti e di sospensione dell'erogazione di servizi in periodi feriali» (778) Parere delle Commissioni I, V, VI, IX e X.

   VI Commissione (Finanze):
  RUSSO: «Istituzione di zone franche produttive nei siti contaminati di interesse nazionale» (133) Parere delle Commissioni I, V, VIII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), X (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale), XIII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

   VIII Commissione (Ambiente):
  COMINELLI ed altri: «Modifiche all'articolo 195 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, concernenti l'introduzione del fattore di pressione tra i criteri di valutazione per la localizzazione delle discariche» (4103) Parere delle Commissioni I, V, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

   XI Commissione (Lavoro):
  RUSSO: «Disposizioni per il riconoscimento del trattamento normativo ed economico previsto per i medici del Servizio sanitario nazionale convenzionati con le aziende sanitarie locali in favore dei me dici fiscali dell'Istituto nazionale della previdenza sociale» (134) Parere delle Commissioni I, V e XII.

   XII Commissione (Affari sociali):
  RUSSO: «Modifica all'articolo 1 della legge 25 febbraio 1992, n. 210. Indennizzo in favore dei soggetti che abbiano riportato menomazioni permanenti a causa di errori terapeutici durante il ricovero presso strutture sanitarie pubbliche» (135) Parere delle Commissioni I, V e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
  RUSSO: «Disposizioni in favore della ricerca sulle malattie rare e della loro cura» (136) Parere delle Commissioni I, III, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, X, XI, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
  RUSSO: «Norme per la prevenzione e la cura delle malattie che comportano trombofilie» (138) Parere delle Commissioni I, V, VII, XI e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
  RUSSO: «Disposizioni per la prevenzione e il trattamento dell'endometriosi» (139) Parere delle Commissioni I, V, VIII, XI e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

   Commissioni riunite VI (Finanze) e VII (Cultura):
  RUSSO: «Misure per la promozione del turismo archeologico» (131) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, X e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Assegnazione del programma di lavoro della Commissione europea e della relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea.

  La comunicazione recante il programma di lavoro della Commissione per il 2017 «Realizzare un'Europa che protegge, dà forza e difende» (COM(2016) 710 final), corredata dai relativi allegati (da COM(2016) 710 final – Annex 1 a COM(2016) 710 final – Annex 5), di cui è stato dato annuncio nell’Allegato A al resoconto della seduta dell'8 novembre 2016, e la relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea riferita all'anno 2017 (Doc. LXXXVII-bis, n. 5), annunciata in data odierna, sono assegnate, per l'esame generale, alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) e, per l'esame delle parti di rispettiva competenza, a tutte le altre Commissioni permanenti nonché al Comitato per la legislazione.

Trasmissione dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri.

  Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 17 gennaio 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 13, comma 1, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, la relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea riferita all'anno 2017 (Doc. LXXXVII-bis, n. 5).

Trasmissioni dalla Corte dei conti.

  Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 13 gennaio 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS), per l'esercizio 2015. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 482).

  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla XII Commissione (Affari sociali).

  Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 13 gennaio 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Agenzia del demanio, per gli esercizi 2014 e 2015. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 483).

  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio), alla VI Commissione (Finanze) e alla VIII Commissione (Ambiente).

  Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 13 gennaio 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria della fondazione La Quadriennale di Roma, per gli esercizi 2014 e 2015. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 484).

  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla VII Commissione (Cultura).

Trasmissione dal Ministro della salute.

  Il Ministro della salute, con lettera in data 13 gennaio 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 2, comma 7, della legge 28 agosto 1997, n. 284, la relazione sullo stato di attuazione delle politiche concernenti la prevenzione della cecità e l'educazione e la riabilitazione visiva, riferita all'anno 2015 (Doc. CXXXIII, n. 4).

  Questa relazione è trasmessa alla XII Commissione (Affari sociali).

Trasmissione dal Ministero dell'economia e delle finanze.

  Il Ministero dell'economia e delle finanze ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 aprile 2012, n. 48, la relazione concernente l'applicazione nell'anno finanziario 2016 della clausola di salvaguardia prevista per la copertura degli oneri derivanti dall'attuazione della medesima legge n. 48 del 2012, recante ratifica ed esecuzione dello Statuto dell'Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (IRENA), fatto a Bonn il 26 gennaio 2009.

  Questa relazione è trasmessa alla III Commissione (Affari esteri) e alla V Commissione (Bilancio).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 17 gennaio 2017, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   Comunicazione della Commissione – Piano di lavoro sulla progettazione ecocompatibile 2016-2019 (COM(2016) 773 final), che è assegnata in sede primaria alla X Commissione (Attività produttive);
   Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Lavoro più sicuro e più sano per tutti – Aggiornamento della normativa e delle politiche dell'Unione europea in materia di salute e sicurezza sul lavoro (COM(2017) 12 final), che è assegnata in sede primaria alle Commissioni riunite XI (Lavoro) e XII (Affari sociali);
   Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2004/37/CE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un'esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro (COM(2017) 11 final), corredata dai relativi allegato (COM(2017) 11 final – Annex 1) e documento di lavoro dei servizi della Commissione – Sintesi della valutazione d'impatto supplementare (SWD(2017) 8 final), che è assegnata in sede primaria alle Commissioni riunite XI (Lavoro) e XII (Affari sociali). Questa proposta è altresì assegnata alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà; il termine di otto settimane per la verifica di conformità, ai sensi del Protocollo sull'applicazione dei princìpi di sussidiarietà e di proporzionalità allegato al Trattato sull'Unione europea, decorre dal 18 gennaio 2017;
   Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2013/36/UE per quanto riguarda le entità esentate, le società di partecipazione finanziaria, le società di partecipazione finanziaria mista, la remunerazione, le misure e i poteri di vigilanza e le misure di conservazione del capitale (COM(2016) 854 final), che è assegnata in sede primaria alla VI Commissione (Finanze). Questa proposta è altresì assegnata alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà; il termine di otto settimane per la verifica di conformità, ai sensi del Protocollo sull'applicazione dei princìpi di sussidiarietà e di proporzionalità allegato al Trattato sull'Unione europea, decorre dal 18 gennaio 2017.

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

ERRATA CORRIGE

  Nell'Allegato A ai resoconti della seduta del 25 ottobre 2016, a pagina 7, seconda colonna, nona riga, deve leggersi: «Romaeuropa Festival» e non: «Roma Europa Festival» come stampato.

MOZIONI FEDRIGA ED ALTRI N. 1-01231, PALAZZOTTO ED ALTRI N. 1-01465, ALTIERI ED ALTRI N. 1-01466, ANDREA MAESTRI ED ALTRI N. 1-01467, SANTERINI ED ALTRI N. 1-01468, DIENI ED ALTRI N. 1-01469, BRUNETTA ED ALTRI N. 1-01470, RAMPELLI ED ALTRI N. 1-01471, FRANCESCO SAVERIO ROMANO ED ALTRI N. 1-01472, ROSATO, LUPI ED ALTRI N. 1-01473 E MONCHIERO ED ALTRI N. 1-01474 CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI GESTIONE DEI FLUSSI MIGRATORI, ANCHE ALLA LUCE DI RECENTI CIRCOLARI DEL MINISTERO DELL'INTERNO

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    in data 12 aprile 2016, il dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione ha emanato una circolare diretta, tra gli altri, a tutte le prefetture della Repubblica, ai commissari di Governo per le province autonome di Trento e Bolzano, nonché al presidente della regione autonoma della Valle d'Aosta, protocollata con il numero 3148;
    nella predetta circolare 3148 del 2016 si osserva come il fenomeno immigratorio si preannunci per il 2016 «particolarmente intenso anche rispetto agli anni passati, come peraltro già tratteggiato» in una precedente circolare, la n. 2365 del 18 marzo 2016;
    stando al testo della circolare 3148 del 2016, l'incremento degli afflussi registrato dall'inizio di del 2016 fino al 12 aprile 2016 sarebbe infatti pari all'80 per cento rispetto allo stesso periodo del 2015, anno nel quale sono sbarcati nei porti del nostro Paese circa 154 mila immigrati irregolari;
    tali dati hanno indotto forte preoccupazione per quanto potrà accadere soprattutto nel corso della stagione estiva ormai alle porte;
    secondo il dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno sarebbe quindi necessario predisporre una «diffusa organizzazione che riesca a far fronte all'accoglienza»;
    nella circolare 3148 del 2016 si richiama a questo proposito espressamente la nota circolare 5189 del 25 marzo 2016, laddove questa aveva rappresentato l'urgenza di verificare la situazione di coloro che non hanno più diritto ad essere presenti nelle strutture di accoglienza ed altresì la necessità di irrobustire l'infrastruttura complessiva dedicata alla gestione dei migranti irregolari, peraltro con un raccordo «più stretto» ed «instancabile» con i sindaci, attualmente in effetti assai carente se non addirittura inesistente;
    la circolare 3148 del 2016 raccomanda all'attenzione delle prefetture e delle autorità locali gli immobili segnalati dal dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione e resi disponibili dal Ministero della difesa;
    secondo la circolare 3148 del 2016, nell'immediato occorreva soddisfare un'esigenza aggiuntiva di accoglienza per 8.893 posti, cifra evidentemente assai inferiore al fabbisogno ipotizzato per il 2016 nel suo complesso, giacché un incremento degli arrivi dell'80 per cento proiettato sui dodici mesi significherebbe immaginare che giungano nel nostro Paese nel 2016 non meno di 300 mila persone;
    sussiste, quindi, il timore che in costanza d'emergenza il Governo possa far ricorso alla requisizione degli immobili privati sfitti o alla realizzazione di vere e proprie tendopoli;
    corroborano le preoccupazioni del dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione anche l'emersione di una nuova rotta di afflussi, questa volta con la sorgente in Egitto, e le dichiarazioni di alcune autorità libiche, secondo le quali nella ex colonia italiana vi sarebbe almeno mezzo milione di persone pronte a partire;
    la stessa stima di 300 mila persone in arrivo in Italia è stata accettata dal Ministro dell'interno austriaco, Johanna Mikl-Leitner, che ne teme l'arrivo nel proprio Paese;
    a sua volta, sulla questione è intervenuto anche il Ministro degli esteri austriaco, Sebastian Kurz, che, parlando a Bolzano, ha osservato come, dopo la chiusura della rotta balcanica, «anche l'Italia deve mettere fine al lasciar passare i migranti», perché ciò non fa altro che aumentare i problemi;
    tutto questo determina una situazione assai rischiosa per il nostro Paese, che, in assenza di respingimenti verso i Paesi di origine dei migranti non riconosciuti meritevoli di tutela internazionale, potrebbe veramente accumulare un numero straordinario di disperati, come già accade in Grecia,

impegna il Governo:

1) ad intensificare gli sforzi tesi a prevenire l'arrivo nel nostro Paese di un elevato numero di migranti irregolari richiedenti asilo o altra forma di tutela internazionale;
2) a stipulare in tempi rapidi accordi efficaci di riammissione, di cui avvalersi per espellere i migranti risultati non in possesso dei requisiti necessari per la concessione dello status di rifugiato o altra forma di tutela internazionale;
3) a comunicare ufficialmente anche al Parlamento, con cadenza periodica almeno trimestrale, i dati concernenti gli afflussi e le rotte seguite dai migranti irregolari per giungere alle coste del nostro Paese;
4) a non impiantare tendopoli per aspiranti rifugiati sul suolo del nostro Paese;
5) ad assumere iniziative perché non si ricorra per alcun motivo alla requisizione degli immobili privati sfitti.
(1-01231) «Fedriga, Simonetti, Molteni, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini».


   La Camera,
   premesso che:
    5.022 persone sono morte in mare nel 2016 provando a raggiungere l'Europa, un triste record che non può non interrogare le coscienze, a cui si aggiungono le sorti di migliaia di persone, principalmente siriani, iracheni, afghani in fuga dai loro Paesi funestati da decenni di guerre e terrorismo, che l'Unione europea ha deciso deliberatamente di tenere lontani dai propri Paesi concludendo l'accordo con la Turchia. Molti altri, come testimoniano le drammatiche immagini che provengono dai Paesi dell'Est Europa in queste settimane, risultano bloccati a migliaia sotto il gelo in quella che un tempo era la «rotta balcanica»;
    sebbene questo accordo abbia pressoché azzerato l'arrivo di persone che approdavano sulle coste greche e dalla Turchia attraverso la rotta balcanica, il 2016 ha fatto registrare il maggior numero di arrivi via mare di sempre con 181.405 persone sbarcate sulle nostre coste, con un incremento del 18 per cento rispetto all'anno precedente. Tuttavia, secondo i dati Unhcr, tra il 1o gennaio e il 31 dicembre 2016 sono sbarcate in Europa 361.578 persone, ovvero il 64 per cento in meno rispetto al 2015, anno record in cui si registrarono in Europa circa un milione di arrivi;
    è evidente che per un continente di 500 milioni di abitanti in cui è concentrata buona parte della ricchezza globale, gestire e assorbire una pressione migratoria di queste dimensioni non può rappresentare un problema, a meno che non si mettano in atto politiche che tendono quanto più a limitare il fenomeno anziché governarlo;
    guardando all'evoluzione del fenomeno migratorio, negli ultimi anni è cambiata considerevolmente la natura stessa del fenomeno: oggi la quasi totalità dei migranti che raggiungono l'Unione europea sono potenziali soggetti con diritto ad una protezione internazionale. Data quindi la natura delle cause che determinano il flusso migratorio tutto lascia presupporre che il fenomeno attuale non sia un dato transitorio, ma si debba considerare come strutturale e che quindi ci interesserà almeno per un altro decennio;
    purtroppo, al fenomeno migratorio e alle sue evoluzioni sono state fornite risposte e quindi messi a disposizione strumenti che sono risultati del tutto inadeguati, spesso obsoleti ed improntati ad una visione difensiva ed emergenziale;
    la principale risposta fornita al fenomeno, avvenuta dopo la spinta emotiva della strage avvenuta al largo di Pozzallo il 18 aprile 2015 che causò più di 800 vittime, si è avuto attraverso il cosiddetto «approccio Hotspot», contenuto all'interno della Agenda europea sulle migrazioni, che tra l'altro non è mai stata trasposta in nessun atto normativo e con i meccanismi di « relocation» e « resettlement»;
    gli hotspot violano i diritti umani, comprimono il diritto a richiedere l'asilo politico e in generale il loro meccanismo è finalizzato a negare la protezione internazionale attraverso la loro principale funzione: separare i «migranti economici» dai potenziali richiedenti asilo, fondando quindi un provvedimento di respingimento esclusivamente sulla base del Paese di provenienza;
    l'approccio hotspot sarebbe quindi, una volta completate le procedure di identificazione e separazione dei migranti, finalizzato alla « relocation». E qui non si può che constatare il fallimento della strategia in tutta la sua interezza. I dati disponibili al 30 dicembre 2016 indicano che complessivamente dall'Italia sono stati ricollocati in altri Paesi europei 2.654 richiedenti asilo (su un totale di 39.600) e 6.212 dalla Grecia al 6 dicembre (su un totale 66.400). L'obiettivo delle 160 mila persone rilocate che dovrebbe essere raggiunto entro settembre 2017 resta una chimera, prefigurandosi un fallimento epocale di tutta la strategia;
    in ultimo, nei mesi scorsi la Commissione europea ha presentato un serie di proposte per riformare il sistema europeo comune di asilo nelle linee indicate nell'Agenda europea per la migrazione e nella comunicazione del 6 aprile 2016. In particolare, la Commissione ha presentato il 4 maggio 2016 un primo pacchetto di proposte - riforma del regolamento 604/2013 (Dublino III), riforma del regolamento 603/2013 (Eurodac) e riforma del regolamento 439/2010, che istituisce l'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo (EASO), mentre il 13 luglio ha presentato diverse proposte legislative - sostituzione della direttiva sulle procedure di asilo con un regolamento che stabilisca una procedura comune UE per la protezione internazionale, sostituzione della direttiva qualifiche esistente con un nuovo regolamento, infine una riforma della direttiva sulle condizioni di accoglienza;
    attraverso le sopraindicate proposte la Commissione europea tenta di rimediare all'evidente fallimento del «sistema Dublino» mantenendo sostanzialmente invariata la gerarchia dei «criteri di Dublino», introducendo un sistema correttivo per la ripartizione equa delle responsabilità tra Stati, che riproduce esattamente gli elementi fallimentari dei meccanismi temporanei di ricollocazione già in uso e prevedendo a carico dei richiedenti asilo una serie di obblighi (e conseguenti sanzioni in caso di violazione) per limitare gli spostamenti all'interno dell'area degli Stati membri. Praticamente si introducono tutta una serie di nuovi complicati meccanismi burocratici mantenendo in piedi il «sistema Dublino»: inefficace, costoso e che produce irregolarità;
    a parte qualche positiva modifica dei termini procedurali, in generale non si possono ritenere queste proposte idonee a garantire gli obiettivi dichiarati dalla Commissione, ovvero l'individuazione rapida dello Stato membro competente e, pertanto, l'accesso rapido del richiedente alla procedura di asilo, una ripartizione più equa delle responsabilità tra Stati membri, la lotta ad abusi e movimenti secondari, rafforzare le garanzie per i richiedenti asilo e bisognosi di protezione internazionale, godere dello stesso livello di protezione, incentivare l'integrazione, garantire infine standard di accoglienza dignitosi;
    in particolare, l'armonizzazione della lista dei Paesi sicuri sarebbe una negazione del diritto di asilo e rivela in tutta la sua drammaticità l'approccio dell'Europa sul fenomeno delle migrazioni. Introdurre il concetto di «sicurezza» nell'esaminare le richieste di asilo è un grave rischio, poiché nessun Paese può essere considerato «sicuro». Adottando una simile lista, l'Unione europea e i suoi Stati membri istituzionalizzerebbero a livello europeo una pratica attraverso la quale i Paesi membri possono rifiutare di ottemperare pienamente alle proprie responsabilità verso i richiedenti asilo, in violazione ai loro obblighi internazionali;
    finora, 13 dei 28 Stati membri hanno una lista nazionale di «Paesi sicuri», ma le liste sono tutt'altro che omogenee. La proposta della Commissione mira a porre rimedio a queste disparità. I sette Paesi che la proposta considera «sicuri» sono: Albania, Bosnia-Erzegovina, Macedonia, Kosovo, Montenegro, Serbia e Turchia. La Finlandia, ad esempio, considera «sicuri» Paesi come l'Afghanistan, l'Iraq e la Somalia: in questi Paesi il migrante non rischia discriminazioni, persecuzioni, limitazioni o negazioni dei diritti fondamentali. Ciò è, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, un'assurdità;
    con la Turchia, che si considererebbe «Paese sicuro», si è già stretto un accordo che viola gravemente il diritto europeo e tradisce i fondamenti democratici e ispirati alla tradizionale tutela dei diritti umani nell'Unione europea e in Italia. Quanto sta emergendo dall'applicazione concreta di questo accordo è che in cambio di denaro si esternalizzano le frontiere dell'Unione europea chiudendo gli occhi sul rispetto dei diritti umani, sulla repressione delle libertà fondamentali, nonché sulla forte repressione anti-curda che il Governo turco sta mettendo in piedi negli ultimi mesi, addirittura dimenticando le gravi responsabilità di quest'ultimo nel supporto a Daesh;
    lo stesso approccio è usato dalla Commissione europea per adottare la lista comune di «Paesi terzi sicuri» per consentire che i richiedenti asilo siano rimandati indietro nei paesi per i quali sono transitati prima del loro arrivo nella Unione europea, e dove essi dovrebbero «legalmente» depositare le loro richieste di asilo;
    nei fatti quindi, con le nuove proposte, con la giustificazione di razionalizzare e armonizzare il sistema di asilo europeo, l'Unione europea darebbe legittimità istituzionale a un abuso sul diritto di asilo allo scopo di controllare i flussi migratori;
    il quadro emergente dalle proposte presentate e dagli atti approvati dalle istituzioni europee nell'ultimo anno è desolante. Ricollocazioni, reinsediamenti, liste di Paesi di origine sicuri e Paesi terzi sicuri, rimpatri, hotspot, accordo con la Turchia, respingimenti, rappresentano il palese fallimento del Sistema europeo comune di asilo e manifestano tutta l'incapacità dell'Unione europea a far fronte ad un numero elevato ma certo non insostenibile di arrivi, come si vuole spesso rappresentare in maniera drammatica;
    questo fallimento deriva da molteplici fattori, uno dei quali è certamente rappresentato dall'ostinazione con cui gli Stati membri e le istituzioni dell'Unione europea continuano a voler disciplinare - in maniera sempre più burocratica e complessa, quindi terribilmente macchinosa e costosa - gli spostamenti di persone in un territorio che si vuole al tempo stesso privo di controlli alle frontiere interne;
    occorrerebbe prendere atto del mutamento dei contesti globali e del fatto che molte persone scappano da guerre, carestie, effetti dei cambiamenti climatici, eventi che molto spesso l'occidente e quindi anche l'Unione europea ha spesso creato o quantomeno aggravato anche con la sola inerzia;
    bisognerebbe quindi individuare soluzioni più snelle e realistiche, meno burocratiche, che prevedano, fra le altre cose, che chi ha ottenuto una protezione (europea) in un Paese possa poi liberamente cercare lavoro in un altro, con i giusti «contrappesi» per evitare che ciò si trasformi in un peso insostenibile per quelle aree dell'Unione europea maggiormente prescelte per l'insediamento;
    sul piano nazionale la volontà in ultimo espressa dal Governo di utilizzare gli strumenti di controllo ed allontanamento degli stranieri irregolari per quindi, come si legge nella circolare del Capo della polizia del 30 dicembre 2016, favorire «l'azione di prevenzione e contrasto nell'attuale contesto di crisi a fronte di una crescente pressione migratoria e di uno scenario internazionale connotato da instabilità e minacce», sarebbe una scelta miope e con effetti controproducenti e dannosi se non si giunga ad una modifica nella normativa che già produce irregolarità negli ingressi e nei soggiorni;
    la priorità di oggi è modificare il Testo unico sull'immigrazione del 1998, riformato in peggio dalla cosiddetta legge Bossi-Fini, e quindi porre mano ai meccanismi di regolarizzazione degli stranieri, valorizzando i legami lavorativi, familiari e sociali già esistenti che quelle persone hanno magari costruito in tanti anni, promuovendo politiche di integrazione finalizzate ad una regolarizzazione permanente a fronte della dimostrazione di chiari indici di integrazione;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, quindi, non può non apparire totalmente irrazionale l'annunciato intento del Governo di potenziare la rete dei Cie in Italia, considerata l'inefficacia del sistema di identificazione ed espulsione, a fronte del sacrificio dei diritti umani che si è sempre consumato nelle strutture governative atte proprio a tale funzione, ovvero di identificazione ed espulsione;
    appare quindi sbagliata la strategia che sembra si voglia intraprendere degli accordi bilaterali di riammissione, così come proporre nuove norme che andrebbero a riformare in senso restrittivo le norme sull'asilo, a partire dall'ipotesi di eliminare il doppio grado di giurisdizione o peggio istituire sezioni specializzate nei tribunali, dove in un contesto culturale ove buona parte della magistratura e dell'avvocatura sono ancora poco consapevoli dell'importanza e della complessità anche giuridica della materia, si tradurrebbe in concreto, al di là delle intenzioni, in una sorta di uffici-ghetto, carenti di sufficienti risorse materiali e professionali;
    andrebbe quindi smantellata l'attuale struttura di accoglienza per richiedenti asilo, organizzata sul carattere dell'emergenza permanente a vantaggio di una efficiente struttura dell'accoglienza organizzata in maniera diffusa, decentrata, libera dai meccanismi di accumulazione del profitto che hanno portato a corruzione e malaffare e condizioni di vita insopportabili per un Paese civile, ma soprattutto a favore di una accoglienza funzionante allo scopo ultimo: l'integrazione delle persone;
    in ultimo per comprendere il fallimento delle attuali politiche che hanno comportato un ingente costo di vite umane nonché di fondi spesi in questi anni, basti pensare che con soli 2,5 milioni di euro il progetto Mediterranean Hope ha portato in Italia, in sicurezza, sottraendoli alle mani dei trafficanti, mille profughi dalle zone confinanti con quelle di conflitto, garantendo loro, inoltre, un'accoglienza dignitosa. Come emblema dell'irrazionalità delle politiche in atto, si pensi che con i soli 6 miliardi di euro promessi alla Turchia per l'implementazione del Joint Action Plan del marzo 2016, si sarebbe potuto fare altrettanto con 2,4 milioni di persone,

impegna il Governo:

1) a promuovere l'apertura immediata di corridoi umanitari di accesso in Europa per garantire «canali di accesso legali e controllati», attraverso i Paesi di transito ai rifugiati che scappano da persecuzioni, guerra e conflitti per mettere fine alle stragi in mare e in terra, e quindi debellare il traffico di esseri umani;
2) a proporre un «diritto di asilo europeo», capace di superare realmente il «regolamento di Dublino» e a non sostenere la proposta di riforma della Commissione europea, considerato che un migrante dovrebbe avere il diritto di veder riconosciuto l'asilo in qualsiasi Paese, per poi essere libero di circolare all'interno dell'Europa;
3) ad assumere iniziative per concedere con effetto immediato permessi di soggiorno per motivi umanitari che consentano la libera circolazione negli Stati dell'Unione europea e quindi avviare l'iter per la predisposizione di una normativa dell'Unione con la quale disciplinare il riconoscimento reciproco delle decisioni di riconoscimento della protezione internazionale tra gli Stati membri e a promuovere nelle competenti sedi europee, la regolarizzazione di tutti i migranti ancora senza documenti presenti in Europa;
4) a vigilare sul rispetto del divieto di espulsioni collettive previsto dai protocolli addizionali alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, assumendo iniziative volte all'adozione di opportuni atti regolamentari e all'introduzione di procedure di monitoraggio indipendenti;
5) a promuovere il principio di un'accoglienza dignitosa e dunque la chiusura di tutti i centri di detenzione per migranti sparsi in Europa, a cominciare da quelli presenti sul territorio italiano;
6) ad assumere iniziative per scongiurare qualsiasi ipotesi di consolidamento di quello che i firmatari del presente atto di indirizzo giudicano l'illegittimo sistema dei centri di identificazione ed espulsione, veri e propri luoghi di detenzione amministrativa;
7) ad assumere iniziative per implementare rapidamente il programma di ricollocamento, ad oggi dimostratosi un fallimento, affiancandolo alla creazione di adeguate strutture per l'accoglienza e l'assistenza delle persone in arrivo;
8) a promuovere una politica che dica «basta» ai respingimenti verso i Paesi di origine e di transito e garantisca a tutti i migranti l'accesso a una piena e chiara informazione sulla possibilità di chiedere protezione internazionale;
9) a proporre la revisione dell'accordo tra Unione europea e Turchia sulla gestione dei rifugiati, nonché a proporre l'immediata sospensione degli accordi – come i processi di Rabat e di Khartoum – con i Governi che non rispettano i diritti umani e le libertà.
(1-01465) «Palazzotto, Duranti, Scotto, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti».


   La Camera,

impegna il Governo:

1) a promuovere l'apertura immediata di corridoi umanitari di accesso in Europa per garantire «canali di accesso legali e controllati», attraverso i Paesi di transito ai rifugiati che scappano da persecuzioni, guerra e conflitti per mettere fine alle stragi in mare e in terra, e quindi debellare il traffico di esseri umani;
2) a proporre un «diritto di asilo europeo», capace di superare realmente il «regolamento di Dublino» e a non sostenere la proposta di riforma della Commissione europea, considerato che un migrante dovrebbe avere il diritto di veder riconosciuto l'asilo in qualsiasi Paese, per poi essere libero di circolare all'interno dell'Europa.
(1-01465) (Testo risultante dalla votazione per parti separate) «Palazzotto, Duranti, Scotto, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti».


   La Camera,
   premesso che:
    nell'ultimo anno l'ondata migratoria non solo non ha conosciuto soste, ma è addirittura esponenzialmente aumentata. Secondo i dati resi noti ad inizio 2017 da Frontex, l'agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, nel 2016 il numero di migranti arrivati in Europa attraverso la rotta centro mediterranea, che riguarda l'Italia e in misura minore Malta, è cresciuto di circa il venti per cento rispetto all'anno precedente, facendo registrare un totale di 181 mila sbarchi. Tale considerevole incremento riflette una pressione migratoria proveniente dal versante occidentale del continente africano, in particolare da Nigeria, Eritrea, Guinea, Costa d'Avorio e Gambia. Dal 2010, l'Italia ha visto decuplicare il numero di arrivi dall'Africa occidentale: secondo l'Unhcr, nel 2016 sono arrivate in Italia via mare 181.405 persone, rispetto alle 153.842 del 2015 e alle 170.100 del 2014 (dati del Viminale);
    la gran parte di questi sbarchi avviene in Sicilia (il 70 per cento), ma ci sono arrivi via mare anche in Calabria (il 17 per cento), Puglia (il 7,5 per cento) e Sardegna (il 4 per cento);
    lo stesso report evidenzia come il numero dei migranti individuali sia calato del settantanove per cento nelle isole elleniche dell'Egeo e nella parte continentale della Grecia, in particolare a seguito dell'entrata in vigore, nel marzo 2016, dell'accordo Unione europea-Turchia, che ha portato ad un'intensificazione dei controlli alle frontiere da parte delle autorità turche, all'accelerazione dei rimpatri di migranti dalla Grecia alla Turchia, cui si somma una stretta sui controlli alle frontiere nei Balcani occidentali;
    particolarmente significativo risulta il raddoppio nell'ultimo anno del numero dei minori stranieri non accompagnati sbarcati lungo le coste del nostro Paese, passato da 12.360 nel 2015 a 25.846 nel 2016, cui va aggiunto il numero, anch'esso in costante crescita, dei minori che arrivano attraverso i valichi alpini, in particolare del Friuli Venezia Giulia, come evidenziato dalla struttura di missione per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati istituita presso il dipartimento dell'immigrazione del Viminale;
    contestualmente, come affermato dal direttore di Frontex nel corso di un seminario di clausura del Partito cristiano sociale bavarese (Csu) e riportato dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung, gli Stati europei espellono solo il 43 per cento dei migranti cui non è stato riconosciuto asilo;
    con il 1o gennaio 2017 è ufficialmente iniziato il semestre di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea da parte di Malta, che non potrà non annoverare fra sue priorità una gestione comune della politica migratoria di fronte a posizioni nettamente divergenti dei partner europei. In questo quadro vanno apprezzate le parole del premier di Malta Joseph Muscat, che ha affermato di condividere la stessa posizione del governo italiano, auspicando che un accordo con la Libia possa essere trasposto a livello europeo;
    va registrato il sostanziale fallimento del piano Junker di ricollocamento dei mila profughi da Grecia e Italia, deciso nel 2015 e boicottato da parte dei Paesi del cosiddetto gruppo Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) e che ha portato a meno di diecimila ricollocati (dati aggiornati ai primi di dicembre 2016);
    forte preoccupazione desta nell'opinione pubblica la presenza di circa 400 detenuti a «rischio radicalizzazione» presenti negli istituti penitenziari italiani, di cui 170 sottoposti a «specifico monitoraggio», ai quali si aggiungono 45 detenuti in Italia per terrorismo internazionale. Va quindi espresso il vivo ringraziamento a tutti gli agenti della Polizia penitenziaria, ai direttori e a tutti gli operatori che svolgono il proprio gravoso lavoro in strutture spesso inadatte e con gravi carenze di organico. Per contrastare l'estremismo islamico serve un incremento del numero di agenti di polizia penitenziaria e maggiori fondi per la formazione e per le dotazioni degli agenti stessi, un incremento e una capillare diffusione di educatori, assistenti sociali, mediatori culturali e di esperti in quell'attività di intelligence nelle carceri, fondamentale per fronteggiare fenomeni di proselitismo jihadista;
    occorre ripensare l'operazione Eunavfor Med, a cui partecipano in vario modo 25 nazioni europee, concepita con lo scopo di individuare, fermare e mettere fuori uso imbarcazioni e mezzi usati o sospettati di essere usati dai contrabbandieri e dai trafficanti di esseri umani. A tali compiti sono stati affiancati gli incarichi di addestramento della Guardia Costiera e della Marina libica e il contributo alle operazioni di embargo alle armi in accordo alla Risoluzione dalle Nazioni Unite nr. 2292 del 14 giugno 2016. Sin dall'inizio, inoltre, le navi impegnate nell'operazione hanno contribuito alla salvaguardia della vita umana in mare. La flotta europea si è – di fatto – limitata a raccogliere in mare immigrati clandestini e a sbarcarli nei porti italiani affidando alla giustizia gli scafisti (o presunti tali) catturati;
    il passaggio alla cosiddetta «fase tre» dell'operazione Eunavfor Med diviene quindi esiziale: la neutralizzazione delle imbarcazioni e delle strutture logistiche usate dai contrabbandieri e trafficanti sia in mare che a terra sulle coste libiche è fondamentale per scoraggiare ulteriori attività criminali. È ben conosciuto il traffico, purtroppo lecito, di gommoni che attraverso la Turchia e Malta giungono in Libia e che non è possibile bloccare prima dell'arrivo nelle mani dei trafficanti di esseri umani. Ma per colpire i gommoni sulla costa e nelle acque territoriali libiche l'operazione Eunavfor Med deve essere autorizzata dall'Onu o dal governo libico;
    l'addestramento della Marina Libica, richiesta dal Governo riconosciuto dalla comunità internazionale e sviluppata sotto l'egida dell'Unione europea si inquadra nelle attività di Maritime Capacity Building and Training e Maritime Security, ed è un importante tassello nella stabilizzazione dell'intera area, ma rischia di essere del tutto inutile se la comunità internazionale e le fazioni che si contendono il potere in Libia non troveranno un accordo stabile e duraturo;
    il modello fin qui seguito nella gestione dei flussi migratori va ripensato, mettendo in atto un intervento a tutto campo, basato su quelle esperienze che nel mondo hanno dato risultati positivi e centrato su alcuni punti fissi:
     a) missioni di respingimento: «fermare le navi per fermare le morti (come attuato in Australia dal premier conservatore Tony Abbott “Operation Sovereign Borders”), accogliendo solo chi scappa veramente da una guerra»;
     b) chiusura moschee e luoghi di culto irregolari e senza controlli; apertura solo di luoghi di culto autorizzati e controllati;
     c) sistematico controllo del territorio rispetto al fenomeno dei centri di aggregazione clandestini;
     d) scelta anno per anno delle quantità e tipologie di immigrati effettivamente integrabili nel mercato del lavoro italiano (come fanno altri Paesi, a partire da Canada e Australia);
     e) accettare immigrazione selezionata e contingentata, compatibile con la possibilità di inserimento sociale, lavorativo ed abitativo;
     f) nessun automatismo per la cittadinanza: come negli Stati Uniti essa è solo l'ultimo passo di un lungo percorso,

impegna il Governo:

1) a mettere in atto misure di contrasto all'illegalità e alla migrazione irregolare nel medio e lungo termine, con regole certe che vedano l'avvio di un nuovo sistema basato su quei modelli che nel mondo hanno dato prova di efficacia, come quello canadese e quello australiano;
2) ad intensificare la stipula dei necessari accordi internazionali con i Paesi di partenza degli Migrati (Libia, Nigeria, Eritrea e altri) al fine facilitare e velocizzare i rimpatri dei migranti non in possesso dei requisiti necessari per usufruire delle forme di protezione internazionale e a promuovere accordi bilaterali volti ad agevolare il trasferimento dei detenuti stranieri nei Paesi d'origine;
3) a verificare la possibilità di stipulare accordi con Paesi di provenienza dei migranti per allestire in loco centri di accoglienza dove lo straniero che tenti di entrare in Italia via mare, se intercettato, potrà soggiornare fino alla definizione delle pratiche per l'eventuale ingresso legale nel nostro Paese;
4) a intensificare gli sforzi diplomatici con i partner europei, con il Governo libico e con le Nazioni Unite, anche avvalendosi della posizione di membro non permanente nel Consiglio di sicurezza, al fine di portare alla cosiddetta «fase tre» l'operazione Eunavfor Med;
5) a dotare le forze dell'ordine e gli apparati di sicurezza di mezzi e risorse necessarie al fine di meglio condurre quell'attività di intelligence volta a prevenire infiltrazioni terroristiche e a fronteggiare fenomeni di proselitismo jihadista;

6) ad agire in sede comunitaria per la stipula di accordi economici fra l'Unione europea e i Paesi di origine e transito dei migranti, incrementando le politiche di cooperazione.
(1-01466) «Altieri, Palese, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».


   La Camera,
   premesso che:
    nell'ultimo anno l'ondata migratoria non solo non ha conosciuto soste, ma è addirittura esponenzialmente aumentata. Secondo i dati resi noti ad inizio 2017 da Frontex, l'agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, nel 2016 il numero di migranti arrivati in Europa attraverso la rotta centro mediterranea, che riguarda l'Italia e in misura minore Malta, è cresciuto di circa il venti per cento rispetto all'anno precedente, facendo registrare un totale di 181 mila sbarchi. Tale considerevole incremento riflette una pressione migratoria proveniente dal versante occidentale del continente africano, in particolare da Nigeria, Eritrea, Guinea, Costa d'Avorio e Gambia. Dal 2010, l'Italia ha visto decuplicare il numero di arrivi dall'Africa occidentale: secondo l'Unhcr, nel 2016 sono arrivate in Italia via mare 181.405 persone, rispetto alle 153.842 del 2015 e alle 170.100 del 2014 (dati del Viminale);
    la gran parte di questi sbarchi avviene in Sicilia (il 70 per cento), ma ci sono arrivi via mare anche in Calabria (il 17 per cento), Puglia (il 7,5 per cento) e Sardegna (il 4 per cento);
    lo stesso report evidenzia come il numero dei migranti individuali sia calato del settantanove per cento nelle isole elleniche dell'Egeo e nella parte continentale della Grecia, in particolare a seguito dell'entrata in vigore, nel marzo 2016, dell'accordo Unione europea-Turchia, che ha portato ad un'intensificazione dei controlli alle frontiere da parte delle autorità turche, all'accelerazione dei rimpatri di migranti dalla Grecia alla Turchia, cui si somma una stretta sui controlli alle frontiere nei Balcani occidentali;
    particolarmente significativo risulta il raddoppio nell'ultimo anno del numero dei minori stranieri non accompagnati sbarcati lungo le coste del nostro Paese, passato da 12.360 nel 2015 a 25.846 nel 2016, cui va aggiunto il numero, anch'esso in costante crescita, dei minori che arrivano attraverso i valichi alpini, in particolare del Friuli Venezia Giulia, come evidenziato dalla struttura di missione per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati istituita presso il dipartimento dell'immigrazione del Viminale;
    contestualmente, come affermato dal direttore di Frontex nel corso di un seminario di clausura del Partito cristiano sociale bavarese (Csu) e riportato dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung, gli Stati europei espellono solo il 43 per cento dei migranti cui non è stato riconosciuto asilo;
    con il 1o gennaio 2017 è ufficialmente iniziato il semestre di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea da parte di Malta, che non potrà non annoverare fra sue priorità una gestione comune della politica migratoria di fronte a posizioni nettamente divergenti dei partner europei. In questo quadro vanno apprezzate le parole del premier di Malta Joseph Muscat, che ha affermato di condividere la stessa posizione del governo italiano, auspicando che un accordo con la Libia possa essere trasposto a livello europeo;
    va registrato il sostanziale fallimento del piano Junker di ricollocamento dei mila profughi da Grecia e Italia, deciso nel 2015 e boicottato da parte dei Paesi del cosiddetto gruppo Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) e che ha portato a meno di diecimila ricollocati (dati aggiornati ai primi di dicembre 2016);
    forte preoccupazione desta nell'opinione pubblica la presenza di circa 400 detenuti a «rischio radicalizzazione» presenti negli istituti penitenziari italiani, di cui 170 sottoposti a «specifico monitoraggio», ai quali si aggiungono 45 detenuti in Italia per terrorismo internazionale. Va quindi espresso il vivo ringraziamento a tutti gli agenti della Polizia penitenziaria, ai direttori e a tutti gli operatori che svolgono il proprio gravoso lavoro in strutture spesso inadatte e con gravi carenze di organico. Per contrastare l'estremismo islamico serve un incremento del numero di agenti di polizia penitenziaria e maggiori fondi per la formazione e per le dotazioni degli agenti stessi, un incremento e una capillare diffusione di educatori, assistenti sociali, mediatori culturali e di esperti in quell'attività di intelligence nelle carceri, fondamentale per fronteggiare fenomeni di proselitismo jihadista;
    occorre ripensare l'operazione Eunavfor Med, a cui partecipano in vario modo 25 nazioni europee, concepita con lo scopo di individuare, fermare e mettere fuori uso imbarcazioni e mezzi usati o sospettati di essere usati dai contrabbandieri e dai trafficanti di esseri umani. A tali compiti sono stati affiancati gli incarichi di addestramento della Guardia Costiera e della Marina libica e il contributo alle operazioni di embargo alle armi in accordo alla Risoluzione dalle Nazioni Unite nr. 2292 del 14 giugno 2016. Sin dall'inizio, inoltre, le navi impegnate nell'operazione hanno contribuito alla salvaguardia della vita umana in mare. La flotta europea si è – di fatto – limitata a raccogliere in mare immigrati clandestini e a sbarcarli nei porti italiani affidando alla giustizia gli scafisti (o presunti tali) catturati;
    il passaggio alla cosiddetta «fase tre» dell'operazione Eunavfor Med diviene quindi esiziale: la neutralizzazione delle imbarcazioni e delle strutture logistiche usate dai contrabbandieri e trafficanti sia in mare che a terra sulle coste libiche è fondamentale per scoraggiare ulteriori attività criminali. È ben conosciuto il traffico, purtroppo lecito, di gommoni che attraverso la Turchia e Malta giungono in Libia e che non è possibile bloccare prima dell'arrivo nelle mani dei trafficanti di esseri umani. Ma per colpire i gommoni sulla costa e nelle acque territoriali libiche l'operazione Eunavfor Med deve essere autorizzata dall'Onu o dal governo libico;
    l'addestramento della Marina Libica, richiesta dal Governo riconosciuto dalla comunità internazionale e sviluppata sotto l'egida dell'Unione europea si inquadra nelle attività di Maritime Capacity Building and Training e Maritime Security, ed è un importante tassello nella stabilizzazione dell'intera area, ma rischia di essere del tutto inutile se la comunità internazionale e le fazioni che si contendono il potere in Libia non troveranno un accordo stabile e duraturo;
    il modello fin qui seguito nella gestione dei flussi migratori va ripensato, mettendo in atto un intervento a tutto campo, basato su quelle esperienze che nel mondo hanno dato risultati positivi e centrato su alcuni punti fissi:
     a) missioni di respingimento: «fermare le navi per fermare le morti (come attuato in Australia dal premier conservatore Tony Abbott “Operation Sovereign Borders”), accogliendo solo chi scappa veramente da una guerra»;
     b) chiusura moschee e luoghi di culto irregolari e senza controlli; apertura solo di luoghi di culto autorizzati e controllati;
     c) sistematico controllo del territorio rispetto al fenomeno dei centri di aggregazione clandestini;
     d) scelta anno per anno delle quantità e tipologie di immigrati effettivamente integrabili nel mercato del lavoro italiano (come fanno altri Paesi, a partire da Canada e Australia);
     e) accettare immigrazione selezionata e contingentata, compatibile con la possibilità di inserimento sociale, lavorativo ed abitativo;
     f) nessun automatismo per la cittadinanza: come negli Stati Uniti essa è solo l'ultimo passo di un lungo percorso,

impegna il Governo:

1) ad intensificare la stipula dei necessari accordi internazionali con i Paesi di partenza degli Migrati al fine facilitare e velocizzare i rimpatri dei migranti non in possesso dei requisiti necessari per usufruire delle forme di protezione internazionale e a promuovere accordi bilaterali volti ad agevolare il trasferimento dei detenuti stranieri nei Paesi d'origine;
2) a intensificare gli sforzi diplomatici con i partner europei, con il Governo libico e con le Nazioni Unite, al fine di portare alla cosiddetta «fase tre» l'operazione Eunavfor Med;
3) a valutare l'opportunità di incrementare le risorse a disposizione delle forze dell'ordine e degli apparati di sicurezza al fine di implementare l'attività di prevenzione delle infiltrazioni terroristiche e di contrasto dei fenomeni di proselitismo jihadista;

4) ad agire in sede comunitaria per la stipula di accordi economici fra l'Unione europea e i Paesi di origine e transito dei migranti, incrementando le politiche di cooperazione.
(1-01466)
(Testo modificato nel corso della seduta come risultante dalla votazione per parti separate)  «Altieri, Palese, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».


   La Camera,
   premesso che:
    la circolare diffusa dal Ministero dell'interno il 30 dicembre 2016, relativa alle attività di rimpatrio degli stranieri irregolari e al programma di riapertura dei centri di identificazione ed espulsione, e la volontà del Governo di stipulare nuovi accordi bilaterali di riammissione e di riformare in senso restrittivo le norme sul diritto di asilo, rappresentano una visione miope, strumentale e rozza, finalizzata soltanto a stemperare gli umori di una parte dell'opinione pubblica scossa dagli ultimi attentati in Europa, ma manca totalmente di una visione costruttiva e di una gestione intelligente, efficace e lungimirante di un fenomeno - quello migratorio - che non può più essere considerato emergenza, diventato ormai strutturale ed elemento imprescindibile della scena culturale, sociale ed economica;
    è fondamentale, invece, intervenire affrontando in modo responsabile quei correttivi urgenti ad un sistema di accoglienza fallimentare (per una gestione spesso corrotta e in mano al malaffare, per gli elevati costi e la limitata efficacia, per le condizioni degradanti delle persone accolte o trattenute, per il numero limitato degli effettivi rimpatri), come evidenziato anche da tutti gli studi indipendenti, oltre che dalla Corte dei Conti e dalle relazioni delle Commissioni parlamentari d'inchiesta che si sono alternate negli ultimi anni, che aveva anche convinto i Governi precedenti a cercare di diminuire il numero dei centri di identificazione ed espulsione potenziando il modello di accoglienza virtuoso dello Sprar (Sistema di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati);
    su oltre 180 mila cittadini stranieri sbarcati in Italia nel 2016, circa 23 mila sono stati gestiti attraverso la rete Sprar con progetti di formazione e di inserimento lavorativo. Ma sul futuro di quei migranti pende il verdetto delle loro richieste di asilo, che sei volte su dieci è negativo. Le commissioni territoriali e i tribunali chiamati a valutare le domande di protezione seguono infatti altri criteri, senza prendere in considerazione il percorso svolto dal richiedente asilo e la sua situazione lavorativa. Le cooperative e le associazioni dei progetti Sprar di Torino che gestiscono i richiedenti asilo e le aziende che ospitano i tirocinanti hanno creato la rete «SenzaAsilo», chiedendo al Governo l'introduzione di forme di regolarizzazione su base individuale degli stranieri che prendano in considerazione anche la loro situazione lavorativa. Perché trasformare i migranti lavoratori in irregolari non conviene a nessuno e in un'epoca di guerre, tensioni internazionali, crisi economiche, drammatici eventi climatici, crisi umanitarie di diversa origine e intensità è sempre più evidente l'artificialità e l'opinabilità della summa divisio - tutta politica e giuridica - tra richiedenti protezione internazionale e migranti economici;
    di questo è convinta anche Confindustria che, partendo dalla considerazione che una maggiore integrazione produce maggiori benefici, nel suo rapporto presentato a giugno 2016, sottolinea che l'impatto del lavoro degli immigrati sulla finanza pubblica italiana è positivo e riequilibra il sistema del welfare minacciato dall'invecchiamento demografico;
    è fondamentale che i flussi di migranti siano riconosciuti come una componente strutturale, da gestire attraverso la partecipazione attiva ai programmi di reinsediamento, l'apertura di canali umanitari e un'effettiva riapertura di canali di ingresso e soggiorno legale per lavoro (oggi sostanzialmente chiusi), così da prosciugare il fenomeno dell'irregolarità che foraggia il traffico e lo sfruttamento di esseri umani;
    ora più che mai appare improrogabile una riforma, ad un tempo rigorosa e radicale, del Testo unico sull'immigrazione (decreto legislativo n. 286 del 1998 e successive modificazioni) che è inefficace, iniquo, in più aspetti contrastante con la Costituzione e con le norme internazionali e dell'Unione europea;
    il 23 dicembre 2016 l'Istat ha pubblicato un rapporto, secondo il quale le richieste totali di asilo politico presentate dai migranti nel 2015 nei Paesi dell'Unione europea sono più che raddoppiate rispetto al 2014, superando largamente il milione (1.257.030). Un migrante su 3 ha scelto di restare in Germania, che è infatti il Paese nel quale è stato presentato il maggior numero di domande (441.800, il 35 per cento del totale dell'intera Unione europea), seguita dall'Ungheria (174.435), la Svezia (156.110) e l'Austria (85.505). L'Italia è al quinto posto con 83.245 richieste (il 7 per cento del totale dei Paesi Europei);
    l'Agenda europea sull'immigrazione, entrata in vigore nel settembre del 2015, oltre ad aver cambiato in maniera radicale il sistema di accoglienza dei migranti nei Paesi di arrivo, come l'Italia e la Grecia, che da Paesi di transito si sono trasformati in Paesi di destinazione, ha provocato un cortocircuito sulla loro ricollocazione, perché ha stabilito di fatto che i migranti possano accedere al ricollocamento in base alla loro nazionalità. Hanno diritto ad essere ricollocati i siriani e gli eritrei, quelli cioè a cui è riconosciuta una protezione nel 75 per cento dei Paesi europei, mentre tutti gli altri rientrano nella categoria dei migranti economici, anche coloro che scappano dalle guerre, o fuggono da governi dittatoriali come quello gambiano e quello etiope. Per loro è possibile richiedere l'asilo in Italia, ma senza troppe speranze: nei primi sei mesi del 2016 le domande d'asilo sono aumentate del 60 per cento, con un responso negativo del 60 per cento dei casi, che sono diventati irregolari. Il sistema di accoglienza italiano quindi, invece di integrare, ha di fatto prodotto un numero altissimo di persone irregolari;
    in chiave fortemente critica non si può che denunciare la volontà – manifestata apertis verbis dai Ministri Minniti e Orlando – di eliminare il grado di appello nei procedimenti giurisdizionali di impugnazione dei dinieghi dello status di rifugiato, creando quella che i firmatari del presente atto di indirizzo giudicano un'odiosa e incostituzionale apartheid giuridica riservata ai diritti fondamentali (quello alla protezione e quello alla difesa) dei richiedenti asilo;
    anche gli hotspot, imposti all'Italia sempre dall'Agenda europea, per le operazioni di identificazione, registrazione e rilevamento delle impronte digitali dei migranti in arrivo, hanno creato un sistema arbitrario e lesivo dei diritti fondamentali delle persone sbarcate sulle coste italiane. L'approccio hotspot è privo di una cornice giuridica, dato che nessun atto normativo, né italiano né europeo, disciplina quanto avviene all'interno dei centri, che in molti casi anzi contrasta in modo palese con quanto previsto dalla legge non solo in materia di protezione internazionale, ma anche di violazione della libertà personale;
    i centri hotspot, cronicamente sovraffollati e fonte di episodi di violenza e intimidazione testimoniate, respingimenti viziati nella forma, non sono in grado di offrire condizioni di permanenza dignitosa nemmeno ai minori che viaggiano soli, e non possono più essere considerati un sistema sufficiente e idoneo ad accogliere i migranti che sbarcheranno nel prossimo futuro. Il sistema di prima e seconda accoglienza a livello nazionale si rivela drammaticamente insufficiente. L'Italia e l'Europa devono drasticamente trasformare il loro approccio alla gestione dei flussi migratori, mettendo i diritti delle persone al centro,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per definire una normativa nazionale organica sul diritto d'asilo che dia attuazione all'articolo 10 della Costituzione e che consenta ingressi legali e sicuri a chi fugge da guerre, persecuzioni, eventi climatici avversi, catastrofi naturali, carestie, epidemie;
2) ad assumere iniziative per introdurre un sistema di accoglienza diffuso e sostenibile, che favorisca l'integrazione e la gestione corretta e trasparente di risorse e strutture, facendo del modello Sprar la regola e il ricorso a sistemi emergenziali l'eccezione;
3) intensificare ogni tentativo in sede europea per individuare forme di prima accoglienza alternative agli hotspot, con regole più rispettose dei diritti dei migranti;
4) ad assumere iniziative per la definitiva chiusura dei centri di identificazione ed espulsione e una riforma strutturale della materia dei rimpatri;
5) ad attivarsi in sede europea affinché venga potenziato e riconosciuto l'istituto del ricongiungimento familiare al fine di favorire un'immigrazione regolata e ordinata nel rispetto del diritto all'unità familiare e dei diritti dei minori;
6) ad assumere iniziative normative per l'abolizione del cosiddetto reato di clandestinità previsto dall'articolo 10-bis del testo unico sull'immigrazione, ritenuto dalla stessa magistratura un ostacolo al perseguimento dei reati legati al fenomeno migratorio come la tratta, lo sfruttamento lavorativo e la riduzione in schiavitù;
7) a promuovere in sede di Unione europea l'istituzione del visto umanitario comunitario con validità per tutta l'area Schengen ed emettibile in uno Stato terzo;
8) a proporre in sede di Unione europea e, in collaborazione con l'Alto commissariato dell'ONU per i rifugiati, l'istituzione di «uffici per le migrazioni» in Paesi di transito che presentano sufficienti condizioni di sicurezza, dove possano essere valutati i singoli casi e assegnati visti umanitari e documenti di viaggio temporanei, anche in considerazione delle singole esigenze di ricongiungimento familiare, allo scopo di consentire ai migranti di impiegare mezzi di trasporto legali verso l'Europa, e di suddividere in modo solidale tra i Paesi dell'Unione europea il carico umano ed economico di questa emergenza;
9) a promuovere una politica europea volta a consentire, successivamente all'istituzione degli «uffici per le migrazioni» sopracitati, la possibilità per i migranti richiedenti asilo, valutata favorevolmente la domanda di asilo, di raggiungere il territorio del Paese membro accogliente attraverso servizi di trasporto (aereo, marittimo e terrestre) legali, anche a spese dello stesso migrante, con il fine ultimo di salvare migliaia di vite, di distruggere alla base il business dei trafficanti di esseri umani e di ridurre in maniera organizzata la pressione ai confini dell'Europa, nonché il rischio di infiltrazioni terroristiche;
10) a favorire la realizzazione di percorsi educativi di accoglienza ed integrazione a favore dei migranti che consentano loro di conoscere il contesto sociale che li ospita ed integrarsi, anche attraverso lo svolgimento di attività di volontariato a scopo sociale e/o di pubblico interesse, al fine di permettere ai medesimi di acquisire un ruolo attivo, partecipe e che restituisca loro dignità.
(1-01467)
(Nuova formulazione) «Andrea Maestri, Civati, Brignone, Matarrelli, Pastorino, Artini, Baldassarre, Bechis, Segoni, Turco».


   La Camera,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per introdurre un sistema di accoglienza diffuso e sostenibile, che favorisca l'integrazione e la gestione corretta e trasparente di risorse e strutture, facendo del modello Sprar la regola e il ricorso a sistemi emergenziali l'eccezione;
2) ad attivarsi in sede europea affinché venga potenziato e riconosciuto l'istituto del ricongiungimento familiare al fine di favorire un'immigrazione regolata e ordinata nel rispetto del diritto all'unità familiare e dei diritti dei minori;
3) a valutare iniziative normative volte al superamento dell'articolo 10-bis del testo unico sull'immigrazione.
4) a favorire la realizzazione di percorsi educativi di accoglienza ed integrazione a favore dei migranti che consentano loro di conoscere il contesto sociale che li ospita ed integrarsi, anche attraverso lo svolgimento di attività di volontariato a scopo sociale e/o di pubblico interesse, al fine di permettere ai medesimi di acquisire un ruolo attivo, partecipe e che restituisca loro dignità.
(1-01467)
(Nuova formulazione) (Testo modificato nel corso della seduta come risultante dalla votazione per parti separate) «Andrea Maestri, Civati, Brignone, Matarrelli, Pastorino, Artini, Baldassarre, Bechis, Segoni, Turco».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo i dati UNHCR sono oltre 5000 le persone morte in mare cercando di raggiungere l'Europa nel 2016, il numero più alto degli ultimi decenni;
    secondo gli stessi dati in Europa tra il 1o gennaio e il 31 dicembre 2016 sono sbarcate in Europa 361.678 persone, di cui 181.405 in Italia. Nel 2016, gli arrivi nel nostro Paese sono aumentati del 18 per cento circa rispetto al 2015, ma solo del 6 per cento rispetto al 2014;
    a livello europeo si tratta di un dato inferiore rispetto a quello del 2015 (1.015.078), anno record, mentre gli sbarchi in tutta Europa del 2016 hanno raggiunto la somma di tutti quelli verificatisi tra il 2011 e il 2014; l'aumento italiano del 2016 rispetto al 2015 va letto anche in relazione, oltre al diversificarsi delle nazionalità dei migranti, con la diminuzione da 856.723 a 173.447 degli ingressi in Europa dalla frontiera greca;
    per quel che riguarda l'Italia, il 2016 ha confermato le previsioni della circolare 3148 del 12 aprile 2016 con cui il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno preannunciava un significativo aumento del fenomeno immigratorio nel 2016, anche se sino a settembre gli sbarchi sono stati in numero analogo rispetto a quelli del 2015;
    la svolta, se così si può dire, è avvenuta nell'autunno, in particolare tra ottobre (27.000 arrivi) e novembre, quando si è superato il numero di arrivi del 2015. A dicembre si è, invece, registrato un rallentamento degli stessi sbarchi (8.300 nel 2016, 9.600 nel 2015), mentre si è avuta un'impennata nei primi giorni del 2017;
    si tratta, certo, di dati significativi ma che non possono far parlare seriamente di «invasione», né giustificare il senso di minaccia che molti sostengono sia percepito nel nostro Paese, anche a causa del fenomeno terroristico che colpisce l'Europa in questi anni;
    inoltre, per superare le attuali inaccettabili sperequazioni nel nostro Paese a causa della reticenza di alcuni comuni italiani ad aderire ai progetti Sprar (su 8.000 comuni italiani solo 1.800 hanno accolto i migranti nel 2016), a ottobre 2016 una circolare del Ministero dell'interno ha stabilito che se un comune aderisce allo Sprar otterrà la progressiva diminuzione della presenza dei Cas sul suo territorio e inoltre riceverà 500 euro all'anno per ogni accolto;
    tuttavia, mentre la distribuzione dei profughi per regione nel sistema dei Cas è disposta dal Ministero dell'interno attraverso le prefetture ed è obbligatoria, l'adesione al sistema Sprar rimane volontaria;
    prosegue a rilento e con diverse criticità il meccanismo di relocation: i dati disponibili al 30 dicembre 2016 indicano che complessivamente dall'Italia sono stati ricollocati in altri Paesi europei 2.654 richiedenti asilo (su un totale di 39.600 previsti entro il 2017) e 6.212 dalla Grecia al 6 dicembre (su 66.400);
    per quel che riguarda in particolare i richiedenti asilo, che come sappiamo sono una particolare categoria di immigrati con uno statuto speciale dovuto all'articolo 1 della Convenzione di Ginevra, si assiste un cambiamento di immagine, da perseguitati individuali a vittime traumatizzate di conflitti, instabilità politica o calamità, perseguitati anonimamente quasi sempre non per quello che hanno fatto ma per quello che sono;
    tale allargamento del tradizionale concetto di rifugiato, verso cui non si ammette il debito politico da parte europea, crea tensioni contrastanti negli Stati nazionali che tendono a difendere i propri confini ma non hanno elaborato una legislazione adeguata verso questo fenomeno;
    si può temere che, di fronte a tale difficoltà di gestire il fenomeno, si intenda porre una stretta alla concessione dell'asilo politico; in particolare, appare preoccupante l'idea di negare il diritto di appello a coloro che si vedessero respinta la domanda di protezione internazionale;
    si tratterebbe di un atto che potrebbe mettere a rischio la vita di molte persone e che, tra l'altro, potrebbe portare ad eventuale condanna italiana da parte della Corte di giustizia europea, che non potrebbe non essere investita della questione;
    infatti, l'Italia, che insieme alla Grecia è inevitabilmente la prima meta dei profughi, e l'Europa sono ben lontane da qualunque «invasione» anche se è evidente che si sia di fronte a mutamenti significativi;
    di fatto gli ingressi legali in Italia per ragioni economiche sono possibili per numeri irrisori: il decreto flussi 2015 permetteva 17.850 ingressi di lavoratori stranieri, di cui 12.350 riservati alla conversione di permessi già esistenti di studio o lavoro; il decreto flussi 2016 ha previsto 30.000 posti, di cui 13.000 riservati a lavoratori stagionali e 12.000 alla conversione di altro tipo di permessi; solo 5000 i permessi per nuovi ingressi. Oggi la richiesta di protezione internazionale è, di fatto, diventata pressoché l'unico modo per entrare regolarmente in Italia;
    dal punto di vista dell'accoglienza, in Italia la situazione è molto frammentata. Vi è, infatti, una non equa distribuzione nei vari comuni del nostro Paese;
    al momento in Italia il 77,7 per cento dei profughi e richiedenti asilo è ospitato in Centri di Accoglienza Straordinaria (Cas) e solo il 13,5 per cento in posti Sprar Sistema di Protezione dei Richiedenti Asilo e Rifugiati (il restante 8,8 per cento negli hotspot e centri di prima accoglienza nelle regioni di sbarco). I Cas sono nati come risposta emergenziale agli arrivi dopo le cosiddette Primavere arabe del 2011, diventando poi un sistema parallelo e preponderante rispetto a quello dell'accoglienza ordinaria dei richiedenti asilo nel paese che andrebbe, invece, potenziato;
    la qualità dei servizi offerti dai Cas, spesso allestiti in strutture turistiche, è disomogenea, così come lo è la loro collocazione sul territorio nazionale. Rispetto ai Cas, i centri aderenti allo Sprar hanno standard di qualità più alti, con regole ben precise e hanno come scopo l'integrazione a lungo termine del richiedente asilo e non solo la sua accoglienza temporanea. Inoltre i centri Sprar sono soggetti a una rendicontazione economica più rigorosa, e sono quindi meno esposti ad abusi;
    il decreto governativo del 10 agosto 2016 prevede che gli Sprar non siano più finanziati attraverso bandi periodici, ma continuativamente, in base a un sistema di accreditamento permanente e ai finanziamenti disponibili;
    altrettanto problematica appare la possibilità di restringere le modalità di iscrizione anagrafica a fine di residenza, che non comporterebbe tra l'altro consistenti risparmi ai comuni ma al contrario renderebbe più difficilmente reperibili i richiedenti creando anche maggiori problemi di sicurezza;
    un approccio lungimirante deve portare a gestire il fenomeno nelle sue rapide evoluzioni, anche con una revisione complessiva ed organica della normativa sull'immigrazione con l'obiettivo di difendere i diritti fondamentali dei migranti, operare in sede europea per rivedere, come già richiesto, le convenzioni di Dublino, ottenere la relocation dei profughi, favorire canali e corridoi umanitari previsti dalla legislazione europea;
    l'eventuale riapertura dei Cie, per rispondere al fenomeno, non appare auspicabile se non a determinate condizioni. Il bilancio di una storia ormai di diversi anni ha mostrato, a fronte di sofferenze provocate nei detenuti e di un alto costo economico per le casse pubbliche, l'inefficacia di tali centri rispetto allo scopo per cui sono stati ideati;
    si consideri che meno della metà (46,2 per cento) delle 175.142 persone detenute nei centri dal 1998 al 2013 sono state effettivamente rimpatriate; nei primi nove mesi del 2016, nei Cie rimasti in Italia sono stati reclusi circa 2 mila stranieri irregolari, 876 dei quali sono stati rimpatriati. Nello stesso 2016, il solo Ufficio della Questura di Milano ha realizzato 762 espulsioni: si tratta di quasi la metà di tutte le espulsioni d'Italia, senza il transito da un Cie dato che in Lombardia non vi sono Cie attivi,

impegna il Governo

1) ad operare per potenziare e ampliare il sistema SPRAR, effettuato finora dai comuni su base volontaria a fronte invece dell'obbligatorietà del sistema dei Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS), anche rafforzando il sistema degli incentivi economici ai Comuni virtuosi;
2) ad assumere iniziative per mantenere la possibilità di appello in caso di rifiuto della protezione internazionale, operando al contempo per rendere più rapide le risposte al ricorso e per impiegare i richiedenti asilo in lavori socialmente utili;
3) a facilitare la reperibilità dei richiedenti protezione internazionale e i loro percorsi di integrazione anche mantenendo la possibilità di iscrizione anagrafica;
4) a incentivare e incrementare l'accoglienza diffusa da parte di sponsor, associazioni e singoli cittadini nonché le iniziative di formazione linguistica e professionale dei richiedenti asilo e a favorire le iniziative finalizzate a individuare canali legali di ingresso per i richiedenti asilo come i corridoi umanitari per persone vulnerabili.
(1-01468)
(Nuova formulazione) «Santerini, Marazziti, Sberna, Dellai, Baradello, Capelli».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo i dati UNHCR sono oltre 5000 le persone morte in mare cercando di raggiungere l'Europa nel 2016, il numero più alto degli ultimi decenni;
    secondo gli stessi dati in Europa tra il 1o gennaio e il 31 dicembre 2016 sono sbarcate in Europa 361.678 persone, di cui 181.405 in Italia. Nel 2016, gli arrivi nel nostro Paese sono aumentati del 18 per cento circa rispetto al 2015, ma solo del 6 per cento rispetto al 2014;
    a livello europeo si tratta di un dato inferiore rispetto a quello del 2015 (1.015.078), anno record, mentre gli sbarchi in tutta Europa del 2016 hanno raggiunto la somma di tutti quelli verificatisi tra il 2011 e il 2014; l'aumento italiano del 2016 rispetto al 2015 va letto anche in relazione, oltre al diversificarsi delle nazionalità dei migranti, con la diminuzione da 856.723 a 173.447 degli ingressi in Europa dalla frontiera greca;
    per quel che riguarda l'Italia, il 2016 ha confermato le previsioni della circolare 3148 del 12 aprile 2016 con cui il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno preannunciava un significativo aumento del fenomeno immigratorio nel 2016, anche se sino a settembre gli sbarchi sono stati in numero analogo rispetto a quelli del 2015;
    la svolta, se così si può dire, è avvenuta nell'autunno, in particolare tra ottobre (27.000 arrivi) e novembre, quando si è superato il numero di arrivi del 2015. A dicembre si è, invece, registrato un rallentamento degli stessi sbarchi (8.300 nel 2016, 9.600 nel 2015), mentre si è avuta un'impennata nei primi giorni del 2017;
    si tratta, certo, di dati significativi ma che non possono far parlare seriamente di «invasione», né giustificare il senso di minaccia che molti sostengono sia percepito nel nostro Paese, anche a causa del fenomeno terroristico che colpisce l'Europa in questi anni;
    inoltre, per superare le attuali inaccettabili sperequazioni nel nostro Paese a causa della reticenza di alcuni comuni italiani ad aderire ai progetti Sprar (su 8.000 comuni italiani solo 1.800 hanno accolto i migranti nel 2016), a ottobre 2016 una circolare del Ministero dell'interno ha stabilito che se un comune aderisce allo Sprar otterrà la progressiva diminuzione della presenza dei Cas sul suo territorio e inoltre riceverà 500 euro all'anno per ogni accolto;
    tuttavia, mentre la distribuzione dei profughi per regione nel sistema dei Cas è disposta dal Ministero dell'interno attraverso le prefetture ed è obbligatoria, l'adesione al sistema Sprar rimane volontaria;
    prosegue a rilento e con diverse criticità il meccanismo di relocation: i dati disponibili al 30 dicembre 2016 indicano che complessivamente dall'Italia sono stati ricollocati in altri Paesi europei 2.654 richiedenti asilo (su un totale di 39.600 previsti entro il 2017) e 6.212 dalla Grecia al 6 dicembre (su 66.400);
    per quel che riguarda in particolare i richiedenti asilo, che come sappiamo sono una particolare categoria di immigrati con uno statuto speciale dovuto all'articolo 1 della Convenzione di Ginevra, si assiste un cambiamento di immagine, da perseguitati individuali a vittime traumatizzate di conflitti, instabilità politica o calamità, perseguitati anonimamente quasi sempre non per quello che hanno fatto ma per quello che sono;
    tale allargamento del tradizionale concetto di rifugiato, verso cui non si ammette il debito politico da parte europea, crea tensioni contrastanti negli Stati nazionali che tendono a difendere i propri confini ma non hanno elaborato una legislazione adeguata verso questo fenomeno;
    si può temere che, di fronte a tale difficoltà di gestire il fenomeno, si intenda porre una stretta alla concessione dell'asilo politico; in particolare, appare preoccupante l'idea di negare il diritto di appello a coloro che si vedessero respinta la domanda di protezione internazionale;
    si tratterebbe di un atto che potrebbe mettere a rischio la vita di molte persone e che, tra l'altro, potrebbe portare ad eventuale condanna italiana da parte della Corte di giustizia europea, che non potrebbe non essere investita della questione;
    infatti, l'Italia, che insieme alla Grecia è inevitabilmente la prima meta dei profughi, e l'Europa sono ben lontane da qualunque «invasione» anche se è evidente che si sia di fronte a mutamenti significativi;
    di fatto gli ingressi legali in Italia per ragioni economiche sono possibili per numeri irrisori: il decreto flussi 2015 permetteva 17.850 ingressi di lavoratori stranieri, di cui 12.350 riservati alla conversione di permessi già esistenti di studio o lavoro; il decreto flussi 2016 ha previsto 30.000 posti, di cui 13.000 riservati a lavoratori stagionali e 12.000 alla conversione di altro tipo di permessi; solo 5000 i permessi per nuovi ingressi. Oggi la richiesta di protezione internazionale è, di fatto, diventata pressoché l'unico modo per entrare regolarmente in Italia;
    dal punto di vista dell'accoglienza, in Italia la situazione è molto frammentata. Vi è, infatti, una non equa distribuzione nei vari comuni del nostro Paese;
    al momento in Italia il 77,7 per cento dei profughi e richiedenti asilo è ospitato in Centri di Accoglienza Straordinaria (Cas) e solo il 13,5 per cento in posti Sprar Sistema di Protezione dei Richiedenti Asilo e Rifugiati (il restante 8,8 per cento negli hotspot e centri di prima accoglienza nelle regioni di sbarco). I Cas sono nati come risposta emergenziale agli arrivi dopo le cosiddette Primavere arabe del 2011, diventando poi un sistema parallelo e preponderante rispetto a quello dell'accoglienza ordinaria dei richiedenti asilo nel paese che andrebbe, invece, potenziato;
    la qualità dei servizi offerti dai Cas, spesso allestiti in strutture turistiche, è disomogenea, così come lo è la loro collocazione sul territorio nazionale. Rispetto ai Cas, i centri aderenti allo Sprar hanno standard di qualità più alti, con regole ben precise e hanno come scopo l'integrazione a lungo termine del richiedente asilo e non solo la sua accoglienza temporanea. Inoltre i centri Sprar sono soggetti a una rendicontazione economica più rigorosa, e sono quindi meno esposti ad abusi;
    il decreto governativo del 10 agosto 2016 prevede che gli Sprar non siano più finanziati attraverso bandi periodici, ma continuativamente, in base a un sistema di accreditamento permanente e ai finanziamenti disponibili;
    altrettanto problematica appare la possibilità di restringere le modalità di iscrizione anagrafica a fine di residenza, che non comporterebbe tra l'altro consistenti risparmi ai comuni ma al contrario renderebbe più difficilmente reperibili i richiedenti creando anche maggiori problemi di sicurezza;
    un approccio lungimirante deve portare a gestire il fenomeno nelle sue rapide evoluzioni, anche con una revisione complessiva ed organica della normativa sull'immigrazione con l'obiettivo di difendere i diritti fondamentali dei migranti, operare in sede europea per rivedere, come già richiesto, le convenzioni di Dublino, ottenere la relocation dei profughi, favorire canali e corridoi umanitari previsti dalla legislazione europea;
    l'eventuale riapertura dei Cie, per rispondere al fenomeno, non appare auspicabile se non a determinate condizioni. Il bilancio di una storia ormai di diversi anni ha mostrato, a fronte di sofferenze provocate nei detenuti e di un alto costo economico per le casse pubbliche, l'inefficacia di tali centri rispetto allo scopo per cui sono stati ideati;
    si consideri che meno della metà (46,2 per cento) delle 175.142 persone detenute nei centri dal 1998 al 2013 sono state effettivamente rimpatriate; nei primi nove mesi del 2016, nei Cie rimasti in Italia sono stati reclusi circa 2mila stranieri irregolari, 876 dei quali sono stati rimpatriati. Nello stesso 2016, il solo Ufficio della Questura di Milano ha realizzato 762 espulsioni: si tratta di quasi la metà di tutte le espulsioni d'Italia, senza il transito da un Cie dato che in Lombardia non vi sono Cie attivi,

impegna il Governo

1) ad operare per potenziare e ampliare il sistema SPRAR, effettuato finora dai comuni su base volontaria a fronte invece dell'obbligatorietà del sistema dei Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS), anche rafforzando il sistema degli incentivi economici ai Comuni virtuosi;
2) a incentivare e incrementare l'accoglienza diffusa da parte di associazioni e singoli cittadini nonché le iniziative di formazione linguistica e professionale dei richiedenti asilo e a favorire le iniziative finalizzate a individuare canali legali di ingresso per i richiedenti asilo come i corridoi umanitari per persone vulnerabili.
(1-01468)
(Nuova formulazione) (Testo modificato nel corso della seduta come risultante dalla votazione per parti separate) «Santerini, Marazziti, Sberna, Dellai, Baradello, Capelli».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo le stime dell'UNHCR sarebbero 65 milioni, 24 al minuto, le persone nel mondo che, tra richiedenti asilo, rifugiati e profughi, molti dei quali bambini, lasciano la propria casa, il proprio villaggio, la propria famiglia per sfuggire alla morte, per la guerra o la fame;
    nel corso degli ultimi anni gli sbarchi di cittadini extracomunitari sul territorio italiano, provenienti oltre che dal nord Africa, da Paesi asiatici, da Paesi in guerra o dove la situazione economica è disastrata, si sono significativamente intensificati, assumendo proporzioni tali da richiedere interventi immediati e urgenti;
    i dati parlano da soli: il «cruscotto statistico giornaliero» del Ministero dell'interno rileva al 30 dicembre 2016 ben 181.283 persone sbarcate in Italia con +17,84 per cento rispetto il 2015 e +7,08 per cento rispetto il 2014. A questi numeri vanno aggiunti i migranti riammessi dai valichi di frontiera del nord Italia e quelli rientranti in applicazione del regolamento dell'Unione europea;
    si calcola che oltre un milione di migranti abbia avuto accesso all'Unione europea via mare nel 2015, il numero sale a 1.822.337 se si considerano anche le frontiere della via orientale e della via occidentale balcanica. I soli minori stranieri non accompagnati sbarcati nel nostro Paese nel corso del 2016 sono stati 24.926;
    secondo l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) nel 2015 hanno perso la vita nel tentativo di attraversare il Mediterraneo 3.770 persone, nel 2016 risultano essere oltre 5.000. L'Unhcr calcola che lungo la rotta del Mediterraneo centrale perda la vita un migrante ogni 25, spesso i soggetti più deboli e indifesi come i bambini;
    con la politica dell'Unione europea di deterrenza, attuata in particolare con l'accordo con la Turchia del marzo 2016 (ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, gravemente inefficace sul piano della tutela dei migranti ed in palese violazione di norme comuni di diritto internazionale oltre che di comune morale), sono drasticamente diminuiti gli sbarchi in Grecia, passati da 856.723 nel 2015 a 170.373 a novembre 2016, mentre, sostanzialmente, sono aumentati in Italia arrivando a più di 180 mila;
    recenti fatti di cronaca e indagini della magistratura raccontano come in alcuni casi la gestione dei migranti abbia raggiunto significative derive speculative di veri e propri «mercati» di esseri umani, sia nei territori di provenienza che nei territori di sbarco;
    appare non più rinviabile la revisione del «regolamento di Dublino», prevedendo un meccanismo automatico e permanente di ricollocamento, nonché un sistema centralizzato europeo per l'esame delle domande di protezione internazionale, al fine di garantire un'equa distribuzione dei flussi migratori tra tutti gli Stati membri dell'Unione europea; l'applicazione del regolamento in questione è di difficile gestione e il principio generale in esso stabilito, secondo cui i Paesi responsabili dell'esame di una domanda di protezione internazionale «anche di coloro che hanno varcato illegalmente le frontiere di uno Stato membro» sono quelli di prima accoglienza, presenta notevoli criticità a causa del numero sempre crescente di migranti, tra le quali la gestione nazionale, ossia in carico ai singoli Stati delle richieste d'asilo, che induce in numerosi migranti il rifiuto di farsi identificare e il loro incontrollato movimento tra i Paesi europei;
    è necessario altresì che il nostro Paese provveda anche, a norma di legge e di fondi appositamente stanziati, a garantire il rimpatrio in condizioni di sicurezza e dignità per quanti si trovano a non avere diritto alla protezione internazionale o che non soddisfano le condizioni di ingresso, presenza o soggiorno in uno degli Stati membri, anche attraverso l'utilizzo di sistemi di raccolta dati più efficaci, efficienti e tempestivi;
    grandi concentrazioni di migranti in attesa di definizione dello status, inoccupati, in un'unica struttura per prolungati periodi di tempo, possono portare a situazioni di insofferenza, malessere e tensioni che sfociano sempre più spesso in episodi gravi, sia tra i migranti stessi che nella popolazione ospitante. Tutto ciò allontana sempre più la possibilità di una integrazione o quantomeno di una accettabile convivenza, anche solo per il periodo di definizione della richiesta asilo;
    si ritiene che in tale contesto non sia percorribile la soluzione finora proposta di concentrare queste persone in grandi strutture, inadeguate per l'accoglienza di grandi numeri di persone e per svolgere quelle funzioni di integrazione sociale. Una possibile soluzione, meno impattante per i cittadini e più inclusiva per il migrante, potrebbe essere attuata attraverso l'accoglienza diffusa, oggi ancora poco presente nel nostro territorio;
    attraverso l'accoglienza diffusa gli stranieri vengono gestiti in piccoli gruppi e in piccole residenze all'interno della comunità. Si rileva che nei comuni che hanno optato per questa forma di accoglienza l'esperienza sia stata più che positiva. Se ogni comune si impegnasse nell'accoglienza di una quota di migranti proporzionale al numero di abitanti, il numero di stranieri presenti sarebbe minimo e facilmente gestibile. Ad oggi invece l'accoglienza diffusa pare non decollare;
    il sistema di accoglienza dei migranti in arrivo sul territorio italiano è garantito dalle risorse stanziate dall'Unione europea e dal Governo italiano. La disponibilità di appetibili finanziamenti ha attratto soggetti non sempre all'altezza della situazione e con finalità discutibili. Tenuto conto che i centri di accoglienza rispondono a normative e regolamenti differenti sarebbe opportuno prevedere un efficace sistema di controllo sul corretto utilizzo dei fondi assegnati, ad esempio prevedendo che la quota di contributo giornaliero sia condizionata all'effettiva presenza, all'identificazione dell'immigrato e all'effettiva attuazione del progetto di accoglienza e integrazione previsto. È inoltre necessario che la gestione dei contributi pubblici sia assolutamente trasparente, per evitare rischi di gestioni poco chiare miranti a forme speculative più che a logiche di integrazione, prevedendo anche l'eventuale pubblicazione dei bilanci analitici delle cooperative interessate nell'albo pretorio del comune di presenza della struttura;
    la rete di accoglienza, in particolare la rete SPRAR (sistema protezione richiedenti asilo rifugiati) costituisce un importante approccio fondato sulla programmazione pubblica territoriale, un modello sostenibile in grado di affrontare la situazione, osservando anche le realtà dove l'applicazione di un'accoglienza diffusa ha portato situazioni di effettiva integrazione del migrante con il tessuto sociale ed economico del Paese;
    un sistema di accoglienza diffusa restituirebbe all'ente locale la possibilità di governare e gestire le criticità del proprio territorio e nel contempo, attraverso la gestione dell'accoglienza in rete, consentirebbe la condivisione con altri comuni delle risorse umane e di spazi adeguati. Tutto ciò permetterebbe di poter gestire flussi limitati e controllabili evitando quei fenomeni di intolleranza e disagio sociale che troppo spesso oggi fanno parte delle cronache locali;
    a tal riguardo va considerata la situazione economica attuale di molti cittadini italiani: nel nostro Paese sono presenti più di 4.598.000 persone che vivono in uno stato di povertà assoluta (Istat 2015) e un senso di totale abbandono e disperazione. Ciò acuisce sempre più la tensione tra cittadini italiani e migranti. È necessario quindi che contestualmente agli interventi a favore dei migranti siano promossi interventi per assicurare beni e servizi alle famiglie italiane meno abbienti;
    l'Europa non ha ancora mostrato di voler adottare una politica comune per la gestione dei flussi migratori e certamente non è stata capace di mostrare il volto umano della solidarietà di fronte all'emergenza umanitaria di flussi crescenti di migranti, lasciando sostanzialmente sola l'Italia;
    come Stato di frontiera esterna dell'Unione europea l'Italia è sottoposta a una pressione maggiore, tuttavia ciò non può sottintendere che il Paese accogliente abbia responsabilità maggiori o speciali;
    è di tutta evidenza che il problema vada affrontato coinvolgendo la comunità internazionale, elaborando iniziative non solo nei Paesi d'arrivo, ma anche azioni di sostegno e di sviluppo economico locale, che affrontino, superandole, le problematiche di povertà che spingono milioni di persone a lasciare la propria casa, la propria famiglia in cerca di sopravvivenza;
    a livello nazionale ed europeo sarebbe necessario, pertanto, agire sulle cause dei flussi migratori («stop» alla vendita di armi ai Paesi dove vi sono conflitti, «stop» allo sfruttamento dei Paesi terzi, cooperazione internazionale e sviluppo nei Paesi di origine e transito) e con l'istituzione di vie legali e sicure di accesso all'Unione europea (per esempio, i corridoi umanitari già positivamente sperimentati con la Siria), al fine di favorire una diminuzione delle traversate in mare, la pressione dei flussi sulle frontiere esterne ed un'efficace lotta ai trafficanti di esseri umani;
    il nostro Paese deve ulteriormente impegnarsi a chiedere nelle sedi appropriate una risposta europea più adeguata e ad inserire la questione migratoria in una più efficace ed effettivamente «comunitaria» gestione,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per aprire un dibattito in Europa che proponga il superamento integrale del regolamento di «Dublino III» ed il principio in base alla quale la gestione degli immigrati sia appannaggio del Paese che accoglie per primo, nonché a stringere accordi bilaterali con i Paesi di transito atti alla lotta del traffico di esseri umani;

2) a favorire l'istituzione di un'Agenzia europea per l'asilo e l'immigrazione al di fuori del territorio dell'Unione europea, attraverso la creazione di basi europee direttamente finanziate dall'Unione europea o l'utilizzazione delle sedi diplomatiche già esistenti in alcuni Paesi africani, quali sedi operative nelle zone di maggior transito dei rifugiati, in grado di gestire le domande di protezione internazionale e di contenere il numero dei flussi migratori indistinti;

3) ad elaborare un sistema di monitoraggio delle strutture che gestiscono i centri di accoglienza al fine di verificare il rispetto dei diritti fondamentali dei migranti regolari, nonché, a introdurre meccanismi di verifica puntuale per una trasparente gestione dell'accoglienza al fine di prevenire e combattere il cosiddetto business dei rifugiati;

4) ad abbandonare la politica dei cosiddetti Centri di identificazione ed espulsione e ad adottare le iniziative più idonee per garantire l'immediato rimpatrio in condizioni di sicurezza e dignità, di coloro che non hanno diritto alla protezione internazionale o che non soddisfino più le condizioni di ingresso, presenza o soggiorno in uno degli Stati membri, anche attraverso l'utilizzo di sistemi di raccolta dei dati più efficienti;

5) a prevedere percorsi di accoglienza diffusa, rivolta soprattutto ai minori e alle donne vittime di abusi, che necessitano di un'accoglienza più attenta e disponibile, prevedendo anche una formazione degli operatori e dei volontari che supporteranno la famiglia o la comunità accogliente;

6) ad operare affinché il diritto all'asilo non sia in alcun modo barattabile vista la valenza del diritto stesso, men che meno attraverso lavori socialmente utili che potrebbero invece avere il fine di condizionare fortemente gli equilibri del mercato del lavoro provocando un progressivo abbassamento del costo della manodopera.
(1-01469) «Dieni, Manlio Di Stefano, Cozzolino, Dadone, Cecconi, D'Ambrosio, Nuti, Toninelli».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo le stime dell'UNHCR sarebbero 65 milioni, 24 al minuto, le persone nel mondo che, tra richiedenti asilo, rifugiati e profughi, molti dei quali bambini, lasciano la propria casa, il proprio villaggio, la propria famiglia per sfuggire alla morte, per la guerra o la fame;
    nel corso degli ultimi anni gli sbarchi di cittadini extracomunitari sul territorio italiano, provenienti oltre che dal nord Africa, da Paesi asiatici, da Paesi in guerra o dove la situazione economica è disastrata, si sono significativamente intensificati, assumendo proporzioni tali da richiedere interventi immediati e urgenti;
    i dati parlano da soli: il «cruscotto statistico giornaliero» del Ministero dell'interno rileva al 30 dicembre 2016 ben 181.283 persone sbarcate in Italia con +17,84 per cento rispetto il 2015 e +7,08 per cento rispetto il 2014. A questi numeri vanno aggiunti i migranti riammessi dai valichi di frontiera del nord Italia e quelli rientranti in applicazione del regolamento dell'Unione europea;
    si calcola che oltre un milione di migranti abbia avuto accesso all'Unione europea via mare nel 2015, il numero sale a 1.822.337 se si considerano anche le frontiere della via orientale e della via occidentale balcanica. I soli minori stranieri non accompagnati sbarcati nel nostro Paese nel corso del 2016 sono stati 24.926;
    secondo l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) nel 2015 hanno perso la vita nel tentativo di attraversare il Mediterraneo 3.770 persone, nel 2016 risultano essere oltre 5.000. L'Unhcr calcola che lungo la rotta del Mediterraneo centrale perda la vita un migrante ogni 25, spesso i soggetti più deboli e indifesi come i bambini;
    con la politica dell'Unione europea di deterrenza, attuata in particolare con l'accordo con la Turchia del marzo 2016 (ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, gravemente inefficace sul piano della tutela dei migranti ed in palese violazione di norme comuni di diritto internazionale oltre che di comune morale), sono drasticamente diminuiti gli sbarchi in Grecia, passati da 856.723 nel 2015 a 170.373 a novembre 2016, mentre, sostanzialmente, sono aumentati in Italia arrivando a più di 180 mila;
    recenti fatti di cronaca e indagini della magistratura raccontano come in alcuni casi la gestione dei migranti abbia raggiunto significative derive speculative di veri e propri «mercati» di esseri umani, sia nei territori di provenienza che nei territori di sbarco;
    appare non più rinviabile la revisione del «regolamento di Dublino», prevedendo un meccanismo automatico e permanente di ricollocamento, nonché un sistema centralizzato europeo per l'esame delle domande di protezione internazionale, al fine di garantire un'equa distribuzione dei flussi migratori tra tutti gli Stati membri dell'Unione europea; l'applicazione del regolamento in questione è di difficile gestione e il principio generale in esso stabilito, secondo cui i Paesi responsabili dell'esame di una domanda di protezione internazionale «anche di coloro che hanno varcato illegalmente le frontiere di uno Stato membro» sono quelli di prima accoglienza, presenta notevoli criticità a causa del numero sempre crescente di migranti, tra le quali la gestione nazionale, ossia in carico ai singoli Stati delle richieste d'asilo, che induce in numerosi migranti il rifiuto di farsi identificare e il loro incontrollato movimento tra i Paesi europei;
    è necessario altresì che il nostro Paese provveda anche, a norma di legge e di fondi appositamente stanziati, a garantire il rimpatrio in condizioni di sicurezza e dignità per quanti si trovano a non avere diritto alla protezione internazionale o che non soddisfano le condizioni di ingresso, presenza o soggiorno in uno degli Stati membri, anche attraverso l'utilizzo di sistemi di raccolta dati più efficaci, efficienti e tempestivi;
    grandi concentrazioni di migranti in attesa di definizione dello status, inoccupati, in un'unica struttura per prolungati periodi di tempo, possono portare a situazioni di insofferenza, malessere e tensioni che sfociano sempre più spesso in episodi gravi, sia tra i migranti stessi che nella popolazione ospitante. Tutto ciò allontana sempre più la possibilità di una integrazione o quantomeno di una accettabile convivenza, anche solo per il periodo di definizione della richiesta asilo;
    si ritiene che in tale contesto non sia percorribile la soluzione finora proposta di concentrare queste persone in grandi strutture, inadeguate per l'accoglienza di grandi numeri di persone e per svolgere quelle funzioni di integrazione sociale. Una possibile soluzione, meno impattante per i cittadini e più inclusiva per il migrante, potrebbe essere attuata attraverso l'accoglienza diffusa, oggi ancora poco presente nel nostro territorio;
    attraverso l'accoglienza diffusa gli stranieri vengono gestiti in piccoli gruppi e in piccole residenze all'interno della comunità. Si rileva che nei comuni che hanno optato per questa forma di accoglienza l'esperienza sia stata più che positiva. Se ogni comune si impegnasse nell'accoglienza di una quota di migranti proporzionale al numero di abitanti, il numero di stranieri presenti sarebbe minimo e facilmente gestibile. Ad oggi invece l'accoglienza diffusa pare non decollare;
    il sistema di accoglienza dei migranti in arrivo sul territorio italiano è garantito dalle risorse stanziate dall'Unione europea e dal Governo italiano. La disponibilità di appetibili finanziamenti ha attratto soggetti non sempre all'altezza della situazione e con finalità discutibili. Tenuto conto che i centri di accoglienza rispondono a normative e regolamenti differenti sarebbe opportuno prevedere un efficace sistema di controllo sul corretto utilizzo dei fondi assegnati, ad esempio prevedendo che la quota di contributo giornaliero sia condizionata all'effettiva presenza, all'identificazione dell'immigrato e all'effettiva attuazione del progetto di accoglienza e integrazione previsto. È inoltre necessario che la gestione dei contributi pubblici sia assolutamente trasparente, per evitare rischi di gestioni poco chiare miranti a forme speculative più che a logiche di integrazione, prevedendo anche l'eventuale pubblicazione dei bilanci analitici delle cooperative interessate nell'albo pretorio del comune di presenza della struttura;
    la rete di accoglienza, in particolare la rete SPRAR (sistema protezione richiedenti asilo rifugiati) costituisce un importante approccio fondato sulla programmazione pubblica territoriale, un modello sostenibile in grado di affrontare la situazione, osservando anche le realtà dove l'applicazione di un'accoglienza diffusa ha portato situazioni di effettiva integrazione del migrante con il tessuto sociale ed economico del Paese;
    un sistema di accoglienza diffusa restituirebbe all'ente locale la possibilità di governare e gestire le criticità del proprio territorio e nel contempo, attraverso la gestione dell'accoglienza in rete, consentirebbe la condivisione con altri comuni delle risorse umane e di spazi adeguati. Tutto ciò permetterebbe di poter gestire flussi limitati e controllabili evitando quei fenomeni di intolleranza e disagio sociale che troppo spesso oggi fanno parte delle cronache locali;
    a tal riguardo va considerata la situazione economica attuale di molti cittadini italiani: nel nostro Paese sono presenti più di 4.598.000 persone che vivono in uno stato di povertà assoluta (Istat 2015) e un senso di totale abbandono e disperazione. Ciò acuisce sempre più la tensione tra cittadini italiani e migranti. È necessario quindi che contestualmente agli interventi a favore dei migranti siano promossi interventi per assicurare beni e servizi alle famiglie italiane meno abbienti;
    l'Europa non ha ancora mostrato di voler adottare una politica comune per la gestione dei flussi migratori e certamente non è stata capace di mostrare il volto umano della solidarietà di fronte all'emergenza umanitaria di flussi crescenti di migranti, lasciando sostanzialmente sola l'Italia;
    come Stato di frontiera esterna dell'Unione europea l'Italia è sottoposta a una pressione maggiore, tuttavia ciò non può sottintendere che il Paese accogliente abbia responsabilità maggiori o speciali;
    è di tutta evidenza che il problema vada affrontato coinvolgendo la comunità internazionale, elaborando iniziative non solo nei Paesi d'arrivo, ma anche azioni di sostegno e di sviluppo economico locale, che affrontino, superandole, le problematiche di povertà che spingono milioni di persone a lasciare la propria casa, la propria famiglia in cerca di sopravvivenza;
    a livello nazionale ed europeo sarebbe necessario, pertanto, agire sulle cause dei flussi migratori («stop» alla vendita di armi ai Paesi dove vi sono conflitti, «stop» allo sfruttamento dei Paesi terzi, cooperazione internazionale e sviluppo nei Paesi di origine e transito) e con l'istituzione di vie legali e sicure di accesso all'Unione europea (per esempio, i corridoi umanitari già positivamente sperimentati con la Siria), al fine di favorire una diminuzione delle traversate in mare, la pressione dei flussi sulle frontiere esterne ed un'efficace lotta ai trafficanti di esseri umani;
    il nostro Paese deve ulteriormente impegnarsi a chiedere nelle sedi appropriate una risposta europea più adeguata e ad inserire la questione migratoria in una più efficace ed effettivamente «comunitaria» gestione,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per aprire un dibattito in Europa che proponga il superamento integrale del regolamento di «Dublino III» ed il principio in base alla quale la gestione degli immigrati sia appannaggio del Paese che accoglie per primo, nonché a stringere accordi bilaterali con i Paesi di transito atti alla lotta del traffico di esseri umani;

2) a prevedere percorsi di accoglienza diffusa, rivolta soprattutto ai minori e alle donne vittime di abusi, che necessitano di un'accoglienza più attenta e disponibile, prevedendo anche una formazione degli operatori e dei volontari che supporteranno la famiglia o la comunità accogliente.
(1-01469) (Testo risultante dalla votazione per parti separate) «Dieni, Manlio Di Stefano, Cozzolino, Dadone, Cecconi, D'Ambrosio, Nuti, Toninelli».


   La Camera,
   premesso che:
    il 2016 è stato un anno record per il numero di migranti arrivati in Europa attraverso la rotta centro mediterranea, che coinvolge l'Italia e in misura minore Malta, e per il numero di coloro che hanno trovato la morte in mare durante il viaggio della speranza. Il primo dato è fornito dall'agenzia europea Frontex: il totale è di 181 mila, con un incremento di circa il 20 per cento rispetto all'anno precedente. L'altro viene dall'Alto commissariato Onu per i rifugiati ed è aggiornato al 2 dicembre 2016: le vittime sono state 3.470 contro le 2.771 di tutto il 2015 e il rapporto tra morti e sbarchi è triplicato passando da uno ogni 269 a uno ogni 88;
    il dato di Frontex, che sottolinea il record di arrivi nel nostro Paese, riflette una pressione migratoria crescente dall'Africa, in particolare quella occidentale. Dal 2010, l'Italia ha visto una crescita di dieci volte nel numero di arrivi da quella regione. La maggior parte dei migranti passati dalla rotta centro mediterranea sono nigeriani (21 per cento) seguiti da cittadini di Eritrea (12 per cento), Guinea, Costa d'Avorio e Gambia (8 per cento);
    nel 2016, sempre secondo l'agenzia europea, sono stati 503.700 i migranti che hanno attraversato illegalmente le frontiere dell'Unione europea, di cui 364.000 via mare. L'unico aumento di arrivi rispetto al 2015 è quello sulla rotta centro mediterranea. Secondo le stime, infatti, gli arrivi in Grecia sono crollati del 79 per cento a quota 182.500, grazie all'accordo con la Turchia in vigore dalla scorsa primavera. Brusco calo anche nella rotta balcanica, dove si è passati dai 764 mila arrivi del 2015 a 123 mila, in seguito all'inasprimento dei controlli di frontiera. La chiusura della rotta balcanica ha quindi determinato maggiori spostamenti di immigrati verso le coste siciliane, in un tratto di mare molto pericoloso. Sulla rotta del Mediterraneo centrale si registra, infatti, l'85 per cento di tutte le morti in mare;
    l'Italia è particolarmente esposta a causa delle sua caratteristica di frontiera esterna dell'Unione europea e della sua posizione geografica al centro del Mediterraneo, che mette in comunicazione Europa, Africa e Asia;
    il nostro Paese è quindi diventato la prima meta delle rotte migratorie, con un rischio di collasso del sistema d'accoglienza;
    i dati dell'ultimo Rapporto sulla protezione internazionale in Italia testimoniano una realtà molto composita dove, a inizio ottobre 2016, erano presenti, nelle diverse strutture di accoglienza, oltre 165 mila persone giunte in massima parte via mare. Nella rete di primissima accoglienza (CDA, CARA, CPSA, Hub, Hotspot) erano presenti nello stesso periodo oltre 14.000 richiedenti la protezione internazionale, mentre nelle strutture temporanee di accoglienza quasi 128.000, pari a più del doppio rispetto al 2015. Negli Sprar, strutture di seconda accoglienza per richiedenti e titolari di protezione internazionale, erano poco meno di 23.000. L'uso di alberghi o di altre strutture ricettive, a vocazione turistica e dunque diverse da quelle previste per l'accoglienza di richiedenti la protezione internazionale, sono diventate da straordinarie ad ordinarie, tant’è che le strutture straordinarie costituiscono percentualmente circa l'80 per cento dei posti d'accoglienza oggi disponibili in Italia;
    la stragrande maggioranza delle richieste di asilo provengono da africani, in numero estremamente contenuto i cittadini siriani: 9 su 10 sono maschi, l'88 per cento ha meno di 35 anni, quasi il 60 per cento arriva dall'Africa. La Nigeria guida la classifica dei Paesi di provenienza (11.000 domande), seguita da Pakistan (7.100), Gambia (6.000), Mali (4.700), Senegal (4.300), Bangladesh (4.100) e Afghanistan (2.500). I siriani che nel 2016 hanno cercato protezione in Italia sono meno di 800, nonostante le richieste siano state quasi tutte accettate;
    le richieste di asilo sono in aumento: quasi 78.000 da gennaio al 31 ottobre 2016. Nel 2012 furono 17.000, 26.000 nel 2013. Il 2014 è stato l'anno di picco delle richieste (63.000), cresciute a 83.000 nel 2015;
    si rammenta che, se nel 2012, 3 richiedenti asilo su 4 ottenevano il permesso di rimanere in Italia, negli anni, la percentuale di coloro che hanno diritto a una qualche forma di protezione è diminuita: 61 per cento nel 2013 e nel 2014, 41 per cento nel 2015, 37 per cento nel 2016. In Italia solo il 5 per cento dei richiedenti asilo ottiene successivamente lo status di rifugiato. Il 13 per cento riceve il permesso di soggiorno per protezione sussidiaria, che dura 5 anni e viene rilasciato a chi rischia di subire un danno grave nel caso di rientro nel proprio Paese. Mentre, ad oggi, circa il 24 per cento consegue la protezione per motivi umanitari (24 mesi, prorogabili). Ma negli ultimi anni, a fronte dell'aumento dei flussi, il Ministero dell'interno ha imposto una maggiore attenzione alle domande rendendo i criteri più stringenti. Il risultato è che la quota di domande respinte è aumentata: 22 per cento nel 2012, 39 per cento nel biennio successivo, 59 per cento nel 2015, fino a toccare il 63 per cento nei primi 10 mesi del 2016;
    la portata, l'impatto e il preoccupante incremento del fenomeno migratorio richiedono l'adozione di misure complesse e costanti nel tempo; è necessario mantenere una visione obiettiva dello stesso, impegnandosi, sia nella difesa dell'ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini, che per incentivare e rafforzare la collaborazione con gli altri Paesi in tema di prevenzione e contrasto dell'immigrazione clandestina e del traffico degli esseri umani;
    le iniziative e le misure poste per fronteggiare il fenomeno migratorio, un'emergenza che ha assunto negli ultimi anni carattere strutturale, non hanno fino ad ora avuto esiti positivi, registrando di fatto il fallimento della politica italiana su questo tema, nonché il fallimento di una politica europea comune delle migrazioni;
    sul tema dell'immigrazione, l'Italia non ha saputo offrire all'Europa quell'impulso decisivo in grado mettere in campo le misure necessarie per governare un fenomeno altrimenti destinato a creare una frattura indelebile nel patto sociale tra cittadini e Stato europeo, nonché negli equilibri tra gli Stati membri, con conseguenze drammatiche per la stessa tenuta democratica e la convivenza tra Stati;
    si è infatti ancora lontani dal raggiungimento degli obiettivi che lo stesso Consiglio europeo ha fissato, quantomeno sulla carta. Lo dice di fatto lo stesso Consiglio europeo. Lo dice il Governo italiano, che più di una volta ha manifestato insoddisfazione per la scarsa implementazione dell'accordo dello scorso ottobre 2015, e per il mancato rispetto degli impegni da parte dell'Unione europea. Lo dicono i numeri: in particolare quelli relativi ai rimpatri, alle riallocazioni, all'immigrazione irregolare;
    è quantomeno necessario uno sforzo comune per rafforzare la gestione delle frontiere esterne dell'Europa, ed è più che mai urgente ed improcrastinabile l'implementazione di una politica migratoria europea comune e coerente, in grado di offrire un adeguato sostegno agli Stati membri in prima linea, che affronti i temi del controllo delle frontiere e della stabilità e sviluppo dei Paesi di origine e di transito, e che contempli interventi mirati per contrastare gli scafisti in partenza dalla Libia e dalla Tunisia, unitamente a interventi di carattere umanitario per garantire, a chi ne ha diritto, di ricevere assistenza in Africa e accoglienza in Europa;
    sforzi maggiori dovrebbero essere richiesti agli Stati membri anche per quanto riguarda l'attuazione dei programmi di relocation, ad oggi assolutamente fallimentari ed inefficaci. Secondo la Commissione europea al 28 settembre 2016 sono state effettivamente ricollocate dalla Grecia negli altri Stati membri 4.455 persone, a fronte di circa 9.776 mila posti messi a disposizione, e di un impegno assunto in sede di Consiglio dell'Unione europea che vincolerebbe gli Stati membri alla relocation di 63 mila richiedenti asilo. Dall'Italia sono stati effettivamente ricollocate in altri Stati membri 1.196 persone, a fronte di circa 3.809 posti messi a disposizione dagli altri Stati membri, e di un impegno per circa 35 mila richiedenti asilo;
    in ogni caso, anche se l'attuale piano di relocation fosse pienamente attuato, esso inciderebbe in misura minima sulla situazione italiana, caratterizzata dalla massiccia presenza di migranti non rientranti nelle categorie soggette a ricollocazione negli altri Paesi europei;
    è necessario altresì sollecitare con forza un impegno fattivo e responsabile degli Stati dell'Unione europea per stipulare accordi economici a livello europeo con i Paesi di origine e transito dei migranti, anche attraverso lo sviluppo di una politica di cooperazione volta a sostenere lo sviluppo economico e l'occupazione in questi territori;
    più in generale, non è ammissibile che vi sia un accordo Unione europea-Turchia a baluardo della rotta del Mediterraneo orientale e del Mar Egeo, mentre non vi è un accordo specifico sulla rotta che più interessa il nostro Paese;
    agli accordi a livello europeo, è fondamentale altresì affiancare la stipula, sulla scia di quanto fatto dal Governo Berlusconi (ultimo Governo a stipulare accordi specifici di rimpatrio), di accordi bilaterali con i Paesi di origine e di transito dei migranti per interrompere i flussi migratori e per il rimpatrio dei clandestini;
    anche la missione Eunavfor Med riporta risultati comunque limitati dal fatto che non è ancora stata avviata la fase 3 dell'operazione, che prevede la possibilità di arrestare gli scafisti e di sequestrare o affondare le barche direttamente sulle coste di partenza e sullo stesso territorio libico;
    in caso di mancato avvio della fase 3, ovvero qualora questa non fosse praticabile in tempi ragionevolmente brevi, va valutata la possibilità di sospendere l'attuale fase 2. È comunque auspicabile, qualora non fosse possibile sospendere l'attuale fase 2, che il Governo intraprenda finalmente una forte e rapida azione politica diplomatica attraverso il Consiglio dei Ministri degli affari esteri dell'Unione europea e la Commissione, al fine di chiedere ed ottenere una modifica dei compiti da svolgere durante la fase due in corso, ottenendo la possibilità di includere anche compiti di identificazione da effettuare già a bordo della flotta schierata a ridosso delle coste africane interessate, con conseguente e rapido discernimento tra coloro che hanno reali esigenze umanitarie e chi invece deve essere ricondotto sulle coste africane. Una volta identificati in mare, sarebbe infatti molto più agevole rimpatriare i migranti nei Paesi di origine che non hanno diritto di soggiornare nell'Unione europea, mettendo a sistema una politica di rimpatrio efficace e di forte deterrenza per tutti i migranti, che non pagherebbero più un alto prezzo ai trafficanti se rimpatriati dopo la loro identificazione già in alto mare;
    tornando a livello nazionale, è necessario intervenire anche sul piano normativo sul tema della protezione internazionale. Ad oggi, la protezione internazionale è disciplinata nell'ordinamento italiano in tre modi: il diritto d'asilo, la protezione sussidiaria e la cosiddetta «protezione umanitaria». A differenza delle altre due, che trovano riscontro nella gran parte degli ordinamenti, e che hanno come fonte l'ordinamento internazionale e comunitario, la terza rappresenta, nella sostanza, una peculiarità italiana, che presenta diversi profili di problematicità, sia giuridiche sia applicative;
    la protezione umanitaria non nasce né da obblighi internazionali né dalla necessità di dare adempimento a un principio costituzionale. Essa è una scelta autonoma del legislatore ordinario, introdotta dalla legge «Turco-Napolitano», e prevede che la questura possa rilasciare un permesso di soggiorno per motivi umanitari tutte le volte in cui le commissioni territoriali, pur non ravvisando gli estremi per la protezione internazionale, rilevino «gravi motivi di carattere umanitario» a carico del richiedente asilo. Ha la durata media di un anno, e consente solo l'accesso ai servizi essenziali (salute, formazione professionale e altro);
    ci sono buone ragioni per ritenere necessaria l'abrogazione di tale tipo di protezione in Italia. Essa rappresenta il tipo di protezione che riguarda la maggior parte dei richiedenti protezione presenti sul territorio italiano ed è fonte di un aggravamento della situazione degli immigrati in Italia. Tale disposizione fu emanata in un periodo nel quale – agli inizi degli anni Novanta – i numeri dei migranti diretti verso il territorio italiano non erano nemmeno lontanamente paragonabili a quelli attuali. Oggi c’è l'assoluta necessità di limitare il riconoscimento del diritto alla protezione internazionale ai casi strettamente previsti dal diritto costituzionale italiano e dalla normativa europea e internazionale, istituendo un sistema che preveda il solo il diritto di asilo e la protezione sussidiaria. Questa razionalizzazione giuridica rappresenta anche un atto dovuto nei confronti dei migranti/richiedenti asilo, ai quali va data certezza sul loro status sul territorio italiano, per quel che riguarda, in particolare, il riconoscimento o meno del diritto alla protezione internazionale. La norma in questione, in pratica, fa sì che migliaia di migranti/richiedenti asilo, indipendentemente dal fatto che abbiano o meno i requisiti per accedere alla protezione internazionale, permangano a lungo in un limbo, a metà strada tra la protezione e l'espulsione, senza avere una reale certezza circa il loro futuro;
    a conferma della necessità di abrogare un permesso che non si basa sulla verifica delle reali condizioni storico-anagrafiche dell'immigrato, ma su un meccanismo automatico e foriero di gravi incertezze, si ricorda quanto previsto dalla circolare del Ministero dell'interno che regolamenta il meccanismo, di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi umanitari (Circolare Ministeriale 2696/2013) operativa dal novembre 2013, che si sostanzia, di fatto, in un mero inoltro telematico della richiesta presentata dallo straniero alla questura e da quest'ultima trasmessa alla competente commissione territoriale, correlata di richiesta di parere da rendere entro tempi contingentati. Decorsi tuttavia tali termini, che variano dai quindici ai trenta giorni a seconda che si abbiano o meno informazioni sulla posizione dello straniero, la questura procede comunque al rinnovo del permesso di soggiorno e l'inerzia della commissione territoriale viene qualificata come «silenzio/assenso». Nell'ipotesi, invece, di richiesta corredata da informazioni, che verosimilmente sono tutte attinenti ai profili di sicurezza, la questura dovrà comunque attendere il parere della commissione territoriale prima di poter procedere al rinnovo del titolo di soggiorno, per un periodo di tempo che purtroppo si ignora e che lascia margini d'incertezza sul trattamento riservato allo straniero dal momento in cui è in scadenza il permesso di cui ha richiesto il rinnovo al momento in cui la commissione pronuncerà nei suoi confronti un giudizio legato ai profili di sicurezza;
    inoltre, è necessario ridurre i tempi di analisi delle richieste di asilo da parte delle commissioni territoriali. Per questo è importante prevedere un aumento del numero dei punti di verifica delle domande di protezione internazionale, attraverso la combinazione dell'istituzione di una commissione presso ogni prefettura-ufficio territoriale del Governo e l'assenza di limiti nella previsione delle sezioni;
    sarà inoltre determinante individuare presso i tribunali ordinari delle sezioni specializzate che si dedichino in maniera esclusiva alle materie relative ai fenomeni migratori e, in particolare, ai ricorsi dei migranti avverso i provvedimenti di diniego sullo status di rifugiato e/o di espulsione, al fine di ridurre drasticamente i tempi di permanenza sul territorio italiano dei migranti stessi;
    in questa direzione, è altresì corretto eliminare il secondo e il terzo grado di giudizio per quegli immigrati che si vedono respinta la richiesta di asilo politico. Ci sono circa 3.500 impugnazioni al mese, impossibile definirle tutte, e in tempi brevi;
    su segnalazione di diversi comuni, va poi rilevato come esista in Italia un problema generale di gestione del migrante/richiedente asilo nel sistema anagrafico, dovuta soprattutto alla mobilità sul territorio dei diretti interessati, che restano ancorati alla residenza italiana, indipendentemente dai loro spostamenti. Questo stato di cose è fonte di notevoli problemi di natura tecnica e amministrativa per i comuni e presenta anche preoccupanti profili di natura securitaria, per cui occorre procedere all'istituzione di una razionalizzazione e centralizzazione delle procedure anagrafiche dei migranti/richiedenti;
    per far fronte alle esigenze di accoglienza connesse al massiccio afflusso di immigrati, la legge di bilancio 2017 prevede la facoltà di destinare le risorse relative ai programmi operativi cofinanziati dai fondi strutturali e di investimento europei per il periodo 2014-2020, nel limite massimo di 280 milioni di euro, alle attività di trattenimento, accoglienza, inclusione e integrazione degli immigrati, oltre quelle già stanziate nella sezione II del bilancio stesso (articolo 1, comma 630). La sezione II della legge di bilancio opera, a sua volta, un rifinanziamento di 320 milioni di euro per il 2017 per le attività di trattenimento ed accoglienza degli immigrati (cap. 2351/2 dello stato di previsione del Ministero dell'interno – tabella 8);
    il fondo per l'Africa, istituito dalla legge di bilancio 2017 (articolo 1, comma 621) presso il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, con una dotazione di 200 milioni di euro per l'anno in corso, si propone inoltre di rilanciare il dialogo e la cooperazione con i Paesi africani d'importanza prioritaria per le rotte migratorie,

impegna il Governo:

1) ad adottare ogni opportuna iniziativa, anche normativa, volta a limitare il riconoscimento del diritto alla protezione internazionale ai casi strettamente previsti dal diritto costituzionale italiano e dalla normativa europea e internazionale, istituendo un sistema che preveda il solo il diritto di asilo e la protezione sussidiaria;
2) a promuovere e rilanciare accordi bilaterali con i Paesi di origine per i rimpatri dei migranti irregolari, sulla scia di quanto fatto dai Governi Berlusconi, come premessa per bloccare le partenze di migranti irregolari, stroncare le attività degli scafisti, e facilitare le procedure di espulsione dei clandestini che potrebbero comunque arrivare nel nostro Paese;
3) ad adottare ogni iniziativa volta a promuovere un'azione incisiva a livello europeo per fronteggiare il fenomeno migratorio, sollecitando con forza un impegno fattivo e responsabile degli Stati dell'Unione europea volto a stipulare accordi economici bilaterali da parte dell'Europa con i Paesi di origine e di transito per interrompere i flussi migratori e per il rimpatrio dei clandestini, anche attraverso lo sviluppo di una politica di cooperazione volta a sostenere lo sviluppo economico e l'occupazione in questi territori;
4) ad assumere iniziative a livello europeo per un intervento decisivo volto a rafforzare le frontiere esterne dell'Unione, attraverso l'intensificazione dei controlli di frontiera sia in mare che a terra nel Mediterraneo meridionale, sul Mar Egeo e lungo la «rotta balcanica», fornendo adeguato sostegno agli Stati membri in prima linea, assicurando la ricollocazione e il rimpatrio dei migranti, e la costituzione di punti di crisi (hotspot) nei Paesi di provenienza, e definendo un approccio comune europeo per la gestione del flusso dei rifugiati e dei migranti economici;
5) a promuovere in sede europea opportuni interventi volti a garantire un sistema che regoli la concessione del diritto di asilo secondo standard e procedure comuni in tutti i Paesi, rivedendo altresì le clausole del regolamento di «Dublino III» per coinvolgere tutti gli Stati dell'Unione europea nella gestione dei richiedenti asilo e dei migranti che varcano i confini europei; alla luce della proposta di modifica del regolamento in esame, a promuovere una rinegoziazione dei criteri di determinazione dello Stato competente, sulla base di proposte da avanzare in sede tecnica, che potranno fondarsi non sul primo ingresso (luogo di presentazione della prima domanda, oppure primo ingresso irregolare), bensì su una chiave di distribuzione che rifletta le dimensioni, la ricchezza e la capacità degli Stati membri di assorbimento dei richiedenti, come del resto prospettato nella comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio del 6 aprile 2016, nell'opzione 2, relativa alla individuazione di un sistema sostenibile ed equo per determinare lo Stato membro competente per l'esame delle domande di asilo;
6) ad intervenire nelle opportune sedi per porre in essere nel più breve tempo possibile l'inizio della fase 3 della missione Eunavfor Med, che permetterà di entrare nelle acque territoriali libiche per impedire le partenze dei barconi e contrastare più efficacemente il traffico di esseri umani, valutando altresì, ove ciò non fosse praticabile in tempi ragionevolmente brevi, la possibilità della sospensione dell'attuale fase 2;
7) ad attivarsi in sede di Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, di cui l'Italia fa parte per l'anno 2017, per l'adozione di risoluzioni volte ad azioni internazionali comuni finalizzate a consentire l'intervento nelle acque territoriali libiche, nonché a legittimare le operazioni di identificazione e rimpatrio degli immigrati che non ottengano il diritto di asilo, indipendentemente dal luogo ove siano avvenute le identificazioni, nonché a facilitare la conclusione di accordi collettivi con i Paesi di provenienza dei migranti stessi;
8) ad attivarsi per assegnare alla Marina militare e alla Guardia costiera nuove direttive perché venga stroncata l'attività dello scafismo;
9) a valersi della Presidenza italiana del G7 per il 2017, al fine di porre al centro dell'agenda la questione delle migrazioni di massa e il loro effetto sui sistemi economici dei Paesi democratici che ne fanno parte;
10) ad assumere iniziative per definire soluzioni ad hoc per le regioni di confine, al fine di evitare tensioni di carattere sociale, che prevedano una diminuzione delle quote dei richiedenti asilo assegnate in fase di ripartizione, tenendo conto che il numero effettivo di immigrati presenti in tali regioni eccede la quota prevista, a causa del numero di irregolari non censiti;
11) ad intraprendere ogni iniziativa volta a far sì che i comuni abbiano risorse e mezzi sufficienti per far fronte alle questioni legate all'accoglienza dei migranti;
12) ad assumere le iniziative di competenza per dare seguito con la massima urgenza a quanto già stabilito con l'approvazione alla Camera della mozione n. 1-989, con riguardo all'esigenza di individuare presso i tribunali ordinari delle sezioni specializzate che si dedichino in maniera esclusiva alle materie relative ai fenomeni migratori e, in particolare, ai ricorsi dei migranti avverso i provvedimenti di diniego sullo status di rifugiato e/o di espulsione, in quanto ciò appare ai firmatari del presente atto decisivo per ridurre drasticamente i tempi di permanenza sul territorio italiano dei migranti stessi;
13) ad adottare ogni iniziativa volta a ridurre i tempi di esame delle richieste di protezione internazionale, prevedendo in particolare un aumento del numero dei punti di verifica delle domande, attraverso la combinazione dell'istituzione di una commissione presso ogni prefettura-ufficio territoriale del Governo e l'assenza di limiti nella previsione delle sezioni, valutando altresì di adottare iniziative normative volte ad eliminare il secondo e il terzo grado di giudizio per quegli immigrati che si vedono respinta la richiesta di asilo;
14) a stimolare, in seno all'Unione europea, una riflessione sulle norme di Schengen, giustamente varate per facilitare la libera circolazione all'interno dell'Europa, ma con la necessità di evitare che tale libera circolazione diventi una facilitazione per i fondamentalisti, i terroristi e quanti, come ha dimostrato il caso di Amri, l'attentatore di Berlino, hanno fruito di queste prerogative per girare impunemente in tutta Europa;
15) a valutare, sulla base dell'esperienza compiuta, ogni possibilità di miglioramento dell'attuale assetto normativo, per contrastare l'immigrazione clandestina e regolare i flussi migratori, legandoli alle effettive necessità economiche e sociali del Paese;
16) ad adottare le opportune iniziative per rafforzare le misure a tutela dei cittadini e degli stessi migranti, innalzando il livello di guardia e potenziando tutte le risorse messe a disposizione delle forze dell'ordine, per finanziare gli interventi e le operazioni di sicurezza urbana e di controllo del territorio nazionale volte alla gestione del fenomeno migratorio e alla prevenzione e il contrasto del terrorismo internazionale, in particolare attraverso:
  a) la concessione di maggiori risorse per forze dell'ordine e forze armate per il rinnovo dei contratti, il riordino delle carriere, il «bonus» degli 80 euro;
  b) il ripianamento degli organici delle forze di polizia, delle forze dell'ordine e soccorso pubblico;
  c) l'istituzione di un'assicurazione obbligatoria per ogni infortunio a forze di polizie, militari e vigili del fuoco.
(1-01470) «Brunetta, Ravetto, Gregorio Fontana, Vito».


   La Camera,

impegna il Governo:

1) a promuovere e rilanciare accordi bilaterali con i Paesi di origine per i rimpatri dei migranti irregolari come premessa per prevenire le partenze dei migranti irregolari, stroncare le attività degli scafisti e facilitare le procedure di espulsione dei migranti irregolari;
2) ad adottare ogni iniziativa volta a promuovere un'azione incisiva a livello europeo per fronteggiare il fenomeno migratorio, sollecitando con forza un impegno fattivo e responsabile degli Stati dell'Unione europea volto a stipulare accordi bilaterali da parte dell'Europa con i Paesi di origine e di transito per interrompere i flussi migratori e per il rimpatrio dei clandestini, anche attraverso lo sviluppo di una politica di cooperazione volta a sostenere lo sviluppo economico e l'occupazione in questi territori;
3) a promuovere in sede europea opportuni interventi volti a garantire un sistema che regoli la concessione del diritto di asilo secondo standard e procedure comuni in tutti i Paesi, rivedendo altresì le clausole del regolamento di «Dublino III» per coinvolgere tutti gli Stati dell'Unione europea nella gestione dei richiedenti asilo e dei migranti che varcano i confini europei; alla luce della proposta di modifica del regolamento in esame, a promuovere una rinegoziazione dei criteri di determinazione dello Stato competente, sulla base di proposte da avanzare in sede tecnica, che potranno fondarsi non sul primo ingresso (luogo di presentazione della prima domanda, oppure primo ingresso irregolare), bensì su una chiave di distribuzione che rifletta le dimensioni, la ricchezza e la capacità degli Stati membri di assorbimento dei richiedenti, come del resto prospettato nella comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio del 6 aprile 2016, nell'opzione 2, relativa alla individuazione di un sistema sostenibile ed equo per determinare lo Stato membro competente per l'esame delle domande di asilo;
4) ad intervenire nelle opportune sedi per porre in essere nel più breve tempo possibile l'inizio della fase 3 della missione Eunavfor Med;
5) a valersi della Presidenza italiana del G7 al fine di porre al centro dell'agenda la questione dei rifugiati e migranti nell'obiettivo di affermare il principio della responsabilità condivisa dell'intera comunità internazionale e sottolineando l'esigenza di intervenire sulle cause strutturali del fenomeno sia attraverso l'impegno per la risoluzione dei conflitti e la stabilizzazione socio-economica sia attraverso la promozione di partenariati con i Paesi di origine e di transito nello spirito del Migration Compact per gestire in maniera ordinata i fenomeni migratori e trasformare queste sfide in nuove opportunità di sviluppo sostenibile;
6) ad intraprendere ogni iniziativa volta a far sì che i comuni abbiano risorse e mezzi sufficienti per far fronte alle questioni legate all'accoglienza dei migranti;
7) ad assumere le iniziative di competenza per dare seguito con la massima urgenza a quanto già stabilito con l'approvazione alla Camera della mozione n. 1-989, con riguardo all'esigenza di individuare presso i tribunali ordinari delle sezioni specializzate che si dedichino in maniera esclusiva alle materie relative ai fenomeni migratori e, in particolare, ai ricorsi dei migranti avverso i provvedimenti di diniego sullo status di rifugiato e/o di espulsione, in quanto ciò appare ai firmatari del presente atto decisivo per ridurre drasticamente i tempi di permanenza sul territorio italiano dei migranti stessi;
8) ad adottare ogni iniziativa volta a ridurre i tempi di esame delle richieste di protezione internazionale;
9) a valutare, sulla base dell'esperienza compiuta, ogni possibilità di miglioramento dell'attuale assetto normativo, per contrastare l'immigrazione clandestina e regolare i flussi migratori, legandoli alle effettive necessità economiche e sociali del Paese;
10) a valutare l'opportunità di adottare, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, ulteriori iniziative per rafforzare le misure a tutela dei cittadini e degli stessi migranti potenziando tutte le risorse messe a disposizione delle forze dell'ordine, per finanziare gli interventi e le operazioni di sicurezza urbana e di controllo del territorio nazionale volte alla gestione del fenomeno migratorio e alla prevenzione e contrasto del terrorismo internazionale.
(1-01470)
(Testo modificato nel corso della seduta come risultante dalla votazione per parti separate)  «Brunetta, Ravetto, Gregorio Fontana, Vito».


   La Camera,
   premesso che:
    l'anno che si è appena concluso ha segnato nuovi numeri record nell'affluenza di migranti irregolari sulle coste italiane, e non vi è alcun motivo per ritenere che la situazione possa normalizzarsi nel nuovo anno, posto che sono tuttora presenti alcuni focolai di guerra, una grave instabilità politica di molte nazioni africane e, principalmente, non accennano a risolversi condizioni di grave e gravissima povertà che affliggono tante popolazioni del continente africano;
    inoltre, la mancata normalizzazione della Libia e, dall'altro lato, la pressoché totale chiusura della cosiddetta rotta balcanica fanno dell'Italia l'unica Nazione d'approdo possibile all'interno dell'Unione europea per potenziali milioni di disperati;
   in questo quadro alcuni partner europei hanno invitato il Governo italiano a operare affinché sia posto un freno agli arrivi in Europa attraverso il territorio italiano e questo risulta ancor più necessario di fronte all'evidente fallimento delle iniziative di ricollocamento deliberate in ambito europeo;
   sul piano nazionale l'incapacità degli ultimi Governi nella gestione dei flussi migratori si palesa ogni giorno nelle nostre città, e ancora più critica è la gestione della cosiddetta accoglienza, travolta da continui scandali, dispendiosa e inefficiente;
   sinora qualunque proposta migliorativa della gestione dell'immigrazione è stata accolta da un totale silenzio, ma la necessita di correggere l'intero sistema, sia a livello sovranazionale, sia a livello nazionale, appare ogni giorno più evidente,

impegna il Governo:

1) ad adottare ogni iniziativa necessaria in sede europea al fine di giungere a una gestione condivisa del fenomeno migratorio, in primo luogo attraverso la revisione degli «accordi di Dublino» e del principio del Paese di primo approdo, secondo il principio del burden sharing;

2) a sostenere iniziative, da attuare mediante accordi bilaterali, per raccogliere le richieste di protezione internazionale nei Paesi di provenienza in modo poi da procedere in maniera ordinata e in sicurezza allo smistamento dei profughi nei vari Stati europei;

3) a rendere esecutiva l'applicazione del piano di ricollocamenti e a sostenere le necessità di un sostegno finanziario in favore degli Stati più esposti per ragioni meramente geografiche all'arrivo dei migranti;

4) a stipulare con urgenza assoluta accordi bilaterali con i diversi Stati di provenienza dei migranti propedeutici al rimpatrio di coloro i quali non hanno diritto ad alcuna forma di protezione internazionale;

5) ad assumere le iniziative di competenza per rimuovere gli ostacoli burocratici che impediscono una rapida definizione delle pratiche di richiesta di protezione internazionale;

6) ad attivarsi per la creazione di una vera task force che possa, nell'arco di poche settimane, decongestionare i centri di accoglienza e rimpatriare coloro che non hanno titolo a rimanere sul territorio nazionale;

7) a promuovere le modifiche normative volte all'abolizione della possibilità di ricorrere avverso i provvedimenti di diniego di concessione di protezione internazionale;

8) ad adottare le iniziative, se del caso anche di natura normativa, necessarie a garantire una maggiore efficienza e trasparenza della gestione dell'accoglienza, a tal fine anche prevedendo precisi obblighi di rendicontazione delle spese a carico degli enti gestori ed effettuando maggiori controlli in merito alla reale sussistenza dei requisiti necessari in capo ai soggetti che concorrono nell'aggiudicazione dei bandi.
(1-01471) «Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa, Maietta, Murgia, Nastri, Petrenga, Rizzetto, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,

impegna il Governo:

1) ad adottare ogni iniziativa necessaria in sede europea al fine di giungere a una gestione condivisa del fenomeno migratorio, in primo luogo attraverso la revisione degli «accordi di Dublino» e del principio del Paese di primo approdo, secondo il principio del burden sharing;

2) a rendere esecutiva l'applicazione del piano di ricollocamenti e a sostenere le necessità di un sostegno finanziario in favore degli Stati più esposti per ragioni meramente geografiche all'arrivo dei migranti;

3) a stipulare con urgenza assoluta accordi bilaterali con i diversi Stati di provenienza dei migranti propedeutici al rimpatrio di coloro i quali non hanno diritto ad alcuna forma di protezione internazionale.
(1-01471) (Testo risultante dalla votazione per parti separate) «Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa, Maietta, Murgia, Nastri, Petrenga, Rizzetto, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo i dati recentemente forniti da Frontex, l'agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, nel 2016 l'Italia ha contato 181.436 sbarchi sulle coste italiane, il numero più alto mai registrato nella storia, con un incremento del 18 per cento rispetto al 2015 (153.842) e di oltre il 6 per cento rispetto al 2014 (170.100). Gran parte dei migranti proviene dai Paesi dell'Africa centro-occidentale: Nigeria, Guinea, Costa d'Avorio, Gambia, Particolarmente rilevante il raddoppio del numero di migranti minori non accompagnati, passati da 12,360 nel 2015 a 25.846 nel 2016;
    nel corso dell'anno appena concluso, mentre l'Italia ha registrato un incremento consistente di sbarchi, è risultato essere dimezzato il numero dei migranti che hanno varcato i confini dell'Unione europea: dai 1.014.836 del 2015 (fonte UNHCR) ai 503.700 del 2016 (fonte Frontex). Un calo dovuto alla drastica riduzione degli sbarchi in Grecia (diminuiti del 79 per cento e di un calo di oltre l'80 per cento dei migranti provenienti dalle rotte balcaniche: nel primo caso in conseguenza dell'accordo tra l'Unione europea e la Turchia, nel secondo dell'inasprimento dei controlli di frontiera. Al contrario, la rotta, centro mediterranea mantiene una tendenza in crescita;
    nel corso degli ultimi 15 anni i fenomeni migratori verso l'Italia hanno registrato tendenze non univoche: secondo il cruscotto statistico del Ministero dell'interno nel 2003 gli sbarchi furono 14.331 con una flessione di circa il 40 per cento rispetto all'anno precedente, grazie agli accordi siglati dal Governo italiano con l'Albania e i Paesi dell'Africa mediterranea; nel 2004 il numero è ulteriormente diminuito (13.635), per risalire a 22.939 nel 2005, e lì attestarsi sino all'impennata del 2008, con 36.951 sbarchi; nei due anni seguenti, in ragione degli accordi con il Governo libico, il numero è crollato dapprima a 9.573 e quindi a 4.406. Nel 2011, in coincidenza con le «primavere arabe», si è registrato il nuovo, temporaneo, primato con 62.692 sbarchi – per oltre la metà proveniente dalla Tunisia – cui è seguito un nuovo calo nel 2012 (13.267) e un nuovo aumento nel 2013 (42.925). Nel 2014, in coincidenza con la guerra civile in Libia e l'inasprirsi della crisi siriana, la nuova impennata a 170.100, quindi la flessione del 2015 e il nuovo primato nel 2016, con le cifre sopra riportate;
    tendenza consolidata per quanto riguarda le richieste di asilo politico, quadruplicate nel volgere di un quadriennio: dalle 26.620 del 2013 alle 63.456 del 2014, alle 83.970 del 2015, sino a segnare il record storico nel corso dell'anno appena concluso, con oltre 123.482 richieste di protezione internazionale. Una cifra significativa, ma comunque inferiore a quelle registrate da altri Paesi, in primis la Germania. La ragione di ciò potrebbe derivare dalla stretta dei controlli nei Paesi dell'Europa centrale e da una diversa percezione dell'Italia, sino a qualche anno fa considerata solo come luogo di transito: con l'intensificarsi dei vincoli della Commissione europea al fine di una più stringente applicazione dell’«accordo di Dublino», una quota consistente di migranti, anche non provenienti da Paesi in guerra, consapevoli delle difficoltà nel raggiungere altri Stati, ha optato per presentare domanda di protezione internazionale all'Italia, ottenendo così un titolo per permanervi legalmente almeno fino all'esito dell’iter;
    nel 2016 sono state esaminate 90.473 domande di asilo politico, e la quota di quelle respinte è stata del 61,5 per cento a fronte del 59 per cento del 2015, del 39 per cento del 2014 e del 2013 e del 21 per cento del 2012. I dati relativi al 2016, abbastanza coerenti con quelli dell'anno precedente indicano che solo al 5 per cento dei richiedenti è stato riconosciuto lo status di rifugiato – a rischio persecuzione nel suo Paese d'origine – mentre il 22 per cento (21 per cento nel 2015) ha ottenuto protezione umanitaria – 24 mesi prorogabili – e il 14 per cento (12,5 per cento nel 2015) protezione sussidiaria, con permesso quinquennale rilasciato a chi rischia di subire un danno grave nel caso di rientro nel proprio Paese: se ne ricava che viene accolta, in qualche forma, la domanda di accoglienza a meno del 40 per cento dei richiedenti, a fronte del 61 per cento del biennio precedente e al 74 per cento del 2012. Una diminuzione tendenziale dovuta ai criteri più stringenti adottati dal Governo per fronteggiare l'impennata di richieste. Il tasso di non accoglimento in Italia risulta essere ben superiore rispetto alla media europea – in ragione delle basse percentuali dei paesi del nord Europa e della Germania – ma al contempo inferiore al tasso di non accoglimento di Francia e Spagna;
    le richieste d'asilo vengono esaminate da commissioni territoriali sulla base di un colloquio e altri elementi che attestino la sussistenza dei requisiti. Nelle more della decisione i richiedenti asilo hanno diritto all'accoglienza e all'assistenza se privi di propri mezzi di sostentamento. L'esame della domanda dovrebbe avvenire entro 30 giorni dalla richiesta, salvo casi particolari per cui il termine ultimo passa a 90 giorni. Nei fatti, tuttavia, il tempo medio per definire l'esito finale è tra i sei e i nove mesi. Inoltre, circa la metà dei migranti che hanno vista respinta la richiesta di asilo politico ha presentato ricorso al tribunale ordinario, le cui sentenze possono essere impugnate in corte d'appello e, in ultima istanza, in Cassazione, con un conseguente prolungamento – sino al termine dell’iter giudiziario – del permesso a permanere all'interno del sistema di accoglienza, impedendo un naturale ricambio a favore di nuovi arrivati;
    in materia di asilo l'Unione europea prevede regole comuni sul riconoscimento degli status, sull'accoglienza dei richiedenti asilo e sulle procedure di presentazione ed esame delle domande, ma l'applicazione delle direttive non ha sortito gli esiti auspicati a causa di un'applicazione non uniforme da parte degli Stati membri. La Commissione, nell'Agenda europea per la migrazione del 2015, ha ribadito la necessità di rafforzare una politica di asilo comune attraverso un unico processo decisionale e una ripartizione equa dei richiedenti tra gli Stati, ma il numero esiguo di richiedenti ricollocati nei Paesi membri sta a dimostrare i modesti risultati sino ad oggi ottenuti;
    secondo i programmi europei per settembre 2017 è previsto il ricollocamento dall'Italia verso altri Paesi europei di 34.953 richiedenti asilo, ma ad oggi l'ultima cifra ufficiale – relativa a novembre 2016 – indica un sostanziale stallo, con solo 1950 ricollocamenti. Alcuni Paesi europei – Ungheria e Slovacchia – non hanno offerto disponibilità ad accogliere, mentre altri hanno offerto posti ma non hanno ancora accolto nessun migrante richiedente asilo;
    la succitata Agenda europea per la migrazione, risalente a maggio 2015, è stata la non tempestiva risposta della Commissione europea a un fenomeno, quello migratorio, che da emergenziale ha assunto caratteri di strutturatilà. A quasi due anni dalla presentazione, il bilancio di attuazione dell'Agenda è insoddisfacente, se non fallimentare: le misure adottate per ridurre i flussi irregolari verso l'Europa – in particolare il potenziamento delle risorse destinate alle operazioni «Triton» e «Poseidon», l'adozione del modello hotspot e l'intesa con la Turchia – non hanno sortito risultati positivi, lasciando l'Italia quale terminale ultimo delle rotte migratorie e principale Stato europeo competente per le domande d'asilo, ai sensi del regolamento «Dublino III»;
    le proposte di riforma del suscritto regolamento, presentate nel corso del 2016, erano mirate a correggere le storture di un sistema che sta mostrando tutti i suoi limiti, ma nei fatti non hanno risolto le problematicità, poiché mantengono invariata la gerarchia dei criteri, non agendo sui criteri per la determinazione dello Stato membro competente a ricevere ed esaminare le domande di asilo. In definitiva, non viene data risposta all'esigenza di compartecipazione tra gli Stati membri, mantenendo intatti gli elementi di criticità, in particolare il fatto che, in presenza di afflussi massicci di profughi, solo un numero limitato di Stati membri, quelli alle frontiere esterne di primo ingresso, si trovi a dover gestire la stragrande maggioranza di richieste; a ciò si aggiunge il corollario che fa derivare dall'assenza del diritto dei beneficiari della protezione internazionale di spostarsi da un paese all'altro la scelta dei migranti di richiedere asilo non nel Paese di arrivo, ma nel Paese in cui intendono risiedere. Da questi flussi secondari è conseguito un incremento delle richieste nei Paesi non di primo ingresso, fatto questo che ha spinto alcuni di questi Stati a reintrodurre controlli alle frontiere, sancendo il fallimento del sistema Schengen e l'individuazione dell'Italia quale unica via per l'Europa per migliaia di persone che scappano dai loro Paesi d'origine;
    a seguito delle disposizioni contenute nell'Agenda europea per la migrazione e alla successiva roadmap presentata dal Ministero dell'interno, l'Italia ha adottato nel 2015 l'approccio cosiddetto «hotspot», con lo scopo di canalizzare gli arrivi in una serie di porti di sbarco selezionati, dove effettuare tutte le procedure previste: La scelta su dove screening sanitario, pre-identificazione, registrazione, foto-segnalamento, rilievi dattiloscopici, localizzare i centri ricadde su Lampedusa, Pozzallo, Taranto, Trapani, Porto Empedocle Augusta, ma ad oggi gli ultimi due non sono ancora attivi. Secondo la citata roadmap negli hotspot dovrebbe svolgersi una immediata selezione tra richiedenti asilo e non, con ulteriori sottodistinzioni: coloro che richiedono protezione internazionale dovranno essere trasferite negli hub presenti sul territorio nazionale, coloro che rientrano nella procedura di ricollocamento dovranno essere trasferiti negli hub regionali dedicati, mentre chi non richiede lo status dovrà essere accompagnato nei centri di identificazione ed espulsione, laddove ci siano posti disponibili, o in seconda istanza gli dovrà essere intimata l'uscita dai territorio nazionale entro sette giorni. Per questa categoria di migranti non è prevista alcuna forma di assistenza materiale: vengono semplicemente accompagnati presso le stazioni ferroviarie per agevolare la ripartenza, con un prevedibile elevatissimo tasso di inottemperanza. Ne deriva che anche l'approccio hotspot, pur avendo apportato migliorie al sistema della prima accoglienza, ha palesato e palesa limiti e falle;
    i migranti cui è stato intimato l'abbandono del territorio nazionale e i richiedenti asilo cui è stato rifiutato il riconoscimento vanno quindi a costituire una particolare e numerosa categoria caratterizzata da uno status di illegalità che preclude loro di svolgere, neppure se offerta, una qualsiasi regolare attività lavorativa. Decine di migliaia di persone che, nella migliore delle ipotesi, per sopravvivere saranno costrette a ricorrere a forme di lavoro nero e/o subire condizioni di sfruttamento;
    nell'aprile 2016 il Governo italiano pro tempore ha proposto alla Commissione europea una serie di misure finalizzate a ridurre i flussi lungo la rotta mediterranea ispirate al precedente accordo tra Unione europea e Turchia, Nello specifico, la proposta italiana prevedeva nuove intese con i Paesi di origine e transito, basate su un sostegno fattuale – opere di impatto sociale e infrastrutturale – da finanziare con strumenti ad hoc quali i bond Unione Europa-Africa, oltre ad una rivisitazione dei sistemi di asilo per i Paesi sottoscrittori. In cambio veniva richiesta collaborazione nel controllo dei confini e della lotta al crimine dedito al traffico di esseri umani, cooperazione amministrativa sui rimpatri e sulla gestione dei flussi dei rifugiati grazie alla realizzazione di strutture di accoglienza ed identificazione nei principali paesi di transito. Strategia che la presidenza maltese dell'Unione europea – in carica per il primo semestre del 2017 – ha annunciato di voler rafforzare,

impegna il Governo:

1) a creare un sistema standard di accoglienza controllata e vigilata che ponga fine alle politiche emergenziali troppe volte messe in campo;
2) ad assumere iniziative a livello europeo per il superamento del «regolamento di Dublino» a favore di un nuovo sistema comunitario di asilo che:
   a) riveda i criteri generali, in particolar modo la consequenzialità tra stato di arrivo ed esame della richiesta di asilo;
   b) favorisca i programmi di ricollocazione e reinsediamento;
   c) istituisca un meccanismo europeo di ammissione per fini umanitari che preveda l'individuazione di canali di arrivo in Europa legali e sicuri;
   d) favorisca, per coloro che hanno diritto alla permanenza nei Paesi europei, il ricongiungimento familiare;

3) a mettere in campo politiche di contrasto all'immigrazione clandestina che non prevedano i respingimenti in mare, pratica pericolosa e disumana, ma che allo stesso tempo rendano effettivi i rimpatri dei migranti che non hanno diritto alla protezione internazionale;
4) a proseguire nel lavoro diplomatico e di collaborazione con i Paesi di origine e transito dei migranti per giungere ad accordi atti a scongiurare nuove partenze;
5) ad attivarsi in sede europea affinché l'accordo sulla redistribuzione dei profughi tra i vari Paesi dell'Unione europea, raggiunto nel corso del 2016, sia effettivamente rispettato;
6) ad assumere iniziative per incentivare la cooperazione del maggior numero di comuni italiani, affinché si rendano disponibili, in proporzione alla loro dimensione, alla loro popolazione e alla precedente presenza di richiedenti asilo, ad accogliere i migranti per garantire una più equa distribuzione sul territorio nazionale;
7) ad adottare politiche di integrazione per richiedenti asilo e rifugiati, attraverso l'istituzione di corsi di italiano obbligatori, in vista di una loro fuoriuscita dal circuito dell'accoglienza;
8) ad adottare iniziative finalizzate al rispetto dei tempi per l'esame delle richieste di protezione internazionale.
(1-01472) «Francesco Saverio Romano, Vezzali, Parisi, Abrignani, D'Agostino, D'Alessandro, Faenzi, Galati, Lainati, Marcolin, Mottola, Rabino, Sottanelli, Zanetti».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

   La Camera,
   premesso che:
    secondo i dati recentemente forniti da Frontex, l'agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, nel 2016 l'Italia ha contato 181.436 sbarchi sulle coste italiane, il numero più alto mai registrato nella storia, con un incremento del 18 per cento rispetto al 2015 (153.842) e di oltre il 6 per cento rispetto al 2014 (170.100). Gran parte dei migranti proviene dai Paesi dell'Africa centro-occidentale: Nigeria, Guinea, Costa d'Avorio, Gambia, Particolarmente rilevante il raddoppio del numero di migranti minori non accompagnati, passati da 12,360 nel 2015 a 25.846 nel 2016;
    nel corso dell'anno appena concluso, mentre l'Italia ha registrato un incremento consistente di sbarchi, è risultato essere dimezzato il numero dei migranti che hanno varcato i confini dell'Unione europea: dai 1.014.836 del 2015 (fonte UNHCR) ai 503.700 del 2016 (fonte Frontex). Un calo dovuto alla drastica riduzione degli sbarchi in Grecia (diminuiti del 79 per cento e di un calo di oltre l'80 per cento dei migranti provenienti dalle rotte balcaniche: nel primo caso in conseguenza dell'accordo tra l'Unione europea e la Turchia, nel secondo dell'inasprimento dei controlli di frontiera. Al contrario, la rotta, centro mediterranea mantiene una tendenza in crescita;
    nel corso degli ultimi 15 anni i fenomeni migratori verso l'Italia hanno registrato tendenze non univoche: secondo il cruscotto statistico del Ministero dell'interno nel 2003 gli sbarchi furono 14.331 con una flessione di circa il 40 per cento rispetto all'anno precedente, grazie agli accordi siglati dal Governo italiano con l'Albania e i Paesi dell'Africa mediterranea; nel 2004 il numero è ulteriormente diminuito (13.635), per risalire a 22.939 nel 2005, e lì attestarsi sino all'impennata del 2008, con 36.951 sbarchi; nei due anni seguenti, in ragione degli accordi con il Governo libico, il numero è crollato dapprima a 9.573 e quindi a 4.406. Nel 2011, in coincidenza con le «primavere arabe», si è registrato il nuovo, temporaneo, primato con 62.692 sbarchi – per oltre la metà proveniente dalla Tunisia – cui è seguito un nuovo calo nel 2012 (13.267) e un nuovo aumento nel 2013 (42.925). Nel 2014, in coincidenza con la guerra civile in Libia e l'inasprirsi della crisi siriana, la nuova impennata a 170.100, quindi la flessione del 2015 e il nuovo primato nel 2016, con le cifre sopra riportate;
    tendenza consolidata per quanto riguarda le richieste di asilo politico, quadruplicate nel volgere di un quadriennio: dalle 26.620 del 2013 alle 63.456 del 2014, alle 83.970 del 2015, sino a segnare il record storico nel corso dell'anno appena concluso, con oltre 123.482 richieste di protezione internazionale. Una cifra significativa, ma comunque inferiore a quelle registrate da altri Paesi, in primis la Germania. La ragione di ciò potrebbe derivare dalla stretta dei controlli nei Paesi dell'Europa centrale e da una diversa percezione dell'Italia, sino a qualche anno fa considerata solo come luogo di transito: con l'intensificarsi dei vincoli della Commissione europea al fine di una più stringente applicazione dell’«accordo di Dublino», una quota consistente di migranti, anche non provenienti da Paesi in guerra, consapevoli delle difficoltà nel raggiungere altri Stati, ha optato per presentare domanda di protezione internazionale all'Italia, ottenendo così un titolo per permanervi legalmente almeno fino all'esito dell’iter;
    nel 2016 sono state esaminate 90.473 domande di asilo politico, e la quota di quelle respinte è stata del 61,5 per cento a fronte del 59 per cento del 2015, del 39 per cento del 2014 e del 2013 e del 21 per cento del 2012. I dati relativi al 2016, abbastanza coerenti con quelli dell'anno precedente indicano che solo al 5 per cento dei richiedenti è stato riconosciuto lo status di rifugiato – a rischio persecuzione nel suo Paese d'origine – mentre il 22 per cento (21 per cento nel 2015) ha ottenuto protezione umanitaria – 24 mesi prorogabili – e il 14 per cento (12,5 per cento nel 2015) protezione sussidiaria, con permesso quinquennale rilasciato a chi rischia di subire un danno grave nel caso di rientro nel proprio Paese: se ne ricava che viene accolta, in qualche forma, la domanda di accoglienza a meno del 40 per cento dei richiedenti, a fronte del 61 per cento del biennio precedente e al 74 per cento del 2012. Una diminuzione tendenziale dovuta ai criteri più stringenti adottati dal Governo per fronteggiare l'impennata di richieste. Il tasso di non accoglimento in Italia risulta essere ben superiore rispetto alla media europea – in ragione delle basse percentuali dei paesi del nord Europa e della Germania – ma al contempo inferiore al tasso di non accoglimento di Francia e Spagna;
    le richieste d'asilo vengono esaminate da commissioni territoriali sulla base di un colloquio e altri elementi che attestino la sussistenza dei requisiti. Nelle more della decisione i richiedenti asilo hanno diritto all'accoglienza e all'assistenza se privi di propri mezzi di sostentamento. L'esame della domanda dovrebbe avvenire entro 30 giorni dalla richiesta, salvo casi particolari per cui il termine ultimo passa a 90 giorni. Nei fatti, tuttavia, il tempo medio per definire l'esito finale è tra i sei e i nove mesi. Inoltre, circa la metà dei migranti che hanno vista respinta la richiesta di asilo politico ha presentato ricorso al tribunale ordinario, le cui sentenze possono essere impugnate in corte d'appello e, in ultima istanza, in Cassazione, con un conseguente prolungamento – sino al termine dell’iter giudiziario – del permesso a permanere all'interno del sistema di accoglienza, impedendo un naturale ricambio a favore di nuovi arrivati;
    in materia di asilo l'Unione europea prevede regole comuni sul riconoscimento degli status, sull'accoglienza dei richiedenti asilo e sulle procedure di presentazione ed esame delle domande, ma l'applicazione delle direttive non ha sortito gli esiti auspicati a causa di un'applicazione non uniforme da parte degli Stati membri. La Commissione, nell'Agenda europea per la migrazione del 2015, ha ribadito la necessità di rafforzare una politica di asilo comune attraverso un unico processo decisionale e una ripartizione equa dei richiedenti tra gli Stati, ma il numero esiguo di richiedenti ricollocati nei Paesi membri sta a dimostrare i modesti risultati sino ad oggi ottenuti;
    secondo i programmi europei per settembre 2017 è previsto il ricollocamento dall'Italia verso altri Paesi europei di 34.953 richiedenti asilo, ma ad oggi l'ultima cifra ufficiale – relativa a novembre 2016 – indica un sostanziale stallo, con solo 1950 ricollocamenti. Alcuni Paesi europei – Ungheria e Slovacchia – non hanno offerto disponibilità ad accogliere, mentre altri hanno offerto posti ma non hanno ancora accolto nessun migrante richiedente asilo;
    la succitata Agenda europea per la migrazione, risalente a maggio 2015, è stata la non tempestiva risposta della Commissione europea a un fenomeno, quello migratorio, che da emergenziale ha assunto caratteri di strutturatilà. A quasi due anni dalla presentazione, il bilancio di attuazione dell'Agenda è insoddisfacente, se non fallimentare: le misure adottate per ridurre i flussi irregolari verso l'Europa – in particolare il potenziamento delle risorse destinate alle operazioni «Triton» e «Poseidon», l'adozione del modello hotspot e l'intesa con la Turchia – non hanno sortito risultati positivi, lasciando l'Italia quale terminale ultimo delle rotte migratorie e principale Stato europeo competente per le domande d'asilo, ai sensi del regolamento «Dublino III»;
    le proposte di riforma del suscritto regolamento, presentate nel corso del 2016, erano mirate a correggere le storture di un sistema che sta mostrando tutti i suoi limiti, ma nei fatti non hanno risolto le problematicità, poiché mantengono invariata la gerarchia dei criteri, non agendo sui criteri per la determinazione dello Stato membro competente a ricevere ed esaminare le domande di asilo. In definitiva, non viene data risposta all'esigenza di compartecipazione tra gli Stati membri, mantenendo intatti gli elementi di criticità, in particolare il fatto che, in presenza di afflussi massicci di profughi, solo un numero limitato di Stati membri, quelli alle frontiere esterne di primo ingresso, si trovi a dover gestire la stragrande maggioranza di richieste; a ciò si aggiunge il corollario che fa derivare dall'assenza del diritto dei beneficiari della protezione internazionale di spostarsi da un paese all'altro la scelta dei migranti di richiedere asilo non nel Paese di arrivo, ma nel Paese in cui intendono risiedere. Da questi flussi secondari è conseguito un incremento delle richieste nei Paesi non di primo ingresso, fatto questo che ha spinto alcuni di questi Stati a reintrodurre controlli alle frontiere, sancendo il fallimento del sistema Schengen e l'individuazione dell'Italia quale unica via per l'Europa per migliaia di persone che scappano dai loro Paesi d'origine;
    a seguito delle disposizioni contenute nell'Agenda europea per la migrazione e alla successiva roadmap presentata dal Ministero dell'interno, l'Italia ha adottato nel 2015 l'approccio cosiddetto «hotspot», con lo scopo di canalizzare gli arrivi in una serie di porti di sbarco selezionati, dove effettuare tutte le procedure previste: La scelta su dove screening sanitario, pre-identificazione, registrazione, foto-segnalamento, rilievi dattiloscopici, localizzare i centri ricadde su Lampedusa, Pozzallo, Taranto, Trapani, Porto Empedocle Augusta, ma ad oggi gli ultimi due non sono ancora attivi. Secondo la citata roadmap negli hotspot dovrebbe svolgersi una immediata selezione tra richiedenti asilo e non, con ulteriori sottodistinzioni: coloro che richiedono protezione internazionale dovranno essere trasferite negli hub presenti sul territorio nazionale, coloro che rientrano nella procedura di ricollocamento dovranno essere trasferiti negli hub regionali dedicati, mentre chi non richiede lo status dovrà essere accompagnato nei centri di identificazione ed espulsione, laddove ci siano posti disponibili, o in seconda istanza gli dovrà essere intimata l'uscita dai territorio nazionale entro sette giorni. Per questa categoria di migranti non è prevista alcuna forma di assistenza materiale: vengono semplicemente accompagnati presso le stazioni ferroviarie per agevolare la ripartenza, con un prevedibile elevatissimo tasso di inottemperanza. Ne deriva che anche l'approccio hotspot, pur avendo apportato migliorie al sistema della prima accoglienza, ha palesato e palesa limiti e falle;
    i migranti cui è stato intimato l'abbandono del territorio nazionale e i richiedenti asilo cui è stato rifiutato il riconoscimento vanno quindi a costituire una particolare e numerosa categoria caratterizzata da uno status di illegalità che preclude loro di svolgere, neppure se offerta, una qualsiasi regolare attività lavorativa. Decine di migliaia di persone che, nella migliore delle ipotesi, per sopravvivere saranno costrette a ricorrere a forme di lavoro nero e/o subire condizioni di sfruttamento;
    nell'aprile 2016 il Governo italiano pro tempore ha proposto alla Commissione europea una serie di misure finalizzate a ridurre i flussi lungo la rotta mediterranea ispirate al precedente accordo tra Unione europea e Turchia, Nello specifico, la proposta italiana prevedeva nuove intese con i Paesi di origine e transito, basate su un sostegno fattuale – opere di impatto sociale e infrastrutturale – da finanziare con strumenti ad hoc quali i bond Unione Europa-Africa, oltre ad una rivisitazione dei sistemi di asilo per i Paesi sottoscrittori. In cambio veniva richiesta collaborazione nel controllo dei confini e della lotta al crimine dedito al traffico di esseri umani, cooperazione amministrativa sui rimpatri e sulla gestione dei flussi dei rifugiati grazie alla realizzazione di strutture di accoglienza ed identificazione nei principali paesi di transito. Strategia che la presidenza maltese dell'Unione europea – in carica per il primo semestre del 2017 – ha annunciato di voler rafforzare,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative a livello europeo per il superamento del «regolamento di Dublino» a favore di un nuovo sistema comunitario di asilo che:
   a) riveda i criteri generali, in particolar modo la consequenzialità tra stato di arrivo ed esame della richiesta di asilo;
   b) favorisca i programmi di ricollocazione e reinsediamento;
   c) istituisca un meccanismo europeo di ammissione per fini umanitari che preveda l'individuazione di canali di arrivo in Europa legali e sicuri;
   d) favorisca, per coloro che hanno diritto alla permanenza nei Paesi europei, il ricongiungimento familiare;

2) a mettere in campo politiche di contrasto all'immigrazione clandestina che non prevedano i respingimenti in mare, pratica pericolosa e disumana, ma che allo stesso tempo rendano effettivi i rimpatri dei migranti che non hanno diritto alla protezione internazionale;
3) a proseguire nel lavoro diplomatico e di collaborazione con i Paesi di origine e transito dei migranti per giungere ad accordi atti a scongiurare nuove partenze;
4) ad attivarsi in sede europea affinché l'accordo sulla redistribuzione dei profughi tra i vari Paesi dell'Unione europea, raggiunto nel corso del 2016, sia effettivamente rispettato;
5) ad assumere iniziative per incentivare la cooperazione del maggior numero di comuni italiani, affinché si rendano disponibili, in proporzione alla loro dimensione, alla loro popolazione e alla precedente presenza di richiedenti asilo, ad accogliere i migranti per garantire una più equa distribuzione sul territorio nazionale;
6) ad adottare politiche di integrazione per richiedenti asilo e rifugiati, attraverso l'istituzione di corsi di italiano obbligatori, in vista di una loro fuoriuscita dal circuito dell'accoglienza;
7) ad adottare iniziative finalizzate al rispetto dei tempi per l'esame delle richieste di protezione internazionale.
(1-01472)
(Testo modificato nel corso della seduta)  «Francesco Saverio Romano, Vezzali, Parisi, Abrignani, D'Agostino, D'Alessandro, Faenzi, Galati, Lainati, Marcolin, Mottola, Rabino, Sottanelli, Zanetti».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

   La Camera,
   premesso che:
    i Governi italiani, negli ultimi due anni, sono stati, fortemente impegnati sia sul piano interno, sia sotto il profilo del proprio attivo coinvolgimento nelle istituzioni europee, per fronteggiare un consistente numero di sbarchi di migranti sulle coste italiane, con misure di accoglienza idonee a garantire il rispetto della dignità e dei diritti umani, il corretto espletamento delle pratiche di identificazione e di gestione delle richieste di protezione internazionale, nonché la sicurezza del territorio e dei cittadini italiani;
    in particolare, dall'analisi dei dati statistici al 31 dicembre 2016, pervenuti alla Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impiegate – istituita presso questo ramo del Parlamento – risulta che il numero dei migranti sbarcati nel 2016 sia stato pari a 181.436 persone, con un incremento del 6,66 per cento in relazione all'anno 2014, e del 17,94 per cento rispetto all'anno 2015;
    parallelamente all'aumento degli sbarchi nel nostro Paese sono cresciute anche le richieste di protezione internazionale, segnando a settembre 2016 un incremento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente pari al 43,12 per cento;
    rilevante è anche il crescente numero di minori stranieri non accompagnati, tra i soggetti maggiormente vulnerabili all'interno di questi flussi dai 13.026 del 2014, a 12.360 del 2015 fino ai 25.772 del 2016; di questi solo 5.930, però, sempre nell'anno 2016, hanno avanzato richiesta di protezione internazionale, e di queste domande ne risultano attualmente pendenti ancora 3.812;
    appare pertanto sempre più necessaria un'accurata riforma del sistema di valutazione delle domande di asilo, sia attraverso il potenziamento delle commissioni territoriali competenti, anche con personale specializzato da impiegare a titolo continuativo ed esclusivo, sia rafforzando le sedi giudiziarie maggiormente esposte, in modo da realizzare una capacità di risposta più elevata da parte dello Stato, sia in termini quantitativi, sia in termini di qualità ed equità del processo decisionale, allineando così il nostro sistema agli standard europei;
    di grande rilevanza è anche il dato comparato per gli anni dal 2013 al 2016, tratto dalla stessa fonte, relativo al trend sull'accoglienza: se al 31 dicembre del 2013 risultavano presenti nel sistema di accoglienza solo 22.118 persone, queste vengono triplicate, passando a 66.066 persone, al 31 dicembre del 2014, diventano 103.792 al 31 dicembre del 2015 e addirittura 176.554 al 31 dicembre del 2016;
    di fronte all'incremento degli sbarchi avvenuto negli ultimi tre anni, a partire dall'accordo fra Stato e autonomie locali ratificato dalla Conferenza unificata il 10 luglio 2014, il Governo è riuscito ad aumentare la capacità di accoglienza, adottando una nuova strategia fondata sull'ospitalità diffusa di piccoli gruppi distribuiti nel territorio, evitando di concentrare un numero eccessivo di migranti e grandi strutture e in territori circoscritti, per ridurne l'impatto e scongiurare eventuali tensioni sociali, e favorire altresì processi di positiva integrazione;
    altrettanto significativo è il recente accordo fra Ministero dell'interno e Anci per un piano di distribuzione dei migranti proporzionale alla popolazione che si attesta su circa 2,5 posti di accoglienza ogni 1000 residenti con i necessari correttivi per i piccoli comuni e i comuni capoluogo sedi delle città metropolitane e le zone terremotate;
    contestualmente a questi anni i Governi sono stati protagonisti sulle questioni migratorie anche sul fronte delle istituzioni dell'Unione europea, avanzando proposte ambiziose e sorrette da una visione di lungo periodo, come nel caso dei piani d'investimento proposti per l'Africa e la realizzazione del cosiddetto «Migration compact», o dei contributi che hanno condotto al documento «Sullo stato dell'unione» di Junker, o ancora nel caso del determinante impulso dato all'introduzione a livello europeo del principio di responsabilità condivisa nella gestione comune dell'emergenza migratoria, principio alla base della cosiddetta relocation;
    particolare attenzione è stata data anche alle procedure di fotosegnalamento e identificazione dei migranti nelle zone di sbarco che vede attualmente alti livelli di attività, in sintonia con le richieste dell'Unione europea;
    tuttavia, nonostante l'intenso sforzo dispiegato su questo terreno, va segnalato che mancano ancora in Europa i risultati: la riforma del regolamento «Dublino III», in favore di un sistema comune europeo di gestione delle domande di asilo, più volte annunciata, è ferma ai tavoli di un negoziato che stenta a partire, mentre i programmi comunitari già adottati, come la relocation dei rifugiati (dei 160 mila previsti è stato ricollocato appena il 3,5 per cento) sono di fatto parzialmente falliti per la presistente opposizione dei Paesi del gruppo di Visegrad e di Paesi che progressivamente hanno finito per sospendere l'accordo di libera circolazione di Schengen; la stessa proposta italiana del Migration compact non è ancora stata applicata né sono state stanziate risorse europee atte a far decollare gli accordi con i paesi africani di maggiore flusso e transito;
    anche alla luce di ciò, appaiono significativi: il recente rinnovo dell'accordo stipulato dal Ministro dell'interno con la Tunisia per continuare la cooperazione con l'Italia e il rimpatrio degli irregolari; il negoziato in corso con la Libia, che da sempre rappresenta uno dei principali paesi di transito dell'immigrazione irregolare verso l'Italia e la recentissima missione a Malta, dove l'incontro con il nuovo Presidente del Consiglio europeo ha premesso di fare il punto su accoglienza, ricollocamenti e rimpatri gestiti dall'Unione europea,

impegno al Governo:

1) a proseguire lungo la strada della realizzazione di un sistema di accoglienza diffuso sul territorio, anche prevedendo ulteriori incentivi di natura economica che favoriscano la più ampia partecipazione dei sindaci e delle comunità locali nelle scelte di programmazione riguardanti il proprio territorio, e dando attuazione, in particolare, alla previsione del piano in base alla quale i comuni sono incoraggiati ad aderire alla rete Sprar;
2) ad adottare ogni iniziativa utile per rendere i rimpatri e le espulsioni davvero effettivi, anche valutando l'efficacia dei sistemi attuali di trattenimento ed esaminando la possibilità di una loro riforma che, nel rispetto delle fondamentali garanzie costituzionali, possa renderli più efficienti ai fini delle procedure di espulsione;
3) a perseverare nel lavoro in seno alle istituzioni dell'Unione europea per rilanciare una politica condivisa sull'asilo e sulla revisione del regolamento «Dublino III»;
4) a proseguire sulla strada del rafforzamento e dell'estensione degli accordi bilaterali con i Paesi del Mediterraneo, volti sia ad arginare il più possibile le partenze verso l'Italia sia a favorire la riammissione dei cittadini e irregolarmente presenti in Italia;
5) ad incrementare la cooperazione internazionale con i Paesi africani di origine e transito dei migranti per creare opportunità di crescita e sviluppo che possano, in futuro, prevenire i flussi migratori verso l'Europa, continuando così negli sforzi per un progressivo allineamento dell'aiuto pubblico allo sviluppo italiano agli standard fissati a livello internazionale e assicurando che l'aumento dell'aiuto pubblico allo sviluppo includa non solo le spese per l'accoglienza dei rifugiati (refagees in donor countries) ma maggiormente il finanziamento degli interventi in favore dei Paesi di origine;
6) ad adottare, anche in via d'urgenza, misure atte a velocizzare le procedure relative all'esame delle domande di protezione internazionale, anche valutando l'opportunità di un ulteriore potenziamento delle commissioni territoriali ovvero delle sedi giudiziarie maggiormente esposte, nonché ad assumere iniziative per istituire presso alcuni tribunali sezioni specializzate per i procedimenti di protezione internazionale, sulla falsariga di quanto recentemente è stato fatto con la creazione del cosiddetto tribunale dell'impresa;
7) ad assumere iniziative per una formazione specifica, sia del personale delle commissioni territoriali sia dei magistrati, valutando altresì l'opportunità di introdurre ulteriori fattori di semplificazione dei procedimenti giurisdizionali, con la riduzione a quattro, rispetto agli attuali sei mesi, del termine di durata del procedimento, e l'eliminazione del grado di appello, alla luce del fatto che già il primo grado costituisce, per molti aspetti, una duplicazione del procedimento amministrativo e che in molti ordinamenti europei il controllo giurisdizionale si esaurisce in un unico grado di merito;
8) ad assumere iniziative volte a modificare le modalità e la tempistica del procedimento di decadenza dalla residenza anagrafica per coloro che non ne hanno più i requisiti;
9) a porre in essere un'intensa attività di controllo per la verifica degli standard strutturali e gestionali posti nei bandi di gara pubblici, della correttezza dei contratti stipulati agli operatori e delle condizioni igieniche e sanitarie dei luoghi di accoglienza, delle attività dedicate all'informazione e alla formazione dei processi per favorire politiche di inclusione sociale nonché della correttezza e dei pagamenti ai sottoscrittori di appalti pubblici;
10) ad assicurare la doverosa attenzione verso i minori non accompagnati, le vittime di tratta e le persone in condizione di vulnerabilità sociale sia nella celerità dei processi per il riconoscimento di protezione internazionale, sia per ottemperare alle disposizioni internazionali per i diritti del minore, sia per garantire le prestazioni socio-sanitarie a coloro che sono in condizioni di particolare vulnerabilità e a favorire, per quanto di propria competenza, un rapido iter della proposta di legge, approvata dalla Camera dei deputati e all'esame del Senato della Repubblica, recante modifiche alla normativa vigente in materia di minori stranieri non accompagnati, al fine di definire una disciplina organica che rafforzi gli strumenti di tutela garantiti dall'ordinamento;
11) ad adottare iniziative, anche normative, per favorire la partecipazione dei richiedenti asilo in attesa di risposta ad iniziative di pubblica utilità, allo scopo di favorire il loro coinvolgimento in attività positive per la comunità che li accoglie e come esperienza propedeutica al loro futuro eventuale processo di integrazione.
(1-01473) «Rosato, Lupi, Fiano, Carnevali, Beni, Alli, Gelli, Roberta Agostini, Bersani, Carbone, Cuperlo, De Menech, Marco Di Maio, Fabbri, Famiglietti, Ferrari, Gasparini, Giachetti, Giorgis, Lattuca, Lauricella, Marco Meloni, Naccarato, Nardi, Piccione, Pollastrini, Richetti, Francesco Sanna, Burtone, Gadda, Giuseppe Guerini, Moretto, Patriarca, Sgambato, Malisani, Gebhard, Cinzia Maria Fontana, Miotto, Rubinato».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

   La Camera,
   premesso che:
    secondo i dati resi noti il 6 gennaio dall'Agenzia europea della Guardia di frontiera e costiera (Frontex), il numero di migranti arrivati in Europa, a causa delle gravi crisi sociali ed istituzionali che affliggono molti paesi africani ed asiatici, attraverso la rotta centro-mediterranea nel 2016 (181.000, +20 per cento rispetto al 2015) riflette una pressione migratoria crescente dall'Africa, in particolare quella occidentale (nell'ordine, Nigeria, Eritrea, Guinea, Costa d'Avorio, Gambia), a fronte del brusco calo registrato nella rotta balcanica (dai 764.000 arrivi del 2015 a 123.000 del 2016 grazie soprattutto all'accordo con la Turchia);
    dai dati resi noti dal Ministero dell'interno all'inizio del mese di gennaio 2017, infatti, risulta che in tutto il 2016 sono entrati in Italia 176.554 migranti, di cui larga parte (137.218) è ospitata nelle strutture temporanee, 23.822 nello Sprar (il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), 14.694 nei centri di prima accoglienza e 820 negli hot spot; nel 2015 solo il 58 per cento delle richieste avanzate dai profughi per ottenere titoli legittimanti è stato accolto, mentre appena il 5 per cento dei richiedenti ha avuto lo status di rifugiato;
    il Ministro della giustizia lo scorso 3 agosto ha reso noto che durante i primi cinque mesi del 2016, nei tribunali sono stati scritti ben 15.008 ricorsi, in materia di protezione internazionale, con un flusso in crescita di circa 3.500 nuovi ricorsi al mese. Le sedi giudiziarie con il maggior numero di iscrizioni sono quelle di Napoli e Milano, seguite da quella di Roma e di Venezia. Non appare altrettanto elevato il numero delle definizioni, che, nello stesso periodo, è stato di 985, e la percentuale di accoglimento si attesta al 6 per cento;
    va, infine, rilevato il sostanziale fallimento del sistema dei ricollocamenti, giacché dei 40 mila trasferimenti previsti in due anni dall'Italia verso altri Paesi europei dal piano Juncker, solo 2.654 sono stati effettivamente eseguiti, mentre per altre 1.394 richieste avanzate dall'Italia si attende ancora la decisione dello Stato membro destinatario;
    una politica di accoglienza che intenda rispettare tanto la dignità di ciascuna persona costretta a fuggire da gravi pericoli per la propria libertà o incolumità, quanto le fragili situazioni dei territori ospitanti deve fondarsi sulla capacità di proporre sufficiente conoscenza della cultura italiana e percorsi formativi, di lavoro anche socialmente utile, nonché occupazionali, che evitino esiti di sostanziale clandestinità per i profughi, terminata la permanenza nei centri di prima assistenza;
    la grave crisi demografica caratterizzante l'Europa e l'Italia – secondo cui, sulla base dei dati ISTAT vi sono regioni (ad esempio, il Friuli Venezia Giulia) in cui la popolazione inattiva è persino doppia di quella attiva – indica la necessità di aumentare i soggetti in impiego lavorativo per non compromettere l'equilibrio stesso del sistema sociale ed economico del paese;
    conseguentemente, anche sotto il profilo dell'interesse generale, le politiche di accoglienza dei migranti devono essere performate sulla base di politiche attive del lavoro che aumentino sensibilmente, per i rifugiati così come per la popolazione residente, l'incontro fra la domanda e offerta lavorative, nonché la creatività imprenditoriale;
    i percorsi di accoglienza – gravemente condizionati dalla necessità di far fronte a una esponenziale emergenza dell'ondata migratoria in corso – sono allo stato organizzati allo scopo di assicurare preventivamente l'ospitalità fisica ai profughi;
    le strutture utilizzate, per dimensioni e per qualità media delle attività ivi praticate, appaiono per lo più incongrue ai fini di assicurare la pluralità di fattori che necessariamente consentono apprezzabili risultati, sotto i profili della sicurezza, dell'educazione linguistica e culturale, della formazione professionale, dell'impegno lavorativo e delle prospettive occupazionali successive;
    i percorsi educativo-lavorativi auspicati risultano altresì negativamente condizionati dal permanere di una marcata carenza di iniziative nel periodo successivo al riconoscimento dello status di rifugiato ed equivalenti, cosicché va registrato il fenomeno per cui, una volta usciti dalle strutture di prima assistenza a seguito dell'accoglimento della domanda di asilo o simile, il profugo si trova privo di riferimenti sociali, trovandosi di fatto in una situazione equiparabile a quella di «senza fissa dimora», se non addirittura di mendicanza, con grave pregiudizio per la persona interessata, nonché per il territorio interessato;
    l'attività nelle strutture di prima accoglienza è inoltre ostacolata dal permanere per un periodo di tempo eccessivamente lungo di persone non aventi i requisiti per ottenere lo status di rifugiati, e ciò sia a causa del tempo medio occorrente per riscontrare le istanze ex decreto legislativo n. 25 del 2008, sia per l'eccessivo protrarsi, mediamente biennale, dei procedimenti giurisdizionali proposti (sovente pretestuosamente) contro i dinieghi alle medesime domande di asilo, nonostante l'opposto teorico tenore dell'articolo 19 del decreto legislativo n. 150 del 2011;
    il problema dei cosiddetti «dublinanti» rende ancor più complesso un sufficiente risultato di integrazione dei rifugiati, in quanto molti profughi che hanno già avuto il diniego in un altro Stato membro arrivano in Italia, perché di norma decorrono inutilmente i termini per realizzare il trasferimento nel paese europeo in cui è stato emanato il primo diniego, cosicché questi stessi possono avviare un nuovo iter, aggravando ulteriormente (in taluni casi nel nord anche per ben il 40 per cento) le già sofferenti strutture di accoglienza;
    il raccordo con le politiche del lavoro risulta non solo ancora troppo trascurato nella programmazione dei servizi di accoglienza, ma è stato anche penalizzato, persino sotto il profilo della imputabilità istituzionale, dal precario quadro normativo che, da tempo, caratterizza le province, in numerose regioni preposte a tali competenze;
    il problema dei flussi migratori coinvolge l'Europa intera deve considerarsi prioritario nell'agenda comunitaria, benché in occasione dell'ultimo Consiglio europeo tenutosi lo scorso 15 dicembre, pochi ed ancora non risolutivi passi in avanti siano stati compiuti verso una soddisfacente gestione dei flussi migratori nella loro dimensione interna ed esterna; in tal senso, molto resta ancora da fare per il pieno recepimento della proposta italiana e per un impatto significativo e capillare nella cooperazione Unione europea-Africa e nei flussi migratori;
     i processi di integrazione possono risultare di maggiore efficacia rispetto a quanto sin qui conseguito, qualora il profugo non si trovi in gruppi eccessivamente numerosi, potendosi, sul punto, ipotizzare un obiettivo di ragionevole standard nell'ordine di 2,5 migranti ogni 1000 abitanti;
    detti processi debbono sensibilmente prevedere non solo politiche di prima assistenza e di sicurezza, ma in misura significativamente maggiore anche politiche educative, di formazione professionale, di impiego lavorativo sin dalla fase di prima accoglienza (lavori socialmente utili et similia), nonché di introduzione a ipotesi occupazionali per i periodi successi all'ottenimento dello status di rifugiato o simili;
    tali risultati possono essere favoriti da riforme amministrative e processuali che diminuiscano i tempi per l'evasione delle istanze di asilo e dei relativi ricorsi giurisdizionali, al fine di evitare una permanenza nei centri profughi senza una apprezzabile prospettiva di permanenza legale in Italia, nonché da iniziative di politica estera e comunitaria che rendano effettivi i provvedimenti di espulsione;
    gli obbiettivi di reale integrazione non possono prescindere da migliori criteri di selezione dei soggetti gestori delle strutture di accoglienza, affinché essi assicurino una più adeguata attenzione alle persone ospitate per tutti i profili sopra nominati, nonché il necessario rispetto e interrelazione con il territorio ospitante, di conseguenza necessitando una netta cesura con le criticità che troppo sovente hanno contraddistinto gestioni attuali e del recente passato;
    da diverse notizie di stampa si apprende che per accelerare le procedure delle domande d'asilo e semplificare la governance, sarebbe stato trasmesso in queste settimane alla Presidenza del Consiglio dei ministri un disegno di legge organico, preparato dal Ministero della giustizia e già annunciato dal Ministro,

impegna il Governo:

1) a promuovere in sede europea tutte le iniziative necessarie al completo recepimento delle proposte contenute nel cosiddetto Migration compact, al fine di ridurre i flussi anche lungo la rotta mediterranea attraverso nuove intese con i Paesi d'origine e di transito, in particolare quelli africani, da finanziare con strumenti innovativi come i bond Unione europea-Africa;
2) a promuovere in sede europea iniziative finalizzate al controllo comune dei confini e delle rotte marittime e alla collaborazione sul fronte della lotta al crimine internazionale e della tutela dei diritti umani, nonché a ridurre drasticamente la possibilità di migrare da un Paese all'altro dopo aver ricevuto un diniego alla permanenza in uno Stato membro;
3) a sostenere in sede europea il rispetto del sistema delle quote, funzionale al rafforzamento della solidarietà e della coesione tra i Paesi membri, già previsto dall'Agenda europea sulla migrazione, adottata il 13 maggio 2015 dalla Commissione europea;
4) a presentare con urgenza al Parlamento un nuovo piano delle azioni sul fronte dell'emergenza migratoria e della sicurezza che comprenda politiche di educazione alla conoscenza della lingua e della cultura italiane, politiche attive per l'impiego lavorativo nei periodi di accoglienza nei centri, nonché politiche di formazione professionale e prospettive occupazionali per i soggetti cui sia stato riconosciuto uno status adeguato alla permanenza nel Paese, seppur nel rispetto del principio di non discriminazione rispetto alla popolazione italiana;
5) ad assumere iniziative normative, anche urgenti, per riformare l’iter amministrativo del decreto legislativo n. 25 del 2008 disciplinante il riconoscimento dello status di rifugiato politico o di titoli equivalenti, per assicurare tempi di evasione delle procedure sensibilmente più celeri, nonché la relativa normativa processuale di contestazione delle decisioni della commissioni territoriali al fine di ottenere tempi ulteriormente ridotti rispetto alla disciplina di cui all'articolo 19 del decreto legislativo n. 150 del 2011, altresì prevedendo che la sospensione cautelare di cui all'articolo 5 del medesimo decreto legislativo possa essere disposta solo in presenza di fumus boni iuris;
6) ad organizzare il percorso di accoglienza dei rifugiati in strutture di limitate dimensioni, comunque non superiori, di norma, alle 150 presenze, secondo un principio di distinzione rispetto ai trattamenti previsti per i clandestini e di considerazione unitaria e globale del soggetto, privilegiando azioni di educazione alla conoscenza della identità culturale e civica italiana ed europea, nonché di formazione professionale e di avviamento al lavoro anche per periodi successivi al riconoscimento dello status di rifugiato ed equivalenti;
7) a privilegiare nell'individuazione dei gestori delle strutture i soggetti che dimostrino di avere le migliori progettualità e di raccordo con il territorio, anche all'uopo utilizzando le possibilità per le realtà non profit offerte dall'articolo 112 del decreto legislativo n. 50 del 2016, comunque assicurando la piena e severa applicazione delle cause di esclusione di cui all'articolo 80 del codice degli appalti, con particolare riferimento ai cosiddetti «requisiti morali»;
8) a comunicare ufficialmente al Parlamento, con cadenza semestrale, i dati concernenti gli afflussi e le rotte seguite dai migranti irregolari per giungere alle coste del nostro Paese, nonché lo stato e i tempi delle procedure amministrative di riconoscimento di status e delle procedure giurisdizionali di decisione sulle contestazioni di tali provvedimenti, unitamente ai dati riferibili ai tempi di permanenza in Italia e alla occupazione lavorativa dei rifugiati e assimilabili.
(1-01474) «Monchiero, Menorello, Mazziotti Di Celso, Dambruoso, Molea, Galgano, Vargiu, Matarrese, Oliaro, Quintarelli».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

   La Camera,
   premesso che:
    secondo i dati resi noti il 6 gennaio dall'Agenzia europea della Guardia di frontiera e costiera (Frontex), il numero di migranti arrivati in Europa, a causa delle gravi crisi sociali ed istituzionali che affliggono molti paesi africani ed asiatici, attraverso la rotta centro-mediterranea nel 2016 (181.000, +20 per cento rispetto al 2015) riflette una pressione migratoria crescente dall'Africa, in particolare quella occidentale (nell'ordine, Nigeria, Eritrea, Guinea, Costa d'Avorio, Gambia), a fronte del brusco calo registrato nella rotta balcanica (dai 764.000 arrivi del 2015 a 123.000 del 2016 grazie soprattutto all'accordo con la Turchia);
    dai dati resi noti dal Ministero dell'interno all'inizio del mese di gennaio 2017, infatti, risulta che in tutto il 2016 sono entrati in Italia 176.554 migranti, di cui larga parte (137.218) è ospitata nelle strutture temporanee, 23.822 nello Sprar (il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), 14.694 nei centri di prima accoglienza e 820 negli hot spot; nel 2015 solo il 58 per cento delle richieste avanzate dai profughi per ottenere titoli legittimanti è stato accolto, mentre appena il 5 per cento dei richiedenti ha avuto lo status di rifugiato;
    il Ministro della giustizia lo scorso 3 agosto ha reso noto che durante i primi cinque mesi del 2016, nei tribunali sono stati scritti ben 15.008 ricorsi, in materia di protezione internazionale, con un flusso in crescita di circa 3.500 nuovi ricorsi al mese. Le sedi giudiziarie con il maggior numero di iscrizioni sono quelle di Napoli e Milano, seguite da quella di Roma e di Venezia. Non appare altrettanto elevato il numero delle definizioni, che, nello stesso periodo, è stato di 985, e la percentuale di accoglimento si attesta al 6 per cento;
    va, infine, rilevato il sostanziale fallimento del sistema dei ricollocamenti, giacché dei 40 mila trasferimenti previsti in due anni dall'Italia verso altri Paesi europei dal piano Juncker, solo 2.654 sono stati effettivamente eseguiti, mentre per altre 1.394 richieste avanzate dall'Italia si attende ancora la decisione dello Stato membro destinatario;
    una politica di accoglienza che intenda rispettare tanto la dignità di ciascuna persona costretta a fuggire da gravi pericoli per la propria libertà o incolumità, quanto le fragili situazioni dei territori ospitanti deve fondarsi sulla capacità di proporre sufficiente conoscenza della cultura italiana e percorsi formativi, di lavoro anche socialmente utile, nonché occupazionali, che evitino esiti di sostanziale clandestinità per i profughi, terminata la permanenza nei centri di prima assistenza;
    la grave crisi demografica caratterizzante l'Europa e l'Italia – secondo cui, sulla base dei dati ISTAT vi sono regioni (ad esempio, il Friuli Venezia Giulia) in cui la popolazione inattiva è persino doppia di quella attiva – indica la necessità di aumentare i soggetti in impiego lavorativo per non compromettere l'equilibrio stesso del sistema sociale ed economico del paese;
    conseguentemente, anche sotto il profilo dell'interesse generale, le politiche di accoglienza dei migranti devono essere performate sulla base di politiche attive del lavoro che aumentino sensibilmente, per i rifugiati così come per la popolazione residente, l'incontro fra la domanda e offerta lavorative, nonché la creatività imprenditoriale;
    i percorsi di accoglienza – gravemente condizionati dalla necessità di far fronte a una esponenziale emergenza dell'ondata migratoria in corso – sono allo stato organizzati allo scopo di assicurare preventivamente l'ospitalità fisica ai profughi;
    le strutture utilizzate, per dimensioni e per qualità media delle attività ivi praticate, appaiono per lo più incongrue ai fini di assicurare la pluralità di fattori che necessariamente consentono apprezzabili risultati, sotto i profili della sicurezza, dell'educazione linguistica e culturale, della formazione professionale, dell'impegno lavorativo e delle prospettive occupazionali successive;
    i percorsi educativo-lavorativi auspicati risultano altresì negativamente condizionati dal permanere di una marcata carenza di iniziative nel periodo successivo al riconoscimento dello status di rifugiato ed equivalenti, cosicché va registrato il fenomeno per cui, una volta usciti dalle strutture di prima assistenza a seguito dell'accoglimento della domanda di asilo o simile, il profugo si trova privo di riferimenti sociali, trovandosi di fatto in una situazione equiparabile a quella di «senza fissa dimora», se non addirittura di mendicanza, con grave pregiudizio per la persona interessata, nonché per il territorio interessato;
    l'attività nelle strutture di prima accoglienza è inoltre ostacolata dal permanere per un periodo di tempo eccessivamente lungo di persone non aventi i requisiti per ottenere lo status di rifugiati, e ciò sia a causa del tempo medio occorrente per riscontrare le istanze ex decreto legislativo n. 25 del 2008, sia per l'eccessivo protrarsi, mediamente biennale, dei procedimenti giurisdizionali proposti (sovente pretestuosamente) contro i dinieghi alle medesime domande di asilo, nonostante l'opposto teorico tenore dell'articolo 19 del decreto legislativo n. 150 del 2011;
    il problema dei cosiddetti «dublinanti» rende ancor più complesso un sufficiente risultato di integrazione dei rifugiati, in quanto molti profughi che hanno già avuto il diniego in un altro Stato membro arrivano in Italia, perché di norma decorrono inutilmente i termini per realizzare il trasferimento nel paese europeo in cui è stato emanato il primo diniego, cosicché questi stessi possono avviare un nuovo iter, aggravando ulteriormente (in taluni casi nel nord anche per ben il 40 per cento) le già sofferenti strutture di accoglienza;
    il raccordo con le politiche del lavoro risulta non solo ancora troppo trascurato nella programmazione dei servizi di accoglienza, ma è stato anche penalizzato, persino sotto il profilo della imputabilità istituzionale, dal precario quadro normativo che, da tempo, caratterizza le province, in numerose regioni preposte a tali competenze;
    il problema dei flussi migratori coinvolge l'Europa intera deve considerarsi prioritario nell'agenda comunitaria, benché in occasione dell'ultimo Consiglio europeo tenutosi lo scorso 15 dicembre, pochi ed ancora non risolutivi passi in avanti siano stati compiuti verso una soddisfacente gestione dei flussi migratori nella loro dimensione interna ed esterna; in tal senso, molto resta ancora da fare per il pieno recepimento della proposta italiana e per un impatto significativo e capillare nella cooperazione Unione europea-Africa e nei flussi migratori;
     i processi di integrazione possono risultare di maggiore efficacia rispetto a quanto sin qui conseguito, qualora il profugo non si trovi in gruppi eccessivamente numerosi, potendosi, sul punto, ipotizzare un obiettivo di ragionevole standard nell'ordine di 2,5 migranti ogni 1000 abitanti;
    detti processi debbono sensibilmente prevedere non solo politiche di prima assistenza e di sicurezza, ma in misura significativamente maggiore anche politiche educative, di formazione professionale, di impiego lavorativo sin dalla fase di prima accoglienza (lavori socialmente utili et similia), nonché di introduzione a ipotesi occupazionali per i periodi successi all'ottenimento dello status di rifugiato o simili;
    tali risultati possono essere favoriti da riforme amministrative e processuali che diminuiscano i tempi per l'evasione delle istanze di asilo e dei relativi ricorsi giurisdizionali, al fine di evitare una permanenza nei centri profughi senza una apprezzabile prospettiva di permanenza legale in Italia, nonché da iniziative di politica estera e comunitaria che rendano effettivi i provvedimenti di espulsione;
    gli obbiettivi di reale integrazione non possono prescindere da migliori criteri di selezione dei soggetti gestori delle strutture di accoglienza, affinché essi assicurino una più adeguata attenzione alle persone ospitate per tutti i profili sopra nominati, nonché il necessario rispetto e interrelazione con il territorio ospitante, di conseguenza necessitando una netta cesura con le criticità che troppo sovente hanno contraddistinto gestioni attuali e del recente passato;
    da diverse notizie di stampa si apprende che per accelerare le procedure delle domande d'asilo e semplificare la governance, sarebbe stato trasmesso in queste settimane alla Presidenza del Consiglio dei ministri un disegno di legge organico, preparato dal Ministero della giustizia e già annunciato dal Ministro,

impegna il Governo:

1) a promuovere in sede europea tutte le iniziative necessarie al completo recepimento delle proposte contenute nel cosiddetto Migration compact, al fine di ridurre i flussi anche lungo la rotta mediterranea attraverso nuove intese con i Paesi d'origine e di transito, in particolare quelli africani, da finanziare con strumenti innovativi come i bond Unione europea-Africa;
2) a promuovere in sede europea iniziative finalizzate al controllo comune dei confini e delle rotte marittime e alla collaborazione sul fronte della lotta al crimine internazionale e della tutela dei diritti umani, nonché a ridurre drasticamente la possibilità di migrare da un Paese all'altro dopo aver ricevuto un diniego alla permanenza in uno Stato membro;
3) a sostenere in sede europea il rispetto del sistema delle quote, funzionale al rafforzamento della solidarietà e della coesione tra i Paesi membri, già previsto dall'Agenda europea sulla migrazione, adottata il 13 maggio 2015 dalla Commissione europea;
4) a presentare con urgenza al Parlamento un nuovo piano delle azioni sul fronte dell'emergenza migratoria e della sicurezza che comprenda politiche di educazione alla conoscenza della lingua e della cultura italiane, politiche attive per l'impiego lavorativo nei periodi di accoglienza nei centri, nonché politiche di formazione professionale e prospettive occupazionali per i soggetti cui sia stato riconosciuto uno status adeguato alla permanenza nel Paese, seppur nel rispetto del principio di non discriminazione rispetto alla popolazione italiana;
5) ad assumere iniziative normative, anche urgenti, per riformare l’iter amministrativo del decreto legislativo n. 25 del 2008 disciplinante il riconoscimento dello status di rifugiato politico o di titoli equivalenti, per assicurare tempi di evasione delle procedure sensibilmente più celeri, nonché la relativa normativa processuale di contestazione delle decisioni della commissioni territoriali al fine di ottenere tempi ulteriormente ridotti rispetto alla disciplina di cui all'articolo 19 del decreto legislativo n. 150 del 2011;
6) ad organizzare il percorso di accoglienza dei rifugiati in strutture di limitate dimensioni;
7) a privilegiare nell'individuazione dei gestori delle strutture i soggetti che dimostrino di avere le migliori progettualità e di raccordo con il territorio;
8) a comunicare ufficialmente al Parlamento, con cadenza semestrale, i dati concernenti gli afflussi e le rotte seguite dai migranti irregolari per giungere alle coste del nostro Paese, nonché lo stato e i tempi delle procedure amministrative di riconoscimento di status e delle procedure giurisdizionali di decisione sulle contestazioni di tali provvedimenti, unitamente ai dati riferibili ai tempi di permanenza in Italia e alla occupazione lavorativa dei rifugiati e assimilabili.
(1-01474)
(Testo modificato nel corso della seduta)  «Monchiero, Menorello, Mazziotti Di Celso, Dambruoso, Molea, Galgano, Vargiu, Matarrese, Oliaro, Quintarelli».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

Gestione da parte della Protezione civile delle donazioni in favore delle popolazioni del Centro Italia colpite da eventi sismici – 3-02699

   CASTELLI, LUIGI DI MAIO, CASO, MASSIMILIANO BERNINI, TERZONI, CARIELLO e D'INCÀ. – Al Ministro per i rapporti con il Parlamento. – Per sapere – premesso che:
   gli eventi sismici del 24 agosto 2016 e quelli successivi del 26 e del 30 ottobre del 2016 hanno devastato il Centro Italia, distruggendo i paesi di Amatrice, Accumoli e Pescara del Tronto, provocando ingenti danni in tutta la zona e causando la drammatica realtà di 299 vittime;
   l'economia della zona è stata messa a dura prova dal terremoto: con il crollo di ristoranti e negozi, il microsistema delle aziende zootecniche è ora fortemente compromesso, poiché sia le grandi aziende (con cento capi), che le medie (quaranta/cinquanta capi), fino alle piccole aziende, sono in difficoltà, così come è in difficoltà l'intera filiera che, partendo dalla terra, arrivava sulla tavola e coinvolgeva lo stesso settore turistico;
   il dipartimento della protezione civile ha aperto un conto corrente bancario per raccogliere donazioni in favore delle popolazioni colpite sia dal sisma del 24 agosto 2016 che dai terremoti del 26 e del 30 ottobre 2016;
   come disposto dall'ordinanza n. 391 del 2016, le risorse raccolte dovrebbero essere riversate, al termine della raccolta fondi, al conto infruttifero di tesoreria n. 22330, aperto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri presso la tesoreria centrale dello Stato, e dovrebbero venire gestite secondo le modalità previste dal protocollo d'intesa per l'attivazione e la diffusione di numeri solidali;
   secondo quanto riportato sul sito della protezione civile, la prima raccolta fondi, promossa in seguito al terremoto del 24 agosto 2016 e chiusa il 9 ottobre 2016, avrebbe raccolto oltre 15 milioni di euro e con la seconda attivazione del numero solidale, a seguito alle scosse del 26 e del 30 ottobre 2016, sarebbero stati raccolti, al 30 novembre 2016, 4.415.294,00 euro;
   il 31 dicembre 2016 è stato attivato, per la terza volta, il numero solidale 45500, grazie al quale è possibile donare 2 euro inviando un sms o chiamando da rete fissa;
   sempre secondo il sito della protezione Civile:
    a) «al 10 gennaio 2016, tramite bonifici su conto corrente intestato al dipartimento, sono stati raccolti 7.951.679,24 euro»;
    b) «tramite il numero solidale 45500 riattivato il 31 dicembre 2016, sono stati raccolti 1.029.200,00 euro» –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se non intenda chiarire al più presto e in modo dettagliato in che modo tali fondi, raccolti per il terremoto, siano stati o verranno realmente utilizzati per rispondere alle urgenti necessità delle popolazioni coinvolte. (3-02699)


Elementi ed iniziative in merito alle notizie relative all'ipotesi di una manovra correttiva a seguito di rilievi avanzati dalla Commissione europea – 3-02700

   BRUNETTA, ALBERTO GIORGETTI e LAFFRANCO. – Al Ministro dell'economia e delle finanze – Per sapere – premesso che:
   gli interroganti esprimono grande preoccupazione per la notizia diffusa il 16 gennaio 2017, non smentita, secondo la quale la Commissione europea avrebbe chiesto al Governo italiano di aggiustare in tempi brevi i conti pubblici. Attraverso una lettera inviata la scorsa settimana, la Commissione europea avrebbe infatti comunicato all'Esecutivo che servono circa 3,4 miliardi di euro, ovvero una manovra bis che vale lo 0,2 per cento del prodotto interno lordo, per evitare una procedura di infrazione sul deficit;
   questa cattiva notizia, che purtroppo il gruppo Forza Italia aveva denunciato, inascoltato, nell'autunno 2016, arriva in un momento particolarmente difficile per l'economia italiana. Basti pensare alla crisi del sistema bancario, con l'approvazione del decreto-legge del dicembre 2016 per salvare gli istituti a rischio fallimento, e a quanto dichiara in questi giorni il Fondo monetario internazionale: il Fondo monetario internazionale lima le stime di crescita per l'Italia per il 2017 e il 2018; il prodotto interno lordo crescerà nel 2017 dello 0,7 per cento, 0,2 punti percentuali in meno rispetto alle stime di ottobre 2016. Nel 2018 la crescita sarà dello 0,8 per cento, 0,3 punti percentuali in meno rispetto alle precedenti stime;
   il Presidente del Consiglio dei ministri, Paolo Gentiloni, avrebbe confidato nei contatti informali di queste ore, che «l'Italia non ha alcuna intenzione di aprire guerre con nessuno», ma, al tempo stesso, non ha alcuna intenzione di ipotizzare manovre, manovrine o aggiustamenti;
   ad ogni modo, al di là delle trattative in sede europea che sembrano già essere avviate, il Ministro interrogato ha il dovere di fare luce sulla vicenda, chiarendo innanzitutto i contenuti della lettera, se è vero che l'Italia rischia la procedura di infrazione e, in tal caso, specificando gli intendimenti del Governo a tal proposito –:
   se il Ministro interrogato intenda confermare la notizia dell'arrivo della lettera richiamata in premessa e di una possibile procedura di infrazione nei confronti dell'Italia e chiarire lo stato dei conti pubblici, specificando se si renda necessaria una manovra correttiva e, più in generale, quali iniziative intenda adottare per coprire il deficit strutturale di circa 3,4 miliardi di euro e quali risorse intenda utilizzare per coprire l'eventuale manovra. (3-02700)


Iniziative volte a rafforzare la tutela degli asset strategici del nostro Paese – 3-02701

   LUPI, TANCREDI e GAROFALO. – Al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:
   sin dal caso dell'acquisizione di Parmalat da parte della francese Lactalis (marzo-luglio 2011) risulta con evidenza che aziende italiane di importanti settori dell'economia sono oggetto di una forte attenzione da parte di gruppi economici stranieri, che operano con obiettivi di acquisizione e controllo;
   non si disconosce la rilevante importanza, per il nostro Paese, dell'apporto dei capitali esteri, sia come significativo contributo alla crescita economica e all'occupazione, sia come segnale della fiducia degli investitori internazionali. Taluni aspetti di queste scalate azionarie mettono comunque in luce una problematica che dovrebbe essere valutata e risolta;
   appare importante agli interroganti rilevare come alcuni asset strategici del nostro Paese vadano tutelati, come peraltro è previsto anche negli ordinamenti di altri Stati dell'Unione europea, quale quello francese;
   pur nella diversità dei vari contesti, le metodologie di scalata di questi asset sembrano seguire un copione prestabilito: rastrellamento di azioni, intese e acquisizioni strategiche, manovre di borsa con l'obiettivo di affossare o gonfiare, a seconda delle esigenze, il valore del titolo; se necessario, lancio dell'offerta pubblica di acquisto e, conclusivamente, acquisizione. La Borsa appare sempre più non come il luogo dove le imprese si finanziano, ma come il luogo dove si può perdere il controllo della propria impresa, senza che sia possibile intervenire, a causa della preponderante potenza finanziaria della controparte;
   oltre Parmalat, l'aggressività del capitalismo francese è venuta di recente allo scoperto con i casi di Telecom e Mediaset, a parere degli interroganti oggetto di scalata per aver chiesto al colosso Vivendi il rispetto di un accordo su Mediaset premium sottoscritto ad aprile 2016 e disdetto unilateralmente a luglio 2016;
   altro asset strategico che appare oggetto di attenzione è Assicurazioni generali, la cui ventilata acquisizione da parte del colosso assicurativo francese Axa appare avere conseguenze imprevedibili: Generali, infatti, detiene nelle sue riserve circa 70 miliardi di euro di titoli di Stato, è socio forte di Monte dei Paschi di Siena assieme ad Axa stessa e la sua eventuale acquisizione potrebbe comportare decine di migliaia di esuberi –:
   se non ritenga opportuno introdurre con urgenza disposizioni volte a rafforzare la tutela degli asset strategici del nostro Paese, sul modello di quanto già previsto in altri Paesi dell'Unione europea, fornendo, peraltro, ulteriori informazioni sulla vicenda Axa-Generali. (3-02701)


Iniziative di competenza in ordine alla vicenda del pilota Mario Ciancarella e alla restituzione al medesimo del grado e dell'onore militare – 3-02702

   FAVA, SCOTTO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO e ZARATTI. – Al Ministro della difesa. – Per sapere – premesso che:
   Mario Ciancarella, al momento della strage di Ustica capitano pilota dell'Aeronautica militare e leader del Movimento democratico dei militari, fu radiato dal corpo nel 1983, con un decreto recante la falsa firma del Presidente Sandro Pertini, come accertato dal tribunale civile di Firenze;
   il capitano Ciancarella aveva rivelato di aver ricevuto una confidenza dal maresciallo Mario Alberto Dettori, radarista a Poggio Ballone la notte della strage di Ustica, secondo il quale la responsabilità dell'abbattimento del Dc dell'Itavia era italiana;
   Ciancarella è stato un capitano dell'Aeronautica scomodo sia per la cultura democratica che cercava di presidiare e diffondere nelle Forze armate a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, sia per il suo conseguente impegno concreto alla ricerca della verità sulla vicenda di Ustica;
   appare evidente che la radiazione, attraverso il macroscopico e gravissimo falso della firma presidenziale, fu un tentativo per isolare e mettere a tacere il capitano Ciancarella sulla vicenda di Ustica –:
   se il Ministro interrogato non intenda rimuovere ogni ostacolo alla richiesta già avanzata dai legali di Mario Ciancarella affinché gli vengano restituiti immediatamente grado e onore militare. (3-02702)


Elementi ed iniziative in merito agli sviluppi del contesto in cui operano i militari italiani nella regione libica della Tripolitania – 3-02703

   GIANLUCA PINI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PAGANO, PICCHI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. – Al Ministro della difesa. – Per sapere – premesso che:
   il nostro Paese appoggia il tentativo intrapreso con l'appoggio delle Nazioni Unite dal Premier Fayez al Sarraj di dar vita ad un Governo di accordo nazionale inclusivo e rappresentativo di tutte le componenti della Libia;
   tra le misure adottate dal Governo per contribuire al successo del tentativo di Sarraj vi è anche l'invio di alcune quote di personale militare del nostro Paese, la maggior parte delle quali si trova a Misurata, dove l'Esercito italiano gestisce un presidio sanitario e concorre a rafforzare le milizie locali, fortemente indebolitesi durante il lungo confronto che le ha opposte alle articolazioni libiche del sedicente Stato islamico a Sirte;
   parrebbero peraltro operare in Libia anche quote di forze speciali nazionali, che attualmente garantirebbero anche la protezione degli immobili utilizzati dal Premier del Governo di accordo nazionale libico, con cui è stata recentemente raggiunta anche un'intesa per il controllo dei flussi migratori;
   il Governo di Sarraj è stato tuttavia sfidato nuovamente dal capo del vecchio Esecutivo tripolino «di salvezza nazionale», Khalifa al Ghwell, legato alla Fratellanza musulmana e alla medesima città di Misurata, che ha proferito parole pesanti nei confronti del nostro Paese, minacciando anche i militari italiani rischierati sul terreno;
   a dispetto delle rassicurazioni fornite dall'ambasciatore d'Italia a Tripoli, Giuseppe Perrone, vi è quindi fondato motivo di ritenere a rischio la posizione dell'ospedale italiano da campo a Misurata e della sua scorta militare;
   il tutto accade mentre il generale Khalifa Haftar, appoggiato dall'Egitto e ora anche dalla Federazione russa, consolida la propria posizione in Cirenaica e riceve proposte politiche d'intesa dallo stesso Ghwell;
   in altre parole, a parere degli interroganti, sarebbero venuti meno i presupposti politici che garantivano la sicurezza del contingente militare italiano in Libia –:
   quali misure il Governo intenda assumere nel caso in cui la situazione in Tripolitania dovesse precipitare e se, in particolare, siano allo studio piani di evacuazione o eventuale rischieramento in altre zone della Libia dei soldati italiani attualmente basati a Misurata. (3-02703)


Misure a favore del comparto agricolo in relazione alla recente ondata di maltempo – 3-02704

   MURGIA, RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, GIORGIA MELONI, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO, TAGLIALATELA e TOTARO. – Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. – Per sapere – premesso che:
   l'eccezionale ondata di maltempo che sta attraversando il nostro Paese potrebbe costare al sistema agricolo oltre un miliardo di euro;
   secondo la fotografia scattata dalla Cia-Agricoltori italiani l'agricoltura è in ginocchio, se non azzerata, in molte zone del Sud, con migliaia di capi di bestiame ammalati o deceduti a causa del gelo e numerose difficoltà anche nei trasporti;
   nei territori del Centro Italia, già devastati dal sisma, in un territorio a prevalente economia agricola e con una significativa presenza di allevamenti di bovini e pecore, la situazione è drammatica: migliaia di ettari di verdure pronte per la raccolta bruciate dal gelo, serre danneggiate o distrutte sotto il peso della neve, animali morti, dispersi e senz'acqua perché sono gelate le condutture, ma anche aziende e stalle isolate che non riescono a consegnare il latte quotidiano e le verdure;
   ad oggi, a causa del complesso iter burocratico e dei ritardi accumulati, si stima che siano state realizzate appena il 15 per cento delle strutture di protezione degli animali e gli allevatori non sanno ancora dove ricoverare mucche, maiali e pecore, costretti a stare fuori al freddo, con il rischio di ammalarsi e morire, o nelle strutture pericolanti;
   sono centinaia, infatti, gli animali non ancora adeguatamente ricoverati nelle stalle a causa delle mancate promesse del Governo che, dopo mesi, ancora non ha fatto arrivare i moduli necessari –:
   quali urgenti provvedimenti il Governo intenda adottare per intervenire con rapidità ed efficienza al fine di evitare il collasso del sistema agricolo nazionale, attraverso lo stanziamento di risorse straordinarie, commisurate all'entità dei danni che si stanno registrando. (3-02704)


Iniziative normative in materia di riacquisto della cittadinanza italiana – 3-02705

   FITZGERALD NISSOLI. – Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. – Per sapere – premesso che:
   la legge 5 febbraio 1992, n. 91, all'articolo 17, regola i termini per il riacquisto della cittadinanza italiana;
   il termine inizialmente fissato di due anni per tale richiesta è stato prorogato per ben due volte, con la legge 22 dicembre 1994, n. 736, e successivamente, con l'articolo 2, comma 195, della legge 23 dicembre 1996, n. 662;
   dopo l'ultima proroga, scaduta il 31 dicembre 1997, non è più stato possibile riacquistare la cittadinanza, se non stabilendo la residenza sul territorio nazionale per almeno un anno;
   bisogna registrare che vi è stata una scarsa informazione diretta verso le comunità italiane all'estero, per cui molti aventi diritto non hanno usufruito del periodo di proroga;
   il testo di modifica della legge sulla cittadinanza votato dalla Camera dei deputati ma ancora all'esame del Senato della Repubblica, introdurrebbe, se definitivamente approvato, lo ius culturae e lo ius soli temperato, ma non contempla i casi di cittadini italiani, nati in Italia, che recatisi all'estero abbiano perso la cittadinanza, persone di chiara cultura italiana;
   vi è un'esigenza diffusa, dettata da motivazioni identitarie, di poter riacquistare la cittadinanza italiana tramite richiesta al consolato di riferimento, senza dover risiedere un anno in Italia, impossibile per chi lavora ed ha famiglia all'estero;
   in seguito ai cambiamenti avvenuti sul piano giuridico all'interno di Paesi di emigrazione italiana, i nostri già concittadini possono avere la doppia cittadinanza e, quindi, fare richiesta per il riottenimento di quella italiana; si tratta di Paesi con l'Italia cui intrattiene ottimi rapporti di amicizia e cooperazione, come gli Stati Uniti d'America;
   gli italiani all'estero rappresentano una risorsa importante, in termini di rete, per il nostro sistema-Paese –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato per venire incontro alle esigenze di questi italiani di fatto che chiedono di riacquistare la cittadinanza italiana facendone espressa richiesta al consolato competente, senza dover soggiornare un anno sul territorio italiano. (3-02705)


Linee di politica estera in relazione agli appuntamenti internazionali del 2017 – 3-02706

   QUARTAPELLE PROCOPIO, CARROZZA, CASSANO, CAUSI, CENSORE, CHAOUKI, CIMBRO, GIANNI FARINA, FEDI, GARAVINI, LA MARCA, MANCIULLI, MONACO, NICOLETTI, PORTA, RIGONI, ANDREA ROMANO, SERENI, SPERANZA, TACCONI, TIDEI, ZAMPA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. – Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. – Per sapere – premesso che:
   l'anno che si è appena aperto si presenta particolarmente impegnativo per la diplomazia italiana;
   dal 1o gennaio e fino al 31 dicembre 2017 l'Italia siederà come membro non permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, insieme a Paesi quali Svezia, Bolivia, Etiopia, Kazakistan, Egitto, Giappone, Senegal, Ucraina e Uruguay. Il Consiglio di sicurezza si troverà a gestire dossier di particolare delicatezza, come il contrasto al Daesh in Siria e Iraq, nonché il processo di pacificazione e riconciliazione nazionale in Libia, in Siria e in Yemen. Il tutto dentro un contesto internazionale necessariamente mutato dalla nuova amministrazione che sta per insediarsi alla Casa Bianca;
   sempre nel 2017 l'Italia avrà la presidenza del G7 che culminerà con l'incontro dei Capi di Stato e di Governo dei Paesi membri a Taormina il 27 e 28 maggio 2017. La scelta del luogo, la Sicilia, l'isola che rappresenta la prima frontiera per l'arrivo dei migranti dall'Africa, carica questo appuntamento di rilevanti aspettative riguardo il governo dei flussi migratori. Sarà inoltre il primo evento internazionale multilaterale per il neoeletto Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump;
   non sono infine da trascurare il ruolo che svolgerà l'Italia all'interno dell'Osce nel 2017, anno in cui presiederà il gruppo di contatto sul Mediterraneo, e gli appuntamenti relativi alla politica estera dell'Unione europea con la presidenza del cosiddetto «processo di Berlino sui Balcani occidentali» e, sempre sul fronte europeo, il Consiglio europeo straordinario del 25 marzo 2017 a Roma per le celebrazioni dei 60 anni della firma dei trattati istitutivi della Comunità europea –:
   quali siano le priorità che il Governo italiano intende inserire tra le conclusioni del G7 di maggio 2017 e su quali obiettivi diplomatici intenda concentrare la propria azione come membro non permanente del Consiglio di sicurezza dell'Onu, nonché negli altri ambiti della politica internazionale che vedono il nostro Paese chiamato a rilevanti ruoli di direzione. (3-02706)


Iniziative nei confronti delle autorità egiziane affinché sia fatta piena luce sulla vicenda della scomparsa e della morte di Giulio Regeni – 3-02707

   LOCATELLI. – Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. – Per sapere – premesso che:
   un anno fa, il ricercatore Regeni, dottorando a Cambridge, impegnato in uno studio sui sindacati egiziani, dopo essere scomparso al Cairo, nella notte del 25 gennaio 2016, venne ritrovato cadavere in un fosso pochi giorni dopo, il 3 febbraio 2016, lungo la strada che porta ad Alessandria, a venti chilometri dal centro della città;
   in un primo momento, le autorità del Cairo hanno tentato di accreditare una serie di versioni false sulla morte: dall'incidente stradale al rapimento per furto da parte di una banda di criminali comuni, conclusasi con l'omicidio. L'autopsia eseguita a Roma ha, invece, confermato che il giovane è stato seviziato e torturato e che il decesso è avvenuto dopo una lunga e straziante agonia per le torture che gli erano state inflitte;
   ai tentativi di depistaggio, agli omissis e agli ostacoli spesso frapposti dalle stesse autorità egiziane, alla reticenza ingiustificabile degli stessi docenti di Cambridge, in particolare della sua tutor, che non hanno voluto incontrare i magistrati italiani, si è aggiunta recentemente la testimonianza di Mohamed Abdallah, sindacalista degli ambulanti del Cairo oggetto di studio da parte di Regeni, il quale ha dichiarato di essere autore della denuncia del ricercatore italiano ai servizi di sicurezza ritenendolo una spia;
   il Governo egiziano e lo stesso presidente Al Sisi continuano a negare qualsiasi responsabilità, ma lasciano intendere che al massimo si sarebbe trattato di un crimine compiuto da non meglio indicati servizi segreti deviati per colpire la credibilità dell'Egitto sul piano internazionale e i rapporti con l'Italia;
   la collaborazione degli inquirenti italiani con la magistratura egiziana, fin qui proseguita a singhiozzo e non per volontà italiana, non ha prodotto sostanziali passi avanti e manca ancora una spiegazione credibile di quello che a tutti gli effetti può e deve essere classificato come un rapimento e un delitto di Stato contro un giovane senza alcuna colpa –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere nei confronti delle autorità egiziane affinché sia fatta luce sulle circostanze della scomparsa e della morte di Regeni, vengano assicurati alla giustizia i responsabili e venga garantito il rispetto dovuto all'Italia, in particolare se, ad un anno dal richiamo dell'ambasciatore Massari e dalla successiva nomina di Cantini, il Governo intenda riconsiderare l'opportunità del ritorno dell'ambasciatore in sede, allora richiamato come forma di protesta nei confronti delle autorità egiziane, per esercitare da vicino tutte le pressioni possibili per arrivare alla verità.
(3-02707)


Orientamenti del Governo in merito al completamento dell'autostrada A33 Asti-Cuneo, anche in ordine ai cronoprogrammi comparativi relativi ai tre tracciati allo studio – 3-02708

   RABINO, FRANCESCO SAVERIO ROMANO, VEZZALI, PARISI e SOTTANELLI. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   l'autostrada A33, Asti-Cuneo, pensata decenni fa, intrapresa su iniziativa dell'Anas, successivamente affidata ad una società concessionaria compartecipata, con quota di minoranza, dal medesimo ente, è rimasta incompiuta per la mancata realizzazione di due lotti centrali, 2.5 e 2.6, ed è concretamente inutilizzabile;
   con le conferenze dei servizi, svoltesi il 14 marzo e il 19 aprile 2012, venne concordata tra enti locali, concessionario ed Anas una sostanziale modifica al lotto 2.5, che riduceva sensibilmente il costo dell'opera, ma da allora nessun atto concreto è stato compiuto;
   quella che lo stesso Ministro interrogato ha definito «l'ennesima incompiuta», attende – monca – la costruzione dei due lotti mancanti in corrispondenza della città di Alba che la renderebbero totalmente percorribile e fruibile da un numero di veicoli certamente superiore a quello attuale e che oggi risulta ovviamente scarso rispetto alle attese del concessionario, proprio a causa dell'incompiutezza dell'infrastruttura;
   il tracciato mancante dovrà inoltre collegare all'autostrada il costruendo ospedale di Verduno, che servirà i cittadini dell'area;
   la mancata realizzazione dell'opera è stata oggetto di reiterati atti di sindacato ispettivo, l'ultimo risalente al 26 ottobre 2016 quando il Governo, rispondendo proprio ad un'interrogazione a risposta immediata in Assemblea, garantì che il Ministero stava lavorando a tre ipotesi risolutive, da presentare entro il mese di dicembre 2016 al territorio per una condivisione corale degli obiettivi, dei costi, delle modalità operative;
   entro il 31 dicembre 2016 dovevano essere presentati i cronoprogrammi comparativi relativi ai tre tracciati allo studio: quello con galleria a due canne, quello ad una canna sola e quello senza galleria –:
   se le tre soluzioni con i relativi cronoprogrammi siano state vagliate dai tecnici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e quali siano gli orientamenti del Governo in merito al completamento dell'autostrada. (3-02708)


Iniziative di competenza, anche presso Trenitalia, al fine di includere il territorio dell'Umbria nel sistema dell'alta velocità ferroviaria – 3-02709

   GALGANO. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   la situazione del trasporto ferroviario umbro è critica. La regione è, infatti, una delle più penalizzate d'Italia. Tra le tante cause, solo a titolo di esempio, ci sono il ritardo cronico dei lavori relativi al raddoppio del tratto Spoleto-Campello del Clitunno, dieci chilometri per diciassette anni di lavori non ancora completati, e il mancato raddoppio della linea Spoleto-Terni che generano ritardi consistenti, costringendo i treni a fermarsi a causa del binario unico;
   le criticità del trasporto ferroviario locale si ripercuotono pesantemente sulla qualità della vita dei cittadini, sull'economia e sul turismo che, in Umbria, rappresenta una delle risorse portanti dell'economia locale e che sta attraversando una crisi importante, con le prenotazioni che sono crollate anche nelle aree che non hanno risentito per nulla dei danni causati dal terremoto. La difficoltà a raggiungere la regione con il treno è, infatti, una delle cause che disincentivano i turisti a venire in Umbria ma anche le aziende ad investire sul territorio;
   è evidente, quindi, come il collegamento all'alta velocità abbia un interesse strategico per l'Umbria. È, infatti, uno strumento indispensabile per rompere l'isolamento della regione verso l'esterno e, soprattutto, verso Milano ed il Nord del Paese e non si possono aspettare i tempi, che si immaginano biblici, visti i precedenti interventi sulle linee umbre, per la costruzione di una stazione in Toscana, a 50 chilometri da Perugia. L'alta velocità è, inoltre, di fondamentale importanza anche per la scelta delle sedi universitarie, in parte dipendenti dai servizi ferroviari offerti;
   tra le soluzioni di immediata attuazione per permettere all'Umbria di disporre dell'alta velocità e di un collegamento diretto con Milano c’è la possibilità di far partire da Perugia o da Foligno, arretrandolo da Arezzo, il Frecciarossa delle ore 6.11 che permetterebbe di raggiungere la stazione di Milano centrale in poco più di tre ore contro le oltre cinque attuali. Stessa misura si dovrebbe prevedere con il Frecciarossa delle 19.30 in partenza da Milano centrale che potrebbe prolungare la corsa fino a Perugia Fontivegge o Foligno, invece che fermarsi ad Arezzo –:
   se il Governo intenda intervenire, per quanto di competenza, anche presso Trenitalia, per favorire la soluzione appena prospettata, nonché, più in generale, per favorire la possibilità per l'Umbria di avvalersi dell'alta velocità e migliorare la disastrosa situazione del trasporto ferroviario locale. (3-02709)


COMUNICAZIONI DEL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA SULL'AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA, AI SENSI DELL'ARTICOLO 86 DEL REGIO DECRETO 30 GENNAIO 1941, N. 12, COME MODIFICATO DALL'ARTICOLO 2, COMMA 29, DELLA LEGGE 25 LUGLIO 2005, N. 150

Risoluzioni

   La Camera,
    udite le comunicazioni del Ministro della giustizia sull'amministrazione della giustizia, ai sensi dell'articolo 86 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come modificato dall'articolo 2, comma 29, della legge 25 luglio 2005, n. 150, le approva.
(6-00282) «Verini, Marotta, Dambruoso, Piepoli, Di Lello, Locatelli, Alfreider».


   La Camera,
   premesso che:
   udite le comunicazioni e preso atto della relazione presentata dal Ministro della giustizia, ai sensi dell'articolo 86 del regio decreto 3 gennaio 1941, n. 12, come modificato dall'articolo 2, comma 29, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150;
    relativamente alla materia dell'ordinamento giudiziario, soggetta ad una riserva di legge, sancita dalla Costituzione, posta a salvaguardia del principio di separazione dei poteri ed in particolare dell'indipendenza del potere giudiziario da quello esecutivo, il reiterato ricorso da parte del Governo all'utilizzo dello strumento del decreto-legge – i cui requisiti di necessità e urgenza raramente si configurano – desta notevoli perplessità, in quanto i limitatissimi tempi del procedimento parlamentare di conversione di un decreto-legge non sono idonei a garantire un'adeguata discussione e ponderazione dei delicati interessi in conflitto. È necessario che le misure d'iniziativa governativa relative alla giustizia debbano sempre essere sottoposte all'esame del Parlamento nelle forme ordinarie, in quanto l'abuso dello strumento del decreto-legge, oltre che di dubbia costituzionalità sotto il profilo del metodo, ha avuto un impatto assolutamente negativo sul duplice fronte della garanzia del diritto all'accesso per il cittadino alla giustizia e dell'effettività della certezza della pena per i condannati;
    la rapidità dell'accertamento delle responsabilità penali e la predisposizione di norme e riforme anche strutturali tali da garantire la certezza del diritto e la certezza della pena, idonee tra l'altro a garantire la conclusione dei processi prima del decorso del termine prescrizionale, e quindi l'efficientamento dell'intero sistema giudiziario e lo snellimento delle regole procedurali dei processi, sia penali sia civili, debbono necessariamente rappresentare una priorità dell'azione governativa;
    il settore della giustizia – al contrario – nel corso degli ultimi anni, non è stato oggetto di alcuna incisiva riforma strutturale, relativamente ad un disegno strategico e organico di rilancio della sua funzionalità, ma anzi è stato sottoposto a disomogenei interventi, in particolare sul piano civile, che, lungi dall'apportare reali benefici, ne hanno, invece, concretamente limitato la funzionalità e l'efficacia. Laddove qualsiasi intervento che incida sugli ordinamenti deve essere subordinato all'indispensabile erogazione delle risorse per il completamento degli organici ed all'adeguamento di strumenti e strutture;
    in particolare, al sistema giustizia non serve una nuova, ennesima, riforma del codice di procedura civile, ma solo degli aggiustamenti; approvare una riforma significa tornare indietro, giacché ormai la giurisprudenza si è stabilizzata e bisogna dare sicurezza agli operatori del diritto;
    il sistema giustizia ha infatti subito progressivamente modifiche legislative del quadro normativo sul piano delle politiche finanziarie, delle politiche delle risorse umane delle dotazioni infrastrutturali, tali da generare un sistema del tutto asfittico (costante il decremento nell'ultimo decennio delle spese del dicastero, dall'1,57 per cento all'1, 28 per cento rispetto alle spese finali dello Stato) che risente ulteriormente dei tagli al Ministero della giustizia disposti dal precedente Governo per il triennio 2016-2018, pari a complessivi 75 milioni di euro, cui vanno ad aggiungersi gli ulteriori 30 milioni disposti dalla vigente legge di bilancio;
    negli ultimi anni, in assenza di sufficienti stanziamenti per il settore giustizia si è peraltro mortificato l'istituto del gratuito patrocinio sottraendo ad esso risorse fondamentali, effettuando altresì un aumento indiscriminato del contributo forfettario per l'iscrizione al ruolo delle cause. Aumento che ha frapposto un emblematico ulteriore filtro fra la giustizia ed il cittadino, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo assolutamente in contrasto con l'articolo 111 (comma 6) della Costituzione;
    altresì, si ricordano quali esempi di interventi di disomogenea pregiudizievole legislazione sottoscritta da parte dell'attuale ministro in carica:
     il decreto-legge n. 90 del 2014, «decreto P.A.», con il quale sono state introdotte sensibili restrizioni all'accesso alla giustizia amministrativa, limitando in concreto la possibilità di ricorso mediante l'inasprimento delle sanzioni a carico della parte soccombente proponente ricorso (cosiddette «misure per il contrasto all'abuso del processo»), nonché introducendo restringimenti – oltre che al numero delle pagine ammissibili del ricorso – ai tempi ed alla portata dei provvedimenti cautelari, sottomettendoli al deposito di una cauzione, accelerando i tempi della definizione – in forma semplificata – della decisione, configurando una giustizia amministrativa, di fatto, non alla portata di ciascun cittadino e difficilmente in grado di esercitare il suo precipuo ruolo di controllo di legalità negli atti della pubblica amministrazione;
     il decreto-legge n. 92 del 2014 sui rimedi risarcitori in favore dei detenuti che, proseguendo in linea con i più recenti provvedimenti «Svuota carceri» ed «indulti mascherati», ha inteso conferire 8 euro al giorno ai carcerati sofferenti del sovraffollamento carcerario;
     il decreto-legge n. 132 del 2014 sulla giustizia civile, che ha delineato, l'introduzione di un separato sistema giudiziale (civile) sempre più privatizzato – nel quale le liti potranno essere risolte rivolgendosi a pagamento ad arbitri, mediatori e avvocati in maniera privata – a discapito dell'imparzialità della decisione e, di conseguenza, accessibile solo a chi potrà permettersi di pagarlo, nonché introducendo una nuova procedura «leggera» per separazioni e divorzi del tutto insensata se non accompagnata dalla riduzione dei termini temporali, così come peraltro indicato dalla Camera con l'approvazione della proposta di legge sul «divorzio breve»;
     il decreto legislativo ai sensi della legge delega n. 64 del 2014, con il quale si consente la non punibilità, a discrezione del giudice, per i reati fino a cinque anni, che determina una grave lesione alla capacità dello Stato, anche sotto il profilo della percezione, di tutelare la sicurezza dei cittadini, nonché un serio attacco al principio di eguaglianza;
     la legge di stabilità 2015, per le quali, oltre a comportare una riduzione delle dotazioni del Ministero della giustizia, derivanti da riduzioni sul programma amministrazione penitenziaria (-36,2 milioni di euro) e del programma giustizia civile e penale (-64,2 milioni), hanno disposto, l'aumento delle spese di notificazione richieste agli ufficiali giudiziari nelle cause e attività conciliative in sede non contenziosa davanti al giudice di pace, di valore inferiore a 1.033 euro;
    la legge di stabilità del 2016 con il ricordato taglio delle dotazioni al Ministero della giustizia, confermati dalla Legge di Bilancio 2017, assieme ad una serie di riduzioni delle indennità dei magistrati onorari, nonché di risorse per l'implementazione del processo civile telematico; la quale ha altresì comportato una riforma, di tipo ordinamentale, della cosiddetta «legge Pinto» mediante modifiche che, da un lato, irrigidiscono la procedura per il cittadino per accedere ad un'equa riparazione per l'irragionevole durata del processo e, dall'altro lato, ne riducono sensibilmente il « quantum» risarcitorio con l'esclusivo intento di ridurre l'esborso dovuto dallo Stato al cittadino per il diritto alla giustizia così come configurato e prescritto da numerose indicazioni, in tal senso, da parte della CEDU;
     il decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59 a tutela del sistema creditizio, che ha surrettiziamente reintrodotto il «patto marciano» ovvero la possibilità di garantire i finanziamenti sottoscritti dagli imprenditori con le banche con il trasferimento della proprietà di un immobile, che viene trasferito alla banca creditrice in caso di inadempienza di tre rate da parte del debitore senza l'intervento del giudice se non in sede di stima dell'immobile;
     il decreto-legge 31 agosto 2016, n. 168 sulla definizione del contenzioso, col quale l'Esecutivo ha scelto di prorogare con decretazione d'urgenza, il trattenimento in servizio solo di alcuni magistrati – posti ai «vertici» del sistema giudiziario – ed attribuendo loro, ex lege, un carattere di assoluta inamovibilità a parere dei firmatari del presente atto, in spregio al principio di uguaglianza, di indipendenza della magistratura ed interferendo nelle prerogative al Csm;
     la legge 28 aprile 2016, n. 57 recante la delega sulla magistratura onoraria che non solo non risolve le attuali criticità dell'impiego della magistratura onoraria ma ne crea di nuove e di maggiori introducendo fattori di inefficienza, ove una magistratura onoraria priva di garanzie economiche e di stabilità sufficienti per poter svolgere il proprio lavoro, rischia di svolgerlo male o, nel migliore dei casi, in modo approssimativo;
     la legge europea 2015-2016, che ha introdotto, per far fronte alle reiterate procedure di infrazione europea in merito alla insufficiente applicazione della direttiva 2004/80/CE, il diritto di indennizzo in favore delle vittime di reati intenzionali violenti, mediante una formulazione che tuttavia preclude alle vittime di poter ricevere adeguato risarcimento se non a condizioni assai particolari ed, in ogni caso, in maniera del tutto parziale in rapporto al danno ricevuto in conseguenza del reato;
     in merito alla proposta di legge recante disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario, approvata dal Senato ed in discussione alla Camera (A.C. 259-B), scritta in maniera evidentemente incongrua questa provocherà contrasti giurisprudenziali (e sarà quindi foriera di contenziosi sulle procedure), nonché un abbonamento dei risarcimenti per le vittime di errori medici; 
    a parere dei firmatari del presente atto la produzione dei ricordati interventi legislativi, di scarso respiro, è stata costantemente dettata dall'esigenza di sfruttare politicamente il clamore suscitato dalla stampa di fronte a casi eclatanti che hanno sensibilizzato l'opinione pubblica, dando luogo ad esili e lacunose riforme rappresentate come intervento urgente e necessario ad arginare ciò che di volta in volta occupava il dibattito sui media, quanto più, parallelamente gli interventi in tema di giustizia penale sono apparsi dominati da un «logica esterna» apparentemente riconducibile ad accordi extraparlamentari che, sul fronte del contrasto al malaffare hanno creato dilazioni dannose per l'affermazione e la difesa del principio della certezza della pena;
    tra questi, si iscrivono:
     la legge sulla corruzione approvata dopo ben 797 giorni in più letture parlamentari con esiti affatto soddisfacenti alla dissuasione del malaffare;
     il provvedimento approvato alla Camera su modifiche al codice penale e al codice di procedura penale, non contiene di fatto solo provvedimenti che imbavagliano la stampa, ma ha l'ambizione di voler risolvere i problemi del processo penale nella sua interezza: semplificare il processo, le procedure, e anche ridurre il carico, quindi deflazionare il carico dei procedimenti pendenti in sede penale, senza tenere nel debito conto che tali interventi normativi sarebbero da fare solo quando i giudici e il personale amministrativo dei tribunali in un successivo futuro fossero messi in grado di far funzionare effettivamente il tribunale stesso. Con le scoperture di organico vigenti ad oggi – oltre il 50 per cento in alcuni uffici del tribunale – sia per quanto riguarda i dipendenti amministrativi (che presentano una scopertura di organico oltre 5 mila unità) sia per quanto riguarda i giudici (la cui scopertura di organico è pari a 1245 unità pari al 12,85 per cento), la riforma di fatto è impossibile, ancor più se il personale amministrativo, peraltro ancora non interamente riqualificato, viene reclutato esternamente tramite scorrimenti di graduatorie di concorsi banditi per figure professionali provenienti dal sistema sanitario ovvero attraverso il trasferimento di interi organici già in carico alle aree vaste;
    altresì ai numerosi interventi nel settore della giustizia civile, non ha corrisposto, nelle intenzioni del Governo e della maggioranza, altrettanta attenzione e spirito riformatore nei confronti della giustizia penale, laddove, in tale settore, e più specificamente in tema di lotta alla corruzione, reato di falso in bilancio, certezza della pena, allungamento della prescrizione, reati fiscali, è da individuarsi la vera urgenza ed emergenza in tema di efficacia del sistema giustizia mai affrontate da questo Governo se non in maniera del tutto inefficace;
    uno dei problemi più gravi che affliggono la giustizia italiana concerne la ragionevole durata del processo, in applicazione dell'articolo 111 della Costituzione e dell'articolo 6 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo concernente il diritto ad un processo equo, in presenza di circa 4 milioni di processi civili e 3,2 milioni di processi penali pendenti e di tempi medi di definizione che nel civile sono pari a circa 7 anni e nel penale a circa 4 anni e mezzo;
    l'aumento dei costi per l'accesso alla giustizia associato all'introduzione di filtri obbligatori preventivi prima del radicamento del procedimento civile stesso, rappresenta un approccio fortemente inidoneo a coniugare l'intento deflattivo del carico civile con la certezza del diritto quanto più laddove connesso ad un aggravio degli adempimenti per accedere alla procedura per il risarcimento all'eccessiva durata del processo stesso. In questo senso, il combinato disposto, della scelta dell'introduzione della mediazione obbligatoria con decreto legislativo n. 28 del 4 marzo 2010 dichiarata incostituzionale, dalla sentenza 6 dicembre 2012, n. 272 della Corte costituzionale con sua conseguente disapplicazione, ma nuovamente reintrodotta, ad avviso dei firmatari della presente risoluzione con insignificanti modifiche, con l'introduzione nel decreto-legge n. 32 del 2014 dell'arbitrato per la conclusione extragiudiziale delle controversie civili, dà luogo a gravi carenze sotto il profilo dell'accesso alla giustizia per il cittadino nonché dell'imparzialità delle soluzioni adottate;
    nell'ambito degli interventi volti alla razionalizzazione del processo ed alla necessaria riduzione dei termini di celebrazione, non possono certamente essere considerati interventi strutturali e risolutivi la proroga dell'arruolamento, al fine di contribuire a smaltire l'arretrato civile, di stagisti, giovani neolaureati che reclutati dal Ministero della giustizia, con un ridottissimo contributo spese né alcuna copertura assicurativa sugli infortuni, e l'inserimento in via straordinaria e provvisoria di giudici ausiliari retribuiti a cottimo, nonché la proroga, senza precisi intendimenti della questione dei cosiddetti precari della giustizia;
    sul tema del sovraffollamento carcerario le soluzioni sin qui proposte dal Ministro, confermando l'impostazione dei precedenti Governi, non hanno presentato interventi di tipo quantitativo, né qualitativo per il miglioramento delle condizioni detentive, laddove, in assenza di un «piano carceri» capace di fornire risultati tangibili è stata rafforzata ogni misura rivolta a conseguire scarcerazioni e misure alternative al carcere, mantenendo ugualmente un livello di popolazione carceraria pari a 55.251 reclusi, 2425 unità in più rispetto allo scorso anno;
    l'annoso problema del sovraffollamento carcerario rappresenta una questione di legalità perché nulla è più disastroso che far vivere chi non ha recepito il senso di legalità e, quindi, ha commesso reati, in una situazione di palese non corrispondenza tra quanto normativamente definito e quanto attuato e vissuto;
    con riferimento alle problematiche della situazione carceraria, non si può non rilevare il permanere di condizioni assolutamente paradossali, come quella di strutture terminate da molti anni e non ancora entrate in funzione, talune delle quali si presentano già obsolete;
    nonostante una capienza delle carceri di 50228 posti, il dato del sovraffollamento è ritornato ai medesimi livelli antecedenti alle soluzioni di facciata adottate dai Governi durante la presente legislatura per poter aggirare le sanzioni europee:
     vi sono 54653 detenuti, e cioè 4425 detenuti in sovrannumero, ma questi sono solo il dato apparente, perché in realtà andrebbero considerati come «detenuti in più» tutte quelle persone in sovrannumero presso ciascun istituto penitenziario i quali, in realtà, ammontano a 8757 detenuti in sovrannumero rispetto alla capienza. Considerando che le statistiche del Ministero omettono colpevolmente di citare i circa 4500 posti non utilizzati per lavori in corso o di ristrutturazione si giunge ad un risultato di ben 44304 detenuti coinvolti nel sovraffollamento;
     le carceri sovraffollate in Italia sono 130 su 193 rispetto alle 111 del 2015, ciò rappresenta un vero e proprio fallimento delle politiche messe in atto dal Ministro soprattutto nei confronti delle aspettative di chi vive la realtà delle carceri ed è in attesa di risposte. Ancorché le risposte del regime della sorveglianza dinamica – dettato dalla carenza di organico – e delle celle aperte – studiato per eludere gli effetti della cosiddetta «sentenza Torreggiani» – hanno creato di fatto un sistema criminogeno nel quale criminalità organizzata e radicalismo islamico rischiano di prendere il sopravvento sia nei confronti della polizia penitenziaria stretta tra il rischio per la propria incolumità personale e la possibilità di incorrere in sanzioni disciplinari, sia di quei detenuti che vorrebbero tentare il recupero ma temono per la propria incolumità;
    i numeri del sovraffollamento delle carceri inoltre, sono ancora più gravi di quelle fornite il 31 dicembre dal DAP (data della ultima rilevazione) perché ogni anno, le rilevazioni del 31 dicembre, evidentemente non comprendono le presenze delle persone in momentaneo permesso. Per esempio, il numero di persone detenute all'interno delle carceri rilevato il 30 novembre 2016, era di 55251 detenuti presenti. Il medesimo «fenomeno» si è presentato puntualmente anche negli anni precedenti;
    la polizia penitenziaria è al completo collasso: ad oggi, nelle carceri (quindi escludendo il personale di Polizia Penitenziaria in servizio presso altre sedi), sono presenti 32940 agenti per un organico previsto (al netto delle chiusure temporanee delle carceri: es. Camerino) di 41130 unità, con disastroso deficit di personale di 8190 poliziotti per far fronte alla quale il Ministro sta cercando di riparare mediante una deroga alla durata della formazione degli agenti a sei mesi per biennio, senza tuttavia garantire la certezza di un'assunzione agli idonei non vincitori dei concorsi di polizia penitenziaria ed ai VFP4;
    le condizioni dei detenuti sono tuttora indegne e incompatibili col principio di rieducazione dettato dalla Costituzione: in un quadro di cronica mancanza di esperti quali psicologi, educatori e pedagoghi all'interno delle carceri, solo il 4,38 per cento della popolazione carceraria, svolge un lavoro risocializzante estraneo alle mansioni del carcere, inoltre lo stesso calcolo degli spazi minimi per detenuto adottato dal Dap tiene in scarsa considerazione la sentenza della Corte di cassazione che esclude letti e mobili dal computo di tale spazio, quando, anche in conseguenza di tali condizioni detentive, il tasso complessivo di recidiva rimane dato ignoto anche allo stesso ministro che, ad espressa domanda di un giornalista, non ha saputo fornire risposte;
    ancora, sul tema della sicurezza, come si evince dalle eclatanti evasioni registrate nella casa circondariale di Rebibbia, non si è intervenuti concretamente lasciando in più carceri videosorveglianza e sistemi di anti-scavalcamento non funzionanti o disattivati, né, tantomeno, si è impostato un piano di rinnovo tecnologico dei sistemi di sorveglianza dei detenuti e di controllo delle comunicazioni, o l'introduzione di sistemi di videochiamata che potessero far risparmiare tempo e risorse. Mentre desta notevole preoccupazione la possibilità di infiltrazione della criminalità organizzata all'interno delle carceri, sia attraverso il concorso per assunzione a polizia penitenziaria 2016, sia mediante i ripetuti tentativi di introduzione cellulari o altri strumenti tecnologici all'interno delle carceri;
    fra le questioni che si ritengono prioritarie in materia di contrasto all'illegalità ed alla criminalità organizzata appare indispensabile valutare una più attenta gestione del 41-bis, relativamente ai circuiti informativi paralleli che nascono dentro gli istituti penitenziari, effettuare un puntuale monitoraggio degli enormi patrimoni confiscati ai mafiosi, nonché ulteriormente alzare il livello di guardia nei confronti delle rilevate infiltrazioni mafiose nell'ambito degli appalti anche attraverso maggiori stanziamenti da destinare all'Autorità nazionale anti-corruzione;
    ricordato che, per quanto attiene alla corruzione nel nostro Paese:
     secondo il Corruption Perception index 2015 di Transparency International, l'Italia si classifica al 61o posto nel mondo, affiancata da Montenegro e Senegal, Leshoto e Sud Africa, e penultima nell'Unione europea sopravanzando la sola Bulgaria;
     la corruzione costa allo Stato italiano 60 miliardi di euro, tale che una delle questioni cruciali per il nostro Paese, è rappresentata dalla risposta che il sistema giustizia è in grado di offrire al fenomeno della corruzione, che, oltre a determinare sacche di illegalità in ambiti pubblici e privati, costituisce una vera e propria «zavorra» per il «Paese reale» con effetti devastanti sulle medie e piccole imprese in termini di mancata concorrenza;
     è evidente che una risposta al problema della corruzione non può essere circoscritta al piano giudiziario; tuttavia occorre rilevare che il Consiglio d'Europa ha più volte sottolineato criticamente come la prescrizione dei reati (oltre 132 mila processi conclusi anzitempo per avvenuta prescrizione del reato) incida pesantemente, nel nostro Paese, sui processi per corruzione, invocando riforme che consentano di addivenire alle sentenze;
     ribadito che nessun procedimento di riorganizzazione può sperare di funzionare omettendo un corretto riconoscimento delle professionalità del personale dell'amministrazione giudiziaria, il cui sviluppo di carriera è rimasto da lungo tempo bloccato, nonché un adeguato accesso di personale qualificato dall'esterno;
     ciò premesso, preso atto delle comunicazioni del Ministro della giustizia,

impegna il Governo

1) in materia di amministrazione della giustizia, ad assumere iniziative volte:
    a) a considerare il servizio giustizia che lo Stato rende al cittadino, basilare per il recupero di competitività del Paese, al centro della propria azione politica e progettuale, individuando adeguate e perduranti risorse economiche tese a conseguire efficienza ed efficacia per il funzionamento dell'amministrazione della giustizia, che prioritariamente contempli – mediante nuovi concorsi e senza operare lo scorrimento di graduatorie estranee al settore – il raggiungimento della completa copertura delle piante organiche con particolare attenzione al personale non dirigenziale delle singole strutture, centrali e periferiche, ciò coerentemente con il completamento della riqualificazione dell'intero personale del dicastero; nonché al fine della riduzione del contenzioso ed alla funzionalità degli uffici giudiziari, l'indizione, in deroga alle facoltà assunzionali previste dalla normativa vigente, di uno o più concorsi per coprire la straordinaria carenza di magistrati in rapporto alle previste dotazioni;
    b) introdurre correttivi alla norma che regola il trattenimento in servizio dei magistrati nel senso di prevedere, sulla base di un'opportuna consultazione degli organi di autogoverno di ciascuna magistratura, un trattamento uniforme per ciascun magistrato, collegandolo al solo requisito anagrafico senza differenziazione per incarico ricoperto;

2) in merito alla revisione della geografia giudiziaria, a riflettere sugli effetti infausti della chiusura di alcuni tribunali effettuata con la riforma della geografia giudiziaria ed ad intervenire per porvi rimedio;
3) ad assumere iniziative per rimuovere gli ostacoli economici e procedurali che si frappongono tra il cittadino e l'esercizio del proprio diritto alla giustizia a partire da:
    a) una valorizzazione dell'istituto del gratuito patrocinio e dalla riduzione generalizzata delle spese di giustizia a carico dei cittadini (contributo unificato, marche da bollo, anticipazioni e altro), a partire dalla soppressione delle misure di innalzamento dell'anticipazione forfettaria per le notificazioni nei procedimenti giurisdizionali e di riduzione di un terzo degli importi spettanti al difensore, all'ausiliario del magistrato, al consulente tecnico di parte e all'investigatore privato autorizzato nei casi di patrocinio a spese dello Stato;
    b) l'abolizione di qualsiasi carattere di obbligatorietà, onerosità e consequenzialità sulle decisioni giudiziali dell'istituto della mediazione;
    c) la previsione, nell'ambito della degiurisdizionalizzazione del processo civile, di rendere interamente gratuito il ricorso all'arbitrato per la definizione extra processuale delle controversie;
    d) la modifica dell'attuale assetto della «legge Pinto» facilitando l'accesso per il cittadino ad un'equa riparazione per l'irragionevole durata del processo sia attraverso la previsione della facoltatività dell'esperimento dei rimedi preventivi ai fini dell'accesso alla procedura, sia mediante il ripristino delle modalità di ricorso antecedenti le riforme degli ultimi anni, più congruenti con il dettato e con la giurisprudenza della CEDU, nonché riconoscendo un adeguato quantum risarcitorio per ciascun anno di ritardo;
4) in tema di condotte riparatorie che estinguono il reato, ad assumere iniziative affinché queste siano sempre frutto di una libera scelta della vittima e non dello Stato in accordo con il colpevole;
5) in tema di giustizia amministrativa, a rimuovere i limiti al diritto all'accesso alla giustizia per i ricorrenti quali, in particolare: la limitazione nella dimensione degli atti del ricorso, l'inasprimento delle penalità per la parte soccombente (misura di carattere dissuasoria piuttosto che sanzionatoria), il pagamento di una cauzione potenzialmente subordinante l'efficacia della misura cautelare, nonché la previsione della sentenza in forma semplificata, in quanto deleteri ai fini di un adeguato ed efficace controllo giurisdizionale sugli atti della pubblica amministrazione;
6) a promuovere una più ampia e maggiormente incisiva legislazione anticorruzione e più in generale contro il malaffare, nell'esclusivo interesse del cittadino contribuente che sia dunque orientata:
     a) a realizzare un «DASPO» per i corrotti e corruttori, cioè l'interdizione perpetua dai pubblici uffici e l'incapacità a contrarre con la pubblica amministrazione per chi è stato condannato definitivamente per un reato contro la pubblica amministrazione;
     b) ad un aumento delle pene per tutti i reati contro la pubblica amministrazione: riallineando le fattispecie e recuperando la logica delle sanzioni nel codice;
     c) una revisione della prescrizione che la interrompa dal momento del rinvio a giudizio dell'imputato nonché al raddoppio dei termini di prescrizione per i reati di corruzione;
     d) alla tutela del segnalatore di reati, il whistleblower, tale da proteggere chi denuncia, anche in forma anonima, la corruzione nel pubblico nel privato, contro ogni discriminazione diretta o indiretta con la previsione di premialità sulla base delle cifre recuperate all'erario conseguenti alle segnalazioni effettuate;
7) ad assumere iniziative per eliminare le soglie di non punibilità per il reato di falso in bilancio;
8) al fine di scoraggiare qualsiasi alleanza tra politica e criminalità organizzata, ad assumere iniziative per rivedere la tipizzazione dell'articolo 416-ter del codice penale procedendo alla soppressione nell'articolo dell'inciso «mediante le modalità di cui all'articolo 416-bis»;
    a) assumere iniziative per ricondurre ad un principio di proporzionalità nella determinazione della sanzione penale la legislazione sui reati tributari, mediante una riduzione generalizzata delle soglie di non punibilità di cui al secondo Titolo del decreto legislativo n. 74 del 2000 previste per le singole fattispecie di reato, tenuto presente che l'efficacia deterrente della sanzione amministrativa pecuniaria, infatti, non è idonea da sola a disincentivare le condotte di evasione dal momento che spesso le frodi fiscali vengono perpetrate ed attuate attraverso l'impiego delle cosiddette «teste di legno» ovverosia soggetti privi di garanzie patrimoniali, segnatamente intervenendo sui reati di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, di dichiarazioni infedeli, sottrazione di attivi all'imposizione, omessa dichiarazione, omesso versamento di ritenute certificate, l'omesso versamento dell'IVA;
10) ad assumere iniziative per riconsiderare le norme in materia di «non punibilità dei reati lievi», operando un'ulteriore esclusione dal novero degli effetti della delega per i reati che destano maggiore allarme sociale, escludendo correlazioni tra il principio della particolare tenuità ed i reati tributari;
11) a recedere dal sostenere l'approvazione della delega, all'interno del disegno di legge sul processo penale, sul divieto di pubblicazione e diffusione di intercettazioni e registrazioni tra privati, lesiva della libertà di espressione e diffusione del pensiero, e dell'unica possibilità per il cittadino di venire a conoscenza delle condotte di chi, coinvolto nel malaffare, amministra la cosa pubblica;
12) ad assumere iniziative per riformulare il vigente sistema di parziale indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti, mediante una formulazione che consenta alle stesse di poter realmente ricevere, secondo il dettato della direttiva 2004/80/CE, pieno risarcimento del danno ricevuto in conseguenza del reato e non solo il ristoro delle spese mediche sostenute condizionato al reddito della vittima;
13) a favorire altresì, per quanto di competenza un rapido iter delle proposte di legge di iniziativa parlamentare in tema di: disposizioni in materia di legalizzazione della coltivazione, della lavorazione e della vendita della cannabis e dei suoi derivati; determinazione e il risarcimento del danno non patrimoniale; riforma dello strumento dell'azione di classe; iniziative nella questione degli allontanamenti dei minori dalle famiglie e dalle situazioni di incompatibilità e di conflitto di interessi di componenti privati presso i tribunali e le corti di appello per i minorenni; introduzione nel codice penale del reato di tortura;
14) con riferimento al sistema carcerario ad assumere iniziative volte:
    a) a reperire le necessarie risorse finanziarie per l'edilizia penitenziaria prevedendo, nel rispetto della normativa vigente, la realizzazione di almeno due nuove strutture e, con priorità, l'ampliamento e l'ammodernamento di quelle esistenti che siano adattabili, assicurando anche l'attuazione dei piani e dei programmi a tal fine previsti, evitando in ogni caso il ricorso a procedure straordinarie in deroga alla normativa sugli appalti di lavori pubblici;
    b) ad incentivare – nel pieno rispetto dei diritti riconosciuti alle persone detenute e delle norme nazionali ed internazionali di carattere pattizio – il trasferimento delle persone straniere detenute che abbiano subito condanna definitiva, assicurando a tal fine una più ampia ed efficace applicazione della Convenzione del Consiglio d'Europa firmata a Strasburgo, il 21 marzo 1983 e favorendo altresì la conclusione di appositi accordi in tal senso con altri Paesi, in modo da consentire ad un maggior numero di persone di scontare la condanna nel Paese d'origine;
15) a garantire il principio della certezza della pena, ponendo fine alla definizione di norme emergenziali recanti sconti di pena generalizzati a scapito della sicurezza dei cittadini;
16) a mettere in atto adeguate iniziative normative per le quali il garante nazionale per i diritti dei detenuti sia concretamente slegato ed indipendente, sia sul piano formale che sostanziale dall'Esecutivo;
17) quale indifferibile priorità, a far fronte alla preoccupante scopertura della vigente pianta organica della polizia penitenziaria, anche in deroga alle facoltà assunzioni previste, al fine di ripristinare le condizioni, oggi del tutto assenti di minima sicurezza e legalità all'interno delle carceri e favorire, attraverso un'adeguata sorveglianza dei ristretti, il monitoraggio dei percorsi di rieducazione e riabilitazione di questi ultimi; nonché, al medesimo fine, a reperire fondi necessari e disporre conseguenti procedure assunzioni per completare l'organico di psicologi ed educatori, e di tutte le figure che operano nel circuito penale esterno, previsti dalla vigente dotazione organica del Dap;
18) a condurre un puntuale ed omogeneo monitoraggio della recidiva, quale indispensabile prerequisito per la conoscenza ed il contrasto del fenomeno, relazionando periodicamente degli esiti le competenti Commissioni parlamentari al fine di produrre una legislazione mirata ed efficace; nonché a favorire la riabilitazione, il recupera ed il reinserimento del detenuto nella società, destinando ulteriori risorse per ai piani di lavoro all'interno e all'esterno delle carceri;
19) ad innalzare i livelli interni di sicurezza dei penitenziari – oltre al ricordato piano assunzionale di polizia penitenziaria – anche mediante un efficientamento degli attuali sistemi videosorveglianza e dei sistemi di anti-scavalcamento, e la predisposizione di un piano di rinnovo tecnologico dei sistemi di controllo dei detenuti e delle loro comunicazioni;
20) per scoraggiare le infiltrazioni della criminalità organizzata ed il proliferare della radicalizzazione dei detenuti con relativi circuiti informativi paralleli interni agli istituti, ad operare una revisione dell'applicazione del concetto di «sorveglianza dinamica» e del regime delle «celle aperte», che, in assenza di adeguato personale di sorveglianza e di una più rigorosa demarcazione dei differenti livelli di sicurezza per i singoli detenuti, non può non accompagnarsi all'implementazione dei ricordati aggiornamenti tecnologici quali, ad a esempio l'adozione di un sistema di trasmettitori «beacon» per monitorare la presenza dei detenuti all'interno dell'istituto carcerario o di videoconferenza sperimentati dal Dap per supplire – con i rischi del caso – alla traduzione presso il tribunale dei ristretti e risparmiare considerevoli risorse;
21) ad assumere iniziative per la tutela e il miglioramento delle condizioni di accesso e di relazione dei figli dei detenuti con i propri genitori, anche mediante la creazione negli istituti di pena degli spazi child friendly per permettere ai bambini, figli di detenuti, di visitare in condizioni accettabili i loro genitori nel rispetto della loro condizione infantile;
22) in materia di accordi internazionali di mutua assistenza giudiziaria, a rispettare quanto indicato in sede di approvazione della risoluzione in Commissione n. 8-00209, in data 26 ottobre 2016, sul trattato di estradizione e di mutua assistenza giudiziaria tra l'Italia e gli Emirati arabi uniti, sottoscritto il 16 settembre 2016.
(6-00283) «Ferraresi, Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Sarti».


   La Camera,
   udite le comunicazioni del Ministro della giustizia sull'amministrazione della giustizia, ai sensi dell'articolo 86 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come modificato dall'articolo 2, comma 29, della legge 25 luglio 2005, n. 150,
   premesso che:
    l'attività normativa dei Governi che si sono succeduti negli ultimi anni è stata, e temiamo lo sarà in futuro, incentrata esclusivamente su un sistema giuridico e giudiziario sempre più permissivo, composto da un lato da un nutrito elenco di depenalizzazioni e, dall'altro, dall'aumento esponenziale delle misure premiali per i soggetti già condannati;
    negli ultimi anni sono stati approvati ben cinque provvedimenti svuota carceri, che di fatto hanno segnato la resa dello Stato di fronte alla necessità di riformare in modo organico il sistema della giustizia, concentrando la propria attenzione e il proprio impegno esclusivamente sull'individuazione di misure capaci di permettere l'uscita dal carcere di soggetti già condannati e in parte anche recidivi;
    la realizzazione di strutture carcerarie che garantiscano il rispetto della dignità delle persone recluse e la funzione rieducativa della pena come sancita dalla Costituzione, deve costituire un obiettivo prioritario per il nostro sistema giudiziario, che non può essere ottenuto attraverso misure che facilitino l'uscita dal carcere dei condannati;
    occorre piuttosto intervenire attraverso il potenziamento delle strutture carcerarie, una riforma dell'istituto della carcerazione preventiva e la stipula di accordi internazionali che permettano il trasferimento dei detenuti stranieri nei propri Paesi di origine ai fini dell'espiazione della pena;
    per quanto attiene al potenziamento delle strutture carcerarie appare imprescindibile, nelle more dell'edificazione di nuovi edifici, la presa in utilizzo di tutti quelli già edificati con tale finalità ma inattivi a causa delle carenze di organico tra gli agenti di polizia penitenziaria, che già ora si trovano costretti a lavorare in condizioni difficilissime, sottoposti a turni massacranti e costretti ad operare in assenza dei requisiti minimi di sicurezza;
    per quanto attiene alla carcerazione preventiva, che fa sì che oltre il quaranta per cento dei reclusi – una percentuale quasi doppia rispetto a quella della media europea – sia in attesa di giudizio, le modifiche approvate sin qui si sono rivelate del tutto insufficienti, posto che le esigenze cautelari dovrebbero basarsi sull'evidenza delle prove e su acclarate condotte e, quindi, ancorate alla flagranza di reato;
    non ultima, la questione del trasferimento dei condannati nei propri Paesi di origine per l'espiazione della pena deve rappresentare un altro importante obiettivo da realizzare che permetterebbe la riduzione di almeno un terzo della popolazione carceraria;
    il Piano straordinario per le carceri, varato oramai sette anni fa e ancora largamente inattuato, prevedeva, a partire dal 2011, la realizzazione di diciotto nuove carceri «flessibili», vale a dire di prima accoglienza e a custodia attenuata, destinate a detenuti con pene lievi, otto delle quali sarebbero dovute sorgere in aree strategiche, portando complessivamente alla creazione di oltre ventimila nuovi posti negli istituti penitenziari e al raggiungimento di una capienza totale di ottantamila detenuti;
    le misure deflattive della popolazione carceraria così come realizzate sinora incidono in maniera profondamente negativa sulla certezza della pena e dunque sulla percezione di sicurezza da parte dell'opinione pubblica;
    ai fattori di allarme sociale già esistenti, inoltre, si vanno ora ad aggiungere i timori legati al terrorismo internazionale di matrice islamica;
    il contrasto a questa nuova emergenza deve costituire un elemento fondamentale dell'attività del nostro sistema giudiziario nazionale e una priorità in ambito europeo e internazionale, dove solo la collaborazione tra procure e un continuo scambio di informazioni possono permettere un efficace coordinamento nella lotta al terrorismo;
    l'immigrazione clandestina mascherata dalle richieste di asilo sta determinando un'impennata nella quantità dei reati che non colpisce solo i cittadini comuni ma anche gli appartenenti alle Forze dell'ordine, oltre a rappresentare un ulteriore aggravio per la giustizia civile, chiamata ad esaminare i ricorsi in materia di protezione internazionale;
    i decreti legislativi approvati in materia di depenalizzazioni hanno incluso due reati particolarmente pericolosi come la guida senza patente, che è la prima premessa delle morti in incidenti stradali mentre la prevenzione è il primo compito dello Stato, e gli atti osceni, una scelta del Governo che dopo i fatti di Colonia della notte di Capodanno del 2016 appare incredibile quanto inspiegabile;
    in Italia la certezza del diritto e, di conseguenza, la consapevolezza del cittadino di poter ottenere ristoro laddove offeso o, viceversa, di essere punito laddove abbia commesso un reato, è minata alle fondamenta dalla lunghezza dei tempi dei processi, secondo il principio «giustizia ritardata è giustizia negata»;
    in egual misura la lunghezza dei tempi per risolvere contenziosi giudiziari comporta ricadute negative sull'economia, in particolar modo sotto il profilo della scarsa attrazione degli investimenti esteri;
    in base ad un censimento effettuato dallo stesso Ministero della giustizia meno di un anno fa nel settore penale sono oltre tre milioni e mezzo i fascicoli pendenti, di cui oltre il quaranta per cento è concentrato nel primo grado, mentre l'arretrato civile conta oltre cinque milioni di affari pendenti, distribuiti tra tribunali ordinari, giudici di pace e Corti d'appello;
    come rilevato dal dipartimento dell'organizzazione della giustizia, la cronicizzazione delle disfunzioni dell'organizzazione e dell'amministrazione della giustizia trova le sue ragioni in numerosi fattori: piante organiche carenti, risorse materiali insufficienti, tasso di scopertura del personale amministrativo, e, non ultima, la diversa tipologia della criminalità nelle varie parti del Paese;
    inoltre, la Commissione per l'elaborazione di proposte e di interventi in materia di processo civile istituita presso il Ministero della giustizia nel maggio 2014 ha evidenziato come «negli ultimi quarant'anni gli interventi del legislatore sono stati numerosissimi e hanno inciso sul tessuto connettivo originario del codice di procedura civile, compromettendone l'organicità e la sistematicità»;
    il disegno di legge, di iniziativa governativa, scaturito dal lavoro di tale Commissione e che, stando alla sua relazione introduttiva si prefigge i due importanti obiettivi della comprensibilità e della speditezza del processo civile, giace da un anno in Parlamento senza che se ne arrivi a concludere l'esame;
    un ulteriore aspetto sul quale appare opportuno soffermarsi è quello della insufficiente tutela accordata dal nostro ordinamento alle vittime dei reati, in completa controtendenza all'evoluzione normativa internazionale ed europea;
    basti ricordare, in proposito, la vicenda della cattiva applicazione della direttiva europea in materia di diritto all'indennizzo in favore delle vittime di reati intenzionali violenti, per la quale l'Italia ha subito finanche un procedimento di infrazione, e che è stata recentemente risolta in modo frettoloso e inadeguato con l'incredibile previsione che l'indennizzo debba essere riconosciuto in funzione del reddito, di fatto creando un sistema nel quale vi sono vittime di serie A e vittime di serie B;
    l'Italia non ha ancora firmato la Convenzione europea relativa al risarcimento delle vittime di reati violenti, firmata a Strasburgo il 24 novembre 1983 ed entrata in vigore il 1o febbraio 1998, che obbliga gli Stati contraenti a prevedere, nell'ambito delle legislazioni nazionali, un meccanismo di risarcimento per le vittime di infrazioni violente che hanno causato gravi lesioni corporali o il decesso,

impegna il Governo

1) a promuovere riforme normative organiche e a stanziare risorse adeguate e idonee a realizzare un effettivo miglioramento della qualità dell'amministrazione della giustizia;
2) a procedere alla completa attuazione del piano carceri, dando immediato avvio all'implementazione delle strutture esistenti e all'edificazione dei nuovi istituti, nonché provvedendo alla copertura dei ruoli vacanti della polizia penitenziaria, al fine di garantire ad essi di poter operare in condizioni di sicurezza;
3) ad adottare le iniziative necessarie a ridurre il carico dei procedimenti pendenti, sia in ambito penale che in quello della giustizia civile;
4) ad assumere iniziative per conformarsi quanto prima alla normativa europea con riferimento al tema della tutela delle vittime di reato, se del caso prevedendo anche una disciplina risarcitoria da parte dello Stato laddove l'autore del reato sia tornato a delinquere perché rilasciato dal carcere a seguito di provvedimenti di clemenza o alternativi alla detenzione, nonché ad assumere iniziative per modificare la disciplina inerente al pagamento delle spese giudiziarie nel senso che esse non possano più gravare sulle vittime o sulle loro famiglie;
5) ad attivarsi in sede internazionale al fine di stipulare gli accordi necessari – e a far rispettare quelli già raggiunti – affinché la popolazione carceraria straniera attualmente detenuta in Italia possa essere rimpatriata per scontare la pena nel proprio Paese d'origine;
6) ad operare affinché nel settore della giustizia penale siano preservati tutti i diritti costituzionalmente garantiti ai cittadini, sia dal lato della vittima sia dal lato dell'autore del reato, ed affinché nel settore della giustizia civile si possa garantire ai cittadini il tempestivo soddisfacimento dei propri diritti e alle imprese la capacità di affrontare una causa senza doverne subire danno in termini di competitività;
7) ad elaborare misure efficaci ed incisive di contrasto al terrorismo internazionale, sia mediante iniziative volte a definire opportune disposizioni di legge, sia mediante la creazione di strutture specializzate che dovranno operare in stretta connessione con le analoghe istituzioni europee ed internazionali.
(6-00284) «Rampelli, Cirielli, Giorgia Meloni, La Russa, Murgia, Nastri, Petrenga, Rizzetto, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   udite le comunicazioni del Ministro della giustizia sull'amministrazione della giustizia, ai sensi dell'articolo 86 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come modificato dall'articolo 2, comma 29, della legge 25 luglio 2005, n. 150,
   premesso che:
    l'amministrazione della giustizia in Italia viene avvertita dai cittadini ancora come incapace di contribuire al progresso civile; l'attuale irragionevole durata dei processi costituisce tra l'altro un grande disincentivo agli investimenti nel nostro Paese;
    i dati forniti con riguardo alle cause pendenti, circa 5 milioni e mezzo per il processo civile e 3 milioni per quello penale, rimangono allarmanti, aggravati dalle difficoltà ad avere accesso all'autorità giudiziaria;
    il sistema giudiziario dell'Italia ha quindi bisogno di interventi idonei a ridurre la durata dei processi civili e penali: a tal fine è necessario individuare strumenti moderni, soluzioni adeguate ed effettivamente praticabili per rispondere ai bisogni di sicurezza, per ripristinare un efficace servizio della giustizia nel rispetto dei principi costituzionalmente sanciti, e per garantire la effettività dei diritti di tutti i cittadini e la competitività del sistema economico e produttivo del Paese, in un processo di ragionevole e certa durata;
    l'inefficienza del nostro sistema giudiziario ha anche gravissime ripercussioni di natura economica, soprattutto in un momento di grave crisi come quella in cui versa ancora il nostro Paese; i dati della nostra giustizia determinano nelle aziende straniere la decisione di non delocalizzare nel nostro Paese le proprie attività economiche;
    un efficiente sistema giudiziario e la garanzia della legalità costituiscono questioni interconnesse e di grande rilevanza sociale, non più rinviabili e che vanno assicurate con interventi strutturali e non emergenziali come quelli adottati nel corso della legislatura corrente;
    nel corso della presente legislatura, la questione giustizia è stata infatti molto spesso relegata ad una serie di interventi frastagliati privi di una visione d'insieme: gli annunci roboanti del Governo si sono concretizzati in misure di scarso impatto sul sistema giudiziario nel suo complesso, o comunque si sono rivelate non incisive e non in grado di realizzare una piena riforma dell'assetto della giustizia; in questi mesi si è infatti assistito ad interventi occasionali, a misure tampone, spesso non omogenee e prive di coordinamento, che non hanno neanche l'ambizione di incidere in profondità sui problemi e che rappresentano, a voler essere ottimisti, dei puri e semplici palliativi;
    molto spesso gli interventi in materia di giustizia sono stati affidati alla decretazione d'urgenza: da ultimo, le misure contenute nel decreto-legge n. 168 del 2016 per «l'efficienza degli uffici giudiziari», si sono tra l'altro limitate alla proroga di norme già esistenti, volte a garantire la celere copertura degli uffici giudiziari vacanti semplicemente consentendo la permanenza in servizio dei vertici della supreme magistrature;
    è il caso di rilevare, come necessaria premessa di metodo, che la materia «giustizia» non può essere certamente una materia caratterizzata solo da «urgenza», date le ataviche carenze strutturali di un sistema che, ancora oggi, non riesce ad essere a servizio del cittadino;
    partendo dall'annosa questione del sovraffollamento carcerario, va rilevato qualche passo in avanti che però non è ancora sufficiente per restituire al nostro sistema piena dignità: alla data del 31 dicembre 2016 sono presenti nelle carceri italiane 54.653 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 50.228 unità. Dunque, nonostante da inizio legislatura i detenuti presenti siano diminuiti di circa 11 mila unità, ci sono ancora 4.997 detenuti in eccedenza rispetto ai posti previsti (+ 9,9 per cento). I detenuti in custodia cautelare sono 19.411 (circa 6 mila in meno rispetto all'inizio della legislatura);
    va inoltre rilevato che non è stato ancora dato pieno seguito all'importante messaggio che il Presidente della Repubblica aveva inviato alle Camere nel mese di ottobre 2013: tra le misure necessarie citate per risolvere la questione carceraria, spiccavano la riduzione dell'area applicativa della custodia cautelare in carcere, e l'opportunità di considerare l'esigenza di rimedi straordinari;
    emerge, infatti, una stretta connessione tra il sovraffollamento degli istituti di detenzione e un ricorso con ogni probabilità smodato allo strumento della custodia cautelare in carcere, la cui funzione, purtroppo, ha subito negli anni una radicale trasformazione: da istituto con funzione prettamente cautelare, ancorché nell'ottica di un'esigenza di prevenzione dei reati e di tutela da forme di pericolosità sociale, è diventata troppo spesso una vera e propria misura anticipatrice della pena, con evidente violazione del principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza;
    nella legislatura corrente, sono stati diversi gli interventi in materia di custodia cautelare, anche sostenuti dal gruppo Forza Italia, in quanto misure oggetto di una delle priorità del nostro sistema giudiziario. La legge 16 aprile 2015, n. 47, ha effettivamente delimitato l'ambito di applicazione della custodia cautelare in carcere, circoscrivendo i presupposti per l'applicazione della misura e modificando il procedimento per la sua impugnazione. Nell'approvazione delle modifiche normative, si sarebbe però potuto sicuramente essere più incisivi, e, soprattutto, pensare ad introdurre elementi volti a configurare un illecito disciplinare a carico dei magistrati responsabili di evidenti distorsioni del sistema di carcerazione preventiva, a cui troppo spesso si ricorre in mancanza di reali esigenze cautelari e senza rispettare il criterio dell'assoluta indispensabilità;
    l'utilizzo della custodia cautelare in carcere, e, quindi, della limitazione preventiva della libertà personale, deve infatti essere circoscritto alle sole ipotesi in cui questa esigenza è davvero indispensabile per garantire la sicurezza della collettività, per salvaguardare il valore delle indagini e soprattutto per assicurare quel contemperamento, che più volte è stato evocato, ma non sempre con misura e con fondatezza, tra tutela della libertà personale ed esigenze di protezione della sicurezza collettiva delle nostre comunità e dei nostri territori;
    rispetto a tanta evidenza, purtroppo, ancora una volta, va sottolineato come una misura così importante, sia per la salvaguardia dei diritti costituzionali dei cittadini sia per la sostenibilità dei nostri istituti di pena, sia comunque frutto di una norma tampone; nessuna traccia, inoltre, dei rimedi straordinari a cui aveva fatto riferimento il Capo dello Stato nel suo messaggio;
    sempre in relazione al tema penitenziario, va rilevato che la questione della presenza di detenuti stranieri nelle carceri è uno dei temi attualmente più condizionanti il sistema penitenziario italiano, data l'incidenza sull'annoso problema del sovraffollamento. Il fenomeno è poi strettamente connesso al considerevole aumento dei flussi migratori e delle inevitabili ripercussioni sul fronte della criminalità; al 31 dicembre 2016 i detenuti stranieri nelle nostre carceri erano pari a 18.61 su 54.653, ovvero circa il 33 per cento dell'intera popolazione carceraria. Sarebbe quindi opportuno promuovere accordi bilaterali volti ad agevolare il trasferimento dei detenuti provenienti dai Paesi che fanno registrare il maggior flusso di immigrazione verso l'Italia, e, più in generale, con quei Paesi i cui cittadini registrano un alto tasso di presenza nelle carceri italiane;
    nella presente legislatura sono stati approvati una serie di provvedimenti che hanno perseguito, non sempre con la stessa efficacia e con la stessa coerenza, intenti garantisti e di miglioramento delle condizioni effettive per l'espletamento della pena, ma con risultati comunque nel complesso carenti;
    in tema di responsabilità civile dei magistrati, l'approvazione di una legge ad hoc avrebbe potuto rappresentare una svolta: un intervento necessario, e non solo per porre rimedio alla condanna della Corte di Giustizia europea. Un corretto funzionamento della responsabilità civile dei magistrati costituisce infatti un fondamentale strumento per la tutela dei cittadini, troppo spesso danneggiati da errori imputabili esclusivamente alla responsabilità dei magistrati, ed è altresì necessario corollario all'indipendenza e all'autonomia della stessa magistratura. Per questo, avremmo voluto un provvedimento più incisivo, più lineare, più solido; una presa di posizione chiaramente orientata, e non l'ennesimo atteggiamento ambiguo tipico di un Governo troppo timoroso di creare uno scontro tra politica e magistratura;
    il Governo ha infatti messo in atto quella che appare ai firmatari del presente atto una piccola riforma che non ha niente di coraggioso, se non l'unico merito di aver finalmente eliminato l'odioso «filtro di ammissibilità» della domanda di risarcimento, che sostanzialmente dava vita all'assurdo paradosso per cui gli stessi magistrati giudicavano in merito all'ammissibilità di un ricorso contro i colleghi magistrati; la maggioranza ha infatti eseguito un'operazione poco incisiva e contraddittoria, che elimina il filtro di accesso del cittadino alla giustizia, ma che contemporaneamente poi abilmente restringe il campo della responsabilità;
    sugli interventi in materia di processo penale esaminati dal Parlamento e approvati in prima lettura alla Camera, è evidente poi secondo i firmatari del presente atto come le disposizioni introdotte si traducano in interventi di modesta portata, che non possono certo dirsi propri di una vera riforma. Il testo inizialmente presentato dal Governo si proponeva di modificare il codice penale e di procedura penale, rafforzare le garanzie difensive, contrastare i fenomeni corrottivi, mettere mano all'ordinamento penitenziario; alcuni pezzi li abbiamo persi per strada, anche perché approvati, nell'assurda opera di taglia e cuci di questo Governo in tema di giustizia, in altri provvedimenti che a macchia di leopardo vengono esaminati dai due rami del Parlamento in maniera confusa. Altri pezzi non li abbiamo proprio visti, come le disposizioni a garanzia e tutela dei cittadini: anzi, da questo punto di vista, le disposizioni approvate rappresentano, in moltissimi punti, un forte arretramento. Molte norme sembrano piuttosto scritte a favore di una magistratura che tende sempre di più ad aumentare il proprio peso e ad essere ingerente nei processi, a totale discapito delle tutele per i cittadini. Un provvedimento che contiene diversi colpi al diritto di difesa, e nessun effetto preventivo e dissuasivo alla commissione dei reati. Un esempio su tutti: le modifiche all'articolo 438 del codice di procedura penale in materia di giudizio abbreviato, che, così come costruite, non produrranno alcun effetto deflattivo, ma scoraggeranno le richieste di procedere con rito abbreviato. Il progetto di riforma del centrodestra aveva in questo senso cercato di introdurre l'unica norma in grado di garantire deflazione vera e di incoraggiare le richieste di giudizio abbreviato, ovvero la fissazione di un limite massimo di pena. È infatti inutile prevedere diminuzioni di pena senza correlarle ad un certo limite di massimo edittale. Il nuovo giudizio abbreviato formulato dalla maggioranza diventa invece una rinuncia ad una serie di diritti di difesa. Il giudizio abbreviato deve far risparmiare tempo, deve mettere l'imputato nelle condizioni di evitare il dibattimento e in qualche maniera demandare al giudice dell'udienza preliminare la soluzione anche nel merito, ma non può essere, in virtù di un principio di economia e di sconto di pena, così incisivo sul diritto di difendersi. Certamente si deve tendere alla deflazione, e, quindi, all'economia nell'ambito dei tempi, ma se ciò deve poi incidere in maniera così profonda sul diritto di difesa, lo scambio non è più conveniente per la tutela dei diritti costituzionalmente protetti;
    per non parlare degli interventi in tema di prescrizione; le disposizioni già approvate dalla Camera determinano un aumento del termine di prescrizione per i reati di corruzione, e introducono nuove ipotesi di sospensione dei termini di prescrizione, tra cui quelle conseguenti a condanna non definitiva, costituendo una chiara violazione delle norme costituzionali sulla ragionevole durata del processo, nonché una lesione grave dei diritti di difesa dei cittadini; anziché allungare i tempi dei processi, bisognerebbe aumentare il numero dei magistrati, incrementare il personale, migliorare le strutture;
    il dibattito che si è poi sviluppato al Senato ha contribuito ulteriormente a peggiorare il testo attualmente in discussione, e a sbilanciare ulteriormente il sistema penale, dando vita ad un sistema sanzionatorio che non risponde a criteri di razionalità, soprattutto in tema di aumento delle pene e di prescrizione; ad oggi il testo prevede, per i reati contro la pubblica amministrazione, un tempo minimo di prescrizione di dodici anni nell'ipotesi dell'articolo 318, ed arriva a trentatré anni per l'ipotesi di cui all'articolo 319-ter, comma 2, secondo periodo; una vera e propria follia, in pieno contrasto con l'articolo 111 della Costituzione, con il principio della ragionevole durata del processo;
    ad ogni modo, in tema di prescrizione, la discussione sembra essere ancora troppo legata a questioni più che altro ideologiche, dimenticando che la stessa è una delle caratteristiche dello Stato liberale, è una delle garanzie del cittadino. Ciò che manca è la responsabilità, l'organizzazione giudiziaria; il giudice e chiunque ha responsabilità organizzative dovrebbe essere in grado di garantire la celebrazione dei processi, che si fa anche seguendo un ordine cronologico, tenendo conto dei termini di prescrizione;
    gli stessi magistrati dovrebbero evitare di apparire continuamente sui media, garantendo invece l'anonimato, e comunicati impersonali in merito allo svolgimento di inchieste, ai risultati delle indagini e ai processi in corso;
    per quanto riguarda il disegno di legge approvato in prima lettura alla Camera, recante la riforma del processo civile, seppur condivisibile per alcune finalità, nella realtà si compone ai deleghe legislative attuate in un anno e mezzo dall'approvazione definitiva della legge, senza lo stanziamento di risorse finanziarie sufficienti che facciano pensare ad una riforma seria ed articolata; si racconta al cittadino qualcosa che non è realtà, o meglio è solo finzione;
    in tema di lotta alla corruzione, la legge n. 69 del 2015, approvata dalla maggioranza di Governo, è volta a contrastare i fenomeni corruttivi attraverso una serie di misure che prevedono un incremento generalizzato delle sanzioni per i reati contro la pubblica amministrazione: come si può immaginare di ragionare in termini di lotta alla corruzione soltanto in termini di pena? L'unica logica che rende la pena efficace è quella di essere percepita come giusta ed equa da chi delinque: se la pena non è corretta, non è equa, è squilibrata rispetto al sistema non ha più deterrenza perché non viene percepita come giusta;
    ci si è concentrati sull'aumento delle pene per i reati contro la pubblica amministrazione, e nulla è stato fatto per le esigenze quotidiane dei cittadini, minacciati nelle loro case, per assicurare tutela e difesa alla persona ed ai suoi beni nei casi di aggressioni occorse nella propria abitazione o in un altro luogo di privata dimora. Sempre più spesso la cronaca riporta notizie di aggressioni e violazioni perpetrate in danno di persone e famiglie inermi all'interno della propria abitazione o presso locali adibiti ad attività commerciali. Tali aggressioni, oltre al danno in sé, recano un significativo stato di disagio in coloro che le subiscono e, conseguentemente, alimentano uno strisciante allarme sociale. A tale stato si aggiunge l'alea di incertezza che gravita intorno alla qualificazione della condotta delle vittime che, nella concitazione dei momenti in cui è perpetrata la violenza ai loro danni, pongono in essere condotte che, nonostante la violenza subita, sono sanzionate anche penalmente. Sul punto, sarebbe necessario rivedere e superare i limiti della normativa in materia di legittima difesa: se è sicuramente vero che la legittima difesa non può mai costituire una giustificazione per violare con leggerezza il principio della sacralità della vita, bisogna, tuttavia, riconoscere che l'attuale disciplina del diritto alla legittima difesa appare a dir poco punitiva nei confronti del cittadino che cerchi di mettere al riparo la vita propria e dei propri cari nonché i propri beni da attacchi criminali;
    più in generale, bisognerebbe effettuare le opportune valutazioni in merito al modello di ordinamento giudiziario attualmente operante nel nostro Paese; nello specifico, bisognerebbe avviate una definitiva riflessione in merito al riconoscimento della diversità delle funzioni giudiziarie e la conseguente separazione in senso proprio delle carriere dei giudici e dei magistrati del pubblico ministero. La legislazione repubblicana ha valorizzato al massimo l'indipendenza della magistratura e l'obbligatorietà dell'azione penale per favorire una progressiva assimilazione delle figure del giudice e del pubblico ministero, che rappresenta la più marcata differenza tra il sistema giudiziario italiano e quello degli altri Paesi;
    tuttavia, con il codice di procedura penale del 1989, il modello di pubblico ministero scelto dai costituenti è entrato in conflitto con il nuovo ruolo assegnatogli nel processo accusatorio. Per questo motivo, nel corso dei lavori della Commissione bicamerale si affermò, tra rappresentanti di forze politiche diverse, l'idea di separare le funzioni dei giudici e dei pubblici ministeri e, in alcuni casi, di separare anche le loro carriere. Infine, la legge costituzionale n. 2 del 1999 ha introdotto il giusto processo, anche in attuazione delle convenzioni internazionali, rendendo così indifferibile la separazione tra l'ordine dei giudici e l'ufficio del pubblico ministero. Soltanto tale separazione consente, infatti, di realizzare un'effettiva terzietà dell'organo giudicante – vale a dire, la sua equidistanza dalle parti e la parità sul piano processuale dell'accusa e della difesa – offrendo al cittadino un processo effettivamente giusto. Il tema è stato riproposto anche nella scorsa legislatura, all'interno del disegno di legge costituzionale A.C. 4275, presentato dal Governo Berlusconi, che proponeva una complessiva riforma del titolo IV della parte II della Costituzione, relativo alla magistratura, e il cui esame è stato avviato nella scorsa legislatura;
    sempre nella passata legislatura, le Camere avevano avviato l'esame (ed effettuato ben quattro passaggi parlamentari) di un disegno di legge di riforma in materia di intercettazioni; il Governo in carica ha invece optato per la via più sbagliata, affidando una delega vaga e confusa direttamente nelle mani dell'Esecutivo; il nostro giudizio è negativo ovviamente non per il principio: sono anni che combattiamo per riformare il sistema che ha portato un utilizzo assolutamente distorto di questo mezzo di ricerca della prova; anzi, siamo contenti della presa di coscienza di questo Governo sulla necessità di modificare le norme sulle intercettazioni. È lo strumento ad essere sbagliato. Non è accettabile privare il Parlamento della definizione della normativa di dettaglio su questo tema; un tema, come detto, particolarmente delicato, che necessita di soluzioni assolutamente equilibrate, in grado di contemperare diritti costituzionalmente garantiti. La deroga al principio di segretezza delle comunicazioni deve essere fortemente motivata, deve riguardare indagini di matrice penale, e mai indagini esplorative, per ricercare le responsabilità. Non dobbiamo cercare di limitare l'uso, ma di evitare l'abuso delle intercettazioni. Abbiamo assistito in questi anni al paradosso del processo mediatico. Sono state pubblicate quasi esclusivamente le intercettazioni irrilevanti per il processo penale, e siamo giunti al paradosso che il processo penale sembra essere soltanto un pretesto per pubblicare le intercettazioni irrilevanti nello stesso processo penale. Questo è del tutto inaccettabile. Anche in questo caso, il legislatore ha l'obbligo di muoversi con ragionevolezza nel bilanciamento degli interessi; il legislatore «per eccellenza», appunto, ovvero il Parlamento. Non il Governo, a cui la delega, così come approvata in prima lettura, offre una eccessiva libertà di azione;
    lo strumento della delega è stato altresì utilizzato per procedere a diverse depenalizzazioni: la legge n. 67 del 2014 contiene, all'articolo 2, una delega al Governo, che lo stesso Esecutivo ha di recente impiegato per riformare la disciplina sanzionatoria dei reati e contestualmente introdurre sanzioni amministrative e civili. Il dibattito si è comunque concentrato sulla trasformazione in illecito amministrativo del reato di immigrazione clandestina, su cui poi lo stesso Esecutivo è tornato indietro, annunciando comunque un intervento futuro in tal senso. Depenalizzare il reato di ingresso illegale in Italia sarebbe in ogni caso un segnale di estrema debolezza, nei confronti del Paese e dell'Europa. Si tratterebbe di una decisione inopportuna ed irresponsabile del Governo, già in palese affanno per una pessima gestione delle problematiche e dei reati connessi al fenomeno dell'immigrazione illegale. È una questione che oramai affligge l'Italia (e i Paesi rivieraschi) in maniera strutturale, e che oggi è aggravata dal riproporsi prepotente del fenomeno del terrorismo di matrice islamica. Gli italiani hanno bisogno di sicurezza e di certezza, non di politiche goffe e controproducenti, né tantomeno di annunci e spot in funzione di un ritorno elettorale,

impegna il Governo:

1) a mettere in atto ogni iniziativa di competenza tesa ad un intervento globale e coerente che abbia i seguenti punti quali priorità necessarie a rendere efficiente il servizio giustizia e ad assicurare ad ogni cittadino sicurezza e libertà:
   a) l'attuazione delle riforme ordinamentali e processuali per consolidare il principio del giusto processo, che, pur essendo enunciato nella Costituzione, non fa ancora parte del quotidiano esercizio della giurisdizione in quanto: nel processo penale è oramai improcrastinabile restituire efficienza e celerità al sistema e deve essere oltremodo assicurata – ferme restando le esigenze di tutela della collettività – l'effettiva parità tra accusa e difesa e la reale terzietà del giudice; nel processo civile, per il quale va implementato il ricorso all'informatica, deve essere garantita la certezza di una decisione in tempi ragionevoli e vanno individuate le soluzioni idonee ad eliminare il gigantesco macigno dei procedimenti arretrati;
   b) la realizzazione di interventi definitivi finalizzati al superamento delle carenze drammatiche di personale amministrativo, anche attraverso l'esaurimento di graduatorie rimaste finora parzialmente inutilizzate, e all'effettiva riqualificazione del personale;
   c) l'implementazione di un monitoraggio efficace ed incisivo in merito dell'applicazione delle nuove norme in materia di custodia cautelare, degli effetti in merito alla riduzione del sovraffollamento carcerario, e alla piena realizzazione del principio per cui, in linea con quanto previsto dall'articolo 27 della Costituzione, la presunzione di innocenza deve prevalere su ogni altra pur legittima considerazione, così da prevedere il ricorso alla custodia cautelare in carcere solo come extrema ratio;
   d) la normalizzazione dell'emergenza carceraria, anche attraverso una valutazione dell'opportunità di considerare l'esigenza di rimedi straordinari;
   e) la predisposizione di iniziative di riforma costituzionale che garantiscano la piena realizzazione del principio del giusto processo con particolare riferimento alla distinzione tra il ruolo dell'organo giudicante e dell'organo requirente, all'esercizio dell'azione penale secondo regole ben definite, alla ragionevole durata del processo penale, alla riforma del CSM che favorisca un'azione della magistratura svolta nell'esclusivo rispetto della legge;
   f) la tutela del precetto costituzionale dell'indipendenza della magistratura, inteso come indipendenza dei singoli magistrati, soggetti soltanto alla legge e immuni da influenze di carattere correntizio e politico, garantita anche da comunicati impersonali della stessa magistratura, e l'implementazione di ogni iniziativa volta a bloccare la degenerazione della giustizia italiana a causa della proliferazione, nel corpo del sistema giudiziario nazionale, del germe del pregiudizio politico; così come la politica, sia del Governo che del Parlamento, non può ingerirsi nell'attività dei giudici, altrettanto deve fare la politica oggettivamente presente nella magistratura attraverso le sue correnti;
   g) la codificazione di un sistema di controlli in grado di verificare – nel rispetto dei principi di autonomia ed indipendenza – la professionalità dei magistrati, calibrato sull'esaltazione della capacità, dell'equilibrio e della diligenza e che risulti libero dai frequenti protagonismi dei singoli nonché un meccanismo funzionale all'individuazione e selezione dei magistrati chiamati a dirigere gli uffici, che tenga conto della loro effettiva capacità organizzativa e gestionale e non già della loro appartenenza ad una corrente predisponendo, in linea con quanto richiesto anche in sede comunitaria, un puntuale ed efficace sistema di valutazione della responsabilità disciplinare dei magistrati, che sappia garantire la credibilità dell'ordine giudiziario;
   h) l'introduzione di un meccanismo per cui l'ordinanza che accoglie l'istanza di riparazione per ingiusta detenzione sia comunicata, ai fini dell'avvio del procedimento di responsabilità, ai titolari dell'azione disciplinare; si tratta di un meccanismo necessario, in particolare alla luce del costante aumento dei rimborsi dovuti dallo Stato per errori giudiziari;
   i) la realizzazione di una riforma delle disposizioni che riguardano le intercettazioni telefoniche e ambientali per porre fine a quello che rappresenta una grave violazione del diritto alla riservatezza, attuata non per delega ma attraverso disposizioni puntuali approvate dalle Camere. In particolare, le intercettazioni telefoniche devono limitarsi ai casi di reale e comprovata presenza di gravi indizi e riguardare esclusivamente gli indagati o soggetti effettivamente a questi collegati e deve essere severamente punita la diffusione, prima ancora del rinvio a giudizio, delle intercettazioni telefoniche, soprattutto se riguardano terzi non indagati e vengono peraltro estrapolate dal contesto generale; occorre, infine, inasprire le pene per chi divulga, ma devono essere individuate le responsabilità di chi rilascia le informazioni dall'interno delle procure;
   l) il potenziamento degli strumenti di lotta alla criminalità di tipo mafioso, non soltanto sotto il profilo della certezza della pena, ma anche mediante l'effettiva applicazione delle misure di prevenzione;
   m) il contrasto – sulla scia delle iniziative già adottate dai Governi Berlusconi – ad ogni forma di aggressione alla sicurezza e libertà dei cittadini: ciò sia rendendo effettivo il principio di certezza della pena, sia garantendo che attraverso l'irrogazione della sanzione penale possano essere recisi i legami con le organizzazioni criminali, senza abbandonare la strada già intrapresa in particolare nella scorsa legislatura sul versante dell'aggressione ai patrimoni illecitamente accumulati, allo scopo di privare le associazioni mafiose di ogni possibile risorsa finanziaria; sia attraverso la revisione della disciplina della legittima difesa, che si è rivelata inidonea a garantire una piena ed efficace copertura all'esercizio di tale diritto, come dimostra il perdurare degli episodi di criminalizzazione dei cittadini costretti a difendere se stessi, i propri cari e i propri beni;
   n) la definitiva implementazione di una modernizzazione tecnologica degli uffici giudiziari, già avviata con parziale successo, in ragione di una loro maggiore efficienza e produttività; la realizzazione di programmi di innovazione digitale, per il miglior funzionamento degli uffici, da attuare con il completo ammodernamento delle infrastrutture e delle reti di trasmissione dei dati informatizzati;
   q) l'attuazione degli accordi bilaterali in essere ed un deciso impegno nella stipula di nuovi accordi bilaterali con altri Stati, affinché i detenuti stranieri scontino la pena nei Paesi di origine, tenuto conto che attualmente circa il 33 per cento dei detenuti è di origine straniera.
(6-00285) «Sarro, Sisto».


   La Camera,

impegna il Governo:

1) a mettere in atto ogni iniziativa di competenza tesa ad un intervento globale e coerente che abbia i seguenti punti quali priorità necessarie a rendere più efficiente il servizio giustizia e ad assicurare ad ogni cittadino sicurezza e libertà:
   a) l'attuazione delle riforme ordinamentali e processuali per consolidare il principio del giusto processo, che, pur essendo enunciato nella Costituzione, non fa ancora parte del quotidiano esercizio della giurisdizione in quanto: nel processo penale è oramai improcrastinabile restituire efficienza e celerità al sistema e deve essere oltremodo assicurata – ferme restando le esigenze di tutela della collettività – l'effettiva parità tra accusa e difesa e la reale terzietà del giudice; nel processo civile, per il quale va implementato il ricorso all'informatica, deve essere garantita la certezza di una decisione in tempi ragionevoli e vanno individuate le soluzioni idonee ad eliminare il gigantesco macigno dei procedimenti arretrati;
   b) la realizzazione di interventi definitivi finalizzati al superamento delle carenze drammatiche di personale amministrativo, anche attraverso l'esaurimento di graduatorie rimaste finora parzialmente inutilizzate, e alla progressiva riqualificazione del personale;
   c) l'implementazione di un monitoraggio efficace ed incisivo in merito dell'applicazione delle nuove norme in materia di custodia cautelare, degli effetti in merito alla riduzione del sovraffollamento carcerario, e alla piena realizzazione del principio per cui, in linea con quanto previsto dall'articolo 27 della Costituzione, la presunzione di innocenza deve prevalere su ogni altra pur legittima considerazione, così da prevedere il ricorso alla custodia cautelare in carcere solo come extrema ratio;
   d) il superamento della criticità carceraria anche mediante la revisione del sistema dell'esecuzione penale;
   e) la predisposizione di riforme che garantiscano la piena realizzazione del principio del giusto processo con riferimento anche alla ragionevole durata del processo penale, nonché della riforma del CSM che favorisca un'azione della magistratura più efficiente ed efficace, nel pieno rispetto della legge;
   f) la realizzazione di una riforma delle disposizioni che riguardano le intercettazioni telefoniche e ambientali per porre fine a quello che rappresenta una grave violazione del diritto alla riservatezza, con particolare riferimento alla tutela dei soggetti estranei al procedimento;
   g) il potenziamento degli strumenti di lotta alla criminalità di tipo mafioso, non soltanto sotto il profilo della certezza della pena, ma anche mediante l'effettiva applicazione delle misure di prevenzione;
   h) la definitiva implementazione di una modernizzazione tecnologica degli uffici giudiziari, già avviata con parziale successo, in ragione di una loro maggiore efficienza e produttività; la realizzazione di programmi di innovazione digitale, per il miglior funzionamento degli uffici, da attuare con il completo ammodernamento delle infrastrutture e delle reti di trasmissione dei dati informatizzati;
   i) l'attuazione degli accordi bilaterali in essere ed un deciso impegno nella stipula di nuovi accordi bilaterali con altri Stati, affinché i detenuti stranieri scontino la pena nei Paesi di origine, tenuto conto che attualmente circa il 33 per cento dei detenuti è di origine straniera.
(6-00285)
(Testo modificato nel corso della seduta come risultante dalla votazione per parti separate)  «Sarro, Sisto».


   La Camera,
   udite le comunicazioni del Ministro della giustizia sull'amministrazione della giustizia, ai sensi dell'articolo 86 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come modificato dall'articolo 2, comma 29, della legge 25 luglio 2005, n. 150;
   tali comunicazioni rappresentano un atto di estrema rilevanza ai fini della definizione programmatica della politica «in fieri» rispetto alla giustizia, che non possono che essere esaminate attentamente da parte del Parlamento;
   la crisi della giustizia, civile e penale, nonché delle carceri, a causa dei numerosi e complessi problemi, cui solo in minima parte si è data risposta da parte del legislatore e del Governo, rappresenta una delle più urgenti questioni del nostro Paese. Le vittime sono milioni di persone, sia per la lentezza dei processi, sia per le condizioni di detenzione inaccettabili – quanto a presenze, la popolazione carceraria si attesta sulle 54.653 presenze – che, peraltro, non possono che tradursi in eventi critici, nonché nell'aumento della recidiva, come effettivamente avvenuto in questi anni;
   lo stato della giustizia italiana ha raggiunto un livello di drammaticità sconosciuto in altri Paesi democratici, rispetto al quale l'Italia versa – ancora, purtroppo, nonostante alcuni sforzi del Governo – in una situazione di illegalità sostanziale, e tale da aver aperto la strada alle condanne intervenute nel tempo da parte della Corte europea dei diritti umani nei confronti del nostro Paese, solo in parte attenuate dai provvedimenti intervenuti in corso di legislatura;
   è evidente, inoltre, il graduale aumento delle difficoltà di accesso del cittadino al servizio giustizia, realizzato direttamente anche attraverso il vorticoso aumento dell'importo del contributo unificato o indirettamente tramite, ad esempio, la compressione delle tutele introdotte dalla cosiddetta «legge Pinto» o di quelle garantite dall'istituto del patrocinio a spese dello Stato;
   quanto ai dati, come riferisce il sito del Ministero della giustizia, i procedimenti pendenti ammontano a quasi sette milioni: circa quattro milioni, i civili; più di tre milioni, i penali. In particolare, l'arretrato civile «patologico», ultratriennale in Tribunale – escludendo l'attività del giudice tutelare, dell'ATP (Accertamenti tecnici preventivi), delle esecuzioni e dei fallimenti – si attesta sui 445.324 procedimenti. I detenuti in attesa di giudizio: 9.337;
   ogni anno, nel nostro Paese, circa 7 mila persone vengono arrestate e poi giudicate innocenti; migliaia sono i processi ogni anno per ingiusta detenzione, o errore giudiziario; la durata media delle cause civili, come anche dichiarato dal Ministro della giustizia, sarà anche lievemente diminuita, ma è ancora troppo lunga, con alcune ipotesi di durata macroscopica e riconnessi costi spaventosi per i cittadini;
   la Corte di giustizia dell'Unione europea, con la sentenza 11 ottobre 2016, causa C-601/14, ha dichiarato l'Italia inadempiente in relazione al sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti;
   quanto all'intervento governativo, poi, su leggi inefficaci e criminogene, quali il Testo Unico sugli stupefacenti, nell'attuale formulazione, nonché la cosiddetta «Bossi-Fini» in tema di immigrazione, questo è stato correttivo solo in parte; a fenomeni che evidentemente richiedono approcci diversi da quello penale, sono state offerte solo timide risposte;
   la legalizzazione della cannabis e dei suoi derivati sarebbe misura necessaria non solo per deflazionare ulteriormente il sovraffollamento carcerario, ma anche per impostare una diversa politica relativa al consumo di stupefacenti, con interventi repressivi, ma principalmente preventivi, rispetto alle condotte nelle quali effettivamente è riscontrabile la pericolosità sociale e il potenziale danno individuale;
   al di là della trasformazione in illecito amministrativo, il reato cosiddetto di «immigrazione clandestina», avrebbe dovuto essere del tutto espunto dal nostro ordinamento, in quanto in contrasto con la Costituzione, punendo di fatto la persona non in conseguenza di un suo comportamento contrario alle norme, bensì per il mero trovarsi in una condizione personale di difetto di permesso di soggiorno;
   la riforma dell'istituto della prescrizione consta di una mera dilatazione dei suoi tempi destinata a «sanare» l'insostenibile lentezza della Giustizia con l'effetto di allungare sensibilmente la durata dei processi; non, invece, di un intervento mirato ed efficace sulle tipologie di reati che maggiormente hanno mostrato criticità rispetto all'interesse dello Stato alla relativa punibilità, quali, ad esempio, quelli contro la Pubblica Amministrazione, nonché contro l'ambiente;
   sul reato di tortura, intollerabile è quanto accaduto in Parlamento, con il provvedimento che – come già accaduto in altre legislature – giace ormai inerte, a segno della mancanza di una reale volontà politica di introdurlo;
   come pure si registra grande lentezza nell'iter di provvedimenti incardinati su temi rilevanti quali la modifica all'ordinamento penitenziario per l'effettività rieducativa della pena, le misure per il contrasto alla criminalità organizzata e ai patrimoni illeciti;
   evidentemente l'iniziativa legislativa del Governo, anche in tema di giustizia, si continua a caratterizzare per le numerose deleghe legislative su ampie materie, come accaduto nel caso del disegno di legge delega al Governo recante disposizioni per l'efficienza del processo civile, o sul processo amministrativo, peraltro spesso di una genericità eccezionale e sorprendente, ovvero talmente indefiniti da non poter costituire, secondo i dettati costituzionali, presupposto normativo per legittimare il Governo all'emanazione di decreti legislativi;
   un sistema giudiziario efficace non può infine prescindere dallo stanziamento in via prioritaria di risorse adeguate e idonee per garantire l'effettività dei diritti, nonché il concreto miglioramento della qualità dell'organizzazione del sistema-giustizia,

impegna il Governo

1) ad intervenire con iniziative urgenti ed efficaci nel contrasto alla corruzione ed alle mafie, quale priorità assoluta;
2) a rinforzare gli strumenti di prevenzione dei reati e di controllo, assumendo iniziative per introdurre, altresì, misure per incentivare la celerità dei processi;
3) a promuovere concrete ed urgenti misure a tutela e sostegno delle vittime dei reati;
4) a favorire l'accesso dei cittadini alla giustizia, nel pieno rispetto dell'articolo 24 della Costituzione, in particolare rivedendo gli aumenti vertiginosi dell'importo del contributo unificato, nonché intervenendo sulla soglia reddituale massima per l'accesso all'istituto del patrocinio a spese dello Stato, innalzandola, considerata l'esiguità dell'importo, nonostante il periodico riadeguamento della cifra;
5) onde garantire il buon funzionamento della macchina giudiziaria, ad assumere iniziative per introdurre misure effettive per consentire ai magistrati di svolgere adeguatamente i loro compiti e giungere a sentenza in tempi rapidi, come da tutti auspicato;
6) a dare impulso rispetto all'approvazione di misure per valorizzare concretamente la magistratura onoraria, che da anni attende un adeguato riconoscimento, e che certo può contribuire ad un'accelerazione nello smaltimento dell'arretrato;
7) ad intervenire con urgenza sugli organici di tutte le figure che operano negli istituti di pena e nel circuito penale esterno, in particolare prevedendo con celerità nuove assunzioni, congrue ed adeguate ai nuovi compiti che la legislazione va loro gradualmente affidando;
8) ad intervenire nel più celere tempo possibile al fine di ricollocare professionalmente tutti i 2500 «precari della giustizia»;
9) ad assumere iniziative per introdurre finalmente nel nostro ordinamento il reato di tortura in armonia con la definizione che ne dà la Convenzione di New York;
10) a scongiurare qualsiasi ipotesi di detenzione amministrativa, assolutamente illegittima – oltre che inefficace rispetto alle finalità – quale quella perpetrata nei CIE in aperta violazione degli articoli 3 (parità di trattamento), 13 (obbligo di controllo giurisdizionale sui provvedimenti amministrativi limitativi della libertà personale ed eccezionalità di tali provvedimenti) e 24 (diritto di difesa per tutti, senza possibilità di differenze tra cittadini e stranieri) della Costituzione italiana;
11) a promuovere modifiche all'ordinamento penitenziario per l'effettività rieducativa della pena; non ultimo, sulla scia della consapevolezza dei rischi che comporta per la salute psico-fisica della persona detenuta, riducendo al minimo il ricorso all'istituto dell'isolamento, nel rispetto di quanto previsto dalle regole penitenziarie europee del 2006 e dalle Mandela Rules dell'Onu del 2015;
12) a favorire un rapido iter della proposta di legge, incardinata alla Camera dei deputati, in tema di legalizzazione della coltivazione, lavorazione e vendita della cannabis e dei suoi derivati che, appurato il totale fallimento delle politiche repressive, porterebbe ad ottimi risultati anche quanto a deflazione del carico giudiziario, liberazione di risorse disponibili delle forze dell'ordine e magistratura per il contrasto di gravi fenomeni criminali, nonché prosciugamento di un mercato in larga parte appannaggio di associazioni criminali agguerrite, come anche sostenuto, nel 2015, dalla direzione nazionale antimafia (DNA).
(6-00286) «Daniele Farina, Scotto, Sannicandro, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Zaratti».


   La Camera,
   udite le comunicazioni del Ministro della giustizia sull'amministrazione della giustizia e premesso che:
    l'amministrazione della giustizia in Italia viene avvertita sempre di più dai cittadini come inadeguata e incapace di assicurare la tutela delle persone offese dei reati e la conseguente tutela dei diritti, nonché inidonea nel contribuire al progresso civile del Paese;
    il numero dei processi pendenti sia nel settore civile che in quello penale, l'impossibilità che questi siano definiti in tempi ragionevoli, nonché l'adozione sistematica di provvedimenti cosiddetti «svuota carceri» o «indulti mascherati», tra cui la legge 28 aprile 2014, n. 67 sulla depenalizzazione e la messa alla prova, e da ultimo, il decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28 sulla non punibilità per particolare tenuità del fatto, determinano ormai una sfiducia generalizzata dei cittadini nel sistema giustizia;
    occorre, invece, affrontare con decisione il tema della giustizia e porre mano a riforme che costituiscano reale attuazione dei principi della ragionevole durata e del giusto processo;
    il sistema giustizia ha, infatti, un notevole impatto sul tessuto economico e in particolare sulle imprese, come dimostra il rapporto «Doing Business», stilato ogni anno dalla Banca Mondiale per individuare in quali Paesi sia più vantaggioso investire, che prende tra i diversi parametri (avvio di impresa, accesso al credito, sistema fiscale, eccetera) la durata media di un procedimento civile, ad esempio per il recupero di un credito, dato sicuramente importante per una azienda;
    secondo il rapporto Doing Business 2017 l'Italia perde ben cinque posizioni rispetto allo scorso anno, collocandosi al 50o posto. Nella graduatoria l'Italia è superata da nazioni come la Moldova (che sale dalla cinquantaduesima alla quarantaquattresima posizione) e la Serbia (che l'anno scorso era cinquantanovesima e oggi è quarantasettesima). Il nostro Paese è quindi terzultimo tra i membri dell'Unione europea come capacità di attrarre investimenti: peggio solo la Grecia (sessantunesima) e Malta (settantaseiesima);
    sempre secondo il rapporto Doing Business, tale inefficienza comporta almeno la perdita dell'1 per cento di Pil all'anno, mentre, secondo uno studio della Confartigianato Lombardia, l'eccessiva durata dei processi costa alle imprese alcuni miliardi di euro l'anno e oltre 450 milioni solo alla Lombardia;
    una sentenza di primo grado civile giunge, secondo la media OCSE, dopo 296 giorni, mentre in Italia arriva dopo 367 giorni (367 giorni nel 2016 sono il risultato di una proiezione, calcolata su un campione «rappresentativo» di 40 Tribunali), Inoltre, con la legge di stabilità 2016, la richiesta dell'indennizzo non è più legata soltanto all'eccessiva durata del procedimento, e quindi ad un procedimento troppo lungo che ha pregiudicato i diritti delle parti, ma all'aver esperito, previa inammissibilità della domanda, i provvedimenti preventivi, così gravando ulteriormente le parti di adempimenti infraprocessuali che limitano un diritto riconosciuto sia dalla Costituzione che dalle sentenze della Corte dei Diritti dell'Uomo (CEDU), e ciò, al sol fine, di ostacolare l'esercizio legittimo di un diritto;
    l'inefficienza del nostro sistema giudiziario ha, dunque, anche gravissime ripercussioni di natura economica, soprattutto in un momento di grave crisi come quella che sta ora attraversando il nostro Paese secondo Cribis D&S, la società del gruppo bolognese Crif specializzata nella business information; il 2014 si è chiuso con la cifra record di 15.605 fallimenti, dal 2009 a oggi invece si contano circa 82.500 mila imprese che hanno portato i libri in Tribunale, seppur nel 2016 le imprese che hanno portato i libri in Tribunale sono state 2.704, un calo del 4,4 per cento rispetto ad un anno fa e del 7,8 per cento rispetto al 2014;
    i dati della nostra giustizia suonano talmente allarmanti all'estero, da determinare, nelle aziende straniere la decisione di non delocalizzare nel nostro Paese le proprie attività economiche;
    un efficiente sistema giudiziario e la garanzia della legalità costituiscono questioni interconnesse e di grande rilevanza sociale, non più rinviabili e che vanno assicurate con interventi strutturali e non emergenziali come quelli adottati nell'ultimo periodo;
    è necessario bloccare «ogni manovra» che consenta l'utilizzo degli istituti dell'amnistia e dell'indulto, nonché il ricorso a strumenti «spuri» che permettano nei concreto, una depenalizzazione di una «categoria» o «gruppi» di reato;
    è pur vero, invece, che in tal senso già due provvedimenti, che di fatto costituiscono dei veri e propri indulti, ossia il decreto-legge cosiddetto, «Severino», convertito in legge n. 9 del 2012 e il decreto-legge cosiddetto «Cancellieri», convertito in legge n. 94 del 2013 sono stati approvati, nonché, da ultimo, la legge 28 aprile 2014, n. 67 in tema di depenalizzazione e di messa alla prova;
    in tema di depenalizzazione, si ricorda che il Parlamento, ad eccezione della Lega Nord, con la legge 28 aprile 2014, n. 67, ha approvato l'abrogazione del reato di immigrazione clandestina trasformandolo in sanzione amministrativa. Sul punto infatti occorre fare chiarezza: nel testo originario dello schema di decreto legislativo comunicato alle Camere per il relativo parere non vi era traccia della depenalizzazione di tale reato; è stata la Commissione Giustizia della Camera dei deputati, competente per materia ad esprimere il relativo parere, che invece ha posto come condizione l'introduzione, nel testo di legge, della depenalizzazione del reato di immigrazione clandestina. A fronte di questo, tenuto conto delle polemiche emerse e della contrarietà dell'opinione pubblica alla soppressione del reato in parola, il Governo, ed una parte della magistratura, hanno cercato di far emergere delle discrasie proprie del reato in punto di applicazione sostanziale. Ma tali inconvenienti non sono corrispondenti alla realtà, come peraltro dichiarato da coloro che applicano il reato, ossia i magistrati onorari e nello specifico i giudici di pace. Quindi il Governo, modificando la propria opinione, ha ritenuto di non procedere alla depenalizzazione, non già per convinzione, bensì solo per opportunismo ! È di tutta evidenza che il reato di immigrazione clandestina ha un deterrente anche psicologico che attraverso la depenalizzazione verrebbe meno, Invece la politica di questo Governo è quella di chiudere i centri di identificazione ed espulsione (CIE), eliminando le risorse finanziarie necessarie, al fine di non consentire l'esecuzione delle espulsioni decise dalla magistratura e di «sterilizzare» nei fatti il reato di immigrazione clandestina. Inoltre, l'ulteriore danno causato dall'abrogazione del reato di immigrazione clandestina, sarà quello di convincere l'immigrato irregolare che vi è una generalizzata impunità e possibilità di legittimata occupazione del territorio da parte dei clandestini, non potendo escludere che alcuni di essi siano affiliati all'ISlS;
    con la legge 28 aprile 2014, n. 67, il Governo Renzi ha approvato la depenalizzazione attraverso l'introduzione della non punibilità per particolare tenuità del fatto di ben 157 reati tra cui: furto, truffa, violazione di domicilio, minaccia, rissa, reati tributari, finanziari, corruzione, danneggiamenti, frodi, autoriciclaggio, omissione di soccorso, omicidio colposo, attuata attraverso il decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28;
    questi provvedimenti, unitamente ai dati ufficiali sull'aumento dei reati predatori ed in particolare dei furti in appartamento, riferite al 2014 e 2015 (fonte Ministero dell'Interno), ma confermate dai primi dati di tendenza del 2016, parlano di un aumento dell'1,7 per cento, mentre il Censis calcola che nel 2015 case e appartamenti svaligiati sono stati 689 al giorno, cioè 29 ogni ora, uno ogni due minuti, dimostrano che qualsiasi provvedimento sostanzialmente di clemenza non ha alcun effetto deflattivo sul sovraffollamento carcerario ma bensì un effetto accrescitivo dei fenomeni criminosi, con aggravio dei costi a carico dei cittadini e del sistema giustizia, salvo quello di «svuotare» momentaneamente le carceri, ma per converso provocano la diminuzione della sicurezza dei cittadini ed ingenerano la convinzione comune dell'impunibilità de facto di determinati reati. Al fine di reprimere efficacemente i reati predatori occorre procedere, con speditezza e in tempi brevi, all'adozione della proposta di legge, Atto Camera 3419, «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, concernenti i reati di furto in abitazione e furto con strappo» ovvero al corrispondente Atto Senato 2147 «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario al fine di contrastare i furti in abitazione»;
    la riforma del processo penale e delle sanzioni penali in discussione al Senato, con il giusto aumento delle pene sui furti o meglio sui reati predatori, non consente di modificare l'opinione negativa sull'amministrazione della giustizia, poiché un aumento di pena che poi viene posto nel nulla da riti alternativi o messa alla prova o dalla tenuità del fatto, è solo un sistema per far credere qualcosa che non esiste e per radicare nel cittadino la convinzione che lo Stato non combatte alcun crimine salvo quello contro la persona offesa !;
    in questo quadro si muove la richiesta di non colpevolizzare sempre e comunque la persona offesa e quindi si chiede di procedere alla riforma della legittima difesa, adottando in tempi brevi come testo quello proposto alla Camera dei deputati, in discussione in Commissione Giustizia, Atto Camera 2892 «Modifica all'articolo 52 del codice penale, in materia di difesa legittima», ovvero il medesimo testo presentato al Senato della Repubblica Atto Senato 1784;
    al fine di aumentare la sicurezza è indispensabile modificare l'attuale sistema introdotto dal Governo Renzi, attraverso il decreto-legge 26 giugno 2014, n. 92, convertito, con modificazioni, con la legge 11 agosto 2014, n. 117, che ha stabilito, tra le altre norme, che qualora il giudice (giudizio prognostico) procedente ritenga che la pena detentiva irrorata possa essere contenuta in un massimo di tre anni, non possono essere disposte le misure della custodia cautelare o degli arresti domiciliari;
    inoltre è necessario modificare la legge 16 aprile 2015, n. 47 approvata sempre dal Governo Renzi, in materia di custodia cautelare in carcere, poiché la necessaria attualità del pericolo per disporre da parte del giudice la misura della custodia cautelare in carcere, prevista con la novella legislativa in parola, sta producendo distorsioni gravi, si pensi ad esempio al caso dei quattro cittadini marocchini residenti nel bolognese sospettati di fare proselitismo jihadista che non finirono in carcere e rimasero in libertà in base alla nuova legge citata sulla custodia cautelare;
    è altresì fondamentale, al fine di garantire la sicurezza dei cittadini, reintrodurre nel testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza (decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990) la possibilità, oggi negata stante le modifiche legislative introdotte di recente, di prevedere per lo spaccio di lieve entità la possibilità della custodia cautelare preventiva in carcere;
    è necessario, al fine di prevedere la certezza della pena, sopprimere nel codice di procedura penale la possibilità per gli imputati di reati di gravissimo allarme sociale (tra cui l'omicidio volontario aggravato, la strage, ecc.) di accedere al rito abbreviato che, come risaputo, consente un forte sconto di pena, attraverso l'adozione, in tempi rapidi, della proposta di legge, approvata da un ramo del Parlamento, e pendente al Senato, Atto Senato n. 2032 «Modifiche all'articolo 438 del codice di proceduta penale, in materia di inapplicabilità e di svolgimento del giudizio abbreviato» e purtroppo abbinata ma non inserita nel testo base del disegno di legge di riforma complessiva del processo penale e delle sanzioni penali pendente al Senato;
    considerato che circa un terzo dei detenuti in carcere oggi è in attesa di giudizio, una riforma della giustizia che assicuri un processo equo e celere avrebbe sicuramente un miglior effetto deflattivo sull'emergenza carceraria, nel rispetto del principio della certezza anche della pena e del processo;
    attualmente al 31 dicembre 2016 nelle carceri italiane vi sono 54.653 detenuti, di cui 18.621 stranieri (che gravano sulle casse dello Stato per 850 milioni di euro l'anno; le risorse maggiori vengono spese per marocchini, romeni ed albanesi), di questi circa 12.000 sono islamici e 7.500 sono praticanti e risulterebbe che di questi ultimi circa 375 sono attenzionati, monitorati o segnalati, e diversi risulterebbero radicalizzati e particolarmente pericolosi;
    particolare e grave allarme destano, da un lato, i fallimenti delle politiche di socializzazione (protocolli di inserimento sociale) ai fini di evitare le radicalizzazioni in carcere, che come mostrato dai dati appena citati tendono esattamente in senso inverso rispetto alle politiche stesse, e dall'altro lato, la mancanza di circa 6.000 agenti di polizia penitenziaria, unita alla vigilanza dinamica, rendono in pratica impossibile arginare il fenomeno della radicalizzazione;
    inoltre si sottolinea come, al fine di evitare le radicalizzazioni, è stato concesso l'ingresso all'interno delle carceri di Imam per consentire la pratica del culto religioso islamico ai detenuti che lo dovessero richiedere. Ma al contrario paiono emergere due gravi problemi: il primo è che non esistendo un registro degli Imam non è comprensibile come si possa definire lo stesso un Imam giacché non è dato sapere su quale specificità lo si consideri una guida morale o spirituale particolarmente esperta, e in secondo poi, per altro verso, non vi è la certezza che gli Imam all'interno delle carceri siano Imam «moderati» anziché tendere alla radicalizzazione dei detenuti;
    occorre altresì predispone un piano di riforme organiche e strutturali con provvedimenti in grado di garantire un più equilibrato rapporto fra i poteri dello Stato, uscendo da logiche emergenziali o d'occasione, che minano l'obbligatorietà dell'azione penale che risulta oggi di fatto non applicata, ed indi, disattesa;
    dette riforme non devono peraltro procedere nel senso di determinare, nei processo penale, una diminuzione delle garanzie difensive dell'imputato, né dette garanzie, debbono essere abbandonate a causa della irragionevole durata del processo, posto che quest'ultima è essa stessa un diritto dell'imputato;
    le riforme devono invero procedere nel senso di garantire un'effettiva parità tra accusa e difesa, contemplando un giudice che sia effettivamente terzo tra le due parti, con una reale responsabilizzazione, anche disciplinare, dei magistrati inquirenti e giudicanti, una separazione delle carriere, una riforma profonda del Consiglio Superiore della Magistratura;
    il recupero di efficienza del sistema giustizia passa necessariamente attraverso una valorizzazione della magistratura onoraria, tenuto conto dell'importante ruolo che oggi svolge nell'amministrare la giustizia e attraverso una stabilizzazione delle professionalità;
    i dati forniti con riguardo alle cause pendenti, circa 4 milioni e mezzo per il processo civile, seppur in diminuzione, e 3 milioni per quello penale, che nel primo semestre 2015 ha visto salire le prescrizioni a 67.420 unità (contro 63.753 prescrizioni nel secondo semestre 2014), rimangono allarmanti e non rassicura il lieve calo registrato, che invece attesta la sempre più sfiducia dei cittadini a rivolgersi all'autorità giudiziaria per la sostanziale impunità garantita ai colpevoli dei reati e la difficoltà ad avere accesso alle strutture giudiziarie per i tagli operati da questo Governo alle sedi di tribunale e procure;
    la riforma del processo civile che questo Governo vuole attuare, seppur condivisibile per alcune finalità, nella realtà è una riforma composta da deleghe legislative attuate in un anno e mezzo dall'approvazione definitiva della legge delega, senza lo stanziamento di risorse finanziarie sufficienti che facciano pensare ad una riforma seria ed articolata; si racconta al cittadino qualcosa che non è realtà, o meglio è solo finzione;
    l'aumento indiscriminato negli ultimi tre anni del contributo unificato, nonché l'introduzione di costi di notifica nei casi di procedimenti esenti (tra cui ad esempio il procedimento avverso le sanzioni amministrative ai sensi della legge n. 689 del 1981), hanno per certo gravemente scoraggiato i cittadini onesti ad accedere all'amministrazione della giustizia, oltre a palesare, altresì, anche una violazione dell'articolo 3 della Carta costituzionale che sancisce sia l'eguaglianza formale ma anche, e soprattutto, l'eguaglianza sostanziale tra le persone,

impegna il Governo

1) ad intraprendere tutte le iniziative necessarie per:
  a) la revisione della composizione e del sistema elettorale del Consiglio superiore della magistratura e la fissazione dei suoi compiti in via tassativa, in modo che venga impedito all'organo di autonomia della magistratura ogni travalicamento di funzioni;
  b) la separazione netta delle carriere dei magistrati, con modalità tali da garantire l'assoluta indipendenza del giudice;
  c) l'incompatibilità assoluta tra la permanenza nell'ordine giudiziario e l'assunzione di incarichi, elettivi e non, ciò anche al fine di rendere credibile l'indipendenza e l'imparzialità di chi esercita le funzioni giudiziarie;
  d) la revisione delle circoscrizioni giudiziarie, di cui ai decreti legislativi del 7 settembre 2012 n. 155 e n. 156, che di fatto, sopprimendo circa 1.000 uffici giudiziari, tra tribunali, procure, sezioni distaccate e sedi del giudice di pace, ha reso più difficile l'accesso alla giustizia da parte dei cittadini, rallentato i tempi delle cause, diminuito i presidi di legalità sul territorio, «punti di riferimento» per l'erogazione dei servizi di giustizia e penalizzato quelle sedi che invece assicuravano una giustizia in tempi ragionevoli; urge pertanto intervenire attraverso una immediata correzione della riforma salvaguardando e preservando le sedi giudiziarie efficienti che garantiscono funzionalità al sistema giustizia in ottemperanza alle esigenze territoriali, in modo particolare al Nord;
  e) la compiuta modernizzazione tecnologica di tutti gli uffici giudiziari, nonché la completa implementazione del processo telematico;
   f) favorire un rapido iter della proposta di legge, approvata da un ramo del Parlamento, e pendente al Senato, atto Senato n. 2032 «Modifiche all'articolo 438 del codice di procedura penale, in materia di inapplicabilità e di svolgimento del giudizio abbreviato», al fine di non consentire l'applicabilità dei giudizio abbreviato ai soggetti imputati di reati di gravissimo allarme sociale (tra cui l'omicidio volontario aggravato, la strage e altro);
  g) favorire un rapido iter della proposta di legge per procedere alla riforma della legittima difesa, Atto Camera 2892 «Modifica all'articolo 52 del codice penale, in materia di difesa legittima», ovvero Atto Senato 1784;
  h) la reintroduzione nel testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza (decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990) della possibilità, di prevedere per lo spaccio lieve entità la possibilità della custodia cautelare preventiva in carcere;
  i) la modifica dell'articolo 275 del codice di procedura penale al fine di consentire, qualora il giudice procedente ritenga che la pena detentiva irrogata possa essere contenuta in un massimo di tre anni la possibilità di disporre le misure della custodia cautelare o degli arresti domiciliari;
  j) la modifica della legge 16 aprile 2015, n. 47 per espungere ai fini dell'applicabilità della misura della custodia cautelare in carcere fattualità del pericolo;
  k) la reiezione di tutte le iniziative atte a consentire l'applicazione degli istituti dell'amnistia e dell'indulto, nonché norme che di fatto, attraverso un «mascheramento», non consentono l'effettività della pena ed applicano una depenalizzazione o comunque consentano l'improcedibilità di numerosi reati di grave allarme sociale per fatti ritenuti di lieve entità, come previsto dal decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28;
  l) la completa e piena attuazione del piano straordinario penitenziario e la messa in sicurezza o in funzione delle 38 strutture esistenti che potrebbero essere utilizzate come istituti di pena;
  m) favorire un rapido iter delle proposte di legge già depositate alla Camera, atto Camera n. 1593 «Modifiche al codice di procedura penale in materia di funzioni del pubblico ministero e della polizia giudiziaria nonché di Svolgimento delle indagini preliminari» e atto Camera n. 1594 «Delega al Governo in materia di determinazione dei criteri di priorità nell'esercizio dell'azione penale»;
  n) con riguardo alla repressione dei reati predatori (furto in abitazione, furto con strappo, etc.) favorire un rapido iter della proposta di legge già depositata alla Camera, Atto Camera 3419, «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, concernenti i reati di furto in abitazione e furto con strappo» ovvero al corrispondente Atto Senato 2147 «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario al fine di contrastare i furti in abitazione»;
  o) procedere all'assunzione del personale di polizia penitenziaria al fine di coprire tutti i posti vacanti in modo da migliorare e garantire la sicurezza delle carceri, ed in ogni caso, eliminare la vigilanza dinamica all'interno delle carceri tenuto conto che la stessa consente la radicalizzazione, nonché revocare l'accordo con l'UCOII in relazione agli Imam che entrano nelle carceri, tenuto conto che detti Imam non possono essere considerati Imam «moderati»;
  p) con riguardo al riconoscimento ed alla revoca dello status di rifugiato, tenuto conto che attualmente il diniego è impugnabile con tre gradi di giudizio e le tempistiche ai fini decisori sono lunghe e farraginose, favorire un rapido iter della proposta di legge depositata alla Camera, atto Camera AC 3657 «Modifiche al decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, in materia di competenza per il riconoscimento e la revoca dello status di rifugiato», che attribuisce la competenza decisoria su detti procedimenti ai giudici di pace;
  q) mantenere l'attuale reato di immigrazione clandestina che ha un deterrente anche psicologico che attraverso la depenalizzazione verrebbe meno, giacché, l'ulteriore danno, causato dall'abrogazione del reato di immigrazione clandestina, sarà quello di convincere l'immigrato irregolare che vi è una generalizzata impunità e possibilità di legittimata occupazione del territorio;
  r) l'attuazione degli accordi bilaterali in essere ed un deciso impegno nella stipula di nuovi accordi bilaterali con altri Stati, affinché i detenuti stranieri scontino la pena nei Paesi di origine, tenuto conto che attualmente circa il 35 per cento dei detenuti sono stranieri, con punte, nelle case di reclusione del Nord anche oltre il 50 per cento, e ciò anche al fine di evitare eventuali radicalizzazioni.
(6-00287) «Molteni, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    la direzione investigativa antimafia nella sua ultima relazione afferma «la presenza negli istituti penitenziari sardi di soggetti affiliati alla ’ndrangheta non è da escludere possa favorire contatti con esponenti della criminalità locale anch'essi sottoposti a regime detentivo»;
    la stessa direzione investigativa antimafia scrive: «anche l'esecuzione di appalti pubblici nelle diverse province sarde, soprattutto nel settore delle infrastrutture stradale e del risanamento idrogeologico potrebbe tendenzialmente attrarre l'interesse dei gruppi criminali calabresi»;
    a questi evidenti, chiari e ineludibili, elementi di una gravità inaudita si aggiunge uno stato preoccupante della giustizia in Sardegna;
    la durata media dei procedimenti definiti con sentenza è stata di 1.544 giorni presso il tribunale di Cagliari, di 576 presso il tribunale di Lanusei, di 1.386 giorni presso il Tribunale di Nuoro, di 1.666 giorni presso il tribunale di Oristano, di 326 giorni presso il Tribunale di Sassari, di 1267 giorni presso il tribunale di Tempio, di 909 giorni presso la Corte di appello di Cagliari e di 958 giorni presso la sezione di Sassari;
    tale durata – secondo la relazione sullo stato della Giustizia in Sardegna – è per molti uffici assolutamente al di fuori dei parametri europei ed è quindi indispensabile che sia effettivamente attuata una rimodulazione dei ruoli al fine di dare la precedenza alle cause di più vecchia iscrizione, che poi sono normalmente quelle più complesse, come ad esempio le cause di divisione ereditaria che impongono consulenze tecniche e prove lunghe e difficili;
    dalle relazioni degli organismi competenti emergono due elementi significativi che vanno posti in evidenza, in quanto delineano scenari suscettibili di ulteriore evoluzione e di sicuro interesse investigativo in Sardegna; il primo attiene alla indubbia conferma dei collegamenti tra le strutture criminali locali con gruppi di criminalità organizzata di tipo mafioso, in particolare modo con la «’ndrangheta» calabrese; il secondo riguarda alcuni cambiamenti nel «modus operandi» di alcune organizzazioni indigene, nello specifico settore delle sostanze stupefacenti;
    l'oggetto principale delle attività criminali e delle relative correlate indagini, come confermano i dati quantitativi, si registra una sua allarmante evoluzione verso forme più evidenti di controllo criminale di interi contesti territoriali, specie di tipo urbano o sub urbano-degradato, rendendo per certi versi assimilabile l'operatività delle organizzazioni criminali sarde ai modelli tipici delle organizzazioni mafiose;
    secondo le relazioni della Procura «andrà pertanto ricontrollata, alla luce di precise ed aggiornate emergenze investigative, la correttezza della tesi che tende ad escludere, per le organizzazioni criminali autoctone sarde, le connotazioni tipiche dei sodalizi mafiosi, in base all'opinione diffusa secondo cui l'operatività delle stesse non si manifesta in forma egemonica sul territorio»;
    appare sempre più evidente una grave sottovalutazione dei fenomeni e la perdita di quella visione d'insieme dei fatti criminali che, sola, può garantire l'emersione del crimine organizzato, specie di tipo mafioso;
    la piena applicazione e, ove occorre, l'aggiornamento dei richiamati protocolli d'intesa tra le procure ordinarie e la Direzione distrettuale antimafia di Cagliari, potrà al contrario assicurare quel necessario patrimonio conoscitivo da tradursi in appropriati approcci investigativi per il contrasto al crimine organizzato isolano;
    ciò costituisce conferma della necessità di un'azione investigativa selettiva verso forme sempre più sofisticate di criminalità che vanno radicandosi nell'isola, nel quadro di un'efficace aziona di coordinamento, di polizia e giudiziaria;
    la Direzione distrettuale antimafia di Cagliari dunque tende a sfatare il mito della Sardegna immune dalla malavita di stampo mafioso e nella propria ultima relazione dichiara di cercare soluzioni e modelli investigativi adeguati a quelli adottati nelle regioni dove la mafia esiste e controlla il territorio;
    emergono fatti emblematici che inducono un'immediata inversione di tendenza rispetto al dislocamento grave e massiccio nelle carceri sarde di gran parte dei detenuti ricadenti nella fattispecie della criminalità organizzata;
    il rischio infiltrazioni mafiose in Sardegna è altissimo;
    la direzione distrettuale antimafia solo per citare uno degli ultimi episodi ha messo sotto torchio i lavori della connessione viaria Sassari Olbia con blitz ripetuti sui cantieri, controlli a persone, mezzi e imprese;
    operazioni interforze con cantieri circondati e messi al setaccio in ogni singolo dettaglio dai quali sono emersi coinvolgimenti chiari di imprese prive dei requisiti antimafia;
    alti magistrati confermano il gravissimo rischio infiltrazioni mafiose in Sardegna che impongono di bloccare in tutti i modi lo scellerato piano di fare della Sardegna una cajenna mafiosa con l'arrivo dei più importanti capicosca;
    l'impatto di quel piano di trasferimenti nell'isola rischia di diventare devastante considerato che in Sardegna sono stati dislocati oltre il 50 per cento dei detenuti inquisiti e condannati per reati legati all'associazione di stampo mafioso, compresi quasi 100 detenuti in regime di 41-bis;
    il trasferimento dei detenuti più pericolosi negli istituti penitenziari sardi comporta problemi devastanti prima di tutto per il grave pericolo legato alle infiltrazioni mafiose e camorristiche: la Sardegna finora è risultata estranea a fenomeni di questo tipo, ma il trasferimento di tali detenuti comporta un rischio altissimo come la possibilità che le stesse famiglie possano trasferirsi in Sardegna pur di stare a contatto diretto e costante con i propri congiunti detenuti;
    con atto di sindacato ispettivo n. 4-04807 presentato dall'interrogante il 29 ottobre 2009, si denunciava che la Sardegna era nel mirino di interessi e affari di rilevante entità legati alla malavita organizzata connessi con l'imponente business dell'eolico;
    la Is Arenas renewable energies che voleva realizzare un impianto eolico off shore secondo l'atto di sindacato ispettivo richiamato appariva «indirettamente inserita in un complesso intreccio societario di cui è parte fondamentale la società Krenergy, nata dalla fusione tra Kaitech e Eurinwest energia»; pare all'interrogante che tale società, pur non direttamente impegnata in attività nella regione Sardegna, abbia indirettamente «ereditato» i capitali e la storia imprenditoriale della vecchia Kaitech, che nel 2005 era stata coinvolta in accertamenti giudiziari con riferimento al cosiddetto «tesoro» dell'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino con il rischio che dietro iniziative definite di energia rinnovabile si potessero celare interessi poco chiari, e forse anche il possibile utilizzo di denari di provenienza sospetta;
    con l'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08145 del 17 ottobre 2012, l'interrogante denunciava un trasferimento di detenuti mafiosi e camorristi tutti reclusi in alta sicurezza 3 per la Sardegna con un pericolo rilevante per infiltrazioni mafiose e camorriste, che considerati i numeri e i detenuti trasferiti sono molto più di un pericolo;
    l'interrogante in data 15 marzo 2013 presentava un atto di sindacato ispettivo sul trasferimento di detenuti mafiosi e camorristi tutti reclusi in alta sicurezza 3 e denunciava «per la Sardegna un pericolo rilevante per infiltrazioni mafiose e camorriste, che considerati i numeri e i detenuti trasferiti sono molto più di un pericolo»;
    con un'altra interrogazione del 20 febbraio 2014 l'interrogante denunciava al Ministro della giustizia che le famiglie dei capimafia hanno iniziato lo sbarco in Sardegna;
    nello stesso atto di sindacato ispettivo si denunciava che da Porto Torres a Palau diversi nuclei familiari avrebbero preso dimora casa nell'isola per «assistere» i loro strettissimi familiari detenuti in regime di alta sicurezza nel carcere di Tempio Nuchis;
    trasferimenti che, riscontrabili incrociando dati e presenze, sono di una gravità inaudita proprio perché quello del trasferimento dei familiari dei detenuti mafiosi in Sardegna era il pericolo numero uno denunciato sin dal primo sbarco nell'isola dei vertici delle associazioni mafiose;
    a quanto consta al firmatario dell'interrogazione 5-02210 i familiari più diretti degli ergastolani detenuti a Tempio per mafia hanno incominciato la trafila di collegamento e supporto ai detenuti;
    a Porto Torres, così come a Palau, si sarebbero trasferiti i familiari diretti di alcuni ergastolani giunti a Tempio nel mese di giugno 2014;
    già dal mese di novembre 2013 la residenza risulterebbe certificata nei loro nuovi comuni;
    uno dei capi mafia in carcere per il famoso 416-bis, fine pena mai, raggiunto dai congiunti più diretti in terra sarda, è accusato sia di traffico internazionale di stupefacenti che di omicidio;
    tutto questo sta avvenendo nel più totale silenzio delle istituzioni, da quelle nazionali che regionali;
    un silenzio inaccettabile e vergognoso dinanzi ad un argomento che non può essere tenuto in silenzio;
    le infiltrazioni mafiose sono a portata di mano e la Sardegna e con questo atteggiamento nefasto del Governo che insiste nel voler trasferire quasi 300 detenuti in regime di 41-bis nell'isola si sta rischiando di subire un contraccolpo senza precedenti;
    certe situazioni devono essere prevenute piuttosto che curate;
    oggi, invece, si sta assistendo ad una situazione che era stata drammaticamente prevista;
    tutti i report del Ministero segnalavano che il pericolo non fosse il detenuto in carcere, ma quello che sarebbe successo all'esterno. Tutto confermato;
    il rapporto del Ministero sui detenuti di alta sicurezza aveva messo nero su bianco che il fenomeno di infiltrazione mafiosa sarebbe stato avviato con il trasferimento di congiunti diretti;
    in questo caso sono direttamente i fratelli dei detenuti che hanno preso casa e stanno iniziando la spola tra il carcere e le nuove residenze;
    deve essere immediatamente bloccato questo fenomeno di infiltrazione mafiosa ed essere invertita una scelta tutta politica;
    in nessuna legge dello Stato c’è scritto che questi detenuti debbano venire tutti in Sardegna con una concentrazione gravissima e contro ogni regola di lotta alla mafia; le norme prevedono che i detenuti in regime di 41-bis potessero trovare «preferibilmente» alloggio nelle aree insulari, intese non come regioni insulari, ma piccole porzioni di aree insulari quali Pianosa o Gorgona;
    la legge prevede la dislocazione di questi detenuti di alta sicurezza in tutte le altre carceri italiane a condizione che siano isolati dagli altri;
    il trasferimento di detenuti e l'arrivo dei congiunti si configura come la realizzazione di una vera e propria testa di ponte tra le realtà maggiormente interessate al fenomeno mafioso e la regione Sardegna;
    a questo si aggiunge che a quanto risulta al firmatario dell'interrogazione 5-02210 su diversi cantieri di opere viarie del nord Sardegna si registrerebbe, senza alcuna trasparenza, la presenza di imprese calabresi in quantità inaccettabili che escludono le imprese sarde e rendono impossibile l'accesso delle stesse alle opere più importanti;
    il 26 febbraio 2015 il firmatario del presente atto di indirizzo aveva segnalato il pericolo di un rischio altissimo di infiltrazioni mafiose in Sardegna segnalando che la direzione distrettuale antimafia stava mettendo sotto torchio l'appalto stradale Sassari-Olbia con blitz ripetuti sui cantieri, controlli a persone, mezzi e imprese. Operazioni interforze con cantieri circondati e messi al setaccio in ogni singolo dettaglio;
    alti magistrati reiteratamente hanno denunciato e confermato il gravissimo rischio infiltrazioni mafiose occorre bloccare in tutti i modi l'inaccettabile piano di fare della Sardegna una «cajenna» mafiosa con l'arrivo dai più importanti capicosca;
    è elemento assai noto che l'attività della criminalità organizzata ha concentrato la propria attività su settori diversificati, dall'energia alla gestione dei rifiuti, dai servizi sanitari alle opere infrastrutturali;
    dagli atti di sindacato ispettivo reiteratamente presentati dal firmatario del presente atto sul rischio di infiltrazioni mafiose in Sardegna si evince che sono diversi i settori sui quali il potenziale rischio di infiltrazione mafiosa può avere anche nell'isola una rilevanza preoccupante;
    dalla prima denuncia del sottoscritto risalente al 2009 sino alle recenti di quest'anno si percepisce come tale rischio sia stato sempre di più valutato come vero e proprio pericolo dagli stessi organi della magistratura che hanno reiteratamente in quest'ultimo anno collegato il rischio di infiltrazioni all'arrivo in Sardegna di un quantitativo abnorme e fuori da qualsiasi criterio di esponenti di primo piano della malavita organizzata;
    in questo contesto si inserisce la gestione dei rifiuti urbani che in vari comuni della Sardegna è affidato a una società che più volte risulta coinvolta in inchieste giudiziarie rilevanti legate ad organizzazioni criminali e alle loro attività imprenditoriali e che ha avuto i diretti responsabili coinvolti in vicende giudiziarie con l'arresto di dirigenti e amministratori di primo piano;
    in questo caso è evidente che tale commissione tra criminalità organizzata e servizi pubblici ha implicazioni di varia natura che meritano di essere sottoposte a verifiche attente per valutare la reale consistenza di questo fenomeno e quali sia il grado di compromissione di tali gestioni con la criminalità organizzata;
    in questo contesto si inquadra la vicenda legata ad un appalto di dimensioni i rilevanti affidato dalla asl di Nuoro ad una compagine imprenditoriale che ha visto una delle principali società aggiudicatarie dell'appalto associate ad una inchiesta giudiziaria che ha portato all'arresto del vertice della stessa;
    la vicenda amministrativa e giudiziaria che permette tale evoluzione si evince dalla decisione del TAR Sardegna che annulla la gara stessa;
    con bando di gara, inviato per la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea in data 16 agosto 2007 e pubblicato sulla G.U.R.I. per estratto in data 22 agosto 2007, l'azienda sanitaria locale n. 3 di Nuoro indiceva una procedura aperta per l'affidamento mediante project financing della concessione dei lavori relativi alla ristrutturazione e completamento dei presidi ospedalieri San Francesco e C. Zonchello di Nuoro, San Camillo di Sorgono e dei presidi sanitari distrettuali di Macomer e Siniscola, e la gestione di servizi vari;
    la durata della concessione era stabilita in ventisette anni, decorrenti dalla data di sottoscrizione;
    dalla comparazione e dalla consequenzialità degli atti e della vicenda, emerge che nonostante l'annullamento da parte del TAR Sardegna dell'appalto della Asl di Nuoro, in sede di Consiglio di Stato le ricorrenti abbiano rinunciato alla sentenza del Tar e conseguentemente alle opposizioni al Consiglio di Stato e vi è stato un accordo che ha dato vita ad una compagine societaria diversa da quella aggiudicataria che ha finito per accogliere anche le società ricorrenti;
    in questo contesto emerge un primo profilo che necessita di essere sottoposto all'attenzione dei Ministri interrogati per comprendere se tale fattispecie di accordo possa essere ritenuta corretta a se non invece rivesta profili discutibili sia sul piano amministrativo che eventualmente penale;
    appare rilevante secondo l'interrogante la partecipazione a tale compagine societaria della Società Derichebourg Multiservizi che attraverso i suoi vertici risulta coinvolta in alcune vicende giudiziarie dalle quali emergerebbe una contiguità con ambienti legati alla malavita organizzata;
    in tal senso, si rileva che dalle visure camerali che la Deicheborug multiservizi spa svolgerebbe servizi di portierato e vigilanza non armata presso strutture ospedaliere e servizi di ausiliariato sanitario e socio assistenziale in ambito ospedaliero e dal 1o luglio 2012 call center (servizio Cup delle strutture asl di Nuoro);
    il 7 novembre del 2013, 11 persone sono state arrestate nell'ambito di un'inchiesta su appalti riguardanti la Asl di Caserta;
    le misure cautelari hanno avuto come destinatari politici, manager dell'asl e imprenditori in riferimento alle specifiche posizioni, i reati di concorso esterno in associazione per delinquere di stampo mafioso, abuso d'ufficio e turbata libertà degli incanti, «avvalendosi del metodo mafioso e, comunque, al fine di agevolare l'associazione camorristica (sodalizi “Belforte di Marcianise” e “dei Casalesi”, nonché quello di corruzione»;
    le ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip del tribunale di Napoli Isabella Iaselli riguardarono tra gli altri Lazzaro luce in qualità di amministratore unico della società Derichebourg multiservizi spa e Antonio Pascarella nella qualità di rappresentante legale della procedura d'appalto della società Derichebourg;
    secondo quanto riporta il Sole 24 ore del 2 dicembre 2013 «Dagli atti emerge il ruolo di «dominus» di una ditta di pulizie, la «Derichebourg». Non una società qualunque, ma l'impresa che si sarebbe assicurata un maxiappalto (truccato, secondo i pm) da 27 milioni di euro per la copertura dei presidi ospedalieri dell'Asl Ce1. Ne parla Angelo Grillo, imprenditore a sua volta considerato vicino al clan Belforte di Marcianise, gruppo criminale in contrapposizione ai Casalesi, chiamandola la «lavatrice di Casale». Lui (Nicola Ferrara, ndr) sta a Roma – si sfoga Grillo, ignorando ovviamente di essere ascoltato dagli inquirenti all'interno della sua automobile – sempre dei Casalesi sono... la lavatrice che lava i soldi, i soldi di quelli sono...»;
    i pubblici ufficiali coinvolti nell'inchiesta di Caserta operavano attraverso plurime violazioni di legge e false attestazioni, consistite, secondo il gip, nell'assegnare in maniera del tutto arbitraria all'Ati Derichebourg il punteggio di offerta tecnica di 58,9 punti su 60 disponibili, notevolmente superiore a quello delle altre società in gara, agendo anche in violazione dei doveri di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, con l'aggravante, continua il gip, di aver commesso il fatto al fine di agevolare l'organizzazione camorristica clan Belforte;
    dal fascicolo storico società di capitale risulta che il signor Lazzaro Luce il 13 novembre 2013 protocollo n. 188878/2013 del 12 novembre 2013 è cessato da tutti gli incarichi;
    la cessazione dalla carica o qualifica riguarda i seguenti incarichi:
     procuratore, data nomina 15 novembre 2000;
     procuratore speciale, data nomina 31 ottobre 2003, data presentazione 26 gennaio 2005;
     presidente consiglio amministrazione, data nomina 25 gennaio 2013 durata: fino approvazione del bilancio al 30 settembre 2015;
     amministratore delegato, data nomina 25 gennaio 2013, durata: fino approvazione del bilancio al 30 settembre 2015;
    con i seguenti poteri principali:
     con verbale del consiglio di amministrazione del 25 gennaio 2013 sono stati attribuiti al presidente ed amministratore delegato tutti i poteri di ordinaria amministrazione per agire in ogni circostanza in nome della società, con la sola riserva di quelli che la legge attribuisce espressamente all'assemblea dei soci ed al consiglio di amministrazione, nei limiti dell'oggetto sociale e fatte salve le attribuzioni in capo al consiglio di amministrazione, di seguito indicate;
     il presidente ed amministratore delegato rappresenta la società nei rapporti con i terzi, la società è ugualmente impegnata per gli atti compiuti dal presidente e dall'amministratore delegato eccedenti l'oggetto sociale, a meno che non sia provato che il terzo era a conoscenza che l'atto eccedeva l'oggetto sociale o che esso non poteva ignorare tale circostanza, essendo escluso che la sola pubblicazione dello statuto possa costituire tale prova;
    risulta all'interrogante evidente che all'atto della sottoscrizione e della gestione dell'appalto di project financing il signor Lazzaro Luce era il responsabile per attribuzioni societarie dell'intera gestione dell'appalto;
    la società Derichebourg risulta essere titolare di decine di appalti di servizi in Sardegna, con particolare riferimento alla gestione dei rifiuti urbani e non solo;
    il coinvolgimento di dirigenti di tale società con ruolo apicale in inchiesta di tale rilevanza e gravità impongono un immediato e approfondito esame dei requisiti stessi di tale società, la cui competenza è del Ministero dell'interno attraverso i propri uffici periferici, oltre ad una attenta valutazione di possibili eventuali infiltrazioni che organizzazioni criminali possano generare in Sardegna attraverso tali possibili diramazioni,

impegna il Governo

1) a promuovere, per quanto di propria competenza, una valutazione delle possibili infiltrazioni della malavita organizzata in Sardegna alla luce delle reiterate segnalazioni, interrogazioni e denunce del firmatario del presente atto con particolare riferimento alle gestione delle carceri sarde;
2) ad adottare ogni iniziativa per evitare che tale aspetto denunciato dalla Dia sulla connessione con la gestione delle carceri sarde possa generare pericolo di infiltrazioni;
3) a revocare la decisione di trasferire in Sardegna gran parte dei detenuti legati alla criminalità organizzata anche alla luce delle denunce degli stessi inquirenti antimafia.
(6-00288) «Pili».