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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Martedì 10 gennaio 2017

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 10 gennaio 2017.

  Angelino Alfano, Alfreider, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bernardo, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Casero, Caso, Catania, Centemero, Antimo Cesaro, Cirielli, Colonnese, Coppola, Costa, D'Alia, Dambruoso, Damiano, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Giorgia Meloni, Meta, Migliore, Orlando, Pes, Pisicchio, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Francesco Saverio Romano, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Scalfarotto, Scanu, Schullian, Sereni, Sottanelli, Tabacci, Valeria Valente, Velo, Vignali.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

  Angelino Alfano, Alfreider, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Casero, Caso, Castiglione, Catania, Centemero, Antimo Cesaro, Cicchitto, Cirielli, Colonnese, Coppola, Costa, D'Alia, Dambruoso, Damiano, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Fraccaro, Franceschini, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Giorgia Meloni, Meta, Migliore, Orlando, Pes, Pisicchio, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Francesco Saverio Romano, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scanu, Schullian, Scotto, Sereni, Sottanelli, Tabacci, Valeria Valente, Velo, Vignali.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 9 gennaio 2017 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   ROSTELLATO: «Istituzione del Registro unico degli assistenti alla persona» (4205);
   SIMONETTI e FEDRIGA: «Modifiche al decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, in materia di disciplina del lavoro accessorio» (4206).

  Saranno stampate e distribuite.

Assegnazione di un progetto di legge a Commissione in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, il seguente progetto di legge è assegnato, in sede referente, alla sottoindicata Commissione permanente:

   XI Commissione (Lavoro):
  POLVERINI: «Modifiche al decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, in materia di disciplina del lavoro accessorio» (4185) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, VIII, X, XII, XIII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Trasmissione dalla Presidenza del Consiglio dei ministri.

  La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 30 dicembre 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 8-ter del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1998, n. 76, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con cui è autorizzato, in relazione a un intervento da realizzare tramite un contributo assegnato per l'anno 2009 in sede di ripartizione della quota dell'otto per mille dell'IRPEF devoluta alla diretta gestione statale, l'utilizzo dei risparmi di spesa realizzati dalla Parrocchia di Sant'Antonino martire in Barbiano di Felino (Parma) per interventi di restauro e consolidamento della chiesa di Sant'Antonino martire.

  Questo decreto è trasmesso alla V Commissione (Bilancio) e alla VII Commissione (Cultura).

Trasmissione dalla Corte dei conti.

  Il Presidente della Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato della Corte dei conti, con lettera in data 28 dicembre 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 3, comma 6, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, la deliberazione n. 16/2016, con la quale la Sezione stessa ha approvato la relazione concernente «Destinazione e gestione dell'8 per mille: le azioni intraprese a seguito delle deliberazioni della Corte dei conti».

  Questo documento è trasmesso alla V Commissione (Bilancio).

Trasmissione dal Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri.

  Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 4 e 9 gennaio 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 4 e 5, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, le seguenti relazioni concernenti progetti di atti dell'Unione europea, che sono trasmessi alle sottoindicate Commissioni:
   relazione in merito alla proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva (UE) 2016/1164 del Consiglio relativamente ai disallineamenti da ibridi con i paesi terzi (COM(2016) 687 final) – alla VI Commissione (Finanze) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea);
   relazione in merito alla proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 904/2010 relativo alla cooperazione amministrativa e alla lotta contro la frode in materia d'imposta sul valore aggiunto (COM(2016) 755 final) – alla VI Commissione (Finanze) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea);
   relazione in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1059/2003 per quanto riguarda le tipologie territoriali (Tercet) (COM(2016) 788 final), accompagnata dalla tabella di corrispondenza tra le disposizioni della proposta e le norme nazionali vigenti – alla V Commissione (Bilancio) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 9 gennaio 2017, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla governance dell'Unione dell'energia che modifica la direttiva 94/22/CE, la direttiva 98/70/CE, la direttiva 2009/31/CE, il regolamento (CE) n. 663/2009 e il regolamento (CE) n. 715/2009, la direttiva 2009/73/CE, la direttiva 2009/119/CE del Consiglio, la direttiva 2010/31/UE, la direttiva 2012/27/UE, la direttiva 2013/30/UE e la direttiva (UE) 2015/652 del Consiglio, e che abroga il regolamento (UE) n. 525/2013 (COM(2016) 759 final), corredata dai relativi allegati (COM(2016) 759 final – Annexes 1 to 11) e documento di lavoro dei servizi della Commissione – Sintesi della valutazione d'impatto (SWD(2016) 395 final), che è assegnata in sede primaria alle Commissioni riunite VIII (Ambiente) e X (Attività produttive);
   Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio – Relazione intermedia sulla partecipazione dell'Unione europea all'aumento di capitale del Fondo europeo per gli investimenti e sul corrispondente aumento del sostegno del Fondo europeo per gli investimenti alle azioni a favore delle imprese, in particolare le piccole e medie imprese, a norma dell'articolo 4 della decisione n. 562/2014/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativa alla partecipazione dell'Unione europea all'aumento di capitale del Fondo europeo per gli investimenti (COM(2016) 795 final), che è assegnata in sede primaria alla VI Commissione (Finanze);
   Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla preparazione ai rischi nel settore dell'energia elettrica e che abroga la direttiva 2005/89/CE (COM(2016) 862 final), corredata dal relativo allegato (COM(2016) 862 final – Annex 1), che è assegnata in sede primaria alla X Commissione (Attività produttive).

Annunzio di documenti dell'Assemblea parlamentare dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa.

  L'Assemblea parlamentare dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) ha trasmesso la Dichiarazione di Tbilisi e le risoluzioni approvate nel corso della 25a sessione annuale, svoltasi a Tbilisi dal 1o al 5 luglio 2016, che sono assegnate, ai sensi dell'articolo 125, comma 1, del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni nonché, per il parere, alla III Commissione (Affari esteri) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), se non già assegnate alle stesse in sede primaria:
   Dichiarazione di Tbilisi: affari politici e sicurezza (Doc. XII-quinquies, n. 58) – alla III Commissione (Affari esteri);
   Dichiarazione di Tbilisi: affari economici, scienza, tecnologia e ambiente (Doc. XII-quinquies, n. 59) – alla III Commissione (Affari esteri);
   Dichiarazione di Tbilisi: democrazia, diritti umani e questioni umanitarie (Doc. XII-quinquies, n. 60) – alla III Commissione (Affari esteri);
   Risoluzione sul rafforzamento delle relazioni tra l'Assemblea parlamentare dell'OSCE e l'OSCE (Doc. XII-quinquies, n. 61) – alla III Commissione (Affari esteri);
   Risoluzione sull'accesso senza limitazioni dei membri dell'Assemblea parlamentare dell'OSCE che partecipano a manifestazioni ufficiali e ad altre attività parlamentari (Doc. XII-quinquies, n. 62) – alla III Commissione (Affari esteri);
   Risoluzione sui possibili contributi dell'Assemblea parlamentare dell'OSCE alla definizione di una risposta efficace alle crisi e ai conflitti (Doc. XII-quinquies, n. 63) – alla III Commissione (Affari esteri);
   Risoluzione sul conflitto in Georgia (Doc. XII-quinquies, n. 64) – alla III Commissione (Affari esteri);
   Risoluzione sul riconsolidamento della sicurezza europea come progetto comune (Doc. XII-quinquies, n. 65) – alla III Commissione (Affari esteri);
   Risoluzione sulla Repubblica di Moldova (Doc. XII-quinquies, n. 66) – alla III Commissione (Affari esteri);
   Risoluzione sul miglioramento della cooperazione e delle misure di rafforzamento della fiducia nella regione del Mar Baltico (Doc. XII-quinquies, n. 67) – alla III Commissione (Affari esteri);
   Risoluzione sulle misure contro la corruzione nella regione dell'OSCE per rafforzare lo stato di diritto (Doc. XII-quinquies, n. 68) – alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e II (Giustizia);
   Risoluzione sul trentesimo anniversario della catastrofe di Chernobyl (Doc. XII-quinquies, n. 69) – alle Commissioni riunite VIII (Ambiente) e X (Attività produttive);
   Risoluzione sulle violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali nella Repubblica autonoma di Crimea e nella città di Sebastopoli (Doc. XII-quinquies, n. 70) – alla III Commissione (Affari esteri);
   Risoluzione sul coordinamento delle Forze di polizia per impedire lo sfruttamento sessuale e la tratta dei minori da parte di pregiudicati per reati sessuali (Doc. XII-quinquies, n. 71) – alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e II (Giustizia);
   Risoluzione sull'appello per un intervento dell'OSCE contro la violenza e la discriminazione (Doc. XII-quinquies, n. 72) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
   Risoluzione sui diritti dei rifugiati (Doc. XII-quinquies, n. 73) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
   Risoluzione sui problemi di sicurezza posti dalla migrazione (Doc. XII-quinquies, n. 74) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
   Risoluzione sull'integrazione di un'analisi di genere e di un'ottica di genere nella risposta alla crisi dei migranti e dei rifugiati (Doc. XII-quinquies, n. 75) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
   Risoluzione sulla necessità di dotare gli aeromobili per il trasporto di passeggeri di ulteriori mezzi tecnici per controllare le condizioni a bordo in tempo reale (Doc. XII-quinquies, n. 76) – alla IX Commissione (Trasporti).

Trasmissione dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico.

  Il Presidente dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, con lettera in data 29 dicembre 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 172, comma 3-bis, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, la relazione sull'adempimento degli obblighi posti a carico delle regioni, degli enti di governo dell'ambito e degli enti locali in materia di servizio idrico integrato, riferita al secondo semestre del 2016 (Doc. CCXXXII, n. 3).

  Questa relazione è trasmessa alla VIII Commissione (Ambiente).

Trasmissione dall'Autorità nazionale anticorruzione.

  Il Presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione, con lettera in data 29 dicembre 2016, ha trasmesso lo schema delle linee guida per l'iscrizione nell'elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house, previsto dall'articolo 192 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, corredato dalla relativa analisi di impatto della regolamentazione.

  Questo documento è trasmesso alla VIII Commissione (Ambiente).

Comunicazioni di nomine ministeriali.

  La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 2 gennaio 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 19, comma 9, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la comunicazione concernente il conferimento al dottor Giuseppe Maresca, ai sensi del comma 4 del medesimo articolo 19, dell'incarico di livello dirigenziale generale di direttore ad interim della Direzione VI – operazioni finanziarie analisi di conformità con la normativa dell'Unione europea, nell'ambito del Dipartimento del tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze.

  Questa comunicazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla V Commissione (Bilancio).

  La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 3 gennaio 2017, ha trasmesso la comunicazione concernente la revoca dell'incarico di livello dirigenziale generale, conferito al dottor Renato Alberto Mario Botti, ai sensi dei commi 4 e 6 dell'articolo 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, di direttore della Direzione generale della programmazione sanitaria, nell'ambito del Ministero della salute.

  Questa comunicazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla XII Commissione (Affari sociali).

Richiesta di parere parlamentare su una proposta di nomina.

  La Ministra per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 28 dicembre 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 1 della legge 24 gennaio 1978, n. 14, la richiesta di parere parlamentare sulla proposta di nomina del professor Enrico Corali a presidente dell'Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare – ISMEA (94).

  Questa richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del Regolamento, alla XIII Commissione (Agricoltura).

Richieste di parere parlamentare su atti del Governo.

  Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con lettera in data 7 dicembre 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7, comma 2, del decreto legislativo 5 giugno 1998, n. 204, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto ministeriale concernente la definizione dei criteri di ripartizione della quota del Fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca per l'anno 2016 destinata al finanziamento premiale di specifici programmi e progetti (371).

  Questa richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del Regolamento, alla VII Commissione (Cultura), che dovrà esprimere il prescritto parere entro il 9 febbraio 2017.

  La Ministra per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 21 dicembre 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 34-quinquies, comma 1, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, la richiesta di parere parlamentare sullo schema del piano strategico di sviluppo del turismo in Italia, per il periodo 2017-2022 (372).

  Questa richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del Regolamento, alla X Commissione (Attività produttive), che dovrà esprimere il prescritto parere entro il 30 gennaio 2017.

  La Ministra per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 28 dicembre 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 1, comma 859, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante i criteri e le modalità di nomina degli arbitri, il supporto organizzativo alle procedure arbitrali e le modalità di funzionamento del collegio arbitrale per l'erogazione, da parte del Fondo di solidarietà, di prestazioni in favore degli investitori (373).

  Questa richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del Regolamento, alla VI Commissione (Finanze), che dovrà esprimere il prescritto parere entro il 30 gennaio 2017. È altresì assegnata, ai sensi del comma 2 dell'articolo 96-ter del Regolamento, alla V Commissione (Bilancio), che dovrà esprimere i propri rilievi sulle conseguenze di carattere finanziario entro il 20 gennaio 2017.

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

INTERROGAZIONI

(Iniziative di competenza riguardanti una presunta situazione di incompatibilità di un giudice del tribunale fallimentare di Piacenza, anche in relazione alla procedura fallimentare che interessa la Rdb spa – 3-02224).

A)

   MELILLA e FANUCCI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   già in data 23 settembre 2015 è stata presentata, dal primo firmatario del presente atto, al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministero dello sviluppo economico un'interpellanza parlamentare (n. 2-01087), riguardante la società Rdb spa, al fine di chiedere interventi a tutela dei lavoratori licenziati, ma a tutt'oggi non è pervenuta alcuna risposta, nonostante la gravità dei fatti enunciati;
   nel frattempo, per quanto riguarda la società Rdb spa, sono intervenuti fatti nuovi e più precisamente si è proceduto alla vendita di rami di azienda, ma senza che questo abbia costituito alcun obbligo per la riassunzione diretta delle maestranze; infatti, nell'atto notarile 12 settembre 2015, al punto 9.1, viene sancito che «non viene trasferito con i complessi aziendali nessun dipendente, giusto accordo sindacale sub m»;
   tale accordo sindacale, invece, prevede assunzioni con modalità ivi disciplinate, con la possibilità di usufruire di benefici fiscali e/o previdenziali. Ad avviso degli interroganti, attraverso tali accordi si è potuto beneficiare di fatto di risparmi fiscali e previdenziali da parte dell'acquirente non previsti nei bandi di gara;
   da tali fatti emergerebbe pertanto un’«anomalia» nella gestione della vendita dei complessi aziendali della citata società, con modalità che hanno permesso di usufruire di vantaggi, a giudizio degli interroganti discutibili, utilizzando le fattispecie contrattuali previste dal cosiddetto jobs act (di cui alla legge n. 183 del 2014);
   a quanto risulta agli interroganti, tali anomalie riguarderebbero il tribunale di Piacenza, con specifico riguardo alla composizione del collegio fallimentare del tribunale di Piacenza, per il quale si evidenzia che il dottor Giuseppe Bersani, dopo aver svolto la carica di giudice fallimentare in Piacenza per oltre 10 anni (termine massimo per svolgere tale delicata funzione) ed essere stato quindi assegnato alla funzione di giudice delle indagini preliminari, di fatto, continuerebbe a far parte del collegio fallimentare;
   infatti, dall'esame delle tabelle del tribunale di Piacenza 2014/2016, pur evidenziandosi incompatibilità di detto giudice (pagina 36 in doc. 4) che indicano come il predetto possa permanere in Piacenza a svolgere il ruolo penale, mentre la moglie, avvocato Sabrina Fermi, è rigorosamente vincolata a svolgere funzioni di carattere civile e della famiglia, a pagina 115 viene inspiegabilmente assegnato il predetto al collegio fallimentare;
   a pagina 36 si legge: «Analoga segnalazione vale anche per il giudice dottor Bersani ed il coniuge avvocato Sabrina Fermi, non essendosi sinora creata e non ravvisandosi, allo stato, alcuna situazione di incompatibilità, dato l'impegno assunto e rigorosamente rispettato dal coniuge del dottor Bersani di limitare la propria attività professionale al settore civile e della famiglia in particolare, mentre il magistrato attualmente opera solo nel settore penale, quale componente dell'ufficio gip/gup. In proposito, si devono richiamare la delibera sia del Consiglio Giudiziario presso la Corte d'Appello di Bologna, in data 23 novembre 2009, sia del Consiglio superiore della magistratura che hanno ritenuto l'insussistenza di incompatibilità proprio per la ragione appena esposta»;
   sulla base di quanto dichiarato al Consiglio superiore della magistratura dal magistrato Bersani, non sarebbero stati ravvisati profili di incompatibilità, in quanto l'avvocato Fermi si sarebbe occupata solamente di diritto civile e in particolare di diritto di famiglia, mentre il dottor Bersani esclusivamente di diritto penale (si confrontino le tabelle citate);
   a prescindere dalla circostanza che la partecipazione del dottor Bersani ai collegi della sezione fallimentare esula dall'ambito penale e rientra nell'ambito civile, sembrano tuttavia emergere diversi elementi che contraddicono la limitazione di attività dell'avvocato Fermi al settore civile: iscrizione dell'avvocato Fermi all'elenco dei gratuito patrocinio nel settore penale, partecipazione quale esperto in convegni in materia penale e fallimentare, incarichi giudiziali conferiti all'avvocato Sabrina Fermi dalla dottoressa Marina Marchetti, presidente della sezione civile e fallimentare, della quale fa parte anche il dottor Bersani;
   di recente, è stato anche depositato un esposto, a firma dei precedenti commissari straordinari, indirizzato al giudice delegato del fallimento della Rdb spa – istanza per la revoca di un curatore la cui condotta è stata stigmatizzata – che potrebbe essere di ausilio per comprendere appieno e nell'insieme l'attuale situazione della sezione «fallimentare» del tribunale di Piacenza –:
   di quali elementi disponga il Governo in merito a quanto esposto in premessa;
   se i Ministri interrogati, ciascuno in base alle proprie competenze, abbiano attivato o intendano attivare i propri poteri ispettivi in relazione alle situazioni esposte;
   quali orientamenti intendano esprimere, in riferimento a quanto esposto in premessa e, conseguentemente, quali iniziative si intendano intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze, circa la situazione delle società Rdb spa e delle controllate Rdb Hebel spa e Rdb Terrecotte s.r.l. e in particolare se si intendano assumere le iniziative di competenza volte alla tutela dei lavoratori coinvolti dai menzionati licenziamenti. (3-02224)


(Iniziative relative alla carenza di personale, anche amministrativo, degli uffici giudiziari, con particolare riferimento al tribunale di Verona – 3-02674, 3-02676, 3-02677, 3-02678).

B)

   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e SEGONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   recenti notizie di stampa rappresentano un quadro allarmante della situazione dei tribunali italiani in relazione alla produttività ed al numero di cause civili trattate;
   nelle sedi di tribunali di prima istanza i giudici nel 2015 hanno definito ciascuno 262 processi di contenzioso civile: alcuni uffici hanno superato di molto questa soglia, altri ne hanno portato a termine la metà;
   consistenti sono le differenze: presso il tribunale di Foggia i giudici in media definiscono 644 procedimenti l'anno, a Bolzano 91 e a Napoli nord 85, dati che vanno interpretati tenendo conto della carenza sia di magistrati sia di personale amministrativo e del carico di lavoro a carico di ciascun tribunale;
   secondo i dati messi a disposizione dal Ministero della giustizia e riportati dai quotidiani nazionali solo 28 tribunali su 140 non hanno carenze d'organico fra i magistrati togati;
   considerando le scoperture tra i magistrati ed il personale amministrativo, solo sei tribunali su 140 hanno le piante organiche e, in 15 sedi, i posti vacanti superano il 30 per cento, con il picco di Bolzano che si avvicina al 50 per cento;
   nelle corti d'appello le cause civili possono durare in media due anni e dieci mesi ed in Corte di cassazione si superano i tre anni;
   alcuni articoli di cronaca locale attestano che il tribunale civile di Verona è appena sotto la media nazionale per numero di giorni necessari (785) per conseguire una decisione di primo grado e, sebbene questo dato consegni al tribunale di Verona una produttività al di sopra della media nazionale, appare in ogni caso eccessiva di fronte alla domanda di giustizia del tessuto socio-economico veronese;
   la mancanza di personale giudicante, oltre che amministrativo, contribuisce negativamente sulla velocità di gestione dei processi, provocando così un ovvio allungamento dei tempi decisionali del tribunale, già oberato da un endemico arretrato giudiziario che si aggrava quotidianamente;
   sul tema, il primo firmatario del presente atto aveva presentato l'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04370, il 22 dicembre 2014, nella quale si evidenziava la stessa carenza cronica di personale nelle sezioni dei procedimenti penali nel tribunale di Verona;
   la soluzione adottata dal presidente del tribunale di Verona è stata quella di fissare due udienze in meno al mese per ciascun magistrato per consentire così di «liberare» una parte del personale delle cancellerie dall'assistenza in udienza e consentire loro di fare il proprio lavoro senza affanno;
   a tale carenza di personale si aggiunge la repentina decadenza dei giudici di pace in servizio sino al 31 maggio 2016 per intervenuto raggiungimento dei limiti di età anagrafica in forza delle disposizioni del decreto legislativo n. 92 del 2016 diretto a costituire la riforma della magistratura onoraria, riscrivendo anche il mandato dei giudici di pace;
   il fatto ancor più aberrante è costituito dalla mancanza, ad oggi, dell'emanazione e dell'entrata in vigore dei decreti attuativi che dovranno descrivere le modalità ed i limiti per poter svolgere i nuovi concorsi dei giudici onorari di pace (GOP) –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta;
   se e quali elementi abbia attualmente a disposizione per poter quantificare e fornire dati aggiornati sulla consistenza numerica del personale amministrativo di cancelleria, di magistrati togati ed onorari, nonché dei giudici di pace in ruolo, rispetto al numero previsto dalla pianta organica dei tribunali e degli uffici dei giudici di pace in Italia e, in particolare, presso il tribunale e ufficio del giudice di pace di Verona;
   se possa fornire dati ed informazioni relativamente a quanto personale sia assegnato ad altri compiti, in Italia ed in particolare presso il tribunale e l'ufficio del giudice di pace di Verona;
   se e quali iniziative di competenza intenda promuovere in merito alla necessità di garantire un'effettiva organizzazione delle attività di cancelleria presso i tribunali in Italia e, in particolare, presso il tribunale e l'ufficio del giudice di pace di Verona;
   se e per mezzo di quali iniziative ritenga opportuno intervenire, per quanto di competenza, al fine d'incrementare l'organico del personale giudicante ed amministrativo nei tribunali e negli uffici del giudice di pace italiani, onde ovviare alla carenza venutasi a determinare. (3-02674)


   D'ARIENZO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'UNEP, l'ufficio che si occupa di notifiche, esecuzioni e protesti, presso il tribunale di Verona sarebbe a rischio paralisi a causa dell'eccessivo carico di lavoro e della forte carenza di personale in servizio. A causa di tale situazione pare che il dirigente abbia rassegnato le dimissioni dall'incarico, che non sarebbero state accettate;
   nel dettaglio dalla stampa locale si legge che:
    «servono ore, a volte giorni, per depositare una notifica e le pratiche di sfratto vengono spesso eseguite all'ultimo giorno. La situazione è al limite dell'accettabile, sia per gli utenti, ovvero gli avvocati che depositano gli atti, sia per i dipendenti, costretti a turni massacranti e ad una mole di lavoro sempre più pressante. Il tutto in un clima ad altissimo stress»;
    «il problema riguarda la pianta organica, che già rispetto alla media nazionale è sottostimata. Verona, per numero di abitanti e per attività gestisce una mole di pratiche che è tre volte superiore alla media nazionale, ma a questo non corrisponde un maggior numero di personale»;
    «la situazione è già stata segnalata al Ministero e ad oggi non vi sono segnali a favore della soluzione»;
   il disagio è evidente e la situazione è peggiorata notevolmente perché, a causa delle recenti modifiche normative, che hanno coinvolto il Ministero della giustizia, mentre in precedenza gli UNEP di Soave e di Legnago avevano in carico molti paesi ed a Verona era riservato circa il 50 per cento del territorio provinciale, ora, dopo l'accorpamento dei tribunali di Soave e Legnago a quello di Verona, sul NEP sono ricaduti tutti i paesi della provincia, senza però il relativo personale ivi precedentemente impegnato;
   l'UNEP in questione dovrebbe avere in pianta organica 40 dipendenti ma, al momento attuale, ve ne sono solo 27; di questi unicamente 12 unità espletano servizio all'esterno, con un carico di 99 comuni, 268 frazioni, per un totale di 908.492 abitanti su un territorio vasto kmq 3.097,19 (fonte Istat 2009);
   l'emergenza, che dura da anni ed è diventata ormai endemica ed epidemica, si è aggravata per il trasferimento di due ufficiali giudiziari al NEP di Roma e di un altro, proveniente da Legnago, a Venezia;
   in questa situazione emergenziale la corte d'appello di Venezia, con un provvedimento del 24 gennaio 2014 ha anche applicato il dirigente del NEP di Verona al NEP di Padova per due giorni alla settimana;
   ad aprile un ulteriore funzionario giudiziario andrà in pensione ed altri due, in possesso dei requisiti per il pensionamento, ma che avrebbero manifestato la volontà di continuare a lavorare, saranno costretti a pensionarsi, perché impiegati in condizioni proibitive;
   tenendo conto che da anni non vengono indetti concorsi ed il turn over è bloccato da oltre un decennio, è chiaro che l'UNEP di Verona sarà presto al completo collasso;
   i lavoratori in servizio, che non hanno orario d'ufficio (ormai neppure una vita privata), pur operando con sacrifici ed orari disumani, non riescono più a sopperire alla storica inadeguatezza dell'organico a causa dell'enorme mole di lavoro, ad erogare servizi efficienti ed a soddisfare i bisogni dell'utenza, per cui all'UNEP di Verona non vi è più da molto tempo il necessario clima di distensione tra i lavoratori presenti e tra questi e i professionisti, che si rivolgono all'ufficio;
   il clima generale di malessere è aggravato anche dai forti ritardi nel pagamento degli stipendi, se si pensa che a gennaio gli ufficiali giudiziari hanno percepito lo stipendio di novembre 2013 –:
   se il Ministro interrogato non ritenga urgentissimo risolvere la grave questione segnalata sia in passato sia con questa interrogazione;
   quali progetti siano in essere per favorire la velocità degli adempimenti da svolgere e che caricano quell'ufficio in maniera rilevante;
   se risultino possibili a breve, pur nella consapevolezza che le soluzioni tampone non sono la soluzione ottimale, spostamenti di personale almeno per risolvere temporaneamente la condizione emergenziale di quell'ufficio;
   quale altra iniziativa possa essere posta in essere al fine di scongiurare la grave eventualità di uno sciopero del personale, magari prolungato nel tempo, che bloccherebbe definitivamente il servizio, già oggi non corrispondente alle esigenze del territorio veronese. (3-02676)


   TURCO, BRUGNEROTTO, BECHIS, COMINARDI, CHIMIENTI, BALDASSARRE, MUCCI, RIZZETTO e ROSTELLATO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il presidente del tribunale di Verona, dottor Gianfranco Gilardi, ha recentemente emesso un provvedimento nel quale limita ad un'udienza a settimana l'attività di ciascun giudice monocratico penale, nell'intento di poter vedere una riduzione dei tempi decisionali dall'agosto 2016;
   anche qualora restino fissate le udienze già in calendario, per le prossime date di fissazione d'udienza, si dovrà tener conto della riduzione;
   allo stato attuale, ciascun giudice penale monocratico celebra un'udienza a settimana e altre due al mese, per un totale di sei udienze al mese ciascuno;
   nel tribunale di Verona operano otto magistrati monocratici e due magistrati onorari, unitamente al tribunale collegiale che tiene quattro udienze al mese per ogni collegio, oltre alle udienze straordinarie: ogni mese, quindi, vengono tenute tra 90 e 110 udienze penali;
   la riduzione del numero di udienze sarebbe da imputare alla carenza di personale non giudicante; poiché è obbligatoria la presenza di un assistente in aula, che deve necessariamente assistere alle udienze, questo viene però distolto dal lavoro di cancelleria, quale preparare le udienze, notificare gli avvisi e scaricare le sentenze;
   ed è proprio la carenza di personale nelle cancellerie il dato con cui il tribunale si deve confrontare;
   lo stesso presidente del tribunale di Verona, dottor Gianfranco Gilardi, in un'intervista spiega che «la chiusura delle sezioni distaccate non ha risolto molto perché ci sono comunque i pensionamenti ai quali non seguono nuove assunzioni, così inesorabilmente i numeri calano e al momento l'unica cosa da fare era quella di ridurre il numero delle udienze»;
   i tempi medi per la fissazione dell'udienza «filtro», tranne nei procedimenti con detenuti, sono di sei mesi, ed il processo vero e proprio slitta di almeno altri 6-7 mesi prima di entrare nel vivo dell'esame dei testimoni;
   tenendo conto che al giudice monocratico arrivano una percentuale altissima di fascicoli con reati che a breve si prescriveranno, se non nel primo grado di giudizio, di sicuro in Appello, conseguentemente la soluzione adottata è stata quella di fissare due udienze in meno al mese per consentire al personale delle cancellerie di fare il proprio lavoro senza affanno;
   il presidente della sezione penale, dottor Sandro Sperandio, comunque, rassicura «[...] la produttività della sezione penale è superiore a quella stabilita dai cosiddetti «flussi»: a Verona ogni magistrato emette 300 sentenze all'anno, qualcuno le supera, e le statistiche in Italia ne prevederebbero la metà.» –:
   se sia a conoscenza della situazione descritta;
   se e quali elementi abbia attualmente a disposizione, per poter quantificare e fornire dati aggiornati sulla consistenza numerica del personale di cancelleria in ruolo, rispetto al numero previsto dalla pianta organica del tribunale di Verona, quanti di essi svolgano le proprie funzioni effettivamente presso il tribunale, quanti siano invece eventualmente assegnati ad altri compiti;
   se e quali provvedimenti intenda promuovere in merito alla necessità di garantire una effettiva efficiente organizzazione delle attività di cancelleria presso il tribunale di Verona;
   se e per mezzo di quali provvedimenti ritenga opportuno intervenire al fine d'incrementare l'organico del personale non giudicante nel tribunale di Verona onde ovviare alla carenza d'organico venutasi a determinare. (3-02677)


   ARTINI, TURCO, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO e SEGONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   alcuni organi di stampa locale riportano un'intervista del dirigente amministrativo reggente della Procura del tribunale di Verona, dottor Giuseppe Montecalvo, che denuncia la mancanza di personale amministrativo nello stesso Tribunale;
   il dirigente dichiara che si è di fronte a carenze di organico capaci di provocare una perdita di professionalità degli operatori del tribunale, e che destano particolare preoccupazione i ruoli di cancelliere e funzionario giudiziario, già oggi sono in numero esiguo;
   inoltre, le professionalità che sono prossime alla pensione non hanno collaboratori giovani ai quali insegnare e quando lasceranno l'ufficio si potrebbero verificare gravi disagi;
   al momento, la carenza di organico nel tribunale di Verona è al 15 per cento rispetto a quanto previsto dal Ministero, per alcuni ruoli, quale quello di cancelliere, nel 2015 si arriverà ad una presenza del solo 50 per cento; già oggi mancano 5 cancellieri su di una pianta organica di 14;
   la questione non è di poco conto, in quanto, sono proprio i cancellieri ed i funzionari a gestire i consulenti tecnici, gli interpreti ed i periti, effettuando tutta una serie di incombenze, notifiche ed avvisi, che la legge richiede per proseguire i giudizi sia civili sia penali permettendo che i procedimenti seguano il loro corso;
   si potrebbe, perciò, presentare una situazione nella quale, la carenza di personale venga a contribuire negativamente sulla rapidità di gestione delle pratiche provocando così un allungamento dei tempi della giustizia, già rallentata da un'enorme mole di lavoro;
   ulteriormente risulta difficile sperare in un miglioramento a breve termine, in quanto, non vi sono concorsi per cancellieri e funzionari all'orizzonte e l'unica possibilità che appare plausibile s'individua nel trasferimento di personale da altri enti che stanno provvedendo a riduzioni di personale;
   anche in questo caso, si tratterebbe di personale «maturo» che contribuirà ad innalzare l'età media degli operatori della giustizia, quando, invece, sarebbe auspicabile avere forze fresche da affiancare agli operatori esperti e prossimi alla pensione perché possano giorno dopo giorno acquisire le competenze e le professionalità richieste per svolgere questi delicati compiti all'interno delle cancellerie;
   il dirigente, dottor Montecalvo, intravede una soluzione per ovviare a questa situazione: far progredire di carriera i funzionari ed i cancellieri che sono già nella scala gerarchica, ad esempio l'assistente giudiziario ha le competenze per sostituire un cancelliere;
   si potrebbe così ristrutturare la pianta organica attuale inserendo il personale proveniente dall'esterno in ruoli meno apicali, altrimenti si rischierebbe che queste stesse risorse, che vengono trasferite da altri enti, vuoi per età, vuoi per anzianità di carriera, finiscano per essere inserite in livelli gerarchici più alti delle persone che da decenni già operano nelle cancellerie del tribunale di Verona;
   in uno scenario siffatto appare quanto mai doveroso riconoscere l'operato ed il prezioso supporto del personale amministrativo: funzionari, assistenti e cancellieri, che consentono alla macchina della giustizia di funzionare –:
   se sia a conoscenza della situazione descritta;
   se ed in quali modi ritenga opportuno intervenire al fine di assicurare il proprio impegno a rafforzare l'organico del personale amministrativo presso il tribunale di Verona onde sopperire alla mancanza di operatori determinatasi anche dalle circostanze espresse più sopra;
   se conosca o sia in grado di fornire dati relativamente alla carenza di organico del personale amministrativo nei tribunali ordinari italiani, quanti siano in pianta organica, quanti svolgano le proprie funzioni effettivamente all'interno dei tribunali, quanti siano invece distaccati e presso quali istituzioni ovvero enti pubblici e di quali funzioni siano stati investiti all'esterno dei tribunali stessi;
   se e quali provvedimenti intenda adottare affinché sia reintegrato il numero di operatori del personale amministrativo necessario all'efficiente esercizio delle funzioni giurisdizionali nel tribunale di Verona. (3-02678)


(Iniziative di competenza volte all'introduzione di misure di controllo e di vigilanza sulle strutture e sulle attività socio-assistenziali dedicate alla cura e al sostegno delle persone non autosufficienti, al fine di prevenire e contrastare possibili maltrattamenti – 3-02008).

C)

   BINETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni si assiste ad una preoccupante recrudescenza di gravi episodi di maltrattamento nei confronti dei disabili che vivono in istituti di accoglienza, sia anziani che minori, e questo fatto pone una serie di interrogativi sulla capacità del sistema sanitario di prevenire comportamenti che ledono profondamente la dignità delle persone accolte in questo tipo di strutture perché incidono pesantemente anche sulla loro qualità di vita;
   appaiono del tutto insufficienti le misure di controllo sulle strutture, sia sotto il profilo logistico che sotto quello igienico, ma soprattutto appare gravemente insufficiente la verifica della qualità della rete dei servizi socio-sanitari posti a tutela degli ospiti di queste strutture;
   la violenza nella terza età, ad esempio, non è solo una tematica complessa che riguarda il settore sociosanitario, ma rappresenta spesso un vero e proprio tabù sociale. Nel contesto assistenziale, gli anziani possono essere vittime di maltrattamenti sul piano relazionale, che assumono la valenza di una vera e propria violenza psicologica con pesanti ricadute anche sul piano del loro benessere fisico;
   il rapporto pubblicato dall'Organizzazione mondiale della sanità nel 2011 sui maltrattamenti alle persone anziane conferma come ogni anno in Europa ci siano non solo delle vere e proprie vittime di omicidio, non sempre riconosciute come tali nel momento cui si verifica il decesso, ma identificate successivamente, quando certi episodi si ripetono in determinate strutture e appare necessario un intervento della magistratura;
   l'Organizzazione mondiale della sanità ha calcolato che sono circa 10.000 gli anziani oggetto di abusi quotidiani da parte di operatori sociosanitari, familiari o altre persone. Le violenze si consumano nelle case di riposo, negli ospedali, fra le mura domestiche. Spesso chi è costretto da una malattia o da altre, circostanze legate all'avanzare dell'età ad affidarsi all'assistenza altrui perde la propria indipendenza e la propria capacità di autodeterminazione e non è più in grado di esternare i propri desideri e le proprie necessità, per cui aumentano i livelli di dipendenza dagli altri, fino ad approdare a vere e proprie forme di non autosufficienza;
   il personale che lavora in queste strutture è spesso numericamente inadeguato e sprovvisto di preparazione specifica per rispondere ai bisogni degli ospiti delle strutture, ma soprattutto manca di quella supervisione del lavoro ordinario che consente di verificare tempestivamente i rischi di burn out, a cui potrebbero seguire episodi di insofferenza e di maltrattamenti fino alla violenza –:
   in che modo il Governo, per quanto di competenza, intenda intervenire per porre fine a questi fatti di drammatica frequenza con iniziative volte sia a introdurre misure di controllo e di vigilanza sul piano socio assistenziale, sia a rivedere i profili di carattere penale, quando si ravvisano fatti che lo richiedano. (3-02008)


DISEGNO DI LEGGE: S. 1732 — RATIFICA ED ESECUZIONE DELL'ACCORDO DI COOPERAZIONE NEL SETTORE DELLA DIFESA TRA IL GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA E L'ESECUTIVO DELLA REPUBBLICA DELL'ANGOLA, FATTO A ROMA IL 19 NOVEMBRE 2013 (APPROVATO DAL SENATO) (A.C. 3946)

A.C. 3946 – Parere della I Commissione

PARERE DELLA I COMMISSIONE SULLE PROPOSTE EMENDATIVE PRESENTATE

NULLA OSTA

  sugli emendamenti contenuti nel fascicolo n. 1.

A.C. 3946 – Parere della V Commissione

PARERE DELLA V COMMISSIONE SUL TESTO DEL PROVVEDIMENTO E SULLE PROPOSTE EMENDATIVE PRESENTATE

Sul testo del provvedimento in oggetto:

PARERE FAVOREVOLE

  sugli emendamenti trasmessi dall'Assemblea:

PARERE CONTRARIO

  sugli emendamenti 3.2 e 4.1, in quanto suscettibili di determinare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica privi di idonea quantificazione e copertura;

NULLA OSTA

  sull'emendamento 3.1.

A.C. 3946 – Articolo 1

ARTICOLO 1 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Art. 1.
(Autorizzazione alla ratifica).

  1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare l'Accordo di cooperazione nel settore della difesa tra il Governo della Repubblica italiana e l'Esecutivo della Repubblica dell'Angola, fatto a Roma il 19 novembre 2013.

A.C. 3946 – Articolo 2

ARTICOLO 2 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Art. 2.
(Ordine di esecuzione).

  1. Piena ed intera esecuzione è data all'Accordo di cui all'articolo 1, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, in conformità a quanto disposto dall'articolo 15 dell'Accordo stesso.

A.C. 3946 – Articolo 3

ARTICOLO 3 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Art. 3.
(Copertura finanziaria).

  1. Agli oneri derivanti dall'articolo 4, paragrafo 5, dell'Accordo di cui all'articolo 1, valutati in euro 6.568 ad anni alterni a decorrere dall'anno 2016, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2016-2018, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2016, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.
  2. Ai sensi dell'articolo 17, comma 12, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, il Ministro della difesa provvede al monitoraggio degli oneri di cui alla presente legge e riferisce in merito al Ministro dell'economia e delle finanze. Nel caso si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni di cui al comma 1, il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro della difesa, provvede con proprio decreto alla riduzione, nella misura necessaria alla copertura finanziaria del maggior onere risultante dall'attività di monitoraggio, delle dotazioni finanziarie destinate alle spese di missione nell'ambito del programma «Pianificazione generale delle Forze Armate e approvvigionamenti militari» e, comunque, della missione «Difesa e sicurezza del territorio» dello stato di previsione del Ministero della difesa. Si intende corrispondentemente ridotto, per il medesimo anno, di un ammontare pari all'importo dello scostamento, il limite di cui all'articolo 6, comma 12, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni.
  3. Il Ministro dell'economia e delle finanze riferisce senza ritardo alle Camere con apposita relazione in merito alle cause degli scostamenti e all'adozione delle misure di cui al comma 2.
  4. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 3 DEL DISEGNO DI LEGGE

ART. 3.
(Copertura finanziaria).

  Al comma 1, sostituire le parole: valutati in euro 6.568 ad anni alterni a decorrere dall'anno 2016, con le seguenti: e dal conseguente sviluppo della cooperazione bilaterale nella sfera della difesa tra Repubblica italiana e Repubblica dell'Angola, valutati in euro 6.568 nell'anno 2016 ed in euro 10.000 a decorrere dall'anno 2017,.
3. 1. Gianluca Pini, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Rondini, Saltamartini, Simonetti.

  Al comma 1, sostituire le parole: euro 6.568 con le seguenti: euro 13.000.
3. 2. Gianluca Pini, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Rondini, Saltamartini, Simonetti.

A.C. 3946 – Articolo 4

ARTICOLO 4 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Art. 4.
(Clausola di invarianza finanziaria).

  1. Dalle disposizioni dell'Accordo di cui all'articolo 1, ad esclusione dell'articolo 4, paragrafo 5, non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

PROPOSTA EMENDATIVA RIFERITA ALL'ARTICOLO 4 DEL DISEGNO DI LEGGE

ART. 4.
(Clausola di invarianza finanziaria).

  Sopprimerlo.
4. 1. Gianluca Pini, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Rondini, Saltamartini, Simonetti.

A.C. 3946 – Articolo 5

ARTICOLO 5 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Art. 5.
(Entrata in vigore).

  1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

A.C. 3946 – Ordini del giorno

ORDINI DEL GIORNO

   La Camera,
   premesso che:
    in sede di approvazione del disegno di ratifica e esecuzione dell'Accordo di cooperazione nel settore della difesa tra Italia e Angola, non si può prescindere dalle condizioni in cui versa questo paese africano alla ricerca di un proprio riscatto economico, civile e sociale;
    la guerra civile, durata oltre 30 anni e terminata nel febbraio 2002, ha disseminato l'Angola di mine anti-persona. Nonostante i numerosi sforzi operati sia da organizzazioni non governative specializzate sia dai reparti del genio dell'esercito angolano, si stima che ci siano ancora sul terreno tra i 4 e i 6 milioni di mine e bombe inesplose. Si tratta di un vero e proprio ostacolo allo sviluppo del Paese perché questi ordigni non solo impediscono l'accesso a decine di migliaia di ettari di terreno fertile, ma rendono insicure strade e sentieri,

impegna il Governo:

  a dare priorità, all'interno dell'attuazione dell'accordo in oggetto, ai programmi di addestramento del personale civile e militare per lo sminamento e a partecipare attivamente ai piani di sminamento previsti dal Governo angolano;
   a valutare la possibilità di includere tra i Paesi interessati ai progetti del «Fondo per lo sminamento umanitario e la bonifica di aree con residuati bellici esplosivi» del Ministero degli affari esteri e della cooperazione allo sviluppo, anche l'Angola.
9/3946/1Rizzo, Manlio Di Stefano, Frusone, Basilio, Spadoni, Corda, Tofalo, Del Grosso, Paolo Bernini, Scagliusi, Di Battista, Grande, Sibilia.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame prevede che tra gli ambiti della cooperazione tra l'Italia e l'Angola ci sono temi come le missioni di pace e lo sminamento;
    il provvedimento in oggetto prevede due forme di collaborazione: la prima, regolata dall'articolo 3 dell'Accordo, prevede in sostanza incontri tra militari italiani ed angolani, e rappresenta quindi un'occasione per far conoscere i principi costituzionali cui si ispira l'attività delle Forze armate italiane; la seconda, regolata dall'articolo 8, prevede cooperazioni nel settore degli armamenti;
    per quanto si tratti di una cooperazione soltanto possibile, che deve comunque avvenire in conformità con le rispettive normative nazionali, non sembra dunque coerente con la politica di sminamento e di promozione di missioni di pace,

impegna il Governo

a prevedere, anche in successivi interventi normativi, iniziative dirette a favorire una cooperazione nell'ambito delle politiche di pace sempre più efficaci.
9/3946/2Matarrelli.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame prevede che tra gli ambiti della cooperazione tra l'Italia e l'Angola ci sono temi come le missioni di pace e lo sminamento;
    il provvedimento in oggetto prevede due forme di collaborazione: la prima, regolata dall'articolo 3 dell'Accordo, prevede in sostanza incontri tra militari italiani ed angolani, e rappresenta quindi un'occasione per far conoscere i principi costituzionali cui si ispira l'attività delle Forze armate italiane; la seconda, regolata dall'articolo 8, prevede cooperazioni nel settore degli armamenti,

impegna il Governo

a prevedere, anche in successivi interventi normativi, iniziative dirette a favorire una cooperazione nell'ambito delle politiche di pace sempre più efficaci.
9/3946/2. (Testo modificato nel corso della seduta)  Matarrelli.


DISEGNO DI LEGGE: RATIFICA ED ESECUZIONE DELL'ACCORDO SULLA COOPERAZIONE E MUTUA ASSISTENZA AMMINISTRATIVA IN MATERIA DOGANALE TRA IL GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA E IL GOVERNO DELLA REPUBBLICA SOCIALISTA DEL VIETNAM, FATTO A HANOI IL 6 NOVEMBRE 2015 (A.C. 4039)

A.C. 4039 – Parere della V Commissione

PARERE DELLA V COMMISSIONE SUL TESTO DEL PROVVEDIMENTO

Sul testo del provvedimento in oggetto:

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti condizioni, volte a garantire il rispetto dell'articolo 81 della Costituzione:
   all'articolo 4, comma 1, sostituire le parole: a decorrere dall'anno 2016 con le seguenti: a decorrere dall'anno 2017.

   Conseguentemente, al medesimo comma 1:
    sostituire le parole:
ai fini del bilancio triennale 2016-2018 con le seguenti: ai fini del bilancio triennale 2017-2019;
    sostituire le parole: per l'anno 2016 con le seguenti: per l'anno 2017.
   All'articolo 4, sopprimere i commi 2 e 3.

A.C. 4039 – Articolo 1

ARTICOLO 1 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO DEL GOVERNO

Art. 1.
(Autorizzazione alla ratifica).

  1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare l'Accordo sulla cooperazione e mutua assistenza amministrativa in materia doganale tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica socialista del Vietnam, fatto a Hanoi il 6 novembre 2015.

A.C. 4039 – Articolo 2

ARTICOLO 2 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO DEL GOVERNO

Art. 2.
(Ordine di esecuzione).

  1. Piena ed intera esecuzione è data all'Accordo di cui all'articolo 1, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, in conformità a quanto disposto dall'articolo 14 dell'Accordo stesso.

A.C. 4039 – Articolo 3

ARTICOLO 3 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO DEL GOVERNO

Art. 3.
(Competenze del Corpo della guardia di finanza).

  1. La definizione di «amministrazione doganale» di cui all'articolo 1, paragrafo 2, dell'Accordo di cui all'articolo 1 della presente legge si intende comprensiva delle funzioni attribuite dalla legislazione nazionale al Corpo della guardia di finanza.

A.C. 4039 – Articolo 4

ARTICOLO 4 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO DEL GOVERNO

Art. 4.
(Copertura finanziaria).

  1. Agli oneri derivanti dalle spese di missione di cui gli articoli 11 e 12 dell'Accordo di cui all'articolo 1, valutati in euro 18.615 annui a decorrere dall'anno 2016, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2016-2018, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2016, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.
  2. Ai sensi dell'articolo 17, comma 12, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, il Ministro dell'economia e delle finanze provvede al monitoraggio degli oneri valutati di cui al comma 1. Nel caso si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni di cui al comma 1 del presente articolo, il Ministro dell'economia e delle finanze provvede con proprio decreto alla riduzione, nella misura necessaria alla copertura finanziaria del maggior onere risultante dall'attività di monitoraggio, delle dotazioni finanziarie di parte corrente di cui all'articolo 21, comma 5, lettere b) e c), della legge 31 dicembre 2009, n. 196, destinate alle spese di missione nell'ambito del programma «Regolazione giurisdizione e coordinamento del sistema della fiscalità» e, comunque, della missione «Politiche economico-finanziarie e di bilancio». Si intende corrispondentemente ridotto, per il medesimo anno, di un ammontare pari all'importo dello scostamento, il limite di cui all'articolo 6, comma 12, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.
  3. Il Ministro dell'economia e delle finanze riferisce senza ritardo alle Camere con apposita relazione in merito alle cause degli scostamenti e all'adozione delle misure di cui al comma 2.
  4. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 4 DEL DISEGNO DI LEGGE

   All'articolo 4, comma 1, sostituire le parole: a decorrere dall'anno 2016 con le seguenti: a decorrere dall'anno 2017.

   Conseguentemente, al medesimo comma 1:
    sostituire le parole:
ai fini del bilancio triennale 2016-2018 con le seguenti: ai fini del bilancio triennale 2017-2019;
    sostituire le parole: per l'anno 2016 con le seguenti: per l'anno 2017.
4. 100. (da votare ai sensi dell'articolo 86, comma 4-bis, del Regolamento)
(Approvato)

   All'articolo 4, sopprimere i commi 2 e 3.
4. 101. (da votare ai sensi dell'articolo 86, comma 4-bis, del Regolamento)
(Approvato)

A.C. 4039 – Articolo 5

ARTICOLO 5 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO DEL GOVERNO

Art. 5.
(Entrata in vigore).

  1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

A.C. 4039 – Ordini del giorno

ORDINI DEL GIORNO

   La Camera,
   premesso che:
    la Repubblica socialista del Vietnam è un fondamentale partner economico e commerciale della Repubblica Italia, come dimostra il costante trend di crescita dell'interscambio italo-vietnamita, che ha raggiunto nel 2015 il valore di 4,304 milioni di dollari, corrispondente al 10,4 per cento del totale dell'interscambio Ue-Vietnam;
    la piaga della contraffazione interessa anche la Repubblica socialista del Vietnam, così come moltissimi altri Paesi asiatici;
    il fenomeno della contraffazione risulta particolarmente penalizzante per l'Italia, il cui export è incentrato su prodotti di alta qualità, in vari settori, da quello dell'abbigliamento a quello eno-gastronomico;
    nel preambolo dell'Accordo di cui al disegno di legge in epigrafe si fa riferimento, tra le altre cose, all'attuazione di misure di sorveglianza e di controllo, con esplicito riferimento alle norme di legge e regolamentari sulla contraffazione delle merci,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di fare quanto di propria competenza perché, nell'ambito dell'attuazione dell'Accordo di cui al disegno di legge in epigrafe, sia presa ogni opportuna iniziativa per tutelare i prodotti «made in Italy» da ogni tentativo di contraffazione, anche acquisendo ogni utile informazione o suggerimento da parte dei rappresentanti delle Associazioni di imprenditori in merito ai vari profili concernenti il fenomeno della contraffazione dei prodotti italiani di alta qualità.
9/4039/1Gregorio Fontana.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame autorizza la ratifica ed esecuzione dell'Accordo sulla cooperazione e mutua assistenza amministrativa in materia doganale tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica socialista del Vietnam, fatto a Hanoi il 6 novembre 2015;
    l'articolo 10 dell'Accordo tratta il tema dell'uso delle informazioni trasmesse e della riservatezza e prevede che le informazioni e i documenti trasmessi possano essere divulgati o utilizzati per finalità diverse per le quali sono stati richiesti o forniti unicamente previo consenso scritto delle Parti,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di rivolgersi al Garante per la protezione dei dati personali, ai sensi del comma 4 dell'articolo 154 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, al fine di acquisire ogni utile elemento di valutazione per fare quanto di propria competenza per la protezione dei dati personali.
9/4039/2Marzano.


DISEGNO DI LEGGE: S. 2525 — RATIFICA ED ESECUZIONE DEL PROTOCOLLO AL TRATTATO DEL NORD ATLANTICO SULL'ADESIONE DEL MONTENEGRO, FATTO A BRUXELLES IL 19 MAGGIO 2016 (APPROVATO DAL SENATO) (A.C. 4108)

A.C. 4108 – Articolo 1

ARTICOLO 1 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Art. 1.
(Autorizzazione alla ratifica).

  1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare il Protocollo al Trattato del Nord Atlantico sull'adesione del Montenegro, fatto a Bruxelles il 19 maggio 2016.

A.C. 4108 – Articolo 2

ARTICOLO 2 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Art. 2.
(Ordine di esecuzione).

  1. Piena ed intera esecuzione è data al Protocollo di cui all'articolo 1, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, in conformità a quanto disposto dall'articolo II del Protocollo stesso.

A.C. 4108 – Articolo 3

ARTICOLO 3 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Art. 3.
(Entrata in vigore).

  1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

A.C. 4108 – Ordini del giorno

ORDINI DEL GIORNO

   La Camera,
   premesso che:
    il Protocollo, che si compone di un preambolo e di tre articoli, stabilisce tempi e modalità dell'adesione del Montenegro nell'Alleanza Atlantica e permetterà a tale paese, che dallo scorso maggio siede nell'Alleanza atlantica in qualità di osservatore e partecipa già ad alcune missioni internazionali, di diventare ufficialmente il ventinovesimo Stato membro;
    tale evento ha l'obiettivo di garantire maggiore sicurezza e stabilità all'intera regione dei Balcani occidentali ed alla zona Adriatica, consolidando il processo di integrazione nelle organizzazioni europee ed atlantiche del Montenegro,

impegna il Governo

a predisporre le iniziative necessarie per garantire la sicurezza all'interno del nostro paese.
9/4108/1Matarrelli.


   La Camera,
   premesso che:
    il Montenegro, divenuto indipendente nel 2006, forte di un progressivo miglioramento delle condizioni di vita dei suoi abitanti e delle prospettive di ulteriore sviluppo economico che potrebbero derivarne, si è risolutamente avviato sulla via della integrazione europea ed atlantica;
    il percorso di avvicinamento all'Unione europea, dopo l'adozione unilaterale dell'euro come propria moneta, ha ufficialmente preso inizio nel 2008 con la presentazione della domanda di adesione all'Unione europea, cui ha fatto seguito l'avvio dei relativi negoziati nel 2012;
    il Montenegro, come ha riconosciuto la Commissione europea nel suo Country report del 2015, ha compiuto progressi significativi in numerosi capitoli negoziali, fra cui quelli relativi al sistema giudiziario e ai diritti fondamentali e alla giustizia, libertà e sicurezza, mentre restano criticità sul fronte della lotta al crimine organizzato e alla corruzione;
    la Repubblica del Montenegro è partner essenziale della «nuova strategia europea per la regione dell'Adriatico e dello Ionio» (EUSAIR) approvata dal Consiglio d'Europa il 24 ottobre 2014 e ora nella sua fase di attuazione;
    questo percorso di integrazione europea va rafforzato eliminando le situazioni di criticità;
    è necessario, in questa delicata fase politica, assicurare perciò la più ampia collaborazione per prevenire attività dei gruppi terroristici che possono mettere a repentaglio la sicurezza nei due Stati;
    la cooperazione tra gli apparati di intelligence dei due Paesi può dunque rivelarsi decisiva per massimizzare i risultati dell'Accordo;
    ai sensi dell'articolo 1 della legge n. 124 del 2007 – «Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto» – al Presidente del Consiglio dei ministri è attribuita, in via esclusiva, tra l'altro, anche «l'alta direzione e la responsabilità generale della politica dell'informazione per la sicurezza, nell'interesse e per la difesa della Repubblica e delle istituzioni democratiche poste dalla Costituzione a suo fondamento»,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nell'ambito della cooperazione con il Governo della Repubblica del Montenegro, di intensificare i rapporti di collaborazione tra gli apparati di intelligence dei due Paesi al fine di rendere più efficace lo scambio di informazioni nell'ottica di un comune impegno nella prevenzione e nel contrasto alla minaccia terroristica internazionale ed al fine di una maggiore sicurezza della popolazione civile e delle strutture militari dei due Paesi.
9/4108/2Carrescia.


MOZIONI BRUNETTA ED ALTRI N. 1-01452, ROSATO, LUPI ED ALTRI N. 1-01456, PAGLIA ED ALTRI N. 1-01457, BUSIN ED ALTRI N. 1-01458, ZANETTI ED ALTRI N. 1-01459, VILLAROSA ED ALTRI N. 1-01460, RAMPELLI ED ALTRI N. 1-01461 E MONCHIERO ED ALTRI N. 1-01462 CONCERNENTI INIZIATIVE IN RELAZIONE ALLA CRISI DEL SISTEMA BANCARIO

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    i decreti legislativi n. 180 e n. 181 del 2015 hanno recepito la direttiva 2014/59/UE (del 15 maggio 2014) che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento. Detta direttiva (direttiva BRRD – Bank Recovery and Resolution Directive) affronta il tema delle crisi delle banche approntando strumenti nuovi che le autorità possono impiegare per gestire in maniera ordinata eventuali situazioni di dissesto non solo a seguito del loro manifestarsi, ma anche in via preventiva o ai primi segnali di difficoltà. Essa introduce una molteplicità di strumenti, aventi carattere preventivo, carattere di intervento immediato, così come strumenti di «risoluzione» della crisi;
    già nel 2013 la «comunicazione» della Commissione europea aveva disposto l'applicazione immediata di un nuovo regime di burden sharing che imponeva, in caso di crisi di una banca, la condivisione di perdite per azionisti e obbligazionisti subordinati come precondizione per un intervento pubblico;
    nel 2014 la BRRD, approvata dal Consiglio e dal Parlamento europeo, ha esteso quello stesso regime, già a partire dal 2016, anche alle obbligazioni ordinarie e ai depositi superiori a 100.000 euro (il bail-in);
    in particolare, il decreto legislativo n. 180 del 2015, ha recepito la direttiva BRRD nelle parti relative alla predisposizione di piani di risoluzione, avvio e chiusura delle procedure di risoluzione, adozione delle misure di risoluzione, gestione della crisi di gruppi cross-border, poteri e funzioni dell'autorità di risoluzione nazionale e disciplina del fondo di risoluzione nazionale. Le autorità preposte all'adozione delle misure di risoluzione delle banche potranno attivare una serie di misure, tra cui il temporaneo trasferimento delle attività e delle passività a un'entità (bridge bank) costituita e gestita dalle autorità per proseguire le funzioni più importanti, in vista di una successiva vendita sul mercato, il trasferimento delle attività deteriorate a un veicolo (bad bank) che ne gestisca la liquidazione in tempi ragionevoli ed il cosiddetto bail-in, ossia la procedura che consente di svalutare azioni e crediti e convertirli in azioni, per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca difficoltà o una nuova entità che ne continui le funzioni essenziali;
    il termine per l'applicazione delle disposizioni relative alle nuove procedure sul bail-in previste dalla direttiva, era fissato al 1o gennaio 2016; la medesima direttiva contiene, all'articolo 129, una clausola di revisione da attivare entro giugno 2018 (non è escluso attivarla prima);
    il 21 novembre 2015, per effetto delle nuove norme introdotte, la Banca d'Italia ha avviato quattro procedure di risoluzione – ai sensi del decreto legislativo n. 180 del 2015 – nei confronti della Banca delle Marche, della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, della Cassa di Risparmio di Ferrara e della Cassa di Risparmio della provincia di Chieti, tutte in amministrazione straordinaria. Con le norme del cosiddetto «decreto Salva-banche» (ovvero il decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183), poi confluite, all'interno della legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015), sono stati costituiti ex lege gli enti-ponte previsti dai provvedimenti di avvio della risoluzione dei suddetti istituti bancari, con l'obiettivo di mantenere la continuità delle funzioni essenziali precedentemente svolte dalle medesime banche e, quando le condizioni di mercato saranno adeguate, di cedere a terzi le partecipazioni al capitale o i diritti, le attività o le passività acquistate, in conformità con le disposizioni del citato decreto legislativo n. 180 del 2015. Il provvedimento ha previsto, inoltre, che il finanziamento delle procedure di risoluzione fosse assicurato dal fondo di risoluzione nazionale, istituito ai sensi dell'articolo 70 del decreto legislativo n. 180 del 2015 dalla Banca d'Italia, alimentato dallo stesso sistema bancario mediante contribuzioni ordinarie e straordinarie; il piano di cessione delle quattro «good bank» non è però stato svolto, per via dell'inappetibilità di tali istituti agli occhi degli investitori istituzionali, le cui offerte sono state ritenute troppo basse. Attualmente l'unica banca interessata all'acquisto di tre delle quattro banche è UBI, ma le condizioni di acquisto sono inferiori rispetto a quelle preventivate dal Governo, con il rischio di una maxi perdita per il Fondo interbancario a tutela dei depositi che aveva contribuito nel salvataggio degli istituti in dissesto;
    le operazioni disposte dal decreto-legge n. 183 del 2015 hanno generato perdite per decine di migliaia di azionisti e obbligazionisti subordinati, per nulla informati dal Governo pro tempore con sufficiente anticipo circa le conseguenze che l'avvento di tali norme avrebbe comportato sui loro risparmi, avendo gli stessi clienti acquistato in buona fede gli strumenti finanziari al tempo in cui la nuova normativa non era ancora stata scritta, prefigurando secondo i firmatari del presente atto di indirizzo una chiara violazione del disposto di cui all'articolo 47 della Costituzione, che tutela il risparmio in tutte le sue forme; le nuove procedure non hanno infatti previsto adeguate tutele del capitale investito in obbligazioni subordinate; i decreti attuativi sugli arbitrati, inoltre, non sono ancora stati emanati dal Ministero dell'economia e delle finanze, obbligando molti azionisti ad optare per la soluzione del rimborso, soltanto parziale delle perdite subite attraverso un procedimento burocratico che si è rivelato lento ed estremamente costoso per alcuni richiedenti, poiché altri sono stati arbitrariamente esclusi per non disporre di requisiti reddituali e patrimoniali sufficienti, in chiara violazione del principio di uguaglianza sancito dall'articolo 3 della Costituzione;
    in altre parole, il quadro normativo nazionale, nel dare applicazione alle disposizioni europee in materia di «salvataggi bancari», anche anticipandone di fatto l'entrata in vigore, si è rivelato confuso e particolarmente oneroso per i risparmiatori;
    è poi fondamentale evidenziare come, nell'introdurre i delicati cambiamenti a livello europeo sopra ricordati, non si è prestata sufficiente attenzione alla fase di transizione, soprattutto nella parte informativa per i contraenti retail;
    come affermato in più occasioni anche dal Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, è evidente come il Governo avrebbe dovuto sostenere con forza che un'applicazione immediata e, soprattutto, retroattiva dei meccanismi di burden sharing fino al 2015 e, successivamente, del bail-in, avrebbe potuto comportare – oltre che un aumento del costo e una rarefazione del credito all'economia – rischi per la stabilità finanziaria, connessi anche col trattamento dei creditori in possesso di passività bancarie sottoscritte anni addietro, in tempi in cui le possibilità di perdita del capitale investito erano molto remote;
    sarebbe stato quindi preferibile un passaggio graduale e meno traumatico, tale da permettere ai risparmiatori di acquisire piena consapevolezza del nuovo regime e di orientare le loro scelte di investimento in base al mutato scenario, eventualmente dismettendo le loro attività finanziarie senza perdere il loro valore;
    un approccio mirato, con l'applicazione del bail-in solo a strumenti provvisti di un'espressa clausola contrattuale, e un adeguato periodo transitorio avrebbero consentito alle banche di emettere nuove passività espressamente assoggettabili a tali condizioni;
    la BRRD contiene una clausola che ne prevede la revisione, da avviare entro giugno 2018. Come sostenuto anche dal governatore Visco, è auspicabile che questa occasione sia ora sfruttata, facendo tesoro dell'esperienza, per meglio allineare la disciplina europea con gli standard internazionali;
    i dati del nostro Paese sono evidenti: in Italia la quota del risparmio delle famiglie investita in obbligazioni emesse dalle banche è notevolmente più elevata che nella media dell'area dell'euro; da quando le borse hanno riaperto nel 2016, si è assistito ad un crollo continuo: l'indice azionario del settore bancario ha perduto circa il 37 per cento. I filoni da seguire per dare una spiegazione al fenomeno sono due, intrecciati tra loro: il tema dei crediti deteriorati («Non Performing Loans» – NPL) nei bilanci delle banche e il dibattito sulla «bad bank»; la proposta franco-tedesca di porre, per le banche dei Paesi dell'eurozona, un tetto all'ammontare di titoli del proprio debito sovrano che possono avere in portafoglio («proposta Schäuble»);
    il tema dei non performing loans è esploso a seguito dell'improvviso decreto del Governo pro tempore del 22 novembre 2015 con cui sono state «salvate» le quattro banche già menzionate, quando i valori di riferimento utilizzati per la svalutazione dei crediti deteriorati di queste ultime sono stati inopportunamente estesi a tutto il resto del sistema bancario, ed è scoppiata la psicosi per cui bisogna liberarsene subito e a qualsiasi prezzo. Mentre, come sanno bene gli addetti ai lavori, la buona gestione dei non performing loans spesso aiuta i bilanci delle banche;
    ma il decreto «salva banche» ha prodotto anche un altro effetto nefasto, che ha influito sul crollo delle borse: il «panico finanziario», noto pure come «corsa agli sportelli». I risparmiatori non si fidano più delle banche italiane, dal momento che 4 istituti sono falliti sul serio, finiti nell'occhio del ciclone e in alcuni casi anche al centro di indagini della magistratura, per cui ritirano i loro depositi;
    una soluzione di livello europeo a questo problema è tra i pilastri dell'unione bancaria che si vorrebbe introdurre: è la garanzia comune sui depositi, una sorta di «prestatore di ultima istanza» per cui i depositi bancari sono garantiti dalla piena fede e dal credito dell'Unione europea, prendendo a prestito la definizione utilizzata per definire tale strumento negli Stati Uniti; ma sulla garanzia europea comune sui depositi pesa il veto del Governo tedesco, che per sbloccarli chiede che le banche dei Paesi del sud Europa, Italia in primis, si liberino dei troppi titoli del proprio debito sovrano in portafoglio. Solo quando le banche italiane e greche diventeranno, così, meno rischiose, il Governo tedesco è disposto a partecipare a un fondo comune che garantisca il debito di tutti i Paesi dell'area dell'euro (Germania inclusa). «Liberarsi dei troppi titoli del proprio debito sovrano in portafoglio» significa vendita in blocco di buoni del Tesoro, quindi aumento dell'offerta degli stessi, con conseguente riduzione del prezzo, aumento dei rendimenti, quindi necessità di ricapitalizzazione per le banche, crollo in borsa e per il Paese aumento dello spread: esattamente la stessa sequenza a che nell'estate-autunno del 2011 portò alla crisi che tutti conoscono durante la quale tante imprese italiane sono state acquistate a «prezzi di saldo» dai «predatori» dalla tripla A, e alla caduta di quello che i firmatari del presente atto di indirizzo ritengono l'ultimo Governo democraticamente eletto;
    sulle modalità di creazione e funzionamento della bad bank italiana si è aperto un confronto con la Commissione europea, molto serio, sul quale però il Governo pro tempore ha già ceduto senza se e senza ma, evidentemente troppo timoroso di un'eventuale «bocciatura» della legge di stabilità tutta in deficit; da allora, i rapporti con la Commissione europea sono arrivati a un punto di minimo, fattore, questo, che complica ancora di più le negoziazioni con i partner europei. Ne deriva che per finanziare provvedimenti finalizzati ad acquisire consenso, l'Esecutivo ha distrutto e svenduto il sistema bancario italiano, di cui l'andamento in borsa dal 1o gennaio 2016 è la dimostrazione, indebolendo l'intera economia italiana;
    sarebbe invece necessario superare qualsiasi atteggiamento di debolezza, e cercare alleanze tra i partner europei per far cadere il veto tedesco sulla garanzia europea comune sui depositi bancari e proporre una moratoria sulla direttiva bail-in. Il modello dovrebbe essere quello degli Stati Uniti, dove il «timing» dell'intervento del Governo è stato l'opposto di, quello, errato, fatto dall'Europa: prima si sono risistemate le banche attraverso l'ingresso del Tesoro, poi con istituti più solidi, rilanciato l'economia in un colpo solo si risolverebbe il problema delle banche e si riuscirebbe a evitare la vendita in blocco di titoli di Stato italiani, con le conseguenze drammatiche che si è avuto modo di conoscere sull'economia e la democrazia italiana;
    il Governo deve mettere in atto una importante riflessione in merito alla frettolosa applicazione in Italia del bail-in, alla necessaria non retroattività delle norme derivanti dalla direttiva dell'Unione europea, e, in particolare, valutare con attenzione anche i profili di incostituzionalità di queste ultime rispetto all'articolo 47 della Carta costituzionale, che tutela il risparmio in tutte le sue forme;
    è necessario inoltre che si ripensi completamente all'inasprimento delle norme del codice penale relative alle responsabilità degli amministratori degli istituti di credito che, attraverso comportamenti dolosi o colposi, provocano perdite ai loro clienti. L'antiquato sistema giudiziario italiano non si è dimostrato in grado di punire i colpevoli, la qual cosa creerà altri incentivi ad utilizzare il risparmio dei clienti per concedere prestiti senza una seria valutazione del merito di credito o addirittura inserendoli nei circuiti della malavita, come alcuni recenti casi hanno dimostrato;
   è pertanto fondamentale porre rimedio ai gravi errori perpetrati dal Governo in tema bancario, in particolare negli ultimi due anni: tutta la copiosa produzione normativa sul tema portata avanti dall'Esecutivo guidato da Matteo Renzi, si è rivelata, infatti, ad avviso sottoscrittori del presente atto di indirizzo, assolutamente inutile e dannosa, in particolare per gli effetti catastrofici prodotti sui risparmiatori e per la tenuta dell'intero sistema bancario;
    risale al gennaio 2015 il decreto-legge (decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3) che ha riformato la governance delle banche popolari, imponendo la trasformazione in società per azioni a quelle con attivo superiore agli otto miliardi di euro. Una riforma strutturale adottata attraverso lo strumento del decreto-legge, in un contesto assolutamente privo dei requisiti di necessità ed urgenza. In quell'occasione, l'atteggiamento dell'Esecutivo risultò a dir poco ambiguo. I movimenti dei mercati nei giorni successivi all'emanazione del decreto, evidenziarono chiaramente come l'intervento di riforma approvato dal Consiglio dei ministri fosse stato preceduto da una serie di attività anomale, con sospette operazioni di compravendita di titoli azionari di numerose banche popolari: gli acquisti si erano concentrati sulle banche di modesta dimensione, come la Banca popolare dell'Etruria e del Lazio, il cui valore delle azioni aumentò addirittura del 62,1 per cento in quattro giorni, a fronte di un andamento delle azioni del comparto bancario che registrava un aumento dell'8,68 per cento. L'ulteriore stranezza riguardava il requisito dimensionale individuato, ossia un attivo di 8 miliardi di euro; è così che sono rientrate nelle norme il Credito Valtellinese, la Banca popolare di Bari e l'ormai famosa Banca popolare dell'Etruria e del Lazio;
   il secondo intervento, messo in campo sempre attraverso l'utilizzo della decretazione d'urgenza, è stato poi il citato decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183 (poi confluito all'interno della legge di stabilità 2016), strettamente connesso con le procedure di risoluzione avviate dalla Banca d'Italia nei confronti di alcune banche in amministrazione straordinaria (Cassa di risparmio di Ferrara, Banca delle Marche, Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, Cassa di risparmio della provincia di Chieti), che ha determinato la costituzione ex lege degli enti-ponte previsti dai provvedimenti di avvio della risoluzione dei suddetti istituti bancari;
   lo scorso febbraio il Governo Renzi ha poi riproposto l'ennesimo intervento in tema bancario, utilizzando ancora una volta lo strumento della decretazione d'urgenza, definendo, attraverso il decreto-legge 14 febbraio 2016, n. 18 (poi convertito dalla legge 3 aprile 2016, n. 49) la riforma delle banche di credito cooperativo;
   per non parlare dei continui interventi contenuti in altri provvedimenti, o di quelli che il Governo ha tentato di forzare all'interno della manovra finanziaria, come nel caso della disposizione introdotta nel testo del disegno di legge di bilancio (in materia di contribuzioni addizionali dovute dal sistema bancario al Fondo di risoluzione nazionale) stralciata dalla Commissione bilancio in quanto misura di carattere ordinamentale, e addirittura ripresentata sotto forma di emendamento del decreto fiscale;
   un modo di legiferare che appare ai firmatari del presente atto di indirizzo illegittimo, oltre che profondamente sbagliato nei contenuti, come è evidente dalle recenti decisioni del giudice amministrativo, in particolare sul decreto «banche popolari»;
   le banche popolari rappresentano una componente fondamentale della cooperazione bancaria italiana, e che, fin dalla loro nascita, hanno svolto e continuano a svolgere un insostituibile ruolo di sostegno alle famiglie e alle imprese, specie le piccole e medie imprese, con evidenti ricadute positive in termini di utilità sociale per il territorio, in un momento particolarmente duro di gravosa congiuntura economica come quello che il Paese ha dovuto affrontare negli ultimi anni;
   con riferimento agli interventi sulle banche popolari, e sulla loro trasformazione in società per azioni, il Consiglio di Stato ha di recente rimesso la questione alla Corte costituzionale, evidenziando, tra l'altro, che la riforma è in evidente contrasto con l'articolo 77 della Costituzione, «in relazione alla evidente carenza dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza legittimanti il ricorso alla decretazione d'urgenza», come tra l'altro rilevato dalla pregiudiziale di costituzionalità presentata al riguardo dal Gruppo Forza Italia alla Camera;
    restano fermi i profili di incostituzionalità citati e già riscontrati, rilevato che in ogni caso la dimensione, anche rilevante, di una società, non risulta affatto incompatibile con la sua natura cooperativa: è infatti di tutta evidenza che in Europa operano banche cooperative presenti sui mercati internazionali e con attivi che superano ampiamente non solo gli 8 miliardi – di cui al decreto-legge n. 3 del 2015, ma i 1.000 miliardi. È il caso in Francia del Crédit Agricole il cui attivo supera i 1.700 miliardi di euro, del Gruppo BPCE con 716 miliardi, del Crédit Mutuel con 500 miliardi; è il caso in Germania della DZ Bank, con 477 miliardi, in Olanda di Rabobank con 674 miliardi. Le prime cinquanta banche cooperative europee presentano tutte un attivo di gran lunga superiore agli 8 miliardi di euro, con una media pari a 154 miliardi;
    la fissazione di una soglia dimensionale di 8 miliardi per il mantenimento dello status di banca popolare cooperativa operata dal decreto-legge n. 3 del 2015 non trova infatti riscontro in alcuna normativa esistente, nazionale o internazionale. L'unico limite riferito alla dimensione nella normativa comunitaria è quello previsto per l'intervento di vigilanza della BCE, laddove si indica il valore di 30 miliardi: si è quindi in presenza di un gap di 22 miliardi, pari al 275 per cento della soglia stessa che contrasta con l'intento dichiarato di adeguarsi agli indirizzi europei ed omogeneizzare il modello societario delle banche assoggettate al meccanismo unico di vigilanza;
    tale soglia potrebbe ostacolare il consolidamento tra le banche popolari infrasoglia che potrebbero essere, da una parte indotte a non percorrere le auspicate ipotesi di razionalizzazione, dall'altra costrette a ridurre le erogazioni creditizie per non superare la soglia e rinunciare all'essere cooperative, impedendo così il raggiungimento di un livello attivo più idoneo per la massima efficienza collegata alla dimensione;
   il 23 dicembre 2016 è stato emanato il decreto-legge n. 237, recante disposizioni urgenti per la tutela del risparmio nel settore creditizio: il provvedimento è volto a consentire al Ministero dell'economia e delle finanze di erogare, con diverse modalità, sostegno pubblico alle banche italiane in esito delle prove di stress effettuate a livello nazionale, dell'Unione europea e del Meccanismo di vigilanza unico (Single Supervisory Mechanism – SSM). In sostanza, si tratta di uno scudo da 20 miliardi di euro per tutti quegli istituti di credito in difficoltà, che sarà utilizzato in particolare per la ricapitalizzazione dell'istituto Monte dei Paschi, per il quale è fallita la «soluzione di mercato» auspicata;
   l'intervento messo in campo oggi arriva tardi e sconta l'opacità e la confusione che hanno caratterizzato le politiche e la legislazione in ambito bancario dell'Esecutivo guidato da Matteo Renzi. Fino ad ora è stata infatti sottovalutata la portata della crisi delle banche italiane e la possibilità che tutto ciò portasse ad un effetto domino capace di colpire l'intero sistema bancario italiano;
   se da una parte, poi, il decreto chiarisce in qualche modo come il Governo intenda risolvere il tema della ricapitalizzazione di Monte dei Paschi senza colpire i piccoli risparmiatori, d'altra parte non dice nulla di come lo Stato, azionista egemone in conseguenza dello schema ideato dal Governo, intenda operare per risanare davvero la banca. Ma la gestione della fase che segue l'immissione di capitale non è il solo grande «nodo» da affrontare: è infatti necessario altresì analizzare e trovare una soluzione per sciogliere le evidenti questioni di equità di trattamento (se non di illegittima disparità) che, a seguito di questo intervento, vengono a crearsi tra istituti, con particolare riferimento a quelli colpiti dalle recenti procedure di risoluzione. Dietro la giusta tutela del risparmio – e dei risparmiatori – non può infatti nascondersi la disparità di trattamento tra istituti in crisi;
    in particolare alla luce di tutte le vicende esposte, è ora più che mai necessario che il Parlamento si faccia carico di una vera e propria indagine in ambito bancario, attraverso l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta, per conoscere e accertare prassi o singole condotte inadeguate, illegittime o illecite innanzitutto nei quattro istituti di credito coinvolti nelle procedure di risoluzione, e, più in generale, nei numerosi istituti in crisi, a partire dal Monte dei Paschi di Siena. In particolare in quest'ultimo caso bisogna fare chiarezza su vicende caratterizzate da inchieste giudiziarie, perdite, operazioni finanziarie spericolate e, soprattutto, da rapporti molto poco trasparenti con il mondo politico: un mix micidiale di fattori che ha determinato una crisi, quella del Monte dei Paschi, che appare oggi in grado di coinvolgere l'intero sistema bancario italiano. Bisogna inoltre verificare che le autorità pubbliche di vigilanza – la Banca d'Italia e la CONSOB – abbiano svolto correttamente e coerentemente la loro funzione di garanzia per i risparmiatori, accertando le responsabilità e gli eventuali reati commessi da amministratori e direttori generali delle banche coinvolte nonché da revisori legali dei conti e società di revisione legale, che hanno certificato bilanci evidentemente in dissesto;
   già il settembre 2015, la regione Toscana aveva istituito, su richiesta delle opposizioni, una commissione di inchiesta per indagare e ricostruire i fatti che hanno portato al dissesto finanziario del Monte dei Paschi e della fondazione MPS. Nel corso del suo lavoro, la commissione ha accertato gravi responsabilità della politica nel gestire le risorse e il patrimonio della fondazione e della banca più antica del mondo, nonché gravi responsabilità degli organismi di controllo;
   anche la regione Marche, con deliberazione dell'assemblea legislativa del febbraio 2016, aveva previsto l'istituzione di una commissione consiliare d'indagine diretta ad esaminare il caso Banca Marche,

  impegna se stessa e i propri organi, ciascuno per le proprie competenze, a deliberare in ordine all'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sullo stato del sistema bancario italiano e sui casi di crisi verificatisi dal 1o gennaio 1999, in connessione con l'inizio dell'operatività in strumenti finanziari denominati in euro, sulla base di quanto già richiesto, attraverso specifiche proposte di inchiesta, da diverse forze politiche.
(1-01452)
(Nuova formulazione) «Brunetta, Laffranco, Alberto Giorgetti, Palmizio, Occhiuto».


   La Camera,

  impegna se stessa e i propri organi, ciascuno per le proprie competenze, a deliberare in ordine all'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sullo stato del sistema bancario italiano e sui casi di crisi verificatisi dal 1o gennaio 1999, in connessione con l'inizio dell'operatività in strumenti finanziari denominati in euro, sulla base di quanto già richiesto, attraverso specifiche proposte di inchiesta, da diverse forze politiche.
(1-01452)
(Nuova formulazione) (Testo risultante dalla votazione per parti separate) «Brunetta, Laffranco, Alberto Giorgetti, Palmizio, Occhiuto».


   La Camera,
   premesso che:
    la stabilità finanziaria, la solidità del sistema bancario e la piena tutela del risparmio sono condizioni essenziali affinché il sistema finanziario possa assolvere alla sua principale funzione: trasmettere credito a cittadini e imprese, sostenendo l'attività economica e l'occupazione;
    tuttavia, la vulnerabilità del sistema finanziario europeo, che deriva dallo stretto intreccio tra gli effetti prodotti dalla crisi iniziata nel 2007 in termini di aumento delle sofferenze per la crescita delle insolvenze e le difficoltà emerse nella gestione del debito pubblico di alcuni Paesi membri i cui titoli erano detenuti, per importi consistenti, dalle banche europee, hanno reso necessario rafforzare il sistema su due livelli: uno europeo, con la definizione di una disciplina comune in materia creditizia, e uno nazionale, attraverso la produzione normativa volta a definire un assetto più moderno e competitivo del settore bancario italiano;
    l'Unione europea ha anzitutto approvato una serie di interventi volti a definire una disciplina più rigorosa per quanto concerne i requisiti patrimoniali richiesti alle banche, in modo da garantirne la solvibilità, e ha gradualmente costruito l'architettura dell'unione bancaria, realizzando un sistema unico di vigilanza, e un meccanismo unico di risoluzione delle crisi e definendo i principi per un prossimo sistema europeo di garanzia di depositi;
    il nuovo sistema di vigilanza, seppure con alcuni aspetti problematici relativi alla compressione degli spazi di discrezionalità tecnica in capo alle autorità nazionali e dell'autonomia contrattuale delle banche, ha consentito l'armonizzazione dei criteri precedentemente rimessi alle singole autorità nazionali; per quanto concerne la risoluzione delle crisi bancarie, è stata definita una disciplina che possa contrastare gli effetti distorsivi legati a massicci salvataggi a carico dei bilanci pubblici, dapprima con la «Comunicazione» della Commissione europea del 2013, che ha disposto l'applicazione del regime di burden sharing e, nel 2014, con la Bank Recovery and Resolution Direttive (BRRD), a seguito del quale è entrato in vigore dal 1o gennaio 2016 il regime del bail-in;
    è stato imposto che, in caso di crisi di una banca, l'intervento pubblico vada come precondizione necessaria il coinvolgimento degli investitori dell'istituto, con perdite su azioni e obbligazioni subordinate, e, dal 1o gennaio 2016, anche su obbligazioni ordinarie ed, eventualmente, sui depositi superiori a 100.000 euro, nel rispetto dell'ordine della gerarchia concorsuale, con una particolare tutela per i depositi delle persone fisiche e delle piccole e medie imprese; al contempo, è stata prevista l'istituzione di un fondo unico finanziato con contributi a carico delle banche, risorse che, assieme a quelle pubbliche, svolgono un ruolo essenziale per la tutela del risparmio nella gestione delle procedure di risoluzione;
    tali regole di condivisione delle perdite, recepite a livello nazionale dai decreti legislativi n. 180 e n. 181 del 2015, sono quindi volte ad evitare la creazione di un circolo vizioso tra banche e settore pubblico, garantire un corretto funzionamento dei meccanismi concorrenziali e non far ricadere in modo eccessivo e incontrollato i costi delle crisi sui cittadini tutti;
    nell'ambito del regime di burden sharing e secondo le procedure di risoluzione definite dalla BRRD, il Governo italiano e la Banca d'Italia hanno proceduto nel novembre 2015 ad attuare gli interventi di risoluzione delle crisi di Banca delle Marche, Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara, Cassa di Risparmio di Chieti, così salvaguardando totalmente i depositi, l'occupazione delle banche e i crediti verso un numero molto elevato di imprese; a seguito di complesse interlocuzioni con le istituzioni europee, è stata inoltre trovata una via compatibile con la normativa vigente in materia di aiuti di Stato per assicurare una forma di tutela verso gli investitori in obbligazioni subordinate, attraverso l'istituzione di un fondo di solidarietà e la definizione di procedure di indennizzo, automatico e di natura arbitrale;
    la tutela degli investitori in obbligazioni subordinate è stata prevista per tenere conto del fatto che alcuni fra loro presentavano un profilo di investimento non compatibile con l'elevato livello di rischiosità dei titoli, che la vendita di tali prodotti a clienti non professionali fosse spesso stata effettuata in relazione ad altri servizi prestati dalle quattro banche agli stessi clienti, e quindi con il possibile condizionamento di questi ultimi all'acquisto, ma, in ultima istanza, per ottemperare al più generale principio, della tutela del risparmio, che rappresenta una priorità fra i fattori strategici per lo sviluppo e la stabilità economica;
    la fiducia degli investitori, fortemente correlata con il grado di tutela del risparmio che caratterizza il sistema finanziario, costituisce l'essenza dell'attività bancaria; in caso di applicazione dei richiamati regimi di condivisione delle perdite e, in particolare, del bail-in, risultano però alimentati i rischi di instabilità sistematica provocati dalla crisi di singole banche;
    appare dunque opportuno da un lato, nella gestione dei casi particolari, dare la priorità ad interventi con finalità precauzionali in fasi in cui si è ancora in grado di prevenire eventuali procedimenti di risoluzione; dall'altro, anche alla luce degli esiti delle procedure di risoluzione in corso (seppure con il precedente regime di burden sharing) favorire la più efficace revisione della direttiva 2014/59/UE, ipotesi contemplata dalla medesima direttiva, da avviare entro giugno 2018, e che sarà l'occasione per migliorare il meccanismo vigente e per armonizzare le discipline dei diversi Stati membri;
    ancor più in generale, la realizzazione del terzo pilastro dell'Unione bancaria, relativo al sistema unico di assicurazione dei depositi presso tutte le banche dei paesi coinvolti, che sta scontando alcune difficoltà legate alla perplessità di fronte alla prospettiva di mutualizzazione del rischio da parte di alcuni Stati membri, i quali temono che i propri sistemi bancari siano chiamati a finanziare interventi a favore di depositanti di altri Paesi per l'insolvenza di banche straniere, risulta più che mai un passaggio necessario per rinforzare, a livello europeo, il grado di tutela del risparmio;
    a livello nazionale, nel corso della presente legislatura, è stato portato avanti un ampio e unitario disegno di ristrutturazione del sistema, comprensivo di riforme attese da lungo tempo e necessarie per consentire alle banche di rafforzarsi e rispettare gli elevati requisiti patrimoniali derivanti dalla disciplina europea fra cui la trasformazione delle maggiori banche popolari in società per azioni, l'autoriforma delle fondazioni di origine bancaria, la semplificazione e la riduzione dei tempi delle procedure di insolvenza e di recupero dei crediti, la riforma delle banche di credito cooperativo, l'allineamento agli standard europei delle regole fiscali applicabili alla svalutazione dei crediti nei bilanci delle banche, l'introduzione di un sistema di garanzie pubbliche per la dismissione e cartolarizzazione delle sofferenze bancarie;
    tali misure, molte delle quali ad oggi in fase di attuazione, stanno contribuendo a rafforzare il sistema bancario nazionale, benché l'elevata consistenza dei crediti in sofferenza e le ricadute dell'introduzione delle richiamate normative europee in tema di risoluzione delle istituzioni finanziarie rendano necessario accrescerne la resilienza, rispettivamente, effettiva e percepita;
    le Camere hanno autorizzato lo scorso 21 dicembre, ai sensi dell'articolo 81, secondo comma, della Costituzione e dell'articolo 6 della legge 24 dicembre 2012, n. 243, il Governo a emettere titoli del debito pubblico, fino a un massimo di 20 miliardi di euro per l'anno 2017, allo scopo precauzionale di ripatrimonializzare, ove necessario, istituti che, diversamente da quelli sottoposti al burden sharing tra il 2015 e 2016, non presentano problemi di solvibilità, ma che non hanno superato i test di resistenza a ipotetici scenari avversi operati sulla base dell'attuale assetto della vigilanza prudenziale dell'Unione europea, anche al fine di rafforzare il grado di fiducia degli operatori dell'intero sistema bancario;
    è all'esame del Senato il disegno di legge di conversione del decreto-legge 23 dicembre 2016, n. 237, recante disposizioni urgenti per la tutela del risparmio nel settore creditizio, che dispone la creazione di un fondo con una dotazione di 20 miliardi di euro, al quale il Governo potrà attingere per i singoli interventi sul capitale e sulla liquidità degli istituti bancari;
    le misure, in conformità al quadro normativo europeo sulla gestione delle crisi e sugli aiuti di Stato, non comportano l'avvio di alcuna procedura di risoluzione, né l'applicazione delle disposizioni sul bail-in;
    l'intervento pubblico non prevede, infatti, alcun azzeramento del valore nominale degli strumenti finanziati posseduti dagli investitori: comporta la conversione delle obbligazioni subordinate in azioni della banca, consentendo altresì che lo Stato possa offrire obbligazioni non subordinate di nuova emissione in cambio delle azioni frutto della conversione, con una procedura di compensazione orientata alla massima tutela dei risparmiatori,

impegna il Governo:

1)  per quanto concerne la disciplina europea e la tutela del risparmio:
    a) ad assumere iniziative per garantire la massima tutela dei risparmiatori, in ogni ambito, anche rafforzando, con il coinvolgimento delle autorità nazionali di vigilanza, la prevenzione e il contrasto delle condotte scorrette da parte degli amministratori degli istituti bancari nazionali, rinforzando i presidi normativi e regolamentari e l'incisività dei controlli, nonché favorendo la corretta applicazione delle regole finalizzate a impedire il collocamento degli strumenti più rischiosi presso clienti al dettaglio non in grado di comprenderne l'effettivo rischio, e al contempo di meccanismi finalizzati ad assicurare una piena e consapevole informazione dei risparmiatori;
    b) a promuovere nelle sedi europee la revisione della direttiva 2014/59/UE in base a quanto previsto dall'articolo 129 della medesima, al fine di apportare, entro il 1o giugno 2018, le opportune modifiche al regime del bail-in;
    c) a sostenere nelle sedi negoziali europee la più rapida introduzione del terzo pilastro dell'Unione bancaria, relativo alla tutela dei depositi, nel rispetto di un principio di equilibrio fra i Paesi membri tra la condivisione del rischio e la sua riduzione;
    d) a proseguire nell'azione negoziale volta ad ampliare gli spazi di compatibilità con la disciplina europea degli aiuti di Stato, in particolare relativi alle vie alternative alle procedure di risoluzione attraverso l'intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi in caso di istituti in crisi;
    e) a promuovere la diffusione dell'educazione finanziaria per aumentare la consapevolezza da parte dei cittadini degli strumenti e dei servizi finanziari e la capacità di misurazione dei profili di rischio e di rendimento associati con le diverse tipologie di prodotti offerti;

2)  relativamente al sostegno del sistema bancario nazionale:
    a) a garantire il più alto grado di tutela dei risparmiatori coinvolti in procedimenti di ricapitalizzazione precauzionale da parte dello Stato, attraverso procedure chiare e trasparenti e offrendo il massimo sostegno nella comprensione delle stesse;
    b) ad assumere iniziative per assicurare un adeguato livello di liquidità del sistema bancario per ripristinare la capacità di finanziamento a medio-lungo termine, anche prevedendo la concessione delle garanzie dello Stato su passività delle banche italiane;
    c) a mettere in atto un programma di rafforzamento patrimoniale delle banche italiane mediante interventi per la ricapitalizzazione, che prevedano anche la sottoscrizione di nuove azioni, allo scopo precauzionale di ripatrimonializzare gli istituti in difficoltà e di garantire l'adeguato accesso alla liquidità in caso di tensioni;
    d) a discutere ed approvare le misure di intervento nel quadro della massima condivisione con il Parlamento;

  impegna se stessa e i propri organi, per quanto di sua competenza, ad adottare ogni iniziativa utile volta ad addivenire all'istituzione di una Commissione parlamentare bicamerale di inchiesta in merito al funzionamento del sistema bancario italiano e ai casi di crisi finanziaria che hanno coinvolto alcuni istituti negli ultimi anni, con particolare riguardo all'individuazione delle eventuali responsabilità degli amministratori, al corretto ed efficace esercizio delle funzioni di vigilanza e controllo, nonché all'analisi delle insolvenze che hanno contribuito a determinare tali crisi.
(1-01456)
(Nuova formulazione) «Rosato, Lupi, Pelillo, Tancredi, Barbanti, Bonifazi, Capozzolo, Carella, Cenni, Colaninno, Currò, De Maria, Marco Di Maio, Fragomeli, Fregolent, Ginato, Gitti, Gutgeld, Lodolini, Moretto, Petrini, Pinna, Ragosta, Ribaudo, Sanga, Zoggia, Paola Boldrini, Bratti, Cinzia Maria Fontana, Donati, Parrini, Morani, Carrescia, Ascani».


   La Camera,
   premesso che:
    a dispetto delle dichiarazioni del Ministro dell'economia e delle finanze professor Padoan sulle presunte capacità di resilienza del sistema bancario italiano, il perdurante stato comatoso in cui versano i principali istituti di credito italiani che non accenna a placarsi preoccupa non solo gli italiani ma anche gli osservatori di oltre confine per i quali, stante il rischio altissimo di un avvitamento sistemico, rappresenterebbe una minaccia finanziaria potenzialmente, persino più pericolosa della cosiddetta Brexit;
    la genesi della situazione ha radici lontane che affondano nella crisi finanziaria dei mutui subprime propagatasi dagli Stati Uniti a partire dal 2006 e che ha travolto numerosi istituti di credito europei salvati a loro volta dall'intervento pubblico;
    il problema principale che da anni affligge il sistema bancario italiano, emerso con sempre più chiarezza anche grazie alle ispezioni ed agli stress test imposti dalla BCE, è rappresentato da quella imponente massa di crediti deteriorati o incagliati (cosiddetti NPL) detenuta dalle banche italiane, che pesando sui loro bilanci rende difficile l'erogazione di nuovi prestiti e quindi il finanziamento dell'economia reale;
    secondo i dati riportati da una recente analisi e che rappresentano quanto la dimensione macroscopica del fenomeno sia strutturalmente più grave in Italia rispetto al resto d'Europa, sul totale dei 1.014 miliardi di euro di crediti contabilizzati e detenuti nell'aprile del 2016 da tutte le banche dell'Eurozona, circa 324 risultavano «ad appannaggio» del sistema bancario italiano, contro i 68 di quello tedesco ed i 150 dei sistemi bancari francese e spagnolo;
    nonostante il suddetto contesto preconizzasse il rischio di una crisi sistemica del settore, il Governo pro tempore, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, ne ha colpevolmente ed irresponsabilmente sottovalutato la portata, gestendola con logica emergenziale, come, ad esempio, per fronteggiare il default di quattro istituti di credito (Banca delle Marche, Banca popolare dell'Etruria, Cassa di risparmio di Ferrara e la Cassa di risparmio di Chieti) per il quale ha forzatamente ed a mezzo di decreto-legge anticipato nel nostro Paese l'entrata in vigore del nuovo meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie (cosiddetto bail-in). Stessa logica ha seguito per riaccendere l'interesse ad investire nelle attività deterioriate delle banche italiane, deliberando una serie di misure urgenti per ridurre i tempi di recupero dei crediti;
   invero il Governo pro tempore negli ultimi tre anni ha disposto una serie di interventi presentandoli come una riforma complessiva e organica del settore, che sostanzialmente hanno lasciata invariata l'incidenza dei NPL sui bilanci delle banche italiane ed alterato significativamente, compromettendolo, il quadro di tutele giuridiche e costituzionali di riferimento, con immaginabili e deleterie ricadute per i risparmiatori e per la tenuta dell'intero sistema;
    con un primo provvedimento, il decreto-legge n. 3 del 2015, il Governo pro tempore, con il dichiarato obiettivo di voler «rafforzare il settore bancario e adeguarlo allo scenario europeo e garantire che la liquidità disponibile si trasformi in credito a famiglie e imprese e favorire la disponibilità di servizi migliori e prezzi più contenuti», ha in realtà inteso avviare una inopportuna quanto pervasiva riforma dell'assetto normativo delle banche popolari, sulla scia, delle numerose sollecitazioni pervenutegli dal Fondo monetario internazionale, dalla Commissione europea e dalla Banca d'Italia, che lo invitavano ad intervenire con urgenza sulla struttura cooperativistica delle banche popolari maggiori, rea di determinare rischi per la loro sussistenza sul mercato, disvelando in tal modo da un lato una totale subalternità rispetto alle istituzioni europee ed ai dettami dei mercati finanziari speculativi, e dall'altro la volontà di voler definitivamente spianare la strada ad una fase di fusioni ed acquisizioni bancarie;
    con un secondo provvedimento, il decreto-legge n. 18 del 2016, il Governo pro tempore, nel duplice tentativo di fronteggiare il fenomeno del graduale deterioramento dei crediti concessi negli anni dalle banche di credito cooperativo a sostegno dell'economia reale dei loro territori e di adeguarsi ad una evoluzione normativa prudenziale ed alla contestuale nascita dei meccanismi europei di vigilanza e di risoluzione delle crisi bancarie che nel frattempo andavano accrescendo, a loro volta, l'importanza del capitale come primo presidio di stabilità delle banche, ha introdotto nel sistema giuridico alcune previsioni (prima fra tutte la clausola di non adesione cosiddetta way out, che consente ad una banca di credito cooperativo, a fronte di una dote patrimoniale superiore a 200 milioni di euro di capitale, di sottrarsi all'egemonia di una holding), che rischiano, nella realtà di snaturare quegli stessi meccanismi posti fino ad oggi a presidio della mutualità. A tal proposito il gruppo Sinistra Italiana-SEL, presentando il 23 febbraio 2016 in Aula la questione pregiudiziale, è stato il primo a denunciare e disvelare in Parlamento come dietro il tentativo del Governo di voler riformare la governance delle banche di credito cooperativo, attraverso un differente sistema interno di allocazione delle risorse o di tempestivo reperimento di capitale in caso di tensioni patrimoniali, si celasse il pericolo di minare quella tutela costituzionale della funzione sociale della cooperazione statuita dall'articolo 45 della Costituzione, aprendo un irreparabile vulnus capace di intaccare l'intero sistema cooperativo italiano;
    con un terzo provvedimento, il decreto-legge n. 59 del 2016, sono state introdotte misure che al fine di accelerare il recupero dei crediti e ridurre i tempi delle procedure esecutive, di fatto finiscono con il penalizzare il debitore, aggravando la sua posizione di contraente debole rispetto agli istituti di credito: la previsione di cui all'articolo 1 ha introdotto nell'ordinamento giuridico un nuovo strumento di garanzia dei crediti delle banche, attraverso la costituzione del pegno non possessorio sui beni mobili destinati all'esercizio dell'impresa, che se da una parte consente un impiego produttivo del bene e quindi favorisce la continuità produttiva, dall'altra, potrebbe indurre la banca ad ingiustificate e continue richieste di adeguamento delle garanzie sui finanziamenti già in essere e per linee di credito anche a breve termine per il finanziamento del capitale circolante, mettendo così a rischio il ragionevole affidamento e la garanzia della certezza di diritti anche acquisiti ed innescando un circolo vizioso che finirebbe col rendere inefficace lo stesso nuovo istituto, quale acceleratore di sviluppo economico in tutti i casi in cui lo stesso non fosse finalizzato al finanziamento degli investimenti produttivi. Altrettanto penalizzante è la previsione di cui all'articolo 2 del medesimo decreto-legge che, al fine di assicurare alle banche e agli altri soggetti autorizzati a concedere finanziamenti nei confronti del pubblico, strumenti particolarmente incisivi a tutela delle loro posizioni creditorie, consente, in caso di inadempimento, ovvero quando il mancato rimborso del finanziamento si protrae per oltre nove mesi dalla scadenza di almeno tre rate, in caso di rimborso mensile, (elevati a dodici nel caso in cui il debitore abbia già rimborsato almeno l'85 per cento del finanziamento), il trasferimento alla banca della proprietà di un bene immobile dell'imprenditore o di un terzo, per effetto del cosiddetto patto marciano, uno strumento particolarmente incisivo ed incompatibile con un'adeguata tutela delle ragioni della parte contraente più debole;
    diversamente dall'attivazione di procedure, come quelle introdotte dal suddetto decreto-legge, che possono mettere in pericolo il patrimonio e la continuità aziendale e quindi l'esistenza stessa dell'impresa, con conseguente perdita di posti di lavoro, per ricostruire un tessuto produttivo indebolito e sfiancato, occorrerebbe aiutare quegli imprenditori che quotidianamente, pur nella difficoltà, continuano a svolgere la propria attività nel rispetto delle regole, coinvolgendo il sistema bancario in una forte azione di supporto all'economia reale;
    a fronte di una massa indistinta di crediti deteriorati che rischiano di far collassare il sistema creditizio italiano, di contro sul mercato immobiliare si registra l'esclusione di quote crescenti della popolazione dall'accessibilità alle locazioni o all'acquisto della prima casa, in un quadro che vede l'assoluta inefficienza delle politiche abitative pubbliche e l'insufficienza dell'offerta di patrimonio residenziale pubblico. L'istituzione presso la Cassa depositi e prestiti di un apposito fondo destinato ad acquisire dal sistema bancario i crediti immobiliari, assistiti da ipoteca di primo grado, in sofferenza, fino a un valore massimo del 50 per cento del valore residuo iscritto a bilancio, contribuirebbe, da una parte a liberare il sistema bancario da una quota cospicua di crediti in sofferenza e, dall'altra, ad aumentare a favore dei ceti meno abbienti l'offerta residenziale pubblica. È del tutto evidente l'interesse pubblico all'operazione, che potrebbe risolversi nell'acquisizione, a fini sociali, di immobili residenziali ad un prezzo nettamente inferiore a quello di mercato, o, in caso di rispetto del piano di ammortamento, in una significativa plusvalenza, mentre l'interesse del sistema bancario a partecipare all'operazione potrebbe ravvisarsi nella necessità di liberarsi di una buona quota di crediti in sofferenza;
    l'oramai nota vicenda del dissesto e del successivo tentativo di salvataggio della Cassa di risparmio di Ferrara, della Banca delle Marche, della Banca popolare dell'Etruria e del Lazio e della Cassa di risparmio della Provincia di Chieti si è avvitata su se stessa, in una girandola di accuse e scarico di responsabilità, svelando un quadro a tinte fosche dal quale sembrerebbe emerso un confine poco definito tra la responsabilità di chi non ha debitamente informato la clientela sui rischi a cui andava incontro e quella di chi, invece, avrebbe dovuto e potuto, per dovere istituzionale, evitare ed impedire, attraverso la propria vigilanza, il tracollo finanziario delle stesse, e disvelare il groviglio di connivenze e di conflitto di interessi che caratterizzava la loro gestione. I quattro istituti, infatti, pur essendo particolarmente radicati nel territorio ove operavano quali motori dell'economia locale, avevano iniziato a manifestare problemi di solvibilità già da diversi anni, divenendo così l'obiettivo di frequenti ispezioni da parte della Banca d'Italia e subendo fasi di commissariamento fino a raggiungere l'attuale configurazione di good bank. La problematicità di questa situazione nasce in tempi lontani ma, secondo i particolari che si vanno di giorno in giorno disvelando, poteva essere dominata o fortemente ridimensionata da un'adeguata azione di vigilanza da parte delle autorità di controllo all'uopo preposte;
    la vigilanza sul sistema bancario si sostanzia oggi nell'emanazione di regole prudenziali e di criteri di affidabilità e correttezza delle gestioni, in linea con le disposizioni dell'Unione europea e con le indicazioni elaborate in altre sedi internazionali, nell'esercizio di poteri autorizzativi concernenti le vicende e i momenti fondamentali della vita delle banche (costituzione, fusioni, e altro), nella verifica della qualità della loro gestione, negli interventi sulle situazioni aziendali per impedire il deteriorarsi dei profili tecnici, nella gestione delle crisi in caso di situazioni di patologia conclamata, nell'interazione con gli esponenti aziendali, e più in generale, con i destinatari delle norme attraverso il ricorso alla consultazione pubblica e a forme di dialogo prima della definizione degli atti normativi. Difficile è, pertanto, immaginare che non si sarebbe potuto riparare all'irreparabile;
    le tragedie personali (come i suicidi che ne sono derivati) hanno sempre un forte peso mediatico che spesso esula dalla realtà oggettiva dei fatti, realtà dietro la quale, escluse presunte azioni di circonvenzione da parte di promotori finanziari, spesso si nascondono la scarsa trasparenza degli istituti bancari e la poca consapevolezza del reale rischio da parte dei risparmiatori; una variabile, quest'ultima, che pur avendo una sua importanza, non può essere giustificata aprioristicamente. I disastri finanziari della società Lehman Brothers, dei titoli di Stato argentini e delle società Cirio e Parmalat insegnano che si tratta di uno scenario tristemente ricorrente, che, purtroppo, finisce col penalizzare quasi sempre l'inconsapevole ignoranza dei cittadini;
    l'organizzazione attuale del lavoro nelle imprese bancarie e assicurative continua ad apparire finalizzata a esercitare pressione sul lavoratore per la vendita di prodotti, polizze, certificati di investimento e qualunque altra invenzione finanziaria altamente rischiosa, anche a clienti con un profilo di rischio non adeguato;
    nei fatti, le banche continuano ad agire seguendo strategie improntate alla centralità del profitto, anche se proclamano la centralità del cliente quale elemento fondante ed essenziale, mentre andrebbe rispettato il dettato costituzionale che tutela il risparmio, il mercato e i diritti dei lavoratori;
    un perverso intreccio di inchieste giudiziarie, perdite camuffate con abili operazioni finanziarie, operazioni di acquisizione azzardate e rapporti poco trasparenti con il mondo politico, ha anche contaminato, mettendolo in crisi, il Monte dei Paschi di Siena, il cui tracollo sfiora il 60 per cento del suo valore azionario, con il risultato che, oggi, la capitalizzazione al valore di mercato dell'istituto sfiora il miliardo di euro, a fronte di un patrimonio netto pari a circa dieci miliardi di euro e di sofferenze nette, ossia di crediti deteriorati che non riuscirà a recuperare, pari a ventiquattro miliardi di euro;
    a queste cifre si è giunti dopo che la parte peggiore delle suddette sofferenze, che hanno un valore nominale di 27 miliardi di euro (su un totale crediti deteriorati di 47 miliardi), è già stata svalutata per 17 miliardi, portando così il residuo valore netto di bilancio a 10 miliardi di euro; valore su cui si è inevitabilmente concentrato lo scetticismo dei mercati che ha poi portato al fallimento della soluzione di mercato tentata in extremis a fine anno 2016 e che ha determinato il Ministero dell'economia ad intervenire attraverso una ricapitalizzazione precauzionale con un sostegno finanziario straordinario pari a 8,8 miliardi di euro, importo necessario a coprire il fabbisogno patrimoniale che ne è derivato dallo scenario avverso della prova di stress-test resa pubblica nel luglio 2016 dall'Autorità bancaria europea (EBA);
    sarebbe a questo punto opportuno a parere dei firmatari del presente atto ravvisare come soluzione il ricorso ad un processo di nazionalizzazione del Monte dei Paschi di Siena e di trasformazione in banca pubblica, finalizzato al rilancio del credito per gli investimenti, nonché l'estensione agli obbligazionisti del Monte dei Paschi del trattamento già previsto riservato dalla normativa agli obbligazionisti di Banca delle Marche, Banca popolare dell'Etruria, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti;
    a partire dagli anni ottanta si è assistito ad una costante deregolamentazione del sistema bancario che, iniziata negli Stati Uniti, ha finito con il contaminare l'intero settore creditizio europeo e che ha portato all'unificazione dei due tipi d'istituto di credito operanti allora, le banche commerciali, che fino a quel momento gestivano il risparmio ed erogavano i crediti ipotecari e le banche d'investimento, che si occupavano esclusivamente di investire in borsa il denaro affidatogli dai propri clienti, sull'assunto che un minor numero di regole avrebbe portato ad una maggiore concorrenza, ad una maggiore efficienza e quindi ad un contenimento dei costi. L'unificazione dei due tipi d'istituto ha però progressivamente permesso alla finanza di poter operare con somme sempre più consistenti, perché derivanti dalla fusione, perseguendo di fatto – esponendosi a grandi rischi e a tutto discapito della tutela del risparmio – il solo profitto finanziario;
    la suddetta commistione dell'attività di intermediazione creditizia tradizionale con quella delle banche d'affari e del trading speculativo, avendo determinato una finanziarizzazione sempre più spinta dell'economia, ha indubbiamente contribuito in maniera significativa allo sviluppo della cosiddetta «stagnazione secolare» e della crisi del settore bancario;
    sarebbe pertanto auspicabile un ritorno alla separazione tra i due tipi di banche da cui discenderebbero, tra l'altro, un aumento della «biodiversità» e la resilienza dei sistemi finanziari: secondo una vasta letteratura condivisa dalle autorità di regolamentazione, i sistemi finanziari, proprio come gli ecosistemi, sono più resilienti quanto più abitati da operatori con caratteristiche diverse (banche d'affari, banche commerciali, banche cooperative o rurali, banche etiche);
    tra le ragioni che hanno determinato l'intera situazione occorre chiamare in causa anche la normativa sui salvataggi bancari e cioè la direttiva 2014/59/UE (Bank recovery and resolution directive – BRRD), il cui recepimento nell'ordinamento giuridico italiano è stato affidato ai decreti legislativi n. 180 e n. 181 del 16 novembre 2015, che fa parte dell'ampio complesso normativo che regola la Banking Union e si inscrive nell'ambito di un profondo ripensamento dell'assetto regolamentare del sistema finanziario volto ad orientare la vigilanza verso obiettivi macro-prudenziali di gestione del rischio sistemico, attraverso l'introduzione di un regime armonizzato per la gestione delle crisi bancarie finalizzato al tempestivo fronteggiamento dei dissesti, al fine di garantire la continuità delle funzioni essenziali degli istituti di credito e delle imprese d'investimento;
    la direttiva, spezzando quel legame intercorso fino ad oggi fra rischio bancario e rischio sovrano e riallocando i rischi dal settore pubblico al settore privato, stabilisce che, a partire dal 1o gennaio 2016, gli Stati membri possano ricapitalizzare una banca in crisi solo previa condivisione dei relativi oneri da parte degli azionisti, degli obbligazionisti, nonché dei titolari di depositi non protetti dal vigente sistema di garanzia, e quindi di importo superiore a 100.000 euro (cosiddetto bail-in, dall'inglese «cauzione interna»). Da ciò ne deriva l'esigenza di assicurare il contemperamento tra l'esigenza di stabilità del sistema creditizio e la doverosa tutela del risparmio; secondo una gerarchia prestabilita si procede, nei riguardi degli azionisti e dei possessori di obbligazioni emesse dalla banca, con la riduzione del valore delle loro azioni od obbligazioni, correlata con l'azzeramento del capitale e, successivamente, con la conversione delle stesse in nuove azioni, che, dopo aver assorbito le perdite, dovrebbero assicurare un'adeguata ricapitalizzazione dell'istituto in crisi che sia sufficiente a mantenere la fiducia del mercato e quindi a far riprendere la sua attività. In caso di insufficienza delle predette operazioni, si fa ricorso ai depositi di importo superiore a 100.000 euro, destinando gli importi eccedenti tale limite all'assorbimento delle perdite residue e quindi al capitale (ora costituito da vecchi e nuovi azionisti), dopo aver spossessato i titolari dei depositi;
    invero, risulta per i presentatori del presente atto poco ragionevole e di dubbia legittimità costituzionale l'applicazione retroattiva di misure in peius per i clienti ed i risparmiatori della banca (peraltro gli stessi soggetti sui quali si fondano i presupposti di prosperità economica del nostro Paese ed i cui risparmi costituiscono la principale provvista del sistema creditizio), i quali dovranno farsi carico di passività emesse antecedentemente rispetto al momento in cui hanno maturato il proprio risparmio ovvero abbiano sottoscritto strumenti finanziari, utilizzati dal nuovo sistema per gestire e risolvere le crisi. Di contro, per il principio di irretroattività della legge sancito dall'articolo 11 delle cosiddette preleggi, una nuova legge non può modificare quei poteri sorti da un fatto acquisitivo valido per la legge precedente; essa è ammessa dall'impianto costituzionale italiano solo in campo penale e solo se introduce un favor rei (ossia un vantaggio per il colpevole);
    il coinvolgimento nelle crisi bancarie di obbligazionisti e depositanti presuppone, inoltre, che gli stessi possiedano una cultura finanziaria in grado di comprendere appieno l'affidabilità di una banca, la sua solidità, il reale livello di rischio dei titoli che emette, tutti presupposti che dovrebbero assicurare loro di poter disporre sempre e comunque del denaro che le affidano;
    di più; l'origine di questa soluzione di salvataggio, sorta in ambiti e circostanze distanti dalle realtà bancarie, finanziarie e giuridiche dei singoli Stati e risultato di una costante pressione esercitata a livello legislativo dalle istituzioni comunitarie e che tende alla costruzione di un corpus iuris europeo, costituisce l'ennesimo esempio di come, in questi anni, numerose fattispecie e configurazioni astratte abbiano assunto una fattispecie regolamentare vincolante per i Paesi membri che spesso genera non pochi e prevedibili conflitti normativi tra le norme comunitarie ed i principi costituzionali degli ordinamenti giuridici «domestici»;
    con riferimento ai suddetti decreti legislativi n. 180 e n. 181 del 16 novembre 2015, si appalesano ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo aspetti più che sufficienti per ipotizzare, come peraltro evidenziato sin dalla loro entrata in vigore dalle censure di esimi giuristi, magistrati e perfino della stessa Abi, la violazione di alcune disposizioni costituzionali, prima fra tutte l'articolo 47, laddove si affida alla Repubblica l'incoraggiamento e la tutela del risparmio in tutte le sue forme e la disciplina, il coordinamento ed il controllo dell'esercizio del credito. È infatti più che manifesta l'incostituzionalità di una norma che imponendo, ai possessori di azioni o di obbligazioni non rischiose, la conversione forzosa in azioni di minor valore ed un prelievo forzoso senza contropartita a tutti i titolari di conti di deposito che superano l'importo di 100.000 euro (limite, peraltro, riducibile dal legislatore comunitario), di fatto non incoraggia, né tutela il risparmio;
    così come è palese a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo che la norma a carico dei depositanti viola anche l'articolo 3 della Costituzione, poiché riserva a questi una disparità di trattamento rispetto agli azionisti ed agli obbligazionisti, ai quali, sia pure in perdita, viene riconosciuta una contropartita;
    altrettanto può dirsi con riferimento al vero e proprio esproprio in danno dei risparmiatori, senza che venga garantita una qualche forma di indennizzo futuro e senza che esso sia motivato da un interesse generale, quanto piuttosto dal dichiarato fine di soccorrere specifici soggetti privati (le banche), e per questo a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo in stridente contrasto con l'articolo 42 della Costituzione, in base al quale la proprietà privata può essere espropriata salvo indennizzo e solo per motivi di interesse generale;
    la disciplina del bail-in interviene direttamente nei rapporti fra privati (banche e risparmiatori) prevedendo modifiche in corsa delle condizioni contrattuali ed economiche alle quali sono stati sottoscritti i prodotti di investimento e di risparmio. Anche in questo caso risalta l'incompatibilità con un altro principio costituzionale, quello di cui all'articolo 41, che riconosce e protegge la libertà di iniziativa economica privata;
    l'articolo 17 del decreto legislativo n. 180 del 16 novembre 2015 stabilisce la possibilità di «ridurre o convertire» i diritti soggettivi in specie degli obbligazionisti e dei depositanti a fronte di un semplice «rischio» di dissesto di una banca, la cui sussistenza può essere rimandata ad una valutazione dell'autorità competente alla quale viene riconosciuto un arbitrario ed eccessivo margine di discrezionalità. Infatti, lo stesso articolo, al comma 2, lettera e), stabilisce che il rischio di dissesto può essere dedotto da «elementi oggettivi» che «indicherebbero» la possibilità del verificarsi alcune situazioni, le quali, a loro volta, manifesterebbero un rischio di dissesto. Ciò dimostra che l'affermazione a difesa del meccanismo, per cui in caso di dissesto obbligazionisti e depositanti avrebbero perso comunque i propri diritti, non ha valore giuridico: non è infatti il dissesto, ma il semplice «rischio» di dissesto a determinare l'attivazione di una procedura che, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, viola la garanzia costituzionale del citato diritto di proprietà, entro cui, come insegna un consolidato indirizzo costituzionale, si riassume l'insieme dei diritti patrimoniali imputabili ad un soggetto privato;
    a pochi giorni dalla loro pubblicazione il 9 dicembre 2015, il dottor Carmelo Barbagallo, capo della vigilanza della Banca d'Italia, nel corso di un'audizione parlamentare, affermava che il bail-in avrebbe potuto aumentare i rischi sistemici, minando la fiducia alla base dell'attività bancaria, trattandosi in realtà, come lo stesso lo ha definito, di «un mero trasferimento dei costi della crisi dalla più vasta platea dei contribuenti ad una categoria di soggetti non meno meritevoli di tutela dei piccoli risparmiatori, pensionati ed altri – che in via diretta o indiretta hanno investito in passività delle banche». Lo stesso Barbagallo ha poi rivelato come anche la Banca d'Italia avesse chiesto, in sede di trattativa europea sulla direttiva 2014/59/UE (Bank recovery and resolution directive – BRRD), che fossero introdotte due condizioni, poi non accolte dal Governo in sede di emanazione dei relativi decreti attuativi, riguardanti:
     a) «un approccio alternativo al bail-in, in base al quale si sarebbero potute imporre perdite ai creditori solo in presenza di apposite clausole contrattuali di subordinazione»;
     b) il rinvio dell'applicazione del bail-in al 2018, «così da consentire la sostituzione delle obbligazioni ordinarie in circolazione con altre emesse dopo l'entrata in vigore del nuovo quadro, quindi con maggiore consapevolezza dei nuovi rischi assunti»;
    simili considerazioni erano, quindi, già in possesso del Governo pro tempore che, in maniera frettolosa ed avventata, ha comunque deciso di procedere con l'emanazione del decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, recante disposizioni urgenti per il settore creditizio, poi recepito dalla legge di stabilità per il 2016 (articolo 1, commi 842 e seguenti, della legge 28 dicembre 2015, n. 208), con cui sono state applicate in Italia le nuove regole europee per il salvataggio bancario e contestualmente recepite con il suddetto decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180;
    analoghe riserve venivano manifestate qualche giorno più tardi, nel mese di gennaio 2016, dal Governatore della Banca d'Italia, dottor Ignazio Visco, che nel corso di un intervento tenuto al congresso del Forex di Torino, ha precisato di aver chiesto invano al Governo, in sede di definizione della norma, di non applicarla retroattivamente ma solo dopo un «passaggio graduale e meno traumatico» e nello stesso contesto ha poi lanciato un appello ai rappresentanti italiani affinché sollecitino in sede europea l'opportunità di avvalersi con largo anticipo della clausola contenuta nella stessa direttiva all'articolo 129, che ne prevede la rivedibilità entro giugno del 2018 (senza, peraltro, escluderla anche prima di tale termine), perché preoccupato da un'applicazione immediata e retroattiva dei meccanismi di salvataggio che avrebbe potuto comportare, oltre che un aumento del costo e una rarefazione del credito all'economia, anche rischi per la stabilità finanziaria, anche in relazione al trattamento dei creditori in possesso di passività bancarie sottoscritto anni addietro;
    pur se il processo di adeguamento del diritto italiano alle norme comunitarie, caratterizzato dalla continua ricerca di un equilibrio dinamico, è inevitabile, anche alla luce del combinato disposto degli articoli 11 e 117, primo comma, della Costituzione, questo non può esimersi da una necessaria ed efficace valutazione delle stesse norme rispetto a quei principi fondanti su cui si è modellato per oltre sessantanni l'ordinamento giuridico del nostro Paese. Pertanto, se l'adattamento del diritto interno alle previsioni comunitarie appare, sulla base di cessioni di sovranità, un fenomeno difficilmente eludibile, è anche vero che tale processo di transfer normativo merita di essere sempre valutato alla luce e sulla base dei richiamati principi;
    le normative europee ed internazionali devono essere sempre e comunque compatibili con i principi costituzionali, nonché con tutte le altre norme che di detti principi costituiscono diretta promanazione, principi fondamentali che, tra l'altro, rappresentando indiscutibilmente gli elementi identificativi ed irrinunciabili dell'ordinamento costituzionale, in quanto tali, si sottraggono a qualsiasi revisione, Tale limite è stato più volte ribadito dalla Corte costituzionale che a più riprese (si confronti la sentenza n. 238 del 2014) ha sancito che i principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale ed i diritti inalienabili della persona costituiscono un limite esplicito ed implicito all'ingresso delle norme internazionali generalmente riconosciute alle quali l'ordinamento giuridico italiano si conforma ex articolo 10, primo comma, della Costituzione (si confrontino ex multis le sentenze della Corte costituzionale n. 48 del 1979 e n. 73 del 2001), operando, addirittura, quali controlimiti all'ingresso delle norme dell'Unione europea (si confrontino ex plurimis le sentenze della Corte costituzionale n. 183 del 1973, n. 170 del 1984, n. 232 del 1989, n. 168 del 1991 e n. 284 del 2007);
    ad abundantiam si può sottolineare che la normativa del salvataggio interno di cui alla direttiva, oltre che a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo costituzionalmente illegittima, per quanto sin qui evidenziato, appare altresì in contrasto con l'articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che sostanzialmente replica quanto previsto in tema di diritto di proprietà dal sopra citato articolo 42 della Costituzione italiana, con l'articolo 1 del protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo che ha vincolato il legislatore italiano ad ampliare in maniera esponenziale e significativa il livello di tutela del diritto di proprietà assicurando, nella materia ablativa, al soggetto inciso che l'indennizzo riconosciuto dall'ordinamento interno non vada a sostanziarsi come meramente figurativo, bensì quale ineludibile paradigma di riferimento per il sacrificio imposto e, pertanto, ragguagliato al valore venale di mercato, ed infine con l'articolo 345 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea laddove dispone che: «I Trattati lasciano del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri»;
    da tutto ciò ne deriva che qualsiasi intervento normativo o amministrativo, che miri a degradare un diritto soggettivo ad un mero interesse legittimo, trova sempre un limite invalicabile nei principi fondamentali della Costituzione e in quelli dell'Unione europea, nonché dei trattati internazionali, come la Convenzione europea dei diritti dell'uomo;
    giova in conclusione riportare le eloquenti parole del dottor Claudio De Rose, presidente onorario e procuratore generale emerito della Corte dei conti, per il quale «è sicuramente errato e sommamente ingiusto lasciare ora il sistema bancario nel suo complesso del tutto immune da obblighi od oneri nei riguardi delle singole banche e soprattutto nei riguardi di chi, come ad esempio i depositanti, non hanno alcuna colpa di quanto accaduto ed hanno avuto solo la sfortuna di avere aperto un conto corrente presso una banca, più sregolata o meno scaltra di altre, oppure meno protetta dal sistema»;
    dopo quanto premesso è lecito domandarsi a quali condizioni sia legittimo scaricare il soddisfacimento di un interesse riconducibile ad una tipologia d'impresa, pur se funzionale all'economia, su inconsapevoli correntisti che in forza del bail-in si vedono trattati come investitori chiamati a partecipare al rischio d'impresa di una banca a cui hanno avuto la sfortuna di affidare i loro risparmi;
    quello che appare un così stridente e profondo vulnus alla Costituzione dovrebbe indurre il Governo a proporre in sede europea l'anticipata revisione della direttiva unita ad una profonda riforma del sistema bancario che lo riconduca alla sua originaria e preminente funzione sociale, nel rispetto dei diritti fondamentali;
    al fine di rafforzare ulteriormente il sistema dei presidi a fronte dei rischi bancari, le autorità internazionali di regolamentazione del credito hanno deliberato ed imposto, a decorrere dal 2017, una nuova stretta regolamentare denominata «Basilea 4», volta ad imporre requisiti patrimoniali e modelli di valutazione dell'affidabilità di chi chiede il credito ancora più stringenti, che, penalizzando soprattutto le piccole e medie imprese finirebbero con l'annullare l'azione della Bce per la crescita;
    la complessità e le continue revisioni delle regole rischiano di rendere la compliance sempre più onerosa per tutte le banche europee, in particolare per le piccole, creando uno svantaggio competitivo artificiale che non troverebbe giustificazioni nel perseguimento della stabilità finanziaria;
    alle forti perplessità del presidente della BCE, Mario Draghi, nei confronti della nuova stretta regolamentare esternate nel corso del recente European Banking Congress svoltosi a Francoforte, si sono aggiunte quelle di 17 mila banche internazionali (tra cui le italiane) che hanno recapitato al segretario generale del Financial Stability Board, Svein Andresen, ed al G20 una missiva con la quale chiedono di fermare l'avanzamento del programma «Basilea 4» e di aprire un nuovo confronto con l'industria bancaria sulle modifiche necessarie per evitare il rischio di una paralisi del credito e di gravi ripercussioni sui diversi sistemi economici nazionali, soprattutto i più deboli, generate da altre ricapitalizzazioni forzate e da regole che, piuttosto, dovrebbero avere come punto di riferimento non solo la riduzione dei rischi sistemici sul mercato, ma soprattutto il sostegno delle economie nazionali, il rilancio della crescita, le necessità di investimento delle imprese e i bisogni delle famiglie;
    il 16 febbraio 2016 l'Assemblea, preso atto di alcune delle suddette considerazioni, ha approvato alcune mozioni in relazione allo strumento del bail-in,

impegna il Governo:

1)  ad adottare opportune iniziative, anche normative, volte a:
    a) stabilire la separazione tra banche commerciali e banche d'investimento, tutelando le attività finanziarie di deposito e di credito inerenti all'economia reale, differenziandole da quelle legate all'investimento e alla speculazione sui mercati finanziari nazionali e internazionali;
   b) favorire lo sviluppo del credito cooperativo, anche monitorando gli statuti e la governance dei nascenti gruppi, al fine di evitare che si mantenga l'autonomia gestionale delle singole banche aderenti;
   c) intervenire direttamente o tramite Cassa depositi e prestiti nel capitale delle banche in crisi, al fine di salvaguardare i risparmiatori, i lavoratori, l'erogazione del credito;
   d) assumere la piena responsabilità di indirizzo e di nomina degli amministratori, da individuare di concerto con le associazioni di consumatori e i sindacati, in caso di partecipazione maggioritaria dello Stato nell'azionariato di un istituto di credito;
   e) attivarsi in sede europea per addivenire a una moratoria del bail-in e apportare modifiche alla relativa direttiva, al fine di ottenere la possibilità di una sospensione unilaterale della direttiva BRRD e delle norme da essa derivanti, l'esclusione delle passività bancarie emesse prima della sua entrata in vigore e l'attivazione immediata della garanzia comune sui depositi;
   f) adottare un piano di smaltimento dei non performing loans che si basi sull'acquisizione da parte di un fondo pubblico dei crediti deteriorati con garanzia reale, al fine di destinare ad uso sociale gli immobili sottostanti;
   g) innalzare le pene ed allungare sensibilmente i termini di prescrizione per quegli amministratori che si rendano responsabili e colpevoli di atti di mala gestione a danno dei piccoli azionisti;
   h) intervenire presso le autorità internazionali di regolamentazione del credito per evitare che i nuovi coefficienti patrimoniali previsti dalla nuova «stretta» regolamentare denominata «Basilea 4», riducano ulteriormente la capacità di erogare credito del sistema bancario italiano;
   i) salvaguardare la «biodiversità» del sistema bancario italiano, anche attraverso il sensibile innalzamento della soglia di attivi che la nuova normativa come introdotta dal decreto-legge n. 3 del 2015 rende obbligatoria la trasformazione delle banche popolari in società per azioni;
   l) adottare norme che eliminino il fenomeno delle pressioni commerciali negli istituti di credito, al fine di rafforzare il presidio del rischio da parte degli operatori del settore, anziché il raggiungimento di obiettivi di vendita di prodotti finanziari;
   m) promuovere, anche per via legislativa, l'educazione finanziaria della popolazione italiana, in un regime che escluda alla radice possibili conflitti di interesse dei formatori, al fine di consentire un uso più consapevole da parte dei cittadini degli strumenti e dei servizi finanziari offerti dal mercato finanziario;
   n) estendere agli obbligazionisti di Banca delle Marche, Banca popolare dell'Etruria, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti le modalità di ristoro riservate ad analoghe o simili operazioni successive più favorevoli;

  impegna se stessa e i propri organi a deliberare in ordine all'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle vicende e sulle cause che hanno determinato la crisi di Banca delle Marche, Banca popolare dell'Etruria, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti, Monte dei Paschi di Siena e Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca.
(1-01457)
(Nuova formulazione)  «Paglia, Fassina, Scotto».


   La Camera,

  impegna se stessa e i propri organi a deliberare in ordine all'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle vicende e sulle cause che hanno determinato la crisi di Banca delle Marche, Banca popolare dell'Etruria, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti, Monte dei Paschi di Siena e Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca.
(1-01457)
(Nuova formulazione) (Testo risultante dalla votazione per parti separate)  «Paglia, Fassina, Scotto».


   La Camera,
   premesso che:
    sul sito del Ministro dell'economia e delle finanze, il 27 luglio 2016, si leggeva che «Nonostante la lunga recessione, il sistema bancario italiano è solido ed ha dimostrato una buona capacità di resilienza; ha saputo cioè resistere ai contraccolpi e adattarsi ai cambiamenti. Tuttavia, il prolungamento della profonda crisi finanziaria ed economica fino al 2014 – che ha provocato una caduta del PIL, di quasi il 10 per cento e un calo di un quarto nella produzione industriale – ha incrementato l'entità dei crediti deteriorati presenti nei bilanci bancari (o NPL: Non Performing Loans); oltre i livelli medi riscontrati nelle altre economie avanzate»;
   a settembre 2016, secondi i dati ufficiali di Banca d'Italia, l'ammontare delle sofferenze lorde dei nostri istituti era pari a 198,922 miliardi di euro a fronte dei 200,106 miliardi di agosto, mentre le sofferenze nette ammontavano a 85,131 miliardi rispetto agli 85,446 miliardi del mese precedente. Su base annua si è registrata una flessione pari all'1,7 per cento da +0,1 per cento del mese precedente. Una enorme zavorra, dunque, che fa fatica a diminuire, nonostante le riforme attuate, tanto che il Fondo monetario internazionale, nel rapporto sulla stabilità finanziaria globale di ottobre scorso, sosteneva che «gli sforzi del Governo per facilitare il miglioramento del credito e l'acquisto delle sofferenze potrebbero non essere sufficienti»;
   tra gli istituti più esposti vi sono: Intesa Sanpaolo che, al 30 giugno 2016, deteneva 32,4 miliardi di euro di crediti deteriorati; Unicredit che, al 30 settembre, registrava crediti deteriorati lordi pari a 76,8 miliardi e un rapporto tra crediti deteriorati netti e totale dei crediti netti del 7,6 per cento, Banco Popolare che, alla stessa data, manteneva un portafoglio crediti deteriorati sostanzialmente stabile, attestandosi a 7,1 miliardi lordi; Veneto Banca che, al 30 giugno, presentava crediti deteriorati lordi per 7,9 miliardi di euro (7,6 miliardi a fine 2015) e crediti deteriorati netti a circa 5,0 miliardi di euro, sostanzialmente stabili rispetto ai 4,9 miliardi di fine 2015; Popolare di Vicenza in cui, sempre al 30 giugno 2016, l'incidenza dei crediti deteriorati lordi sul totale crediti verso clientela lordi si attestava al 33,9 per cento a fronte del 30,9 per cento del 31 dicembre 2015 (alla stessa data l'indice di copertura dei crediti deteriorati era pari al 44,79 per cento in crescita di 4,15 punti percentuali rispetto ai livelli di fine 2015 pari al 40,64 per cento); Mps, infine, nel cui bilancio, al termine del primo semestre, erano presenti crediti deteriorati lordi pari a circa 45 miliardi di euro che sono risaliti, al 30 settembre 2016, a 45,6 miliardi di euro, con un incremento di 0,26 miliardi di euro;
   desta diversi dubbi l'affermazione secondo cui l'entità di crediti deteriorati e sofferenze presenti nei bilanci bancari siano da imputare esclusivamente alla caduta del Pil e al calo della produzione industriale, considerata la gestione dissennata che alcuni istituti bancari italiani hanno subito proprio negli anni della crisi e il mancato intervento degli istituti di sorveglianza. Lo stesso Governo è mancato nel ruolo di regolatore del mercato del credito, lasciando imprese e famiglie nelle mani delle società di recupero crediti. A questo, si aggiunge poi la totale assenza di regole e trasparenza che ha permesso agli istituti bancari di operare in totale essenza di controlli; la responsabilità dell'attuale situazione è infatti imputabile anche, e in buona parte, alla gestione negligente di alcuni vertici che, nell'impunità più totale, e spesso con la connivenza colpevole degli istituti di vigilanza, hanno contribuito ad aggravare la situazione patrimoniale delle banche da loro gestite, scaricando i rischi sui risparmiatori, soprattutto sulle fasce più deboli;
   gli stress test dello stesso mese di luglio 2016, pubblicati due giorni dopo l'analisi del Ministro dell'economia e delle finanze di cui sopra, hanno rivelato una situazione patrimoniale disastrosa per l'istituto di credito del Monte dei Paschi di Siena: la BCE ha rivelato come questa fosse l'unica banca, nel nostro Paese, a presentare un crollo verticale del 2,2 per cento del Common Equity Tier 1 ratio (CET1) nello scenario avverso (dal 12 per cento dello scenario base);
   la conseguente operazione di ricapitalizzazione necessaria del Monte dei Paschi ha visto però un fallimento in entrambe le direzioni intraprese: non si è riusciti infatti nell'aumento di capitale attraverso fondi sovrani stranieri (in particolare di quello del Qatar che si era reso disponibile per un miliardo), e solo parzialmente si è riusciti in quello lanciato sul mercato tra il 9 e il 22 dicembre 2016 attraverso la conversione volontaria dei titoli subordinati in azioni;
   le operazioni di rafforzamento patrimoniale non sono una novità del sistema bancario italiano che negli anni più duri della crisi, in particolare tra il 2009 e il 2013, hanno sostenuto aumenti di capitale generali per 40,6 miliardi di euro;
   il 2014, alle prime prove degli stress test che vennero effettuate in ottobre dalla BCE, 25 banche dell'eurozona, di cui 9 italiane, non superarono l'esame dei bilanci e dovettero procedere alla raccolta di capitale per circa 10 miliardi di euro; in particolare, in un contesto critico virtuale, questi istituti risultarono tra i peggiori d'Europa, davanti a quelli francesi e tedeschi, a causa di un livello di sofferenze sui crediti triplicato a 170 miliardi, a cui si sommava la crescita del prodotto interno lordo sotto le attese e l'eccessivo peso dei titoli di Stato negli attivi bancari;
   già a fine 2013 i nove istituti bancari avevano affrontato ricapitalizzazioni per 10 miliardi di euro, a causa di mancanza di requisiti adeguati, ma, per alcune banche, le nuove risorse reperite non furono sufficienti a superare i test europei: Monte dei Paschi di Siena e Banca Carige dovettero provvedere ad un nuovo aumento di capitale attraverso l'emissione di circa 3 miliardi di azioni e alcune tra le banche medio-piccole, come Banca popolare di Vicenza, Veneto Banca, Banca popolare di Sondrio e la Creval, furono «graziate» dalla BCE, ma furono comunque costrette a ricapitalizzazioni miliardarie negli anni successivi;
   in questa difficile situazione, se, da un lato, gli aumenti di capitale non si sono mai arrestati (aumenti di capitale nel 2015: Banca Carige per 850 milioni di euro, Banca popolare di Bari per 30 milioni, Mps per 3 miliardi a cui si aggiunge quello di 5 miliardi del 2016, poi lievitato a 8,8 attraverso l'intervento statale, Popolare di Vicenza e Veneto Banca 2,5 miliardi, che si sono aggiunti a quelli di oltre un miliardo del 2014), dall'altro, si sono previste nuove discipline normative sia a livello europeo che nazionale;
   innanzitutto, è stata approvata la direttiva BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive), il cui recepimento nel nostro ordinamento è stato affidato ai decreti legislativi n. 180 e n. 181 del 16 novembre 2015: il primo ha introdotto nuove disposizioni relative ai piani di risanamento, alle forme di sostegno all'interno dei gruppi bancari, alle misure di intervento precoce per gli istituti bancari e le società di intermediazione mobiliare e ha modificato le norme sull'amministrazione straordinaria delle banche e la disciplina della liquidazione coatta amministrativa; il secondo, invece, ha previsto la nuova disciplina in materia di piani di risoluzione e di gestione della crisi di gruppi cross-border, poteri e funzioni dell'autorità di risoluzione nazionale e la disciplina del fondo di risoluzione nazionale;
   contemporaneamente, sul piano nazionale, sono stati introdotti nuovi strumenti per rafforzare il sistema bancario, dalle misure per migliorare l'efficienza e la rapidità delle procedure di insolvenza, anche stragiudiziali, alla garanzia pubblica sulle tranche senior delle cartolarizzazioni bancarie basate sui prestiti in sofferenza, alla creazione di Atlante (e, in seguito, Atlante 2), alla riforma del trattamento fiscale delle perdite su crediti;
   in particolare, sempre attraverso decretazione d'urgenza, si sono ridisegnate le linee delle banche popolari (decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, recante misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti) e delle banche di credito cooperativo (decreto-legge n. 18 del 14 febbraio 2016, recante misure concernenti la riforma delle banche di credito cooperativo, la garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze, il regime fiscale relativo alle procedure di crisi e la gestione collettiva del risparmio); in ciascuno di questi interventi, come riportato nelle relazioni illustrative dei relativi disegni di legge di conversione, si leggono argomentazioni dettate dalla necessità del rafforzamento, della capitalizzazione e della patrimonializzazione di alcuni istituti, ai fini di un generale ammodernamento del sistema e della riorganizzazione della governance;
   a questi si sono aggiunti la tranche dei cosiddetti decreti «salvabanche»; il decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, poi confluito nella legge di stabilità 2016, la legge n. 208 del 2015, che stabilì la sottoposizione a risoluzione degli istituti CariChieti, BancaEtruria, Banca Marche e Carige, attraverso cui ognuna delle quattro banche è stata divisa in due, separando, nel bilancio, la parte buona da quella cattiva, ossia le attività in sofferenza che sono state accumulate in un'unica bad bank; il decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, con cui si è previsto, tra le altre cose, un indennizzo forfettario per i risparmiatori delle quattro banche sottoposte a risoluzione; infine, il decreto 23 dicembre 2016, n. 237, di cui inizierà a breve l'iter di conversione, che reca norme per il salvataggio statale dell'istituto bancario Monte dei paschi di Siena, attraverso una ricapitalizzazione che da 5 miliardi è salita a 8,8, in base alle nuove rilevazioni precauzionali della BCE, al fine di allineare il CET1 ratio alla soglia minima prevista in caso di intervento dello Stato;
   con quest'ultimo decreto, in particolare, la conversione dei titoli e dei prestiti subordinati non sarà più volontaria, ma forzosa, e lo Stato provvederà al rimborso della clientela retail attraverso l'acquisizione, da parte del dipartimento del tesoro, delle azioni dell'istituto detenute dai sottoscrittori del bond subordinato Upper Tier II 2008-2018 (per 2,16 miliardi di euro), i quali, in seguito alla conversione forzosa in azioni, accetteranno l'offerta della banca di riconvertire le azioni in nuove obbligazioni senior con vita residua uguale al prestito subordinato; grazie a questa operazione di burden sharing, dunque, l'intervento pubblico consisterà nell'immissione di circa 6,6 miliardi di euro di risorse pubbliche in MPS per fronteggiare la crisi di liquidità della banca;
   il modo di procedere del Governo attraverso la decretazione d'urgenza e senza alcuna pianificazione unitaria non ha scongiurato il pericolo di una crisi sistemica innescata dagli istituti di credito e ha creato enormi disparità di trattamento per i risparmiatori delle diverse banche, ossia cittadini netta stessa condizione giuridica, per i quali è stato scelto, di volta in volta, un diverso trattamento; continua inoltre ad eludere alcuni nodi cruciali come quelli di una assoluta trasparenza e del riconoscimento delle responsabilità in capo alla dirigenza e agli enti di sorveglianza;
    il Governo ha infatti discriminato fra i detentori di azioni e titoli subordinati emessi da MPS, che saranno tutelati, e i detentori di titoli subordinati e azionisti di altre banche su cui è intervenuto nel recente passato con i decreti suddetti, non essendo stati questi ultimi risarciti del danno subito ed essendo stati, al contempo, esclusi dal citato provvedimento;
    al contrario, per i circa 140 mila risparmiatori delle quattro banche sottoposte a risoluzione, sulle cui spalle è ricaduto quasi tutto l'onere del salvataggio, è stato addirittura previsto un doppio canale: un indennizzo forfettario all'80 per cento del corrispettivo pagato per l'acquisto, a cui è stato permesso l'accesso attraverso un complicatissimo procedimento, soltanto a coloro, in possesso di determinati requisiti reddituali e patrimoniali, che avessero rinunciato all'arbitrato dell'ANAC; quest'ultimo invece, potrebbe, anche se non è certo, portare al ristoro integrale della perdita subita. In questo caso, però, una parte dei risparmiatori, oltre a quelli che sono stati esclusi ex lege, non hanno avuto possibilità di scelta, nonché il termine per l'adesione alla procedura di indennizzo è spirato il 3 gennaio, mentre non si è ancora potuto procedere con gli arbitrati (i cui decreti attuativi sono stati, tra l'altro, «bocciati» dal parere del Consiglio di Stato del 28 settembre 2016 per refusi, carenze ed incertezze);
    a simili incongruenze si aggiunge anche l'esclusione, per coloro i quali abbiano acquistato i titoli obbligazionari subordinati delle quattro banche poste in risoluzione sul mercato secondario, in base alla discutibile premessa che questi abbiano agito a fini speculativi e comunque disponendo di informazioni adeguate. Non si sono invece tenuti in alcun modo in conto, il caso di obbligazioni cedute o prese in possesso in seguito a cause legali di divorzio o in seguito a successioni per eredità;
    un diverso trattamento, inoltre, sarà previsto per gli azionisti di Veneto Banca e Banca popolare di Vicenza, salvate dal Fondo Atlante, per i quali non è mai stato previsto, nonostante le continue richieste da parte delle opposizioni, un intervento legislativo: i circa 200 mila soci dei due istituti potranno decidere, entro i prossimi tre mesi, se accettare l'offerta di un rimborso del 15 per cento del valore delle azioni azzerate comprate negli ultimi dieci anni (le azioni dei due istituti valgono 0,1 euro e prima del crollo avevano toccato un massimo di 40,75 per la banca di Montebelluna e di 62,5 per la vicentina), e impegnandosi a non rivalersi giudizialmente nei confronti delle due banche; il ristoro è inoltre subordinato alla condizione che almeno l'80 per cento dei soci aderisca;
    ugualmente sarebbero stato violato il diritto al recesso dei soci delle banche popolari costrette alla trasformazione in società per azioni: la circolare della Banca d'Italia che ne contiene le misure attuative, secondo il Consiglio di Sfato che ne ha sospeso l'efficacia, «appare affetta da vizi derivati nella parte in cui disciplina l'esclusione del diritto al rimborso». Inoltre, «i provvedimenti impugnati e la disciplina legislativa sulla cui base sono stati adottati incidono direttamente su prerogative relative allo status di socio della banca popolare, presentando così profili di immediata lesività»;
    se il principio della separazione fosse stato introdotto prima si sarebbero potute contenere tutte le drammatiche conseguenze che i cittadini hanno scontato negli anni di crisi appena passati e di cui si sentono ancora gli effetti: da un lato, le continue ricapitalizzazioni degli istituti di credito e il credit crunch che hanno innescato una grave carenza di liquidità delle imprese; dall'altro, la crisi dei debiti sovrani e le conseguenti politiche di austerità che hanno portato a manovre economiche procicliche e all'aumento della pressione fiscale diretta ed indiretta;
    da ultimo, si sarebbe potuto anche evitare che a causa delle crisi bancarie, soltanto nel corso dell'ultimo anno, si bruciassero 15,6 miliardi di euro investiti dai piccoli risparmiatori italiani; come ha denunciato qualche giorno fa il Codacons, «tra il 2015 e il 2016 ben 218.996 piccoli investitori sono stati coinvolti dalle crisi bancarie che hanno visto protagoniste Veneto Banca, Banca Popolare di Vicenza, Carife, Carichieti, Banca Marche, Banca Etruria» e «15.681,000.000 euro investiti in azioni e obbligazioni di questi istituti di credito sono stati letteralmente bruciati, con una perdita media pari a 71.604 euro a risparmiatore»;
    anche per queste motivazioni, in un'ottica di necessaria esigenza di eticità che dovrebbe informare gli enti della pubblica amministrazione, sembrerebbe giusto e adeguato estendere l'intervento della legge di stabilità 2014, nella parte in cui ha innovato la normativa riguardante il ricorso a strumenti finanziari derivati da parte degli enti territoriali, rendendo permanente il divieto per detti enti di ricorrere a tali strumenti, salvo le ipotesi espressamente consentite dalla legge,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per prevedere una riorganizzazione del sistema bancario al fine di introdurre un principio attraverso il quale venga distinto il modello di banca commerciale che raccoglie depositi ed eroga credito alle famiglie e al sistema produttivo rispetto alle banche d'affari che attuano operazioni finanziarie ad alto rischio, prevedendo altresì delle agevolazioni fiscali a favore delle prime, tenuto conto della loro attività a sostegno dell'economia reale e in particolar modo in favore delle piccole e medie imprese;

2) ad adottare le opportune iniziative normative al fine di:
   a) escludere i soggetti bancari e finanziari che esercitano attività di speculazione ad alto rischio, ossia l'utilizzo di alte leve finanziarie e l'emissione di titoli «tossici», dalla partecipazione alle procedure di gare d'appalto bandite dalla pubblica amministrazione per l'affidamento di servizi di tesoreria e finanziari;
   b) estendere permanentemente a tutti gli enti della pubblica amministrazione il divieto di ricorso a strumenti finanziari derivati, come già previsto dalla legge di stabilità 2014 limitatamente agli enti territoriali;

3)  ad assumere iniziative per ristabilire, in base all'articolo 3 della Costituzione, l'uguaglianza sostanziale tra i cittadini che affidino i loro risparmi a differenti istituti di credito, per i quali, viceversa, il Governo ha previsto diverse tipologie di ristoro e/o risarcimento, secondo modalità e con livelli di copertura delle perdite subite a giudizio di firmatari del presente atto di indirizzo iniqui e disomogenei;

4) ad assumere le iniziative di competenza volte a prevedere l'accertamento delle responsabilità degli istituti di vigilanza e dei dirigenti degli istituti bancari sottoposti a salvataggio o che sono stati interessati da perdite che hanno coinvolto soci azionisti e obbligazionisti subordinati, come descritto in premessa;

5) ad assumere iniziative per prevedere norme più stringenti in merito alla trasparenza nella vendita di prodotti bancari, stabilendo non soltanto il divieto di vendita dei titoli più rischiosi alla clientela retail, ma anche un sistema di tutela più ampio dei risparmiatori investitori non professionisti che includa la pubblicazione ufficiale annuale dell'elenco di tutti i titoli, le obbligazioni e gli strumenti finanziari emessi ed offerti da ciascun istituto bancario e finanziario in cui sia indicato il livello di rischio, secondo i principi della più ampia trasparenza e comprensibilità;

6) ad assumere iniziative per prevedere norme più stringenti per l'accertamento delle responsabilità dei dissesti patrimoniali bancari imputabili alla dirigenza, al fine di sanzionare quest'ultima con pesanti sanzioni pecuniarie di natura amministrativa, di introdurre il divieto assoluto di ricoprire qualsiasi tipo di ruolo dirigenziale negli istituti di credito per chi abbia subito una precedente condanna per cattiva gestione e di prevedere sanzioni penali nel caso specifico in cui, a causa della mala gestio, si verifichino perdite dell'istituto bancario tali da coinvolgere un elevato numero di risparmiatori appartenenti alla clientela retail;

  impegna se stessa e i propri organi a deliberare in ordine all'istituzione di una Commissione di inchiesta sul sistema bancario, estendendo i poteri della suddetta Commissione alla verifica dello stato di salute patrimoniale di ogni istituto operante sul territorio nazionale e dei nomi dei beneficiari dei crediti computabili fra le sofferenze o i crediti deteriorati.
(1-01458) «Busin, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

   La Camera,
   premesso che:
    alla base della nascita dell'Unione europea vi è stata una profonda idea di coesione ed unità d'intenti che hanno costituito i presupposti per giungere ad una sempre maggiore integrazione degli Stati membri. Un'integrazione che ad oggi è stata soprattutto monetaria ma che deve proseguire sugli aspetti finanziari e politici;
    gli avvenimenti degli ultimi anni, che prendono avvio con lo scoppio della crisi finanziarla negli Stati Uniti nel 2008 ed il suo successivo diffondersi in Europa, hanno senza dubbio destabilizzato tale coesione, sia dal punto di vista politico che economico, creando forti tensioni fra gli Stati membri e minando le fondamenta stesse dell'Unione;
    arginare gli effetti di tali avvenimenti di squilibrio ha richiesto numerosi e complessi interventi anche dal punto di vista legislativo, sia a livello nazionale che da parte di Commissione e Parlamento europeo;
    tra questi, vi è anche la proposta di direttiva presentata nel giugno 2012 dalla Commissione europea in tema di risoluzione e risanamento delle crisi degli enti creditizi;
    nell'estate del 2015 in occasione del recepimento della direttiva, il Parlamento italiano – a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo senza dedicare al tema le approfondite valutazioni che sarebbero state necessarie – ha accolto la nuova normativa fissando al 1o gennaio 2016 l'introduzione dei cosiddetto bail-in;
    il salvataggio poi da parte del Governo Renzi di quattro istituti di credito tramite il decreto-legge n.183 del 22 novembre 2015 – il «salvabanche» – le cui disposizioni sono state successivamente inserite nella legge di stabilità 2016, ha previsto la risoluzione di Cassa di risparmio di Ferrara spa, di Banca delle Marche spa, Banca popolare dell'Etruria e del Lazio –Società cooperativa e di Cassa di risparmio di Chieti spa, già oggetto di commissariamento da parte della Banca d'Italia;
    questo evento, inizialmente sottovalutato, ha portato agli occhi dell'opinione pubblica, un potenziale problema che fino ad allora era rimasto delimitato alla valutazione di circoscritti operatori del settore, ovvero che, per evitare il dissesto di un istituto di credito, l'Italia così come gli altri Paesi membri dell'Unione europea non possono più intervenire con fondi pubblici, ma le banche dovranno essere ricapitalizzate tramite la partecipazione degli azionisti, degli obbligazionisti, e se ce ne fosse bisogno, anche del correntisti con depositi superiori ai 100 mila euro;
    in linea generale, ritiene politicamente condivisibile e assolutamente opportuno il principio del «bail-in», in base al quale le perdite delle banche non possono essere ripianate con interventi a carico della fiscalità generale, e quindi di tutti i contribuenti, ma soltanto con interventi a carico del sistema bancario, previa partecipazione alle perdite degli investitori che hanno consapevolmente sottoscritto titoli di capitale e di debito emessi dalle banche medesime;
    il recepimento del predetto principio, assunto in sede europea da parte di ciascuno Stato sovrano, presuppone però una vera attuazione dell'unione bancaria e in particolare richiede che venga attuato il «Sistema europeo dei meccanismi di finanziamento» che, con ogni evidenza, costituisce, in un'ottica di stabilità del sistema bancario dei singoli Paesi europei, il necessario e imprescindibile complemento del principio del «bail-in»;
    si ritiene inoltre utile inserire, nell'ambito dei sistemi di garanzia dei depositi, la non applicazione del limite di 100.000 euro sui conti correnti delle persone fisiche, rappresentando il deposito sul conto un risparmio e non un investimento;
    tale stretto collegamento tra l'introduzione delle regole e l'introduzione degli strumenti di tutela del sistema previsti per attuare una vera integrazione bancaria è tanto più necessario in un momento di strutturale debolezza del sistema bancario internazionale, in cui i rischi di contagio sono particolarmente elevati; 
    il recente accordo tra l'Italia e l'Unione europea per l'attuazione della garanzia statale sui crediti bancari in sofferenza, e il successivo decreto-legge approvato dal Governo sullo stesso argomento, hanno costituito un passo importante per il consolidamento del settore bancario in Italia, ma nell'attuale contesto internazionale e di mercato si sono resi necessari ulteriori interventi per evitare il rischio di crisi bancarie;
    recentemente, con il decreto n. 237 del 2016, recante disposizioni urgenti per la tutela del risparmio nel settore creditizio, il Governo Gentiloni è intervenuto per consentire al Ministero dell'economia e delle finanze di erogare, sostegno pubblico alle banche italiane in seguito delle prove di stress test effettuate a livello nazionale, dall'Unione europea e del Meccanismo di vigilanza unico (Single Supervisory Mechanism – SSM);
    un intervento che rappresenta una estrema ratio trattandosi di uno scudo da 20 miliardi di euro per tutti quegli istituti di credito in posizione di sofferenza, che verrà utilizzato in particolare per garantire la copertura del fabbisogno al Monte del Paschi di Siena fino ad un importo di 8,8 miliardi di euro dopo che lo stesso istituto non è stato in grado di trovare sul mercato le risorse necessarie per la sua ricapitalizzazione;
    con questo decreto il Governo, tra le altre cose, adopererà i miliardi di euro stanziati per sottoscrivere nuove azioni di Monte dei Paschi e per rilevare quelle che saranno date in cambio ai piccoli obbligazionisti che dovrebbero riuscire a recuperare l'intera somma investita. Per quanto riguarda invece gli investitori istituzionali, il decreto prevede che le loro obbligazioni subordinate vengano convertite al 75 per cento del valore nominale senza interessi;
    in questo quadro risulta palese la disparità di trattamento con gli azionisti e gli obbligazionisti interessati dal decreto n. 183 del 22 novembre 2015 ovvero quello strettamente connesso con le procedure di risoluzione avviate dalla Banca d'Italia nei confronti di alcune banche in amministrazione straordinaria (Cassa di risparmio di Ferrara, Banca delle Marche, Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, Cassa di risparmio dalla provincia di Chieti), che ha determinato la costituzione ex lege degli enti-ponte previsti dai provvedimenti di avvio della risoluzione dei suddetti istituti bancari,

  impegna se stessa e i propri organi a deliberare in ordine all'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario italiano che possa, in tempi rapidissimi, far chiarezza sulle responsabilità che hanno portato diversi istituti di credito a situazioni di difficoltà finanziaria con tutti i risvolti negativi annessi in particolar modo riguardo alla mancata tutela di migliaia di risparmiatori,

impegna il Governo:

1) a confermare in sede europea l'orientamento favorevole dell'Italia, in linea di principio al meccanismo del «bail-in», riprendendo contemporaneamente le trattative con la Commissione europea sul meccanismo di sostegno al sistema bancario, per l'autorizzazione di ulteriori misure di aiuto che consentano una dismissione ordinata e razionale del crediti deteriorati da parte del sistema bancario limitando il più possibile l'utilizzo di risorse pubbliche;

2) a garantire condizioni di parità tra tutti gli investitori non istituzionali che hanno subito recentemente una riduzione del valore delle obbligazioni subordinate comprendendo in questa azione anche gli investitori che sono stati coinvolti dall'entrata in vigore del decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183;

3) ad assumere opportune iniziative normative per garantire adeguata formazione agli operatori del credito ed eliminare la pratica delle pressioni commerciali;

4) a promuovere norme più rigide a tutela dei risparmiatori, prevedendo in capo a banche e istituti di credito l'obbligo di informare sempre ed in maniera comprensibile il cliente circa il fattore di rischio dell'operazione che sta realizzando;

5) ad assumere iniziative normative affinché il limite dei 100.000 euro non si applichi in ogni caso ai depositi di persone fisiche, rappresentando esso un risparmio e non un investimento, anche in conformità alle disposizioni di cui all'Art.47 della Costituzione (tutela del risparmio);

6) a considerare un'eventuale istituzione di una Commissione di inchiesta sul sistema bancario come condizione politica per l'erogazione di risorse pubbliche per il risanamento del sistema creditizio.
(1-01459) «Zanetti, Francesco Saverio Romano, Galati, Sottanelli, Abrignani, D'Alessandro, D'Agostino, Faenzi, Lainati, Marcolin, Mottola, Parisi, Rabino, Vezzali».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

   La Camera,

  impegna se stessa e i propri organi a deliberare in ordine all'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario italiano che possa, in tempi rapidissimi, far chiarezza sulle responsabilità che hanno portato diversi istituti di credito a situazioni di difficoltà finanziaria con tutti i risvolti negativi annessi in particolar modo riguardo alla mancata tutela di migliaia di risparmiatori.
(1-01459) (Testo risultante dalla votazione per parti separate) «Zanetti, Francesco Saverio Romano, Galati, Sottanelli, Abrignani, D'Alessandro, D'Agostino, Faenzi, Lainati, Marcolin, Mottola, Parisi, Rabino, Vezzali».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

   La Camera,
   premesso che:
    la direttiva 2014/59/UE Bank Recovery and Resolution Directive (BRRD) istituisce un quadro di risanamento e risoluzione delle crisi degli enti creditizi e delle imprese di investimento. La direttiva BRRD è stata recepita dal decreto legislativo del 16 novembre 2015, n. 180 e dal decreto legislativo del 16 novembre 2015, n. 181;
    la comunicazione della Commissione europea dell'agosto 2013 sugli aiuti di Stato al settore bancario dispone che (i) qualsiasi aiuto pubblico ad una banca sia esaminato ed approvato dalla Commissione medesima in base alle regole procedurali vigenti e che (ii) azionisti e creditori subordinati sopportino parte degli oneri per il risanamento della banca in crisi mediante la riduzione del valore nominale dei loro titoli o la loro conversione in capitale (il cosiddetto burden sharing). La direttiva BRRD ha esteso tale regime anche alle obbligazioni ordinarie ed ai depositi superiori a 100.000 euro (il cosiddetto bail-in);
    secondo i dati forniti dalla Banca centrale europea (BCE) di settembre 2016, gli aiuti pubblici al sistema bancario disposti dal 2008 al 2014 sono stati pari a 800 miliardi di euro, di cui solo 330 miliardi di euro sono stati recuperati. Il principale Stato membro ad aver predisposto interventi pubblici a favore del sistema bancario è la Germania, la stessa che oggi chiede allo Stato italiano di rispettare la normativa BRRD nella gestione della crisi degli istituti di credito italiani. Il volume complessivo degli «aiuti di stato» tedeschi è stato pari a 238 miliardi di euro, pari all'8,2 per cento del proprio Pil. La Spagna ha predisposto un intervento pubblico pari a 52 miliardi di euro (5 per cento del Pil), l'Irlanda un intervento di 42 miliardi di euro (22,6 per cento del Pil), la Grecia un intervento di 40 miliardi di euro (22,2 per cento del Pil), mentre l'Italia «solo» 4 miliardi di euro. Per Italia, Francia e Lussemburgo le entrate derivanti dagli aiuti alle banche sono state addirittura superiori alle uscite pari allo 0,1 per cento del Pil;
    da un'indagine di Mediobanca concentrata nel periodo 2008-2011 risulta evidente il divario tra i vari Paesi dell'Unione europea: Regno Unito 593,9; Belgio 125,4; Germania 122,5; Irlanda 116,8; Olanda 83,1; Francia 69; Italia 4,6 (interventi pubblici a sostegno delle banche dati in miliardi di euro, al netto degli imponi restituiti e dette operazioni terminate) (fonte: Mediobanca);
    l'Italia, dopo la crisi del 2008, nonostante fosse al corrente della debolezza del proprio sistema bancario, sovraccaricato da consistenti volumi di non performing loans (NPL), non ha assunto nessun genere di rimedio per salvaguardare i risparmi dei cittadini italiani;
    i non performing loans (NPL) non sono altro che crediti di «difficile rientro», ovvero quando il debitore non rispetta il piano di ammortamento del finanziamento che ha ricevuto, in alcune circostanze perché in reale difficoltà e, in altre, perché vengono erogati finanziamenti ad «amici» o membri del consiglio di amministrazione senza una reale valutazione del rischio;
   nel quotidiano La Nazione del 17 dicembre 2016 si legge: «Se è vera l'ipotesi d'accusa del pool Etruria della procura, è stata la più colossale dissipazione o spoliazione che si ricordi da queste parti: 180 milioni (grossomodo) andati in fumo in una manciata di operazioni di finanziamento che per i Pm non avevano senso alcuno se non quello della dissennatezza.
  Il posto d'onore non poteva non meritarselo l'operazione più colorita e discussa, quella del cosiddetto Yacht Etruria, il mega-panfilo di Civitavecchia, almeno 30 milioni di perdite per la vecchia Bpel.
  La più grossa delle sofferenze è tuttavia quella generata da Sacci, il gruppo cementiero che faceva capo a uno dei consiglieri d'amministrazione, Augusto Federici: 62 milioni persi per sempre.
  Paradossale, invece, il caso di Isoldi: dieci milioni concessi al discusso immobiliarista forlivese, con un'istruttoria da record di appena due giorni. E siccome chi non restituisce i suoi prestiti va premiato, la Isoldi fu destinataria di un ulteriore credito da un milione.
  Che dire, poi, dei 6,9 milioni alla società Hevea, anche questi mai rientrati in banca, garantiti da terreni supervalutati e il cui valore è stato poi abbattuto dai periti ?
  Tra le situazioni più clamorose, ricostruite stavolta in autonomia dalla Finanza e dai Pm, senza l'ausilio della relazione Santoni, c’è quella del finanziere trentino Alberto Rigotti, perquisito a luglio e già allora accusato di bancarotta (ora è fra gli «avvisati»). Nel 2009, «su istigazione e sollecitazione di Fornasari, Bronchi e Rigotti», viene concesso alla società Pegasus un mutuo di 4,8 milioni, che dovrebbe andare a un comparto immobiliare di Bergamo in realtà già costruito e che invece finisce alla Cib 95 srl, dalla quale 1,5 milioni transitano alla Abm Network di Rigotti e servono a sanare uno sconfinamento con Bpel del finanziere.»;
    anche nel caso del Monte dei Paschi di Siena, non sono i piccoli creditori come famiglie o piccole e medie imprese a creare i «buchi neri» nei bilanci. Da un'analisi dei documenti contabili si desume che i crediti deteriorati del Monte dei Paschi di Siena al 31 dicembre 2015 sono:
     totale crediti deteriorati: 35,9 miliardi di euro;
     totale crediti deteriorati netti: 17,9 miliardi di euro;
    i crediti deteriorati al maggio 2016 sono:
     totale crediti deteriorati: 47 miliardi di euro;
     totale crediti deteriorati netti: 24 miliardi di euro;
    da un'attenta disamina dei crediti deteriorati del Monte dei Paschi di Siena si evince quindi che:
     a) i crediti in sofferenza concessi a famiglie, micro, piccole e medie imprese rappresentano circa il 30 per cento del totale delle sofferenze complessive;
     b) più della metà delle sofferenze nette è relativa ad attività oltre 1 milione di euro, quindi operazioni effettuate da gruppi o enti di grandi dimensioni;

Attività classificata come
sofferenza netta
Importo %

0-150000

1142212000

11,2

150000-250000

809708000

8,4

250000-500000

1041436000

10,7

500000-1000000

1257528000

12,9

1000000-3000000

2332577000

24,3

Oltre 3000000

3120668000

32,4

    molti contratti di finanziamento del Monte dei Paschi di Siena sono oggetto di indagine della magistratura e del giornalismo d'inchiesta. In particolar modo si distinguono i seguenti casi:
     600 milioni di euro di finanziamento concesso a Sorgenia (Debenedetti) per un'operazione complessiva di 2 miliardi di euro con altri 21 istituti;
     1 miliardo di euro di credito «perso» con il pastificio «Amato»;
    9 milioni di euro di fideiussione per Silvio Berlusconi mai escussi nonostante il finanziamento di cui era garante non risulti esser stato pagato;
    l'eccessivo liberismo introdotto nel 1992 con l'emanazione del Testo unico bancario e la contestuale abrogazione di una legge ben fatta che ha resistito e fatto crescere l'economia nazionale per ben 56 anni, la «legge bancaria del 1936», ha portato il sistema bancario italiano sull'orlo di un burrone come ha «denunciato» « L'Economist» nel luglio 2016 e tutto ciò a causa dell'incontrollata possibilità concessa alle banche di creare denaro, erogando spesso prestiti senza nessuna regola o limite (come risulta dalle ultime indagini) a soggetti senza merito creditizio e/o in conflitto di interessi; solo negli ultimi anni si è pensato di introdurre limiti all'espansione della «moneta virtuale» come il parametro «CET1» che limita l'espansione del credito cedibile a una determinata percentuale del «capitale primario di classe 1» della banca;
    dopo il 2008, Paesi come il Regno Unito e gli Stati Uniti hanno provveduto a nazionalizzare grandi gruppi bancari come Royal bank of Scotland, e Lloyd bank nel Regno Unito, e Bear Stearn, Lehman Brothers, Freddie Mac, Fannie Mae. Entrambi i Paesi hanno provveduto ad introdurre sistemi prototipi di « Glass steagall act»; il Regno Unito con la « Vickers reform» e gli Stati Uniti con la « Volcker rules»; da ottobre 2008 gli stessi hanno altresì iniziato un processo per limitare al massimo l'azione degli hedge fund, avviando un contenzioso legale per un valore di 500 miliardi di dollari al fine di acquisirne le quote, inibendo con la regola del Tick Up, le vendite allo scoperto su azioni di società statunitensi quotate negli Stati Uniti;
    gli hedge fund sono obbligati dal regolamento dell'Unione europea del 1o novembre 2012 ad auto-segnalare alla Consob ossia all'ente di vigilanza sulla borsa di Milano, soltanto le vendite allo scoperto di tipo « naked» e « naked nette», ovverosia gli hedge fund sono obbligati ad auto-segnalare vendite allo scoperto eseguite su azioni inesistenti di società italiane (banche o altre società quotate italiane) o sull'Eft italiano (il Mercato italiano di borsa o su altri Eft contenenti titoli italiani (Eurostock 50). Si evince quindi che gli hegde fund sono obbligati dal regolamento dell'Unione europea a segnalare alla Consob soltanto le vendite allo scoperto eseguite su azioni italiane, di cui l’hedge fund in realtà non ha disponibilità, non avendole nemmeno prese effettivamente in prestito da altre banche, essendo in realtà titoli la cui esistenza sarebbe stata inventata, ma che l’hedge fund ha però venduto in una notte per provocarne il crollo la mattina seguente. Gli hegde fund non sono invece obbligati dal regolamento dell'Unione europea a segnalare alla Consob tutte le altre vendite allo scoperto ossia quelle eseguite prendendo in prestito, da altre banche, azioni società italiane, pertanto non sono obbligati a segnalare alla CONSOB le vendite allo scoperto eseguite su azioni italiane realmente esistenti che rappresentano circa il 90 per cento delle vendite allo scoperto. Su queste vendite allo scoperto su titoli italiani, che costituiscono quindi circa il 90 per cento delle vendite allo scoperto eseguite dagli hedge fund, non esiste nemmeno un obbligo da parte degli hedge fund, di auto-segnalarsi alla Consob;
    altri Stati come la Svezia, che aveva già nazionalizzato le proprie banche nei primi anni 90, oggi ha ben 4 banche tra le prime 10 – in relazione ad un campione di 51 istituti di credito partecipanti agli ultimi stress test europei. Mentre altri Stati provvedevano con diverse misure a mettere in sicurezza il proprio sistema bancario, il Governo italiano pro tempore rimaneva immobile evitando ogni genere di iniziativa volta a garantire la stabilità del sistema finanziario; questo immobilismo ha portato le principali banche italiane, tra le più grandi d'Europa, agli ultimi posti della stessa classifica della Bce;
    nonostante la consapevolezza ormai diffusa che le reali cause dell'attuale «crisi di sistema» siano attribuibili al sistema stesso e non alle famiglie o alle piccole e medie imprese, il Governo pro tempore il 16 novembre 2015, ha ugualmente deciso introdurre, con il decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, e il decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 181, con il parere favorevole della maggioranza parlamentare, le nuove regole dettate dalla direttiva BRRD senza alcuna esitazione. Trattasi di norme volte a prevenire le crisi trasformando la Banca d'Italia e la Bce, secondo i presentatori del presente atto di indirizzo in due «indovini» e contemporaneamente giudici, che possono predire e prevenire le crisi causate dagli amministratori, risanando i «buchi di bilancio» con i fondi degli azionisti, obbligazionisti di fatto, subordinati e correntisti con attivo superiore ai 100.000 euro, compresi i conti correnti delle imprese, mettendo in serio rischio la stabilità e posti di lavoro;
    dopo soli 6 giorni dall'entrata in vigore del decreto legislativo che recepisce la direttiva sulla risoluzione delle crisi bancarie, il 22 novembre 2015, è stata messa in atto, per la prima volta in Italia, una delle procedure previste dalla BRRD; il Governo pro tempore ha deciso di disporre la procedura del « burden sharing», usando i risparmi di azionisti e obbligazionisti subordinati di Banca Marche, Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, Cariferrara e Carichieti per ripianare i buchi di bilancio creati da crediti «tossici» concessi dagli amministratori. La procedura messa in atto colpì circa 12.000 piccoli risparmiatori, molti dei quali senza le credenziali per poter acquistare quei prodotti finanziari, spinti e consigliati ad acquisti incauti dalle stesse banche coinvolte. La procedura ha previsto anche la creazione di un fondo per la gestione degli NPL e la creazione di 4 nuove banche che, attualmente, non trovano acquirenti nel mercato, anche a causa della mancanza di fiducia arrecata dal provvedimento del Governo. Il fallimento della BRRD è arrivato dopo poco più di un anno, il 19 dicembre 2016; il Governo che ha rifiutato qualsiasi intervento pubblico in favore delle 4 banche messe in risoluzione nel 2015, comunicava al Parlamento la volontà di mettere a disposizione 20 miliardi di euro a favore delle banche private che ne faranno richiesta;
    la denunciata gestione incontrollata sta inoltre mettendo a rischio numerosi posti di lavoro in molte banche; durante l'assemblea di MPS del 24 novembre 2016 si è aperta la procedura prevista dal contratto nazionale per il confronto tra sindacati e azienda sull'implementazione del piano industriale approvato dalla banca il 24 ottobre 2016. Il primo incontro tra le parti, ha spiegato a margine dell'assemblea Antonio Damiani della Fisac Cgil, è in calendario domani e si focalizzerà sull'attivazione del «fondo di solidarietà» per gli esuberi previsti dal piano (2.900 a fronte di 300 assunzioni), con «i primi 600 esuberi che lasceranno la banca entro aprile 2017»;
    una crisi del credito simile a quella che stiamo vivendo oggi si è già verificata nel 29; la crisi fu mondiale, virale, l'Italia capì come difendersi dalla stagnazione economica nel 1936 anno in cui venne ridisegnato l'intero sistema creditizio nel segno della separazione fra banca e industria e della separazione tra credito a breve e a lungo termine. In particolar modo, si sancì che l'attività bancari doveva essere ritenuta funzione di interesse pubblico, fu costituito il nucleo delle Bin (Banche di interesse nazionale) costituito da: Banca Commerciale Italiana, Credito italiano e Banco di Roma a capitale pubblico; si concentrò l'azione di vigilanza nell'ispettorato – organo pubblico di nuova creazione presieduto dal Governatore e operante anche con mezzi e personale della Banca d'Italia, ma diretto da un comitato di ministri presieduto dal capo del Governo – per la difesa del risparmio e l'esercizio del credito;
    la legge Bancaria del 1936, rimasta in vigore fino al 1992, venne sostituita dal testo unico bancario con il decreto legislativo n. 481 del 14 dicembre 1992; negli stessi anni in antitesi, il sistema bancario svedese come quello norvegese, dopo 20 anni, uscendo dalla cosiddetta «liberalizzazione finanziaria» del 1973 passò alla nazionalizzazione del sistema bancario. La storia bancaria italiana sembra ricalcare quella svedese e norvegese che dopo aver liberalizzato le banche si accorsero dei danni che erano in grado di fare se non opportunamente controllate e l'epilogo fu la nazionalizzazione. Le banche in Italia dopo il 1992 non sarebbero state più banche ma industrie a scopo di lucro prede degli speculatori;
    con la legge 29 gennaio 1992, n. 35 vennero privatizzate le banche dell'Iri azioniste di Banca d'Italia; nove giorni dopo, venne modificato l'articolo 25 dello statuto della Banca d'Italia con cui vennero accolte le disposizioni della legge 7 febbraio 1992 n. 82, firmata dal Carli che conferisce al Governatore della Banca d'Italia Ciampi, il potere esclusivo di variare il tasso ufficiale di sconto di sua libera iniziativa. La norma risulterebbe ininfluente se le banche azioniste di Banca d'Italia fossero rimaste pubbliche – ossia di proprietà dell'Iri – ma nove giorni prima furono privatizzate divenendo, in seguito a varie operazioni di mercato, le attuali Banca Intesa, Unicredit, Carisbo e Carige. La norma avrà una portata devastante sulle generazioni future: il Governatore della neo «Bankitalia spa» varierà il tasso ufficiale di sconto (a decorrere dal 1o gennaio 1999, il tasso ufficiale di riferimento (TUR) sostituisce il tasso ufficiale di sconto (TUS), fissato dalla Banca d'Italia ed applicato nelle sue operazioni di rifinanziamento nei confronti del sistema bancario) sempre al ribasso portandolo dal 15 per cento di settembre 1992 ad oggi che è lo 0,05 per cento. Contestualmente 21 banche d'affari straniere fanno contrarre, a partire dal 1992, al Tesoro dello Stato italiano circa 120 miliardi di euro di derivati sul tasso con clausola « killer» «banca vince se tasso cala»; queste contrattazioni arrecano allo Stato italiano una perdita addebitata sul conto corrente del Tesoro quantificata ad oggi in non meno di 220 miliardi di euro. L'esistenza della clausola « killer» nei contratti derivati sottoscritti dal Tesoro è certa, diversamente il mark to market ad oggi non sarebbe negativo per il Tesoro per 42 miliardi di euro;
    il 18 febbraio 1992 venne firmato il decreto del Tesoro n. 44 con cui si autorizzò la possibilità di piazzare derivati (autorizzati in Italia dall'articolo 23 della legge n. 1 del 2 gennaio 1991) al Tesoro dello Stato italiano anche da parte di banche straniere aventi filiale in Italia;
    il Governatore della controllata Bankitalia SPA che dal 1992 variava il tasso al ribasso, apparentemente mostrando di non sapere che contestualmente una ventina di banche d'affari straniere piazzavano al Tesoro dello Stato italiano e 900 enti locali italiani contratti derivati, difficili da reperire, con clausola cosiddetta killer, «banca vince se tasso cala» ha provocato, a conti fatti, un addebito sul conto corrente del Tesoro di aggiuntivi interessi, oltre a quelli già pagati sui titoli di Stato e sui prestiti sottostanti di 500 miliardi di euro dal 1992 ad oggi. Tali oneri sono stati pagati dai cittadini italiani con ad esempio le accise su carburante auto, luce, gas da riscaldamento (spese quotidiane), che sono più che raddoppiate,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative, nelle opportune sedi, volte a:
   a) abrogare la direttiva sul bail in o eventualmente modificarne o sospenderne l'efficacia;
   b) introdurre misure volte a garantire ai clienti degli istituti di credito e delle imprese di investimento l'accesso ad informazioni quali identità del richiedente, importo del finanziamento e garanzie prestate delle operazioni di importo superiore a cinquecentomila euro, al fine di consentire loro un'adeguata valutazione patrimoniale e di solvibilità;
   c) far sì che i finanziamenti della Banca centrale europea alle banche con sede legale e amministrazione centrale nei singoli Stati membri siano prioritariamente destinati al credito per lo sviluppo delle piccole e medie imprese ed al finanziamento dell'economia reale;
   d) introdurre un regolamento in base al quale, un titolo non può essere venduto allo «scoperto» mediante cosiddette operazioni di «short selling»;
   e) disporre la nazionalizzazione di Banca d'Italia in modo tale da evitare ogni possibile conflitto di interesse tra soggetti vigilati ed organo vigilante e da porre rimedio al carente esercizio del potere di vigilanza che indurrebbe ad aumentare la portata degli effetti pregiudizievoli delle crisi bancarie;
   f) predisporre strumenti volti a fornire un'informazione piena e consapevole ai consumatori in merito agli investimenti effettuati in prodotti finanziari, prevedendo in particolare «prospetti informativi» chiari, leggibili e scritti in maniera semplice e comprensibile come ad esempio l'indicazione degli «scenari probabilistici»;
   g) introdurre la separazione delle banche commerciali che investono in economia reale dalle banche di investimento;
   h) valutare la possibilità di introdurre nuovi strumenti, quali i warrant che concedono la facoltà di acquistare una determinata quantità di titoli ad una certa scadenza e ad un prezzo determinato, per gli azionisti non istituzionali delle banche oggetto di risoluzione della crisi e di liquidazione;
   i) disporre un tempestivo ristoro degli obbligazionisti subordinati che hanno perso i propri risparmi, per il valore di investimento delle rispettive posizioni, a seguito dell'applicazione delle nuove norme sul bail-in ed introdurre una specifica normativa che consenta il ricorso allo strumento della « class action», in linea con quanto previsto nell'A.C. 1335 approvato dalla Camera dei deputati;
   l) per i risparmiatori di Banca popolare dell'Etruria, Banca Marche, Carife, Carichieti oggetto di risoluzione e liquidazione, estendere il rimborso del Fondo di solidarietà:
    a) ai detentori di «obbligazioni subordinate» acquistate presso le sedi di Banca popolare dell'Etruria, Banca Marche, Carife, Carichieti il cui contratto non sia stato concluso in contropartita diretta con la banca a causa della discrezionalità dell'istituto di credito il quale ha provveduto a selezionare obbligazioni dal mercato secondario non inserite nel portafoglio della medesima banca, rendendo in tal modo la stessa banca «intermediaria» invece che «controparte diretta»;
    b) ai detentori di «obbligazioni subordinate» che soddisfano i requisiti previsti dal medesimo decreto ma che abbiano provveduto ad acquistarle nelle sedi di istituti di credito diversi da Banca popolare dell'Etruria, Banca Marche, Carife, Carichieti;
    c) ai detentori di «obbligazioni subordinate» che soddisfano i requisiti previsti dal medesimo decreto che abbiano provveduto ad acquistarle successivamente al 12 giugno 2014;
    d) ai detentori di «obbligazioni subordinate» che dal 2013 al 2015 abbiano una media del reddito rilevante ai fini Irpef inferiore a 35 mila euro;
   m) qualora l'importo del risarcimento degli obbligazionisti, in ordine alle risorse disponibili, risulti parziale, predisporre sull'integrazione anche mediante la trasferibilità agli obbligazionisti delle deferred tax asset di TIPO 2 in possesso delle banche in crisi attraverso la relativa trasformazione in crediti d'imposta;
   n) predisporre adeguate misure per le banche in crisi ed oggetto di liquidazione finalizzate ad una gestione interna delle sofferenze, in modo tale da evitare ogni genere di dismissione dei portafogli di crediti per un valore esiguo e pregiudizievole per la stabilità finanziaria delle medesime banche e conseguentemente, da salvaguardare il personale evitando l'assunzione di misure penalizzanti per lo stesso;
   o) aumentare il limite di 8 miliardi di euro di cui al decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, oltre il quale le banche popolari devono trasformarsi in società per azioni, adottando la soglia dei 30 miliardi di euro, in coerenza con la quantificazione operata dall'articolo 6 (4) del regolamento (UE) n. 1024/2013 in riferimento alle banche «significative», nonché introdurre una proroga, per un congruo periodo, del termine per la trasformazione;
   p) modificare la normativa di settore della centrale dei rischi (CR) predisponendo criteri oggettivi ed inderogabili ai sensi dei quali vengono effettuate le segnalazioni, evitando possibili casi di conflitto di interesse e personalizzazioni, così come si è evinto per diversi istituti di credito in crisi finanziaria ed oggetto di risoluzione e liquidazione, con particolare riguardo ai grandi imprenditori presumibilmente esclusi dalle segnalazioni;
   q) individuare criteri oggettivi di erogazione del credito a fronte della prestazione di specifiche garanzie e favorire l'introduzione di misure più rigide al fine di far emergere con chiarezza i crediti deteriorati dai documenti contabili degli istituti di credito;
   r) modificare il codice penale rafforzando le pene disposte per i reati di truffa, appropriazione indebita, bancarotta fraudolenta ed ostacolo alla vigilanza e, in particolar modo a rafforzare le misure cautelari e di sequestro preventivo per i membri degli organi di amministrazione e controllo degli istituti di credito e delle imprese finanziarie, nonché a estendere tali nuove previsioni anche alle società di revisione contabile;
   s) disporre per gli organi di amministrazione e controllo, per i direttori generali, i direttori centrali ed i direttori delle filiali degli istituti di credito e delle imprese di investimento una cauzione speciale vincolata presso la Banca d'Italia e pari ad una percentuale non inferiore al 25 per cento degli emolumenti annuali complessivi;
   t) favorire da parte degli istituti di credito e delle imprese di investimenti la predisposizione di principi contabili chiari al fine di monitorare il volume di «moneta bancaria» creata;

  impegna se stessa e i propri organi, ciascuno per le proprie competenze, a deliberare in ordine all'istituzione di una Commissione d'inchiesta sullo stato del sistema bancario e finanziario negli ultimi trent'anni.
(1-01460) «Villarosa, Pesco, Alberti, D'Uva».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

   La Camera

  impegna se stessa e i propri organi, ciascuno per le proprie competenze, a deliberare in ordine all'istituzione di una Commissione d'inchiesta sullo stato del sistema bancario e finanziario negli ultimi trent'anni.
(1-01460) (Testo risultante dalla votazione per parti separate) «Villarosa, Pesco, Alberti, D'Uva».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

   La Camera,
   premesso che:
    la crisi del sistema bancario e creditizio italiano si protrae da diversi anni senza che sia state intrapresa alcuna riforma strategica del settore e mediante interventi di volta in volta dettati dall'emergenza di coprire le perdite;
    secondo uno studio condotto dalla Banca centrale europea tra il 2008 e il 2014 Eurolandia ha speso l'otto per cento del proprio prodotto interno lordo, pari a circa ottocento miliardi di euro, per intervenire in salvataggio di istituti bancari e creditizi;
    l'evoluzione della normativa europea in materia di salvataggi bancari indica chiaramente una rotta in base alla quale non deve più essere lo Stato, e attraverso di esso i contribuenti, a sopportare il peso delle crisi finanziarie ma lo stesso sistema bancario, e a tal fine sono stati istituiti appositi fondi;
    in ambito europeo, infatti, nel 2014 è stata approvata la direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, che reca nuove procedure per il risanamento e la risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento, alla quale è stata data attuazione a livello nazionale con il decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180;
    la cosiddetta direttiva BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive) aveva avuto origine nel giugno 2013, nei giorni della crisi di Cipro e delle sue banche, ed è finalizzata ad introdurre regole armonizzate per prevenire e gestire le crisi delle banche in tutti i paesi europei, approntando strumenti nuovi che le autorità possono impiegare per gestire in maniera ordinata eventuali situazioni di dissesto;
    la BRRD si propone di limitare al massimo l'erogazione di risorse pubbliche a favore delle banche in crisi, e a tal fine attribuisce alle autorità il potere di allocare gli oneri della risoluzione, in primo luogo, in capo agli azionisti e ai creditori, secondo la gerarchia concorsuale stabilita dalla direttiva e, in secondo luogo, su un fondo di risoluzione alimentato dal sistema bancario;
    la direttiva introduce altresì il concetto di bail in, una sorta di «salvataggio interno» tramite il quale si svalutano azioni e crediti e li si converte in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in difficoltà o una nuova entità che ne continui le funzioni essenziali;
    con l'introduzione del bail in si passa da un sistema in cui la risoluzione delle crisi era imperniata sul ricorso ad apporti esterni, vale a dire su denaro pubblico, come accaduto con il Monte dei Paschi di Siena, ad un sistema che reperisce le risorse necessarie all'interno degli stessi istituti bancari, tramite il coinvolgimento di azionisti e creditori;
    il recepimento della direttiva BRRD nel nostro ordinamento aveva fissato la sua entrata in vigore al 1o gennaio 2016 ma l'ennesima crisi del sistema del credito, intervenuta nell'autunno del 2015, ha spinto il Governo pro tempore ad anticiparne la applicazione al dissesto di Banca Marche, Banca Etruria, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti;
    le quattro banche, che con il loro fallimento hanno polverizzato quattrocento milioni di euro di risparmi dei loro investitori, erano già state tutte commissariate tra il 2013 e il 2015, ma ciononostante le ripercussioni sui risparmiatori sono state massicce e, in parte, drammatiche, perché almeno un migliaio tra di loro hanno visto volatilizzarsi la totalità dei loro risparmi, spesso perché convinti, e in alcuni casi addirittura costretti, a sottoscrivere obbligazioni con un indice di rischio più elevato di quelle ordinarie, senza che ne fossero informati;
    nel 2014 gli stress test della Banca centrale europea sugli istituti bancari italiani hanno sancito la «bocciatura» di nove istituti su venticinque, e alla fine del 2015, dopo il default di Banca Etruria, Banca Marche, Cariferrara e Carichieti, erano ancora dodici le banche messe sotto commissariamento dalla Banca d'Italia e quindi in una situazione non certo positiva;
    nelle sue considerazioni finali svolte il 31 maggio 2016 a margine della presentazione della relazione annuale il Governatore della Banca d'Italia ha dichiarato che «Al netto delle svalutazioni già apportate dalle banche, il valore dei crediti deteriorati è di poco inferiore a 200 miliardi. Più della metà si riferisce a situazioni in cui la difficoltà dei debitori è temporanea. Se ci si concentra sulle sole sofferenze, il valore netto è pari a meno di 90 miliardi. Si tratta di un peso rilevante, ma in larga parte esso è coperto da garanzie reali il cui valore è stato accuratamente esaminato nel corso dell'esercizio di valutazione approfondita dei bilanci delle maggiori banche dell'area dell'euro condotto nel 2014; a queste si aggiungono le garanzie personali. Nel complesso, le preoccupazioni sulla qualità degli attivi delle banche italiane devono essere prese in seria considerazione, senza sovrastimare però l'entità del problema»;
    in realtà il filo rosso che lega tutte le crisi bancarie dello scorso decennio, infatti, è stato una gestione quanto meno allegra e disinvolta del credito, e la messa in atto di pratiche commerciali scorrette, gestioni patrimoniali sospette, operazioni irregolari di acquisizione, fusione, trasformazione o vendita di valori azionari, obbligazionari, o addirittura di interi istituti di credito, come nel caso dell'acquisizione di Antonveneta da parte del Monte Paschi di Siena;
    nel panorama dei casi di insolvenza di istituti bancari verificatisi negli ultimi anni questi sono stati nella quasi totalità dei casi imputabili a operazioni finanziarie spericolate delle quali alcuna autorità di vigilanza sembra essersi accorta, ma nel momento del palesarsi della crisi spicca la tendenza a salvare i manager responsabili del disastro sacrificando, invece, i piccoli contribuenti, come accaduto, appunto nel fallimento delle citate quattro banche nel novembre 2015;
    in questo quadro suscita profonda preoccupazione l'assenza o il malfunzionamento di quelle istituzioni, quali Banca d'Italia e Consob, che in base alle vigenti normative dovrebbero vigilare sugli istituti di credito;
    per missione istituzionale, infatti, la Banca d'Italia ha il compito di assicurare la «sana e prudente gestione del credito», che spetta anche a ogni singolo banchiere, e funzioni di vigilanza e controllo ha anche la Consob, autorità incaricata di verificare la correttezza delle informazioni fornite al mercato dai soggetti che fanno appello al pubblico risparmio, nonché delle informazioni contenute nei documenti contabili delle società quotate;
    la crisi del Monte dei Paschi di Siena era costata all'Italia quattro miliardi di euro appena tre anni fa, quando il salvataggio dell'istituto era avvenuto attraverso la sottoscrizione dei cosiddetti Monti bond, due miliardi dei quali concessi come aiuti addizionali, rispetto ai quali è stato poi dimostrato che non erano serviti per coprire le perdite generate dal portafoglio di titoli di Stato italiani ma per ripianare un deficit di capitale generato da due temerarie operazioni di derivati eseguite dalla banca, insieme ad altri istituti, realizzate con il fine – anch'esso illecito – di occultare le perdite di altre operazioni;
    nello scorso mese di dicembre il Governo ha chiesto al Parlamento l'autorizzazione per un indebitamento di ulteriori venti miliardi di euro attraverso l'emissione titoli di debito pubblico per coprire, come si leggeva nel testo in situazioni meramente «ipotetiche», le carenze di capitale del sistema bancario nazionale, e rappresenterebbe un intervento meramente precauzionale;
    neanche due giorni dopo il Governo ha approvato in Consiglio dei ministri il provvedimento necessario a intervenire concretamente in sostegno degli istituti bancari in difficoltà, primo tra tutti ovviamente il Monte dei Paschi, appostando un fondo finanziato in deficit con una dotazione di venti miliardi di euro, al quale si potrà attingere per i singoli interventi sul capitale e sulla liquidità;
    proprio in questi giorni è fallito il tentativo di ottenere offerte migliorative rispetto a quelle già presentate per l'acquisizione delle quattro good bank di Banca Marche, Banca Etruria, CariChieti e Cariferrara;
    i primi tre istituti dovrebbero passare a UBI Banca al valore simbolico di un euro dopo una nuova «pulizia di bilancio» che prevede la dismissione di 1,7 miliardi di crediti in sofferenza e 500 milioni di incagli che verranno rilevati dal fondo di risoluzione «Atlante», e dopo una riduzione dell'organico di 900 unità su 4700 totali, mentre CariFerrara dovrebbe seguire un percorso analogo entrando nel gruppo BPER Banca;
    la gestione del sistema del credito non può funzionare secondo uno schema in cui le banche sono private quando devono erogare prestiti in assenza delle necessarie garanzie, quando compiono operazioni finanziarie ad alto rischio con il denaro degli investitori o quando devono distribuire utili e bonus milionari ai propri dirigenti, ma divengono di interesse nazionale non appena affrontano una crisi di insolvenza e si rende necessario intervenire con fondi pubblici per il loro risanamento;
    appare urgente e indispensabile attuare una riforma del sistema del credito che passi in primissimo luogo attraverso la separazione tra banche commerciali e banche d'affari, cosicché i cittadini possano avere la possibilità di scegliere di investire il proprio denaro in banche che non effettuano operazioni speculative,

impegna il Governo

   1) ad adottare ogni iniziativa utile a una riforma del sistema del credito e delle autorità di vigilanza sullo stesso, al fine di garantire una stabilità del sistema e la tutela di investitori, risparmiatori e dei contribuenti in generale;
   2) ad assumere iniziative per introdurre una netta separazione tra banche commerciali e banche d'affari e istituire la fattispecie delle banche di deposito, con la sola funzione di custodire il risparmio;
   3) ad assumere iniziative per introdurre normative più rigide a tutela dei risparmiatori, volte a prevedere in capo a banche e istituti di credito l'obbligo di informare sempre ed in maniera comprensibile il cliente circa il fattore di rischio dell'operazione che sta realizzando, e impedire ai medesimi istituti di attuare pratiche scorrette nell'attività di recupero dei crediti;
   4) a promuovere una normativa che stabilisca che i membri del consiglio di amministrazione e di governo delle banche siano responsabili in solido e senza limiti nel caso di fallimento delle proprie aziende;
   5) ad adottare le iniziative opportune a rendere noto l'elenco dei cento maggiori debitori della banca Monte dei Paschi di Siena;
   6) ad assumere iniziative per condizionare l'erogazione di eventuali aiuti finanziari a istituti bancari all'applicazione di chiare e stringenti limitazioni: divieto di distribuzione di utili e dividendi per almeno cinque anni; divieto di erogare bonus; tetto ai compensi di amministratori e dirigenti; controllo straordinario sull'operato della banca per verificare l'eventuale mala gestione dell'istituto; responsabilità diretta e personale degli amministratori; divieto definitivo e inappellabile per gli amministratori che si siano resi responsabili della situazione di insolvenza di ricoprire altri incarichi in ambito bancario;

  impegna se stessa e i propri organi a deliberare in merito all'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema del credito e sulla gestione delle crisi bancarie.
(1-01461) «Rampelli, Cirielli, La Russa, Giorgia Meloni, Nastri, Petrenga, Rizzetto, Taglialatela, Totaro».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

   La Camera

  impegna se stessa e i propri organi a deliberare in merito all'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema del credito e sulla gestione delle crisi bancarie.
(1-01461) (Testo risultante dalla votazione per parti separate) «Rampelli, Cirielli, La Russa, Giorgia Meloni, Nastri, Petrenga, Rizzetto, Taglialatela, Totaro».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni, anche a causa del difficile contesto internazionale, il sistema bancario italiano, come quelli di vari altri Paesi, ha dovuto fronteggiare una serie di crisi finanziarie che hanno colpito vari istituti di credito, sollevando discussioni sulla tenuta dei meccanismi di tutela dei risparmiatori e dei sistemi di vigilanza e controllo;
    già con il decreto-legge n. 183 del 22 novembre 2015, il Governo è intervenuto per una migliore tutela dei depositanti e degli investitori di alcuni istituti (Cassa di risparmio di Ferrara Spa, Banca delle Marche Spa, Banca popolare dell'Etruria e del Lazio – Società cooperativa e Cassa di risparmio della Provincia di Chieti Spa);
    a tale intervento, cui ha fatto seguito il decreto-legge n. 59 del 3 maggio 2016, va aggiunto il recente decreto-legge n. 237 del 23 dicembre 2016;
    pur essendo comprensibile che le vicende bancarie di questi mesi siano oggetto di scontro politico, anche in maniera strumentale, e nel ritenere inutile ogni polemica politica sulle colpe del passato, i firmatari di questa mozione ritengono più utile per i risparmiatori, il sistema bancario e il Paese in generale, che tutti i partiti concentrino la loro attenzione sull'individuazione delle cause dei problemi esistenti e sull'adozione delle misure più efficaci per la loro soluzione;
    al fine di identificare cause, responsabilità e conseguenze delle crisi bancarie, i firmatari di questa mozione hanno presentato, già nel dicembre 2015, una proposta di legge per l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle funzioni di vigilanza, controllo, prevenzione e sanzione nel sistema creditizio (3485);
    nell'ambito dei lavori della Commissione dovrà necessariamente essere assicurata la massima trasparenza sulle circostanze che hanno portato all'intervento dello Stato, anche identificando le situazioni debitorie che hanno determinato o aggravato la crisi. Occorre, tuttavia, evitare l'introduzione di norme generiche che abbiano come unico effetto di creare una sorta di «gogna mediatica» sui debitori per il solo fatto della loro insolvenza e che allontanino l'attenzione dalle responsabilità di chi ha erogato imprudentemente il credito, o ha omesso di vigilare;
   ai fini della tutela dei risparmiatori e del sistema bancario sono opportune altresì una serie di ulteriori misure in sede sia nazionale che europea;
    in sede europea, è certamente opportuno che il Governo promuova ogni possibile iniziativa per arrivare alla realizzazione del terzo pilastro dell'unione bancaria e in particolare dell'introduzione di un sistema comune di garanzia dei depositi, a rivedere la direttiva 2014/59/UE nonché a promuovere modifiche alla disciplina del bail in ivi prevista e a lavorare per favorire un riesame delle interpretazioni delle norme in materia di aiuti di Stato per modificare gli ambiti di intervento a tutela del sistema bancario e dei risparmiatori;
    a livello nazionale, i firmatari della presente mozione ritengono opportuni interventi che mirino a migliorare la trasparenza e la correttezza dei comportamenti, sia attraverso limitazioni alla possibilità per le banche di collocare propri prodotti presso la propria clientela, soprattutto quando hanno l'effetto di caricare su di essa passività dell'istituto, sia attraverso norme che assicurino allo Stato la possibilità di promuovere per conto della società l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e l'inefficacia di eventuali compensi straordinari e «paracadute» in caso di cessazione dalla carica;
    si ritengono, infine, necessarie disposizioni che regolino i compensi degli amministratori di banche destinatarie di interventi dello Stato, prevedendo che la parte variabile di tali compensi sia percentualmente limitata e possa essere liquidata comunque solo dopo che lo Stato abbia recuperato quanto erogato;

  impegna se stessa e i propri organi, ciascuno per le proprie competenze, a deliberare in ordine all'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause, responsabilità e conseguenze dell'attuale situazione del sistema bancario, anche al fine di valutare l'efficacia della normativa vigente e proporre interventi normativi,

impegna il Governo:

1) a promuovere in sede europea ogni iniziativa volta a realizzare il terzo pilastro dell'unione bancaria e in particolare l'introduzione di un sistema comune di garanzia dei depositi, a rivedere la direttiva 2014/59/UE per apportare opportune modifiche alla disciplina del bail in e a favorire un riesame delle interpretazioni delle norme in materia di aiuti di Stato per modificare gli ambiti di intervento a tutela del sistema bancario e dei risparmiatori;

2) a promuovere, in sede europea e nazionale, l'introduzione di disposizioni più efficaci per evitare i conflitti di interesse e in particolare di più severe limitazioni alle operazioni aventi ad oggetto il collocamento di prodotti proprietari e alle operazioni che hanno come effetto sostanziale l'addossare sulla clientela le passività degli istituti bancari;

3) a rafforzare i principi di responsabilità e correttezza degli amministratori, prevedendo il potere dello Stato di promuovere autonomamente l'azione di responsabilità per conto dell'istituto del quale è diventato azionista e l'inefficacia di qualsiasi accordo contrattuale che riconosca ad amministratori dimissionari o revocati in occasione dell'intervento di «paracadute» o altre remunerazioni straordinarie o bonus connessi alla cessazione della loro carica o del rapporto di lavoro;

4) ad adottare iniziative per introdurre norme coerenti con quelle già introdotte negli Stati Uniti che prevedano che i compensi riconosciuti agli amministratori degli istituti bancari che beneficiano del sostegno finanziario dello Stato siano, per una parte significativa, legati ai risultati dell'istituto e che qualsiasi bonus, opzione o altro compenso variabile possa essere liquidato solo dopo che lo Stata abbia recuperato quanto erogato.
(1-01462) «Monchiero, Molea, Galgano, Mazziotti Di Celso, Palladino, Vargiu, Matarrese, Oliaro, Bombassei, Librandi, Catalano, Menorello, Quintarelli, Dambruoso».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

Risoluzione

   La Camera,
   premesso che:
    alla base della grave situazione di numerose banche italiane vi è un'evidente responsabilità della governance che il più delle volte risulta legata a nomine di espressione diretta di partiti, con incarichi sia nelle fondazioni che nella stessa struttura gestionale delle banche;
    vi sono casi di diretta emanazione di partiti politici con indicazioni che riguardano esponenti di partiti che vengono nominati direttamente ai vertici di fondazioni e banche;
    è il caso del Banco di Sardegna e della sua Fondazione Sardegna;
    in questo caso si registra un fatto di una gravità inaudita perché, come emerge dai bilanci del Banco di Sardegna, ben tre miliardi, versati negli sportelli del Banco di Sardegna, sono finiti nella disponibilità degli sportelli della capofila, la Banca Popolare dell'Emilia Romagna;
    si tratta di risorse sottratte all'economia della Sardegna e messe a disposizione delle strutture finanziarie e politiche dell'Emilia Romagna;
    la stessa banca Popolare dell'Emilia Romagna, di seguito Bper, ha presentato un'offerta per l'acquisto di Banca Etruria;
    un'azione economico finanziaria che mette in posizione ancor più subalterna l'intero sistema creditizio sardo già abbondantemente svuotato di potere e governance;
    secondo il bilancio semestrale del Banco di Sardegna, ben tre miliardi, 3.000 milioni di euro, raccolti in Sardegna sono finiti direttamente nelle casse emiliane;
    a questo si aggiunge che la Fondazione del Banco di Sardegna, ora Fondazione Sardegna, ha convertito i propri crediti verso la Bper, derivanti dall'acquisto del 51 per cento del Banco di Sardegna mai saldato, proprio in azioni Bper;
    azioni della Bper che hanno perso in pochi mesi quasi il 50 per cento del valore;
    sono stati di fatto persi da parte della Fondazione oltre 30 milioni di euro;
    si tratta di quella che appare al firmatario del presente atto una vera e propria lobby politica bancario affaristica che sta mettendo sotto ricatto la Sardegna e sta sostenendo operazioni finanziarie tutte esterne al contesto sardo;
    una situazione di una gravità inaudita per la quale sarebbe stato auspicabile l'intervento non solo del Governo ma anche della Banca d'Italia;
    risulta, infatti, che la Bper abbia pagato i suoi debiti con la fondazione Sardegna con titoli che hanno perso il 49 per cento del loro valore a fronte di denaro vero, quello che doveva essere restituito ai sardi, attraverso la Fondazione;
    il Banco di Sardegna nel primo semestre del 2016 ha dichiarato un utile di 58 milioni, si tratta di dati fuorvianti in quanto i dati operativi sono tutti in perdita, e l'utile è dovuto alla sola cessione della Banca di Sassari;
    il fatto più preoccupante della gestione del Banco di Sardegna e il rischio conseguente sulla stabilità della stessa banca, è legato ai circa 3 miliardi di euro che costituiscono crediti verso «istituzioni creditizie», ossia finanziamenti quasi esclusivamente alla capogruppo, come si legge nella Relazione al Bilancio del 1o semestre dell'anno in corso;
    si tratta di fondi che il Banco di Sardegna raccoglie nell'isola e li mette nelle casseforti dell'Emilia Romagna;
    si tratta di risorse esportate e di fatto nascoste nelle pieghe del Bilancio Semestrale 2016 del Banco di Sardegna;
    a pagina 91 del bilancio semestrale del Banco di Sardegna si scrive: il Banco ha crediti verso banche per circa 3 miliardi di euro e a pagina 55 viene indicato che questa cifra è assorbita quasi interamente dalla «capogruppo» BPER;
    parte di questa cifra, 341 milioni, è relativa a obbligazioni emesse dalla BPER;
    è fin troppo evidente, ad avviso del firmatario del presente atto, che il Banco di Sardegna sta sostenendo la liquidità della capogruppo e sottraendo finanziamenti nell'isola;
    la gestione della finanza avviene a Modena ed è chiaro che gli interessi della capogruppo sono prioritari a quelli della Sardegna;
    la capogruppo BPER decide la destinazione degli investimenti del Banco (il Banco non ha praticamente autonomia nella gestione) questi fondi sono, nella pratica sottratti all'economia della Sardegna;
    i crediti alla BPER sono di poco inferiori ai crediti alle imprese sarde (3,6 miliardi circa) e costituiscono il 40 per cento circa dell'attività creditizia totale del Banco al 30 giugno 2016;
    nei prossimi 5-6 mesi il Banco di Sardegna perderà non meno di 400 dipendenti, tra pensionamenti naturali ed esuberi (con trattamenti, pare, adeguati);
    gli uscenti non verranno rimpiazzati con l'operatività del Banco che si ridurrà, a meno che gli uscenti non siano «nullafacenti», cosa francamente poco credibile;
    la Fondazione Sardegna «investe» nella BPER, trasformando il credito che aveva in quell'istituto a seguito della cessione delle quote del Banco, e ne acquista i titoli diventandone socio intorno al 2 per cento e ottenendo nel 2015 «ben» 77 mila euro per un investimento di 78,5 milioni, ossia un ritorno del tutto irrilevante;
    a pagina 17 della Relazione al Bilancio al 30 settembre 2016, si legge che si è trattato di una «Partecipazione Strategica» ! Partecipazione Strategica in un istituto di cui si è co-proprietari e non ci si preoccupa di quello che succede nel Banco di Sardegna;
    la BPER ha perso il 49 per cento del valore del titolo nel corso di quest'anno;
    il Documento di Registrazione, effettuato dalla BPER presso la Consob del 27 giugno 2016, contiene le informazioni sull'istituto e sul Gruppo rivolte agli investitori in previsione di sottoscrizione di azioni emesse dalla BPER a seguito della trasformazione della Banche cooperative in società per azioni;
    a pagina 2 del documento sopra richiamato vengono riportati i rischi per gli investitori: in Italia è l'istituto in condizioni finanziarie peggiori degli altri istituti della sua categoria e presenta rischi maggiori;
    il valore delle sofferenze è aumentato sensibilmente ed è continuato anche per l'anno in corso;
    la Fondazione Sardegna fa «investimenti strategici» nella Bper sottraendo fondi rilevantissimi all'economia sarda nonostante la nota situazione della Bper,

impegna il Governo:

1) a valutare, per quanto di competenza, la situazione legata alla Bper-Banco di Sardegna e ad assumere iniziative per evitare che la grave situazione finanziaria richiamata ricada sui cittadini sardi risparmiatori;

2) a valutare, anche alla luce dei poteri di vigilanza in materia di fondazioni bancarie, l'operazione di trasformazione dei crediti della fondazione del Banco di Sardegna in titoli della Bper già gravemente condizionati dall'andamento finanziario;

3) a porre in essere, per quanto di competenza, ogni azione di controllo e monitoraggio ai fini della tutela dei risparmiatori e dei depositi dei cittadini sardi nelle casse del Banco di Sardegna.
(6-00280) «Pili».