Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Giovedì 21 luglio 2016

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 21 luglio 2016.

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amendola, Amici, Amoddio, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Beni, Bernardo, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Businarolo, Cancelleri, Caparini, Capelli, Carbone, Carnevali, Casero, Castelli, Castiglione, Catania, Antimo Cesaro, Cicchitto, Cirielli, Costa, Culotta, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Menech, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Ferrara, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Formisano, Franceschini, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Lorenzo Guerini, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Mattiello, Mazziotti Di Celso, Merlo, Meta, Migliore, Orlando, Palazzotto, Paris, Pes, Piccoli Nardelli, Gianluca Pini, Pisicchio, Polverini, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Rossomando, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scanu, Schullian, Scopelliti, Scotto, Sereni, Speranza, Tabacci, Tofalo, Valeria Valente, Velo, Vignali, Villecco Calipari, Zanetti.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta)

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amendola, Amici, Amoddio, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Beni, Bernardo, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Businarolo, Cancelleri, Caparini, Capelli, Carbone, Carnevali, Casero, Castelli, Castiglione, Catania, Antimo Cesaro, Cicchitto, Cirielli, Costa, Culotta, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Menech, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Formisano, Franceschini, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Mazziotti Di Celso, Merlo, Meta, Migliore, Orlando, Palazzotto, Paris, Pes, Piccoli Nardelli, Gianluca Pini, Pisicchio, Polverini, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Rossomando, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scanu, Schullian, Scopelliti, Scotto, Sereni, Tabacci, Valeria Valente, Velo, Vignali, Zanetti.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 20 luglio 2016 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di legge d'iniziativa dei deputati:
  LOCATELLI ed altri: «Modifiche alla legge 6 maggio 2015, n. 52, e delega al Governo per la definizione delle modalità di svolgimento delle prime elezioni della Camera dei deputati successive al 1o luglio 2016» (3986).

  Sarà stampata e distribuita.

Adesione di deputati a proposte di legge.

  La proposta di legge RIBAUDO ed altri: «Disposizioni concernenti i requisiti per l'ammissione dei veicoli a motore alla revisione periodica» (3948) è stata successivamente sottoscritta dalla deputata Iori.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
   II Commissione (Giustizia):
  ROMANINI ed altri: «Modifiche all'articolo 1129 del codice civile in materia di obblighi dell'amministratore di condominio» (3955) Parere delle Commissioni I e VI.
   VII Commissione (Cultura):
  CENTEMERO: «Disposizioni per l'introduzione nel sistema scolastico e universitario dell'educazione all'eguaglianza di genere, alla non discriminazione e alla cittadinanza democratica» (3975) Parere delle Commissioni I, V, XI, XII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
   XI Commissione (Lavoro):
  MIOTTO: «Modifica dell'articolo 4 della legge 6 ottobre 1986, n. 656, e altre disposizioni in materia di trattamenti pensionistici e altri benefici economici in favore dei coniugi superstiti e degli orfani dei grandi invalidi di guerra» (3923) Parere delle Commissioni I, IV, V e XII.
   Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e IV (Difesa):
  D'ARIENZO ed altri: «Concessione dell'anticipazione dell'indennità di fine servizio al personale delle Forze armate e delle Forze di polizia» (3902) Parere delle Commissioni II, V, VIII e XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale).

Annunzio di sentenze della Corte costituzionale.

  La Corte costituzionale ha depositato in cancelleria le seguenti sentenze che, ai sensi dell'articolo 108, comma 1, del Regolamento, sono inviate alle sottoindicate Commissioni competenti per materia, nonché alla I Commissione (Affari costituzionali), se non già assegnate alla stessa in sede primaria:

   Sentenza n. 156 del 31 maggio-1o luglio 2016 (Doc. VII, n. 658), con la quale:
    dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 2, della legge della Regione Toscana 16 febbraio 2015, n. 17 (Disposizioni urgenti in materia di geotermia), promossa, in riferimento all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione e al principio di leale collaborazione, dal Presidente del Consiglio dei ministri;
    dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 1, della legge della Regione Toscana n. 17 del 2015, promossa, in riferimento all'articolo 117, primo e terzo comma della Costituzione, e al principio di leale collaborazione, dal Presidente del Consiglio dei ministri;
    dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 2, della legge della Regione Toscana n. 17 del 2015, promossa, in riferimento all'articolo 117, primo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri:
  alle Commissioni riunite VIII (Ambiente) e X (Attività produttive);

   Sentenza n. 157 del 1o giugno-1o luglio 2016 (Doc. VII, n. 659), con la quale:
    dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Calabria 11 agosto 2014, n. 15 (Modifica della legge regionale 10 gennaio 2013, n. 2 – Disciplina del collegio dei revisori dei conti della Giunta regionale e del Consiglio regionale della Calabria), sollevata, in riferimento agli artt. 97, 98 e 123 della Costituzione, in relazione all'articolo 18 della legge della Regione Calabria 19 ottobre 2004, n. 25 (Statuto della Regione Calabria), nonché al principio dell'affidamento nella certezza dei rapporti giuridici, dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria:
  alla I Commissione (Affari costituzionali);

   Sentenza n. 158 del 3 maggio-7 luglio 2016 (Doc. VII, n. 660), con la quale:
    dichiara non fondata la questione di legittimità dell'articolo 7 della legge della Regione Piemonte 24 dicembre 2014, n. 22 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e tributaria), promossa, in riferimento all'articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri:
  alle Commissioni riunite VIII (Ambiente) e X (Attività produttive);

   Sentenza n. 159 del 4 maggio-7 luglio 2016 (Doc. VII, n. 661), con la quale:
    dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1, commi 421, 422, 423 e 427, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), promossa, in riferimento agli artt. 3 e 35 della Costituzione, dalla Regione Veneto;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 421, della legge n. 190 del 2014, promossa, in riferimento agli articoli 81, sesto comma, della Costituzione, 5, comma 1, lettera e), della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale), e 9, comma 5, della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione), dalla Regione Puglia;
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 1, commi 421, 422, 423 e 427, della legge n. 190 del 2014, promosse, in riferimento agli articoli 3, 5, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione, dalle Regioni Campania, Lombardia, Puglia e Veneto:

  alla XI Commissione (Lavoro);

   Sentenza n. 160 del 17 maggio-7 luglio 2016 (Doc. VII, n. 662), con la quale:
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 609, lettera a), della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), promosse, in riferimento agli articoli 117, terzo e quarto comma, 118 e 123 della Costituzione, nonché all'articolo 3, comma 2, della legge regionale statutaria 17 aprile 2012, n. 1 (Statuto del Veneto), dalla Regione Veneto:
  alla I Commissione (Affari costituzionali);

   Sentenza n. 161 del 14 giugno-7 luglio 2016 (Doc. VII, n. 663), con la quale:
    dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 8 della legge della Regione Abruzzo 8 gennaio 2015, n. 1 (Proroga termini e altre disposizioni urgenti), promossa, in riferimento all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri:
  alla XII Commissione (Affari sociali);
   Sentenza n. 162 del 22 giugno – 7 luglio 2016 (Doc. VII, n. 664), con la quale:
    dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 3, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 (Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile), convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3 e 24 della Costituzione, dal Giudice di pace di Vietri di Potenza:

  alla II Commissione (Giustizia);
   Sentenza n. 173 del 5 – 13 luglio 2016 (Doc. VII, n. 665), con la quale:
    dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 483, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2014), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 53, 36 e 38 della Costituzione, dalla sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Calabria;
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 486, della legge n. 147 del 2013, sollevate, in riferimento agli articolo 2, 3, 4, 35, 36, 38, 53, 81, 97 e 136 della Costituzione, dalle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti per le Regioni Veneto, Campania, Calabria e Umbria;
    dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 483, della legge n. 147 del 2013, sollevata dalla sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Calabria, in riferimento all'articolo 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 6, 21, 25, 33 e 34 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848;
    dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 487, della legge n. 147 del 2013, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 35, 36, 38, 53, 81, 97 e 136 della Costituzione, dalla sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Calabria;
    dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 590, della legge n. 147 del 2013, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Calabria:

  alla XI Commissione (Lavoro);
   Sentenza n. 176 del 4 maggio – 14 luglio 2016 (Doc. VII, n. 668), con la quale:
    dichiara l'inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 428, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), promosse, in riferimento agli artt. 3 e 35 della Costituzione, dalla Regione Veneto;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 428, della legge n. 190 del 2014, promosse dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 3, 5, 97, 114, 117, terzo e quarto comma, 118 e 120 della Costituzione:

  alla XI Commissione (Lavoro);
   Sentenza n. 179 del 15 giugno – 15 luglio 2016 (Doc. VII, n. 670), con la quale:
    dichiara infondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 133, comma 1, lettera a), numero 2), e lettera f), del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al Governo per il riordino del processo amministrativo), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce:

  alla II Commissione (Giustizia).

  La Corte costituzionale ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 30, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.87, copia delle seguenti sentenze che, ai sensi dell'articolo 108, comma 1, del Regolamento, sono inviate alle sottoindicate Commissioni competenti per materia, nonché alla I Commissione (Affari costituzionali):
   con lettera in data 14 luglio 2016, Sentenza n. 174 del 15 giugno – 14 luglio 2016 (Doc. VII, n. 666), con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 18, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111:

  alla XI Commissione (Lavoro);
   con lettera in data 14 luglio 2016, Sentenza n. 175 del 21 giugno – 14 luglio 2016 (Doc. VII, n. 667), con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 7, comma 3, della legge della Regione Puglia 23 marzo 2015, n. 12 (Promozione della cultura della legalità, della memoria e dell'impegno), nella parte in cui annovera anche i conviventi more uxorio e i genitori tra i beneficiari del collocamento obbligatorio delle vittime della mafia, della criminalità organizzata, del terrorismo e del dovere;
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 8, commi 1 e 3, della citata legge regionale, nella parte in cui accorda, ai beneficiari del collocamento obbligatorio delle vittime della mafia, della criminalità organizzata, del terrorismo e del dovere, permessi retribuiti per cento ore annue e parifica le ore di assenza, anche ai fini previdenziali, a normali ore di lavoro;
    dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 7, commi 1 e 5, della citata legge regionale, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri:

  alla XI Commissione (Lavoro);
   con lettera in data 15 luglio 2016, Sentenza n. 178 del 6 – 15 luglio 2016 (Doc. VII, n. 669), con la quale:
    dichiara la illegittimità costituzionale dell'articolo 10, comma 1, della legge della Regione Marche 13 aprile 2015, n. 16 (Disposizioni di aggiornamento della legislazione regionale. Modifiche alla legge regionale 30 dicembre 2014, n. 36 «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2015 e pluriennale 2015/2017 della Regione. Legge finanziaria 2015» e alla legge regionale 30 dicembre 2014, n. 37 «Bilancio di previsione per l'anno 2015 ed adozione del bilancio pluriennale per il triennio 2015/2017»), nella parte in cui modifica l'articolo 35 della legge regionale 4 dicembre 2014, n. 33 (Assestamento del bilancio 2014), sostituendo, all'espressione originaria «ovvero di ogni altra trasformazione», la diversa espressione «e di ogni trasformazione»:

  alla VIII Commissione (Ambiente).

Trasmissione dalla Corte dei conti.

  Il presidente della Corte dei conti, con lettera in data 27 giugno 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 12, comma 3, della legge 10 dicembre 1993, n. 515, il referto sui consuntivi presentati dalle formazioni politiche che hanno partecipato alle elezioni del 25 maggio 2014 per il rinnovo dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia.

  Questa documentazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali).

Trasmissione dal Ministro dell'interno.

  Il Ministro dell'interno, con lettera del 19 luglio 2016, ha trasmesso una nota relativa all'attuazione data, per la parte di propria competenza, all'ordine del giorno LACQUANITI n. 9/3444-A/318, accolto dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 19 dicembre 2015, concernente il contributo straordinario in favore del personale appartenente ai Corpi di polizia, al Corpo nazionale dei vigili del fuoco e alle Forze armate, non destinatario di un trattamento retributivo dirigenziale, di cui all'articolo 1, comma 972, della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016).

  La suddetta nota è a disposizione degli onorevoli deputati presso il Servizio per il Controllo parlamentare ed è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali) competente per materia.

Trasmissione dal Vice Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale.

  Il Vice Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, con lettera in data 15 luglio 2016, ha comunicato, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 6 febbraio 1992, n. 180, concernente la partecipazione dell'Italia alle iniziative di pace e umanitarie in sede internazionale, l'intenzione di concedere un contributo all'associazione «Nessuno tocchi Caino» per attività di monitoraggio e sensibilizzazione in vista della sesta risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite per una moratoria universale della pena di morte.

  Questa comunicazione è trasmessa alla III Commissione (Affari esteri).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 20 luglio 2016, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 230/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 marzo 2014, che istituisce uno strumento inteso a contribuire alla stabilità e alla pace (COM(2016) 447 final), che è assegnata in sede primaria alle Commissioni riunite III (Affari esteri) e IV (Difesa);
   Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sull'attuazione della direttiva 2007/2/CE del 14 marzo 2007 che istituisce un'Infrastruttura per l'informazione territoriale nella Comunità europea (Inspire) ai sensi dell'articolo 23 (COM(2016) 478 final), che è assegnata in sede primaria alla VIII Commissione (Ambiente);
   Proposte congiunte della Commissione europea e dell'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza di decisione del Consiglio relative rispettivamente alla firma, a nome dell'Unione europea, e alla conclusione dell'accordo che istituisce la Fondazione internazionale UE-ALC (JOIN(2016) 32 final e JOIN(2016) 34 final), corredate dai rispettivi allegati (JOIN(2016) 32 final – Annex 1 e JOIN(2016) 34 final – Annex 1), che sono assegnate in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri).

Comunicazione di nomine ministeriali.

  La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 19 luglio 2016 ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 19, comma 9, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la comunicazione concernente il conferimento al dottor Stefano Scalera, ai sensi dei commi 4 e 10 del medesimo articolo 19, dell'incarico di livello dirigenziale generale di consulenza, studio e ricerca nell'ambito del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell'economia e delle finanze.

  Questa comunicazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla V Commissione (Bilancio).

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

DISEGNO DI LEGGE: CONVERSIONE IN LEGGE DEL DECRETO-LEGGE 24 GIUGNO 2016, N. 113, RECANTE MISURE FINANZIARIE URGENTI PER GLI ENTI TERRITORIALI E IL TERRITORIO (A.C. 3926-A/R)

A.C. 3926-A/R – Ordini del giorno

ORDINI DEL GIORNO

   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame reca misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio, intervenendo anche attraverso disposizioni finalizzate ad incidere su distinti settori della finanza pubblica;
    l'individuazione della categoria dei servizi pubblici in generale risponde all'esigenza di riconoscere quelle attività che la pubblica amministrazione ritiene necessario gestire direttamente, oppure sotto il suo controllo attraverso società di scopo, perché, per il benessere della collettività, reputa essenziale garantire a tutti i cittadini l'accesso all'utilizzazione di quello specifico servizio;
    anche in sede europea l'articolo 36 della Carta dei Diritti dei Cittadini Europei garantisce a tutti gli individui l'accesso ai servizi di interesse economico generale, riconoscendo così l'esistenza di una categoria di attività economiche il cui espletamento deve essere regolamentato e garantito dagli enti locali territoriali per fini di interesse generale;
    è necessario garantire la continuità dei servizi di pubblica utilità svolti dal personale delle società a partecipazione interamente pubblica dell'Amministrazione provinciale di Brindisi,

impegna il Governo

ad adottare iniziative idonee affinché gli enti locali della provincia di Brindisi siano tenuti ad avviare entro il 31 agosto 2016 procedure selettive per titoli ed esami, per assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato, riservate al personale delle società in house, che abbia maturato, alla data di entrata in vigore della presente legge, almeno tre anni di servizio, anche non continuativi e che sia stato posto in mobilità ai sensi dell'articolo 4 della legge 23 luglio 1991, n. 223, fermo restando il rispetto degli obiettivi di saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate e le spese finali, e le norme di contenimento della spesa di personale.
9/3926-A-R/1Ciracì.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame reca misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio, intervenendo anche attraverso disposizioni finalizzate ad incidere su distinti settori della finanza pubblica;
    l'individuazione della categoria dei servizi pubblici in generale risponde all'esigenza di riconoscere quelle attività che la pubblica amministrazione ritiene necessario gestire direttamente, oppure sotto il suo controllo attraverso società di scopo, perché, per il benessere della collettività, reputa essenziale garantire a tutti i cittadini l'accesso all'utilizzazione di quello specifico servizio;
    anche in sede europea l'articolo 36 della Carta dei Diritti dei Cittadini Europei garantisce a tutti gli individui l'accesso ai servizi di interesse economico generale, riconoscendo così l'esistenza di una categoria di attività economiche il cui espletamento deve essere regolamentato e garantito dagli enti locali territoriali per fini di interesse generale;
    è necessario garantire la continuità dei servizi di pubblica utilità svolti dal personale delle società a partecipazione interamente pubblica dell'Amministrazione provinciale di Brindisi,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare iniziative idonee affinché gli enti locali della provincia di Brindisi siano tenuti ad avviare entro il 31 agosto 2016 procedure selettive per titoli ed esami, per assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato, riservate al personale delle società in house, che abbia maturato, alla data di entrata in vigore della presente legge, almeno tre anni di servizio, anche non continuativi e che sia stato posto in mobilità ai sensi dell'articolo 4 della legge 23 luglio 1991, n. 223, fermo restando il rispetto degli obiettivi di saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate e le spese finali, e le norme di contenimento della spesa di personale.
9/3926-A-R/1. (Testo modificato nel corso della seduta).  Ciracì.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in esame, reca molteplici interventi di carattere prevalentemente finanziario, che incidono su diversi settori di interesse per gli enti territoriali: dal Patto di stabilità interno, al Fondo di solidarietà comunale, al pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni, cui si aggiungono, inoltre, ulteriori misure in materia di personale delle scuole dell'infanzia e degli asili nido degli enti locali, norme in materia sanitaria, ambientale ed agricola;
    nel corso dell'esame in sede referente, il provvedimento d'urgenza è stato integrato da ulteriori interventi finalizzati a sostenere altri comparti dell'ordinamento, nonché, nell'ambito delle norme in materia ambientale, (destinate al finanziamento di interventi in materia di risorse idriche) l'estensione anche alle bonifiche dei siti non oggetto della procedura di infrazione comunitaria n. 2003/2077, come indicato dalla lettera a) del comma 7-bis dell'articolo 22 del testo in oggetto, attraverso l'istituzione del Fondo per il finanziamento degli interventi relativi alle risorse idriche, presso il Ministero dell'ambiente, previsto dal comma 6 dell'articolo 7 del decreto-legge n. 133 del 2014;
    al riguardo, la successiva lettera b) del medesimo comma 7-bis, amplia il perimetro delle risorse che possono essere revocate, al fine di finanziare il Fondo suddetto, aggiungendo (a quelle della delibera CIPE n. 60/2012, già contemplate dal testo vigente) quelle previste dalla delibera CIPE del 3 agosto 2012, n. 87/2012 specificando inoltre, che le risorse revocabili sono quelle destinate ad interventi nel settore della depurazione delle acque e delle bonifiche nei siti non oggetto della procedura di infrazione comunitaria n. 2003/2077;
    a tal fine, in prossimità dei siti industriali situati in provincia di Grosseto ed in particolare nei territori della piana del Casone di Scartino e a Follonica, oggetto di indagine della magistratura nonché di numerose interrogazioni parlamentari a causa dell'emissione di anidride solforosa e ossidi di azoto oltre la soglia prevista, si riscontrano ulteriori complicazioni di natura ambientale, connesse agli scarichi a mare, oltre alla gestione di rifiuti altamente pericolosi come la pirite contenente arsenico fuori norma;
    la necessità di includere la regione Toscana all'interno dei finanziamenti previsti al comma 6 dell'articolo 7 del decreto-legge n. 133 del 2014, per una serie di interventi a carattere ambientale e di manutenzione straordinaria dei territori di Scartino e di Follonica, risulta ad avviso del sottoscrittore del presente atto, urgente e necessaria, alla luce del quadro emissivo della zona industriale e delle ricadute nei territori di Scarlino e di Follonica, che permangono fortemente negative per la salute dei cittadini,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di estendere anche alla regione Toscana le misure previste dal comma 6 dell'articolo 7 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164 che istituisce il Fondo per il finanziamento degli interventi relativi alle risorse idriche, anche attraverso l'assegnazione delle misure di revoca delle risorse relative ad interventi per i quali non siano stati ancora assunti atti giuridicamente vincolanti alla data del 30 giugno 2016.
9/3926-A-R/2Faenzi, Parisi, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 1 dell'articolo 21 del provvedimento in esame, stabilisce la necessaria esigenza di una revisione complessiva del sistema di governo della spesa farmaceutica da compiersi entro il prossimo 31 dicembre del 2016;
    la norma indicata tiene in debita considerazione «la rilevanza strategica del settore farmaceutico, ai fini degli obiettivi di politica industriale e di innovazione del Paese e del contributo fornito dal predetto settore agli obiettivi di salute, nell'ambito dell'erogazione dei Livelli essenziali di assistenza»;
    le aziende produttrici dei gas medicinali, titolari di AIC, sono soggette all'applicazione della normativa in tema di budget e tetti di spesa farmaceutica, per quanto concerne l'ossigeno terapeutico;
    l'ossigeno, pur essendo riconosciuto come farmaco, tuttavia ha caratteristiche assolutamente uniche sia come prodotto in sé, sia come esito di un processo di produzione, di distribuzione e di vendita rispetto al farmaco tradizionale;
    le aziende produttrici non hanno alcuna possibilità di governare la vendita del farmaco, che è un salvavita fornito solo su ordinazione del SSN e fornito con modalità non interrompibile per legge;
    l'attuale sistema di tracciabilità valido per la generalità dei farmaci ha negli anni dimostrato di presentare importanti lacune nel caso dell'ossigeno terapeutico, in virtù delle peculiarità della fornitura dell'ossigeno stesso;
    consapevoli della problematica, gli uffici del Ministero della salute e dell'Agenzia Italiana del Farmaco avevano avviato un confronto, ad oggi non ancora concluso, per definire un più efficace meccanismo di tracciabilità del farmaco ossigeno,

impegna il Governo

nell'ambito dell'attività di cui al comma 1 dell'articolo 21 del provvedimento in esame, a prevedere una specifica governance della spesa farmaceutica per il settore dell'ossigeno terapeutico.
9/3926-A-R/3Berlinghieri, Casati, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    l'introduzione del nuovo saldo di bilancio, di cui all'articolo 1, comma 707, commi da 709 a 713, comma 716 e commi da 719 a 734, della Legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) che prevede l'obbligo, per tutti i Comuni, senza limiti demografici, di conseguire un saldo non negativo in termini di competenza, tra le entrate finali (Tit. 1-2-3-4-5) e le spese finali (Tit. 1-2-3), rende impossibile il rispetto di tale obiettivo laddove si finanzino spese con l'utilizzo dell'Avanzo di amministrazione, essendo lo stesso escluso dalle voci previste in entrata;
    accade così che gli enti locali – stante le note restrizioni in materia di entrate (sia per l'impossibilità di incrementare il gettito tributario proprio che per la progressiva e consistente diminuzione dei trasferimenti statali) – si trovino ad avere, per poter effettuate investimenti, degli spazi esigui rinvenibili unicamente nel Titolo 4 della spesa (rimborsi di prestiti) e negli accantonamenti per il Fondo crediti di dubbia e difficile esigibilità e fondo contenzioso;
    nel caso di enti locali che, a causa dell'esaurimento della capienza della loro discarica di rifiuti solidi urbani, si trovino a dover obbligatoriamente iniziare i lavori per procedere alla chiusura di detta discarica e non riescano a trovare adeguato spazio nel saldo di finanza sopra evidenziato, con il paradosso che per eseguire un'opera di risanamento ambientale, la cui eventuale mancata realizzazione comporta conseguenze anche di carattere penale a carico degli amministratori dell'ente locale interessato, si trovano a dover sforare il vincolo del pareggio di bilancio di competenza finale come delineato dalla legge n. 208 del 2015 con l'applicazione delle pesanti sanzioni in essa previste,

impegna il Governo

ad adottare, in un prossimo provvedimento, una norma che preveda una fattispecie di deroga al saldo finanziario di cui alla legge n. 208 del 2015 analoga a quella prevista per il 2016 per le opere di bonifica ambientale conseguenti ad attività minerarie.
9/3926-A-R/4Tullo, Carocci, Basso.


   La Camera,
   premesso che:
    l'introduzione del nuovo saldo di bilancio, di cui all'articolo 1, comma 707, commi da 709 a 713, comma 716 e commi da 719 a 734, della Legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) che prevede l'obbligo, per tutti i Comuni, senza limiti demografici, di conseguire un saldo non negativo in termini di competenza, tra le entrate finali (Tit. 1-2-3-4-5) e le spese finali (Tit. 1-2-3), rende impossibile il rispetto di tale obiettivo laddove si finanzino spese con l'utilizzo dell'Avanzo di amministrazione, essendo lo stesso escluso dalle voci previste in entrata;
    accade così che gli enti locali – stante le note restrizioni in materia di entrate (sia per l'impossibilità di incrementare il gettito tributario proprio che per la progressiva e consistente diminuzione dei trasferimenti statali) – si trovino ad avere, per poter effettuate investimenti, degli spazi esigui rinvenibili unicamente nel Titolo 4 della spesa (rimborsi di prestiti) e negli accantonamenti per il Fondo crediti di dubbia e difficile esigibilità e fondo contenzioso;
    nel caso di enti locali che, a causa dell'esaurimento della capienza della loro discarica di rifiuti solidi urbani, si trovino a dover obbligatoriamente iniziare i lavori per procedere alla chiusura di detta discarica e non riescano a trovare adeguato spazio nel saldo di finanza sopra evidenziato, con il paradosso che per eseguire un'opera di risanamento ambientale, la cui eventuale mancata realizzazione comporta conseguenze anche di carattere penale a carico degli amministratori dell'ente locale interessato, si trovano a dover sforare il vincolo del pareggio di bilancio di competenza finale come delineato dalla legge n. 208 del 2015 con l'applicazione delle pesanti sanzioni in essa previste,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare, in un prossimo provvedimento, una norma che preveda una fattispecie di deroga al saldo finanziario di cui alla legge n. 208 del 2015 analoga a quella prevista per il 2016 per le opere di bonifica ambientale conseguenti ad attività minerarie.
9/3926-A-R/4. (Testo modificato nel corso della seduta).  Tullo, Carocci, Basso.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 9 dell'articolo 9-ter del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015 n. 125, ha introdotto il meccanismo del payback per il comparto dei dispositivi medici, misura quest'ultima già in vigore per il settore del farmaco, dove la sua gestione è a carattere nazionale ed è curata da AIFA;
    l'implementazione delle misure inserite nel decreto è stata caratterizzata da un grave livello di indeterminatezza, che ha generato una sensazione di smarrimento nelle aziende potenzialmente coinvolte: ad un anno dall'entrata in vigore del provvedimento non è stato ancora emanato il decreto attuativo che dovrebbe disciplinare nel dettaglio il meccanismo. Ad oggi, non sono dunque noti né i criteri di gestione, né le tipologie di dispositivi destinatari della misura;
    tale situazione di incertezza impedisce alle imprese di effettuare una stabile programmazione delle proprie attività, specie per quanto attiene all'allocazione delle risorse;
    la necessità di accantonare dei fondi in previsione del pagamento delle quote di ripiano costringerebbe infatti gli operatori a dover congelare risorse che potrebbero al contrario essere investite in risorse umane e in ricerca e sviluppo, con evidenti ripercussioni in termini di qualità dell'assistenza;
    inoltre, fra le aziende del settore vi è un gran numero di piccole e medie imprese italiane che si troverebbero nell'oggettiva impossibilità di concorrere per la loro parte a questa misura, con il rischio di vedersi costrette a operare un drastico ridimensionamento dell'attività o perfino a chiudere;
    analogamente a quanto avvenuto per il comparto farmaceutico, è altamente probabile che l'applicazione del payback per i dispositivi generi un sensibile aumento dei contenziosi tra le aziende e la pubblica amministrazione, con conseguente aumento di spese legali a carico di entrambe;
    come già dimostrato, a fronte di uno scarso risultato finanziario, il payback comporterebbe infine un notevole aggravio di lavoro per la Pubblica Amministrazione, specialmente alla luce delle maggiori complessità che caratterizzano il comparto dei device;
    le somme attese con l'applicazione del payback per i dispositivi potrebbero essere ricavate attraverso meccanismi alternativi e più efficaci. Tra le altre, sono ipotizzabili misure fiscali che garantirebbero allo stesso tempo l'invarianza del gettito stimato e, dunque, dei saldi di finanza pubblica,

impegna il Governo

a prevedere, in luogo del meccanismo di payback, già rivelatosi inefficace per il settore farmaceutico, l'applicazione di una misura sostitutiva che possa scongiurarne gli effetti distorsivi in termini di investimenti e occupazione, e che implichi un più efficiente ed efficace impiego delle risorse in servizio presso le Amministrazioni coinvolte.
9/3926-A-R/5Bargero, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in oggetto, reca una serie di articolati interventi in diversi settori di interesse per gli enti territoriali, in una fase quale quella attuale, ormai protrattasi da molto tempo, di risorse finanziarie sempre più scarse a disposizione;
    nell'ambito delle disposizioni relative ad aspetti di gestione contabile di regioni ed enti locali, il comma 1 dell'articolo 10, che interviene sui criteri di ripartizione delle risorse del Fondo per il finanziamento del trasporto pubblico locale, prevede una deroga (rispetto a quanto recato all'articolo 4, comma 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'11 marzo 2013), che stabilisce gli obiettivi conseguiti i quali, viene ripartita la quota del 10 per cento delle risorse destinate per il 2016 ad incrementare la dotazione per un importo pari a 74.476.600 euro (o nei limiti dello stanziamento iscritto in bilancio);
    la finalizzazione delle risorse in particolare, è operata, come peraltro suesposto, in deroga in quanto le risorse del Fondo medesimo, che non sono ripartite secondo i criteri di cui all'articolo 3, sono «destinate ad investimenti diretti a migliorare la qualità e la sicurezza dei servizi di TPL e ferroviari regionali, ovvero ad ammortizzatori sociali per i lavoratori del settore»;
    al riguardo, la tragedia ferroviaria accaduta in Puglia lo scorso 12 luglio 2016, che ha causato il decesso di 27 persone e decine di feriti, ripropone nuovamente il tema della carenza del sistema ferroviario regionale su scala nazionale, in particolare per la rete delle cosiddette ferrovie secondarie esistenti in Italia, (con un'estensione totale di oltre 3 mila chilometri) dal punto di vista della scarsa sicurezza ed efficienza nei riguardi di centinaia di migliaia di cittadini, in particolare i pendolari, che quotidianamente usufruiscono di tale servizio di mobilità;
    nell'ambito dei controlli e dei profili degli standard di sicurezza ferroviaria, il sottoscrittore del presente atto, evidenzia come l'Italia «viaggia a due velocità»: una al passo con la normativa europea (ed è quella dei treni che si muovono sulla rete Rfi in cui circolano i convogli Trenitalia); l'altra è quella dei vagoni ferroviari che si muovono su una rete di circa 3 mila chilometri, gestita da ferrovie pubbliche e private, che operano in regime di concessione;
    sulla rete Rfi, non esistono apparati di sicurezza attraverso l'utilizzo dei «blocchi telefonici», a differenza della circolazione ferroviaria secondaria in cui la sicurezza è regolata tramite il meccanismo del consenso telefonico, che rappresenta un sistema tra i meno evoluti rispetto alle tecnologie disponibili per la regolazione della circolazione ferroviaria, in quanto il sistema è affidato interamente all'uomo;
    nella rete delle ferrovie secondarie, sono ancora presenti sul territorio nazionale 2.700 chilometri di linea a binario unico e su queste, le tecnologie adottate sono diverse: consenso telefonico, blocco conta-assi, nei casi più evoluti sistemi di controllo marcia treno;
    nonostante da anni siano in corso interventi di ammodernamento tesi a raddoppiare le linee a semplice binario, le condizioni relative agli standard di sicurezza sono (come la tragedia in Puglia conferma) estremamente negative e preoccupanti, anche in considerazione della confusione esistente tra gli organi di controllo e di rilascio delle licenze, considerato come i treni che circolano sulla rete principale Rfi devono rispondere ai criteri stringenti dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie, (ente preposto al rilascio delle licenze e dei controlli) mentre quelli che operano sulle linee secondarie, sono controllate dall'Ustif, (Ufficio speciale trasporti a impianti fissi) ente periferico del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti dotato di una normativa meno stringente;
    ad avviso del sottoscrittore del presente atto, risulta pertanto urgente e necessario, introdurre in tempi rapidi, misure normative finalizzate ad uniformare i controlli e delle licenze, attraverso una delega nei confronti di un unico ente gestore in grado di garantire gli standard di sicurezza, uniformati sull'intera rete ferroviaria nazionale (principale e secondaria), oltre che la necessità di adeguate risorse finanziarie finalizzate a rendere omogenei i meccanismi elettronici di controllo per la sicurezza, come quelli attualmente in vigore per la circolazione dei treni cosiddetti ad alta velocità, indicati dall'Ertms – European Rail Traffic Management System,

impegna il Governo:

   ad intervenire in tempi rapidi, al fine di uniformare il sistema di controllo degli standard di sicurezza e del rilascio delle licenze, sotto la vigilanza di un unico ente gestore nazionale;
   a prevedere altresì in tempi brevi, a colmare il grave gap esistente sul trasporto pubblico regionale per il supporto delle reti non di competenza nazionale, sia dal punto di vista di adeguate risorse finanziarie, peraltro già annunciate di recente dal Governo, volte ad ammodernare il sistema infrastrutturale delle ferrovie esistenti sulle reti secondarie, che del superamento degli attuali sistemi di segnalazione relativi al cosiddetto blocco telefonico, affidati al controllo umano, considerato unanimemente superato da diversi decenni.
9/3926-A-R/6Nastri, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in oggetto, reca una serie di articolati interventi in diversi settori di interesse per gli enti territoriali, in una fase quale quella attuale, ormai protrattasi da molto tempo, di risorse finanziarie sempre più scarse a disposizione;
    nell'ambito delle disposizioni relative ad aspetti di gestione contabile di regioni ed enti locali, il comma 1 dell'articolo 10, che interviene sui criteri di ripartizione delle risorse del Fondo per il finanziamento del trasporto pubblico locale, prevede una deroga (rispetto a quanto recato all'articolo 4, comma 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'11 marzo 2013), che stabilisce gli obiettivi conseguiti i quali, viene ripartita la quota del 10 per cento delle risorse destinate per il 2016, ad incrementare la dotazione per un importo pari a 74.476.600 euro (o nei limiti dello stanziamento iscritto in bilancio);
    la finalizzazione delle risorse in particolare, è operata, come peraltro suesposto, in deroga in quanto le risorse del Fondo medesimo, che non sono ripartite secondo i criteri di cui all'articolo 3, sono «destinate ad investimenti diretti a migliorare la qualità e la sicurezza dei servizi di TPL e ferroviari regionali, ovvero ad ammortizzatori sociali per i lavoratori del settore»;
    al riguardo, la tragedia ferroviaria accaduta in Puglia lo scorso 12 luglio 2016, che ha causato il decesso di 27 persone e decine di feriti, ripropone nuovamente il tema della carenza del sistema ferroviario regionale su scala nazionale, in particolare per la rete delle cosiddette ferrovie secondarie esistenti in Italia, (con un'estensione totale di oltre 3 mila chilometri) dal punto di vista della scarsa sicurezza ed efficienza nei riguardi di centinaia di migliaia di cittadini, in particolare i pendolari, che quotidianamente usufruiscono di tale servizio di mobilità;
    nell'ambito dei controlli e dei profili degli standard di sicurezza ferroviaria, il sottoscrittore del presente atto, evidenzia come l'Italia «viaggia a due velocità»: una al passo con la normativa europea (ed è quella dei treni che si muovono sulla rete Rfi in cui circolano i convogli Trenitalia); l'altra è quella dei vagoni ferroviari che si muovono su una rete di circa 3 mila chilometri, gestita da ferrovie pubbliche e private, che operano in regime di concessione;
    sulla rete Rfi, non esistono apparati di sicurezza attraverso l'utilizzo dei «blocchi telefonici», a differenza della circolazione ferroviaria secondaria in cui la sicurezza è regolata tramite il meccanismo del consenso telefonico, che rappresenta un sistema tra i meno evoluti rispetto alle tecnologie disponibili per la regolazione della circolazione ferroviaria, in quanto il sistema è affidato interamente all'uomo;
    nella rete delle ferrovie secondarie, sono ancora presenti sul territorio nazionale 2.700 chilometri di linea a binario unico e su queste, le tecnologie adottate sono diverse: consenso telefonico, blocco conta-assi, nei casi più evoluti sistemi di controllo marcia treno;
    nonostante da anni siano in corso interventi di ammodernamento tesi a raddoppiare le linee a semplice binario, le condizioni relative agli standard di sicurezza sono, (come la tragedia in Puglia conferma) estremamente negative e preoccupanti, anche in considerazione della confusione esistente tra gli organi di controllo e di rilascio delle licenze, considerato come i treni che circolano sulla rete principale Rfi devono rispondere ai criteri stringenti dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie, (ente preposto al rilascio delle licenze e dei controlli) mentre quelli che operano sulle linee secondarie, sono controllate dall'Ustif, (Ufficio speciale trasporti a impianti fissi) ente periferico del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti dotato di una normativa meno stringente;
    ad avviso del sottoscrittore del presente atto, risulta pertanto urgente e necessario, introdurre in tempi rapidi, misure normative finalizzate ad uniformare i controlli e delle licenze, attraverso una delega nei confronti di un unico ente gestore in grado di garantire gli standard di sicurezza, uniformati sull'intera rete ferroviaria nazionale (principale e secondaria), oltre che la necessità di adeguate risorse finanziarie finalizzate a rendere omogenei i meccanismi elettronici di controllo per la sicurezza, come quelli attualmente in vigore per la circolazione dei treni cosiddetti ad alta velocità, indicati dall'Ertms – European Rail Traffic Management System,

impegna il Governo:

   ad intervenire al fine di uniformare il sistema di controllo degli standard di sicurezza e del rilascio delle licenze, sotto la vigilanza di un unico ente gestore nazionale;
   a prevedere altresì in tempi brevi, a colmare il grave gap esistente sul trasporto pubblico regionale per il supporto delle reti non di competenza nazionale, sia dal punto di vista di adeguate risorse finanziarie, peraltro già annunciate di recente dal Governo, volte ad ammodernare il sistema infrastrutturale delle ferrovie esistenti sulle reti secondarie, che del superamento degli attuali sistemi di segnalazione relativi al cosiddetto blocco telefonico, affidati al controllo umano, considerato unanimemente superato da diversi decenni.
9/3926-A-R/6. (Testo modificato nel corso della seduta).  Nastri, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    l'8 luglio 2015 un violentissima tornado colpì la Riviera del Brenta ed in particolare i comuni di Dolo, Mira e Pianiga seminando distruzione e anche morte;
    ad un anno di distanza sono ancora visibili i danni del citato evento calamitoso con alberi sradicati, marciapiedi dissestati, abitazioni private con tetti da rifare, fabbriche e capannoni che ancora non hanno avuto modo di smaltire l'amianto con rischi per la salute, ville che per il loro prezioso valore storico architettonico attendono di poter tornare all'antico splendore;
    una parte importante delle risorse stanziate da Governo e Regione risultano tuttora non utilizzate a causa delle lungaggini burocratiche che rallentano l'attività di ricostruzione;
    a nulla servono le polemiche nel rimpallo di responsabilità tra istituzioni che si registra a mezzo stampa circa i presunti ritardi rischiando di alimentare un già forte clima di risentimento tra i cittadini interessati;
    nei giorni scorsi nei comuni interessati si sono svolte importanti e partecipate manifestazioni di commemorazione del devastante evento che ha colpito queste comunità;
    è in scadenza lo stato di emergenza per consentire il completamento degli interventi di protezione civile già in atto;
    occorre reperire ulteriori risorse al fine di consentire un più rapido ed efficace intervento di ristoro dei danni per una comunità tuttora segnata dall'evento calamitoso,

impegna il Governo

a prorogare in tempi rapidi lo stato di emergenza anche in riferimento alla contabilità speciale in gestione ordinaria, a licenziare al più presto i decreti attuativi delle disposizioni previste dalla legge n. 208 del 2015 (legge stabilità 2016) circa l'accesso ai mutui per la ricostruzione con copertura pari a 1,5 milioni di euro, nonché a valutare l'opportunità di rafforzare i poteri di semplificazione burocratica al fine di velocizzare l’iter di approvazione dei progetti di ripristino e messa in sicurezza dei siti colpiti, e prevedere, in considerazione delle difficoltà presenti, ulteriori risorse per il completamento degli interventi in favore dei comuni colpiti dal tornado dell'8 luglio 2015.
9/3926-A-R/7Martella, Mognato, Murer, Moretto, Zoggia, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    l'8 luglio 2015 un violentissima tornado colpì la Riviera del Brenta ed in particolare i comuni di Dolo, Mira e Pianiga seminando distruzione e anche morte;
    ad un anno di distanza sono ancora visibili i danni del citato evento calamitoso con alberi sradicati, marciapiedi dissestati, abitazioni private con tetti da rifare, fabbriche e capannoni che ancora non hanno avuto modo di smaltire l'amianto con rischi per la salute, ville che per il loro prezioso valore storico architettonico attendono di poter tornare all'antico splendore;
    una parte importante delle risorse stanziate da Governo e Regione risultano tuttora non utilizzate a causa delle lungaggini burocratiche che rallentano l'attività di ricostruzione;
    a nulla servono le polemiche nel rimpallo di responsabilità tra istituzioni che si registra a mezzo stampa circa i presunti ritardi rischiando di alimentare un già forte clima di risentimento tra i cittadini interessati;
    nei giorni scorsi nei comuni interessati si sono svolte importanti e partecipate manifestazioni di commemorazione del devastante evento che ha colpito queste comunità;
    è in scadenza lo stato di emergenza per consentire il completamento degli interventi di protezione civile già in atto;
    occorre reperire ulteriori risorse al fine di consentire un più rapido ed efficace intervento di ristoro dei danni per una comunità tuttora segnata dall'evento calamitoso,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prorogare in tempi rapidi lo stato di emergenza anche in riferimento alla contabilità speciale in gestione ordinaria, di licenziare al più presto i decreti attuativi delle disposizioni previste dalla legge n. 208 del 2015 (legge stabilità 2016) circa l'accesso ai mutui per la ricostruzione con copertura pari a 1,5 milioni di euro, nonché di rafforzare i poteri di semplificazione burocratica al fine di velocizzare l’iter di approvazione dei progetti di ripristino e messa in sicurezza dei siti colpiti, e prevedere, in considerazione delle difficoltà presenti, ulteriori risorse per il completamento degli interventi in favore dei comuni colpiti dal tornado dell'8 luglio 2015.
9/3926-A-R/7. (Testo modificato nel corso della seduta).  Martella, Mognato, Murer, Moretto, Zoggia, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    le norme nazionali e regionali che hanno regolamentato la fusione e l'unificazione dei comuni hanno generalmente previsto l'assegnazione di contributi straordinari alle amministrazioni per sostenere gli oneri derivati da tale determinazione. Questo principio di premialità è affermato dall'articolo 20 della legge 7 agosto 2012, n. 135, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95: «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini, nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario» e più recentemente anche dall'articolo 1 comma 18 della legge 28 dicembre 2015, n. 208: Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2016);
    l'articolo 10 della legge 7 agosto 2015 n.124 «Riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura» ha delegato il Governo ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore, un decreto legislativo per la riforma dell'organizzazione, delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, anche mediante la modifica della legge 29 dicembre 1993, n. 580, come modificata dal decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 23, e il conseguente riordino delle disposizioni che regolano la relativa materia;
    le camere di commercio «Deltalagunare» di Venezia-Rovigo, del Molise che accorpa Campobasso ed Isernia, delle «Riviere di Liguria» – Imperia, La Spezia e Savona, di Treviso-Belluno e Biella – Vercelli hanno concluso, per prime in Italia, il processo di accorpamento volontario previsto dall'articolo dall'articolo 1 comma 5 della legge n. 580 del 1993, anticipando i decreti che il Governo dovrà emanare, conseguenti alla Delega ricevuta;
    il decreto-legge n. 90 del 2014, ha operato una forte riduzione delle entrate delle Camere di commercio, con un taglio del diritto annuale rispetto al 2014 del 35 per cento per il 2015, del 40 per cento nel 2016 e del 50 per cento per il 2017. Le minori entrate hanno costretto le camere di commercio italiane negli ultimi anni, a ridurre fortemente i servizi alle imprese in particolare quelli promozionali di sostegno all'internazionalizzazione, di accesso al credito per le piccole e medie imprese, di aiuto allo sviluppo di programmi finalizzati alla commercializzazione dei prodotti, all'innovazione ed alla digitalizzazione delle imprese;
    le Camere di commercio, le Unioni regionali e l'Unioncamere – inserite nel cd elenco Istat – sono tenute, come altre pubbliche amministrazioni in base alla normativa vigente, ad operare una serie di risparmi su diverse tipologie di spesa e a versare l'ammontare risparmiato al bilancio dello Stato. Si tratta in particolare della normativa, stratificata negli ultimi anni, che impone di conseguire risparmi su incarichi di studio e consulenza, spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e spese di rappresentanza, spese per missioni, spese su autovetture, consumi intermedi, eccetera;
    le camere di commercio di Venezia-Rovigo, del Molise, delle «Riviere di Liguria» Imperia, La Spezia e Savona, di Treviso-Belluno e Biella – Vercelli devono versare per l'anno 2016 complessivamente a euro 2,162.173,09, che assommato alla riduzione del diritto annuale sopra richiamata significa, di fatto, un ulteriore taglio di servizi ed impoverimento dei territori;

impegna il Governo:

a estendere alle camere di commercio che si sono accorpate o che si accorperanno, in seguito all'entrata in vigore dei decreti di riforma previsti dall'articolo 10 della legge 7 agosto 2015 n. 124 «Riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura», misure normative di premialità analoghe a quelle previste per le fusioni di amministrazioni comunali, per consentire alle predette camere di commercio di utilizzare direttamente i risparmi derivanti dall'applicazione delle norme di contenimento della spesa, previste dalla legislazione vigente a carico dei soggetti inclusi nell'elenco delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n.196, per il finanziamento di programmi di sostegno delle imprese delle rispettive circoscrizioni territoriali.
9/3926-A-R/8Rubinato, Moretto, Crivellari, Mognato, Zoggia, De Menech, Martella, Murer, Rotta, Crimì, Zardini, Casellato, Miotto, Venittelli, Causin, Rostellato, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    le norme nazionali e regionali che hanno regolamentato la fusione e l'unificazione dei comuni hanno generalmente previsto l'assegnazione di contributi straordinari alle amministrazioni per sostenere gli oneri derivati da tale determinazione. Questo principio di premialità è affermato dall'articolo 20 della legge 7 agosto 2012, n. 135, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95: «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini, nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario» e più recentemente anche dall'articolo 1 comma 18 della legge 28 dicembre 2015, n. 208: Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2016);
    l'articolo 10 della legge 7 agosto 2015 n.124 «Riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura» ha delegato il Governo ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore, un decreto legislativo per la riforma dell'organizzazione, delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, anche mediante la modifica della legge 29 dicembre 1993, n. 580, come modificata dal decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 23, e il conseguente riordino delle disposizioni che regolano la relativa materia;
    le camere di commercio «Deltalagunare» di Venezia-Rovigo, del Molise che accorpa Campobasso ed Isernia, delle «Riviere di Liguria» – Imperia, La Spezia e Savona, di Treviso-Belluno e Biella – Vercelli hanno concluso, per prime in Italia, il processo di accorpamento volontario previsto dall'articolo dall'articolo 1 comma 5 della legge n. 580 del 1993, anticipando i decreti che il Governo dovrà emanare, conseguenti alla Delega ricevuta;
    il decreto-legge n. 90 del 2014, ha operato una forte riduzione delle entrate delle Camere di commercio, con un taglio del diritto annuale rispetto al 2014 del 35 per cento per il 2015, del 40 per cento nel 2016 e del 50 per cento per il 2017. Le minori entrate hanno costretto le camere di commercio italiane negli ultimi anni, a ridurre fortemente i servizi alle imprese in particolare quelli promozionali di sostegno all'internazionalizzazione, di accesso al credito per le piccole e medie imprese, di aiuto allo sviluppo di programmi finalizzati alla commercializzazione dei prodotti, all'innovazione ed alla digitalizzazione delle imprese;
    le Camere di commercio, le Unioni regionali e l'Unioncamere – inserite nel cd elenco Istat – sono tenute, come altre pubbliche amministrazioni in base alla normativa vigente, ad operare una serie di risparmi su diverse tipologie di spesa e a versare l'ammontare risparmiato al bilancio dello Stato. Si tratta in particolare della normativa, stratificata negli ultimi anni, che impone di conseguire risparmi su incarichi di studio e consulenza, spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e spese di rappresentanza, spese per missioni, spese su autovetture, consumi intermedi, eccetera;
    le camere di commercio di Venezia-Rovigo, del Molise, delle «Riviere di Liguria» Imperia, La Spezia e Savona, di Treviso-Belluno e Biella – Vercelli devono versare per l'anno 2016 complessivamente a euro 2,162.173,09, che assommato alla riduzione del diritto annuale sopra richiamata significa, di fatto, un ulteriore taglio di servizi ed impoverimento dei territori;

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità di estendere alle camere di commercio che si sono accorpate o che si accorperanno, in seguito all'entrata in vigore dei decreti di riforma previsti dall'articolo 10 della legge 7 agosto 2015 n. 124 «Riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura», misure normative di premialità analoghe a quelle previste per le fusioni di amministrazioni comunali, per consentire alle predette camere di commercio di utilizzare direttamente i risparmi derivanti dall'applicazione delle norme di contenimento della spesa, previste dalla legislazione vigente a carico dei soggetti inclusi nell'elenco delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n.196, per il finanziamento di programmi di sostegno delle imprese delle rispettive circoscrizioni territoriali.
9/3926-A-R/8. (Testo modificato nel corso della seduta).  Rubinato, Moretto, Crivellari, Mognato, Zoggia, De Menech, Martella, Murer, Rotta, Crimì, Zardini, Casellato, Miotto, Venittelli, Causin, Rostellato, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    i 28 teatri di tradizione rappresentati da ATIT (Associazione Teatri Italiani di Tradizione), sono istituzioni qualificate a livello nazionale e internazionale;
    in comune hanno un radicamento in aree del territorio dove è forte la tradizione artistico-culturale e una produzione articolata tra repertorio e innovazione anche grazie all'impegno di numerosi giovani artisti;
    la loro vocazione è multidisciplinare (lirica, danza, prosa, musica sinfonica e da camera) e per questo rappresentano un comparto unico nel panorama dello spettacolo dal vivo in Italia;
    il loro programma di eventi, a differenza di molte altre realtà che propongono un cartellone stagionale, si svolge sull'arco dei 12 mesi, facendo spesso registrare un numero di spettatori superiore a quello degli abitanti della località nella quale si trovano;
    inoltre, tali istituzioni, per la loro prossimità al territorio, non si limitano a diffondere cultura, ma coinvolgono l'intera comunità proponendo laboratori, progetti con le scuole, rappresentando non di rado l'unica opportunità di socializzazione oltre che l'opportunità di assistere a spettacoli dal vivo per la popolazione residente;
    questi teatri creano altresì opportunità di lavoro per i giovani proponendo loro percorsi formativi e avvicinandoli a mestieri dello spettacolo dal vivo, interagendo per questo con Conservatori e Accademie di belle arti, realtà molto dinamiche nel nostro Paese;
    il provvedimento, all'articolo 24, reca misure in favore delle fondazioni lirico-sinfoniche ma non prende in considerazione il settore dei teatri di tradizione,

impegna il Governo

affinché nei prossimi provvedimenti vengano adottate misure volte a sostenere, analogamente a quanto disposto dall'articolo 24 per le fondazioni lirico-sinfoniche, l'attività e lo sviluppo di questi teatri, il cui dinamismo genera un effetto moltiplicatore della vivacità e ricchezza culturale delle città, a valorizzare la loro presenza sul territorio, nonché la rete e le sinergie che queste istituzioni creano con le altre realtà locali, dal momento che non si limitano ad offrire spettacoli multidisciplinari, ma rappresentano un'opportunità di lavoro e di socializzazione per l'intera comunità.
9/3926-A-R/9(versione corretta)Vezzali.


   La Camera,
   premesso che:
    dal 1o gennaio sono aumentati di 2,5 euro tutti i biglietti aerei, fatta eccezione di quelli per destinazioni nazionali. Lo stabilisce un decreto interministeriale Lavoro-Economia-Trasporti datato 29 ottobre, in vigore dal 1o gennaio 2016;
    questo decreto, attuativo della legge n. 9 del 2014, che ha istituito il Fondo di solidarietà per il trasporto aereo, meglio conosciuto come Fondo «salva Alitalia». Un Fondo che, in applicazione appunto di questa legge, ha garantito a tutto il personale delle compagnie aeree in crisi, sospeso o licenziato, 7 anni di mobilità e di cassa integrazione complessivi con importi pari all'80 per cento della retribuzione;
    il costo di tutti questi trattamenti, garantiti da un Fondo di solidarietà giuridicamente definito «autofinanziato» è stato posto a carico del Bilancio dello Stato, e, per una parte residuale, di tutti coloro che comprano un biglietto aereo;
    questa ulteriore e gravosissima tassa è stata aumentata repentinamente e reiteratamente, fino al 31 dicembre 2015 è stata di 6,5 euro in tutti gli aeroporti italiani, tranne Roma: a Ciampino e a Fiumicino si devono infatti pagare 7,5 euro. Nel 2017 si dovranno infatti pagare 2,14 euro in più e nel 2018 ulteriori 2,34 euro, in modo da arrivare dal 1o gennaio 2018 ad una tassa di imbarco aggiuntiva di 10,78 euro in tutti gli aeroporti, tranne i due di Roma in cui si pagheranno 11,78 euro;
    tale addizionale nel triennio 2016/2018 dovrebbe generare un finanziamento aggiuntivo di 184 milioni di euro l'anno a questo Fondo «autofinanziato»;
    l'applicazione di questa norma ha generato la chiusura delle basi situate ad Alghero e Pescara, di 16 rotte (8 ad Alghero, il 60 per cento; 5 a Pescara, il 70 per cento e tutte le 3 di Crotone) e di un aeroporto, con il conseguente taglio di 600 posti di lavoro e la perdita di 800 mila clienti;
    la decisione assunta dalla compagnia Ryanair è direttamente connessa, oltre alla gestione irresponsabile della Regione sarda sul piano del contributo co-marketing, alla decisione del Governo italiano di aumentare dal primo gennaio le tasse aeroportuali di 2,5 euro;
    l'aumento delle tasse aeroportuali sta generando un danno senza precedenti sia per quanto riguarda il comparto turistico che per le ricadute economiche che provocano una perdita rilevante nelle stesse entrate fiscali;
    si tratta di una decisione che danneggia il turismo italiano e costituisce un vero e proprio tsunami per la Sardegna;
    si tratta di una tassa «illogica» perché danneggia il sistema turismo e il Governo per raccogliere pochi milioni a favore di Alitalia causa alle Regioni perdite per centinaia di milioni di spesa turistica;
    una nuova tassa municipale che fa perdere un'occasione per crescere, mentre in altre realtà come la Spagna, per esempio, si aprono orizzonti straordinari;
    tale tassa è ancora più gravosa per le regioni insulari e per la Sardegna in particolar modo che sul sistema delle compagnie low cost aveva sviluppato sin dal 1999 e poi in termini strategici dal 2002 un piano straordinario di sviluppo turistico che è arrivato a movimentare oltre 3.500.000 passeggeri;
    è proprio la condizione insulare a rendere indispensabile l'esonero totale per le regioni insulari che non possono essere gravate di ulteriori balzelli che generano danni rilevanti e insostenibili sia sul piano economico che sociale;
    è indispensabile prevedere l'esenzione dei collegamenti da e per le regioni insulari da tasse aeroportuali e addizionali sul trasporto marittimo o aereo;
    è indispensabile prevedere l'abrogazione dell'articolo 2, comma 11, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 e successive modificazioni ed integrazioni, che istituisce l'addizionale comunale sui diritti d'imbarco di passeggeri sugli aeromobili;
    è indispensabile prevedere la revoca del decreto 29 ottobre 2015 definizione della misura dell'incremento dell'addizionale comunale sui diritti di imbarco da destinare all'Inps,

impegna il Governo:

   a prevedere che i collegamenti da e per le regioni insulari siano esentati da tasse aeroportuali e addizionali sul trasporto aereo;
   ad abrogare integralmente l'articolo 2, comma 11, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 e successive modificazioni ed integrazioni, che istituisce l'addizionale comunale sui diritti d'imbarco di passeggeri sugli aeromobili;
   ad abrogare il decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti, di concerto con quello dell'economia – 29 ottobre 2015 recante definizione della misura dell'incremento dell'addizionale comunale sui diritti di imbarco da destinare all'Inps e conseguentemente revocare ogni incremento addizionale sui diritti d'imbarco.
9/3926-A-R/10Pili, Murgia.


   La Camera,
   premesso che:
    in sede di conversione del decreto-legge 24 giugno 2016 n. 113 avente ad oggetto «Misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio» all'interno del quale sono immediatamente operativi, a far data dall'entrata in vigore del provvedimento il 25 giugno 2016, alcuni importanti effetti sulle assunzioni del personale degli enti locali;
    in particolare, con le disposizioni contenute nell'articolo 16 viene abrogato l'articolo 1 comma 557, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, la lettera a), a mente del quale è prevista la «riduzione dell'incidenza percentuale delle spese di personale rispetto al complesso delle spese correnti, attraverso parziale reintegrazione dei cessati e contenimento della spesa per il lavoro flessibile»;
    la ratio di tale abrogazione, discende da alcuni interventi della Corte dei conti, Sezione Autonomie (ultimo dei quali deliberazione n. 16/2016), la quale ha considerato cogente tale riduzione ai fini assunzionali. Pertanto, con tale intervento il legislatore ha fatto venire meno l'obbligo di riduzione del rapporto spesa del personale su spesa corrente, il cui rapporto, ogni anno, avrebbe dovuto essere confrontato con il valore medio avuto nel periodo statico 2011-2013 e in caso di superamento, a prescindere da eventi eccezionali, inibiva la possibilità di assunzioni a qualsiasi titolo da parte degli enti locali. Restano, tuttavia, fermi gli altri vincoli e limitazioni previsti dalla normativa ancora vigente;
    rispetto a tale previsione è sicuramente apprezzabile la nuova previsione introdotta durante l'esame del provvedimento in Commissione Bilancio che introduce un allentamento del blocco del turn over per i comuni con popolazione inferiore a 10.000 abitanti, che non siano sottoposti al patto di stabilità interno e che presentino un rapporto dipendenti-popolazione inferiore a quello medio nazionale per la stessa classe demografica;
    la fissazione comunque di un limite di popolazione pari a 10.000 abitanti, non tiene debitamente conto della situazione dei comuni con popolazione superiore a detto limite, a differenza di quanto previsto nel decreto del Ministro dell'interno adottato in attuazione dell'articolo 263, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di tener conto della situazione dei comuni compresi nella fascia di popolazione tra 10.000 e 20.000 abitanti auspicando, a breve, per il tramite di un ulteriore intervento legislativo la possibilità di introdurre misure volte a consentire ai predetti comuni, fermo rimanendo il vincolo del rispetto del pareggio di bilancio, di procedere ad assunzioni di personale superando i limiti attualmente stabiliti.
9/3926-A-R/11Pastorelli, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 23-bis del presente decreto-legge sono previste Misure per la competitività della filiera e il miglioramento della qualità dei prodotti cerealicoli e lattiero-caseari;
    in considerazione del persistere di una crisi che sta determinando gravi difficoltà agli operatori dei suddetti settori in particolare nel Mezzogiorno si ritiene opportuno anche valorizzare i prodotti di eccellenza del nostro comparto agroalimentare;
    lo strumento dei contratti di filiera rappresenta sicuramente una importante opportunità soprattutto per i territori maggiormente in difficoltà,

impegna il Governo

a promuovere entro 60 giorni dalla conversione in legge del presente provvedimento, d'intesa con le organizzazioni di categoria e le istituzioni locali, uno specifico contratto di filiera per il comparto cerealicolo e per il settore lattiero caseario per quel che concerne la provincia di Reggio Calabria al fine di rilanciare un segmento importante dell'economia territoriale.
9/3926-A-R/12Battaglia.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 23-bis del presente decreto-legge sono previste Misure per la competitività della filiera e il miglioramento della qualità dei prodotti cerealicoli e lattiero-caseari;
    in considerazione del persistere di una crisi che sta determinando gravi difficoltà agli operatori dei suddetti settori in particolare nel Mezzogiorno si ritiene opportuno anche valorizzare i prodotti di eccellenza del nostro comparto agroalimentare;
    lo strumento dei contratti di filiera rappresenta sicuramente una importante opportunità soprattutto per i territori maggiormente in difficoltà,

impegna il Governo

a promuovere, d'intesa con le organizzazioni di categoria e le istituzioni locali, uno specifico contratto di filiera per il comparto cerealicolo e per il settore lattiero caseario per quel che concerne la provincia di Reggio Calabria al fine di rilanciare un segmento importante dell'economia territoriale.
9/3926-A-R/12. (Testo modificato nel corso della seduta).  Battaglia.


   La Camera,
   premesso che:
    in base all'articolo 13-ter, del presente decreto-legge concernente la Riduzione dell'addizionale comunale sui diritti di imbarco per il 2016;
    l'obiettivo è quello di sostenere le prospettive di crescita del settore aereo e di ridurre gli oneri a carico dei passeggeri, puntando ad una riduzione dell'applicazione dell'addizionale comunale sui diritti di imbarco stabilito ai sensi dell'articolo 13, comma 23, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9;
    la sospensione dal 1o settembre al 31 dicembre 2016 rappresenta un importante risultato;
    tuttavia soprattutto per quanto riguarda la Sicilia esiste un problema di tariffe applicate ai viaggiatori che rendono il biglietto economicamente insostenibile con biglietti sulla tratta Roma-Catania, Roma-Palermo che giungono a costare anche 500 euro;
    per un territorio gravato da atavico isolamento il mezzo aereo costituisce un fattore imprescindibile per il diritto alla mobilità;
    l'elevato costo economico dei biglietti aerei in particolare praticati da Alitalia costituisce un impedimento notevole per una parte rilevante della popolazione;

impegna il Governo

anche in relazione a quanto previsto dal suddetto decreto a prevedere la convocazione di un tavolo in sede ministeriale presso il MIT al fine di affrontare la questione del caro-biglietti aereo lungo le tratte che interessano la Sicilia al fine di declinare sul serio il principio della continuità territoriale consentendo un pieno esercizio del diritto alla mobilità.
9/3926-A-R/13Burtone.


   La Camera,
   premesso che:
    alcuni enti locali hanno proceduto alla revisione dei residui nel corso degli esercizi 2012, 2013 o 2014, antecedentemente al riaccertamento straordinario di cui all'articolo 3, comma 7 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, risultando così obbligati a ripianare il disavanzo così emerso nel ristretto termine triennale previsto ordinariamente dall'articolo 193 del Testo unico Enti locali (decreto legislativo n. 267 del 2000);
    altri enti locali si trovano in condizioni analoghe a seguito dell'apertura della procedura di riequilibrio finanziario di cui all'articolo 243-bis del TUEL (cosiddetto predissesto), che obbliga ad una revisione straordinaria dei residui e alla determinazione di un piano di rientro di durata decennale a fronte dell'emersione di squilibri di entità di norma molto rilevante;
    tali enti si trovano pertanto nella condizione di non aver potuto usufruire del dispositivo di ripiano di cui al citato decreto legislativo n. 118 del 2011 che consente opportunamente il ripiano del disavanzo emergente dalla revisione straordinaria dei residui in un congruo lasso di tempo (fino a un trentennio), proprio in ragione della straordinarietà dell'operazione e della possibile insostenibilità di rientri più ravvicinati;
    un intervento di riordino delle modalità di accesso alla procedura generalizzata di revisione straordinaria dei residui e di ripiano degli eventuali disavanzi da questa determinati secondo i criteri del decreto legislativo n. 118 del 2011 consentirebbe di uniformare a favore di tutti gli enti locali i meccanismi di ripiano trentennali previsti dal decreto del Ministero dell'economia e delle finanze 2 aprile 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 89 del 17 aprile 2015;
    tale intervento permetterebbe di scongiurare i rischi di insostenibilità dei ripiani attualmente adottati dagli enti locali di cui in premessa in base a regimi preesistenti e meno favorevoli, anche a fronte delle rilevanti restrizioni finanziarie cui gli enti locali sono stati sottoposti nel quinquennio 2011-2015 che hanno ridotto il volume di risorse sul quale le ipotesi di rientro erano state a suo tempo formulate;
    tra le motivazioni di un intervento riparatore va ascritta altresì l'entrata in vigore della riforma della contabilità che dal 2015 ha attivato strumenti, attualmente in progressiva integrale attuazione, che abbattono i rischi di formazione di nuovi disavanzi occulti attraverso la sopravvalutazione degli accertamenti in entrata e la sottovalutazione degli impegni derivanti da obbligazioni di qualsiasi natura, come avveniva in più di un caso nel regime contabile previgente,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire al fine di assicurare agli enti locali che abbiano effettuato la revisione straordinaria dei residui, per effetto di sentenze della Corte dei Conti o dell'avvio delle procedure di cui all'articolo 243-bis TUEL, in un momento antecedente a quanto previsto dalla revisione straordinaria di cui al decreto legislativo n. 118 del 2011 e che abbiano attivato un conseguente percorso di riequilibrio, di poter accedere alla revisione di cui a quest'ultima norma, consentendo loro la riformulazione del riaccertamento dei residui in tempi brevi e comunque entro la fine del corrente anno, nonché la copertura del disavanzo derivante secondo le modalità e nell'arco temporale di cui alle norme relative al passaggio alla nuova contabilità e, segnatamente, di cui al decreto del Ministero dell'economia e delle finanze 2 aprile 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 89 del 17 aprile 2015.
9/3926-A-R/14Arlotti, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 22 del provvedimento in esame, interviene su due delle maggiori criticità in materia ambientale, sulle quali l'Unione europea ha emesso sentenze di condanna nei confronti del nostro Paese: la mancata messa a norma delle discariche abusive oggetto della sentenza di condanna della Corte di Giustizia dell'UE del 2 dicembre 2014 (relativa alla procedura di infrazione n. 2003/2007); e l'attuazione degli interventi di depurazione delle acque necessari per conformarsi alle norme della direttiva 91/271/CEE in materia di trattamento delle acque reflue urbane, per il cui mancato rispetto la Corte di Giustizia ha emesso due sentenze di condanna nei confronti dell'Italia;
    al di là delle gravi e intollerabili responsabilità del Governo centrale e degli enti territoriali nei ritardi, nella gestione e nella risoluzione delle numerose emergenze e criticità ambientali, rimane comunque l'esigenza di garantire e rafforzare le attività di monitoraggio e di controllo ambientale e sanitario su nostro territorio nazionale al fine di renderli realmente efficaci;
    sotto questo aspetto è decisiva l'attività di controllo ambientale che viene quotidianamente svolta dall'Ispra e dalle Agenzie ambientali;
    sono anni che le citate agenzie ambientali lamentano una insufficienza di risorse a loro disposizioni, così come una carenza dei loro organici, sia a tempo indeterminato che a tempo determinato;
    la legge n. 132 del 2016, recentemente approvata dal Parlamento, ha riformato il sistema delle agenzie ambientali, attraverso sostanziali innovazioni organizzative e di funzionamento con l'obiettivo di perseguire un livello sempre più alto di tutela ambientale; l'obiettivo è principalmente quello di rafforzare un Sistema nazionale a rete per la protezione ambientale, composto dall'ISPRA, quale polo nazionale, e dalle Agenzie regionali, quali poli regionali e territoriali, dotando il Paese di una vera e propria rete nazionale di soggetti tecnici in grado di assicurare ancora di più omogeneità (soprattutto a livello territoriale) ed efficacia all'esercizio dell'azione conoscitiva e di controllo pubblico dell'ambiente, a supporto delle politiche di protezione ambientale;
    di fronte a questi importanti, nuovi e più delicati compiti assegnati all'ISPRA e alle Agenzie ambientali, le risorse, così come il personale impiegato, si confermano però del tutto insufficienti, rischiando così di compromettere l'effettiva piena attuazione delle disposizioni contenute nel provvedimento. La gran parte delle risorse per il finanziamento dell'ISPRA e delle Agenzie, rimangono sostanzialmente quelle già disponibili a legislazione vigente,

impegna il Governo

a prevedere, fin dalla prossima legge di stabilità, maggiori risorse da destinare al Sistema nazionale delle agenzie ambientali di cui alla legge n. 132 del 2016, al fine di garantire un reale ed efficace controllo ambientale, e consentirgli, anche in eventuale deroga ai limiti assunzionali e finanziari vigenti, di poter implementare il personale impiegato, attualmente del tutto insufficiente e inadeguato ai nuovi compiti che la recente citata legge gli assegna.
9/3926-A-R/15Zaratti, Pellegrino, Marcon, Melilla, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 22 del provvedimento in esame, interviene su due delle maggiori criticità in materia ambientale, sulle quali l'Unione europea ha emesso sentenze di condanna nei confronti del nostro Paese: la mancata messa a norma delle discariche abusive oggetto della sentenza di condanna della Corte di Giustizia dell'UE del 2 dicembre 2014 (relativa alla procedura di infrazione n. 2003/2007); e l'attuazione degli interventi di depurazione delle acque necessari per conformarsi alle norme della direttiva 91/271/CEE in materia di trattamento delle acque reflue urbane, per il cui mancato rispetto la Corte di Giustizia ha emesso due sentenze di condanna nei confronti dell'Italia;
    al di là delle gravi e intollerabili responsabilità del Governo centrale e degli enti territoriali nei ritardi, nella gestione e nella risoluzione delle numerose emergenze e criticità ambientali, rimane comunque l'esigenza di garantire e rafforzare le attività di monitoraggio e di controllo ambientale e sanitario su nostro territorio nazionale al fine di renderli realmente efficaci;
    sotto questo aspetto è decisiva l'attività di controllo ambientale che viene quotidianamente svolta dall'Ispra e dalle Agenzie ambientali;
    sono anni che le citate agenzie ambientali lamentano una insufficienza di risorse a loro disposizioni, così come una carenza dei loro organici, sia a tempo indeterminato che a tempo determinato;
    la legge n. 132 del 2016, recentemente approvata dal Parlamento, ha riformato il sistema delle agenzie ambientali, attraverso sostanziali innovazioni organizzative e di funzionamento con l'obiettivo di perseguire un livello sempre più alto di tutela ambientale; l'obiettivo è principalmente quello di rafforzare un Sistema nazionale a rete per la protezione ambientale, composto dall'ISPRA, quale polo nazionale, e dalle Agenzie regionali, quali poli regionali e territoriali, dotando il Paese di una vera e propria rete nazionale di soggetti tecnici in grado di assicurare ancora di più omogeneità (soprattutto a livello territoriale) ed efficacia all'esercizio dell'azione conoscitiva e di controllo pubblico dell'ambiente, a supporto delle politiche di protezione ambientale;
    di fronte a questi importanti, nuovi e più delicati compiti assegnati all'ISPRA e alle Agenzie ambientali, le risorse, così come il personale impiegato, si confermano però del tutto insufficienti, rischiando così di compromettere l'effettiva piena attuazione delle disposizioni contenute nel provvedimento. La gran parte delle risorse per il finanziamento dell'ISPRA e delle Agenzie, rimangono sostanzialmente quelle già disponibili a legislazione vigente,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere, fin dalla prossima legge di stabilità, maggiori risorse da destinare al Sistema nazionale delle agenzie ambientali di cui alla legge n. 132 del 2016, al fine di garantire un reale ed efficace controllo ambientale, e consentirgli, anche in eventuale deroga ai limiti assunzionali e finanziari vigenti, di poter implementare il personale impiegato, attualmente del tutto insufficiente e inadeguato ai nuovi compiti che la recente citata legge gli assegna.
9/3926-A-R/15. (Testo modificato nel corso della seduta).  Zaratti, Pellegrino, Marcon, Melilla, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 17 del provvedimento in esame, reca disposizioni in materia di assunzioni (in deroga alla normativa vigente) a tempo indeterminato effettuate dai comuni relativamente al personale educativo e scolastico delle scuole d'infanzia e degli asili nido; un altro comparto della Pubblica amministrazione che soffre particolarmente la carenza di personale, il che conseguentemente si traduce in una riduzione insostenibile nella quantità e nella qualità dei servizi garantiti ai cittadini, è certamente quello della sanità pubblica; il Capo II, pur prevedendo misure in materia sanitaria, non interviene però, come sarebbe stato necessario, sul personale del Servizio sanitario e sulla necessità di prevedere un suo indispensabile incremento, oltre che alla stabilizzazione del personale precario; accanto alla già troppe volte denunciata carenza di personale medico, che impedisce di fatto il nostro Paese ad adeguarsi alla direttiva 93/104/CE sull'organizzazione dell'orario di lavoro del personale medico e sanitario, si aggiungono i risultati della recentissima indagine della Federazione Ipasvi, la Federazione dei Collegi degli infermieri, che ha condotto un'analisi regione per regione della condizione della forza lavoro infermieristica nelle regioni italiane;
    dalla citata Indagine si conferma ancora una volta la carenza di personale infermieristico. Una carenza stimata in oltre 47 mila infermieri per poter raggiungere livelli accettabili, e garantire sicurezza e servizi efficienti ai cittadini;
    come evidenziato, chi lavora lo fa con troppe difficoltà: retribuzioni ridotte in valore assoluto nei cinque anni di 70 euro, ma in termini di potere di acquisto almeno del 25 per cento; un rapporto infermieri/medici che a livello ottimale sarebbe di 3 a 1, ma in alcune regioni si ferma a malapena a 2; turni massacranti testimoniati, nelle regioni in piano di rientro, da un significativo aumento della spesa per straordinari che raggiunge punte anche di oltre il 4,5 per cento della retribuzione;
    dall'indagine emergono inoltre anche altri dati, come quello dell'età media dei professionisti «che aumenta per il mancato ricambio generazionale, con una percentuale di infermieri over 50; che pesano il 69 per cento circa sugli infermieri fino a 65 anni di età»;
    così come è indispensabile riconoscere e valorizzare quei profili professionali, quali gli Operatori socio sanitari, indispensabili per rafforzare il sistema assistenziale e contribuire a far funzionare al meglio il nostro sistema sanitario,

impegna il Governo

anche alla luce delle criticità esposte in premessa, a stanziare le opportune risorse finanziarie – prevedendo le eventuali deroghe alla normativa vigente in materia – volte a consentire lo sblocco del turn-over nel SSN, con riguardo al personale sanitario, infermieristico e socio sanitario di supporto.
9/3926-A-R/16Paglia, Gregori, Nicchi, Marcon, Melilla, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame tratta misure urgenti per gli enti territoriali;
    gli amministratori delle Città metropolitane, in particolare i consiglieri metropolitani delegati, in relazione al proprio status giuridico si trovano ad operare in una situazione gravosa cui è assolutamente urgente porre rimedio;
    ai sensi dell'articolo 79 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (TUEL), infatti, i consiglieri metropolitani delegati hanno diritto ad assentarsi dal lavoro per partecipare all'attività del Consiglio metropolitano, dei coordinamenti dei consiglieri delegati (giunte metropolitane) delle commissioni consiliari permanenti formalmente istituite, delle Associazioni degli Enti Locali (ANCI, Consiglio Autonomie Locali, eccetera), attività e tempi di espletamento del mandato, documentati in ogni caso mediante attestazione del segretario dell'organo alla cui riunione il consigliere delegato partecipa;
    al consigliere delegato metropolitano, lavoratore dipendente, è riconosciuta la possibilità di usufruire, oltre che dei permessi per la partecipazione agli organi sopra richiamati, di ulteriori 24 ore lavorative al mese retribuite (articolo 79, comma 4 TUEL) per l'espletamento del proprio mandato;
    la norma prevede, altresì, che tale monte ore (24 ore/mese) è elevabile a 48 ore per «sindaci, presidenti delle province, sindaci metropolitani, presidenti delle comunità montane, presidenti dei consigli provinciali e dei comuni con popolazione superiore a 30.000 abitanti», non consentendo, dunque, tale elevabilità ai consiglieri metropolitani delegati;
    peraltro, per il lavoratore dipendente, le disposizioni normative attuali prevedono, altresì, il diritto ad ulteriori permessi non retribuiti sino ad un massimo di 24 ore lavorative mensili, qualora risultino necessari per l'espletamento del mandato (articolo 79, comma 5, Tuel);
    è evidente, dunque, che le 24 ore mensili retribuite di cui il lavoratore dipendente può usufruire per esercitare tutte le attività connesse all'espletamento del proprio mandato con delega, risultano essere del tutto inadeguate per chi si trova a dover affrontare un impegno che lo sottopone, al pari dell'Assessore del Comune capoluogo, ad una responsabilità e ad un'occupazione costanti;
    si sottolinea, inoltre, che il regime previsto dall'articolo 81 del TUEL circa la possibilità di richiesta al collocamento in aspettativa non retribuita per tutto il periodo di espletamento del mandato, al fine di poter ottemperare al meglio all'incarico amministrativo, risulta essere impraticabile nel caso di specie, in quanto non è prevista per i consiglieri metropolitani delegati alcuna indennità sostitutiva;
    l'articolo 1, comma 24 della legge n. 56 del 2014 prevede, infatti, quale disposizione specifica per gli amministratori delle Città metropolitane, che «L'incarico di sindaco metropolitano, di consigliere metropolitano e di componente della conferenza metropolitana, anche con riferimento agli organi di cui ai commi da 12 a 18 è esercitato a titolo gratuito». Pertanto, sebbene l'articolo 82 del TUEL (come modificato dalla legge n. 296 del 2006, a decorrere dal 1o gennaio 2007) preveda una indennità di funzione «per il sindaco, il presidente della provincia, il sindaco metropolitano, il presidente della comunità montana, i presidenti dei consigli circoscrizionali dei soli comuni capoluogo di provincia, i presidenti dei consigli comunali e provinciali, nonché i componenti degli organi esecutivi dei comuni e ove previste delle loro articolazioni, delle province, delle città metropolitane, delle comunità montane, delle unioni di comuni e dei consorzi fra enti locali», disponendo altresì il dimezzamento di tale indennità per i lavoratori dipendenti che non abbiano richiesto l'aspettativa, il combinato disposto con la citata norma della legge n. 56 del 2014 non dà diritto a percepire alcuna indennità;
    considerato che, conseguentemente, al consigliere metropolitano delegato, che di fatto svolge, in ragione della delega ricevuta dal Sindaco metropolitano, un'attività del tutto equiparabile a quella di un Assessore del Comune capoluogo, ad oggi è invece attribuito uno status giuridico inferiore,

impegna il Governo

a intervenire normativamente in tempi urgenti sullo status giuridico del consigliere metropolitano delegato che, a fronte dell'impegno gravoso richiesto dall'assunzione della delega, svolge il proprio ruolo solo con sacrificio personale e correlato nocumento economico, in costanza di un regime normativo che gli attribuisce solo 24 ore/mese retribuite per lo svolgimento delle attività connesse all'espletamento del mandato e senza un'indennità sostitutiva che gli consenta di optare per il regime dell'aspettativa non retribuita.
9/3926-A-R/17Quaranta.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame tratta misure urgenti per gli enti territoriali;
    gli amministratori delle Città metropolitane, in particolare i consiglieri metropolitani delegati, in relazione al proprio status giuridico si trovano ad operare in una situazione gravosa cui è assolutamente urgente porre rimedio;
    ai sensi dell'articolo 79 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (TUEL), infatti, i consiglieri metropolitani delegati hanno diritto ad assentarsi dal lavoro per partecipare all'attività del Consiglio metropolitano, dei coordinamenti dei consiglieri delegati (giunte metropolitane) delle commissioni consiliari permanenti formalmente istituite, delle Associazioni degli Enti Locali (ANCI, Consiglio Autonomie Locali, eccetera), attività e tempi di espletamento del mandato, documentati in ogni caso mediante attestazione del segretario dell'organo alla cui riunione il consigliere delegato partecipa;
    al consigliere delegato metropolitano, lavoratore dipendente, è riconosciuta la possibilità di usufruire, oltre che dei permessi per la partecipazione agli organi sopra richiamati, di ulteriori 24 ore lavorative al mese retribuite (articolo 79, comma 4 TUEL) per l'espletamento del proprio mandato;
    la norma prevede, altresì, che tale monte ore (24 ore/mese) è elevabile a 48 ore per «sindaci, presidenti delle province, sindaci metropolitani, presidenti delle comunità montane, presidenti dei consigli provinciali e dei comuni con popolazione superiore a 30.000 abitanti», non consentendo, dunque, tale elevabilità ai consiglieri metropolitani delegati;
    peraltro, per il lavoratore dipendente, le disposizioni normative attuali prevedono, altresì, il diritto ad ulteriori permessi non retribuiti sino ad un massimo di 24 ore lavorative mensili, qualora risultino necessari per l'espletamento del mandato (articolo 79, comma 5, Tuel);
    è evidente, dunque, che le 24 ore mensili retribuite di cui il lavoratore dipendente può usufruire per esercitare tutte le attività connesse all'espletamento del proprio mandato con delega, risultano essere del tutto inadeguate per chi si trova a dover affrontare un impegno che lo sottopone, al pari dell'Assessore del Comune capoluogo, ad una responsabilità e ad un'occupazione costanti;
    si sottolinea, inoltre, che il regime previsto dall'articolo 81 del TUEL circa la possibilità di richiesta al collocamento in aspettativa non retribuita per tutto il periodo di espletamento del mandato, al fine di poter ottemperare al meglio all'incarico amministrativo, risulta essere impraticabile nel caso di specie, in quanto non è prevista per i consiglieri metropolitani delegati alcuna indennità sostitutiva;
    l'articolo 1, comma 24 della legge n. 56 del 2014 prevede, infatti, quale disposizione specifica per gli amministratori delle Città metropolitane, che «L'incarico di sindaco metropolitano, di consigliere metropolitano e di componente della conferenza metropolitana, anche con riferimento agli organi di cui ai commi da 12 a 18 è esercitato a titolo gratuito». Pertanto, sebbene l'articolo 82 del TUEL (come modificato dalla legge n. 296 del 2006, a decorrere dal 1o gennaio 2007) preveda una indennità di funzione «per il sindaco, il presidente della provincia, il sindaco metropolitano, il presidente della comunità montana, i presidenti dei consigli circoscrizionali dei soli comuni capoluogo di provincia, i presidenti dei consigli comunali e provinciali, nonché i componenti degli organi esecutivi dei comuni e ove previste delle loro articolazioni, delle province, delle città metropolitane, delle comunità montane, delle unioni di comuni e dei consorzi fra enti locali», disponendo altresì il dimezzamento di tale indennità per i lavoratori dipendenti che non abbiano richiesto l'aspettativa, il combinato disposto con la citata norma della legge n. 56 del 2014 non dà diritto a percepire alcuna indennità;
    considerato che, conseguentemente, al consigliere metropolitano delegato, che di fatto svolge, in ragione della delega ricevuta dal Sindaco metropolitano, un'attività del tutto equiparabile a quella di un Assessore del Comune capoluogo, ad oggi è invece attribuito uno status giuridico inferiore,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire normativamente in tempi urgenti sullo status giuridico del consigliere metropolitano delegato che, a fronte dell'impegno gravoso richiesto dall'assunzione della delega, svolge il proprio ruolo solo con sacrificio personale e correlato nocumento economico, in costanza di un regime normativo che gli attribuisce solo 24 ore/mese retribuite per lo svolgimento delle attività connesse all'espletamento del mandato e senza un'indennità sostitutiva che gli consenta di optare per il regime dell'aspettativa non retribuita.
9/3926-A-R/17. (Testo modificato nel corso della seduta).  Quaranta.


   La Camera,
   premesso che:
    nel corso dell'esame in sede referente da parte della Commissione bilancio del provvedimento al nostro esame, mentre è stato approvato un emendamento che istituisce un nuovo fondo statale per favorire l'estinzione anticipata di mutui e obbligazioni locali, non sono stati accolti gli emendamenti, tra i quali uno presentato dal Gruppo di Sinistra Italiana a prima firma Fassina, per consentire la rinegoziazione dei mutui contratti dagli enti territoriali con la Cassa depositi e prestiti;
    è necessario ed urgente, pena il blocco delle attività di molti comuni a partire dalla Capitale, alleggerire i bilanci dagli oneri di ammortamento di finanziamenti nati anni fa, e quindi gravati da tassi anche del 5 per cento e oltre, lontanissimi dai livelli attuali;
    la stessa Anci aveva chiesto di replicare per i Comuni più grandi le modalità di ristrutturazione del debito concesse l'anno scorso alle Regioni dall'articolo 45 del decreto-legge n. 66 del 2015. In particolare, la norma proposta dall'Anci prevedeva che il Ministero dell'economia e delle finanze potesse effettuare la ristrutturazione dei mutui contratti anche dagli enti locali ed aventi come controparte il Ministero stesso o la Cassa Depositi e Prestiti S.p.A.;
    attualmente, ad esempio, il debito del Comune di Roma costa dal 4,2 al 5,6 per cento, in una fase storica in cui i finanziamenti hanno un costo vicino allo zero. Oggi, la stessa Cassa Depositi e Prestiti concede mutui agli enti territoriali che oscillano tra l'1,240 e 1'1,750 per cento a secondo della tipologia dei prestiti;
    le periferie dei grandi comuni sono i luoghi dove in maniera più acuta si fanno sentire la crisi occupazionale, la precarietà, la carenza di servizi essenziali a partire dal trasporto pubblico locale;
    se, ad esempio, il Comune di Roma potesse risparmiare una parte di quelle risorse e si abbattesse il costo del debito del 50 per cento e più, ci sarebbe un margine per risparmiare 130-170 milioni, che potrebbero essere tradotti in riduzione delle imposte o in investimenti,

impegna il Governo

a prendere gli opportuni provvedimenti, anche legislativi, al fine di consentire la rinegoziazione dei mutui contratti dai Comuni con la Cassa depositi e prestiti per adeguare i tassi di interesse agli attuali valori di mercato.
9/3926-A-R/18Fassina, Melilla, Marcon, Airaudo, Palese, Gianluca Pini, Ruocco, Pastorino, Alberti, Pesco.


   La Camera,
   premesso che:
    la città di Venezia è patrimonio storico, artistico e paesaggistico mondiale che negli ultimi anni ha vissuto passaggi difficili legati alla gestione del bilancio comunale, relativamente alla facoltà di spesa per garantire i servizi generali e gli interventi sociali e di programmare investimenti pubblici per la salvaguardia dell'ecosistema lagunare e del patrimonio artistico della città;
    alcuni dei flussi finanziari verso il Comune di Venezia nel corso degli anni si sono drasticamente ridotti sia per l'assorbimento dei fondi della legge speciale nella realizzazione del MOSE, sia per la diminuzione dei proventi derivanti dalle attività del Casinò;
    a causa dei vincoli del patto di stabilità interno e delle sanzioni derivanti dalla sua deroga si sono create sofferenze e gravi difficoltà nel mantenimento dei servizi comunali e dei livelli di personale per la loro gestione;
    recentemente l'Unesco ha dichiarato di voler inserire Venezia nella lista dei siti culturali mondiali a rischio (la cosiddetta danger list) proprio per le condizioni generali della città a causa della cattiva gestione dei flussi turistici, della presenza delle grandi navi nella laguna e di progetti infrastrutturali invasivi e ha chiesto al governo italiano di presentare entro il 1 febbraio 2017 un rapporto dettagliato sugli interventi finalizzati alla conservazione del sito;
    l'associazione ambientalista Italia Nostra ha definito il rapporto dell'Unesco «uno schiaffo che il Governo italiano si spera non voglia subire correndo finalmente ai ripari con decise misure per la tutela di Venezia e della Laguna»;
    la carenza di interventi per la salvaguardia della città deriva in larga parte dalla scarsezza di risorse che in questi anni sono state assorbite dagli interventi per la realizzazione del MOSE e per le ristrettezze di bilancio che hanno portato inopinatamente l'attuale sindaco di Venezia ad ipotizzare la vendita di quadri ed altre opere d'arte per risanare il bilancio e garantire alcuni interventi per la città;
    l'efficacia degli interventi sul territorio veneziano, nonché la partecipazione della comunità alla vita democratica della città, rischia di essere inficiata dalle recenti modifiche del Regolamento comunale che svuota di poteri e funzioni le municipalità,

impegna il Governo:

   ad adottare le opportune iniziative volte a rifinanziare con il primo provvedimento utile la legge speciale per Venezia, dando priorità agli interventi per le bonifiche per Porto Marghera e ad un piano di altri interventi quali la pulizia e la manutenzione dei canali, la salvaguardia dell'ecosistema lagunare e la difesa del patrimonio storico ed architettonico della città anche intervenendo sulla proibizione della navigazione delle grandi navi da crociera per il canale della Giudecca e il bacino di San Marco e sulla limitazione del traffico acqueo nella laguna;
   a valutare – nell'ambito delle proprie prerogative – possibili interventi per garantire il pieno dispiegamento delle funzioni di tutte le articolazioni della democrazia comunale, inclusi i municipi della città, al fine di dare maggiore efficacia degli interventi e a garantire la partecipazione dei cittadini come da interrogazione numero 5/07632 del 3 febbraio 2016 sottoscritta da numerosi parlamentari.
9/3926-A-R/19Marcon, Pellegrino, Melilla, Scotto, Paglia, Fassina, Duranti, Pannarale, Nicchi, Gregori.


   La Camera,
   premesso che:
    la città di Venezia è patrimonio storico, artistico e paesaggistico mondiale che negli ultimi anni ha vissuto passaggi difficili legati alla gestione del bilancio comunale, relativamente alla facoltà di spesa per garantire i servizi generali e gli interventi sociali e di programmare investimenti pubblici per la salvaguardia dell'ecosistema lagunare e del patrimonio artistico della città;
    alcuni dei flussi finanziari verso il Comune di Venezia nel corso degli anni si sono drasticamente ridotti sia per l'assorbimento dei fondi della legge speciale nella realizzazione del MOSE, sia per la diminuzione dei proventi derivanti dalle attività del Casinò;
    a causa dei vincoli del patto di stabilità interno e delle sanzioni derivanti dalla sua deroga si sono create sofferenze e gravi difficoltà nel mantenimento dei servizi comunali e dei livelli di personale per la loro gestione;
    recentemente l'Unesco ha dichiarato di voler inserire Venezia nella lista dei siti culturali mondiali a rischio (la cosiddetta danger list) proprio per le condizioni generali della città a causa della cattiva gestione dei flussi turistici, della presenza delle grandi navi nella laguna e di progetti infrastrutturali invasivi e ha chiesto al governo italiano di presentare entro il 1 febbraio 2017 un rapporto dettagliato sugli interventi finalizzati alla conservazione del sito;
    l'associazione ambientalista Italia Nostra ha definito il rapporto dell'Unesco «uno schiaffo che il Governo italiano si spera non voglia subire correndo finalmente ai ripari con decise misure per la tutela di Venezia e della Laguna»;
    la carenza di interventi per la salvaguardia della città deriva in larga parte dalla scarsezza di risorse che in questi anni sono state assorbite dagli interventi per la realizzazione del MOSE e per le ristrettezze di bilancio che hanno portato inopinatamente l'attuale sindaco di Venezia ad ipotizzare la vendita di quadri ed altre opere d'arte per risanare il bilancio e garantire alcuni interventi per la città;
    l'efficacia degli interventi sul territorio veneziano, nonché la partecipazione della comunità alla vita democratica della città, rischia di essere inficiata dalle recenti modifiche del Regolamento comunale che svuota di poteri e funzioni le municipalità,

impegna il Governo:

   a valutare le opportune iniziative volte a rifinanziare con il primo provvedimento utile la legge speciale per Venezia, dando priorità agli interventi per le bonifiche per Porto Marghera e ad un piano di altri interventi quali la pulizia e la manutenzione dei canali, la salvaguardia dell'ecosistema lagunare e la difesa del patrimonio storico ed architettonico della città anche intervenendo sulla proibizione della navigazione delle grandi navi da crociera per il canale della Giudecca e il bacino di San Marco e sulla limitazione del traffico acqueo nella laguna;
   a valutare – nell'ambito delle proprie prerogative – possibili interventi per garantire il pieno dispiegamento delle funzioni di tutte le articolazioni della democrazia comunale, inclusi i municipi della città, al fine di dare maggiore efficacia degli interventi e a garantire la partecipazione dei cittadini come da interrogazione numero 5/07632 del 3 febbraio 2016 sottoscritta da numerosi parlamentari.
9/3926-A-R/19. (Testo modificato nel corso della seduta).  Marcon, Pellegrino, Melilla, Scotto, Paglia, Fassina, Duranti, Pannarale, Nicchi, Gregori.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame reca misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio;
    negli ultimi anni sono state attuate diverse modifiche al regime di tassazione dei terreni agricoli e numerosi sono stati i passi compiuti per migliorarne la normativa e per sollecitare una revisione delle norme relative alla esenzione e alle agevolazioni per cercare di ridurre le storture e le iniquità interpretando le richieste dei territori, delle associazioni di categoria interessate, dell'UNCEM e dell'Anci;
    come noto, un aspetto importante è stato quello della verifica del gettito IMU per l'anno 2015 al fine di valutare le differenze tra gettito accertato e riscosso e gettito previsto, così da predisporre eventuali compensazioni per i comuni in relazione alla nuova disciplina;
    non a caso, lo scorso anno, il decreto-legge n. 78 del 2015 convertito con modificazioni nella legge n. 125 del 6 agosto 2015, al comma 10 dell'articolo 8 aveva previsto nei confronti dei Comuni interessati dalla spinosa questione dell'IMU AGRICOLA una parte della differenza di gettito tra le stime e la reale capacità di riscossione dei Comuni stessi;
    si era infatti venuta, purtroppo a creare una situazione per cui i Comuni interessati si erano visti tagliare il fondo di solidarietà di un importo stimato che è risultato essere eccessivo rispetto alla affettiva possibilità degli stessi comuni di riscuotere l'IMU AGRICOLA dai proprietari terrieri, sia per il 2014, sia per il 2015;
    il provvedimento in esame omette di prevedere apposite disposizioni sulla compensazione della differenza di gettito relativa all'IMU AGRICOLA e molti Comuni ancora purtroppo interessati dalla questa vicenda si trovano ad affrontare gravissime difficoltà di bilancio, in quanto alle già difficili capacità di riscossione dell'imposta si sono aggiunte anche le criticità derivanti dai tagli sul fondo di solidarietà comunale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, alla luce di quanto descritto in premessa, di adottare le opportune iniziative normative volte a riconoscere nei confronti dei Comuni interessati dalla annosa questione dell'IMU AGRICOLA un contributo finanziario adeguato per l'anno 2016.
9/3926-A-R/20Folino, Marcon, Melilla, Scotto, Paglia, Fassina, Nicchi, Gregori, Pannarale.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame reca misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio;
    nonostante il provvedimento in esame tratti alcune problematiche che da tempo le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale avevano segnalato, appare quanto mai necessario di affrontare alcune materie con l'obiettivo da sempre condiviso di salvaguardare i livelli occupazionali e salariali dei lavoratori interessati, soprattutto al fine di difendere il sistema dei servizi offerti dagli enti locali;
    sotto il profilo delle problematiche inerenti le Province e le Città metropolitane, ad avviso delle organizzazioni sindacali, l'eliminazione delle sanzioni finanziarie per le Province e le Città metropolitane che hanno violato il patto di stabilità non solo non risolve il problema del taglio del salario-accessorio per i lavoratori di tali Enti ma non risolve neanche il problema più complesso della sostenibilità finanziaria del sistema;
    il tutto in quanto molti enti, a seguito dei prelievi imposti, entreranno in dissesto economico-finanziario come accaduto già ad altri;
    inoltre, permane il problema della presenza di lavoratori precari che, a differenza di altri lavoratori non precari della Pubblica Amministrazione, non solo non vedono alcuna prospettiva di stabilizzazione ma rischiano anche di non ottenere alcuna proroga dei contratti attualmente in essere che scadranno il 31 dicembre 2016;
    sotto il profilo delle problematiche inerenti il salario accessorio: molti enti, a seguito del combinato disposto di norme che, oltre a costituire un «bis in idem» rispetto ad altre previsioni di legge già esistenti ed in vigore, prevedono il blocco contrattuale, stanno affrontando il grave e penoso problema della contestazione, da parte del Ministero dell'Economia, dei fondi del salario accessorio ed è grave la preoccupazione per la salvaguardia dei livelli salariali del personale impiegato in tutti quegli Enti che versano in difficoltà economico-finanziaria,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assicurare sempre e comunque il massimo coinvolgimento delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale ogni qualvolta si tratti di affrontare, attraverso l'adozione di apposite iniziative normative, questioni inerenti il personale operante presso gli Enti territoriali e più in generale nei settori del pubblico impiego che garantiscono e forniscono importanti e fondamentali servizi ai cittadini.
9/3926-A-R/21Melilla, Folino, Marcon, Scotto, Paglia, Fassina, Nicchi, Gregori, Pannarale.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame reca misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio;
    l'articolo 17, in particolare, reca disposizioni in materia di personale educativo e scolastico delle scuole d'infanzia e degli asili nido degli enti locali al fine di garantirne la continuità e assicurarne la qualità;
    per quanto riguarda le politiche per l'infanzia e l'adolescenza, uno dei problemi strutturali dell'Italia è l'evidente carenza di strutture per l'infanzia e l'offerta comunale di asili nido;
    le politiche per l'infanzia e la carenza cronica di strutture e di servizi socio-educativi per l'infanzia, continuano a rappresentare uno dei problemi strutturali del nostro Paese. Gli asili nido comunali sembrano spesso più strutture a pagamento che statali, con costi medi che si aggirano intorno ai 300 euro mensili, e tariffe in crescita rispetto agli anni passati;
    i pesantissimi tagli alle regioni e agli enti locali attuati in questi ultimi anni, non hanno fatto che peggiorare la situazione dal punto di vista sia della qualità del servizio che dei costi. Il dato di fondo resta sempre l'enorme scarto esistente tra le esigenze delle famiglie e la reale possibilità di soddisfare tali esigenze;
    il sindacato FP-CGIL, nel novembre 2015, in occasione della campagna «ChiedoAsilo», ha elaborato una ricerca condotta sui dati Istat, sull'offerta comunale degli asili nido e altri servizi socio-educativi. La mappa nazionale dei servizi presenta enormi sperequazioni regionali. Se, infatti, la copertura dei servizi per l'infanzia è al 24,8 per cento in Emilia Romagna, in Campania è al 2 per cento;
    per raggiungere lo standard europeo, fissato dalla strategia di Lisbona che prevedeva una copertura pari al 33 per cento entro il 2010, il nostro Paese dovrebbe creare ulteriori 1.700 nidi e scuole dell'infanzia;
    come riporta la citata ricerca, nel 2010 sono nati circa 562 mila bambini, nel 2011 546 mila. Nei primi due mesi del 2012 89,6 mila. Il totale preciso è di 1 milioni e 198.116 bambini nati, ai quali vanno sottratti i 289.851 che sono riusciti a trovare un posto al nido. I «senza asilo» sono quindi oltre 900 mila. Per loro non si prevede, a breve, un posto nelle strutture pubbliche. A meno che le rispettive famiglie non facciano uno sforzo, pagando;
    la legge finanziaria per il 2007 (legge 296/2006), aveva varato un Piano straordinario di intervento per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi, al quale concorrono gli asili nido, i servizi integrativi, diversificati per modalità strutturali, di accesso, di frequenza e di funzionamento, e i servizi innovativi nei luoghi di lavoro, presso le famiglie e presso i caseggiati. Un Piano pensato per incrementare i servizi esistenti, indirizzato ad avviare un processo di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, per la concreta attuazione dei diritti delle bambine e dei bambini. Obiettivo non ultimo di questo intervento era anche quello di attenuare il forte squilibrio tra il nord e il sud del Paese ed una complessiva crescita del sistema nazionale verso standard europei;
    detto Piano per lo sviluppo dei servizi socio-educativi, non prevede risorse per il 2016 e per i prossimi anni, e questo nonostante che le risorse a legislazione vigente a disposizione dei servizi per l'infanzia siano del tutto insufficienti,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ogni iniziativa normativa volta a rifinanziare il piano straordinario di intervento per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi, al quale concorrono gli asili nido, i servizi integrativi, diversificati per modalità strutturali, di accesso, di frequenza e di funzionamento, e i servizi innovativi nei luoghi di lavoro, presso le famiglie e presso i caseggiati di cui all'articolo 1, comma 1259, della legge 27 dicembre 2006, n. 296.
9/3926-A-R/22Scotto, Nicchi, Gregori, Pannarale, Duranti, Ricciatti, Pellegrino, Costantino, Melilla, Folino, Marcon, Paglia, Fassina, Martelli, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    la Corte di giustizia dell'Unione europea con la Sentenza nelle cause riunite C-458/14 Promoimpresa S.r.l./Consorzio dei comuni della Sponda Bresciana del Lago di Garda e del Lago di Idro e a. e C-67/15 Mario Melis e al Comune di Loiri Porto San Paolo ha bocciato la proroga automatica decisa dall'Italia per le concessioni demaniali marittime e lacustri fino al 31 dicembre 2020;
    con la sentenza del 14 luglio, la Corte rileva che in punto di diritto spetta ai giudici italiani verificare se le concessioni italiane debbano essere oggetto di un numero limitato di autorizzazioni per via della scarsità delle risorse naturali, che è la fattispecie in cui si applica l'articolo 12 della direttiva servizi. In questo caso la Corte ha precisato che il rilascio delle autorizzazioni per lo sfruttamento economico delle spiagge «deve essere oggetto a una procedura di selezione tra i potenziali candidati, che deve presentare tutte le garanzie di imparzialità e trasparenza, in particolare un'adeguata pubblicità» rilevando che «la proroga automatica delle autorizzazioni non consente di organizzare una siffatta procedura di selezione». La Corte ha osservato che «certamente» l'articolo 12 consente agli Stati membri di «tenere conto di motivi imperativi di interesse generale quali, in particolare, la necessità di tutelare il legittimo affidamento dei titolari delle autorizzazioni in modo che essi possano ammortizzare gli investimenti effettuati». «Tuttavia – hanno aggiunto i giudici – considerazioni di tal genere non possono giustificare una proroga automatica, qualora al momento del rilascio iniziale delle autorizzazioni non sia stata organizzata alcuna procedura di selezione»;
    la Corte inoltre ha affermato che, nel caso in cui giudici italiani dovessero ritenere la direttiva europea non applicabile in certi casi specifici ma ci fosse un interesse transfrontaliera (ad esempio per località di particolare pregio turistico o nelle zone più vicine al confini terrestri della penisola), la proroga automatica «costituisce una disparità di trattamento a danno delle imprese con sede negli altri stati membri e potenzialmente interessate». Quindi anche in questo caso andranno organizzate gare per la concessione, aperte alla concorrenza europea;
    il turismo balneare è tra i principali prodotti turistici italiani e ciononostante, ad oggi non risulta ancora chiarita e risolta sotto il profilo normativo l'annosa questione delle concessioni demaniali marittime;
    durante l'esame del provvedimento in sede referente, in risposta al pronunciamento della Corte di Giustizia UE, è stato presentato e approvato un emendamento ove si prevede che nelle more della revisione e del riordino della materia in conformità ai princìpi di derivazione europea per garantire certezza alle situazioni giuridiche in atto e assicurare l'interesse pubblico all'ordinata gestione del demanio senza soluzione di continuità, conservano validità i rapporti già instaurati e pendenti in base all'articolo 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25;
    per evitare soluzioni emergenziali, invece di un quadro di regole finalmente stabile ed omogeneo, la sentenza della Corte di Giustizia UE deve rappresentare l'occasione per adottare una normativa che definisca le regole in modo chiaro e stabile, che preveda dei criteri per i bandi pubblici e per la selezione dei concessionari, che riconosca il contributo importante dei Comuni nell'elaborazione dei bandi e nella determinazione dei criteri per l'assegnazione delle concessioni,

impegna il Governo

a porre in essere ogni atto di competenza, anche presso le competenti sedi europee, finalizzato all'adozione di una definitiva, chiara ed esaustiva disciplina delle concessioni demaniali marittime compatibile con i principi dell'Unione Europea che assicuri chiarezza, trasparenza, certezza del diritto e tuteli al contempo il legittimo affidamento dei concessionari che hanno investito nel turismo balneare, valorizzandone l'esperienza e la professionalità.
9/3926-A-R/23Ricciatti, Franco Bordo, Scotto, Melilla, Martelli, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 24 del provvedimento detta disposizioni per assicurare migliori condizioni per il completamento del percorso di risanamento delle fondazioni lirico-sinfoniche introducendo elementi di maggiore flessibilità per quelle che hanno avuto la possibilità di presentare, ai sensi dell'articolo 1 commi 355 e 356 della legge n. 208 del 2015, un piano di risanamento per il triennio 2016-2018;
    l'articolo 1, comma 356 della legge n. 208 del 2015 ha specificato che il suddetto piano, tra i contenuti inderogabili, debba prevedere la riduzione della dotazione organica del personale tecnico e amministrativo fino al cinquanta per cento di quella in essere al 31 dicembre 2015, affiancata da una razionalizzazione del personale artistico;
    l'articolo 2, comma 11, lettera a), del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, in materia di riduzione delle dotazioni organiche delle pubbliche amministrazioni, nell'ambito delle misure che le pubbliche amministrazioni devono adottare in relazione alle situazioni di soprannumero, prevede l'applicazione, ai lavoratori interessati all'attuazione del processo di riassetto organizzativo che risultino in possesso dei requisiti anagrafici e contributivi i quali, ai fini del diritto all'accesso e alla decorrenza del trattamento pensionistico in base alla disciplina vigente prima dell'entrata in vigore dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, avrebbero comportato la decorrenza del trattamento medesimo entro il 31 dicembre 2014, dei requisiti anagrafici e di anzianità contributiva nonché del regime delle decorrenze previsti dalla predetta disciplina pensionistica, con conseguente richiesta all'ente di appartenenza della certificazione di tale diritto, e con l'estensione agli stessi lavoratori, senza necessità di motivazione, di quanto stabilito dall'articolo 72, comma 11, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133;
    la suddetta disposizione disciplina delle particolari ipotesi di pensionamento, in deroga al regime ordinario, prevedendo l'applicazione del regime di accesso e di decorrenza al trattamento pensionistico previgente rispetto alla riforma previdenziale (c.d. Fornero) operata con l'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, dall'applicazione della stessa norma, che prevede un accesso speciale al pensionamento, ne possono derivare l'esodo volontario, dietro domanda volontariamente presentata dal dipendente munito dei requisiti necessari, o la risoluzione unilaterale del rapporto da parte dell'amministrazione; l'ultrattività della disciplina previgente alla c.d. riforma Fornero si estende fino al 31 dicembre 2016, nei limiti in cui la decorrenza del trattamento pensionistico avvenga entro tale termine. Infatti la normativa vigente specifica che la decorrenza del trattamento pensionistico, sia esso di vecchiaia o di anzianità con conseguimento della c.d. «quota» o con il requisito dei 40 anni di anzianità contributiva indipendentemente dall'età anagrafica, deve compiersi entro il 31 dicembre 2016 tenuto conto della finestra mobile di cui all'articolo 12 del decreto-legge 31 maggio 2010 n. 78 convertito in legge 30 luglio 2010 n. 122 e degli ulteriori posticipi stabiliti dall'articolo 18 comma 22-ter del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito in legge n. 111 del 2011;
    da quanto esposto ne deriva, che il pensionamento non potrà aver luogo in presenza di situazioni in cui il lavoratore matura i requisiti per l'accesso al trattamento e la decorrenza dello stesso oltre tale limite temporale,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative normative atte ad estendere al personale a tempo indeterminato delle fondazioni liriche sinfoniche, che alla data di entrata in vigore della presente legge abbiano presentato il piano di risanamento per il triennio 2016-2018 ai sensi dell'articolo 1 comma 356 della legge n. 208 del 2015, che abbia maturato entro il 31 dicembre 2018 il diritto all'accesso ed alla decorrenza del trattamento pensionistico, quanto previsto dall'articolo 2, comma 11, lettera a), del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, in materia di deroga al regime pensionistico ordinario.
9/3926-A-R/24Pannarale, Placido, Giancarlo Giordano, Airaudo, Carlo Galli, Martelli.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 24 del provvedimento detta disposizioni per assicurare migliori condizioni per il completamento del percorso di risanamento delle fondazioni lirico-sinfoniche introducendo elementi di maggiore flessibilità per quelle che hanno avuto la possibilità di presentare, ai sensi dell'articolo 1 commi 355 e 356 della legge n. 208 del 2015, un piano di risanamento per il triennio 2016-2018;
    l'articolo 1, comma 356 della legge n. 208 del 2015 ha specificato che il suddetto piano, tra i contenuti inderogabili, debba prevedere la riduzione della dotazione organica del personale tecnico e amministrativo fino al cinquanta per cento di quella in essere al 31 dicembre 2015, affiancata da una razionalizzazione del personale artistico;
    l'articolo 2, comma 11, lettera a), del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, in materia di riduzione delle dotazioni organiche delle pubbliche amministrazioni, nell'ambito delle misure che le pubbliche amministrazioni devono adottare in relazione alle situazioni di soprannumero, prevede l'applicazione, ai lavoratori interessati all'attuazione del processo di riassetto organizzativo che risultino in possesso dei requisiti anagrafici e contributivi i quali, ai fini del diritto all'accesso e alla decorrenza del trattamento pensionistico in base alla disciplina vigente prima dell'entrata in vigore dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, avrebbero comportato la decorrenza del trattamento medesimo entro il 31 dicembre 2014, dei requisiti anagrafici e di anzianità contributiva nonché del regime delle decorrenze previsti dalla predetta disciplina pensionistica, con conseguente richiesta all'ente di appartenenza della certificazione di tale diritto, e con l'estensione agli stessi lavoratori, senza necessità di motivazione, di quanto stabilito dall'articolo 72, comma 11, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133;
    la suddetta disposizione disciplina delle particolari ipotesi di pensionamento, in deroga al regime ordinario, prevedendo l'applicazione del regime di accesso e di decorrenza al trattamento pensionistico previgente rispetto alla riforma previdenziale (c.d. Fornero) operata con l'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, dall'applicazione della stessa norma, che prevede un accesso speciale al pensionamento, ne possono derivare l'esodo volontario, dietro domanda volontariamente presentata dal dipendente munito dei requisiti necessari, o la risoluzione unilaterale del rapporto da parte dell'amministrazione; l'ultrattività della disciplina previgente alla c.d. riforma Fornero si estende fino al 31 dicembre 2016, nei limiti in cui la decorrenza del trattamento pensionistico avvenga entro tale termine. Infatti la normativa vigente specifica che la decorrenza del trattamento pensionistico, sia esso di vecchiaia o di anzianità con conseguimento della c.d. «quota» o con il requisito dei 40 anni di anzianità contributiva indipendentemente dall'età anagrafica, deve compiersi entro il 31 dicembre 2016 tenuto conto della finestra mobile di cui all'articolo 12 del decreto-legge 31 maggio 2010 n. 78 convertito in legge 30 luglio 2010 n. 122 e degli ulteriori posticipi stabiliti dall'articolo 18 comma 22-ter del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito in legge n. 111 del 2011;
    da quanto esposto ne deriva, che il pensionamento non potrà aver luogo in presenza di situazioni in cui il lavoratore matura i requisiti per l'accesso al trattamento e la decorrenza dello stesso oltre tale limite temporale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare le opportune iniziative normative atte ad estendere al personale a tempo indeterminato delle fondazioni liriche sinfoniche, che alla data di entrata in vigore della presente legge abbiano presentato il piano di risanamento per il triennio 2016-2018 ai sensi dell'articolo 1 comma 356 della legge n. 208 del 2015, che abbia maturato entro il 31 dicembre 2018 il diritto all'accesso ed alla decorrenza del trattamento pensionistico, quanto previsto dall'articolo 2, comma 11, lettera a), del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, in materia di deroga al regime pensionistico ordinario.
9/3926-A-R/24. (Testo modificato nel corso della seduta).  Pannarale, Placido, Giancarlo Giordano, Airaudo, Carlo Galli, Martelli.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 9, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito con modificazioni nella legge 11 agosto 2014, n. 116 ha istituito la possibilità di concedere finanziamenti a tasso agevolato ai soggetti pubblici al fine di realizzare interventi di incremento dell'efficienza energetica degli edifici scolastici e universitari, avvalendosi della Cassa depositi e prestiti S.p.A, a valere sul fondo di cui all'articolo 1, comma 1110, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Fondo Kyoto);
    il decreto interministeriale n. 66 del 14 aprile 2015 ha individuato e disciplinato i criteri e le modalità di concessione, erogazione e rimborso dei finanziamenti concessi nel limite massimo di euro 350.000.000 e con decreto del Ministero dell'Ambiente n. 27 del 10 marzo 2016 sono stati identificati i soggetti pubblici beneficiari;
    l'articolo 1 comma 713 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Legge di Stabilità 2016) ha previsto l'esclusione ai fini del pareggio di bilancio, entro il limite di 480 milioni di euro, ai fini del pareggio di bilancio, definito ai sensi del comma 710, le spese sostenute dagli enti locali per interventi sull'edilizia scolastica;
    a tale opportunità non hanno potuto riferirsi gli enti beneficiari dei finanziamenti a valere sul Fondo Kyoto in quanto il relativo decreto ministeriale, come ricordato, è stato reso noto successivamente alla data entro cui era possibile presentare istanza di esclusione degli investimenti in edilizia scolastica ai fini del pareggio di bilancio (1o marzo 2016);
    la possibilità di escludere questi importanti finanziamenti dal calcolo del pareggio di bilancio è condizione essenziale per consentire l'effettiva realizzazione degli interventi di riqualificazione energetica e ambientale delle strutture scolastiche ammesse,

impegna il Governo

a consentire agli enti locali individuati ai sensi del decreto del Ministero dell'ambiente n. 27 del 10 marzo 2016, di non considerare ai fini del pareggio di bilancio, definito dall'articolo 1 comma 710 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, i finanziamenti a tasso agevolato per interventi sull'edilizia scolastica di cui all'articolo 9, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito con modificazioni nella legge 11 agosto 2014, n. 116.
9/3926-A-R/25Romanini, Zanin, Paolo Rossi, D'Ottavio, Prina, Dal Moro, Patrizia Maestri, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 9, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito con modificazioni nella legge 11 agosto 2014, n. 116 ha istituito la possibilità di concedere finanziamenti a tasso agevolato ai soggetti pubblici al fine di realizzare interventi di incremento dell'efficienza energetica degli edifici scolastici e universitari, avvalendosi della Cassa depositi e prestiti S.p.A, a valere sul fondo di cui all'articolo 1, comma 1110, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Fondo Kyoto);
    il decreto interministeriale n. 66 del 14 aprile 2015 ha individuato e disciplinato i criteri e le modalità di concessione, erogazione e rimborso dei finanziamenti concessi nel limite massimo di euro 350.000.000 e con decreto del Ministero dell'Ambiente n. 27 del 10 marzo 2016 sono stati identificati i soggetti pubblici beneficiari;
    l'articolo 1 comma 713 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Legge di Stabilità 2016) ha previsto l'esclusione ai fini del pareggio di bilancio, entro il limite di 480 milioni di euro, ai fini del pareggio di bilancio, definito ai sensi del comma 710, le spese sostenute dagli enti locali per interventi sull'edilizia scolastica;
    a tale opportunità non hanno potuto riferirsi gli enti beneficiari dei finanziamenti a valere sul Fondo Kyoto in quanto il relativo decreto ministeriale, come ricordato, è stato reso noto successivamente alla data entro cui era possibile presentare istanza di esclusione degli investimenti in edilizia scolastica ai fini del pareggio di bilancio (1o marzo 2016);
    la possibilità di escludere questi importanti finanziamenti dal calcolo del pareggio di bilancio è condizione essenziale per consentire l'effettiva realizzazione degli interventi di riqualificazione energetica e ambientale delle strutture scolastiche ammesse,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di consentire agli enti locali individuati ai sensi del decreto del Ministero dell'ambiente n. 27 del 10 marzo 2016, di non considerare ai fini del pareggio di bilancio, definito dall'articolo 1 comma 710 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, i finanziamenti a tasso agevolato per interventi sull'edilizia scolastica di cui all'articolo 9, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito con modificazioni nella legge 11 agosto 2014, n. 116.
9/3926-A-R/25. (Testo modificato nel corso della seduta).  Romanini, Zanin, Paolo Rossi, D'Ottavio, Prina, Dal Moro, Patrizia Maestri, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 «Codice dell'ordinamento militare», all'articolo 1929, ha disposto la sospensione, a decorrere dal 1 gennaio 2005 del servizio obbligatorio di leva;
    gli articoli 1931 e seguenti hanno tuttavia previsto che i comuni e le autorità diplomatiche e consolari continuassero a svolgere le attività per la formazione e l'aggiornamento delle liste di leva;
    l'articolo 62 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 ha istituito presso il Ministero dell'interno l'Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR);
    il comma 2-bis del medesimo articolo, introdotto con il decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, ha attribuito all'ANPR la competenza a fornire i dati ai fini della tenuta delle liste di cui all'articolo 1931 del codice dell'ordinamento militare, secondo le modalità definite con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che dovrà stabilire anche un programma di integrazione da completarsi entro il 31 dicembre 2018;
    la completa informatizzazione delle banche dati anagrafiche nei comuni è una realtà da diverso tempo e la possibilità di condurre estrazioni mirate per le più diverse esigenze è pratica consolidata e con immediatezza già oggi potrebbero essere realizzate alla bisogna con un ottimo grado di accuratezza;
    la tenuta delle liste di leva rappresenta per i Comuni, alle prese con scarsità di risorse e personale, un'inutile incombenza burocratica,

impegna il Governo

nell'ambito delle proprie iniziative in materia di semplificazione ed efficientamento della Pubblica Amministrazione, nonché di spending review negli enti locali, a valutare l'opportunità di abrogare le attività di formazione e aggiornamento delle liste di leva da parte dei comuni e delle autorità diplomatiche e consolari ovvero pervenire alla rapida emanazione del previsto decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri al fine di addivenire, ben prima della scadenza del 31 dicembre 2018, alla piena attribuzione all'ANPR della competenza alla tenuta delle liste di leva.
9/3926-A-R/26Paolo Rossi, Romanini, Zanin, Prina, D'Ottavio, Dal Moro, Patrizia Maestri.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 «Codice dell'ordinamento militare», all'articolo 1929, ha disposto la sospensione, a decorrere dal 1 gennaio 2005 del servizio obbligatorio di leva;
    gli articoli 1931 e seguenti hanno tuttavia previsto che i comuni e le autorità diplomatiche e consolari continuassero a svolgere le attività per la formazione e l'aggiornamento delle liste di leva;
    l'articolo 62 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 ha istituito presso il Ministero dell'interno l'Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR);
    il comma 2-bis del medesimo articolo, introdotto con il decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, ha attribuito all'ANPR la competenza a fornire i dati ai fini della tenuta delle liste di cui all'articolo 1931 del codice dell'ordinamento militare, secondo le modalità definite con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che dovrà stabilire anche un programma di integrazione da completarsi entro il 31 dicembre 2018;
    la completa informatizzazione delle banche dati anagrafiche nei comuni è una realtà da diverso tempo e la possibilità di condurre estrazioni mirate per le più diverse esigenze è pratica consolidata e con immediatezza già oggi potrebbero essere realizzate alla bisogna con un ottimo grado di accuratezza;
    la tenuta delle liste di leva rappresenta per i Comuni, alle prese con scarsità di risorse e personale, un'inutile incombenza burocratica,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nell'ambito delle proprie iniziative in materia di semplificazione ed efficientamento della Pubblica Amministrazione, nonché di spending review negli enti locali, di abrogare le attività di formazione e aggiornamento delle liste di leva da parte dei comuni e delle autorità diplomatiche e consolari ovvero pervenire alla rapida emanazione del previsto decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri al fine di addivenire, ben prima della scadenza del 31 dicembre 2018, alla piena attribuzione all'ANPR della competenza alla tenuta delle liste di leva.
9/3926-A-R/26. (Testo modificato nel corso della seduta).  Paolo Rossi, Romanini, Zanin, Prina, D'Ottavio, Dal Moro, Patrizia Maestri.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge di cui al disegno di legge di conversione in epigrafe contiene disposizioni relative agli enti territoriali e al territorio, alcune delle quali focalizzate sulle situazioni di potenziale o attuale dissesto finanziario;
    secondo numerosi studi, tra le cause dei problemi finanziari degli enti territoriali sta assumendo, negli ultimi tempi, un rilevante peso il fenomeno migratorio, che, per le sue dimensioni e per la sua natura ormai strutturale e non più emergenziale, ha effetti sociali drammatici sui territori e sulle popolazioni;
    in particolare, numerosi comuni, sono gravati dagli oneri, diretti e indiretti, derivanti dalla necessità di far fronte all'aumento dei residenti sul proprio territorio, in conseguenza della destinazione di richiedenti asilo in strutture di accoglienza ubicate sul suolo comunale,

impegna il Governo

a intervenire perché siano destinate ai Comuni le risorse necessarie per far fronte ai maggiori oneri, diretti o indiretti, derivanti dalla presenza di migranti richiedenti asilo sul proprio territorio.
9/3926-A-R/27Gregorio Fontana, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge di cui al disegno di legge di conversione in epigrafe contiene disposizioni relative agli enti territoriali e al territorio, alcune delle quali focalizzate sulle situazioni di potenziale o attuale dissesto finanziario;
    secondo numerosi studi, tra le cause dei problemi finanziari degli enti territoriali sta assumendo, negli ultimi tempi, un rilevante peso il fenomeno migratorio, che, per le sue dimensioni e per la sua natura ormai strutturale e non più emergenziale, ha effetti sociali drammatici sui territori e sulle popolazioni;
    in particolare, numerosi comuni, sono gravati dagli oneri, diretti e indiretti, derivanti dalla necessità di far fronte all'aumento dei residenti sul proprio territorio, in conseguenza della destinazione di richiedenti asilo in strutture di accoglienza ubicate sul suolo comunale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire perché siano destinate ai Comuni le risorse necessarie per far fronte ai maggiori oneri, diretti o indiretti, derivanti dalla presenza di migranti richiedenti asilo sul proprio territorio.
9/3926-A-R/27. (Testo modificato nel corso della seduta).  Gregorio Fontana, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113 sugli enti territoriali, nel testo sul quale il Governo ha posto la questione di fiducia, affronta il problema dell'armonizzazione della semplificazione delle regole contabili per i bilanci degli enti locali e delle loro variazioni;
    rimane tuttavia aperto un problema relativo agli accantonamenti nei bilanci dei comuni di pari importo delle perdite riportate dalle società partecipate, da fare sul bilancio corrente;
    nei comuni montani esistono le società che gestiscono gli impianti sciistici, partecipate dai rispettivi comuni, che sono le principali fornitrici di lavoro, delle quali i comuni non possono fare a meno per i servizi che offrono e che, però, lavorano quasi sempre in perdita;
    per tali comuni, con risorse disponibili sempre più carenti, ciò significa che devono accantonare nel bilancio somme di pari importo rispetto alle perdite riportate dalle società sciistiche e gli accantonamenti potranno tornare disponibili solo dietro presentazione di un ripiano effettivo delle perdite, oppure di una ricapitalizzazione della società partecipata oppure della dismissione e/o liquidazione della stessa;
    questo vuol dire che i comuni dovranno chiudere queste società partecipate perché la procedura è troppo onerosa, se gli accantonamenti richiesti nella norma transitoria contenuta all'articolo 1, commi da 550 a 562, della legge di stabilità per il 2014, invece, fossero effettuati sul bilancio d'investimento, o surplus di bilancio, per i comuni interessati sarebbe tutto più agevole;
    con riguardo alle società sciistiche partecipate dai comuni c’è l'ulteriore problema che esse esercitano altre attività accessorie oltre a quelle strettamente attinenti al perseguimento delle finalità istituzionali della pubblica amministrazione e, in base al nuovo quadro normativo, tali attività, come la ristorazione e il noleggio degli sci, saranno vietate;
    a tale ultimo riguardo si potrebbe stabilire una percentuale di bilancio delle società partecipate da dedicare alle attività accessorie, oltre la quale esse sono vietate, per esempio consentire che solo un terzo del bilancio possa riguardare le attività accessorie,

impegna il Governo

a intervenire per consentire ai comuni di effettuare gli accantonamenti di bilancio sulle perdite delle società partecipate sul surplus di bilancio in luogo del bilancio corrente e a stabilire una soglia oltre la quale vietare le attività accessorie al perseguimento delle finalità istituzionali della pubblica amministrazione.
9/3926-A-R/28Plangger, Alfreider, Gebhard, Schullian, Ottobre, Marguerettaz, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113 sugli enti territoriali, nel testo sul quale il Governo ha posto la questione di fiducia, affronta il problema dell'armonizzazione della semplificazione delle regole contabili per i bilanci degli enti locali e delle loro variazioni;
    rimane tuttavia aperto un problema relativo agli accantonamenti nei bilanci dei comuni di pari importo delle perdite riportate dalle società partecipate, da fare sul bilancio corrente;
    nei comuni montani esistono le società che gestiscono gli impianti sciistici, partecipate dai rispettivi comuni, che sono le principali fornitrici di lavoro, delle quali i comuni non possono fare a meno per i servizi che offrono e che, però, lavorano quasi sempre in perdita;
    per tali comuni, con risorse disponibili sempre più carenti, ciò significa che devono accantonare nel bilancio somme di pari importo rispetto alle perdite riportate dalle società sciistiche e gli accantonamenti potranno tornare disponibili solo dietro presentazione di un ripiano effettivo delle perdite, oppure di una ricapitalizzazione della società partecipata oppure della dismissione e/o liquidazione della stessa;
    questo vuol dire che i comuni dovranno chiudere queste società partecipate perché la procedura è troppo onerosa, se gli accantonamenti richiesti nella norma transitoria contenuta all'articolo 1, commi da 550 a 562, della legge di stabilità per il 2014, invece, fossero effettuati sul bilancio d'investimento, o surplus di bilancio, per i comuni interessati sarebbe tutto più agevole;
    con riguardo alle società sciistiche partecipate dai comuni c’è l'ulteriore problema che esse esercitano altre attività accessorie oltre a quelle strettamente attinenti al perseguimento delle finalità istituzionali della pubblica amministrazione e, in base al nuovo quadro normativo, tali attività, come la ristorazione e il noleggio degli sci, saranno vietate;
    a tale ultimo riguardo si potrebbe stabilire una percentuale di bilancio delle società partecipate da dedicare alle attività accessorie, oltre la quale esse sono vietate, per esempio consentire che solo un terzo del bilancio possa riguardare le attività accessorie,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire per consentire ai comuni di effettuare gli accantonamenti di bilancio sulle perdite delle società partecipate sul surplus di bilancio in luogo del bilancio corrente e a stabilire una soglia oltre la quale vietare le attività accessorie al perseguimento delle finalità istituzionali della pubblica amministrazione.
9/3926-A-R/28. (Testo modificato nel corso della seduta).  Plangger, Alfreider, Gebhard, Schullian, Ottobre, Marguerettaz, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    che il disegno di legge «Conversione in legge del decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113, recante misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio» all'articolo 7 «(Rideterminazione delle sanzioni per le città metropolitane, le province e i comuni che non hanno rispettato il Patto di stabilità interno nell'anno 2015) prevede:
    «Nel 2016, ai comuni che non hanno rispettato il patto di stabilità interno per l'anno 2015, la sanzione di cui alla lettera a) del comma 26 dell'articolo 31 della legge 12 novembre 2011, n. 183, e successive modificazioni, ferme restando le rimanenti sanzioni, si applica nella misura del 30 per cento della differenza tra il saldo obiettivo del 2015 e il saldo finanziario conseguito nello stesso anno;
    la sanzione di cui alla lettera a) del comma 26 dell'articolo 31 della legge 12 novembre 2011, n. 183, e successive modificazioni, da applicare nell'anno 2016 ai comuni che non hanno rispettato il patto di stabilità interno per l'anno 2015, è ridotta di un importo pari alla spesa per l'edilizia scolastica sostenuta nel corso dell'anno 2015, purché non già oggetto di esclusione dal saldo valido ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno. A tale fine, i comuni che non hanno rispettato il patto di stabilità interno nell'anno 2015 comunicano al Ministero dell'economia e delle finanze, mediante il sistema web della Ragioneria generale dello Stato, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le spese sostenute nell'anno 2015 per l'edilizia scolastica,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di prevedere una procedura che analogamente tramite sistema web della Ragioneria generale dello Stato, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, permetta anche ai comuni che non hanno rispettato il patto di stabilità interno nell'anno 2015 per fatto di terzi, e comunque non imputabile alla condotta dolosa e/o colposa dell'Ente, onde poter procedere celermente ad una verifica degli stessi.
9/3926-A-R/29Taricco, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 15 del provvedimento in esame concerne la possibilità per gli enti locali, in alcuni casi, di rimodulare o riformulare il Piano di riequilibrio finanziario; con il comma 2, si concede agli enti locali che hanno presentato il piano di riequilibrio finanziario o ne hanno conseguito l'approvazione la facoltà di riformularlo o rimodularlo – con delibera da adottarsi entro la data del 30 settembre 2016;
    tale facoltà è consentita con riferimento alla circostanza in cui tali enti si trovino ad affrontare nel corso della gestione del piano nuovi disavanzi o debiti fuori bilancio, e non riescano ad assorbirli nel periodo previsto dagli articoli 188 (per il disavanzo) e 194 (per i debiti fuori bilancio) del T.U.E.L.;
    numerosi enti hanno presentato il piano di riequilibrio finanziario pluriennale, anche se non ne hanno conseguito, per qualunque motivo la valida e tempestiva approvazione ai sensi dell'articolo 243-bis del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di estendere le previsioni del comma 2 dell'articolo 15 del provvedimento in esame, anche agli enti che non abbiano conseguito l'approvazione del Piano di riequilibrio finanziario entro i tempi stabiliti dalla legge, fermi restando il termine ultimo per l'approvazione del Piano medesimo entro il 30 settembre 2016 e l'impossibilità ad adottare il piano qualora sia decorso il termine assegnato per la deliberazione del dissesto.
9/3926-A-R/30Minardo.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 4 prevede la creazione di un Fondo dotato di 20 milioni per ciascuno degli anni 2016-2019 destinato alla copertura dei contenziosi giudiziari che vedono i comuni soccombenti e quindi obbligati ad un risarcimento;
    tale fondo è destinato a comuni che si trovino a dover sostenere spese connesse a sentenze esecutive di risarcimento conseguenti a calamità naturali o cedimenti strutturali verificatisi prima dell'entrata in vigore del decreto-legge o ad accordi transattivi ad esse collegate, il cui onere risarcitorio sia superiore alla metà del proprio bilancio di parte corrente come risultante dai rendiconti dell'ultimo triennio;
    l'intervento è destinato ad evitare il dissesto finanziario di comuni che si trovano a dover sostenere spese per condanne relative a eventi calamitosi verificatisi talvolta diversi anni prima;
    a seguito della sentenza della Corte Costituzionale del 24 ottobre 2007, n. 348, è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'articolo 5-bis, commi 1 e 2, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, per violazione dell'articolo 111 della Costituzione, con la conseguenza dell'illegittimità costituzionale anche dell'articolo 37, commi 1 e 2, del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (testo unico delle espropriazioni per pubblica utilità), con la conseguenza, non senza notevoli e pesanti implicazioni in ordine alla quantificazione del quantum risarcitorio, che le indennità espropriative, anche per eventuali procedimenti in itinere, debbano essere commisurate al valore venale del bene al momento della sua acquisizione, con ciò determinando un inevitabile aumento dei costi previsti;
    l'articolo 1 comma 2 lettera d) del decreto legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito con modificazioni dalla 6 agosto 2015, n. 125, ha tenuto conto di queste situazioni, delle quali le amministrazioni locali non possono essere considerate responsabili, prevedendo l'attribuzione di spazi finanziari, necessari per realizzare la copertura di suddetti oneri di esproprio,

impegna il Governo:

   a valutare la possibilità di estendere le previsioni di cui all'articolo 4 del decreto legge in esame anche alle soccombenze relative a procedure di esproprio sia per gli espropri relativi ai soli piani per gli insediamenti produttivi sia per gli altri tipi di esproprio,
   ad ampliare, sempre in favore dei comuni soccombenti in materia di esproprio le possibilità offerte dall'articolo 1 del decreto legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito con modificazioni dalla 6 agosto 2015, n. 125, che prevede l'attribuzione di spazi finanziari, necessari per realizzare la copertura dei suddetti oneri di esproprio, prevedendo che tali spazi siano «residuali» rispetto alle altre finalità ed introducendo un regime di compensazione qualora una finalità abbia ancora disponibili i propri spazi e un'altra li abbia invece esauriti.
9/3926-A-R/31Causin.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 4 prevede la creazione di un Fondo dotato di 20 milioni per ciascuno degli anni 2016-2019 destinato alla copertura dei contenziosi giudiziari che vedono i comuni soccombenti e quindi obbligati ad un risarcimento;
    tale fondo è destinato a comuni che si trovino a dover sostenere spese connesse a sentenze esecutive di risarcimento conseguenti a calamità naturali o cedimenti strutturali verificatisi prima dell'entrata in vigore del decreto-legge o ad accordi transattivi ad esse collegate, il cui onere risarcitorio sia superiore alla metà del proprio bilancio di parte corrente come risultante dai rendiconti dell'ultimo triennio;
    l'intervento è destinato ad evitare il dissesto finanziario di comuni che si trovano a dover sostenere spese per condanne relative a eventi calamitosi verificatisi talvolta diversi anni prima;
    a seguito della sentenza della Corte Costituzionale del 24 ottobre 2007, n. 348, è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'articolo 5-bis, commi 1 e 2, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, per violazione dell'articolo 111 della Costituzione, con la conseguenza dell'illegittimità costituzionale anche dell'articolo 37, commi 1 e 2, del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (testo unico delle espropriazioni per pubblica utilità), con la conseguenza, non senza notevoli e pesanti implicazioni in ordine alla quantificazione del quantum risarcitorio, che le indennità espropriative, anche per eventuali procedimenti in itinere, debbano essere commisurate al valore venale del bene al momento della sua acquisizione, con ciò determinando un inevitabile aumento dei costi previsti;
    l'articolo 1 comma 2 lettera d) del decreto legge 19 giugno 2015, n.78, convertito con modificazioni dalla 6 agosto 2015, n. 125, ha tenuto conto di queste situazioni, delle quali le amministrazioni locali non possono essere considerate responsabili, prevedendo l'attribuzione di spazi finanziari, necessari per realizzare la copertura di suddetti oneri di esproprio,

impegna il Governo:

a valutare la possibilità di estendere le previsioni di cui all'articolo 4 del decreto legge in esame anche alle soccombenze relative a procedure di esproprio sia per gli espropri relativi ai soli piani per gli insediamenti produttivi sia per gli altri tipi di esproprio, ed ampliare, sempre in favore dei comuni soccombenti in materia di esproprio le possibilità offerte dall'articolo 1 del decreto legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito con modificazioni dalla 6 agosto 2015, n. 125, che prevede l'attribuzione di spazi finanziari, necessari per realizzare la copertura dei suddetti oneri di esproprio, prevedendo che tali spazi siano «residuali» rispetto alle altre finalità ed introducendo un regime di compensazione qualora una finalità abbia ancora disponibili i propri spazi e un'altra li abbia invece esauriti.
9/3926-A-R/31. (Testo modificato nel corso della seduta).  Causin.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 7 del provvedimento in esame, come modificato in Commissione, prevede al comma 2 la riduzione del 30 per cento della sanzione di cui di cui alla lettera a) del comma 26 dell'articolo 31 della legge 12 novembre 2011, n. 183, consistente nella riduzione del fondo sperimentale di riequilibrio o del fondo perequativo in misura pari alla differenza tra il risultato registrato e l'obiettivo programmatico predeterminato;
    il comma 3 prevede che la sanzione citata è ridotta di un importo pari alla spesa per l'edilizia scolastica sostenuta nel corso dell'anno 2015, purché non già oggetto di esclusione dal saldo valido ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno;
    con riferimento agli sforamenti del Patto 2015 dovuti ai pagamenti in conto capitale effettuati nell'ambito di interventi per l'edilizia scolastica, è opportuno mettere in luce la grave confusione generata tra gli uffici comunali dal MIUR, che in più occasioni ha rimarcato erroneamente l'esclusione delle relative spese dal vincolo del Patto 2015, così inducendo gli enti interessati ad accelerare i pagamenti nonostante i forti ritardi dell'Amministrazione centrale nell'erogazione dei relativi contributi;
    nonostante l'attenuazione delle sanzioni di natura economico-contabile, in relazione a quanto detto sopra resta comunque applicabile la sanzione prevista di cui alla lettera d) del citato comma 26 dell'articolo 31 della legge n. 183 del 2016, nella quale si prevede che gli enti non possano procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e di somministrazione, anche con riferimento ai processi di stabilizzazione in atto;
    in sostanza una violazione non imputabile ad inadempimenti degli enti, si sostanzia nell'impossibilità di procedere all'assunzione di qualsiasi figura professionale, ivi comprese quelle che non sono sostituibili, con altra professionalità già presente, come ad esempio il Capo dei vigili urbani,

impegna il Governo

in sede di applicazione dei commi 2 e 3 dell'articolo a valutare la possibilità di ridurre la portata della sanzione di cui alla lettera d) del citato comma 26 dell'articolo 31 della legge n.183 del 2016, in materia di divieto assoluto di assunzione di personale, consentendo di poter assumere, almeno singolarmente, le figure professionali che non possano essere sostituite con altra professionalità già presente.
9/3926-A-R/32Misuraca.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame interviene in materia di bilanci e di sanzioni degli enti locali;
    nella regione Puglia è accaduto che, malgrado l'elevazione degli oneri di urbanizzazione e costi di costruzione operati dal 2007 in poi, diversi Comuni hanno continuato a prescindere da tali determinazioni regionali (auto-operative), continuando ad applicare il precedente inferiore parametro di fonte ministeriale;
    tuttavia a seguito di indagini della Guardia di Finanza, nella sola provincia di Lecce la quasi totalità dei Comuni (97 Comuni) è incorsa in indagini per danno erariale a carico di circa 200 tecnici comunali per gli anni dal 2008 al 2012, cui è stato imputato di non aver esercitato la propria iniziativa nei confronti degli organi politici degli enti locali per l'adeguamento degli oneri di urbanizzazione e costi di costruzione; dette indagini hanno riguardato solo i Tecnici comunali e non anche i Revisori dei Conti ed i Responsabili di ragioneria dei comuni;
    in sostanza è stata imputata ai tecnici una responsabilità «solitaria» – che esclude inopinatamente Revisori dei Conti e Responsabili di Ragioneria – che invece fa capo alle attribuzioni in generale degli organi politici istituzionali dei comuni;
    il TAR Puglia Lecce, (Sez. III, n. 2566/2008), è intervenuto sulla questione chiarendo che la normativa attribuisce ai Consigli Comunali, come mera facoltà e non un obbligo, la competenza ad applicare quanto disposto dall'articolo 2, comma 2, della L.R. Puglia n. 1 del 2007;
    il Consiglio Regionale della Puglia ha approvato un ordine del giorno riguardante le competenze dei Comuni in materia di oneri di urbanizzazione e costi di costruzione, nel quale si è impegnato il Presidente della Giunta regionale «ad assumere un'iniziativa affinché si induca il Governo ad affermare con un provvedimento legislativo, anche in via di interpretazione autentica, la discrezionalità dei Comuni in materia di adeguamento dei contributi di costruzione e che tale potere discrezionale resti di esclusiva competenza del Consigli comunali»,

impegna il Governo

ad emanare disposizioni interpretative dei commi 5, 6, 7 e 9 dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 nelle quali si chiarisca che spetta al consiglio comunale la competenza esclusiva per quel che riguarda l'aggiornamento e/o l'adeguamento degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione, spettando all'organo medesimo ogni determinazione di aggiornamento e/o adeguamento o di rigetto della proposte in merito e che qualora il Consiglio, nell'ambito della propria autonomia, non si pronunci o non ritenga di pronunciarsi, non sono addebitabili responsabilità agli organi gestionali dell'ente.
9/3926-A-R/33Pizzolante, Palese.


   La Camera,

impegna il Governo

a stabilire che nella comunicazione semestrale di cui all'articolo 22, comma 6, che il Commissario straordinario deve inviare al Ministero dell'economia e delle finanze, al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed alle Commissioni competenti di Camera e Senato, sia indicato dettagliatamente l'elenco delle discariche ancora non bonificate e lo stato dell'arte di ognuna di esse oltre al rendiconto economico e l'importo delle risorse finanziarie impegnate per ciascuna delle discariche abusive ai fini di cui all'articolo 43, comma 9-bis, della legge 24 dicembre 2012, n. 234.
9/3926-A-R/34Cristian Iannuzzi.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in oggetto autorizza l'assunzione in via straordinaria di 193 unità nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
    al fine di potenziare la capacità di intervento del Corpo nazionale dei vigili del fuoco il decreto-legge in oggetto autorizza, nell'ambito della missione «Soccorso civile» dello stato di previsione del Ministero dell'interno, la spesa di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2106 al 2018, per provvedere all'ammodernamento dei mezzi e dei dispositivi di protezione individuale del suddetto Corpo;
    il Servizio Aereo del servizio tecnico Centrale del Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile dispone di 12 Nuclei Elicotteri dislocati sui sedimi di Arezzo, Bari Palese, Catania-Fontanarossa, Roma-Ciampino, Genova, Bologna, Pescara, Salerno-Pontecagnano, Alghero, Varese-Malpensa, Torino-Caselle e Venezia-Tessera, ai quali si aggiunge il Nucleo Elicotteri di Trento che opera alle dipendenze della Provincia Autonoma di Trento;
    i suddetti sedimi aeroportuali ospitano, nella maggior parte dei casi, anche reparti di volo delle Forze Armate e di altri Corpi dello Stato;
    i velivoli impiegati dal Soccorso Aereo del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco sono dei modelli AB.206, A.109 e AB.412. Si tratta di modelli in servizio anche presso le Forze Armate e i Servizi Aerei di altri Corpi dello Stato;
    allo scopo di ottenere una maggiore efficienza ed economicità nella gestione degli elicotteri, sarebbe importante riuscire ad ottenere una integrazione, almeno parziale, dei servizi logistici, di manutenzione e addestramento dei Servizi Aerei dei Corpi dello Stato, predisponendo l'accorpamento dei servizi a terra in essere nei singoli sedimi aeroportuali, anche in linea con il principio della gestione associata dei servizi strumentali delle Forze di Polizia sancito dal decreto legislativo 1o febbraio 2016, il quale però non si spinge oltre la razionalizzazione dell'approvvigionamento esterno di materiali e servizi e dell'addestramento (articolo 5, lettera «e» «approvvigionamento di materiali, servizi e dotazioni per uso aereo»),

impegna il Governo

a predisporre, anche in successivi provvedimenti normativi, misure dirette a realizzare un accorpamento dei servizi logistici, di manutenzione e addestramento relativi alle linee elicotteri dei Servizi Aerei dei Corpi dello Stato, anche favorendo, quando possibile, una redistribuzione delle flotte volta a favorire la concentrazione per tipologia dei velivoli sui diversi sedimi aeroportuali, allo scopo di facilitare le attività logistiche.
9/3926-A-R/35Artini, Baldassarre, Bechis, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino, Segoni, Turco, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in oggetto autorizza l'assunzione in via straordinaria di 193 unità nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
    al fine di potenziare la capacità di intervento del Corpo nazionale dei vigili del fuoco il decreto-legge in oggetto autorizza, nell'ambito della missione «Soccorso civile» dello stato di previsione del Ministero dell'interno, la spesa di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2106 al 2018, per provvedere all'ammodernamento dei mezzi e dei dispositivi di protezione individuale del suddetto Corpo;
    il Servizio Aereo del servizio tecnico Centrale del Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile dispone di 12 Nuclei Elicotteri dislocati sui sedimi di Arezzo, Bari Palese, Catania-Fontanarossa, Roma-Ciampino, Genova, Bologna, Pescara, Salerno-Pontecagnano, Alghero, Varese-Malpensa, Torino-Caselle e Venezia-Tessera, ai quali si aggiunge il Nucleo Elicotteri di Trento che opera alle dipendenze della Provincia Autonoma di Trento;
    i suddetti sedimi aeroportuali ospitano, nella maggior parte dei casi, anche reparti di volo delle Forze Armate e di altri Corpi dello Stato;
    i velivoli impiegati dal Soccorso Aereo del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco sono dei modelli AB.206, A.109 e AB.412. Si tratta di modelli in servizio anche presso le Forze Armate e i Servizi Aerei di altri Corpi dello Stato;
    allo scopo di ottenere una maggiore efficienza ed economicità nella gestione degli elicotteri, sarebbe importante riuscire ad ottenere una integrazione, almeno parziale, dei servizi logistici, di manutenzione e addestramento dei Servizi Aerei dei Corpi dello Stato, predisponendo l'accorpamento dei servizi a terra in essere nei singoli sedimi aeroportuali, anche in linea con il principio della gestione associata dei servizi strumentali delle Forze di Polizia sancito dal decreto legislativo 1o febbraio 2016, il quale però non si spinge oltre la razionalizzazione dell'approvvigionamento esterno di materiali e servizi e dell'addestramento (articolo 5, lettera «e» «approvvigionamento di materiali, servizi e dotazioni per uso aereo»),

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di predisporre, anche in successivi provvedimenti normativi, misure dirette a realizzare un accorpamento dei servizi logistici, di manutenzione e addestramento relativi alle linee elicotteri dei Servizi Aerei dei Corpi dello Stato, anche favorendo, quando possibile, una redistribuzione delle flotte volta a favorire la concentrazione per tipologia dei velivoli sui diversi sedimi aeroportuali, allo scopo di facilitare le attività logistiche.
9/3926-A-R/35. (Testo modificato nel corso della seduta).  Artini, Baldassarre, Bechis, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino, Segoni, Turco, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il capo primo dell'atto sottoposto al nostro esame contiene norme in materia di enti territoriali;
    alcuni articoli sono dedicati meritoriamente ai comuni, al Patto di stabilità interno per il 2015, ai contributi alla finanza pubblica delle province e delle città metropolitane per il 2016 e alla verifica del pareggio di bilancio;
    ciò è avvenuto a causa della difficile situazione finanziaria di numerosi enti locali, conosciuta e affrontata con il provvedimento urgente dal Governo che ci accingiamo a votare, nonostante le già avvenute riduzioni di spesa e di personale effettuate che non hanno loro consentito di garantire per il 2016 gli equilibri di bilancio, anche a causa delle insufficienti di risorse disponibili, nonostante gli interventi economico finanziari a supporto degli stessi contenuti in questo provvedimento,

impegna il Governo:

   a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa al fine di adottare eventuali ulteriori iniziative volte a consentire la possibilità di utilizzare quota parte dei proventi derivanti da dismissioni di beni in proprietà degli enti locali per garantire il rispetto dei saldi di bilanci;
   a facilitare gli enti locali nel recupero di somme a loro dovute da parte dello Stato, con particolare riguardo al rimborso delle spese anticipate dai Comuni per il funzionamento degli uffici giudiziari;
   a garantire ai Comuni, come già avvenuto in passato, compensazioni sul prelievo fiscale sui terreni montani, stimati dallo Stato in dimensione superiore ai tributi effettivamente riscuotibili;
   ad adottare misure di semplificazione delle procedure amministrative connesse al nuovo sistema di contabilità, entrato in vigore dal 2015, in particolare per i piccoli e medi Comuni gravati da obblighi onerosi da sopportare per strutture amministrative di ridotte dimensioni. Proposte, lo si specifica, che non comportano un maggior onere finanziario a carico dello Stato, e che consentirebbe ai Comuni di poter esercitare la propria attività in modo più efficiente ed economico;
   ad ampliare il Fondo costituito per ridurre le penali a favore dei Comuni che estinguono anticipatamente i mutui contratti con Cassa depositi e prestiti.
9/3926-A-R/36Matarrelli, Artini, Baldassarre, Bechis, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Pastorino, Segoni, Turco, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il capo primo dell'atto sottoposto al nostro esame contiene norme in materia di enti territoriali;
    alcuni articoli sono dedicati meritoriamente ai comuni, al Patto di stabilità interno per il 2015, ai contributi alla finanza pubblica delle province e delle città metropolitane per il 2016 e alla verifica del pareggio di bilancio;
    ciò è avvenuto a causa della difficile situazione finanziaria di numerosi enti locali, conosciuta e affrontata con il provvedimento urgente dal Governo che ci accingiamo a votare, nonostante le già avvenute riduzioni di spesa e di personale effettuate che non hanno loro consentito di garantire per il 2016 gli equilibri di bilancio, anche a causa delle insufficienti di risorse disponibili, nonostante gli interventi economico finanziari a supporto degli stessi contenuti in questo provvedimento,

impegna il Governo:

   a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa al fine di valutare l'opportunità di adottare eventuali ulteriori iniziative volte a consentire la possibilità di utilizzare quota parte dei proventi derivanti da dismissioni di beni in proprietà degli enti locali per garantire il rispetto dei saldi di bilanci;
   a valutare l'opportunità di facilitare gli enti locali nel recupero di somme a loro dovute da parte dello Stato, con particolare riguardo al rimborso delle spese anticipate dai Comuni per il funzionamento degli uffici giudiziari;
   a valutare l'opportunità di garantire ai Comuni, come già avvenuto in passato, compensazioni sul prelievo fiscale sui terreni montani, stimati dallo Stato in dimensione superiore ai tributi effettivamente riscuotibili;
   a valutare l'opportunità di adottare misure di semplificazione delle procedure amministrative connesse al nuovo sistema di contabilità, entrato in vigore dal 2015, in particolare per i piccoli e medi Comuni gravati da obblighi onerosi da sopportare per strutture amministrative di ridotte dimensioni. Proposte, lo si specifica, che non comportano un maggior onere finanziario a carico dello Stato, e che consentirebbe ai Comuni di poter esercitare la propria attività in modo più efficiente ed economico;
   a valutare l'opportunità di ampliare il Fondo costituito per ridurre le penali a favore dei Comuni che estinguono anticipatamente i mutui contratti con Cassa depositi e prestiti.
9/3926-A-R/36. (Testo modificato nel corso della seduta).  Matarrelli, Artini, Baldassarre, Bechis, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Pastorino, Segoni, Turco, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    le concessioni demaniali marittime, aventi ad oggetto l'occupazione e l'uso, anche esclusivo, di beni facenti parte del demanio necessario dello Stato (articolo 822, comma 1, codice civile), dietro la corresponsione di un canone;
    nel 2009, la Commissione europea ha sottoposto l'Italia a una procedura d'infrazione relativa alla normativa in materia di affidamento delle concessioni demaniali marittime perché essa contrasterebbe con la direttiva 2006/123/CE, nota come direttiva servizi, sia per il cosiddetto «diritto di insistenza», di cui, all'articolo 37 del codice della navigazione, sia per il rinnovo automatico delle concessioni di sei anni in sei anni, prevista dall'articolo 1, comma 2 del citato decreto-legge 400 del 1993, convertito dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494 e successive modificazioni;
    il 21 gennaio 2010 il Governo italiano ha notificato alla Commissione l'articolo 1, comma 18, del decreto-legge n. 194 del 2009, convertito dalla legge n. 25 del 2010, volto ad adeguare le disposizioni del codice della navigazione oggetto di rilievi, eliminando, in particolare, il già citato diritto preferenziale di insistenza. La stessa disposizione, peraltro, prevedeva altresì che le concessioni demaniali in essere alla data del 30 dicembre 2009 (data di entrata in vigore decreto-legge n. 194 del 2009), in scadenza entro il 31 dicembre 2015, fossero prorogate fino a tale data;
    dopo aver esaminato la disposizione, la Commissione ha tuttavia tenuto ferma la procedura di infrazione, contestando che tale rinvio, stabilendo il rinnovo automatico, di sei anni in sei anni, per le concessioni che giungono a scadenza, privasse nella sostanza di effetto il decreto-legge n. 194 del 2009 e rimanesse contrario alla normativa UE, in particolare con riferimento all'articolo 12 della direttiva 2006/123/CE (cosiddetta direttiva servizi) e con l'articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, che vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento;
    al fine di superare i rilievi della Commissione, l'articolo 11 della legge 15 dicembre 2011, n. 217 (legge comunitaria 2010) non solo ha soppresso il rinnovo automatico ma ha anche delegato il Governo ad emanare, entro il 17 aprile 2013, un decreto legislativo avente ad oggetto la revisione e il riordino della legislazione relativa alle concessioni demaniali marittime;
    il decreto legislativo non è stato mai emanato;
    viceversa con l'articolo 34-duodecies del decreto-legge n. 179 del 2012, di novella del citato articolo 1, comma 18, del decreto-legge n. 194 del 2009, è stata disposta la proroga al 31 dicembre 2020 delle concessioni demaniali in essere alla data del 30 dicembre 2009 (data di entrata in vigore del decreto-legge n. 194 del 2009) e in scadenza entro il 31 dicembre 2015, rinviando così ancora – in evidente contrasto con la normativa dell'Unione europea, anche come evidenziata dalla Commissione nell'ambito della procedura – la individuazione di una soluzione adeguata capace di garantire le regole della trasparenza, della concorrenza leale e della certezza del diritto, oltre a tutelare adeguatamente l'attività di impresa;
    il comma 732 dell'articolo unico della Legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013) aveva indicato il 15 ottobre 2014 come termine per il riordino complessivo della materia delle concessioni demaniali marittime;
    nulla le Camere e il Governo hanno fatto in proposito, lasciando decorrere inutilmente il termine da ultimo indicato e non utilizzando la proroga fissata e successivamente ampliata per dettare finalmente una normativa di riordino della materia che tenesse adeguatamente in considerazione il necessario rispetto del diritto dell'Unione europea;
    nel frattempo, a seguito della proposizione di questioni pregiudiziali sulla normativa italiana in merito alle concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo proposte dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia e dal Tribunale amministrativo regionale della Sardegna, il 14 luglio 2016, la Corte di giustizia dell'Unione europea, Quinta Sezione, ha depositato una sentenza (cause riunite C-458/14 e C-67/15) con cui ha dichiarato che «l'articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati» e che «l'articolo 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che consente una proroga automatica delle concessioni demaniali pubbliche in essere per attività turistico-ricreative, nei limiti in cui tali concessioni presentano un interesse transfrontaliero certo»,

impegna il Governo

a riordinare la materia delle concessioni demaniali marittime a scopo turistico-ricreativo, al fine di evitare il protrarsi dell'infrazione del diritto dell'Unione europea, nel più breve tempo possibile, adoperandosi perché questo non sia superiore a centottanta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113, recante misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio, e a prevedere una disciplina che dia attuazione alle regole dell'imparzialità e della trasparenza nella selezione dei candidati, ferma restando un'adeguata tutela degli investimenti realizzati dagli esercenti attività di impresa nell'ambito delle concessioni, anche in essere al momento dell'entrata in vigore della nuova disciplina, nel rispetto del principio di certezza del diritto.
9/3926-A-R/37Civati, Artini, Baldassarre, Bechis, Brignone, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino, Segoni, Turco, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame dispone all'articolo 22 in materia ambientale che il commissario straordinario comunichi, semestralmente, al Ministero dell'economia e delle finanze e al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nonché alle Commissioni parlamentari competenti l'importo delle risorse finanziarie impegnate per la messa a norma delle discariche abusive ai fini di cui all'articolo 43, comma 9-bis, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, e presenti un dettagliato rapporto sullo stato di avanzamento dei lavori concernenti la messa a norma di tutte le discariche abusive oggetto della sentenza di condanna della Corte di giustizia dell'Unione europea del 2 dicembre 2014 relativa alla procedura di infrazione comunitaria n. 2003/2077;
    sarebbe opportuno assicurare tempestività d'azione e piena rispondenza degli interventi di messa a norma di tutte le discariche abusive oggetto della sentenza di condanna di cui in premessa mediante un sistema di monitoraggio degli interventi attraverso il supporto tecnico-scientifico ed operativo dell'ISPRA, prevedendo un obbligo per i Commissari di comunicare tempestivamente al suddetto organismo gli adempimenti tecnico-amministrativi posti in essere per la realizzazione degli interventi e lo stato di attuazione degli interventi stessi, indicando l'ubicazione e le caratteristiche dell'intervento, comunicando la nomina del R.U.P. e l'affidamento della progettazione e/o di eventuali studi;
    bisognerebbe trasmettere l'atto di approvazione del progetto definitivo dell'intervento e l'avvenuta aggiudicazione dei lavori, inviandone la relativa delibera ed il quadro economico risultante;
    i Commissari dovrebbero fornire, su richiesta di ISPRA, anche per le vie brevi, informazioni sullo stato di attuazione degli interventi e su eventuali modifiche in corso d'opera, nonché l'eventuale assistenza ai sopralluoghi tecnici nonché gli atti di sospensione e ripresa dei lavori ovvero di proroga; mentre sono tenuti a comunicare l'avvenuta conclusione dei lavori e a trasmettere il certificato di collaudo delle opere (o il C.R.E.) corredato del quadro economico finale, evidenziando le eventuali economie residue e trasmettendo copia del progetto esecutivo approvato e delle eventuali perizie di variante su supporto digitale ovvero in modalità telematica;
    l'accessibilità ai dati forniti dai Commissari dovrebbe essere garantita sia agli organi ministeriali competenti che alle Commissioni parlamentari competenti,

impegna il Governo

a predisporre, anche in successivi interventi normativi, un obbligo più dettagliato delle informazioni che il Commissario deve fornire all'ISPRA e alle Commissioni parlamentari competenti.
9/3926-A-R/38Segoni, Artini, Baldassarre, Bechis, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino, Turco, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    l'introduzione del nuovo saldo di bilancio, di cui all'articolo 1 comma 707, commi da 709 a 713, comma 716 e commi da 719 a 734, della Legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Legge di Stabilità 2016) che prevede l'obbligo, per tutti i Comuni, senza limiti demografici, di conseguire un saldo non negativo in termini di competenza, tra le entrate finali (Tit. 1-2-3-4-5) e le spese finali (Tit. 1-2-3), rende impossibile il rispetto di tale obiettivo laddove si finanzino spese con l'utilizzo dell'avanzo di amministrazione, essendo lo stesso escluso dalle voci previste in entrata;
    accade così che gli enti locali – stante le note restrizioni in materia di entrate (sia per l'impossibilità di incrementare il gettito tributario proprio che per la progressiva e consistente diminuzione dei trasferimenti statali) – si trovino ad avere, per poter effettuare investimenti, degli spazi esigui rinvenibili unicamente nel Titolo 4 della spesa (rimborsi di prestiti) e negli accantonamenti per il Fondo crediti di dubbia e difficile esigibilità e fondo contenzioso;
    pertanto si può verificare il caso di amministratori di enti locali che, a causa dell'esaurimento della capienza della loro discarica di rifiuti solidi urbani, devono obbligatoriamente iniziare i lavori per procedere alla chiusura di dette discariche e non riuscendo a trovare adeguato spazio nel saldo di finanza sopra evidenziato, si trovano a dover sforare il vincolo del pareggio di bilancio (con l'applicazione di pesanti sanzioni) per eseguire un'opera di risanamento ambientale, la cui eventuale mancata realizzazione comporta conseguenze anche di carattere penale,

impegna il Governo

a provvedere affinché nel saldo individuato ai sensi dell'articolo 1, comma 710, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, non vengano considerate le spese sostenute dagli enti locali per i lavori conseguenti ai provvedimenti di chiusura definitiva e di gestione di discarica per i rifiuti solidi urbani ai sensi dell'articolo 12 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, effettuati a valere sull'avanzo di amministrazione, ovvero a stabilire una fattispecie di deroga al saldo finanziario di cui alla legge n. 208 del 2015 analoga a quella prevista per il 2016 per le opere di bonifica ambientale conseguenti ad attività minerarie.
9/3926-A-R/39Pastorino, Artini, Baldassarre, Bechis, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Segoni, Turco, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge n. 56 del 2014 «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni» ha ridisegnato ruolo, confini e competenze dell'amministrazione locale, trasformando sostanzialmente le Province e le città metropolitane in enti di secondo grado;
    nel corso degli ultimi anni sono stati molteplici i tagli ai bilanci delle amministrazioni provinciali: tra il 2011 ed il 2013 sono stati decurtati oltre 2,1 miliardi di euro mentre la Legge di stabilità per il 2015 (legge n. 190 del 2014) è intervenuta con una riduzione della spesa corrente di 1.000 milioni di euro per l'anno 2015, di 2.000 milioni di euro per l'anno 2016 e di 3.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017;
    le province, nonostante la riforma, hanno diretta competenza sui seguenti settori:
     l'edilizia scolastica, il funzionamento delle scuole e la formazione professionale. Le province gestiscono oltre 5000 edifici, quasi 120 mila classi e oltre 2 milioni e 500 mila allievi;
     lo sviluppo economico e i servizi per il mercato del lavoro: le province gestiscono i servizi di collocamento attraverso 550 centri per l'impiego; intervengono con sostegni all'imprenditoria; promuovono le energie alternative e le fonti rinnovabili;
     la gestione del territorio e la tutela ambientale: le province hanno compiti di difesa del suolo, prevenzione delle calamità, tutela delle risorse idriche ed energetiche, smaltimento dei rifiuti;
     la mobilità, la viabilità, i trasporti: le province gestiscono il trasporto pubblico extraurbano e circa 134 mila chilometri di strade nazionali extraurbane;
    si tratta di funzioni chiave, strettamente collegate al territorio, indispensabili per assicurare alle comunità il mantenimento del welfare locale e la promozione dello sviluppo imprenditoriale ed occupazionale delle imprese, e che rischiano di essere compromesse dai tagli ai bilanci;
    tra i territori italiani maggiormente penalizzati emergono le amministrazioni provinciali della Toscana, proprio a causa di un particolare meccanismo di calcolo che conteggia tra le spese delle province anche i finanziamenti che le regioni girano agli enti provinciali per garantire alcuni servizi come ad esempio il piano dei trasporti pubblici. In pratica si tratta di una semplice «partita di giro»;
    per quanto riguarda le norme presenti nella Legge di stabilità per il 2015, viene specificato al comma 418 dell'articolo 1, che l'ammontare della riduzione della spesa corrente che ciascun ente deve conseguire è definito con decreto di natura non regolamentare del Ministero dell'interno da emanare entro il 15 febbraio 2015, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, tenendo conto anche della differenza tra spesa storica e fabbisogni standard;
    nella seduta di giovedì 30 giugno 2016 della Conferenza Stato-città ed autonomie locali è stato acquisito l'avviso degli Enti locali (favorevole dell'ANCI e sfavorevole dell'UPI, che ha lamentato l'insostenibilità finanziaria dei tagli) sulla ripartizione tra le Province e tra le Città Metropolitane delle Regioni a statuto ordinario e delle Regioni Sicilia e Sardegna della riduzione, per l'anno 2016, di ulteriori risorse per 1.000 milioni di euro (disposti dal comma 418 della legge di stabilità 2015). La Conferenza Stato-città ed autonomie locali ha acquisto, inoltre, l'avviso degli Enti locali in ordine alle ripartizioni di un contributo di 495 milioni di euro tra le Province e tra le Città Metropolitane delle Regioni a statuto ordinario per il finanziamento delle spese per l'edilizia e la viabilità, e di un contributo di 39,6 milioni di euro tra le Province delle Regioni a statuto ordinario per garantire il mantenimento della situazione finanziaria corrente nel 2016 (commi 754 e 764 della legge di stabilità 2016);
    i criteri per procedere a tutte le ripartizioni sopracitate sono stati determinati in un'unica nota metodologica, anch'essa approvata dalla Conferenza Stato-città ed autonomie locali nella seduta del 30 giugno 2016;
    nella successiva seduta di giovedì 14 luglio 2016 della Conferenza Stato-città ed autonomie locali sono stati modificati i criteri per le ripartizioni al fine di per riparare ad alcune incongruenze e criticità emerse. Nello specifico sono stati esclusi dai dati, considerati per la quantificazione dei tagli a ciascuna Provincia delle Regioni a statuto ordinario, le risorse rivenienti da canoni idrici, riscossi dall'ente in base ad una legge regionale, e da questa espressamente vincolate nella destinazione;
    a seguito dell'esame in sede referente, le ripartizioni derivanti dai criteri sono state recepite all'articolo 8 del provvedimento;
    le attuali ripartizioni, e conseguentemente i criteri attuati, confermano gravi penalizzazioni per le Province della Toscana per le seguenti motivazioni:
     i canoni idrici esclusi sono solo una parte delle entrate extratributarie, rimangono ulteriori entrate extratributarie da escludere perché connesse alle funzioni regionali, che come noto sono ritornate in Regione privando le amministrazioni di queste entrate;
     le province toscane fino al 2014/2015 erano dotate di strutture più articolate, con aree direzionali e figure amministrative apicali, perché erano chiamate a gestire numerose funzioni delegate dalla Regione. Per questo motivo era necessario avere un maggior numero di personale (tecnico e, pure, amministrativo), anche dirigenziale. Questo si riflette in una maggiore spesa di personale, nonostante tutte le province toscane rispettino la disposizione (presenti all'articolo 1, comma 421 e seguenti, della Legge n. 190 del 2014) che impone il dimezzamento della dotazione organica;
     le riduzioni di spesa sono basate anche sui costi del personale al consuntivo 2014. Il Ministero dell'economia e delle finanze ha preso come parametro il dato del certificato consuntivo 2014 delle province toscane e ha dimezzato l'importo riscontrato, ottenendo il risultato di 65 milioni di euro. In realtà la spesa di personale nel 2016, come da comunicazioni delle province toscane, è di 69 milioni, quindi ben 4 milioni più alta. Quindi mancherebbero 4 milioni di euro nelle casse provinciali toscane rispetto a quanto stimato dal Ministero. Ciò è dovuto al fatto che deve essere considerato il costo dell'Irap e soprattutto che il dimezzamento della dotazione organica (articolo 1, comma 421, legge n. 190 del 2014) si perfezionerà al 31 dicembre 2016, con la conseguenza che le province toscane stanno pagando e pagheranno fino alla fine dell'anno personale che andrà in pensione o che andrà in mobilità;
    il combinato disposto di tagli e contributi fa emergere con evidenza le penalizzazioni delle Province della Toscana che subiscono riduzioni di circa il 14 per cento del totale nazionale (con un aumento di circa 5 punti percentuale rispetto all'anno precedente), una cifra inferiore soltanto a quella delle amministrazioni provinciali della Lombardia malgrado le evidenti differenze territoriali, economiche e produttive (e nonostante la Lombardia guadagni complessivamente fra tagli e contributi 61,5 milioni di euro a fronte dei soli 3,5 della Toscana);
    le province della Toscana che rischiano di non rispettare gli equilibri di parte corrente necessari all'approvazione del bilancio di previsione 2016 sono Lucca, Massa, Pisa, Pistoia, Grosseto e Siena,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di integrare, per le province della Toscana con gravi difficoltà di bilancio, le risorse derivanti dalle ripartizioni presenti all'articolo 8 del provvedimento in esame al fine di evitare evidenti disparità perequative a livello nazionale e salvaguardare la continuità e la qualità dei servizi erogati da tali amministrazioni.
9/3926-A-R/40Cenni.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 23-bis del presente decreto legge sono previste misure per la competitività della filiera e il miglioramento della qualità dei prodotti cerealicoli e lattiero-caseari;
    in considerazione del persistere di una crisi che sta determinando gravi difficoltà agli operatori dei suddetti settori in particolare nel Mezzogiorno si ritiene opportuno anche valorizzare i prodotti di eccellenza del nostro comparto agroalimentare;
    in particolare i suddetti settori in Puglia rappresentano una voce importante dell'economia territoriale;
    la concorrenza sleale esercitata attraverso prodotti contraffatti e di pessima qualità è una minaccia sempre più avvertita per gli operatori onesti e questo mette a rischio l'attività di numerose imprese agroalimentari;
    l'approdo nei porti italiani compresi quelli pugliesi di grano e cereali di pessima qualità rischia di compromettere produzioni di eccellenza del made in Puglia,

impegna il Governo

a rafforzare nell'ambito dei contratti di filiera che riguarderanno la Puglia l'attività di controllo da parte degli organismi preposti e delle forze dell'ordine in particolare presso i porti al fine di contrastare efficacemente l'introduzione sul mercato di prodotti di pessima qualità che mettono a rischio la salute dei cittadini e la competitività di un settore strategico per l'economia pugliese.
9/3926-A-R/41Losacco, Ventricelli, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 23-bis del presente decreto legge sono previste misure per la competitività della filiera e il miglioramento della qualità dei prodotti cerealicoli e lattiero-caseari;
    in considerazione del persistere di una crisi che sta determinando gravi difficoltà agli operatori dei suddetti settori in particolare nel Mezzogiorno si ritiene opportuno anche valorizzare i prodotti di eccellenza del nostro comparto agroalimentare;
    in particolare i suddetti settori in Puglia rappresentano una voce importante dell'economia territoriale;
    la concorrenza sleale esercitata attraverso prodotti contraffatti e di pessima qualità è una minaccia sempre più avvertita per gli operatori onesti e questo mette a rischio l'attività di numerose imprese agroalimentari;
    l'approdo nei porti italiani compresi quelli pugliesi di grano e cereali di pessima qualità rischia di compromettere produzioni di eccellenza del made in Puglia,

impegna il Governo

a valutare ogni iniziativa volta a rafforzare nell'ambito dei contratti di filiera che riguarderanno la Puglia l'attività di controllo da parte degli organismi preposti e delle forze dell'ordine in particolare presso i porti al fine di contrastare efficacemente l'introduzione sul mercato di prodotti di pessima qualità che mettono a rischio la salute dei cittadini e la competitività di un settore strategico per l'economia pugliese.
9/3926-A-R/41. (Testo modificato nel corso della seduta).  Losacco, Ventricelli, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il presente decreto-legge reca misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali;
    tra le misure finanziarie oggetto del provvedimento, si introducono disposizioni specifiche in materia di personale degli enti locali riducendo determinati vincoli imposti alle loro capacità assunzionali;
    la Camera dei Deputati ha approvato nella seduta del 14 luglio il disegno di legge «Delega recante norme relative al contrasto della povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali» (collegato alla legge di stabilità 2016);
    la delega citata intende realizzare uno strumento universale di contrasto alla povertà, riorganizzando anche il sistema degli interventi e dei servizi sociali;
    presupposto imprescindibile per la realizzazione e il funzionamento del sistema è la reale riorganizzazione del sistema dei servizi territoriali, a partire da quelli sociali dei Comuni, chiamati a svolgere una funzione cruciale di presa in carico e regia;
    per assicurare adeguatezza, efficacia ed efficienza del sistema occorre proseguire nell'integrazione territoriale dei servizi, a partire dalla gestione associata di quelli sociali degli enti locali per ambiti territoriali ottimali;
    gli attuali vincoli stringenti alla spesa del personale e soprattutto il blocco del turn over per i comuni rischiano di compromettere sul nascere la piena realizzabilità degli obiettivi della presente delega;
    il Governo ha accolto, nella seduta del 14 luglio, l'ordine del giorno n. 9/03594-A/031, in materia di potenziamento dei servizi territoriali degli enti locali,

impegna il Governo

nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, a valutare l'opportunità di consentire ai Comuni di assumere le figure professionali in questione al di fuori dei richiamati vincoli, segnatamente per gli enti che abbiano costituito o costituiscano, a livello di ambito territoriale, forme strutturali di gestione associata dei servizi sociali.
9/3926-A-R/42Piazzoni, Giacobbe, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    l'attuale disciplina in materia di dissesto finanziario degli Enti locali, non si applica alle Unioni di Comuni,
    ciò comporta che, in caso di esistenza nei confronti dell'Unione di comuni, di crediti certi, liquidi ed esigibili di terzi, la stessa Unione non possa validamente utilizzare gli strumenti di cui agli articoli 193 e 194 del decreto legislativo n. 267 del 2000;
    l'impossibilità da parte dell'Unione dei Comuni di poter dichiarare formalmente il dissesto finanziario comporta poi che gli eventuali debiti gravanti sull'Unione vengano trasferiti sui bilanci dei Comuni aderenti, con il rischio concreto per questi ultimi di dichiarare il dissesto;
    ciò comporta altresì che, in tali casi, i creditori dei Comuni aderenti alle Unioni si troverebbero ingiustamente a subire una procedura di dissesto, con conseguente taglio dei loro crediti, determinandosi il paradosso che i creditori delle Unioni dei Comuni andrebbero invece soddisfatti per intero, non potendosi applicare a questi ultimi le norme sul dissesto finanziario;
    inoltre, la non applicabilità delle norme sul dissesto finanziario alle Unioni dei Comuni, tra cui l'articolo 248 del decreto legislativo n. 267 del 2000, in materia di sospensione delle azioni esecutive, comporta che le azioni dei creditori continuano a produrre i loro effetti aggravando in tal modo lo stato finanziario di tali Enti;
    tale disparità nell'applicazione delle norme citate sta comportando notevoli disagi a molte Amministrazioni locali,

impegna il Governo

ad adottare tutti i provvedimenti atti ad estendere alle Unioni dei Comuni validamente costituite le norme in materia di risanamento degli Enti locali dissestati ovvero che consentano ai Comuni di poter gestire, in un arco di tempo prolungato, i debiti derivanti dalla partecipazione alle Unioni dei Comuni poste in liquidazione.
9/3926-A-R/43Zan, Pilozzi, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    nella sua attuale formulazione, l'articolo 2 comma 5 del decreto-legge n. 78 del 2015 «Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali», convertito con modificazioni con legge n. 125 del 6 agosto 2015, comporta una disparità di trattamento tra gli Enti che hanno aderito alla procedura di riequilibrio finanziario ivi prevista, ed erano Enti sperimentatori, e quanti hanno deliberato il ricorso a tale istituto in seguito ad un'attività di ricognizione straordinaria dei residui non essendo Enti sperimentatori;
    ulteriore disparità di trattamento causata dalla legislazione citata è quella tra gli Enti che hanno proceduto, antecedentemente al 1o gennaio 2015, ad una revisione straordinaria dei residui e per salvaguardare gli equilibri di bilancio hanno fatto ricorso all'unico strumento disponibile, ovvero la procedura di riequilibrio pluriennale decennale ai sensi dell'articolo 243-bis del Tuel, rispetto agli Enti che, per effettuare tale ricognizione, hanno atteso l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 118 del 2011 (armonizzazione contabile) potendo quindi usufruire dei maggiori benefici del ripiano trentennale;
    inoltre, a causa dei progressivi (seppur necessari) tagli dei trasferimenti erariali da parte dello Stato e in virtù dei nuovi principi contabili a disciplina della fiscalità locale, gli Enti locali che hanno già proceduto ad una ricognizione straordinaria dei residui, con conseguente cancellazione di quelli non correlati ad obbligazioni giuridiche perfezionate e recupero degli equilibri di bilancio attraverso il ricorso al piano pluriennale di cui all'articolo 243-bis del Tuel, rischiano seriamente di non riuscire ad ottemperare agli impegni di ripiano assunti nel decennio ed essere costretti a dichiarare il dissesto finanziario;
    si rende dunque opportuno eliminare le disparità di trattamento tra Enti locali determinate dalla legislazione citata equiparando, limitatamente ai fini e agli effetti del decreto-legge n. 78 del 2015, convertito con modificazioni con legge n. 125 del 6 agosto 2015, agli Enti sperimentatori gli Enti locali che, antecedentemente alla data del 1o gennaio 2015, abbiano aderito alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale ai sensi dell'articolo 243-bis del decreto legislativo del 18 agosto 2000, n. 267;
    ciò consentirebbe agli Enti locali di ripianare la quota di disavanzo derivante dalla revisione straordinaria dei residui, effettuata ai sensi del comma 8, lettera e), dell'articolo 243-bis, secondo le modalità previste dall'articolo 3, comma 17, del decreto legislativo n. 118 del 2011 permettendo di rimodulare il piano di riequilibrio finanziario pluriennale di cui al comma 5 dell'articolo 243-bis del decreto legislativo n. 267 del 2000,

impegna il Governo

ad adottare i provvedimenti necessari al fine di consentire anche agli Enti locali non qualificati «Enti Sperimentatori», che negli anni 2012, 2013 e 2014 hanno proceduto ad effettuare la revisione straordinaria dei residui di cui all'articolo 243-bis comma 8 lettera e) del decreto legislativo n. 267 del 2000, di utilizzare la procedura di cui all'articolo 2, comma 5 del decreto-legge n. 78 del 2015, convertito con modificazioni con legge n. 125 del 6 agosto 2015, allo scopo di ripianare la quota di disavanzo derivante dalla revisione straordinaria dei residui effettuata antecedentemente al 1o gennaio 2015.
9/3926-A-R/44Pilozzi, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    nella sua attuale formulazione, l'articolo 2 comma 5 del decreto-legge n. 78 del 2015 «Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali», convertito con modificazioni con legge n. 125 del 6 agosto 2015, comporta una disparità di trattamento tra gli Enti che hanno aderito alla procedura di riequilibrio finanziario ivi prevista, ed erano Enti sperimentatori, e quanti hanno deliberato il ricorso a tale istituto in seguito ad un'attività di ricognizione straordinaria dei residui non essendo Enti sperimentatori;
    ulteriore disparità di trattamento causata dalla legislazione citata è quella tra gli Enti che hanno proceduto, antecedentemente al 1o gennaio 2015, ad una revisione straordinaria dei residui e per salvaguardare gli equilibri di bilancio hanno fatto ricorso all'unico strumento disponibile, ovvero la procedura di riequilibrio pluriennale decennale ai sensi dell'articolo 243-bis del Tuel, rispetto agli Enti che, per effettuare tale ricognizione, hanno atteso l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 118 del 2011 (armonizzazione contabile) potendo quindi usufruire dei maggiori benefici del ripiano trentennale;
    inoltre, a causa dei progressivi (seppur necessari) tagli dei trasferimenti erariali da parte dello Stato e in virtù dei nuovi principi contabili a disciplina della fiscalità locale, gli Enti locali che hanno già proceduto ad una ricognizione straordinaria dei residui, con conseguente cancellazione di quelli non correlati ad obbligazioni giuridiche perfezionate e recupero degli equilibri di bilancio attraverso il ricorso al piano pluriennale di cui all'articolo 243-bis del Tuel, rischiano seriamente di non riuscire ad ottemperare agli impegni di ripiano assunti nel decennio ed essere costretti a dichiarare il dissesto finanziario;
    si rende dunque opportuno eliminare le disparità di trattamento tra Enti locali determinate dalla legislazione citata equiparando, limitatamente ai fini e agli effetti del decreto-legge n. 78 del 2015, convertito con modificazioni con legge n. 125 del 6 agosto 2015, agli Enti sperimentatori gli Enti locali che, antecedentemente alla data del 1o gennaio 2015, abbiano aderito alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale ai sensi dell'articolo 243-bis del decreto legislativo del 18 agosto 2000, n. 267;
    ciò consentirebbe agli Enti locali di ripianare la quota di disavanzo derivante dalla revisione straordinaria dei residui, effettuata ai sensi del comma 8, lettera e), dell'articolo 243-bis, secondo le modalità previste dall'articolo 3, comma 17, del decreto legislativo n. 118 del 2011 permettendo di rimodulare il piano di riequilibrio finanziario pluriennale di cui al comma 5 dell'articolo 243-bis del decreto legislativo n. 267 del 2000,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare i provvedimenti necessari al fine di consentire anche agli Enti locali non qualificati «Enti Sperimentatori», che negli anni 2012, 2013 e 2014 hanno proceduto ad effettuare la revisione straordinaria dei residui di cui all'articolo 243-bis comma 8 lettera e) del decreto legislativo n. 267 del 2000, di utilizzare la procedura di cui all'articolo 2, comma 5 del decreto-legge n. 78 del 2015, convertito con modificazioni con legge n. 125 del 6 agosto 2015, allo scopo di ripianare la quota di disavanzo derivante dalla revisione straordinaria dei residui effettuata antecedentemente al 1o gennaio 2015.
9/3926-A-R/44. (Testo modificato nel corso della seduta).  Pilozzi, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge di stabilità 28 dicembre 2015, n. 208, all'articolo 1, commi 756 e 758, in coerenza con la fase di riordino istituzionale determinato dalla legge 8 aprile 2015, n. 56, ha previsto per province e città metropolitane una serie di interventi di carattere straordinario che prevedono:
   possibilità di predispone il bilancio di previsione 2016 solo annuale;
   possibilità di applicare, in fase previsionale, e per il mantenimento degli equilibri finanziari, l'avanzo libero e destinato;
   possibilità di applicare anche l'avanzo vincolato, per l'equilibrio della situazione corrente 2016, derivante da trasferimenti correnti e in conto capitale già attribuiti dalle regioni a province e città metropolitane affluiti nell'avanzo di amministrazione vincolato 2015;
    premesso altresì che nell'anno 2015 alcune province e città metropolitane hanno alienato parte del proprio patrimonio immobiliare in favore di Invimit, attraverso le attività disciplinate dagli articoli 33 e 33-bis del decreto-legge n. 98 del 2011, e che tali alienazioni, realizzatesi a fine anno 2015, hanno prodotto nei bilanci degli enti degli avanzi destinati;
    premesso infine che il processo di conferimento a fondi gestiti da Invimit srl relativamente ad immobili utilizzati da amministrazioni centrali è ancora in corso e determinerà ulteriori alienazioni nel corso del 2016,

impegna il Governo:

   ad assumere le idonee iniziative volte a:
    favorire l'utilizzo di tali avanzi destinati per il mantenimento degli equilibri delle Province per l'anno 2016, prescindendo dalla natura delle risorse affluite nell'avanzo di amministrazione, in coerenza con il quadro legislativo di eccezionalità che caratterizza le Province e la gestione del ciclo di bilancio dell'anno in corso;
    favorire l'utilizzo delle risorse rivenienti dalle alienazioni di beni immobili delle Province a Invimit effettuate nel corso dell'anno 2016.
9/3926-A-R/45Ferrari.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge di stabilità 28 dicembre 2015, n. 208, all'articolo 1, commi 756 e 758, in coerenza con la fase di riordino istituzionale determinato dalla legge 8 aprile 2015, n. 56, ha previsto per province e città metropolitane una serie di interventi di carattere straordinario che prevedono:
   possibilità di predispone il bilancio dì previsione 2016 solo annuale;
   possibilità di applicare, in fase previsionale, e per il mantenimento degli equilibri finanziari, l'avanzo libero e destinato;
   possibilità di applicare anche l'avanzo vincolato, per l'equilibrio della situazione corrente 2016, derivante da trasferimenti correnti e in conto capitale già attribuiti dalle regioni a province e città metropolitane affluiti nell'avanzo di amministrazione vincolato 2015;
    premesso altresì che nell'anno 2015 alcune province e città metropolitane hanno alienato parte del proprio patrimonio immobiliare in favore di Invimit, attraverso le attività disciplinate dagli articoli 33 e 33-bis del decreto-legge n. 98 del 2011, e che tali alienazioni, realizzatesi a fine anno 2015, hanno prodotto nei bilanci degli enti degli avanzi destinati;
    premesso infine che il processo di conferimento a fondi gestiti da Invimit srl relativamente ad immobili utilizzati da amministrazioni centrali è ancora in corso e determinerà ulteriori alienazioni nel corso del 2016,

impegna il Governo:

   ad assumere le idonee iniziative volte a favorire l'utilizzo di tali avanzi destinati per il mantenimento degli equilibri delle Province per l'anno 2016, prescindendo dalla natura delle risorse affluite nell'avanzo di amministrazione, in coerenza con il quadro legislativo di eccezionalità che caratterizza le Province e la gestione del ciclo di bilancio dell'anno in corso.
9/3926-A-R/45. (Testo modificato nel corso della seduta).  Ferrari.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 6-bis del provvedimento all'esame dell'Aula, sono autorizzate – al comma 1 – l'assunzione straordinaria nei ruoli iniziali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco di 193 unità, per l'anno 2016 a valere sulle facoltà assunzionali del 2017; e – al comma 2 – l'incremento di 400 unità la dotazione organica del ruolo dei vigili del fuoco;
    per le stesse è disposto si attinga mediante ricorso, in parti uguali, alle graduatorie relative alla procedura selettiva di cui al decreto ministeriale n. 3747 del 27 agosto 2007 e al concorso pubblico a 814 posti di cui al decreto ministeriale n. 5140 del 6 novembre 2008;
    è previsto al comma 1, che «in caso di incapienza della graduatoria relativa alla procedura selettiva, indetta con decreto ministeriale n. 3747 del 27 agosto 2007, si attingerà dalla sola graduatoria relativa al concorso pubblico a 814 posti di vigile del fuoco indetto con decreto ministeriale n. 5140»;

impegna il Governo,

a comunicare alle Commissioni parlamentari competenti l'andamento delle assunzioni di cui all'articolo 6-bis, e informarsi sullo stato di esaurimento delle graduatorie richiamate in premessa.
9/3926-A-R/46Ventricelli, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    già in occasione dell'esercizio del 2014 della Provincia del Verbano Cusio Ossola, i Revisori dei Conti hanno più volte segnalato l'impossibilità addivenire alla predisposizione del bilancio;
    infatti, anche proponendo una ipotesi irrealistica di una Provincia priva di qualsiasi costo di Personale, le risorse ad oggi disponibili non consentirebbero il raggiungimento del pareggio di bilancio;
    anche la S.O.S.E., nell'analisi compiuta relativamente alla provincia del Vco ha convenuto sull'impossibilità per tale ente di contribuire nel 2016 all'ulteriore riduzione per efficientemente prevista dallo Stato;
    nonostante questo, anche la Provincia del Vco è risultata soggetta ad ulteriori tagli di trasferimenti per il 2015 comprendenti il mancato trasferimento per R.C.A.
    va sottolineato come l'Ente non ha raggiunto gli obbiettivi del patto di stabilità nell'esercizio 2012 e nel 2014, con conseguenti sanzioni ammontanti in circa 2,5 milioni di euro, che ovviamente gravano sui bilanci successivi dell'Ente;
    infine, l'Ente ha adottato il piano di riequilibrio ex articolo 243-bis del T.U.E.L. per l'anno 2012, ma ha dovuto prendere atto che tale piano non poteva essere rispettato alla luce del nuovo disavanzo di amministrazione del 2014 ammontante ad oltre 5,4 milioni di euro;
    l'Ente ha proseguito poi in un deciso piano di razionalizzazione della pianta organica, passando a 182 unità rispetto alle 208 in forza al 1o gennaio 2012;
    nell'esercizio 2015 la Provincia ha altresì aderito alla rinegoziazione dei mutui al fine di ottenere una riduzione degli oneri a carico del bilancio (circa 2,5 milioni di euro) ed ha evidenziato un disavanzo da riassestamento dei residui di oltre 10,7 milioni di euro che, applicato al bilancio, porta al disavanzo complessivo di oltre 14 milioni di euro, da ripiantassi, in ossequi alla nuova normativa, in 30 anni;
    nonostante, dai dati trasmessi con la «Due Diligence», sia emerso con chiarezza l'impossibilità oggettiva dell'Ente, soggetto a procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, di far fronte alle riduzioni richieste, con propri decreti il Ministero dell'interno ha provveduto al riparto del contributo alla finanza a carico delle Province. Nel dettaglio il contributo a carico della Provincia del Verbano Cusio Ossola per gli anni 2014 e 2015 è il seguente:

d.l. 66/2014 risparmi spese province ART. 47 2014 2015
(spese beni e servizi) euro 2.552.978,73 euro 2.123.764,27
(spese per incarichi, consulenze e co.co.co) euro 16.001,54 euro 18.951,88
(spese per autovetture) euro 6.283,24 euro 8.435,85

    con proprie note rispettivamente prot. 30611 del 7 ottobre 2014 e prot. 33202 del 30 ottobre 2014 l'Amministrazione ha nuovamente informato delle conseguenze che tali tagli hanno sul bilancio provinciale intimando di non trattenere le somme dall'Rc Auto di competenza provinciale. Tale situazione si riflette finanziariamente sul bilancio provinciale nel modo seguente:

decreto-legge 95/2012 decreto-legge 66/2014 Taglio previsto L. 190/2015 Capacità di riduzione della spesa Ulteriore prelievo Coattivo Rc Auto
2012 -3.788.813,30
2013 1.885.867,00 -1.885.867,00
2014 1.915.630.48 2.575.978,73 0 -4.491.609.21
2015 1.995.450,00 2.151.152,00 1.033.082,08 0 -5.179.684,08

   premesso inoltre che:
    la Corte dei Conti del Piemonte ha avviato nei confronti della Provincia del Verbano Cusio Ossola una azione ricognitoria, facendo rilevare l'impossibilità sic stantibus rebus dell'ente di poter provvedere in alcun modo alla possibilità di esercitare un piano di riassetto delle proprie finanze a seguito della situazione ingeneratasi dai provvedimenti statali;
    di fondamentale rilevanza, è da sottolineare come, in ragione della specificità montana della Provincia del Verbano Cusio Ossola, riconosciuta all'interno della Legge Delrio come una delle tre province montane con Sondrio e Belluno, ha portato all'avvio di un apposito tavolo sperimentale avviato nei mesi scorsi da Palazzo Chigi che ha condotto alcune ricerche e verifiche attraverso la SOSE che hanno fatto emergere l'errore compiuto negli scorsi anni da parte del Ministero dell'Economia e delle Finanze che, applicando erroneamente i dati SIOPE ha portato ad un taglio di oltre dieci milioni di euro per la Provincia del Vco che non doveva essere fatto e che quindi, ad oggi, necessita di una revisione da parte del competente ministero;
    proprio in considerazione della Specificità Montana riconosciuta dalla Legge Delrio, occorre prevedere una peculiare determinazione da parte del Ministero dell'Economia e delle Finanze sui costi standard in materia di viabilità e di trasporti (funzioni proprie) e quindi un intervento urgente in tal senso;
    che tale particolare forma di autonomia riconosciuta dalla Legge Delrio ha comportato il conferimento da parte dello Stato alla Provincia del Verbano Cusio Ossola, unitamente alle province di Sondrio e di Belluno, di ulteriori tre funzioni fondamentali («Cura dello sviluppo strategico del territorio», «gestione dei servizi in forma associata in base alle specificità del territorio medesimo» e «cura delle relazioni con gli enti territoriali, nazionali e stranieri con analoghe caratteristiche montane»), e che ad oggi a tale trasferimento di competenze non ha fatto seguito il necessario trasferimento di risorse finanziarie volte al loro esercizio e alla loro organizzazione;
    in ragione di tutto quanto sopra esposto, e considerata da un lato l'iniquità e la sperequazione dei tagli lineari che hanno colpito negli anni la Provincia del Verbano Cusio Ossola, e dall'altro l'esigenza di ottemperare ai disposti della legge 56/2014 sono con la presente a richiedere,

impegna il Governo:

   a porre mano all'errore rilevato da SOSE in virtù del quale, a causa di un erronea applicazione dei dati SIOPE è stato effettuato un taglio improprio e ingiustificato di oltre 10 milioni di euro all'amministrazione provinciale del Verbano Cusio Ossola;
   a garantire alla Provincia del Verbano Cusio Ossola quelle risorse necessarie a garantire la sua sopravvivenza finanziaria nella nuova accezione di area vasta e la sua capacità di fornire adeguati servizi alla cittadinanza, senza che il nuovo assetto istituzionale comporti il trasferimento delle difficoltà finanziarie generate da determinazioni dello Stato in capo ai Comuni montani del territorio interessato;
   ad adottare idonei provvedimenti per consentire alle Province del Verbano Cusio Ossola, di Sondrio e di Belluno di poter esercitare le funzioni fondamentali statali aggiuntive ad esse conferite in forza della legge 56/2014 ed in virtù della loro particolare condizione di autonomia amministrativa riconosciuta in quanto territori internamente montani e confinanti con Stati esteri.
9/3926-A-R/47Borghi, De Menech.


   La Camera,
   premesso che:
    già in occasione dell'esercizio del 2014 della Provincia del Verbano Cusio Ossola, i Revisori dei Conti hanno più volte segnalato l'impossibilità addivenire alla predisposizione del bilancio;
    infatti, anche proponendo una ipotesi irrealistica di una Provincia priva di qualsiasi costo di Personale, le risorse ad oggi disponibili non consentirebbero il raggiungimento del pareggio di bilancio;
    anche la S.O.S.E., nell'analisi compiuta relativamente alla provincia del Vco ha convenuto sull'impossibilità per tale ente di contribuire nel 2016 all'ulteriore riduzione per efficientemente prevista dallo Stato;
    nonostante questo, anche la Provincia del Vco è risultata soggetta ad ulteriori tagli di trasferimenti per il 2015 comprendenti il mancato trasferimento per R.C.A.
    va sottolineato come l'Ente non ha raggiunto gli obbiettivi del patto di stabilità nell'esercizio 2012 e nel 2014, con conseguenti sanzioni ammontanti in circa 2,5 milioni di euro, che ovviamente gravano sui bilanci successivi dell'Ente;
    infine, l'Ente ha adottato il piano di riequilibrio ex articolo 243-bis del T.U.E.L. per l'anno 2012, ma ha dovuto prendere atto che tale piano non poteva essere rispettato alla luce del nuovo disavanzo di amministrazione del 2014 ammontante ad oltre 5,4 milioni di euro;
    l'Ente ha proseguito poi in un deciso piano di razionalizzazione della pianta organica, passando a 182 unità rispetto alle 208 in forza al 1o gennaio 2012;
    nell'esercizio 2015 la Provincia ha altresì aderito alla rinegoziazione dei mutui al fine di ottenere una riduzione degli oneri a carico del bilancio (circa 2,5 milioni di euro) ed ha evidenziato un disavanzo da riassestamento dei residui di oltre 10,7 milioni di euro che, applicato al bilancio, porta al disavanzo complessivo di oltre 14 milioni di euro, da ripiantassi, in ossequi alla nuova normativa, in 30 anni;
    nonostante, dai dati trasmessi con la «Due Diligence», sia emerso con chiarezza l'impossibilità oggettiva dell'Ente, soggetto a procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, di far fronte alle riduzioni richieste, con propri decreti il Ministero dell'interno ha provveduto al riparto del contributo alla finanza a carico delle Province. Nel dettaglio il contributo a carico della Provincia del Verbano Cusio Ossola per gli anni 2014 e 2015 è il seguente:

d.l. 66/2014 risparmi spese province ART. 47 2014 2015
(spese beni e servizi) euro 2.552.978,73 euro 2.123.764,27
(spese per incarichi, consulenze e co.co.co) euro 16.001,54 euro 18.951,88
(spese per autovetture) euro 6.283,24 euro 8.435,85

    con proprie note rispettivamente prot. 30611 del 7 ottobre 2014 e prot. 33202 del 30 ottobre 2014 l'Amministrazione ha nuovamente informato delle conseguenze che tali tagli hanno sul bilancio provinciale intimando di non trattenere le somme dall'Rc Auto di competenza provinciale. Tale situazione si riflette finanziariamente sul bilancio provinciale nel modo seguente:

decreto-legge 95/2012 decreto-legge 66/2014 Taglio previsto L. 190/2015 Capacità di riduzione della spesa Ulteriore prelievo Coattivo Rc Auto
2012 -3.788.813,30
2013 1.885.867,00 -1.885.867,00
2014 1.915.630.48 2.575.978,73 0 -4.491.609.21
2015 1.995.450,00 2.151.152,00 1.033.082,08 0 -5.179.684,08

   premesso inoltre che:
    la Corte dei Conti del Piemonte ha avviato nei confronti della Provincia del Verbano Cusio Ossola una azione ricognitoria, facendo rilevare l'impossibilità sic stantibus rebus dell'ente di poter provvedere in alcun modo alla possibilità di esercitare un piano di riassetto delle proprie finanze a seguito della situazione ingeneratasi dai provvedimenti statali;
    di fondamentale rilevanza, è da sottolineare come, in ragione della specificità montana della Provincia del Verbano Cusio Ossola, riconosciuta all'interno della Legge Delrio come una delle tre province montane con Sondrio e Belluno, ha portato all'avvio di un apposito tavolo sperimentale avviato nei mesi scorsi da Palazzo Chigi che ha condotto alcune ricerche e verifiche attraverso la SOSE che hanno fatto emergere l'errore compiuto negli scorsi anni da parte del Ministero dell'Economia e delle Finanze che, applicando erroneamente i dati SIOPE ha portato ad un taglio di oltre dieci milioni di euro per la Provincia del Vco che non doveva essere fatto e che quindi, ad oggi, necessita di una revisione da parte del competente ministero;
    proprio in considerazione della Specificità Montana riconosciuta dalla Legge Delrio, occorre prevedere una peculiare determinazione da parte del Ministero dell'Economia e delle Finanze sui costi standard in materia di viabilità e di trasporti (funzioni proprie) e quindi un intervento urgente in tal senso;
    che tale particolare forma di autonomia riconosciuta dalla Legge Delrio ha comportato il conferimento da parte dello Stato alla Provincia del Verbano Cusio Ossola, unitamente alle province di Sondrio e di Belluno, di ulteriori tre funzioni fondamentali («Cura dello sviluppo strategico del territorio», «gestione dei servizi in forma associata in base alle specificità del territorio medesimo» e «cura delle relazioni con gli enti territoriali, nazionali e stranieri con analoghe caratteristiche montane»), e che ad oggi a tale trasferimento di competenze non ha fatto seguito il necessario trasferimento di risorse finanziarie volte al loro esercizio e alla loro organizzazione;
    in ragione di tutto quanto sopra esposto, e considerata da un lato l'iniquità e la sperequazione dei tagli lineari che hanno colpito negli anni la Provincia del Verbano Cusio Ossola, e dall'altro l'esigenza di ottemperare ai disposti della legge 56/2014 sono con la presente a richiedere,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di garantire alla Provincia del Verbano Cusio Ossola quelle risorse necessarie a garantire la sua sopravvivenza finanziaria nella nuova accezione di area vasta e la sua capacità di fornire adeguati servizi alla cittadinanza, senza che il nuovo assetto istituzionale comporti il trasferimento delle difficoltà finanziarie generate da determinazioni dello Stato in capo ai Comuni montani del territorio interessato;
   a valutare l'opportunità di adottare idonei provvedimenti per consentire alle Province del Verbano Cusio Ossola, di Sondrio e di Belluno di poter esercitare le funzioni fondamentali statali aggiuntive ad esse conferite in forza della legge 56/2014 ed in virtù della loro particolare condizione di autonomia amministrativa riconosciuta in quanto territori internamente montani e confinanti con Stati esteri.
9/3926-A-R/47. (Testo modificato nel corso della seduta).  Borghi, De Menech.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge di stabilità 28 dicembre 2015, n. 208, all'articolo 1, commi 756 e 758, in coerenza con la fase di riordino istituzionale determinato dalla legge 8 aprile 2015, n. 56, ha previsto per province e città metropolitane una serie di interventi di carattere straordinario che prevedono:
     possibilità di predisporre il bilancio di previsione 2016 solo annuale possibilità di applicare, in fase previsionale, e per il mantenimento degli equilibri finanziari, l'avanzo libero e destinato;
     possibilità di applicare anche l'avanzo vincolato, per l'equilibrio della situazione corrente 2016, derivante da trasferimenti correnti e in conto capitale già attribuiti dalle regioni a province e città metropolitane affluiti nell'avanzo di amministrazione vincolato 2015;
   premesso altresì che nell'anno 2015 alcune province e città metropolitane hanno alienato parte del proprio patrimonio immobiliare in favore di Invimit, attraverso le attività disciplinate dagli articolo 33 e 33-bis del decreto-legge 98 del 2011, e che tali alienazioni, realizzatesi a fine anno 2015, hanno prodotto nei bilanci degli enti degli avanzi destinati,

impegna il Governo

ad assumere le idonee iniziative volte a favorire l'utilizzo di tali avanzi destinati per il mantenimento degli equilibri delle Province per l'anno 2016, prescindendo dalla natura delle risorse affluite nell'avanzo di amministrazione, in coerenza con il quadro legislativo di eccezionalità che caratterizza le Province e la gestione del ciclo di bilancio dell'anno in corso.
9/3926-A-R/48Cominelli, Borghi.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge di stabilità 28 dicembre 2015, n. 208, all'articolo 1, commi 756 e 758, in coerenza con la fase di riordino istituzionale determinato dalla legge 8 aprile 2015, n. 56, ha previsto per province e città metropolitane una serie di interventi di carattere straordinario che prevedono:
     possibilità di predisporre il bilancio di previsione 2016 solo annuale possibilità di applicare, in fase previsionale, e per il mantenimento degli equilibri finanziari, l'avanzo libero e destinato;
     possibilità di applicare anche l'avanzo vincolato, per l'equilibrio della situazione corrente 2016, derivante da trasferimenti correnti e in conto capitale già attribuiti dalle regioni a province e città metropolitane affluiti nell'avanzo di amministrazione vincolato 2015;
   premesso altresì che nell'anno 2015 alcune province e città metropolitane hanno alienato parte del proprio patrimonio immobiliare in favore di Invimit, attraverso le attività disciplinate dagli articolo 33 e 33-bis del decreto-legge 98 del 2011, e che tali alienazioni, realizzatesi a fine anno 2015, hanno prodotto nei bilanci degli enti degli avanzi destinati,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assumere le idonee iniziative volte a favorire l'utilizzo di tali avanzi destinati per il mantenimento degli equilibri delle Province per l'anno 2016, prescindendo dalla natura delle risorse affluite nell'avanzo di amministrazione, in coerenza con il quadro legislativo di eccezionalità che caratterizza le Province e la gestione del ciclo di bilancio dell'anno in corso.
9/3926-A-R/48. (Testo modificato nel corso della seduta).  Cominelli, Borghi.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge 7 aprile 2014, n. 56 «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni», all'articolo 1, comma 85, non ricomprende tra le funzioni fondamentali delle Province e delle Città metropolitane quelle relative alla gestione dei Centri per l'impiego;
    l'articolo 15 del decreto-legge n. 78/2015 prevede all'articolo 15 comma 3 la partecipazione del Ministero agli oneri di funzionamento dei servizi per l'impiego per gli anni 2015 e 2016, nei limiti di 90 milioni di euro annui, ed in misura proporzionale al numero di lavoratori dipendenti a tempo indeterminato direttamente impiegati in compiti di erogazione di servizi per l'impiego;
    il decreto legislativo 14 settembre 2015 n.150 all'articolo 33 prevede che allo scopo di garantire i livelli essenziali di prestazioni in materia di servizi e politiche attive del lavoro, l'importo di cui all'articolo 15 comma 3 del decreto-legge n. 78 del 2015 è incrementato di 50 milioni per ciascuno degli anni 2015 e 2016;
    in data 30 luglio 2015 in sede di Conferenza Stato-Regioni il Governo e le Regioni hanno sottoscritto un Accordo quadro volto a garantire la continuità del funzionamento dei Centri per l'impiego facendosi carico delle risorse necessarie per coprire i costi del personale a tempo indeterminato (rispettivamente per 2/3 a carico dello Stato e 1/3 delle regioni) sia per il 2015 che per il 2016 trattandosi complessivamente di 140 milioni di euro stanziati dal Governo per il 2015 e 140 per il 2016 ai quali, sulla base di questo accordo, devono sommarsi gli ulteriori 70 milioni di euro a carico delle Regioni per il 2015 e 70 per il 2016;
    in forza di questo Accordo, le Province quali nuovi enti di area vasta e le Città metropolitane hanno continuato ad esercitare fino ad oggi questa funzione continuando a farsi carico, per tutto il 2015 e il 2016 del pagamento degli stipendi di questo personale nonché delle spese di funzionamento,

impegna il Governo:

   a verificare l'effettiva corresponsione da parte delle Regioni alle Province e Città metropolitane di tutte le risorse sia di parte statale che regionale per l'anno 2015 e per il 2016;
   ad emanare con urgenza il riparto delle risorse di parte statale tra le Regioni per l'anno 2016 verificando altresì che il trasferimento di tali risorse sia di parte statale che regionale a Province e Città metropolitane avvenga entro il 30 novembre 2016.
9/3926-A-R/49Zardini, Borghi, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge 7 aprile 2014, n. 56 «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni», all'articolo 1, comma 85, non ricomprende tra le funzioni fondamentali delle Province e delle Città metropolitane quelle relative alla gestione dei Centri per l'impiego;
    l'articolo 15 del decreto-legge n. 78/2015 prevede all'articolo 15 comma 3 la partecipazione del Ministero agli oneri di funzionamento dei servizi per l'impiego per gli anni 2015 e 2016, nei limiti di 90 milioni di euro annui, ed in misura proporzionale al numero di lavoratori dipendenti a tempo indeterminato direttamente impiegati in compiti di erogazione di servizi per l'impiego;
    il decreto legislativo 14 settembre 2015 n.150 all'articolo 33 prevede che allo scopo di garantire i livelli essenziali di prestazioni in materia di servizi e politiche attive del lavoro, l'importo di cui all'articolo 15 comma 3 del decreto-legge n. 78 del 2015 è incrementato di 50 milioni per ciascuno degli anni 2015 e 2016;
    in data 30 luglio 2015 in sede di Conferenza Stato-Regioni il Governo e le Regioni hanno sottoscritto un Accordo quadro volto a garantire la continuità del funzionamento dei Centri per l'impiego facendosi carico delle risorse necessarie per coprire i costi del personale a tempo indeterminato (rispettivamente per 2/3 a carico dello Stato e 1/3 delle regioni) sia per il 2015 che per il 2016 trattandosi complessivamente di 140 milioni di euro stanziati dal Governo per il 2015 e 140 per il 2016 ai quali, sulla base di questo accordo, devono sommarsi gli ulteriori 70 milioni di euro a carico delle Regioni per il 2015 e 70 per il 2016;
    in forza di questo Accordo, le Province quali nuovi enti di area vasta e le Città metropolitane hanno continuato ad esercitare fino ad oggi questa funzione continuando a farsi carico, per tutto il 2015 e il 2016 del pagamento degli stipendi di questo personale nonché delle spese di funzionamento,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di verificare l'effettiva corresponsione da parte delle Regioni alle Province e Città metropolitane di tutte le risorse sia di parte statale che regionale per l'anno 2015 e per il 2016;
   a valutare l'opportunità di emanare con urgenza il riparto delle risorse di parte statale tra le Regioni per l'anno 2016 verificando altresì che il trasferimento di tali risorse sia di parte statale che regionale a Province e Città metropolitane avvenga entro il 30 novembre 2016.
9/3926-A-R/49. (Testo modificato nel corso della seduta).  Zardini, Borghi, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge 7 aprile 2014, n. 56 «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni», all'articolo 1, comma 89, prevede che le Regioni operino un riordino delle funzioni provinciali diverse da quelle assegnate dalla legge statale, ovvero le funzioni non fondamentali secondo i criteri determinati dall'accordo sancito in Conferenza unificata l'11 settembre 2014 e dal DPCM 26 settembre 2014;
    tra i criteri del riordino è contemplata l'individuazione delle risorse finanziarie che devono essere trasferite agli enti per l'esercizio delle funzioni loro attribuite o delegate;
    l'articolo 7, comma 9-quinquies del decreto-legge 19 giugno 2015 n. 78, prevede che le Regioni che non abbiano provveduto a dare attuazione all'accordo sancito tra Stato e regioni in sede di Conferenza unificata l'11 settembre 2014 siano tenute a versare a ciascuna provincia e città metropolitana del rispettivo territorio, le somme corrispondenti alle spese sostenute dalle medesime per l'esercizio delle funzioni non fondamentali, come quantificate, su base annuale, con decreto del Ministro per gli affari regionali, di concerto con i Ministri dell'interno e dell'economia e delle finanze;
    la legge 28 dicembre 2015 n. 208, al comma 774 ha fatto salvo quanto previsto dall'articolo 7, comma 9-quinquies, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78;
    ancora oggi non è stato completato il processo di riordino delle funzioni non fondamentali delle Province da parte delle Regioni a statuto ordinario soprattutto sul lato finanziario e gli enti di area vasta stanno pertanto esercitando funzioni e svolgendo compiti non attinenti le proprie funzioni fondamentali utilizzando risorse proprie, come nel caso dei centri per l'impiego;
    non tutte le Regioni hanno garantito e stanno garantendo un livello adeguato di finanziamento delle funzioni non fondamentali come riordinate ai sensi della legge n. 56 del 2014,

impegna il Governo:

   a verificare, attraverso l'Osservatorio nazionale per l'attuazione della legge n. 56 del 2014, entro il 30 settembre 2016, lo stato di attuazione delle leggi regionali di riordino delle funzioni provinciali regione per regione, con particolare attenzione all'effettiva copertura finanziaria delle funzioni non fondamentali trasferite o delegate dalle Regioni alle Province, a partire dall'anno 2015 e per gli anni successivi;
   ad attivare, entro il 31 dicembre 2016, sulla base di un eventuale riscontro di una mancata copertura finanziaria di funzioni delegate alle Province, gli strumenti previsti nell'articolo 7, comma 9, del decreto-legge 78 del 2015, per ridurre i trasferimenti alle Regioni a qualsiasi titolo dovuti per l'importo corrispondente.
9/3926-A-R/50Valiante, Borghi, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge 7 aprile 2014, n. 56 «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni», all'articolo 1, comma 89, prevede che le Regioni operino un riordino delle funzioni provinciali diverse da quelle assegnate dalla legge statale, ovvero le funzioni non fondamentali secondo i criteri determinati dall'accordo sancito in Conferenza unificata l'11 settembre 2014 e dal DPCM 26 settembre 2014;
    tra i criteri del riordino è contemplata l'individuazione delle risorse finanziarie che devono essere trasferite agli enti per l'esercizio delle funzioni loro attribuite o delegate;
    l'articolo 7, comma 9-quinquies del decreto-legge 19 giugno 2015 n. 78, prevede che le Regioni che non abbiano provveduto a dare attuazione all'accordo sancito tra Stato e regioni in sede di Conferenza unificata l'11 settembre 2014 siano tenute a versare a ciascuna provincia e città metropolitana del rispettivo territorio, le somme corrispondenti alle spese sostenute dalle medesime per l'esercizio delle funzioni non fondamentali, come quantificate, su base annuale, con decreto del Ministro per gli affari regionali, di concerto con i Ministri dell'interno e dell'economia e delle finanze;
    la legge 28 dicembre 2015 n. 208, al comma 774 ha fatto salvo quanto previsto dall'articolo 7, comma 9-quinquies, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78;
    ancora oggi non è stato completato il processo di riordino delle funzioni non fondamentali delle Province da parte delle Regioni a statuto ordinario soprattutto sul lato finanziario e gli enti di area vasta stanno pertanto esercitando funzioni e svolgendo compiti non attinenti le proprie funzioni fondamentali utilizzando risorse proprie, come nel caso dei centri per l'impiego;
    non tutte le Regioni hanno garantito e stanno garantendo un livello adeguato di finanziamento delle funzioni non fondamentali come riordinate ai sensi della legge n. 56 del 2014,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di verificare, attraverso l'Osservatorio nazionale per l'attuazione della legge n. 56 del 2014, entro il 30 settembre 2016, lo stato di attuazione delle leggi regionali di riordino delle funzioni provinciali regione per regione, con particolare attenzione all'effettiva copertura finanziaria delle funzioni non fondamentali trasferite o delegate dalle Regioni alle Province, a partire dall'anno 2015 e per gli anni successivi;
   a valutare l'opportunità di attivare, entro il 31 dicembre 2016, sulla base di un eventuale riscontro di una mancata copertura finanziaria di funzioni delegate alle Province, gli strumenti previsti nell'articolo 7, comma 9, del decreto-legge 78 del 2015, per ridurre i trasferimenti alle Regioni a qualsiasi titolo dovuti per l'importo corrispondente.
9/3926-A-R/50. (Testo modificato nel corso della seduta).  Valiante, Borghi, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    le Province delle Regioni a statuto ordinario hanno provveduto tutte a ridurre le loro dotazioni organiche nei limiti previsti e dall'articolo 1, comma 421, della legge 23 dicembre 2014, n. 490 e ad individuare il personale soprannumerario secondo modalità definite dai successivi commi 422 e 423;
    che il Dipartimento della Funzione Pubblica, il 18 luglio 2016, ha comunicato sul Portale della mobilità che il ricollocamento del personale provinciale è già concluso in diverse regioni (Emilia Romagna, Lazio, Marche e Veneto) e che pertanto in questi territori sono ripristinate le ordinarie facoltà di assunzione e le procedure di mobilità per le Regioni e gli enti locali;
    le procedure di ricollocamento del personale provinciale in soprannumero in attuazione del DM del 14 settembre 2015 attraverso il Portale della mobilità saranno completate in tutte le regioni entro il mese di settembre;
    la riduzione delle dotazioni organiche delle province in attuazione delle disposizioni della legge di stabilità 2015 ha determinato già in alcuni casi o sta determinando in molti enti di area vasta carenze di personale necessario allo svolgimento delle loro funzioni e alla garanzia di servizi essenziali per i territori,

impegna il Governo

a rivedere i divieti in materia di personale previsti per le Province nell'articolo 1, comma 421, della 23 dicembre 2014, n. 190, nell'ambito del disegno di legge di stabilità per l'anno 2017, al fine di consentire agli enti di area vasta di disporre del personale necessario allo svolgimento delle funzioni previste dalla legge.
9/3926-A-R/51De Menech, Borghi.


   La Camera,
   premesso che:
    le Province delle Regioni a statuto ordinario hanno provveduto tutte a ridurre le loro dotazioni organiche nei limiti previsti e dall'articolo 1, comma 421, della legge 23 dicembre 2014, n. 490 e ad individuare il personale soprannumerario secondo modalità definite dai successivi commi 422 e 423;
    che il Dipartimento della Funzione Pubblica, il 18 luglio 2016, ha comunicato sul Portale della mobilità che il ricollocamento del personale provinciale è già concluso in diverse regioni (Emilia Romagna, Lazio, Marche e Veneto) e che pertanto in questi territori sono ripristinate le ordinarie facoltà di assunzione e le procedure di mobilità per le Regioni e gli enti locali;
    le procedure di ricollocamento del personale provinciale in soprannumero in attuazione del DM del 14 settembre 2015 attraverso il Portale della mobilità saranno completate in tutte le regioni entro il mese di settembre;
    la riduzione delle dotazioni organiche delle province in attuazione delle disposizioni della legge di stabilità 2015 ha determinato già in alcuni casi o sta determinando in molti enti di area vasta carenze di personale necessario allo svolgimento delle loro funzioni e alla garanzia di servizi essenziali per i territori,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di rivedere i divieti in materia di personale previsti per le Province nell'articolo 1, comma 421, della 23 dicembre 2014, n. 190, nell'ambito del disegno di legge di stabilità per l'anno 2017, al fine di consentire agli enti di area vasta di disporre del personale necessario allo svolgimento delle funzioni previste dalla legge.
9/3926-A-R/51. (Testo modificato nel corso della seduta).  De Menech, Borghi.


   La Camera,
   premesso che:
    che il presente provvedimento attribuisce l'importo di 48 milioni di euro alle province delle regioni a Statuto ordinario per l'attività manutenzione straordinaria della relativa rete viaria;
    che con medesimo provvedimento si dispone altresì il trasferimento alle province dell'importo di 100 milioni, originariamente assegnato ad Anas, per attività istituzionali delle medesime;
    che nelle modalità di suddivisione delle risorse statali a favore delle province a Statuto ordinario non si è sin qui provveduto, nella determinazione dei parametri, a considerare il dato della montanità nella rete viaria provinciale, considerando esclusivamente il parametro del chilometraggio come unico fattore di calcolo e suddivisione delle poste di bilancio;
    che la viabilità provinciale nei territori montani risulta sensibilmente maggiore per costi ed oneri rispetto a quella di territori pianeggianti ed urbani, per evidenti motivazioni legate agli handicap naturali permanenti dei territori montani,

impegna il Governo

nella suddivisione delle risorse rinvenienti dal presente atto a tenere conto della specificità della viabilità provinciale dei territori montani, mediante il riconoscimento dei sovra costi aggiuntivi derivanti dagli handicap naturali permanenti dei territori montani.
9/3926-A-R/52Mariani, Borghi, De Menech, Bonomo.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1, commi 452 e seguenti, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 nomina il presidente della regione Piemonte Commissario straordinario di Governo per il tempestivo pagamento dei debiti pregressi, visto l'eccezionale squilibrio finanziario della regione che ha impedito l'impiego di tutte le risorse messe a disposizione dall'anticipazione di liquidità prevista dal decreto-legge n. 35 del 2013;
    che nel caso in cui le anticipazioni di liquidità erogate ai sensi dell'articolo 2 del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, e successive modificazioni e rifinanziamenti, per il pagamento dei debiti certi liquidi ed esigibili al 31 dicembre 2013, siano risultate eccedenti rispetto ai medesimi debiti effettivamente pagati, le stesse anticipazioni dovrebbero essere utilizzate per il pagamento dei debiti certi liquidi ed esigibili di cui all'articolo 8 comma 1, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 125. A tal fine ciascuna amministrazione pubblica interessata potrebbe fornire formale certificazione al Tavolo tecnico di cui all'articolo 2 del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, dell'avvenuto pagamento dei rispettivi debiti di cui al periodo precedente e delle relative registrazioni contabili entro il 28 febbraio 2017;
    che ai fini di una semplificazione del procedimento amministrativo che permetta il pieno utilizzo delle risorse riconosciute come anticipazioni di liquidità ai sensi del vigente articolo 2 del decreto- legge 8 aprile 2013, n. 35, si potrebbero estendere ai debiti di cui all'articolo 8, comma 1, del decreto legge 19 giugno 2015, n. 78, la destinazione delle risorse finanziarie già acquisite a tale titolo al fine di darne un pronto utilizzo verso i creditori in sofferenza della pubblica amministrazione. Essendo risorse già acquisite dalle amministrazioni interessate, la disposizione non comporta oneri per la finanza pubblica,

impegna il Governo

a procedere con solerzia e tempestività nel senso indicato nelle premesse nel primo provvedimento legislativo utile.
9/3926-A-R/53Paola Bragantini, Borghi, Taricco, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in corso di conversione dispone all'articolo 3 l'assegnazione di un contributo straordinario pari a 16 milioni di euro, per l'esercizio 2016, per il comune de L'Aquila a copertura delle maggiori spese e delle minori entrate, in relazione alle esigenze connesse alla ricostruzione a seguito del sisma del 6 aprile 2009;
    a decorrere dal 2016 non si applica più la disciplina del patto di stabilità interno degli enti locali, avendo luogo il passaggio al vincolo del conseguimento del pareggio del bilancio per gli enti locali e le regioni, ovvero del saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali, secondo quanto stabilito dalla legge 24 dicembre 2013, n. 243;
    le nuove regole sul pareggio di bilancio, dettate specificamente nella legge di stabilità 2016 (legge 28 dicembre 2015, n. 208), definiscono una disciplina molto stringente, che rischia di essere incompatibile con l'esigenza da parte degli enti locali di gestire in maniera più flessibile le risorse straordinarie connesse ad eventi eccezionali, come nello specifico il sisma che ha colpito la città de L'Aquila,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere per il comune de L'Aquila, con riferimento all'esercizio 2016, l'esclusione delle risorse riconducibili all'emergenza sisma del 6 aprile 2009 dal computo del saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali, rilevante ai fini del rispetto dell'obiettivo del pareggio di bilancio.
9/3926-A-R/54Castricone, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    la disciplina dei segretari comunali andrebbe adeguata alle recenti riforme che investono in particolare l'associazionismo degli enti locali;
    andrebbe aggiornata la suddivisione degli enti locali e le forme associate in base alle fasce demografiche previste per i segretari comunali e provinciali, soprattutto con riguardo a quelle dei segretari inquadrati nella fascia professionale iniziale denominata «C» dal momento che alla luce della riforma Del Rio 54/14 il limite di 3000 abitanti appare anacronistico;
    la soglia minima per la gestione in convenzione delle funzioni di segreteria per i comuni più piccoli è, infatti, di almeno 10.000 abitanti;
    sarebbe poi utile che in applicazione dell'articolo 11 n. 4) legge 7 agosto 2015 n. 124, si desse facoltà alle Amministrazioni di iscrivere nel ruolo unico della dirigenza locale di cui al n. 3), coloro che, già iscritti nella fascia professionale C del soppresso Albo dei segretari comunali e provinciali, abbiano maturato due anni di esercizio effettivo, anche come funzionario, di funzioni segretariali,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di indicare, con proprio atto successivo, proposte risolutive di intervento sui temi indicati in premessa.
9/3926-A-R/55Bossa.


   La Camera,
   premesso che:
    la riduzione delle dotazioni organiche delle province in attuazione delle disposizioni della legge di stabilità 2015 ha determinato già in alcuni casi o sta determinando in molti enti una carenza di personale dirigenziale necessario allo svolgimento di funzioni essenziali per il funzionamento dell'amministrazione e per la garanzia dei servizi essenziali;
    tale criticità potrebbe essere superata con un'interpretazione estensiva di norme già presenti nell'ordinamento locale quale la disposizione dell'ultimo periodo dell'articolo 1, comma 7, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78;
    anche l'Unione Nazionale delle Province Italiane auspica tale orientamento;
    per consentire agli enti di area vasta che si trovino nella necessità di garantire la continuità dei servizi provinciali, nelle more del completamento del processo di riordino previsto dalla legge 7 aprile 2014, n. 56, è però necessario un chiarimento da parte del Ministero competente sul contenuto della sopra citata norma nel senso che essa consente di prorogare o stipulare contratti anche con dirigenti a tempo determinato per coprire le posizioni dirigenziali infungibili necessarie o per poter assegnare le funzioni dirigenziali rimaste scoperte ai funzionari responsabili degli uffici e dei servizi, come l'articolo 109, comma 2, prevede per i comuni privi di dirigenti, in attesa del ripristino di un regime ordinario di assunzione e gestione del personale in conseguenza del completamento del processo di riordino;

impegna il Governo

a valutare la possibilità di adottare gli atti necessari a chiarire se la disposizione dell'ultimo periodo dell'articolo 1, comma 7, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 consente, per garantire la continuità dei servizi provinciali nelle more del completamento del processo di riordino previsto dalla legge 7 aprile 2014, n. 56, di prorogare o stipulare contratti anche con dirigenti a tempo determinato per coprire le posizioni dirigenziali infungibili necessarie ovvero per poter assegnare le funzioni dirigenziali rimaste scoperte ai funzionari responsabili degli uffici e dei servizi, come l'articolo 109, comma 2, già prevede per i comuni privi di dirigenti, in attesa del ripristino di un regime ordinario di assunzione e gestione del personale.
9/3926-A-R/56Carrescia.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito con legge 11 agosto 2014, n. 114, all'articolo 23-ter comma 2 esentava dagli obblighi della Centrale unica di committenza (Cuc) per le acquisizioni di lavori, servizi e forniture gli enti pubblici impegnati nella ricostruzione post sisma dell'Abruzzo e dell'Emilia;
    a tale specifica esclusione si era giunti dopo un proficuo confronto tra Governo ed Enti Locali coinvolti, riconoscendo la preminente necessità della ricostruzione rispetto al pur significativo obiettivo di realizzare adeguate Cuc su tutto il territorio nazionale in tempi rapidi;
    convenendo sulla necessità di scongiurare il rischio di un blocco nelle procedure di acquisizione di lavori, servizi e forniture, si era pertanto deciso di escludere dalla disciplina generale questi enti pubblici fino alla conclusione dello stato di emergenza;
    le disposizioni di cui all'articolo 37, comma 4, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, cosiddetto nuovo codice degli appalti, hanno di fatto trascurato quanto premesso e cancellato le specifiche deroghe richiamate;
    molti enti pubblici si sono trovati di conseguenza in una condizione molto difficile, vedendosi bloccata di colpo ogni possibilità di realizzare in tempi ragionevoli agli appalti programmati;

impegna il Governo

nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, a valutare la possibilità di ripristinare, con un prossimo tempestivo provvedimento, e per la sola durata dello stato di emergenza, il regime previgente a tutela dei territori impegnati nella ricostruzione post sisma, onde evitare il blocco generalizzato degli appalti e dei lavori.
9/3926-A-R/57Baruffi, Castricone, Ghizzoni, Carra, Bratti, Marchi, Crivellari, Incerti, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia gestisce il fenomeno dei flussi migratori da Paesi che non fanno parte dell'Unione europea attraverso politiche che coniugano l'accoglienza e l'integrazione con l'azione di contrasto all'immigrazione irregolare;
    lo Stato programma periodicamente con decreto del presidente del Consiglio dei ministri, il cosiddetto «decreto-flussi» introdotto dalla legge n. 40 del 1998, le quote massime di stranieri da ammettere nel territorio italiano;
    in Italia vi sono diverse tipologie di centri destinati all'accoglienza e al trattenimento di immigrati, riconducibili sostanzialmente a tre tipi di strutture, i Centri di identificazione ed espulsione (CIE), i Centri di accoglienza (CDA) e i Centri di accoglienza per Richiedenti asilo (CARA);
    l'articolo 1, comma 204, della legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013) ha incrementato di 3 milioni di euro per l'anno 2014 il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo (di cui all'articolo 1-septies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416), al fine di realizzare iniziative complementari o strumentali necessarie all'integrazione degli immigrati nei comuni, singoli o associati, che siano sede di centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) in numero pari o superiore alle 3.000 unità;
    molto spesso accade infatti che i migranti giunti in Italia, vengano lasciati in posti di accoglienza senza alcuna formazione civica scatenando di fatto paura e sgomento tra i cittadini residenti in quei luoghi;
    ai fini di una corretta integrazione degli stessi, sarebbe opportuno, come previsto per gli altri paesi Europei prevedere per i nuovi arrivati corsi specializzati di insegnamento della lingua italiana, lezioni di educazione civica, comprensione delle regole di comportamento e insegnamento della segnaletica stradale al fine di prevenire situazioni potenzialmente difficili o di degrado come quelle di cui leggiamo costantemente sugli organi di informazione,

impegna il Governo

ad inserire, nelle convenzioni che le Amministrazioni Regionali, le Province, i Comuni, e le Prefetture concordano con le strutture in grado di accogliere questi profughi, sempre l'obbligo della realizzazione di programmi che prevedono la mediazione culturale, l'insegnamento base della lingua italiana, l'informazione sui propri diritti e doveri, insegnamento di educazione civica, la comprensione delle regole di comportamento e insegnamento della segnaletica stradale.
9/3926-A-R/58Rostellato, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame all'articolo 21 prevede una revisione del «sistema di governo» del settore farmaceutico, da compiersi entro il 31 dicembre 2016 e contemporaneamente procedure e criteri per regolare lo sforamento dei tetti della spesa farmaceutica avvenuto negli anni 2013-2015;
    in particolare si prevede al comma 23 del predetto articolo 21, la istituzione di un Fondo denominato «Fondo per payback 2013-2014-2015» al quale sono riassegnati gli importi versati all'entrata del bilancio dello Stato dalle aziende farmaceutiche titolari di AIC, allo scopo di trasferire alle regioni le quote di rispettiva competenza;
    il provvedimento disciplina anche i criteri e le procedure per il ripiano con riferimento alle quote a carico delle aziende farmaceutiche – del superamento, negli anni 2013-2015, del limite di spesa per l'assistenza farmaceutica territoriale e di quello per la spesa farmaceutica ospedaliera specificando che il trasferimento alle regioni e province autonome da effettuarsi entro il 20 novembre 2016 dovrebbe essere effettuato «nei limiti delle risorse disponibili»;
    poiché tale «limitazione» non avrebbe ragion d'essere in quanto si tratta di somme da rimborsare alle regioni e alle province autonome, già previste fra i crediti nei bilanci regionali e che devono essere trasferite entro il 20 novembre 2016 alle medesime regioni allo scopo di evitare di creare disavanzi che farebbero scattare i piani di rientro nella spesa sanitaria anche per le numerose regioni «virtuose» e per quelle che stanno faticosamente uscendo dai piani di rientro,

impegna il Governo

affinché le risorse confluite nel predetto Fondo previsto dal comma 23 dell'articolo 21, che spettano esclusivamente alle regioni e alle province autonome, siano interamente ed integralmente trasferite e ripartite tra queste, entro la data del 20 novembre 2016.
9/3926-A-R/59Miotto, Rondini, Alberto Giorgetti, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame all'articolo 21 prevede una revisione del «sistema di governo» del settore farmaceutico, da compiersi entro il 31 dicembre 2016 e contemporaneamente procedure e criteri per regolare lo sforamento dei tetti della spesa farmaceutica avvenuto negli anni 2013-2015;
    in particolare si prevede al comma 23 del predetto articolo 21, la istituzione di un Fondo denominato «Fondo per payback 2013-2014-2015» al quale sono riassegnati gli importi versati all'entrata del bilancio dello Stato dalle aziende farmaceutiche titolari di AIC, allo scopo di trasferire alle regioni le quote di rispettiva competenza;
    il provvedimento disciplina anche i criteri e le procedure per il ripiano con riferimento alle quote a carico delle aziende farmaceutiche – del superamento, negli anni 2013-2015, del limite di spesa per l'assistenza farmaceutica territoriale e di quello per la spesa farmaceutica ospedaliera specificando che il trasferimento alle regioni e province autonome da effettuarsi entro il 20 novembre 2016 dovrebbe essere effettuato «nei limiti delle risorse disponibili»;
    poiché tale «limitazione» non avrebbe ragion d'essere in quanto si tratta di somme da rimborsare alle regioni e alle province autonome, già previste fra i crediti nei bilanci regionali e che devono essere trasferite entro il 20 novembre 2016 alle medesime regioni allo scopo di evitare di creare disavanzi che farebbero scattare i piani di rientro nella spesa sanitaria anche per le numerose regioni «virtuose» e per quelle che stanno faticosamente uscendo dai piani di rientro,

impegna il Governo

affinché le risorse confluite nel predetto Fondo previsto dal comma 23 dell'articolo 21, che spettano esclusivamente alle regioni e alle province autonome, siano interamente ed integralmente trasferite e ripartite tra queste, entro l'anno in corso.
9/3926-A-R/59. (Testo modificato nel corso della seduta).  Miotto, Rondini, Alberto Giorgetti, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    la conversione in legge del decreto prevede misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio;
    la città di Venezia costituisce un unicum ambientale e urbanistico, in cui una struttura urbana e un patrimonio storico-paesaggistico di eccezionale valore coabitano e devono armonizzarsi con le dinamiche delle città contemporanee, avuto riguardo in particolare alle esigenze della popolazione residente e alle opportunità di sviluppo economico e sociale;
    proprio per tali ragioni la salvaguardia di Venezia e della sua laguna è stata definita questione di preminente interesse nazionale, predisponendo lo Stato un'apposita e dedicata legislazione speciale a partire dalla legge 29 novembre 1984 n. 798, i cui obiettivi fondamentali erano contemporaneamente la tutela dell'equilibrio idraulico della città e il supporto per la sua vitalità economica e sociale;
    la 40a sessione del World Herltege Committee dell'UNESCO, tenutasi recentemente a Istanbul, ha inserito il sito «Venezia e la sua laguna» nella cosiddetta danger list, invitando il governo locale della città e quello nazionale a intraprendere politiche specifiche per la salvaguardia della città lagunare;
    la Commissione bicamerale sul ciclo dei rifiuti, nella propria relazione conclusiva ricorda che fino ad oggi sono stati spesi per il processo ancora incompleto di bonifica dell'area di Marghera circa 781 milioni di euro e che «il mancato completamento di tali opere sta provocando il progressivo indebolimento anche dei tratti terminali delle strutture già realizzate e sta mettendo in serio dubbio la bontà complessiva degli interventi finora realizzati, che sono stati eseguiti non a regola d'arte (...) mancano circa 3,5 chilometri di marginamenti e di rifacimento sponde, pari al 6 per cento, ma di un tratto determinante per l'intero processo di bonifica il cui mancato completamento porterebbe conseguenze davvero paradossali,

impegna il Governo:

   1) a valutare l'opportunità di assicurare il pieno riconoscimento della specialità di Venezia, come stabilito dalla Legislazione speciale dello Stato, attraverso lo stanziamento di nuove risorse e in tale ambito per garantire la continuità dei servizi della città assicurati dalle lavoratrici e dai lavoratori, a non applicare la sanzione di cui al comma 26, lettera d), dell'articolo 31 della legge 12 novembre 2011, n. 183 per l'anno 2016;
   2) a procedere alla prosecuzione del processo di bonifica dell'area di Marghera individuando iniziative finalizzate al completamento delle opere di messa in sicurezza, con l'obiettivo di non compromettere quanto realizzato in termini di investimenti per la sicurezza ambientale del sito e i programmi di bilancio economico.
9/3926-A-R/60Mognato, Martella, Murer, Zoggia, Moretto, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    durante l'esame del testo del decreto-legge in oggetto, è emersa l'esigenza di valutare la possibilità di riaprire la rinegoziazione dei mutui e dei prestiti obbligazionari contratti dagli enti locali, che non hanno usufruito della recente rinegoziazione di cui al comma 430 della legge 23 dicembre 2014, n. 190;
    di fatto ad oggi molti enti locali sono intestatari di mutui con applicazione di tassi di interesse superiori ai tassi d interesse applicati a seguito della costante riduzione del costo del denaro;
    è emersa dalle proposte emendative l'esigenza di intervenire anche per ridurre la penale di estinzione anticipata dei mutui da parte degli enti locali;
    per quanto concerne la rinegoziazione dei mutui, nessuna proposta è stata inserita nel testo all'esame dell'Aula, mentre sulle agevolazioni per una estinzione anticipata meno onerosa è stato approvato un emendamento, che agevola in parte gli enti che se ne avvarranno, mediante lo stanziamento di risorse per ridurre l'impatto della penale di estinzione anticipata, senza che si possa comprendere l'entità dell'agevolazione degli eventi diritto;
    si ritiene che l'argomento rinegoziazione meriti una soluzione appropriata derivante dalla concertazione costante degli attori politici coinvolti;
    si ritiene che sia opportuno istituire su iniziativa del Ministero dell'economia e delle finanze, d'intesa con l'ANCI, la Cassa Depositi e prestiti e la Conferenza Stato-Città e autonomie locali un apposito tavolo per definire modalità e i criteri generali di rinegoziazione ed estinzione anticipata dei mutui in essere contratti dagli enti locali e territoriali,

impegna il Governo

ad attivare le iniziative per istituire un tavolo permanente con i soggetti citati in premessa al fine di adottare una soluzione definitiva alla problematica della rinegoziazione dei mutui per ridurre il debito degli enti locali.
9/3926-A-R/61Cariello, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    i criteri e le modalità per la ripartizione del Fondo Nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale anche ferroviario di cui al comma 1 dell'articolo 16-bis del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, prevedono l'implementazione di una serie di elementi per raggiungere l'efficientamento della programmazione e della gestione dei servizi stessi; il perseguimento dell'obiettivo di progressivo incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi ha dimostrato come le amministrazioni locali e regionali tendano a ricorre all'aumento delle tariffe del trasporto pubblico, come al taglio – anche indiscriminato – di linee di trasporto, facendo registrare in entrambi i casi disagi che gravano sui cittadini in termini di disservizio e in termini economici;
    in occasione dell'esame del provvedimento il Governo stesso ha condiviso la necessità, come proposta dal Gruppo Movimento 5 Stelle, di intervenire sul decreto-legge di cui sopra per individuare nuovi criteri e requisiti finalizzati a limitare il ricorso alle predette soluzioni,

impegna il Governo

a provvedere, nell'ambito di propria competenza, a rendere il ricorso all'aumento tariffario del trasporto pubblico locale la extrema ratio per il raggiungimento dell'efficientamento del servizio medesimo.
9/3926-A-R/62Dell'Orco, De Lorenzis, Nicola Bianchi, Carinelli, Liuzzi, Paolo Nicolò Romano, Spessotto.


   La Camera,
   premesso che:
    le risorse del Fondo Nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale anche ferroviario di cui al comma 1 dell'articolo 16-bis del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, appaiono come denunciato dalle autonomie locali e dalle regioni, non adeguate alla reale implementazione di servizi di mobilità pubblica efficienti e funzionali;
    in particolare il provvedimento in esame reca disposizioni che permettono, in deroga alla normativa vigente, di impiegare le risorse derivanti dalle decurtazioni di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 marzo 2013, a fini differenti da quello della sicurezza e della qualità del servizio di trasporto pubblico locale e regionale;
    il tragico incidente del 12 luglio 2016 sulla linea Andria-Corato ha dimostrato le evidenti carenze sul piano della sicurezza e della qualità del trasporto pubblico locale e regionale,

impegna il Governo

a provvedere tempestivamente, anche alla luce della recente adozione del IV Pacchetto ferroviario, prima della scadenza per il recepimento prevista per il giugno 2019, all'adeguamento degli standard di sicurezza delle linee ferroviarie locali e regionali a quelli adottati per il resto della rete ferroviaria nazionale.
9/3926-A-R/63De Lorenzis, D'Ambrosio, Dell'Orco, Nicola Bianchi, Carinelli, Liuzzi, Paolo Nicolò Romano, Spessotto.


   La Camera,
   premesso che:
    le risorse del Fondo Nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale anche ferroviario di cui al comma 1 dell'articolo 16-bis del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, appaiono come denunciato dalle autonomie locali e dalle regioni, non adeguate alla reale implementazione di servizi di mobilità pubblica efficienti e funzionali;

   in particolare il provvedimento in esame reca disposizioni che permettono, in deroga alla normativa vigente, di impiegare le risorse derivanti dalle decurtazioni di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 marzo 2013, a fini differenti da quello della sicurezza e della qualità del servizio di trasporto pubblico locale e regionale;
    il tragico incidente del 12 luglio 2016 sulla linea Andria-Corato ha dimostrato le evidenti carenze sul piano della sicurezza e della qualità del trasporto pubblico locale e regionale;
    numerose opere, ritenute strategiche fino al 2015, sono state definite in varie occasioni pubbliche da esponenti del Governo come non più necessarie o prioritarie quali la Tav Firenze, quella di Torino, la bretella Campogalliano-Sassuolo. Tra queste opere diverse sono quelle interessate da indagini e vicende giudiziarie per infiltrazioni mafiose e corruzione, tra le ultime i lavori del Terzo Valico,

impegna il Governo

a individuare risorse adeguate per il predetto Fondo anche liberandole da opere non più utili o prioritarie al fine di garantire ai cittadini, pur sempre nel solco della razionalizzazione e dell'efficientamento dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale, servizi idonei in termini di sicurezza e qualità.
9/3926-A-R/64Liuzzi, Nicola Bianchi, Carinelli, Paolo Nicolò Romano, Spessotto, Dell'Orco, De Lorenzis.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 22 dispone che dispone che tutte le risorse ancora non impegnate destinate alla messa a norma delle discariche abusive oggetto della sentenza di condanna della Corte di Giustizia dell'UE del 2 dicembre 2014 (relativa alla procedura di infrazione comunitaria n. 2003/2007) siano fatte confluire nella contabilità speciale di una struttura commissariale, appositamente costituita, al fine esplicitato nella norma di garantire la dotazione finanziaria necessaria per la realizzazione dei necessari interventi di bonifica delle discariche;
    l'articolo 22 disciplina, altresì, al fine di accelerarle, le procedure per l'impegno e l'utilizzo delle risorse destinate dalla legislazione vigente all'attuazione degli interventi di depurazione delle acque necessari per conformarsi alle norme della direttiva 91/271/CEE in materia di trattamento delle acque reflue urbane;
    risulterebbe tuttavia che dal tenore della norma che le risorse previste dalla deliberazione del CIPE n. 60 del 30 aprile 2012 che – come noto – attengono non solo dei settori della bonifica dei siti contaminati ma anche ai settori del collettamento e della depurazione delle acque al fine del superamento delle procedure di contenzioso e pre-contenzioso comunitario, ovvero, in alcuni casi, anche all'ottimale offerta del servizio idrico, andrebbero confluite immediatamente nella contabilità speciale del solo commissario alle discariche nominato ai sensi dell'articolo 41, comma 2-bis della legge n. 234 del 2012;
    sarebbe stato opportuno operare ab inizio una distinzione tra le risorse avocate alla contabilità separata del commissario alle bonifiche delle discariche rispetto a quelle destinate agli appositi commissari straordinari, peraltro già nominati, per interventi finanziati con la delibera CIPE n. 60/2012 per le finalità sopra esposte,

impegna il Governo

a procedere ad una ricognizione delle risorse previste ed effettivamente assegnate dalla citata delibera CIPE 60/2012 ai commissari straordinari di cui all'articolo 7, comma 7 del decreto-legge n. 133 del 2014 per gli interventi necessari all'adeguamento dei sistemi di collettamento, fognatura e depurazione oggetto di procedura di infrazione o di provvedimento di condanna della Corte di Giustizia dell'Unione europea.
9/3926-A-R/65Daga.


   La Camera,
   premesso che:
    l'incremento dell'addizionale comunale sui diritti di imbarco di cui all'articolo 13 comma 23 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, è stato sospeso per il periodo 1o settembre 31 dicembre 2016;
    il medesimo incremento risulta invece invariato per il biennio 2017-2018. A questo, in maniera del tutto innovativa, il Governo ha aggiunto un incremento a partire dall'anno 2019, non previsto dalla normativa vigente;
    tale incremento è volto a finanziare il Fondo speciale per il sostegno del reddito e dell'occupazione del personale del settore del trasporto aereo,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni di cui in premessa, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a provvedere alla soppressione a partire dal 1o gennaio 2017 del predetto incremento e al tempo stesso a individuare risorse adeguate al fine di garantire il funzionamento del Fondo di cui alle premesse.
9/3926-A-R/66Paolo Nicolò Romano, Nicola Bianchi, De Lorenzis, Carinelli, Dell'Orco, Liuzzi, Spessotto, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il testo del decreto in esame contiene l'articolo 15 (Piano di riequilibrio finanziario), il cui comma 2 prevede che gli enti locali che hanno presentato il piano di riequilibrio finanziario pluriennale o ne hanno conseguito l'approvazione ai sensi dell'articolo 243-bis del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, possono provvedere a rimodulare il piano stesso, ferma restando la sua durata originaria, per tenere conto dell'eventuale disavanzo risultante dal rendiconto approvato o dei debiti fuori bilancio, anche in deroga agli articoli 188 e 194 del decreto legislativo n. 267 del 2000;
    l'esercizio della suddetta facoltà attiva le norme dell'articolo 243-bis, commi 3 e 4, ossia viene sospesa temporaneamente la possibilità per la Corte dei conti di assegnare il termine per l'adozione delle misure correttive da parte dell'ente locale, in considerazione dei comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria e del mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto di stabilità interno accertati dalla competente sezione regionale della Corte dei conti;
    la norma ha l'obiettivo consentire agli enti locali a cui è diretta di poter derogare agli articoli 188 e 194 del Testo unico sugli enti locali, ossia permette che nella rimodulazione del piano di riequilibrio si possa:
    rateizzare l'ultimo disavanzo emergente dal rendiconto approvato in deroga all'articolo 188 del Testo Unico, ciò significa che lo si può dilazionare per la durata del piano riequilibrio (durata massima 10 anni), mentre secondo l'articolo 188 l'eventuale disavanzo di amministrazione sia immediatamente applicato all'esercizio in corso di gestione contestualmente alla delibera di approvazione del rendiconto, oppure può essere ripianato in tre anni e comunque per un periodo non superiore alla durata della consiliatura;
    inserire debiti fuori bilancia ulteriori rispetto a quelli già proposti nel precedente piano da riformulare;
    è allarmante la previsione della deroga alle disposizioni dell'articolo 194 del T.U.E.L., che prevede che i debiti fuori bilancio devono essere dichiarati legittimi mediante l'approvazione di apposita delibera consiliare e che possono essere rateizzati in tre anni, mediante accordo con i creditori;
    la deroga a tali disposizioni comporterà che l'ente locale, che se ne avvale, può pagare rateizzando fino a 10 anni e può inserire anche «debiti non regolarmente autorizzati», quindi non riportati nel registro apposito previsto;
    la deroga all'articolo 194 consente di traslare i debiti pregressi sulle future amministrazioni, che non sono responsabili della loro formazione, ma, fatto più grave, è che, nel caso di enti locali con situazioni finanziarie molto critiche e che non hanno ancora avuto l'approvazione del piano di riequilibrio dalla Corte dei conti, i medesimi sono autorizzati per legge a «rateizzare» i debiti fuori bilancia non conformi alla disciplina vigente, eludendo quindi l'obbligo di presentare una chiara situazione dei debiti fuori bilancio e alterando una situazione debitoria grave che richiederebbe la dichiarazione del dissesto finanziario, con l'applicazione di tutte le sanzioni previste dalle norme vigenti,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle deroghe al TUEL contenute nell'articolo 15, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a evitare la traslazione di situazioni debitorie ed in particolare debiti fuori bilancia alle successive amministrazioni locali.
9/3926-A-R/67Caso, Sorial, Grillo, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il testo del decreto in esame contiene l'articolo 15 (Piano di riequilibrio finanziario), il cui comma 2 prevede che gli enti locali che hanno presentato il piano di riequilibrio finanziario pluriennale o ne hanno conseguito l'approvazione ai sensi dell'articolo 243-bis del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, possono provvedere a rimodulare il piano stesso, ferma restando la sua durata originaria, per tenere conto dell'eventuale disavanzo risultante dal rendiconto approvato o dei debiti fuori bilancio, anche in deroga agli articoli 188 e 194 del decreto legislativo n. 267 del 2000;
    l'esercizio della suddetta facoltà attiva le norme dell'articolo 243-bis, commi 3 e 4, ossia viene sospesa temporaneamente la possibilità per la Corte dei conti di assegnare il termine per l'adozione delle misure correttive da parte dell'ente locale, in considerazione dei comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria e del mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto di stabilità interno accertati dalla competente sezione regionale della Corte dei conti;
    la norma ha l'obiettivo consentire agli enti locali a cui è diretta di poter derogare agli articoli 188 e 194 del Testo unico sugli enti locali, ossia permette che nella rimodulazione del piano di riequilibrio si possa:
     rateizzare l'ultimo disavanzo emergente dal rendiconto approvato in deroga all'articolo 188 del T.U, ciò significa che lo si può dilazionare per la durata del piano riequilibrio (durata massima 10 anni), mentre secondo l'articolo 188 l'eventuale disavanzo di amministrazione sia immediatamente applicato all'esercizio in corso di gestione contestualmente alla delibera di approvazione del rendiconto, oppure può essere ripianato in tre anni e comunque per un periodo non superiore alla durata della consiliatura;
     inserire debiti fuori bilancia ulteriori rispetto a quelli già proposti nel precedente piano da riformulare;
    è allarmante la previsione della deroga alle disposizioni dell'articolo 194 del T.U.E.L., che prevede che i debiti fuori bilancio devono essere dichiarati legittimi mediante l'approvazione di apposita delibera consiliare e che possono essere rateizzati in tre anni, mediante accordo con i creditori;
    la deroga a tali disposizioni comporterà che l'ente locale, che se ne avvale, può pagare rateizzando fino a 10 anni e può inserire anche «debiti non regolarmente autorizzati», quindi non riportati nel registro apposito previsto;
    la deroga all'articolo 194 consente di traslare i debiti pregressi sulle future amministrazioni, che non sono responsabili della loro formazione, ma, fatto più grave, è che, nel caso di enti locali con situazioni finanziarie molto critiche e che non hanno ancora avuto l'approvazione del piano di riequilibrio dalla Corte dei conti, i medesimi sono autorizzati per legge a «rateizzare» i debiti fuori bilancio non conformi alla disciplina vigente, eludendo quindi l'obbligo di presentare una chiara situazione dei debiti fuori bilancia e alterando una situazione debitoria grave che richiederebbe la dichiarazione del dissesto finanziario, con l'applicazione di tutte le sanzioni previste dalle norme vigenti,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni di cui in premessa, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a limitarne l'applicazione agli enti locali che abbiano già avuto l'approvazione della Corte dei conti del precedente piano di riequilibrio da ripresentare, al fine di non rendere vani i controlli della Corte dei Conti in merito alla regolarità contabile tenuta dall'ente sulla formazione dei debiti fuori bilancio.
9/3926-A-R/68Sorial, Grillo, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 21 del decreto-legge 24 giugno 2016 n. 133 recante misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio prevede, nelle more di una revisione del «sistema di governo» del settore farmaceutico, da compiersi entro il 31 dicembre 2016, una serie di misure per procedere al ripiano della spesa farmaceutica che come noto, negli anni 2013,2014 e 2015, ha superato i limiti di spesa previsti dalle norme vigenti;
    in particolare il comma 2 del succitato articolo dispone che entro trenta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, le aziende farmaceutiche corrispondano una quota di acconto, pari al 90 per cento per gli anni 2013 e 2014 ed all'80 per cento per il 2015, rispetto al totale da esse dovuto in base alle nuove norme in esame;
    in sostanza, con il provvedimento all'esame, si intende porre fine ad un contenzioso andato avanti per anni e riguardante i calcoli sul ripiano a carico delle aziende farmaceutiche per lo sforamento dei tetti della farmaceutica territoriale ed ospedaliera;
    la disposizione all'esame autorizza l'AIFA a pubblicare, entro 15 giorni dall'approvazione del decreto «l'elenco contenente gli importi dovuti a titolo di ripiano degli eventuali sfondamenti dei tetti di spesa farmaceutica per gli anni 2013, 2014 e 2015, da parte delle aziende farmaceutiche titolari di Aic, (autorizzazione di immissione al commercio) ed entro i successivi 15 giorni, poi, le case farmaceutiche corrisponderanno provvisoriamente a ciascuna regione e provincia autonoma la quota di ripiano a proprio carico per ciascuno degli anni 2013, 2014 nella misura del 90 per cento e per il 2015 nella misura dell'80 per cento dell'importo indicato dall'AIFA»;
    rispetto agli importi definiti provvisoriamente dall'AIFA le aziende farmaceutiche e quelle della filiera distributiva interessate, nonché le relative associazioni di categoria, possono presentare richieste o istanze di rettifica, ai fini del calcolo degli importi definitivi delle quote;
    nel caso di mancata istanza di rettifica, i dati diventano definitivi sia per l'azienda sia per le regioni e province autonome e l'importo corrisposto nella misura del 90 per cento per gli anni 2013 e 2014 e dell'80 per cento per l'anno 2015 è trattenuto a titolo definitivo senza necessità di conguaglio o di pretese da parte delle regioni;
    per quanto attiene all'anno corrente, il 2016, entro il prossimo 31 ottobre l'AIFA dovrà definire per ciascuno dei tetti previsti l'eventuale sforamento relativo al periodo 1o gennaio-31 luglio 2016 indicando per ciascuna delle aziende la quota di superamento a proprio carico da corrispondersi entro il 15 novembre 2016 e, successivamente, entro il 31 marzo 2017, l'AIFA dovrà definire per ciascuno dei tetti previsti lo sforamento definitivo relativo all'anno 2016, indicando per ciascuna delle aziende la quota di superamento a proprio carico da corrispondersi entro il 30 aprile 2017;
    è chiaro ed evidente che quanto previsto nella disposizione rappresenta uno sconto di quanto dovuto da parte delle aziende farmaceutiche e la misura è stata fortemente contestata dal M5S che ritiene questa disposizione un vero e proprio regalo alle imprese farmaceutiche che potrebbe essere anche superiore a 300 mln, a danno dei cittadini;
    il ripiano dello sforamento della spesa a carico delle imprese – anni 2013 e 2014 – è pari al 90 per cento dei valori derivanti dai flussi informativi disponibili. Percentuale che scenderebbe addirittura all'80 per cento per il 2015, che presenta uno scostamento assoluto della spesa, rispetto ai tetti previsti per legge, di poco meno di 2 miliardi di euro e già nella legge di stabilità 2016 l'esecutivo era corso ai ripari scrivendo un comma, il 702, per evitare che le Regioni chiudessero i bilanci della sanità in perdita con seri rischi di commissariamento;
    con questo decreto-legge il Governo continua a tamponare la grave situazione che esso stesso ha creato non rispondendo alle reiterate richieste del M5S sulla necessità di ripensare con urgenza la governance dell'AIFA e del settore farmaceutico che, come dimostra il medesimo decreto, è stato fallimentare e non è in grado di governare il prezzo dei farmaci e la conseguente spesa pubblica;
    tale disastrosa gestione è stata stigmatizzata anche dalle diverse bocciature del Tar Lazio e di fatto l'AIFA, nonostante il tanto tempo trascorso, non è stata in grado di determinare con esattezza gli importi che le industrie del farmaco devono versare alle aziende sanitarie e si teme che la disposizione di cui all'articolo 21 del decreto-legge all'esame non riuscirà a soddisfare l'esigenza di determinare i suddetti importi;
    il M5S avrebbe infatti auspicato che la risoluzione del contenzioso in essere con le aziende farmaceutiche seguisse altre logiche e fosse contestuale ad una riforma della governance dell'AIFA e del settore farmaceutico, ciò perché si ritiene che la causa dello sforamento del tetto della spesa farmaceutica ha la sua origine anche e soprattutto in una governance non trasparente del settore e dell'autorità preposta;
    tenuto conto che sia la Commissione consultiva tecnico-scientifica e sia il Comitato prezzi e rimborso hanno un ruolo determinante nella immissione in commercio dei farmaci e nella definizione del prezzo sia in relazione alle valutazioni tecnico scientifiche per la definizione del valore terapeutico dei medicinali e ai fini del rilascio dell'autorizzazione all'immissione in commercio, nonché sulle sperimentazioni cliniche e sulle risultanze delle attività di Farmacovigilanza e sia in relazione all'attività negoziale connessa alla rimborsabilità dei farmaci;
    è auspicabile quindi dare a tali importanti organismi una rappresentanza più diffusa e qualificata,

impegna il Governo

nell'ambito della revisione del «sistema di governo» del settore farmaceutico, da compiersi come previsto nel provvedimento all'esame, entro il 31 dicembre 2016, a prevedere che tra i componenti di diritto figuri anche il Direttore del Centro nazionale per la ricerca e la valutazione preclinica e clinica dei farmaci dell'istituto Superiore di Sanità, mentre per i restanti componenti sia effettuata una selezione pubblica per titoli ed esami con comprovata e documentata competenza tecnico-scientifica nel settore dei farmaci, mediante una commissione composta da cinque esperti di comprovata competenza ed esperienza nel settore della valutazione dei farmaci nonché nella metodologia di determinazione del prezzo dei farmaci.
9/3926-A-R/69Silvia Giordano, Colonnese, Lorefice, Grillo, Nesci, Mantero, Di Vita, Dall'Osso.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 21 del decreto-legge 24 giugno 2016 n. 133 recante misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio prevede, nelle more di una revisione del «sistema di governo» del settore farmaceutico, da compiersi entro il 31 dicembre 2016, una serie di misure per procedere al ripiano della spesa farmaceutica che come noto, negli anni 2013, 2014 e 2015, ha superato i limiti di spesa previsti dalle norme vigenti;
    in particolare il comma 2 del succitato articolo dispone che entro trenta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, le aziende farmaceutiche corrispondano una quota di acconto, pari al 90 per cento per gli anni 2013 e 2014 ed all'80 per cento per il 2015, rispetto al totale da esse dovuto in base alle nuove norme in esame;
    rispetto agli importi definiti provvisoriamente dall'AIFA le aziende farmaceutiche e quelle della filiera distributiva interessate, nonché le relative associazioni di categoria, possono presentare richieste o istanze di rettifica, ai fini del calcolo degli importi definitivi delle quote;
    nel caso di mancata istanza di rettifica, i dati diventano definitivi sia per l'azienda sia per le regioni e province autonome e l'importo corrisposto nella misura del 90 per cento per gli anni 2013 e 2014 e dell'80 per cento per l'anno 2015 è trattenuto a titolo definitivo senza necessità di conguaglio o di pretese da parte delle regioni;
    in sostanza, con il provvedimento all'esame, si intende porre fine ad un contenzioso andato avanti per anni e riguardante i calcoli sul ripiano a carico delle aziende farmaceutiche per lo sforamento dei tetti della farmaceutica territoriale ed ospedaliera;
    è chiaro ed evidente che quanto previsto nella disposizione rappresenta uno sconto di quanto dovuto da parte delle aziende farmaceutiche e la misura è stata fortemente contestata dal M5S che ritiene questa disposizione un vero e proprio regalo alle imprese farmaceutiche che potrebbe essere anche superiore a 300 mln, a danno dei cittadini;
    con questo decreto-legge il Governo continua a tamponare la grave situazione che esso stesso ha creato non ipotizzando, neanche lontanamente, di adottare misure finalizzate ad abbattere, anche nell'immediato, i costi della spesa farmaceutica;
    un'ipotesi in tal senso potrebbe essere quella di incidere sulle modalità di distribuzione di alcuni farmaci ad alto costo ed in tal senso il vigente articolo 8 del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2001, n. 405, relativo alla dispensazione dei farmaci ad alto costo, prevede che la scelta sia operata tra Asl, Ospedali o Farmacie convenzionate;
    si cita l'esperienza di alcuni farmacisti di una ASL imperiese che, in ottemperanza alla succitata legge che prevede la distribuzione diretta di farmaci ad alto costo anche attraverso le farmacie ospedaliere, hanno deciso di avvalersi di detta normativa per dispensare direttamente alcune specialità medicinali ad alto costo;
    la Determina AIFA 29 ottobre 2004 istituisce il PHT ovvero il prontuario della distribuzione diretta per la presa in carico e la continuità assistenziale ospedale-territorio e a tale determina è allegato un elenco di farmaci ad alto costo i cui criteri di inserimento sono quelli della diagnostica differenziale, della criticità terapeutica e del controllo periodico da parte della struttura specialistica, criteri che determinano le condizioni per una maggiore appropriatezza diagnostico-assistenziale, una verifica della compliance del paziente e uno strumento di monitoraggio del profilo di beneficio/rischio e di sorveglianza epidemiologica dei nuovi farmaci;
    la Determina AIFA del 2 novembre 2010 che ha modificato il succitato elenco, prevede testualmente che: «I farmaci di cui all'allegato elenco vanno dispensati attraverso le strutture individuate dalle regioni per una continuità assistenziale tra soggetto prescrittore ed unità dispensatrice del farmaco, tenuto conto delle proprie esigenze organizzative e precisa altresì che la modalità operativa della distribuzione scelta dalla regione, per i farmaci di cui al citato elenco, non deve costituire aggravio di spesa per il SSN rispetto ai costi attualmente sostenuti dalla regione»;
    la ASL imperiese, sulla base della legge citata e delle determine dell'AIFA succitate, ha provveduto, dal 2001 fino ad oggi, ad effettuare una distribuzione totale dei farmaci ad alto costo esclusivamente attraverso le proprie strutture, avvalendosi anche, per casi particolari, di una consegna a domicilio (circa 1500 assistiti);
    le altre ASL liguri hanno invece optato per un sistema misto utilizzando maggiormente la dispensazione di detti farmaci attraverso le farmacie private, come peraltro previsto all'articolo 8 del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2001, n. 405 e che detta modalità ha comportato però un aggravio di spesa per la Regione Liguria, dovuto all'onorario professionale corrisposto alla farmacia privata, ovvero euro 5.50 per confezione (IVA esclusa) fino ad un limite di confezioni (variabile per ogni ASL) oltre il quale il corrispettivo viene ricalcolato in euro 4.50 per confezione (IVA esclusa), talché l'aggravio di spesa per l'anno 2015 è stato quantificato in circa euro 6.000.000 a fronte di un risparmio della l'ASL imperiese citata, quantificabile per il 2015 in euro 1.087.378;
    l'articolo 21 del decreto-legge all'esame introduce disposizioni concernenti i criteri e le procedure per il ripiano – con riferimento alle quote a carico delle aziende farmaceutiche – del superamento, negli anni 2013-2015, del limite di spesa per l'assistenza farmaceutica territoriale e di quello per la spesa farmaceutica ospedaliera ed introduce altresì disposizioni concernenti anche la determinazione delle quote a carico dei grossisti e dei farmacisti, quote sulle quali per l'appunto incide anche la modalità operativa scelta dalla regione per la distribuzione dei farmaci,

impegna il Governo

al fine di incidere con urgenza sul problema del superamento del limite di spesa per l'assistenza farmaceutica e al fine di garantire il rispetto degli equilibri di finanza pubblica, ad intervenire affinché la scelta della modalità di erogazione di medicinali agli assistiti di cui all'articolo 8 del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2001, n. 405, non debba costituire un aggravio di spesa per il servizio sanitario nazionale rispetto ai costi sostenuti dalla regione includendovi anche tutti i costi accessori connessi alla dispensazione dei farmaci.
9/3926-A-R/70Mantero, Silvia Giordano, Colonnese, Lorefice, Grillo, Nesci, Di Vita, Dall'Osso.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 20 del decreto-legge 24 giugno 201.6 n. 133 recante misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio modifica i tempi per l'approvazione in via definitiva del decreto di riparto delle risorse destinate al Servizio sanitario nazionale, con l'intento di consentire una programmazione regionale più efficiente dei servizi sanitari;
    la disposizione interviene quindi sulla procedura indicata dal decreto legislativo n. 68 del 2011, per fissare i termini entro Cui devono essere individuate le regioni in equilibrio economico e la definizione dei pesi nonché le regioni di riferimento (regioni benchmark), così da determinare i costi standard e dei fabbisogni sanitari regionali, ovvero il riparto fra le regioni del fabbisogno sanitario nazionale, che, dal 2017, dovrà essere adottato in via definitiva al massimo entro il termine del 30 settembre;
    il costo standard è stato introdotto per dare attuazione al federalismo fiscale e per controllare gli sprechi nella sanità ove si concentrano importanti sperperi della spesa pubblica che, come rilevati dall'Agenas, ammontano a circa 4 miliardi;
    nonostante le previsioni normative l'adozione dei costi standard della sanità non è mai stata attuata con coerenza e, di fatto, il ritardo nel riparto del fondo sanitario nazionale ha determinato gravi squilibri nelle contabilità regionali;
    come sottolineato dalla Corte dei conti: «Il ritardo con il quale viene approvato in via definitiva il riparto del FSN comporta una gestione «provvisoria» tra le contabilità speciali delle anticipazioni ricevute, con regolazioni contabili che intervengono in esercizi successivi»;
    la conseguenza evidente, più volte lamentata dal gruppo M5S, è il fallimento di una vera lotta agli sprechi in sanità più volte annunciata dal Governo e dal Ministro della Salute, fallimento a cui si rimedia con i tagli lineari al SSN;
    durante l'esame del provvedimento in Commissione Bilancio è stato approvato un emendamento del M5S che prevede, ai fini dell'effettiva razionalizzazione ed efficacia della spesa sanitaria, che il programma di informatizzazione del Sistema sanitario nazionale previsto dall'articolo 15 del Patto per la salute 2014-2016, sia attuato entro e non oltre le scadenze programmate dall'Agenda digitale, con particolare riferimento al fascicolo sanitario elettronico, alle ricette digitali, alla dematerializzazione di referti e cartelle cliniche e alle prenotazioni e ai pagamenti on-line;
    in tale senso era già stata presentata la mozione 1/01009 del M5S ove per superare la riduzione sistematica delle risorse destinate al servizio sanitario nazionale e il taglio delle prestazioni, al fianco della necessità di condurre a termine l’iter di attuazione dei costi standard e della centralizzazione degli acquisti, uniformando le spese e la variazione dei costi per l'acquisto e la fornitura di dispositivi, farmaci ospedalieri, materiali, apparecchiature e servizi in ambito sanitario, si chiedeva al Governo di completare il programma di informatizzazione del sistema sanitario nazionale previsto dall'articolo del patto per la salute;
    le attività programmatiche e le misure previste dal patto per la sanità digitale 2014-2016 tali sono rimaste, non avendo ricevuto ad oggi concreta attuazione e non è dato sapere con esattezza le ragioni che ne hanno impedito l'implementazione;
    il 24 giugno 2016 la conferenza Stato-Regioni ha aggiornato il patto per la sanità digitale con l'obiettivo dichiarato di rendere efficiente e sostenibile il SSN e che a tal fine è costituita l'ennesima cabina di regia che avrà compiti di indirizzo, coordinamento e controllo sull'attuazione del Patto della salute digitale che contempla quali forme di finanziamento, oltre ai fondi strutturali e a quelli già stanziati, anche iniziative privatistiche sul modello del project financing o del partenariato pubblico-privato che il M5S non condivide e che tuttavia dalla attuazione del suddetto patto si attendono risparmi a regime fino a 8-10 miliardi,

impegna il Governo:

   a rispettare le scadenze fissate per l'attuazione del patto per la salute e in particolare dell'articolo 15 per quanto riguarda il patto per la salute digitale;
   al fine di sopperire alla mancata implementazione delle attività previste dal patto nel termine di dette scadenze, a provvedere annualmente a relazionare al parlamento in merito all’iter dello stato dei lavori e delle cause di ostacolo o ritardo, con la pubblicazione di tale relazione e relativi dati sui siti del Ministero della salute e dell'Agenzia per l'Italia digitale;
   a prendere in considerazione l'opportunità di stanziare ulteriori risorse che dovessero rendersi disponibili per l'implementazione del patto, soprattutto in relazione ai risparmi che si stimano dover derivare dall'implementazione stessa.
9/3926-A-R/71Di Vita, Mantero, Silvia Giordano, Colonnese, Lorefice, Grillo, Nesci, Dall'Osso.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 21 del decreto-legge 24 giugno 2016 n. 133 recante misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio prevede, nelle more di una revisione del «sistema di governo» del settore farmaceutico, da compiersi entro il 31 dicembre 2016, una serie di misure per procedere al ripiano della spesa farmaceutica che come noto, negli anni 2013, 2014 e 2015, ha superato i limiti di spesa previsti dalle norme vigenti;
    in particolare il comma 2 del succitato articolo dispone che entro trenta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, le aziende farmaceutiche corrispondano una quota di acconto, pari al 90 per cento per gli anni 2013 e 2014 ed all'80 per cento per il 2015, rispetto al totale da esse dovuto in base alle nuove norme in esame;
    in sostanza, con il provvedimento all'esame, si intende pone fine ad un contenzioso andato avanti per anni e riguardante i calcoli sul ripiano a carico delle aziende farmaceutiche per lo sforamento dei tetti della farmaceutica territoriale ed ospedaliera;
    la disposizione all'esame autorizza l'Aifa a pubblicare, entro 15 giorni dall'approvazione del decreto l'elenco contenente gli importi dovuti a titolo di ripiano degli eventuali sfondamenti dei tetti di spesa farmaceutica per gli anni 2013, 2014 e 2015, da parte delle aziende farmaceutiche titolari di Aie, (autorizzazione di immissione al commercio) ed entro i successivi 15 giorni, poi, le case farmaceutiche corrisponderanno provvisoriamente a ciascuna regione e provincia autonoma la quota di ripiano a proprio carico per ciascuno degli anni 2013, 2014 nella misura del 90 per cento e per il 2015 nella misura dell'80 per cento dell'importo indicato dall'Aifa;
    rispetto agli imponi definiti provvisoriamente dall'Aifa le aziende farmaceutiche e quelle della filiera distributiva interessate, nonché le relative associazioni di categoria, possono presentare richieste o istanze di rettifica, ai fini del calcolo degli importi definitivi delle quote;
    nel caso di mancata istanza di rettifica, i dati diventano definitivi sia per l'azienda sia per le regioni e province autonome e l'importo corrisposto nella misura del 90 per cento per gli anni 2013 e 2014 e dell'80 per cento per l'anno 2015 è trattenuto a titolo definitivo senza necessità di conguaglio o di pretese da parte delle regioni;
    per quanto attiene all'anno corrente, il 2016, entro il prossimo 31 ottobre l'Aifa dovrà definire per ciascuno dei tetti previsti l'eventuale sforamento relativo al periodo 1o gennaio-31 luglio 2016 indicando per ciascuna delle aziende la quota di superamento a proprio carico da corrispondersi entro il 15 novembre 2016 e, successivamente, entro il 31 marzo 2017, l'Aifa dovrà definire per ciascuno dei tetti previsti lo sforamento definitivo relativo all'anno 2016, indicando per ciascuna delle aziende la quota di superamento a proprio carico da corrispondersi entro il 30 aprile 2017;
    è chiaro ed evidente che quanto previsto nella disposizione rappresenta uno sconto di quanto dovuto da parte delle aziende farmaceutiche e la misura è stata fortemente contestata dal M5S che ritiene questa disposizione un vero e proprio regalo alle imprese farmaceutiche che potrebbe essere anche superiore a 300 mln, a danno dei cittadini;
    il ripiano dello sforamento della spesa a carico delle imprese – anni 2013 e 2014 – è pari al 90 per cento dei valori derivanti dai flussi informativi disponibili. Percentuale che scenderebbe addirittura all'80 per cento per il 2015, che presenta uno scostamento assoluto della spesa, rispetto ai tetti previsti per legge, di poco meno di 2 miliardi di euro e già nella legge di stabilità 2016 l'esecutivo era corso ai ripari scrivendo un comma, il 702, per evitare che le Regioni chiudessero i bilanci della sanità in perdita con seri rischi di commissariamento;
    con questo decreto-legge il Governo continua a tamponare la grave situazione che esso stesso ha creato non rispondendo alle reiterate richieste del M5S sulla necessità di ripensare con urgenza la governante dell'Aifa e del settore farmaceutico che, come dimostra il medesimo decreto, è stato fallimentare e non è in grado di governare il prezzo dei farmaci e la conseguente spesa pubblica;
    tale disastrosa gestione è stata stigmatizzata anche dalle diverse bocciature del Tar Lazio e di fatto l'Aifa, nonostante il tanto tempo trascorso, non è stata in grado di determinare con esattezza gli importi che le industrie del farmaco devono versare alle aziende sanitarie e si teme che la disposizione di cui all'articolo 21 del decreto-legge all'esame non riuscirà a soddisfare l'esigenza di determinare i suddetti importi;
    il M5S avrebbe infatti auspicato che la risoluzione del contenzioso in essere con le aziende farmaceutiche seguisse altre logiche e fosse contestuale ad una riforma della governante dell'Aifa e del settore farmaceutico, ciò perché si ritiene che la causa dello sforamento del tetto della spesa farmaceutica ha la sua origine anche e soprattutto in una governance non trasparente del settore e dell'autorità preposta;
    il provvedimento all'esame prevede l'istituzione di un apposito Fondo denominato «Fondo per payback 2013-2014-2015» al quale sono riassegnati gli importi versati all'entrata del bilancio dello Stato dalle aziende farmaceutiche titolari di AIC, relativi alle quote di ripiano, attribuiti alle regioni e alle province autonome entro il 20 novembre 2016 nei limiti delle risorse disponibili,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni di cui in premessa, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a far sì che lo sconto previsto per le aziende farmaceutiche, nella misura del 10 per cento per gli anni 2013 e 2014 e dell'20 per cento per l'anno 2015, non sia in ogni caso applicato qualora le risorse del fondo citato in premessa, non siano in grado di soddisfare il fabbisogno di tutte le regioni e province autonome.
9/3926-A-R/72Grillo, Lorefice, Silvia Giordano, Colonnese, Mantero, Nesci, Di Vita, Dall'Osso.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 20 del decreto legge 24 giugno 2016 n. 133 recante misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio modifica i tempi per l'approvazione in via definitiva del decreto di riparto delle risorse destinate al Servizio sanitario nazionale, con l'intento di consentire una programmazione regionale più efficiente dei servizi sanitari;
    la disposizione interviene quindi sulla procedura indicata dal decreto legislativo n. 68 del 2011 per indicare i termini entro cui devono essere individuate le regioni in equilibrio economico e la definizione dei pesi nonché le regioni di riferimento (regioni benchmark), così da determinare i costi standard e dei fabbisogni sanitari regionali, ovvero il riparto fra le regioni del fabbisogno sanitario nazionale, che, dal 2017, dovrà essere adottato in via definitiva al massimo entro il termine del 30 settembre;
    qualora non sia raggiunta l'intesa sulle tre regioni entro tale termine, le stesse sono automaticamente individuate nelle prime tre. Qualora i dati relativi alle regioni in equilibrio economico e i dati relativi ai pesi non siano disponibili in tempo utile a garantire il rispetto del termine, le regioni in equilibrio e i pesi sono individuati rispettivamente sulla base dei risultati e dei valori ultimi disponibili;
    per il solo 2016, viene autorizzata l'erogazione alle regioni del finanziamento del SSN 2014 e 2015 eccedente la quota premiale, non ancora trasferito alle regioni, mediante anticipazioni di tesoreria nel corso degli esercizi di riferimento, per la mancata tempestività della ripartizione delle risorse destinate allo stesso SSN e per la conseguente impossibilità di determinazione della compartecipazione all'IVA;
    per tali anni, 2014 e 2015, la popolazione pesata regionale è stata calcolata utilizzando i pesi del riparto del Fondo sanitario nazionale anno 2011 e quanto eccedente la quota premiale è stato stimato in circa 1,5 miliardi di euro per il 2014 e in circa 2,4 miliardi di euro per il 2015;
    dal 2017 la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard regionali è effettuata entro il 15 febbraio dell'anno di riferimento ed è aggiornata in caso di eventuale ridefinizione del livello del finanziamento per il SSN e, se l'intesa di riparto non viene raggiunta entro tale data, la determinazione in via provvisoria dei costi e dei fabbisogni standard è fissata da un decreto del Ministro della salute, di concerto con il MEF entro il 15 marzo dell'anno di riferimento e tale determinazione diviene definitiva entro il 30 settembre dell'anno di riferimento qualora non venga raggiunta l'intesa di riparto e per la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard è adottata in via definitiva la proposta di riparto del Ministero della salute presentata in Conferenza Stato-regioni, assegnando alle singole regioni il valore regionale individuato nella medesima proposta, al netto dello 0,5 per cento; con il medesimo decreto si provvede all'assegnazione alle regioni del 95 per cento del finanziamento degli obiettivi strategici e prioritari (obiettivi contenuti nel Piano sanitario nazionale) sui quali far convergere, in accordo con le Regioni, una quota del Fondo sanitario nazionale;
    il decreto legislativo n. 68 del 2011 attualmente prevede che dal 2013, il fabbisogno sanitario nazionale standard – ossia l'ammontare di risorse necessarie per assicurare i livelli essenziali di assistenza (Lea) in condizione di efficienza e appropriatezza –, è determinato, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, in coerenza con il quadro macroeconomico complessivo e nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica e degli obblighi assunti dall'Italia in sede comunitaria;
    le regioni di riferimento sono individuate, ai sensi del decreto legislativo n. 68 del 2011, nella maniera che segue:
     definizione con DPCM dei criteri di qualità, appropriatezza ed efficienza previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni;
     individuazione, da parte del Ministro della salute, di concerto con il MEF, sentito il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, delle cinque migliori regioni eleggibili che abbiano garantito l'erogazione dei Lea in condizione di equilibri economico, che rispettino criteri di qualità dei servizi erogati, appropriatezza ed efficienza e che non siano assoggettate a piani di rientro;
     scelta, da parte della Conferenza Stato-regioni, tra le cinque regioni eleggibili, di tre regioni quali regioni di riferimento per la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard del settore sanitario;
    la determinazione dei costi standard è calcolata a livello aggregato per ciascuno dei tre macrolivelli di assistenza (collettiva, distrettuale e ospedaliera) in condizione di efficienza ed appropriatezza quali «media pro capite pesata del costo registrato dalle regioni di riferimento»;
    il costo standard è stato introdotto per dare attuazione al federalismo fiscale e per controllare gli sprechi nella sanità ove si concentrano importanti sperperi della spesa pubblica che, come rilevati dall'Agenas, ammontano a circa 4 miliardi;
    nonostante le previsioni normative l'adozione dei costi standard della sanità non è mai stata attuata con coerenza e, di fatto, il ritardo nel riparto del fondo sanitario nazionale ha determinato gravi squilibri nelle contabilità regionali;
    come sottolineato dalla Corte dei conti: «Il ritardo con il quale viene approvato in via definitiva il riparto del FSN comporta una gestione «provvisoria» tra le contabilità speciali delle anticipazioni ricevute, con regolazioni contabili che intervengono in esercizi successivi»;
    la conseguenza evidente, più volte lamentata dal gruppo M5S, è il fallimento di una vera lotta agli sprechi in sanità più volte annunciata dal governo e dal Ministro della Salute, fallimento a cui si rimedia con i tagli lineari al SSN;
    numerose e approfondite rilevazioni fanno emergere differenze rilevanti a livello regionale (si pensi ad esempio che i costi per la pulizia di taluni ospedali di Napoli sono più del doppio rispetto a quelli emiliani);
    la spesa degli ospedali si aggira intorno ai 50 miliardi l'anno con una rilevante incidenza sul bilancio dello Stato e delle regioni e l'introduzione dei costi standard ha l'auspicio di ottenere dei risparmi;
    il problema è che nell'individuazione dei costi standard e nella individuazione dei «costi ottimali» prendendo a riferimento le regioni «modello» non si è mai tenuto conto delle condizioni di partenza delle regioni e della perequazione esistente tra le diverse regioni anche a livello di infrastrutture né si è mai tenuto della necessità di introdurre meccanismi di rilevazione della situazione socioeconomica che dovrebbero dovrebbe far affluire più risorse alle regioni meno sviluppate;
    di fatto nonostante i diversi tentativi e propositi l'applicazione dei costi standard è stata caratterizzata da un affanno tale che la Conferenza delle regioni non ha adottato nei tempi previsti le opportune intese e dinanzi a tale quadro quindi il Governo ha di fatto adottato, nei diversi provvedimenti finanziari, il sistema dei tagli lineari sul personale del servizio sanitario nazionale ovvero una politica di riduzione drastica del fondo sanitario nazionale o di accorpamento/soppressione di strutture sanitarie pubbliche con conseguente vantaggio e beneficio per il sistema sanitario privato;
    l'articolo del decreto legge in esame cerca quindi di superare questo stallo con la fissazione di tempi certi per l'approvazione in via definitiva del decreto di riparto delle risorse destinate al Servizio sanitario nazionale e, dunque, vengono indicati i termini certi per l'individuazione delle regioni in equilibrio economico e per la definizione dei pesi nonché per l'individuazione delle regioni di riferimento (regioni benchmark), adempimenti propedeutici per la determinazione dei costi standard e dei fabbisogni sanitari regionali, ovvero per il riparto fra le regioni dei fabbisogno sanitario nazionale, che, dal 2017, dovrà essere adottato in via definitiva al massimo entro il termine del 30 settembre dell'anno di riferimento;
    l'articolo non affronta però la necessità che nell'ambito della definizione del fabbisogno standard sanitario regionale, è necessario tener conto di ulteriori variabili come quelle determinate dalle carenze strutturali presenti in alcune aree territoriali e atte ad incidere sui costi delle prestazioni, individuandole sulla base di specifici indicatori socio-economici, ambientali, culturali e di deprivazione;
    le misure di «deprivazione», come formulate da studi e ricerche dell'ISTAT «sono utilizzate come indice di uno stato di svantaggio in relazione alle condizioni di vita della comunità alle quali un individuo, una famiglia o un gruppo appartengono, ben possono essere utilizzati tra i metodi di pianificazione sanitaria nella fase di allocazione delle risorse e sintetizzano le caratteristiche socio-economiche di aree geografiche, attraverso l'elaborazione di indici aggregati correlati con un esito di salute della popolazione»,

impegna il Governo:

   a tener conto, nell'ambito della determinazione dei costi e dei fabbisogni standard regionali e sulla base dei principali indicatori ambientali, socio economici, culturali e di deprivazione, come individuati annualmente dall'ISTAT, delle carenze strutturali presenti nelle regioni o nelle aree territoriali di ciascuna regione, che incidono sui costi delle prestazioni sanitarie;
   a introdurre dei correttivi nella determinazione dei fabbisogni standard delle regioni italiani più in difficoltà, in cui le carenze strutturali inevitabilmente determinano variazioni sui costi delle prestazioni; in particolare, tali correttivi dovrebbero tenere conto delle condizioni geo morfologiche e demografiche nonché delle condizioni di deprivazione e di povertà sociale ed il fabbisogno epidemiologico dovrebbe quindi essere ad ampio spettro.
9/3926-A-R/73Lorefice, Grillo, Silvia Giordano, Colonnese, Mantero, Nesci, Di Vita, Dall'Osso, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 20 del decreto legge 24 giugno 2016 n. 133 recante misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio modifica i tempi per l'approvazione in via definitiva del decreto di riparto delle risorse destinate al Servizio sanitario nazionale, con l'intento di consentire una programmazione regionale più efficiente dei servizi sanitari;
    la disposizione interviene quindi sulla procedura indicata dal decreto legislativo n. 68 del 2011 per indicare i termini entro cui devono essere individuate le regioni in equilibrio economico e la definizione dei pesi nonché le regioni di riferimento (regioni benchmark), così da determinare i costi standard e dei fabbisogni sanitari regionali, ovvero il riparto fra le regioni del fabbisogno sanitario nazionale, che, dal 2017, dovrà essere adottato in via definitiva al massimo entro il termine del 30 settembre;
    qualora non sia raggiunta l'intesa sulle tre regioni entro tale termine, le stesse sono automaticamente individuate nelle prime tre. Qualora i dati relativi alle regioni in equilibrio economico e i dati relativi ai pesi non siano disponibili in tempo utile a garantire il rispetto del termine, le regioni in equilibrio e i pesi sono individuati rispettivamente sulla base dei risultati e dei valori ultimi disponibili;
    per il solo 2016, viene autorizzata l'erogazione alle regioni del finanziamento del SSN 2014 e 2015 eccedente la quota premiale, non ancora trasferito alle regioni, mediante anticipazioni di tesoreria nel corso degli esercizi di riferimento, per la mancata tempestività della ripartizione delle risorse destinate allo stesso SSN e per la conseguente impossibilità di determinazione della compartecipazione all'IVA;
    per tali anni, 2014 e 2015, la popolazione pesata regionale è stata calcolata utilizzando i pesi del riparto del Fondo sanitario nazionale anno 2011 e quanto eccedente la quota premiale è stato stimato in circa 1,5 miliardi di euro per il 2014 e in circa 2,4 miliardi di euro per il 2015;
    dal 2017 la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard regionali è effettuata entro il 15 febbraio dell'anno di riferimento ed è aggiornata in caso di eventuale ridefinizione del livello del finanziamento per il SSN e, se l'intesa di riparto non viene raggiunta entro tale data, la determinazione in via provvisoria dei costi e dei fabbisogni standard è fissata da un decreto del Ministro della salute, di concerto con il MEF entro il 15 marzo dell'anno di riferimento e tale determinazione diviene definitiva entro il 30 settembre dell'anno di riferimento qualora non venga raggiunta l'intesa di riparto e per la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard è adottata in via definitiva la proposta di riparto del Ministero della salute presentata in Conferenza Stato-regioni, assegnando alle singole regioni il valore regionale individuato nella medesima proposta, al netto dello 0,5 per cento; con il medesimo decreto si provvede all'assegnazione alle regioni del 95 per cento del finanziamento degli obiettivi strategici e prioritari (obiettivi contenuti nel Piano sanitario nazionale) sui quali far convergere, in accordo con le Regioni, una quota del Fondo sanitario nazionale;
    il decreto legislativo n. 68 del 2011 attualmente prevede che dal 2013, il fabbisogno sanitario nazionale standard – ossia l'ammontare di risorse necessarie per assicurare i livelli essenziali di assistenza (Lea) in condizione di efficienza e appropriatezza –, è determinato, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, in coerenza con il quadro macroeconomico complessivo e nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica e degli obblighi assunti dall'Italia in sede comunitaria;
    le regioni di riferimento sono individuate, ai sensi del decreto legislativo n. 68 del 2011, nella maniera che segue:
     definizione con DPCM dei criteri di qualità, appropriatezza ed efficienza previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni;
     individuazione, da parte del Ministro della salute, di concerto con il MEF, sentito il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, delle cinque migliori regioni eleggibili che abbiano garantito l'erogazione dei Lea in condizione di equilibri economico, che rispettino criteri di qualità dei servizi erogati, appropriatezza ed efficienza e che non siano assoggettate a piani di rientro;
     scelta, da parte della Conferenza Stato-regioni, tra le cinque regioni eleggibili, di tre regioni quali regioni di riferimento per la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard del settore sanitario;
    la determinazione dei costi standard è calcolata a livello aggregato per ciascuno dei tre macrolivelli di assistenza (collettiva, distrettuale e ospedaliera) in condizione di efficienza ed appropriatezza quali «media pro capite pesata del costo registrato dalle regioni di riferimento»;
    il costo standard è stato introdotto per dare attuazione al federalismo fiscale e per controllare gli sprechi nella sanità ove si concentrano importanti sperperi della spesa pubblica che, come rilevati dall'Agenas, ammontano a circa 4 miliardi;
    nonostante le previsioni normative l'adozione dei costi standard della sanità non è mai stata attuata con coerenza e, di fatto, il ritardo nel riparto del fondo sanitario nazionale ha determinato gravi squilibri nelle contabilità regionali;

come sottolineato dalla Corte dei conti: «Il ritardo con il quale viene approvato in via definitiva il riparto del FSN comporta una gestione «provvisoria» tra le contabilità speciali delle anticipazioni ricevute, con regolazioni contabili che intervengono in esercizi successivi»;
    la conseguenza evidente, più volte lamentata dal gruppo M5S, è il fallimento di una vera lotta agli sprechi in sanità più volte annunciata dal governo e dal Ministro della Salute, fallimento a cui si rimedia con i tagli lineari al SSN;
    numerose e approfondite rilevazioni fanno emergere differenze rilevanti a livello regionale (si pensi ad esempio che i costi per la pulizia di taluni ospedali di Napoli sono più del doppio rispetto a quelli emiliani);
    la spesa degli ospedali si aggira intorno ai 50 miliardi l'anno con una rilevante incidenza sul bilancio dello Stato e delle regioni e l'introduzione dei costi standard ha l'auspicio di ottenere dei risparmi;
    il problema è che nell'individuazione dei costi standard e nella individuazione dei «costi ottimali» prendendo a riferimento le regioni «modello» non si è mai tenuto conto delle condizioni di partenza delle regioni e della perequazione esistente tra le diverse regioni anche a livello di infrastrutture né si è mai tenuto della necessità di introdurre meccanismi di rilevazione della situazione socioeconomica che dovrebbero dovrebbe far affluire più risorse alle regioni meno sviluppate;
    di fatto nonostante i diversi tentativi e propositi l'applicazione dei costi standard è stata caratterizzata da un affanno tale che la Conferenza delle regioni non ha adottato nei tempi previsti le opportune intese e dinanzi a tale quadro quindi il Governo ha di fatto adottato, nei diversi provvedimenti finanziari, il sistema dei tagli lineari sul personale del servizio sanitario nazionale ovvero una politica di riduzione drastica del fondo sanitario nazionale o di accorpamento/soppressione di strutture sanitarie pubbliche con conseguente vantaggio e beneficio per il sistema sanitario privato;
    l'articolo del decreto legge in esame cerca quindi di superare questo stallo con la fissazione di tempi certi per l'approvazione in via definitiva del decreto di riparto delle risorse destinate al Servizio sanitario nazionale e, dunque, vengono indicati i termini certi per l'individuazione delle regioni in equilibrio economico e per la definizione dei pesi nonché per l'individuazione delle regioni di riferimento (regioni benchmark), adempimenti propedeutici per la determinazione dei costi standard e dei fabbisogni sanitari regionali, ovvero per il riparto fra le regioni dei fabbisogno sanitario nazionale, che, dal 2017, dovrà essere adottato in via definitiva al massimo entro il termine del 30 settembre dell'anno di riferimento;
    l'articolo non affronta però la necessità che nell'ambito della definizione del fabbisogno standard sanitario regionale, è necessario tener conto di ulteriori variabili come quelle determinate dalle carenze strutturali presenti in alcune aree territoriali e atte ad incidere sui costi delle prestazioni, individuandole sulla base di specifici indicatori socio-economici, ambientali, culturali e di deprivazione;
    le misure di «deprivazione», come formulate da studi e ricerche dell'ISTAT «sono utilizzate come indice di uno stato di svantaggio in relazione alle condizioni di vita della comunità alle quali un individuo, una famiglia o un gruppo appartengono, ben possono essere utilizzati tra i metodi di pianificazione sanitaria nella fase di allocazione delle risorse e sintetizzano le caratteristiche socio-economiche di aree geografiche, attraverso l'elaborazione di indici aggregati correlati con un esito di salute della popolazione»,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di tener conto, nell'ambito della determinazione dei costi e dei fabbisogni standard regionali e sulla base dei principali indicatori ambientali, socio economici, culturali e di deprivazione, come individuati annualmente dall'ISTAT, delle carenze strutturali presenti nelle regioni o nelle aree territoriali di ciascuna regione, che incidono sui costi delle prestazioni sanitarie;
   a valutare l'opportunità di introdurre dei correttivi nella determinazione dei fabbisogni standard delle regioni italiani più in difficoltà, in cui le carenze strutturali inevitabilmente determinano variazioni sui costi delle prestazioni; in particolare, tali correttivi dovrebbero tenere conto delle condizioni geo morfologiche e demografiche nonché delle condizioni di deprivazione e di povertà sociale ed il fabbisogno epidemiologico dovrebbe quindi essere ad ampio spettro.
9/3926-A-R/73. (Testo modificato nel corso della seduta).  Lorefice, Grillo, Silvia Giordano, Colonnese, Mantero, Nesci, Di Vita, Dall'Osso, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 21 del decreto legge 24 giugno 2016 n. 133 recante misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio prevede, nelle more di una revisione del «sistema di governo» del settore farmaceutico, da compiersi entro il 31 dicembre 2016, una serie di misure per procedere al ripiano della spesa farmaceutica che come noto, negli anni 2013, 2014 e 2015, ha superato i limiti di spesa previsti dalle norme vigenti;
    in particolare il comma 2 del succitato articolo dispone che entro trenta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, le aziende farmaceutiche corrispondano una quota di acconto, pari al 90 per cento per gli anni 2013 e 2014 ed all'80 per cento per il 2015, rispetto al totale da esse dovuto in base alle nuove norme in esame;
    in sostanza, con il provvedimento all'esame, si intende porre fine ad un contenzioso andato avanti per anni e riguardante i calcoli sul ripiano a carico delle aziende farmaceutiche per lo sforamento dei tetti della farmaceutica territoriale ed ospedaliera;
    la disposizione all'esame autorizza l'Aifa a pubblicare, entro 15 giorni dall'approvazione del decreto «l'elenco contenente gli importi dovuti a titolo di ripiano degli eventuali sfondamenti dei tetti di spesa farmaceutica per gli anni 2013, 2014 e 2015, da parte delle aziende farmaceutiche titolari di Aie, (autorizzazione di immissione al commercio) ed entro i successivi 15 giorni, poi, le case farmaceutiche corrisponderanno provvisoriamente a ciascuna regione e provincia autonoma la quota di ripiano a proprio carico per ciascuno degli anni 2013, 2014 nella misura del 90 per cento e per il 2015 nella misura dell'80 per cento dell'importo indicato dall'Aifa»;
    rispetto agli importi definiti provvisoriamente dall'Aifa le aziende farmaceutiche e quelle della filiera distributiva interessate, nonché le relative associazioni di categoria, possono presentare richieste o istanze di rettifica, ai fini del calcolo degli importi definitivi delle quote;
    nel caso di mancata istanza di rettifica, i dati diventano definitivi sia per l'azienda sia per le regioni e province autonome e l'importo corrisposto nella misura del 90 per cento per gli anni 2013 e 2014 e dell'80 per cento per l'anno 2015 è trattenuto a titolo definitivo senza necessità di conguaglio o di pretese da parte delle regioni;
    per quanto attiene all'anno corrente, il 2016, entro il prossimo 31 ottobre l'Aifa dovrà definire per ciascuno dei tetti previsti l'eventuale sforamento relativo al periodo 1o gennaio-31 luglio 2016 indicando per ciascuna delle aziende la quota di superamento a proprio carico da corrispondersi entro il 15 novembre 2016 e, successivamente, entro il 31 marzo 2017, l'Aifa dovrà definire per ciascuno dei tetti previsti lo sforamento definitivo relativo all'anno 2016, indicando per ciascuna delle aziende la quota di superamento a proprio carico da corrispondersi entro il 30 aprile 2017;
    è chiaro ed evidente che quanto previsto nella disposizione rappresenta uno sconto di quanto dovuto da parte delle aziende farmaceutiche e la misura è stata fortemente contestata dal M5S che ritiene questa disposizione un vero e proprio regalo alle imprese farmaceutiche che potrebbe essere anche superiore a 300 mln, a danno dei cittadini;
    il ripiano dello sforamento della spesa a carico delle imprese – anni 2013 e 2014 – è pari al 90 per cento dei valori derivanti dai flussi informativi disponibili. Percentuale che scenderebbe addirittura all'80 per cento per il 2015, che presenta uno scostamento assoluto della spesa, rispetto ai tetti previsti per legge, di poco meno di 2 miliardi di euro e già nella legge di stabilità 2016 l'esecutivo era corso ai ripari scrivendo un comma, il 702, per evitare che le regioni chiudessero i bilanci della sanità in perdita con seri rischi di commissariamento;
    con questo decreto-legge il Governo continua a tamponare la grave situazione che esso stesso ha creato non rispondendo alle reiterate richieste del M5S sulla necessità di ripensare con urgenza la governance dell'Aifa e del settore farmaceutico che, come dimostra il medesimo decreto, è stato fallimentare e non è in grado di governare il prezzo dei farmaci e la conseguente spesa pubblica;
    tale disastrosa gestione è stata stigmatizzata anche dalle diverse bocciature del Tar Lazio e di fatto l'Aifa, nonostante il tanto tempo trascorso, non è stata in grado di determinare con esattezza gli importi che le industrie del farmaco devono versare alle aziende sanitarie e si teme che la disposizione di cui all'articolo 21 del decreto-legge all'esame non riuscirà a soddisfare l'esigenza di determinare i suddetti importi;
    il M5S avrebbe infatti auspicato che la risoluzione del contenzioso in essere con le aziende farmaceutiche seguisse altre logiche e fosse contestuale ad una riforma della governance dell'Aifa e del settore farmaceutico, ciò perché si ritiene che la causa dello sforamento del tetto della spesa farmaceutica ha la sua origine anche e soprattutto in una governance non trasparente dei settore e dell'autorità preposta;
    l'articolo 48 del decreto-legge 326 del 2003 disciplina il procedimento di nomina del direttore generale prevedendo che sia nominato con decreto del Ministero della salute, sentita la Conferenza Stato/regioni, mantenendo quindi un livello di discrezionalità inaccettabile tenuto conto dei diversi intendimenti del Governo riguardo la dirigenza pubblica affinché sia garantita l'imparzialità delle nomine;
    è auspicabile invece che il direttore generale non sia nominato discrezionalmente ma tramite un concorso pubblico per titoli ed esami secondo analoghe procedure introdotte nel decreto attuativo, attualmente all'esame delle competenti Commissioni, della cosiddetta delega Madia (legge n. 124 del 2015) che con riguardo alla nomina dei direttori generali delle strutture del servizio sanitario nazionale, prevede una commissione composta da cinque esperti di comprovata competenza ed esperienza designati pariteticamente dallo Stato e dalle regioni,

impegna il Governo

affinché nell'ambito della revisione del «sistema di governo» del settore farmaceutico, da compiersi, come previsto nel provvedimento all'esame, entro il 31 dicembre 2016, il direttore generale dell'AIFA sia nominato previo concorso pubblico per titoli ed esami e previa costituzione di una commissione composta da cinque esperti di comprovata competenza ed esperienza nominati designati pariteticamente dallo Stato e dalle regioni».
9/3926-A-R/74Colonnese, Lorefice, Grillo, Nesci, Mantero, Silvia Giordano, Di Vita, Dall'Osso.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 21 del decreto legge 24 giugno 2016 n. 133 recante misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio prevede, nelle more di una revisione del «sistema di governo» del settore farmaceutico, da compiersi entro il 31 dicembre 2016, una serie di misure per procedere al ripiano della spesa farmaceutica che come noto, negli anni 2013, 2014 e 2015, ha superato i limiti di spesa previsti dalle norme vigenti;
    in particolare il comma 2 del succitato articolo dispone che entro trenta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, le aziende farmaceutiche corrispondano una quota di acconto, pari al 90 per cento per gli anni 2013 e 2014 ed all'80 per cento per il 2015, rispetto al totale da esse dovuto in base alle nuove norme in esame;
    in sostanza, con il provvedimento all'esame, si intende porre fine ad un contenzioso andato avanti per anni e riguardante i calcoli sul ripiano a carico delle aziende farmaceutiche per lo sforamento dei tetti della farmaceutica territoriale ed ospedaliera;
    la disposizione all'esame autorizza l'Aifa a pubblicare, entro 15 giorni dall'approvazione del decreto «l'elenco contenente gli importi dovuti a titolo di ripiano degli eventuali sfondamenti dei tetti di spesa farmaceutica per gli anni 2013, 2014 e 2015, da parte delle aziende farmaceutiche titolari di Aie, (autorizzazione di immissione al commercio) ed entro i successivi 15 giorni, poi, le case farmaceutiche corrisponderanno provvisoriamente a ciascuna regione e provincia autonoma la quota di ripiano a proprio carico per ciascuno degli anni 2013, 2014 nella misura del 90 per cento e per il 2015 nella misura dell'80 per cento dell'importo indicato dall'Aifa»;
    rispetto agli importi definiti provvisoriamente dall'Aifa le aziende farmaceutiche e quelle della filiera distributiva interessate, nonché le relative associazioni di categoria, possono presentare richieste o istanze di rettifica, ai fini del calcolo degli importi definitivi delle quote;
    nel caso di mancata istanza di rettifica, i dati diventano definitivi sia per l'azienda sia per le regioni e province autonome e l'importo corrisposto nella misura del 90 per cento per gli anni 2013 e 2014 e dell'80 per cento per l'anno 2015 è trattenuto a titolo definitivo senza necessità di conguaglio o di pretese da parte delle regioni;
    per quanto attiene all'anno corrente, il 2016, entro il prossimo 31 ottobre l'Aifa dovrà definire per ciascuno dei tetti previsti l'eventuale sforamento relativo al periodo 1o gennaio-31 luglio 2016 indicando per ciascuna delle aziende la quota di superamento a proprio carico da corrispondersi entro il 15 novembre 2016 e, successivamente, entro il 31 marzo 2017, l'Aifa dovrà definire per ciascuno dei tetti previsti lo sforamento definitivo relativo all'anno 2016, indicando per ciascuna delle aziende la quota di superamento a proprio carico da corrispondersi entro il 30 aprile 2017;
    è chiaro ed evidente che quanto previsto nella disposizione rappresenta uno sconto di quanto dovuto da parte delle aziende farmaceutiche e la misura è stata fortemente contestata dal M5S che ritiene questa disposizione un vero e proprio regalo alle imprese farmaceutiche che potrebbe essere anche superiore a 300 mln, a danno dei cittadini;
    il ripiano dello sforamento della spesa a carico delle imprese – anni 2013 e 2014 – è pari al 90 per cento dei valori derivanti dai flussi informativi disponibili. Percentuale che scenderebbe addirittura all'80 per cento per il 2015, che presenta uno scostamento assoluto della spesa, rispetto ai tetti previsti per legge, di poco meno di 2 miliardi di euro e già nella legge di stabilità 2016 l'esecutivo era corso ai ripari scrivendo un comma, il 702, per evitare che le regioni chiudessero i bilanci della sanità in perdita con seri rischi di commissariamento;
    con questo decreto-legge il Governo continua a tamponare la grave situazione che esso stesso ha creato non rispondendo alle reiterate richieste del M5S sulla necessità di ripensare con urgenza la governance dell'Aifa e del settore farmaceutico che, come dimostra il medesimo decreto, è stato fallimentare e non è in grado di governare il prezzo dei farmaci e la conseguente spesa pubblica;
    tale disastrosa gestione è stata stigmatizzata anche dalle diverse bocciature del Tar Lazio e di fatto l'Aifa, nonostante il tanto tempo trascorso, non è stata in grado di determinare con esattezza gli importi che le industrie del farmaco devono versare alle aziende sanitarie e si teme che la disposizione di cui all'articolo 21 del decreto-legge all'esame non riuscirà a soddisfare l'esigenza di determinare i suddetti importi;
    il M5S avrebbe infatti auspicato che la risoluzione del contenzioso in essere con le aziende farmaceutiche seguisse altre logiche e fosse contestuale ad una riforma della governance dell'Aifa e del settore farmaceutico, ciò perché si ritiene che la causa dello sforamento del tetto della spesa farmaceutica ha la sua origine anche e soprattutto in una governance non trasparente dei settore e dell'autorità preposta;
    l'articolo 48 del decreto-legge 326 del 2003 disciplina il procedimento di nomina del direttore generale prevedendo che sia nominato con decreto del Ministero della salute, sentita la Conferenza Stato/regioni, mantenendo quindi un livello di discrezionalità inaccettabile tenuto conto dei diversi intendimenti del Governo riguardo la dirigenza pubblica affinché sia garantita l'imparzialità delle nomine;
    è auspicabile invece che il direttore generale non sia nominato discrezionalmente ma tramite un concorso pubblico per titoli ed esami secondo analoghe procedure introdotte nel decreto attuativo, attualmente all'esame delle competenti Commissioni, della cosiddetta delega Madia (legge n. 124 del 2015) che con riguardo alla nomina dei direttori generali delle strutture del servizio sanitario nazionale, prevede una commissione composta da cinque esperti di comprovata competenza ed esperienza designati pariteticamente dallo Stato e dalle regioni,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità che, nell'ambito della revisione del «sistema di governo» del settore farmaceutico, da compiersi, come previsto nel provvedimento all'esame, entro il 31 dicembre 2016, il direttore generale dell'AIFA sia nominato previo concorso pubblico per titoli ed esami e previa costituzione di una commissione composta da cinque esperti di comprovata competenza ed esperienza nominati designati pariteticamente dallo Stato e dalle regioni».
9/3926-A-R/74. (Testo modificato nel corso della seduta).  Colonnese, Lorefice, Grillo, Nesci, Mantero, Silvia Giordano, Di Vita, Dall'Osso.


   La Camera,
   valutato il provvedimento in titolo,
   accolte con favore le misure a sostegno del settore cerealicolo al fine di superare la grave crisi in cui versa l'intero comparto;
   ritenuto che tra le misure necessarie a contenere la pesante situazione dei mercato nazionale, oltre ad una ristrutturazione complessiva della filiera, appare indispensabile favorire la qualità e la competitività delle imprese agricole italiane anche attraverso una maggior tracciabilità della materia prima ed informazione ai consumatori;
   visto che il comparto del frumento duro è strettamente legato alla filiera della pasta, che i problemi della produzione primaria devono trovare soluzione anche tramite migliori intese con molini e pastifici e che a tal riguardo sarebbe molto utile che l'etichettatura della pasta contenesse l'indicazione del Paese di provenienza del grano utilizzato nella sua preparazione,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di introdurre, compatibilmente con la normativa comunitaria in materia, l'obbligo di indicazione in etichetta del Paese di provenienza del grano utilizzato nella preparazione della pasta alimentare prodotta in Italia, con le designazioni «100 per 100 grano italiano» qualora sia stato impiegato esclusivamente grano coltivato nel territorio nazionale e «miscela di grani» in tutti gli altri casi.
9/3926-A-R/75Gallinella, Parentela, L'Abbate, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    valutato il provvedimento in titolo si accolgono con favore le misure a sostegno del settore cerealicolo al fine di superare la grave crisi in cui versa l'intero comparto;
    visto che tra le misure necessarie a contenere la pesante situazione del mercato nazionale, oltre ad una ristrutturazione complessiva della filiera, appare indispensabile favorire in ogni modo una contrattazione dei prezzi non più affidata alle borse merci provinciali, incapaci ormai di far fronte alle esigenze degli operatori in un mercato nazionale esposto sempre di più alle dinamiche dei commercio globale;
    ritenuto che, al fine di consentire ai produttori di cereali, in particolare di grano duro, di poter collocare il proprio prodotto ad un prezzo congruo e di garantire la trasparenza nelle relazioni contrattuali tra gli operatori di mercato e nella formazione di prezzi appare indispensabile la costituzione di una Commissione Unica nazionale nel comparto del grano duro, di cui all'articolo 6 bis del decreto legge 5 maggio 2015, n. 51, convertito, con modificazioni dalla legge 2 luglio 2015, n. 91,

impegna il Governo

ad attivare urgentemente una Commissione Unica Nazionale per il comparto del grano duro, al fine di assicurare all'industria di trasformazione determinati volumi e al produttore la collocazione del proprio prodotto ad un prezzo congruo e slegato dalle contrattazioni delle borse merci.
9/3926-A-R/76L'Abbate, Parentela, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    esaminato il provvedimento in titolo, si valutano con favore ma si ritengono insufficienti le disposizioni in esso contenute;
    il settore cerealicolo nazionale, ormai in crisi da tempo, necessita, oltre che di misure atte a contenere la pesante situazione di mercato, di una ristrutturazione complessiva dell'intera filiera;
    le politiche finora attuate hanno fortemente condizionato la cerealicoltura italiana, determinando un incremento delle superfici coltivate a discapito della qualità dei prodotti e dell'impatto ambientale;
    le varietà oggi coltivate di grani duri e teneri sono molto poche e recenti disposizioni normative hanno sempre più limitato la possibilità di autoproduzione e scambio di semi. In natura, invece, esistono diverse varietà di grani antichi, molti dei quali si sono adattati spontaneamente al territorio per clima, altitudine e tipologia di suolo, pertanto non necessitano di particolari cure agronomiche e di pesticidi e si prestano alla coltivazione biologica;
    la ristrutturazione della filiera nazionale cerealicola non può prescindere dall'adozione di sistemi di coltivazione sostenibili e più efficienti, come le lavorazioni ridotte, la semina su sodo e le rotazioni colturali, nonché dal recupero e valorizzazione del germoplasma autoctono;
    alcune regione italiane come la Toscana, hanno già avviato con successo progetti di recupero, conservazione e caratterizzazione morfologica e funzionale delle varietà autoctone di frumento, come la collezione di frumento di Fontarronco, conservata dall'ex Arsia (Agenzia regionale per lo sviluppo e l'innovazione nel settore agricolo forestale) dal 2004, ed affidata al Dipartimento di scienze delle produzioni vegetali, del suolo e dell'ambiente agroforestale (Dipsa) dell'Università di Firenze,

impegna il Governo

a promuovere e sostenere, nell'ambito di una ristrutturazione complessiva dell'intera filiera, un progetto nazionale di recupero, conservazione, caratterizzazione morfologica e funzionale e diffusione di varietà autoctone di frumento, sia tenero che duro, atto ad accrescere la qualità nutrizionale ed organolettica della gamma varietale oggi disponibile sul mercato.
9/3926-A-R/77Gagnarli, Parentela, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    e con riferimento ai criteri di esenzione del versamento dell'Imposta Municipale Unica sui terreni agricoli montani e parzialmente montani, la normativa in vigore richiama, come criteri per l'esenzione, non più i parametri altimetrici di cui al decreto ministeriale 28 novembre 2014, la cui disciplina è stata sospesa con deliberazione del Tar del Lazio, bensì la classificazione in comuni totalmente montani, parzialmente montani e non montani elaborata da ISTAT;
    tali criteri, ancorché migliorativi rispetto al passato determinano comunque un aggravio di imposizione proprio mentre il carico fiscale per il settore primario sta assumendo livelli insostenibili;
    preso atto che da tempo il comparto primario attende una revisione complessiva della fiscalità patrimoniale agricola; una revisione che tenga conto delle difficoltà legate alla conduzione dei terreni, non soltanto totalmente montani, posto che non sempre, e non in maniera assoluta, la collocazione territoriale montana configura degli svantaggi e che consideri le specificità del comparto agricolo nazionale, una delle eccellenze più significative del made in Italy;
    anche a causa dei cambiamenti climatici il territorio nazionale è sempre vulnerabile rispetto alla diffusione di fitopatie che danneggiano irrimediabilmente il potenziale produttivo con significativi effetti economici e occupazionali sulle attività agricole; e con grave pregiudizio del territorio e del patrimonio paesaggistico; in particolare si segnalano i danni causati dalla contaminazione del batterio Xylella fastidiosa in Puglia con ciò che ne è conseguito in termini di perdite non solo economiche ma anche del patrimonio paesaggistico,

impegna il Governo

ad estendere, per gli anni 2016 e 2017, l'esenzione dall'IMU ai terreni agricoli già danneggiati da fitopatie al fine sgravare gli agricoltori, impegnati nel ripristino del potenziale produttivo e danneggiati da perdite di reddito, da ulteriori oneri finanziari.
9/3926-A-R/78Massimiliano Bernini, Parentela, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    e con riferimento ai criteri di esenzione del versamento dell'Imposta Municipale Unica sui terreni agricoli montani e parzialmente montani, la normativa in vigore richiama, come criteri per l'esenzione, non più i parametri altimetrici di cui al decreto ministeriale 28 novembre 2014, la cui disciplina è stata sospesa con deliberazione del Tar del Lazio, bensì la classificazione in comuni totalmente montani, parzialmente montani e non montani elaborata da ISTAT;
    tali criteri, ancorché migliorativi rispetto al passato determinano comunque un aggravio di imposizione proprio mentre il carico fiscale per il settore primario sta assumendo livelli insostenibili;
    preso atto che da tempo il comparto primario attende una revisione complessiva della fiscalità patrimoniale agricola; una revisione che tenga conto delle difficoltà legate alla conduzione dei terreni, non soltanto totalmente montani, posto che non sempre, e non in maniera assoluta, la collocazione territoriale montana configura degli svantaggi e che consideri le specificità del comparto agricolo nazionale, una delle eccellenze più significative del made in Italy;
    anche a causa dei cambiamenti climatici il territorio nazionale è sempre vulnerabile rispetto alla diffusione di fitopatie che danneggiano irrimediabilmente il potenziale produttivo con significativi effetti economici e occupazionali sulle attività agricole; e con grave pregiudizio del territorio e del patrimonio paesaggistico; in particolare si segnalano i danni causati dalla contaminazione del batterio Xylella fastidiosa in Puglia con ciò che ne è conseguito in termini di perdite non solo economiche ma anche del patrimonio paesaggistico,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di estendere, per gli anni 2016 e 2017, l'esenzione dall'IMU ai terreni agricoli già danneggiati da fitopatie al fine sgravare gli agricoltori, impegnati nel ripristino del potenziale produttivo e danneggiati da perdite di reddito, da ulteriori oneri finanziari.
9/3926-A-R/78. (Testo modificato nel corso della seduta).  Massimiliano Bernini, Parentela, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 16 dei provvedimento in esame reca disposizioni in materia di personale;
    è attualmente in corso una procedura di ricollocamento del personale delle province in seguito alla loro trasformazione in enti di area vasta e del personale della Croce rossa italiana, interessata da un processo di privatizzazione;
    nelle more dell'espletamento di tali procedure appare opportuno mantenere la vigenza delle graduatorie dei concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato, relative alle amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni;
    la vigenza di tali graduatorie è stata prorogata al 31 dicembre 2016 dall'articolo 4, comma quarto, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prorogare ulteriormente la vigenza delle graduatorie di cui in premessa, al fine di tutelare i soggetti in esse già inseriti sino al termine delle procedure di mobilità attualmente in corso nella pubblica amministrazione in seguito a interventi di riordino e riforma dei propri enti.

9/3926-A-R/79Rampelli, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    valutato il provvedimento in titolo si accolgono con favore le misure a sostegno del settore cerealicolo al fine di superare la grave crisi in cui versa l'intero comparto;
    tra le misure necessarie a contenere la pesante situazione del mercato nazionale, oltre ad una ristrutturazione complessiva della filiera, appare indispensabile assicurare una miglior tracciabilità del prodotto, specialmente per quanto riguarda i grani di importazione per i quali dovrebbe essere indicata l'eventuale presenza di residui di glifosato,

impegna il Governo

ad includere tra i parametri necessari ai fini della certificazione, l'indicazione dell'eventuale presenza di residui di erbicidi totali non selettivi (glifosate) nella granella di frumenti di importazione.
9/3926-A-R/80Parentela, L'Abbate.


   La Camera,
   premesso che:
    valutato il provvedimento in titolo si accolgono con favore le misure a sostegno del settore cerealicolo al fine di superare la grave crisi in cui versa l'intero comparto;
    tra le misure necessarie a contenere la pesante situazione del mercato nazionale, oltre ad una ristrutturazione complessiva della filiera, appare indispensabile assicurare una miglior tracciabilità del prodotto, specialmente per quanto riguarda i grani di importazione per i quali dovrebbe essere indicata l'eventuale presenza di residui di glifosato,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di includere tra i parametri necessari ai fini della certificazione, l'indicazione dell'eventuale presenza di residui di erbicidi totali non selettivi (glifosate) nella granella di frumenti di importazione.
9/3926-A-R/80. (Testo modificato nel corso della seduta).  Parentela, L'Abbate.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in titolo reca misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio, finalizzate, in gran parte, al ristoro di specifiche e generali situazioni critiche o imprevedibili ed emergenziali;
    diverse disposizioni, originarie ed intervenute in corso d'esame, sono destinate al soccorso dello stato finanziario delle province;
    ad avviso delle firmatarie del presente atto, i suddetti interventi risultano, nel loro insieme e in una visione algebrica, di segno negativo, a fronte delle esigenze degli enti e degli allarmi di rischio default ripetutamente lanciati da molti mesi;
    non poche province non sono in grado, da tempo o non lo saranno a breve, di provvedere al pagamento del personale impiegato, a causa di un insieme di fattori, atti normativi e ritardi, a decorrere dalla riorganizzazione di cui alla legge cosiddetto «Delrio», che sono ricaduti e ricadono, in particolare, sull'assolvimento delle funzioni ad esse assegnate, leggi erogazione dei servizi ai cittadini, e sul personale delle province;
    il provvedimento in esame ha disposto l'erogazione di risorse, comunque non sufficienti ad avviso delle firmatarie del presente atto, per sostenere il prosieguo dell'erogazione dei servizi ai cittadini,

impegna il Governo

ad adottare tempestivamente ulteriori iniziative legislative finalizzate a liberare risorse che le province possano utilizzare per il pagamento dei trattamenti economici del personale a qualunque titolo impiegato, a tal fine disponendo la sospensione del pagamento delle rate dei mutui per il restante periodo d'anno in corso e per il 2017, e destinando al suddetto pagamento i risparmi conseguenti.
9/3926-A-R/81Nesci, Marzana.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in titolo reca misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio, finalizzate, in gran parte, al ristoro di specifiche e generali situazioni critiche o imprevedibili ed emergenziali;
    diverse disposizioni, originarie ed intervenute in corso d'esame, sono destinate al soccorso dello stato finanziario delle province;
    ad avviso delle firmatarie del presente atto, i suddetti interventi risultano, nel loro insieme e in una visione algebrica, di segno negativo, a fronte delle esigenze degli enti e degli allarmi di rischio default ripetutamente lanciati da molti mesi;
    le norme introdotte non risolvono il problema, vale a dire la sostenibilità finanziaria del sistema nel suo complesso e lo spettro del dissesto si allarga: risultano già ben oltre la soglia di rischio l'equilibrio dei bilanci, i servizi ai cittadini, in particolare le scuole e le scuole, i lavoratori;
    moltissime province si trovano già in gravi condizioni di bilancio – molte non sono in grado, da tempo o non lo saranno a breve, di provvedere all'esercizio delle funzioni fondamentali assegnate, leggi erogazione dei servizi ai cittadini, ed al pagamento degli stipendi del personale impiegato, a causa di un insieme di fattori, atti normativi e ritardi, a decorrere dalla riorganizzazione di cui alla legge cosiddetta «Delrio» per finire con un aggravio del prelievo quale contributo alla riduzione delle spese di finanza pubblica — ma il rischio del dissesto si aggrava, per le insufficienti risorse consegnate dal presente provvedimento e l'aumento dei tagli che necessariamente comporterà,

impegna il Governo

a decorrere dall'anno in corso e nelle more del trasferimento definitivo di funzioni dalle province alle regioni o agli enti di area vasta, ad adottare ulteriori iniziative legislative finalizzate a ridurre del cinquanta percento il contributo alla finanza pubblica da parte delle province.
9/3926-A-R/82Marzana, Nesci, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in titolo reca misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio, finalizzate, in gran parte, al ristoro di specifiche e generali situazioni critiche o imprevedibili ed emergenziali;
    diverse disposizioni, originarie ed intervenute in corso d'esame, sono destinate al soccorso dello stato finanziario delle province;
    ad avviso delle firmatarie del presente atto, i suddetti interventi risultano, nel loro insieme e in una visione algebrica, di segno negativo, a fronte delle esigenze degli enti e degli allarmi di rischio default ripetutamente lanciati da molti mesi;
    le norme introdotte non risolvono il problema, vale a dire la sostenibilità finanziaria del sistema nel suo complesso e lo spettro del dissesto si allarga: risultano già ben oltre la soglia di rischio l'equilibrio dei bilanci, i servizi ai cittadini, in particolare le scuole e le scuole, i lavoratori;
    moltissime province si trovano già in gravi condizioni di bilancio – molte non sono in grado, da tempo o non lo saranno a breve, di provvedere all'esercizio delle funzioni fondamentali assegnate, leggi erogazione dei servizi ai cittadini, ed al pagamento degli stipendi del personale impiegato, a causa di un insieme di fattori, atti normativi e ritardi, a decorrere dalla riorganizzazione di cui alla legge cosiddetta «Delrio» per finire con un aggravio del prelievo quale contributo alla riduzione delle spese di finanza pubblica — ma il rischio del dissesto si aggrava, per le insufficienti risorse consegnate dal presente provvedimento e l'aumento dei tagli che necessariamente comporterà,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, a decorrere dall'anno in corso e nelle more del trasferimento definitivo di funzioni dalle province alle regioni o agli enti di area vasta, di adottare ulteriori iniziative legislative finalizzate a ridurre del cinquanta percento il contributo alla finanza pubblica da parte delle province.
9/3926-A-R/82. (Testo modificato nel corso della seduta).  Marzana, Nesci, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    la Veritas SpA, società multiutility a capitale interamente pubblico, gestisce il servizio rifiuti nella città di Venezia e in altri comuni della provincia. Per molti anni la Veritas nella riscossione della Tariffa di igiene ambientale (Tia) ha applicato l'IVA al 10 per cento fino alla sostituzione della stessa con la Tari;
    in data 15 marzo 2016 le sezioni riunite della Corte di Cassazione hanno definitivamente stabilito che il pagamento dell'IVA sulla suddetta Tia non fosse dovuto e, conseguentemente, quanto pagato negli anni da parte dei cittadini utenti deve essere restituito agli stessi;
    la società Veritas non può procedere ai rimborsi nei confronti degli utenti finché non sarà autorizzata in tal senso da parte dell'Agenzia delle Entrate;
    nel frattempo, come più volte denunciato dalle associazioni di consumatori, il rimborso per alcuni anni è già prescritto e ad oggi sono recuperabili i rimborsi relativi agli anni che vanno dal 2006 al 2012,

impegna il Governo

a porre in essere ogni iniziativa e tutti gli adempimenti necessari affinché sia assicurato in tempi brevi il pagamento dei rimborsi ai cittadini aventi diritto.
9/3926-A-R/83Cozzolino.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame reca un complesso di interventi – molti di carattere prevalentemente finanziario – volti ad incidere in particolare sugli enti territoriali, tra cui le Province;
    l'elezione degli organi provinciali è attualmente disciplinata dalla legge 7 aprile 2014, n. 56, cosiddetta «legge Delrio»;
    la legge 56/2014 prevede disposizioni specifiche nei casi di rielezione dei consiglieri o dei sindaci cessati quindi temporaneamente dalla carica di consigliere provinciale, non chiarendo però che tale disposizione vale anche per i consiglieri rieletti dopo i casi di scioglimento dei consigli stessi;
    pertanto, si rende necessaria una norma di interpretazione autentica, che miri a colmare quello che, a tutti gli effetti, è un vuoto normativo, che potrebbe tra l'altro determinare un vuoto di competenze suscettibile di procurare effetti finanziari negativi per gli enti stessi,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire con una norma di interpretazione autentica volta a colmare il vuoto normativo richiamato in premessa.
9/3926-A-R/84Alberto Giorgetti, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    i commi 3-septies e 3-octies dell'articolo 24 del provvedimento in esame intervengono in materia di concessioni demaniali marittime, sia sotto il profilo della proroga delle concessioni, che relativamente ai procedimenti pendenti per il pagamento dei canoni demaniali ed al termine per il riordino complessivo della materia;
    in particolare il comma 3-septies dell'articolo 24 interviene sulla questione della proroga delle concessioni disponendo la validità ex lege dei rapporti concessori già instaurati e pendenti in base all'articolo 1, comma 18, del decreto-legge n. 194 del 2009. Si tratta della norma che ha prorogato fino al 31 dicembre 2020 la durata delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative in essere alla data di entrata in vigore del decreto (30 dicembre 2009) e in scadenza entro il 31 dicembre 2015;
    la disposizione si è resa necessaria a seguito della sentenza della Corte di giustizia europea, che ha dichiarato illegittima la proroga disposta dal legislatore in merito alle concessioni demaniali marittime a finalità turistico ricreative; l'articolo 1, comma 18, del decreto-legge n. 194 del 2009, come modificato dall'articolo 34-duodecies del decreto-legge n. 179 del 2012, aveva infatti disposto, in attesa della revisione complessiva della legislazione nazionale in materia, la proroga sino al 31 dicembre 2020 delle concessioni in essere alla data del 30 dicembre 2009 ed in scadenza entro il 31 dicembre 2015;
    la Corte ha quindi dichiarato illegittima la proroga automatica ma, al contempo, ha riconosciuto la necessità di tutelare il legittimo affidamento se, al momento del rilascio della concessione, sia stata osservata una pubblica evidenza. Inoltre, la Corte ha rinviato al Giudice nazionale il compito di valutare se la proroga di una concessione sia legittima o meno in virtù dell'abbondanza del bene concesso;
    ad ogni modo, il Governo ha ora il dovere di attivarsi, data l'inerzia nel procedere ad un riordino della materia, per evitare eventuali contrasti con la normativa comunitaria e, nello specifico, con la direttiva Bolkestein, per offrire soluzioni ai problemi di un settore – quello delle imprese turistiche titolari di concessioni demaniali – strategico e fondamentale per il nostro Paese;
    se è vero che la Corte di giustizia Ue ha sancito la non validità della proroga automatica di tali concessioni per tutti fino al 2020, come deciso dallo Stato italiano, è altrettanto vero che si possono e si devono salvaguardare gli imprenditori che hanno fatto investimenti, ponendo a carico dello Stato l'onere di provare eventualmente il contrario e, quindi revocare o anticipare la revoca della, concessione;
    in ogni caso, è necessario avviare un percorso nelle opportune sedi comunitarie per rinegoziare i termini della Direttiva Bolkestein e fare in modo che le concessioni demaniali relative agli stabilimenti balneari, nonché il settore dei commercio ambulante, siano escluse dall'applicazione automatica e generalizzata del sistema di affidamento tramite asta,

impegna il Governo

ad attivarsi presso le istituzioni comunitarie per rivedere la decisione di applicare la direttiva Bolkestein alle concessioni demaniali relative agli stabilimenti balneari, nonché al commercio ambulante, o, quantomeno, per prevedere l'estensione della durata del regime transitorio per un tempo abbastanza ampio da permettere ai concessionari l'ammortamento degli investimenti realizzati, secondo quanto disposto anche in altri Paesi dell'UE, nonché in ogni caso, per escludere tali concessioni dall'applicazione automatica e generalizzata del sistema di affidamento tramite asta.
9/3926-A-R/85Bergamini, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il Capo II del provvedimento in esame contiene norme in materia di spesa sanitaria. In particolare l'articolo 20 fissa tempi certi per l'approvazione in via definitiva del decreto di riparto delle risorse destinate al Servizio sanitario nazionale. A tal fine, secondo la procedura indicata dal decreto legislativo 68/2011, vengono indicati i termini certi per l'individuazione delle regioni in equilibrio economico e per la definizione dei pesi nonché per l'individuazione delle regioni di riferimento (regioni benchmark); adempimenti propedeutici per la determinazione dei costi standard e dei fabbisogni sanitari regionali, ovvero per il riparto fra le regioni del fabbisogno sanitario nazionale, che, dal 2017, dovrà essere adottato in via definitiva al massimo entro il termine del 30 settembre dell'anno di riferimento;
    in merito alla determinazione dei costi e dei fabbisogni standard regionali, la legge di stabilità 2014, ha previsto all'articolo 1 comma 601, che «A decorrere dall'anno 2015 i pesi sono definiti con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sulla base dei criteri previsti dall'articolo 1, comma 34, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, tenendo conto, nella ripartizione del costo e del fabbisogno sanitario standard regionale, del percorso di miglioramento per il raggiungimento degli standard di qualità, la cui misurazione si può avvalere del sistema di valutazione di cui all'articolo 30 del presente decreto. Qualora non venga raggiunta l'intesa entro il 30 aprile 2015, per l'anno 2015 continuano ad applicarsi i pesi di cui al primo periodo del presente comma»;
    finora, la normativa appena citata è stata sempre disattesa: il termine del 30 aprile 2015 è trascorso, senza che fosse raggiunto un accordo tra i soggetti istituzionali richiamati e di conseguenza, senza che siano stati utilizzati i pesi e i criteri per la definizione nella ripartizione del costo e del fabbisogno sanitario standard regionale;
    la mancata applicazione del dettato normativo sta penalizzando in modo particolare le regioni a più alta criticità sociale e con una minore aspettativa di vita, specialmente al Sud;
    sarebbe a tal riguardo opportuno prevedere una proroga al 30 giugno 2017 del termine entro il quale devono essere definiti i pesi con decreto del Ministero della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere che l'applicazione delle misure richiamate in premessa che consentono l'individuazione puntuale dei pesi, per la definizione del fabbisogno sanitario standard, attraverso la riapertura della proroga scaduta il 30 aprile 2015, produca una effettiva nuova ripartizione delle risorse.
9/3926-A-R/86Russo, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge di stabilità 28 dicembre 2015, n. 208, all'articolo 1, commi 756 e 758, in coerenza con la fase di riordino istituzionale determinato dalla legge 8 aprile 2015, n. 56, ha previsto per province e città metropolitane una serie di interventi di carattere straordinario che prevedono, tra le altre misure la possibilità: di predisporre il bilancio di previsione 2016 solo annuale; di applicare, in fase previsionale, e per il mantenimento degli equilibri finanziari, l'avanzo libero e destinato e quella di applicare anche l'avanzo vincolato, per l'equilibrio della situazione corrente 2016, derivante da trasferimenti correnti e in conto capitale già attribuiti dalle regioni a province e città metropolitane affluiti nell'avanzo di amministrazione vincolato 2015;
    nell'anno 2015 alcune province e città metropolitane hanno alienato parte del proprio patrimonio immobiliare in favore di Invimit, attraverso le attività disciplinate dagli articoli 33 e 33-bis del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e che tali alienazioni, realizzatesi a fine anno 2015, hanno prodotto nei bilanci degli enti degli avanzi destinati,

impegna il Governo

ad assumere le idonee iniziative volte a favorire l'utilizzo di tali avanzi destinati per il mantenimento degli equilibri delle Province per l'anno 2016, prescindendo dalla natura delle risorse affluite nell'avanzo di amministrazione, in coerenza con il quadro legislativo di eccezionalità che caratterizza le province e la gestione del ciclo di bilancio dell'anno in corso.
9/3926-A-R/87Melilli, Ginato, Giulietti, Fragomeli, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge di stabilità 28 dicembre 2015, n. 208, all'articolo 1, commi 756 e 758, in coerenza con la fase di riordino istituzionale determinato dalla legge 8 aprile 2015, n. 56, ha previsto per province e città metropolitane una serie di interventi di carattere straordinario che prevedono, tra le altre misure la possibilità: di predisporre il bilancio di previsione 2016 solo annuale; di applicare, in fase previsionale, e per il mantenimento degli equilibri finanziari, l'avanzo libero e destinato e quella di applicare anche l'avanzo vincolato, per l'equilibrio della situazione corrente 2016, derivante da trasferimenti correnti e in conto capitale già attribuiti dalle regioni a province e città metropolitane affluiti nell'avanzo di amministrazione vincolato 2015;
    nell'anno 2015 alcune province e città metropolitane hanno alienato parte del proprio patrimonio immobiliare in favore di Invimit, attraverso le attività disciplinate dagli articoli 33 e 33-bis del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e che tali alienazioni, realizzatesi a fine anno 2015, hanno prodotto nei bilanci degli enti degli avanzi destinati,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assumere le idonee iniziative volte a favorire l'utilizzo di tali avanzi destinati per il mantenimento degli equilibri delle Province per l'anno 2016, prescindendo dalla natura delle risorse affluite nell'avanzo di amministrazione, in coerenza con il quadro legislativo di eccezionalità che caratterizza le province e la gestione del ciclo di bilancio dell'anno in corso.
9/3926-A-R/87. (Testo modificato nel corso della seduta).  Melilli, Ginato, Giulietti, Fragomeli, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    tutte le province delle regioni a statuto ordinario hanno provveduto a ridurre le loro dotazioni organiche secondo le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 421, della 23 dicembre 2014, n. 190 e ad individuare il personale soprannumerario secondo modalità definite dai successivi commi 422 e 423;
    il Dipartimento della funzione pubblica, il 18 luglio 2016, ha comunicato sul portale della mobilità che il ricollocamento del personale provinciale è già concluso in diverse regioni (Emilia Romagna, Lazio, Marche e Veneto) e che, pertanto, in questi territori sono ripristinate le ordinarie facoltà di assunzione e le procedure di mobilità per le Regioni e gli enti locali;
    le procedure di ricollocamento del personale provinciale in soprannumero, in attuazione del decreto ministeriale del 14 settembre 2015, attraverso il portale della mobilità saranno completate in tutte le regioni entro il mese di settembre;
    la riduzione delle dotazioni organiche delle province in attuazione delle disposizioni della legge 28 dicembre 2015, n. 208 ha determinato o sta determinando in molti enti di area vasta carenze di personale necessario allo svolgimento delle funzioni e alla garanzia di servizi essenziali per i territori,

impegna il Governo

a rivedere i divieti in materia di personale previsti per le province dall'articolo 1, comma 420, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, nell'ambito del disegno di legge di stabilità per l'anno 2017, al fine di consentire agli enti di area vasta di disporre del personale necessario allo svolgimento delle funzioni previste dalla legge.

9/3926-A-R/88Ginato, Melilli, Fragomeli, Giulietti.


   La Camera,
   premesso che:
    tutte le province delle regioni a statuto ordinario hanno provveduto a ridurre le loro dotazioni organiche secondo le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 421, della 23 dicembre 2014, n. 190 e ad individuare il personale soprannumerario secondo modalità definite dai successivi commi 422 e 423;
    il Dipartimento della funzione pubblica, il 18 luglio 2016, ha comunicato sul portale della mobilità che il ricollocamento del personale provinciale è già concluso in diverse regioni (Emilia Romagna, Lazio, Marche e Veneto) e che, pertanto, in questi territori sono ripristinate le ordinarie facoltà di assunzione e le procedure di mobilità per le Regioni e gli enti locali;
    le procedure di ricollocamento del personale provinciale in soprannumero, in attuazione del decreto ministeriale del 14 settembre 2015, attraverso il portale della mobilità saranno completate in tutte le regioni entro il mese di settembre;
    la riduzione delle dotazioni organiche delle province in attuazione delle disposizioni della legge 28 dicembre 2015, n. 208 ha determinato o sta determinando in molti enti di area vasta carenze di personale necessario allo svolgimento delle funzioni e alla garanzia di servizi essenziali per i territori,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di rivedere i divieti in materia di personale previsti per le province dall'articolo 1, comma 420, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, nell'ambito del disegno di legge di stabilità per l'anno 2017, al fine di consentire agli enti di area vasta di disporre del personale necessario allo svolgimento delle funzioni previste dalla legge.

9/3926-A-R/88. (Testo modificato nel corso della seduta).  Ginato, Melilli, Fragomeli, Giulietti.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, al comma 418, quarto periodo, esonera le province che abbiano dichiarato lo stato di dissesto finanziario entro il 15 ottobre 2014 dal versamento al bilancio dello Stato dei risparmi conseguenti agli obblighi di contenimento della spesa, imposti in misura crescente per il triennio 2015-2017;
    fermo restando il versamento del contributo richiesto per il 2015, a partire dall'esercizio 2016, alle Province dissestate non dovrebbero essere richiesti ulteriori oneri, i importi dovranno essere quantificati, per il 2016 e 2017, e cioè per gli esercizi in cui deve essere garantito il riequilibrio, poiché tale imposizione non solo comporta il peggioramento dei fattori di criticità che hanno dato origine allo stato di dissesto, ma elimina anche qualsiasi margine di intervento per garantire gli equilibri finanziari e, quindi, il perdurante esercizio delle funzioni e dei servizi a tali enti demandati, compromettendo, in via definitiva, ogni possibilità di risanamento e recupero dell'ordinaria funzionalità;
    rappresenta un'evidente disparità di trattamento e di violazione del principio di uguaglianza la mancata previsione della medesima esenzione relativamente all'anno 2016, anche per gli enti che abbiano dichiarato lo stato di dissesto entro l'esercizio 2015;
    particolarmente oneroso, inoltre, appare il contributo richiesto alla Provincia di Caserta, che per l'esercizio 2015 è di un'entità tale (euro 31.273.307,73) da risultare palesemente irrazionale ed ingiusto se confrontato, in ambito nazionale, a quello posto in capo agli altri enti;
    in assenza di interventi legislativi la Provincia si vedrà costretta a chiudere strade e scuole, e a non esercitare le altre funzioni essenziali ad essa affidate, con la lesione di diritti costituzionali dei cittadini;
    la generalità delle attività dell'Ente ha subito una battuta d'arresto data l'impossibilità di assicurare copertura finanziaria a qualsivoglia ulteriore spesa, con la conseguenza che non possono essere sostenute neanche le spese necessarie (quali, ad esempio, il finanziamento della copertura assicurativa del parco auto e del patrimonio provinciale) e che lo stesso Ministero dell'Interno ha certificato come inderogabili, esponendo l'Ente al rischio di seri danni, in un circolo vizioso che ne aggrava ulteriormente la situazione finanziaria;
    nella situazione appena prospettata, all'Ente non è data alcuna possibilità di risanamento, considerato che, allo stato, una ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato comporterebbe un disavanzo di oltre 40 milioni di euro;
    uno squilibrio di siffatta portata, destinato ad aggravarsi in misura esponenziale nel prossimo esercizio, per effetto dell'incremento del contributo sopra indicato, compromette in maniera irreversibile ed irrimediabile le sorti di questo Ente: è di palmare evidenza, infatti, che neppure provvedimenti estremi, quali, per assurdo, l'azzeramento della spesa del personale o il mancato versamento degli oneri derivanti da indebitamento, potrebbero consentire l'assolvimento delle funzioni istituzionali indispensabili,

impegna il Governo:

   a salvaguardare la parità di trattamento tra quegli enti che la legge 190/2014 ha esonerato dal versamento del contributo totale di cui al comma 418 dell'articolo 1, in quanto in stato di dissesto finanziario dichiarato entro il 15 ottobre 2014;
   ad assicurare l'azzeramento totale del contributo complessivo per il 2016, che pur se fondato su criteri in parte riformati rispetto al 2015, conduce al paradossale risultato che le risorse disponibili nel bilancio della Provincia di Caserta siano largamente insufficienti alla copertura delle spese inderogabili;
   a rivedere la riduzione della spesa corrente che ciascun ente deve conseguire per l'anno 2016 ai sensi del comma 418 dell'articolo 1 della legge 190 del 2014.
9/3926-A-R/89Sgambato, Carloni, Manfredi, Tartaglione, Tino Iannuzzi.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, al comma 418, quarto periodo, esonera le province che abbiano dichiarato lo stato di dissesto finanziario entro il 15 ottobre 2014 dal versamento al bilancio dello Stato dei risparmi conseguenti agli obblighi di contenimento della spesa, imposti in misura crescente per il triennio 2015-2017;
    fermo restando il versamento del contributo richiesto per il 2015, a partire dall'esercizio 2016, alle Province dissestate non dovrebbero essere richiesti ulteriori oneri, i importi dovranno essere quantificati, per il 2016 e 2017, e cioè per gli esercizi in cui deve essere garantito il riequilibrio, poiché tale imposizione non solo comporta il peggioramento dei fattori di criticità che hanno dato origine allo stato di dissesto, ma elimina anche qualsiasi margine di intervento per garantire gli equilibri finanziari e, quindi, il perdurante esercizio delle funzioni e dei servizi a tali enti demandati, compromettendo, in via definitiva, ogni possibilità di risanamento e recupero dell'ordinaria funzionalità;
    rappresenta un'evidente disparità di trattamento e di violazione del principio di uguaglianza la mancata previsione della medesima esenzione relativamente all'anno 2016, anche per gli enti che abbiano dichiarato lo stato di dissesto entro l'esercizio 2015;
    particolarmente oneroso, inoltre, appare il contributo richiesto alla Provincia di Caserta, che per l'esercizio 2015 è di un'entità tale (euro 31.273.307,73) da risultare palesemente irrazionale ed ingiusto se confrontato, in ambito nazionale, a quello posto in capo agli altri enti;
    in assenza di interventi legislativi la Provincia si vedrà costretta a chiudere strade e scuole, e a non esercitare le altre funzioni essenziali ad essa affidate, con la lesione di diritti costituzionali dei cittadini;
    la generalità delle attività dell'Ente ha subito una battuta d'arresto data l'impossibilità di assicurare copertura finanziaria a qualsivoglia ulteriore spesa, con la conseguenza che non possono essere sostenute neanche le spese necessarie (quali, ad esempio, il finanziamento della copertura assicurativa del parco auto e del patrimonio provinciale) e che lo stesso Ministero dell'Interno ha certificato come inderogabili, esponendo l'Ente al rischio di seri danni, in un circolo vizioso che ne aggrava ulteriormente la situazione finanziaria;
    nella situazione appena prospettata, all'Ente non è data alcuna possibilità di risanamento, considerato che, allo stato, una ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato comporterebbe un disavanzo di oltre 40 milioni di euro;
    uno squilibrio di siffatta portata, destinato ad aggravarsi in misura esponenziale nel prossimo esercizio, per effetto dell'incremento del contributo sopra indicato, compromette in maniera irreversibile ed irrimediabile le sorti di questo Ente: è di palmare evidenza, infatti, che neppure provvedimenti estremi, quali, per assurdo, l'azzeramento della spesa del personale o il mancato versamento degli oneri derivanti da indebitamento, potrebbero consentire l'assolvimento delle funzioni istituzionali indispensabili,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di salvaguardare la parità di trattamento tra quegli enti che la legge 190/2014 ha esonerato dal versamento del contributo totale di cui al comma 418 dell'articolo 1, in quanto in stato di dissesto finanziario dichiarato entro il 15 ottobre 2014;
   a valutare l'opportunità di assicurare l'azzeramento totale del contributo complessivo per il 2016, che pur se fondato su criteri in parte riformati rispetto al 2015, conduce al paradossale risultato che le risorse disponibili nel bilancio della Provincia di Caserta siano largamente insufficienti alla copertura delle spese inderogabili;
   a valutare l'opportunità di rivedere la riduzione della spesa corrente che ciascun ente deve conseguire per l'anno 2016 ai sensi del comma 418 dell'articolo 1 della legge 190 del 2014.
9/3926-A-R/89. (Testo modificato nel corso della seduta).  Sgambato, Carloni, Manfredi, Tartaglione, Tino Iannuzzi.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge di conversione del decreto legge 24 giugno 2016, n. 113, recante misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio, reca misure per l'efficienza della Pubblica Amministrazione,

impegna il Governo

a valutare, nell'ambito delle sue prerogative, in vista, del confronto legato alla prossima stagione contrattuale e della predisposizione di atti legati al funzionamento della pubblica amministrazione, di destinare una percentuale degli elementi economici fissi e degli automatismi previsti dai contratti, da finalizzare in maniera flessibile, anche alla produttività aggiuntiva correlata alle valutazioni inerenti la qualità esterna (cosiddetta «customer satisfaction»).
9/3926-A-R/90Verini.


   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia è il Paese europeo con il maggior numero di prodotti agroalimentari a denominazione di origine e a indicazione geografica riconosciuti dall'Unione europea (280 prodotti DOP, IGP, STG e 523 vini DOCG, DOC, IGT);
    il sistema delle indicazioni Geografiche dell'Unione Europea favorisce il sistema produttivo e l'economia del territorio, tutela t'ambiente in quanto il legame indissolubile con il territorio di origine esige la salvaguardia degli ecosistemi e della biodiversità, sostiene la coesione sociale delle comunità;
    i prodotti agroalimentari DOP e IGP nei comparti lattiero-caseario e delle carni suine, sono dotati di un proprio disciplinare di produzione che ne garantisce la tipicità del prodotto e la localizzazione;
    il Regolamento (UE) n. 1151/2012 considera che sempre di più, i cittadini e i consumatori dell'Unione chiedono qualità e prodotti tradizionali e si preoccupano del mantenimento della varietà della produzione agricola dell'Unione;
    l'articolo 4 della legge 24 giugno 2014 n. 91 ha disposto una serie di misure per la sicurezza alimentare e la produzione della Mozzarella di Bufala Campana DOP, al fine di assicurare la più ampia tutela degli interessi dei consumatori e di garantire la concorrenza e la trasparenza del mercato del latte di bufala,

impegna il Governo

a istituire un sistema di tracciabilità della filiera dei prodotti lattiero caseari DOP/IGP e dei prodotti da carni suine DOP/IGP, in modo che gli allevatori, i trasformatori e gli intermediari siano obbligati ad adottare nelle proprie attività sistemi idonei a garantire la rilevazione e la tracciabilità del latte e delle carni suine prodotte e dei quantitativi dei prodotti derivanti dalla trasformazione del latte bovino e delle carni suine utilizzate.
9/3926-A-R/91Cova.


   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia è il Paese europeo con il maggior numero di prodotti agroalimentari a denominazione di origine e a indicazione geografica riconosciuti dall'Unione europea (280 prodotti DOP, IGP, STG e 523 vini DOCG, DOC, IGT);
    il sistema delle indicazioni Geografiche dell'Unione Europea favorisce il sistema produttivo e l'economia del territorio, tutela t'ambiente in quanto il legame indissolubile con il territorio di origine esige la salvaguardia degli ecosistemi e della biodiversità, sostiene la coesione sociale delle comunità;
    i prodotti agroalimentari DOP e IGP nei comparti lattiero-caseario e delle carni suine, sono dotati di un proprio disciplinare di produzione che ne garantisce la tipicità del prodotto e la localizzazione;
    il Regolamento (UE) n. 1151/2012 considera che sempre di più, i cittadini e i consumatori dell'Unione chiedono qualità e prodotti tradizionali e si preoccupano del mantenimento della varietà della produzione agricola dell'Unione;
    l'articolo 4 della legge 24 giugno 2014 n. 91 ha disposto una serie di misure per la sicurezza alimentare e la produzione della Mozzarella di Bufala Campana DOP, al fine di assicurare la più ampia tutela degli interessi dei consumatori e di garantire la concorrenza e la trasparenza del mercato del latte di bufala,

impegna il Governo

a valorizzare le procedure di tracciabilità e i sistemi contabili già esistenti della filiera dei prodotti lattiero caseari DOP/IGP e dei prodotti da carni suine DOP/IGP, al fine di comunicare la sicurezza dei prodotti ottenuti nell'ambito dei regimi di qualità.
9/3926-A-R/91. (Testo modificato nel corso della seduta).  Cova.


   La Camera,
   premesso che:
    considerata l'eccezionale situazione delle province delle regioni a statuto ordinario, l'articolo 1, comma 758, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, (legge di stabilità 2016) dispone che, per garantire l'equilibrio di parte corrente di province e città metropolitane nel 2016, le Regioni possono svincolare i trasferimenti già attribuiti agli stessi e confluiti nell'avanzo di amministrazione vincolato del 2015, con possibilità per le province e città metropolitane di applicare tali quote dell'avanzo al loro bilancio di previsione 2016, previa approvazione del rendiconto 2015;
    tuttavia, vi sono province che non riescono a beneficiare pienamente della citata disposizione in quanto gli avanzi vincolati derivano da trasferimenti di parte capitale dello Stato,

impegna il Governo

a consentire nel prossimo provvedimento utile, lo svincolo dei trasferimenti in conto capitale da parte dello Stato in favore delle province al fine di garantire l'equilibrio della loro situazione corrente.
9/3926-A-R/92Mariano.


   La Camera,
   premesso che:
    considerata l'eccezionale situazione delle province delle regioni a statuto ordinario, l'articolo 1, comma 758, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, (legge di stabilità 2016) dispone che, per garantire l'equilibrio di parte corrente di province e città metropolitane nel 2016, le Regioni possono svincolare i trasferimenti già attribuiti agli stessi e confluiti nell'avanzo di amministrazione vincolato del 2015, con possibilità per le province e città metropolitane di applicare tali quote dell'avanzo al loro bilancio di previsione 2016, previa approvazione del rendiconto 2015;
    tuttavia, vi sono province che non riescono a beneficiare pienamente della citata disposizione in quanto gli avanzi vincolati derivano da trasferimenti di parte capitale dello Stato,

impegna il Governo

a consentire lo svincolo dei trasferimenti in conto capitale da parte dello Stato in favore delle province al fine di garantire l'equilibrio della loro situazione corrente.
9/3926-A-R/92. (Testo modificato nel corso della seduta).  Mariano.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 4 del decreto-legge prevede l'istituzione, presso il Ministero dell'interno, di un «Fondo per i contenziosi connessi a sentenze esecutive relative a calamità o cedimenti» con una dotazione di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016-2019. Tale fondo è destinato a comuni che si trovino a dover sostenere spese connesse a sentenze esecutive di risarcimento conseguenti a calamità naturali o cedimenti strutturali verificatisi prima dell'entrata in vigore del decreto-legge o ad accordi transattivi ad esse collegate, il cui onere risarcitorio sia superiore alla metà del proprio bilancio di parte corrente come risultante dai rendiconti dell'ultimo triennio;
    tale intervento è destinato quindi ad evitare il dissesto finanziario di comuni che si trovano a dover sostenere spese per condanne relative a eventi calamitosi verificatisi talvolta diversi anni prima;
    l'aver circoscritto, tuttavia, le sentenze esecutive di risarcimento alle sole calamità naturali o ai cedimenti strutturali, stabilendo inoltre un ulteriore vincolo relativo all'incidenza sulla spesa corrente degli oneri da sentenza, rischia di escludere comuni con gravissimi problemi di bilancio a causa di sentenze esecutive di risarcimento conseguenti ad altri eventi di difficile prevedibilità,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di prevedere, nel prossimo provvedimento utile, un ulteriore contributo in favore dei comuni che si trovino a dover sostenere spese connesse a sentenze esecutive di risarcimento conseguenti ad altri eventi di difficile prevedibilità non legati ad eventi calamitosi e per i quali l'onere risarcitorio sia superiore al 30 per cento del proprio bilancio di parte corrente come risultante dai rendiconti dell'ultimo triennio, concedendo altresì la possibilità di assumere mutui della durata massima di trent'anni nel caso in cui l'onere della sentenza rimasto effettivamente a carico dell'ente locale comporti un carico superiore al 10 per cento della spesa corrente media dell'ente.
9/3926-A-R/93Marchetti.


   La Camera,
   premesso che:
    secondo l'articolo 119 della Costituzione i comuni, le province, le città metropolitane e le regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nei rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea;
    dal 2016 gli enti locali partecipano al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica assunti dal nostro Paese in sede europea attraverso l'assoggettamento alle regole del pareggio di bilancio;
    tale principio è stato introdotto nell'ordinamento dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 e attuato dalla legge rinforzata 24 dicembre 2013, n. 243;
    nelle more dell'entrata in vigore della legge 24 dicembre 2013, n. 243 il contenuto della nuova regola è stato anticipato dal comma 710 della legge 208 del 2015 stabilendo che, a decorrere dal 2016, gli enti locali devono conseguire un saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali;
    il nuovo sistema risulta radicalmente diverso rispetto al previgente Patto di stabilità che consisteva nel raggiungimento di uno specifico obiettivo di saldo finanziario, calcolato quale differenza tra entrate e spese finali – comprese dunque le spese in conto capitale – espresso in termini di competenza mista;
    la ratio delle riforma consisteva nel superare i complessi meccanismi del Patto sostituendoli con un vincolo più lineare, costituito dal raggiungimento di un unico saldo. Sulla base degli effetti finanziari ascritti alla nuova disciplina, essa sembra comportare maggiori spazi finanziari per i comuni, che in base al Patto di stabilità erano tenuti ad esporre, nel loro complesso, una posizione di avanzo di bilancio;
    per la determinazione del nuovo saldo valido per la verifica del rispetto dell'obiettivo di finanza pubblica, le entrate finali e le spese finali, di cui allo schema di bilancio previsto dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, sono quelle ascrivibili ai seguenti titoli; entrate correnti di natura tributaria, contributiva e perequativa, trasferimenti correnti, entrate extratributarie, in conto capitale e entrate da riduzioni di attività finanziarie mentre per le spese, quelle correnti, in conto capitale e per incremento di attività finanziarie;
    secondo il comma 711 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 per il solo anno 2016, nelle entrate finali e nelle spese finali in termini di competenza è considerato il Fondo pluriennale vincolato, di entrata e di spesa, al netto della quota rinveniente dal ricorso all'indebitamento;
    il Fondo pluriennale vincolato è un fondo finanziario che garantisce la copertura di spese imputate agli esercizi successivi a quello in corso, costituito da risorse già accertate nell'esercizio in corso, ma destinate al finanziamento di obbligazioni passive dell'ente esigibili in esercizi successivi a quello in cui è accertata l'entrata;
    il combinato disposto della norma introdotta dalla legge di stabilità con i principi dell'armonizzazione contabile di cui al decreto legislativo 23 giugno 2011 n. 118 determina che, al fine di sbloccare la spesa per gli investimenti, solo la costituzione del Fondo pluriennale vincolato alla fine del 2015 costituisce un reale vantaggio per gli enti sottoposti al pareggio di bilancio poiché rende neutra la spesa per investimenti nel 2016;
    la costituzione del Fondo pluriennale vincolato alla fine del 2016 fa gravare tutta la spesa nel 2016, salvo che non sia finanziata da mutuo;
    la costituzione del Fondo pluriennale vincolato a decorrere dal 2017 fa gravare la spesa negli esercizi in cui diventa esigibile, a prescindere dalla fonte di finanziamento;
    tale situazione rischia di limitare per il 2016 la spesa per investimenti di alcuni enti locali, anche finanziariamente virtuosi, contraddicendo la ratio della riforma e diminuendone i positivi effetti sulla crescita,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di considerare il 2016 come un periodo transitorio al fine della definitiva applicazione del pareggio di bilancio ai comuni con popolazione fino a 3000 abitanti a decorrere dal 2017.
9/3926-A-R/94Giovanna Sanna, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (TUEL), di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, individua all'articolo 156 le classi demografiche e le modalità di calcolo della popolazione residente ai fini dell'applicazione delle disposizioni in materia finanziaria e contabile degli enti locali, in particolare stabilendo, al comma 2, che – se non diversamente disciplinato – la popolazione residente è calcolata «alla fine del penultimo anno precedente per le province ed i comuni secondo i dati dell'Istituto nazionale di statistica»;
    il comma 1-bis del presente provvedimento, aggiungendo un periodo all'articolo 1, comma 228, della L. 208/2015 (relativo alle limitazioni al turn over nella P.A. per il triennio 2016-2018), dispone (fermo restando quanto stabilito dall'articolo 1, comma 562, della L. 296/2006), per gli enti che nel 2015 non erano sottoposti alla disciplina del patto di stabilità interno, che qualora il rapporto dipendenti-popolazione dell'anno precedente sia inferiore al rapporto medio dipendenti-popolazione per classe demografica, come definito per il triennio 2014-2016 dal decreto ministeriale 24 luglio 2014, la limitazione percentuale al turn over venga innalzata al 75 per cento (in luogo dell'attuale 25 per cento) nei comuni con popolazione inferiore a 10.000 abitanti;
    in materia di riduzione delle spese, all'articolo 259, comma 6, il TUEL stabilisce che gli enti locali rideterminano la propria dotazione organica dichiarando eccedente il personale comunque in servizio in sovrannumero rispetto ai rapporti medi dipendenti-popolazione;
    ai sensi dell'articolo 263, comma 2 del medesimo TUEL, per quanto riguarda gli enti in condizione di dissesto, le medie nazionali per classi demografiche della consistenza delle dotazioni organiche, e i rapporti medi dipendenti-popolazione per classe demografica devono essere individuati a cadenza triennale con decreto del Ministro dell'interno;
    tuttavia, rischiano di essere fortemente penalizzati i comuni che presentano un elevato numero di persone che, pur risiedendo nel territorio per alcuni mesi all'anno, risultano residenti all'estero,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire, apportando le necessarie modifiche legislative, al fine di consentire che, nel calcolo della popolazione residente per la determinazione della classe demografica dei comuni che hanno deliberato il dissesto finanziario, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 263, comma 2, si tenga conto anche dei dati risultanti dall'Anagrafe degli Italiani Residenti all'Estero (AIRE) tenuta dal Ministero dell'interno.
9/3926-A-R/95Albanella.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame reca alcune disposizioni in materia di Fondo di solidarietà comunale;
    in particolare, l'articolo 1 interviene, tra l'altro, sulle modalità di ripartizione della quota parte del Fondo che viene accantonata e redistribuita tra i comuni delle regioni a statuto ordinario secondo logiche di tipo perequativo, sulla base della differenza tra le capacità fiscali ed i fabbisogni standard, come approvati dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard entro il 31 dicembre dell'anno precedente a quello di riferimento;
    l'articolo 1-bis, invece, modificando il comma 5-quater dell'articolo 43 del decreto-legge n. 133 del 2014, introduce delle modifiche procedurali al procedimento di adozione della nota metodologica relativa alla procedura di calcolo e della stima delle capacità fiscali per singolo comune delle regioni a statuto ordinario, disciplinato dall'articolo 43, comma 5-quater, del decreto-legge n. 133 del 2014;
    la previsione, a partire dal 2014, di accantonamenti percentuali nell'ambito del Fondo di solidarietà comunale da ripartirsi tra i comuni sulla base di criteri perequativi è finalizzata a consentire il passaggio graduale dal criterio della distribuzione delle risorse in base alla spesa storica ad un criterio di distribuzione basato su fabbisogni e capacità fiscali. Con il decreto-legge n. 78/2015 (articolo 3, comma 3), il criterio perequativo è stato precisato nel senso di considerare la differenza tra le capacità fiscali e i fabbisogni standard, al fine di superare le situazioni di criticità di quegli enti sottodotati in termini di capacità fiscali standard;
    la quota percentuale del Fondo da ripartirsi in funzione perequativa – pari al 10 per cento nel 2014 e al 20 per cento nel 2015 – è stata innalzata al 30 per cento per l'anno 2016, al 40 per cento per l'anno 2017 e al 55 per cento per l'anno 2018, dalla legge di stabilità per il 2016 (articolo 1, comma 17, lettera e));
    oltre alla crescente complessità della disciplina normativa, i criteri di riparto del Fondo di solidarietà rischiano di essere viziati da una iniquità che penalizza i Comuni più virtuosi: infatti la nota metodologica assume – per la determinazione delle relative capacità fiscali – il gettito standard dell'Imu sulla base dei dati catastali aggiornati all'anno 2013;
    è fatto noto, tuttavia, che in moltissimi Comuni i dati catastali sono distanti dai veri valori di mercato, per cui i contribuenti con un'alta capacità contributiva reale sono tassati su una base imponibile sottostimata, mentre in altri Comuni, grazie a un processo continuo di rivalutazione dei valori catastali, questi sono ormai prossimi ai valori di mercato, a tutto vantaggio dell'equità fiscale;
    la nota metodologica considera solo il tax gap derivante dall'evasione fiscale, ma non quello del gap tra valori OMI e rendite catastali, così attribuendo ai comuni che hanno rivalutato i valori catastali una capacità fiscale pro capite nettamente superiore agli altri e, pertanto, penalizzandoli rispetto ad altri comuni potenzialmente «ricchi» in termini analoghi o maggiori, ma risultanti «poveri», solo perché in essi tale processo non è stato attuato;
    questa ingiusta penalizzazione disincentiva, inoltre, i comuni a promuovere eventuali aggiornamenti catastali finalizzati favorire l'equità fiscale,

impegna il Governo

a predisporre, nel primo provvedimento utile, le necessarie modifiche normative al fine di stabilire che nel riparto della quota parte del Fondo di solidarietà comunale accantonata e redistribuita tra i comuni secondo logiche di tipo perequativo, sulla base della differenza tra le capacità fiscali ed i fabbisogni standard, si tenga adeguatamente conto del tax gap derivante dal divario tra valori OMI e valori catastali.
9/3926-A-R/96Rotta, Rubinato, Guerra, Zardini, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame reca alcune disposizioni in materia di Fondo di solidarietà comunale;
    in particolare, l'articolo 1 interviene, tra l'altro, sulle modalità di ripartizione della quota parte del Fondo che viene accantonata e redistribuita tra i comuni delle regioni a statuto ordinario secondo logiche di tipo perequativo, sulla base della differenza tra le capacità fiscali ed i fabbisogni standard, come approvati dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard entro il 31 dicembre dell'anno precedente a quello di riferimento;
    l'articolo 1-bis, invece, modificando il comma 5-quater dell'articolo 43 del decreto-legge n. 133 del 2014, introduce delle modifiche procedurali al procedimento di adozione della nota metodologica relativa alla procedura di calcolo e della stima delle capacità fiscali per singolo comune delle regioni a statuto ordinario, disciplinato dall'articolo 43, comma 5-quater, del decreto-legge n. 133 del 2014;
    la previsione, a partire dal 2014, di accantonamenti percentuali nell'ambito del Fondo di solidarietà comunale da ripartirsi tra i comuni sulla base di criteri perequativi è finalizzata a consentire il passaggio graduale dal criterio della distribuzione delle risorse in base alla spesa storica ad un criterio di distribuzione basato su fabbisogni e capacità fiscali. Con il decreto-legge n. 78/2015 (articolo 3, comma 3), il criterio perequativo è stato precisato nel senso di considerare la differenza tra le capacità fiscali e i fabbisogni standard, al fine di superare le situazioni di criticità di quegli enti sottodotati in termini di capacità fiscali standard;
    la quota percentuale del Fondo da ripartirsi in funzione perequativa – pari al 10 per cento nel 2014 e al 20 per cento nel 2015 – è stata innalzata al 30 per cento per l'anno 2016, al 40 per cento per l'anno 2017 e al 55 per cento per l'anno 2018, dalla legge di stabilità per il 2016 (articolo 1, comma 17, lettera e));
    oltre alla crescente complessità della disciplina normativa, i criteri di riparto del Fondo di solidarietà rischiano di essere viziati da una iniquità che penalizza i Comuni più virtuosi: infatti la nota metodologica assume – per la determinazione delle relative capacità fiscali – il gettito standard dell'Imu sulla base dei dati catastali aggiornati all'anno 2013;
    è fatto noto, tuttavia, che in moltissimi Comuni i dati catastali sono distanti dai veri valori di mercato, per cui i contribuenti con un'alta capacità contributiva reale sono tassati su una base imponibile sottostimata, mentre in altri Comuni, grazie a un processo continuo di rivalutazione dei valori catastali, questi sono ormai prossimi ai valori di mercato, a tutto vantaggio dell'equità fiscale;
    la nota metodologica considera solo il tax gap derivante dall'evasione fiscale, ma non quello del gap tra valori OMI e rendite catastali, così attribuendo ai comuni che hanno rivalutato i valori catastali una capacità fiscale prò capite nettamente superiore agli altri e, pertanto, penalizzandoli rispetto ad altri comuni potenzialmente «ricchi» in termini analoghi o maggiori, ma risultanti «poveri», solo perché in essi tale processo non è stato attuato;
    questa ingiusta penalizzazione disincentiva, inoltre, i comuni a promuovere eventuali aggiornamenti catastali finalizzati favorire l'equità fiscale,

impegna il Governo

a predisporre le necessarie modifiche normative al fine di stabilire che nel riparto della quota parte del Fondo di solidarietà comunale accantonata e redistribuita tra i comuni secondo logiche di tipo perequativo, sulla base della differenza tra le capacità fiscali ed i fabbisogni standard, si tenga adeguatamente conto del tax gap derivante dal divario tra valori OMI e valori catastali.
9/3926-A-R/96. (Testo modificato nel corso della seduta).  Rotta, Rubinato, Guerra, Zardini, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1-ter del decreto-legge, introdotto nel corso dell'esame in sede referente, introduce modifiche all'articolo 19 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 riguardanti i minori non accompagnati di età non inferiore agli anni quattordici, per l'accoglienza dei quali, in caso di arrivi consistenti e ravvicinati e qualora l'accoglienza non possa essere assicurata dai comuni, si prevede che il Prefetto possa disporre l'attivazione di strutture temporanee, con una capienza massima di 50 posti, esclusivamente dedicate ad essi;
    i dati concernenti l'arrivo sulle coste italiane dei minori stranieri non accompagnati dimostrano che il flusso è ormai di dimensioni significative crescenti nell'ultimo periodo, atteso che nel 2014 sono registrati 13026 arrivi, nel 2015 12.360, mentre al 15 luglio 2016 il dato è in forte crescita ed è pari a 11520;
    ne consegue l'esigenza, anch'essa crescente di reperire centri dove fornire accoglienza specializzata per questa tipologia di migranti, al fine di rispondere alle esigenze peculiari di una categoria di soggetti particolarmente vulnerabili e bisognosi di protezione che, secondo i dati, riguarda ad oggi 12.005 minori, di cui 910 sotto i quattordici anni e 11095 tra i quattordici e i diciotto;
    il presente intervento normativo, sia pure parziale, costituisce un ulteriore opportuno passaggio volto a costruire un sistema di accoglienza, sia di primo livello che di secondo livello, dei minori stranieri non accompagnati (MSNA) che, come evidenziato nella prima relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul sistema di accoglienza dei migranti presentata il 3 maggio 2016 si rende necessario per assorbire un numero di richieste molto sostenuto e, presumibilmente, destinato ad incrementarsi nel tempo;
    esso integra i principi generali del sistema di accoglienza per i minori stranieri non accompagnati già a suo tempo delineati in sede di Intesa fra il Governo, le Regioni e gli Enti locali, conseguita nella seduta della Conferenza Unificata del 10 luglio 2014, nella quale si prevede l'attivazione di strutture governative di primissima accoglienza ad alta specializzazione che accolgano i minori stranieri non accompagnati, cui ha fatto seguito l'istituzione presso il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, della apposita struttura di missione;
    il provvedimento, affidando la responsabilità dell'attivazione dei centri alle prefetture interviene altresì sul sistema di governance in un senso condivisibile, in quanto evita di far gravare un ulteriore peso oggettivamente insostenibile sul piano finanziario e amministrativo su comuni e sindaci;
    appare utile, almeno in determinate condizioni, differenziare l'approccio e la tipologia di accoglienza tra coloro che giungono nel nostro Paese in tenerissima età e gli adolescenti che, pur minori e dunque per definizione vulnerabili, hanno acquisito esperienze personali e formative significative, spesso legate a percorsi migratori pericolosi e dolorosi;
    non è invece accettabile alcuna differenziazione negli standard qualitativi dell'accoglienza esclusivamente legati alla localizzazione del centro, come pure è invece stato riscontrato nel corso dell'attività di indagine compiuta dalla citata Commissione parlamentare di inchiesta, a maggior ragione in presenza di una realtà che – per logiche amministrative che richiedono necessariamente di essere superate – vede una percentuale significativa di minori concentrati nei centri di accoglienza siti in Sicilia, nei luoghi prossimi ai porti dove avvengono gli sbarchi,

impegna il Governo

ad adottare ogni misura idonea volta ad assicurare che l'accreditamento delle citate strutture ricettive temporanee da parte delle competenti Istituzioni regionali si fondi sull'accertamento della idoneità delle sedi e della erogazione di servizi alla persona adeguati, secondo standard qualitativi elevati ed omogenei su tutto il territorio nazionale, anche mediante la predisposizione di linee guida elaborate d'intesa con le principali organizzazioni umanitarie impegnate nella tutela dei minori.
9/3926-A-R/97Carnevali, Amato, Pollastrini, Zampa.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 7 del provvedimento stabilisce una completa rideterminazione delle sanzioni per le città metropolitane, le province e i comuni che non hanno rispettato il patto di stabilità interno nell'anno 2015;
    il nuovo articolo ora prevede l'attenuazione delle sanzioni previste a carico delle città metropolitane e delle province delle regioni a statuto ordinario e delle Regioni Siciliana e Sardegna che non hanno rispettato il Patto di stabilità interno per l'anno 2015, escludendo in particolare l'applicazione della sanzione consistente nella riduzione delle risorse del fondo sperimentale di riequilibrio o del fondo perequativo;
    prevede poi l'esclusione, a decorrere dal 2016, della possibilità di sanzionare province e regioni a statuto ordinario non rispettosi del patto stabilità fino al 2015;
    prevede altresì una serie di esclusioni, per i comuni, dall'applicazione delle sanzioni, quali la sanzione riguardante le risorse del fondo sperimentale di riequilibrio o del fondo perequativo, la cui riduzione deve essere pari al 30 per cento della differenza tra il saldo obiettivo del 2015 e il saldo conseguito nello stesso anno;
    sono stati infine esclusi dalle sanzioni anche i comuni che hanno sforato il patto, ma che risultano estinti in seguito a fusioni e la possibilità, per le province e le città metropolitane che non hanno rispettato patto di stabilità 2015, di erogare, nel 2016, le risorse aggiuntive, già previste nel bilancio di previsione 2015, destinate alla contrattazione integrativa, seppur nei limiti stabiliti dalla contrattazione nazionale e nei limiti dei parametri di virtuosità fissati per la spesa di personale dalle vigenti disposizioni;
    l'unica disciplina ragionevole riguardante l'esclusione dalle sanzioni sembra essere quella che prevede l'eliminazione del divieto di assunzioni per i comuni che hanno rispettato il patto di stabilità interno per l'anno 2015, ma che hanno trasmesso in ritardo la certificazione attestante il rispetto del patto, purché l'abbiano fatto entro il 30 aprile 2016;
    contestualmente l'articolo 1, recante norma in tema di Fondo di solidarietà comunale interviene sulle modalità di ripartizione della quota parte del Fondo che viene accantonata e redistribuita tra i comuni delle regioni a statuto ordinario secondo logiche di tipo perequativo, sulla base della differenza tra le capacità fiscali ed i fabbisogni standard;
    l'aggiustamento statistico si è reso necessario al fine di mitigare gli effetti della distribuzione tra i comuni della quota del 30 per cento del Fondo con il meccanismo della perequazione, in favore dei comuni che in sede di prima assegnazione hanno registrato un differenziale negativo tra la dotazione standard del Fondo di solidarietà comunale e la dotazione storica del Fondo in percentuale delle risorse complessive di riferimento inferiore o uguale al 2 per cento;
    secondo quanto definito nella Nota metodologica del Ministero dell'economia, facente parte integrante dell'Accordo del 24 marzo 2016 in sede di Conferenza Stato-Città e autonomie locali, la dotazione complessiva del Fondo di solidarietà dei comuni delle regioni a statuto ordinario è ripartita per una quota pari al 70 per cento (circa 1,9 mld) secondo il criterio di compensazione delle risorse storiche e per una quota pari al 30 per cento (563,3 milioni) secondo il criterio basato sulle risorse standard, a cui aggiunge il rimborso relativo alle agevolazioni/esenzioni IMU e TASI disposte dalla legge di stabilità (3,5 mld);
    dunque, da un lato, a fronte di un così ampio spettro di esclusione dalle sanzioni non corrisponde, però, alcun regime premiale per i comuni virtuosi che, operando una razionale ed oculata gestione delle proprie risorse, hanno invece rispettato i patti di stabilità contribuendo al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica derivanti dalla normativa interna e dall'appartenenza dell'Italia alla zona euro;
    dall'altro, il criterio basato su risorse standard rimane sempre comunque minoritario;
    nel provvedimento, infine, è stato modificato l'articolo 8 al fine di ripartire tra le province e le città metropolitane delle regioni a statuto ordinario l'ammontare della ulteriore riduzione della spesa corrente che grava nei confronti di tali enti per l'anno 2016, rispetto al taglio operato nel 2015 che rimane in vigore;
    il taglio incrementale per il 2016 è quantificato in complessivi 900 milioni di euro rispetto al 2015, e ripartito nella misura di cui 650 milioni a carico degli enti di area vasta e delle province montane e 250 milioni, a carico delle città metropolitane e di Reggio Calabria;
    è stata inoltre inserita una modifica proposta dal Governo riguardante: la riduzione della spesa corrente che ciascuna provincia e città metropolitana deve conseguire nel 2016 e del relativo versamento; l'ammontare del contributo a favore di ciascuna provincia e città metropolitana per il 2016 e l'ammontare della quota del 66 per cento del fondo di 60 milioni di euro previsto in stabilità 2016 a favore di ciascuna provincia delle regioni a statuto ordinario;
    in tema di riduzione della spesa, risparmio e gestione oculata delle risorse pubbliche, il settore in cui è maggiormente possibile ottenere questi risultati, che si aggiungono alla necessità di gestire in maniera adeguata e razionale i soldi che i cittadini versano nelle casse dello Stato sotto forma di tributi e che una buona responsabilità politica impone di governare nel miglior modo possibile, è proprio l'ambito della pubblica amministrazione in cui gli sprechi non possono e non devono essere attribuiti soltanto ed esclusivamente alle situazioni patologiche di illegalità e incuria, ma anche nelle situazioni di normalità, a causa di una gestione non ottimale (o meglio non professionale) dell'azione amministrativa;
    in questa direzione, la riforma del federalismo ha voluto inserire, nel nostro ordinamento, un sistema di finanza multilivello che assicurasse un coordinamento unitario e coerente fra le stesse politiche pubbliche che si sviluppano a diversi livelli di governo;
    per poter tagliare la spesa in maniera selettiva occorrerebbe rispettare un principio basilare che è quello dell'individuazione dei fabbisogni standard e dell'applicazione consequenziale dei costi standard;
    i tagli non devono essere previsti sui bilanci consuntivi ma su quelli preventivi, cosa che ad oggi non viene fatta: si rende necessario, al contrario, attivare il circuito della responsabilità, favorendo la trasparenza delle decisioni di spesa e la loro imputabilità attraverso il pieno compimento del passaggio dalla spesa storica (che finanzia servizi e sprechi) al costo/fabbisogno standard (che finanzia i servizi) al fine di garantire un elevatissimo grado di solidarietà e di gestione responsabile del pubblico denaro;
    l'articolo 10 del provvedimento in esame, che recepisce le proposte normative presentate dalle regioni, e condivise dal Governo, in sede di intesa, sancita dalla Conferenza Stato-regioni nella seduta dello scorso 11 febbraio, autorizza le sole Regioni che nell'anno 2015 hanno rispettato i tempi di pagamento nelle transazioni commerciali ad avvalersi, per l'anno 2016, delle disposizioni in materia di contabilizzazione degli investimenti finanziati da debito autorizzato e non contratto,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di future iniziative legislative al fine di prevedere una più generale semplificazione del quadro normativo relativo al funzionamento delle pubbliche amministrazioni, contestuali ad un maggiore efficientamento del funzionamento delle stesse, stabilendo eventualmente, anche forme premiali di diversa natura a quelle amministrazioni in ordine con i pagamenti.
9/3926-A-R/98Picchi, Guidesi, Simonetti, Saltamartini, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 7 del provvedimento stabilisce una completa rideterminazione delle sanzioni per le città metropolitane, le province e i comuni che non hanno rispettato il patto di stabilità interno nell'anno 2015;
    il nuovo articolo ora prevede l'attenuazione delle sanzioni previste a carico delle città metropolitane e delle province delle regioni a statuto ordinario e delle Regioni Siciliana e Sardegna che non hanno rispettato il Patto di stabilità interno per l'anno 2015, escludendo in particolare l'applicazione della sanzione consistente nella riduzione delle risorse del fondo sperimentale di riequilibrio o del fondo perequativo;
    prevede poi l'esclusione, a decorrere dal 2016, della possibilità di sanzionare province e regioni a statuto ordinario non rispettosi del patto stabilità fino al 2015;
    prevede altresì una serie di esclusioni, per i comuni, dall'applicazione delle sanzioni, quali la sanzione riguardante le risorse del fondo sperimentale di riequilibrio o del fondo perequativo, la cui riduzione deve essere pari al 30 per cento della differenza tra il saldo obiettivo del 2015 e il saldo conseguito nello stesso anno;
    sono stati infine esclusi dalle sanzioni anche i comuni che hanno sforato il patto, ma che risultano estinti in seguito a fusioni e la possibilità, per le province e le città metropolitane che non hanno rispettato patto di stabilità 2015, di erogare, nel 2016, le risorse aggiuntive, già previste nel bilancio di previsione 2015, destinate alla contrattazione integrativa, seppur nei limiti stabiliti dalla contrattazione nazionale e nei limiti dei parametri di virtuosità fissati per la spesa di personale dalle vigenti disposizioni;
    l'unica disciplina ragionevole riguardante l'esclusione dalle sanzioni sembra essere quella che prevede l'eliminazione del divieto di assunzioni per i comuni che hanno rispettato il patto di stabilità interno per l'anno 2015, ma che hanno trasmesso in ritardo la certificazione attestante il rispetto del patto, purché l'abbiano fatto entro il 30 aprile 2016;
    contestualmente l'articolo 1, recante norma in tema di Fondo di solidarietà comunale interviene sulle modalità di ripartizione della quota parte del Fondo che viene accantonata e redistribuita tra i comuni delle regioni a statuto ordinario secondo logiche di tipo perequativo, sulla base della differenza tra le capacità fiscali ed i fabbisogni standard;
    l'aggiustamento statistico si è reso necessario al fine di mitigare gli effetti della distribuzione tra i comuni della quota del 30 per cento del Fondo con il meccanismo della perequazione, in favore dei comuni che in sede di prima assegnazione hanno registrato un differenziale negativo tra la dotazione standard del Fondo di solidarietà comunale e la dotazione storica del Fondo in percentuale delle risorse complessive di riferimento inferiore o uguale al 2 per cento;
    secondo quanto definito nella Nota metodologica del Ministero dell'economia, facente parte integrante dell'Accordo del 24 marzo 2016 in sede di Conferenza Stato-Città e autonomie locali, la dotazione complessiva del Fondo di solidarietà dei comuni delle regioni a statuto ordinario è ripartita per una quota pari al 70 per cento (circa 1,9 mld) secondo il criterio di compensazione delle risorse storiche e per una quota pari al 30 per cento (563,3 milioni) secondo il criterio basato sulle risorse standard a cui si aggiunge il rimborso relativo alle agevolazioni/esenzioni IMU e TASI disposte dalla legge di stabilità (3,5 mld);
    dunque, da un lato, a fronte di un così ampio spettro di esclusione dalle sanzioni non corrisponde, però, alcun regime premiale per i comuni virtuosi che, operando una razionale ed oculata gestione delle proprie risorse, hanno invece rispettato i patti di stabilità contribuendo al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica derivanti dalla normativa interna e dall'appartenenza dell'Italia alla zona euro;
    dall'altro, il criterio basato su risorse standard rimane sempre comunque minoritario e non è stato dato adeguato rilievo, nella nota metodologica del 2016 sopra citata, al differenziale positivo o negativo del residuo fiscale comunale che, segnando la differenza tra tutte le entrate e le risorse che in quel territorio vengono spese, sono anche un indicatore della virtuosità degli enti locali nel razionalizzare le spese di soldi pubblici,

impegna il Governo

a prevedere, l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative volte a introdurre una modifica alla disciplina riguardante la Nota metodologica di cui al comma 380-ter, lettera b), dell'articolo 1, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, tenendo soprattutto conto del residuo fiscale positivo, al fine di premiare i Comuni che presentano un valore di residuo fiscale più alto.
9/3926-A-R/99Bossi, Guidesi, Simonetti, Saltamartini.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 7 del provvedimento stabilisce una completa rideterminazione delle sanzioni per le città metropolitane, le province e i comuni che non hanno rispettato il patto di stabilità interno nell'anno 2015;
    il nuovo articolo ora prevede l'attenuazione delle sanzioni previste a carico delle città metropolitane e delle province delle regioni a statuto ordinario e delle Regioni Siciliana e Sardegna che non hanno rispettato il Patto di stabilità interno per l'anno 2015, escludendo in particolare l'applicazione della sanzione consistente nella riduzione delle risorse del fondo sperimentale di riequilibrio o del fondo perequativo;
    prevede poi l'esclusione, a decorrere dal 2016, della possibilità di sanzionare province e regioni a statuto ordinario non rispettosi del patto stabilità fino al 2015;
    prevede altresì una serie di esclusioni, per i comuni, dall'applicazione delle sanzioni, quali la sanzione riguardante le risorse del fondo sperimentale di riequilibrio o dei fondo perequativo, la cui riduzione deve essere pari al 30 per cento della differenza tra il saldo obiettivo del 2015 e il saldo conseguito nello stesso anno;
    sono stati infine esclusi dalle sanzioni anche i comuni che hanno sforato il patto, ma che risultano estinti in seguito a fusioni e la possibilità, per le province e le città metropolitane che non hanno rispettato patto di stabilità 2015, di erogare, nei 2016, le risorse aggiuntive, già previste nel bilancio di previsione 2015, destinate alla contrattazione integrativa, seppur nei limiti stabiliti dalla contrattazione nazionale e nei limiti dei parametri di virtuosità fissati per la spesa di personale dalle vigenti disposizioni;
    l'unica disciplina ragionevole riguardante l'esclusione dalle sanzioni sembra essere quella che prevede l'eliminazione del divieto di assunzioni per i comuni che hanno rispettato il patto di stabilità interno per l'anno 2015, ma che hanno trasmesso in ritardo la certificazione attestante il rispetto del patto, purché l'abbiano fatto entro il 30 aprile 2016;
    contestualmente l'articolo 1, recante norma in tema di Fondo di solidarietà comunale interviene sulle modalità di ripartizione della quota parte del Fondo che viene accantonata e redistribuita tra i comuni delle regioni a statuto ordinario secondo logiche di tipo perequativo, sulla base della differenza tra le capacità fiscali ed i fabbisogni standard;
    l'aggiustamento statistico si è reso necessario al fine di mitigare gli effetti della distribuzione tra i comuni della quota del 30 per cento del Fondo con il meccanismo della perequazione, in favore dei comuni che in sede di prima assegnazione hanno registrato un differenziale negativo tra la dotazione standard del Fondo di solidarietà comunale e la dotazione storica del Fondo in percentuale delle risorse complessive di riferimento inferiore o uguale al 2 per cento;
    secondo quanto definito nella Nota metodologica del Ministero dell'economia, facente parte integrante dell'Accordo del 24 marzo 2016 in sede di Conferenza Stato-Città e autonomie locali, la dotazione complessiva del Fondo di solidarietà dei comuni delle regioni a statuto ordinario è ripartita per una quota pari ai 70 per cento (circa 1,9 mld) secondo il criterio di compensazione delle risorse storiche e per una quota pari al 30 per cento (563,3 milioni) secondo il criterio basato sulle risorse standard a cui si aggiunge il rimborso relativo alle agevolazioni/esenzioni IMU e TASI disposte dalla legge di stabilità (3,5 mld);
    dunque, da un lato, a fronte di un così ampio spettro di esclusione dalle sanzioni non corrisponde, però, alcun regime premiale per i comuni virtuosi che, operando una razionale ed oculata gestione delle proprie risorse, hanno invece rispettato i patti di stabilità contribuendo al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica derivanti dalla normativa interna e dall'appartenenza dell'Italia alla zona euro;
    dall'altro, il criterio basato su risorse standard rimane sempre comunque minoritario e non è stato dato adeguato rilievo, nella nota metodologica del 2016 sopra citata, al differenziale positivo o negativo del residuo fiscale comunale che, segnando la differenza tra tutte le entrate e le risorse che in quel territorio vengono spese, sono anche un indicatore della virtuosità degli enti locali nel razionalizzare le spese di soldi pubblici;
    in aggiunta, l'articolo 2 prevede un'applicazione graduale, a partire dai 2017, del taglio di risorse a titolo di Fondo di solidarietà comunale nei confronti di quei comuni colpiti da eventi sismici che ne sono stati esentati negli anni 2015 e 2016, nonché un progressivo aumento del taglio per quelli che ne hanno avuto finora una applicazione ridotta;
    la disciplina riguarda territori martoriati da eventi calamitosi e sismici di importante proporzione, quali i comuni colpiti dal sisma del 20 e 29 maggio 2012 (Emilia Romagna), i comuni danneggiati dagli eventi sismici del 6 aprile 2009 (Abruzzo) e i comuni danneggiati dagli eventi sismici del 21 giugno 2013 (Lucca e Massa Carrara), ai quali la riduzione del Fondo di solidarietà negli anni 2015- 2016 si è applicata nella misura del 50 per cento;
    sarebbe certo opportuno, al contrario, continuare a sostenere la ripresa economica e la ricostruzione di questi territori, non soltanto per ragioni di responsabilità politica e dovere etico di uno stato centrale, ma anche per ragioni di crescita economica, essendo questi parte, per diverse ragioni, dei territori produttivi del paese, dal comparto industriale a quello turistico, tenuto conto anche dell'importante patrimonio culturale ed artistico che rappresentano,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative volte a rimodulare la riduzione del contributo del Fondo di solidarietà comunale attribuito a questi territori, operando una più lunga dilazione temporale accompagnata da una meno consistente diminuzione delle risorse, al fine di graduare, ancora di più i tagli agli importi del Fondo di solidarietà comunale spettanti accomuni specificati in premessa.

9/3926-A-R/100Fedriga.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 7 del provvedimento stabilisce una completa rideterminazione delle sanzioni per le città metropolitane, le province e i comuni che non hanno rispettato il patto di stabilità interno nell'anno 2015;
    il nuovo articolo ora prevede l'attenuazione delle sanzioni previste a carico delle città metropolitane e delle province delle regioni a statuto ordinario e delle Regioni Siciliana e Sardegna che non hanno rispettato il Patto di stabilità interno per l'anno 2015, escludendo in particolare l'applicazione della sanzione consistente nella riduzione delle risorse del fondo sperimentale di riequilibrio o del fondo perequativo;
    prevede poi l'esclusione, a decorrere dal 2016, della possibilità di sanzionare province e regioni a statuto ordinario non rispettosi del patto stabilità fino al 2015;
    prevede altresì una serie di esclusioni, per i comuni, dall'applicazione delle sanzioni, quali la sanzione riguardante le risorse del fondo sperimentale di riequilibrio o del fondo perequativo, la cui riduzione deve essere pari al 30 per cento della differenza tra il saldo obiettivo del 2015 e il saldo conseguito nello stesso anno;
    sono stati infine esclusi dalle sanzioni anche i comuni che hanno sforato il patto, ma che risultano estinti in seguito a fusioni e la possibilità, per le province e le città metropolitane che non hanno rispettato patto di stabilità 2015, di erogare, nel 2016, le risorse aggiuntive, già previste nel bilancio di previsione 2015, destinate alla contrattazione integrativa, seppur nei limiti stabiliti dalla contrattazione nazionale e nei limiti dei parametri di virtuosità fissati per la spesa di personale dalle vigenti disposizioni;
    l'unica disciplina ragionevole riguardante l'esclusione dalle sanzioni sembra essere quella che prevede l'eliminazione del divieto di assunzioni per i comuni che hanno rispettato il patto di stabilità interno per l'anno 2015, ma che hanno trasmesso in ritardo la certificazione attestante il rispetto del patto, purché l'abbiano fatto entro il 30 aprile 2016;
    contestualmente l'articolo 1, recante norma in tema di Fondo di solidarietà comunale interviene sulle modalità di ripartizione della quota parte del Fondo che viene accantonata e redistribuita tra i comuni delle regioni a statuto ordinario secondo logiche di tipo perequativo, sulla base della differenza tra le capacità fiscali ed i fabbisogni standard;
    l'aggiustamento statistico si è reso necessario al fine di mitigare gli effetti della distribuzione tra i comuni della quota del 30 per cento del Fondo con il meccanismo della perequazione, in favore dei comuni che in sede di prima assegnazione hanno registrato un differenziale negativo tra la dotazione standard del Fondo di solidarietà comunale e la dotazione storica del Fondo in percentuale delle risorse complessive di riferimento inferiore o uguale al 2 per cento;
    secondo quanto definito nella Nota metodologica del Ministero dell'economia, facente parte integrante dell'Accordo del 24 marzo 2016 in sede di Conferenza Stato-Città e autonomie locali, la dotazione complessiva del Fondo di solidarietà dei comuni delle regioni a statuto ordinario è ripartita per una quota pari al 70 per cento (circa 1,9 mld) secondo il criterio di compensazione delle risorse storiche e per una quota pari al 30 per cento (563,3 milioni) secondo il criterio basato sulle risorse standard, a cui si aggiunge il rimborso relativo alle agevolazioni/esenzioni IMU e TASI disposte dalla legge di stabilità (3,5 mld);
    dunque, da un lato, a fronte di un così ampio spettro di esclusione dalle sanzioni non corrisponde, però, alcun regime premiale per i comuni virtuosi che, operando una razionale ed oculata gestione delle proprie risorse, hanno invece rispettato i patti di stabilità contribuendo al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica derivanti dalla normativa interna e dall'appartenenza dell'Italia alla zona euro;
    dall'altro, il criterio basato su risorse standard rimane sempre comunque minoritario;
    nel provvedimento, infine, è stato modificato l'articolo 8 al fine di ripartire tra le province e le città metropolitane delle regioni a statuto ordinario l'ammontare della ulteriore riduzione della spesa corrente che grava nei confronti di tali enti per l'anno 2016, rispetto al taglio operato nel 2015 che rimane in vigore;
    il taglio incrementale per il 2016 è quantificato in complessivi 900 milioni di euro rispetto al 2015 e ripartito nella misura di cui 650 milioni a carico degli enti di area vasta e delle province montane e 250 milioni, a carico delle città metropolitane e di Reggio Calabria;
    è stata inoltre inserita una modifica proposta dal Governo riguardante: la riduzione della spesa corrente che ciascuna provincia e città metropolitana deve conseguire nel 2016 e del relativo versamento; l'ammontare del contributo a favore di ciascuna provincia e città metropolitana per il 2016 e l'ammontare della quota del 66 per cento del fondo di 60 milioni di euro previsto in stabilità 2016 a favore di ciascuna provincia delle regioni a statuto ordinario;
    in tema di riduzione della spesa, risparmio e gestione oculata delle risorse pubbliche, il settore in cui è maggiormente possibile ottenere questi risultati, che si aggiungono alla necessità di gestire in maniera adeguata e razionale i soldi che i cittadini versano nelle casse dello Stato sotto forma di tributi e che una buona responsabilità politica impone di governare nel miglior modo possibile, è proprio l'ambito della pubblica amministrazione in cui gli sprechi non possono e non devono essere attribuiti soltanto ed esclusivamente alle situazioni patologiche di illegalità e incuria, ma anche nelle situazioni di normalità, a causa di una gestione non ottimale (o meglio non professionale) dell'azione amministrativa;
    in questa direzione, la riforma del federalismo ha voluto inserire, nel nostro ordinamento, un sistema di finanza multilivello che assicurasse un coordinamento unitario e coerente fra le stesse politiche pubbliche che si sviluppano a diversi livelli di governo;
    per poter tagliare la spesa in maniera selettiva occorrerebbe rispettare un principio basilare che è quello dell'individuazione dei fabbisogni standard e dell'applicazione consequenziale dei costi standard;
    i tagli non devono essere previsti sui bilanci consuntivi ma su quelli preventivi, cosa che ad oggi non viene fatta: si rende necessario, al contrario, attivare il circuito della responsabilità, favorendo la trasparenza delle decisioni di spesa e la loro imputabilità attraverso il pieno compimento del passaggio dalla spesa storica (che finanzia servizi e sprechi) al costo/fabbisogno standard (che finanzia i servizi) al fine di garantire un elevatissimo grado di solidarietà e di gestione responsabile del pubblico denaro,

impegna il Governo

ad implementare, attraverso la previsione di provvedimenti ad hoc o anche attraverso i prossimi provvedimenti utili, il più ampio quadro di riforma della gestione della res publica economico-finanziaria, attraverso la previsione dell'applicazione sistemica dell'individuazione dei fabbisogni standard e della relativa applicazione dei costi standard a tutte le pubbliche amministrazioni affinché questo criterio sia sempre preponderante rispetto a quello della spesa storica e, progressivamente, possa divenire il criterio esclusivo.
9/3926-A-R/101Grimoldi, Guidesi, Simonetti, Saltamartini, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 7 del provvedimento stabilisce una completa rideterminazione delle sanzioni per le città metropolitane, le province e i comuni che non hanno rispettato il patto di stabilità interno nell'anno 2015;
    il nuovo articolo ora prevede l'attenuazione delle sanzioni previste a carico delle città metropolitane e delle province delle regioni a statuto ordinario e delle Regioni Siciliana e Sardegna che non hanno rispettato il Patto di stabilità interno per l'anno 2015, escludendo in particolare l'applicazione della sanzione consistente nella riduzione delle risorse del fondo sperimentale di riequilibrio o del fondo perequativo;
    prevede poi l'esclusione, a decorrere dal 2016, della possibilità di sanzionare province e regioni a statuto ordinario non rispettosi del patto stabilità fino al 2015;
    prevede altresì una serie di esclusioni, per i comuni, dall'applicazione delle sanzioni, quali la sanzione riguardante le risorse del fondo sperimentale di riequilibrio o del fondo perequativo, la cui riduzione deve essere pari al 30 per cento della differenza tra il saldo obiettivo del 2015 e il saldo conseguito nello stesso anno;
    sono stati infine esclusi dalle sanzioni anche i comuni che hanno sforato il patto, ma che risultano estinti in seguito a fusioni e la possibilità, per le province e le città metropolitane che non hanno rispettato patto di stabilità 2015, di erogare, nel 2016, le risorse aggiuntive, già previste nel bilancio di previsione 2015, destinate alla contrattazione integrativa, seppur nei limiti stabiliti dalla contrattazione nazionale e nei limiti dei parametri di virtuosità fissati per la spesa di personale dalle vigenti disposizioni;
    l'unica disciplina ragionevole riguardante l'esclusione dalle sanzioni sembra essere quella che prevede l'eliminazione del divieto di assunzioni per i comuni che hanno rispettato il patto di stabilità interno per l'anno 2015, ma che hanno trasmesso in ritardo la certificazione attestante il rispetto del patto, purché l'abbiano fatto entro il 30 aprile 2016;
    contestualmente l'articolo 1, recante norma in tema di Fondo di solidarietà comunale interviene sulle modalità di ripartizione della quota parte del Fondo che viene accantonata e redistribuita tra i comuni delle regioni a statuto ordinario secondo logiche di tipo perequativo, sulla base della differenza tra le capacità fiscali ed i fabbisogni standard;
    l'aggiustamento statistico si è reso necessario al fine di mitigare gli effetti della distribuzione tra i comuni della quota del 30 per cento del Fondo con il meccanismo della perequazione, in favore dei comuni che in sede di prima assegnazione hanno registrato un differenziale negativo tra la dotazione standard del Fondo di solidarietà comunale e la dotazione storica del Fondo in percentuale delle risorse complessive di riferimento inferiore o uguale al 2 per cento;
    secondo quanto definito nella Nota metodologica del Ministero dell'economia, facente parte integrante dell'Accordo del 24 marzo 2016 in sede di Conferenza Stato-Città e autonomie locali, la dotazione complessiva del Fondo di solidarietà dei comuni delle regioni a statuto ordinario è ripartita per una quota pari al 70 per cento (circa 1,9 mld) secondo il criterio di compensazione delle risorse storiche e per una quota pari al 30 per cento (563,3 milioni) secondo il criterio basato sulle risorse standard, a cui si aggiunge il rimborso relativo alle agevolazioni/esenzioni IMU e TASI disposte dalla legge di stabilità (3,5 mld);
    dunque, da un lato, a fronte di un così ampio spettro di esclusione dalle sanzioni non corrisponde, però, alcun regime premiale per i comuni virtuosi che, operando una razionale ed oculata gestione delle proprie risorse, hanno invece rispettato i patti di stabilità contribuendo al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica derivanti dalla normativa interna e dall'appartenenza dell'Italia alla zona euro;
    dall'altro, il criterio basato su risorse standard rimane sempre comunque minoritario;
    nel provvedimento, infine, è stato modificato l'articolo 8 al fine di ripartire tra le province e le città metropolitane delle regioni a statuto ordinario l'ammontare della ulteriore riduzione della spesa corrente che grava nei confronti di tali enti per l'anno 2016, rispetto al taglio operato nel 2015 che rimane in vigore;
    il taglio incrementale per il 2016 è quantificato in complessivi 900 milioni di euro rispetto al 2015 e ripartito nella misura di cui 650 milioni a carico degli enti di area vasta e delle province montane e 250 milioni, a carico delle città metropolitane e di Reggio Calabria;
    è stata inoltre inserita una modifica proposta dal Governo riguardante: la riduzione della spesa corrente che ciascuna provincia e città metropolitana deve conseguire nel 2016 e del relativo versamento; l'ammontare del contributo a favore di ciascuna provincia e città metropolitana per il 2016 e l'ammontare della quota del 66 per cento del fondo di 60 milioni di euro previsto in stabilità 2016 a favore di ciascuna provincia delle regioni a statuto ordinario;
    in tema di riduzione della spesa, risparmio e gestione oculata delle risorse pubbliche, il settore in cui è maggiormente possibile ottenere questi risultati, che si aggiungono alla necessità di gestire in maniera adeguata e razionale i soldi che i cittadini versano nelle casse dello Stato sotto forma di tributi e che una buona responsabilità politica impone di governare nel miglior modo possibile, è proprio l'ambito della pubblica amministrazione in cui gli sprechi non possono e non devono essere attribuiti soltanto ed esclusivamente alle situazioni patologiche di illegalità e incuria, ma anche nelle situazioni di normalità, a causa di una gestione non ottimale (o meglio non professionale) dell'azione amministrativa;
    in questa direzione, la riforma del federalismo ha voluto inserire, nel nostro ordinamento, un sistema di finanza multilivello che assicurasse un coordinamento unitario e coerente fra le stesse politiche pubbliche che si sviluppano a diversi livelli di governo;
    per poter tagliare la spesa in maniera selettiva occorrerebbe rispettare un principio basilare che è quello dell'individuazione dei fabbisogni standard e dell'applicazione consequenziale dei costi standard;
    i tagli non devono essere previsti sui bilanci consuntivi ma su quelli preventivi, cosa che ad oggi non viene fatta: si rende necessario, al contrario, attivare il circuito della responsabilità, favorendo la trasparenza delle decisioni di spesa e la loro imputabilità attraverso il pieno compimento del passaggio dalla spesa storica (che finanzia servizi e sprechi) al costo/fabbisogno standard (che finanzia i servizi) al fine di garantire un elevatissimo grado di solidarietà e di gestione responsabile del pubblico denaro,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di implementare, attraverso la previsione di provvedimenti ad hoc o anche attraverso i prossimi provvedimenti utili, il più ampio quadro di riforma della gestione della res publica economico-finanziaria, attraverso la previsione dell'applicazione sistemica dell'individuazione dei fabbisogni standard e della relativa applicazione dei costi standard a tutte le pubbliche amministrazioni affinché questo criterio sia sempre preponderante rispetto a quello della spesa storica e, progressivamente, possa divenire il criterio esclusivo.
9/3926-A-R/101. (Testo modificato nel corso della seduta).  Grimoldi, Guidesi, Simonetti, Saltamartini, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 7 del provvedimento stabilisce una completa rideterminazione delle sanzioni per le città metropolitane, le province e i comuni che non hanno rispettato il patto di stabilità interno nell'anno 2015;
    il nuovo articolo ora prevede l'attenuazione delle sanzioni previste a carico delle città metropolitane e delle province delle regioni a statuto ordinario e delle Regioni Siciliana e Sardegna che non hanno rispettato il Patto di stabilità interno per l'anno 2015, escludendo in particolare l'applicazione della sanzione consistente nella riduzione delle risorse del fondo sperimentale di riequilibrio o del fondo perequativo;
    prevede poi l'esclusione, a decorrere dal 2016, della possibilità di sanzionare province e regioni a statuto ordinario non rispettosi del patto stabilità fino al 2015;
    prevede altresì una serie di esclusioni, per i comuni, dall'applicazione delle sanzioni, quali la sanzione riguardante le risorse del fondo sperimentale di riequilibrio o del fondo perequativo, la cui riduzione deve essere pari al 30 per cento della differenza tra il saldo obiettivo del 2015 e il saldo conseguito nello stesso anno;
    sono stati infine esclusi dalle sanzioni anche i comuni che hanno sforato il patto, ma che risultano estinti in seguito a fusioni e la possibilità, per le province e le città metropolitane che non hanno rispettato patto di stabilità 2015, di erogare, nel 2016, le risorse aggiuntive, già previste nel bilancio di previsione 2015, destinate alla contrattazione integrativa, seppur nei limiti stabiliti dalla contrattazione nazionale e nei limiti dei parametri di virtuosità fissati per la spesa di personale dalle vigenti disposizioni;
    l'unica disciplina ragionevole riguardante l'esclusione dalle sanzioni sembra essere quella che prevede l'eliminazione del divieto di assunzioni per i comuni che hanno rispettato il patto di stabilità interno per l'anno 2015, ma che hanno trasmesso in ritardo la certificazione attestante il rispetto del patto, purché l'abbiano fatto entro il 30 aprile 2016;
    contestualmente l'articolo 1, recante norme in tema di Fondo di solidarietà comunale interviene sulle modalità di ripartizione della quota parte del Fondo che viene accantonata e redistribuita tra i comuni delle regioni a statuto ordinario secondo logiche di tipo perequativo, sulla base della differenza tra le capacità fiscali ed i fabbisogni standard;
    l'aggiustamento statistico si è reso necessario al fine di mitigare gli effetti della distribuzione tra i comuni della quota del 30 per cento del Fondo con il meccanismo della perequazione, in favore dei comuni che in sede di prima assegnazione hanno registrato un differenziale negativo tra la dotazione standard del Fondo di solidarietà comunale e la dotazione storica del Fondo in percentuale delle risorse complessive di riferimento inferiore o uguale al 2 per cento;
    secondo quanto definito nella Nota metodologica del Ministero dell'economia, facente parte integrante dell'Accordo del 24 marzo 2016 in sede di Conferenza Stato-Città e autonomie locali, la dotazione complessiva del Fondo di solidarietà dei comuni delle regioni a statuto ordinario è ripartita per una quota pari al 70 per cento (circa 1,9 mld) secondo il criterio di compensazione delle risorse storiche e per una quota pari al 30 per cento (563,3 milioni) secondo il criterio basato sulle risorse standard, a cui si aggiunge il rimborso relativo alle agevolazioni/esenzioni IMU e TASI disposte dalla legge di stabilità (3,5 mld);
    dunque, da un lato, a fronte di un così ampio spettro di esclusione dalle sanzioni non corrisponde, però, alcun regime premiale per i comuni virtuosi che, operando una razionale ed oculata gestione delle proprie risorse, hanno invece rispettato i patti di stabilità contribuendo al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica derivanti dalla normativa interna e dall'appartenenza dell'Italia alla zona euro;
    dall'altro, il criterio basato su risorse standard rimane sempre comunque minoritario;
    al fine di addivenire alla migliore gestione finanziaria possibile, il superamento del patto di stabilità andrebbe accompagnato ad una serie di altri provvedimenti in merito ad una più razionale riduzione e ad un mirato contenimento della spesa pubblica generale, recuperando gli sprechi per indirizzare così le risorse reperite in investimenti utili al bene dell'intera collettività;
    la pubblica amministrazione è il fronte sul quale va combattuta la principale battaglia per l'efficienza e il risparmio: il tasso di spreco medio è nell'ordine del 20-25 per cento, il che significa che, se si adottassero pratiche incisive, si potrebbero risparmiare almeno 100 miliardi l'anno;
    gli sprechi della pubblica amministrazione non possono e non devono essere attribuiti soltanto ed esclusivamente alle situazioni patologiche di illegalità e incuria, ma anche nelle situazioni di normalità, a causa di una gestione non ottimale (o meglio non professionale) dell'azione amministrativa. Parliamo, ovviamente di situazioni nelle quali la spesa, sebbene utilizzata dagli attori per finalità pubbliche, non è impiegata nel modo migliore, più produttivo e più efficace, a causa di un approccio non rigoroso, sul piano del metodo, alla progettazione delle politiche e dei servizi pubblici;
    la riforma del federalismo fiscale segna una svolta senza precedenti nel nostro sistema previsto nella legge 42 del 2009 di attuazione della delega costituzionale sul federalismo dell'articolo 119 della Costituzione, ma mai attuata. Una riforma che contiene un rinnovato corpus volto a definire un sistema di finanza multilivello che declina in modo nuovo ed originale i rapporti tra Stato, Autonomie ed Unione europea, al fine di assicurare un coordinamento unitario e coerente non solo della finanza pubblica, ma delle stesse politiche pubbliche che si dipanano oggi tra i diversi livelli di governo;
    per poter tagliare la spesa in maniera selettiva occorre rispettare un principio basilare che è quello dell'individuazione dei fabbisogni standard e dell'applicazione consequenziale dei costi standard;
    i tagli non devono essere previsti sui bilanci consuntivi ma su quelli preventivi, cosa che ad oggi non viene fatta. Il passaggio dalla spesa storica al costo standard orienterà la politica delle amministrazioni verso una nuova logica meritocratica che eviti le note inefficienze del passato;
    è necessario attivare il circuito della responsabilità, favorendo la trasparenza delle decisioni di spesa e la loro imputabilità attraverso il pieno compimento del passaggio dalla spesa storica (che finanzia servizi e sprechi) al costo/fabbisogno standard (che finanzia i servizi) al fine di garantire un elevatissimo grado di solidarietà e di gestione responsabile del pubblico denaro,
    neanche la riforma costituzionale che il Governo ha portato avanti assicura una effettiva e certa applicazione di questi indicatori, perché il coordinato disposto dei nuovi articoli 70 e 117, con il conferimento alla potestà legislativa esclusiva statale della materia del coordinamento della finanza pubblica, senza procedimento legislativo bicamerale, se sommato all'impatto che la legge costituzionale n. 1 del 2012 e che la legge rinforzata n. 243 del 2012 hanno avuto sull'impianto dell'autonomia finanziaria locale, vedrà ridursi, ancor più, la possibilità di manovra delle istanze territoriali in nome del rispetto, prima, del patto di bilancio e del raggiungimento, oggi, del pareggio di bilancio, segnando un'ulteriore battuta d'arresto del federalismo fiscale,

impegna il Governo

ad implementare, attraverso la previsione di provvedimenti ad hoc o anche attraverso i prossimi provvedimenti utili, la riforma del federalismo fiscale al fine di completare l'attuazione del nuovo articolo 119 che prevede non soltanto l'equilibrio dei bilanci degli enti locali e territoriali, nel rispetto dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea, ma anche l'autonomia di entrata e di spesa di cui non è mai stata completata l'attuazione, come specificato in premessa.
9/3926-A-R/102Giancarlo Giorgetti, Guidesi, Simonetti, Saltamartini.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 7 del provvedimento stabilisce una completa rideterminazione delle sanzioni per le città metropolitane, le province e i comuni che non hanno rispettato il patto di stabilità interno nell'anno 2015;
    il nuovo articolo ora prevede l'attenuazione delle sanzioni previste a carico delle città metropolitane e delle province delle regioni a statuto ordinario e delle Regioni Siciliana e Sardegna che non hanno rispettato il Patto di stabilità interno per l'anno 2015, escludendo in particolare l'applicazione della sanzione consistente nella riduzione delle risorse del fondo sperimentale di riequilibrio o del fondo perequativo;
    prevede poi l'esclusione, a decorrere dal 2016, della possibilità di sanzionare province e regioni a statuto ordinario non rispettosi del patto stabilità fino al 2015;
    prevede altresì una serie di esclusioni, per i comuni, dall'applicazione delle sanzioni, quali la sanzione riguardante le risorse del fondo sperimentale di riequilibrio o del fondo perequativo, la cui riduzione deve essere pari al 30 per cento della differenza tra il saldo obiettivo del 2015 e il saldo conseguito nello stesso anno;
    sono stati infine esclusi dalle sanzioni anche i comuni che hanno sforato il patto, ma che risultano estinti in seguito a fusioni e la possibilità, per le province e le città metropolitane che non hanno rispettato patto di stabilità 2015, di erogare, nel 2016, le risorse aggiuntive, già previste nel bilancio di previsione 2015, destinate alla contrattazione integrativa, seppur nei limiti stabiliti dalla contrattazione nazionale e nei limiti dei parametri di virtuosità fissati per la spesa di personale dalle vigenti disposizioni;
    l'unica disciplina ragionevole riguardante l'esclusione dalle sanzioni sembra essere quella che prevede l'eliminazione del divieto di assunzioni per i comuni che hanno rispettato il patto di stabilità interno per l'anno 2015, ma che hanno trasmesso in ritardo la certificazione attestante il rispetto del patto, purché l'abbiano fatto entro il 30 aprile 2016;
    contestualmente l'articolo 1, recante norme in tema di Fondo di solidarietà comunale interviene sulle modalità di ripartizione della quota parte del Fondo che viene accantonata e redistribuita tra i comuni delle regioni a statuto ordinario secondo logiche di tipo perequativo, sulla base della differenza tra le capacità fiscali ed i fabbisogni standard;
    l'aggiustamento statistico si è reso necessario al fine di mitigare gli effetti della distribuzione tra i comuni della quota del 30 per cento del Fondo con il meccanismo della perequazione, in favore dei comuni che in sede di prima assegnazione hanno registrato un differenziale negativo tra la dotazione standard del Fondo di solidarietà comunale e la dotazione storica del Fondo in percentuale delle risorse complessive di riferimento inferiore o uguale al 2 per cento;
    secondo quanto definito nella Nota metodologica del Ministero dell'economia, facente parte integrante dell'Accordo del 24 marzo 2016 in sede di Conferenza Stato-Città e autonomie locali, la dotazione complessiva del Fondo di solidarietà dei comuni delle regioni a statuto ordinario è ripartita per una quota pari al 70 per cento (circa 1,9 mld) secondo il criterio di compensazione delle risorse storiche e per una quota pari al 30 per cento (563,3 milioni) secondo il criterio basato sulle risorse standard, a cui si aggiunge il rimborso relativo alle agevolazioni/esenzioni IMU e TASI disposte dalla legge di stabilità (3,5 mld);
    dunque, da un lato, a fronte di un così ampio spettro di esclusione dalle sanzioni non corrisponde, però, alcun regime premiale per i comuni virtuosi che, operando una razionale ed oculata gestione delle proprie risorse, hanno invece rispettato i patti di stabilità contribuendo al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica derivanti dalla normativa interna e dall'appartenenza dell'Italia alla zona euro;
    dall'altro, il criterio basato su risorse standard rimane sempre comunque minoritario;
    al fine di addivenire alla migliore gestione finanziaria possibile, il superamento del patto di stabilità andrebbe accompagnato ad una serie di altri provvedimenti in merito ad una più razionale riduzione e ad un mirato contenimento della spesa pubblica generale, recuperando gli sprechi per indirizzare così le risorse reperite in investimenti utili al bene dell'intera collettività;
    la pubblica amministrazione è il fronte sul quale va combattuta la principale battaglia per l'efficienza e il risparmio: il tasso di spreco medio è nell'ordine del 20-25 per cento, il che significa che, se si adottassero pratiche incisive, si potrebbero risparmiare almeno 100 miliardi l'anno;
    gli sprechi della pubblica amministrazione non possono e non devono essere attribuiti soltanto ed esclusivamente alle situazioni patologiche di illegalità e incuria, ma anche nelle situazioni di normalità, a causa di una gestione non ottimale (o meglio non professionale) dell'azione amministrativa. Parliamo, ovviamente di situazioni nelle quali la spesa, sebbene utilizzata dagli attori per finalità pubbliche, non è impiegata nel modo migliore, più produttivo e più efficace, a causa di un approccio non rigoroso, sul piano del metodo, alla progettazione delle politiche e dei servizi pubblici;
    la riforma del federalismo fiscale segna una svolta senza precedenti nel nostro sistema previsto nella legge 42 del 2009 di attuazione della delega costituzionale sul federalismo dell'articolo 119 della Costituzione, ma mai attuata. Una riforma che contiene un rinnovato corpus volto a definire un sistema di finanza multilivello
che declina in modo nuovo ed originale i rapporti tra Stato, Autonomie ed Unione europea, al fine di assicurare un coordinamento unitario e coerente non solo della finanza pubblica, ma delle stesse politiche pubbliche che si dipanano oggi tra i diversi livelli di governo;
    per poter tagliare la spesa in maniera selettiva occorre rispettare un principio basilare che è quello dell'individuazione dei fabbisogni standard e dell'applicazione consequenziale dei costi standard;
    i tagli non devono essere previsti sui bilanci consuntivi ma su quelli preventivi, cosa che ad oggi non viene fatta. Il passaggio dalla spesa storica al costo standard orienterà la politica delle amministrazioni verso una nuova logica meritocratica che eviti le note inefficienze del passato;
    è necessario attivare il circuito della responsabilità, favorendo la trasparenza delle decisioni di spesa e la loro imputabilità attraverso il pieno compimento del passaggio dalla spesa storica (che finanzia servizi e sprechi) al costo/fabbisogno standard (che finanzia i servizi) al fine di garantire un elevatissimo grado di solidarietà e di gestione responsabile del pubblico denaro,
    neanche la riforma costituzionale che il Governo ha portato avanti assicura una effettiva e certa applicazione di questi indicatori, perché il coordinato disposto dei nuovi articoli 70 e 117, con il conferimento alla potestà legislativa esclusiva statale della materia del coordinamento della finanza pubblica, senza procedimento legislativo bicamerale, se sommato all'impatto che la legge costituzionale n. 1 del 2012 e che la legge rinforzata n. 243 del 2012 hanno avuto sull'impianto dell'autonomia finanziaria locale, vedrà ridursi, ancor più, la possibilità di manovra delle istanze territoriali in nome del rispetto, prima, del patto di bilancio e del raggiungimento, oggi, del pareggio di bilancio, segnando un'ulteriore battuta d'arresto del federalismo fiscale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di implementare, attraverso la previsione di provvedimenti ad hoc o anche attraverso i prossimi provvedimenti utili, la riforma del federalismo fiscale al fine di completare l'attuazione del nuovo articolo 119 che prevede non soltanto l'equilibrio dei bilanci degli enti locali e territoriali, nel rispetto dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea, ma anche l'autonomia di entrata e di spesa di cui non è mai stata completata l'attuazione, come specificato in premessa.
9/3926-A-R/102. (Testo modificato nel corso della seduta).  Giancarlo Giorgetti, Guidesi, Simonetti, Saltamartini.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 7 del provvedimento stabilisce una completa rideterminazione delle sanzioni per le città metropolitane, le province e i comuni che non hanno rispettato il patto di stabilità interno nell'anno 2015;
    il nuovo articolo ora prevede l'attenuazione delle sanzioni previste a carico delle città metropolitane e delle province delle regioni a statuto ordinario e delle Regioni Siciliana e Sardegna che non hanno rispettato il Patto di stabilità interno per l'anno 2015, escludendo in particolare l'applicazione della sanzione consistente nella riduzione delle risorse del fondo sperimentale di riequilibrio o del fondo perequativo;
    prevede poi l'esclusione, a decorrere dal 2016, della possibilità di sanzionare province e regioni a statuto ordinario non rispettosi del patto stabilità fino al 2015;
    prevede altresì una serie di esclusioni, per i comuni, dall'applicazione delle sanzioni, quali la sanzione riguardante le risorse del fondo sperimentale di riequilibrio o del fondo perequativo, la cui riduzione deve essere pari al 30 per cento della differenza tra il saldo obiettivo del 2015 e il saldo conseguito nello stesso anno;
    sono stati infine esclusi dalle sanzioni anche i comuni che hanno sforato il patto, ma che risultano estinti in seguito a fusioni e la possibilità, per le province e le città metropolitane che non hanno rispettato patto di stabilità 2015, di erogare, nel 2016, le risorse aggiuntive, già previste nel bilancio di previsione 2015, destinate alla contrattazione integrativa, seppur nei limiti stabiliti dalla contrattazione nazionale e nei limiti dei parametri di virtuosità fissati per la spesa di personale dalle vigenti disposizioni;
    l'unica disciplina ragionevole riguardante l'esclusione dalle sanzioni sembra essere quella che prevede l'eliminazione del divieto di assunzioni per i comuni che hanno rispettato il patto di stabilità interno per l'anno 2015, ma che hanno trasmesso in ritardo la certificazione attestante il rispetto del patto, purché l'abbiano fatto entro il 30 aprile 2016;
    a fronte di un così ampio spettro di esclusione dalle sanzioni non corrisponde, però, alcun regime premiale per i comuni virtuosi che, operando una razionale ed oculata gestione delle proprie risorse, hanno invece rispettato i patti di stabilità contribuendo al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica derivanti dalla normativa interna e dall'appartenenza dell'Italia alla zona euro,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative volte a introdurre una disciplina premiale per le province, le città metropolitane e le regioni che hanno invece rispettato il patto di stabilità interno nell'anno 2015, anche attraverso l'aumento del Fondo di solidarietà comunale, ripartito secondo i criteri previsti dal comma 380-ter, lettera b), dell'articolo 1, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, tenuto anche conto del residuo fiscale positivo, al fine di premiare altresì i Comuni che presentano un residuo fiscale positivo.
9/3926-A-R/103Guidesi, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    nel presente provvedimento l'articolo 7-bis riassegna 48 milioni di euro, dal Fondo per il federalismo amministrativo, alle province delle regioni a statuto ordinario per svolgimento delle funzioni fondamentali prevista dalla legge n. 56 del 2014 (cosiddetta legge Delrio) e assegna alle medesime province, per il 2016, i fondi previsti nella stabilità 2016 per gli accordi ANAS, per destinarli ad attività di manutenzione straordinaria della rete viaria;
    nel provvedimento è stato inoltre modificato l'articolo 8 al fine di ripartire tra le province e le città metropolitane delle regioni a statuto ordinario l'ammontare della ulteriore riduzione della spesa corrente che grava nei confronti di tali enti per l'anno 2016, rispetto al taglio operato nel 2015 che rimane in vigore;
    il taglio incrementale per il 2016 è quantificato in complessivi 900 milioni di euro rispetto al 2015 e ripartito nella misura di cui 650 milioni a carico degli enti di area vasta e delle province montane e 250 milioni, a carico delle città metropolitane e di Reggio Calabria;
    è stata infine inserita una modifica proposta dal Governo riguardante: la riduzione della spesa corrente che ciascuna provincia e città metropolitana deve conseguire nel 2016 e del relativo versamento; l'ammontare del contributo a favore di ciascuna provincia e città metropolitana per il 2016 e l'ammontare della quota del 66 per cento del fondo di 60 milioni di euro previsto in stabilità 2016 a favore di ciascuna provincia delle regioni a statuto ordinario;
    in tema di riduzione della spesa, risparmio e gestione oculata delle risorse pubbliche, il settore in cui è maggiormente possibile ottenere questi risultati, che si aggiungono alla necessità di gestire in maniera adeguata e razionale i soldi che i cittadini versano nelle casse dello Stato sotto forma di tributi e che una buona responsabilità politica impone di governare nel miglior modo possibile, è proprio l'ambito della pubblica amministrazione in cui gli sprechi non possono e non devono essere attribuiti soltanto ed esclusivamente alle situazioni patologiche di illegalità e incuria, ma anche nelle situazioni di normalità, a causa di una gestione non ottimale (o meglio non professionale) dell'azione amministrativa;
    la spesa pubblica del nostro Paese è cresciuta progressivamente negli ultimi anni, fino ad attestarsi al 50,5 per cento del PIL nel 2015, e che il Governo punta a diminuire fino al 46,7 per cento nel 2019, senza però mettere in atto una efficace riforma del sistema tributario e un complessivo intervento razionale di spending review: non saranno infatti sufficienti né i decreti attuativi della riforma della Pubblica Amministrazione né quelli della delega fiscale, se non accompagnati da un effettivo ridimensionamento dell'apparato statale centrale e periferico,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di adottare future specifiche iniziative legislative allo scopo di contenere le spese dell'Amministrazione del Ministero dell'interno, sopprimendo le Prefetture-Uffici territoriali del Governo, prevedendo, contestualmente, l'attribuzione delle funzioni esercitate dai Prefetti in relazione al mantenimento dell'ordine pubblico ai questori territorialmente competenti.
9/3926-A-R/104Caparini, Guidesi, Simonetti, Saltamartini, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    valutate le diverse e disomogenee norme in esso contenute, tra le quali l'articolo 13-ter in materia di riduzione dell'addizionale comunale sui diritto di imbarco per il 2016, volta a ridurre gli oneri a carico dei passeggeri;
    ricordata la necessità, con riguardo agli oneri derivanti da addizionali come quella citata, di chiarire la portata delle norme relative all'imposta di soggiorno ed al contributo di sbarco su isole minori;
    rammentato, infatti, che l'articolo 4 comma 2-bis, della legge n. 44 del 2012, di conversione del decreto-legge n. 16 del 2012, nell'inserire all'articolo 4 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, il comma 3-bis, ha previsto che «I comuni che hanno sede giuridica nelle isole minori e i comuni nel cui territorio insistono isole minori possono istituire, con regolamento da adottare ai sensi dell'articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni, in alternativa all'imposta di soggiorno (...) un'imposta di sbarco (...)»;
    considerato, pertanto, che se il comune esercita l'opzione di istituire l'imposta di sbarco, la stessa deve essere applicata ogni qualvolta si verifichi il suo presupposto, vale a dire obbligatoriamente lo sbarco in un'isola minore con relativa riscossione da parte delle compagnie di navigazione di linea contestualmente all'emissione del biglietto;
    ritenuto, di contro, che ove il comune deliberi, l'istituzione dell'imposta di soggiorno, anziché l'imposta di sbarco, la stessa deve essere applicata nei confronti di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio, nel rispetto di quanto previsto dal citato articolo 4 del decreto legislativo n. 23 del 2011;
    ricordato che in passato il MEF ha impugnato un regolamento istitutivo dell'imposta di sbarco e che il Tar Toscana ha considerato viziate tutte le previsioni regolamentari che estendono l'applicazione dell'imposta di sbarco ad ogni persona fisica che raggiunge isole minori non già con traghetti di linea, bensì con altri vettori pubblici e/o privati,

impegna il Governo

a chiarire, nelle more di attuazione del provvedimento in oggetto e nell'ambito delle proprie competenze, che per i comuni nel cui territorio insistono isole minori, l'alternatività del contributo di sbarco rispetto alla tassa di soggiorno, richiamata in premessa, riguarda solo coloro che soggiornano nelle medesime isole e non sulla terraferma.
9/3926-A-R/105Simonetti, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    valutate le diverse e disomogenee norme in esso contenute, tra le quali l'articolo 13-ter in materia di riduzione dell'addizionale comunale sui diritto di imbarco per il 2016, volta a ridurre gli oneri a carico dei passeggeri;
    ricordata la necessità, con riguardo agli oneri derivanti da addizionali come quella citata, di chiarire la portata delle norme relative all'imposta di soggiorno ed al contributo di sbarco su isole minori;
    rammentato, infatti, che l'articolo 4 comma 2-bis, della legge n. 44 del 2012, di conversione del decreto-legge n. 16 del 2012, nell'inserire all'articolo 4 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, il comma 3-bis, ha previsto che «I comuni che hanno sede giuridica nelle isole minori e i comuni nel cui territorio insistono isole minori possono istituire, con regolamento da adottare ai sensi dell'articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni, in alternativa all'imposta di soggiorno (...) un'imposta di sbarco (...)»;
    considerato, pertanto, che se il comune esercita l'opzione di istituire l'imposta di sbarco, la stessa deve essere applicata ogni qualvolta si verifichi il suo presupposto, vale a dire obbligatoriamente lo sbarco in un'isola minore con relativa riscossione da parte delle compagnie di navigazione di linea contestualmente all'emissione del biglietto;
    ritenuto, di contro, che ove il comune deliberi, l'istituzione dell'imposta di soggiorno, anziché l'imposta di sbarco, la stessa deve essere applicata nei confronti di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio, nel rispetto di quanto previsto dal citato articolo 4 del decreto legislativo n. 23 del 2011;
    ricordato che in passato il MEF ha impugnato un regolamento istitutivo dell'imposta di sbarco e che il Tar Toscana ha considerato viziate tutte le previsioni regolamentari che estendono l'applicazione dell'imposta di sbarco ad ogni persona fisica che raggiunge isole minori non già con traghetti di linea, bensì con altri vettori pubblici e/o privati,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di chiarire, nelle more di attuazione del provvedimento in oggetto e nell'ambito delle proprie competenze, che per i comuni nel cui territorio insistono isole minori, l'alternatività del contributo di sbarco rispetto alla tassa di soggiorno, richiamata in premessa, riguarda solo coloro che soggiornano nelle medesime isole e non sulla terraferma.
9/3926-A-R/105. (Testo modificato nel corso della seduta).  Simonetti, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 22 fa confluire in una contabilità speciale di una struttura commissariale, appositamente costituita, tutte le risorse ancora non impegnate destinate alla messa a norma delle discariche abusive oggetto della sentenza di condanna della Corte di Giustizia dell'Unione europea del 2 dicembre 2014;
    allo scopo di garantire la dotazione finanziaria necessaria per la realizzazione degli interventi di bonifica, la norma prevede la revoca delle risorse già trasferite alle regioni;
    in alcuni casi, il mancato impegno delle risorse dipende dalle difficoltà incontrate dalle regioni nella gestione operativa degli interventi di bonifica e risanamento ambientale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere disposizioni per permettere la prosecuzione delle procedure avviate ed il mantenimento delle correlate risorse alle regioni che, pur non avendo impegnato le risorse finanziarie di cui al comma 1, possono provare di aver attivato procedure per l'impegno e avviato le attività operative per la messa in sicurezza delle discariche oggetto di contestazione, secondo quanto indicato nella sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea del 2 dicembre 2014.
9/3926-A-R/106Busin, Guidesi, Saltamartini, Simonetti.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 6 prevede il differimento del rimborso dei finanziamenti contratti a seguito del sisma del 20 e 29 maggio 2012 nelle regioni dell'Emilia Romagna, Lombardia e Veneto, per il pagamento di tributi, contributi previdenziali e assistenziali e premi per l'assicurazione obbligatoria;
    nell'ambito delle prime misure adottate per far fronte all'emergenza terremoto si è provveduto a sospendere il pagamento dei tributi, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l'assicurazione obbligatoria;
    successivamente sono stati disposti finanziamenti agevolati in favore delle imprese e lavoratori autonomi per il pagamento di tali tributi, contributi previdenziali e premi, prevedendo la stipula di mutui con gli istituti di credito definendo apposite convenzioni tra la Cassa depositi e prestiti e l'Associazione bancaria italiana;
    la restituzione delle rate dei mutui è stata più volte prorogata coprendo la parte interessi con risorse statali;
    la proroga prevista dall'articolo 6 prevede il pagamento della rata in scadenza il 30 giugno 2016 al 31 ottobre 2016 e i pagamenti delle successive rate al 30 giugno e al 31 dicembre di ciascun anno, a decorrere dal 30 giugno 2017 e fino al 30 giugno 2020;
    il terremoto del 20 e 29 maggio 2012, di magnitudo 5,9, è stato devastante soprattutto per l'estensione del territorio colpito – che ha interessato la regione Emilia Romagna, per le province di Bologna, Modena, Ferrara, Reggio Emilia, la regione Lombardia, per la provincia di Mantova, la regione Veneto, per e la provincia di Rovigo – nonché per la durata della sequenza sismica e del ripetersi delle scosse che hanno tenuto in allarme gli abitanti della zona e le attività produttive per molti mesi;
    le aziende hanno avuto problemi enormi per risollevarsi, anche perché il periodo della ricostruzione è coinciso con uno dei periodi di crisi economica più gravi della nostra storia, pertanto la restituzione delle somme dovute, anche se rateizzate, rischia di compromettere la ripresa economica dell'area danneggiata,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere disposizioni volte a porre a carico dello Stato anche la parte capitale dei finanziamenti contratti con gli istituti di credito da parte dei soggetti danneggiati dal terremoto del maggio 2012, per il pagamento dei tributi contributi e premi assicurativi differiti.
9/3926-A-R/107Gianluca Pini, Guidesi, Saltamartini, Simonetti.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 29 del decreto legislativo 24 giugno 2015, n. 81, prevede una serie di esclusioni dal campo di applicazione del Capo III del decreto medesimo che disciplina il lavoro a tempo determinato, in quanto trattasi di rapporti di lavoro già regolati da specifiche normative;
    è di assoluta importanza assicurare il diritto all'educazione negli asili nido e nelle scuole dell'infanzia degli enti locali,

impegna il Governo

ad escludere dall'applicazione delle norme del suddetto Capo III, anche il personale educativo, insegnante ed ausiliario degli asili nido e delle scuole dell'infanzia degli enti locali, fermo restando il rispetto degli obiettivi del saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate e le spese finali e le norme di contenimento della spesa di personale.
9/3926-A-R/108Castiello, Guidesi, Simonetti, Saltamartini, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    preso atto che il provvedimento all'articolo 1-ter introduce di fatto il potere per i Prefetti di disporre l'attivazione di strutture di accoglienza temporanee esclusivamente per i minori non accompagnati di età inferiore ai 14 anni, in pratica, secondo gli ultimi dati disponibili dal Ministero dell'interno, ben il 92,4 per cento dei minori non accompagnati giunti nel nostro paese;
    rilevato che i minori stranieri non accompagnati al 15 luglio 2016 hanno raggiunto il numero di 11.520 e le principali nazionalità registrate sono quelle egiziana per il 21,5 per cento e gambiana per il 12,1 per cento;
    rilevato altresì che l'attuale sistema di accoglienza, così come ridefinito dal decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 ed in particolare quello dell'accoglienza in teoria temporanea, è ormai al collasso e fuori controllo, tanto che essendo le strutture destinate all'accoglienza ormai da tempo sature, gli stessi sindaci hanno chiesto ai rispettivi Prefetti di bloccare gli arrivi di ulteriori immigrati da ospitare nei loro comuni per ragioni attinenti anche alla sicurezza e alla pacifica convivenza,

impegna il Governo

ad attivare strutture ricettive temporanee, esclusivamente dedicate ai minori accompagnati, solo successivamente all'esito positivo della consultazione referendaria dei cittadini dei comuni interessati a cui abbia partecipato la maggioranza dei residenti aventi diritto al voto.
9/3926-A-R/109Invernizzi, Guidesi, Rondini, Simonetti, Saltamartini, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    preso atto che il provvedimento all'articolo 1-ter introduce di fatto il potere per i Prefetti di disporre l'attivazione di strutture di accoglienza temporanee esclusivamente per i minori non accompagnati di età inferiore ai 14 anni, in pratica, secondo gli ultimi dati disponibili dal Ministero dell'interno, ben il 92,4 per cento dei minori non accompagnati giunti nel nostro paese;
    rilevato che i minori stranieri non accompagnati al 15 luglio 2016 hanno raggiunto il numero di 11.520 e le principali nazionalità registrate sono quelle egiziana per il 21,5 per cento e gambiana per il 12,1 per cento;
    rilevato altresì che l'attuale sistema di accoglienza, così come ridefinito dal decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 ed in particolare quello dell'accoglienza in teoria temporanea, è ormai al collasso e fuori controllo, tanto che, essendo le strutture destinate all'accoglienza ormai da tempo sature, gli stessi sindaci hanno chiesto ai rispettivi Prefetti di bloccare gli arrivi di ulteriori immigrati da ospitare nei loro comuni per ragioni attinenti anche alla sicurezza e alla pacifica convivenza,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della disposizione richiamata in premessa, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte ad escludere dall'accoglienza nelle strutture ricettive temporanee i minore di età inferiore agli anni diciassette, nonché coloro che pur avendo un'età superiore agli anni diciassette ad inferiore agli anni 18, non abbiano presentato richiesta di protezione internazionale e non siano in possesso di idonea documentazione medica attestante l'assenza di patologie infettive in corso e l'accertamento della minore età.
9/3926-A-R/110Molteni, Rondini, Guidesi, Simonetti, Saltamartini.


   La Camera,
   premesso che:
    preso atto che il provvedimento all'articolo 1-ter introduce di fatto il potere per i Prefetti di disporre l'attivazione di strutture di accoglienza temporanee esclusivamente per i minori non accompagnati di età inferiore ai 14 anni, in pratica, secondo gli ultimi dati disponibili dal Ministero dell'interno, ben il 92,4 per cento dei minori non accompagnati giunti nel nostro paese;
    rilevato che i minori stranieri non accompagnati al 15 luglio 2016 hanno raggiunto il numero di 11.520 e le principali nazionalità registrate sono quelle egiziana per il 21,5 per cento e gambiana per il 12,1 per cento;
    rilevato altresì che l'attuale sistema di accoglienza, così come ridefinito dal decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 ed in particolare quello dell'accoglienza in teoria temporanea, è ormai al collasso e fuori controllo, tanto che, essendo le strutture destinate all'accoglienza ormai da tempo sature, gli stessi sindaci hanno chiesto ai rispettivi Prefetti di bloccare gli arrivi di ulteriori immigrati da ospitare nei loro comuni per ragioni attinenti anche alla sicurezza e alla pacifica convivenza,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della disposizione richiamata in premessa, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a disporre l'accoglienza nelle strutture ricettive temporanee solo se con capienza non oltre i 5 posti e non oltre il termine di quindici giorni e comunque non oltre il compimento del diciottesimo anno di età del minore.
9/3926-A-R/111Saltamartini, Guidesi, Rondini, Simonetti.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge 7 agosto 2015, n. 124, «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», all'articolo 8, comma 1, prevede l'istituzione del Numero Unico Europeo 112 su tutto il territorio nazionale con centrali operative da realizzare in ambito regionale, secondo le modalità definite con i Protocolli d'intesa adottati ai sensi dell'articolo 75-bis, comma 3, del Codice delle comunicazioni elettroniche;
    in base alla Legge «Madia» le centrali uniche di risposta del NUE 112 devono essere attivate e gestite dalle regioni sia in termini di realizzazione e avviamento che per la gestione a tempo indeterminato. Inoltre, le regioni, devono garantire il collegamento di queste ultime con le Centrali 118 integrandosi con il Soccorso tecnico (Vigili del Fuoco) e dalla Pubblica Sicurezza (Carabinieri e Polizia di Stato);
    l'avvio del servizio NUE 112 rappresenta un'opportunità importante per ridefinire, rendere omogeneo e rilanciare il Soccorso Sanitario sulla base di un unico standard dei Sistemi regionali 118 sul territorio nazionale;
    l'introduzione del NUE 112, infatti, permette il miglioramento del processo di gestione delle chiamate di soccorso sanitario e una conseguente riduzione del carico di lavoro telefonico in ingresso sulle Centrali Operative del 118 (appropriatezza) con la possibilità di ridefinire l'intero Sistema del Soccorso Sanitario prevedendo anche la riduzione/aggregazione delle Centrali 118 già esistenti accompagnato da un significativo risparmio dal punto di vista economico, un miglioramento complessivo della qualità del servizio, una maggiore sicurezza per il cittadino e il reinvestimento dei risparmi per rendere ancora più efficiente il Sistema di Soccorso Sanitario;
    la logica sottesa al decreto del Ministero della salute del 2 aprile 2015, n. 70 sugli standard dell'assistenza ospedaliera richiede da una parte l'estensione del Servizio 112 all'intero territorio nazionale attraverso la realizzazione delle CUR su base regionale e dall'altra una operazione di ottimizzazione dei bacini di utenza delle centrali 118 nazionali che non può che essere coordinata con l'estensione a tutto il territorio nazionale delle CUR,

impegna il Governo

a stanziare un finanziamento certo ed immediato al completamento del Servizio NUE 112 come previsto anche nel Patto per la Salute 2014-2016, in considerazione dell'esigenza di rendere interconnesse le Centrali 118 regionali con quelle degli ulteriori servizi di emergenza delle Amministrazioni centrali
9/3926-A-R/112Allasia, Rondini, Guidesi, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge 7 agosto 2015, n. 124, «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», all'articolo 8, comma 1, prevede l'istituzione del Numero Unico Europeo 112 su tutto il territorio nazionale con centrali operative da realizzare in ambito regionale, secondo le modalità definite con i Protocolli d'intesa adottati ai sensi dell'articolo 75-bis, comma 3, del Codice delle comunicazioni elettroniche;
    in base alla Legge «Madia» le centrali uniche di risposta del NUE 112 devono essere attivate e gestite dalle regioni sia in termini di realizzazione e avviamento che per la gestione a tempo indeterminato. Inoltre, le regioni, devono garantire il collegamento di queste ultime con le Centrali 118 integrandosi con il Soccorso tecnico (Vigili del Fuoco) e dalla Pubblica Sicurezza (Carabinieri e Polizia di Stato);
    l'avvio del servizio NUE 112 rappresenta un'opportunità importante per ridefinire, rendere omogeneo e rilanciare il Soccorso Sanitario sulla base di un unico standard dei Sistemi regionali 118 sul territorio nazionale;
    l'introduzione del NUE 112, infatti, permette il miglioramento del processo di gestione delle chiamate di soccorso sanitario e una conseguente riduzione del carico di lavoro telefonico in ingresso sulle Centrali Operative del 118 (appropriatezza) con la possibilità di ridefinire l'intero Sistema del Soccorso Sanitario prevedendo anche la riduzione/aggregazione delle Centrali 118 già esistenti accompagnato da un significativo risparmio dal punto di vista economico, un miglioramento complessivo della qualità del servizio, una maggiore sicurezza per il cittadino e il reinvestimento dei risparmi per rendere ancora più efficiente il Sistema di Soccorso Sanitario;
    la logica sottesa al decreto del Ministero della salute del 2 aprile 2015, n. 70 sugli standard dell'assistenza ospedaliera richiede da una parte l'estensione del Servizio 112 all'intero territorio nazionale attraverso la realizzazione delle CUR su base regionale e dall'altra una operazione di ottimizzazione dei bacini di utenza delle centrali 118 nazionali che non può che essere coordinata con l'estensione a tutto il territorio nazionale delle CUR,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di stanziare un finanziamento certo ed immediato al completamento del Servizio NUE 112 come previsto anche nel Patto per la Salute 2014-2016, in considerazione dell'esigenza di rendere interconnesse le Centrali 118 regionali con quelle degli ulteriori servizi di emergenza delle Amministrazioni centrali
9/3926-A-R/112. (Testo modificato nel corso della seduta).  Allasia, Rondini, Guidesi, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    come riportato da Aifa il meccanismo di ripiano del pay back nasce per venire incontro all'esigenza di una maggiore flessibilità del mercato farmaceutico, consentendo da un lato l'erogazione di risorse economiche alle regioni a sostegno della spesa farmaceutica di ciascuna, e dall'altro l'opportunità per le aziende farmaceutiche di effettuare le scelte sui prezzi dei loro farmaci, sulla base delle proprie strategie di intervento sul mercato;
    è stato previsto con norma della Finanziaria 2007 e permette ai le aziende farmaceutiche di chiedere all'Aifa la sospensione della riduzione dei prezzi del 5 per cento, a fronte dei contestuale versamento in contanti (pay back) del relativo valore su appositi conti correnti individuati dalle Regioni;
    il comma 1 dell'articolo 1 della determinazione Aifa del 27 settembre 2006 disponeva la riduzione del 5 per cento del prezzo al pubblico dei farmaci. Successivamente, la Finanziaria 2007 n. 296 del 27 dicembre 2006, al comma 796 lettera g) dell'articolo 1, disponeva la possibilità per le aziende di sospendere l'effetto di riduzione del 5 per cento del prezzo al pubblico precedentemente introdotto, previo anticipo diretto alle regioni del valore corrispondente al 5 per cento. Pertanto, il valore del pay-back è sempre determinato sul prezzo al pubblico (o il prezzo massimo di cessione) e non sul prezzo a carico del SSN, ovvero indipendentemente dall'eventuale presenza di concomitanti sconti obbligatori a carico del produttore per la cessione alle strutture sanitarie pubbliche;
    l'applicazione della normativa vigente in materia di pay-back è stata di fatto paralizzata dalle sentenze del far Lazio che hanno annullato le richieste che l'Aifa ha inviato alle aziende farmaceutiche (e ai farmacisti e grossisti) per il ripiano degli sfondamenti registrati nella spesa farmaceutica ospedaliera e territoriale nell'anno 2013. Queste sentenze hanno determinato non solo l'impossibilità per Aifa di procedere con le richieste di ripiano, ma anche la sospensione dell'attività di programmazione dell'Agenzia stessa: per il 2014, infatti non sono stati più comunicati i budget definitivi delle aziende (e quindi Aifa non ha poi verificato l'eventuale sfondamento dei tetti e, conseguentemente, gli obblighi di ripiano), e nel 2015 non sono stati inviati nemmeno i budget provvisori,

impegna il Governo

a predisporre tutti gli atti normativi necessari affinché garantisca l'effettiva costante copertura del Fondo per il pay back 2013-2014-2015, al fine di consentire il rientro di crediti alle regioni le cui poste sono state già iscritte in bilancio, soprattutto con la certezza che i trasferimenti avvengano prima della redazione dei bilanci annuali delle stesse.
9/3926-A-R/113Rondini, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    come riportato da Aifa il meccanismo di ripiano del pay back nasce per venire incontro all'esigenza di una maggiore flessibilità del mercato farmaceutico, consentendo da un lato l'erogazione di risorse economiche alle regioni a sostegno della spesa farmaceutica di ciascuna, e dall'altro l'opportunità per le aziende farmaceutiche di effettuare le scelte sui prezzi dei loro farmaci, sulla base delle proprie strategie di intervento sul mercato;
    è stato previsto con norma della Finanziaria 2007 e permette ai le aziende farmaceutiche di chiedere all'Aifa la sospensione della riduzione dei prezzi del 5 per cento, a fronte dei contestuale versamento in contanti (pay back) del relativo valore su appositi conti correnti individuati dalle Regioni;
    il comma 1 dell'articolo 1 della determinazione Aifa del 27 settembre 2006 disponeva la riduzione del 5 per cento del prezzo al pubblico dei farmaci. Successivamente, la Finanziaria 2007 n. 296 del 27 dicembre 2006, al comma 796 lettera g) dell'articolo 1, disponeva la possibilità per le aziende di sospendere l'effetto di riduzione del 5 per cento del prezzo al pubblico precedentemente introdotto, previo anticipo diretto alle regioni del valore corrispondente al 5 per cento. Pertanto, il valore del pay-back è sempre determinato sul prezzo al pubblico (o il prezzo massimo di cessione) e non sul prezzo a carico del SSN, ovvero indipendentemente dall'eventuale presenza di concomitanti sconti obbligatori a carico del produttore per la cessione alle strutture sanitarie pubbliche;
    l'applicazione della normativa vigente in materia di pay-back è stata di fatto paralizzata dalle sentenze del far Lazio che hanno annullato le richieste che l'Aifa ha inviato alle aziende farmaceutiche (e ai farmacisti e grossisti) per il ripiano degli sfondamenti registrati nella spesa farmaceutica ospedaliera e territoriale nell'anno 2013. Queste sentenze hanno determinato non solo l'impossibilità per Aifa di procedere con le richieste di ripiano, ma anche la sospensione dell'attività di programmazione dell'Agenzia stessa: per il 2014, infatti non sono stati più comunicati i budget definitivi delle aziende (e quindi Aifa non ha poi verificato l'eventuale sfondamento dei tetti e, conseguentemente, gli obblighi di ripiano), e nel 2015 non sono stati inviati nemmeno i budget provvisori,

impegna il Governo

a garantire che le risorse connesse all'attuazione delle procedure di cui all'articolo 21 siano integralmente trasferite al fondo di cui al comma 23 dello stesso articolo, al perfezionamento delle procedure pay back.
9/3926-A-R/113. (Testo modificato nel corso della seduta).  Rondini, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legislativo n. 61 dell'8 aprile 2010 « Tutela delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche dei vini, in attuazione dell'articolo 15 della legge n. 88 del 7 luglio 2009» concerne la disciplina della gestione degli esuberi di produzione dei vini a denominazione di origine protetta;
    è in corso di esame in questo ramo del Parlamento il disegno di legge recante « Disciplina della coltivazione della vite e della produzione e del commercio del vino» (cosiddetto testo unico del vino), testo, peraltro, condiviso dal Ministero delle politiche agricole e da tutte le organizzazioni rappresentanti della filiera vitivinicola;
    i tempi sono ancora incerti rispetto all'iter di approvazione del suddetto testo, la cui entrata in vigore, con molta probabilità, non coinciderà con la prossima vendemmia;
    sarebbe necessario autorizzare la possibilità di destinare l'esubero di produzione di un vino a DO alla produzione di un altro vino a DO, nel rispetto della resa massima di uva prevista nel disciplinare della DOC o IGT di destinazione e nel rispetto della resa massima di trasformazione prevista nel disciplinare di produzione del vino a DOP di destinazione,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative volte ad introdurre la disposizione esposta in premessa, contenuta nel cosiddetto testo unico sul vino, al fine di consentire alle aziende di poter beneficiare, già a partire dalla vendemmia 2016, delle innovazioni già inserite nel cosiddetto «Testo Unico» e strettamente legate alla corretta gestione dei superi di produzione.
9/3926-A-R/114Attaguile, Guidesi, Saltamartini, Simonetti, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legislativo n. 61 del 2010 dell'8 aprile 2010 « Tutela delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche dei vini, in attuazione dell'articolo 15 della legge n. 88 del 7 luglio 2009» concerne la disciplina della gestione degli esuberi di produzione dei vini a denominazione di origine protetta;
    è in corso di esame in questo ramo del Parlamento il disegno di legge recante «Disciplina della coltivazione della vite e della produzione e del commercio del vino» (cosiddetto testo unico del vino), testo, peraltro, condiviso dal Ministero delle politiche agricole e da tutte le organizzazioni rappresentanti della filiera vitivinicola;
    i tempi sono ancora incerti rispetto all'iter di approvazione del suddetto testo, la cui entrata in vigore, con molta probabilità, non coinciderà con la prossima vendemmia;
    esiste la necessità ed urgenza, da parte di alcune produzioni vitivinicole di primaria importanza nazionale, di poter disporre sin dalla prossima vendemmia dello strumento di valorizzazione dell'esubero,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative volte ad introdurre la disposizione, contenuta nel cosiddetto testo unico sul vino, che prevede la possibilità di consentire la destinazione dell'esubero di produzione di un vino DOC anche ad altre produzioni di origine controllata, ferme restando il rispetto delle condizioni e dei requisiti dei relativi disciplinari di produzione.
9/3926-A-R/115Borghesi, Guidesi, Saltamartini, Simonetti, Palese.