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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Mercoledì 27 aprile 2016

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 27 aprile 2016.

  Roberta Agostini, Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amendola, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Calabria, Capelli, Casero, Castiglione, Catania, Causin, Antimo Cesaro, Cicchitto, Cirielli, Costa, D'Alia, Dadone, Dambruoso, Damiano, De Micheli, Del Basso De Caro, Dell'Orco, Dellai, Di Gioia, Faraone, Fedriga, Ferranti, Ferrara, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Fraccaro, Franceschini, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Lorenzo Guerini, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Mazziotti Di Celso, Merlo, Migliore, Orlando, Piccoli Nardelli, Gianluca Pini, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Schullian, Scopelliti, Scotto, Sereni, Speranza, Tabacci, Tofalo, Valeria Valente, Velo, Vignali, Villecco Calipari, Zampa, Zanetti.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

  Roberta Agostini, Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amendola, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Calabria, Capelli, Casero, Castiglione, Catania, Causin, Antimo Cesaro, Centemero, Cicchitto, Cirielli, Costa, D'Alia, Dadone, Dambruoso, Damiano, De Micheli, Del Basso De Caro, Dell'Orco, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Faraone, Fedriga, Ferranti, Ferrara, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Fraccaro, Franceschini, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Lorenzo Guerini, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Mazziotti Di Celso, Merlo, Migliore, Orlando, Piccoli Nardelli, Gianluca Pini, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scanu, Schullian, Scopelliti, Scotto, Sereni, Speranza, Tabacci, Tofalo, Valeria Valente, Velo, Vignali, Villecco Calipari, Zampa, Zanetti.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 26 aprile 2016 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di legge d'iniziativa dei deputati:
   MOLTENI ed altri: «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa e di aggravamento delle pene per i reati di furto in abitazione e furto con strappo» (3777).

  Sarà stampata e distribuita.

Annunzio di proposte di legge d'iniziativa regionale.

  In data 26 aprile 2016 è stata presentata alla Presidenza, ai sensi dell'articolo 121 della Costituzione, la seguente proposta di legge:
   PROPOSTA DI LEGGE D'INIZIATIVA DEL CONSIGLIO REGIONALE DEL VENETO: «Istituzione dell'imposta regionale sul reddito (IRER)» (3778).

  Sarà stampata e distribuita.

  Trasmissioni dal Senato.

  In data 26 aprile 2016 il Presidente del Senato ha trasmesso alla Presidenza la seguente proposta di legge:
   S. 1949. – VERINI ed altri: «Ratifica ed esecuzione della Convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea, fatta a Bruxelles il 29 maggio 2000, e delega al Governo per la sua attuazione. Delega al Governo per la riforma del libro XI del codice di procedura penale. Modifiche alle disposizioni in materia di estradizione per l'estero: termine per la consegna e durata massima delle misure coercitive» (approvata dalla Camera e modificata dal Senato) (1460-B).

  Sarà stampata e distribuita.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
   I Commissione (Affari costituzionali):
  S. 2192. – «Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l'Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, in attuazione dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione» (approvato dal Senato) (3773) Parere delle Commissioni II, IV, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, VIII e XII.

   II Commissione (Giustizia):
  ERMINI ed altri: «Delega al Governo per la soppressione delle commissioni tributarie provinciali e regionali e per l'istituzione di sezioni specializzate tributarie presso i tribunali ordinari» (3734) Parere delle Commissioni I, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento) e XI.

   III Commissione (Affari esteri):
  S. 2099. – «Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo del Regno hascemita di Giordania sulla cooperazione nel settore della difesa, fatto a Roma il 29 aprile 2015» (approvato dal Senato) (3765) Parere delle Commissioni I, II, IV, V e X;
  S. 2107. – «Ratifica ed esecuzione dell'Accordo fra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica socialista del Vietnam di cooperazione nella lotta alla criminalità, fatto a Roma il 9 luglio 2014» (approvato dal Senato) (3766) Parere delle Commissioni I, II e V;
  S. 2185. – «Ratifica ed esecuzione dell'Accordo sulla cooperazione di polizia e doganale tra il Governo della Repubblica italiana e il Consiglio federale svizzero, fatto a Roma il 14 ottobre 2013» (approvato dal Senato) (3767) Parere delle Commissioni I, II, V, VI, VIII, IX e XIV;
  S. 2193. – «Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo del Principato di Andorra sullo scambio di informazioni in materia fiscale, fatto a Madrid il 22 settembre 2015» (approvato dal Senato) (3768) Parere delle Commissioni I, II, V e VI.

   XI Commissione (Lavoro):
  RIBAUDO ed altri: «Introduzione dell'articolo 1-bis del decreto legislativo 21 aprile 2011, n. 67, e altre disposizioni in materia di accesso anticipato al pensionamento per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti nel settore agricolo e forestale» (3682) Parere delle Commissioni I, V, XIII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

   Commissioni riunite VIII (Ambiente) e X (Attività produttive):
  ROSSOMANDO ed altri: «Modifica alla tabella A allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, per la riduzione dell'aliquota dell'imposta sul valore aggiunto relativa ai beni usati e altre disposizioni per la promozione delle attività volte al loro recupero e reimpiego» (3696) Parere delle Commissioni I, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale), XII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
  SCOTTO ed altri: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività di estrazione petrolifera nella Val d'Agri e di smaltimento dei relativi rifiuti» (3722) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), III, V e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Trasmissione dalla Corte dei conti.

  Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 21 aprile 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Autorità portuale di Ravenna, per gli esercizi 2013 e 2014. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 381).
  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla IX Commissione (Trasporti).

Trasmissione dal Ministro della difesa.

  Il Ministro della difesa, con lettera del 26 aprile 2016, ha trasmesso una nota relativa all'attuazione data, per la parte di propria competenza, all'ordine del giorno CIVATI ed altri n. 9/3393-A/3, accolto dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 18 novembre 2015, concernente il rafforzamento della tutela dei beni archeologici e culturali esposti al rischio di saccheggio e danneggiamento in aree di conflitto.

  La suddetta nota è a disposizione degli onorevoli deputati presso il Servizio per il Controllo parlamentare ed è trasmessa alla IV Commissione (Difesa) competente per materia.

Trasmissione dal Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento.

  Il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 27 aprile 2016, ha trasmesso il parere reso dalla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, nella seduta del 21 aprile 2016, sul Documento di economia e finanza 2016 (Doc. LVII, n. 4).

  Questo parere è trasmesso alla V Commissione (Bilancio).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 26 aprile 2016, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio – Seconda relazione sui progressi compiuti dalla Turchia per soddisfare i requisiti della tabella di marcia per un regime di esenzione dal visto (COM(2016) 140 final), che è assegnata in sede primaria alla I Commissione (Affari costituzionali);
   Proposte di decisione del Consiglio relative rispettivamente alla conclusione, a nome dell'Unione europea e dei suoi Stati membri, nonché alla firma, a nome dell'Unione europea e dei suoi Stati membri, e all'applicazione provvisoria di un protocollo all'accordo euromediterraneo che istituisce un'associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica araba d'Egitto, dall'altra, per tener conto dell'adesione della Repubblica di Croazia all'Unione europea (COM(2016) 229 final e COM(2016) 232 final), corredate dai rispettivi allegati (COM(2016) 229 final – Annex 1 e COM(2016) 232 final – Annex 1), che sono assegnate in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
   Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio – Attuare l'Agenda europea sulla sicurezza per combattere il terrorismo e preparare il terreno per l'Unione della sicurezza (COM(2016) 230 final), corredata dal relativo allegato (COM(2016) 230 final – Annex 1), che è assegnata in sede primaria alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e II (Giustizia);
   Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio – Prima relazione sui progressi compiuti nell'attuazione della dichiarazione UE-Turchia (COM(2016) 231 final), corredata dal relativo allegato (COM(2016) 231 final – Annex 1), che è assegnata in sede primaria alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e III (Affari esteri);
   Relazione congiunta della Commissione europea e dell'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza al Parlamento europeo e al Consiglio – Regione amministrativa speciale di Hong Kong: relazione annuale 2015 (JOIN(2016) 10 final), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
   Proposta congiunta della Commissione europea e dell'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza di decisione del Consiglio relativa alla conclusione dell'accordo sul proseguimento delle attività del Centro internazionale di scienza e tecnologia tra l'Unione europea e la Comunità europea dell'energia atomica, costituenti un'unica Parte, e la Georgia, il Giappone, il Regno di Norvegia, la Repubblica del Kirghizistan, la Repubblica d'Armenia, la Repubblica del Kazakistan, la Repubblica di Corea, la Repubblica del Tagikistan e gli Stati Uniti d'America (JOIN(2016) 19 final), corredata dal relativo allegato (JOIN(2016) 19 final – Annex 1), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri).

  Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 26 aprile 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 1 e 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.
  Questi atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).
  Con la predetta comunicazione, il Governo ha altresì richiamato l'attenzione sui seguenti documenti, già trasmessi dalla Commissione europea e assegnati alle competenti Commissioni, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento:
   Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (UE) n. 258/2014 che istituisce un programma dell'Unione per il sostegno di attività specifiche nel campo dell'informativa finanziaria e della revisione contabile per il periodo 2014-2020 (COM(2016) 202 final);
   Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull'attuazione delle direttive 2004/23/CE, 2006/17/CE e 2006/86/CE che stabiliscono le norme di qualità e di sicurezza per i tessuti e le cellule umani (COM(2016) 223 final);
   Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull'attuazione delle direttive 2002/98/CE, 2004/33/CE, 2005/61/CE e 2005/62/CE che stabiliscono norme di qualità e di sicurezza per il sangue umano e i suoi componenti (COM(2016) 224 final).

Trasmissione dalla Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali.

  La Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 13, comma 1, lettera n), della legge 12 giugno 1990, n. 146, copia delle delibere adottate dalla Commissione nel mese di marzo 2016.

  Questa documentazione è trasmessa alla XI Commissione (Lavoro).

Trasmissione dall'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza.

  L'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, con lettera in data 15 aprile 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera p), della legge 12 luglio 2011, n. 112, la relazione sull'attività svolta dalla medesima Autorità nell'anno 2015 (Doc. CCI, n. 4).

  Questa relazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla XII Commissione (Affari sociali).

Annunzio di provvedimenti concernenti amministrazioni locali.

  Il Ministero dell'interno, con lettere in data 21 aprile 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 141, comma 6, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, i decreti del Presidente della Repubblica di scioglimento dei consigli comunali di Gambarana (Pavia), Maddaloni (Caserta), Ofena (L'Aquila), Pavarolo (Torino), Roseto Valfortore (Foggia) e Trasquera (Verbanio-Cusio-Ossola).

  Questa documentazione è depositata presso il Servizio per i Testi normativi a disposizione degli onorevoli deputati.

Trasmissione dal Consiglio regionale dell'Abruzzo.

  Il Presidente del Consiglio regionale dell'Abruzzo, con lettera in data 26 aprile 2016, ha trasmesso un documento concernente la partecipazione della regione Abruzzo alla consultazione pubblica sulla proposta di riforma della procedura che consente agli Stati membri di notificare i nuovi requisiti normativi applicabili ai prestatori di servizi.

  Questo documento è trasmesso alla II Commissione (Giustizia), alla X Commissione (Attività produttive) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Trasmissione dal Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia.

  Il Presidente del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia, con lettera in data 27 aprile 2016, ha trasmesso il testo di una risoluzione, approvata dal medesimo Consiglio regionale il 17 marzo 2016, concernente indirizzi relativi alla partecipazione della regione Friuli Venezia Giulia alla definizione delle politiche dell'Unione europea (sessione europea 2016).

  Questo documento è trasmesso alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Comunicazione di nomine ministeriali.

  La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 22 aprile 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 19, comma 9, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la comunicazione concernente il conferimento alla dottoressa Paola Noce, ai sensi del comma 4 del medesimo articolo 19, dell'incarico di direttore dell'Ufficio centrale del bilancio presso il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, nell'ambito del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell'economia e delle finanze.
  Questa comunicazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla V Commissione (Bilancio).

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

DOCUMENTO DI ECONOMIA E FINANZA 2016 (DOC. LVII, N. 4)

Doc. LVII, n. 4 – Risoluzione riferita alla relazione di cui all'articolo 6, comma 5, della legge n. 243 del 2012

RISOLUZIONE

   La Camera,
   premesso che:
    la Relazione al Parlamento, allegata al Documento di economia e finanza 2016, è stata presentata ai sensi dell'articolo 6, comma 5, della legge 24 dicembre 2012, n. 243;
    la Relazione, tenuto conto della coerenza con le regole europee, contiene la richiesta di ridefinizione del piano di rientro verso l'Obiettivo di Medio Periodo (MTO),

autorizza il Governo

ai sensi dell'articolo 81, secondo comma, della Costituzione e dell'articolo 6 della legge 24 dicembre 2012, n. 243, a dare attuazione a quanto indicato nella Relazione citata in premessa.
(6-00236) «Marchi, Tancredi, Monchiero, Tabacci, Di Gioia, Locatelli».


Doc. LVII, n. 4 – Risoluzioni relative al documento di economia e finanza 2016

RISOLUZIONI

   La Camera,
   premesso che:
    il Documento di economia e finanza 2016 provvede all'individuazione degli obiettivi programmatici per il periodo 2016-2019, riferiti, da un lato, alla finanza pubblica e alla politica economica e, dall'altro, alle misure da adottare nell'ambito della strategia europea di riforme per una crescita sostenibile e inclusiva;
    da un punto di vista complessivo, il Documento rileva, sin dalle sue premesse, che nel 2015 l'economia italiana è tornata a crescere, dopo tre anni consecutivi di contrazione e alla ripresa della crescita economica fanno riscontro l'incremento dell'occupazione e il calo della disoccupazione;
    le prospettive per il 2016 registrano segnali di rallentamento, già avvertiti nel secondo semestre dello scorso anno, dovuti essenzialmente al peggioramento del quadro internazionale e alle previsioni tendenziali del DEF sulla crescita delle più recenti stime di Consensus Economics per lo stesso periodo. Quanto ai tassi di crescita dell'economia italiana, una possibile revisione al ribasso è da considerare plausibile (come anche specificato nel Country Report 2016 per il nostro Paese), specie alla luce del rallentamento sui mercati emergenti e delle recenti turbolenze su quelli finanziari;
    lo scenario delineato nel DEF è basato sull'ipotesi che permangano condizioni finanziarie favorevoli del contesto esterno (la riduzione del prezzo del petrolio, l'indebolimento del cambio, la politica monetaria espansiva della Banca centrale europea), sostenute dalla politica monetaria espansiva e che l'economia mondiale si rafforzi senza significative ripercussioni sui prezzi delle materie prime, scenario non impossibile sulla base dell'attuale situazione congiunturale, ma certamente ottimistico, rispetto al quale sussiste, invece, il rischio di evoluzioni meno favorevoli (anche perché le tensioni geopolitiche potrebbero ripercuotersi sulla fiducia di famiglie e imprese, dal momento che i mercati e le famiglie restano soggetti a una forte volatilità). Inoltre bisogna considerare che un elemento fondamentale di spinta dell'economia interna è consistito, nel corso dell'anno, nell'allentamento degli obiettivi di bilancio pubblico, utilizzando i margini di flessibilità concessi dai regolamenti europei;
    per il triennio 2017-2019 lo scenario programmatico del DEF prefigura una crescita media dell'1,4 per cento annuo più elevata del quadro tendenziale, crescita imputabile soprattutto ai consumi privati, che alla fine del triennio sarebbero maggiori di un punto percentuale rispetto al tendenziale, mentre l'inflazione sarebbe più contenuta fermandosi all'1,3 per cento nel 2017 e all'1,6 per cento nel 2018 (rispetto all'1,8 per cento in entrambi gli anni previsto nel quadro tendenziale);
    la differenza tra i due scenari è dovuta essenzialmente alla manovra di bilancio programmata per il prossimo anno che manifesta la volontà del Governo di non dare seguito agli aumenti delle imposte indirette previsti dalla legislazione vigente, disattivando le clausole di salvaguardia su IVA e accise. La perdita di gettito ammonterebbe a 15,1 miliardi nel 2017 e ad ulteriori 4,5 dal 2018 per un totale di 19,6 miliardi, compensando tale misura solo parzialmente (per un importo valutabile in circa mezzo punto percentuale del PIL) con interventi di revisione di spesa incluse le tax expenditure e di rafforzamento del contrasto all'evasione e all'elusione fiscale i cui dettagli verranno definiti con il disegno di legge di stabilità per il 2017;
    il DEF non definisce tuttavia i dettagli dei provvedimenti pur indicando che, dati gli effetti espansivi della manovra prefigurata dal Governo, si presuppone che gli interventi compensativi del mancato gettito dovuto all'eliminazione delle clausole suddette avranno limitate ripercussioni negative sull'attività economica. D'altronde, bisogna ricordare che, per quanto riguarda l'intervento sulle agevolazioni fiscali (tax expenditures), lo stesso Governo ne ha archiviato il riordino in occasione delle precedenti leggi di stabilità, motivando il passo indietro in base alla necessità di evitare un inasprimento della pressione fiscale. Da questo atteggiamento è dunque possibile inferire che l'obiettivo ultimo del Governo non sia certo quello di operare un'organica riforma delle tax expenditures, volta a produrre un allargamento della base imponibile ed un contestuale abbassamento delle aliquote, nell'ottica di un quadro di ristabilita progressività fiscale, senza considerare che i continui passi indietro su questa materia contribuiscano ad alimentare il clima d'incertezza attorno gli obiettivi e gli strumenti di politica fiscale;
    relativamente alle previsioni per i conti pubblici – secondo il DEF – nel quadriennio 2016-2019, a legislazione vigente l'indebitamento netto scenderebbe dal 2,6 per cento del PIL del 2015 al 2,3 nel 2016, all'1,4 nel 2017 e allo 0,3 nel 2018; nel 2019 si registrerebbe, invece, un avanzo pari allo 0,4 per cento del prodotto. Rispetto ai programmi dello scorso autunno coerenti con la legge di stabilità per l'anno in corso, l'obiettivo di disavanzo per il 2016 era pari al 2,4 per cento del PIL; il DEF prefigura un indebitamento netto tendenziale lievemente più contenuto dal momento che le stime dell'indebitamento netto sono riviste al rialzo di 0,3 punti nel 2017 e di 0,1 nel 2018; nel 2019 invece il saldo migliorerebbe di 0,1 punti. Tali modifiche riflettono sia un quadro macroeconomico meno favorevole sia un risparmio nella spesa per interessi; si evidenzia, peraltro, che rispetto all'1,1 per cento di rapporto deficit-PIL contenuto nella scorsa nota di aggiornamento DEF, il deficit programmatico per il 2017 viene portato all'1,8 per cento. Come negli anni precedenti, l'obiettivo implicito è di impostare una politica fiscale moderatamente espansiva, conseguendo al contempo un lieve calo del deficit. Il margine di flessibilità ottenuto da Bruxelles andrà comunque rapportato alle clausole di salvaguardia che scatterebbero nel 2017 (per un ammontare di circa 15 miliardi), nonché alle misure di allentamento fiscale previste dal Governo;
    per quanto riguarda gli obiettivi e gli interventi contenuti nel programma di Governo il DEF prevede una politica di bilancio più espansiva rispetto a quella decisa lo scorso autunno, soprattutto in considerazione di una ripresa ancora debole; alla fine dell'orizzonte di programmazione l'orientamento sarebbe invece più restrittivo e il raggiungimento del pareggio del bilancio in termini strutturali (l'obiettivo di medio termine del nostro Paese) è nuovamente posticipato: nel 2019 il disavanzo strutturale si collocherebbe allo 0,2 per cento del PIL, contro lo 0,3 per cento nel 2017 e il pareggio nel 2018 indicati in autunno. Inoltre per il prossimo anno il Governo programma di non applicare le clausole di salvaguardia introdotte con la legge di stabilità per il 2015; tuttavia, nonostante l'intenzione del Governo di riordinare l'impianto complessivo delle tax expenditures per il prosieguo dell'attività di spending review rappresenti un obiettivo condividibile, potendo così accrescere l'efficienza sia del sistema fiscale sia della spesa pubblica come anche di rilievo è l'intento di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale, le risorse attese in materia andrebbero tuttavia valutate in modo prudenziale eventualmente affidandone la valutazione, al fine di una rapida indagine, alle Commissioni istituite a settembre scorso dal Governo in attuazione della legge delega del 2014, volte al riordino del sistema fiscale e dirette alla stima e al monitoraggio dell'evasione fiscale;
    hanno evidenziato sia l'UPB sia la Banca d'Italia che il programma del Governo per il 2017 prevede un aggiustamento in termini strutturali inferiore a quello richiesto in linea di principio delle regole di rientro e verso il pareggio di bilancio, in quanto un'intonazione più restrittiva è ritenuta «inopportuna e controproducente» prevedendo che comunque la Commissione europea valuterà la posizione e i programmi del nostro Paese dopo l'aggiornamento delle sue previsioni, atteso per l'inizio di maggio;
    in proposito è necessario evidenziare che, a seguito di una richiesta di flessibilità avanzata dal Governo a luglio del 2015, il Consiglio dell'Unione europea aveva raccomandato uno sforzo di consolidamento pari ad almeno un decimo di punto, ma in autunno il Governo ha chiesto nuovi margini per le riforme strutturali e per la realizzazione di investimenti pubblici. Si tenga poi presente che, lo scorso novembre, per il 2017, la Commissione aveva chiesto al nostro Paese una ripresa del consolidamento quale condizione per la concessione di margini di flessibilità per il 2016;
    esperti della Banca d'Italia intervenuti durante le audizioni in V Commissione hanno ben evidenziato come l'eredità della crisi per le finanze sia pesante e come il rapporto tra il debito pubblico e il PIL dal 2007 sia aumentato di un terzo e l'incremento del debito abbia comportato la stagnazione del prodotto nominale. Se dall'inizio della crisi il prodotto reale fosse cresciuto in linea con il decennio precedente e il deflatore in linea con l'obiettivo di inflazione dell'area dell'euro per un puro effetto meccanico, il peso del debito sarebbe oggi di solo tre punti anziché superiore a quello del 2007; questo conferma che l'azione sui conti pubblici è inscindibile da una politica economica orientata a creare le condizioni per una crescita robusta e duratura, o forse meglio, ne è un indefettibile presupposto;
    tra le misure strutturali adottate, quella della disattivazione delle clausole di salvaguardia, per quanto possa avere un effetto recessivo, tuttavia non rappresenta un commitment assoluto perché possono sempre essere revocate e dunque non rappresentano uno strumento efficace per rafforzare la credibilità del risanamento delle finanze pubbliche; al contrario, se ripetutamente disattese, come di fatto è accaduto, possono accrescere l'incertezza;
    gli effetti della crisi sulle finanze pubbliche ci insegnano che un paese con un alto debito pubblico come il nostro è esposto a rischi elevati in caso di shock avversi all'economia: la riduzione del debito rispetto ai livelli attuali è un obiettivo strategico da perseguire con costanza per confermare e rafforzare la credibilità della politica di bilancio del paese agli occhi degli investitori delle istituzioni e dei partner europei;
    anche sul fronte del rapporto debito-PIL, i margini di riduzione appaiono limitati, pur prevedendo una più graduale diminuzione rispetto a quanto indicato in precedenza. L'ipotesi di crescita del PIL nominale al 2,2 per cento (1,2 per cento di PIL reale e 1 per cento di inflazione) appare alquanto ottimistica, in considerazione dei più recenti sviluppi nei dati di produzione industriale e di vendite al dettaglio, nonché della dinamica deflazionistica in atto;
    secondo le previsioni, dunque, nel quadro del DEF che include un programma ambizioso di privatizzazioni (che prevede entrate pari allo 0,5 per cento del PIL l'anno nel 2016, 2017 e 2018, e allo 0,3 per cento nel 2019), il tasso minimo di crescita nominale del prodotto che consente al rapporto tra debito e PIL di scendere nel 2016 è circa il 2 per cento e, per garantire il raggiungimento dell'obiettivo, sarà dunque necessario mantenere durante l'anno uno stretto monitoraggio dei conti pubblici anche in connessione con l'evoluzione del quadro macroeconomico; se si vuole consolidare la fiducia dei mercati è importante conseguire nel corso del tempo una riduzione del debito chiara, visibile e progressiva;
    per quanto riguarda il mercato del lavoro il DEF rileva che, nel 2015, l'occupazione ha registrato un incremento pari allo 0,9 per cento rispetto all'anno precedente, con una buona performance per i lavoratori di età compresa tra 50 e 64 anni (+4,6 per cento nel 2015), a fronte, tuttavia, di decrementi significativi – impropriamente minimizzati dal documento del Governo – nelle altre fasce di età: -0,3 per cento tra i giovani della fascia d'età 15-24 anni; -0,6 per cento, per la fascia 25-34 anni, fino al -1,1 per cento nella fascia 35-49 anni. Queste elaborazioni, peraltro, non considerano gli ultimi dati Inps su attivazioni e cessazioni di contratti di lavoro, dai quali si ricava che, a seguito del taglio della decontribuizione, le assunzioni a tempo indeterminato hanno subito una netta battuta d'arresto, con un saldo netto nel periodo gennaio-febbraio 2016 di 37.113 posti, a fronte dei 143.164 sullo stesso periodo del 2015 e 87.180 nel 2014 (prima del jobs act). Sarebbe inoltre auspicabile ottenere una indicazione precisa circa il costo della decontribuzione sull'orizzonte 2015-2018 e sul conseguente relativo impatto sulla creazione di nuovi posti di lavoro. Per di più, le considerazioni in tema di dinamica occupazionale non sembrano soffermarsi sull'andamento della produttività del lavoro, sia in ragione del numero di occupati che del numero di ore lavorate. La Tavola II.3c della Sezione I del DEF mostra che nel primo caso l'incremento è stato dello 0,2 per cento, mentre la produttività in termini di ore lavorate è diminuita dello 0,1 per cento. Su entrambe le dimensioni, gli incrementi previsti per gli anni a venire appaiono alquanto contenuti. Ad ogni buon conto, non appare chiaro come la bontà delle riforme strutturali in atto sul mercato del lavoro possa essere valutata astraendo da un quadro d'insieme che contempli sia dinamica occupazionale che la produttività del lavoro;
    conseguentemente, suscitano seri dubbi e perplessità le previsioni in materia di occupazione sul piano tendenziale, secondo le quali il tasso di disoccupazione si ridurrebbe costantemente nel corso del periodo di riferimento, a un ritmo dello 0,5 per cento, che dovrebbe portare da un valore dell'11,9 per cento del 2015 al 9,9 per cento previsto nel 2019. Sul piano programmatico, sempre secondo queste previsioni, la riduzione del tasso di disoccupazione dovrebbe procedere, tra il 2017 e il 2019, ad un ritmo leggermente più sostenuto, che dovrebbe portare a raggiungere un tasso del 10,8 per cento nel 2017, del 10,2 per cento nel 2018 e del 9,6 per cento nel 2019;
    poco solida sembra pertanto anche la previsione relativa al processo di avvicinamento agli obiettivi della Strategia Europa 2020, tra i quali il documento rileva in particolare l'obiettivo relativo al raggiungimento di un tasso di occupazione del 75 per cento per la fascia di età compresa tra i 20 e i 64 anni. Per l'Italia l'obiettivo al 2020 è pari al 67-69 per cento, mentre l'obiettivo di medio termine è fissato al 63 per cento. A livello europeo nel 2014 il tasso di occupazione è pari al 69,8 per cento e solo cinque Paesi hanno superato l'obiettivo fissato al 2020;
    deve in ogni caso essere sottolineato che l'Italia è e rimane nella parte finale della graduatoria sull'occupazione in Europa, insieme a Spagna, Grecia e Croazia: nel 2015 si è registrata una crescita di 0,6 punti percentuali, che ha portato il tasso di occupazione al 60,5 per cento, valore ancora lontano dal dato del 2008, anno di inizio della crisi, quando l'occupazione era pari al 62,9 per cento. Peraltro particolarmente bassi permangono il tasso di occupazione delle donne, pari al 50,6 per cento, e quello riscontrato nel Mezzogiorno, dove l'occupazione è al 46,1 per cento;
    i segnali di progressivo rallentamento della crescita congiunturale del PIL avviatasi all'inizio dell'anno sono confermati nell'ultimo trimestre del 2015. La risalita del tasso di crescita tendenziale passato a +1,0 per cento da +0,8 per cento del terzo trimestre e a +0,6 per cento del secondo è un risultato accompagnato da un miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro caratterizzato dal divaricamento tra l'andamento positivo dell'occupazione dipendente, soprattutto a tempo indeterminato, e la debolezza persistente di quella indipendente;
    nel quarto trimestre del 2015 l'occupazione risulta stabile dopo la crescita dei due trimestri precedenti ma all'aumento registrato nel Nord e nel Centro si contrappone la riduzione nel Mezzogiorno. L'aumento tendenziale dell'occupazione registrato nel quarto trimestre (+184 mila) è dovuto quasi esclusivamente agli uomini e risulta trainato dai lavoratori dipendenti, cresciuti di 298 mila unità in gran parte a tempo indeterminato (+207 mila) mentre tra i dipendenti a termine, dall'incremento di quanti hanno un lavoro di durata non superiore a sei mesi. Continuano, tuttavia, a preoccupare la disoccupazione di lunga durata, il rischio di esclusione dal mercato del lavoro (soprattutto dei giovani) e la bassa partecipazione delle donne (come anche evidenziato dal Country Report 2016 per l'Italia);
    il problema più grande è rappresentato dal Mezzogiorno in cui quasi la metà dei residenti nel Sud e nelle isole (45,6 per cento) è a rischio di povertà o di esclusione sociale contro il 22,1 per cento del Centro e il 17,9 per cento di chi vive al Nord. In tutte le regioni del Mezzogiorno i livelli sono superiori alla media nazionale viceversa i valori più contenuti si riscontrano in Trentino Alto-Adige, Friuli-Venezia Giulia e Veneto;
    permangono quindi valori di disagio economico in particolare per le famiglie residenti nel Mezzogiorno, dove la quota delle persone gravemente deprivate è oltre tre volte più elevata che nel Nord del Paese;
    con riguardo all'inserimento dei giovani nel mercato del lavoro, il Documento segnala che con il nuovo anno ha preso avvio la seconda fase del programma Garanzia giovani, nella quale si prevede una nuova misura, il superbonus per la trasformazione dei tirocini, previsto per i datori di lavoro che assumono con un contratto a tempo indeterminato un giovane tra i 16 e i 29 anni che abbia svolto, o stia svolgendo, un tirocinio extracurriculare nell'ambito del programma. La misura di tale beneficio – prevista da un minimo di 3.000 a un massimo di 12.000 euro, erogati in dodici quote mensili di pari importo – può risultare più elevata rispetto alla misura ordinaria massima dello sgravio contributivo per un contratto a tempo indeterminato stipulato nel 2016, pari ad un totale di 6.500 euro, riconosciuti nell'arco di 24 mesi;
    i giovani sono maggiormente penalizzati, in quanto rappresentano la categoria che subisce per prima la flessibilità del mondo del lavoro. La vita lavorativa dei giovani è caratterizzata dalla continua alternanza di lunghi periodi di inattività, da brevi rapporti di lavoro a tempo determinato e da contratti flessibili, circostanze dalle quali discende una forte discontinuità nel versamento dei contributi previdenziali;
    accelerare i tempi per l'introduzione della flessibilità in uscita necessaria per via del drammatico tasso di disoccupazione giovanile, che è prossimo al 40 per cento e per le forti penalizzazioni che i giovani subiscono e il costante aumento dell'età pensionabile ha portato il requisito anagrafico per ottenere il diritto pari a 66 anni e 7 mesi. Nell'attuale situazione di crisi economica non può che acuirsi il gap che separa i giovani dal mondo del lavoro. In tale contesto non è da sottovalutare, di conseguenza, il dato che riguarda la percentuale di disoccupazione giovanile che supera la quota del 42 per cento;
    sarebbe opportuno prevedere, come la componente Alternativa Libera Possibile ha avanzato con una proposta di legge, il concetto di un patto intergenerazionale contributivo consistente nella facoltà di richiedere l'autorizzazione alla costituzione di una posizione assicurativa tramite versamenti volontari (versamenti validi per il diritto e per la misura della pensione) in favore di un parente entro il secondo grado (ad esempio, il nonno in favore di un nipote);
    il peso delle tasse sul lavoro in Italia è salito: al 49 per cento, sopra la media OCSE del 35,9 per cento. Le tasse sul lavoro hanno segnato un rialzo a +0,8 per cento nel 2015, il trend è in costante aumento dal 2000 (quando era al 47,1), mentre nei paesi OCSE è diminuito e sarebbe preferibile il mantenimento dell'esonero contributivo introdotto con la legge n. 190 del 2014 annullando la riduzione prevista dal Governo (dal 100 al 40 per cento), mantenimento del massimale pari a 8,060, ridotto dal Governo a 3,250 euro annui e nella durata, ridotta dal Governo da 3 a 2 anni;
    con riferimento alla contrattazione collettiva, il Documento, in primo luogo, ricorda il recente decreto ministeriale che ha attuato le norme della citata legge di stabilità per il 2016 concernenti il regime tributario sostitutivo, con aliquota IRPEF pari al 10 per cento, per i premi di produttività, nonché le norme dell'articolo 1, comma 190, della medesima legge di stabilità per il 2016 volte a sostenere il welfare aziendale. Particolare importanza riveste, inoltre, l'affermazione, contenuta nel Documento, secondo la quale nel 2016 il Governo si concentrerà su una riforma della contrattazione aziendale con l'obiettivo di rendere esigibili ed efficaci i contratti aziendali e di garantire la pace sindacale in costanza di contratto, sulla base di un criterio di prevalenza dei contratti aziendali su quelli nazionali in materie legate all'organizzazione del lavoro e della produzione. Nell'ambito del cronoprogramma delle riforme si indica come data di riferimento l'adozione degli interventi il termine dell'anno 2016. Al riguardo il DEF 2015 prevedeva la presentazione, entro il 2015, di un disegno di legge governativo «per consentire, attraverso la contrattazione aziendale (o territoriale), l'adozione di modelli di partecipazione dei lavoratori nella vita delle imprese e per favorire l'evoluzione nelle relazioni industriali, con il superamento della conflittualità attraverso la ricerca di obiettivi condivisi»;
    relativamente alle pensioni bisogna riflettere sull'incidenza di tali voci sul totale della spesa pubblica, non potendo del resto trascurarsi che i dati sono al lordo del carico fiscale, che per le pensioni ammonta a circa 43 miliardi di euro e, pertanto, il peso effettivo della spesa pensionistica è inferiore a quello rappresentato;
    alla luce di tali dati, che dimostrano la sostanziale solidità del sistema pensionistico italiano, deve valutarsi l'impegno assunto dal Governo nella terza sezione del Documento a valutare, nell'ambito delle politiche previdenziali, la fattibilità di interventi volti a favorire una maggiore flessibilità nelle scelte individuali, salvaguardando la sostenibilità finanziaria e il corretto equilibrio nei rapporti tra generazioni, peraltro già garantiti dagli interventi di riforma che si sono susseguiti dal 1995 ad oggi;
    secondo il modello di previsione di breve termine dell'Istat nel primo trimestre del 2016 la variazione congiunturale del PIL italiano (corretto per gli effetti di calendario) sarebbe dello 0,3 per cento, con un intervallo di confidenza compreso tra +0,1 per cento e 0,5 per cento. La crescita proseguirà con un ritmo simile anche nel trimestre successivo per raggiungere nel 2016 una crescita dell'1,2 per cento e, come previsto dal DEF, sarebbe necessaria un'ulteriore accelerazione dell'attività economica nella seconda parte dell'anno e una maggiore spinta alla crescita – in particolare degli investimenti – potrebbe venire dal miglioramento delle condizioni di accesso al credito da parte delle imprese, in conseguenza dell'ulteriore stimolo monetario della Banca centrale europea e di un rafforzamento del sistema bancario. A tale scopo si è ipotizzato, rispetto allo scenario base del modello nel 2016, un incremento pari al 10 per cento dell'indicatore delle condizioni di liquidità delle imprese, miglioramento che produrrebbe un incremento degli investimenti complessivi superiore di 0,6 punti percentuali rispetto allo scenario base e un aumento del PIL superiore di 0,1 punti. La dinamica dell'occupazione sarebbe più favorevole per 0,1 punti, con un effetto di riduzione del tasso di disoccupazione della stessa entità. Secondo il Presidente Alleva la situazione attuale, con condizioni favorevoli per il mercato del lavoro, «continuerà ad esserci, perché la decontribuzione è stata confermata»;
    sempre in tema di ordine pubblico è positivo che siano stanziati 50 milioni per nuovi strumenti e attrezzature, anche di dotazione per la protezione personale, in uso alle forze del comparto sicurezza e difesa. Così come è positivo che 150 milioni di euro siano stanziati per la cyber security, finalizzati al potenziamento degli interventi e delle dotazioni strumentali in materia di protezione cibernetica e di sicurezza informatica nazionali, ma è tuttavia necessaria una revisione normativa del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in materia di sicurezza cibernetica al fine di un'ottimizzazione delle funzioni strategiche e tattiche diretta a ripristinare una sovranità tecnica nazionale;
    andrebbero tuttavia specificate e chiarite le modalità di spesa e i settori prescelti che saranno finanziati dal fondo istituito, nello stato di previsione del Ministero della Difesa, con una dotazione finanziaria di 245 milioni di euro per l'anno 2016, fondo che pur avendo il fine di sostenere interventi straordinari per la difesa e la sicurezza nazionale deve essere adoprato utilizzando efficienza, efficacia e trasparenza delle spese;
    sarebbe necessario destinare parte dei risparmi effettuati con la riforma dello strumento militare per migliorare la gestione corrente della formazione del personale e della gestione dei mezzi, a fronte di una riduzione di nuovi investimenti in sistemi d'arma finalizzati a progetti effettivamente eseguibili e realizzabili;
    si potrebbero rendere più efficienti i sistemi di sicurezza aeroportuale prevedendo l'utilizzo di un sistema unico di coordinamento e collegamento radio e di comunicazione tra le pattuglie interforze del dispositivo sicurezza aeroportuale anche per quanto concerne il complesso addestramento/equipaggiamento, comprensivo delle pattuglie messe a disposizione dai corpi armati, prevedendo delle aree di filtraggio con finalità antiterroristiche in prossimità degli aeroporti stessi;
    per quanto concerne le osservazioni dell'ABI espresse nelle audizioni in Commissione bilancio, relativamente ai principali saldi di finanza pubblica, il raffronto di questi valori con quelli «tendenziali» – e con quelli previsti dalla Nota di aggiornamento al DEF 2015, consente di mettere in evidenza gli ulteriori avanzamenti verso una strategia di politica di bilancio che consenta di utilizzare, anche tenuto conto delle complicazioni del quadro economico internazionale, tutti gli spazi di flessibilità consentiti dal Patto di stabilità e crescita europeo per rilanciare la crescita avendo comunque ad obiettivo di medio termine il pareggio di bilancio e quindi la significativa riduzione del rapporto debito/pil. Di tale strategia si ritrova la traccia più evidente nella scelta di rinunciare per il 2018 all'obiettivo di azzeramento dell'indebitamento netto strutturale (il deficit al netto degli effetti del ciclo economico e delle misure una-tantum). L'impostazione della politica economica del Governo deve essere inquadrata in una più complessiva valutazione delle politiche economiche oggi in atto in Europa e l'insieme delle misure prese dalla BCE negli ultimi semestri, con il progressivo rafforzamento delle dosi di politica monetaria espansiva;
    relativamente all'attività bancaria gli elementi di maggiore interesse che vanno qui segnalati, anche per i riflessi sulle prospettive economiche di medio termine e quindi sugli stessi saldi di finanza pubblica, sono due: da un lato, le dinamiche delle quantità di finanziamenti erogati e, dall'altro, lo stato e l'andamento della qualità del credito;
    resta tuttavia sullo sfondo il tema dell'efficiente e rapida gestione delle partite in sofferenza accumulate nel corso di questi anni di prolungata recessione e sulle quali sono state adottate o sono in corso di attuazione alcune misure, ma molto rimane da fare, ad esempio in relazione alla giustizia civile e al sistema creditizio, rispetto al quale sarà necessario un approfondimento in merito ai riflessi della nuova normativa sui mutui, che suscita molte perplessità, rispetto al mercato degli stessi, anche con particolare riferimento all'istituto della surroga del mutuo, onde evitare che il provvedimento limiti la possibilità dei consumatori di avvalersi di condizioni più vantaggiose in ragione delle ridotte tutele a valere sui nuovi contratti di mutuo;
    dalle classifiche internazionali di competitività, che hanno ad oggetto i diversi sistemi economico-finanziari, emerge chiaramente come il dinamismo e la capacità di ripresa degli Stati dipenda sempre più dal grado di efficacia nella tutela dei diritti dei contraenti, soprattutto al fine di attrarre capitali dall'estero;
    pur in presenza di un Disegno di Legge Delega per la riforma della disciplina della crisi dell'impresa e dell'insolvenza (A.C. 3671) – secondo le linee tracciate dal documento elaborato dalla Commissione Rordorf – e di un disegno di legge delega per la riforma del processo civile (A.S. 2284) – approvato dal Senato e attualmente pendente presso la Commissione Giustizia del Senato, un intervento più tempestivo e mirato alla velocizzazione del recupero dei crediti sarebbe di primaria importanza nel contesto attuale di forte volatilità ed incertezza dei mercati;
    a tale riguardo potrebbe essere utile intervenire con un prossimo decreto-legge, per introdurre alcune previsioni volte a rendere più efficaci ed efficienti, nonché meno costose le procedure esecutive, contribuendo in tal modo in maniera decisiva al «decollo» del mercato dei crediti deteriorati;
    inoltre, sul fronte della fiscalità immobiliare, il cui peso continua ad essere rilevante, nonostante i miglioramenti apportati, dovrebbe essere rimeditato il trattamento riservato alle operazioni di investimento per le cosiddette «seconde case» che, come evidenziato anche da un documento congiunto ABI-ANCE, sono oggi soggette ad un trattamento particolarmente deteriore – soprattutto a causa dell'imposizione indiretta – tale da compromettere possibili decisioni di investimento;
    da simulazioni effettuate prendendo a riferimento un'operazione tipo di acquisto mediante mutuo di una abitazione priva dei requisiti «prima casa» emerge che, nei confronti dei principali Paesi europei, il mutuatario italiano risulterebbe gravato da oneri fiscali pari a una volta e mezza rispetto agli omologhi cittadini di Paesi che prevedono prelievi gravanti sulle operazioni di finanziamento (Francia e Spagna). Si evidenzia inoltre che in altri rilevanti Paesi UE (Germania e Regno Unito) tali forme di prelievo non sono contemplate e dunque sgravi fiscali potrebbero incentivare la ripresa del settore edilizio e delle produzioni ad esso connesse, con ricadute positive per l'intero sistema economico e, non ultimo, per il processo di riqualificazione immobiliare del Paese come non di minore importanza, nell'attuale congiuntura, sarebbe una rivitalizzazione del mercato immobiliare che agevolerebbe l'azione di recupero dei crediti deteriorati assistiti da garanzie immobiliari;
    per quanto riguarda il settore delle infrastrutture e dei trasporti, in seguito al superamento della legge obiettivo e all'adozione di nuove procedure di programmazione, si è in una fase transitoria, in cui non è ancora possibile individuare in modo definitivo gli investimenti strategici in tale campo e il DEF ha dei forti limiti nel soddisfare l'esigenza di procedere con decisione all'interconnessione tra le reti ferroviarie ad alta velocità e i principali nodi aeroportuali, portuali e urbani, all'interno dei corridoi europei delle reti trans europee di trasporto (TEN-T), poiché non chiarisce adeguatamente le linee di intervento prescelte né, soprattutto, le risorse effettivamente disponibili;
    appare quindi singolare che, a fronte delle disposizioni introdotte con la riforma del codice degli appalti e che il DEF accoglie pienamente, vi siano tentativi da parte di alcuni settori produttivi di sottrarsi alla nuova disciplina. Rappresentano in tal senso un esempio le concessioni autostradali: alcuni concessionari starebbero infatti cercando di aggirare il vincolo posto dal nuovo codice degli appalti di rinnovare le concessioni in scadenza mediante procedure ad evidenza pubblica, proponendo di realizzare alcune opere di adeguamento delle tratte autostradali a fronte di una proroga delle concessioni;
    anche altri Paesi europei stanno verificando la possibilità di prorogare direttamente le concessioni autostradali (ad esempio in Francia), ma si tratta di circostanze diverse, legate a nuove opere e non, come nel caso italiano, a vecchi progetti che i concessionari avrebbero dovuto in realtà realizzare da tempo e nasce quindi l'esigenza di aprire finalmente alla concorrenza il settore delle concessioni autostradali, per troppo tempo bloccato da rendite di posizione che non sono più accettabili;
    per quanto riguarda le osservazioni sollevate dall'ufficio parlamentare del bilancio dal punto di vista del quadro macroeconomico, oltre a sottolineare le proprie perplessità sulla fragilità e sull'anomala lentezza del recupero italiano, sia per la rarità e la sempre minor durevolezza dei fenomeni di ripresa, sia per lo spazio da percorrere per individuare una crescita prima della crisi, per l'arco di previsione 2016-2019 dei quadri macroeconomici pubblicati nel DEF, la normativa europea richiede la validazione delle sole previsioni macroeconomiche programmatiche, mentre l'UPB ha esteso la validazione anche alle previsioni macroeconomiche dello scenario tendenziale;
    tale scelta è stata fatta dall'UPB perché la collocazione del profilo complessivo di crescita 2017-2019 è nel range del panel UPB a eccezione del 2018, perché lo scarto specifico rilevato in tale anno rispetto al limite superiore dei previsori è di entità contenuta e potrebbe coprirsi con una leva tributaria nell'ordine di poco più di un miliardo di euro;
    per quanto riguarda gli obiettivi di finanza pubblica alla luce delle regole di bilancio invece, secondo l'UPB, relativamente alle riforme strutturali, l'azione di governo appare in generale in linea con le raccomandazioni-paese della Commissione e del Consiglio di metà 2015, ma con due eccezioni, entrambe sottolineate dalla Commissione nel Country Report 2016 di recente pubblicazione: lo spostamento del carico fiscale dal lavoro e dai fattori produttivi verso rendite, consumi e imposte ambientali e il ritardo nell'approvazione della legge annuale per la concorrenza 2015, quest'ultima, avendo superato ormai i sei mesi, rischia di far perdere credibilità e incisività allo strumento deputato a risolvere i problemi che ancora pervadono numerosi settori e mercati;
    quanto al primo punto, la Commissione europea ha elaborato una serie di raccomandazioni riguardanti la tassazione immobiliare con l'obiettivo di allargare le basi imponibili e di spostare il prelievo dai fattori produttivi (capitale e lavoro) a forme di imposizioni meno impattanti sulla crescita. In base ai recenti studi sul tax and growth ranking e al modello QUEST III della Commissione, infatti, la tassazione meno distorsiva e meno recessiva risulta quella relativa alle imposte ricorrenti sulla proprietà immobiliare; al contempo, i medesimi studi mostrano che, anche in un contesto di consolidamento fiscale, riforme che prevedono incrementi delle imposte sulla proprietà immobiliare non generano effetti negativi sull’output;
    alla luce di tali considerazioni, il RNR (Sezione III del DEF) non rispetta le raccomandazioni per il nostro Paese relative all'aumento della tassazione ricorrente sulla proprietà immobiliare. Stando al Country Report per l'Italia 2016, infatti, l'abolizione della tassa sulla prima casa ha rappresentato «un passo indietro nel processo di conseguimento di una più efficiente struttura impositiva che sposti il carico fiscale dai fattori produttivi ai beni immobili». Inoltre, una recente simulazione ha evidenziato che, in termini assoluti, l'abolizione della TASI va a maggior vantaggio delle le fasce più abbienti della popolazione, con conseguente riduzione marginale del coefficiente di disuguaglianza di Gini (coefficiente che misura statisticamente la disuguaglianza nel reddito e nella ricchezza e che si prevede si ridurrà, in Italia, di circa 0,06 punti percentuali, se si include anche il reddito catastale);
    al contempo, per quanto previsto dal DEF, non risultano ad oggi chiare né le modalità né le tempistiche (in base al cronoprogramma per le riforme contenuto nel PNR, viene indicato il triennio 2016-2018) di revisione della base imponibile delle imposte immobiliari, in modo da allineare il valore catastale ai valori di mercato. Il permanere di incertezze per quanto riguarda la riforma del sistema catastale rappresenta un ostacolo all'istaurarsi di un'equa ed efficace tassazione degli immobili. Secondo le simulazioni effettuate dall'Agenzia delle Entrate (Cfr. anche UIL – Servizio Politiche Territoriali – 2015), i valori catastali riveduti potrebbero essere sei volte superiori a quelli attuali. In tal senso, si ritiene che l'Italia abbia perduto una grande opportunità di affrontare in tempi rapidi un problema di vecchia data, che avrebbe potuto avere importanti impatti sia sui problemi strutturali dell'economia sia in termini di finanza pubblica;
    quanto al secondo punto, il ritardo nell'approvazione della legge annuale per la concorrenza 2015 può avere impatti negativi sul sistema imprenditoriale del Paese, in un contesto già debole rispetto alle altre grandi economie dell'Unione europea. Secondo l'indicatore «Fare impresa» della Banca mondiale, infatti, l'Italia si colloca al 45o posto su 189 per la facilità dello svolgere un'attività, 86o per l'ottenimento di una licenza edilizia, 97o per l'ottenimento di crediti, 111o per l'esecuzione dei contratti e 137o per il pagamento delle imposte;
    nello scenario programmatico presentato nel DEF, il rispetto del percorso di avvicinamento verso l'OMT sembrerebbe confermato nel 2015 mentre nel 2016 dipenderebbe dall'utilizzo della flessibilità al livello massimo (peraltro ancora non riconosciuto dalle istituzioni UE); nel 2017 e nel 2018 sembrerebbe al contrario emergere un rischio di deviazione significativa dal percorso di avvicinamento richiesto soprattutto quando questo viene valutato in termini biennali, mentre nel 2019 il percorso di avvicinamento è coerente con le regole di bilancio;
    secondo l'UPB gli obiettivi di bilancio presentati nel DEF per il 2017 e il 2018 non configurano un percorso di avvicinamento all'OMT coerente con lo stato attuale del quadro interpretativo delle regole di bilancio europee come trasposte nell'ordinamento interno,

impegna il Governo:

   a prevedere, nell'ambito della tutela previdenziale, l'istituto del patto intergenerazionale contributivo, in conformità al principio solidaristico su base familiare per tutelare la categoria dei soggetti più deboli che, a causa dell'elevato tasso di disoccupazione e del progressivo innalzamento dell'età d'ingresso nel mondo del lavoro, rischiano di non perfezionare il diritto a un equo trattamento pensionistico, attribuendo al lavoratore la facoltà di richiedere l'autorizzazione alla costituzione di una posizione assicurativa tramite versamenti volontari validi per il diritto e per la misura della pensione, in favore di un parente entro il secondo grado da costituirsi presso la gestione separata dell'istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) per soggetti disoccupati maggiorenni, anche se studenti, fino al compimento del trentacinquesimo anno di età;
   a valutare la possibilità di introdurre misure in materia previdenziale per annullare i danni creati dalla manovra Fornero sulle pensioni e favorire il turnover generazionale, eliminando l'aspettativa di vita e diminuendo l'età pensionabile;
   a valutare l'opportunità di abbassare le aliquote contributive della gestione separata INPS, ormai non più sostenibili per i professionisti iscritti a tale gestione e nettamente inique rispetto a casse privatizzate con iscritti che svolgono professioni analoghe creando una concorrenza sleale nel libero mercato;
   a valutare l'opportunità di unificare tutte le casse professionali privatizzate, con la gestione separata INPS, in un'unica gestione al fine di omogenizzare le aliquote contributive di tutti i liberi professionisti senza differenza alcuna per ciò che concerne la percentuale di contribuzione;
   a valutare l'opportunità di abolire la quota di anticipo della contribuzione per l'anno successivo, con particolare attenzione alla situazione socio-economica attuale che non permette più una adeguata stima delle effettive entrate che il libero professionista può attendersi nell'anno successivo;
   a valutare l'opportunità di abolire qualsiasi contribuzione minima con specifica attenzione all'articolo 54 della Costituzione «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.»;
   a valutare l'opportunità di istituire un sistema di tutele maggiori verso i liberi professionisti analogo a quello dei soggetti dipendenti, al fine di tutelare i soggetti nei periodi di maggiore criticità e/o discontinuità lavorativa, ormai sempre più frequenti nel contesto socioeconomico che stiamo vivendo;
   a predisporre, anche in successivi interventi normativi, il mantenimento dell'esonero contributivo introdotto con la legge n. 190 del 2014, annullando la riduzione prevista dal Governo (dal 100 al 40 per cento) e il mantenimento del massimale pari a 8,060, ridotto dal Governo a 3,250 euro annui e nella durata, ridotta dal Governo da 3 a 2 anni;
   ad intraprendere, anche in successivi interventi normativi, delle misure più efficaci dirette a migliorare le condizioni del Meridione in cui quasi la metà dei residenti nel Sud e nelle isole (45,6 per cento) è a rischio di povertà o di esclusione sociale;
   a prevedere un incremento del Fondo di solidarietà per l'infanzia e l'adolescenza previsto dalla legge n. 285/1997 per far fronte alle persistenti condizioni di disagio di un consistente numero di famiglie italiane, come attestato anche dai dati Istat di cui in premessa;
   a predisporre iniziative atte a soddisfare l'esigenza di aprire alla concorrenza il settore delle concessioni autostradali, per troppo tempo bloccato da rendite di posizione che non sono più accettabili;
   a prevedere, anche in successivi interventi normativi, condizioni meno gravose per il mutuatario italiano che risulta gravato da oneri fiscali pari a una volta e mezza rispetto agli omologhi cittadini di Paesi che prevedono prelievi gravanti sulle operazioni di finanziamento (Francia e Spagna) e, dunque, a predisporre sgravi fiscali che potrebbero incentivare la ripresa del settore edilizio e delle produzioni ad esso connesse, con ricadute positive per l'intero sistema economico e, non ultimo, per il processo di riqualificazione immobiliare del Paese come non di minore importanza, rivitalizzando il mercato immobiliare e agevolando l'azione di recupero dei crediti deteriorati assistiti da garanzie immobiliari;
   a predisporre un adeguamento degli obiettivi di bilancio presentati nel DEF per il 2017 e il 2018 all'OMT, coerentemente con lo stato attuale del quadro interpretativo delle regole di bilancio europee come trasposte nell'ordinamento interno, nonostante lo scarto specifico rilevato nel 2018 rispetto al limite superiore dei previsori sia di entità contenuta e potrebbe coprirsi con una leva tributaria nell'ordine di poco più di un miliardo di euro;
   ad adottare altre misure strutturali incisive, oltre a quella della disattivazione delle clausole di salvaguardia che, per quanto possa avere un effetto recessivo, tuttavia non rappresenta un commitment assoluto perché possono sempre essere revocate e dunque non rappresenta uno strumento efficace per rafforzare la credibilità del risanamento delle finanze pubbliche, visto che, se ripetutamente disattese, come di fatto è accaduto, possono accrescere l'incertezza;
   a fornire una stima attendibile della reale capacità del cosiddetto Jobs Act di creare nuova occupazione, a fronte dei forti esoneri contributivi previsti dalle leggi 190/2014 e 208/2015, che la Ragioneria Generale dello Stato ha già quantificato in 19.431 miliardi di Euro sul periodo 2015-2019. Ad indicare inoltre se e come intenda rendere tale misura di decontribuzione strutturale e, in alternativa, come intenda affrontare il massiccio accesso a forme di ammortizzazione sociale da parte dei prevedibilmente numerosi lavoratori che perderebbero il lavoro a seguito della cessazione degli incentivi;
   ad avviare un'attenta riflessione sul sistema impositivo italiano, anche alla luce dei benchmark internazionali e delle raccomandazioni della Commissione europea, volto a garantire un tax shifting verso forme meno distorsive per la crescita, quanto in particolare al regime di fiscalità immobiliare;
   ad accelerare i decreti attuativi per la riforma del catasto, da emanarsi entro il 2016, prevedendo aggiornamenti periodici del sistema di valutazione del valore economico dell'immobile, tenendo presente che tale valore dovrebbe riflettere adeguatamente il costo-opportunità tra vendita e locazione dell'immobile;
   ad intraprendere iniziative, anche in considerazione delle crescenti minacce terroristiche, volte a rafforzare le infrastrutture materiali e immateriali a disposizione delle forze armate, specificando e chiarendo le modalità di spesa e i settori prescelti che saranno finanziati dal fondo istituito, nello stato di previsione del Ministero della Difesa, con una dotazione finanziaria di 245 milioni di euro per l'anno 2016, fondo che pur avendo il fine di sostenere interventi straordinari per la difesa e la sicurezza nazionale deve essere usato utilizzando efficienza, efficacia e trasparenza delle spese;
   a destinare parte dei risparmi effettuati con la riforma dello strumento militare al miglioramento della gestione corrente della formazione del personale e della gestione dei mezzi, a fronte di una riduzione di nuovi investimenti in sistemi d'arma;
   a predisporre una revisione normativa del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in materia di sicurezza cibernetica al fine di un'ottimizzazione delle funzioni strategiche e tattiche diretta a ripristinare una sovranità tecnica nazionale;
   a destinare parte dei risparmi effettuati con la riforma dello strumento militare per migliorare la gestione corrente della formazione del personale e della gestione dei mezzi, a fronte di una riduzione di nuovi investimenti in sistemi d'arma finalizzati a progetti effettivamente eseguibili e realizzabili;
   a predisporre interventi diretti a migliorare l'efficienza dei sistemi di sicurezza aeroportuale prevedendo l'utilizzo di un sistema unico di coordinamento e collegamento radio e di comunicazione tra le pattuglie interforze del dispositivo sicurezza aeroportuale e al fine di apprestare un dispositivo di sicurezza efficace ed efficiente per quanto concerne il complesso addestramento/equipaggiamento, comprensivo delle pattuglie messe a disposizione dai corpi armati, prevedendo anche delle aree di filtraggio con finalità antiterroristiche in prossimità degli aeroporti stessi.
(6-00237) «Pastorino, Artini, Baldassarre, Bechis, Segoni, Turco, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli».


   La Camera,
   esaminato il Documento di economia e finanza 2016 (Doc. LVII, n. 4);
   premesso che:
    ancora una volta il quadro macroeconomico descritto nel DEF, nella sua versione programmatica, risulta venato da una notevole dose d'ottimismo, se confrontato in particolare con le previsioni delle principali Istituzioni nazionali od internazionali del calibro di: Banca d'Italia, Ufficio Parlamentare di Bilancio, Istat, Corte dai conti, dal Fondo Monetario Internazionale e Commissione europea;
    secondo le ultime stime pubblicate dalle suddette organizzazioni, nel 2016 la crescita nominale (data da crescita reale più inflazione) nel nostro Paese 2 pari, se va bene, 1,3 per cento. La crescita reale del PIL Italiano, che il Governo colloca all'1,2 per cento, nei fatti sarà al massimo dell'1 per cento. Sempre nel 2016, inoltre, l'inflazione sarà, come dicono le stime, al massimo dello 0,2 per cento-0,3 per cento. Parliamo quindi di una crescita nominale, ovvero quella che conta ai fini del rispetto dei parametri europei, attorno all'1,2 per cento-1,3 per cento. Lontana quindi dall'ambizioso 2,2 per cento indicato nel Documento di economia e finanza di Renzi e Padoan;
    il problema del debito è enorme e non viene scalfito con qualche gioco contabile né, ancor peggio, con masochistiche vendite, a prezzi spaventosamente bassi, dei «gioielli di famiglia», che se danno un momentaneo risultato in termini di stock riducono, però, di pari ammontare, gli incassi da dividendi, per erodere furbescamente e di poco uno stock di quasi il 133 per cento, crescente di mese in mese;
   secondo le previsioni dell'esecutivo il debito comincerà a scendere già a partire da quest'anno. Trend confermato anche per il 2017, 2018 e 2019. Ma c’è sentore di trucco contabile. La diminuzione del rapporto debito/PIL è, infatti, dovuta all'aumento del denominatore. Il Governo prevede una crescita sovrastimata del prodotto interno lordo a partire da quest'anno e per gli anni a venire. Prospettiva che, senza Spending review, senza un piano di privatizzazioni credibile, senza crescita e con deficit in aumento, è difficile che si realizzi, se non impossibile;
    della Spending review non vi è traccia. Anzi. Nei prossimi 4 anni le uscite dalle casse dello Stato cresceranno sempre, con un incremento complessivo di oltre 22 miliardi di euro. La spesa pubblica passerà dagli 826 miliardi del 2015 ai quasi 849 miliardi di euro del 2019;
    tra il 2016 e il 2019, in base a quanto scritto nel DEF, è prevista una stangata fiscale di quasi 72 miliardi di euro. Nei prossimi 4 anni le tasse aumenteranno sistematicamente e il gettito complessivo supererà quota 855 miliardi rispetto ai 784 miliardi del 2015;
    la produttività, da cui dipendono i redditi e il benessere dei cittadini, si è ridotta con continuità nei decenni scorsi fino ad avere segno negativo negli ultimi anni. Con differenziali tra i vari settori, ma questa è la dinamica media. È diminuita la produttività totale dei fattori, il che vuol dire che il prodotto cresce meno dell'aumento dell'uso dei fattori produttivi, ed è diminuita la produttività del lavoro, da cui dipende la sua remunerazione;
    è fuor di dubbio che la produttività del lavoro difficilmente aumenta in periodi di recessione, almeno nella fase iniziale, perché la caduta della produzione per assenza di domanda è in genere superiore alla riduzione immediata di occupazione. Ma, dopo otto anni di crisi e un massiccio aumento della disoccupazione, il fatto che la produttività continui a non aumentare è preoccupante;
    nel periodo 2007-2011, cioè con l'impatto violento della crisi, la produttività del lavoro è rimasta stagnante, essa è poi crollata successivamente, e negli ultimi due anni è diminuita di circa un punto percentuale. Questo non avviene quasi mai nelle fasi di ripresa, per questo è un segnale inquietante. Il dato strutturale è che rispetto al 2007 la produttività del lavoro oggi è ancora inferiore di quasi il 2 per cento (che tra l'altro è solo la metà della riduzione conseguita negli ultimi due anni), e il tasso di occupazione è diminuito, sempre rispetto al 2007, di oltre il 5 per cento. Dietro questo trend c’è essenzialmente la caduta degli investimenti. E questo e l'altro problema di fondo;
    in Italia sono diventati negativi anche gli investimenti al netto degli ammortamenti. Significa che si riduce lo stock di capitale e non solo la sua variazione. Non sorprende quindi che i dati Eurostat indichino una caduta anche del prodotto potenziale italiano, cioè la sua capacità produttiva. La questione è europea: se non ripartono gli investimenti non aumenta la domanda interna e soprattutto non aumenta la produttività. Tutti ormai invocano gli investimenti pubblici, dalla Bce al Fondo monetario internazionale, perché, soprattutto quelli in infrastrutture materiali e immateriali, servono ad aumentare anche il rendimento, cioè la produttività degli investimenti privati;
    in Italia nei due anni di Governo Renzi gli investimenti pubblici, che pur nel pieno della crisi si erano mantenuti intorno al 3 per cento del PIL (poi scesi al 2,6 per cento nel corso della crisi del debito del 2012) sono crollati al loro minimo nel 2014 e nel 2015, tra il 2,2 per cento e il 2,3 per cento, e così si manterranno nei prossimi anni, secondo le ultime previsioni della Commissione europea;
    da queste due gravi debolezze dell'economia italiana (bassa produttività e scarsi investimenti) deriva anche la debolezza del nostro Paese nelle trattative con gli altri partner europei, i quali comprendono certamente che la produttività non cresce per decreto governativo, ma anche che l'uso di risorse scarse per finanziare bonus di vario tipo non rappresenta una politica di sostegno all'innovazione tecnologica e alla formazione del capitale umano per fare la rivoluzione necessari. Quando il tema è l'Italia, tra gli economisti europei non si parla d'altro, mentre il Governo continua a propagandare le sue false riforme e i suoi falsi risultati strabilianti di politica economica e finanza pubblica. È evidente che non solo i conti nel nostro Paese non sono in ordine, anzi sono pericolosamente a rischio, ma produttività e investimenti sono temi da cui non si può prescindere se si vuole davvero cambiare il Paese;
    il giudizio in merito all'atteggiamento dell'Esecutivo sul tema della cosiddetta «flessibilità» è pesantemente negativo: l'Italia, con il Governo Renzi, la chiede per il terzo anno consecutivo, ma le regole europee consentono ai paesi di fare maggior deficit solo una volta e sulla base delle riforme effettuate, che nel nostro caso non solo non sono state ancora completate, ma anche la loro efficacia è tutta ancora da verificare. Su questo, valgono le parole di Mario Draghi secondo cui l'abuso di «flessibilità», vale a dire una politica economica tutto in deficit, porta alla perdita di credibilità dei Paesi che ne abusano. E la credibilità del sistema paese è quella che orienta le decisioni dei mercati e degli investitori internazionali, con le relative ricadute sull'economia reale e sull'assorbimento dei nostri titoli del debito pubblico;
    l'Italia ha bisogno di una vera manovra espansiva, che crea crescita e occupazione, con l'aumento della produttività dei fattori e della competitività del Paese, la riduzione vera della pressione fiscale e il blocco definitivo dell'aumento di IVA e accise, che il Governo Renzi ha solo rinviato di un anno,

impegna il Governo:

   a soprassedere da qualsiasi decisione circa l'ulteriore distribuzione a pioggia di risorse che non siano state contabilmente certificate, impostando una strategia di politica economica che non rimandi le necessarie misure da intraprendere ad un tempo indefinito e/o disallineato rispetto alle dinamiche della congiuntura internazionale, e conseguentemente, a chiarire le misure di politica economica che intende mettere in atto ai fini della necessaria correzione dei conti pubblici italiani, onde evitare l'apertura di una procedura di infrazione nei confronti del nostro Paese. L'obiettivo è uscire dalla genericità delle enunciazioni circa la necessità di un maggiore sviluppo, indispensabile per arrestare i fenomeni di ulteriore arretramento rispetto alle realtà internazionale. Non dimenticando che, a differenza della maggior parte dei Paesi dell'Eurozona, l'Italia deve ancora recuperare circa 9 punti di PIL, per ritornare alla situazione del 2007;
   ad adottare ogni opportuna iniziativa volta a ridurre la pressione fiscale, finanziando l'operazione anche attraverso tagli alla spesa pubblica inefficiente, utilizzando e potenziando il programma di Spending review elaborato a fine 2013-inizio 2014 dall'allora commissario Cottarelli, che prevede risparmi per un totale di 60-65 miliardi nel triennio, da utilizzare quindi per disinnescare quanto prima le clausole di salvaguardia, e procedere alla riduzione dell'Ires e alla graduale cancellazione dell'Irap;
   a prevedere un quadro completo di misure atte a stimolare la crescita economica, i consumi, la domanda interna e la produttività, in particolare incentivando gli investimenti privati, anche attraverso la previsione di agevolazioni fiscali a favore delle imprese italiane;
   ad adottare ogni iniziativa volta ad introdurre, anche in via sperimentale, il cosiddetto «quoziente familiare», che considera il nucleo familiare, e non il singolo contribuente, come soggetto passivo dell'Irpef, con conseguenti vantaggi per le famiglie più numerose;
   a promuovere un grande piano per il Mezzogiorno, intervenendo per compensare il ridimensionamento delle quote di cofinanziamento dei fondi strutturali nell'ambito dei programmi operativi regionali del Sud, aumentando la spesa in conto capitale ordinaria dello Stato in favore delle aree territoriali che rientrano nel «piano di convergenza», al fine di sostenere l'economia meridionale e il capitale sociale dell'area, i servizi di pubblica utilità e alla persona, la messa in sicurezza dei territori; più in generale, ad adottare ogni iniziativa volta a rafforzare l'attività e la capacità competitiva degli impianti produttivi che già operano nel Mezzogiorno, attraverso il potenziamento dei presidi di legalità, l'implementazione di interventi mirati a colmare il gap infrastrutturale e di servizi, nonché misure specifiche volte a garantire l'accesso al credito, sostenendo altresì politiche di decontribuzione rafforzata, in particolare per le nuove imprese che decidono di investire nella zona creando conseguentemente sviluppo e posti di lavoro;
   a farsi promotore, in sede europea, di specifiche iniziative volte a modificare la direttiva sul bail-in, e identificare con precisione le passività bancarie chiamate a sopportare le perdite, escludendo quelle emesse prima dell'entrata in vigore delle nuove norme, per evitare la retroattività di queste ultime, e a predisporre strumenti eccezionali di intervento nel caso in cui si ha percezione che il sacrificio di azionisti o creditori derivante dall'applicazione del bail-in metta a repentaglio la stabilità dell'intero sistema;
   ad assumere in sede europea opportune iniziative volte a disporre una garanzia europea comune sui depositi bancari, in quanto è necessaria, in una unione monetaria, quale è l'Eurozona, la condivisione dei rischi, e tutto quanto ne consegue in termini di sacrifici richiesti ai governi e ai cittadini, non può che procedere di pari passo con la condivisione delle garanzie che quei rischi stessi servono a coprire, anche per far fronte a episodi di «panico finanziario»;
   ad adottare la opportune iniziative che assicurino la tutela dei risparmiatori, prevedendo innanzitutto misure volte al pieno ristoro degli obbligazionisti subordinati che hanno perso i propri risparmi a seguito dell'applicazione delle nuove norme sul bail-in, nonché la possibilità di ricorso allo strumento della class action collettiva. La previsione di un'attivazione di un'azione di classe è funzionale al completamento degli strumenti utilizzabili dai risparmiatori e, in particolare, dalle associazioni di tutela dei consumatori, così da consentire un'azione giudiziale di controllo anche della funzione di vigilanza svolta dalla Banca d'Italia.
(6-00238) «Brunetta, Alberto Giorgetti, Prestigiacomo, Milanato, Occhiuto».


   La Camera,
   premesso che:
    il Documento di economia e finanza 2016 (DEF), che com’è noto costituisce il principale documento di programmazione della politica economica e di bilancio, evidenzia a fronte dei cambiamenti in atto nell'economia internazionale e nonostante la fragilità del contesto di riferimento, una prospettiva di riferimento volta al conseguimento degli obiettivi di crescita e dell'occupazione, considerando in particolare l'emergere negli ultimi mesi di un contesto più complesso, legato (alla fine del 2015) dal progressivo rallentamento delle grandi economie emergenti e la protratta fase di debolezza dell'eurozona che hanno influenzato negativamente l'andamento della domanda esterna;
    all'interno di tale scenario, il DEF conferma tuttavia un quadro complessivo dell'economia in ripresa, sostenuta dai consumi, dagli investimenti e dall'inversione della dinamica del debito rispetto al prodotto interno lordo, in linea con quanto delineato dalla Legge di stabilità del 2016, al fine di un consolidamento della fiducia dei mercati finanziari e delle azioni di riforma, volte alla progressiva riduzione della pressione fiscale sui redditi delle famiglie e imprese, alla crescente disponibilità dei finanziamenti, alle misure di sostegno alla domanda e alla riduzione dei tassi di disoccupazione;
    le stime tendenziali di crescita del prodotto interno lordo per il 2016 (indicate dal documento all'1,2 per cento, rispetto alla crescita prevista dell'1,6 per cento prevista in termini programmatici dalla «Nota di aggiornamento» del 2015) in relazione alle sopraggiunte difficoltà del contesto internazionale ed europeo, dopo tre anni consecutivi di contrazione, (nonostante le prospettive favorevoli del primo trimestre) presuppongono una continuità nell'azione del Governo e del Parlamento, nel proseguire il rilancio della crescita e dell'occupazione a sostegno delle prospettive di sviluppo dell'economia, nel quadro dei programmi di privatizzazioni, di stimolo agli investimenti, di consolidamento delle finanze pubbliche e dell'intensificarsi delle procedure di spending review (revisione della spesa) come strumento per la riduzione della spesa pubblica aggregata e, più in generale, per il consolidamento di bilancio;
    all'interno del suesposto quadro, il DEF prefigura pertanto una politica di bilancio attenta alla crescita e alla sostenibilità delle finanze pubbliche e sul piano tendenziale evidenzia, come in precedenza richiamato (rispetto alle stime contenute nella Nota tecnico illustrativa della legge di stabilità 2016), le nuove previsioni sulla base delle informazioni relative al 2015 diffuse dall'ISTAT, del nuovo quadro macroeconomico rappresentato nella sezione I del Documento medesimo e dell'impatto finanziario dei provvedimenti approvati fino al mese di marzo 2016;
    con riferimento all'anno 2015, il documento all'esame, evidenzia come l'economia italiana sia tornata a crescere, dopo tre anni di contrazione del prodotto interno lordo (-2,8 punti percentuali nel 2012, -1,7 nel 2013 e -0,3 nel 2014), registrando un tasso dello 0,8 per cento in termini reali;
    al riguardo, la crescita del prodotto è risultata leggermente inferiore a quanto previsto a settembre scorso nella Nota di aggiornamento del DEF 2015 (+0,9 per cento) e nel Documento Programmatico di Bilancio, presentato ad ottobre 2015, a causa del rallentamento dell'andamento del PIL nella seconda metà dell'anno, rispetto alla fase di crescita sostenuta registrata nel primo semestre, in connessione con l'inatteso indebolimento del contesto esterno, sui quali hanno pesato l'accresciuta volatilità sui mercati finanziari e la minaccia terroristica;
    i segnali positivi e di condivisione contenuti nel documento medesimo (in particolare all'interno della terza sezione stabilito dal PNR – Programma Nazionale di Riforma), in relazione agli obiettivi e le conseguenti linee d'intervento nell'ambito della politica fiscale, della flessibilità dei requisiti pensionistici, sugli interventi di sensibilizzazione, volti a definire i vantaggi della previdenza complementare e nel comparto delle infrastrutture, (al fine di semplificare e rendere flessibile il sistema regolatorio e le relative procedure attuative) anche in coerenza con i target delineati dalla Strategia Europa 2020, rappresentano linee guida indispensabili, per una politica economica orientata a creare condizioni per una crescita robusta e duratura;
    il tale quadro, negli ambiti principali del PNR, (che rappresenta parte integrante del DEF, insieme al Programma di stabilità) la riduzione degli squilibri territoriali, con la continuazione della politica di coesione nel nuovo settennio della programmazione, la recente introduzione di incentivi fiscali per gli investimenti nel Mezzogiorno ed il masterplan per tale area, rappresentano strumenti d'intervento interessanti, sui quali necessitano ulteriori e più rigorose misure di politica economica, industriale e del lavoro da affiancare nel quadro dei prossimi interventi, come ad esempio, la proroga per il 2017, dello sgravio contributivo per i nuovi assunti limitata alle regioni meridionali;
    nei programmi per il Mezzogiorno, all'interno dell'azione legislativa del Governo e del Parlamento, risulta prioritario potenziare le politiche d'intervento volte a ridurre il gap infrastrutturale, sia materiali che immateriali a partire dalla adeguata capacità di «banda larga», in coerenza con i recenti interventi di programmazione, al fine di rafforzare la crescita e l'ammodernamento delle reti infrastrutturali, in grado di determinare una spinta alla ripresa che comporterebbe benefici per la crescita dell'intero Paese;
    la disattivazione delle clausole di salvaguardia (che comporterà una perdita di gettito di 15,1 miliardi di euro nel 2017 e 4,5 miliardi di euro nel 2018) e gli impegni prossimi ad una sterilizzazione nel 2017, (pari allo 0,9 per cento del PIL), considerati gli effetti recessivi e d'incertezza che determinano per i contribuenti e gli operatori economici, accompagnate da misure rigorose ed efficaci sul fronte delle entrate tributarie e del contenimento della spesa pubblica, rappresentano un obiettivo necessario, anche al fine di una coincidente, revisione strutturale del sistema tributario, in particolare la struttura impositiva indiretta, in prospettiva di una riduzione della pressione fiscale sulle famiglie e le imprese;
    al riguardo, la prospettiva di riduzione progressiva del carico fiscale per le famiglie e imprese indicata dal DEF, nell'ambito delle prossime leggi di bilancio (2017-2018), in particolare per le famiglie attraverso interventi sull'IRPEF (in base agli spazi finanziari disponibili, nel rispetto dei saldi di finanza pubblica) e sulle imprese, moderando le aliquote IRES dal 27,5 per cento al 24 per cento a partire dal 2017, come peraltro disposto dall'articolo 1, comma 61 della Legge di stabilità per il 2016, evidenzia un obiettivo condivisibile e le conseguenti linee d'intervento, determineranno effetti favorevoli sulla ripresa dell'economia in particolare sul versante della domanda interna e del rilancio dei consumi;
    le politiche di bilancio adottate nel recente, che hanno determinato risultanti importanti durante la crisi economica e l'uscita dell'Italia dalla recessione, si raffigurano dal miglioramento dei conti pubblici, il cui documento in oggetto, conferma le strategie conseguite di recente, finalizzate alla conciliazione della stabilizzazione del ciclo con l'esigenza del rientro del debito (dal 2016 prende avvio una fase di discesa del rapporto debito/PIL, che prevede, in tal anno, una riduzione di 0,3 punti percentuali rispetto al 2015);
    a tal fine, la necessità di creare condizioni più favorevoli per la crescita e l'attività economica, come delineato dal PNR, attraverso una politica di bilancio più espansiva nel breve periodo, rispetto a quella dello scorso autunno, (soprattutto in considerazione di una ripresa economica ancora debole) può essere sostenuta attraverso l'innalzamento dell'efficienza e l'efficacia dell'azione pubblica, il miglioramento del funzionamento della giustizia civile e del mercato del lavoro, il miglioramento dell'accesso al credito bancario nei riguardi del sistema delle imprese, in particolare di piccola e media dimensione, le cui strategie di riforma delineate nel documento in oggetto, si pongono in continuità con l'azione in corso da anni ed i programmi già avviati;
    lo scenario previsionale macroeconomico programmatico del DEF, a seguito dell'attuazione degli obiettivi previsti per la crescita del PIL pari all'1,2 per cento per l'anno in corso, all'1,4 per cento per il 2017, all'1,5 per cento per il 2018 ed all'1,4 per cento per il 2019 e ai valori del tasso di disoccupazione pari all'11,4 per cento per l'anno in corso, al 10,8 per cento per il 2017, al 10,2 per cento per il 2018 ed al 9,6 per cento per il 2019, sebbene soggetti a revisioni nel corso dei periodi dell'anno, accompagnati da una politica di bilanci rigorosa e da misure espansive e di riforme per far ripartire il Paese, rappresentano pertanto obiettivi fondamentali per una crescita stabile e duratura, indispensabili per consentire l'autorevolezza necessaria a negoziare un cambiamento radicale delle regole europee,

impegna il Governo:

   a proseguire le riforme strutturali già avviate, attraverso interventi di politica economica e di bilancio, volti a favorire la crescita, lo sviluppo e la domanda interna, che rappresentano una leva fondamentale per la ripresa dell'economia, che sconta gli effetti duraturi di due recessioni, intraprendendo al contempo, misure di alleggerimento della pressione fiscale per le famiglie e le imprese come indicato dal DEF, ed una maggiore efficienza della spesa pubblica;
   a destinare parte delle risorse derivanti dai risultati di bilancio, per il sostegno della crescita economica, in coerenza con quanto delineato dalla Legge di stabilità 2016, al fine di evitare sia rischi concreti di deflazione e stagnazione riconducibili al contesto internazionale, che effetti negativi di manovre eccessivamente restrittive, che possono determinare un peggioramento, (anziché un miglioramento) del rapporto debito-PIL;
   a conseguire i risultati di finanza pubblica indicati dal DEF, impostati su una politica di bilancio orientata alla crescita e al consolidamento delle finanze pubbliche, come indicato dalla Sezione I del Documento medesimo e dall'impatto finanziario dei provvedimenti approvati fino al mese di marzo 2016, nonché dai risultati indicati dal conto economico che evidenzia per il 2016 un indebitamento netto pari al 2,3 per cento del PIL (39,3 miliardi), determinando pertanto, (rispetto al 2015), una riduzione di un saldo dello 0,3 per cento in termini di PIL;
   a porre in essere ogni iniziativa volta a «sterilizzare» per intero le clausole di salvaguardia per il 2017, per 0,9 per cento del PIL, in considerazione degli effetti recessivi in grado di determinare, nell'attuale fase di ripresa in via di consolidamento;
   a conseguire nell'ambito del riordino delle spese (tax expenditures) che avverranno nel quadro delle procedure di bilancio, le linee d'indirizzo contenute nel DEF, per quanto riguarda la tassazione immobiliare a seguito delle recenti modifiche apportate ai tributi locali (in particolare IMU e TASI) dalla Legge di stabilità 2016 nella strategia di alleggerimento del carico fiscale per cittadini e imprese;
   a proseguire gli interventi legislativi in grado di porre al centro della prospettiva di politica economica la crescita in particolare sul piano della competitività, attraverso l'attenuazione del cuneo fiscale, nonché dell'efficientamento del settore dei servizi alle imprese, bisognoso di spinte di liberalizzazione;
   a incrementare le iniziative in favore del Mezzogiorno, attraverso un potenziamento delle reti infrastrutturali, dei sistemi di trasporto e di mobilità, rafforzando in tema di lavoro gli strumenti volti a incrementare l'occupazione in particolare quella giovanile, attraverso la proroga per il 2017, dello sgravio contributivo per i nuovi assunti;
   a valutare l'opportunità di prevedere nei prossimi interventi, in coerenza con quanto indicato nella Sezione III del Programma Nazionale di Riforma del DEF, nell'ambito delle politiche previdenziali, la fattibilità di interventi volti a favorire una maggiore flessibilità nelle scelte individuali, salvaguardando la sostenibilità finanziaria e il corretto equilibrio nei rapporti tra generazioni, peraltro già garantiti dagli interventi di riforma, anche favorendo le misure della previdenza complementare (in particolare nei riguardi della fascia giovanile) e di stimolo in grado da un lato a ridurre la spesa pubblica sul welfare, dall'altro ad ammodernare il sistema-Paese;
   a proseguire le misure d'indirizzo di espansione delle capacità di investimento del sistema delle autonomie locali, intraprese con la Legge di stabilità per il 2016, attraverso l'abbandono del patto di stabilità interno, in favore d'interventi più legati ai vincoli di gestione dei bilanci di competenza e di pareggio di bilancio in grado di determinare impulsi alla ripresa degli investimenti comunali ed evitare controeffetti depressivi come confermato dallo stesso DEF, in base all'orizzonte programmatico della finanza pubblica.
(6-00239) «Abrignani, D'Alessandro, Faenzi, Galati, Mottola, Parisi, Francesco Saverio Romano».


   La Camera,
   premesso che:
    il Documento di economia e finanza 2016 presentato dal Governo alle Camere, benché tanti di rappresentare un quadro macroeconomico del nostro Paese migliorato rispetto allo scorso anno, indicando un'Italia in uscita dalla crisi, delinea in realtà uno scenario ancora per diversi aspetti molto preoccupante, caratterizzato da una crescita troppo lenta (+0,8 per cento in termini grezzi);
    le precedenti stime del Governo non sembrano quindi essere state abbastanza prudenziali, tanto che, nel DEF in oggetto, compare un taglio delle stime sulla crescita per l'anno in corso, che scendono al +1,2 per cento dal +1,6 per cento previsto invece nella scorsa Nota di aggiornamento di settembre 2015. Stessa previsione in ribasso è fatta per il 2017, in cui il PIL dovrebbe mostrare una crescita del +1,2 per cento, in calo dalla previsione precedente a +1,6 per cento;
    l'ottimismo previsionale di questo DEF, risulta sconfessato dai dati dei principali istituti di ricerca nazionali ed internazionali che, nei primi mesi dell'anno, hanno stimato per il 2016 una crescita del PIL che si aggira tra 1 e 1,1 punti percentuali. E lo stesso vale anche per il 2017. Basti pensare ai dati del FMI-WEO del 12 aprile scorso – quindi contestuali alla presentazione del DEF –, che prevedono un +1 per cento per il 2016 e un +1,1 per cento per il 2017-, o a quelli dell'OCSE, che stima soltanto un punto percentuale di crescita per l'anno in corso, mentre addirittura il CER prevede un +0,9 per cento per il 2017;
    le stesse considerazioni valgono per il rapporto deficit/PIL, per il quale il Governo ha dovuto trovare un nuovo livello di indebitamento, che per il 2016 viene fissato al 2,3 per cento, mentre nel settembre scorso era previsto al 2,2 per cento. Si noti che l'indebitamento netto potrebbe comunque salire al 2,4 per cento, qualora venisse sfruttata a pieno la clausola di flessibilità per la crisi dell'immigrazione;
    su questo ultimo punto, nonostante quanto dichiarato dal Governo nei mesi scorsi dando per certo un esito positivo già da tempo, ancora oggi la Commissione Europea non ha accolto, per i numerosi dubbi e perplessità esplicitati anche direttamente al Presidente del Consiglio, la richiesta della clausola di flessibilità c.d. migranti, avanzata per le spese sostenute nel 2015 e stimate per l'anno corrente relative all'accoglienza;
    secondo quanto stimato nel DEF 2016, l'impatto sul bilancio dell'emergenza migranti, in termini di indebitamento netto e al netto dei contributi dell'Unione Europea, è attualmente stato solo quantificato in 2,6 miliardi per il 2015 e pari a 3,3 miliardi per il 2016, salvo ovviamente ulteriori incrementi di ingressi illegali nel nostro territorio, incentivati dalle attuali politiche di questo Governo in tema di immigrazione che, in contro tendenza con quelle degli altri Stati europei, rendono il nostro Paese la destinazione privilegiata dei viaggi organizzati dai trafficanti di esseri umani;
    come le altre previsioni, per il debito pubblico, che nel 2016 scenderà al 132,4 per cento, la stima di settembre era superiore di circa 1 punto percentuale di PIL: quindi, per il 2016, il rapporto debito/PIL calerà soltanto dello 0,3 per cento passando dal 132,7 per cento al 132,4 per cento, mentre a settembre si prevedeva un 131,4 per cento; per il 2017, ugualmente, in questo DEF si stima una percentuale debito/PIL del 130,9 per cento, mentre a settembre si stimava un 127,9 per cento, con una differenza, quindi, di ben 48 miliardi;
    il nostro Paese cresce dunque in maniera anomala, non soltanto rispetto agli altri Paesi dell'UEM e gli altri maggiori Paesi del mondo occidentale, i quali hanno dimostrato una tenuta più forte nel 2015, con gli Stati Uniti cresciuti del 2,4 per cento, la Germania dell'1,5 per cento, la Francia dell'1,1, il Regno Unito del 2,2 e la Spagna addirittura del 3,2. Il nostro PIL, infatti, seppur tornato ad un segno positivo, è, come dichiarano i tecnici dell'Ufficio parlamentare di bilancio, «anormalmente lento, sia se lo si confronta con le precedenti fasi cicliche espansiva, se si considera la forte caduta da cui l'economia deve riprendersi»;
    è vero, infatti, che la crescita è imputabile per lo più al solo aumento dell’export (che nel 2015 ha avuto una variazione positiva del 4,3 per cento rispetto ai consumi finali nazionali che hanno registrato soltanto uno + 0,5 per cento) e che la lieve ripresa dei consumi interni, seppur considerata dal documento in esame come buona componente del segno positivo del PIL, è dovuta principalmente alla diminuzione del prezzo delle materie prime, in particolare del petrolio, con effetto positivo sul potere d'acquisto delle famiglie;
    quale contributo alla ripresa, il Documento enfatizza la riforma del lavoro jobs act «di ampia portata e il cui impatto positivo è già evidente nei dati sull'occupazione a tempo indeterminato», osservando che il tasso di occupazione per i soggetti compresi tra i 20 ed i 64 anni di età, nel 2015, è risultato pari al 60,5 per cento, un valore di 0,6 punti percentuali superiore rispetto al tasso del 2014. In realtà nel 2015 l'occupazione è cresciuta dello 0,6 per cento e soltanto in ragione degli sgravi fiscali e già nei primi mesi del 2016 si è registrata una decrescita di nuovi rapporti di lavoro, proprio in ragione del dimezzamento degli sgravi fiscali previsti nell'ultima legge di stabilità;
    in merito si ricorda la recente analisi del centro studi Impresa Lavoro su dati Inps, la quale ha evidenziato che il 61 per cento del totale dei contratti di lavoro a tempo indeterminato attivati nel 2015 è assistito dall'esonero contributivo, a conferma che non si tratta di un'occupazione stabile, bensì di impieghi a termine incentivati;
    alla medesima conclusione è giunta anche l'indagine statistica Labour market Reforms in Italy: evaluating the effects of the Jobs Act, fatta da tre economisti (Marta Fana, dell’Institut des hautes etudes politiques de Paris, Dario Guarascio e Valeria Cirillo della Scuola superiore Sant'Anna di Pisa) che hanno incrociato i dati sull'occupazione e i contratti di Istat, Eurostat e Inps: il risultato è che il jobs act non ha funzionato come motore dell'occupazione, che la riforma non ha determinato una crescita del tempo indeterminato e che la maggior parte dei contratti è la trasformazione di una tipologia in un'altra;
    ugualmente all'occupazione, la produttività, nel 2015, rapportata al numero degli occupati è cresciuta soltanto dello 0,2 per cento, mentre misurata sulle ore lavorate è addirittura calata dello 0,1 per cento;
    senza un effettivo sostegno all'occupazione e alla produttività, il Paese non può riprendere a crescere: a questo proposito si rende necessaria una efficace linea programmatica di politica di bilancio di carattere espansivo che non punti soltanto a bonus monetari di dubbia efficacia economica, ma di certa utilità elettorale: il bonus di 80 euro ad esempio (che si aggiunge agli altri per le forze dell'ordine e ai bonus di 500 euro per i neomaggiorenni e agli insegnanti), introdotto con il decreto-legge n. 66 del 2014 come credito fiscale ai percettori di redditi di lavoro dipendente e di taluni redditi assimilati e reso strutturale con la legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014), oltre a non far crescere il Paese, si è rivelato, addirittura, un boomerang economico a sostegno del quale il Governo ha dovuto aumentare sommessamente la pressione fiscale su altri comparti di minore impatto mediatico, tra cui quella sui Fondi pensione (dall'11 per cento al 20 per cento) e quella sulle casse previdenziali dei professionisti (dal 20 per cento al 26 per cento);
    suddetto bonus inoltre, oltre a non rilanciare i consumi, perché – come ha rilevato la stessa ISTAT – le famiglie lo hanno riversato nei risparmi in ragione dell'incerta situazione economica in cui ancora versa l'Italia, non si è potuto conteggiare nella diminuzione del carico fiscale, tanto che nella Nota di aggiornamento di settembre 2015 il dato sulla pressione fiscale segnava un valore pari al 43,1 per cento del PIL solo se calcolato al netto del bonus e delle clausole di salvaguardia, mentre, in realtà, il valore effettivo è stato pari al 43,5 per cento, come si legge in questo DEF;
    secondo le ultime stime dell'Ocse, appena pubblicate nel Taxing Wages 2016, il peso del cuneo fiscale in Italia, sia per le famiglie sia per i single, è cresciuto ininterrottamente dal 2011 e si attesta, nel 2015, al 49 per cento, posizionando l'Italia al quarto posto in Europa per peso del fisco sui salari, senza una corrispondente crescita di servizi sociali;
    a ciò si aggiunge una spesa pubblica che è cresciuta progressivamente negli ultimi anni, fino ad attestarsi al 50,5 per cento del PIL nel 2015, e che il Governo punta a diminuire fino al 46,7 per cento nel 2019, senza però mettere in atto una efficace riforma del sistema tributario e un complessivo intervento razionale di spending review, non saranno infatti sufficienti né i decreti attuativi della riforma della Pubblica Amministrazione né quelli della delega fiscale, se non accompagnati da una effettiva diminuzione delle aliquote fiscali e da una vera implementazione di quanto già previsto nella legge 42 del 2009 per l'attuazione della delega costituzionale sul federalismo dell'articolo 119 della Costituzione, mai completata (tanto che anche la Corte costituzionale, nella sentenza n. 273/2013, ha parlato di riforma «inattuata»);
    per poter tagliare la spesa in maniera selettiva sarebbe infatti sufficiente applicare i principi dell'individuazione dei fabbisogni e dei costi standard con tagli previsti non sui bilanci consuntivi ma su quelli preventivi: il passaggio dalla spesa storica al costo potrebbe infatti orientare la politica delle amministrazioni verso una nuova logica meritocratica che eviti le note inefficienze del passato perché è ben noto come gli sprechi della pubblica amministrazione non siano attribuibili soltanto ed esclusivamente a situazioni patologiche di illegalità e incuria, ma anche a situazioni di normalità, a causa di una gestione non ottimale (o meglio non professionale) dell'azione amministrativa. Spesso, infatti, la spesa, sebbene utilizzata dagli attori amministrativi per finalità pubbliche, non è impiegata nel modo più produttivo e più efficace, a causa di un approccio non rigoroso, sul piano del metodo, alla progettazione delle politiche e dei servizi pubblici;
    il concetto dei costi standard è legato a due fondamentali scopi: quello di ottimizzare e omogeneizzare i valori produttivi e, attraverso essi, contenere i prezzi e quello di valutare gli scostamenti dei costi reali e, con essi, lo stato di efficienza del sistema produttivo;
    neanche la riforma costituzionale che il Governo inquadra nel DEF come un «affogamento della capacità istituzionale» assicura una effettiva e certa applicazione di questi indicatori, perché il coordinato disposto dei nuovi articoli 70 e 117, con il conferimento alla potestà legislativa esclusiva statale della materia del coordinamento della finanza pubblica, senza procedimento legislativo bicamerale, se sommato all'impatto che la legge costituzionale n. 1 del 2012 e che la legge rinforzata n. 243 del 2012 hanno avuto sull'impianto dell'autonomia finanziaria locale, vedrà ridursi, ancor più, la possibilità di manovra delle istanze territoriali in nome del rispetto, prima, del patto di bilancio e del raggiungimento, oggi, del pareggio di bilancio, segnando un'ulteriore battuta d'arresto del federalismo fiscale;
    in tema di riduzione del debito, inoltre, la scelta delle privatizzazioni quale strumento che dovrebbe portare alla diminuzione dello 0,5 per cento del PIL per il triennio 2016-2019 potrebbe svelare alcune insidie, se le operazioni non verranno portate avanti con razionalità. Nell'ambito delle misure volte alla sostenibilità delle finanze pubbliche, il programma nazionale di medio periodo prevede, fra le altre, la privatizzazione delle Ferrovie dello Stato, che sembra rinviata al 2017 per procedere ad un riassetto e alla definizione di un piano industriale. Per evitare che sia solo un'operazione economico-finanziaria e sia, invece, un momento di crescita e sviluppo per l'intero sistema del trasporto ferroviario, la privatizzazione deve essere accompagnata da specifiche clausole a salvaguardia della qualità del servizio offerto agli utenti, soprattutto nei settori a maggior richiesta che presentano attualmente profili di grosse criticità. A tal fine, è necessario che i futuri contratti di servizio prevedano la garanzia di standard minimi nel numero e nella qualità dei servizi offerti ai cittadini e che i programmi e gli accordi europei sul trasporto ferroviario di merci, strategici per il nostro Paese, vengano tutelati e sostenuti nei futuri piani industriali;
    a fianco di queste riforme, quelle che hanno interessato il sistema bancario, dal decreto-legge sulle banche popolari (decreto-legge n. 3 del 2015), passando per la messa in risoluzione delle quattro banche Cariferrara, Banca Etruria, Banca Marche e Carichieti (decreto-legge n. 183 del 2015 poi confluito nella legge di stabilità 2016), fino alla riforma del sistema creditizio cooperativo (decreto-legge n. 18 del 2016), non hanno tenuto conto della necessità di una revisione completa dell'intero sistema al fine di introdurre una separazione dei modelli bancari;
    la pesante crisi economico-finanziaria appena trascorsa, che dal 2007 ha investito prima l'economia finanziaria per poi riversarsi gravemente sull'economia reale, ha riaperto la discussione sulla patrimonializzazione degli istituti di credito e sugli eccessivi livelli di rischio che questi ultimi assumono, facendo emergere il drammatico problema dell'abuso delle leve finanziarie e della qualità degli strumenti finanziari detenuti dalle banche stesse;
    in realtà la responsabilità dell'attuale situazione è imputabile anche, e in buona parte, alla gestione negligente di alcuni vertici che, nell'impunità e nell'irresponsabilità più totale, hanno contribuito ad aggravare la situazione patrimoniale delle banche da loro gestite, consapevoli che poi i rischi sarebbero ricaduti anche sui correntisti, non risparmiando neanche le fasce più deboli;
    il problema della ricapitalizzazione delle banche si è posto anche in sede europea in cui, in seguito alla sopravvenuta necessità di interventi statali di salvataggio degli istituti di credito, si è proposta l'introduzione del principio del bail-in, ossia di un principio che regoli il risanamento e la risoluzione degli enti creditizi in un quadro di sorveglianza armonizzato che sia in grado di limitare il più possibile il ricorso a finanziamenti pubblici per il salvataggio degli istituti che, però, tradotto nel nostro Paese, ha causato delle conseguenze inaspettate anche sui piccoli investitori non professionisti;
    sembrerebbe quindi necessario prevedere una riorganizzazione del sistema creditizio che stabilisca la separazione tra le banche commerciali e le banche d'affari, ossia tra le banche che raccolgono e distribuiscono credito ad imprese e famiglie e le banche che operano nei mercati finanziari con attività speculative ad alto rischio; l'effetto di una tale riorganizzazione attraverso precise distinzioni delle partecipazioni azionarie e un diverso trattamento fiscale che avvantaggi le banche commerciali, comporterebbe una consistente immissione di liquidità in grado di aiutare la ripresa, ancora caratterizzata da un'alta instabilità finanziaria delle famiglie e delle aziende;
    è indubbio, infatti, che le criticità di accesso al credito bancario pesino negativamente sul potenziale di crescita e di competitività delle imprese italiane; difficoltà superate solo in parte dal recente accordo tra il Fondo Europeo per gli Investimenti ed il Fondo di Garanzia per le PMI, sostenuto dal Fondo europeo per gli investimenti strategici (strumento cardine del piano Juncker);
    il ridimensionamento della controgaranzia a vantaggio della garanzia diretta ha creato uno squilibrio nel sistema, rendendo il fondo medesimo uno strumento meno efficace ed efficiente per le imprese più piccole, quelle con maggiori difficoltà ad accedere al credito pur se strategiche per l'apparato produttivo del Paese (98,3 per cento delle imprese, 58 per cento dell'occupazione e 40,9 per cento del valore aggiunto realizzato);
    con riguardo al settore pensionistico, il Documento in oggetto afferma che il Governo valuterà «la fattibilità di interventi volti a favorire una maggiore flessibilità nelle scelte individuali, salvaguardando la sostenibilità finanziaria e il corretto equilibrio nei rapporti tra generazioni, peraltro già garantiti dagli interventi di riforma che si sono susseguiti dal 1995 ad oggi»;
   all'uopo è opportuno ricordare che la riforma Fornero del 2011 ha tradito generazioni passate e future. L'innalzamento tout court dei requisiti anagrafici, in combinato con l'eliminazione dei trattamenti di anzianità, ha impedito a molti di accedere alla pensione bloccando di fatto il ricambio generazionale;
    una revisione delle rigidità prodotte dalla nefasta legge Fornero sulle pensioni non è più rinviabile e le problematiche ancora in essere – come gli esodati, il IV trimestre nate ’56 per opzione donna, la tutela dei lavoratori precoci, ecc. – devono rivestire la massima priorità nelle scelte dettate dagli equilibri di bilancio;
    con riguardo alle misure di contrasto alla povertà e welfare, il DEF 2016, richiamando il disegno di legge cosiddetto «Social Act», ribadisce la volontà del Governo di razionalizzare «le prestazioni di natura assistenziale a quelle di natura previdenziale introducendo il principio di universalismo selettivo»;
    sebbene il Ministro Poletti abbia dichiarato che il riferimento debba attribuirsi ad «un errore tecnico» e che non c’è alcun disegno di razionalizzazione degli interventi anche di natura previdenziale, la probabilità di un giro di vite sulle pensioni di reversibilità con un eventuale aggancio all'Isee sembra quanto mai concretizzarsi;
    in merito al settore delle infrastrutture, il Documento non prevede alcun nuovo Allegato, né l'aggiornamento della Tabella «Opere prioritarie del Programma infrastrutture strategiche», riportata nell'Allegato 3 al DEF 2015, confermando, pertanto, l'invarianza dell'elenco delle 25 opere prioritarie del DEF 2015 e la volontà del Governo di superare la legge n. 443 del 2001 (cosiddetto «legge obiettivo») per ricondurre nella disciplina ordinaria le opere e gli insediamenti strategici per il Paese, nelle more dell'adozione di una nuova programmazione delle infrastrutture prioritarie;
    la Strategia nazionale per le aree interne del Paese, è carente di un'apposita strategia nazionale per le aree montane che individui agevolazioni finanziarie e fiscali per gli investimenti degli enti locali, soprattutto per i piccoli Comuni e per i Comuni disagiati, al fine di sostenerne il ripopolamento, lo sviluppo e la crescita di queste zone; nulla di strutturale e permanente è previsto, in termini di finanziamenti annuali, per la difesa del suolo e per un vasto piano di prevenzione e messa in sicurezza del territorio, allo scopo di evitare di intervenire a posteriori, sempre in situazioni di emergenza, per fare fronte agli interventi di risarcimento e di ricostruzione delle opere distrutte o danneggiate a seguito di danni provocati dalle calamità naturali;
    in materia ambientale è necessario rendere stabili e strutturali le agevolazioni fiscali per gli interventi di riqualificazione e di efficienza energetica disciplinate dall'articolo 1, comma 47, della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità per il 2015), nonché individuare appositi finanziamenti per le attività di bonifica dei siti inquinati, ai fini di un processo di reindustrializzazione delle aree con l'insediamento di nuove attività produttive e lo sviluppo di quelle esistenti;
    in tema di sanità, il taglio di 2,3 miliardi di euro al fondo previsto nel decreto-legge cosiddetto «Enti Locali» approvato lo scorso agosto, riducendolo così a 109,7 miliardi dal 2015, non rappresenta alcuna razionale spending review, trattasi di tagli lineari il cui peso maggiore è ricaduto sulla Lombardia che vedrà ridursi, complessivamente, le proprie entrate di 385 milioni, di cui 219 milioni solo nel settore beni e servizi;
    le Regioni virtuose come la Lombardia scontano anche altre criticità come quella dei pazienti extra-regione, in cerca della cura migliore o in lista per la seconda operazione, dopo interventi non andati a buon fine nelle strutture sanitarie di residenza. Il «turismo sanitario» muove circa 800 mila persone (di cui il 55 per cento diretti nelle strutture sanitarie del Nord);
    il sistema regionale anticipa le spese ospedaliere per ognuno dei pazienti ospitati; spese che invece dovrebbero essere a carico della Regione di provenienza. Il saldo delle pendenze è estremamente lento tanto che la Lombardia si trova a dover incassare 495 milioni di euro dalle altre Regioni;
    al fine di evitare che anche le Regioni «virtuose» siano continuamente oggetto di tagli lineari la soluzione invocata è quella dei costi standard che, in particolare per il settore sanitario, rappresentano il nuovo modello economico di riferimento sui quale fondare il finanziamento integrale dell'attività pubblica afferente l'erogazione ai cittadini dei principali servizi sociali, tra cui, prioritariamente, la sanità;
    se in tutto il Paese venissero applicati i costi sanitari pro-capite di Regione Lombardia, pari a 1240 euro, avremmo un risparmio strutturale di 23 miliardi di euro all'anno corrispondenti all'ammontare di un'intera finanziaria, che ben supera la copertura per IVA ed IMU, con le cui risorse liberate si recupererebbero ingenti risorse per defiscalizzare le imprese;
    con riguardo alla giustizia, non si può certo ignorare come questa venga avvertita sempre di più dai cittadini come inadeguata e incapace di assicurare la tutela delle persone offese dei reati e la conseguente tutela dei diritti, nonché inidonea nel contribuire al progresso civile del Paese;
    il numero dei processi pendenti sia nel settore civile che in quello penale, l'impossibilità che questi siano definiti in tempi ragionevoli, nonché l'adozione sistematica di provvedimenti cosiddetti «svuota carceri» o «indulti mascherati», tra cui, da ultimo, la legge 28 aprile 2014, n. 67 sulla depenalizzazione e la messa alla prova, determinano ormai una sfiducia generalizzata dei cittadini nel sistema giustizia;
    il sistema giustizia ha, infatti, un notevole impatto sul tessuto economico e in particolare sulle imprese, come dimostra il rapporto «Doing Business», stilato ogni anno dalla Banca Mondiale per individuare in quali Paesi sia più vantaggioso investire, che prende tra i diversi parametri (avvio di impresa, accesso al credito, sistema fiscale, eccetera) la durata media di un procedimento civile, ad esempio per il recupero di un credito, dato sicuramente importante per una azienda. Nel nostro paese, per ottenere un'azione esecutiva in caso di inadempimento contrattuale servono in media 1.210 giorni contro i 510 della media Ocse e si spende il 30 per cento del valore della causa (contro il 20 per cento degli altri paesi), è più facile ottenere giustizia in Sudan o Madagascar, insomma l'Italia risulta peggio del terzo mondo;
    inoltre, sempre secondo il rapporto «Doing Business» 2015, tra i 34 paesi Ocse, i più industrializzati, siamo sempre in fondo alla classifica; risultano più attraenti di noi anche paesi come la Lettonia, Romania e Montenegro o africani come il Rwanda;
    un efficiente sistema giudiziario, basato sulla reale attuazione dei principi della ragionevole durata e del giusto processo, e la garanzia della legalità costituiscono questioni interconnesse e di grande rilevanza sociale, non più rinviabili e che vanno assicurate con interventi strutturali e non emergenziali come quelli adottati nell'ultimo periodo;
    in tema di depenalizzazione, si ricorda che il Parlamento, ad eccezione della Lega Nord, con la legge 28 aprile 2014, n. 67, ha approvato l'abrogazione del reato di immigrazione clandestina trasformandolo in sanzione amministrativa;
    con la legge 28 aprile 2014, n. 67, il Governo ha approvato la depenalizzazione attraverso l'introduzione della non punibilità per particolare tenuità di ben 157 reati tra cui: furto, truffa, violazione di domicilio, minaccia, rissa, reati tributari, finanziari, corruzione, danneggiamenti, frodi, autoriciclaggio, omissione di soccorso, omicidio colposo;
    la riforma del processo penale e delle sanzioni penali in discussione, con il giusto aumento delle pene sui furti o meglio sui reati predatori, non consente di modificare l'opinione negativa sull'amministrazione della giustizia, poiché un aumento di pena che poi viene posto nel nulla da riti alternativi o messa alla prova, è solo un sistema per far credere qualcosa che non esiste e per radicare nel cittadino la convinzione che lo Stato non combatte alcun crimine salvo quello contro la persona offesa;
    riguardo al settore istruzione, anche se la Raccomandazione n. 5 del Consiglio europeo del 2015 riguardo agli sforzi per ridurre la disoccupazione giovanile fatti dal nostro Paese cita, tra l'altro, la legge di riforma della scuola, non si può non rimarcare come, al contrario, proprio questa riforma sarà foriera di disoccupazione che investirà i tanti insegnanti preparati a seguito di abilitazione di Stato i quali, non essendo presenti neppure nelle GAE, dovranno nuovamente sottoporsi al vaglio concorsuale, malgrado siano in possesso di esperienza maturata sul campo (insegnano già da anni), per rischiare di essere espulsi dal settore scolastico in modo definitivo se, dopo 3 anni, non risultassero tra i vincitori del concorso;
    la Relazione del 2016 per paese relativa all'Italia lamenta, per il nostro Paese, tassi di istruzione e di competenze della popolazione adulta inferiori alla media UE, con limitate prospettive di carriera per gli insegnanti; sembra inoltre interpretare in chiave un po’ troppo ottimistica le assunzioni nel comparto scuola che ci saranno a seguito del prossimo concorso;
    inoltre, nonostante la buona ratio, non si può certo non notare l'illogicità della disciplina del bonus di 500 euro per gli insegnanti, così com’è concepita dalla legge 107/2015: si sarebbe dovuto infatti prevedere l'erogazione successiva a fronte di documentate spese per corsi di effettivo aggiornamento;
    anche nel comparto università, la Relazione della Commissione europea rileva forti criticità a fronte di una spesa pubblica per l'istruzione terziaria tra le più basse in Europa (0,4 per cento del PIL), situazione aggravata dal notevole grado di invecchiamento del corpo docente, con un numero di professori che hanno meno di 40 anni pari circa al 15 per cento, anche se resta alta la qualità dell'insegnamento impartito;
    l'aspetto più problematico è sicuramente la spesa media per le tasse universitarie, che si attesta intorno ai 1.200 euro, quasi un terzo in più rispetto alla tassazione massima belga (tra i 600 e i 900 euro) e ben ventiquattro volte il contributo medio pagato dai giovani tedeschi, che è di soli 50 euro;
    a rendere ancora più impietoso il confronto con le altre realtà europee è il fatto che anche il sostegno agli studenti risulta notevolmente carente, visto che solo l'8% degli studenti riceve borse di studio (contro il 25 per cento dei tedeschi e il 34 per cento dei francesi) lasciando fuori circa un quarto tra gli aventi diritto, inoltre solo 12 per cento riesce ad ottenere l'esonero dalle tasse, contro il 28 per cento degli spagnoli, il 36 per cento dei francesi e il 40 per cento dei ragazzi croati;
    infine, con riguardo al settore agricolo e agroalimentare, il continuo aumento dei costi di produzione, la riduzione dei prezzi delle materie prime agricole, la concorrenza sleale, la contraffazione e l'aumento della tassazione sono ancora le criticità più evidenti per le aziende del settore;
    il Documento accentua le misure introdotte in favore del settore primario nella legge di stabilità 2016, come l'esenzione dell'IMU per i terreni agricoli e dell'IRAP per le imprese agricole e della pesca e cela la stangata, ad esempio, dovuta all'aumento dell'aliquota dell'imposta di registro per i trasferimenti di terreni agricoli dal 12 al 15 per cento e alla rivalutazione dei redditi agrari;
    nessuna strategia, nessuna ipotesi di intervento per superare la crisi del settore della zootecnia da latte. Il settore lattiero caseario conta circa 34 mila imprese produttrici, la maggioranza delle quali di dimensioni ridotte in termini di produzione e capi di allevamento. Gli allevatori hanno necessità di una programmazione, di certezza dal punto di vista industriale, non solo di sussistenza. Oggi nel nostro Paese ci sono moltissime aziende in difficoltà dal punto di vista strutturale che non possono fare investimenti: queste producono ad un costo più alto di quanto vendono e rischiano di chiudere le loro attività a causa della concorrenza dei Paesi esteri, soprattutto dell'Est Europa, che hanno costi inferiori perché il latte è di scarsa qualità. Nel 2015 sono più di mille le stalle che hanno chiuso la loro attività, delle quali il 60% in montagna,

impegna il Governo:

   nell'ambito della progettazione della tax expenditures, a prevedere non soltanto un riordino delle spese fiscali, ma a sistematizzare in maniera definitiva, concreta ed efficiente l'intero sistema fiscale contributivo, in direzione di una vera semplificazione che attiri gli investimenti e non vessi i contribuenti, prevedendo anche una riforma totale e complessiva dell'intera materia, sia riguardo le imprese che i cittadini in generale, al fine di introdurre un criterio proporzionale di imposizione fiscale con l'applicazione di un'aliquota fissa al 15 per cento e una deduzione fissa pari a 3.000 euro per ciascun contribuente o carico familiare in modo da rispettare i principi costituzionalmente previsti della progressività dell'imposta e dell'uguaglianza sostanziale tra i cittadini, tenuto conto della loro condizione economica e sociale, e al fine di combattere veramente l'evasione e l'elusione fiscale, data per lo più dall'enorme carico fiscale imposto nel nostro Paese;
   a prevedere, in opportuni provvedimenti, una riorganizzazione del sistema bancario al fine di introdurre un principio attraverso il quale venga valorizzato il modello di banca tradizionale che raccolga depositi ed eroghi credito alle famiglie e al sistema produttivo rispetto alle banche d'affari che attuano operazioni finanziarie ad alto rischio, prevedendo altresì delle agevolazioni fiscali a favore delle prime, tenuto conto della loro attività a sostegno dell'economia reale e in particolar modo in favore delle piccole e medie imprese;
   a prevedere una disciplina più stringente in termini di ritardi amministrativi che, spesso, soprattutto in merito agli investimenti pubblici per la realizzazione di infrastrutture, sono riconducibili all'inadempienza dell'amministratore, al fine di evitare la perenzione delle somme, la perdita dei requisiti per l'accesso ai finanziamenti europei o lo spropositato livello di contenzioso e sperpero di risorse pubbliche per la realizzazione di opere non più adeguate temporalmente al momento del loro completamento;
   a prevedere una più generale semplificazione del quadro normativo relativo al funzionamento delle pubbliche amministrazioni, contestuali ad un maggiore efficientamento del funzionamento delle stesse, stabilendo eventualmente, anche forme premiali di diversa natura a quelle amministrazioni in ordine con i pagamenti;
   a destinare le somme previste e stimate per l'anno in corso in tema di accoglienza migranti, per le quali chiedere una clausola di flessibilità, al controllo dei nostri confini, sia marittimi che terrestri, per azioni di respingimento, al presidio del nostro territorio e alla lotta al terrorismo mediante l'implementazione delle risorse destinate alle forze militari e di polizia preposte;
   a rafforzare le iniziative in favore delle MPMI che consentano di sfruttare al meglio il loro potenziale di sviluppo a sostegno della crescita dell'economia reale del Paese, adottando in loro favore specifiche iniziative per un più ampio ed agevole accesso ai finanziamenti, sia nazionali che europei, anche attraverso la revisione del Fondo di garanzia per le PMI, nel senso di una valorizzazione del canale della controgaranzia;
   ad adottare tutte le necessarie iniziative che permettano all'Italia di cogliere appieno tutte le opportunità che si aprono a favore delle PMI nell'ambito del Piano degli investimenti per l'Europa, rafforzando al riguardo tutti i possibili canali di finanziamento ad esse dedicati;
   ad agire in maniera incisiva e strutturale sulla riduzione del costo del lavoro, attraverso interventi volti ad uniformare e standardizzare alla media europea il costo del lavoro italiano, al duplice scopo di accrescere l'occupabilità e, al contempo, garantire maggiore competitività alle nostre imprese;
   a prevedere, in sede di riforma della contrattazione aziendale, l'aumento salariale non più in funzione dell'anzianità di servizio ma in base al raggiungimento di obiettivi prefissati, a criteri meritocratici ed alla produttività, nonché a rendere permanente la detassazione dei premi e del salario di produttività, superando l'attuale fase sperimentale e temporanea;
   a garantire, qualora dall'attività di monitoraggio risulti un onere previdenziale inferiore rispetto alle previsioni di spesa per opzione donna, che le risorse rimanenti e non utilizzate certificate dal così detto «contatore» siano vincolate a consentire l'accesso al regime «opzione donna» anche alle nate nel quarto trimestre del ‘56 e ad una eventuale prosecuzione del medesimo regime sperimentale fino al 2018;
   a concludere in maniera definitiva ed esaustiva la vicenda degli esodati, salvaguardando la platea di 23.200 lavoratori rimasti esclusi dalla 7a salvaguardia contenuta nella legge di stabilità per il 2016 (legge n. 208 del 2015, commi 263-270);
   a tutelare, negli interventi volti a favorire maggiore flessibilità in uscita sulla base delle introduzioni di quote quale somma dell'età anagrafica e dell'anzianità contributiva, i cosiddetti «lavoratori precoci»;
   a mantenere chiara la distinzione tra la spesa di natura previdenziale e quella destinata a finalità assistenziali, procedendo allo stralcio della norma contenuta nel disegno di legge delega di riforma delle politiche assistenziali e garantendo di non ancorare trattamenti previdenziali come le reversibilità, gli assegni sociali, l'integrazione al minimo, eccetera al reddito calcolato con il meccanismo dell'Isee;
   a programmare politiche razionali di contrasto alla povertà, mirate al sostegno della famiglia e alla lotta della piaga della denatalità, individuando quali beneficiari i cittadini italiani, i cittadini comunitari residenti e gli stranieri extracomunitari che abbiano accumulato almeno 30 punti dalla stipula dell'accordo di integrazione sottoscritto per il rilascio del permesso di soggiorno e che abbiano quindi dimostrato la reale intenzione di volersi integrare, al fine di evitare il disperdersi di risorse pubbliche;
   nell'ambito della procedura di approvazione del Documento Pluriennale di Pianificazione e della definizione della nuova programmazione infrastrutturale, a garantire l'inserimento delle opere ferroviarie: Potenziamento Milano Chiasso, termine lavori Arcisate Stabio, AV Milano-Brescia-Verona, Milano Mortara; delle opere viarie: collegamento Brebemi-Tangenziale di Brescia, Pedemontana Piemontese, Valdastico Nord, approvazione dell'atto aggiuntivo della Pedemontana lombarda, completamento della viabilità «Accessibilità della Valtellina», Autostrada ValTrompia; ed inoltre, del Progetto canale Truccazzano-Cremona e navigabilità del Po e del completamento della metropolitana di Milano M 5 fino a Monza;
   nell'ambito della Strategia nazionale per le aree interne del Paese, a definire una specifica strategia nazionale per le aree montane che prevede l'esclusione dai saldi contabilizzati ai fini del rispetto dei vincoli di finanza pubblica degli investimenti degli enti locali e agevolazioni fiscali per il ripopolamento, lo sviluppo e la crescita delle aree montane, soprattutto per i piccoli Comuni e per i Comuni disagiati;
   nell'ambito dell'attuazione del programma nazionale di riforma a provvedere alla celere emanazione dei decreti ministeriali di attuazione del decreto legislativo n. 50 del 2016, recante il nuovo Codice degli appalti pubblici e delle concessioni, per superare l'incertezza del periodo transitorio, soprattutto per quanto concerne le caratteristiche tecniche degli elaborati progettuali necessari ai fini della partecipazione alle gare;
   a provvedere, nella prossima legge di stabilità, a rendere stabili e strutturali le agevolazioni fiscali per gli interventi di riqualificazione e di efficienza energetica (cosiddetto ecobonus), disciplinate dall'articolo 1, comma 47, della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015), nonché quelle per gli interventi di consolidamento statico ed antisismico degli edifici e della rimozione dell'amianto;
   ad individuare appositi finanziamenti per le attività di bonifica dei siti inquinati, ai fini di un processo di reindustrializzazione delle aree con l'insediamento di nuove attività produttive e lo sviluppo di quelle esistenti; nell'ambito di tali finanziamenti a provvedere per il completamento del «sistema integrato» di arginamento e di raccolta/drenaggio delle acque di falda del SIN di Venezia-Porto Marghera allo scopo di evitare il progressivo indebolimento dei tratti terminali delle strutture già realizzate che metterebbe in serio pericolo la bontà complessiva degli interventi eseguiti;
   ad individuare gli opportuni finanziamenti per un organico programma di interventi per il riassetto territoriale delle aree a rischio idrogeologico, d'intesa con le singole regioni, articolato attraverso azioni che prevedano progetti strategici di difesa del suolo e prevenzione del rischio idrogeologico e interventi di manutenzione diffusa del territorio e degli alvei dei fiumi e dei torrenti;
   a provvedere all'esclusione dai saldi contabilizzati ai fini del rispetto dei vincoli di finanza pubblica delle risorse destinate dagli enti locali per le bonifiche dei siti inquinati e per la prevenzione dal rischio idrogeologico, nonché per la manutenzione degli alvei dei fiumi e dei torrenti;
   nell'ambito del processo di privatizzazione che interessa il servizio ferroviario italiano, previsto dal programma governativo di medio periodo, ad impiegare i ricavi ottenuti dall'operazione per interventi a favore del trasporto pubblico locale, garantendo che il servizio venga svolto su tutto il territorio nazionale nel rispetto di più alti criteri di qualità, soprattutto nei settori a maggior richiesta che presentano attualmente profili di grosse criticità, e a prezzi sostenibili per i cittadini;
   a garantire il diritto alla salute per i cittadini previsto dall'articolo 32 della Costituzione attraverso la ridefinizione dei tagli previsti al Fondo per la sanità e, conseguentemente, alle prestazioni sanitarie erogate;
   ad introdurre al più presto il sistema dei costi standard, affinché il costo ragionevole dei servizi e degli strumenti sanitari, a parità di disponibilità finanziarie, possa diventare il riferimento nazionale nell'ambito delle politiche sanitarie ed il presupposto fondamentale per garantire il diritto alla salute;
   ad adottare gli opportuni provvedimenti affinché le regioni virtuose destinatarie del «turismo sanitario» possano recuperare entro tempi celeri i crediti vantati, trattandosi di cifre considerevoli che le regioni medesime potrebbero utilizzare a compensazione dei tagli subiti per garantire la qualità dei servizi erogati e le fasce di popolazione esentate dal pagamento del ticket sui farmaci;
   a realizzare la compiuta modernizzazione tecnologica di tutti gli uffici giudiziari, nonché la completa implementazione del processo telematico;
   a prevedere, attraverso lo strumento legislativo delle deleghe alla legge n. 107 del 2015, un doppio canale a scorrimento per il ruolo, nella fase transitoria, che vada parallelamente al concorso, per non disperdere la professionalità di tanti docenti abilitati, che non meritano di essere messi da parte dopo aver servito la scuola per molti anni;
   a modificare le finalità di utilizzo del bonus di 500 euro, legandole alla dimostrazione dell'effettiva frequenza di corsi di formazione e di aggiornamento;
   a prevedere un allargamento della No Tax Area fino a 28.000 euro di Isee, che permetterebbe l'esonero dalle tasse per il 39 per cento degli studenti in linea con gli standard europei, oltre all'introduzione di una tassazione progressiva e di una tassazione massima comune a tutti gli atenei;
   a rendere obbligatoria l'indicazione in etichetta dell'origine della materia prima contenuta nei prodotti agroalimentari, soprattutto a tutela delle produzioni del comparto lattiero-caseario, al fine di garantire la massima trasparenza, la corretta e completa informazione, la salute dei consumatori e la tutela degli operatori della filiera.
(6-00240) «Fedriga, Guidesi, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Molteni, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    in materia economico-finanziaria:
     il Documento di economia e finanza costituisce il principale documento di programmazione della politica economica e di bilancio del Governo che traccia, in una prospettiva di medio-lungo termine, gli impegni, sul piano del consolidamento delle finanze pubbliche, e gli indirizzi, sul versante delle diverse politiche pubbliche, adottati dall'Italia nel rispetto del Patto di Stabilità e Crescita europeo e per il conseguimento degli obiettivi di sviluppo, occupazione, riduzione del rapporto debito-PIL, nonché per gli altri obiettivi programmatici prefigurati dal Governo per l'anno in corso e per il triennio successivo;
     il quadro macroeconomico e gli obiettivi di finanza pubblica per gli anni successivi prospettati dal Governo, nonché le strategie per il conseguimento di tali obiettivi, risultano essere anche quest'anno inidonei e quindi di difficile realizzabilità;
     il Governo anche quest'anno mostra delle stime inadeguate e quindi generatrici di incertezza;
     il Governo anche in questa occasione, come in passato, ridimensiona le stime sulla crescita del PIL, che risultano essere all'1,2 per cento (in luogo dell'1,4 per cento) nel 2016 e all'1,4 per cento (in luogo dell'1,5 per cento) nel 2017;
     il Governo rivede le stime attinenti il deficit che risulta quindi essere al 2,3 per cento (invece che al 2,2 per cento) per il 2016 e all'1,8 per cento (invece che all'1,1 per cento) per il 2017;
     il documento in oggetto affida la ripresa dell'economia italiana ad un ipotetico aumento dei consumi, che però mal si concilia con la drammatica situazione della disoccupazione italiana e a un ipotetico scenario internazionale favorevole, che però è condizionato ad ovvi e vari elementi di incertezza;
     il documento conferma, nel suo quadro tendenziale, l'aumento di imposte indirette;
     benché formalmente il Consiglio dell'UPB abbia validato le previsioni tendenziali per gli anni 2016-2019 trasmesse loro dal Ministero dell'economia e delle finanze il 25 marzo scorso, nello scorrere la nota esplicativa, nonché la lettera di validazione stessa, ci si rende facilmente conto dell'evanescenza di tale validazione e della forzatura fatta dall'UPB nel validare il quadro macroeconomico tendenziale illustrato nel DEF 2016. Infatti tale validazione si basa sul presupposto che le stime individuate dal MEF siano plausibili e si trovino in degli intervalli accettabili, in quanto si tiene conto «dell'incertezza che caratterizza le previsioni macroeconomiche», spianando quindi la strada a future correzioni di tali stime, verso scenari decisamente più sfavorevoli, così come puntualmente accaduto negli scorsi anni;
     a riprova della forzatura e della piena consapevolezza dell'UPB che tali stime saranno puntualmente disattese, come se non bastasse la mera esperienza maturata negli ultimi anni di previsioni fatte dal Governo puntualmente smentite dai fatti, all'interno della nota esplicativa allegata alla lettera di validazione, l'UPB specifica come il Governo veda validate le sue stime, trovandosi però «in prossimità del limite superiore delle stime dell'insieme dei previsori, segnalando l'emergere di fattori di rischio per lo scenario previsto», suggerendo quindi di guardare le stime del Governo con la consapevolezza che sono sovrastimate positivamente;
     agli ipotetici risultati positivi di crescita del PIL previsti dal Governo concorrono principalmente i consumi delle famiglie, solo che lo stesso UPB non può fare a meno di sottolineare come tali consumi si basino sull'assunzione di una maggiore propensione al consumo nel 2016 da parte delle famiglie, che però mal si concilia con l'aumento di imposte indirette che caratterizza il quadro tendenziale. Lo stesso UPB inoltre mette in guardia il Governo facendo presente che «[...] l'eventuale emergere di sorprese negative sul fronte della crescita reale e dell'inflazione metterebbe a rischio la dinamica del PIL nominale e, con essa, il percorso di abbassamento del rapporto debito PIL»;
     pur trovandoci concordi con l'UPB nel mettere in guardia il Governo sull'evanescenza di stime che non troveranno poi riscontro nella realtà, ribadiamo con forza l'inutilità di restare ingabbiati all'interno di indicatori che non misurano il reale livello di benessere dei cittadini e che sono divenuti oramai solamente dei feticci che il Governo rincorre affannosamente, più per soddisfare i diktat europei che per migliorare il nostro sistema economico e sociale nell'ambito di un disegno a lungo termine;
     come più volte ribadito dal M5S, altri dovrebbero essere i parametri da utilizzare per guidare le scelte economiche del nostro Paese, basati non più su inadeguate e antiquate gabbie numeriche, ma con obiettivi macroeconomici e sociali basati su indicatori che tengano conto del benessere sociale dei cittadini e che siano capaci di misurare lo sviluppo economico integrando nella analisi fattori ambientali e sociali, quali il Genuine Progress Indicator (GPI) o il Benessere Equo e Sostenibile (BES), così come da impegno già approvato nella risoluzione n. 1/00951 a prima firma Busto;
     la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia, operative nel 2017, viene affidata alla prossima Legge di stabilità, «Essa sarà composta da un insieme articolato di interventi di revisione della spesa pubblica, ivi incluse le spese fiscali, e di strumenti che accrescano la fedeltà fiscale e riducano i margini di evasione ed elusione»;
     è pacifico che la continua incertezza sulla sterilizzazione delle clausole di salvaguardia è stata ed è tutt'ora una spada di Damocle sulla testa degli italiani, che toglie fiducia alle imprese e alle famiglie, creando solo incertezza per il futuro e producendo quale disastroso effetto quello di rallentare il rilancio dell'economia del Paese;
    in materia di giustizia:
     il DEF 2016 conferma, e non poteva essere diversamente data la natura del documento, che l'autentica linea programmatica del Governo in tema di giustizia, a fronte dell'enunciazione dei principi di «equità ed efficienza», altro non è che il mero conseguimento di positivi risultati in termini di bilancio, attraverso provvedimenti tesi sostanzialmente ad evitare la celebrazione di nuovi processi. Ciò favorendo, in campo civile, l'utilizzo di strumenti alternativi di risoluzione delle controversie nonché l'introduzione di rigide misure contro le «liti temerarie», mentre, in campo penale, agendo sul versante della depenalizzazione dei reati e della non punibilità del reo per tenuità del fatto;
     i condivisibili principi propugnati dal Governo di «equità e di efficienza», ispiratori dell'amministrazione della giustizia, si traducono, anche per quest'anno, in soluzioni per un comparto a «costo zero», che punta a raggiungere i propri – risicati – obiettivi in termini di incremento del PIL e di competitività del sistema Paese, tradendo la sua precipua funzione costituzionale;
     relativamente al profilo del contenimento dei costi è, al contrario da stigmatizzare il fatto che il Governo, abbia scelto di non ricomprendere tra le riforme utili al raggiungimento del duplice obiettivo di equità ed efficienza, l'introduzione di un vera class-action, votata alla Camera all'unanimità nel giugno del 2015 ed esclusa dal crono-programma del 2016. Proposta che, se approvata in via definitiva, potrebbe da sola ridurre sensibilmente, accorpandole, le cause da parte di molteplici cittadini, consumatori e non, lesi dalle condotte offensive di un medesimo soggetto economico;
     considerato altresì che un intervento sulla corruzione, si renderebbe indispensabile di fronte ad un fenomeno che vede l'Italia, nel 2015 al 61o posto nel mondo ed al penultimo tra i paesi UE come livello di legalità percepita. Tanto più, in presenza di una legge, la n. 69 del 2015, dimostratasi quantomeno inefficace e necessitante di urgenti interventi correttivi, anche alla luce del perdurante stato di diffuso malcostume nei rapporti tra politica, amministrazione pubblica ed impresa, evidenziato dai più recenti scandali;
     in Italia, nonostante una legge del 2007 autorizzi l'uso terapeutico della canapa, nel mercato legale tale sostanza è praticamente inaccessibile stante il divieto di coltivazione per uso personale di cannabis, autoproduzione che, invece, potrebbe aiutare tanti malati ad evitare di pagare somme considerevoli per potersi curare, nonché comportare un maggiore gettito dovuto a nuove attività commerciali;
    in materia di affari esteri:
     nel documento in esame è presente un focus sull'APS (Aiuto pubblico allo sviluppo) a proposito del riallineamento graduale dell'Italia agli standard internazionali dei fondi per la cooperazione allo sviluppo;
     tuttavia, la legge n. 125 del 2014, che ha riformato profondamente la normativa in materia di cooperazione internazionale, ha determinato all'articolo 4 che l'acronimo APS, ancora ostinatamente presente in tutti i documenti ufficiali, debba essere sostituito da CPS, ovvero cooperazione pubblica allo sviluppo. Naturalmente, non si tratta di una mera lotta tra acronimi, ma una scelta culturale visto che fu decisa la nuova denominazione di cooperazione pubblica allo sviluppo in luogo del vecchio aiuto pubblico allo sviluppo proprio in virtù del fatto che la cooperazione non rappresenta più un intervento di mera beneficenza ma costituisce un elemento essenziale nella politica estera nazionale, anche per la sua inevitabile connessione con le missioni internazionali cui partecipa il nostro Paese;
    in materia di difesa:
     il Documento di economia e finanza, richiamando i dettami del Libro Bianco e della legge n. 244 del 2012, evita di metterne in evidenza, la crescente contraddizione tra i due testi, con previsioni e tabelle di marcia di attuazione della riforma della Difesa che non stanno avvenendo nella realtà. Manca totalmente una visione tesa a ridimensionare sul serio le spese militari a partire dalla totale assenza di ogni taglio nei sistemi d'arma più costosi (come gli F35) e a contrastare e prevenire i fenomeni di corruzione nei grandi programmi di ammodernamento dei sistemi d'arma (a cominciare dalla cosiddetta Legge Navale) nonché alle gare di appalto oggetto di diverse inchieste giudiziarie che stanno coinvolgendo una parte dei vertici delle Forze armate;
     si ravvisa la necessità di riformare il settore raggiungendo l'obiettivo di realizzare un sistema nazionale di difesa efficace e sostenibile che assicuri i necessari livelli di operatività e la piena integrabilità dello strumento militare nei contesti internazionali, all'interno di una prospettiva di una politica di difesa comune europea e nella cornice delle Nazioni Unite, prevedendo un ruolo attivo nella direzione di una efficace prevenzione dei conflitti e di un mantenimento della pace, con l'esclusione di ogni ipotesi e sotterfugio di interventismo militare;
    in materia tributaria, fiscale e bancaria:
     appare necessaria una revisione dei carichi fiscali tra imposte dirette e indirette, finalizzata ad una progressiva riduzione della pressione fiscale sul reddito delle persone fisiche e giuridiche, nell'ottica di una redistribuzione della ricchezza che tenga effettivamente conto del principio della capacità contributiva e dei doveri da solidarietà economica e sociale previsti dalla nostra Costituzione. La riduzione della pressione fiscale sul reddito rappresenta l'unico strumento per garantire alte famiglie e imprese una capacità di spesa nel tempo (che vada oltre la quota di risparmio), che si traduce in aumento di consumi e investimenti, e quindi un miglioramento dello stato di benessere;
     gli interventi di riforma fiscale devono tener conto anche dei parametri di carattere ambientale affinché il cosiddetto sviluppo sostenibile e la transizione verso un'economia «green», diventino obiettivi concreti e raggiungibili;
     la riduzione dell'onere e del costo degli adempimenti fiscali a carico delle imprese, favorendo il processo di automazione e telematizzazione obbligatoria di tutte le operazioni contabili in materia di determinazione dell'imposta sul valore aggiunto (IVA), è un obiettivo prioritario;
     se è vero che il recupero dei crediti erariali rappresenta l'interesse primario dello Stato, essendo direttamente connesso al finanziamento della spesa pubblica, è al contempo vero che la sua attuazione deve comunque contemperare l'interesse del cittadino al pagamento di quanto dovuto con il minor aggravio possibile, sia in termini di oneri finanziari sia sotto il profilo psicologico, evitando ogni forma di pressione tale da ingenerare nei cittadini uno «stato di paura» nei confronti delle istituzioni e dei soggetti preposti al perseguimento dei relativi interessi;
     deve migliorare l'azione dell'Agenzia delle entrate puntando essenzialmente sulla qualità del controllo;
     la costruzione di un solido rapporto tra amministrazione e contribuente, basato sulla reciproca collaborazione e buona fede, presuppone necessariamente la revisione dei criteri di determinazione dei compensi incentivanti, che non possono più essere ancorati al mero perseguimento di meri budget quantitativi di riscossione e controlli, ma devono mirare ad ottimizzare gli esiti dei singoli controlli indirizzandoli sulle situazioni a maggior rischio fiscale e improntando l'azione amministrativa all'efficacia, efficienza ed economicità. In tal senso, sarebbe senz'altro proficua l'attivazione e lo sviluppo di attività ispettiva interna, tesa alla verifica della corretta applicazione delle leggi d'imposta da parte dei dipendenti uffici esecutivi;
     gli strumenti standardizzati di accertamento, tra cui gli studi di settore, hanno assunto nel corso degli anni una funzione propriamente deterrente o, meglio ancora, «condizionante» delle scelte del contribuente il quale, spesso, pur di non esporsi ad un potenziale controllo dell'amministrazione finanziaria, decide di «adeguarsi» alle risultanze dello studio di settore, sebbene esse siano superiori ai ricavi o compensi effettivamente conseguiti. Viceversa, gli stessi strumenti standardizzati di accertamento rappresentano allo stesso tempo un vero e proprio «scudo», a danno delle casse dello Stato, per quei contribuenti che, pur conseguendo ricavi o compensi superiori a quelli desumibili dalle risultanze statiche, si adeguano scontando un'imposta minore a quella effettivamente dovuta;
     la riforma fiscale del sistema tributario non può trascurare le tutele che lo Stato deve garantire ai cittadini contribuenti. Si impone pertanto la necessità di riformare l'attuale assetto della giustizia tributarla;
     sul piano delle politiche bancarie, nel DEF 2016, si dichiara che il sistema bancario e finanziario italiano sia sostanzialmente solido nonostante un elevato livello di crediti in sofferenza. Al fine di rafforzare il sistema, evitare il sorgere di ipotetiche crisi e gestire al meglio le medesime il Governo intende ridurre i tempi di recupero dei crediti ed in particolar modo semplificare l'escussione delle garanzie. Sicuramente lo stock di crediti deteriorati incide negativamente sulla redditività delle banche, ma la crisi che investe l'economia reale non è l'unico fattore che incide negativamente sulla redditività delle banche infatti il Governo non prende minimamente in considerazione la speculazione finanziaria e le ingenti perdite accumulate dalle banche negli ultimi anni derivanti da investimenti in strumenti finanziari derivati e speculativi in genere piuttosto che velocizzare le procedure di escussione delle garanzie soprattutto per il tramite di accordi stragiudiziali che inevitabilmente riducono la tutela giudiziale dei cittadini, sarebbe opportuno procedere alla separazione delle banche da investimento dalle banche tradizionali e prevedere per quest'ultimo rigidi limiti di indebitamento ed un divieto di utilizzo di strumenti finanziari derivati e speculativi in genere. In questo modo si eviterebbe da un lato la necessità di predisporre piani di risanamento del sistema, bancario e finanziario che incidono, direttamente o indirettamente, sulla risorse erariali, come ad esempio la modifica della disciplina delle svalutazioni e delle perdite su crediti degli enti creditizi e finanziari e delle imprese di assicurazione che ha consentito la deducibilità (sulle imposte dirette) in un unico esercizio rispetto ai precedenti 5 anni, e dall'altro la necessità di predisporre piani di gestione e risoluzione delle crisi che possono sfociare, come già accaduto, con l'applicazione del bail in al fine di assorbire le perdite e ricapitalizzare banche che hanno operato senza ragionevoli limiti all'indebitamento e soprattutto senza alcun genere di divieto di investimento in strumenti finanziari derivati e speculativi in genere. È paradossale infatti che le banche investano il risparmio dei propri clienti in strumenti finanziari con elevato grado di rischio perdita del capitale investito e di procedere, successivamente al verificarsi della perdita, all'utilizzo di ulteriore risparmio dei clienti della propria banca per coprire le perdite e ricapitalizzare la banca. Questa logica di operatività è del tutto irragionevole e non conforme ai principi del diritto commerciale, infatti si ricorda che i clienti non partecipano ai risultati di gestione della banca, soprattutto se trattasi di una società per azioni, ma nonostante ciò sono costretti a farsi carico delle perdite generate dagli organi di amministrazione e controllo della società, tra l'altro remunerati con elevate retribuzioni;
    in materia di assetto territoriale, infrastrutture e mobilità:
     una rilevante novità del DEF 2016 riguarda l'assenza di un vero e proprio allegato infrastrutture, sostituito da un allegato recante «strategie per le infrastrutture di trasporto e logistica», con il congelamento di fatto dell'elenco delle opere prioritarie, che rimane circoscritto alle 25 opere indicate dal DEF 2015, con le medesime risorse. La scelta è legata all'abrogazione dei commi da 1 a 5 dell'articolo 1 della legge n. 443 del 2001, disposta con il decreto attuativo della legge delega in materia di appalti;
     il documento evidenzia l'approvazione definitiva del nuovo Codice degli appalti pubblici, decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 19 aprile 2016, e ne indica gli obiettivi principali: realizzazione di infrastrutture utili, snelle e condivise; sviluppo urbano sostenibile; valorizzazione del patrimonio esistente, integrazione modale e intermodalità. Il DEF sottolinea altresì il rafforzamento dei poteri dell'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), una nuova modalità di programmazione infrastrutturale, attraverso il piano generale dei trasporti e della logistica (PGTL), che era stato abbandonato con la legge obiettivo, e il documento pluriennale di pianificazione (DPP). Sul punto appare difficilmente conciliabile il congelamento dell'elenco delle opere previsto dal DEF con l'articolo 201 del nuovo codice appalti, che in via transitoria mantiene in vita esclusivamente i piani per i quali sia stato assunto un impegno a livello comunitario;
     l'allegato al DEF prevede il rifinanziamento del Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni, l'istituzione del fondo inquilini morosi incolpevoli, il programma di recupero e razionalizzazione degli immobili, il recupero degli immobili confiscati alla mafia da destinare alle esigenze abitative;
     il DEF prevede misure riguardanti il Piano nazionale per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate e l'attuazione del programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie;
     tra gli elementi di maggiore interesse si evidenzia l'importanza attribuita ai livelli minimi di accessibilità anche delle aree periferiche e l'intenzione di affrontare le criticità determinate dal forte squilibrio modale, investendo: prioritariamente sulle modalità di trasporto sostenibile, trasferendo una quota consistente della domanda di mobilità dalla gomma alla rotaia;
     il DEF esprime la piena consapevolezza dell'enorme ritardo dell'Italia rispetto agli altri paesi dell'Unione e la necessità di investire per lo sviluppo di sistemi di trasporto collettivo adeguati ed efficienti, anche attraverso il rinnovamento del parco mezzi. Per quanto riguarda le ferrovie è previsto un investimento di 9 miliardi di euro per il rinnovo dei contratti di programma, con l'obiettivo di migliorare la sicurezza e le tecnologie di circolazione dei treni e potenziare il trasporto passeggeri nelle aree metropolitane, regionali e lungo i corridoi europei;
     il piano pluriennale di investimento di ANAS per il quinquennio 2015-2019 ammonta a circa 15 miliardi di euro, buona parte dei quali dovranno essere investiti per interventi di manutenzione e di messa in sicurezza;
     il Governo conferma – almeno sul piano programmatico – l'intenzione di voler valorizzare e tutelare quella parte del territorio, denominata «aree interne» che costituisce il 60 per cento dell'estensione complessiva e abitato dal 7,6 per cento per cento della popolazione, ma che vive notevoli problemi di collegamenti e di servizi;
     il documento conferma la prosecuzione del processo, avviato da tempo, di svendita del patrimonio immobiliare pubblico. Secondo il Governo nel 2015 il gettito a favore dell'erario è stato equivalente a più dello 0,4 per cento del PIL, pari a oltre 6,5 miliardi, risultando quindi sostanzialmente in linea con le previsioni della Nota di aggiornamento 2015 dello scorso settembre. Il programma per i prossimi anni prevede proventi da privatizzazioni pari allo 0,5 per cento del PIL l'anno nel 2016, 2017 e 2018, e allo 0,3 per cento nel 2019;
     il DEF 2016 sancisce in modo definitivo la fine dell'era delle «grandi opere» avviata con il Governo Berlusconi, su cui il centrosinistra aveva avuto un atteggiamento piuttosto ambiguo. Nell'allegato infrastrutture viene espressa per la prima volta una chiara critica al quadro normativo previgente. Nel documento si legge infatti che «l'applicazione della norma ha condotto ad una proliferazione delle opere strategiche a fronte di una mancanza di disponibilità di risorse pubbliche a copertura delle stesse». Una bocciatura senza appello, che si aggiunge alla constatazione di un quadro di «polverizzazione della destinazione delle risorse pubbliche» e della mancanza dell'effetto velocizzazione – ossia la ragione fondante della legge obiettivo – considerato che le opere ultimate al 31 dicembre 2014 era pari ad appena l'8,4 per cento di quelle in programma, con ben 485 opere – pari a 165,4 miliardi di euro – ancora in fase di progettazione;
     il DEF 2016 sembra intenzionato a girare pagina rispetto alla politica delle infrastrutture, recuperando una modalità operativa che tenga conto in modo concreto delle esigenze di una programmazione complessiva, basata sull'elaborazione di strumenti come il Piano Generale della Logistica e dei Trasporti – accantonato con la legge obiettivo – e il documento pluriennale di pianificazione (DPP), che contiene l'elenco degli interventi relativi al settore dei trasporti e della logistica la cui progettazione di fattibilità è valutata meritevole di finanziamento, da realizzarsi in coerenza con il piano generale dei trasporti e della logistica. La nuova programmazione è volta a ricondurre in una logica unitaria i piani e i programmi di competenza del Ministero delle infrastrutture e prioritari e a ricondurre alla disciplina ordinaria la pianificazione e la realizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture prioritari, ai fini dell'espresso superamento della cosiddetta «legge obiettivo»;
     nella fase transitoria avviata dalla riforma del Codice degli appalti, in vista della mappatura degli interventi infrastrutturali e della futura adozione del primo DPP (2017-2019), resta dubbio il profilo delle opere contenute nel Programma delle infrastrutture strategiche (PIS) che, seppur considerate in vigenza, sarebbero comunque sottoposte a revisione di progetto, confermando in tal senso quanto sostenuto da tempo dal M5S in merito alla opportunità e necessità di impegnare le ingenti risorse stanziate per la realizzazione di tali opere a sostegno della mobilità sostenibile e intermodale, individuando forme di incentivi, contribuzioni e detrazioni per privati, aziende e società orientati al ricorso a mezzi di trasporto pubblico, alla condivisione di mezzi privati e all'acquisto di mezzi di trasporto a ridotto impatto ambientale;
    in materia di ambiente:
     il PNR sembra voler attribuire un ruolo significativo alle misure in materia di ambiente e sostenibilità, anche se la distanza tra le nobili dichiarazioni di intenti e l'effettivo operato del Governo sembra difficilmente colmabile. Inter alios appaiono di particolare rilievo i seguenti ambiti:
  Green act. L'ipotesi della presentazione di un nuovo provvedimento in materia ambientale era già prevista nello scorso DEF. Il testo dovrebbe contenere misure finalizzate alla decarbonizzazione dell'economia all'efficienza nell'utilizzo delle risorse, alla protezione ed al ripristino degli ecosistemi naturali, decisamente in contrasto con l'operato del Governo che manifesta una particolare predilezione per le fonti fossili. Un altro provvedimento dovrebbe contenere la riforma della normativa in materia di aree protette.
  Settore idrico. Si ribadisce la necessità di potenziare la rete di infrastrutture idriche in tutto il territorio nazionale e si evidenzia che il Parlamento in questi giorni è chiamato ad esprimersi sulla proposta di legge in materia di gestione delle acque, la cui attuale formulazione appare talmente distante dalla versione predisposta con la collaborazione del forum per l'acqua da avere indotto i deputati M5S a ritirare la propria firma.
  Politiche ambientali. Sono indicati i seguenti temi: remunerazione dei servizi ecosistemici e ambientali (in attuazione del collegato ambientale); bonifiche e danno ambientale, con interventi finalizzati alla semplificazione delle procedure di bonifica; gestione dei rifiuti, con il progressivo passaggio dalla tassa alla tariffa (previsto da circa 20 anni); riforma in materia di distretti idrografici. Nel documento viene altresì espressa l'esigenza di una transizione verso un'economia circolare, con l'obiettivo di migliorare l'efficienza e la sostenibilità nell'uso delle risorse;
     gli impegni assunti dall'Italia in base al Protocollo di Kyoto si sono tradotti in un primo obbligo di ridurre le emissioni inquinanti nel periodo 2008-2012 del 6,5 per cento rispetto al livello del 1990. Un secondo obbligo riguarda il periodo 2013-2020, sulla base di una decisione e di un regolamento comunitari, che hanno dato vita al pacchetto europeo «clima-energia», il quale prevede – tra l'altro – la decisione 406/2009, cosiddetta «Effort Sharing» (riduzione delle emissioni dei settori non regolati dalla direttiva Emission Trading) e alla direttiva 2009/29/CE, cosiddetta «Emission Trading» (che a sua volta rivede la precedente direttiva sulla regolamentazione dello scambio di emissioni). Nella parte del programma nazionale dedicata all'analisi dei progressi nei target della Strategia Europa 2020 si fa riferimento all'obiettivo relativo alla riduzione di emissioni di gas serra, consistente nella riduzione del 20 per cento delle emissioni di gas a effetto serra rispetto al 1990. L'Allegato al DEF evidenzia che gli obiettivi stabiliti dal protocollo di Kyoto sono stati raggiunti dall'Italia, con una limitata quantità di eccedenza, traslata sul secondo periodo di riferimento;
    in materia di trasporti:
     in materia di trasporto pubblico locale e di mobilità sostenibile i target per il 2030 di cui all'Allegato VI, il raggiungimento del 10 per cento di mobilità ciclo-pedonale e aumento della rete metropolitana/tram del 20 per cento in termini di km per abitante, risultano rispettivamente timido e non determinante. In merito al primo target, infatti, la percentuale di mobilità combinata ciclabile e pedonale risulterebbe già ampiamente raggiunta; mentre per il secondo target ciò non determinerebbe necessariamente un maggiore impiego del trasporto pubblico locale come dimostrano i dati comparati di città che a parità di rete km/abitante hanno registrano dinamiche differenti della ripartizione modale della mobilità;
     con riferimento alla mobilità dolce nonostante il DEF 2016 dia atto alla Legge di stabilità 2016 di aver introdotto lo stanziamento di risorse per lo sviluppo di ciclovie turistiche si ravvisa l'assenza da parte del Governo di alcun impegno per implementare le risorse, pari a 12,5 milioni di euro, individuate già con il decreto-legge n. 69 del 2013 (cosiddetto decreto Fare) per le piste ciclabili e la loro messa in sicurezza;
     parimenti in materia di mobilità sostenibile e azioni volte a ridurre l'impatto ambientale dei trasporti privati il Documento, da atto del Piano nazionale di ricarica elettrica indicandone il completamento della relativa rete infrastrutturale al 2016. Nonostante tale riferimento documentale e i recenti annunci pubblici, lanciati da esponenti del Governo, nella documentazione prodotta né nei relativi allegati, è possibile verificare lo stato di attuazione del Piano tanto a livello nazionale quanto a livello macroregionale e territoriale;
     in materia di controllo delle emissioni, e di riduzione dell'impatto ambientale nel settore dei trasporti il Documento richiama il finanziamento di 5 milioni di euro per il programma straordinario dei test sui veicoli per la verifica delle emissioni inquinanti. Si rileva, però, che il succitato programma è stato il prodotto indiretto dell'inchiesta giudiziaria e del contenzioso apertosi negli Stati Uniti, d'America a carico della compagnia automobilistica Volkswagen a seguito della manipolazione dei risultati dei test delle emissioni inquinanti. A seguito dello scandalo il Governo italiano ha dichiarato di volersi impegnare in merito a maggiori controlli senza peraltro specificare altro. Solo a distanza di oltre sei mesi da questo annuncio il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha emanato un decreto contenente le procedure per lo svolgimento dei suddetti test in merito ai quali ad oggi non è ancora possibile rilevare alcuna informazione;
     è imminente l'avvio delle procedure di negoziazione in sede europea sulle modifiche alla Direttiva Europea in materia di limiti nazionali alle emissioni di determinati inquinanti atmosferici (Direttiva NEC). Tale direttiva, rappresenta al momento l'unica opportunità per definire una politica comune europea orientata alla promozione e alla tutela dell'aria pulita con evidenti e comprovate ricadute positive sulla qualità della vita e sulle politiche sanitarie in Italia e nel resto d'Europa;
    in materia di privatizzazioni:
     il richiamo nel DEF 2016 del rinvio della privatizzazione di Ferrovie dello Stato Spa al 2017 non può che rappresentare una riduzione degli introiti stimati nel DEF 2015, e analogamente nel Documento in esame, laddove il Governo indica per l'anno in corso l'obiettivo di registrare un + 0,5 per cento del PIL attraverso la cessione di quote pubbliche. In merito a ciò, quindi, il riferimento «sono allo studio ulteriori misure di privatizzazione» riportato nel Cronoprogramma per le riforme appare quanto meno preoccupante, non solo per la opacità stessa del riferimento, quanto soprattutto per l'assenza nell'intero DEF 2016 di alcuna indicazione o specifica in merito alle eventuali misure di privatizzazione;
     non appare inoltre alcun riferimento a riguardo della ipotesi di fusione tra Rete ferroviaria italiana Spa e ANAS spa, rilanciate negli ultimi mesi dallo stesso amministratore delegato di Ferrovie dello Stato Spa. Si rileva peraltro che per entrambe le società in Legge di stabilità 2016 e così nel sopraccitato Milleproroghe 2016 sono state stanziate risorse ingenti per l'adeguamento dei contratti di programma e di servizio. In particolare per ANAS spa è stato predisposto, come ne da atto lo stesso DEF 2016, un Fondo apposito in cui confluiscono tutte le risorse destinate alla società;
    in materia di informatizzazione e digitalizzazione:
     sul fronte della digitalizzazione dei servizi della Pubblica Amministrazione l'azione del Governo appare gravemente deficitaria a partire dal Sistema Pubblico dell'identità digitale: un sistema di autenticazione che si è deciso di affidare a privati senza una garanzia pubblica circa l'utilizzo dei dati e la gestione della vita online dei cittadini. In concreto tale sistema si sta rilevando farraginoso a partire dai sistemi di accesso ai servizi. Altrettanto è a dirsi per l'anagrafe nazionale della popolazione residente. In proposito dal sito dell'Agenzia per l'Italia Digitale nella pagina sull’«Avanzamento Crescita Digitale» si legge che nel dicembre 2015 sono partiti due comuni pilota (i comuni di Cesena e Bagnacavallo) poi a febbraio 2016 sarebbero subentrati altri comuni del gruppo pilota, senza indicazione di quali comuni facciano parte di tale progetto, e poi nel dicembre 2016 si dovrebbe completare il progetto per tutti i comuni di Italia che sono oltre 8000;
     nell'ultimo «Digital Scoreboard» l'Italia si è posizionata al venticinquesimo posto su 28 Paesi per lo sviluppo del digitale. Nel documento citato la Commissione europea ha avuto modo di rilevare come «L'Italia non può sperare di cogliere appieno i benefici dell'economia digitale fintanto che un terzo della popolazione non utilizza regolarmente Internet». L'azione del Governo sul tema è stata assolutamente carente. Sotto questo profilo l'azione della cosiddetta coalizione per le competenze digitali appare non sufficiente a garantire il raggiungimento di obiettivi di ampio respiro. Al momento sono stati avviati 97 progetti ma non è dato conoscere le ricadute degli stessi sul fronte dello stimolo dell'offerta né i costi sostenuti per l'avvio dei progetti indicati;
     sempre nell'ultimo «Digital Scoreboard» si sono registrati dei progressi nell'accesso all’e-commerce da parte delle piccole e medie imprese italiane ma l’e-commerce è adottato ancora soltanto dall'8,2 per cento del totale. Anche sotto tale profilo non si segnalano iniziative del Governo per favorire l'accesso a soluzioni e-commerce da parte delle imprese italiane, come peraltro a più riprese suggerito dalla Commissione europea;
     nonostante i provvedimenti e gli interventi varati nel corso degli ultimi anni l'obiettivo dell'informatizzazione e dell'innovazione tecnologica all'interno della pubblica amministrazione non sono stati raggiunti i risultati prefissati anche per le scarse risorse investite in questo settore. Secondo l'osservatorio Assinform sulle Tecnologie dell'informazione e della comunicazione (ICT) nella pubblica amministrazione del novembre 2013, la spesa della ICT complessiva nella pubblica amministrazione si è attestata attorno a 5.422 milioni di euro per l'anno 2012 sebbene in costante calo dal 2007, a causa dei tagli determinati dalla spending review e dai limiti posti dal patto di stabilità interno, nonostante gli oltre 5 miliardi di euro di spesa complessiva annua, tra pubblica amministrazione centrale e locale, lo stato dell'innovazione e del digitale in Italia rimane ugualmente problematico e non adeguato ai livelli degli altri Paesi europei;
    in materia di politiche energetiche:
     nel febbraio 2016 è stato pubblicato l'esame approfondito sulla prevenzione e correzione degli squilibri macroeconomici relativo all'Italia riportato nel documento di lavoro dei servizi della Commissione, «Relazione per paese relativa all'Italia 2016» dove è riportato che l'Italia ha raggiunto o ha compiuto progressi verso il loro conseguimento relativamente alla riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra, all'aumento della quota delle energie rinnovabili, al miglioramento dell'efficienza energetica;
     l'obiettivo europeo del 17 per cento relativo all'energia utilizzata da fonti rinnovabili è stato raggiunto in un contesto di forte riduzione dei consumi di energia, aspetto positivo se legato a efficienza energetica e uso più razionale, negativo se legato quasi esclusivamente alla contrazione dei consumi e delle produzioni industriali: dal 2010 al 2014 siamo passati da 187,8 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) a 166;
     il Governo prevede da anni una ripresa dei consumi e degli investimenti, che porteranno a un incremento dei consumi energetici. Va ricordato che gli obiettivi europei si riferiscono a una percentuale dei consumi normalizzati nell'anno di riferimento. Nei primi 11 mesi del 2015 sono stati installati poco meno di 270 MW fotovoltaici, un dato che conferma lo stallo del settore se teniamo conto dei 18.910 MW realizzati prevalentemente a partire dal 2007 con il II conto energia. Se consideriamo i dati forniti dal GSE si mostra chiaramente che nel solo 2015 sono stati realizzati 884 MW a fronte di una potenza cumulata pari a 51.479 MW. Questo vuol dire che in caso di ripresa dei consumi, il nostro paese potrà non essere in grado di raggiungere degli obiettivi ampiamente alla portata del nostro sistema energetico;
    in materia di lavoro:
     il Documento osserva che i dati previsionali 2016, riportati nella Tabella 9 possono essere influenzati dalle modifiche apportate alla disciplina dell'esonero contributivo di cui alla legge n. 190 del 2014 che, com’è noto, risulta ridotto nell'importo (dal 100 al 40 per cento), nel massimale (da 8,060 a 3,250 euro annui) e nella durata (da 3 a 2 anni). Questo cambiamento potrebbe determinare nella prima parte del 2016 una attenuazione dei risultati positivi registrati a fine 2015, atteso che questi erano in parte legati alla accelerazione delle assunzioni per trarre pieno beneficio dall'incentivo. Ed in effetti nel Documento si segnala come i dati resi disponibili dall'INPS relativi a gennaio 2016 vadano in questa direzione, segnalando un indebolimento della spinta verso i contratti a tempo indeterminato, anche confermata dagli ultimi dati mensili dell'ISTAT sul mercato del lavoro. I dati sull'occupazione relativi ai mesi di gennaio e febbraio registrano infatti una variazione nulla rispetto al bimestre precedente. Secondo alcuni esperti, anche se il Documento non ne fa menzione, il miglioramento che dovrebbe registrarsi a partire dal 2020 potrebbe essere ascrivibile, al miglioramento degli indici rilevanti (tasso di crescita del PIL e tassi di disoccupazione);
     l'introduzione delle cosiddette «tutele crescenti» ben lungi dal portare effettivi e durevoli benefici per quanto riguarda l'occupazione, imputabili ai suddetti incentivi, si è tradotto in una diminuzione dei diritti, con l'abrogazione de facto dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori o addirittura (basti pensare alla nuova normativa in materia di lavoro accessorio) in un incentivo alla precarizzazione. Detti incentivi paiono commisurati ad un periodo di tempo che potrà consentire alle imprese di coprire i costi del licenziamento per poi assumere a costi più bassi, oltretutto conteggiando tali ingressi come nuova occupazione. Del pari non sembrano efficaci le misure in tema di disboscamento delle molteplici tipologie contrattuali esistenti. L'azione del Governo si è concentrata nella eliminazione dei contratti di collaborazione a progetto, lasciando inalterati alcuni tipi di collaborazione coordinata e continuativa, legati a particolari settori (ad esempio i call center) o tipologie professionali (i professionisti iscritti agli ordini);
     l'abrogazione della legge n. 490 del 1997 ha lasciato un vuoto normativo, relativamente all'utilizzo di incentivi alla occupazione permanenti e strutturali, volti principalmente a vantaggio dei disoccupati di lunga durata. La legge di stabilità n. 190 del 2014, ha infatti riproposto, «limitatamente alle assunzioni realizzate nel 2015», un analogo beneficio contributivo, per la durata di 36 mesi, ma più ampio (sgravio contributivo totale sull'intero territorio nazionale) e generalizzato (in quanto riferito a tutte le assunzioni a tempo indeterminato). Come evidenziato più volte, nel caso di aziende che offrono servizi in appalto, gli incentivi sono suscettibili di mettere in difficoltà quelle più solide e strutturate, a vantaggio di realtà imprenditoriali effimere e transitorie, con gravi ricadute occupazionali. Il risultato di tutto ciò è, assai spesso, che il bilancio pubblico, attraverso gli ammortizzatori sociali in deroga, deve farsi carico delle predette ricadute occupazionali;
     in merito alla riforma sulla contrattazione aziendale, il decreto legislativo n. 8 del 2015 ha già riservato le determinazioni ai contratti collettivi, nazionali, territoriali o aziendali, nonché consentito ulteriori o diverse determinazioni da parte di tali contratti. In precedenza, l'articolo 8 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, ha previsto che i contratti collettivi territoriali o aziendali (stipulati da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali aziendali) possano contenere specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati (a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle suddette rappresentanze sindacali) anche per le eventuali deroghe – in materie inerenti all'organizzazione del lavoro e della produzione – rispetto alle discipline legislative ed ai contratti nazionali (fermo restando il rispetto delle norme costituzionali, delle normative europee e di quelle poste dalle convenzioni internazionali). Secondo un certo indirizzo interpretativo, tale possibile portata della contrattazione di prossimità, di cui al citato articolo 8 del decreto-legge n. 138, sarebbe circoscritta, per le materie oggetto del decreto legislativo n. 81, alle norme specifiche dello stesso che fanno riferimento (come detto) ai contratti collettivi;
     al riguardo, le associazioni sindacali di categoria hanno manifestato alcune perplessità sulla contrattazione di prossimità, per i seguenti motivi:
  indipendentemente dall'assicurazione relativa al mantenimento dei minimi retributivi tabellari la contrattazione aziendale potrebbe eventualmente peggiorare gli standard retributivi e gli scatti di anzianità;
  l'Osservatorio della CISL sulla contrattazione di secondo livello (che ha monitorato 5.050 accordi dal 2009 a oggi), mostra che la quota di intese che hanno riguardato il salario è scesa dal 23 per cento del 2012 al 17 per cento nel 2014, mentre quelle sulla gestione della crisi sono passate dal 54 per cento del 2012 al 67 per cento nel 2014;
     in relazione al programma comunitario Garanzia Giovani le risorse stanziate e i relativi risultati, non appaiono soddisfacenti, in quanto né l'anticipo degli impegni in quanto tale, né le altre misure specifiche hanno indotto a una rapida mobilizzazione delle risorse. Le principali ragioni di tale insuccesso sembrano essere: la complessità del processo negoziale sui programmi operativi, cui deve seguire l'introduzione delle rispettive modalità di attuazione negli Stati membri; la limitata capacità delle autorità nel pubblicare inviti a presentare progetti e a trattare rapidamente le domande; l'insufficienza del prefinanziamento per avviare le misure necessarie. Il suddetto programma comunitario nelle intenzioni avrebbe dovuto offrire un lavoro o un percorso ai circa 2 milioni di beneficiari. Da dati forniti dalle direzioni competenti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nell'anno 2015, i soggetti a cui sarebbe stata proposta un'opportunità sarebbero appena 69.811, e su un totale di 502.000 registrati, secondo stime non definitive, più della metà sarebbe ancora in attesa di effettuare il colloquio conoscitivo in agenzie o centri per l'impiego. Le regioni meridionali sono quelle con maggiori difficoltà anche a far partire i programmi. Durante la recente audizione dei rappresentanti delle Regioni, in Commissione lavoro, è stata ribadita, da parte di quest'ultimi, la scarsa operatività dei centri per l'impiego, che rappresentano lo snodo principale delle misure della Garanzia Giovani;
     in relazione al contrasto sulla povertà, è stato più volte ribadito, anche attraverso iniziative legislative, presentate nei due rami del Parlamento dai parlamentari del M5S, come sia indispensabile attuare un'efficace ed efficiente lotta all'emarginazione sociale, attraverso la semplificazione del welfare, le misure recentemente proposte dal Governo italiano (il citato Fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale) appaiono infatti insufficienti sia dal punto di vista sostanziale che dal punto di vista dei soggetti potenzialmente interessati. Per dare reale efficacia la platea degli aventi diritto dovrebbe considerare come indicatore il numero di cittadini che vivono al di sotto della soglia di povertà relativa calcolata nei 6/10 del reddito mediano equivalente pro capite, come peraltro già previsto dal Modello sociale europeo e indicato dalla Risoluzione del Parlamento europeo del 20 ottobre 2010;
     in relazione ai disabili, il Consiglio di Stato ha sentenziato la bocciatura la vigente normativa nella parte in cui essa faceva ricomprendere tra i redditi i trattamenti indennitari percepiti dai disabili;
     in relazione agli ammortizzatori sociali, si registrano rilevanti elementi di criticità, determinati dalla recente modifica dell'inquadramento previdenziale dell'azienda, in parola, dal settore industria a quello terziario, privando ad esempio i lavoratori dei call center dei minimi retributivi, previsti dall'accordo del 1o agosto 2013 per i soli lavoratori inquadrati nel settore delle telecomunicazioni, determinando inoltre una disparità riguardo al versamento dell'aliquota di contribuzione alla cassa integrazione guadagni, con conseguenti effetti distorsivi della concorrenza;
     l'articolo 46, comma 3 del decreto legislativo n. 148 del 2015 dispone l'abrogazione, dal 1o luglio 2016, delle disposizioni concernenti i contratti di solidarietà stipulati dalle imprese che non rientrano nel campo di applicazione dell'articolo 1 del decreto-legge n. 726 del 1984, stipulati cioè dai datori di lavoro non rientranti nell'ambito della CIGS; da tale data questa tipologia contrattuale è ricondotta nelle finalità dei fondi di solidarietà bilaterali, che, ad avviso dei sottoscrittori non potranno comunque rispondere alle esigenze reali di supporto all'integrazione del reddito dei lavoratori di talune categorie, quali quella dei call center;
     in relazione alle «nuove formule» per l'accesso alla pensione anticipata, i sottoscrittori esprimono perplessità, alla luce delle carenti risorse che non consentirebbero al Ministero dell'economia di stanziare ben 4 miliardi di euro all'anno per la predetta flessibilità. I dati dell'INPS non sono peraltro confortanti: all'inizio del 2016 sono state registrate 18,1 milioni di pensioni con «una forte concentrazione nelle classi basse» d'importo. Infatti, il 63,4 per cento degli assegni (11,5 milioni) è inferiore a 750 euro, secondo le statistiche dell'Osservatorio pensioni dell'Inps. Emergono sempre disparità di trattamento previdenziale di genere. Per le donne gli assegni inferiori a 750 euro sono più dei tre quarti del totale (il 77,1 per cento); la legge Fornero è stata creata appositamente per rendere sostenibile per lo Stato la spesa per le pensioni dei lavoratori. Nonostante le nuove riforme pensioni, l'Italia è ancora lontana da un equilibrio del sistema previdenziale: le previsioni mirano alla crescita del mercato del lavoro e della produttività, ma in assenza di un ricambio generazionale le persone sono costrette ad andare in pensione sempre più tardi, con la conseguenza di non poter creare nuovi posti di lavoro;
     in relazione ai lavori cosiddetti usuranti, il comma 159, lettera b) della Legge di stabilità 2016, prevede una drastica riduzione del fondo destinato al finanziamento del pensionamento anticipato dei lavoratori addetti alle mansioni particolarmente faticose e pesanti (i cosiddetti lavori usuranti), di cui all'articolo 1, comma 3, lettera f) della legge n. 247 del 2007;
     la dotazione per i lavoratori in parola, prevista dalla legge n. 247 del 2007 (articolo 1, comma 3, lettera f) viene ridotta di 140 milioni di euro per il 2017; 110 milioni di euro per il 2018; 76 milioni per il 2019 e di altri 30 milioni per il 2020, 17,7 milioni di euro per l'anno 2023, 18 milioni di euro per l'anno 2024 e 18,4 milioni di euro a decorrere dall'anno 2025, con conseguente corrispondente riduzione degli importi destinati all'accesso anticipato al pensionamento per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, da utilizzare sia per il cumulo del riscatto degli anni di laurea con il riscatto del periodo di maternità facoltativa fuori dal rapporto di lavoro, sia per consentire a coloro che sono andati in pensione di anzianità con meno di 62 anni nel triennio 2012-2014, la cancellazione delle penalizzazioni, per i soli ratei corrisposti dal 1o gennaio 2016;
     il Fondo, com’è noto, era stato già ridotto per l'anno 2016 con la Legge di stabilità n. 190 del 2014 a 233 milioni di euro a fronte dei 383 milioni di euro stanziati tra il 2013 e 2014;
     l'articolo 1, comma 235, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 e l'articolo 1, comma 193, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, hanno definito le risorse finanziarie necessarie a garantire copertura alle operazioni di salvaguardia, attraverso l'utilizzo dei risparmi, ovvero dei residui passivi iscritti nello stato di previsione del ministero competente;
    in materia di politiche sociali:
     l'elemento più rilevante nel DEF 2016, è proprio il taglio alla sanità, misura corrispondente alle risultanze, dell'Accordo Stato-regioni dell'11 febbraio 2016, ove si prevede, a carico del Servizio sanitario nazionale, quanto stabilito dalla legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016), la quale al comma 680 dispone tagli per: 3.980 milioni per il 2017 e 5.480 milioni per il 2018 e 2019, quale contributo dovuto dalle regioni alla finanza pubblica; pertanto sulla Sanità oltre al taglio di 1,8 miliardi del 2016 si aggiungono riduzioni per quasi 4 miliardi per il 2017 e 5 miliardi a decorrere dal 2018. Inoltre permangono le misure sul personale: blocco del turnover e riduzione permanente del salario accessorio;
     nel triennio 2017-2019, la spesa sanitaria, è prevista crescere ad un tasso medio annuo dell'1,5 per cento ma il rapporto fra la spesa sanitaria e PIL decresce e si attesta, alla fine dell'arco temporale considerato, ad un livello pari al 6,5 per cento. Il decrescere dell'incidenza sul PIL è un elemento inquietante perché si traduce in «meno salute» e si pone al di sotto della media dei paesi OCSE e al di sotto dell'accettabilità;
     nel 2015, la spesa sanitaria corrente è risultata pari a 112.408 milioni, con un tasso di incremento dell'1 per cento rispetto al 2014. Rispetto al dato riportato nella Nota di aggiornamento del DEF 2015 (pari a 111,289 milioni), si è registrato un incremento di circa 1,1 miliardi di euro, dovuto principalmente alla dinamica della spesa per prodotti farmaceutici ospedalieri e per distribuzione diretta inclusi nei consumi intermedi a cui si aggiunge la revisione al rialzo della stima degli ammortamenti del settore sanitario per circa 250 milioni nel 2014, con effetto di trascinamento nel 2015;
     sul punto il Governo, anche nell'ambito del sistema di riforme che lo stesso propone, nulla innova e nulla dice riguardo la necessità di garantire la trasparenza delle misure che regolano la fissazione dei prezzi delle specialità medicinali, in ossequio al sistema delineato dalla direttiva 89/105/CEE, e nonostante i numeri del medesimo DEF rivelino che il problema della spesa sanitaria è concentrato proprio sui farmaci. In Italia i prezzi dei farmaci, come stabilito dalla legge n. 326 del 2003 e come indicato nella delibera CIPE n. 3 del 10 febbraio 2001, sono contrattati dall'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) secondo procedure negoziali e accordi non trasparenti e secretati, per il tramite delle suddette clausole di riservatezza, con particolare riguardo proprio alla fase di fissazione del prezzo. Il DEF certifica quanto il M5S ha ripetutamente segnalato con numerosi atti di sindacato ispettivo riguardo l'eccessivo costo dei farmaci e lo sforamento del tetto di spesa e quanto rilevato anche dall'Osservatorio nazionale sull'impiego dei medicinali;
     nell'analisi dell'aggregato, in particolare, si fa riferimento all'immissione in commercio dei farmaci innovativi, tra i quali quelli per la cura dell'epatite C, caratterizzati da un costo elevato. Il TAR del Lazio ha ripetutamente bocciato il modello di riparto (payback) dell'AIFA per gli anni 2013 e 2014 sia per la spesa farmaceutica territoriale che ospedaliera. In proposito si sottolinea che ad oggi ancora non è avvenuto il riparto a favore delle regioni per gli anni 2013 e 2014 mentre per il 2015 l'AIFA non ha assegnato i budget alle varie aziende farmaceutiche. Inoltre l'Antitrust ha bocciato gli accordi di riservatezza che l'AIFA stipula con le case farmaceutiche, come peraltro proprio diffusamente denunciato dal M5S;
     l'impatto dell'invecchiamento della popolazione sulla sostenibilità fiscale (spesa age-related), le previsioni di medio-lungo periodo, dell'effetto sulla spesa sanitaria e sull'assistenza di anziani e disabili a lungo termine (Long-Term Care, LTC), rilevano che, dopo una fase iniziale di riduzione per effetto delle misure di contenimento della, dinamica della spesa sanitaria, la previsione del rapporto fra spesa sanitaria e PIL presenterà, secondo le stime, un profilo crescente solo a partire dal 2020 e si attesterà attorno al 7,6 per cento del PIL nell'ultimo decennio del periodo di previsione, e comunque sempre al di sotto della media dei paesi OCSE. Mentre la proiezione della componente socio-assistenziale della spesa pubblica per Long Term Care (LTC), composta per circa 4/5 dalle indennità di accompagnamento e per circa 1/5 dalle prestazioni socio-assistenziali erogate a livello locale, dopo una fase iniziale di sostanziale stabilità, presenta un profilo crescente in termini di PIL, che in ogni caso si attesterà all'1,5 per cento per cento del PIL nel 2060;
     il Programma Nazionale Riforme del Governo, nell'ambito del consolidamento delle politiche di spending review, conferma l'incidenza del settore sanitario il cui fabbisogno è fissato, per il solo anno 2016, al livello di 111 miliardi. È altresì precisato che 800 milioni del finanziamento del servizio sanitario nazionale sono subordinati all'adozione dei nuovi livelli essenziali di assistenza (LEA) di cui allo stato attuale non c’è ancora traccia nonostante i ripetuti annunci (l'ultimo annuncio riferiva l'imminente approvazione per il 29 gennaio 2016) e il decreto attualmente in vigore rimane quello del 2001;
     la visione programmatica del Governo è deludente riguardo le politiche di efficientamento e reitera progetti che in realtà sono annunciati da parecchi anni e rilevano un estremo ritardo nell'attuazione: in particolare riguarda alla centralizzazione degli acquisti e all'adozione del fascicolo sanitario elettronico (FSE). Su quest'ultimo il ritardo «implicitamente ammesso» è compensato da una sorta di soluzione intermedia che vede l'implementazione del «nodo nazionale di fascicolo» che di fatto supplisce alla mancata attivazione dei nodi regionali. Il fascicolo sanitario elettronico è inserito anche nell'ambito delle riforme dell'Agenda digitale al quale si aggiunge anche l'introduzione del Codice Unico Nazionale dell'Assistito (CUNA) ovvero l'infrastruttura tecnologica per l'assegnazione del codice univoco per seguire il percorso sanitario del cittadino nei diversi setting assistenziali del SSN. Il tutto ancora da realizzare, al netto dei tagli che l'ultima legge di stabilità ha previsto per la gestione corrente del settore informatico;
     nell'ambito delle politiche di efficientamento il Governo attribuisce particolare valenza ai piani di rientro per le aziende ospedaliere, anche universitarie, per gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) e dal 2017 per le aziende sanitarie locali (ASL). Il Piano di rientro, di durata triennale, è attivato quando nel rapporto tra costi e ricavi emerga un disavanzo pari o superiore al 10 per cento dei ricavi, o, in valore assoluto, quando tale disavanzo sia pari ad almeno 10 milioni di euro e quando si rileva il mancato rispetto dei parametri relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure. L'individuazione di tali enti, come previsto dalla medesima legge di stabilità 2016, deve essere fatta entro il 30 giugno di ogni anno mentre per il 2016 entro il 31 marzo. Al momento tale elencazione non è rinvenibile. La complessità delle relative linee guida, unitamente all'assenza di risorse economiche e professionali all'interno delle aziende sanitarie, rende improbabile che tali piani siano attivati secondo la tempistica prevista dalla legge di stabilità;
     si conferma un ulteriore riduzione della spesa (-0,8 per cento) per i redditi da lavoro dipendente e il Governo riferisce tale riduzione al blocco del turnover e alle politiche di contenimento delle assunzioni in vigore nelle regioni sotto piano di rientro nonché alla riduzione permanente del salario accessorio a seguito di rideterminazione dei fondi destinati alla contrattazione integrativa, il tutto in aggiunta al mancato rinnovo dei contratti. In maniera quasi sbalorditiva e contrariamente a quanto invece sostenuto nell'ultima legge di stabilità il Governo conferma su tutta la linea il mantenimento di dette misure di riduzione, anche in riferimento al settore sanitario; è indubbio che senza ricambio del personale tutti i discorsi di efficienza diventano inutili, tenuto conto che in Italia l'età media dei medici è tra le più alte d'Europa;
     la Camera dei deputati, ha approvato la mozione n. 1-00767 presentata dal M5S con la quale, in maniera peraltro bipartisan, si è condivisa la necessità di porre rimedio alla emergenziale e non più sostenibile carenza di personale sanitario;
     inoltre anche nella legge di stabilità 2016, seppure con diversi limiti correlati alle regioni con piani di rientro, si era condivisa la necessità di porre in essere procedure concorsuali straordinarie per l'assunzione di personale medico, tecnico-professionale e infermieristico sulla base delle valutazioni dei fabbisogni, con l'elaborazione di piani che a oggi le regioni non hanno predisposto; nel DEF non c’è traccia degli impegni presi dal Governo al fine di risolvere la perdurante carenza di personale della sanità, a garanzia dei livelli essenziali di assistenza che, proprio a causa di tale carenza sono, gravemente compromessi;
     la spesa per l'acquisto di beni e servizi è scesa in misura poco inferiore all'1 per cento e tale contenuta riduzione, come evince nel DEF, è attribuita alla realizzazione da parte dell'Anac dei prezzi di riferimento di alcuni beni e servizi, alla possibilità per le aziende di rinegoziare i contratti e alla fissazione del tetto di spesa per i dispositivi medici, come peraltro introdotta dai Governi precedenti (legge di stabilità 2013) e non da quello in carica;
     la fissazione di un tetto alla spesa per l'acquisto di dispositivi medici, pari al 4,4 per cento del fabbisogno sanitario regionale standard, in, realtà, come qualsiasi taglio lineare, non si rivela efficace e i numeri del DEF lo confermano. Sui dispositivi medici sarebbe stato necessario emanare il nuovo nomenclatore tariffario ovvero il documento che definisce la tipologia e le modalità di fornitura di protesi e ausili a carico del SSN. Il nomenclatore attualmente in vigore è quello stabilito, dal DM del 27 agosto 1999 e in realtà le norme vigenti prevedono che l'aggiornamento sia periodico con cadenza massima triennale;
     sugli acquisti di beni e servizi in sanità il M5S ritiene fondamentale incidere sui numeri della corruzione che indicano l'Italia tra i Paesi in cui il fenomeno è più grave e che, solo riguardo alla sanità, è stimata in circa 6 miliardi. In relazione all'acquisto di beni e servizi l'attuazione della centralizzazione degli acquisti stenta a realizzarsi e il Governo proprio con il decreto attuativo della cosiddetta «delega Madia» che modifica il decreto n. 33 del 2013 sulla trasparenza sta andando nella chiara direzione di compromettere l'istituto della trasparenza quale presidio fondamentale per prevenire tanto la corruzione quanto lo spreco di risorse nell'ambito delle acquisizioni di beni e servizi;
     riguardo la farmaceutica convenzionata il DEF segnala una riduzione dell'1,2 per cento. Il Governo riferisce tale riduzione influenzata, oltre che dalla fissazione di un tetto della spesa farmaceutica territoriale con attivazione del meccanismo del pay-back, anche dalla riduzione del numero delle ricette, in misura pari al 2,3 per cento circa rispetto al 2014, nel contempo il Governo conferma la crescita della quota di compartecipazione a carico dei cittadini (aumento dei ticket !), con un incremento di circa l'1 per cento rispetto al 2014; al riguardo il M5S ha presentato una mozione sulla nuova governance farmaceutica, sottolineando che la rinegoziazione del prontuario farmaceutico nazionale, previsto nell'articolo 9-ter del decreto-legge 78 del 2015 non ha portato i risultati sperati, in quanto mancano circa 150 milioni l'anno;
     in tema di politiche sociali la Sezione III del documento all'esame espone le principali misure adottate dal Governo, in particolare, in materia di lotta alla povertà vengono ricordate in primo luogo le misure contenute nella legge di stabilità 2016 destinate alle famiglie povere con minori a carico e segnatamente l'istituzione del Fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale. Tale Fondo, al quale è assegnata la somma di 600 milioni di euro per il 2016 e di un miliardo a decorrere dal 2017, è destinato a finanziare un'apposita legge di delega di riforma organica delle politiche assistenziali;
     il 28 gennaio 2016 il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge delega (cosiddetta Social act) recante norme relative al contrasto alla povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali collegato alla legge di stabilità 2016 (A.C. 3594) ora all'esame delle Commissioni riunite XI e XII della Camera;
     le risorse stanziate dalla legge di stabilità sono insufficienti a fronte del progetto di un sostegno economico, lanciato dal ministro Poletti, pari a circa 320 euro al mese per «280mila famiglie, 550mila bambini e quasi 1 milione e 150mila persone»;
     in Italia ci sono oltre 4 milioni di persone che vivono in condizioni di povertà assoluta. Non viene stanziata alcuna risorsa aggiuntiva e non ci si occupa dei servizi di accompagnamento che dovrebbero essere offerti alle persone povere oltre al beneficio monetario previsto. Inoltre non si forniscono progetti personalizzati d'inserimento sociale né strumenti di welfare adeguati a poterli realizzare. Inoltre il disegno di legge riordina, razionalizzandole, le prestazioni di natura assistenziale «e previdenziale» con misure legate al reddito e al patrimonio, peraltro la parola «previdenziale» è stata inserita solo nel disegno di legge, ma non compare nel collegato comma della legge di stabilità (comma 386), dove si fa esclusivamente riferimento alle misure di natura assistenziale;
     il DEF menziona, inoltre la proposta di legge recante disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive di sostegno familiare (cosiddetto «Dopo di noi»), attualmente all'esame del Senato (A.S. 2232) che disciplina misure di assistenza cura e protezione in favore delle persone con disabilità grave prive di sostegno familiare, in quanto mancanti di entrambi i genitori o poiché gli stessi non sono in grado di sostenere la responsabilità della loro assistenza, e agevola le erogazioni di soggetti privati e la costituzione di trust in favore dei citati soggetti;
     la posizione del M5S sul succitato disegno di legge è fortemente contraria in quanto esso cristallizza il fallimento dello Stato sociale che non riesce a stanziare risorse sufficienti per un intervento serio di assistenza, non rispettando quindi neanche il dettato costituzionale. Si ritiene infatti che il disegno di legge tenda in realtà a coprire l'inosservanza di disposizioni già esistenti che dovrebbero già assicurare la presa in carico di tutti i soggetti bisognosi di cure e di una adeguata assistenza e il M5S ha già, evidenziato come si sia proposto di utilizzare anche risorse delle singole famiglie per sopperire ai tagli che vengono costantemente effettuati alle risorse del settore socio-sanitario, criticando aspramente la possibile sovrapposizione con il fondo per la non autosufficienza;
     preoccupazione rivestono inoltre le norme relative al trust in quanto tendono a preservare i grandi patrimoni che, destinati al sostegno al disabile, usufruiscono di forti riduzioni fiscali, comprendendo in tali ambiti interventi di associazioni di terzo settore o di associazioni di famigliari, che potrebbero anche, una volta esaurita la funzione di sostegno al disabile privo di sostegno famigliare per avvenuto decesso, entrare in possesso di patrimoni immobiliari rilevanti, non a caso sono state bocciate proposte del M5S per una maggiore trasparenza da garantire in ambito di gestione e di passaggio dei patrimoni in questione;
     nell'Appendice A alla Sezione III del DEF (Cronoprogramma del Governo), tra i provvedimenti da approvare entro il 2016 viene citato anche il disegno di legge di delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale, attualmente all'esame della Camera in seconda lettura (A.C. 2617-B);
     anche questo disegno di legge presenta elementi di enorme criticità soprattutto in riferimento alla trasparenza che, quanto meno in alcune sue rilevanti componenti, si è dimostrato non di rado opaco. Durante l'esame al Senato, con l'approvazione di un emendamento del Governo, è stata introdotta la Fondazione Italia Sociale, un organismo dalla dubbia natura giuridica destinato a rappresentare l'ennesimo centro di potere nel quale gestire i flussi di finanziamenti, senza bandi o concorsi, nei confronti di progetti nel terzo settore;
     questo disegno di legge delega non riforma il Terzo Settore, ma lo stravolge trasformando, attraverso l'utilizzo forzato del concetto di impresa sociale, il non profit in profit: si finanziarizzano i bisogni e si delegano sempre più all'esterno le competenze (coop, onlus, eccetera) dello Stato, assegnando con fondi pubblici uno sconfinato campo di attività sociali e culturali a soggetti privati che potranno distribuire gli utili; soggetti nei cui confronti mancheranno adeguati strumenti di controllo e verifica e che entreranno nel mercato in un regime di concorrenza sleale, in quanto le onlus, coop, associazioni godono di regimi fiscali agevolati, al contrario delle tradizionali aziende concorrenti;
     con questa Riforma il no profit diventerà solo un ricordo e gli obiettivi primari delle imprese sociali saranno business e profitto, senza che siano stati posti freni alle potenziali operazioni speculative delle imprese sociali;
    in materia di agricoltura:
     le misure introdotte in favore del settore primario con la legge di stabilità 2016 se hanno comportato per molte aziende agricole un significativo alleggerimento del carico fiscale, non sono comunque sufficienti a consentire la ripresa di un comparto che contribuisce in maniera importante alla determinazione del PIL nazionale, specialmente con i prodotti Dop e Igp;
     è sempre più urgente una riforma complessiva del fisco agricolo nonché la revisione delle procedure di accesso al credito al fine di consentire alle aziende di poter disporre della liquidità necessaria al rilancio delle attività e alla realizzazione di investimenti;
     la crisi che colpisce alcuni settori come la zootecnia da latte, anche a seguito della fine del regime delle quote e l'enorme divario tra prezzo alla stalla e prezzo al consumo, è particolarmente grave ed allarmante, e che gli interventi messi in atto dal Governo non sono risultati sufficienti a evitare la chiusura di oltre 1500 aziende, molte di montagna, proprio per l'assenza di misure specifiche a esse dedicate nonostante il prezioso ruolo di salvaguardia dell'ambiente e delle aree rurali che svolgono;
     il decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51, convertito con modificazioni dalla legge 2 luglio 2015, n. 91, dispone che ISMEA elabori mensilmente, tenuto conto anche della collocazione geografica dell'allevamento e della destinazione finale del prodotto, i costi medi di produzione del latte crudo e che tuttavia a oggi non risulta ancora ultimata la rilevazione e il monitoraggio di detti costi almeno per quelle regioni il cui valore economico della produzione è significativo a livello nazionale;
     con riferimento all'utilizzo delle macchine agricole, a fronte dei sempre più numerosi infortuni che registra il settore, primario, ancora si attende un intervento efficace da parte del Governo e in particolare l'adozione delle norme necessarie a specificare le modalità di esecuzione della revisione delle macchine agricole e operatrici ai sensi dell'articolo 5 del decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 20 maggio 2015;
     la Rete del lavoro agricolo di qualità, pensata anche per rafforzare le iniziative di contrasto dei fenomeni di irregolarità e sfruttamento che caratterizzano le condizioni di lavoro in agricoltura non è ancora operativa nonostante l'emergenza che contraddistingue molte realtà agricole del sud Italia e l'impegno, ancora disatteso, del Governo a rafforzare i vincoli di accesso e a far sì che esso sia consentito solo alle aziende che dichiarano la propria conformità a quanto previsto dalla contrattazione collettiva nazionale;
    in materia di interventi nelle aree sottoutilizzate:
     per quanto concerne lo sviluppo del Mezzogiorno, il Documento in esame, nell'apposita Sezione, riporta dati sconfortanti sul drammatico divario fra il Centro Nord e il Sud;
     durante il periodo di crisi 2008-2014, le aree svantaggiate hanno subito effetti devastanti che si traducono in una perdita di PIL del 12,7 per cento rispetto al 7,9 per cento nel Centro-Nord;
     si registra nel Mezzogiorno un calo della domanda interna del 13,2 per cento, mentre nel Centro-Nord il calo si è attestato al 5,2 per cento;
     per quanto riguarda il lavoro e l'inclusione sociale i dati rilevati al Sud destano preoccupazione, infatti, rispetto a un tasso medio nazionale di disoccupazione dell'11,9 per cento, nel Sud la percentuale sale al 19,4 per cento e la disoccupazione giovanile è pari al 54,1 per cento contro una media nazionale del 40,3 per cento;
     il Governo riconosce che è un obiettivo prioritario superare il gap infrastrutturale, che separa il Sud dal resto del Paese, si rileva inoltre che, per conseguire il risanamento dei conti pubblici e a seguito del periodo di grave crisi, gli investimenti pubblici e delle ex-aziende di Stato sono stati dimezzati al Sud rispetto al Nord, peggiorando la già preoccupante situazione dell'economia meridionale;
    per anni le politiche economiche di sviluppo per il Sud hanno fallito l'obiettivo del riallineamento delle due economie esistenti nel nostro Paese, anzi, il Sud è ancora più povero e sconta l'inadeguatezza delle infrastrutture soprattutto nel settore trasporti, viabilità e banda larga;
    il predetto contesto indebolisce e rende meno competitive le imprese che operano nel Mezzogiorno, che, dunque, sopportano maggiori costi nell'esercizio della loro impresa;
    il Governo intende rafforzare l'impegno per il Sud attuando il pubblicizzato «Masterplan» per il Sud, che prevede sostanziose risorse da destinare al Mezzogiorno nell'ambito dei Fondi strutturali e cofinanziamento nazionale e del Fondo sviluppo e coesione – da anni per legge è così, dunque non si ravvede nessuna novità di rilevo – da attuare mediante accordi fra Governo-Regioni-Città metropolitane, i cosiddetti «Patti per il Sud», che, però, sono ancora in corso di definizione;
    considerati i tempi di realizzazione della programmazione e realizzazione delle opere, nonché i ritardi dovuti alla burocrazia, all'insufficiente preparazione degli addetti della pubblica amministrazione, soprattutto a livello territoriale, a gestire le risorse comunitarie per investimenti, al ritardo con cui è stata istituita la Cabina di Regia (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 febbraio 2016) si ritiene opportuno accelerare lo sviluppo dell'economia meridionale, adottando, in occasione della prossima legge di stabilità per il 2017, interventi, che liberino maggiori risorse e aumentino il potere di acquisto delle famiglie e la liquidità delle imprese meridionali,

impegna il Governo:

   in materia economico-finanziaria,
    ad operare una drastica correzione degli indirizzi di politica economica e sociale seguiti negli ultimi anni, finalizzata non più al cieco perseverare nell'affannoso rincorrere teorie neo-liberiste, oppressive nei confronti delle fasce più deboli della popolazione, cercando di incasellare i dati relativi alle performance dell'Italia in sterili parametri calati dall'alto, ma bensì proiettate al rinnovamento del Paese, alla realizzazione di un Paese più competitivo, alla promozione di una maggiore coesione e equità sociali, facendosi promotore di iniziative incisive per l'accelerazione alla transizione ad un modello alternativo di sviluppo, sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico, e che ristabilisca equità e giustizia ricreando, su queste basi, una prospettiva economica ed occupazionale stabili;
    a integrare con apposita relazione le informazioni sul debito pubblico contenute nel DEF 2016, evidenziando i possibili scenari del percorso di rientro del debito;
    ad integrare le informazioni sul debito ivi contenute, con l'indicatore del debito privato, per restituire un quadro più fedele della solidità dell'economia del Paese, che rappresenti l'effettivo consolidamento patrimoniale delle famiglie e delle imprese;
    in occasione della legge di stabilità 2017, a individuare obiettivi di spesa che siano necessariamente etici e rispondenti a valutazioni di impatto sociale, pur nell'attenta considerazione delle risorse disponibili;
    ad adottare apposite misure per garantire la non attivazione delle clausole di salvaguardia anche per gli anni venturi;

    ad adottare le misure di «spending review» per finanziare la riduzione del carico fiscale alle famiglie ed imprese evitando di tagliare servizi è agevolazioni vigenti di sostegno ai redditi, per rendere effettiva la riduzione della pressione fiscale piuttosto che conseguirla fittiziamente mediante delle semplici «partite di giro»;
    a valutare i possibili interventi normativi anche di attuazione dell'articolo 81 della Costituzione al fine di non considerare in nessun caso come vincolante l'obiettivo di medio termine (MTO); a promuovere in ogni sede e con ogni mezzo la rivisitazione dei trattati internazionali, in particolare il «Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nella Unione europea», al fine di svincolarsi dalle deleterie morse dell’austerity;
    ad assumere iniziative; anche in sede di Unione europea, per svincolarsi dall'uso di un indice poco rappresentativo del benessere di un Paese e dei suoi cittadini, quali il Prodotto Interno lordo, e quindi utilizzare, anche al fine della programmazione economica, indici alternativi quali la coesione sociale, i salari, la sicurezza dell'impiego, l'ambiente, la salute, la sicurezza, la qualità e il costo delle abitazioni, l'educazione e quant'altro possa essere in grado di rappresentare aspetti più rilevanti del benessere dei cittadini;
    a destinare alle Regioni una parte della flessibilità finanziaria richiesta all'UE, così da favorire gli investimenti e lo sviluppo dei territori;
   in materia di giustizia:
    nell'ambito di una complessiva revisione della legge 24 marzo 2001, n.89 rispondente al dettato ed alla giurisprudenza della CEDU, a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni recentemente introdotte con la Legge di stabilità 2016, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere che l'esperimento dei rimedi preventivi alla durata irragionevole del processo non sia obbligatorio, bensì facoltativo, nonché il quantum per l'indennizzo da riconoscere per ciascun anno che eccede il termine ragionevole durata del processo permanga nei parametri in vigore nel 2015;
    in previsione di un'asserita approvazione del disegno di legge delega di riforma del sistema di magistratura onoraria, il quale riserverà un elevato numero di nuove competenze in capo ai nuovi soggetti non togati, che saranno chiamati a decidere su numerose, rilevanti questioni per il cittadino ad un costo ridotto per lo Stato, a reintegrare il fondo per le indennità dei giudici di pace, giudici onorari aggregati, giudici onorari di tribunale e ai viceprocuratori onorari, sensibilmente ridotto dalla legge di stabilità 2016;
    a ripristinare l'integrale tutela giudiziale, degradando a mera facoltà delle parti – e non a una condizione di procedibilità della domanda giudiziale – il ricorso agli strumenti di composizione stragiudiziale delle controversie, nella radicata e ferma convinzione che non si debba alleggerire il carico di lavoro dei giudici e fare fronte all'enorme arretrato dei tribunali comprimendo i diritti dei cittadini;
    ad adoperarsi per quanto di competenza attraverso le opportune iniziative normative al fine di escludere la previsione del raddoppio del contributo unificato limitatamente alle società di persone e le piccole medie imprese, così da generare un positivo effetto sulla concorrenza laddove anche ai soggetti economici di dimensioni ridotte sia pienamente consentito di agire in giudizio per far valere i propri diritti;
    fermo restando che il ripristino della piena funzionalità del sistema giudiziario italiano, inteso come investimento strategico, non possa passare solo dalla «riforma» della procedura penale, civile, fallimentare, ma dal reperimento di adeguate risorse finanziarie, ad adeguare, oltre le facoltà assunzionali previste, il numero dei magistrati a disposizione e del completamento delle piante organiche del personale amministrativo degli uffici giudiziari al fine di abbattimento del contenzioso arretrato;
    ad incentivare l'accesso alla magistratura togata da parte dei giovani neolaureati, incrementando la frequenza dei concorsi, ampliando altresì i posti messi a disposizione ed abolendo l'attuale limite delle tre consegne per i candidati;
    al fine di conseguire il duplice obiettivo di equità ed efficienza per l'amministrazione della giustizia, ad inserire nel cronoprogramma delle riforme per il 2016, l'introduzione di un vera class-action quale quella su cui alla prima firma Bonafede, «Modifiche al codice di procedura civile e abrogazione dell'articolo 140-bis del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, 206, in materia di azione di classe», approvata all'unanimità nel giugno del 2015 alla Camera la quale potrebbe da sola ridurre sensibilmente, accorpandole, le cause da parte di molteplici cittadini, consumatori e non, lesi dalle condotte offensive di un medesimo soggetto economico;
    al fine di rafforzare l'azione di contrasto alla corruzione nel settore pubblico e privato, ad inserire nel cronoprogramma delle riforme per il 2016, la proposta di legge «Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell'ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato» (così detto whistle-blowing), a prima firma Businarolo, approvata lo scorso gennaio alla Camera;
    ai fini di un concreto recupero di risorse sottratto allo Stato, da redistribuire, anche, per significativi interventi in favore dell'efficienza del comparto giustizia, a sostenere una severa ed univoca legislazione anticorruzione, attraverso i seguenti interventi: una revisione della prescrizione che la interrompa dal momento del rinvio a giudizio dell'imputato; l'inserimento nel cronoprogramma del 2016 dell'approvazione dell'istituto del whistleblowing; la reintroduzione del reato di falso in bilancio senza alcuna soglia di non punibilità; l'aumento delle pene e la revisione della tipizzazione del 416-ter, per scoraggiare qualsiasi alleanza tra politica e criminalità organizzata; l'aggiornamento del reato di autoriciclaggio così da colpire il riutilizzo dei capitali indebitamente percepiti o frutto di corruzione anche se impiegati per l'acquisto di beni per godimento personale del reo; il ripristino di adeguate soglie di punibilità per i reati riconducibili alla dichiarazione fraudolenta mediante artificio;
    nell'ambito della disciplina in materia di demolizione di manufatti abusivi, ad adoperarsi al fine di prevedere che l'ordine dei criteri di esecuzione delle sentenze definitive di abbattimento di immobili abusivi non abbia carattere vincolante, al fine di evitare inevitabili e numerosi incidenti di esecuzione, che mal si concilierebbero, contraddicendoli, con i principi del giusto processo e di celerità del processo;
    ad assumere le iniziative di competenza per escludere che l'amministrazione della giustizia in ambito minorile, con particolare riferimento a quella penale, non possa essere assolutamente parificata e regolamentata secondo gli schemi della giustizia ordinaria, anche al fine di una più celere ed efficiente trattazione dei casi da parte di magistrati effettivamente specializzati;
    ad inserire nel cronoprogramma delle riforme per il 2016 i contenuti della proposta di legge C. 2168 che introduce nel codice penale il reato di tortura, espressamente vietata in alcuni atti internazionali sottoscritti dall'Italia, onde evitare nuove ed ulteriori sanzioni per lo Stato da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo;
    al fine di evitare di incorrere in ulteriori procedure di infrazione comunitarie, a prevedere di istituire il «Fondo per le vittime dei reati intenzionali violenti», così da dare corso al recepimento della direttiva del 2004/80, laddove questa impone che ciascuno Stato membro realizzi «un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti»;
    rendere efficace l'operato dell'Agenzia nazionale dei beni sequestrati confiscati attraverso una gestione di tali beni trasparente: quando – durante il periodo non definitivo di sequestro e confisca – la titolarità degli stessi è attribuita ad amministratori giudiziari selezionati presso l'albo pubblico; nonché, per quanto riguarda la destinazione di tali beni, che questa debba essere in primo luogo rivolta a fini pubblico-istituzionali, nonché di tipo sociale; ed a prevedere, altresì, di estendere l'applicazione delle misure di prevenzione personali (articoli 4 e seguenti del Codice Antimafia, decreto legislativo n. 159 del 2011) anche agli indagati per reati contro la pubblica amministrazione;
    a promuovere una legislazione tesa a: consentire la coltivazione ad uso personale ed associativa di cannabis, fissando dei limiti detenibili per tali sostanze; coltivare e commercializzare cannabis con il monopolio dello Stato; sostenere l'accesso alla cannabis per uso terapeutico su tutto il territorio nazionale;
   in materia di affari esteri:
    a rispettare il dettato dell'articolo 4 della legge 125 del 2014 e a provvedere, sin dall'emanazione dei prossimi documenti ufficiali di finanza o di altra natura, a utilizzare la prevista nuova denominazione di cui alla premessa;
   in materia di difesa:
     destinare l'assegnazione delle strutture militari in dismissione, localizzate in luoghi strategici delle città, per nuove funzioni che consentano per le altre amministrazioni risparmi in contratti di locazione;
    abbandonare, in via definitiva, il programma per la produzione e l'acquisto dei previsti cacciabombardieri Joint Strike Fighter (F35) parallelamente ad una riconversione delle industrie che operano nella produzione degli stessi;
    riformare le modalità di messa a gara degli appalti del settore Difesa in modo da impedire il ripetersi di episodi di corruzione che minacciano il prestigio e il buon nome delle Forze Armate nonché assicurando trasparenza e regole chiare nell'assegnazione degli appalti;
    anche in considerazione delle crescenti minacce terroristiche, e poiché il Governo ha si varato un pacchetto di provvedimenti in materia di sicurezza volti a rafforzare le infrastrutture materiali e immateriali a disposizione delle forze armate e di polizia, ma questi appaiono ancora oggi, rispetto alla minaccia, insufficienti, a rendere strutturale per le buste paga del personale del comparto sicurezza, il riconoscimento del bonus di 80 euro mensili in busta paga per il personale di tale comparto;
   in materia tributaria, fiscale e bancaria:
    a riconsiderare i criteri di riscossione del credito da parte del sistema bancario, introducendo modalità più eque per la restituzione da parte delle imprese e delle famiglie, che abbiano comunque la finalità di evitare che queste ultime si vengano a trovare in situazioni di povertà e difficoltà economiche;
    a riformare il sistema fiscale mediante una rideterminazione dei carichi fiscali tra imposte dirette e indirette, al fine di attuare una progressiva riduzione della pressione fiscale sul reddito e redistribuzione della ricchezza, garantendo una maggiore disponibilità economica in capo alle famiglie e imprese, indispensabile per il rilancio dei consumi e dell'economia nazionale;
    attuare politiche fiscali a tutela dell'ambiente e per la promozione dello sviluppo sostenibile, anche attraverso l'istituzione di una «Tassa ambientale» (TA) aggiuntiva all'imposta sul valore aggiunto, incentivando in tal modo la produzione ed i consumi entro standard eco sostenibili;
    agevolare i tempi di pagamento dei debiti della PA con l'introduzione dell'istituto della compensazione «universale» dei crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione con i debiti erariali di natura tributaria; previdenziale e assicurativa, favorendo il celere recupero del credito e una maggiore efficienza nella gestione delle risorse pubbliche;
    a riformare l'attuale sistema di riscossione mediante ruolo, locale e nazionale, attuando una progressiva attribuzione dell'attività della riscossione direttamente all'Ente impositore (ADE, Ministero, Enti locali) nonché mediante il rafforzamento e la razionalizzazione degli attuali strumenti di riduzione dell'indebitamento, riducendo così l'aggravio di costi (aggi e mora) a carico dei contribuenti ed agevolando il recupero dell'indebitamento;
    a revisionare i criteri di determinazione dei compensi incentivanti delle Agenzie fiscali, disancorandoli dal mero perseguimento di budget quantitativi di riscossione controlli» e mirando viceversa ad ottimizzare gli esiti dei singoli controlli, indirizzandoli sulle situazioni a maggior rischio fiscale e improntando l'azione amministrativa all'efficacia, efficienza ed economicità;
    a rafforzare gli strumenti posti a tutela del cittadino di fronte ad illegittimità e irregolarità commesse nella gestione della riscossione con l'introduzione di procedure volte al risarcimento diretto dei danni cagionati dall'attività illegittima dell'amministrazione finanziaria (sia in fase di accertamento che riscossione) nonché sancendo il principio della responsabilità patrimoniale e personale dei funzionari pubblici per i danni erariali cagionati allo Stato;
    a implementare e migliorare le procedure volte al controllo ispettivo interno all'amministrazione finanziaria, per la compiuta verifica della corretta applicazione delle leggi d'imposta da parte dei dipendenti uffici esecutivi;
    ad attivarsi per il miglioramento della collaborazione tra amministrazione e contribuenti, avviare una progressiva abolizione degli strumenti standardizzati di accertamento quali strumenti di rilevazione statistica del reddito favorendo, viceversa, sistemi di controllo che incentivino una compliance preventiva tra contribuenti ed amministrazione finanziaria, anche attraverso la predisposizione di strumenti informatici gratuiti che consentano l'instaurazione di un dialogo costante con i contribuenti;
    a intensificare la lotta all'evasione internazionale sia attraverso il potenziamento degli strumenti preventivi di contrasto all'evasione ed elusione internazionale sia mediante il rafforzamento degli strumenti di cooperazione internazionale, con particolare riguardo all'invio di richieste di assistenza amministrativa e di scambi informativi spontanei, nonché all'attivazione dei controlli multilaterali, anche in conseguenza delle molteplici convenzioni stipulate con gli Stati della comunità europea ed internazionale in materia di scambio di informazioni e rimozione del segreto bancario;
    a introdurre misure a sostegno del «contrasto d'interesse», quali l'introduzione di concorsi a premi (erogazioni di denaro o beni in natura) estratti sulla base dello scontrino fiscale, nonché mediante il riconoscimento di agevolazioni fiscali (es. crediti d'imposta) in settori caratterizzati da elevati indici di evasione fiscale;
    al fine di garantire l'efficienza, l'imparzialità e l'indipendenza della magistratura tributaria, riformare la giustizia tributaria garantendo la professionalità della giurisdizione tributaria attraverso l'istituzione di giudici di ruolo a tempo pieno;
    ad introdurre disposizioni di carattere normativo, con annesse sanzioni, al fine di vietare allo Stato, alle Fondazioni bancarie, alle imprese bancarie, finanziarie ed assicurative di effettuare investimenti in strumenti finanziari derivati o speculativi che implichino il rischio di perdite patrimoniali e siano pregiudizievoli per le risorse erariali e per il risparmio dei cittadini;
    a predisporre nuovi criteri e limiti di indebitamento per le imprese bancarie, finanziarie ed assicurative, riducendo in tal modo i potenziali rischi di perdite patrimoniali;
    a promuovere la separazione tra banche commerciali e banche d'investimento, favorendo l'istituzione di banche, anche di natura pubblica, preposte al finanziamento dell'economia reale, a cui sia posto l'esplicito divieto di investire in strumenti finanziari derivati, speculativi, o rischiosi per l'integrità patrimoniale ed il risparmio dei cittadini;
    ad adoperarsi, per quanto di competenza, affinché siano svolti adeguati controlli con riferimento alle banche caratterizzate da consistenti volumi di sofferenze affine di individuare le cause e le responsabilità della non corretta gestione;
    a incentivare forme alternative di accesso al credito tra cui l'istituto del «crowdfunding», rivedendo l'attuale regolamento che non ha permesso in questi ultimi anni un adeguato sviluppo e utilizzo di questo strumento di finanziamento ed estendendone l'accesso anche a società di nuova costituzione. Altresì, estendere l'utilizzo del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese alle operazioni di «crowdfunding»;
    a rafforzare le sanzioni penali in materia di usura bancaria ed attuare le opportune modifiche normative e procedurali al fine di assicurare la corretta ed effettiva applicazione delle sanzioni penali;
    a introdurre disposizioni normative volte ad impedire l'applicazione di ogni forma di anatocismo a prescindere da ogni possibile modalità di determinazione;
    a rivedere la procedura di risoluzione delle crisi bancarie escludendo ogni genere di riduzione del valore degli strumenti finanziari posseduti dai risparmiatori;
    ad assumere iniziative per l'annullamento della procedura di risoluzione di Cassa di risparmio di Ferrara Spa, la Banca delle Marche Spa, Banca popolare dell'Etruria e del Lazio e la Cassa di risparmio della Provincia di Chieti Spa e restituire il risparmio ai cittadini;
   in materia di Università e Ricerca:
    al fine di garantire l'effettività del diritto allo studio e di ridurre la contribuzione degli studenti universitari, ad inserire nel cronoprogramma per le riforme la modifica della disciplina in materia di contribuzione studentesca, in particolare, introducendo quale limite alla tassazione totale esigibile dagli Atenei il 20 per cento della quota di FFO assegnata allo stesso Ateneo e fissando ad un ISEE inferiore a 21.000 euro la soglia di esenzione dalla contribuzione;
    al fine di valorizzare il sistema universitario italiano e di garantirne l'efficienza, a ripristinare il regolare turnover dei docenti universitari;
    al fine di valorizzare l'attività di ricerca e premiarne l'eccellenza, ad incrementarne le risorse destinate ai PRIN, anche attraverso il trasferimento di fondi già stanziati, nell'ambito del progetto «dopo-Expo», in favore dell'istituto italiano di Tecnologia;
    in materia di istruzione:
     al fine di garantire il soddisfacimento del fabbisogno delle istituzioni scolastiche, a procedere ad un piano straordinario di assunzioni di personale docente ed ATA su tutti i posti vacanti e disponibili;
     al fine di garantire la modernizzazione del sistema di istruzione e di implementare il ricorso a tecniche d'insegnamento più innovative, ad incrementare le risorse finanziarie e strumentali destinate all'innovazione didattica e alla didattica digitale;
     al fine di internalizzare i servizi di pulizia delle scuole, a procedere al ripristino dei 12.000 posti ATA accantonati;
    in materia di cultura:
     al fine di valorizzare il patrimonio culturale italiano e di promuoverne la diffusione, ad intervenire sulla disciplina in materia di musei ed istituti culturali pubblici, in particolare, garantendone un sistema di governance in grado di superare l'ormai endemica organizational failure grazie a condizioni di agibilità e azione, flessibilità, autodeterminazione e autonomia nonché alla piena responsabilità dei gestori e procedendo all'internalizzazione di tutti i servizi museali aggiuntivi riconducibili alla funzione di valorizzazione;
     al fine di garantire un sistema virtuoso di finanziamento a favore degli enti culturali, a sostituire le elargizioni concesse in modo generalizzato con un meccanismo di contribuzione statale basato su specifici piani e progetti di investimento;
    in materia di ambiente:
     a rivedere le procedure per l'individuazione degli interventi a favore degli enti locali, estranee a qualsivoglia schema normativo di riferimento e prive di una visione strategica e programmatica;
     a bloccare la perversa spirale che punta a compensare il disavanzo pubblico con la svendita dei beni demaniali, determinando un costante e progressivo impoverimento del sistema paese;
     a avviare un concreto piano di intervento per la tutela e la messa in sicurezza del territorio, nell'ottica della prevenzione del rischio idrogeologico e sismico, individuando risorse certe, anche attraverso una transizione «virtuosa» dalle dinamiche della legge obiettivo ad una più attenta programmazione delle opere pubbliche, privilegiando quelle che siano davvero utili per il paese;
     a rispettare gli impegni assunti con l'approvazione della risoluzione in commissione ambiente e bilancio con l'obiettivo di: riconoscere il diritto all'abitare; riqualificare il patrimonio immobiliare per uso abitativo; salvaguardare il patrimonio immobiliare pubblico prediligendo politiche di diritto alla casa piuttosto che politiche speculative sul patrimonio comune; bloccare sgomberi e sfratti fino all'adozione delle misure necessarie per garantire il diritto alla casa per tutti; utilizzare il patrimonio immobiliare pubblico e quello privato che non risulti abitato, quello degli enti previdenziali e dei fondi immobiliari e bloccare le vendite speculative del patrimonio immobiliare pubblico; realizzare progetti per il riuso delle città secondo politiche volte al consumo di «suolo zero», nell'ottica di una concreta rigenerazione urbana; trasferire le risorse destinate a grandi opere e grandi eventi in un apposito fondo con l'obiettivo di garantire il diritto all'abitare, al reddito, alla salute e alla mobilità; definire le modalità e attuare il censimento degli immobili vuoti ed inutilizzati su tutto il territorio nazionale; adottare una politica fiscale che disincentivi la proprietà di immobili vuoti e la conseguente speculazione; prevedere l'utilizzo immediato dei beni sequestrati alla mafia al fine di affrontare le situazioni di emergenza abitativa esistenti sul territorio nazionale;
     a promuovere con maggiore determinazione politiche e interventi normativi finalizzati alla tutela ambientale, anche attraverso l'accelerazione dell'iter delle proposte di legge all'esame del Parlamento, quali la norma che sia effettivamente finalizzata al contenimento del consumo di suolo, nonché di altre proposte finalizzate ad incentivare un cambiamento del modello economico di riferimento ed alla adozione di nuovi stili di vita, di consumo e di produzione, tenendo conto del risultato dell'indagine sulla green economy che ha dimostrato che il rapporto tra nuovi occupati e risorse investite aumenta in proporzione alla «sostenibilità» delle attività, passando da poche decine di occupati per miliardo investito in grandi opere inutili, produzione di energia da fonti fossili e agricoltura intensiva agli oltre 5 mila occupati per interventi sul dissesto idrogeologico, oltre 10 mila occupati per le bonifiche e oltre 15 mila occupati per l'efficientamento energetico degli edifici; consentire la rapida approvazione della proposta di legge per la tutela e valorizzazione dei piccoli comuni;
     a garantire la stabilizzazione del bonus al 65 per cento per le ristrutturazioni energetiche per gli interventi di consolidamento antisismico e per la rimozione dell'amianto in modo strutturale per almeno cinque anni;
     a verificare l'applicazione e il controllo dello sviluppo urbano, in ambito locale, attraverso lo strumento della Valutazione Ambientale Strategica, volta a controllare il corretto sviluppo antropico sulla base di una scientifica e approfondita analisi dei benefici ambientali ed economici del territorio;
     a riformare il processo di definizione dei nuovi parametri di emissione per gli impianti industriali al fine di evitare conflitti d'interesse, deroghe ed eccezioni;
     accelerare la trasformazione verso una società a bassa intensità di carbonio, integrando parametri legati al cambiamento climatico nei processi decisionali di carattere economico e strategico;
     a avviare, coerentemente con il quadro normativo vigente, un piano d'azione che coinvolga tutti i livelli di governo finalizzato al contrasto dell'abusivismo edilizio, bloccando ogni ipotesi di sanatoria e avvalendosi in particolar modo dei seguenti strumenti: creazione di un fondo presso il Ministero delle Infrastrutture per sostenere i costi di demolizione vincolato ad una spesa preventiva;
     promozione nella conferenza Stato-regioni di un coordinamento sulle politiche abitative; avvio di un protocollo d'intesa che porti alla fissazione di buone pratiche per uniformare le procedure e condividere le informazioni;
     a implementare e rafforzare le azioni di vigilanza e controllo per impedire la realizzazione di discariche abusive, il cui costo per la collettività – in termini economici, ambientali e sanitari – è di gran lunga maggiore degli oneri derivanti da una politica attiva di prevenzione;
     a dare nuovo impulso al programma nazionale di bonifica, individuando nuove risorse e predisponendo un cronoprogramma per garantire tempi certi di risanamento ambientale dei siti e garantendo massima trasparenza sullo stato di attuazione di ogni singola bonifica;
    in materia di infrastrutture:
     con riguardo alle 25 opere strategiche del PIS di cui all'XI Allegato infrastrutture, come aggiornato nel novembre 2015, a definire e illustrare in una apposita relazione alle Commissioni parlamentari di competenza l'eventuale revisione dei progetti nonché l'ammontare delle risorse revocabili al fine di definirne il nuovo impiego con riguardo alle politiche di sviluppo della mobilità sostenibile;
    in materia di trasporti:
     ad imporsi per il 2030 target di mobilità sostenibile adeguati e realmente funzionali all'effettivo miglioramento della qualità della vita e della riduzione di emissioni inquinanti, individuando e specificando per la mobilità urbana e suburbana un target per ogni modalità (trasporti pubblici, car sharing e car pooling, ciclabile, pedonale);
     a sbloccare le risorse previste dal decreto-legge n. 69 del 2013 per gli interventi riguardanti il Piano Nazionale della Sicurezza Stradale al fine di migliorare le condizioni di ciclisti e pedoni;
     a definire e rendere pubblico sulle piattaforme istituzionali governative la progressione del Piano nazionale di ricarica elettrica con chiari e puntuali riferimenti alle aree territoriali di implementazione infrastrutturale e relativa rendicontazione al fine di rendere più trasparente e accessibile al pubblico l'effettiva adozione del cronoprogramma;
     a provvedere alla pubblicazione e alla puntuale relazione presso le Commissioni parlamentari competenti delle fasi di verifica e dei relativi risultati del Programma straordinario di test su veicoli con riguardo alle emissioni inquinanti, per il quale sono state finanziati 5 milioni di euro. In particolare a definire e perseguire una strategia istruttoria e nel caso sanzionatoria nei confronti delle case automobilistiche colpevoli di manipolazioni e di irregolarità finalizzate alla irregolare omologazione di dispositivi e veicoli. In tal senso, prevedere l'impiego delle risorse derivanti dall'attività sanzionatoria per incentivare l'acquisto di mezzi privati a basso impatto ambientale nonché per un maggior ricorso nelle aree urbane e suburbane al trasporto pubblico e alla condivisione di mezzi privati;
     ad implementare una seria e più organica riforma del sistema regolatorio dei servizi di trasporto pubblico prevedendo, anche in vista dell'approvazione dello schema di decreto legislativo concernente i servizi pubblici e di trasporto pubblico locale, l'ampliamento dei poteri dell'Autorità di Regolazione Trasporti con riferimento all'ambito aeroportuale;
     a introdurre nel corso della negoziazione in sede europea sulla Direttiva NEC, l'impegno a ridurre le emissioni fino al 48 per cento degli impatti sulla salute rispetto al 2005 come proposto dalla Commissione Europea e dal Parlamento Europeo;
     a introdurre obiettivi vincolati per il 2025 nelle azioni di contrasto all'inquinamento, come richiesto dal Parlamento Europeo, senza attendere il 2030;
     a rigettare la flessibilità non necessaria come gli adattamenti degli inventari delle emissioni, dei fattori di emissione e le medie calcolate su tre anni, che non sono giustificati e diluirebbero il livello di ambizione della Direttiva;
    in materia di privatizzazioni:
     ad avviare una seria riflessione in merito alla reale ricaduta della svendita dei patrimoni e degli asset pubblici che si sta dimostrando fortemente critico e preoccupante sul piano strategico per il Paese;
     a informare tempestivamente le Commissioni parlamentari di competenza su quali siano le eventuali «ulteriori misure di privatizzazione» allo studio del Governo, specificando in tal senso se si tratti di operazioni aggiuntive a quelle già messe in atto nel corso degli anni passati o se si tratti di misure riguardanti nuovi soggetti a partecipazione pubblica. In particolare se allo studio del Governo vi siano operazioni di privatizzazione riguardanti gli ultimi asset strategici rimasti totalmente pubblici: quello portuale e quello aeroportuale;
    in materia di informatizzazione e digitalizzazione:
     ad avviare una seria riflessione sul fronte della digitalizzazione dei servizi della Pubblica Amministrazione volta alla semplificazione degli strumenti di accesso dei cittadini ai servizi online e destinando risorse specifiche in tale settore da destinare allo sviluppo dei servizi nonché all'alfabetizzazione informatica dei dipendenti della PA a tutti i livelli;
     ad avviare politiche pubbliche di stimolo della domanda di servizi digitali quali voucher o altre forme di incentivo che consentano l'accesso a tali servizi da parte di ampie fasce della popolazione al momento escluse dai processi di digitalizzazione in atto;
     ad adottare ogni iniziativa utile volta da un lato a rimuovere gli ostacoli che non consentono l'accesso al commercio elettronico da parte delle piccole e medie imprese, italiane e, dall'altro a promuovere lo sviluppo di tali sistemi per una nuova crescita fondata sull'adozione di strumenti digitali;
     a stanziare risorse adeguate per l'effettivo raggiungimento degli obiettivi di informatizzazioni e di innovazione tecnologica della Pubblica Amministrazione al fine del raggiungimento del livello degli altri Paesi europei;
    in materia di attività produttive:
     a promuovere una vera conversione della politica economica, attraverso nuove misure di sostegno in favore, dello sviluppo delle vere fonti energetiche rinnovabili e dell'efficienza energetica, puntando in modo netto sulla valorizzazione dell'economia verde;
     adottare una norma interpretativa autentica volta ad estendere l'imposta municipale propria anche agli immobili costruiti su strutture artificiali ubicate nel mare territoriale;
     ad attuare con gli strumenti della politica nazionale un'efficace lotta alla contraffazione nelle dogane e sul territorio, in difesa dei consumatori e della produzione nazionale; a certificare, in tempi brevi, i debiti della pubblica amministrazione ai fini della compensazione con crediti fiscali da parte delle imprese, assumendo iniziative per prevedere delle sanzioni nei confronti degli enti inadempienti;
     ad adottare ogni iniziativa in sede europea, finalizzata a concordare con la Commissione europea un piano straordinario, di natura una tantum, per il pagamento dei debiti pregressi delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese creditrici, che preveda che l'uscita di cassa non vada ad incidere sul pareggio di bilancio strutturale del nostro Paese per tutto il periodo ritenuto necessario per l'azzeramento dei debiti pregressi accumulati;
     a rendere stabile e certa la detrazione fiscale per interventi di efficienza energetica/ristrutturazione edile, prevedendo una premialità nei confronti degli interventi che massimizzano l'efficacia rispetto al costo per la collettività, e garantendo un riequilibrio della capacità d'accesso agli incentivi che li renda convenienti anche per i contribuenti a minor reddito;
     a sostenere il rilancio del settore turistico italiano attraverso l'adozione di misure per la riduzione del carico fiscale, la semplificazione burocratica e la facilitazione all'accesso al credito per le imprese turistiche, con particolare riferimento a quelle di medie e piccole dimensioni;
    in materia di politiche energetiche:
     a promuovere una conversione ecologica del sistema produttivo italiano, attraverso nuove misure di sostegno in favore del consolidamento delle vere fonti energetiche rinnovabili e dell'efficienza energetica, attraverso la definizione di una «carbon tax», la cui base imponibile dovrà essere gradualmente ampliata fino a comprendere gli impatti sanitari associati all'utilizzo delle fonti energetiche;
     a migliorare l'efficacia delle detrazioni fiscali per gli interventi di efficienza energetica/ristrutturazione degli immobili, prevedendo una premialità nei confronti di quelli che massimizzano l'efficacia rispetto al costo per la collettività, e garantendo un riequilibrio della capacità d'accesso agli incentivi che li renda utili per i contribuenti a minor reddito nel contrasto alla povertà energetica;
     a inserire dei criteri di efficienza ambientale per l'allocazione delle risorse previste nei capitoli di spesa del Ministero per lo sviluppo economico, comprese quelle destinate al finanziamento di programmi d'armamento della Difesa;
    in materia di lavoro:
     a valutare l'opportunità di regolare il mercato del lavoro puntando su redistribuzione e innovazione, dunque su un'idea diversa di stimolo alla domanda e non sulla svalutazione competitiva di lavoro e diritti;
     alla luce dell'impossibilità del Governo di risolvere il problema della disoccupazione, ancorché aggravata dai dati macroeconomici, a rivedere la legislazione sul lavoro degli ultimi quindici anni;
     per evitare effetti distorsivi di qualsivoglia incentivo, a prevedere nella prossima legge di stabilità, idonee misure normative strutturali e permanenti che possano indirizzare le risorse stanziate dalla legge di stabilità n. 190 del 2014, ed eventuali ulteriori misure economiche, non solo per favorire nuove assunzioni, ma anche e soprattutto per il «mantenimento dell'occupazione esistente», in caso di crisi aziendale;
     in merito all'utilizzo dei fondi europei, a favorire una maggiore trasparenza circa la gestione delle risorse destinate alle politiche per l'occupazione e la formazione e implementare, anche a livello nazionale, apposite misure di responsabilizzazione degli enti locali, anzitutto le Regioni, per l'impiego efficace di tali risorse attraverso misure premiali e/o sanzionatorie, con un meccanismo che preveda l'istituzione di un registro della trasparenza, sul quale vengano annotati non solo le iniziative realizzate con i fondi strutturali, peraltro raccolte, aggiornate periodicamente e pubblicizzate sul sito Open Coesione, ma anche i dati relativi alla quantificazione e alla qualità in termini occupazionali a livello territoriale;
     al fine di aumentare il tasso di occupazione femminile, e conseguentemente il suo allineamento all'obiettivo di Lisbona (60 per cento, rispetto all'attuale 46 per cento), a provvedere alla detassazione selettiva dei redditi di lavoro femminile, in particolare nelle regioni del Sud, dove il tasso di occupazione femminile è più basso;
     prima di procedere a riforme di questo tenore, a effettuare un monitoraggio circa gli effetti del quadro di contrattazione salariale sulla creazione di posti di lavoro e sulla competitività di costo, in modo tale da prevedere misure concrete contro la diseguaglianza salariale, soprattutto di genere;
     a richiedere in sede di Conferenza Stato-Regione attenzione particolare all'omogeneizzazione dei piani regionali, in merito, all'avvio dei programmi operativi sottesi al programma comunitario Garanzia Giovani, in modo tale da non vanificare la fruizione del cosiddetto «superbonus»;
     a comprendere tra le misure da attuare per migliorare il welfare, il Reddito di cittadinanza, che oltre ad essere un Sussidio Universale per il contrasto alla povertà, rappresenta uno strumento di politica attiva del lavoro che assicura, in via principale e preminente, l'autonomia delle persone e la loro dignità, e non si riduce ad una mera misura assistenzialistica contro la povertà essendo condizionato all'inserimento lavorativo, alla riqualificazione e alla ricerca attiva del lavoro;
     ad adoperarsi con misure idonee per riformare la normativa in materia di calcolo dell'ISEE, ancorché necessaria, alla luce della citata sentenza del Consiglio di Stato, in merito alla valutazione del reddito del disabile;
     per evitare distorsioni relativamente all'utilizzo dei fondi di solidarietà bilaterali, prevedere quale finalità primaria degli stessi, l'obbligo della condizionalità dell'utilizzo delle risorse ad essi assegnate;
     conformemente al dettato dell'articolo 38 della Costituzione, a prevedere l'adeguamento delle pensioni medio-alte a quelle più basse, in modo tale da introdurre principi di proporzionalità tra retribuzione e pensione, tra contribuzione previdenziale e misura della pensione;
     prevedere misure efficaci che siano in grado di tutelare i soggetti più in difficoltà dal punto di vista economico — nella maggior parte dei casi, le donne rimaste vedove prive di un reddito adeguato;
     prevedere iniziative di monitoraggio delle risorse di cui al comma 155 della legge di stabilità 2016, in modo tale che quelle eccedenti possano essere utilizzate per ricompensare la dotazione del Fondo per i lavori usuranti, fortemente depauperato, raggiungendo l'obiettivo di ampliare la platea dei beneficiari;
    in materia di politiche sociali:
    a incrementare il Fondo sociale e il Fondo per la non autosufficienza, aumentando la quota di spesa sociale pro-capite per cittadino;
    a garantire risorse adeguate al Servizio Sanitario Nazionale, rivedendo la politica dei tagli che ha ridotto i finanziamenti necessari al funzionamento del sistema, così da assicurare che l'incidenza della spesa sanitaria sul PIL sia collocata a un livello accettabile tale da garantire il principio universalistico della tutela della salute;
    ad adottare misure atte a controllare i prezzi dei farmaci, garantendo che le intese in materia di prezzi sui farmaci siano trasparenti e conoscibili, con evidenza del metodo utilizzato per la definizione del prezzo e degli utili, anche modificando il sistema di rimborso dei farmaci e avviando un processo di riordino dell'AiFA;
    a voler definire i livelli essenziali di assistenza emanando il relativo e non più rinviabile decreto, avendo cura di inserirvi la cura dell'endometriosi e degli screening neonatali per le malattie metaboliche ereditarie;
    a individuare risorse per lo sblocco del turn-over del personale sanitario, favorendo anche le procedure di mobilità interregionale in relazione alle piante organiche e alla garanzia di assicurare i livelli essenziali delle prestazioni in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale e porre in essere le procedure concorsuali straordinarie per l'assunzione di personale medico, tecnico-professionale e infermieristico, come previsto dalla legge di stabilità 2016;
    a intervenire affinché siano rispettati gli orientamenti della Consulta riguardo l'illegittimo blocco della contrattazione collettiva nazionale;
    a procedere, al fine di rendere possibile da parte degli aventi diritto l'utilizzo dei nuovi dispositivi medici, al rinnovo della Commissione unica sui dispositivi medici, affinché sia adottato con urgenza il decreto di aggiornamento del nomenclatore tariffario, prevedendo che i prezzi per i rimborsi derivanti dall'aggiornamento del «nomenclatore tariffario per protesi e ausili» siano definiti in riferimento ai prezzi medi previsti nell'Unione europea;
    a dare attuazione concreta ai costi standard e alla centralizzazione degli acquisti, uniformando le spese e la variazione dei costi per l'acquisto e la fornitura di dispositivi, farmaci ospedalieri, materiali, apparecchiature e servizi in ambito sanitario e a non compromettere ma piuttosto a implementare il principio della trasparenza, nel rispetto del decreto legislativo, 14 marzo 2013, n. 33, così da garantire una integrale conoscibilità da parte dei cittadini delle modalità di utilizzo delle risorse pubbliche, con susseguente risparmio;
    a reperire risorse per assicurare la presa in carico di tutti i soggetti bisognosi di cure e di una adeguata assistenza, incrementando il Fondo per le politiche sociali e il Fondo per la non autosufficienza e garantendo misure di massima trasparenza riguardo alla tutela dei diritti, anche patrimoniali, delle persone con disabilità grave, ancorché prive di sostegno familiare;
    a garantire che i soggetti del cosiddetto terzo settore operino all'insegna del rispetto del principio della trasparenza, assicurando strumenti di controllo e verifica da parte dello Stato, senza che tali funzioni siano delegate a enti od organismi di natura giuridica privatistica che rischiano di compromettere il welfare pubblico;
    in materia di agricoltura:
     a promuovere l'agricoltura sociale;
     a procedere con urgenza alla riforma complessiva del fisco rurale e a rivedere le procedure di accesso al credito al fine di consentire alle aziende agricole di poter disporre della liquidità necessaria al rilancio delle attività e alla realizzazione di investimenti;
     a prevedere ulteriori interventi a sostegno del settore lattiero-caseario e in particolare a introdurre misure specifiche per la zootecnia di montagna al fine di evitare la chiusura di moltissime aziende che, oltre al valore economico, contribuiscono alla salvaguardia dell'ambiente e del territorio rurale;
     a sollecitare ISMEA affinché proceda urgentemente a ultimare e pubblicare la rilevazione dei costi medi di produzione di latte crudo almeno per quelle regioni ove la produzione di latte è significativa a livello nazionale;
     a emanare urgentemente le norme necessarie a specificare le modalità di esecuzione della revisione delle macchine agricole e operatrici ai sensi dell'articolo 5 del decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 20 maggio 2015;
     a rendere operativa la Rete del lavoro agricolo di qualità al fine di rafforzare le iniziative di contrasto dei fenomeni di irregolarità che caratterizzano le condizioni di lavoro in agricoltura e a rafforzare i vincoli di accesso e a far sì che esso sia consentito solo alle aziende che dichiarano la propria conformità a quanto previsto dalla contrattazione collettiva nazionale;
    in materia di politiche europee:
     a esimersi dal contribuire al finanziamento del FEIS (fondo europeo per gli investimenti strategici) ad eccezione della quota parte e dei fondi specificamente destinati e vincolati alla PMI;
     a incrementare l'efficienza e la trasparenza dei fondi strutturali evitando la dispersione causata da micro interventi con scarso impatto di lungo periodo, privilegiando obiettivi di sviluppo e di razionalizzazione che apportino benefici ai cittadini e che migliorino l'infrastruttura immateriale necessaria al sostegno del tessuto produttivo;
     a utilizzare appieno le potenzialità dei finanziamenti percepiti nel contesto del FSE (fondo sociale europeo) al fine di promuovere politiche sociali e di sostanziale sostegno del reddito che apportino benefici e collaborino a migliorare i servizi sociali di base per tutti i cittadini;
     ad attivarsi nelle apposite sedi affinché vengano riviste e ampliate, le clausole di flessibilità già previste nel contesto del patto di stabilità e crescita, in particolare definendo obiettivi di crescita e sviluppo di lungo periodo per gli Stati membri al posto del raggiungimento di sterili indici numerici;
    in materia di interventi per le aree sottoutilizzate:
     a reperire risorse per procedere alla progressiva esenzione totale dell'IRAP per le piccole e medie imprese, dando priorità delle imprese nelle aree sottoutilizzate, e in particolare alle imprese manifatturiere, al fine di consentire una maggiore liquidità finanziaria per l'autofinanziamento, che compensi il più difficile accesso al credito delle imprese nelle aree depresse;
    al fine di contrastare i fenomeni di dispersione scolastica, a destinare risorse per l'avvio, soprattutto nelle aree a maggior rischio di evasione dell'obbligo scolastico, di programmi pluriennali di didattica integrativa da realizzarsi attraverso l'apertura pomeridiana dei plessi scolastici con la collaborazione di associazioni senza scopo di lucro tra le cui finalità statutarie rientrino l'aiuto allo studio, l'aggregazione giovanile e il recupero da situazioni di disagio;
     al fine di accompagnare il processo di crescita e sviluppo sociale, determinante per la ripresa dell'economia territoriale, a destinare specifiche risorse per il tramite dei competenti ministeri o istituzioni, per consentire nelle aree sottoutilizzate l'apertura degli istituti scolastici e degli edifici pubblici, in presenza di accordi con associazioni e fondazioni senza scopo di lucro tra le cui finalità statutarie rientrino l'innovazione didattica, la formazione digitale e la promozione sociale;
     nell'ambito della riforma fiscale, a valutare l'adozione di correttivi che consentano di calibrare l'incidenza del prelievo fiscale in base all'effettiva e differente capacità fiscale nelle diverse aree del Paese, nel rispetto del dettato costituzionale dell'articolo 53 della Costituzione, che stabilisce che «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva»;
     per compensare il contesto economico disagiato in cui operano le imprese delle aree depresse e garantirne la sopravvivenza, ad adottare per il triennio 2017-2019 un regime forfettario agevolato per le aziende, che operano nelle suddette aree, con volume di affari non superiore a 3 milioni di euro, contestualmente alla riduzione degli adempimenti fiscali connessi al fine di ridurre il gap di competitività con le aziende delle altre aree.
(6-00241) «Caso, Castelli, Cariello, Sorial, D'Incà, Brugnerotto, Dell'Orco».


   La Camera,
   premesso che:
    il quadro di previsioni elaborato dal Governo nel DEF appare sovradimensionato, eccessivamente e immotivatamente ottimistico, smentito seccamente dalle maggiori autorità pubbliche e private, nazionali e internazionali;
    per una serie di ragioni (sia ragioni internazionali, sia, non neghiamolo, ragioni tutte italiane), veniamo da 8-10 anni catastrofici per l'economia nazionale. Dal 2007 a oggi, l'Italia ha perso oltre 9 punti di PIL. Nello stesso anno, come si ricorderà, la disoccupazione era scesa al 6 per cento. Oggi siamo al doppio come media nazionale;
    l'anno appena trascorso ha segnato un troppo flebile e incerto ritorno alla crescita. Di fatto, si è sciupato l'anno potenzialmente decisivo per uno scatto in avanti dell'Italia. Il contesto internazionale si giovava di tre condizioni magiche (il Quantitative Easing, il petrolio basso, il rapporto Euro/Dollaro), oggi purtroppo meno chiare, più esposte a essere contraddette da fattori negativi nel medio periodo (incertezza politica in tutto l'Occidente, rischio terrorismo, stagnazione in Europa);
    si assiste purtroppo a una differenza addirittura crescente tra Nord e Sud Italia, con i dati del Settentrione che hanno mostrato qualche più pronunciato segnale di recupero, mentre quelli del Meridione inchiodano 8 regioni italiane a una performance ancora assolutamente negativa, nella totale inazione del Governo, che si è molto dedicato alla convegnistica sul Sud ma non ha mostrato alcuna seria capacità di intervento;
    anche il Governo in carica, come i precedenti, non ha saputo cambiare passo nel contrasto alle tre malattie italiane (tasse alte, spesa alta, debito alto), limitandosi al piccolo cabotaggio, alla gestione dell'esistente, all'accettazione degli «zero virgola», malamente mascherata da annunci roboanti;
    per creare una ripresa sostenuta e per creare vera nuova occupazione, non basta un tasso di crescita da «zero virgola» e purtroppo neanche da «uno virgola», a maggior ragione dopo il «meno nove» registrato dal 2007 a oggi, e occorrerebbe quindi puntare a un «due virgola qualcosa» per avere effetti più duraturi e consistenti;
    resta il peso delle clausole di salvaguardia per i prossimi anni: vere e proprie «bombe» da circa 35 miliardi pronte a esplodere tra il 2017 e il 2018;
    se non si rilancia la domanda, se non si rendono le nostre imprese più competitive riducendo il carico fiscale e burocratico, non c’è formula contrattuale, nuovo codice del lavoro, «politica industriale» o «incentivo» che possa magicamente creare nuovi posti di lavoro. Le imprese non assumeranno, o non assumeranno abbastanza. Perché il lavoro non si crea per legge o con operazioni dirigistiche, lo creano le imprese. E c’è un'unica vera politica in grado di creare condizioni favorevoli alla ripresa dell'economia e, di conseguenza, in grado di mettere le imprese in condizione di assumere: abbassare le tasse in modo consistente, forte, duraturo. Il migliore jobs act possibile, il solo modo per favorire la creazione di nuovi posti di lavoro, è un taglio fiscale massiccio, che renda le nostre imprese più competitive e rimetta in moto la domanda, accompagnato da un corrispondente processo di sburocratizzazione,

impegna il Governo:

   ad accettare la proposta di un vero e proprio choc fiscale, ripetutamente proposto (con emendamenti dichiarati ammissibili in occasione delle ultime due leggi di stabilità) dal deputati Conservatori e Riformisti, prevedendo un taglio della pressione fiscale verso famiglie, lavoratori e imprese per 48 miliardi (24 miliardi immediatamente, altri 24 miliardi nei successivi 3-4 anni);
   a finanziare quei tagli fiscali con corrispondenti tagli alla spesa pubblica eccessiva e improduttiva (secondo le stesse proposte emendative, già citate), a tal fine riprendendo, voce per voce, le proposte del Rapporto Cottarelli, e invertire la tendenza sbagliata per cui la vera spending review è ridotta al minimo (nonostante gli annunci roboanti del Governo, anche in questo caso), mentre il resto sono essenzialmente tagli lineari a regioni e sanità, ma con un andamento di tendenza che resta purtroppo in aumento. In sostanza, più che riduzioni di spesa, si tratta di «mancati ulteriori aumenti». Il Governo deve abbandonare l'abitudine di trovare la parte notevolmente più grande delle coperture o per deficit o attraverso entrate una tantum: deve accadere il contrario, con la parte essenziale che dovrebbe avvenire attraverso spending review, e quindi attraverso tagli alla spesa improduttiva;
   a rinunciare a qualunque distribuzione a pioggia di risorse e a qualunque intervento che non abbia i due caratteri appena indicati: taglio strutturale della pressione fiscale, finanziato con taglio strutturale della spesa pubblica eccessiva e improduttiva;
   a riferire in Parlamento su un credibile piano di attacco al debito pubblico, in primo luogo basato su privatizzazioni (non certamente su svendite), costruite sulla valorizzazione di alcuni asset e sull'apertura al mercato;
   a promuovere una vera, forte e credibile operazione rivolta al Mezzogiorno. Ad avviso dei presentatori del presente atto, dopo mesi e mesi di annunci sul fantomatico «masterplan», si assiste alla totale mancanza di una visione, di una proposta, di un'idea per il Sud da parte del Governo. A tutto questo (oltre al danno, la beffa) si è spesso aggiunto l'ulteriore «scippo» ai danni del Mezzogiorno sul cofinanziamento statale rispetto ai fondi dell'Unione europea. Una delle nostre proposte è quella di ragionare sull'opportunità di creare delle «Zes», cioè zone economiche speciali a cui accordare un regime di favor fiscale e burocratico. L'esperimento delle «zone franche urbane» non ha funzionato perché era troppo limitato e perché, nonostante le intenzioni, alla fine la burocrazia ha prevalso. Invece, il Sud (così come altre realtà, ovviamente anche al Nord) potrebbe essere il luogo naturale di sperimentazione di un progetto più ambizioso, di «free zones» non basate sullo sperpero di denaro pubblico, ma su meccanismi di defiscalizzazione e di sburocratizzazione. O si fa ripartire Mezzogiorno, oppure una vera ripresa resterà un miraggio;
   in materia di banche, a ridiscutere in Parlamento, e a rinunciare alle confuse e pasticciate soluzioni (cosiddetto progetto Atlante) circolate in queste settimane, già bocciate da autorevolissimi osservatori e istituzioni nazionali e internazionali. La questione bancaria, ad avviso dei presentatori, non si affronta con un mostro giuridico ed economico. Mostro giuridico, perché la governance è finto-privata, ma con un ruolo pubblico che è evidente a tutti, a partire dal coinvolgimento di Cdp (la stampa internazionale, non a caso, continua a parlare di «piano Renzi»). Mostro economico, perché rischia di far rientrare dalla finestra il bail out, e (com’è già successo) di mettere a carico della parte sana del sistema bancario il salvataggio e il soccorso permanente a quella malata e mal gestita;
   tutto si risolverà nell'ennesima, costosa e inutile soluzione, in particolare nell'illusione di «gestire» le ben note crisi venete, e di alimentare la tendenza a un interventismo pubblico in economia a cui anche l'attuale Governo, sbagliando, non vuole rinunciare.
(6-00242) «Palese, Distaso, Chiarelli, Marti, Altieri, Capezzone, Ciracì, Fucci, Bianconi, Latronico».


   La Camera,
   premesso che:
    il quadro macroeconomico descritto nel DEF, basandosi esclusivamente sui lievi miglioramenti conseguiti sul piano economico nell'anno appena concluso e le previsioni circa una graduale ripresa dell'economia europea e mondiale nel prossimo biennio prescinde completamente dai rischi di congiuntura sfavorevole che minacciano la ripresa;
    la Banca d'Italia ha notevolmente ridimensionato le pretese esposte nel documento economico programmatico e ha stigmatizzato la patologica e inconsueta lentezza della ripresa produttiva nazionale, oltre a lanciare l'allarme sul persistere del «rischio di evoluzioni meno favorevoli» e a formulare la previsione che saranno per la maggior parte i consumi privati, e quindi le famiglie, a sostenere la ripresa;
    gli andamenti del primo trimestre, che dovrebbe portare ad una crescita del PIL dell'1,2 per cento sono coerenti con questi elementi di preoccupazione, mentre per realizzare gli obiettivi indicati dal Governo, l'economia dovrebbe crescere nei prossimi mesi ad una velocità superiore rispetto ai ritmi attuali;
    simili ritmi di crescita, tuttavia, seppur rappresentano una prospettiva auspicabile, richiederebbero una politica economica ed una visione che manca a questo esecutivo, concentrato esclusivamente a incassare il dividendo che deriva dalle attuali condizioni internazionali e dal minor costo sugli interessi del debito pubblico risultante dalle politiche ultra-espansive messe in atto dalla Banca centrale europea, e incapace di risolvere questioni strutturali quali, prima tra tutte, la possibilità di sostenere adeguatamente lo sviluppo in una fase di scarsità delle risorse pubbliche a disposizione;
    le proposte governative rischiano, pertanto, di creare un buco nell'acqua e di sprecare le opportunità di una situazione internazionale che con il prezzo del petrolio sotto i cinquanta dollari, l'erosione del cambio e la liquidità immessa nel sistema europeo attraverso il meccanismo del quantitative easing, andrebbero sfruttate con politiche ambiziose, focalizzate sul rilancio delle imprese e un migliore accesso al credito per le pmi e le famiglie;
    nelle previsioni dei principali organismi internazionali i tassi di crescita dell'Italia sono inferiori a quelli prospettati dal Governo, posto che secondo il Fmi il PIL del nostro Paese crescerà quest'anno dell'1,0 per cento (meno 0,3 punti percentuali rispetto alle previsioni di gennaio) e nel 2017 dell'1,1 per cento;
    ragioni di prudenza, miste al realismo, richiederebbero pertanto una riflessione più approfondita sui dati forniti dal Governo nella sua previsione: stando ai valori indicati, la crescita per l'anno in corso dovrebbe essere alimentata in parte dalla domanda interna ed in parte dall'estero, ma finora i consumi delle famiglie, in leggera ripresa, si sono concentrati solo sui beni durevoli;
    i dubbi che sono stati avanzati in diversi interventi e anche durante le audizioni parlamentari relativi all'andamento del deficit strutturale, della regola della spesa e del contenimento del rapporto debito-pubblico – in altri termini del rispetto delle regole europee – potrebbero divenire certezza;
    per quanto attiene alla politica sociale si rileva in questa sede che all'interno del Piano Nazionale di Riforma manca una proposta di nuovi interventi che il Governo dovrebbe effettuare a contrasto alla povertà materiale ed educativa, garantendo effettivamente servizi orientati al benessere materiale e alla crescita educativa mirati;
    il DEF non prevede alcuna revisione dei tagli previsti per gli enti locali e territoriali, che potrebbero determinarne la dichiarazione di default per molti di essi, alle prese con la inorganica riforma delle Province, il blocco totale degli investimenti per il territorio e l'impossibilità di adempiere ai servizi pubblici per tutti gli enti;
    non si affronta altresì il tema urgente della revisione dei parametri del Patto di stabilità Interno che ha bloccato l'attività dei Comuni, soprattutto quelli virtuosi, uccidendo di fatto le autonomie locali e scaricando sugli enti locali il ruolo di esattori per lo Stato, di tagliatori di servizi e di punto di sfogo del risentimento popolare, nonostante non siano né coinvolti né responsabili dei tagli imposti dal Governo;
    il Governo è stato smentito anche sugli annunci relativi alla diminuzione della pressione fiscale, disattesi nello stesso documento in cui si legge che a legislazione vigente, ovvero nella situazione attuale, le entrate tributarie incassate dallo Stato e pagate dai cittadini sono destinate ad aumentare ancora nel 2016;
    l'ISTAT ha affermato che il peso delle tasse è stato pari nel terzo trimestre 2015 al 41,4 per cento, in aumento (+ 0,1 punti percentuali) rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, precisando che nella media dei primi tre trimestri il peso del fisco rispetto al PIL è stato del 41,2 per cento, stabile rispetto al medesimo periodo del 2014;
    il Governo non è stato in grado fino ad ora di dare risposte concrete al tessuto della piccola e media imprenditoria che ancora oggi si rende protagonista della flebile ripresa del Paese, continuando ad investire in Italia e creando occupazione, posto che poco o nulla infatti è stato fatto per garantire loro un più facile accesso al credito e una riduzione dei carichi fiscali, sociali e burocratici;
    a queste difficoltà si aggiunge lo sproporzionato carico fiscale che grava sulle imprese, dovuto ad un sistema tributario vessatorio e vetusto che impone alle imprese una tassazione di gran lunga superiore sia alla media dell'eurozona che a quella dell'intera Unione europea, stante il triste primato dell'Italia in europa per incidenza sul reddito imprenditoriale del prelievo fiscale e contributivo;
    la politica economica sostenuta da questo Governo ha prodotto e continua a produrre un impoverimento del tessuto produttivo, oltre che una stagnazione degli investimenti e della domanda interna, compromettendo la competitività delle imprese;
    il Governo rivendica l'aumento delle assunzioni dall'inizio del 2015, senza specificare se sia effettivamente aumentato il numero delle forze lavoro rispetto allo scorso anno, ovvero si sia trattato di una trasformazione di contratti a termine in rapporti a tempo indeterminato, stante l'incentivo della decontribuzione previsto a decorrere dal 2015;
    al di là della realistica e condivisibilità dei dati contenuti del DEF come previsioni, questi ritmi di crescita appaiono insoddisfacenti per ripristinare livelli di occupazione e redditi pre-crisi, sanare le ferite nel tessuto sociale, compreso l'ampliamento della povertà, ed è doveroso, invece, puntare su una crescita più elevata e fare ogni sforzo per raggiungerla;
    un Paese con un alto debito pubblico come l'Italia è esposto a rischi elevati in caso di shock avversi all'economia, motivo per cui diventa fondamentale una riduzione del debito visibile e progressiva, da monitorare attentamente;
    allo stesso tempo bisogna dare sicurezza a famiglie, imprese e mercati, intervenendo in modo strutturale sul cuneo fiscale, puntando su interventi «rigorosi ed efficaci» sulle entrate e sulle spese, ed abbandonando la logica delle clausole di salvaguardia che finora, nel balletto sistematico di annunciarle per poi disattenderle, hanno solo creato incertezza, aumentare la credibilità del Paese,

impegna il Governo:

   ad attuare una progressiva riduzione del carico fiscale che grava su famiglie e imprese, primo e indispensabile passo per una concreta ripresa economica della nostra Nazione;
   a impostare una strategia di politica economica che non rimandi le necessarie misure da intraprendere ad un tempo indefinito e/o disallineato rispetto alle dinamiche della congiuntura internazionale;
   a definire gli interventi di revisione della spesa sulla base di più precisi indirizzi individuati in sede parlamentare in modo da consentire una condivisione più ampia ed evitare che tagli producano effetti recessivi, salvaguardando i settori decisivi per le potenzialità di crescita del Paese;
   a conseguire una riduzione del debito chiara, visibile e progressiva, da monitorare attentamente già nel corso di quest'anno per essere certi del raggiungimento dell'obbiettivo.
(6-00243) «Rampelli, Cirielli, La Russa, Maietta, Giorgia Meloni, Nastri, Petrenga, Taglialatela, Totaro, Rizzetto».


   La Camera,
   premesso che:
    nel 2015, dopo tre anni consecutivi di contrazione, l'economia italiana è tornata a crescere e con essa l'occupazione;
    alla ripresa dell'economia nazionale si contrappongono tuttavia segnali di peggioramento del quadro internazionale dovuti al progressivo rallentamento delle economie emergenti, alla protratta fase di debolezza dell'Eurozona, all'accresciuta volatilità sui mercati internazionali e al cumularsi di rischi geopolitici;
    in particolare, nell'area dell'Euro il permanere di spinte deflazionistiche ostacola l'efficacia delle misure espansive di politica monetaria adottate dalla Banca Centrale Europea e accresce l'onere dei debiti pubblici e privati dei Paesi membri;
    nonostante la fragilità e l'incertezza del contesto di riferimento, il ritorno alla crescita e l'incremento dell'occupazione testimoniano l'efficacia dell'azione del Governo, fondata su quattro pilastri: a) una costante azione di riforma strutturale del Paese; b) una politica volta a conciliare il sostegno all'economia con il consolidamento delle finanze pubbliche; c) la riduzione del carico fiscale e l'efficienza della spesa; d) il miglioramento della competitività e il sostegno agli investimenti privati e pubblici;
    i dati positivi della produzione industriale registrati nei primi mesi del 2016 lasciano prefigurare una nuova accelerazione del prodotto nei prossimi trimestri, per il quale il DEF stima un tasso di crescita pari all'1,2 per cento nel 2016 sia nel quadro tendenziale che in quello programmatico;
    i due scenari divergono, invece, per gli anni successivi dell'orizzonte previsivo: mentre lo scenario tendenziale valuta che la crescita del PIL prosegua, in media, allo stesso ritmo previsto per quest'anno (1,2 per cento all'anno per arrivare all'1,3 nel 2019), in linea con la media delle più recenti stime di Consensus Economics per lo stesso periodo, quello programmatico prefigura una crescita media dell'1,4 per cento all'anno (1,4 per cento sia nel 2017 che nel 2019 e 1,5 nel 2018), prevalentemente sostenuta dalla domanda interna;
    la differenza tra i due scenari stima gli effetti espansivi della scelta del Governo di proseguire, in continuità con la strategia di programmazione iniziata nel 2014, con una politica economica orientata al rispetto dei vincoli di bilancio previsti dall'ordinamento europeo, ma soprattutto alla crescita: nel rafforzare il significativo processo di riforme avviato, si metteranno in atto nuove azioni di stimolo, tra cui l'ulteriore riduzione della pressione fiscale e l'aumento progressivo degli investimenti pubblici;
    il Governo si impegna dunque a favorire la crescita proponendo una prospettiva credibile di consolidamento dei conti pubblici e di riduzione del rapporto debito/PIL, conseguendo gli obiettivi programmati senza aumenti del prelievo su lavoro, imprese e consumi, e scongiurando interventi correttivi in corso d'anno, anche al fine di sostenere il migliorato livello di fiducia di famiglie e imprese;
    pertanto, il quadro di finanza pubblica presenta, a fronte di uno stesso dato di indebitamento netto pari al –2,3 per cento del PIL per l'anno in corso (il livello più basso dal 2007), una divergenza nei due scenari per gli anni successivi, con un obiettivo di riduzione del deficit più contenuto nel quadro programmatico, tale da determinare un livello programmatico dell'indebitamento netto pari al –1,8 per cento nel 2017, –0,9 nel 2018 e 0,1 nel 2019;
    aver mantenuto nell'ultimo triennio un avanzo primario sui valori in media più elevati dell'area dell'euro, che ha contribuito al raggiungimento della sostanziale stabilizzazione del rapporto fra debito pubblico e PIL, consente di programmare un'evoluzione del saldo nei prossimi anni su livelli comunque rilevanti ma più contenuti rispetto ai dati tendenziali;
    l'indebitamento netto strutturale del 2016, anno in cui l'Italia chiede di avvalersi pienamente dei margini di flessibilità concessi nell'ambito del Patto di Stabilità e Crescita (PSC) per riforme e investimenti, è stimato pari al –1,2 per cento del PIL nel quadro programmatico, segnando un peggioramento di circa 0,7 punti percentuali rispetto al 2015, ma comunque entro il cosiddetto safety margin, come calcolato nelle Winter Forecast dalla Commissione Europea: tale peggioramento determinerebbe per il 2016 una deviazione non «significativa» e temporanea dal percorso di avvicinamento verso l'Obiettivo di medio termine (MTO) e pienamente compatibile con il braccio preventivo del PSC;
    per il 2017, le regole del rientro verso l'MTO richiederebbero che il saldo strutturale migliorasse di più di 0,5 punti percentuali, ma tale sforzo costituirebbe un'eccessiva stretta fiscale che potrebbe, allo stato, risultare inopportuna, controproducente e dagli effetti perversi, e peggiorare, anziché migliorare, il percorso di aggiustamento della finanza pubblica;
    in considerazione dei rischi riconducibili al contesto internazionale e dell'insufficiente coordinamento delle politiche fiscali nell'Eurozona – che complessivamente esprime una politica di bilancio inadeguata se tenuto conto della evidente carenza di domanda aggregata – il Governo nella Relazione annessa al DEF in esame espone un più graduale piano di rientro verso l'MTO, assicurando la ripresa della convergenza già dal prossimo anno, programmando una riduzione del deficit strutturale di 0,1 punti percentuali di PIL nel 2017, di 0,3 punti di PIL nel 2018 e il raggiungimento del sostanziale pareggio di bilancio entro l'ultimo anno dell'orizzonte previsione, nel 2019;
   la compatibilità con il braccio preventivo del PSC è comunque assicurata dal pieno rispetto della regola per la spesa per l'intero orizzonte previsivo;
    circa la compliance delle finanze pubbliche italiane con i requisiti del braccio preventivo del PSC è altresì opportuno focalizzare l'attenzione, oltre che sui rischi sistemici derivanti dall'attuazione di politiche economiche troppo condizionate da severi vincoli di bilancio che ne ostacolano l'efficacia in un contesto macroeconomico fragile e in continua evoluzione, sulle criticità emergenti in relazione al calcolo della crescita potenziale e dell’output gap, alla base della stima del saldo strutturale di finanza pubblica; la metodologia concordata a livello europeo fornisce risultati sottostimati a confronto con altri previsori, sovente contrastanti con l'intuizione macroeconomica e che potrebbero produrre un'indicazione distorta, suggerendo l'opportunità di adottare politiche pro-cicliche e quindi potenzialmente recessive;
    il debito pubblico è previsto in costante diminuzione in tutto il periodo di riferimento, una riduzione cumulata di 9 punti percentuali fino al valore del 123,8 per cento nel 2019: l'inversione della dinamica del debito permane un obiettivo strategico del Governo e anche la parziale deviazione dalla dinamica prevista dalla regola del debito è giustificata dalla necessità di contrastare i concreti rischi di deflazione e stagnazione;
    la riduzione prevista a legislazione vigente della pressione fiscale, scesa nel 2015 al 43,5 per cento, ovvero al 42,9 per cento al netto del bonus degli ottanta euro, di 0,6 punti nel periodo di riferimento dovrebbe ulteriormente beneficiare della annunciata sterilizzazione delle clausole di salvaguardia (pari a 15,1 miliardi di euro nel 2017 e 19,6 miliardi a decorrere dall'anno successivo), mentre proseguirà la politica di revisione della spesa, con una riduzione di quella corrente dal 42 per cento del 2016 al 39,9 del 2019, e delle privatizzazioni, con entrate pari allo 0,5 per cento del PIL annue nel triennio 2016-2018 e allo 0,3 per cento nel 2019;
   valutato che:
    il programma nazionale di riforma (PNR), contenuto nella terza sezione del DEF definisce, in coerenza con il programma di stabilità, gli interventi da adottare per il raggiungimento degli obiettivi nazionali di crescita, produttività, occupazione e sostenibilità così come delineati e concordati in sede europea;
    anche in relazione alle raccomandazioni approvate dal Consiglio dell'Unione europea di luglio 2015 (vertenti sulla sostenibilità delle finanze pubbliche, sistema fiscale, efficienza e qualità della pubblica amministrazione, sistema finanziario, mercato del lavoro, istruzione e formazione, semplificazione e concorrenza e infrastrutture) il PNR compie una ricognizione delle misure adottate ed in itinere, nonché dei nuovi interventi che il Governo intende effettuare;
    gli ambiti principali d'interesse del PNR concernono in particolare la competitività e gli investimenti per la crescita, orientati a far risalire il rapporto tra investimenti e PIL verso il 20 per cento; le riforme istituzionali; la pubblica amministrazione e le semplificazioni; il mercato del lavoro e politiche sociali; la giustizia; il sistema bancario e la finanza per la crescita; le privatizzazioni; le politiche per la concorrenza; l'istruzione e ricerca; la rimozione degli squilibri territoriali; la lotta alla povertà, con un approccio organico e una dotazione finanziaria che rende finalmente possibile procedere nella direzione della creazione di una misura strutturale a carattere nazionale; l'imposizione fiscale; la riforma della struttura del bilancio dello Stato e della legge di bilancio volta a rafforzare il ruolo allocativo del bilancio, concentrando in un unico provvedimento l'attenzione del decisore politico sull'insieme delle entrate e delle spese pubbliche piuttosto che sulla loro variazione al margine;
    nel complesso, il Documento di economia e finanza evidenzia come l'azione messa in atto dal Governo dal lato della finanza pubblica e delle politiche per lo sviluppo possa consentire all'Italia di superare i suoi limiti storici e intraprendere un percorso virtuoso di crescita e risanamento dei conti pubblici;
    le previsioni macroeconomiche tendenziali e programmatiche per gli anni 2016-2019 sono state validate dall'ufficio parlamentare di bilancio;
    vista la risoluzione con la quale, nella seduta odierna, è stata approvata dalla Camera a maggioranza assoluta la Relazione che illustra l'aggiornamento del piano di rientro verso l'Obiettivo di medio periodo (MTO),

impegna il Governo:

   a conseguire i saldi programmatici di finanza pubblica in termini di indebitamento netto rispetto al PIL, nonché il rapporto programmatico debito/PIL, nei termini e nel periodo di riferimento indicati nel Documento di economia e finanza;
   a dare piena attuazione ai contenuti del Programma nazionale di riforma al fine di conseguire gli obiettivi nazionali di crescita, produttività, occupazione e sostenibilità;
   a sterilizzare con la prossima manovra di bilancio le clausole di salvaguardia per un ammontare pari a circa lo 0,9 per cento del PIL, da compensare mediante l'utilizzo degli spazi di flessibilità e attraverso un mix di interventi di revisione della spesa pubblica, ivi incluse le spese fiscali, con esclusione di quelle riguardanti il lavoro e la famiglia, nonché di quelle relative alle ristrutturazioni edilizie e alle riqualificazioni energetiche, che vanno invece rafforzate, e di strumenti che accrescano la fedeltà fiscale e riducano i margini di evasione ed elusione a partire da quella relativa all'Iva anche attraverso forti incentivi alla fatturazione elettronica tra privati;
   al fine di orientare più efficacemente la governance della finanza pubblica dell'Unione, ad aprire un confronto con la Commissione europea finalizzato a rivedere la metodologia di stima e l'orizzonte temporale degli scenari previsionali del PIL potenziale e dell'output gap che allo stato attuale produce risultati inadeguati a cogliere il contesto economico europeo con implicazioni di politica di bilancio eccessivamente restrittive per l'Italia così come per l'Eurozona nel suo complesso;
   a predisporre gli interventi necessari a far risalire il rapporto tra investimenti e PIL, a partire dalla piena realizzazione dei programmi connessi al Piano Juncker, le cui risorse, considerando la leva finanziaria, potranno attivare nel nostro Paese investimenti fino a 12 miliardi di euro;
   a proseguire l'azione di rilancio delle aree sottoutilizzate, segnatamente per il Mezzogiorno, assicurando:
    a) la rapida implementazione e attuazione del Masterplan, al fine di rendere il Sud un'area di crescita pienamente interconnessa con l'economia complessiva del paese, con particolare riferimento sia al completamento della programmazione dei fondi europei per il ciclo 2014-2020, attraverso la predisposizione di interventi volti a rafforzare la capacità progettuale, la trasparenza nelle procedure e i processi di valutazione ex-ante ed ex-post dei progetti e la creazione di una sinergia tra gli interventi già approvati e tra gli attori coinvolti al fine di migliorarne la governance;
    b) l'impulso ai progetti infrastrutturali in grado di connettere il Mezzogiorno con il resto del Paese, anche mediante ricorso al partenariato pubblico-privato;
   a mettere a sistema in maniera razionale e coerente tutti i recenti interventi legislativi in ambito istituzionale e finanziario degli enti locali, anche attraverso:
    a) la revisione della legge n. 243 del 2012 e delle relative norme di attuazione, al fine di rendere coerente la disciplina del pareggio di bilancio per consentire anche per i prossimi anni l'effettiva possibilità di programmazione virtuosa della spesa per investimenti, a tal fine stabilizzando l'equilibrio di bilancio di competenza come unico vincolo e inserendo il Fondo pluriennale vincolato come aggregato utile ai fini del calcolo del saldo compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica;
    b) la promozione di forme di reale autonomia e responsabilità finanziaria, creando le condizioni per il superamento del sistema di finanza derivata, definendo un assetto complessivo della finanza locale caratterizzato da semplicità, sfoltimento dei vincoli contabili, ordinamentali e della spesa per il personale superati dal nuovo assetto delle regole finanziarie, trasparenza nei meccanismi redistributivi e certezza sulle risorse;
    c) la garanzia dell'effettivo esercizio delle funzioni fondamentali da parte delle aree vaste, anche mediante l'attribuzione di adeguate risorse finanziarie, valutando l'alleggerimento del sistema sanzionatorio per province e città metropolitane alla luce del superamento del patto di stabilità interno;
    d) la previsione, nell'ambito di un processo finalizzato alla incentivazione delle fusioni e delle unioni all'interno del sistema della autonomie locali, forme di sostegno e tutela delle peculiarità delle realtà dei piccoli comuni previste anche da iniziative legislative in corso di approvazione;
   ad adottare ogni iniziativa utile a promuovere, nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica indicati nel Documento, interventi in materia previdenziale volti a introdurre elementi di flessibilità per quanto attiene all'età di accesso al pensionamento, anche con la previsione di ragionevoli penalizzazioni, nonché interventi, anche selettivi, in particolare nei casi di disoccupazione involontaria e di lavori usuranti;
   a promuovere la contrattazione decentrata, tenendo conto delle intese maturate tra le parti sociali relativamente alla rappresentanza, alla consultazione dei lavoratori interessati e all'efficacia ed esigibilità dei contratti stessi, salvaguardando il ruolo dei contratti nazionali di lavoro;
   a comunicare tempestivamente gli esiti della ricognizione delle risorse del Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie già destinate agli interventi del Piano di Azione Coesione (PAC), previsti dalla legge di stabilità per il 2016, al fine di prorogare l'esonero contributivo per le assunzioni a tempo indeterminato nelle regioni del Mezzogiorno, assicurando una maggiorazione della decontribuzione in caso di assunzione di donne;
   ad individuare forme di riduzione della pressione contributiva che aumentino strutturalmente la convenienza del contratto a tempo indeterminato rispetto ad altre forme contrattuali;
   a promuovere politiche fiscali orientate alla famiglia e misure di sostegno alla natalità;
   a rafforzare le misure in favore della ricerca, al fine di conseguire, e possibilmente superare, gli obiettivi qualitativi e dei livelli di spesa già fissati e la piena attuazione dei Programmi fondamentali del Piano nazionale di ricerca 2015-2020;
   a promuovere l'eccellenza e il merito, sostenendo gli atenei e i programmi di ricerca innovativi in grado di attrarre un sempre maggior numero di ricercatori italiani e stranieri di qualità;
   a confermare i collegati previsti dal Documento di economia e finanza 2015 e dalla relativa Nota di aggiornamento e a collegare alla manovra di finanza pubblica un disegno di legge in materia di spettacolo dal vivo anche derivante dall’iter procedurale dell'atto Senato 2287 in materia di cinema e audiovisivo, ferma restando la qualifica di collegato di quest'ultimo;
   ad individuare misure per favorire la transizione verso una manifattura sempre più digitalizzata e interconnessa, un'economia circolare e la sostenibilità ambientale, attraverso l'utilizzo più efficiente delle risorse e lo sviluppo della produzione di energia da fonti rinnovabili;
   a promuovere ulteriori interventi per la crescita, la concorrenza e la competitività delle imprese, con particolare riguardo al settore manifatturiero, mediante la rimozione degli ostacoli all'investimento, il miglioramento del business climate, la promozione di imprenditorialità innovativa, la facilitazione all'accesso ai mercati finanziari anche attraverso la quotazione, il contrasto e la prevenzione della criminalità economica e una lotta più forte e coordinata alla contraffazione e allo sfruttamento del lavoro come fattori di distorsione dei mercati, freno della crescita, riduzione delle entrate fiscali;
   a proseguire nell'azione di rafforzamento del sistema bancario, reso più resiliente, moderno e competitivo grazie alle misure approvate e in fase di attuazione, promuovendo ulteriori e rapidi interventi, anche in materia di giustizia civile, che accelerino la dismissione dei crediti in sofferenza da parte delle banche;
   a procedere nell'azione di riforma del sistema tributario, anche proseguendo nella revisione dei valori catastali con finalità perequative tra i contribuenti, di riduzione della pressione fiscale che dovrà procedere di pari passo con il proseguimento e il rafforzamento dell'attività di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale, che ha consentito nel 2015 di recuperare maggior gettito per 14,9 miliardi di euro, nonché con il miglioramento della fedeltà fiscale;
   a proseguire nel percorso di revisione della spesa, accentuandone l'azione selettiva, dando priorità agli interventi sui beni e servizi intermedi e sulle società partecipate locali, come occasione di sviluppo di processi aggregativi e di crescita industriale del settore dei servizi pubblici locali, anche al fine di reperire risorse aggiuntive per sostenere la domanda aggregata e la competitività del Paese;
   ad assicurare che l'azione di spending review in ambito sanitario sia condotta attraverso recuperi di efficienza senza riduzione dei servizi.
(6-00244) «Marchi, Tancredi, Monchiero, Tabacci, Di Gioia, Locatelli, Paola Bragantini».


   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni, con particolare riferimento ai due anni di governo Renzi, le politiche contenute nel Documento di Economia e Finanza si sono ispirate ai principi fondanti le politiche neoliberiste e dell'austerità portate avanti in Europa: riduzione della spesa pubblica, privatizzazioni, taglio delle tasse, sostegno agli investimenti privati attraverso gli sgravi fiscali e precarizzazione del mercato del lavoro;
    queste politiche hanno dimostrato il loro carattere fallimentare: non hanno promosso la crescita, non hanno creato lavoro stabile e duraturo, non hanno ridotto il debito, non hanno arginato la crescita della povertà e del disagio sociale;
    negli anni di programmazione economica dell'attuale Governo, il Documento di Economia e Finanza si è sempre presentato come un contenitore di indicazioni approssimative, disomogenee e contraddittorie dal quale emergono fondamentalmente quattro cose, ovverosia: 1) la costante revisione delle previsioni macroeconomiche sempre riviste al ribasso; 2) una generica e ipocrita critica dei criteri con cui si calcola il Patto di stabilità europeo e la conseguente quantificazione di quanto margine in più di finanza pubblica «programmatica» si intende chiedere all'Europa; 3) una lunga lista di effetti sovrastimati delle riforme avviate dal Governo; 4) e infine, una grandissima avarizia su ogni particolare che riguardi le misure di attuazione degli obiettivi contenuti nel DEF che, di regola, sono appresi solo all'ultimo momento, con la presentazione in autunno della Nota di aggiornamento al DEF e della Legge di stabilità;
    il DEF 2016 ripropone questo schema accompagnato da una strategia di comunicazione molto attenta a carpire il consenso quanto inefficace nell'affrontare i nodi della crisi che attanaglia il Paese; ma con una differenza rispetto al passato: che questa volta gli annunci sulla «fine dell'austerità» e sulla «crescita» non riescono più a sortire più gli effetti di prima, risultando sostanzialmente assente non solo la presa di atto del fallimento di molte delle politiche pubbliche sino ad oggi perseguite, ma sopratutto della rifocalizzazione delle politiche economiche che puntino realmente al superamento dell'austerità e della capacità di finalizzare le risorse in direzione di uno sviluppo economico che offra benessere e progresso sociale. Mancano le politiche dell'occupazione e industriali. Ci si limita a provvedimenti per il mercato e le imprese nella speranza che il privato faccia partire gli investimenti;
    per quel che concerne le prospettive economiche, il DEF 2016, anche grazie alle precisazioni operate dall'Ufficio Parlamentare del Bilancio, rivede al ribasso le stime di crescita del PIL rispetto a quelle previste nella Nota di aggiornamento al DEF 2015, ridimensionandole nel 2016 e nel 2017 all’ 1,2 per cento e all’ 1,4 per cento (stime che dovevano corrispondere rispettivamente all’ 1,4 e all’ 1,5 per cento), riscrivendo anche quelle sul deficit al 2,3 per cento per il 2016 (piuttosto che al 2,2 per cento) e all’ 1,8 per cento per il 2017 (piuttosto che all'1,1 per cento) in un quadro complessivo di sconfortante incertezza e generale inattendibilità avvalorato dalle valutazioni successivamente fornite dal Fondo Monetario Internazionale, dall'Ocse, dalla Banca d'Italia, dall'ISTAT ed altri autorevoli osservatori economici;
    dati in peggioramento, dunque, ma soprattutto irrealistici nel senso di eccessivamente ottimistici come quelli sulla disoccupazione che il DEF 2016 stima in calo all’ 11,4 per cento nel 2016 rispetto all'11,9 per cento del 2015, per seguire al 10,9 per cento nel 2017, al 10,4 per cento nel 2018 e addirittura al 9,9 nel 2019;
    inoltre, con riferimento all'inflazione che, peraltro, rappresenta l'oggetto principale dell'azione promossa con il quantitative easing al fine di portarla se non al di sotto comunque vicina al 2 per cento, il dato che emerge all'interno del DEF 2016, in piena implementazione dello strumento, è di appena dello 0,2 per cento, che crescerebbe ipoteticamente più di un punto percentuale nel 2017, attestandosi comunque a livelli molto lontani dagli obiettivi dettati dalla Banca Centrale Europea;
    il dato sull'indebitamento netto è visto prodursi nello scenario programmatico portandosi all'1,8 per cento nel 2017, e allo 0,9 nel 2018, e, infine, in posizione di leggero avanzo nel 2019, descrivendo un percorso di riduzione del deficit meno ambizioso di quanto prospettato nei due precedenti documenti programmatici, facendo registrare una forbice massima nei due anni del biennio 2017-2018 di 0,7 punti percentuali rispetto al precedente valore, e di soli 2 punti percentuali rispetto alla fine dell'orizzonte di previsione. Percentuali che possono sembrare nulla ai più ma che si legano strettamente a quanto il Governo intende trattare con l'Unione europea in termini di flessibilità, tenendo presente che essendo il dato dell'1,8 per cento inferiore al dato relativo all'indebitamento netto previsto al 2,3 per cento con riferimento al 2016, occorrerà trovare ulteriori miliardi di euro per rimettersi in pari;
    le risorse, nell'ambito delle previsioni del DEF 2016, deriveranno principalmente da nuovi tagli alla spesa e da nuove riduzioni degli sconti fiscali;
    nonostante la tanto decantata «fine dell'austerità», si prevedono, quindi, nuovi sacrifici e si amplierebbero ulteriormente le misure riguardanti la spending review (come se non avessimo già tagliato con le precedenti manovre per 25 miliardi di euro), leggendosi nel DEF 2016 che l'intendimento del Governo nell'impostazione della prossima Legge di Stabilità sarà quello di sterilizzare le clausole di salvaguardia a suo tempo stabilite (la cui perdita di gettito è stimata in 15,1 miliardi di euro nel 2017 e a ulteriori 4,5 miliardi di euro dal 2018 per un totale di 19 miliardi di euro complessivi) attuando una manovra che si basa su un mix di interventi di revisione della spesa pubblica e delle spese fiscali (le cosiddette tax expenditures), oltre che non meglio specificati altri strumenti di contrasto all'evasione ed elusione che dovrebbero garantire il raggiungimento del citato indebitamento netto pari all'1,8 per cento del PIL nel 2017;
    sul fronte delle entrate, infatti, tra le pieghe del DEF 2016 salta subito agli occhi un imprevisto aggravio fiscale per i prossimi quattro anni per famiglie ed imprese che, stando alle previsioni, dovrà garantire alle casse dello Stato un extragettito di 71 miliardi di euro (+ 9,15 per cento) portandolo dai 784 miliardi di euro incassati nel 2015 agli 855 miliardi di euro previsti per l'anno 2019. Nello specifico ad aumentare saranno sia le imposte dirette che quelle indirette: nel primo caso il Governo stima una crescita del gettito pari a 11,8 miliardi di euro (+4,90 per cento) mentre nel secondo caso pari a 33,3 miliardi (+13,39 per cento). E tutto questo nonostante la millantata ulteriore riduzione della pressione fiscale, sbandierata fino ad oggi come un mantra dallo stesso Premier, e confermata anche nella premessa al documento, che sarebbe consentita, secondo le parole del Governo, da quello «spazio di bilancio addizionale che verrà generato da risparmi di spesa, realizzati mediante un ampliamento del processo di revisione della spesa, ivi incluse le spese fiscali, e da tutti quegli strumenti che accrescano la fedeltà fiscale e riducano i margini di elusione.» I previsti aumenti, che secondo il Governo (e non si capisce come) manterranno complessivamente la pressione fiscale invariata portandola dal 43,5 per cento al 42,9 per cento, deriveranno, in assenza di manovre alternative, dall'innesco automatico a decorrere dal 2017, delle cosiddette clausole di salvaguardia, che da sole rappresentano circa lo 0,9 per cento del PIL (valendo circa 16,8 miliardi di euro) e che comporteranno un incremento delle aliquote Iva (sia la ridotta che quella ordinaria) e delle accise sugli olii minerali;
    ed invero il Governo, nell'ambito della Legge di Stabilità 2016, aveva disattivato, per l'anno in corso, le suddette clausole e rinviando a data da destinarsi quelle relative al triennio successivo (2017-2019), compiendo in tal modo quello che buona parte della stampa italiana allora aveva descritto come un vero e proprio miracolo;
    la neutralizzazione sarà possibile attraverso un'operazione di revisione, peraltro socialmente molto sensibile, di tutte quelle agevolazioni fiscali (le cosiddette tax expenditures), cioè l'insieme di detrazioni, deduzioni ed esenzioni fiscali il cui ammontare complessivo, secondo la Corte dei Conti, determina un mancato gettito pari a 313 miliardi di euro in ragione annua, ma che consentono al contribuente, in sede di dichiarazione dei redditi, di sottrarsi parzialmente all'eccessiva pressione fiscale abbattendo sensibilmente il totale dell'imposta dovuta. Molti contribuenti saranno perciò costretti a rifare nuovamente i propri conti eliminando alcune detrazioni già calcolate (come ad esempio le spese mediche e quelle relative alle ristrutturazioni, ecc.);
    lo stesso DEF 2016 precisa che nell'ambito delle tax expenditures, l'attuazione della delega fiscale ha previsto annualmente la predisposizione di uno specifico Rapporto programmatico di ricognizione delle agevolazioni in essere. Questo costituirà la base per valutare in autunno gli interventi volti a ridurre, eliminare o riformare le spese fiscali, che dovranno poi essere resi operativi nella manovra di finanza pubblica. La revisione sarà quindi volta ad eliminare o rivedere quelle non più giustificate sulla base delle mutate esigenze sociali ed economiche o quelle che duplicano programmi di spesa pubblica. Verrebbe, in particolare previsto che trascorsi cinque anni dall'adozione le spese fiscali siano oggetto di un esame specifico, corredato da un'analisi degli effetti microeconomici e sociali e delle ricadute sul contesto sociale;
    tax expenditures è un termine che suona come un inglesismo tecnico, ma che pare destinato a divenire protagonista nel futuro dibattito politico, con importanti ricadute sui contribuenti, trattandosi, come si è visto, di tagli a tutte quelle agevolazioni fiscali tese, nella loro originaria concezione, a ridurre il carico fiscale su cittadini ed imprese, e negli ultimi anni tornate alla ribalta perché protagoniste di un progetto virtuoso della «creatività» dell'allora ministro Tremonti, che pensò di sfrondarle per ampliare la base imponibile dei contribuenti e finanziare, attraverso il maggiore gettito che ne sarebbe derivato, la riduzione delle aliquote nominali d'imposta. La galassia delle tax expenditures contempla voci di agevolazioni la cui quota maggiore si concentra su casa e famiglia, come le spese per mutui, per la sanità, per l'assegno di mantenimento, o per le erogazioni liberali etc., pertanto la loro revisione si tradurrà in un inesorabile aumento della pressione fiscale. Perciò noi esprimiamo la nostra più ferma contrarietà ad una revisione delle tax expenditures che si tramuti nella revoca di detrazioni fiscali su spese che incidono sulle condizioni sociali dei contribuenti e che implicano l'accentuazione della pressione fiscale sul ceto medio e le classi popolari;
    l'ipotesi di un intervento di revisione delle spese fiscali non è nuova; anzi è da anni all'attenzione dell'agenda degli ultimi governi. Il loro ridimensionamento rappresenta un obiettivo della politica fiscale: soprattutto da quando si è diffuso il convincimento che, analogamente all'evasione, si sia in presenza di un «tesoretto» cui attingere per soddisfare le necessità di finanza pubblica. Un «tesoretto» che, secondo le stime formulate sul finire del 2011 dalla Commissione MEF, contava oltre settecento regimi agevolativi, suscettibili di intaccare il gettito per oltre 250 miliardi: una cifra pari a quasi un terzo delle entrate complessive della pubblica amministrazione;
    l'aspetto ancora più paradossale è che, come del resto affermava il Premier solo alcuni mesi fa, cancellare le agevolazioni significa, de facto, aumentare la pressione fiscale, anche se in base al citato PNR, le maggiori entrate derivanti dalla «rimodulazione» saranno in parte destinate al fondo per ridurre la pressione fiscale. Insomma tutto ed il contrario di tutto;
    a fronte di un saldo primario stimato all'1,7 per cento, la pressione fiscale è prevista al 42,8 per cento valore, quest'ultimo che risente sia degli effetti delle misure contenute nella Legge di Stabilità 2016 – come l'abolizione delle imposte sull'abitazione principale e la proroga delle decontribuzioni per le nuove assunzioni a tempo indeterminato – sia delle maggiori entrate attese dalla voluntary disclosure;
    in concomitanza con la presentazione del DEF 2016 il governo è tornato a parlare del bonus di 80 euro, considerato dallo stesso documento come la misura che ha avviato, grazie al decreto-legge n. 66 del 2014 che lo ha istituito, la riforma strutturale del sistema fiscale, ipotizzando di estenderlo ai percettori delle pensioni più basse. Anche se al momento nulla è definito, ribadiamo che per noi il bonus (anche se ha avuto alcuni effetti positivi, ma assai parziali), così come è attualmente in vigore, è sostanzialmente criticabile, per tre principali motivi: l) esclude gli incapienti; 2) è limitato solamente ai lavoratori dipendenti; 3) è stato assegnato in una proporzione rilevante anche a individui che appartengono a nuclei familiari con redditi elevati, essendosi utilizzato come condizione di eleggibilità (means-testing) solo il reddito individuale. Quest'ultima criticità ha evidenziato che se l'obiettivo era di stimolare i consumi (considerata l'evidenza empirica che chi ha redditi bassi tende a consumare una quota maggiore del proprio reddito disponibile) e ridurre l'incidenza della povertà, la politica di trasferimento del reddito è finita nelle tasche sbagliate;
    la Legge di Stabilità 2016 ha inoltre previsto per il 2017 una diminuzione dell'aliquota IRES al 24 per cento dimostrando come il Governo, attraverso una diminuzione generalizzata dell'imposta sui profitti delle imprese, voglia continuare a volersi affidare al mercato nonostante le ripetute prove di inefficacia di questa strategia. È profondamente ingiusto, in un Paese ancora stretto dalla morsa della crisi e con un tasso di disoccupazione oltre l'11 per cento, diminuire in maniera generalizzata un'imposta sui profitti, scelta che, rispetto alle misure su IRAP e decontribuzione che almeno intervenivano sui costi seppur in modo non selettivo, appare un ingiustificato «regalo alle imprese»;
    allo stesso modo l'abolizione indiscriminata delle imposte su tutte le prime case appare una soluzione semplicistica e populista alla necessità reale di riordinare le imposte sul patrimonio per far concorrere alle finanze pubbliche anche i detentori di quelle grandi ricchezze ingessate, mobiliari e immobiliari, che se fossero destinate ad investimenti produttivi darebbero una spinta decisiva alla ripartenza dell'economia reale; Il PNR del DEF descrive inoltre le tappe della Delega fiscale 23 del 2014, senza individuare nella lotta all'evasione fiscale (che produce un mancato gettito erariale stimato tra i 90 ai 180 miliardi di euro annui nonostante il Governo non si esime dal «vantare» il trend positivo del recupero, pari nel 2015 a 14,9 miliardi, omettendo peraltro di dire che più della metà di queste somme derivano da tributi dichiarati e non, versati e da errori materiali) ed in una strategia organica per la riduzione strutturale della stessa, la vera «chiave di volta» per contrastare il debito pubblico ed uscire dal guado;
    non si può, in questa sede, non stigmatizzare come, da un lato, l'imposizione della fatturazione elettronica e, dall'altro, l'incentivo all'uso del contante più che della moneta elettronica e tracciabile appaia assai contraddittorio. Il contante è il principale strumento di evasione, quando non di corruzione e attività illecite, per cui la scelta, adottata con la legge di stabilità 2016, di innalzare la soglia massima a 3.000 euro continui a essere, senza mezzi termini, un favore agli evasori;
    sempre per richiamare la delega fiscale, anche il rallentamento della revisione del catasto rappresenta un grosso limite, così come la nuova disciplina dell'abuso del diritto (che sarebbe preferibile chiamare elusione fiscale) debba essere giudicata negativamente soprattutto perché ha cancellato una giurisprudenza di alta corte ormai sedimentata che considerava il principio antielusivo immanente nella Costituzione, di fatto equiparando l'elusione all'evasione;
    di contro, qualsiasi rivendicazione che faccia appello ad una nuova politica dei redditi che, a sua volta, abbia come asse centrale la crescita e lo sviluppo delle capacità produttive e competitive del Paese, con un marcato segno redistributivo verso il lavoro dipendente ed a sostegno delle fasce sociali più esposte, che le ristori ma che faccia anche ripartire i consumi, non può prescindere dal ricorso alla leva fiscale da utilizzare non solo per far emergere le diverse capacità economiche dei contribuenti, ma anche, e soprattutto, come strumento di sostegno allo sviluppo, di redistribuzione del reddito e di lotta al lavoro sommerso;
    larga parte dei redditi che non derivano da lavoro dipendente o pensione, e in particolare quelli da capitale, quelli derivanti da cespiti patrimoniali o dall'esercizio di lavoro autonomo e professionale, riescono ad evadere e/o eludere la tassazione personale, sottraendosi così alla progressività ed alla funzione/azione redistributiva del prelievo tributario, e costituendo solo un enorme giacimento di risorse indebitamente sottratto alla collettività, che alimenta quelle attività speculative i cui risultati perversi sono sotto gli occhi di tutti. In queste condizioni, in cui i titolari di redditi diversi da quelli da lavoro dipendente hanno ampi margini di discrezionalità e di valutazione soggettiva della loro base imponibile da utilizzare in sede di tassazione, il principio della progressività del prelievo fiscale (articolo 53 della Costituzione) rischia di confinarsi all'imposizione sui redditi delle persone fisiche sostanzialmente dei lavoratori dipendenti e dei pensionati;
    in questo stato di cose l'obiettivo, non più rinviabile per la tenuta della coesione sociale, di ridurre il prelievo fiscale sui redditi di lavoratori e pensionati e di assumere il sostegno alla famiglia come fattore di una maggiore equità distributiva, va intrapreso, ferma restando la tenuta complessiva dei conti pubblici, modificando la composizione del prelievo, compensando il minore gettito con una revisione dei tributi che colpiscono rendite e consumi, un percorso complementare che conduca ad una revisione delle modalità di tassazione del patrimonio e della proprietà, al fine di ricondurre a tassazione tutte quelle basi imponibili che oggi, per svariati motivi, risultano sfuggenti;
    altro punto non meno rilevante riguarda il discorso delle privatizzazioni previste dal DEF 2016 che per loro natura non possono fornire un gettito strutturale, ma solo una tantum ed il loro ricavato, previsto in mezzo punto di PIL dovrebbe abbattere – in misura peraltro minima – lo stock del debito senza incidere nel calcolo del deficit. Si legge al riguardo nel DEF che il programma di privatizzazioni per i prossimi anni prevede entrate pari allo 0,5 per cento del PIL l'anno per il 2016, 2017, e 2018 e allo 0,3 per cento nel 2019. Per il 2016 sono state fissate le modalità per l'alienazione di una quota fino al 49 per cento di Enav. Altre operazioni verranno attuate in corso d'anno in funzione degli obiettivi di gettito. La privatizzazione delle Ferrovie dello Stato o sue componenti rientrerà, comunque, nel programma di medio periodo del Governo. L'Esecutivo, insomma, prosegue la sua politica di privatizzazioni per far fronte a problemi di liquidità omettendo di evidenziare che il contributo che apporta alla riduzione del debito è minimo laddove la dismissione degli immobili pubblici si traduce molto spesso in nuovi costi aggiuntivi per lo Stato. In sintesi, da dove potrebbero arrivare tante risorse ancora non risulta chiaro e la logica di svendita del patrimonio pubblico continua. Peraltro, con riferimento al rapporto debito/PIL secondo le tabelle del DEF 2016 il debito dovrebbe passare nel 2016 al 132,4 per cento con un –0,3 per cento rispetto al 2015 (ipotesi tra l'altro smentita dalle previsioni del FMI), ma questo avverrebbe grazie ad un aumento del PIL chiaramente sovrastimato considerato che l'introito da privatizzazioni è tutto da verificare visto che più che vendite di svendite si tratta;
    per quanto attiene al nodo europeo il DEF 2016 chiede lo spostamento in avanti di un anno, e segnatamente al 2019, del pareggio di bilancio che questa stessa maggioranza aveva introdotto in Costituzione e per quanto attiene alla flessibilità si evidenzia che mentre nel 2016 la richiesta di flessibilità si fondava sulle cosiddette «riforme», per il 2017 si punta invece sulle «circostanze eccezionali» rappresentate dal «deterioramento globale della crescita» e dal bassissimo tasso d'inflazione. La prima reazione al DEF 2016 giunge al riguardo dal vicepresidente della Commissione, Jyrki Katainen secondo cui l'Italia è un Paese che ha già ricevuto molta flessibilità e non si può continuare a concederne altra, il che significa, in parole povere, che bisogna continuare a privatizzare, tagliare il welfare, ridurre i salari, tutto ciò che oggi viene decantato come riforma strutturale. Difficilmente l'Italia otterrà tutta la «flessibilità» richiesta, ma neppure una chiusura totale per evidenti motivi politici. Del resto stiamo parlando della programmazione che fa capo alle leggi finanziarie del 2017, l'anno delle fondamentali elezioni francesi, spagnole e del rischio per l'Unione europea di affrontare le forze centrifughe eventualmente seguenti all'eventuale Brexit. E dalla lettura del DEF 2016 dove appare evidente che il Governo si sta preparando a cavalcare proprio questa situazione quasi giocando d'azzardo, si conferma in ogni caso l'adesione totale all'approccio del bilancio europeo, fatto di tagli di spesa pubblica, tasse, sostegno ai profitti, riduzioni dei salari e delle protezioni: un approccio già responsabile della crisi economica in cui versa l'Italia;
    il DEF 2016 si conferma, dunque, al pari dei precedenti, come un Documento volutamente fumoso per avere mano libera e proseguire nell'opera di smantellamento dello Stato sociale e dei diritti dei lavoratori, con una proiezione di crescita incerta relegata ai decimali con investimenti pubblici concreti praticamente inesistenti in relazione alle politiche per il lavoro, lo sviluppo industriale e il rilancio del Mezzogiorno si evidenzia che recentissimamente l'Osservatorio sul precariato Inps, contraddicendo in pieno i dati ottimisti forniti dal Governo in materia di aumento dell'occupazione, ha rilevato che le assunzioni nel febbraio 2016, in totale 341.000, risultano in calo di 48.000 unità, in particolare quelle a tempo indeterminato, registrando quindi un meno 12 per cento rispetto al febbraio 2015, un calo già rilevato a Gennaio 2016. In questo modo si sancisce la fine degli effetti derivanti dai bonus contributivi alle imprese che assumono, tenuto conto del fatto che i contratti a tempo determinato restano stabili con 231.000 assunzioni a febbraio 2016;
    l'Ocse, peraltro, ha recentemente reso noto che il tasso di occupazione dei giovani dai 15 a 24 anni è migliorato nel quarto trimestre 2015, salendo al 40,5 percento dal 40,2 per cento del terzo trimestre e dal 39,8 per cento del quarto trimestre 2014. Nelle statistiche rese note dall'Ocse, l'Italia resta molto distante dalla media: è penultima dell'intera area, con un tasso di occupazione dei giovani al 15,9 per cento, per quanto in progresso di 0,1 punti sul terzo trimestre e 0,4 sul quarto trimestre 2014. Solo la Grecia ha un tasso peggiore. La fascia di età tra i 25 anni e i 55 anni nell'area Ocse segna un'occupazione del 76,7 per cento (+ 0,2 punti sul terzo trimestre), mentre tra i 55-64enni il tasso è del 58,5 per cento (dal 58,2 per cento). L'Italia è rispettivamente al 68,3 per cento (– 0,1 punti) e al 48,5 per cento (+ 0,2 punti);
    nella pubblica amministrazione la vera spending review è stata sostenuta dalle lavoratrici e dai lavoratori non a caso tra il 2009 e il 2015 la spesa per i redditi dei dipendenti pubblici è diminuita di 10 miliardi di euro e il numero dei dipendenti pubblici è calato di 110.000 unità;
    il blocco del turn over nel pubblico impiego non ha prodotto una razionalizzazione efficace e un miglioramento dei servizi e delle prestazioni ma è stata semplicemente una delle voci ragionieristiche di spending review i cui effetti si sono rilevati catastrofici per i lavoratori e per i cittadini;
    il programma «Garanzia Giovani» è fallito e si è risolto di fatto e sostanzialmente nell'offerta di tirocini, a fronte di ingenti risorse destinate al programma, i risultati non sono solo deludenti ma pessimi e perseverare su questo tipo di programmi rileva come da parte del Governo vi sia la pervicace volontà di proseguire in politiche occupazionali, in particolare rivolte ai giovani, buone solo per dare corso ad annunci simili a spot pubblicitari;
    si è assistito nel 2015, come riportato anche nel DEF 2016 ad una crescita dell'occupazione che si può definire dopata, che ha avuto un qualche timido risultato solo a fronte di consistenti sgravi fiscali, che tenuto conto dei costi valutati da molti studi in non meno di 14 miliardi euro, hanno sortito un effetto placebo sull'occupazione, visto il calo dei contratti registrato nel 2016 proprio in coincidenza con la diminuzione degli sgravi fiscali;
    dai dati forniti nel DEF 2016 Sezione I del Programma di Stabilità dell'Italia emerge che il jobs act nel 2015 non ha funzionato per i lavoratori compresi nelle fasce di età che vanno dai 15 ai 49 anni, visto che per costoro si sono registrate diminuzioni che vanno dal – 0,3 per cento tra i giovani di 15-24 anni, al – 0,6 per la fascia 25-34 anni, fino al – 1,1 per cento nella fascia 35-49 anni. Relativamente alle fasce 15-24 anni e 25-34 anni si sono manifestati segnali di recupero, solo nella seconda parte del 2015, smentiti poi dai dati dei primi mesi del 2016;
    sempre in materia di contrasto alla disoccupazione il Governo prevede che il tasso di disoccupazione nel 2016 sarebbe pari all'11,6 per cento mentre nel 2017 tendenzialmente sarebbe del 10,9, l'obiettivo perseguito è di portarlo al 10,8 per cento ovvero un obiettivo molto al di sotto della necessità e soprattutto lontanissimo dal tasso di disoccupazione registrato nel 2007 che era al 6 per cento;
    per quanto attiene alla previdenza è da segnalare la mancanza nel DEF 2016 di un apposito paragrafo che renda conto degli effetti delle riforme che si sono succedute negli ultimi anni, restano quindi aperte le questioni relative ad interventi aventi come obiettivo l'età del pensionamento e il tema della flessibilità che ad oggi per effetto di vincoli e rigidità si è risolto essenzialmente nell'innalzamento dell'età di pensionamento e nell'aumento degli anni di contributi necessari, anche in questo caso con effetti devastanti in relazione all'entrata nel mondo del lavoro da parte dei giovani;
    tra le altre gravi lacune che si riscontrano nel DEF 2016 figurano: l'assoluta mancanza di previsioni per sostenere le pensioni più basse, infatti non appare neanche come mero riferimento la questione degli 80 euro sulla quale il Governo si era espresso così come non si prevede il finanziamento dell'ottava clausola di salvaguardia che affronti la questione degli esodati. Mentre anche in maniera non esplicitata compiutamente si riapre l'ennesimo caso sulle pensioni di reversibilità;
    altro aspetto penoso riguarda lo sviluppo industriale del Paese contemplato dal DEF 2016 con particolare riferimento alle aree del Mezzogiorno. Dopo innumerevoli promesse e un'intera sessione in Parlamento a inizio 2016 sulle politiche per il Mezzogiorno, anche questa volta, quando ci si sarebbe aspettati di leggere azioni, numeri, tabelle e date ben ordinate nel cosiddetto «Masterplan per il Mezzogiorno», nulla di tutto ciò appare nel DEF 2016. Se si cerca qualche traccia della parola Mezzogiorno nel documento si rimane delusi. Solo cercando la parola «Masterplan per il Mezzogiorno» qualcosa, finalmente, si trova: Masterplan che «mira a sviluppare filiere produttive muovendo dai centri di maggiore vitalità del tessuto economico meridionale, accrescendone la dotazione di capacità imprenditoriali e di competenze lavorative». Frase che è talmente piaciuta da trovarsi con qualche leggera variazione altre due volte nello stesso documento e una volta in un altro allegato. Il Masterplan prevede 16 patti per il Sud – 8 per ciascuna regione meridionale e altrettanti per le 8 città metropolitane – e nei documenti se ne fa, in effetti, menzione. Ma niente di più di una generica definizione, purtroppo. Nulla su risorse, scadenze e azioni tese a risollevare le sorti del Mezzogiorno e delle sue città più rappresentative. Esiste solo qualche pagina con tutte le linee guida, già emesse a Novembre 2015, ma nessuna informazione di rilievo sui Patti per il Sud. Tutto è fermo a Novembre 2015, data dell'ultimo aggiornamento: sei mesi fa. Poi avendo riguardo all'Allegato Infrastrutture e Trasporti se ne ricava infine un quadro complessivo ancora più avvilente. Si legge, infatti, i trasporti carenti sono una vera e propria «minaccia» per lo sviluppo del Sud. Ma non è il rapporto Svimez a dirlo, bensì il Governo che punta il dito contro «la disomogenea distribuzione di infrastrutture e servizi sul territorio nazionale, per cui risultano svantaggiate, in termini di accessibilità, alcune aree del Mezzogiorno». A subire le conseguenze di trasporti inadeguati sono in particolare le filiere produttive meridionali e il turismo. Problemi che l'universo mondo conosce da tempo rispetto ai quali tuttavia il Governo non offre soluzioni precise senza contare che, attualmente, proprio nel settore dei trasporti a livello nazionale si sta attraversando una sorta di terra di mezzo: si è infatti stabilito formalmente di superare la Legge Obiettivo, ma non sono ancora stati varati né l'aggiornamento del Piano generale dei trasporti e della logistica (Pgtl) né il primo Documento pluriennale di pianificazione (Dpp), che dovrebbe riguardare il 2017-2019;
    l'Italia, tra le altre cose, continua a destinare meno risorse per il sostegno al tessuto economico e produttivo, rispetto agli altri Paesi europei. In base ai dati dello State Aid Scoreboard 2014 rispetto alla spesa totale in aiuti di Stato in termini relativi al PIL, nel 2013, l'Italia con circa lo 0,2 per cento del PIL si colloca ben al di sotto della media europea, 0,5 per cento del PIL europeo. L'Italia, nel corso degli ultimi dieci anni, ha progressivamente destinato sempre meno risorse in aiuti di Stato per il sostegno al tessuto economico e produttivo collocandosi in una posizione di fanalino di coda dell'Unione europea. Rispetto agli altri principali competitor europei, ad eccezione del Regno Unito che presenta un analogo livello di spesa, il gap di spesa per il nostro Paese è rilevante. Il divario, in particolare, risulta molto ampio rispetto alla Francia, che registra un valore pari allo 0,60 per cento del PIL;
    in relazione alla competitività delle imprese italiane, inoltre, il Governo annuncia l'adozione di un Piano nazionale anticontraffazione, a tutela delle imprese che proteggono con marchi, brevetti i propri asset intangibili. Attraverso l'adozione del Piano, il Governo, si propone di affiancare il Piano straordinario per il made in Italy, di cui al decreto-legge n. 133 del 2014 e legge di stabilità 2015, articolo 1, comma 202, di sostegno all'export e all'attrazione degli investimenti esteri, operativo per il periodo 2015-2017, implementato con ulteriori risorse nella legge di stabilità 2016, articolo 1, comma 370. Sotto tale profilo in materia di made in Italy, è da segnalare l’iter in corso di approvazione di un provvedimento relativo alla tracciabilità dei prodotti attraverso l'apposizione di segni unici e non riproducibili con codici a barre bidimensionali, attraverso l'adesione volontaria da parte di imprese, che rappresenta un primo passo verso il «made in» ma è necessario che l'Italia in sede di Unione europea si attivi per l'adozione del regolamento sul «made in»;
    in relazione alla Scuola, Università e la Ricerca si evidenzia che tra le priorità per il 2016 individuate dall'Analisi annuale della crescita della Commissione europea del 26 novembre del 2015 (COM(2015) 690 final) è stato incluso il rilancio degli investimenti, i quali «devono andare oltre le infrastrutture tradizionali e comprendere il capitale umano e i relativi investimenti sociali», alludendo agli investimenti intelligenti nel capitale umano dell'Europa e a quelle riforme orientate a garantire sistemi di istruzione e formazione di qualità, con conseguente miglioramento dei risultati, capaci di rilanciare l'occupazione e la crescita sostenibile;
    di contro, nella parte di prospettiva del DEF dedicata al Programma di riforma nazionale, il capitolo ricerca, scuola ed università non riserva particolari sorprese e non fa minimamente accenno della condizione in cui versano attualmente la scuola, l'università e la ricerca pubblica in Italia, specchio di quell'incessante processo di disinvestimento del nostro Paese sul proprio futuro. Infatti, in uno scenario globale nel quale tutti i Paesi industrializzati per uscire dalla crisi investono in sapere, formazione e ricerca, l'Italia procede nella più grande e sistematica operazione di distruzione del sistema di istruzione, università e ricerca investendo meno dell'1 per cento del suo PIL in R&S, contribuendo in questo modo, oltre che a dequalificare complessivamente didattica e ricerca, a costruire una scuola ed un'università sempre più classiste, e a provocare un'espulsione di massa di tutti quei tanti lavoratori precari che in questi anni hanno permesso, con la loro dedizione, il funzionamento del nostro sistema formativo;
    ed invero la ricerca in Italia è particolarmente trascurata rispetto a quella degli altri Paesi europei: non c’è classifica, con i parametri più diversi per verificarne il livello quantitativo e qualitativo, che non ci veda relegati agli ultimi posti. Secondo le ultime statistiche OCSE, infatti, l'anno 2015 si è chiuso confermando a livello internazionale quel trend di flessione degli investimenti pubblici in università e ricerca che si protrae dal 2010, quadro nel quale il nostro Paese, inginocchiato da una crisi frutto anche di mancate scelte di investimento nella conoscenza e nelle filiere alte del valore, si distingue per un colposo e costante disimpegno che conferma il sottofinanziamento cronico dell'intero settore e che, con una quota di finanziamenti erogati pari all'1,1 per cento del PIL, contro il 2 per cento destinato in media dagli altri Paesi europei, è capace di evocare lo spettro di una strisciante desertificazione culturale, scientifica e tecnologica;
    invero, la globalizzazione dell'economia e l'impetuoso sviluppo di Paesi come l'India e la Cina uniti all'accelerazione tecnologica, hanno determinato negli altri la necessità di aumentare la competitività dei propri settori produttivi, ricorrendo a nuove ricerche e sperimentazioni, al fine non solo di migliorare le condizioni di vita dei singoli individui ma anche di contribuire, in modo più incisivo, al proprio sviluppo economico: in tale accezione, la ricerca, sia pubblica che privata, rappresentando uno dei settori fondamentali e strategici per accrescere lo sviluppo culturale e la competitività economica e tecnologica di una nazione, è chiamata ad assurgere al ruolo anticiclico di driver della crescita di lungo periodo. Del resto, anche nell'ambito delle teorie dello sviluppo economico uno degli assiomi maggiormente condivisi è quello del nesso che lega gli investimenti in ricerca e innovazione di un'economia alla loro capacità di accrescere il livello di benessere nel tempo;
    la ricerca in Italia è un settore da tempo sotto osservazione per altre ragioni: accanto alla suddetta scarsa attenzione da parte delle istituzioni ed alla carenza di risorse pubbliche e private, si deve lamentare anche la cattiva gestione delle stesse e l'incapacità di incrementare il capitale umano che vi si dedica, tanto che si assiste al costante fenomeno di trasferimento in università ed imprese straniere di ricercatori italiani e scienziati (cosiddetta «fuga di cervelli») che negli altri Paesi trovano condizioni migliori per esprimere i propri talenti. Altro fattore critico è quello dell'incertezza dei tempi di finanziamento o di rimborso delle risorse: nel nostro Paese, infatti, accanto a schizofreniche disposizioni incentivanti, come il riconoscimento di un credito d'imposta per investimenti in ricerca ed innovazione, convive una burocrazia che inibisce l'operatività dei programmi comunitari e blocca l'avvio dei bandi pubblici: insomma un mix di concause che determinano quello noto oramai come il «paradosso italiano», in virtù del quale continuiamo a contribuire ai fondi europei in misura nettamente maggiore rispetto all'entità dei finanziamenti che, con l'esiguo numero dei nostri ricercatori, riusciamo ad attrarre. A tutto questo occorre aggiungere anche l'attività di ricerca diffusa ma sommersa, che sfugge alle rilevazioni statistiche e che consente all'Italia di essere, comunque, all'avanguardia in diversi settori;
    sul fronte della mobilità dei ricercatori, la scarsa attrattività dell'Italia ha portato all'estero, come si è appena visto, già molti di essi, e cioè circa 15.000 unità, creando nella ricerca un vero e proprio buco generazionale e facendoci perdere competitività rispetto agli altri Stati membri: un regalo di intelligenze non compensato da contestuali ingressi dall'estero. Secondo recenti rilevazioni, infatti, le uscite sono pari al 16,2 per cento mentre gli ingressi dall'estero sono fermi al 3 per cento. Nel 2013 operava in Italia un numero di ricercatori pubblici e privati pari a 164 mila unità (4,9 ogni 1.000 occupati), mentre negli altri maggiori Paesi europei, la presenza di ricercatori è più numerosa e capillare: 357 mila in Francia (9,8 ricercatori per 1.000 occupati); 522 mila in Germania (8,5); 442 mila nel Regno Unito (8,7); 216 mila in Spagna (6,9);
    eppure l'istruzione universitaria è un investimento pubblico che si ripaga nel medio periodo: per i giovani che la frequentano per il quali oltre all'acquisizione di conoscenze e competenze, che consentono di svolgere attività maggiormente retribuite, essa rappresenta il principale fattore di mobilità sociale se si pensa che nel nostro Paese oltre il 70 per cento degli studenti universitari appartiene a famiglie in cui nessuno dei genitori è in possesso di una laurea; per le imprese, perché disporre di una forza lavoro con elevato grado di istruzione aumenta la competitività e rende possibile un maggiore tasso d'innovazione;
    dunque anche le politiche di reclutamento del personale universitario sono da ripensare. È oltremodo prioritario e doveroso affrontare l'attuale condizione di gravissima carenza di personale se si vuole evitare che il sistema universitario pubblico si avviti in una spirale di declino irreversibile, sottraendo all'Italia quegli strumenti indispensabili di innovazione e crescita culturale, economica e sociale di cui le Università da sempre sono centri insostituibili di sviluppo e disseminazione;
    il sotto-dimensionamento del corpo docente universitario italiano, e più in generale del complesso degli addetti alla ricerca universitaria, emerge evidente dal confronto europeo, e peggiora ogni anno di più. La consistenza numerica attuale è in Italia inferiore di almeno il 25 per cento alla media dei valori di Germania, Francia, Spagna e Regno Unito, solo per limitarsi ai Paesi più simili al nostro per dimensioni e tradizioni;
    per l'effetto combinato della riduzione dei finanziamenti, dei blocchi del turnover e dei concorsi, e dell'abbassamento dell'età di pensionamento, negli ultimi sette anni si è verificato un crollo verticale del numero di docenti in servizio, pari a meno 30 per cento per gli ordinari, e meno 17 per cento per gli associati, superiore alla contemporanea modesta riduzione del numero degli studenti. A questo si aggiungano gli effetti derivanti dal graduale esaurimento della cosiddetta terza fascia prevista dalla normativa vigente;
    numerose analisi dimostrano che in assenza di interventi normativi che sblocchino l'attuale limite al turnover previsto dall'attuale regime per le assunzioni delle università statali, si assisterà da un'ulteriore pesante contrazione del corpo docente che comporterà nel 2018 il dimezzamento del numero dei professori ordinari in servizio, rispetto a quello del 2008. Effetti analoghi si avranno sempre nel 2018, nell'ipotesi in cui nel frattempo non si proceda ad alcuna nuova assunzione o promozione dei professori associati, con una sensibile riduzione degli stessi pari al 27 per cento rispetto a quelli in servizio nel 2008. L'attuale normativa, infatti, prevede che nel 2016 risulti spendibile per il reclutamento il 60 per cento del turnover, per poi passare all'80 per cento nel 2017 e solo a partire dal 2018 a stabilizzarsi al 100 per cento;
    altrettanto improponibile è la persistente chiusura del sistema universitario ai giovani ricercatori, aggravata ancora una volta da interventi normativi (come la suddetta messa ad esaurimento della fascia dei ricercatori) che, sconvolgendo il regime ordinario di carriera nell'organico docente, per di più in un contesto di carenza di risorse, hanno innescato incertezze e meccanismi di instabilità esiziali per l'ordinaria attività didattica e di ricerca;
    eppure la condizione del ricercatore a tempo determinato oltre ad essere centrale nel meccanismo di reclutamento universitario, vista la sua funzione di traghettamento verso posizioni a tempo indeterminato, assolve, allo stesso tempo, seppur in modo disordinato ed improprio, il compito di supporto formale alla permanenza nei dipartimenti per tanti giovani attivi ed interessati alla ricerca, sempre più spesso diretti responsabili del funzionamento di corsi di laurea e di dottorato;
    attualmente, la gran parte dei ricercatori italiani usufruisce di assegni di ricerca, cioè di una forma di contratto di lavoro parasubordinato che però non da luogo a tutele degne di questo nome, nemmeno nel caso di periodi, purtroppo sempre più frequenti, di disoccupazione. Essi non si vedono, infatti, riconosciuta la DIS-COLL rende evidente quanto siano necessarie spinte «esterne», affinché all'attività di ricerca dei precari possa essere attribuito un degno riconoscimento, come nel resto d'Europa. Lasciando pertanto fuori dal sistema di protezione sociale decine di migliaia di persone già sottoposte a condizioni contrattuali ed economiche di precarietà e che, nonostante questo, contribuiscono con passione alla crescita e allo sviluppo del nostro Paese, offrendo un lavoro invisibile che si cela dietro il progredire della conoscenza. Una generosità, quella dei precari, non ripagata visto che negli ultimi dieci anni più del 93 per cento di essi è stato espulso dagli atenei italiani;
    se è vero che il declino dell'università è una questione nazionale, non vi è dubbio tuttavia che una serie di fenomeni preoccupanti si concentra maggiormente al Sud, dove si acuiscono le distanze rispetto al Nord del Paese, generando un «nuovo divario» che esacerba la questione meridionale, determinandone una nuova all'interno dell'università italiana tra atenei del settentrione e quelli del meridione, attribuibile non solo al calo delle risorse generali, ma anche al rapporto tra valutazione dei sistemi accademici locali ed investimenti in arruolamento di nuovi docenti;
    tra il 2007 e il 2015, gli immatricolati sono calati del 13 per cento, un calo che assume proporzioni maggiori nel Sud raggiungendo un valore prossimo al 21 per cento: rispetto alla contrazione di 40.000 giovani, ben 27.000 mila riguardano il Mezzogiorno. Il calo osservato in tale area del Paese assume poi dimensioni drammatiche con riferimento alle immatricolazioni: 16.000 dei 17.000 mila giovani in meno risiedono nel Mezzogiorno;
    tale situazione è anche generata dall'eccessivo onere finanziario che grava sugli studenti. In dimensione comparativa, il nostro Paese non solo destina poche risorse pubbliche al sistema universitario, ma ha anche la tassazione studentesca tra le più alte d'Europa. Inoltre anche il sistema di attribuzione delle borse di studio, affidato alle regioni attraverso un meccanismo redistributivo, di fatto pone il finanziamento a carico degli stessi studenti universitari;
    in termini sociali chi patisce di più il fortissimo aumento delle tasse universitarie e l'inconsistenza del diritto allo studio sono le famiglie più povere, con un effetto negativo sulla dinamica della diseguaglianza nel nostro Paese;
    sul fronte della scuola il documento si limita a fare, peraltro con particolare enfasi, un excursus di quanto già attuato e di quanto si deve attuare relativamente alla riforma della cosiddetta Buona scuola, che appare ad oggi, a quasi un anno di distanza dalla sua approvazione, un cantiere per molti versi ancora aperto: il piano straordinario di assunzioni in essa contenuto è da leggere come diretta conseguenza della sentenza della Corte di giustizia europea, ma non è sufficiente, neanche alla conclusione del percorso, a coprire le carenze di organico nel personale docente, mentre nulla è stato fatto sul versante del personale amministrativo, tecnico ed ausiliare che pure ricopre un ruolo fondamentale nel corretto funzionamento dell'istituzione scolastica; così come l'assunzione di personale è soltanto una parte di un disegno complessivo che dovrebbe riportare la scuola al ruolo che le compete senza però rappresentare quella tanto attesa ed adeguata soluzione al fenomeno del precariato storico nella scuola capace di evitarne la sua ricostituzione;
    una riforma, quella della cosiddetta buona scuola, che per colmare l'enorme divario formativo col resto d'Europa necessiterebbe di risorse certe e adeguate, che invece tenta di supplire all'insufficienza degli investimenti pubblici con le «sponsorizzazioni» e con la concessione di crediti d'imposta a cittadini ed imprese per donazioni alle scuole. In questo modo l'intervento dei privati dovrebbe sostituirsi alla scarsità degli investimenti dello Stato, con il rischio di creare e accrescere le forti diseguaglianze tra scuole di aree economico-sociali diverse, con buona pace dell'uguaglianza d'accesso di tutti i cittadini al diritto allo studio e del carattere nazionale e unitario del sistema d'istruzione;
    l'autonomia scolastica e le scuole italiane per rispondere al meglio al diritto ad un'istruzione di qualità e alle esigenze formative e di valorizzazione delle risorse di un territorio, hanno bisogno di risorse umane e finanziarie adeguate e costanti;
    in un mondo dominato oramai dall'economia della conoscenza, la ricerca insieme all'istruzione sono i pilastri su cui si costruisce il futuro e la prosperità di un Paese, pertanto un Paese che non investe in ricerca, sviluppo e cultura è condannato a non avere futuro;
    in relazione alle politiche sociali e per la salute si evidenzia che nel DEF 2016 si segnala la totale assenza di qualsiasi riferimento alla revisione dell'ISEE, neanche in riferimento agli effetti delle nuove modalità di calcolo, anche tenuto conto delle sentenze del Tar del Lazio e della recente sentenza del Consiglio di Stato, in merito alla quali recentemente la Camera dei deputati ha approvato diverse mozioni presentate di Gruppi Parlamentari.
    a fronte di una profonda crisi economica che dura ormai da più di otto anni, e che colpisce fortemente fasce sempre più larghe della popolazione, e che richiederebbe di conseguenza un serio Programma di contrasto alla povertà, il Governo si limita a richiamare semplicemente l’iter avviato alla Camera del disegno di legge delega per il contrasto alla povertà;
    a fronte di un aumento tra il 2008 e il 2014 di circa un terzo, da 11 a 15 milioni di persone, dei cittadini con un reddito al di sotto della soglia di povertà, il disegno di legge delega mira a far uscire dalla soglia di povertà assoluta circa 280 mila famiglie rispetto ai circa 1,5 milioni di famiglie che si trovano in questa condizione. Il miliardo stanziato dal Governo con l'ultima Legge di stabilità, è solamente una piccolissima parte dei circa 7 miliardi stimati che sarebbero necessari per sostenere realmente le famiglie e le persone in povertà assoluta;
    non c’è alcun percorso di avvicinamento ad una garanzia di reddito per tutti quelli che si trovano in povertà assoluta, ma si assiste solamente a un sostegno per una piccolissima parte, circa un quinto, dei poveri assoluti;
    in pratica si conferma l'assenza, di una credibile politica di reale contrasto alla povertà nel nostro Paese;
    in tale contesto è da segnalare che nella parte del DEF in esame, relativa alle misure di contrasto alla povertà, si fa ancora riferimento alla necessità (espressamente prevista nella citata legge delega) di prevedere misure di razionalizzazione delle «prestazioni di natura assistenziale» nonché le «prestazioni di natura previdenziale», che tante polemiche, queste ultime, hanno sollevato e la cui soppressione è chiesta con forza da molte parti anche di maggioranza della Commissione Lavoro, mentre viene riaffermato il riferimento all'universalismo selettivo;
    altro tasto dolente del DEF 2016 riguarda l'intervento del Governo sul fronte delle politiche per gli asili nido. Se ne parla a pagina 88 del «Programma Nazionale di Riforma» ove si fa riferimento al Rifinanziamento del Fondo per il rilancio del Piano sviluppo servizi socio educativi per la prima infanzia (100 milioni per il rilancio del piano per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio educativi per la prima infanzia). Si legge poi, appena due pagine dopo, «infine si proseguirà attraverso il Piano straordinario triennale per lo sviluppo dei servizi socio educativi per la prima infanzia al fine di garantire politiche familiari che favoriscano la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro». Ossia il nulla;
    dal DEF 2016 non si evince nessun intervento strutturale per sostenere la presenza omogenea su tutto il territorio nazionale degli asili nido che rispondano alle esigenze effettive del Paese e il pur positivo richiamo al rifinanziamento (100 milioni di euro) del Fondo per il rilancio del Piano sviluppo servizi socio educativi per la prima infanzia, risulta del tutto inadeguato e insufficiente;
    la questione asili nido assume un ruolo centrale sia in relazione ai tempi di vita e di lavoro ma anche e soprattutto perché rappresentano la base per il sostegno all'inserimento nel mondo del lavoro delle donne;
    secondo il DEF 2016 in esame, la spesa sanitaria dovrebbe arrivare a 114,7 miliardi di euro nel 2017, a 116,1 nel 2018 e a 118,5 di euro nel 2019;
    ancora una volta la spesa sanitaria in rapporto al PIL andrà diminuendo. Il che significa che in termini reali la fetta di risorse spettante alla sanità pubblica continuerà a ridursi ancora;
    di fatto prosegue il definanziamento in termini reali della sanità pubblica per i prossimi anni, con una conseguente riduzione delle tutele;
    nel 2010 la spesa sanitaria in rapporto al PIL era del 7 per cento; nel 2015 era del 6,9; nel 2019 sarà del 6,5 per cento. Per ritornare ai livelli spesa sanitaria/PIL del 2010, secondo le indicazioni del Governo contenute in questo DEF, si dovrà aspettare il 2030-2035. Ossia bisognerà attendere 15-20 anni;
    dati confermati anche dal Rapporto Sanità a cura di C.R.E.A. Sanità-Università di Roma Tor Vergata, presentato nell'ottobre 2015, secondo il quale la spesa sanitaria italiana è del 28,7 per cento più bassa rispetto ai Paesi EU14, con una forbice, anche in percentuale del PIL, che si allarga anno dopo anno;
    in relazione alle politiche abitative si evidenzia che nel DEF 2016 si parla di casa e politiche abitative nella sezione III «Programma Nazionale di Riforma», e si afferma che per l'emergenza abitativa (in realtà sarebbe preferibile usare il termine di «precarietà abitativa») al fine di sostenere l'affitto a canone concordato (cosa alquanto improbabile visto che l'ultima legge di stabilità ha azzerato dal 2016 il fondo contributi affitto), ampliare l'offerta di alloggi popolari e sviluppare l'edilizia residenziale sociale sarebbero disponibili 1,8 miliardi di euro. In realtà questa cifra è la somma complessiva di risorse destinate ad alcuni interventi dal 2014 al 2020 e la gran parte delle risorse citate sono ascrivibili al fondo di garanzia per i mutui prima casa nonché per l'efficienza energetica che pur essendo temi importanti certo non affrontano il nocciolo della cosiddetta «emergenza abitativa» che vede in particolare la presenza di 650.000 famiglie collocate utilmente nelle graduatorie comunali e circa 80.000 sentenze di sfratto emesse annualmente, delle quali il 90 per cento per morosità incolpevole;
    in materia di immigrazione il DEF 2016 non prevede nulla di nuovo rispetto a quanto già fatto. Si fa riferimento alla «emergenza migranti» e si ribadisce esattamente quanto già portato a conoscenza nel Draft Budgetary Plan dello scorso ottobre, quando il Governo Italiano ha richiesto all'Unione europea di riconoscere la natura eccezionale dell'impatto economico e finanziario del fenomeno migratorio. Nel Draft Budgetary Plan il governo indicava una spesa collegata all'emergenza dei rifugiati pari a 3,3 miliardi di euro (0,2 per cento del PIL) per ciascuno dei due anni 2015 e 2016. Secondo le cifre del Governo l'impatto sul bilancio dell'emergenza migranti, in termini di indebitamento netto e al netto dei contributi dell'Unione europea, è attualmente quantificato in 2,6 miliardi per il 2015 e previsto pari a 3,3 miliardi per il 2016. Ovviamente le previsioni sono fatte presupponendo il mantenimento dello scenario costante, ovvero non prevedendo ulteriori arrivi di migranti. Il DEF non contiene alcuna previsione di riforma rispetto all'attuale sistema dell'accoglienza ed esclusivamente elenca i dati degli arrivi e da un quadro sommario dei migranti ospitati nelle strutture. Con riferimento all'accordo UE-Turchia sulla espulsione dei migranti dalla Grecia verso la Turchia che prevede un contributo complessivo dell'UE pari a 3 miliardi, la quota direttamente a carico dell'Italia ammonta a circa 225 milioni di euro, ripartito su un arco pluriennale. Non c’è alcuna valutazione degli oneri indiretti dell'integrazione sociale complessiva degli immigrati nel Paese, così come manca un piano positivo di integrazione per gli oltre 110 mila ospiti delle strutture. Con riferimento al 2016 mentre aumentano le spese per l'accoglienza, diminuiscono drasticamente quelle per la sanità e l'istruzione riferiti a migranti;
    con riferimento alla difesa la riforma delle forze armate consentirà di riequilibrare la spesa della difesa convogliandola, a dire del Governo, verso maggiori investimenti. Tale riforma ha portato all'adozione di uno schema di decreto legislativo approvato a febbraio 2016 e ora all'attenzione della Commissione Difesa di Camera e Senato. Il provvedimento prevede, tra le altre cose, riduzione degli assetti organizzativi, ordinativi e strutturali delle Forze armate, razionalizzazione e standardizzazione dei corpi. Ad ogni modo non vengono riportati le cifre di quanto questo presunto risparmio di spesa comporterebbe. Ulteriormente si prevede che nel corso del 2016 il settore della Difesa sarà oggetto di successivi interventi (con leggi di delega e previsioni immediatamente attuative) volti a rendere operativo il «Libro Bianco della Difesa» e il relativo programma di riforma. Tutti questi interventi non vengono precisati;
    riguardo agli interventi per l'edilizia scolastica, il DEF 2016, riporta come per il periodo 2015/2017 sono stati approvati oltre 6.000 interventi (per un fabbisogno totale di 3,7 miliardi);
    nuove risorse, ricorda il Documento in esame, sono state stanziate con la Legge di stabilità 2016: 480 milioni di esclusione dai vincoli di bilancio per gli Enti locali; 1,7 miliardi aggiuntivi per il periodo 2016-2025, che però significano 170 milioni l'anno, ossia 8,5 milioni l'anno per ciascuna regione; alle Province e Città Metropolitane è attribuito un contributo complessivo di 495 milioni per il solo 2016, e 470 milioni dal 2017 al 2020, ossia meno di 120 milioni l'anno e quindi 6 milioni per ogni regione;
    va ricordato che al 1o marzo 2016, alla struttura tecnica di missione per l'edilizia scolastica, sono arrivate oltre 1.800 richieste di prenotazioni per investimenti in edilizia scolastica, per un importo che sfiora il doppio dei 480 milioni ora disponibili;
    il traguardo che ci si era posti, delle 41.000 scuole da mettere a norma, è quindi ancora lontano. Si stima che per la messa a norma di questi 41.000 plessi scolastici servirebbero ancora 3 miliardi di euro. Inoltre i dati a disposizione confermano che le risorse del Fondo Kyoto da utilizzare per l'efficientamento delle scuole, è stato finora utilizzato solo per il 28 per cento;
    anche quest'anno la lettura del Documento di economia e finanza mostra la pochezza delle misure che questo Esecutivo ha avviato e prevede di mettere in atto in campo ambientale;
    i pochissimi provvedimenti positivi approvati non sono infatti ascrivibili all'azione di questo Governo: la legge sugli ecoreati, attesa da anni e finalmente approvata definitivamente, è stato un provvedimento di iniziativa parlamentare; il Collegato ambientale approvato con la legge n. 221 del 2015, e che certamente contiene norme importanti per la tutela ambientale, nasce da un disegno di legge presentato dall'allora Ministro dell'Ambiente Orlando del Governo Letta;
    per il resto il Governo attuale si è caratterizzato per l'approvazione del decreto «sblocca Italia», uno dei provvedimenti più nocivi per la tutela dell'ambiente, e anche riguardo alle iniziative in materia di impulso alle energie rinnovabili, questo esecutivo si è caratterizzato principalmente nell'aver tagliato gli incentivi alle energie verdi, peraltro in maniera retroattiva, con il decreto-legge cosiddetto «spalmaincentivi»;
    nulla si dice e si prevede riguardo alle risorse, attualmente insufficienti, che dovrebbero essere stanziate per le bonifiche, a cominciare dalle bonifiche da amianto, e per programmi di tutela e la messa in sicurezza del nostro territorio;
    il DEF per il 2016 afferma solo che è in fase di definizione un provvedimento legislativo (così detto Green Act), volto al completamento dell'azione per la sostenibilità ambientale, contenente misure finalizzate alla decarbonizzazione dell'economia, all'efficienza nell'utilizzo delle risorse, alla protezione e al ripristino degli ecosistemi naturali e alla finanza per lo sviluppo, azioni strategiche per il sistema produttivo dell'Italia. Il cronoprogramma del DEF 2016 prevede la definizione del Green Act entro il 2017, si tratta in effetti di un rinvio ulteriore in quanto già il DEF 2015 prospettava il Green Act entro il giugno 2015, che avrebbe dovuto contenere misure in materia di efficienza energetica, fonti rinnovabili, mobilità sostenibile, con particolare riguardo alla rigenerazione urbana, nonché per l'uso efficiente del capitale naturale;
    in materia di trasporti, con particolare riferimento al trasporto ferroviario, il DEF 2016 afferma che la strategia di investimenti per la rete ferroviaria costituisce una delle priorità del Governo in materia di trasporti e infrastrutture. A tal fine vengono citati gli investimenti previsti nei contratti di programma relativi alle ferrovie: 9 miliardi di euro destinati all'aggiornamento del Contratto di Programma con RFI ed altri 8 miliardi di euro che vengono annunciati dal Governo per il 2016;
    il Governo afferma che tali risorse saranno destinate a migliorare la sicurezza e le tecnologie di circolazione dei treni, a potenziare il trasporto passeggeri nelle aree metropolitane, regionali e lungo i corridoi europei;
    rimangono prioritari gli obiettivi di sicurezza, qualità ed efficientamento delle infrastrutture assicurando continuità ai programmi manutentivi del patrimonio infrastrutturale esistente, per i quali si prevede la programmazione degli interventi di manutenzione delle infrastrutture esistenti, il miglioramento del livello di servizio e della sicurezza delle infrastrutture, il potenziamento tecnologico delle infrastrutture e incentivi per lo sviluppo di Sistemi di Trasporto Intelligenti;
    tra le linee strategiche rientra l'obiettivo stabilito dal Governo per lo sviluppo urbano sostenibile, attraverso la così detta «cura del ferro», l'accessibilità alle aree urbane e metropolitane, la qualità e l'efficienza del trasporto pubblico locale, la sostenibilità del trasporto urbano e le tecnologie per città intelligenti;
    la Commissione europea, nel documento sugli squilibri macroeconomici, evidenzia che gli investimenti in infrastrutture di trasporto sono scesi rapidamente da un picco dell'1,6 per cento del PIL nel 2006 allo 0,5 per cento nel 2013 e che la qualità delle infrastrutture di trasporto italiane è ancora bassa nonostante un certo miglioramento;
    del resto, le ragioni della drammatica situazione in cui vivono i pendolari nel nostro Paese sono chiare. I treni innanzitutto risultano essere sono troppo vecchi. In Italia attualmente sono circa 3.300 i treni in servizio nelle regioni con convogli di età media pari a 18,6 anni, con differenze però rilevanti da regione a regione. In secondo luogo i treni risultano essere troppo pochi. Dal 2010 a oggi, complessivamente, si possono stimare tagli pari al 6,5 per cento del servizio ferroviario regionale proprio quando nel momento di crisi è aumentata la domanda di mobilità alternativa più economica rispetto all'auto, anche se con differenze tra le diverse regioni;
    tra il 2010 e il 2015 il taglio ai servizi ferroviari è stato pari al 26 per cento in Calabria, 19 per cento in Basilicata, 15 per cento Campania, 12 per cento in Sicilia;
    inoltre, il maggior aumento del costo dei biglietti è stato in Piemonte con +47 per cento mentre è stato del 41 per cento in Liguria e del 25 per cento in Abruzzo e Umbria, a fronte di un servizio che non ha avuto alcun miglioramento;
    il trasporto pendolare dovrebbe rappresentare una priorità delle politiche di Governo, sia perché risponde a una esigenza reale e diffusa dei cittadini, sia perché, se fosse efficiente, spingerebbe sempre più persone ad abbandonare l'uso dell'auto con vantaggi ambientali, climatici e di vivibilità delle nostre città;
    ad oggi, tuttavia, un cambio di rotta delle politiche di mobilità ancora non si vede. Al contrario degli altri Paesi europei, in Italia negli ultimi 20 anni neanche un euro è stato investito dallo Stato per l'acquisto di nuovi treni. Alcune regioni hanno fatto investimenti attraverso i contratti di servizio, altre più virtuose, individuando risorse nel proprio bilancio o orientando in questa direzione i fondi europei. In assenza di una regia nazionale ci si trova sempre di più di fronte a un servizio di serie A, per i treni ad alta velocità, di serie B nelle regioni che hanno individuato risorse per evitare i tagli, e di serie C nelle altre regioni;
    il trasporto ferroviario italiano conta treni troppo vecchi, lenti e lontani dagli standard europei di frequenza delle corse. Negli ultimi dieci anni sono stati realizzati alcuni interventi per la sostituzione del materiale rotabile, ma ciò non basta assolutamente. Perché occorre aumentare il servizio con nuovi treni, a partire dalle linee più frequentate e smettere immediatamente di attuare politiche fondate sui tagli agli investimenti per il trasporto pubblico locale e ferroviario;
    l'unico aspetto positivo che riguarda la drammatica situazione in cui versano i pendolari in Italia si trova a pagina 450 del PNR ove si legge, e ciò probabilmente a seguito della mozione integralmente approvata dal Parlamento presentata dal Gruppo Sinistra Italiana che si sta valutando la possibilità di introdurre misure innovative per sostenere l'uso del mezzo pubblico attraverso la detrazione fiscale degli abbonamenti e agevolazioni fiscali per le spese sostenute dai datori di lavoro a favore dei dipendenti e di loro familiari per l'utilizzo del servizi TPL. Ma siamo ancora alle valutazioni;
    a tutto questo fa da contraltare la circostanza che gli investimenti in mezzi di trasporto 2015 + 19,7 per cento e 2016 + 14,3 per cento. Sono dati che poi rientrano (2017 + 2,4 per cento) ma che indicano chiaramente come la ripresina italiana alla fine sia stata trainata dagli acquisti di auto... con buona pace dei nuovi modelli di consumo;
    con riferimento al trasporto aereo nell'allegato contenente le «Strategie per le infrastrutture di trasporto e logistica» il risultato che si intende conseguire è quello di un miglioramento dell'efficienza nel trasporto aereo nell'ambito della strategia riguardante la valorizzazione del patrimonio esistente. Sono delineate pertanto le direttrici, attuative del Piano nazionale sopra ricordato, su cui fondare le condizioni di uno sviluppo organico del settore con l'obiettivo principale di favorire la specializzazione degli aeroporti e superare la conflittualità fra aeroporti prossimi incentivando la costituzione di sistemi e reti aeroportuali;
    il Fondo Speciale per il Trasporto Aereo (FSTA) è stato istituito dall'articolo 1-ter del decreto-legge n. 249 del 2004 convertito dalla legge n. 291 del 2004. In base alla legge istitutiva, il Fondo ha il fine di intervenire in casi di crisi di aziende del settore del trasporto aereo, per erogare specifici trattamenti a favore di lavoratori interessati da riduzioni dell'orario di lavoro, da sospensioni temporanee dell'attività lavorativa o da processi di mobilità; finanziare programmi formativi di riconversione o riqualificazione, tale istituto venne introdotto per gestire importanti vertenze come quella Alitalia e di altre primarie aziende del settore aereo-aeroportuale: una successione di interventi mirati, in assenza di una crisi del comparto, ad espellere personale a più alto costo per sostituirlo con personale senza diritti, precario e con salari inferiori. Il FSTA consente ai lavoratori del comparto aereo-aeroportuale di beneficiare di un trattamento integrativo affinché, ad esempio, alla indennità di mobilità e a quella di Cigs possa essere aggiunta una prestazione che porti l'indennizzo percepito dal lavoratore fino all'80 per cento della retribuzione dell'anno precedente alla sospensiva stessa o al licenziamento. Tale prestazione del FSTA è quindi sostanzialmente integrativa. Nell'ambito della prevedibile trasformazione del FSTA in fondo di solidarietà, come sancito dalla Riforma Fornero, ad agosto del 2014 sono stati stipulati degli accordi al Ministero del Lavoro, tra le OO.SS. maggiormente rappresentative del settore e le associazioni datoriali del comparto, per l'erogazione di una prestazione che prolungasse, al termine della indennità di mobilità, il sostegno al reddito dei lavoratori licenziati dopo il luglio del 2014 stesso. Tale prestazione, non più solo integrativa, ma di fatto «sostitutiva» degli ammortizzatori sociali avrebbe dovuto assicurare un sostegno ai lavoratori licenziati, a partire da coloro che a fine 2015, cioè ad 1 anno dall'espulsione dal lavoro, avendo un'età anagrafica inferiore ai 40 anni, sarebbero rimasti senza alcun sostegno economico;
    in realtà a tutt'oggi sono diverse centinaia i lavoratori licenziati dopo luglio 2014 che, pur avendo terminato la indennità di mobilità, non percepiscono la prestazione prevista e annunciata negli stessi accordi sindacali propedeutici al licenziamento, nonché citata negli accordi conciliativi sottoscritti da alcuni dipendenti interessati dalle procedure di licenziamento collettivo attivate dalle società del comparto aereo-aeroportuale;
    tale disastroso ritardo nell'attivazione della prestazione sarebbe stato determinato da un rinvio dell'approvazione del decreto interministeriale di conversione del FSTA in fondo di solidarietà: una trasformazione obbligatoria per consentire l'intervento di prestazioni che non siano solo integrative ma di fatto sostitutive degli ammortizzatori sociali;
    se non verrà convertito urgentemente il FSTA in fondo di solidarietà oltre ai lavoratori sotto ai 40 anni di età, presto rimarranno senza reddito anche i lavoratori di età anagrafica compresa tra i 40 ed i 50 anni, che entro la fine del 2016 termineranno l'indennità di mobilità;
    con riferimento all'attuazione dell'Agenda digitale che, come riportato nel Programma nazionale di riforma ha un orizzonte quinquennale (2015-2020) definito, nel marzo 2015, dalla Strategia italiana per la banda ultralarga e dalla Strategia italiana per la crescita digitale, il DEF 2016 da semplicemente conto dei principali interventi programmati in tale ambito. Viene definita, a tale proposito, prioritaria l'approvazione del decreto legislativo contenente il nuovo codice dell'amministrazione digitale (in attuazione di quanto previsto dall'articolo 1, comma 1, della legge n. 124 del 2015). Tra gli interventi già in essere e di cui è prevista l'implementazione è ricordato il decreto legislativo n. 33 del 2016 volto a semplificare le modalità di utilizzo delle infrastrutture fisiche per la realizzazione delle reti a banda ultralarga e a favorire la realizzazione del «catasto delle infrastrutture» individuato quale strumento essenziale per lo sviluppo della banda ultralarga nella citata Strategia;
    quanto agli ulteriori interventi previsti si tratta principalmente di sviluppi di iniziative concernenti le attività previste per l'implementazione dell'Agenda digitale già definiti negli anni precedenti ma non ancora attuati e nelle more di tale situazione l'Italia continua a posizionarsi tra gli ultimi Paesi per crescita digitale e diffusione della banda larga e ultralarga,

impegna il Governo:

   a cambiare l'orizzonte delle sue politiche economiche – abbandonando le politiche di austerità – rimettendo al centro delle sue scelte un impianto di politiche espansive e non restrittive, fondate sugli investimenti pubblici, sulla progressività del sistema fiscale, il lavoro, nella istruzione, ricerca ed innovazione, un nuovo modello di sviluppo fondato sulla sostenibilità ambientale, la qualità sociale, i diritti, il disarmo;
   a farsi promotore di un'iniziativa nell'Unione europea e nell'Unione Monetaria per la revisione dei trattati (Fiscal compact, eccetera), relativamente ai parametri e ai vincoli legati alla riduzione del debito, del rapporto deficit-PIL, eccetera e contemporaneamente a farsi promotore di un'iniziativa nell'Unione europea per una politica fiscale ed economica comune, anche con la promozione di eurobond finalizzati ad abbattere il debito e promuovere la crescita;
   a prendere tutte le iniziative necessarie volte a rivedere il principio del pareggio di bilancio, prendendo se necessario, tutte le iniziative legislative necessarie;
   a destinare tutte le risorse necessarie per rispettare gli obiettivi della strategia Europa 2020; soprattutto relativamente agli obiettivi europei in materia di istruzione, innovazione e ricerca, occupazione;
   a introdurre, già a partire dalla presentazione della Nota di aggiornamento al DEF 2016, l'utilizzo di «indicatori di benessere», per valutare l'impatto sociale, ambientale e di genere delle politiche economiche in modo da adeguare le scelte di spesa pubblica agli obiettivi individuati;
   a recuperare le necessarie risorse per realizzare una manovra di finanza pubblica diversa:
    1) utilizzando tutto lo spazio esistente del rapporto deficit-PIL consentito dai Trattati portando l'indebitamento netto ad un valore vicino al 3 per cento, permettendo così di liberare risorse non inferiori a 8 miliardi di euro;
    2) ricavando non meno di 5 miliardi di euro da una riorganizzazione delle tax expenditures facendo tesoro del lavoro commissionato dal Ministero dell'economia e delle finanze al Dott. Vieri Ceriani che nell'ambito del proprio rapporto sull'erosione fiscale del 22 novembre 2011 aveva individuato il valore politico e l'impatto sociale di ogni singola agevolazione ivi prevista e, in particolare, avendo riguardo a un gruppo di 4 agevolazioni la cui totale abrogazione comporterebbe risparmi per oltre 10 miliardi di euro, ovverosia: a) l'imposta sostitutiva sui maggiori valori attribuiti in bilancio, all'avviamento, ai marchi di impresa e ad altre attività (n. 224 – 6.402 milioni di euro); b) l'imposta sostitutiva sui maggiori valori attribuiti in bilancio agli elementi dell'attivo costituenti immobilizzazioni materiali e immateriali (n. 230 – 1.030 milioni di euro); c) l'imposta sostitutiva con aliquota del 20 per cento per le plusvalenze realizzate all'atto del conferimento di immobili e di diritti reali su immobili in SIIQ, in SIINQ oppure in fondi comuni di investimento immobiliare (n. 239 – 481,6 milioni di euro); d) l'applicazione dell'imposta sostitutiva in luogo delle imposte di registro, di bollo, ipotecaria e catastale e tassa sulle concessioni per le operazioni concernenti il settore del credito (n. 482 – 2.225 milioni di euro). Inoltre, si impegna il Governo ad astenersi nel modo più assoluto dall'intento di ridurre le agevolazioni fiscali socialmente più impattanti che comportino un aggravio di spese nei confronti delle fasce di popolazione più deboli, nonché a confermare le agevolazioni recentemente previste dalla legge di stabilità 2016 sotto forma di credito d'imposta per il Mezzogiorno riservate alle imprese che acquistano beni strumentali nuovi;
    3) ricavando un gettito aggiuntivo di 3,5 miliardi dalla Tobin tax, recentemente riportata alla ribalta nell'ambito del dibatto europeo, considerato che la tassa sulle transazioni finanziarie varata dalla ultima legge di stabilità del Governo Monti risulta essere assolutamente «light», poiché vengono tassate le transazioni finanziarie relative a poco più del 3 per cento delle azioni e solamente il «saldo di fine giornata». Tassando le transazioni di tutti i prodotti finanziari (derivati, sdo, eccetera) e tassando – anche con una modestissima aliquota dello 0,01 per cento – le singole operazioni di natura speculativa e non solo il «saldo di fine giornata», si potrebbero recuperare almeno 3,5 miliardi di euro;
    4) recuperando oltre 6 miliardi di euro attraverso il definanziamento delle risorse destinate al programma di acquisizione e costruzione dei cacciabombardieri F35, il programma di sviluppo delle unità navali FREEM e la realizzazione delle grandi opere come il TAV Torino-Lione e il MOSE;
    5) ottenendo oltre 5 miliardi di gettito dall'introduzione di una patrimoniale sulle ricchezze finanziarie e la riforma delle norme che regolano l'imposta di successione e donazione. Dai dati attualmente disponibili l'ammontare delle ricchezze finanziarie – escluse quelle immobiliari – detenute da società famiglie e singoli corrisponde a 3.500 miliardi di euro. Quelle superiori a 1 milione di euro risulterebbero in mano ad una fascia ristrettissima della popolazione (non più del 5 per cento). Escludendo la fascia sotto il milione di euro con un'imposizione aggiuntiva minima (su rendite, azioni, eccetera) dello 0,5 per cento si potrebbero recuperare ben più di 5 miliardi di euro;
    6) ricavando risorse dall'applicazione delle misure di contrasto all'evasione dell'iva proposte dal centro studi NENS quali la comunicazione telematica all'amministrazione fiscale dei dati relativi alle fatturazioni che è cosa diversa dalla fatturazione elettronica. Tale sistema consentirebbe di verificare automaticamente e in tempo reale le posizioni a debito e quelle a credito, consentendo di intervenire con efficacia nei casi di incongruenze. In riferimento al citato studio una stima prudenziale indica un recupero di gettito superiore ai 10 miliardi all'anno (in considerazione del recupero IVA e imposte sui redditi). Poiché l'introduzione della comunicazione telematica delle fatturazioni richiede tempo per essere generalizzata, nell'immediato va introdotta la trasmissione telematica dei dati delle fatture ai fornitori. Si tratta di una misura più circoscritta. L'obbligatorietà della comunicazione telematica dei dati delle fatture potrebbe inizialmente essere richiesta soltanto a una parte dei contribuenti, come la grande distribuzione;
    7) rivedendo sensibilmente le norme contenute nella Legge di Stabilità 2016 relative all'innalzamento della soglia del contante a 3.000 euro, nonché quelle che prevedono per il 2017 una diminuzione dell'aliquota IRES al 24% che corrisponde ad una diminuzione ingiustificata ed in maniera generalizzata dell'imposta sui profitti: in buona sostanza un vero e proprio regalo alle imprese il cui gettito poteva essere meglio orientato ad altri scopi;
    8) interrompendo la politica dei tagli indiscriminati da spending review nei confronti dei Ministeri, delle Regioni e degli enti locali alla luce dei riflessi disastrosi che questi hanno prodotto in termini di inefficienza dei servizi e conseguenti aggravi e costi nei confronti dei cittadini;
    9) adottando un piano di contrasto alla delocalizzazione fiscale delle imprese e introdurre la digital tax sulle imprese del digitale con sede all'estero;
   a utilizzare queste risorse prioritariamente per:
    adottare un piano straordinario del lavoro, capace di attivare investimenti che possano creare almeno 500.000 nuovi posti di lavoro: piccole opere, lotta al dissesto idrogeologico, messa in sicurezza delle scuole, diffusione delle energie rinnovabili, welfare, recupero e riutilizzo del patrimonio pubblico inutilizzato a fini abitativi, sociali e culturali e per la salvaguardia e la promozione del patrimonio storico-artistico, attivando piano non assistenziale, ma capace di attivare una consistente «domanda di lavoro» grazie all'iniezione di dosi massicce di investimenti pubblici;
    istituire e adottare il reddito di cittadinanza come strumento strutturale, effettivo ed efficace di contrasto alla povertà e di reinserimento nella società, allo scopo di affrontare la povertà e la disoccupazione nonché per garantire un sostegno concreto ai lavoratori che perdono temporaneamente il posto di lavoro,

impegna, inoltre, il Governo:

   in relazione alle politiche per il lavoro, lo sviluppo industriale e il rilancio del Mezzogiorno del Paese:
    all'adempimento della sentenza della Corte costituzionale n. 178/2015 che sancisce il diritto dei lavoratori pubblici al rinnovo dei contratti collettivi nazionali, unico strumento attraverso cui è possibile garantire una crescita delle competenze, l'innovazione e la riqualificazione dell'organizzazione, la qualità dei servizi;
    a destinare al rinnovo dei contratti nel pubblico impiego e del settore metalmeccanico una adeguata dotazione finanziaria tenuto conto che da 8 anni e la previsione è fino al 2019, ai lavoratori della pubblica amministrazione è negato l'adeguamento dei contratti;
    a procedere al superamento del blocco del turn over, in particolare nella settore della sanità, anche attraverso lo stanziamento di congrue risorse economiche;
    a prevedere il finanziamento dell'ottavo intervento finalizzato alla salvaguardia delle lavoratrici e dei lavoratori derivante dagli effetti dei requisiti pensionistici derivanti dall'applicazione della riforma Fornero;
    a risolvere in via definitiva annose questioni relative alla tutela pensionistica dei lavoratori del comparto scuola (Quota 96) e altre categorie di lavoratori come i macchinisti ferrovieri e altri soggetti che svolgono lavori usuranti;
    a garantire che nella definizione dei contenuti di interventi normativi sulla riforma della contrattazione aziendale venga salvaguardata la centralità del primo livello di contrattazione, ovverosia quello nazionale, avendo riguardo alle esperienze maturate negli ultimi anni dalle parti sociali e al testo unico sulla rappresentanza del Gennaio 2014, prevedendo altresì che ai fini dell'esigibilità e dell'efficacia dei contratti aziendali sia garantita la consultazione dei lavoratori interessati;
    ad adottare apposite iniziative normative finalizzate a reintrodurre la cosiddetta «Clausola Ciampi» in forza della quale si prevede un vincolo di destinazione del 45 per cento del totale delle risorse individuate per gli investimenti nel Mezzogiorno;
    a presentare entro una scadenza prefissata un programma nazionale di politica industriale per il Paese e la rinascita del Mezzogiorno, guardando al rafforzamento degli insediamenti esistenti, la valorizzazione dell'industria della trasformazione agricola, per la riunificazione e l'accorciamento delle filiere, nonché il riutilizzo e/o la riconversione di intere aree industriali dismesse, l'insediamento di produzioni ad alto contenuto innovativo, la riconversione ecologica delle produzioni industriali a forte impatto ambientale come l'Ilva di Taranto, valutando al contempo di definire in tempi brevi un piano triennale per il lavoro per il Mezzogiorno nell'ambito di un programma di interventi urgenti ai fini ecologici e social finalizzata all'assunzione di lavoratori da parte di amministrazioni pubbliche e aziende private;
    a introdurre apposite iniziative per riconoscere uno sgravio contributivo per le nuove assunzioni giovanili riservato alle imprese che operano nel Mezzogiorno innalzando a 8.060 euro annui lo sgravio massimo, anziché a 3.250 euro ed estendendolo a tutti i contributi previdenziali e non solo ad una quota pari al 40 per cento come, peraltro, previsto attualmente dalla legge di stabilità 2016 approvata in via definitiva dal Parlamento;
    ad affrontare attraverso specifici interventi il processo di progressivo spopolamento delle aree interne del Mezzogiorno e dell'invecchiamento della popolazione che assume priorità d'azione, con particolare riferimento agli anziani non autosufficienti attraverso la previsione di servizi dedicati;
    ad incrementare i finanziamenti a tasso agevolato nei confronti delle start-up che investono in ricerca e sviluppo nei settori: a) delle energie rinnovabili, del risparmio energetico e dei servizi collettivi ad alto contenuto tecnologico, nonché nell'ideazione di nuovi prodotti che realizzano un significativo miglioramento della protezione dell'ambiente per la salvaguardia dell'assetto idrogeologico e le bonifiche ambientali, nonché nella prevenzione del rischio sismico; b) dell'incremento dell'efficienza negli usi finali dell'energia nei settori civile, industriale e terziario, compresi gli interventi di social housing; c) dei processi di produzione o di valorizzazione di prodotti, processi produttivi od organizzativi ovvero servizi che, rispetto alle alternative disponibili, comportino una riduzione dell'inquinamento e dell'uso delle risorse nell'arco dell'intero ciclo di vita; d) della pianificazione di interventi nell'ambito della gestione energetica, attraverso lo sviluppo di soluzioni hardware e software che consentano di ottimizzare i consumi, e della domotica; e) dello sviluppo di soluzioni per la gestione del ciclo dei rifiuti, con particolare riferimento ai modelli di raccolta, trattamento e recupero, e per la gestione idrica, attraverso la progettazione di strumenti che garantiscano un monitoraggio più attento della rete idrica; f) della progettazione di nuovi sistemi di mobilità ecologici e sostenibili, anche attraverso la definizione di processi che possano ottimizzare la logistica dell'ultimo miglio e le attività di trasporto proprie delle compagnie private in aree urbane, tenendo in considerazione il traffico generato la congestione, l'inquinamento e il dispendio energetico; g) della ideazione di progetti relativi all'introduzione di nuove tecnologie per i servizi di comunicazione al cittadino e alle imprese, in conformità agli obiettivi dell'Agenda digitale e del Piano nazionale della banda larga e ultralarga;
    al fine di un efficace contrasto della contraffazione e di affermazione del «made in Italy» ad attivarsi concretamente in sede di Unione europea al fine dell'adozione in tempi brevi del Regolamento sul «made in» unico strumento efficace di sostegno alle azioni e dei programmi delle produzioni di qualità nel nostro Paese evitando che queste siano rese inattuabili da violazioni in materia di aiuti di stato;
    a individuare adeguate risorse affinché l'Italia raggiunga lo 0,5 per cento del PIL omogeneizzando così la spesa a quella media destinata dai Paesi dell'Unione europea al sostegno al tessuto economico e produttivo, tenuto conto che l'Italia destina solo lo 0,2 per cento del PIL;

   in relazione alle politiche in materia di Scuola, Università e Ricerca:
    a rilanciare, con la massima urgenza, il comparto della ricerca italiana, attraverso l'immediato varo dell'annunciato Programma nazionale per la ricerca 2015-2020 e ad elevare l'attuale spesa per investimenti in Ricerca e Sviluppo ad un livello pari al 3 per cento del PIL, anche al fine di accrescere i livelli di produttività, di occupazione e di benessere sociale del nostro Paese;
    ad abolire dal 2017 il meccanismo di contingentamento delle assunzioni eliminando dalla normativa ogni limitazione del turnover per tutte le figure del mondo universitario e della ricerca pubblica;
    a rilanciare un ampio e pluriennale reclutamento straordinario di nuove posizioni tenured che garantisca la tenuta del sistema universitario italiano e permetta la stabilizzazione nel ruolo di un ampio numero di studiosi attualmente relegati ai margini delle università;
    a riformare il percorso di accesso in ruolo, del pre-ruolo e dello stato giuridico della docenza universitaria;
    ad avviare nella scuola un piano straordinario di assunzioni, che comprenda anche tutti i precari che lavorano da anni nella scuola, gli educatori e il personale ATA, attuato, in primis, grazie allo scorrimento di tutte le graduatorie permanenti, il solo capace di contrastare il fenomeno del precariato storico nella scuola e di evitarne la sua ricostituzione;

   in relazione alle politiche sociali e della salute:
    a prevedere la revisione dell'ISEE e il rimborso alle persone disabili alle quali è stato precluso nel corso del 2015 l'accesso alle prestazioni ovvero sono stati obbligati alla compartecipazione a causa dell'inserimento dei redditi derivanti da assegno di accompagnamento o da pensione di invalidità nel reddito complessivo;
    a invertire le politiche di continui e pesantissimi tagli di risorse alle regioni e degli enti locali per il finanziamento degli interventi di welfare, a cominciare dai Fondi per le politiche sociali, per le politiche della famiglia e per l'infanzia e l'adolescenza;
    a incrementare sensibilmente le risorse da destinare al programma di contrasto alla povertà, al fine di allargare fin da subito la platea dei beneficiari a tutti i soggetti in situazione di povertà assoluta, prevedendo contestualmente un graduale incremento di dette risorse al fine di arrivare a regime a uno stanziamento complessivo a regime di 6-7 miliardi di euro;
    a escludere la prevista «razionalizzazione delle prestazioni di natura previdenziale» dal disegno di legge delega, ora all'esame della Camera;
    a prevedere un incremento delle risorse e un finanziamento pluriennale strutturale, per il rilancio del Piano sviluppo servizi socio educativi per la prima infanzia;
    ad adottare ogni iniziativa volta a escludere dal Patto di stabilità la spesa sociale e a garantire a tutti i cittadini la necessaria assistenza sanitaria pubblica, attraverso un rafforzamento dell'universalità e dell'equità che deve e dovrà contraddistinguere il nostro servizio sanitario nazionale, quale pilastro fondamentale del nostro sistema di welfare, portando la sua incidenza ad almeno il 7,2 per cento del PIL (media europea registrata nel 2013) dal 6,8 per cento registrato nel 2015;
    a rivedere conseguentemente le risorse a favore del sistema sanitario pubblico, che sono previste in riduzione in rapporto al PIL in maniera preoccupante nei prossimi anni;
    a predisporre efficaci iniziative, anche normative, volte a intensificare il contrasto alle frodi e alla corruzione, purtroppo troppo presente in questo settore, nonché alle diseconomie e agli sprechi tutti interni alla sanità, anche al fine di liberare risorse importanti per il finanziamento del nostro Servizio sanitario nazionale;
    a investire maggiormente sulla prevenzione, l'assistenza domiciliare e territoriale soprattutto ad alta integrazione sociale (anziani, salute mentale, disabilità), e sulla razionalizzazione delle reti ospedaliere salvaguardando piccoli presidi in zone disagiate;
    ad avviare le opportune iniziative legislative volte a superare una criticità ormai non più tollerabile, quale quella dell'impossibilità del nostro servizio sanitario a garantire in tutte le strutture sanitarie del Paese, il pieno diritto delle donne all'interruzione volontaria di gravidanza riconosciuto dalla legge n. 194 del 1978;

   in relazione alle politiche abitative:
    ad affrontare in maniera strutturale e programmatica la precarietà abitativa attraverso: a) il finanziamento di un piano strutturale nazionale finalizzato all'aumento dell'offerta di alloggi a canone sociale attraverso il recupero ad uso abitativo del vasto patrimonio immobiliare pubblico inutilizzato a partire da quello del demanio civile e militare, in attuazione di quanto previsto dal comma 1-bis dell'articolo 26 della legge 11 novembre 2014, n. 164; b) al rifinanziamento del fondo contributo affitto di cui all'articolo 11 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, c) all'incremento del fondo nazionale sulla morosità incolpevole; a sostenere ulteriormente il recupero e la riqualificazione anche in termini di risparmio energetico degli immobili di edilizia residenziale pubblica attualmente in degrado e non utilizzabili; d) il riconoscimento delle aziende di gestione di edilizia residenziale pubblica come alloggi sociali esentandoli dal pagamento di IMU e TASI;

   in relazione alle politiche per la giustizia e le riforme:
    ad attuare, infine, nel corso della legislatura, le seguenti indispensabili riforme:
    a sostenere la rapida approvazione definitiva di una legge efficace per contrastare i conflitti di interessi;
    a ripristinare e rafforzare il controllo di legalità in tutto il ciclo economico pubblico e privato in cui tracciabilità e prescrizione sulla regolarità dei procedimenti siano assunti come punti di forza nella lotta alle mafie (norme più incisive in tema di anticorruzione, riforma del codice degli appalti per contrastare l'infiltrazione mafiosa, maggior trasparenza nel finanziamento della politica, reintroduzione del reato di falso in bilancio), abrogando le leggi che premiano i comportamenti non virtuosi, quali i condoni e l'elusione fiscale, nonché la legge cosiddetta «ex-Cirielli» che, tra gli effetti negativi introdotti nel sistema, ha anche accorciato i tempi di prescrizione per gravi reati;
    a rinforzare gli strumenti di prevenzione, controllo, incentivare la celerità dei processi, nonché le misure alternative alla detenzione;
    a promuovere concrete misure a tutela e sostegno delle vittime dei reati;
    a procedere ad interventi incisivi sulla struttura e i tempi del processo civile, rinforzando inoltre strumenti di mediazione non obbligatoria e di risoluzione stragiudiziale delle controversie;
    a sostenere la rapida approvazione delle proposte di legge attualmente in discussione in parlamento tesi ad una diversa regolamentazione della Cannabis, in particolare per la sua legalizzazione;
    a sostenere la ripresa della discussione e l'approvazione delle proposte in tema di omofobia e di introduzione del reato di tortura, il cui iter ormai è fermo da tempo in Senato.
    a intervenire per mantenere le specializzazioni delle diverse forze di polizia;
    a garantire la presenza dello Stato sui territori, con prefetture e Camere di commercio;
    a intervenire per un sistema della portualità che tenga conto delle specificità e potenzialità dei territori;

   in relazione alle politiche migratorie e di difesa;
    a chiudere Centri di Identificazione ed Espulsione (Cie), dei Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo (Cara) e a ridurre progressivamente il sistema di accoglienza straordinario a vantaggio di quello ordinario (Sprar – Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) che va potenziato attraverso nuovi stanziamenti e a dare risorse aggiuntive agli interventi di inclusione sociale e lavorativa dei migranti e rifugiati, fortemente ridimensionati negli anni futuri dal DEF e a stanziare maggiori risorse per i centri di accoglienza per minori stranieri non accompagnati;
    a stanziare risorse idonee per affrontare l'emergenza sociale che si determina sui territori sede degli hotspot, allorquando devono affrontare la gestione dei migranti raggiunti da provvedimenti di respingimento differito e lasciati sul territorio comunale senza mezzi economici e a supportare in questo senso l'impegno dei comuni e degli altri enti locali;
    a proseguire nella riforma delle FFAA prevedendo il rispetto di quanto già previsto nell'equilibrio di bilancio: 50 per cento personale; 25 per cento investimenti; 25 per cento esercizio, tenendo conto che attualmente all'esercizio viene destinato soltanto il 9 per cento;
    a portare il livello degli effettivi delle Forze armate a 150.000 unità (riconvertendo tale forza lavoro) entro un paio di anni anche alla luce che lo schema di decreto in discussione in commissione difesa non porterà alcun risparmio in riferimento alla riduzione dell'organico dove si prevede: l'allargamento dell'ausiliaria e dell'aspettativa per riduzione quadri; il transito del personale militare negli organici civili con il mantenimento del trattamento economico pregresso;
    a eliminare quindi l'istituto dell'ausiliaria per sradicare un vero e proprio privilegio ormai incompatibile con la normativa vigente in tema di previdenza e allo stesso tempo producendo un robusto risparmio immediato di spesa;
    a ridurre l'investimento per i Programmi d'armamento a partire dalla immediata cancellazione dei fondi dello Sviluppo economico attualmente messi a disposizione della Difesa;
    a proporre una legge nazionale per la riconversione dell'industria militare con la costituzione di un Fondo per sostenere le imprese impegnate nella riconversione da produzioni di armamenti a produzioni civili;

   in relazione alle politiche per l'edilizia scolastica, ambientali ed energetiche:
    a incrementare le risorse per la messa in sicurezza e l'efficientamento energetico degli edifici scolastici;
    a varare un serio programma pluriennale per la messa in sicurezza del nostro territorio, attraverso lo stanziamento di adeguate risorse finanziarie rinvenibili anche dalla riallocazione degli importi attualmente stanziati per opere infrastrutturali non necessarie e non più prioritarie;
    a rivedere radicalmente la «Strategia energetica nazionale», alla luce degli impegni presi a Parigi in sede di COP21, in modo da accelerare il superamento delle fonti fossili e la decarbonizzazione dell'economia, promuovendo in tal senso un piano nazionale di riconversione ecologica ed energetica;
    ad avviare un programma di rapida riduzione dei sussidi diretti e indiretti alle fonti fossili e ad anticipare al 2016 la definizione del provvedimento legislativo, cosiddetto Green Act contenente misure finalizzate alla decarbonizzazione dell'economia, all'efficienza nell'utilizzo delle risorse, alla protezione e al ripristino degli ecosistemi naturali e alla finanza per lo sviluppo. Azioni strategiche anche per il sistema produttivo dell'Italia;

   in relazione alle politiche per le infrastrutture, i trasporti e le comunicazioni:
    a presentare il Piano Generale dei Trasporti e adottare finalmente scelte coraggiose e mirate in termini di mobilità urbana ed extraurbana, a partire dallo stanziamento di maggiori risorse per arrivare a 5.000.000 di cittadini trasportati ogni giorno nel 2020, portando il trasporto ferroviario agli stessi standard qualitativi europei;
    ad attivarsi al fine di garantire il diritto alla mobilità con collegamenti ferroviari efficienti al Nord come al Sud tra i principali capoluoghi, integrati con il sistema di porti e aeroporti, ponendo in essere ogni iniziativa di competenza finalizzata ad impedire il perdurante taglio dei collegamenti ferroviari, avviando un'azione di monitoraggio sulla rete pubblica affidata in concessione a Rete ferroviaria italiana finalizzata ad un ripensamento degli investimenti indispensabili ad aumentare la velocità dei collegamenti che parta innanzitutto dalla necessità di valorizzare la presenza di treni pendolari rispetto a quelli a mercato nella definizione delle tracce;
    ad attivarsi al fine di avviare un programma decennale di investimenti che preveda almeno 300 milioni di euro di risorse statali l'anno per l'acquisto di treni regionali;
    a realizzare concretamente politiche relative alla mobilità mettendo al centro gli utenti della mobilità, assumendo iniziative, in conformità con quanto previsto nel DEF 2016, per ripristinare il finanziamento di alcune norme introdotte durante il Governo Prodi nell'ambito della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008) e non più rifinanziate dai successivi Governi che prevedono la possibilità di portare in detrazione le spese sostenute per l'acquisto dell'abbonamento annuale ai servizi di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale;
    a rivedere l'orientamento a favore della decisione per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina;
    a intervenire per approvare in tempi rapidissimi per ogni provvedimento necessario alla definitiva trasformazione del FSTA in fondo di solidarietà, condizione necessaria per il ripristino della prestazione del FSTA ai lavoratori del trasporto aereo;
    a varare iniziative che incoraggino l'uso della banda ultralarga – aree rurali e montane comprese – e l'accelerazione di un'offerta di nuovi servizi digitalizzati ai cittadini, con particolare riferimento ai processi di alfabetizzazione digitale della popolazione, nonché a definire in via definitiva il contesto regolamentare all'interno del quale si muove, e si muoverà, lo sviluppo della banda ultralarga, definendo le tariffe di accesso alle infrastrutture finanziate nelle aree a fallimento di mercato e monitorando l'effettivo sviluppo delle reti pubbliche;
    a garantire un'adeguata copertura su tutti i cluster stabiliti dal Piano nazionale per la banda ultralarga ed istituire un meccanismo di monitoraggio relativo allo stato di avanzamento della realizzazione delle infrastrutture a banda ultra larga attraverso la posa della fibra da parte dei soggetti coinvolti.
(6-00245) «Marcon, Melilla, Scotto, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Claudio Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Martelli, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti, Zaccagnini».


RELAZIONE CONSUNTIVA SULLA PARTECIPAZIONE DELL'ITALIA ALL'UNIONE EUROPEA PER L'ANNO 2015 (DOC. LXXXVII, N. 4)

Doc. LXXXVII, n. 4 – Risoluzioni

RISOLUZIONI

   La Camera,
   considerato che:
    la Relazione consuntiva annuale rappresenta, secondo l'impianto della legge n. 234 del 2012, il principale strumento per l'esercizio della funzione di controllo ex post del Parlamento sulla condotta del Governo nelle sedi decisionali dell'Unione europea, consentendo al Parlamento di verificare se e in quale misura il Governo si sia attenuto all'obbligo – previsto dall'articolo 7 della medesima legge – di rappresentare a livello europeo una posizione coerente con gli indirizzi espressi dalle Camere in merito a specifici atti o progetti di atti;
    la Relazione consuntiva per l'anno 2015 presenta una struttura complessivamente coerente con le previsioni legislative di cui all'articolo 13, comma 2, della citata legge n. 234 del 2012, illustrando la linea politica di azione seguita dal Governo sui principali dossier esaminati nelle sedi decisionali europee, ed evidenziandone in diversi casi l'evoluzione a fronte di profili di criticità del negoziato;
    la Relazione è stata trasmessa dal Governo alle Camere il 15 marzo scorso, in adempimento degli obblighi previsti all'articolo 13 della legge n. 234 del 2012, consentendo al Parlamento di svolgere un esame efficace ed una verifica puntuale delle indicazioni contenute nel documento;
    la Relazione richiama gli atti di indirizzo adottati dalla Camera e al Senato con riferimento a specifici progetti o questioni, sebbene non in tutti i casi sia precisato in quale misura essi siano stati tenuti in considerazione nella formazione della posizione italiana, limitandosi ad un generico richiamo alla coerenza della posizione del Governo con le raccomandazioni adottate in sede parlamentare;
    l'allegato IV della Relazione presenta due apposite tabelle contenenti gli estremi dei seguiti dati dal Governo agli atti di indirizzo parlamentare, includendo anche le risoluzioni approvate dal Senato e dalla Camera in occasione dei Consigli europei svoltisi nel 2015; ciò agevola la verifica della coerenza complessiva dell'azione europea del Governo con gli orientamenti del Parlamento, in accoglimento di quanto richiesto dall'Assemblea della Camera dei deputati con la risoluzione n. 6/00151, approvata il 2 luglio 2015 nell'ambito dell'esame delle Relazioni consuntive per il 2013 e il 2014;
   rilevato che nel corso dell'esame della Relazione presso le Commissioni parlamentari permanenti, sono emerse le seguenti indicazioni:
    nell'ambito delle politiche economiche, l'esigenza di porre al centro dell'agenda europea il rilancio della crescita e dell'occupazione in Europa, utilizzando appieno tutti gli strumenti necessari per realizzare gli investimenti strategici, nonché applicando con intelligenza i meccanismi sulla flessibilità di bilancio, nella prospettiva di rafforzare e completare realmente l'Unione Economica e Monetaria;
    l'opportunità di riavviare uno stabile processo di crescita economica e sociale, quale condizione indispensabile per ripristinare un ampio consenso europeo sulla positività storica dell'esperienza dell'Unione e per riavvicinare effettivamente i cittadini alle istituzioni della UE;
    la necessità di perseguire una serie di ambiziosi obiettivi di politica economica, quali in primo luogo la convergenza strutturale delle economie, il completamento dell'Unione finanziaria, la promozione di una politica fiscale responsabile, il contrasto alla frode, all'evasione ed all'elusione fiscale, al fine di sostenere in primo luogo la ripresa dell'economia reale e legale;
    in tema di politica di sicurezza e di difesa comune, la necessità di migliorare – a fronte della complessità del quadro geopolitico internazionale – le capacità di pianificazione e condotta a livello strategico, integrando le componenti civili e militari per la gestione delle crisi e l'esigenza di un incremento dell'efficacia degli attuali strumenti a disposizione della Politica di Sicurezza e Difesa Comune (PSDC);
    l'auspicio che siano favorite, di concerto con gli altri Paesi Membri dell'Unione europea, le condizioni politiche e tecniche necessarie per l'avvio di missioni nell'ambito della Politica Estera di Sicurezza e Difesa dell'Unione Europea secondo le modalità previste dagli articoli 42, 43, 44 e 46 del Trattato sull'Unione europea;
    l'apprezzamento, in tema di politica estera, per l'adozione nel corso del 2015 della nuova Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile, cui l'Italia ha contribuito fattivamente nel corso del processo negoziale, in particolare riallineando su una posizione comune i 28 Paesi membri dell'Unione europea, nonché per l'impegno dell'Italia diretto a favorire la stabilizzazione e la democratizzazione del proprio vicinato strategico, a promuovere un approccio integrato per i fenomeni migratori in atto, nonché a proseguire l'azione italiana in tema di cooperazione allo sviluppo e di aiuto umanitario;
    con riferimento al processo di integrazione europea e alle politiche istituzionali, l'esigenza di rafforzare ulteriormente il coordinamento tra le diverse amministrazioni nazionali, sia per quanto riguarda la fase ascendente degli atti dell'Unione europea, sia per quanto concerne il contenzioso in atto presso la Corte di giustizia dell'Unione europea, anche al fine di migliorare il tasso di trasposizione nell'ordinamento italiano delle direttive riguardanti il mercato interno (cosiddetto scoreboard del mercato interno), nonché di ridurre ancora il numero di infrazioni comunitarie pendenti nei confronti dell'Italia;
    la necessità di attuare, in ambito culturale, precise politiche di diffusione della conoscenza degli strumenti operativi e finanziari delle istituzioni europee e dei risultati conseguiti, anche in attuazione di quanto stabilito dall'articolo 167 del Trattato sul funzionamento dell'UE in materia di cultura, considerato che l'attuale crisi delle istituzioni dell'Unione dipende dalla circostanza che presso di esse si concentra un sapere tecnico, scollegato però dal potere di controllo istituzionale e di influenza dell'opinione pubblica dei Paesi membri, determinando un'insufficiente consapevolezza dei modi di formazione dell'indirizzo politico comunitario;
   richiamate infine le osservazioni emerse nel corso dell'esame del Documento in sede referente, riguardanti la necessità di destinare adeguate risorse al Programma Erasmus, che costituisce uno strumento culturale fondamentale per lo sviluppo dell'identità europea, nonché – più in generale – la necessità di sviluppare politiche di diffusione della conoscenza della struttura e del funzionamento delle Istituzioni europee, come anche della storia comparata dei Paesi dell'Unione, in considerazione del fatto che solo una adeguata e costante attenzione su tali aspetti – cui peraltro è dedicato il Titolo XIII del Trattato sul funzionamento dell'UE – può consentire di contrastare le spinte populistiche che rischiano di mettere in pericolo il progetto europeo,

impegna il Governo:

   ad assicurare che le prossime Relazioni consuntive sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea diano adeguatamente e specificamente conto del seguito dato dal Governo agli atti di indirizzo delle Camere adottati con riferimento a specifici progetti o questioni, precisando in quale misura essi siano stati tenuti in considerazione nella formazione della posizione italiana;
   a riferire regolarmente ai competenti organi parlamentari sul seguito dato agli atti di indirizzo approvati dalle Camere in merito alla formazione delle politiche e della normativa dell'Unione europea, come stabilito dall'articolo 7 della legge n. 234 del 2012;
   a proseguire con decisione l'azione diplomatica – in coerenza con quanto delineato nella suddetta Relazione circa le politiche orizzontali e settoriali e in aderenza agli indirizzi di cui Risoluzioni parlamentari – con particolare riguardo alla dimensione esterna alla Ue e alla crisi sistemica dei flussi migratori, mediante la piena applicazione delle misure concordate, improntate a criteri solidaristici fra gli Stati e al rispetto dei trattati dell'Unione, per accelerare accordi di cooperazione mirata e rafforzata con i paesi terzi per un rafforzato impegno dell'Unione europea in favore del programma cosiddetto di «migration compact»;
   a farsi promotore presso le Istituzioni europee di specifiche azioni mirate ad incentivare la formazione della coscienza e della cittadinanza europea.
(6-00232) «Bergonzi, Buttiglione, Capua, Sberna, Berlinghieri, Michele Bordo, Camani, Locatelli».


   La Camera,
   premesso che:
    la Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea riferita all'anno 2015 (Doc. LXXXVII, n. 4) è stata trasmessa dal Governo alle Camere il 15 marzo scorso, in adempimento degli obblighi previsti all'articolo 13 della legge n. 234 del 2012;
    in base a tale disposizione, la relazione è trasmessa alle Camere, entro il 28 febbraio di ogni anno, «al fine di fornire al Parlamento tutti gli elementi conoscitivi necessari per valutare la partecipazione dell'Italia all'Unione europea» nell'anno precedente;
    in merito all'esame della relazione consuntiva per il 2014 il giudizio politico rispetto al risultati conseguiti dal Governo è stato negativo, con particolare riferimento al semestre di Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea. La Presidenza italiana dell'Unione europea ha prodotto un risultato nullo e non ha inciso in alcun modo sulle questioni relative alla crescita e allo sviluppo delle politiche comunitarie, né sulla gestione delle emergenze che l'Unione europea si è trovata ad affrontare;
    anche nel corso del 2015, il Premier italiano ha continuato a partecipare al Consiglio europeo senza influire concretamente sulle decisioni chiave dell'Unione e senza capacità di esercitare una proposta o una mediazione sul nodo decisivo della governance dell'UE, dove i singoli Paesi continuano a far valere i loro interessi in senso disgregativo, privi della forza e della visione di una vera Europa, quale quella che avevano immaginato i padri fondatori;
    la stessa Relazione, nel recare in linea generale l'indicazione della linea politica di azione seguita dal Governo sui principali dossier esaminati nelle sedi decisionali europee, evidenzia in diversi casi i profili di criticità dei vari negoziati;
    la governance dell'area euro sembra sempre più orientata verso l'unione economica, bancaria e di bilancio, senza una progressione parallela dell'unione politica, per cui aumentano i controlli europei e cresce la forza di una burocrazia comunitaria sempre più invadente, senza il necessario controbilanciamento politico e, quindi, democratico;
    la questione migratoria rappresenta ancora oggi un problema che l'Unione europea non ha mai affrontato in maniera seria, approfondita e risolutiva. Anche nel corso del 2015, l'Europa ha colpevolmente dato priorità alle questioni relative alla frontiera Est, dimostrando cecità nel mancato coinvolgimento della Russia quale alleata preziosa per pacificare i Paesi del Mediterraneo, continuando ad insistere sulle sanzioni, controproducenti per la convivenza pacifica e dannose per l'economia e le imprese anzitutto del nostro Paese;
    l'Italia, per la sua posizione geografica, porta d'ingresso in Europa, è da anni meta di un forte e continuo flusso migratorio, ed è stata spesso abbandonata a se stessa nella gestione di operazioni assai onerose (rivelatesi comunque controproducenti) quali «Mare Nostrum» e «Triton». Anche la missione EUNAVFOR MED riporta risultati comunque limitati dal fatto che non è ancora stata avviata la fase 3 dell'operazione, che prevede la possibilità di arrestare gli scafisti e di sequestrare o affondare le barche direttamente sulle coste di partenza e sullo stesso territorio libico. In buona sostanza, tutte le iniziative e le misure poste in essere fino ad oggi per fronteggiare il fenomeno migratorio non hanno avuto esiti positivi, registrando di fatto il fallimento di una politica europea comune delle migrazioni;
    l'Europa deve inoltre prendere atto dei dati non confortanti che provengono dai numeri effettivi dell'attuazione dei programmi di ricollocazione e dalle misure ancora poco efficaci adottate dalla Turchia nell'ambito del Piano d'azione che tale Stato terzo ha convenuto con l'UE, segnatamente nei settori dell'accesso al mercato del lavoro turco da parte dei rifugiati e della condivisione di informazioni con l'UE;
    in questo anno particolarmente difficile, persino lo spirito di Schengen è stato messo fortemente in discussione soprattutto da quei Paesi, come quelli del Nord Europa, che hanno proposto la sospensione di 2 anni delle disposizioni del Trattato, se non addirittura lo smantellamento dell'intero impianto per la libera circolazione;
    la libera circolazione delle persone all'interno dello Spazio Schengen è una conquista e un valore fondamentale dell'Occidente ed una sua contrazione, se non addirittura eliminazione, comprometterebbe il concetto stesso di Unione europea. Rimane tuttavia sconcertante, da questo punto di vista, la mancanza di una strategia comune dei Paesi dell'area Schengen volta a fronteggiare l'emergenza immigrazione e la conseguente reazione a livello dei singoli Stati: il caso dell'Italia (vedasi ad esempio i casi del ripristino dei controlli a Ventimiglia o al Brennero) in questo senso è emblematico;
    sul tema immigrazione, il Governo italiano non è riuscito ad imporre un'azione coordinata dell'UE, con la previsione di una politica condivisa in materia di asilo e di rimpatri, nonché di interventi contro i trafficanti di persone, in grado di isolare quegli Stati che, per ragioni di potenza regionale, favoriscono, seppure con modalità diverse, i relativi traffici. L'Italia non ha saputo offrire all'Europa quell'impulso decisivo in grado di mettere in campo le misure necessarie per governare un fenomeno altrimenti destinato a creare una frattura indelebile nel patto sociale tra cittadini e Stato europeo, nonché negli equilibri tra gli Stati membri, con conseguenze drammatiche per la stessa tenuta democratica e la convivenza tra Stati;
    per quanto riguarda invece il riferimento al crollo dei mercati borsistici e alla crisi del sistema bancario, va rilevato che nell'introdurre a livello europeo i delicati cambiamenti sul tema delle crisi bancarie, non si è prestata sufficiente attenzione alla fase di transizione; è evidente come in quel caso il nostro Governo in Europa avrebbe dovuto sostenere con forza che un'applicazione immediata e, soprattutto, retroattiva dei meccanismi del bail-in, avrebbe potuto comportare – oltre che un aumento del costo e una rarefazione del credito all'economia – rischi per la stabilità finanziaria. Sarebbe stato quindi preferibile un passaggio graduale e meno traumatico, tale da permettere ai risparmiatori di acquisire piena consapevolezza del nuovo regime e di orientare le loro scelte di investimento in base al mutato scenario;
    il quadro normativo nazionale si è rivelato poi assolutamente confuso e particolarmente oneroso per i risparmiatori; un approccio mirato, con l'applicazione del bail-in solo a strumenti provvisti di un'espressa clausola contrattuale, e un adeguato periodo transitorio, avrebbero consentito alle banche di emettere nuove passività espressamente assoggettabili a tali condizioni;
    la BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive, direttiva n. 2014/59/EU) contiene una clausola che ne prevede la revisione, da avviare entro giugno 2018. È auspicabile che questa occasione sia ora sfruttata, facendo tesoro dell'esperienza, per meglio allineare la disciplina europea con gli standard internazionali;
    più in generale, è bene chiarire che se è vero che non si può essere contrari agli adempimenti degli obblighi che discendono dalla nostra appartenenza all'Unione europea, è altrettanto corretto affermare che è necessario che questi obblighi vadano discussi e cosparsi di maggiore protagonismo del nostro Governo nella fase cosiddetta ascendente, soprattutto quando incidono su diritti intangibili e costituzionalmente garantiti come il diritto al risparmio;
    è quindi indispensabile un cambio di passo, in modo che la ricerca delle soluzioni più adatte per lo sviluppo non sia condizionata dalla preoccupazione di un'ipotetica apertura di una procedura di infrazione, ma dall'esigenza di dare risposte specifiche ed efficaci a cittadini e imprese, ovviamente all'interno di un ragionevole insieme di regole comuni, e con interventi mirati, sin dalla fase di formazione della normativa comunitaria;
    se non riusciamo, come Paese, ad essere protagonisti nella fase ascendente del processo, il recepimento delle disposizioni comunitarie continuerà ad essere una fase «ordinaria» di cui avvertiremo le conseguenze e l'impatto in fasi successive, con il rischio che sia troppo tardi per difendere i nostri cittadini e le nostre imprese da norme che finiscono col danneggiare irrimediabilmente importanti settori dell'economia e della società,

impegna il Governo:

   a rafforzare la posizione negoziale dell'Italia, in particolare attraverso iniziative tese ad aggregare gli interessi dell'area euro mediterranea dell'Unione, ancora soccombenti rispetto alle politiche europee a trazione dei Paesi del Nord Europa;
   a rafforzare la posizione dell'Italia nella fase ascendente del processo di formazione della normativa comunitaria, anche cercando di adattare le disposizioni europee ai diversi contesti territoriali e locali, per non creare ulteriori penalizzazioni per i cittadini, le imprese e per i nostri territori, in particolare nel Mezzogiorno, per i quali è necessario rimuovere progressivamente ogni situazione di svantaggio competitivo;
   ad assumere ogni opportuna iniziativa tesa a progredire nell'unione politica dell'area euro di pari passo con le unioni bancaria, economica e di bilancio, onde evitare il progressivo allontanamento dei cittadini nei confronti delle politiche dell'Ue, e scongiurare una deriva tecnocratica che cancelli, di fatto, lo spirito dell'Europa delle origini, comportando, tra l'altro, la progressiva perdita di sovranità dei singoli Stati nazionali, e quindi a rafforzare la legittimità democratica delle principali istituzioni europee (Parlamento, Consiglio europeo, Consiglio dell'Unione europea, Commissione europea), anche attraverso meccanismi di funzionamento delle istituzioni europee più snelli ed efficaci;
   ad adottare ogni opportuna iniziativa volta a porre al centro dell'agenda europea il rilancio della crescita e dell'occupazione in Europa, utilizzando appieno tutti gli strumenti necessari per realizzare gli investimenti strategici, nonché applicando con intelligenza i meccanismi sulla flessibilità di bilancio, nella prospettiva di rafforzare e completare realmente l'Unione Economica e Monetaria, impostando un'economia europea che, pur non dimenticando una gestione rigorosa e solida dei conti pubblici, privilegi maggiormente la crescita e la creazione di posti di lavoro, riparando i guasti di troppi anni di austerità;
   a promuovere ogni iniziativa necessaria al rafforzamento e al completamento dell'Unione finanziaria, per la promozione di una politica fiscale responsabile, il contrasto alla frode, all'evasione ed all'elusione fiscale, al fine di sostenere in la ripresa dell'economia reale;
   in risposta alla crisi migratoria cui deve far fronte l'UE, ad adottare ogni opportuna iniziativa volta all'implementazione di una politica migratoria europea comune e coerente, che affronti i temi del controllo delle frontiere e della stabilità e sviluppo dei Paesi di origine e di transito, per contenere rapidamente i flussi, proteggere le nostre frontiere esterne, accelerare accordi di cooperazione mirata e rafforzata con i paesi terzi, ridurre la migrazione irregolare e salvaguardare l'integrità dello spazio Schengen, contemplando interventi mirati per contrastare gli scafisti in partenza dalla Libia e dalla Tunisia, unitamente a interventi di carattere umanitario per garantire, a chi ne ha diritto, di ricevere assistenza in Africa e accoglienza in Europa;
   a sollecitare in sede europea una modifica della direttiva sul bail-in, e identificare con precisione le passività bancarie chiamate a sopportare le perdite, escludendo quelle emesse prima dell'entrata in vigore delle nuove norme, per evitare la retroattività di queste ultime, e a predisporre strumenti eccezionali di intervento nel caso in cui si ha percezione che il sacrificio di azionisti e creditori derivante dall'applicazione del bail-in metta a repentaglio la stabilità dell'intero sistema;
   a riferire regolarmente ai competenti organi parlamentari sul seguito dato agli atti di indirizzo approvati dalle Camere in merito alla formazione delle politiche e della normativa dell'Unione europea, come stabilito dall'articolo 7 della legge n. 234 del 2012.
(6-00233) «Occhiuto, Elvira Savino».


   La Camera,
   premesso che:
    da un'analisi approfondita della Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l'anno 2015, si evince che nel Capitolo 11 Agricoltura e Pesca, in relazione al settore oleario, sono stati presentati programmi di sostegno volti al miglioramento della qualità e della tracciabilità degli oli di oliva per il triennio 2015- 2018, in attuazione della normativa europea, e che il Governo si è impegnato in azioni a tutela della qualità e della corretta informazione ai consumatori – aggiungendosi a ciò – la definizione di un nuovo accordo internazionale dell'olio di oliva e delle olive da tavola in ambito COI e che si è operato per la valorizzazione dell'eccellenza degli oli extravergini di oliva italiani e della consapevolezza dei consumatori;
    l'olivicoltura rappresenta al contempo un settore strategico per il compartimento agroalimentare italiano e una realtà fortemente in crisi a causa delle continue minacce al Made in Italy provocate dall'ingresso sul mercato di prodotti stranieri di bassa qualità per effetto dell'aumento del fenomeno della contraffazione e della carenza nella tracciabilità dei prodotti;
    l'Unione europea, contravvenendo alle più elementari norme di tracciabilità e sicurezza alimentare, norme oramai consolidate a livello comunitario, ha recentemente emanato norme che non sono in linea con le disposizioni dell'articolo 7 della legge 14 gennaio 2013, n. 9, recante «Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini», nella parte in cui prevede un termine minimo di conservazione non superiore ai diciotto mesi per l'olio di oliva, termine che potrà essere stabilito da ciascun produttore, con conseguente rischio per la tutela della qualità e della salute dei consumatori;
    l'olio, infatti, con l'invecchiamento comincia a perdere progressivamente quelle tipiche qualità organolettiche che lo caratterizzano (polifenoli, antiossidanti, vitamine) e che sono proprio alla base delle proprietà che lo rendono un alimento prezioso per la salute e quindi, si rende opportuno e necessario mantenere inalterato l'articolo 7 della legge n. 9 del 2013 nella parte riguardante il termine minimo di conservazione (TMC) di 18 mesi e addirittura, sarebbe auspicabile introdurre l'obbligo sia della determinazione dello stato di ossidazione del prodotto al momento del confezionamento, sia dell'introduzione dell'indicazione dell'annata della raccolta, entrambe da redigere in etichetta. Tali interventi impedirebbero lo smaltimento e riciclo di oli vecchi che potrebbero altrimenti giungere in modo fraudolento sulle tavole dei consumatori;
    si deve pertanto esprimere un'opposizione netta nei confronti della norma prevista dal disegno di legge europea 2015 che modifica in peggio l'etichettatura degli oli di oliva, abrogando addirittura quanto stabilito riguardo all'indicazione dell'origine delle miscele di oli di oliva che deve essere stampata con diversa e più evidente e marcata rilevanza cromatica rispetto allo sfondo, differenziandola così dalle altre indicazioni e dalla denominazione di vendita. La necessità ed urgenza di mantenere insieme in vita tali norme è dettata dall'opportunità di salvaguardare le eccellenze dei nostri prodotti agroalimentari, fornendo completa protezione e tutela al consumatore,

impegna il Governo

a promuovere in sede europea ogni azione necessaria alla tutela del settore oleario italiano, a promuovere azioni per una corretta etichettatura di origine degli alimenti e dei prodotti contribuendo così ad aggiungere elementi fondamentali per un consumo consapevole ed informato che tuteli i cittadini e l'economia agricola nazionale.
(6-00234) «Ciracì, Palese, Altieri, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».


   La Camera,
   premesso che:
    da un'analisi approfondita della Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l'anno 2015, si evince che nel Capitolo 11 Agricoltura e Pesca, in relazione al settore oleario, sono stati presentati programmi di sostegno volti al miglioramento della qualità e della tracciabilità degli oli di oliva per il triennio 2015- 2018, in attuazione della normativa europea, e che il Governo si è impegnato in azioni a tutela della qualità e della corretta informazione ai consumatori – aggiungendosi a ciò – la definizione di un nuovo accordo internazionale dell'olio di oliva e delle olive da tavola in ambito COI e che si è operato per la valorizzazione dell'eccellenza degli oli extravergini di oliva italiani e della consapevolezza dei consumatori;
    l'olivicoltura rappresenta al contempo un settore strategico per il compartimento agroalimentare italiano e una realtà fortemente in crisi a causa delle continue minacce al Made in Italy provocate dall'ingresso sul mercato di prodotti stranieri di bassa qualità per effetto dell'aumento del fenomeno della contraffazione e della carenza nella tracciabilità dei prodotti;
    l'olio, infatti, con l'invecchiamento comincia a perdere progressivamente quelle tipiche qualità organolettiche che lo caratterizzano (polifenoli, antiossidanti, vitamine) e che sono proprio alla base delle proprietà che lo rendono un alimento prezioso per la salute e quindi, si rende opportuno e necessario mantenere inalterato l'articolo 7 della legge n. 9 del 2013 nella parte riguardante il termine minimo di conservazione (TMC) di 18 mesi e addirittura, sarebbe auspicabile introdurre l'obbligo sia della determinazione dello stato di ossidazione del prodotto al momento del confezionamento, sia dell'introduzione dell'indicazione dell'annata della raccolta, entrambe da redigere in etichetta. Tali interventi impedirebbero lo smaltimento e riciclo di oli vecchi che potrebbero altrimenti giungere in modo fraudolento sulle tavole dei consumatori,

impegna il Governo

a promuovere in sede europea ogni azione necessaria alla tutela del settore oleario italiano, a promuovere azioni per una corretta etichettatura di origine degli alimenti e dei prodotti contribuendo così ad aggiungere elementi fondamentali per un consumo consapevole ed informato che tuteli i cittadini e l'economia agricola nazionale.
(6-00234)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Ciracì, Palese, Altieri, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».


   La Camera,
   premesso che:
    la Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, introdotta e definita dall'articolo 13 della legge n. 234 del 2012, è il principale strumento fornito al Parlamento per l'esercizio della funzione di controllo ex post sulla condotta del Governo nelle sedi decisionali dell'Unione europea. In particolare la Relazione dovrebbe consentire alle Camere la verifica della coerenza dell'azione del Governo nel rappresentare a livello europeo la posizione del Parlamento in merito a specifici atti o progetti di atti così come esplicitamente previsto dall'articolo 7 della medesima legge. Pertanto la Relazione consuntiva, secondo quanto disposto dal citato articolo 13 della legge n. 234 del 2012, dovrebbe recare un rendiconto dettagliato delle attività svolte e delle posizioni assunte dall'Italia nell'anno precedente, al fine di consentire alle Camere di verificare l'adeguatezza e l'efficacia dell'azione negoziale italiana e la sua rispondenza rispetto agli indirizzi parlamentari;
    la succitata norma definisce il contenuto della Relazione prescrivendo che essa contenga: a) gli sviluppi del processo di integrazione europea, con particolare riguardo alle attività del Consiglio europeo e del Consiglio, alle questioni istituzionali, alla politica estera e di sicurezza comune nonché alle relazioni esterne dell'Unione europea, ai settori della giustizia e degli affari interni e agli orientamenti generali delle politiche dell'Unione; b) la partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'UE e in generale alle attività delle istituzioni europee per la realizzazione delle principali politiche settoriali, con particolare riferimento alle linee negoziali che hanno caratterizzato l'azione italiana; c) l'attuazione in Italia delle politiche di coesione economica, sociale e territoriale, l'andamento dei flussi finanziari verso l'Italia e la loro utilizzazione, con riferimento anche alle relazioni della Corte dei conti europea, accompagnati da una valutazione di merito sui principali risultati annualmente conseguiti; d) il seguito dato e le iniziative assunte in relazione ai pareri, alle osservazioni e agli atti di indirizzo delle Camere;
    la Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea riferita all'anno 2015 (Doc. LXXXVII, n. 4) pur nella complessiva coerenza con il disposto del medesimo articolo 13, comma 2, risulta eccessivamente dispersiva e poco analitica, ponendo in particolare poco attenzione agli sviluppi e al percorso di alcuni dossier di particolare interesse. Tale genericità limita pesantemente la portata innovativa del documento, rendendo estremamente complesso proprio il parallelo tra le indicazioni Parlamentari e l'operato del Governo, che invece dovrebbe essere il suo obiettivo primario;
    le relazioni consuntive sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea analizzano, tra gli altri aspetti, l'iter sulle procedure di infrazione pendenti nei confronti dell'Italia, fornendo alcune informazioni su queste ultime. In tale contesto parrebbe opportuno che il Governo trasmettesse contestualmente alla loro ricezione le informazioni ricevute in merito all'avvio o agli sviluppi delle procedure di infrazione e le procedure di pre-infrazione EU-Pilot agli organi parlamentari competenti per attivare sistematicamente nei confronti delle amministrazioni responsabili le opportune procedure di indirizzo e controllo, in coerenza con il dettato dell'articolo 15 della legge n. 234 del 2012, al fine di permettere al Parlamento di contribuire efficacemente alla sostanziale riduzione delle procedure di infrazione;
    il consolidamento del coordinamento tra Parlamento e Governo e il coinvolgimento attivo di tutte le componenti del primo nella formazione delle politiche europee risponde in primo luogo alla necessità di colmare il deficit democratico dell'Unione europea, coinvolgendo i cittadini attraverso i loro diretti rappresentanti. Inoltre la necessità di rafforzare il raccordo tra le due istituzioni deriva direttamente dai principi costituzionali nazionali e dalla legislazione vigente. Il coinvolgimento dei rappresentanti dei cittadini, eletti dal popolo, nella definizione delle politiche da promuoversi in sede di Unione europea è imprescindibile per uno sviluppo equilibrato dell'Unione e perché questa diventi il luogo ove si sviluppino i diritti sociali e trovi completa esplicazione l'Europa sociale dei cittadini;
    perché il Parlamento ampli il suo ruolo attivo nella definizione delle politiche europee è necessario che il Governo adempia in modo sistematico agli obblighi informativi nei confronti del Parlamento previsti dalla legge n. 234 del 2012, in forma preventiva, durante i negoziati che si svolgono a livello europeo, in particolare dato che questi avvengono in ampia misura in sedi informali o prive di pubblicità, così come al termine dei negoziati, riportando i risultati ottenuti e le posizioni tenute; tenendo in considerazione, nella calendarizzazione di questi atti, l’iter in sede europea degli stessi, al fine di predisporre pareri tempestivi e pertanto realmente utili;
    la Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea riferita all'anno 2015 (Doc. LXXXVII, n. 4) esplora diversi settori delle politiche promosse dal Governo nelle sedi istituzionali dell'Unione europea. Una prima parte si sofferma sulle questioni istituzionali e le politiche macroeconomiche, descrivendo le politiche atte ad assicurare il corretto funzionamento dell'Unione economica e monetaria e, più in generale, le relazioni con le Istituzioni dell'Unione europea. La seconda parte è stata dedicata ad alcune misure facenti parte di politiche orizzontali promosse a livello europeo, ovvero quelle politiche (o pacchetti) che si prefiggono un obiettivo comune il cui raggiungimento presuppone più azioni concrete, come ad esempio le politiche per il mercato unico e la competitività, il mercato unico digitale, energia e mercato dei capitali. La terza parte descrive le politiche promosse sulla dimensione esterna dell'Unione, concentrandosi sulle azioni governative in materia di politica estera e di sicurezza comune nonché in materia di allargamento, politica di vicinato e di collaborazione con Paesi terzi. La quarta parte analizza le attività di comunicazione e di formazione promosse dal Governo relative all'Unione europea;
    il contesto e la congiuntura macroeconomica globale, che continua ad avere pesanti ripercussioni sull'economia del nostro continente, impongono, dato che non è ancora stato fatto, all'Unione europea la necessità di ridiscutere quanto prima la propria politica economica e con essa le fondamenta su cui costituire il concetto stesso di Unione oltre agli obiettivi primari che ci si prefiggono attraverso la messa in condivisione delle politiche economiche su scala continentale. Per rispondere a sfide epocali che si fanno sempre più annose (disoccupazione, soprattutto giovanile, scarsi investimenti etc) è stato presentato il report «Completare l'Unione economica e monetaria dell'Europa», noto come report dei 5 presidenti. Il contributo che l'Italia ha dato alla stesura del documento è stato estremamente marginale, contribuendo a questa inefficacia la mancanza di considerazione del Parlamento da parte del Governo, che non è stato chiamato da quest'ultimo né a discutere dell'importante tema né tanto meno a concordare una posizione sul tema;
    l'obiettivo del report è quello di definire la nuova governance economica nella zona euro, creare un maggior coordinamento e sviluppare meccanismi per far convergere le politiche economiche dell'Unione. A tal fine viene previsto un percorso in tre fasi: la prima, che non necessita la modifica dei Trattati, intende promuovere la convergenza delle politiche fiscali completando l'Unione finanziaria e rafforzando la responsabilità democratica. Nella seconda fase, di completamento dell'Unione monetaria, si prevede la definizione di benchmark comuni, l'istituzione di un Tesoro per l'area euro e la creazione di un Ministro delle Finanze «europeo» che, senza apportare benefici reali comporterebbe un'ulteriore perdita del controllo democratico sulle decisioni di politica economica degli Stati membri, in particolare quelli appartenenti alla zona euro. Infine la fase finale (entro il 2025) prevede profonde modifiche di governance attraverso la revisione dei Trattati. Tra le modifiche di breve periodo si intende inoltre;
    l'unione economica e fiscale delineata nel report dei 5 presidenti non risolverebbe le asimmetrie macroeconomiche e gli squilibri generati dall'introduzione della moneta unica in Paesi con caratteristiche e dinamiche economiche molto diverse tra loro. Inoltre, una unione fiscale non appare una ipotesi credibile nemmeno nel lungo periodo, per la resistenza dimostrata dagli Stati Membri a condividere i rischi o ad adottare misure efficaci contro l'elusione fiscale delle multinazionali;
    la gestione dei flussi migratori si pone da sempre come questione complessa, in considerazione della pluralità di elementi da tenere in considerazione nella sua gestione e da contemperare nelle scelte ad essi connesse. La definizione di politiche migratorie certe e credibili diviene ancora più pressante ed irrinunciabile in ragione del continuo aggravarsi della situazione internazionale, come dimostrano i dati forniti dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) che quantificano in oltre un milione i migranti giunti nell'UE nel 2015, superando di quattro volte il numero registrato nel 2014, senza peraltro accennare a miglioramenti se si considera che nei primi mesi del 2016 già 146.000 migranti hanno attraversato il Mediterraneo per raggiungere l'Europa, di cui circa 137.000 sulla rotta Turchia-Grecia, con un numero di morti che supera i 450;
    il crescere dei flussi dei rifugiati e richiedenti asilo è dovuto in larga parte all'incapacità della comunità internazionale di dare una soluzione a conflitti complessi, quali in primo luogo in Siria e di Libia, associati alla destabilizzazione di altri Stati di notevole rilevanza geopolitica;
    la Commissione europea, con la pubblicazione nel maggio e nel dicembre 2015 di due comunicazioni, ha adottato l'agenda europea sulla migrazione, evidenziando l'esigenza di una migliore gestione della migrazione e sottolineando al contempo come quella migratoria sia una responsabilità condivisa. In questo contesto sono state approvate due successive decisioni del Consiglio Giustizia e Affari Interni e del Consiglio europeo, nel quale si è stabilito di ricollocare 160.000 richiedenti asilo dai Paesi maggiormente sottoposti alla pressione migratoria verso quelli con maggiori disponibilità o meno coinvolti dai flussi. Ad alcuni mesi dalle predette decisioni sulle ricollocazioni, già di per se insufficienti, i numeri dei richiedenti asilo effettivamente ricollocati sono del tutto irrisori. Nonostante successive pressioni e denunce susseguitesi negli ultimi mesi ad oggi continuano ad essere solo 300 i richiedenti asilo ricollocati dall'Italia,

impegna il Governo:

   a dare un sistematico e tempestivo adempimento agli obblighi previsti della legge n. 234 del 2012 nei confronti delle Camere, ed in particolare alla trasmissione alle Camere di tutti gli atti elencati al comma 3 dell'articolo 4 in forma dettagliata e precisa, anche garantendo l'assistenza documentale e informativa della Rappresentanza permanente a Bruxelles agli uffici della Camera e del Senato, al fine di assicurare che il Parlamento sia messo nella reale capacità di esprimere i propri pareri nei tempi consoni e disponendo di tutte le informazioni necessarie, potendo in tal modo contribuire alla definizione delle politiche dell'Italia nelle sedi decisionali dell'Unione europea;
   ad adempiere agli obblighi stabiliti dall'articolo 7 della legge n. 234 del 2012 e pertanto a riferire regolarmente e puntualmente sul seguito dato agli atti di indirizzo approvati dalle Camere in merito alla formazione delle politiche e della normativa dell'Unione europea;
   a ripensare la struttura delle relazioni consuntive al fine di rendere i testi più facilmente fruibili e consultabili, in particolare attraverso lo sviluppo analitico del documento che dovrebbe contenere un parallelo diretto tra gli indirizzi e l'operato del Governo su ciascun file trattato al posto di interessanti liste, di difficile consultazione;
   a contribuire al processo volto ad apportare modifiche all'assetto istituzionale europeo al fine di accrescere la partecipazione dei cittadini europei, attraverso i rispettivi centri di rappresentanza, alle decisioni da prendersi a livello di Unione europea; al contempo, rendere più tempestiva, efficace e incisiva la partecipazione del Parlamento alla definizione delle politiche europee attraverso una condivisione reale delle scelte politiche nazionali da promuovere in sede di Unione europea e non continuare a relegare i rappresentanti dei cittadini democraticamente eletti a meri ratificatori di decisioni governative;
   a riferire regolarmente ai competenti organi parlamentari sul seguito dato agli atti di indirizzo approvati dalle Camere in merito alla formazione delle politiche e della normativa dell'Unione europea, come stabilito dall'articolo 7 della legge n. 234 del 2012;
   a dare un puntuale e sistematico adempimento agli obblighi di informazione, consultazione e coinvolgimento nei confronti delle Camere previsti della legge n. 234 del 2012 assicurando la trasmissione e migliorando la qualità delle relazioni predisposte sui progetti legislativi dell'Unione europea;
   a garantire il coinvolgimento delle Camere nella gestione e risoluzione delle procedure di infrazione, trasmettendo l'intera documentazione utile, ivi incluso nei casi di pre-infrazione Eu-pilot e informandole su ogni azione intrapresa per la risoluzione delle controversie;
   ad assicurare che le Camere siano debitamente e previamente coinvolte nel processo di formazione della posizione nazionale riguardante i commenti inviati dal Governo alle istituzioni dell'UE nell'ambito di procedure di consultazione da esse avviate;
   a ripensare e rimodulare i principi del regime dell’austerity, promuovendo in sede europea la ridiscussione degli sterili vincoli quantitativi posti dal Fiscal Compact, promuovendo invece la definizione di obiettivi macroeconomici e sociali miranti a incrementare il benessere diffuso dei cittadini europei. A tal fine impegnarsi anche perché si sostituiscano gli attuali target numerici con obiettivi macroeconomici e sociali basati su indicatori qualitativi che tengano conto del benessere sociale dei cittadini e che siano capaci di misurare lo sviluppo economico integrando nell'analisi fattori ambientali e sociali, al fine di ottenere margini di flessibilità oltre i miseri punti percentuali attualmente in discussione e poter in tal modo attuare politiche macroeconomiche necessarie a rilanciare le economie dei Paesi membri definite sulla base delle peculiarità degli stessi e accrescere gli investimenti utili al benessere dei cittadini;
   a intraprendere ogni iniziativa atta al superamento di una moneta comune non permeabile alle differenti specificità economiche dei Paesi facenti parte dell'Eurozona attraverso l'avvio di negoziati per lo smantellamento concordato e controllato della moneta unica o, in alternativa, qualora non si trovi un accordo in tal senso, a prevedere nei Trattati una procedura mirante a introdurre il diritto di recedere unilateralmente dalla partecipazione alla moneta unica e pertanto a riacquisire la piena sovranità monetaria, l'autonomia fiscale e monetaria degli Stati membri;
   a rendere obbligatoria per tutti gli Stati membri l'adozione di politiche di sostegno economico delle persone che vivono al di sotto della soglia di povertà relativa, mediante l'istituzione di strumenti come il reddito di cittadinanza, convogliandovi risorse attualmente destinate a progetti e programmi che dimostrano di non avere l'impatto desiderato;
   a impegnarsi affinché l'UEM (Unione Economica e Monetaria) non si limiti ad essere uno sterile sistema di regole ma sostenga, nel quadro del bilancio dell'Unione, lo sviluppo e la coesione sociale in coerenza con i principi di uguaglianza e solidarietà tra gli Stati membri affrontando gli squilibri, le divergenze strutturali e le emergenze finanziarie direttamente connesse all'Unione monetaria, in un'ottica di cooperazione e solidarietà, senza compromettere le sue funzioni tradizionali di finanziamento delle politiche comuni;
   a opporsi all'istituzione di un Ministro del Tesoro europeo che, ferme restando le attuali norme dell'Unione, non potrebbe far altro che rendere ancora più stringenti i vincoli di bilancio e che renderebbe ancor più complesso, nell'assenza della disponibilità di politica monetaria, prendere decisioni coerenti di politica economica necessarie a far ripartire la crescita, orientandola verso i settori più bisognosi;
   a ridefinire e ridiscutere il quadro europeo relativo alle regole bancarie e di credito, rivedendo in primo luogo norme deleterie e lesive dei diritti dei cittadini quali la disciplina del bail-in (direttiva 2014/59/UE), le regole in materia di requisiti patrimoniali degli enti creditizi, misure a sostegno dell'erogazione del credito per le PMI; promuovere l'attuazione, nel più breve tempo possibile, del terzo pilastro dell'unione bancaria ovvero la garanzia comune europea sui depositi bancari, in aggiunta ai due pilastri già attuati del meccanismo unico di vigilanza europea e del meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie ed infine ad associare alle predette misure meccanismi di condivisione dei rischi e di emissioni di debito congiunte quali eurobond e project bond;
   a definire misure di sostegno agli investimenti sia nazionali che europei forieri di reale sviluppo, dirette in primo luogo alle PMI (che costituiscono il perno fondamentale del nostro tessuto produttivo, confermandosi come primo e principale motore di crescita anche in tempi di crisi) e apportino benefici di lungo periodo ai cittadini europei attraverso il finanziamento di progetti con un reale ritorno per la popolazione;
   a richiedere immediata attuazione delle decisioni del Consiglio che hanno stabilito il ricollocamento di un totale di 160.000 migranti al fine di ottenere una più equa ripartizione del peso della crisi migratoria e dei richiedenti asilo tra gli Stati membri dell'Unione europea, rivedendo al contempo i criteri di selezione dei migranti da ricollocare e ampliando le metodologie sottostanti la scelta dei paesi di destinazione al fine di contemperare necessità di carattere personale, umano e sociale oltre che economico;
   a concordare la sistematizzazione e l'istituzionalizzazione del sistema delle ricollocazioni al fine di renderlo effettivo ed efficace nel lungo periodo, ponendo inoltre le basi per politiche comuni sull'immigrazione, creando canali legali e protetti per far raggiungere l'Unione europea a coloro che ne hanno diritto ed istituendo strutture sicure, gestite in ottemperanza dei diritti umani e del diritto internazionale, nei paesi di transito. Promuovere al contempo azioni coordinate volte a combattere le radici e le motivazioni alla base dei flussi migratori, combattendo l'instabilità politica ed economica, le violazioni dei diritti umani e la povertà;
   a subordinare l'attivazione, la gestione e l'esistenza dei centri, o approcci, hotspot, all'effettiva attuazione delle ricollocazioni dei richiedenti asilo;
   ad adoperarsi affinché in sede europea si provveda rapidamente ad attuare quanto previsto dall'accoglimento della mozione 1-00605 del 18 dicembre 2014, ovvero l'impegno a revisionare l'Accordo Dublino III (Regolamento n. 604/2013) tra l'altro istituendo punti adibiti alla richiesta d'asilo direttamente nei paesi di transito, nonché corridoi umanitari per questi ultimi;
   a opporsi all'applicazione degli accordi con la Turchia e ad interrompere il flusso degli aiuti economici sino a quando la Turchia non applichi un pieno rispetto dei principi democratici e dei diritti umani stabiliti dalle convenzioni internazionali siglate per il loro rispetto, incluso l'articolo 38 della Direttiva 2013/32/UE, sia nei confronti dei migranti che dei cittadini turchi, cessi qualsiasi tipo di violenza nei confronti delle minoranze (religiose, linguistiche, etc.), ripristini integralmente la libertà di stampa e prenda una chiara posizione nei confronti del terrorismo internazionale e del problema dei foreign fighters;
   ad assicurare la totale trasparenza sia dei negoziati che dei testi del TTIP al fine di dare la possibilità ai cittadini europei di formarsi un'opinione chiara e successivamente si indicano votazioni consultive e ci si accerti che tutti i parlamenti nazionali autorizzino la ratifica del trattato al fine di prendere una decisione realmente condivisa e favorevole per i cittadini europei;
   a intervenire con decisione affinché l'esame della proposta di Regolamento che emenda i regolamenti sulla riduzione delle emissioni inquinanti dei veicoli sia condotto a termine con l'approvazione di disposizioni normative in materia di omologazione dei veicoli e dei sistemi di riduzione delle emissioni inquinanti nonché dei relativi controlli e sanzioni, che siano più restrittive, coerenti e adeguate, al fine di prevenire quanto accaduto nel corso degli ultimi anni con riferimento alle manipolazioni dei test e dei risultati da parte delle case automobilistiche;
   a promuovere politiche volte a garantire la conversione della mobilità urbana e suburbana, privilegiando il car sharing e il car pooling, anche aziendali e tra privati cittadini, lo sviluppo della mobilità dolce, in particolare pedonale e ciclabile, anche attraverso l'adeguamento, l'estensione e il potenziamento di reti e aree ciclabili, la definizione e la promozione di una rete di trasporto intermodale, l'incentivazione di veicoli elettrici e a zero emissioni di CO2, e il potenziamento dell'offerta, dell'efficienza e della sicurezza dei mezzi pubblici;
   a adottare in sede europea ogni iniziativa utile volta a giungere ad una revisione del quadro normativo europeo in materia di diritto d'autore che tenda ad una sempre maggiore armonizzazione sostanziale degli istituti relativi valorizzando e rafforzando le eccezioni e limitazioni ai diritti esclusivi, in particolare quando risultano funzionali al progresso della ricerca scientifica e tecnica ed all'esercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti quali il diritto di critica e discussione;
   ad adottare in sede europea ogni iniziativa utile volta a rafforzare la protezione della privacy e degli altri diritti dei consumatori negli scambi digitali, rafforzando per tal via il commercio elettronico, come autorevolmente suggerito dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, definendo norme di protezione omogenee negli scambi offline e online;
   ad adottare in sede europea ogni iniziativa utile volta a favorire una revisione complessiva del sistema fiscale a livello europeo per le società operanti su internet e, in particolare gli Over The Top, al fine di contrastare efficacemente l'elusione fiscale e prevenire fenomeni distorsivi della concorrenza nel mercato unico;
   a promuovere tutte le necessarie misure – anche normative – volte a favorire la parità di trattamento dei lavoratori e il miglioramento delle condizioni occupazionali e sociali nel settore del trasporto merci su strada – tra cui l'introduzione di un salario minimo garantito in tutti gli Stati dell'Unione europea, forme di contrasto alle frodi fiscali e sociali, nonché misure di miglioramento dei livelli di formazione e competenze degli autotrasportatori – con particolare riferimento al raggiungimento di un'armonizzazione sociale tra gli Stati membri dell'Ue, anche in relazione ai tempi di guida, ai periodi e alla qualità del riposo;
   nel rispetto della libera circolazione delle merci nei Paesi dell'Ue, ad intraprendere ogni iniziativa utile volta a contrastare operazioni di cabotaggio illegali e regimi occupazionali iniqui che possano generare forme di dumping sociale nel settore dell'autotrasporto merci, garantendo allo stesso tempo un'applicazione uniforme in tutta Europa delle norme in materia di sicurezza e accesso al mercato dell'autotrasporto nell'Unione europea.
(6-00235) «Battelli, Luigi Di Maio, Fraccaro, Nesci, Petraroli, Vignaroli, Dell'Orco».