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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Lunedì 22 febbraio 2016

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 22 febbraio 2016.

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amendola, Amici, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Calabria, Caparini, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, Costa, Crippa, D'Alia, Dadone, Dambruoso, De Micheli, Del Basso de Caro, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Fava, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Fraccaro, Franceschini, Garofani, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Merlo, Migliore, Orlando, Pes, Piccoli Nardelli, Gianluca Pini, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Sarti, Scalfarotto, Scotto, Sereni, Tabacci, Valeria Valente, Velo, Vignali, Zanetti.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 19 febbraio 2016 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di legge d'iniziativa del deputato:
   CRIVELLARI: «Disposizioni per l'istituzione dei distretti culturali evoluti» (3622).

  Sarà stampata e distribuita.

Adesione di deputati a proposte di legge.

  La proposta di legge MARTELLA ed altri: «Attribuzione della gestione del sistema MOSE al sindaco della città metropolitana di Venezia» (3452) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Pastorelli.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:

   I Commissione (Affari costituzionali):
  DAMBRUOSO ed altri: «Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell'estremismo jihadista» (3558) Parere delle Commissioni II, III, IV, V, VII, XI, XII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
  MOLTENI ed altri: «Introduzione dell'obbligo di deposito cauzionale e istituzione di un contributo speciale a carico degli immigrati irregolari richiedenti asilo o protezione internazionale» (3582) Parere delle Commissioni II, V, VI, X, XI e XIV;
  SCOTTO ed altri: «Disposizioni per lo svolgimento contemporaneo delle elezioni amministrative e dei referendum previsti dall'articolo 75 della Costituzione» (3589) Parere delle Commissioni V, XII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento) e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

   II Commissione (Giustizia):
  MOLTENI ed altri: «Modifiche all'articolo 258 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di sanzioni per la violazione degli obblighi di tenuta dei formulari relativi al trasporto dei rifiuti» (3579) Parere delle Commissioni I, V, VIII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

   V Commissione (Bilancio):
  ARTINI ed altri: «Riapertura del termine per la conversione delle banconote, dei biglietti e delle monete in lire» (3568) Parere delle Commissioni I e VI.

   VII Commissione (Cultura):
  TURCO: «Introduzione dell'articolo 1-bis del decreto-legge 1° settembre 2008, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169, in materia di iniziative di educazione al lavoro di gruppo e al mantenimento del decoro degli edifici scolastici» (3567) Parere delle Commissioni I, V e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

   XII Commissione (Affari sociali):
  AMATO ed altri: «Disposizioni per favorire la diffusione della teleradiologia e semplificazione delle procedure relative all'installazione delle apparecchiature a risonanza magnetica» (3566) Parere delle Commissioni I, II, V, VII, IX, XI e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

   Commissioni riunite V (Bilancio) e VI (Finanze):

  MISIANI ed altri: «Istituzione dell'addizionale provinciale e metropolitana sul traffico di passeggeri nei porti e negli aeroporti nonché modifica all'articolo 2 della legge 24 dicembre 2003, n. 350, in materia di ripartizione dell'addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuali» (3546) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), VIII, IX (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento) e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Assegnazione di una proposta di inchiesta parlamentare a Commissione in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, la seguente proposta di inchiesta parlamentare è assegnata, in sede referente, alla sottoindicata Commissione permanente:

   XI Commissione (Lavoro):
  LABRIOLA ed altri: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sull'erogazione di trattamenti pensionistici, in applicazione del decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 564, a lavoratori chiamati a ricoprire cariche sindacali» (Doc. XXII, n. 59) Parere delle Commissioni I, II e V.

Trasmissione dalla Corte dei conti.

  Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 18 febbraio 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Associazione della Croce rossa italiana (CRI), per l'esercizio 2014. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 357).

  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla XII Commissione (Affari sociali).

Trasmissione dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali.

  Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha trasmesso decreti ministeriali recanti variazioni di bilancio tra capitoli dello stato di previsione del medesimo Ministero, autorizzate, in data 16 novembre e 4 dicembre 2015, ai sensi dell'articolo 3, comma 5, del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279 e dell'articolo 6, comma 14, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135.

  Questi decreti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla XIII Commissione (Agricoltura).

Trasmissione dal Ministro dell'economia e delle finanze.

  Il Ministro dell'economia e delle finanze, con lettera in data 19 febbraio 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 18, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, l'elenco delle somme che vengono conservate alla fine dell'anno finanziario 2015 e che potranno essere utilizzate nell'esercizio 2016 a copertura dei rispettivi provvedimenti legislativi.

  Questo documento è trasmesso alla V Commissione (Bilancio).

Trasmissione dal Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri.

  Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 19 febbraio 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 4 e 5, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, la relazione in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'omologazione e alla vigilanza del mercato dei veicoli a motore e dei loro rimorchi, nonché dei sistemi, componenti ed entità tecniche destinati a tali veicoli (COM(2016) 31 final).

  Questa relazione è trasmessa alla IX Commissione (Trasporti) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 19 febbraio 2016, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, la proposta di decisione del Consiglio relativa alla posizione da adottare a nome dell'Unione europea in sede di Organizzazione marittima internazionale, in occasione della 40a sessione del comitato di facilitazione, della 69a sessione del comitato per la protezione dell'ambiente marino e della 96a sessione del comitato della sicurezza marittima, circa l'adozione di emendamenti della convenzione sulla facilitazione, dell'allegato IV del protocollo MARPOL, delle regole SOLAS II-2/13 e II-2/18, del codice dei sistemi antincendio e del codice relativo al programma di ispezioni estese del 2011 (COM(2016) 77 final), che è assegnata, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alla III Commissione (Affari esteri), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Richieste di parere parlamentare su atti del Governo.

  Il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 19 febbraio 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 1 della legge 9 luglio 2015, n. 114, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto legislativo recante recepimento della direttiva 2014/28/UE concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato e al controllo degli esplosivi per uso civile (269).

  Questa richiesta, in data 19 febbraio 2016, è stata assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del Regolamento, alla I Commissione (Affari costituzionali) nonché, ai sensi del comma 2 dell'articolo 126 del Regolamento, alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), che dovranno esprimere i prescritti pareri entro il 30 marzo 2016. È stata altresì assegnata, ai sensi del comma 2 dell'articolo 96-ter del Regolamento, alla V Commissione (Bilancio), che dovrà esprimere i propri rilievi sulle conseguenze di carattere finanziario entro il 10 marzo 2016.

  Il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 19 febbraio 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 1 della legge 9 luglio 2015, n. 114, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto legislativo recante modifiche al decreto legislativo 27 settembre 1991, n. 311, per l'attuazione della direttiva 2014/29/UE concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di recipienti semplici a pressione (270).

  Questa richiesta, in data 19 febbraio 2016, è stata assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del Regolamento, alla X Commissione (Attività produttive) nonché, ai sensi del comma 2 dell'articolo 126 del Regolamento, alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), che dovranno esprimere i prescritti pareri entro il 30 marzo 2016. È stata altresì assegnata, ai sensi del comma 2 dell'articolo 96-ter del Regolamento, alla V Commissione (Bilancio), che dovrà esprimere i propri rilievi sulle conseguenze di carattere finanziario entro il 10 marzo 2016.

  Il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 19 febbraio 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 1 della legge 9 luglio 2015, n. 114, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto legislativo recante modifiche al decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 194, di attuazione della direttiva 2014/30/UE concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla compatibilità elettromagnetica (271).

  Questa richiesta, in data 19 febbraio 2016, è stata assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del Regolamento, alla X Commissione (Attività produttive) nonché, ai sensi del comma 2 dell'articolo 126 del Regolamento, alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), che dovranno esprimere i prescritti pareri entro il 30 marzo 2016. È stata altresì assegnata, ai sensi del comma 2 dell'articolo 96-ter del Regolamento, alla V Commissione (Bilancio), che dovrà esprimere i propri rilievi sulle conseguenze di carattere finanziario entro il 10 marzo 2016.

  Il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 19 febbraio 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 1 della legge 9 luglio 2015, n. 114, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto legislativo recante modifiche al decreto legislativo 29 dicembre 1992, n. 517, per l'attuazione della direttiva 2014/31/UE concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di strumenti per pesare a funzionamento non automatico (272).

  Questa richiesta, in data 19 febbraio 2016, è stata assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del Regolamento, alla X Commissione (Attività produttive) nonché, ai sensi del comma 2 dell'articolo 126 del Regolamento, alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), che dovranno esprimere i prescritti pareri entro il 30 marzo 2016. È stata altresì assegnata, ai sensi del comma 2 dell'articolo 96-ter del Regolamento, alla V Commissione (Bilancio), che dovrà esprimere i propri rilievi sulle conseguenze di carattere finanziario entro il 10 marzo 2016.

  Il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 19 febbraio 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 1 della legge 9 luglio 2015, n. 114, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto legislativo recante modifiche al decreto legislativo 2 febbraio 2007, n. 22, per l'attuazione della direttiva 2014/32/UE concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di strumenti di misura, come modificata dalla direttiva 2015/13/UE (273).

  Questa richiesta, in data 19 febbraio 2016, è stata assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del Regolamento, alla X Commissione (Attività produttive) nonché, ai sensi del comma 2 dell'articolo 126 del Regolamento, alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), che dovranno esprimere i prescritti pareri entro il 30 marzo 2016. È stata altresì assegnata, ai sensi del comma 2 dell'articolo 96-ter del Regolamento, alla V Commissione (Bilancio), che dovrà esprimere i propri rilievi sulle conseguenze di carattere finanziario entro il 10 marzo 2016.

  Il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 19 febbraio 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 1 della legge 9 luglio 2015, n. 114, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2014/34/UE concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative agli apparecchi e sistemi di protezione destinati a essere utilizzati in atmosfera potenzialmente esplosiva (274).

  Questa richiesta, in data 19 febbraio 2016, è stata assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del Regolamento, alla X Commissione (Attività produttive) nonché, ai sensi del comma 2 dell'articolo 126 del Regolamento, alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), che dovranno esprimere i prescritti pareri entro il 30 marzo 2016. È stata altresì assegnata, ai sensi del comma 2 dell'articolo 96-ter del Regolamento, alla V Commissione (Bilancio), che dovrà esprimere i propri rilievi sulle conseguenze di carattere finanziario entro il 10 marzo 2016.

  Il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 19 febbraio 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 1 della legge 9 luglio 2015, n. 114, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2014/35/UE concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato del materiale elettrico destinato ad essere adoperato entro taluni limiti di tensione (275).

  Questa richiesta, in data 19 febbraio 2016, è stata assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del Regolamento, alla X Commissione (Attività produttive) nonché, ai sensi del comma 2 dell'articolo 126 del Regolamento, alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), che dovranno esprimere i prescritti pareri entro il 30 marzo 2016. È stata altresì assegnata, ai sensi del comma 2 dell'articolo 96-ter del Regolamento, alla V Commissione (Bilancio), che dovrà esprimere i propri rilievi sulle conseguenze di carattere finanziario entro il 10 marzo 2016.

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

MOZIONI LUPI ED ALTRI N. 1-01124, SBERNA ED ALTRI N. 1-01146, NICCHI ED ALTRI N. 1-01170, PALESE E PISICCHIO N. 1-01171, VEZZALI ED ALTRI N. 1-01172, OCCHIUTO E CRIMI N. 1-01173, SBROLLINI ED ALTRI N. 1-01174 E RONDINI ED ALTRI N. 1-01175 CONCERNENTI POLITICHE A SOSTEGNO DELLA FAMIGLIA

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    il 27 novembre 2015, l'Istat ha pubblicato i dati sul monitoraggio delle nascite relativi all'anno 2014. Lo studio ha confermato la recente tendenza del nostro Paese al decremento demografico;
    in particolare, emerge dai dati una forte flessione negativa del tasso di natalità: l'anagrafe ha, infatti, registrato quasi 12.000 nuovi nati in meno rispetto al 2013 e all'incirca 74.000 in meno rispetto al 2008;
    secondo l'ente di ricerca, la media aggiornata di figli per donna è di 1,37 (ancora in diminuzione rispetto a 1,46 del 2010); tale media è di 1,29, se il campione è composto di sole donne italiane. La natalità si è abbassata significativamente anche per le cittadine straniere residenti; si è passati da una media di 2,65 del 2008 a una di 1,97 del 2014;
    tali cifre evidenziano la profonda trasformazione demografica e sociale in atto in Italia – analogamente, peraltro, a quanto accade anche nell'intero continente europeo – caratterizzata dall'accelerazione del processo di invecchiamento della popolazione e da profondi mutamenti della struttura delle famiglie. Parallelamente, gli attuali tassi di natalità non sono considerati sufficienti a garantire il ricambio generazionale. Difatti, se si prendono in esame le coppie di genitori italiani, le nascite sono quasi 86.000 in meno negli ultimi sei anni. Le donne italiane in età riproduttiva sono sempre meno e hanno una propensione ad avere figli sempre più bassa. Le ultime stime evidenziano un dato allarmante: la popolazione femminile in età feconda in soli tre anni è passata dal 45 al 43,6 per cento, perdendo mezzo punto percentuale all'anno (a questo ritmo la popolazione fertile scenderebbe a zero in 90 anni);
    la soluzione alla cosiddetta «questione demografica» non può nemmeno essere rinvenuta nei flussi migratori. Ciò è vero per l'Italia, come per l'intera Europa, o meglio questa sostituzione di popolazione è possibile e già viene prevista dai più attenti demografi, che però ne sottolineano il carattere e le conseguenze traumatiche, di vera e propria decadenza di una intera esperienza storica di civilizzazione;
    la sostituzione morbida immaginata dalle consolatorie utopie multiculturali non è possibile per i firmatari del presente atto di indirizzo perché se (e fino a quando) i flussi immigratori non superano determinate soglie dimensionali, anche gli immigrati rapidamente invertono la tendenza: in Italia, la popolazione immigrata è passata da livelli di fecondità largamente superiori alla soglia di ricambio generazionale, a livelli che ne permettono appena il ricambio e tendono ad abbassarsi ulteriormente. In assenza di politiche specifiche, infatti, le coppie straniere incontrano le stesse difficoltà che incontrano le coppie italiane ad avere figli e spesso le madri si trovano nella condizione di non poter scegliere la maternità senza rinunciare al lavoro. Inoltre, gli immigrati non possono essere considerati – in termini di capitale sociale – sostitutivi dei quasi 4,6 milioni di italiani residenti all'estero, una grande percentuale dei quali costituita da giovani talenti che si spostano perché altrove ci sono condizioni per ottenere maggiori gratificazioni;
   i rischi sociali ed economici di queste tendenze non sono ancora adeguatamente valutati dall'opinione pubblica e dalle stesse istituzioni politiche che hanno, finora, dedicato a questo tema un'attenzione molto parziale ed iniziative sporadiche;
    tralasciando l'essenziale ruolo di coesione sociale della famiglia, colpisce che tutto il dibattito, ormai pervasivo sulla crescita economica, sottovaluti clamorosamente il tema demografico. Eppure, analisi economiche, ormai consolidate, evidenziano come una popolazione giovane, in crescita nel numero, nella collocazione sociale e nel livello di coscienza di sé, sia un fattore essenziale per la riproduzione di quel capitale sociale qualificato richiesto dall'economia della conoscenza, ma sia anche la base necessaria di un adeguato livello di domanda di beni e servizi e quindi di tenuta e sviluppo del mercato. Al contrario, l'invecchiamento demografico rappresenta un vero e proprio freno ad una crescita duratura, sia dal lato del calo della produttività, che da quello dell'aumento della spesa pubblica incomprimibile: la crescita percentuale di anziani e pensionati, infatti, è destinata a pesare come un macigno sulle principali voci del bilancio pubblico. Si parla a questo proposito di «debito demografico», contratto dal Paese nei confronti delle generazioni future, soprattutto in termini di previdenza, spesa sanitaria e assistenza;
    a fronte di questi trend sociali appaiano sempre più scopertamente il ritardo culturale e la disinformazione di coloro che sottovalutano l'importanza dei temi valoriali legati alla famiglia e alla natalità, senza comprendere come proprio l'indebolimento di questi fattori culturali sia la causa più profonda di quella che rischia di diventare una catastrofe sociale;
    la supponenza e l'egemonia su importanti canali di trasmissione comunicativa e mediatica, esercitate da un ristretto ceto pseudointellettuale, che ha sempre bollato i valori della famiglia con il marchio della arretratezza, hanno contribuito a rafforzare le tendenze più regressive della società contemporanea;
   ma, rispetto a questi fenomeni profondi e di lunga durata, non va sottovalutato il ruolo dell'azione di Governo: in Italia, nella fase più recente, non sono mancati provvedimenti che vanno nella giusta direzione, ma fa ancora fatica a concretizzarsi un'iniziativa politica e legislativa ad ampio raggio per il riorientamento dell'intero welfare verso la famiglia e per la progressiva trasformazione dell'organizzazione del lavoro in direzione della conciliazione fra lavoro e famiglia;
    ma ciò che è essenziale, nel breve periodo, è incrementare immediatamente un insieme di misure di sostegno economico alla famiglia e alla natalità. Sebbene, infatti, negli ultimi anni l'azione del Governo si sia già orientata in questa direzione, le iniziative normative adottate sono state sporadiche e i loro effetti non omogenei su tutto il territorio nazionale;
    indagini socioeconomiche accurate dimostrano, infatti, che uno dei freni principali allo sviluppo del nucleo familiare è costituito proprio dalla mancanza di risorse economiche, indispensabili soprattutto nei primi anni di vita del bambino, quando l'offerta educativa e di relazione è decisiva per farne emergere le potenzialità;
    è senz'altro apprezzabile che nella legge di stabilità per il 2016 siano state inserite misure quali il rifinanziamento del «bonus bebé», ovvero di un contributo economico, operativo già dal 2015, che viene riconosciuto ai neogenitori che rispettano determinati requisiti reddituali e che viene erogato fino al terzo compleanno del bambino. Analogo apprezzamento deve riconoscersi alle previsioni del diritto alla «maternità Inps» per le neomamme; alle disposizioni riguardanti il riconoscimento del congedo parentale anche ai neopapà, allo scopo di coinvolgere entrambi i genitori nella cura dei figli, nonché a favorire la conciliazione del lavoro con il nuovo ruolo genitoriale; all'istituzione della carta della famiglia, destinata, su richiesta, alle famiglie con almeno 3 figli minori a carico, grazie alla quale si possono ottenere sconti per l'acquisto di beni e di servizi ovvero riduzioni tariffarie con i soggetti pubblici o privati che intendano aderire all'iniziativa;
    queste misure di sostegno economico non basteranno, da sole, ad aggredire le cause meno palesi di quel trend negativo che si è ricordato, che ha radici profonde e che richiederebbe un ripensamento delle politiche sociali, delle politiche per l'occupazione e, date le sue implicazioni culturali, anche della comunicazione radiotelevisiva e delle politiche educative;
    ma queste misure di sostegno economico, se costantemente sviluppate e arricchite, possono cominciare a incidere sulle decisioni di migliaia di persone e avere l'effetto di far percepire il senso di un salto di qualità nelle politica del Governo;
    un esempio virtuoso – sotto questo profilo – ci viene dalla Francia, che in pochi anni è riuscita a invertire il trend demografico avverso, dando vita ad un sistema organico nel quale le famiglie con più di un figlio ricevono sostanziosi contributi e quelle con un reddito più basso possono beneficiare anche di altre forme di sostegno, come contributi per l'alloggio, per i libri scolastici e addirittura per le vacanze. È previsto, inoltre, un contributo economico in favore della prima infanzia dal settimo mese di gravidanza fino al compimento del terzo anno di età;
    le famiglie italiane e i giovani che sono nell'età di dare vita a una nuova famiglia attendono un segnale in questa direzione, che sia, al tempo stesso, una risposta credibile del Governo alle concrete difficoltà che attendono chi intraprende la strada della costruzione di una famiglia e della genitorialità e un chiaro messaggio di favore da parte di uno Stato che si dimostri capace di attuare principi costituzionali fra i più condivisi dagli italiani;
    l'incoraggiamento attivo dello Stato – attraverso idonee misure – a dare vita a quella «società naturale fondata sul matrimonio» (articolo 29 della Costituzione), basata sulla genitorialità, cioè in grado di mantenere, istruire ed educare i figli (articolo 30 della Costituzione) non può essere né contrapposto strumentalmente al riconoscimento di altri diritti, né equiparato a un processo di progressiva estensione di diritti individuali che l'evoluzione sociale richiede;
    confondere questi piani è rischioso, mentre l'azione di allargare e portare su un livello superiore le politiche per la famiglia, coraggiosamente avviate dal Governo, permette di affrontare con lungimiranza un problema economico e sociale molto reale, nonché di venire incontro a bisogni concreti e largamente diffusi e di riavvicinare milioni di persone alle istituzioni;
    le misure di maggiore impatto dovrebbero affermare il principio che la parte del reddito che serve a mantenere i figli non deve essere tassata, riconoscendo una no tax area che copra il reddito di sussistenza della famiglia (principio affermato in Germania a livello costituzionale); in termini di provvedimenti di più immediata implementazione, si dovrebbe puntare all'elevazione degli attuali massimali per i figli a carico, riconoscendo una più accentuata progressione per le famiglie via via più numerose e riconoscendo una specifica detrazione aggiuntiva per i genitori a carico del contribuente, al fine di incentivare il sostegno dei genitori in difficoltà economiche o non autonomi da parte dei figli;
    avrebbe una notevole efficacia sulla fascia della prima infanzia una deduzione ai fini dell'Irpef per le spese sostenute per la cura e per la tutela della salute della puerpera e del bambino; analogamente, potrebbero essere adottate una serie di misure per la realizzazione dei piani relativi agli asili nido;
    parallelamente, occorrerebbe intervenire – tramite un meccanismo di credito di imposta – in favore delle imprese che assumono donne lavoratrici per evitare che le difficoltà della crisi si scarichino indirettamente proprio sulle donne lavoratrici che affrontano la difficile sfida della conciliazione della vita familiare e di quella lavorativa;
    ma, soprattutto, occorrerebbe dare alle famiglie e ai giovani italiani un forte segnale di fiducia e di speranza nel futuro e, questo, è uno dei modi più diretti ed efficaci per farlo oggi a disposizione del Governo,

impegna il Governo:

   a promuovere una politica trasversale di sostegno della famiglia, quale nucleo fondamentale della società, rispondendo – al tempo stesso – ad una grave emergenza economica e sociale e ad un'esigenza di attuazione della Costituzione;
   a riconoscere, quale priorità inderogabile nelle linee politico-programmatiche dell'azione di Governo, la prosecuzione della politica per l'accesso alla casa in affitto e in proprietà da parte delle giovani famiglie, nonché l'attuazione di interventi in materia di servizi socio-educativi per l'infanzia, rinforzando – in parallelo – le politiche attive di sostegno alla conciliazione di lavoro e doveri genitoriali;
   ad assumere iniziative per la revisione del regime fiscale della famiglia, che operi da efficace stimolo alla genitorialità e rappresenti un reale sostegno ai nuclei familiari con più figli e a quelli di nuova costituzione.
(1-01124) «Lupi, Buttiglione, Alli, Binetti, Sammarco, Tancredi, Vignali, Bosco, D'Alia, Garofalo, Minardo, Calabrò».


   La Camera,
   premesso che:
    la Costituzione italiana dedica alla famiglia una serie di importanti disposizioni comprese negli articoli 29-31 e 37, che evidenziano chiaramente la rilevanza di questa struttura sociale, vera istituzione cardine dell'assetto istituzionale sottolineandone la specifica rilevanza valoriale;
    la famiglia è una realtà originaria e antecedente lo stesso Stato, il quale, come recita l'articolo 31 della Costituzione, «agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi con particolare riguardo alle famiglie numerose»;
    possono definirsi autentiche politiche familiari conformi ai ricordati articoli della Costituzione dedicati alla famiglia, solo quelle politiche pensate e organizzate sul territorio a partire dall'esperienza delle famiglie, tenendo conto dei loro tempi, ritmi di vita e bisogni specifici, nell'ambito di un progetto organico di interventi specifici a sostegno dell'istituto familiare;
    solo in questo modo, infatti, dette politiche risulterebbero conformi a quella peculiare attenzione, al tempo stesso rispettosa della sua autonomia e garante della sua tutela, riservata dalla Costituzione a questo fondamentale nucleo sociale;
    la situazione attuale del nostro Paese è tuttavia caratterizzata da una troppo timida attenzione alle famiglie e alle criticità che esse oggi si trovano ad attraversare;
    risulta dal rapporto Istat che l'Italia occupa la penultima posizione tra i Paesi europei per le risorse dedicate alle famiglie, per le quali lo stanziamento, che si mantiene sostanzialmente stabile dal 2008, ammonta al 4,8 per cento della spesa, sotto forma di benefici finalizzati al sostegno del reddito a tutela della maternità e della paternità, di assegni familiari e di altri trasferimenti erogati a supporto di alcune tipologie familiari, asili nido, strutture residenziali per le famiglie con minori e assistenza domiciliare per famiglie numerose;
    si osserva, inoltre, che: il rapporto tra prestazioni fornite dall'INPS per quel che riguarda gli assegni familiari e l'ammontare del prodotto interno lordo italiano, dopo essere cresciuto dal 15,03 per cento del 1975 al 3 per cento del 1994, è precipitato nel 2012 allo 0,3 per cento;
    l'Italia è il Paese dell'Unione europea con gli assegni familiari più bassi, mentre la somma dei contributi incassati dalla Cassa unica assegni familiari è superiore del 40 per cento in media rispetto a quella effettivamente erogata;
    la situazione della famiglia è oggi aggravata dalla compressione del welfare e dalla mancanza di lavoro, mentre le criticità da affrontare sono molteplici e relative al reddito della famiglia, al costo dei figli, ai limiti di un sistema fiscale non adeguatamente commisurato alle esigenze delle famiglie con figli, alla difficoltà di conciliazione tra vita lavorativa e vita affettiva e familiare, al costo e alla reperibilità delle abitazioni, ai carichi delle responsabilità che gravano sulla famiglia – in particolare sulla donna – che deve occuparsi «autonomamente» e senza ausili della cura e dell'assistenza dei propri componenti più deboli;
    inoltre, il sistema fiscale italiano tiene conto solo dell'equità verticale, ma non di quella orizzontale, come dimostra il fatto che, in qualunque provvedimento in materia fiscale o sanitaria, si valuta quasi sempre il reddito familiare tout court, senza tenere in debito conto il numero dei componenti del nucleo stesso;
    nel nostro Paese le reti di aiuto informale hanno svolto e svolgono un ruolo molto importante nel sostenere le persone nei momenti della vita caratterizzati da maggiore vulnerabilità: i giovani che non hanno un lavoro, le madri lavoratrici con figli piccoli, gli anziani non autosufficienti, le persone disabili;
    però, per un malinteso senso della sussidiarietà le famiglie si sono trovate – in modo particolare negli ultimi anni segnati da una profonda crisi economica – a rappresentare un vero e proprio ammortizzatore sociale;
    la forte prevalenza dei cosiddetti aiuti informali, quale quello della famiglia sopra ricordato, sarà messa sempre più a dura prova a causa delle trasformazioni demografiche e sociali caratterizzate dall'accelerazione del processo di invecchiamento della popolazione, dalla modificazione delle reti relazionali e dai mutamenti della struttura delle famiglie;
    i dati relativi al tasso di occupazione femminile, alle nascite, alle dimissioni delle madri nel primo anno di vita del figlio, alla copertura di servizi per l'infanzia e alle spese investite dallo Stato per il sistema sociale suggeriscono che non bastano soluzioni volontaristiche;
    diritti fondamentali quali quello al lavoro e alla famiglia, alla maternità e alla paternità non possono essere affidati alla sensibilità o alla volontà di amministrazioni locali, aziende, associazioni;
    già nel breve periodo, infatti, le dinamiche demografiche condizionano un sistema economico: non c’è bisogno di aspettare decenni per verificare gli effetti dell'assenza di figli sull'economia nazionale;
    gli studi di Amlan Roy, responsabile delle ricerche demografiche per il Crédit Suisse, dimostrano che l'invecchiamento demografico rallenta il prodotto interno lordo, gonfia il debito pubblico, fa calare gli investimenti e indebolisce l'efficacia delle politiche monetarie delle banche centrali;
    questo quadro si sta già evidenziando ora nel nostro Paese rivelando così che la questione va affrontata rapidamente per evitare che il Paese muoia di vecchiaia e di povertà;
    si tratta di uno scenario drammatico prospettato dagli studi demografici e che mette in luce un malessere profondo, una crisi dove la rinuncia endemica alla maternità di moltissime coppie giovani, che ripiegano, spesso tardivamente, sul figlio unico, si somma a una nuova dinamica dei flussi migratori;
    da una parte ci sono i mancati arrivi degli immigrati, che arricchivano il nostro tasso di fecondità. Dall'altro la fuga degli italiani stessi. Si calcola che ogni anno oltre 130 mila abitanti si cancellino dalle anagrafi italiane per fissare la propria residenza altrove;
    dati recenti – rapporto Istat 2015 – evidenziano che in Italia il tasso di fecondità è pari a 1,37 contrariamente a quanto accade nel Nord Europa, dove oscilla tra 2 e 1,8 figli per donna. In Italia aumenta la disoccupazione femminile e diminuiscono le nascite, in particolare nel Mezzogiorno nonostante il desiderio del 60 per cento delle italiane di avere almeno due figli senza rinunciare a lavorare;
    gli anni di crisi economica che il Paese ha attraversato – e attraversa – hanno evidenziato come la famiglia rappresenti ancora il pilastro su cui si fondano le comunità locali, il sistema educativo, le strutture di produzione di reddito, il contenimento delle forme di disagio sociale. Eppure ancora se ne sottovaluta l'importanza e non se ne considera sufficientemente il valore;
    è necessario, allora, mettere in campo nuovi strumenti a sostegno delle responsabilità della famiglia e soprattutto misure che ne definiscano in modo coerente il carattere di soggetto attivo, titolare di diritti e di doveri, garantendo il diritto di ogni persona a formare una famiglia o a essere inserita in una comunità familiare. Deve, inoltre, essere sostenuto il diritto delle famiglie al libero svolgimento delle loro funzioni sociali, riconoscendone la fondamentale rilevanza sociale e personale della maternità e della paternità. È anche necessario sostenere in modo più adeguato la corresponsabilità dei genitori negli impegni di cura e di educazione dei figli, promuovendo e valorizzando la famiglia come struttura sociale primaria di fondamentale interesse pubblico;
    è necessario, inoltre, individuare misure che possano favorire la crescita della natalità nel nostro Paese. Molti studi mettono in luce, infatti, che uno dei principali fattori deterrenti per la costituzione di una nuova famiglia e per la genitorialità è la mancanza di risorse economiche;
    sempre secondo l'Istat, infatti, la nascita di un primo figlio fa aumentare di poco, rispetto alle coppie senza figli, il rischio di finire in povertà, mentre la nascita del secondo figlio fa quasi raddoppiare il citato rischio, che si triplica all'eventuale nascita di un terzo figlio. Inoltre, gli stessi dati rilevano che avere figli raddoppia il rischio di contrarre debiti per mutuo, affitti, bollette o altro rispetto alle coppie senza figli;
    occorre allora riconsiderare il sistema di welfare perché sia maggiormente orientato al sostegno della famiglia, perché investire nelle politiche familiari significa investire sulla qualità della struttura sociale e, di conseguenza, sul futuro stesso della nostra società;
    non sono sufficienti interventi puntuali neanche quando hanno natura di sostegno economico, anche se sono sicuramente segnali positivi l'istituzione della Carta famiglia, l'attribuzione del «bonus bebé», le previsioni per favorire la conciliazione lavoro-famiglia. Ma non è sufficiente. Si potrebbe e si dovrebbe dare vita ad un sistema organico che valorizzi il ruolo di soggetto attivo della famiglia mettendola nelle condizioni di poter scegliere di essere generativa e di armonizzare i diversi compiti e funzioni che è chiamata a svolgere,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative volte a rispondere alla crisi demografica in atto, anche attraverso l'individuazione di misure concrete di sostegno alla genitorialità e alla formazione di nuove famiglie;
   a riconoscere come priorità la valorizzazione dell'istituto familiare, anche promuovendo una revisione del sistema fiscale che tenga maggiormente conto della famiglia come soggetto e che riordini le obbligazioni tributarie a carico dei membri della famiglia;
   ad assumere iniziative per prevedere l'introduzione di forme di detassazione dei costi destinati obbligatoriamente per legge all'acquisto di beni e servizi a favore dei membri della famiglia, applicando anche dei coefficienti familiari per la determinazione del carico fiscale complessivo;
   a promuovere una politica alloggiativa che sostenga le giovani famiglie favorendone l'accesso alla casa in affitto o in proprietà;
   a valutare l'opportunità di intraprendere iniziative di tipo normativo in materia previdenziale, volte a superare la discriminazione tra le donne che hanno messo al mondo e allevato figli e donne che non lo hanno fatto, anche attraverso la previsione dell'attribuzione di contributi figurativi per ogni figlio anche adottato, in linea con quanto disposto al riguardo in diversi ordinamenti europei;
   a istituire un tavolo di consultazione con la società civile e, in particolare, con le associazioni familiari per l'individuazione di misure idonee a sostenere la famiglia;
   a dare vita a nuove e strutturate politiche per la famiglia, considerando anche l'impatto sulle stesse famiglie delle leggi in via di approvazione;
   ad assumere le iniziative di competenza per prevedere che il 15 maggio 2016 sia celebrata anche in Italia la Giornata internazionale della famiglia stabilita dalle Nazioni Unite già del 1995.
(1-01146) «Sberna, Gigli, Dellai, Capelli, Fauttilli».


   La Camera,
   premesso che:
    un dibattito serio e costruttivo sulle misure di sostegno alle famiglie, sul contrasto al calo demografico e sulle politiche per la natalità, non può prescindere, in quanto strettamente interdipendenti, dalle politiche e dalle risorse finanziarie che un Paese decide di mettere in campo a sostegno del reddito, per il contrasto alla povertà e all'emarginazione socio-economica, per il rafforzamento del welfare, per il sostegno alle politiche per l'infanzia, per il diritto alla casa, nonché per le politiche del lavoro. Sono questi gli aspetti decisivi e il logico presupposto che, inevitabilmente, condizionano fortemente le scelte di genitorialità;
    va, peraltro, evidenziato che, nella nostra società, sono presenti molteplici forme di nuclei familiari alle quali va riconosciuta la stessa dignità e le medesime garanzie da parte dello Stato. È da molti anni che il legislatore e la giurisprudenza si sono avviati su un percorso di riconoscimento della rilevanza giuridica dei nuclei familiari non fondati sul vincolo coniugale, nel rispetto delle scelte fatte dalle persone. Allo stesso modo i nuclei familiari formati da persone dello stesso sesso, anche con figli, chiedono il necessario e dovuto riconoscimento da parte dello Stato;
    la Corte costituzionale nella sentenza n. 138 del 2010 ha espressamente affermato che famiglia e matrimonio hanno la duttilità propria dei principi costituzionali, che evolvono con i cambiamenti sociali e culturali. Risulterebbe pertanto artificioso continuare a sostenere che lo Stato deve garantire un unico modello familiare, quale quello fondato sul matrimonio, perché non rispondente più alla realtà sociale e alle richieste che provengono dai cittadini;
    è, inoltre, assolutamente contrario allo spirito e alla lettera della Costituzione e della nostra tradizione, sostenere che famiglia sia soltanto quella basata sulla genitorialità, essendo valido il matrimonio anche se contratto da persone che neppure potenzialmente possono procreare o che scelgano liberamente di non farlo. Pur dovendo sostenere i figli comunque nati, le famiglie vanno tutte sostenute come società naturale nella quale ogni individuo realizza il proprio progetto di vita e costruisce una comunità solidale e di affetti;
    di questa evoluzione culturale e giuridica, il nostro sistema di welfare e le politiche a sostegno alle famiglie non potranno non tenere conto;
    uno dei principali problemi del nostro Paese, e che contribuisce fortemente al costante calo demografico risiede principalmente nella sostanziale assenza di mirati aiuti finanziari, di adeguati servizi all'infanzia a supporto delle famiglie e di politiche volte a sostenere le pari opportunità tra uomini e donne;
    è proprio di questi giorni la pubblicazione da parte dell'Istat del report sugli indicatori demografici per il 2015, dove emerge che la popolazione di cittadinanza italiana scende a 55,6 milioni, conseguendo una perdita di 179 mila residenti. Al 1o gennaio 2016 la popolazione in Italia è di 60 milioni 656 mila residenti (-139 mila unità). Gli stranieri sono 5 milioni 54 mila e rappresentano l'8,3 per cento della popolazione totale (+39 mila unità);
    i dati Istat dicono che, nel 2015, le nascite sono state 488 mila (-15 mila), nuovo minimo storico dall'unità d'Italia. Il 2015 è il quinto anno consecutivo di riduzione della fecondità, giunta a 1,35 figli per donna. L'età media delle madri al parto sale a 31,6 anni. Il ricambio generazionale non solo non viene più garantito da nove anni, ma continua a peggiorare;
    nell'aprile 2015, la seconda indagine del Censis sulla fertilità, ha evidenziato come, alla base della scarsa propensione ad avere figli, vi siano motivazioni principalmente economiche. Le coppie sempre più tendono a pensare ai figli dopo i 35 anni, vale a dire proprio nel periodo in cui la fertilità di uomini e donne si riduce drasticamente e a incidere su questo spostamento in avanti è soprattutto il mercato del lavoro precario. Non è un caso che, nei Paesi del nord Europa, le donne facciano più figli, perché sono più tutelate dal welfare rispetto alla loro presenza nel mercato del lavoro;
    nelle economie dove vi sono sistemi di welfare più sviluppati e di impianto universalistico e con buone politiche del lavoro, l'integrazione delle donne nel mercato del lavoro è più elevata e maggiore è la crescita demografica;
    l'Italia si conferma uno dei Paesi europei a più bassa occupazione femminile e questo condiziona fortemente la stessa possibilità di determinare il proprio progetto di vita;
    vale la pena sottolineare come il basso tasso di occupazione femminile sia una delle cause dell'alta incidenza di povertà nelle famiglie in Italia. È, infatti, indubitabile che le famiglie monoreddito con figli presentino rischi di povertà elevati e che avere due redditi in famiglia è la via migliore di uscita dalla povertà o dalla minaccia di povertà. Da qui la necessità di incentivare sempre più la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, nonché favorire modalità di lavoro più flessibili per i genitori;
    conciliare lavoro e famiglia è un impegno quotidiano che coinvolge uomini e donne, anche se le pratiche della cura sono state a lungo nascoste e invisibili, relegate nel privato e considerate solo un dovere femminile. Ancora oggi, a causa della diseguale distribuzione del carico di lavoro domestico e di cura all'interno delle famiglie, la difficoltà di conciliare lavoro e famiglia è avvertita soprattutto dalle donne, in modo particolare nella fase del ciclo di vita immediatamente successiva alla nascita dei figli. Esse continuano ad accollarsi le maggiori responsabilità di cura dei figli e degli altri familiari;
    i recenti dati del «Rapporto Italia 2015» dell'Eurispes hanno evidenziato, ancora una volta, il perdurare delle difficoltà economiche e l'incertezza per il futuro. Cresce il numero di chi non si sente in grado di dare garanzie alla propria famiglia con il proprio lavoro. Deve ricorrere all'aiuto della propria famiglia (genitori, parenti) il 28 per cento di chi lavora. Pur avendo un'occupazione, il 55,6 per cento dei lavoratori ammette di avere difficoltà ad arrivare a fine mese;
    sempre l'Eurispes ricorda come l'erosione del proprio potere d'acquisto è ormai un dato di fatto per 7 italiani su 10; persone che hanno visto nell'ultimo anno diminuire nettamente o in parte la capacità di affrontare le spese con le proprie entrate. Inoltre, un cittadino su tre taglia sulle spese mediche e contestualmente aumenta il ricorso alle rateizzazioni per coprire i costi per curarsi;
    in questi anni le risorse assegnate ai principali fondi che incidono direttamente sul sistema del welfare, e che vengono rifinanziati annualmente dalla legge di stabilità, hanno visto una loro riduzione o, nel migliore dei casi, una loro conferma negli stanziamenti: vale per il fondo per le politiche sociali, come per il fondo per l'infanzia e l'adolescenza, o il fondo per le politiche della famiglia;
    riguardo alle politiche di sostegno al reddito e al welfare, è evidente come il progressivo aumento della povertà nel nostro Paese di questi anni abbia inciso pesantemente sulle condizioni di vita delle persone e delle famiglie;
    la campagna della rete «Miseria Ladra», promossa da Libera e dal Gruppo Abele e la campagna Sbilanciamoci, l'Arci e la Rete della Conoscenza, hanno recentemente ricordato alcuni numeri: nel nostro Paese la povertà assoluta è triplicata arrivando a colpire oltre 4,5 milioni di persone, distribuite in poco meno di 1,5 milioni di famiglie. Stessa tendenza per la dispersione scolastica, la povertà minorile e la disoccupazione giovanile. Da qui, una loro richiesta: escludere dal rispetto del patto di stabilità le spese relative ai servizi sociali;
    la legge di stabilità 2016 ha istituito un «Fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale», con una dotazione di 600 milioni di euro per il 2016, e 1 miliardo di euro a decorrere dall'anno 2017, per il finanziamento di un piano nazionale per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale;
    è evidente che, se l'obiettivo del suddetto piano nazionale è quello di far uscire dalla soglia di povertà assoluta le famiglie che si trovano in questa situazione, le risorse stanziate si dimostrano chiaramente insufficienti. Dai dati Istat si evince che sarebbero necessari circa 5-6 miliardi di euro;
    le risorse stanziate per il 2016 dall'ultima legge di stabilità saranno forse sufficienti a coprire solo 280 mila famiglie, ossia poco più di un quinto delle famiglie stimate in povertà assoluta;
    non è solo il reddito delle famiglie a determinare la condizione di povertà di un bambino, ma è fondamentale poter contare anche su una rete di opportunità e di servizi, come l'asilo nido e una scuola di qualità;
    per quanto riguarda le politiche per l'infanzia e l'adolescenza, uno dei problemi strutturali dell'Italia è l'evidente carenza di strutture per l'infanzia e l'offerta comunale di asili nido;
    le politiche per l'infanzia e la carenza cronica di strutture e di servizi socio-educativi per l'infanzia, continuano a rappresentare uno dei problemi strutturali del nostro Paese. Gli asili nido comunali sembrano spesso più strutture a pagamento, che statali, con costi medi che si aggirano intorno ai 300 euro mensili e tariffe in crescita rispetto agli anni passati;
    i pesantissimi tagli alle regioni e agli enti locali, attuati in questi ultimi anni, non hanno fatto che peggiorare la situazione dal punto di vista sia della qualità del servizio, che dei costi. Il dato di fondo resta sempre l'enorme scarto esistente tra le esigenze delle famiglie e la reale possibilità di soddisfare tali esigenze;
    il sindacato Fp-Cgil, nel novembre 2015, in occasione della campagna «ChiedoAsilo», ha elaborato una ricerca condotta sui dati Istat, sull'offerta comunale degli asili nido e altri servizi socio-educativi. La mappa nazionale dei servizi presenta enormi sperequazioni regionali. Se, infatti, la copertura dei servizi per l'infanzia è al 24,8 per cento in Emilia Romagna, in Campania è al 2 per cento;
    per raggiungere lo standard europeo, fissato dalla strategia di Lisbona, che prevedeva una copertura pari al 33 per cento entro il 2010, il nostro Paese dovrebbe creare ulteriori 1.700 nidi e scuole dell'infanzia;
    come riporta la citata ricerca, nel 2010 sono nati circa 562 mila bambini, nel 2011, 546 mila. Nei primi due mesi del 2012, 89,6 mila. Il totale preciso è di 1 milione e 198.116 bambini nati, ai quali vanno sottratti i 289.851 che sono riusciti a trovare un posto al nido. I «senza asilo» sono quindi oltre 900 mila. Per loro non si prevede, a breve, un posto nelle strutture pubbliche. A meno che le rispettive famiglie non facciano uno sforzo, pagando;
    la legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296 del 2006), aveva varato un piano straordinario di intervento per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi, al quale concorrono gli asili nido, i servizi integrativi, diversificati per modalità strutturali, di accesso, di frequenza e di funzionamento, e i servizi innovativi nei luoghi di lavoro, presso le famiglie e presso i caseggiati. Un piano pensato per incrementare i servizi esistenti, indirizzato ad avviare un processo di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, per la concreta attuazione dei diritti delle bambine e dei bambini. Obiettivo non ultimo di questo intervento era anche quello di attenuare il forte squilibrio tra il nord e il sud del Paese ed una complessiva crescita del sistema nazionale verso standard europei;
    detto piano per lo sviluppo dei servizi socio-educativi non prevede risorse per il 2016 e per i prossimi anni, e questo nonostante che le risorse, a legislazione vigente, a disposizione dei servizi per l'infanzia, siano del tutto insufficienti;
    in questa fase di crisi economica, l'emergenza abitativa risulta essere uno dei fattori di maggiore e crescente tensione sociale, che coinvolge un numero elevato di nuclei familiari, e questo ancora di più nelle grandi aree urbane;
    la situazione del mercato immobiliare contribuisce fortemente alla precarietà abitativa, in quanto l'offerta di abitazioni private – a costi molto elevati, troppo spesso inaccessibili per le famiglie e le giovani coppie – sovrasta nettamente l'offerta edilizia pubblica;
    come riporta la recente indagine realizzata da Nomisma, in collaborazione con Federcasa, solo 700 mila famiglie italiane, cioè circa un terzo di quelle che si trovano in condizione di disagio abitativo, ha accesso a una casa popolare;
    i Governi di questi anni non sono stati in grado di promuovere politiche per la casa, che permettessero di favorire il recupero urbano e rilanciare l'edilizia residenziale pubblica e a fini sociali, mettendo seriamente a rischio il diritto alla casa e l'accesso alla proprietà della stessa, sancito dall'articolo 47 della Costituzione,

impegna il Governo:

   ad assumere le opportune iniziative normative volte a prevedere per il padre lavoratore dipendente l'obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo pari a venti giorni lavorativi, anche continuativi, entro i trenta giorni successivi alla nascita del figlio, dietro la corresponsione di un'indennità pari al 100 per cento della retribuzione, al fine di sostenere la genitorialità, promuovendo una cultura di maggiore condivisione dei compiti di cura dei figli all'interno della coppia;
   ad assumere iniziative per estendere, in via sperimentale, le disposizioni di cui al decreto legislativo n. 80 del 2015, in materia di permessi e congedi, anche ai dipendenti del settore pubblico, al fine di attuare una completa universalizzazione delle tutele previste per la genitorialità;
   a sostenere politiche attive ed a promuovere efficaci misure di sostegno per sperimentare nuovi rapporti tra tempi di lavoro e cura delle relazioni;
   a favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, con particolare riguardo a chi ha redditi bassi e discontinui;
   a promuovere politiche sociali di sostegno alla maternità e alla paternità, anche attraverso lo stanziamento di adeguate risorse finanziarie per la messa in sicurezza e l'incremento delle strutture e dei servizi socio-educativi per l'infanzia, garantendone l'attuazione e superando le attuali forti disomogeneità territoriali nell'offerta di detti servizi;
   ad assumere iniziative per incrementare le risorse attualmente assegnate al fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza e al fondo per le politiche sociali;
   ad assumere iniziative per rifinanziare il fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione, attualmente azzerato, quale strumento importante a favore degli enti locali per sostenere le famiglie più svantaggiate e per contrastare il disagio abitativo;
   ad assumere iniziative per dare priorità e rafforzare l'intervento sull'edilizia residenziale pubblica, stanziando a tal fine ulteriori risorse per il programma di recupero e manutenzione di immobili e alloggi di edilizia residenziale pubblica, e incentivare il co-housing;
   ad assumere iniziative per prevedere maggiori risorse per gli interventi volti al contrasto alla povertà e all'esclusione sociale, anche alla luce del fatto che le risorse stanziate per il 2016 dall'ultima legge di stabilità risultano insufficienti e in grado di coprire solo poco più di un quinto delle famiglie stimate in povertà assoluta;
   ad assumere le opportune iniziative, anche nell'ambito dell'Unione europea, volte a prevedere l'esclusione dal rispetto del patto di stabilità delle spese relative ai servizi sociali e al welfare.
(1-01170) «Nicchi, Gregori, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Melilla, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zaccagnini, Zaratti, Martelli».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    il 19 febbraio 2016 l'Istat ha reso noto il report degli indicatori demografici relativi alle stime per l'anno 2015. Lo studio purtroppo ha confermato la tendenza del nostro Paese al decremento demografico;
    dai dati pubblicati emerge una forte diminuzione del tasso di natalità;
    nel 2015 le nascite sono stimate in 488 mila unità, ben quindicimila in meno rispetto all'anno precedente. Si tocca, pertanto, un nuovo record di minimo storico dall'unità di Italia, dopo quello del 2014 (503 mila). Poiché i morti sono stati 653 mila, ne deriva una dinamica naturale della popolazione negativa per 165 mila unità;
    il ricambio generazionale, peraltro, non solo non viene più garantito da nove anni, ma continua a peggiorare (da meno 7 mila unità nel 2007 a meno 25 mila nel 2010, fino a meno 96 mila nel 2014);
    al di là delle ragioni di fondo che stanno ostacolando, dopo il 2010, una significativa ripresa della natalità nel Paese, è opportuno ricordare che il recente calo delle nascite è in parte riconducibile alla trasformazione strutturale della popolazione femminile in età feconda (15-49 anni). Le donne in questa fascia di età sono oggi meno numerose e mediamente più anziane;
    il tasso di natalità scende dall'8,3 per mille nel 2014 all'8 per mille nel 2015, a fronte di una riduzione uniformemente distribuita sul territorio;
    non si riscontrano incrementi di natalità in alcuna regione del Paese e soltanto Molise, Campania e Calabria mantengono il medesimo tasso del 2014;
    in assoluto, con un tasso pari al 9,7 per mille, il Trentino Alto Adige si conferma l'area a più intensa natalità del Paese, davanti alla Campania con l'8,7 per mille. Le regioni a più bassa natalità sono Liguria (6,5) e la Sardegna (6,7). Oltre alla più bassa natalità, alla Liguria compete anche il più alto tasso di mortalità (14,4 per mille) e quindi anche il tasso di incremento naturale più sfavorevole (-7,9 per mille), a fronte di una media nazionale pari a -2,7 per mille. La provincia di Bolzano, invece, rappresenta l'unica realtà del territorio nazionale nella quale la natalità si mantiene ancora superiore alla mortalità (+1,9 per mille);
    nel contesto di un'immigrazione sempre crescente nel nostro Paese, risulta sempre più complicato discernere i comportamenti demografici dei cittadini di origine straniera da quelli italiani, in particolar modo per quel che riguarda la natalità. Le cifre sulla composizione delle nascite per cittadinanza della madre (italiana/straniera) mostrano che si va riducendo anche il contributo delle cittadine straniere alla natalità. I nati da madre straniera, infatti, scendono a 93 mila ossia oltre 5 mila in meno (-5,4 per cento) del 2014. Quelli da madre italiana scendono a 394 mila riducendosi di oltre 9 mila (-2,4 per cento);
    per il quinto anno consecutivo nel 2015 si registra una riduzione del numero medio di figli per donna (tasso di fecondità totale), sceso a 1,35. Alla bassa propensione di fecondità continua ad accompagnarsi la scelta di rinviare sempre più in là il momento di avere figli. L'età media delle madri al parto, infatti, sale ulteriormente portandosi a 31,6 anni contro i 31,5 del 2014 (31,3 nel 2010);
    in particolare, si evidenzia che negli ultimi cinque anni il protrarsi degli effetti sociali della crisi economica ha innescato una diminuzione della fecondità di periodo poiché le difficoltà, soprattutto lavorative ed abitative, oggi incontrate dalle giovani coppie rallentano la progettualità genitoriale. Tali difficoltà, cui si accompagna un generale senso di precarietà in molti strati della società, stanno agendo nel verso di un'accentuazione della posticipazione delle nascite e, quando ciò avviene, il numero medio di figli per donna tende ad abbassarsi;
    da anni si assiste ad analisi e proposte tra le più disparate riguardanti la crisi economica e sociale del nostro Paese sottovalutando il tema demografico;
    è acclarato che l'invecchiamento della popolazione rappresenta un freno alla crescita, sia dal lato del calo della produttività, che da quello dell'aumento della spesa pubblica che diventa sempre più incomprimibile: la crescita percentuale di anziani e pensionati, infatti, è destinata a pesare come un macigno sul bilancio pubblico;
    alla luce di questi trend sociali appaiono sempre più sconcertanti la disinformazione ed il ritardo culturale nel sottovalutare l'importanza dei temi valoriali legati alla famiglia e alla natalità;
    rispetto a questi fenomeni profondi e di lunga durata è di primaria importanza il ruolo del Governo: in quest'ultimo periodo sono stati adottati pochi e modesti provvedimenti che vanno nella giusta direzione. Fa ancora fatica a prendere corpo un'azione politica e legislativa ad ampio raggio per l'aggiornamento dell'intero welfare verso la famiglia e per un'incisiva iniziativa per la trasformazione dell'organizzazione del lavoro in direzione della conciliazione fra lavoro e famiglia;
    è indispensabile adottare, nel breve periodo, un insieme di misure di sostegno economico alla famiglia ed alla natalità;
    il rifinanziamento per il 2016 del «bonus bebé», le disposizioni riguardanti il riconoscimento del congedo parentale anche ai neo papà, l'istituzione della carta della famiglia sono importanti ma del tutto insufficienti ad affrontare la gravissima difficoltà economica di una larga parte della popolazione che di fatto non consente alle coppie di avere figli;
    le famiglie e i giovani che sono nell'età di dare vita a una nuova famiglia attendono un segnale, una risposta credibile del Governo alle sempre crescenti difficoltà economiche e non solo, risposte che sono attese da chi intraprende la strada della formazione di una famiglia e della genitorialità,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità, compatibilmente con il raggiungimento degli obbiettivi di finanza pubblica, di adottare iniziative affinché la parte del reddito necessaria a mantenere i figli non sia tassata, riconoscendo una «no tax area» che copra il reddito di sussistenza della famiglia;
   a valutare l'opportunità, compatibilmente con il raggiungimento degli obiettivi della finanza pubblica, di assumere iniziative per una deduzione ai fini dell'Irpef delle spese sostenute per le rette degli asili nido;
   a valutare l'opportunità, compatibilmente con il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, di assumere iniziative per prevedere misure agevolative per la casa e per l'affitto per le giovani coppie;
   a valutare l'opportunità, compatibilmente con il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, di adottare iniziative per prevedere misure agevolative e di sostegno per le mamme lavoratrici;
   a valutare l'opportunità, compatibilmente con il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, di assumere iniziative per prevedere un contributo economico in favore della prima infanzia dal settimo mese di gravidanza fino al compimento del terzo anno di età per le famiglie che versano in particolare disagio economico.
(1-01171) «Palese, Pisicchio».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    gli indici demografici diffusi nelle ultime settimane dall'Istat hanno evidenziato un calo delle nascite al minimo storico in Italia. Nel 2015 sono state 488 mila, 8 per mille residenti, quindicimila in meno rispetto al 2014. Il numero dei figli medi per donna è di 1,35 al 2015 che si conferma il quinto anno consecutivo di riduzione della fecondità. L'età media delle donne al momento del parto è salita a 31,6 anni;
    per contro desta preoccupazione l'aumento del numero delle morti. Nel 2015 si è toccato il picco più alto di decessi dal secondo dopoguerra: i morti, secondo gli indicatori dell'Istat, sono stati 653 mila, 54 mila in più dell'anno precedente (+9,1 per cento). L'aumento di mortalità risulta concentrato nelle classi di età molto anziane (75-95 anni);
    dal punto di vista demografico, il picco di mortalità del 2015 è in parte dovuto a effetti strutturali connessi all'invecchiamento e in parte al posticipo delle morti non avvenute nel biennio 2013-2014, più favorevole per la sopravvivenza;
    una speranza di vita consolidatasi da anni e la contrazione progressiva delle nascite consegnano un Paese in «debito demografico» con dinamiche sociali che gravano su previdenza, spesa sanitaria e assistenza più che nel passato;
    le sfide della globalizzazione e le conseguenti crisi finanziarie provocheranno – in un Paese con un rapporto negativo fra popolazione attiva e non – un effetto che fra una ventina d'anni, esaurito l'effetto «baby boom» degli anni Sessanta e Settanta, sarà ancora più economicamente insostenibile;
    il contesto socio economico diventa ancora più grave se a ciò si aggiunge il fatto che il numero dei nuovi nati attribuiti ai cittadini stranieri non è così elevato da garantire una reale inversione di tendenza, a meno di nuove politiche in grado di rispondere a trasformazioni sociali così complesse;
    l'incidenza della popolazione anziana pur essendo diffusa su tutto il territorio nazionale ha una rilevanza maggiore nelle regioni del Sud, nelle quali si evidenzia una costante migrazione di giovani verso le regioni del Centro-nord più industrializzato;
    il numero delle famiglie è cresciuto di quasi un milione, ma diminuisce la loro dimensione (nel 1951 era in media di 4 persone, oggi è formata in maggioranza di soli 2 componenti);
    un fenomeno piuttosto diffuso è quello della «compattazione»: i giovani restano nel nucleo di origine più a lungo, i figli tornano dai genitori dopo separazione o divorzio, o dopo una emancipazione non riuscita o a seguito di una convivenza finita male;
    sono in aumento le persone celibi e nubili (famiglie uniparentali) che hanno superato i 7,5 milioni e rappresentano il 30,2 per cento delle famiglie italiane. La maggior parte delle persone sole è ascrivibile alla fascia di popolazione anziana (l'11 per cento ha più di 85 anni, ed è donna);
    fra i nuovi poveri ci sono i pensionati al minimo, gli anziani soli e non autosufficienti, le madri lavoratrici con figli piccoli, i disabili;
    se un anziano è attivo costituisce una risorsa economica e un aiuto nell'organizzazione familiare; per risparmiare sui costi del nido, ai nonni vengono spesso affidati i figli non in età scolare;
    la popolazione invecchiata, quella che non avrà figli a cui appoggiarsi per ricevere assistenza e cure, che non avrà la possibilità di beneficiare dell'aiuto vicendevole tra generazioni, graverà completamente sul sistema socio – sanitario nazionale;
    con l'invecchiamento della popolazione aumentano le disabilità (menomazioni fisiche e ridotta mobilità o sensoriali, perdita della vista, dell'udito, della parola) e di conseguenza si espongono gli anziani al rischio di marginalità sociale a meno di adeguate strategie di aiuto e assistenza che permettano loro di continuare a vivere in modo autonomo e partecipativo alla vita sociale;
    la crisi economica prolungata e l'indebolimento dei sistemi di protezione sociale hanno reso più ampia l'area della deprivazione materiale; il rischio di povertà in Italia è più alto della media dei Paesi dell'Unione europea e coinvolge quasi il 20 per cento delle famiglie;
    con questa situazione economica la spesa per consumi è in calo; molte famiglie hanno utilizzato i loro risparmi o hanno risparmiato meno per cercare di mantenere gli standard di vita a cui erano abituate, in alcuni casi indebitandosi;
    nel 2012 quasi il 38 per cento delle famiglie ha ricevuto trasferimenti sociali; al netto dei quali il rischio povertà sarebbe di cinque punti superiore. Quasi il 20 per cento della popolazione ha dichiarato di arrivare a stento alla fine del mese e fra il 13 e il 14 per cento di aver rinunciato, addirittura, alle cure mediche;
    l'Italia si colloca al settimo posto fra i 28 paesi dell'Unione europea per la spesa per la protezione sociale; è uno dei Paesi che destinano la quota più elevata alla previdenza; è fra gli ultimi per le spese destinate alla salute; occupa con il 4,8 per cento della spesa, la penultima posizione per le risorse destinate alle famiglie (soprattutto sostegno al reddito, tutela della maternità, assegni familiari, asili nido, strutture residenziali per famiglie con minori, assistenza domiciliare e altro); è uno degli ultimi Paesi per l'assistenza ai disabili;
    la vera risorsa è il settore del no profit che svolge un ruolo crescente e determinante sul piano del welfare anche se ha una presenza eterogenea a livello nazionale (con evidenti carenze nel Mezzogiorno) e dipende fortemente dal finanziamento pubblico che, ovviamente, in tempi di contrazione della spesa, subisce la crisi;
    il processo di modernizzazione dei comportamenti familiari è caratterizzato da un calo delle nascite e la scarsa propensione al matrimonio tradizionale; si osserva invece un aumento dei matrimoni civili delle unioni libere e del numero dei figli nati fuori dal matrimonio;
    dal 2012 un nato su 4 ha genitori non coniugati per una percentuale nelle regioni del centro-nord del Paese vicina la 30 per cento;
    nel 2012 il 52 per cento dei maschi e il 35 per cento delle ragazze di età compresa fra 25 e 34 anni viveva in famiglia; sono molteplici le ragioni: aumento della scolarizzazione, le difficoltà incontrate nel mondo del lavoro e la precarietà dello stesso, l'impossibilità di competere con un mercato immobiliare troppo costoso;
    dal punto di vista ambientale e urbanistico va registrato uno spopolamento delle aree rurali e montane in direzione delle aree metropolitane che però presentano periferie affollate e degradate dove le famiglie vivono in edilizia poco qualificata con infrastrutture e servizi insufficienti;
    nel 2012 i poveri assoluti hanno raggiunto l'8 per cento delle famiglie e il rischio povertà in Italia è il più alto d'Europa;
    quasi il 46 per cento della spesa per le famiglie con figli è assorbita da asili nido e altri servizi socio-educativi per la prima infanzia, mentre il 18 per cento è destinato all'accoglienza in strutture residenziali per minori privi di tutela o genitori in difficoltà con bambini;
    nel corso delle ultime manovre economiche nazionali sono stati circoscritti i vari stanziamenti sui fondi per le politiche sociali. Per i principali fondi è stata definita una situazione, pressoché di stabilità per il prossimo triennio: il fondo indistinto (Fondo nazionale per le politiche sociali) è stato rifinanziato sui livelli del 2015, mentre quello per la non autosufficienza è stato confermato su 400 milioni; la cifra è stata raggiunta grazie all'integrazione di 150 milioni prevista nella legge di stabilità, da destinarsi, anche agli interventi per la Sla;
    la legge di stabilità per il 2016 ha portato invece alcune rilevanti novità per quanto riguarda alcuni fondi sociali «minori». Dopo il finanziamento nel 2015 del fondo nazionale per le politiche per la Famiglia di 100 milioni di euro per rilanciare il piano di sviluppo dei servizi socio educativi per la prima infanzia, nel 2016 non è stata data continuità a questi interventi. La dotazione del fondo per il 2016 (5 milioni su base nazionale), è stata caratterizzata da un dirottamento delle somme stanziate dalle precedenti manovre su un nuovo fondo per le adozioni internazionali. Inoltre, a causa dello slittamento temporale dell'assegnazione, nel 2016 gli enti territoriali avranno a disposizione le risorse del riparto del fondo nazionale per la famiglia 2015 da destinare al potenziamento dei servizi socio-educativi (aumento dei posti, delle fasce di apertura, sostegno ai costi di gestione nella prospettiva di riduzione delle rette), secondo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 agosto 2015;
    è stata ampliata, inoltre, la gamma dei fondi sociali attraverso l'istituzione di una nuova linea di finanziamento diretta agli interventi per il sostegno di persone con disabilità grave prive di sostegno familiare: 90 milioni di euro su base nazionale per i cosiddetti interventi «dopo di noi». Ciò significa risorse aggiuntive che saranno gestite in forma separata rispetto al resto dei fondi per le politiche sociali, rinunciando a una programmazione integrata del complesso degli interventi del welfare locale per la disabilità e la non autosufficienza. Analogamente, un altro nuovo fondo viene istituito per l'attuazione della legge n. 134 del 2015 in materia di cura dei soggetti con disturbi dello spettro autistico che tuttavia ha caratteristiche regolamentate dal Ministero della salute;
    dal «IV Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva» emerge che nel nostro Paese le risorse finanziarie destinate al sociale sono prevalentemente assorbite dalla spesa pensionistica. Anche se in questo ambito i dati di riferimento del Piano non sono aggiornati e si fermano al 2012, si rileva, rispetto al 2007, un aumento delle quote di spesa destinate alle funzioni «disoccupazione» (+ 1,9 punti percentuali) e «vecchiaia» (+ 1,0 per cento); mentre registrano una diminuzione le quote per «famiglia», «superstiti» e «invalidità» (-0,2 per cento), e in particolare per «malattia-salute» (-2,3 per cento). Stanti questi dati, la spesa sociale per l'area minorenni e famiglie si attesta, nel 2012, all'1,3 per cento del prodotto interno lordo. La quota di spesa sociale riservata a famiglie e minorenni è la più bassa fra i maggiori Paesi europei: infatti la Germania spende per minorenni e famiglie l'11,2 per cento della spesa sociale, la Francia il 7,9 per cento, il Regno Unito 6,6 per cento e la Spagna il 5,4 per cento;
    oggi gli enti locali trovano oggettive difficoltà per la redazione dei bilanci e per garantire la qualità e la quantità dei servizi per l'infanzia a causa di un'evidente condizione d'incertezza derivante dalla riduzione dei finanziamenti statali e dalle modalità di erogazione annuale, con una tendenza al ribasso delle risorse, non proporzionali all'andamento del numero delle scuole e delle sezioni riconosciute come paritarie;
    gli asili nido comunali rivestono un grande interesse pubblico, sono servizi per l'infanzia accessibili e di qualità che non solo contribuiscono a conciliare in modo rilevante vita familiare e lavorativa favorendo una maggiore partecipazione femminile al mondo del lavoro, ma sono esperienze educative decisive nello sviluppo cognitivo e relazionale infantile. In base ai dati rilevati dall'Anci, tra il 2010 e il 2013, vi è stato un aumento del 9 per cento di risorse impegnate da parte dei comuni destinato ai nidi a gestione diretta ed un 16 per cento per quelli a gestione convenzionata, in particolare nei comuni metropolitani dal 2010 al 2013 si è registrato un incremento pari al 20 per cento di risorse per i nidi a gestione diretta ed un 22 per cento per quelli a gestione convenzionata;
    dal piano nazionale per l'infanzia emerge, inoltre, l'urgenza di un sostegno sempre più accurato e settoriale alle politiche per la famiglia, a causa soprattutto delle rilevanti trasformazioni di quest'ultima all'interno di una società in evoluzione; in tal senso l'indicazione del Piano è di privilegiare due macro aree: il sostegno alla genitorialità e il sistema dell'accoglienza dei minorenni allontanati dalla famiglia di origine;
    in questa chiave è di rilievo valutare l'impatto fortemente positivo che sulle famiglie hanno le pratiche di welfare aziendale e corporate social responsibility (rilevato anche dal rapporto Istat per il 2015). Tra i benefit e servizi che le imprese offrono ai dipendenti rientrano le iniziative di welfare aziendale, che – recando vantaggi non solo ai dipendenti e alle loro famiglie ma più in generale al territorio dove opera l'azienda – affiancano il welfare locale;
    si tratta di misure che rappresentano veri e propri meccanismi di incentivazione del lavoratore in quanto riguardano le modalità di erogazione della prestazione lavorativa, lo sviluppo del capitale umano, il clima organizzativo e, in definitiva, la qualità del lavoro. Inoltre, l'offerta di servizi aggiuntivi per i dipendenti e le loro famiglie (asili nido, servizi di trasporto e altro) tende a rafforzare il legame tra impresa e collaboratori,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per dare piena attuazione ai principi di solidarietà politica, economica e sociale secondo quanto previsto all'articolo 2 della Costituzione;
   a promuovere misure per la revisione complessiva del regime fiscale della famiglia, in modo da dare concreto sostegno all'istituzione del nucleo familiare e alla piena assunzione degli impegni connessi alla genitorialità;
   ad incentivare azioni a sostegno della genitorialità e del sistema dell'accoglienza dei minorenni allontanati dalla famiglia di origine, così come definito dal IV piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva, riorganizzando il sistema locale dei servizi di prossimità e degli interventi di sostegno per garantire risorse uniformi, stabili e complementari a tutte le famiglie secondo il principio delle pari opportunità;
   a promuovere concrete politiche sociali («bonus» fiscali, servizi socio educativi e socio assistenziali gratuiti) che rispondendo a precise esigenze delle famiglie siano tali da riuscire a incoraggiare una natalità sufficiente a contrastare il processo di invecchiamento della popolazione;
   ad assumere iniziative per definire misure correttive del sistema attuale di ripartizione delle risorse assegnate al welfare, che produce evidenti iniquità e non risponde all'esigenza di garantire, in materia di politiche sociali, le categorie più deboli quali minori, anziani, disabili, famiglie in difficoltà;
   ad assumere iniziative per mettere tutti i cittadini in una condizione di dignità e di giustizia, a partire dalle fasce di popolazione più debole, perché una società è «civile» se in essa nessuno si sente escluso o ultimo.
(1-01172) «Vezzali, Monchiero, Vargiu, Molea, Matarrese, Librandi, D'Agostino, Dambruoso, Rabino, Mazziotti Di Celso».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    in tema di politiche familiari, negli ultimi venti anni si sono prodotti profondi mutamenti politici, economici e sociali che, nell'ultimo decennio, hanno attraversato l'Italia e i Paesi dell'Unione europea, coinvolgendo le identità dei soggetti e delle organizzazioni, e determinando profonde ripercussioni sulle condizioni di vita delle famiglie, dei bambini e dei giovani;
    ci sono state trasformazioni strutturali che hanno investito l'organizzazione della produzione e del lavoro e trasformazioni in campo sociale e demografico che hanno riguardato, invece, i soggetti che si muovono all'interno della società e, in particolare, del mercato del lavoro. Tra queste, di grande rilievo è la diminuzione della natalità che ha riguardato soprattutto i Paesi europei della fascia mediterranea, tra cui l'Italia, la Spagna e il Portogallo, e i Paesi di nuova adesione, tra cui Polonia, Slovenia, Lituania;
    si è contestualmente assistito all'aumento dei divorzi e di unioni non istituzionalizzate, unitamente a famiglie monoparentali in cui è specialmente la donna a gestire la cura, la crescita e l'educazione dei figli;
    il 27 novembre 2015, l'Istat ha pubblicato i dati sul monitoraggio delle nascite relativi all'anno 2014. Lo studio ha confermato la recente tendenza del nostro Paese al decremento demografico;
    in particolare, emerge dai dati una forte flessione del tasso di natalità: l'anagrafe ha, infatti, registrato quasi 12.000 nuovi nati in meno rispetto al 2013 e all'incirca 74.000 in meno rispetto al 2008;
    secondo l'ente di ricerca, la media aggiornata di figli per donna è di 1,37 (ancora in diminuzione rispetto a 1,46 del 2010); tale media è di 1,29, se il campione è composto di sole donne italiane. La natalità si è abbassata significativamente anche per le cittadine straniere residenti; si è passati da una media di 2,65 del 2008 a una di 1,97 del 2014;
    nel report sugli indicatori demografici reso noto dall'Istat il 19 febbraio 2016, risulta che le nascite in Italia sono state 488 mila, 15 mila in meno rispetto al 2014, la percentuale più bassa dall'Unità d'Italia. Si tratta di un saldo negativo tra nati e deceduti di 165 mila unità. Risulta in calo anche il contributo delle cittadine straniere alla natalità. A questi dati si aggiunge la continua riduzione del numero medio di figli per donna sceso a 1,35 (1,28 se si considerano solo le cittadine italiane) e il continuo innalzamento dell'età media delle madri al parto, che si porta a 31,6 anni (32,2 delle cittadine italiane) contro i 31,5 del 2014;
    gli effetti di un così basso tasso di natalità sono economicamente e socialmente preoccupanti. Ciò risulta tanto più grave se si considera che, negli ultimi 10 anni, le donne hanno sempre più posticipato la decisione di sposarsi ed avere un figlio. Le mamme ultraquarantenni sono infatti aumentate del 100 per cento (l'età media alla nascita del primo figlio, che spesso rimane l'unico, è infatti di 30,8 anni), mentre sono diminuite del 18 per cento quelle minorenni. Solo l'11 per cento dei nati ha una madre con un'età inferiore ai 25 anni, mentre oltre il 24 per cento ha una madre di 35 anni e più;
    tutto ciò si è tradotto in famiglie sempre più piccole e sempre più fragili, dipendenti dal sistema dei servizi e dai meccanismi redistributivi del sistema di welfare per poter far fronte ai bisogni di base come a quelli di cura;
    in Italia, la spesa pubblica per servizi alla famiglia, comprensiva dei trasferimenti in denaro, della spesa per fornitura di servizi e di agevolazioni fiscali, è l'1,3 per cento del prodotto interno lordo in Francia è circa il 3,02 per cento. Nell'Unione europea solo Spagna e Grecia spendono meno dell'Italia. Analizzando le componenti di questa spesa, l'Italia destina solo lo 0,15 per cento del prodotto interno lordo a interventi diretti alla primissima infanzia. Di conseguenza, solo il 12,7 per cento circa dei bambini da 0 a 3 anni frequenta un asilo nido; le differenze tra regioni sono molto ampie: si passa dal 24 per cento dell'Emilia Romagna a valori attorno al 2 per cento in Calabria e Campania;
    in Italia, la spesa per la famiglia è dunque la voce del welfare meno generosa, sia se confrontata con la spesa nelle altre componenti del welfare, sia rispetto al resto d'Europa;
    la carenza del welfare per la famiglia non è priva di conseguenze. Bambini e donne in particolare restano ai margini dell'attenzione dello stato sociale. La gestione dei bambini piccoli è responsabilità quasi esclusiva della famiglia, in particolare delle mamme, sulle quali ricade la maggior parte dell'attività domestica e del lavoro di cura, in misura molto sbilanciata anche rispetto ai padri. I nonni, in particolare le nonne, contribuiscono in misura preponderante alla cura dei bambini, supplendo spesso alla carenza dello stato sociale;
    un esempio virtuoso – sotto questo profilo – viene dalla Francia, che in pochi anni è riuscita a invertire il trend demografico avverso, dando vita ad un sistema organico nel quale le famiglie con più di un figlio ricevono sostanziosi contributi e quelle con un reddito più basso possono beneficiare anche di altre forme di sostegno, come contributi per l'alloggio, per i libri scolastici e addirittura per le vacanze. È previsto, inoltre, un contributo economico in favore della prima infanzia dal settimo mese di gravidanza fino al compimento del terzo anno di età;
    la famiglia rappresenta un grande «capitale sociale» che, in tempo di crisi, costituisce l'unico sostegno in un mondo «senza reti» e deve essere per questo tutelata; l'articolo 29 della Costituzione individua infatti la famiglia come società naturale e all'articolo 31 la Costituzione stabilisce che: «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose»;
    nel corso dell'esame parlamentare della legge di stabilità 2016, Forza Italia ha depositato numerose proposte emendative, contenenti misure a sostegno delle famiglie, delle quali il Governo ha scelto di non tenere conto, tra le quali l'introduzione del quoziente familiare, in grado di favorire la creazione di nuovi nuclei familiari e di sostenere quelli esistenti, senza penalizzare l'accesso nel mercato del lavoro delle donne, ma valorizzando il ruolo della famiglia come nucleo fondante della società,

impegna il Governo:

   ad adottare politiche di sostegno alle famiglie che siano adeguate a fronteggiare l'attuale situazione economica che ha causato l'impoverimento delle famiglie italiane e in particolar modo, di quelle con figli, specie se minori, valutando la possibilità di assumere iniziative per incrementare la quota di investimento pubblico in protezione sociale destinato alle famiglie, rispettando, in tal modo il dettato costituzionale;
   ad assumere iniziative normative volte a prevedere misure rivolte in modo specifico alle giovani coppie, per sostenere le necessità legate all'acquisto o all'affitto della casa, stabilendo interventi in materia di servizi socio-educativi per l'infanzia;
   ad adottare tutte le opportune iniziative di contrasto alla disoccupazione giovanile, promuovendo la qualità dell'occupazione e delle relazioni industriali al fine di favorire una ripresa della fiducia nei confronti delle prospettive economiche e sociali del Paese;
   a intraprendere opportune iniziative al fine di prevedere specifiche agevolazioni fiscali per le famiglie, che siano da impulso per la formazione di nuovi nuclei familiari e per la genitorialità, assumendo iniziative per rivedere, al contempo, al rialzo, l'importo degli assegni familiari per i nuclei più numerosi;
   a valutare la possibilità di assumere iniziative per introdurre l'istituto del quoziente familiare, che considera il nucleo familiare e non il singolo contribuente, come soggetto passivo dell'Irpef, con conseguenti benefici per le famiglie più numerose.
(1-01173) «Occhiuto, Crimi».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    secondo gli ultimi dati Istat sulla natalità e fecondità della popolazione residente in Italia pubblicato il 27 novembre 2015, aggiornato al 19 febbraio 2016, nel 2015 le nascite sono state 488 mila (8 per mille dei residenti), quindicimila in meno rispetto al 2014 (nuovo minimo storico dall'Unità di Italia), quasi 12 mila in meno rispetto al 2013, 74 mila in meno sul 2008;
    sempre secondo il documento Istat, la diminuzione delle nascite riguarda soprattutto le coppie di genitori entrambi italiani: 398.540, quasi 82 mila in meno negli ultimi sei anni perché le donne italiane in età riproduttiva sono sempre meno e hanno una propensione ad avere figli sempre più bassa mentre si mantiene stabile il livello dei nati con almeno un genitore straniero (20,7 per cento per cento dei nati, 29 per cento nel Nord e 8 per cento nel Mezzogiorno), mentre diminuiscono i nati con entrambi i genitori stranieri (14,9 per cento del totale delle nascite) ed anche i nati all'interno del matrimonio: nel 2014 sono appena 363.916, ben 100 mila in meno rispetto al 2008. Al contrario, aumentano i nati da genitori non coniugati: oltre 138 mila nel 2014, quasi 26 mila in più sul 2008, con un peso relativo rispetto ai nati da coppie coniugate pari al 27,6 per cento del totale delle nascite; quasi l'8 per cento dei nati nel 2014 ha una madre di almeno 40 anni mentre in un caso su dieci (10,7 per cento) la madre è sotto i 25 anni; il numero medio di figli per donna scende a 1,35 (rispetto a 1,46 del 2010). Le donne italiane hanno in media 1,28 figli, le cittadine straniere residenti 1,93; in quest'ultimo caso il calo è rilevante rispetto al 2008, quando avevano in media 2,65 figli;
    la popolazione residente in Italia è sostanzialmente arrivata alla crescita zero: i flussi migratori riescono a malapena a compensare il calo demografico dovuto alla dinamica naturale (nati meno morti), il movimento naturale della popolazione ha fatto registrare nel 2015 un saldo negativo di 165 mila unità, che segna un picco mai raggiunto nel nostro Paese dal biennio 1917-1918 (primo conflitto mondiale);
    inoltre, continua l'invecchiamento della popolazione italiana: l'età media è 44,6 anni, in costante aumento di due decimi all'anno nel periodo 2011-2015; la popolazione anziana (65 anni e oltre) è pari al 22 per cento, quasi un punto percentuale in più rispetto al 2011. In particolare, i cosiddetti «grandi vecchi» (80 anni e più) crescono ogni anno di un punto decimale, arrivando nel 2014 al 6,5 per cento della popolazione. Le persone ultracentenarie in vita al 31 dicembre 2014 sono 19 mila (3 mila uomini e 16 mila donne). Le persone con almeno 105 anni sono più di 800, di cui solo un centinaio sono uomini. Infine le persone con 110 anni e oltre sono 18, tutte donne;
    l'aumento dell'invecchiamento della popolazione e della vita media, da un lato, e il regime di persistente bassa fecondità, dall'altro, fanno sì che l'Italia abbia conquistato, a più riprese, il primato di Paese con il più alto indice di vecchiaia del mondo (rapporto percentuale tra il numero degli ultrasessantacinquenni ed il numero dei giovani fino ai 14 anni) pari a 157,7 anziani ogni 100 giovani nel 2015;
    tutti questi dati rappresentano il «debito demografico» contratto da un Paese nei confronti delle generazioni future, soprattutto in termini di previdenza, spesa sanitaria e assistenza. Trent'anni di tale evoluzione demografica hanno determinato un Paese profondamente trasformato nella sua struttura e nelle sue dinamiche sociali e demografiche. Alle sfide che la globalizzazione e le crisi finanziarie impongono ai sistemi Paese, l'Italia si presenta dunque con una struttura per età fortemente squilibrata;
    la concomitanza tra la fase di crisi economica, la precarietà del lavoro e la diminuzione delle nascite (ravvisabile in quasi tutti i Paesi europei), fa presumere una relazione di causa-effetto tra i fenomeni, anche se non è possibile stabilirne con certezza il legame causale. Lo stesso è avvenuto per la diminuzione dei matrimoni, registrata proprio negli ultimi quattro anni;
    nel nostro Paese gli effetti della sfavorevole congiuntura economica si sommano a quelli strutturali dovuti alle importanti modificazioni della popolazione femminile in età feconda perché, con l'uscita dall'età feconda delle generazioni più numerose, si registra una progressiva riduzione delle potenziali madri dovuta al prolungato calo delle nascite iniziato a metà degli anni Settanta, con effetti che si prevedono ancora più rilevanti per il futuro;
    una delle cause della bassa natalità italiana è costituita dagli ostacoli economici e culturali che si frappongono alla serena e libera scelta delle donne di diventare madri per i risvolti negativi nella loro vita legati alla maternità. A partire dalla discriminazione nell'accesso al lavoro e nella prestazione di lavoro che aumenta in maniera direttamente proporzionale al numero di figli (il 22,4 per cento delle madri dopo la gravidanza perde il lavoro, numero che sale in presenza di un secondo figlio, di un livello di istruzione basso e in presenza di lavori non stabili (Istat 2014). Discriminazione aggravata da un sistema di welfare debole che spesso lascia alle donne il lavoro di cura di bambini e anziani senza che poi questo venga riconosciuto almeno dal punto di vista previdenziale come avviene in altri Paesi attraverso l'accredito di contribuzione figurativa;
    l'innalzamento dell'età per pensione di vecchiaia senza gradualità, in particolare per le donne, ha fatto mancare anche l'aiuto storicamente consolidato delle nonne;
    le politiche per la famiglia non sono separate dalle politiche per la crescita e per il lavoro, ma ne fanno parte orientando l'azione dell'Esecutivo al sostegno delle famiglie;
    alla luce di questo quadro, assumono un significato rilevante le molteplici iniziative intraprese da questo Governo di sostegno alle famiglie in difficoltà economica, alla conciliazione dei tempi tra lavoro e famiglia; alla condivisione delle responsabilità genitoriali; al contrasto della povertà estrema, in particolare di quella infantile;
    in particolare, le politiche per la conciliazione e la condivisione delle responsabilità familiari rappresentano un importante fattore di innovazione dei modelli sociali, economici e culturali e si ripropongono di fornire strumenti che, rendendo compatibili sfera lavorativa e sfera familiare, consentano di vivere al meglio i molteplici ruoli che ciascuno gioca all'interno di società complesse;
    esse interessano gli uomini, le donne e le organizzazioni, toccano la sfera privata, ma anche quella pubblica, politica e sociale e hanno un impatto evidente sul riequilibrio dei carichi di cura all'interno della coppia, sull'organizzazione del lavoro e dei tempi delle città, nonché sul coordinamento dei servizi di interesse pubblico;
    a innovare tale materia è intervenuto il decreto legislativo 15 giugno 2015 n. 80, attuativo dell'articolo 1, commi 8 e 9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183 (il cosiddetto jobs act e i relativi decreti attuativi), che ha rivisto e esteso le misure per i congedi parentali e per rendere l'indennità di maternità un diritto garantito a tutte le lavoratrici, dipendenti e autonome, anche in assenza del versamento dei contributi. In particolare, con esso si prevede: la concessione del part-time obbligatorio al rientro dal periodo di maternità, la possibilità di rendere il congedo per maternità flessibile, la cancellazione definitiva dell'abuso delle cosiddette «dimissioni in bianco» che colpiva soprattutto le giovani donne madri. Nella legge di stabilità poi è stato ampliato il congedo di paternità obbligatorio, è stato introdotto l'obbligo per le imprese di riconoscere il congedo di maternità ai fini dell'ottenimento del premio di produttività, è stato potenziato il welfare aziendale, con l'ampliamento della gamma dei servizi di cura possibili, è stato rifinanziato e esteso alle lavoratrici autonome il voucher per baby sitting. Sotto questo profilo, un ulteriore contributo potrà derivare dall'auspicata approvazione, entro tempi ravvicinati, delle disposizioni volte ad introdurre nel nostro ordinamento l'istituto dello smart working;
    uno specifico rilievo merita l'intervento del Governo che ha promosso l'istituzione del fondo destinato alla copertura finanziaria di interventi legislativi recanti misure per il sostegno di persone con disabilità grave prive di sostegno familiare nella legge di stabilità 2016, che ammonta a 90 milioni di euro; è attualmente all'esame del Senato della Repubblica il disegno di legge recante «Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare», con cui è stabilita la dotazione del suddetto fondo;
    altre misure come la carta famiglia, il fondo di solidarietà sospensione mutuo, il fondo mutui per le giovani coppie, il sostegno all'affitto, i bonus bebé, il bonus gas e il bonus elettricità, Il Fondo per la non autosufficienza, il fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile così come il piano nazionale contro la povertà riguardano le persone e le tante famiglie più fragili costrette a domandare aiuti pubblici per far fronte alle spese quotidiane dal mutuo, all'affitto, dalle spese per i bambini alle bollette secondo l'Istat, infatti, nel 2014, 1 milione e 470 mila famiglie (5,7 per cento di quelle residenti) è in condizione di povertà assoluta, 4,2 per cento al Nord, 4,8 per cento al Centro e 8,6 per cento nel Mezzogiorno, per un totale di 4 milioni 102 mila persone (6,8 per cento della popolazione residente), mentre sempre nel 2014 il 10,3 per cento delle famiglie e il 12,9 per cento delle persone residenti, per un totale di 2 milioni 654 mila famiglie e 7 milioni 815 mila persone, è in povertà relativa;
    il basso tasso di occupazione femminile è una delle cause della fragilità economica delle famiglie e su questo fronte i dati dimostrano che c’è ancora molto da fare; infatti, il divario occupazionale tra uomini e donne, dopo una riduzione nel periodo della crisi, ha ripreso a salire, anche se in misura modesta, a causa di un tasso di occupazione femminile sostanzialmente costante e uno maschile leggermente in crescita; fenomeno che si accentua in alcuni settori come i servizi, in cui l'occupazione maschile sale dell'1,6 per cento, mentre quella femminile scende del 3,4 per cento o l'industria, in cui l'occupazione maschile sale dello 0,2 per cento, mentre quella femminile si riduce del 2,7 per cento. Andamenti che confermano un tasso di occupazione femminile oscillante attorno al 47 per cento, come nel 2000;
    le nuove configurazioni familiari, la complessità sociale ed i nuovi rischi ai quali la famiglia va incontro, inducono a dedicare una particolare attenzione alle politiche per la famiglia, ponendo in atto politiche di lungo termine e non solo dettate da necessità ed emergenza, poiché lo sviluppo demografico è un fattore decisivo di sviluppo economico e sociale,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative per incrementare la quota di bilancio statale destinata alle politiche di sostegno alle famiglie;
   ad assumere ulteriori iniziative normative per incrementare l'occupazione femminile, prevedendo incentivi per le imprese che assumono a tempo indeterminato manodopera femminile, nonché incentivi fiscali per aumentare l'occupabilità delle donne dopo la maternità e politiche di detassazione per sostenere il reddito delle donne al rientro al lavoro dopo il congedo di maternità;
   ad assumere iniziative volte a prevedere, come negli altri Paesi europei, la contribuzione figurativa e il riconoscimento previdenziale per i lavori di cura, con particolare attenzione alla cura di figli e all'assistenza di familiari disabili;
   a rafforzare le politiche sociali di sostegno alla maternità e alla paternità, anche attraverso l'incremento delle strutture e dei servizi socio-educativi per l'infanzia e, in particolare, per la fascia neo-natale e pre-scolastica, garantendone l'attuazione e l'uniformità delle prestazioni su tutto il territorio nazionale;
   ad assumere iniziative per dare continuità alla misura del «bonus bebé» che va inserito in misure strutturali di sostegno alla natalità, cui assegnare carattere prioritario per lo sviluppo del Paese superando l'episodicità che ha caratterizzato la politica di trasferimenti monetari degli anni scorsi;
   a sviluppare iniziative per promuovere la genitorialità, anche attraverso interventi di sostegno alla quotidianità, di promozione delle competenze genitoriali, per riconoscere e implementare le risorse, accogliere e prevenire le fragilità, rafforzando servizi di preparazione al ruolo genitoriale, assistenza post partum, orientamento delle neo mamme;
   ad assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a garantire l'accesso alle mense scolastiche a tutti i bambini e per continuare e rafforzare la lotta alla povertà educativa;
   a favorire e stabilizzare le politiche di conciliazione dei tempi di cura, di vita e di lavoro al fine di consentire alle lavoratrici ed ai lavoratori di conciliare le proprie responsabilità professionali con quelle familiari, di educazione e cura dei figli e degli anziani e a consolidare la sperimentazione di azioni positive per la conciliazione famiglia-lavoro;
   ad assumere iniziative per rafforzare la condivisione delle responsabilità genitoriali ed in particolare il coinvolgimento nella vita familiare dei padri, attraverso l'estensione del congedo di paternità obbligatorio, come obiettivo primario;
   ad assumere iniziative per interventi, anche di tipo fiscale, per il sostegno alle famiglie più disagiate (in particolare, per le spese di cura).
(1-01174) «Sbrollini, Di Salvo, Lenzi, Roberta Agostini, Gnecchi, Gribaudo, Iori, Miotto, Pollastrini, Zampa, Albanella, Amato, Carnevali, Casati, D'Incecco, Giacobbe, Patrizia Maestri, Piazzoni, Cinzia Maria Fontana, Damiano».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, adottata in sede Onu il 10 dicembre 1948, definisce la famiglia nucleo fondamentale della società e dello Stato e come tale deve essere riconosciuta e protetta;
    il combinato disposto degli articoli della Costituzione; l'articolo 29 (che dispone il riconoscimento della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio), l'articolo 30 (con cui è stabilito che è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire e educare i figli anche se nati fuori del matrimonio e che la legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale), l'articolo 31 (con cui è disposto che la Repubblica agevola con misure e altre provvidenze la formazione della famiglia, con particolare riguardo alle famiglie numerose) – enuncia in modo inequivocabile il regime preferenziale della famiglia quale nucleo fondamentale della società;
    secondo i lavori preparatori dell'Assemblea costituente, l'aggettivo «naturale», ex articolo 29 della Costituzione, sta ad indicare che la famiglia non è un'istituzione creata dalla legge, ma una struttura di diritto naturale, legata alla natura umana come tale e preesistente rispetto all'organizzazione statale;
    la Costituzione riconosce la famiglia come soggetto sociale, luogo di generazione dei figli (garanzia dell'esistenza stessa della società), pilastro su cui si fondano le comunità locali, il sistema educativo, le strutture di produzione del reddito, il contenimento delle forme di disagio sociale. Ogni società civile che si rispetti deve salvaguardare i nuclei familiari che, consci dell'importanza del ruolo pubblico oltre che privato della loro unione, s'impegnano e si vincolano davanti allo Stato a adempiere ai doveri legati alla loro decisione;
    Chesterton scriveva: «La grande marcia della distruzione culturale proseguirà. Tutto verrà negato. Tutto diventerà un credo. Accenderemo fuochi per testimoniare che due più due fa quattro. Sguaineremo spade per dimostrare che le foglie sono verdi in estate. Non ci resterà quindi che difendere non solo le incredibili virtù e saggezze della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile: questo immenso, impossibile universo che ci guarda dritto negli occhi. Combatteremo per i prodigi visibili come se fossero invisibili. Guarderemo l'erba e i cieli impossibili con uno strano coraggio. Saremo tra coloro che hanno visto eppure hanno creduto». Chesterton con queste parole intendeva dire che ciò che fino ad allora era stata un'affermazione di buon senso e di razionalità – per esempio che tutti nasciamo da un uomo e da una donna – in futuro sarebbe diventata una tesi da bigotti, un dogmatismo da condannare e sanzionare. Sosteneva che ci dovevamo preparare alla grande battaglia in difesa del buon senso;
    stando all'ultimo rapporto Istat che ha diffuso gli indici demografici, le nascite in Italia continuano a calare: nel 2015 sono state 488 mila, 8 per mille residenti, quindicimila in meno rispetto al 2014, toccando il minimo storico dalla nascita dello Stato Italiano. Il numero dei figli medi per donna, è di 1,35 al 2015 che si conferma il quinto anno consecutivo di riduzione della fecondità. L'età media delle donne al momento del parto è salita a 31,6 anni;
    le teorie neomalthusiane, indicando nella crescita demografica il peggiore dei mali, hanno condizionato pesantemente le istituzioni internazionali e le politiche dei Governi, con risultati che sono all'origine della crisi economica e che si sono rivelati devastanti per l'economia e per lo sviluppo dell'umanità. Con il verificarsi del crollo delle nascite, il Pil mondiale è cominciato a decrescere ed i costi fissi ad aumentare. La mancanza di giovani e la crescita percentuale di anziani e pensionati hanno fatto lievitare le spese sanitarie e quelle dei sistemi pensionistici. Per sopperire alla mancata crescita demografica, le economie avanzate hanno aumentato le tasse e incrementato i costi, praticando politiche di credito facile e a basso interesse e indebitando le famiglie in maniera vertiginosa. La riduzione del risparmio e la crescita del debito delle famiglie è più o meno simile in tutti i Paesi avanzati che hanno adottato politiche di decrescita demografica;
    la capacità dei genitori di investire sul futuro dei figli dipende da molti fattori, tra questi il loro stato occupazionale, di salute, il livello di istruzione raggiunto ed il sostegno nei compiti di cura che la comunità offre loro. La possibilità di disporre di competenze e risorse, non solo economiche, è essenziale, soprattutto nei primi anni di vita del bambino, quando l'offerta educativa e di relazione è decisiva per farne emergere le potenzialità;
    affiancando i dati su povertà di reddito, di lavoro e indici di deprivazione, creando quello che a livello europeo viene definito l'indice di povertà ed esclusione sociale (AROPE)3, emerge come l'Italia abbia delle percentuali più alte di minori a rischio povertà ed esclusione sociale dell'Unione europea, pari al 28 per cento, dato al di sopra di 6 punti percentuali della media europea ed inferiore soltanto a quella rilevata in alcuni nuovi Stati membri (Bulgaria, Romania, Ungheria, Lituania) o in Paesi particolarmente segnati dalla crisi finanziaria come l'Irlanda e la Grecia;
    sono più di 1.400.000 i minori che vivono in condizione di povertà assoluta (il 13,8 per cento di tutti i minori del nostro Paese, con un aumento del 34 per cento sul totale) e circa 2.400.000 quelli che vivono in condizione di povertà relativa (il 23 per cento del totale, con un aumento di quasi 300.000 minori in 1 solo anno). I dati più drammatici riguardano il Sud e le isole, ma il peggioramento si registra in tutte le regioni ed è più marcato in relazione al numero dei figli: ad esempio tra le famiglie con 3 o più figli, più di un terzo risulta in condizioni di povertà relativa e più di un quarto in povertà assoluta;
    questi dati allarmanti, incidenti sul destino delle nuove generazioni, incrociano le cause e gli effetti della denatalità, una realtà che rende l'Italia penultima in Europa, che frena la ripresa economica e finirà con il determinare un pesante squilibrio generazionale. Secondo il rapporto Svimez 2014, nel 2013, nel Mezzogiorno d'Italia le nascite hanno toccato il minimo storico, 177.000, il numero più basso dal 1861. Questa caduta demografica è strettamente correlata alla crisi economica e occupazionale di un'area del Paese che, tra il 2008 e il 2013, ha visto mancare 800.000 posti di lavoro, con un crollo dei redditi pari al 15 per cento;
    la denatalità in Europa è ormai una emergenza. Entro il 2025 i primi Paesi europei – Italia, Spagna, Germania, Grecia – potrebbero sperimentare l'implosione demografica, ovvero la diminuzione effettiva della popolazione;
    il progresso della società moderna è stato viziato dalla rinuncia a quei riferimenti valoriali che rappresentavano le fondamenta di una comunità capace di comprendere l'importanza della tutela dei propri figli quale bene primario, seminando il dubbio del significato stesso della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita. L'accelerazione dei fenomeni di degenerazione nell'educazione sfocia, oggi giorno, in un vero e proprio allarme educativo. Sempre più in modo repentino si diffonde un pensiero unico laicista che trova sostegno anche in iniziative legislative assurde, come ad esempio quelle volte a cancellare dai documenti ufficiali i riferimenti alla madre e padre per sostituirli con surrogati asettici. Scelte dettate da una idiozia ideologica che non possono essere sottovalutate e produrranno gravi danni nel medio lungo periodo;
    i genitori evidenziano maggiori difficoltà nell'assolvimento delle competenze di cura e di educazione dei figli, le conflittualità intraconiugali e intrafamiliari sfociano in sofferti procedimenti di separazione e di divorzio;
    è necessario affrontare in maniera sistematica la prima e più importante esigenza della famiglia: quella di esistere. L'obiettivo principale deve essere quello di incentivare la natalità, attraverso una serie di strumenti che intervengano nella fascia di età più delicata del bambino (fino al compimento del terzo anno di età), delicata in termini educativi e di richieste di attenzioni e di cure, nonché per la maggiore difficoltà nella conciliazione delle esigenze familiari con quelle lavorative;
    in Italia la Costituzione ha operato una scelta assai chiara tra la famiglia fondata sul matrimonio, espressamente riconosciuta dagli articoli 29 e seguenti, e altre forme di rapporto fra le persone. Tuttavia, nel nostro Paese, il numero dei matrimoni risulta essere in forte diminuzione. Ci si sposa meno, ma anche più tardi. I giovani rimangono ormai, per un tempo sempre maggiore, a casa dei genitori, le cause sono molteplici e infatti, non sempre, si tratta di una scelta. È il fenomeno della cosiddetta «posticipazione»: tutto il ciclo di vita individuale si è infatti progressivamente spostato in avanti, con la conseguenza di aver determinato un inevitabile allungamento dei tempi che cadenzano gli eventi decisivi della vita del singolo. Si lascia più tardi la famiglia di origine, ci si sposa più tardi, si hanno figli più tardi. L'età media di chi mette al mondo il primo figlio è aumentata di circa tre anni in un ventennio e si assesta ormai sui trent'anni nelle ultime generazioni;
    il nobile desiderio dei giovani di voler contribuire al bene comune in piena autonomia e indipendenza, sposandosi e mettendo al mondo dei figli si infrange dinnanzi a problematiche di difficilissima soluzione. Si deve prendere esempio dalle politiche messe in atto in questi anni in altri Paesi europei; primo tra tutti la Francia che, in pochi anni, è riuscita a invertire il trend demografico negativo grazie a interventi mirati a considerare la famiglia parte integrante dello Stato, ponendola al centro di una politica di sicurezza sociale. Le politiche per la famiglia in Francia hanno avuto come obiettivo la ridistribuzione sia orizzontale che verticale del reddito per compensare i costi dovuti alla crescita dei figli. Nel sistema francese, infatti, le famiglie con più di un figlio ricevono contributi per la crescita dei figli e quelle con un reddito più basso possono beneficiare anche di altre forme di sostegno, come contributi per l'alloggio, per i libri scolastici e addirittura per le vacanze. In Francia è previsto, inoltre, un contributo economico in favore della prima infanzia dal settimo mese di gravidanza fino al compimento del terzo anno di età;
    è doveroso garantire il diritto di ogni persona a formare una famiglia o a essere inserita in una comunità familiare, sostenere il diritto delle famiglie al libero svolgimento delle loro funzioni sociali, riconoscere l'altissima rilevanza sociale e personale della maternità e della paternità, sostenere in modo più adeguato la corresponsabilità dei genitori negli impegni di cura e di educazione dei figli, promuovere e valorizzare la famiglia come struttura sociale primaria di fondamentale interesse pubblico;
    gli italiani, se interrogati sul numero ideale dei figli, la pensano come i francesi, gli svedesi e i tedeschi. Ma quando poi si passa dai desideri alla realtà la condizione italiana precipita rispetto a quella di gran parte dell'Europa. I motivi sono noti e di facile individuazione: la situazione economica, l'esistenza o meno di adeguati servizi sociali, i tempi della vita familiare e di quella professionale, la qualità del sistema educativo, la disponibilità di alloggi adeguati ai livelli di reddito delle giovani generazioni. Investire nelle politiche familiari significa pertanto investire sulla qualità della struttura sociale e, di conseguenza, sul futuro stesso della nostra società;
    è necessario conferire piena attuazione all'articolo 31 della Costituzione, il quale sancisce che «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze economiche la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi (...)»;
    anche quando si affronta il problema di misure di sostegno economico alle famiglie con interventi mirati, si agisce in modo assistenzialistico e non con una politica programmata di contrasto alla denatalità. Ad esempio, la misura per il sostegno economico per le famiglie (contributo per ogni figlio nato o adottato dal 1o gennaio 2015) introdotta nella legge di stabilità 2015, nella sua struttura e formulazione è viziata secondo i presentatori del presente atto di indirizzo da un approccio errato al problema; è infatti stata estesa tale misura, oltre che a tutti i cittadini italiani comunitari, anche a tutti cittadini extracomunitari. In tal modo, la misura introdotta si depotenzia rispetto ai suoi reali obiettivi e si trasforma in una disposizione di natura assistenzialista. Una misura finalizzata alla crescita demografica deve essere limitata per i presentatori del presente atto di indirizzo ai cittadini italiani comunitari e agli stranieri extracomunitari che abbiano dimostrato di voler, attraverso un processo di integrazione, progettare come scelta di vita la permanenza nel territorio del nostro Paese;
    ogni efficace politica di sostegno alla famiglia non può tuttavia, prescindere da strumenti fiscali mirati e graduati. In Italia, il sistema fiscale sembra ancora ritenere che la capacità contributiva delle famiglie non sia influenzata dalla presenza di figli e dall'eventuale scelta di uno dei due coniugi di dedicare parte del proprio tempo a curare, crescere ed educare i figli, mentre di norma, in Europa, a parità di reddito, la differenza tra chi ha e chi non ha figli a carico è consistente. Basti pensare che la differenza di imposta diretta su un reddito nominale di 30.000 euro per una famiglia con due figli e una coppia senza figli è di circa 3.500 euro in Francia, di circa 6.000 euro in Germania e di appena 1.300 euro nel nostro Paese;
    considerata l'esigenza di una maggiore equità orizzontale, appare evidente che l'introduzione di un nuovo sistema fiscale che indichi nella famiglia e non più nell'individuo l'unità impositiva dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef) segnerebbe una sostanziale inversione di rotta per il sistema fiscale italiano;
    sono passati oltre trent'anni da quando è entrata in vigore la legge quadro n. 405 del 1975, con la quale furono istituiti i consultori familiari. Essi sono nati sotto l'influenza del dibattito sulle rivendicazioni per l'emancipazione della donna che ha caratterizzato gli anni settanta e che ha imposto all'attenzione dell'opinione pubblica la necessità di un luogo di dialogo e di informazione sulla sessualità, sulla procreazione e sulla contraccezione. Nelle intenzioni del legislatore, le attività consultoriali avrebbero dovuto offrire un vasto programma di consulenza e un servizio globale alla donna, alle coppie e ai nuclei familiari in tutti quei settori tematici legati alla coppia e alle problematiche coniugali e genitoriali, ai rapporti e ai legami interpersonali e familiari, alla procreazione responsabile. Pur ponendo l'accento sul valore storico che hanno rappresentato per la nostra società, è doveroso riconsiderare il lavoro svolto e l'attuale ruolo dei consultori familiari nel nostro Paese, alla luce anche dei notevoli cambiamenti sopravvenuti nell'attuale contesto socio-culturale. Il consultorio ha inoltre assunto in questi anni, anche a seguito della riforma sanitaria, di cui alla legge n. 833 del 1978, e successive modificazioni, la struttura di servizio marcatamente sanitario, in cui si sono privilegiati gli interventi di tipo ginecologico e pediatrico a discapito della vocazione di ispirazione sociale. I consultori familiari devono quindi qualificarsi sempre di più, evitando una rigida settorializzazione e riduzione al pur importante ma non esclusivo ambito sanitario di competenza. Per rispondere a queste problematiche è necessario che, all'interno del consultorio, si rafforzino interventi di tipo sociale, psicologico e di consulenza giuridica che nella loro interazione continua possano costituire un valido riferimento per la donna e per la famiglia;
    si rende urgente, dunque, e non più procrastinabile una riforma dei consultori familiari che dimostri nei fatti una particolare attenzione e sensibilità ai diritti dei minori e della famiglia, e fortemente impegnata nella tutela sociale della genitorialità e del concepito. Di qui l'intendimento di garantire il ruolo partecipativo delle famiglie e delle organizzazioni di volontariato a difesa della vita per l'espletamento delle attività consultoriali. Bisogna tornare a ciò che già era ben esplicitato nelle intenzioni del legislatore che, nel 1975, aveva approvato la legge n. 405 (ovvero l'assistenza alla famiglia, l'educazione alla maternità e alla paternità responsabili, l'educazione per l'armonico sviluppo fisico e psichico dei figli e per la realizzazione della vita familiare), ma che nei fatti è stato residualmente attuato, complice anche la talora mera funzione burocratica dei consultori, ridotti, troppo spesso, a pura assistenza sanitaria, carenti di quelle necessarie sensibilità e competenza su problematiche sociali per le quali furono istituiti. Nei consultori familiari, non sempre viene pienamente attuato il diritto della donna di ricevere valide alternative all'aborto, poiché c’è chi sostiene che sarebbe un'ingerenza nella scelta personale, eppure proprio secondo quanto stabilito dagli articoli 2 e 5 della legge n. 194 del 1978, l'assistenza da dare alla donna in gravidanza deve essere attuata con l'informazione sui diritti spettanti alla gestante, sui servizi sociali, sanitari e assistenziali a lei riservati, sulla protezione che il mondo del lavoro deve assicurare a tutela della gestante;
    il nostro Paese è agli ultimi posti tra i Paesi dell'Unione europea per la spesa per la famiglia e l'infanzia;
    l'introduzione del federalismo fiscale, che nella sua applicazione reale fa registrare ancora un ritardo ingiustificabile, segna una netta inversione di rotta in merito alle politiche a tutela della famiglia. Questa nuova autonomia regionale e locale dovrà, infatti, essere guidata in base ai principi di coordinamento che sono elencati nella legge delega. Tra questi principi di delega vi è, infatti, quello del favor familiae: «individuazione di strumenti idonei a favorire la piena attuazione degli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, con riguardo ai diritti e alla formazione della famiglia e all'adempimento dei relativi compiti»;
    per l'ordinamento italiano si conferma quindi la opportunità di rivisitare, dentro un quadro complessivo, il favor familiae previsto dalla Costituzione;
    le formule da questo punto di vista possono essere diverse. L'imposizione a livello familiare può essere realizzata con diverse metodologie: lo splitting, il quoziente familiare o il più recente sistema denominato fattore famiglia. Il metodo che si deciderà di adottare poco conta, se la volontà sarà quella di sostenere economicamente la famiglia, dando finalmente piena attuazione al disposto costituzionale;
    gli obiettivi fissati a Lisbona prevedono che il 33 per cento dei minori al di sotto dei tre anni di età possa usufruire del servizio di asilo nido. Dai dati risulta che in media nel nostro Paese solo il 18,7 per cento dei bambini di 0-2 anni frequenta un asilo nido pubblico o privato;
    stando ai dati pubblicati da un'analisi del servizio politiche territoriali della Uil sui costi della scuola per l'infanzia, nelle 21 città capoluogo di regione, per l'anno scolastico 2015-2016, in tale anno scolastico, le mamme e i papà italiani pagheranno mediamente 329 euro mensili (3.290 euro annui) per pagare le rette degli asili nido e delle mense scolastiche nelle scuole materne o elementari, con un aumento del 3,1 per cento rispetto all'anno scolastico 2012-2013. Queste spese incidono per il 9,2 per cento sul budget familiare. Per la frequenza di un asilo nido comunale si spendono in media 252 euro mensili, che incidono per il 7 per cento sul reddito familiare, con un aumento del 2,4 per cento rispetto a 3 anni fa;
    per le mense scolastiche nelle scuole materne o elementari, invece, la retta mensile costa mediamente 77 euro, con un aumento del 5,5 per cento rispetto a 3 anni fa, che incidono per il 2,1 per cento sul reddito familiare disponibile. Nelle città campione della ricerca si evince che, nonostante il graduale ampliamento dell'offerta di questo importante servizio sociale, la quota di domanda soddisfatta è ancora molto bassa: soltanto 13 bambini 0/3 anni su 100 frequentano un asilo nido comunale o convenzionato;
    nelle città capoluogo di regione gli asili nido pubblici o convenzionati sono 717, per 43 mila posti, su una popolazione di bambini 0/3 anni di oltre 334 mila;
    è necessario affrontare in maniera sistematica il problema della carenza su tutto il territorio nazionale dei servizi socio-educativi (asili nido). Oggi, l'offerta pubblica è di gran lunga inferiore alla domanda e in alcune città il rapporto è di un posto disponibile ogni dieci richiesti. Una realtà complessa e disomogenea e ancora molto lontana dal centrare gli obiettivi europei. La legge 6 dicembre 1971, n. 1044, che istituì i nidi comunali, con la previsione di crearne 3.800 entro il 1976, ne vede ora realizzati poco più di 3.100 (e solo nel 17 per cento dei comuni): in termini di percentuale di posti disponibili rispetto all'utenza potenziale, si traduce in un misero 6 per cento a fronte del 33 per cento posto dall'agenda di Lisbona come obiettivo comunitario che si sarebbe dovuto raggiungere nel 2010. Un 6 per cento che diventa un 9,1 per cento se si considerano anche le strutture private che offrono il servizio di assistenza alla prima infanzia, con una grande sperequazione territoriale: si passa dal 16 per cento in Emilia Romagna all'1 per cento in Puglia, Calabria e Campania;
    gli asili nido comunali rientrano nella gamma dei servizi a domanda individuale resi dal comune a seguito di specifica domanda dell'utente. Nel caso degli asili nido, il livello minimo di copertura richiesta all'utente è del 50 per cento, ma le rette variano sensibilmente da comune a comune poiché la misura percentuale di copertura dei costi di tutti i servizi a domanda individuale da parte dell'utenza viene definita al momento dell'approvazione del bilancio di previsione comunale. Le rette sono determinate nel 75 per cento dei casi in base all'Isee, nel 20 per cento dei casi in base al reddito familiare e nel restante 5 per cento la retta è unica;
    si ritiene necessario un intervento che nel breve periodo possa offrire una risposta rapida alle richieste di posti nelle strutture socio-educative e per far questo è importante agire con formule nuove cercando di coniugare l'iniziativa pubblica a quella privata applicando sistemi di collegamento rapidi tra le istituzioni nel rispetto del principio di sussidiarietà verticale e orizzontale, (si evidenzia che presso la Camera dei deputati è stata presentata una proposta di legge presentata dal gruppo parlamentare Lega Nord e autonomie – A.C. 2163 recante «Norme in materia di gratuità dei servizi socio-educativi per l'infanzia»);
    l'ambizioso obiettivo che si vuole realizzare punta ad introdurre un sistema territoriale gratuito di servizi socio-educativi per la prima infanzia. Tutto ciò è realizzabile concependo e istituzionalizzando l'idea di un sistema articolato dei servizi socio-educativi per la prima infanzia. Sistema cui concorrono il pubblico, il privato, il privato sociale e i datori di lavoro, con l'obiettivo di creare sul territorio un'offerta flessibile e differenziata di qualità. Un particolare rilievo deve assumere la centralità della famiglia, anche attraverso le sue formazioni associative, poiché sempre più ampio deve essere il suo protagonismo, la capacità di espressione della sua libertà di scelta educativa e le forme di partecipazione che può mettere in atto, anche nelle scelte gestionali e nella verifica della qualità dei servizi;
    per la gestione dei servizi del sistema educativo integrato, la regione e gli enti locali devono riconoscere e valorizzare, fra l'altro, il ruolo delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, richiedendo loro una collaborazione alla programmazione e gestione dei servizi educativi nel relativo ambito territoriale;
    si ricorda, inoltre che il gruppo parlamentare della Lega Nord e delle Autonomie ha presentato alla Camera un'altra proposta di legge sul tema – l'A.C. 426 –, sempre finalizzata a potenziare il sistema territoriale dei servizi socio educativi. Questa proposta, a differenza della prima, non va a delineare il quadro entro il quale far sì che il nostro Paese si doti di nuovi strumenti finalizzati a ridisegnare l'offerta dei nidi, ma intende realizzare in tempi rapidi 1.000 nuovi asili nido senza una spesa eccessiva per l'erario pubblico. Un piano straordinario per il potenziamento dei servizi socio-educativi da definire in sede di conferenza unificata tra il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, fondato sull'erogazione di un contributo statale ripartito per le regioni e, a cascata, per gli enti locali, finalizzato alla ristrutturazione degli immobili in disuso affinché siano utilizzati come asili nido da concedere a titolo gratuito ai privati, che si impegnano a garantire rette sociali elaborate in media a quelli che sono i costi dei nidi pubblici della zona territoriale e ad assumere prioritariamente lavoratori socialmente utili al fine di offrire loro una vera occupazione. La realizzazione di questo piano straordinario renderà fruibili 1.000 nuovi asili nido su una superficie totale di 200.000 metri quadrati, 28.000 nuovi posti per i bambini, 10.000 nuovi posti di lavoro, contribuendo quindi anche ad un rilancio economico e occupazionale del Paese, attraverso la ricollocazione di un numero importante di lavoratori socialmente utili in scadenza e il rilancio delle aziende edili di ristrutturazione e dell'indotto ad esse collegato;
    è una priorità sviluppare la formazione di un sistema integrato di servizi, che offra sostegno al lavoro di cura dei genitori, in modo da favorirne la conciliazione tra impegni familiari e lavorativi, facilitando e sostenendo l'accesso delle donne nel mercato del lavoro, in un quadro di pari opportunità e condivisione dei compiti;
    il nostro Paese deve essere da esempio nell'elaborare una linea politica di invito alla vita e operare per garantire tutte le condizioni utili ad una crescita della società incentrata sui valori di un umanesimo diffuso. Occorre, quindi, rimodulare l'azione politica sui valori fondanti della vita e della persona umana,

impegna il Governo:

   a promuovere una politica a sostegno della famiglia, quale nucleo fondamentale della società, nel riconoscimento del ruolo primario che riveste nell'educazione e nella crescita dei bambini e dei giovani adolescenti;
   ad assumere iniziative per prevedere idonee misure di sostegno alle famiglie in attesa di bambini;
   a non farsi promotore di iniziative volte a diffondere posizioni ideologiche che scardinano i riferimenti valoriali che appartengono, da sempre, alla tradizione culturale, sociale e religiosa del nostro Paese;
   ad assumere iniziative per realizzare un'indagine amministrativa che quantifichi puntualmente l'effettiva domanda di servizi di asili nido, in modo tale da predisporre una programmazione di nuovi posti, in funzione della richiesta effettiva e non soltanto in base al numero complessivo dei bambini;
   a riconoscere quale priorità inderogabile nell'attuazione delle linee politico-programmatiche la realizzazione di interventi in materia di servizi socio-educativi per l'infanzia, finalizzati ad efficientare il funzionamento del servizio territoriale, la sua diversificazione, flessibilità e capillarizzazione sul territorio, secondo un sistema articolato, sistema cui concorrano il pubblico, il privato, il privato sociale e i datori di lavoro secondo i seguenti principi:
    a) gratuità dei servizi e delle prestazioni;
    b) requisito prioritario della residenza continuativa della famiglia nel territorio in cui sono richiesti i servizi e le prestazioni;
    c) partecipazione attiva della rete parentale alla definizione degli obiettivi educativi e delle scelte organizzative, nonché alla verifica della loro rispondenza ai bisogni quotidiani delle famiglie e della qualità dei servizi resi;
   a promuovere iniziative per l'incremento delle risorse destinate al fondo nazionale delle politiche sociali, verificandone, inoltre, l'equa ripartizione e garantendo che in tutte le città italiane vi sia la medesima accessibilità ai servizi;
   ad assumere iniziative normative per introdurre un sistema fiscale basato sul quoziente familiare, lo splitting o il fattore famiglia;
   ad assumere iniziative per riformare i consultori familiari al fine di dimostrare, nei fatti, una particolare attenzione e sensibilità ai diritti dei minori e della famiglia, tutelando il valore sociale della genitorialità e del concepito;
   a promuovere una politica finalizzata a contrastare la crisi demografica introducendo, nel futuro iniziative normative a sostegno della famiglia e della natalità, un criterio volto ad individuare i beneficiari delle misure di sostegno tra i cittadini italiani comunitari e i cittadini extracomunitari che abbiano dimostrato, realmente, di volersi integrare, avendo acquisito secondo i parametri di valutazione fissati dall'accordo di integrazione di cui all'articolo 4-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998, testo unico sull'immigrazione, un punteggio pari ad almeno 30 punti.
(1-01175) «Rondini, Saltamartini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Simonetti».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).