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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Giovedì 3 dicembre 2015

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 3 dicembre 2015.

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bernardo, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonafede, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Catania, Centemero, Cicchitto, Cimbro, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Micheli, Del Basso de Caro, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Ferrara, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Galati, Garofani, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Guerra, La Russa, Lauricella, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Antonio Martino, Mazziotti Di Celso, Merlo, Meta, Migliore, Orlando, Pes, Piccoli Nardelli, Piepoli, Gianluca Pini, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rossomando, Rughetti, Sanga, Sani, Santerini, Scalfarotto, Schullian, Scotto, Sereni, Sorial, Speranza, Tabacci, Tofalo, Valeria Valente, Velo, Vignali, Villecco Calipari, Zanetti.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bernardo, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonafede, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Catania, Centemero, Cicchitto, Cimbro, Costa, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Micheli, Del Basso de Caro, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Ferrara, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Galati, Garofani, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Gozi, Guerra, La Russa, Lauricella, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Antonio Martino, Mazziotti Di Celso, Merlo, Meta, Migliore, Nicoletti, Orlando, Pes, Piccoli Nardelli, Piepoli, Gianluca Pini, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rossomando, Rughetti, Sanga, Sani, Santerini, Scalfarotto, Schullian, Scotto, Sereni, Sorial, Speranza, Tabacci, Tofalo, Valeria Valente, Velo, Vignali, Villecco Calipari, Zanetti.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 2 dicembre 2015 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   COVELLO: «Modifiche al codice civile in materia di successione» (3466);
   DURANTI ed altri: «Istituzione della Giornata della memoria delle vittime del lavoro» (3467);
   CARRESCIA e D'INCECCO: «Modifiche alla legge 24 giugno 2010, n. 107, concernenti il riconoscimento della sordocecità» (3468);
   NIZZI ed altri: «Introduzione dell'articolo 67-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di visite ai soggetti detenuti in luogo diverso dagli istituti penitenziari» (3469);
   GRECO: «Modifica all'articolo 266-bis del codice di procedura penale, in materia di intercettazione e di comunicazioni informatiche o telematiche» (3470).

  Saranno stampate e distribuite.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:

   I Commissione (Affari costituzionali):
  MARCON ed altri: «Norme in materia di incompatibilità tra cariche istituzionali e incarichi interni ai partiti politici» (3415) Parere delle Commissioni V e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
  MARCON ed altri: «Disposizioni per l'attribuzione di incarichi pubblici mediante sorteggio» (3416) Parere delle Commissioni II, V, VI, VIII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento) e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;

  PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE FEDRIGA ed altri: «Modifiche agli articoli 48 e 58 della Costituzione, in materia di estensione del diritto di elettorato attivo ai sedicenni» (3417).

   II Commissione (Giustizia):
  MATARRELLI: «Modifiche al codice penale, al testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro nonché per il contrasto dello sfruttamento di lavoratori stranieri irregolarmente presenti nel territorio nazionale» (3405) Parere delle Commissioni I, V, X, XI e XIII.

   IX Commissione (Trasporti):
  MATTEO BRAGANTINI ed altri: «Modifiche all'articolo 80 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, concernenti la revisione dei veicoli a motore» (3401) Parere delle Commissioni I, V, VII, VIII e XIV.

   X Commissione (Attività produttive):
  RICCIATTI ed altri: «Disposizioni per il contrasto dell'obsolescenza programmata dei beni di consumo» (3404) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, XI, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
  RICCIATTI ed altri: «Istituzione del Fondo per investimenti in ricerca e sviluppo nel settore ambientale e per la cooperazione strategica tra imprese, università e centri di ricerca» (3406) Parere delle Commissioni I, V, VI, VII, VIII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), IX, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

   XII Commissione (Affari sociali):
  VEZZALI: «Istituzione della figura professionale di fisioterapista e del relativo albo» (3307) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), V, VII, XI, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
  VEZZALI: «Istituzione della figura professionale di massofisioterapista e del relativo albo» (3319) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), V, VII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), XI, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
  MARCO DI STEFANO: «Disposizioni per l'apertura di farmacie non convenzionate con il Servizio sanitario nazionale» (3394) Parere delle Commissioni I, II, V, VIII, X, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Trasmissione dal Presidente del Senato.

  Il Presidente del Senato, con lettera in data 1o dicembre 2015, ha comunicato che la 14a Commissione (Politiche dell'Unione europea) del Senato ha approvato, ai sensi dell'articolo 144, commi 1 e 6, del Regolamento del Senato, una risoluzione sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Legiferare meglio per ottenere risultati migliori – Agenda dell'UE (COM(2015) 215 final) e sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio – Proposta di accordo interistituzionale «Legiferare meglio» (COM(2015) 216 final) (atto Senato Doc. XVIII, n. 102).
  Questa risoluzione è trasmessa alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Trasmissione dalla Presidenza del Consiglio dei ministri.

  La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettere in data 25 novembre 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 8-ter del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1998, n. 76, i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri con cui è autorizzato, in relazione a interventi da realizzare tramite contributi assegnati per l'anno 2010 in sede di ripartizione della quota dell'otto per mille dell'IRPEF devoluta alla diretta gestione statale, l'utilizzo dei risparmi di spesa realizzati dai seguenti soggetti:
   Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – Segretariato regionale per i beni culturali e del turismo delle Marche – Ancona, per il completamento delle opere di messa in sicurezza, restauro e valorizzazione dell'eremo di Colle San Marco (Ascoli Piceno);
   comune di Subbiano (Arezzo), per il recupero strutturale e funzionale della torre medievale del complesso del castello di Subbiano.

  Questi decreti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla VIII Commissione (Ambiente).

Trasmissioni dalla Corte dei conti.

  Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 1o dicembre 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Unione italiana della camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura (Unioncamere), per l'esercizio 2013. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 337).
  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla X Commissione (Attività produttive).

  Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 1o dicembre 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria della fondazione Istituto nazionale del dramma antico (INDA), per l'esercizio 2014. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 338).
  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla VII Commissione (Cultura).

Trasmissione dal Ministero dello sviluppo economico.

  Il Ministero dello sviluppo economico ha trasmesso un decreto ministeriale recante una variazione di bilancio tra capitoli dello stato di previsione del medesimo Ministero, autorizzata in data 19 novembre 2015, ai sensi dell'articolo 23, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289.

  Questo decreto è trasmesso alla V Commissione (Bilancio) e alla X Commissione (Attività produttive).

Trasmissioni dal Ministro della salute.

  Il Ministro della salute, con lettere del 26 novembre 2015, ha trasmesso le note relative all'attuazione data agli ordini del giorno CALABRÒ n. 9/2985-A/1, concernente la definizione di criteri per l'accreditamento dei soggetti pubblici e privati abilitati alle diverse forme del trattamento dei disturbi dello spettro autistico nonché l'istituzione di una banca dati diretta a rilevare parametri di frequenza epidemiologica e offerta sociosanitaria, accolto dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 7 luglio 2015, ROCCELLA n. 9/2985-A/2, accolto dal Governo nella medesima seduta dell'Assemblea, riguardante la costituzione presso i distretti sanitari e i consultori materno-infantili di équipe territoriali dedicate all'individuazione precoce dei disturbi del neurosviluppo, in particolare dei disturbi dello spettro autistico.

  Le suddette note sono a disposizione degli onorevoli deputati presso il Servizio per il Controllo parlamentare e sono trasmesse alla XII Commissione (Affari sociali) competente per materia.

Annunzio della trasmissione di atti alla Corte costituzionale.

  Nel mese di novembre 2015 sono pervenute ordinanze emesse da autorità giurisdizionali per la trasmissione alla Corte costituzionale di atti relativi a giudizi di legittimità costituzionale.

  Questi documenti sono trasmessi alla Commissione competente.

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 2 dicembre 2015, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sui dati relativi all'incidenza di bilancio dell'attualizzazione annuale del 2015 delle retribuzioni e delle pensioni dei funzionari e degli altri agenti dell'Unione europea e dei coefficienti correttori ad esse applicati (COM(2015) 597 final), corredata dal relativo allegato (COM(2015) 597 final – Annex 1), che è assegnata in sede primaria alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea);
   Proposta di decisione del Consiglio relativa alla posizione da adottare a nome dell'Unione europea in relazione alle decisioni che verranno adottate dalla commissione permanente di Eurocontrol sui ruoli e i compiti di Eurocontrol e sui servizi centralizzati (COM(2015) 805 final), corredata dal relativo allegato (COM(2015) 805 final – Annex 1), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri).

Comunicazione di nomine ministeriali.

  La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 1o dicembre 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 19, comma 9, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le seguenti comunicazioni concernenti il conferimento, ai sensi del comma 4 del medesimo articolo 19, di incarichi di livello dirigenziale generale nell'ambito del Ministero della difesa, che sono trasmesse alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla IV Commissione (Difesa):
   alla dottoressa Anita Corrado, l'incarico di direttore della Direzione generale per il personale civile;
   alla dottoressa Enrica Preti, l'incarico di direttore della Direzione generale di commissariato e di servizi generali.

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE: S. 1429-B – DISPOSIZIONI PER IL SUPERAMENTO DEL BICAMERALISMO PARITARIO, LA RIDUZIONE DEL NUMERO DEI PARLAMENTARI, IL CONTENIMENTO DEI COSTI DI FUNZIONAMENTO DELLE ISTITUZIONI, LA SOPPRESSIONE DEL CNEL E LA REVISIONE DEL TITOLO V DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE (APPROVATO, IN PRIMA DELIBERAZIONE, DAL SENATO, MODIFICATO, IN PRIMA DELIBERAZIONE, DALLA CAMERA E NUOVAMENTE MODIFICATO, IN PRIMA DELIBERAZIONE, DAL SENATO) (A.C. 2613-B)

A.C. 2613-B – Articolo 37

ARTICOLO 37 DEL DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Capo V
MODIFICHE AL TITOLO VI DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE

Art. 37.
(Elezione dei giudici della Corte costituzionale).

  1. All'articolo 135 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:
   a) il primo comma è sostituito dal seguente:
  «La Corte costituzionale è composta da quindici giudici, dei quali un terzo nominati dal Presidente della Repubblica, un terzo dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrative, tre dalla Camera dei deputati e due dal Senato della Repubblica»;
   b) al settimo comma, la parola: «senatore» è sostituita dalla seguente: «deputato».

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 37 DEL DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE

ART. 37.
(Elezione dei giudici della Corte costituzionale).

  Al comma 1, lettera a), capoverso, sostituire le parole da: un terzo nominati fino alla fine del capoverso con le seguenti: due nominati dal Presidente della Repubblica, tre dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrative, sette dalla Camera dei deputati e tre dal Senato della Repubblica.

  Conseguentemente, all'articolo 39, comma 10, sostituire le parole da: nominati dal Parlamento in seduta comune fino alla fine del comma con le seguenti: essi vengono redistribuiti e nominati secondo le proporzioni di cui all'articolo 37.
37. 100. Bianconi, Corsaro, Altieri.

  Al comma 1, lettera a), capoverso, sostituire le parole: tre dalla Camera dei deputati e due dal Senato della Repubblica con le seguenti: un terzo dalla Camera dei deputati.

  Conseguentemente:
   all'articolo 38, comma 16:
    sostituire le parole:
da ciascuna Camera con le seguenti: dalla Camera dei deputati;
    sostituire le parole: di ciascuna Camera con le seguenti: della Camera dei deputati.;
   all'articolo 39, sopprimere il comma 10.
*37. 3. Quaranta, D'Attorre, Scotto, Costantino, Airaudo, Franco Bordo, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Ricciatti, Sannicandro, Zaccagnini, Zaratti.

  Al comma 1, lettera a), capoverso, sostituire le parole: tre dalla Camera dei deputati e due dal Senato della Repubblica con le seguenti: un terzo dalla Camera dei deputati.

  Conseguentemente:
    all'articolo 38, comma 16:
     sostituire le parole:
da ciascuna Camera con le seguenti: dalla Camera dei deputati;
     sostituire le parole: di ciascuna Camera con le seguenti: della Camera dei deputati.;
    all'articolo 39, sopprimere il comma 10.
*37. 101. La Russa, Rampelli.

  Al comma 1, lettera a), capoverso, sostituire le parole: tre dalla Camera dei deputati e due dal Senato della Repubblica con le seguenti: cinque dal Parlamento in seduta comune, a scrutinio segreto e con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti. Le candidature devono essere discusse dall'Assemblea in seduta pubblica, che preceda di non meno di cinque giorni la data dell'elezione. All'elezione partecipano cento cittadini estratti a sorte dall'elenco degli aventi diritto al voto per l'elezione dei membri della Camera dei deputati.

  Conseguentemente:
   all'articolo 38, sopprimere il comma 16;
   all'articolo 39, sopprimere il comma 10.
37. 1. Toninelli.

  Al comma 1, lettera a), capoverso, sostituire le parole: tre dalla Camera dei deputati e due dal Senato della Repubblica con le seguenti: cinque dal Parlamento in seduta comune, con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti.

  Conseguentemente:
   all'articolo 38, sopprimere il comma 16;
   all'articolo 39, sopprimere il comma 10.
37. 2. Cecconi.

  Al comma 1, lettera a), capoverso, sostituire le parole: tre dalla Camera dei deputati e due dal Senato della Repubblica con le seguenti: cinque dal Parlamento in seduta comune.

  Conseguentemente:
   all'articolo 38, sopprimere il comma 16;
   all'articolo 39, sopprimere il comma 10.
37. 4. Scotto, Quaranta, D'Attorre, Costantino, Airaudo, Franco Bordo, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Ricciatti, Sannicandro, Zaccagnini, Zaratti.

  Al comma 1, lettera a), capoverso, aggiungere, in fine, i seguenti periodi: I giudici nominati dalla Camera dei deputati e dal Senato della Repubblica sono eletti previo deposito della propria candidatura a membro della Corte costituzionale presso la Segreteria generale del rispettivo ramo del Parlamento, non meno di dieci giorni prima della data in cui le Camere sono convocate per l'elezione. Fino a tre giorni prima della data di convocazione per l'elezione, i candidati devono essere ascoltati in audizione pubblica, in particolare in ordine al possesso dei titoli richiesti dal comma successivo per la carica.
37. 5. Toninelli.

  Al comma 1, lettera a), capoverso, aggiungere, in fine, i seguenti periodi: I giudici di nomina parlamentare sono nominati previa discussione in seduta pubblica, che preceda di non meno di cinque giorni la data dell'elezione. All'elezione dei giudici di nomina parlamentare, sia alla Camera dei deputati che al Senato della Repubblica partecipano cento cittadini estratti a sorte dall'elenco degli aventi diritto al voto per l'elezione dei membri della Camera dei deputati.
37. 6. Toninelli.

  Al comma 1, lettera a), capoverso, aggiungere, in fine, il seguente periodo: In caso di cessazione della carica anche prima della scadenza naturale, l'elezione del giudice spetta al ramo del Parlamento che lo ha eletto.
37. 7. Mucci, Barbanti, Prodani, Rizzetto.

A.C. 2613-B – Articolo 38

ARTICOLO 38 DEL DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Capo VI
DISPOSIZIONI FINALI

Art. 38.
(Disposizioni consequenziali e di coordinamento).

  1. All'articolo 48, terzo comma, della Costituzione, le parole: «delle Camere» sono sostituite dalle seguenti: «della Camera dei deputati».
  2. L'articolo 58 della Costituzione è abrogato.
  3. L'articolo 61 della Costituzione è sostituito dal seguente:
  «Art. 61. – L'elezione della nuova Camera dei deputati ha luogo entro settanta giorni dalla fine della precedente. La prima riunione ha luogo non oltre il ventesimo giorno dall'elezione.
  Finché non sia riunita la nuova Camera dei deputati sono prorogati i poteri della precedente».

  4. All'articolo 62 della Costituzione, il terzo comma è abrogato.
  5. All'articolo 73, secondo comma, della Costituzione, le parole: «Se le Camere, ciascuna a maggioranza assoluta dei propri componenti, ne dichiarano» sono sostituite dalle seguenti: «Se la Camera dei deputati, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, ne dichiara».
  6. All'articolo 81 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:
   a) al secondo comma, le parole: «delle Camere» sono sostituite dalle seguenti: «della Camera dei deputati» e la parola: «rispettivi» è sostituita dalla seguente: «suoi»;
   b) al quarto comma, le parole: «Le Camere ogni anno approvano» sono sostituite dalle seguenti: «La Camera dei deputati ogni anno approva»;
   c) al sesto comma, le parole: «di ciascuna Camera,» sono sostituite dalle seguenti: «della Camera dei deputati,».

  7. All'articolo 87 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:
   a) al terzo comma, le parole: «delle nuove Camere» sono sostituite dalle seguenti: «della nuova Camera dei deputati»;
   b) all'ottavo comma, le parole: «delle Camere» sono sostituite dalle seguenti: «della Camera dei deputati. Ratifica i trattati relativi all'appartenenza dell'Italia all'Unione europea, previa l'autorizzazione di entrambe le Camere»;
   c) al nono comma, le parole: «dalle Camere» sono sostituite dalle seguenti: «dalla Camera dei deputati».

  8. La rubrica del titolo V della parte II della Costituzione è sostituita dalla seguente: «Le Regioni, le Città metropolitane e i Comuni».
  9. All'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, dopo le parole: «, delle Province» sono inserite le seguenti: «autonome di Trento e di Bolzano».
  10. All'articolo 121, secondo comma, della Costituzione, le parole: «alle Camere» sono sostituite dalle seguenti: «alla Camera dei deputati».
  11. All'articolo 122, secondo comma, della Costituzione, le parole: «ad una delle Camere del Parlamento» sono sostituite dalle seguenti: «alla Camera dei deputati».
  12. All'articolo 132, secondo comma, della Costituzione, le parole: «della Provincia o delle Province interessate e» sono soppresse e le parole: «Province e Comuni,» sono sostituite dalle seguenti: «i Comuni,».
  13. All'articolo 133 della Costituzione, il primo comma è abrogato.
  14. Il comma 2 dell'articolo 12 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:
   «2. Il Comitato di cui al comma 1 è presieduto dal Presidente della Giunta della Camera dei deputati».

  15. Alla legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1, sono apportate le seguenti modificazioni:
   a) l'articolo 5 è sostituito dal seguente:
  «Art. 5. – 1. L'autorizzazione prevista dall'articolo 96 della Costituzione spetta alla Camera dei deputati, anche se il procedimento riguardi altresì soggetti che non sono membri della medesima Camera dei deputati»;
   b) le parole: «Camera competente ai sensi dell'articolo 5» e «Camera competente», ovunque ricorrono, sono sostituite dalle seguenti: «Camera dei deputati».

  16. All'articolo 3 della legge costituzionale 22 novembre 1967, n. 2, al primo periodo, le parole: «da questo in seduta comune delle due Camere» sono sostituite dalle seguenti: «da ciascuna Camera» e le parole: «componenti l'Assemblea» sono sostituite dalle seguenti: «propri componenti»; al secondo periodo, le parole: «l'Assemblea» sono sostituite dalle seguenti: «di ciascuna Camera».

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 38 DEL DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE

ART. 38.
(Disposizioni consequenziali e di coordinamento).

  Sostituire il comma 16 con il seguente:
  16. L'articolo 3 della legge costituzionale 22 novembre 1967, n. 2, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:
  «Art. 3. – I giudici della Corte costituzionale nominati dal Parlamento sono eletti da ciascuna Camera a scrutinio segreto e con la maggioranza dei due terzi dei propri componenti. Per gli scrutini successivi al decimo è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei componenti».
38. 2. Cecconi.

  Sostituire il comma 16 con il seguente:
  16. L'articolo 3 della legge costituzionale 22 novembre 1967, n. 2, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:
  «Art. 3. – I giudici della Corte costituzionale nominati dal Parlamento sono eletti da ciascuna Camera a scrutinio segreto e con la maggioranza dei due terzi dei propri componenti».
38. 1. Toninelli.

A.C. 2613-B – Articolo 39

ARTICOLO 39 DEL DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Art. 39.
(Disposizioni transitorie).

  1. In sede di prima applicazione e sino alla data di entrata in vigore della legge di cui all'articolo 57, sesto comma, della Costituzione, come modificato dall'articolo 2 della presente legge costituzionale, per l'elezione del Senato della Repubblica, nei Consigli regionali e della Provincia autonoma di Trento, ogni consigliere può votare per una sola lista di candidati, formata da consiglieri e da sindaci dei rispettivi territori. Al fine dell'assegnazione dei seggi a ciascuna lista di candidati si divide il numero dei voti espressi per il numero dei seggi attribuiti e si ottiene il quoziente elettorale. Si divide poi per tale quoziente il numero dei voti espressi in favore di ciascuna lista di candidati. I seggi sono assegnati a ciascuna lista di candidati in numero pari ai quozienti interi ottenuti, secondo l'ordine di presentazione nella lista dei candidati medesimi, e i seggi residui sono assegnati alle liste che hanno conseguito i maggiori resti; a parità di resti, il seggio è assegnato alla lista che non ha ottenuto seggi o, in mancanza, a quella che ha ottenuto il numero minore di seggi. Per la lista che ha ottenuto il maggior numero di voti, può essere esercitata l'opzione per l'elezione del sindaco o, in alternativa, di un consigliere, nell'ambito dei seggi spettanti. In caso di cessazione di un senatore dalla carica di consigliere o di sindaco, è proclamato eletto rispettivamente il consigliere o sindaco primo tra i non eletti della stessa lista.
  2. Quando, in base all'ultimo censimento generale della popolazione, il numero di senatori spettanti a una Regione, ai sensi dell'articolo 57 della Costituzione, come modificato dall'articolo 2 della presente legge costituzionale, è diverso da quello risultante in base al censimento precedente, il Consiglio regionale elegge i senatori nel numero corrispondente all'ultimo censimento, anche in deroga al primo comma del medesimo articolo 57 della Costituzione. Si applicano in ogni caso le disposizioni di cui al comma 1.
  3. Nella legislatura in corso alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, sciolte entrambe le Camere, non si procede alla convocazione dei comizi elettorali per il rinnovo del Senato della Repubblica.
  4. Fino alla data di entrata in vigore della legge di cui all'articolo 57, sesto comma, della Costituzione, come modificato dall'articolo 2 della presente legge costituzionale, la prima costituzione del Senato della Repubblica ha luogo, in base alle disposizioni del presente articolo, entro dieci giorni dalla data della prima riunione della Camera dei deputati successiva alle elezioni svolte dopo la data di entrata in vigore della presente legge costituzionale. Qualora alla data di svolgimento delle elezioni della Camera dei deputati di cui al periodo precedente si svolgano anche elezioni di Consigli regionali o dei Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano, i medesimi Consigli sono convocati in collegio elettorale entro tre giorni dal loro insediamento.
  5. I senatori eletti sono proclamati dal Presidente della Giunta regionale o provinciale.
  6. La legge di cui all'articolo 57, sesto comma, della Costituzione, come modificato dall'articolo 2 della presente legge costituzionale, è approvata entro sei mesi dalla data di svolgimento delle elezioni della Camera dei deputati di cui al comma 4.
  7. I senatori a vita in carica alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale permangono nella stessa carica, ad ogni effetto, quali membri del Senato della Repubblica.
  8. Le disposizioni dei regolamenti parlamentari vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale continuano ad applicarsi, in quanto compatibili, fino alla data di entrata in vigore delle loro modificazioni, adottate secondo i rispettivi ordinamenti dalla Camera dei deputati e dal Senato della Repubblica, conseguenti alla medesima legge costituzionale.
  9. Fino all'adeguamento del regolamento della Camera dei deputati a quanto previsto dall'articolo 72, settimo comma, della Costituzione, come modificato dall'articolo 12 della presente legge costituzionale, in ogni caso il differimento del termine previsto dal medesimo articolo non può essere inferiore a dieci giorni.
  10. In sede di prima applicazione dell'articolo 135 della Costituzione, come modificato dall'articolo 37 della presente legge costituzionale, alla cessazione dalla carica dei giudici della Corte costituzionale nominati dal Parlamento in seduta comune, le nuove nomine sono attribuite alternativamente, nell'ordine, alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica.
  11. In sede di prima applicazione, nella legislatura in corso alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, su ricorso motivato presentato entro dieci giorni da tale data, o entro dieci giorni dalla data di entrata in vigore della legge di cui all'articolo 57, sesto comma, della Costituzione, come modificato dalla presente legge costituzionale, da almeno un quarto dei componenti della Camera dei deputati o un terzo dei componenti del Senato della Repubblica, le leggi promulgate nella medesima legislatura che disciplinano l'elezione dei membri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica possono essere sottoposte al giudizio di legittimità della Corte costituzionale. La Corte costituzionale si pronuncia entro il termine di trenta giorni. Anche ai fini di cui al presente comma, il termine di cui al comma 6 decorre dalla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di cui all'articolo 57, sesto comma, della Costituzione, come modificato dalla presente legge costituzionale, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano conformano le rispettive disposizioni legislative e regolamentari a quanto ivi stabilito.
  12. Le leggi delle regioni adottate ai sensi dell'articolo 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, nel testo vigente fino alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, continuano ad applicarsi fino alla data di entrata in vigore delle leggi adottate ai sensi dell'articolo 117, secondo e terzo comma, della Costituzione, come modificato dall'articolo 31 della presente legge costituzionale.
  13. Le disposizioni di cui al capo IV della presente legge costituzionale non si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano fino alla revisione dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime Regioni e Province autonome. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, e sino alla revisione dei predetti statuti speciali, alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome si applicano le disposizioni di cui all'articolo 116, terzo comma, ad esclusione di quelle che si riferiscono alle materie di cui all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, nel testo vigente fino alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale e resta ferma la disciplina vigente prevista dai medesimi statuti e dalle relative norme di attuazione ai fini di quanto previsto dall'articolo 120 della Costituzione; a seguito della suddetta revisione, alle medesime Regioni a statuto speciale e Province autonome si applicano le disposizioni di cui all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, come modificato dalla presente legge costituzionale.
  14. La Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste esercita le funzioni provinciali già attribuite alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale.

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 39 DEL DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE

ART. 39.
(Disposizioni transitorie).

  Al comma 11, primo periodo, sostituire le parole: o entro dieci giorni dalla data di entrata in vigore della legge di cui all'articolo 57, sesto comma, della Costituzione, come modificato dalla presente con le seguenti: o, limitatamente alla legge di cui all'articolo 57, sesto comma, della Costituzione, come modificato dalla presente legge, entro dieci giorni dalla data di entrata in vigore della stessa.
39. 2. Cozzolino.

  Al comma 11, primo periodo, sostituire le parole: della legge di cui all'articolo 57, sesto comma, della Costituzione, come modificato dalla presente legge costituzionale con le seguenti: di qualsiasi nuova legge che disciplini l'elezione dei membri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
39. 5. Gelmini, Centemero.

  Al comma 11, primo periodo, sostituire le parole: della legge di cui con le seguenti: di qualsiasi nuova legge che disciplini l'elezione dei membri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, compresa la legge di cui.
*39. 3. Toninelli.

  Al comma 11, primo periodo, sostituire le parole: della legge di cui con le seguenti: di qualsiasi nuova legge che disciplini l'elezione dei membri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, compresa la legge di cui.
*39. 103. Sannicandro, D'Attorre, Costantino, Quaranta, Airaudo, Franco Bordo, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Ricciatti, Scotto, Zaratti, Zaccagnini.

  Al comma 11, terzo periodo, sopprimere le parole: Anche ai fini di cui al presente comma,.
39. 6. Dieni.

  Al comma 11, terzo periodo, sostituire le parole: Anche ai fini di cui al presente comma con le seguenti: Fermo restando quanto stabilito dal comma 1.
39. 7. Cozzolino.

  Al comma 11, terzo periodo, dopo le parole: Anche ai fini di cui al presente comma, aggiungere le seguenti: fermo restando quanto stabilito dal comma 1.
39. 8. Dadone.

  Al comma 11, quarto periodo, sostituire le parole: novanta giorni con le seguenti: sessanta giorni.
39. 101. Costantino, Sannicandro, D'Attorre, Quaranta, Airaudo, Franco Bordo, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Ricciatti, Scotto, Zaratti, Zaccagnini.

  Al comma 11, quarto periodo, sostituire le parole: novanta giorni con le seguenti: settanta giorni.
39. 102. Kronbichler, Costantino, Sannicandro, D'Attorre, Quaranta, Airaudo, Franco Bordo, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Marcon, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Ricciatti, Scotto, Zaratti, Zaccagnini.

  Al comma 13, secondo periodo, sostituire le parole: legge costituzionale e resta ferma con le seguenti: legge costituzionale, purché le Regioni siano in condizioni di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio. Resta ferma.
39. 9. Gelmini, Centemero.

A.C. 2613-B – Ordini del giorno

ORDINI DEL GIORNO

   La Camera,
   premesso che:
    sono ormai trascorsi quarantacinque anni dalla istituzione delle regioni in Italia;
    la storia del regionalismo italiano ha avuto un corso contraddittorio, certamente importante per la crescita e lo sviluppo del Paese, ma anche – a distanza di anni – portatore di distorsioni, se non di degenerazioni;
    per un verso – infatti – le regioni nei primi quindici-venti anni di vita hanno contribuito a sostenere lo sviluppo economico e civile venendo incontro alle articolazioni delle diverse realtà e delle diverse tradizioni locali e superando progressivamente un centralismo statale non più in grado di guidare in modo equilibrato e diffuso la crescita del paese nelle diverse aree geografiche;
    tuttavia non può negarsi – al tempo stesso – che negli ultimi quindici anni circa sono venute crescendo, nelle istituzioni regionali, forme di dispersione delle risorse pubbliche con sprechi di danaro e con fenomeni di inquinamento non sempre controllabili con gli attuali strumenti e sottratte all'autorità centrale dello Stato;
    nonostante il grande sforzo di tanti amministratori regionali onesti è cresciuto un discredito delle regioni in quanto tali presso la pubblica opinione e che il numero delle attuali 20 appare sempre più un ostacolo ed un problema ad un efficace svolgimento delle loro funzioni;
    si impone – pertanto – una nuova stagione del federalismo e del regionalismo per razionalizzare la spesa pubblica, ridurre il numero dei centri di costo e delle stazioni appaltanti agire in direzione della semplificazione e della trasparenza;
    molti paesi europei hanno già iniziato fattivamente questo percorso riconoscendo al loro interno la necessità di aggiornare il quadro del federalismo e del regionalismo che è alla base del loro patto costituzionale: in particolare Francia e Germania;
    molte proposte di legge sono state presentate in tal senso nei due rami del parlamento italiano ed è vivo un dibattito – che da esse scaturisce – in molte realtà territoriali,

impegna il Governo:

   ad istituire entro la fine dell'anno 2015 – con specifico decreto – una Commissione qualificata di studio sul tema della riforma delle regioni, della riduzione del loro numero e revisione dei loro confini;
   a presentare gli esiti di tale ricerca agli organi del Parlamento entro lo svolgimento del referendum approvativo della riforma del titolo V della Costituzione, al fine di affiancare alla istituzione del nuovo Senato delle Regioni un primo chiaro segnale della volontà di superare l'attuale assetto della suddivisione delle regioni italiane;
   a valutare in questa sede la praticabilità di una soluzione che attribuisca alla Capitale d'Italia poteri di rango regionale trasformandola quindi in una «Regione Capitale», con confini da approfondire nello studio stesso, in sintonia con quanto già avviene per altre importanti capitali di paesi europei.
9/2613-B/1Morassut.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame prevede una riforma decisa da questo Parlamento che è stato eletto con una legge incostituzionale ai sensi della sentenza n. 1 del 2014 della Corte costituzionale e contiene la revisione della Costituzione in una repubblica parlamentare che sarebbe di competenza esclusiva delle Camere, non attenendo all'indirizzo politico di maggioranza, mentre il disegno di legge nasce dall'iniziativa del Governo col rischio di notevoli storture procedimentali;
    il metodo di elezione dei nuovi senatori non consentirà quasi mai di avere tutti i membri in carica e il nuovo Senato verrà costituito a tappe. Infatti visto che, prima che possa avvenire l'elezione da parte dei consiglieri regionali e delle province autonome dei futuri senatori sulla base delle scelte espresse dai cittadini passerà molto tempo poiché, a meno di non trovarci di fronte ad uno scioglimento simultaneo anticipato di tutti i consigli regionali, il Senato, anche ipotizzando che si approvi la nuova legge elettorale per l'elezione del Senato entro sei mesi dall'entrata in vigore della riforma costituzionale, e si approvino le leggi elettorali regionali che devono essere conformi a quella del Senato, dei 74 membri di provenienza consiliare, ben 51 saranno eletti dai consigli senza l'obbligo di seguire le indicazioni dei cittadini;
    sarebbe necessario garantire la funzionalità del nuovo Senato prevedendo al suo interno almeno la costituzione di quattro commissioni con funzioni legislative, di controllo, in ambito europeo e di rapporto Stato Regioni;
    il provvedimento in esame inoltre prevede una sovrapposizione di competenze tra Stato e Regioni, che porterà a conflitti di attribuzione tra i due poteri, con un'illusoria eliminazione delle competenze concorrenti. Infatti modificando l'articolo 116 della Costituzione si prevede che venga esteso l'ambito delle materie in relazione alle quali è prevista la possibilità di attribuire con la legge dello Stato ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia alle regioni, anche su richiesta delle stesse;
    in sede di referendum i cittadini saranno chiamati ad esprimersi su un solo quesito referendario benché le modifiche alla Costituzione intervengano su 5 Titoli (I, II, III, V e VI) della parte II della Costituzione e sulle Disposizioni finali, che rappresentano due diversi contenuti sostanziali, uno riguardante la modifica della forma di Governo, l'altro il rapporto Stato-Regioni,

impegna il Governo

a predisporre annualmente, trascorso un anno dall'entrata in vigore della suddetta riforma, per i successivi cinque anni, una relazione da presentare in Parlamento sullo stato di attuazione e sull'efficienza del nuovo assetto istituzionale delineato nel provvedimento in esame, con particolare riferimento al riparto di competenze tra Stato e regioni di cui al titolo V della Parte II della Costituzione.
9/2613-B/2Baldassarre, Artini, Bechis, Matarrelli, Segoni, Turco, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Pastorino.


   La Camera,
   premesso che:
    l'approvazione della riforma costituzionale (AC 2613-B), trasforma il sistema parlamentare da bicamerale paritario in bicamerale differenziato, ed, in particolare:
     1) attribuisce ai soli deputati la rappresentanza della Nazione e conferisce ai senatori la rappresentanza delle istituzioni territoriali (nuovo articolo 55 della Costituzione);
     2) prevede una durata del mandato dei senatori diversa da quella del mandato dei deputati, variabile anche in relazione alla durata dell'organo che ne effettua l'elezione (nuovo articolo 57 della Costituzione);
     3) rende sostanzialmente diversi i criteri di composizione e di rappresentanza delle due Camere, rendendo altresì conseguentemente disomogenei e difficilmente comparabili i gruppi parlamentari del Senato in rapporto a quelli della Camera, elemento questo sostanziale nella attribuzione dei seggi in seno alle Delegazioni parlamentari;
     4) diminuisce sensibilmente il numero dei componenti del Senato;
     5) attribuisce al Senato funzioni in larga parte diverse da quelle della Camera dei deputati (nuovo articolo 57 della Costituzione);
     6) attribuisce, in particolare, come si evince anche dalla nuova formulazione dell'articolo 80, alla sola Camera dei deputati la competenza ad autorizzare con legge la ratifica dei trattati internazionali, esclusi solo quelli relativi all'appartenenza dell'Italia all'Unione europea;
     7) prevede inoltre ambiti distinti nei quali poter disporre inchieste parlamentari, come si evince dalla nuova formulazione dell'articolo 82, di fatto escludendo organismi bicamerali;
    l'articolo 3 della legge 23 luglio 1949 n. 433, attualmente vigente, prevede che la Delegazione presso l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa sia composta da 9 deputati e 9 senatori titolari e da altrettanti supplenti;
    l'articolo 6, paragrafo 6.2 lettera a) del regolamento dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, contenuto nella Risoluzione 1202 (1999), richiede che le delegazioni nazionali siano composte in modo da assicurare un'equa rappresentanza dei partiti o gruppi politici esistenti nei loro Parlamenti;
    la risoluzione n. 1798 (2011), «Fair representation of the political parties or groups of national parliaments in their delegations to the Parliamentary Assembly», al paragrafo 6.8 stabilisce che, in caso di Parlamenti bicamerali, l'equità della rappresentanza va valutata considerando la delegazione nella sua interezza e non a livello di membri di ciascuna Camera, ponendo così una questione da considerare in ogni caso, anche a legislazione vigente;
    il regolamento dell'Assemblea parlamentare della NATO, il Regolamento dell'Assemblea parlamentare dell'OSCE e quello dell'Assemblea parlamentare dell'INCE prevedono solo il numero complessivo dei componenti le Delegazioni, senza precisare la diversa ripartizione tra Camera dei deputati e Senato,

impegna il Governo:

   a valutare, per quanto di sua competenza, entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge di riforma costituzionale, l'orientamento che complessivamente risulta dagli atti dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa e, quindi, a verificare le opportune iniziative volte a delineare una nuova composizione della Delegazione parlamentare italiana presso l'Assemblea del Consiglio d'Europa, in relazione alla nuova composizione e alla configurazione dei poteri del Parlamento italiano previste dalla riforma costituzionale, tenendo conto dei principi sanciti dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa in materia di rappresentanza dei gruppi politici e di rappresentanza di genere;
   ad assumere analoghe iniziative normative per le altre Delegazioni presso le Assemblee parlamentari internazionali (NATO, OSCE ed INCE).
9/2613-B/3Nicoletti, Valentini, Costantino, Martella, Quartapelle Procopio, Alli, Chaouki, Santerini, Gebhard, Rigoni, Schullian, Cimbro, Centemero, Manciulli, Bergamini.


   La Camera,
   premesso che:
    l'approvazione della riforma costituzionale (AC 2613-B), trasforma il sistema parlamentare da bicamerale paritario in bicamerale differenziato, ed, in particolare:
     1) attribuisce ai soli deputati la rappresentanza della Nazione e conferisce ai senatori la rappresentanza delle istituzioni territoriali (nuovo articolo 55 della Costituzione);
     2) prevede una durata del mandato dei senatori diversa da quella del mandato dei deputati, variabile anche in relazione alla durata dell'organo che ne effettua l'elezione (nuovo articolo 57 della Costituzione);
     3) rende sostanzialmente diversi i criteri di composizione e di rappresentanza delle due Camere, rendendo altresì conseguentemente disomogenei e difficilmente comparabili i gruppi parlamentari del Senato in rapporto a quelli della Camera, elemento questo sostanziale nella attribuzione dei seggi in seno alle Delegazioni parlamentari;
     4) diminuisce sensibilmente il numero dei componenti del Senato;
     5) attribuisce al Senato funzioni in larga parte diverse da quelle della Camera dei deputati (nuovo articolo 57 della Costituzione);
     6) attribuisce, in particolare, come si evince anche dalla nuova formulazione dell'articolo 80, alla sola Camera dei deputati la competenza ad autorizzare con legge la ratifica dei trattati internazionali, esclusi solo quelli relativi all'appartenenza dell'Italia all'Unione europea;
     7) prevede inoltre ambiti distinti nei quali poter disporre inchieste parlamentari, come si evince dalla nuova formulazione dell'articolo 82, di fatto escludendo organismi bicamerali;
    l'articolo 3 della legge 23 luglio 1949 n. 433, attualmente vigente, prevede che la Delegazione presso l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa sia composta da 9 deputati e 9 senatori titolari e da altrettanti supplenti;
    l'articolo 6, paragrafo 6.2 lettera a) del regolamento dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, contenuto nella Risoluzione 1202 (1999), richiede che le delegazioni nazionali siano composte in modo da assicurare un'equa rappresentanza dei partiti o gruppi politici esistenti nei loro Parlamenti;
    la risoluzione n. 1798 (2011), «Fair representation of the political parties or groups of national parliaments in their delegations to the Parliamentary Assembly», al paragrafo 6.8 stabilisce che, in caso di Parlamenti bicamerali, l'equità della rappresentanza va valutata considerando la delegazione nella sua interezza e non a livello di membri di ciascuna Camera, ponendo così una questione da considerare in ogni caso, anche a legislazione vigente;
    il regolamento dell'Assemblea parlamentare della NATO, il Regolamento dell'Assemblea parlamentare dell'OSCE e quello dell'Assemblea parlamentare dell'INCE prevedono solo il numero complessivo dei componenti le Delegazioni, senza precisare la diversa ripartizione tra Camera dei deputati e Senato,

impegna il Governo:

   a valutare, per quanto di sua competenza, entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge di riforma costituzionale, l'orientamento che complessivamente risulta dagli atti dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa e, quindi, a valutare le opportune iniziative volte a delineare una nuova composizione della Delegazione parlamentare italiana presso l'Assemblea del Consiglio d'Europa, in relazione alla nuova composizione e alla configurazione dei poteri del Parlamento italiano previste dalla riforma costituzionale, tenendo conto dei principi sanciti dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa in materia di rappresentanza dei gruppi politici e di rappresentanza di genere;
   ad assumere analoghe iniziative normative per le altre Delegazioni presso le Assemblee parlamentari internazionali (NATO, OSCE ed INCE).
9/2613-B/3. (Testo modificato nel corso della seduta) Nicoletti, Valentini, Costantino, Martella, Quartapelle Procopio, Alli, Chaouki, Santerini, Gebhard, Rigoni, Schullian, Cimbro, Centemero, Manciulli, Bergamini.


   La Camera,
   premesso che:
    per un lungo periodo di tempo la modificazione della Costituzione e l'approvazione delle leggi costituzionali si sono mantenute nell'alveo procedimentale disegnato dall'articolo 138 della Costituzione;
    la crisi dei Partiti negli anni novanta avviò una nuova fase. Fu, difatti, ritenuto che si dovesse importare una deroga, pur temporanea rispetto al procedimento sancito ex articolo 138 della Costituzione: da un lato, laddove si trattasse di progetti di riforma costituzionale di ampia estensione trovando formule meno macchinose e, dall'altro lato, prevedendo comunque una legittimazione popolare che passasse in ogni caso per la deliberazione referendaria;
    la via del procedimento derogatorio rispetto all'articolo 138 della Costituzione fu così percorsa con le due leggi costituzionali la n. 1 del 1993 (relativa alla Commissione bicamerale De Mita-Iotti) e la n. 1 del 1997 (istitutiva della Commissione bicamerale D'Alema). In questo modo si voleva approcciare alle riforme costituzionali attraverso l'ampia condivisione di tutte le forze parlamentari;
    terminata questa fase con il fallimento delle due Bicamerali si tornò negli anni successivi entro il binario dell'articolo 138;
    le «grandi riforme» della revisione del Titolo V e della parte seconda della Costituzione, cosiddetta Devolution, furono fortemente volute dai Governi che si succedettero e votate a colpi di maggioranza;
    questa deriva maggioritaria nell'approvazione delle riforme costituzionali si caratterizzò sempre più con il mutamento nel 1993 in senso maggioritario del sistema elettorale;
    la dimostrazione che queste riforme costituzionali fossero ad appannaggio esclusivo delle istanze di Governo è dimostrato dal fatto che per entrambe le riforme del 2001 e del 2006 fu promosso ed indetto il referendum confermativo (mai fino ad allora svoltosi anche dopo la legge sul referendum del 1970);
    il 29 maggio 2013 furono approvate alcune mozioni che impegnavano il Governo a presentare un disegno di legge costituzionale volto ad introdurre una procedura straordinaria rispetto a quella prevista dall'articolo 138 della Costituzione tale da agevolare il processo di riforma, favorendo un'ampia convergenza politica in Parlamento;
    la storia recente è nota, il 22 febbraio 2014, con una staffetta interna al partito democratico a seguito delle dimissioni del Presidente del consiglio Enrico Letta, assume l'incarico di Presidente del consiglio Matteo Renzi che annunciò fin dal discorso di insediamento di voler procedere con tutti gli strumenti a sua disposizione, e in tempi rapidi, al varo delle riforme della parte seconda della Costituzione;
    abbandonata fin da subito, quindi, la volontà di giungere ad una riforma condivisa e frutto di larghe intese, il Governo Renzi ha imposto un ritmo forzato al disegno di legge costituzionale di iniziativa del Governo;
    l'8 aprile 2014 è iniziato l'esame al Senato del disegno di legge costituzionale; l'8 agosto 2014 votato dal Senato con 183 voti favorevoli (Pd, FI, Ned, Se, Popolari, Gal-Autonomie, Psi), 0 contrari, 4 astenuti, 14 assenti in missione e 118 assenti per netta contrarietà non solo nel merito ma soprattutto sul modus procedendi della riforma (Lega, M5S, Sel, ex-M5S, parte di FI e parte del Pd); il 16 dicembre 2014 è iniziato l'esame in I Commissione presso la Camera dei Deputati; il 10 febbraio 2015 è terminato l'esame degli emendamenti in Aula con l’«Aventino» di tutte le opposizioni dopo forzature della maggioranza e del Governo volte a neutralizzarne l'azione politica;
    questi fatti mostrano uno scenario che se nella forma non si presenta contrario al metodo di revisione costituzionale ex articolo 138, in realtà è manifestamente incostituzionale rispetto ad una lettura del testo nella sua interezza soprattutto rispetto all'articolo 1 che sancisce in modo chiaro ed evidente come la Costituzione non sia soggetta alle istanze Governative del momento ma appartenga al Popolo;
    è evidente l'opportunità di modificare l'articolo 138 della Costituzione al fine di prevedere una procedura rafforzata per quelle modifiche di ampia portata della Carta che garantisca l'imparzialità delle riforme dal volere programmatico e politico degli esecutivi e dei partiti di maggioranza che li sostengono,

impegna il Governo

a non adottare, per il futuro, nell'ambito delle proprie competenze, iniziative volte ad ostacolare le proposte di modifica dell'articolo 138 della Costituzione di iniziativa parlamentare volte a prevedere che le leggi di revisione della Costituzione che interessano modifiche sostanziali della forma di Stato e di governo presentate alle Camere siano esaminate e approvate da un'Assemblea Costituente composta da centocinquanta parlamentari costituenti eletti a suffragio universale con sistema proporzionale, nonché a tenere in maggiore considerazione, con particolare riferimento all'esame dei disegni di legge di riforma costituzionale, il ruolo del Parlamento.
9/2613-B/4Invernizzi.


   La Camera,
   premesso che:
    la presente riforma letta in combinato disposto con la legge elettorale approvata, farà si che un partito del 25 per cento scelga il Presidente della Repubblica, i cinque membri della Corte costituzionale ad appannaggio del Parlamento e, attraverso il Presidente della Repubblica, anche gli altri cinque e, quindi, dieci su quindici; nomina le authority e il CSM. Un sistema per dirlo con un eufemismo certamente non equilibrato. Istituzioni deboli al loro interno, ma con un primo partito che diventa fortissimo, senza contrappesi;
    le disposizioni introdotte dalla legge elettorale daranno vita ad un sistema elettorale incapace di garantire il principio democratico della rappresentanza;
    rilevato il comune proposito di far maturare una estesa condivisione dei fondamenti essenziali delle nuove regole elettorali;
    considerato, tuttavia, che tra le maggiori formazioni politiche persistono divergenze non componibili per la definizione di un sistema elettorale impostato secondo canoni finora inediti;
    nel proposito di assicurare un metodo di elezione conforme alla Costituzione e di favorire le condizioni per una riforma complessiva del sistema istituzionale concernente, in particolare, l'assetto parlamentare e la forma di governo;
    se da un lato, anche e soprattutto a seguito della sentenza della Corte Costituzionale, si era reso improcrastinabile un intervento legislativo, dall'altro lato la ragione vorrebbe che le modifiche normative oltre ad essere frutto di una larga condivisione da parte di tutti gli schieramenti politici, siano in grado di superare in modo incontestabile quei profili di incostituzionalità che chiaramente erano stati delineati nel dispositivo dalla Consulta,

impegna il Governo

a garantire, anche attraverso interventi legislativi correttivi dell'attuale testo della legge elettorale, appropriate misure finalizzate a far sì che per accedere al ballottaggio le due liste che hanno preso più voti devono complessivamente avere un numero di voti validi pari ad almeno il 50 per cento dei voti espressi.
9/2613-B/5Giancarlo Giorgetti.


   La Camera,
   premesso che:
    la presente riforma introduce ex articolo 119 il principio degli indicatori di riferimento di costo e di fabbisogno che promuovono condizioni di efficienza nell'esercizio delle funzioni degli enti locali e territoriali;
    la pubblica amministrazione è il fronte sul quale va combattuta la principale battaglia per l'efficienza e il risparmio: il tasso di spreco medio è nell'ordine del 20-25 per cento, il che significa che, se si adottassero pratiche incisive, si potrebbero risparmiare almeno 100 miliardi l'anno;
    gli sprechi della pubblica amministrazione non possono e non devono essere attribuiti soltanto ed esclusivamente alle situazioni patologiche di illegalità e incuria, ma anche nelle situazioni di normalità, a causa di una gestione non ottimale (o meglio non professionale) dell'azione amministrativa. Parliamo, ovviamente di situazioni nelle quali la spesa, sebbene utilizzata dagli attori per finalità pubbliche non è impiegata nel modo migliore, più produttivo e più efficace, a causa di un approccio non rigoroso, sul piano del metodo, alla progettazione delle politiche e dei servizi pubblici;
    la riforma del federalismo fiscale segna una svolta senza precedenti nel nostro sistema Stato. Una riforma che contiene un rinnovato corpus volto a definire un sistema di finanza multilivello che declina in modo nuovo ed originale i rapporti tra Stato, Autonomie ed Unione europea, al fine di assicurare un coordinamento unitario e coerente non solo della finanza pubblica, ma delle stesse politiche pubbliche che si dipanano oggi tra i diversi livelli di governo;
    per poter tagliare la spesa in maniera selettiva occorre rispettare un principio basilare che è quello dell'individuazione dei fabbisogni standard e dell'applicazione consequenziale dei costi standard;
    i tagli non devono essere previsti sui bilanci consuntivi ma su quelli preventivi, cosa che ad oggi non viene fatta. Il passaggio dalla spesa storica al costo standard orienterà la politica delle amministrazioni verso una nuova logica meritocratica che eviti le note inefficienze del passato;
    è necessario attivare il circuito della responsabilità, favorendo la trasparenza delle decisioni di spesa e la loro imputabilità attraverso il pieno compimento del passaggio dalla spesa storica (che finanzia servizi e sprechi) al costo/fabbisogno standard (che finanzia i servizi) al fine di garantire un elevatissimo grado di solidarietà e di gestione responsabile del pubblico denaro,

impegna il Governo

ad attivarsi in tutte le sedi competenti, al fine di prevedere l'applicazione sistemica dell'individuazione dei fabbisogni standard e della relativa applicazione dei costi standard a tutte le pubbliche amministrazioni.
9/2613-B/6Fedriga.


   La Camera,
   premesso che:
    il federalismo costituisce un tipo di stato che non soltanto è uno strumento di limitazione al potere accentrato dello Stato, ma anche uno strumento che valorizza il principio di sussidiarietà verticale;
    il principio di sussidiarietà è stato introdotto nell'ordinamento comunitario con il Trattato di Maastricht sull'Unione Europea del 1992 e su tale principio si basa l'esercizio delle competenze da parte dell'UE, nonché la ripartizione delle stesse tra Unione e Stati membri;
    è poi entrato formalmente nel nostro ordinamento con la riforma del titolo V nel 2001 nella modifica dell'articolo 118 ad opera della legge costituzionale del 18 ottobre 2001, n. 3;
    la vera e piena realizzazione del federalismo passa anche attraverso il rispetto del principio di sussidiarietà;
    l'articolo 118, non oggetto di revisione da parte di questo disegno di legge costituzionale, continua a rimanere in vita secondo la stessa formulazione ad esso conferita durante la riforma del Titolo V del 2001;
    questa riforma, rivede l'assetto delle ripartizioni delle competenze tra Stato e Regioni in merito alla funzione legislativa;
    l'articolazione dello Stato delineata dall'articolo 5 della Costituzione, con particolare riguardo al ruolo delle autonomie locali, può essere annoverata tra i princìpi fondamentali che non possono essere oggetto di revisione costituzionale,

impegna il Governo

ad operare, in sede attuativa, la migliore armonizzazione possibile delle nuove disposizioni con l'attuale, ancora vigente, impianto federale previsto nella nostra Costituzione.
9/2613-B/7Busin.


   La Camera,
   premesso che:
    la specificità territoriale e l'identità locale sono da sempre stati due aspetti di rilevante importanza nel quadro sociale e culturale del nostro Paese;
    nonostante oggi le specificità locali possono essere ben rappresentate e tutelate dalle più ampie compagini territoriali regionali che nel frattempo hanno assunto un ruolo fondamentale anche all'interno del nuovo quadro federalista, alcune particolari identità, quali le province montane, necessitano di una tutela speciale;
    la riforma delle province, (cosiddetta «Delrio») attuata con la legge 7 aprile 2014, n. 56, recante disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni, ha riconosciuto la specificità delle province montane prevedendo che le regioni riconoscono, nelle materie di loro competenza, forme particolari di autonomia;
    la riforma Delrio è una fonte di rango primario e reca molte discipline e denominazioni transitorie così pensate in attesa della più organica riforma costituzionale;
    la riforma in atto rivede in maniera rilevante il Titolo V della Costituzione, espressamente dedicato al rapporto centro-periferia del tipo di stato, e comporta, tra le altre, delle modifiche alle ripartizioni delle competenze tra Stato e Regioni in merito alla funzione legislativa;
    la riforma in atto non prevede però alcun riferimento esplicito o implicito alle province montane e alle funzioni che sono state loro riconosciute,

impegna il Governo

a promuovere, in futuro, un adeguato riconoscimento di rango costituzionale degli enti di area vasta montani in ragione della loro specifica particolarità identitaria al pari delle Regioni a Statuto ordinario.
9/2613-B/8Guidesi.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame prevede, come disposizione transitoria, l'obbligo per le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, di conformare le rispettive disposizioni legislative e regolamenti a quanto stabilito all'articolo 57, sesto comma, della Costituzione;
    il suddetto comma dispone che le Regioni debbano conformarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge che regola le modalità di attribuzione dei seggi e di elezione dei membri del Senato della Repubblica tra i consiglieri e i sindaci, nonché quelle per la loro sostituzione, in caso di cessazione dalla carica elettiva regionale o locale;
    se da una parte il testo prevede un termine perentorio entro cui adeguarsi, dall'altro non prevede alcun tipo di sanzione per le inadempienti, così da lasciare spazio a future gravi problematiche nel caso in cui il Senato si dovesse costituire prima dell'emanazione della legge da parte di una o più Regioni. Al verificarsi di questa circostanza, non è chiaro come 1’ elezione dei consiglieri regionali senatori potrebbe avvenire nel rispetto del principio della volontà popolare,

impegna il Governo

a promuovere tempestivamente, con propria iniziativa legislativa, opportune sanzioni per le Regioni che non abbiano conformato le proprie disposizioni legislative e regolamentari a quanto stabilito dalla presente legge, fino a prevedere lo scioglimento del consiglio regionale.
9/2613-B/9Molteni.


   La Camera,
   premesso che:
    la Costituzione è innanzitutto un linguaggio scritto, che deve essere comprensibile alla lettura, anche per chi non è abituato al linguaggio normativo. La nostra Costituzione è scritta in un linguaggio scorrevole ed elegante. Il testo, in occasione del suo coordinamento finale, fu sottoposto per una revisione ad un gruppo di letterati. Se confrontiamo il testo della nuova Costituzione, come è ora in discussione alla Camera, con quello dell'attuale Costituzione i tecnicismi, l'approssimazione o l'ambiguità del linguaggio ed il richiamo criptico ad altre leggi rendono la comprensione dei testi assai meno facile;
    il testo della Costituzione deve utilizzare un linguaggio chiaro e comprensibile a tutti, come d'altro canto tutte le leggi dovrebbero farle ed in particolare la Costituzione, che è la legge fondamentale, che esprime le basi del patto di convivenza nella società civile. La Costituzione dunque riguarda da vicino tutti e per questa ragione deve avere un linguaggio tale da consentirne la conoscenza e l'interiorizzare, affinché assolva al suo compito;
    durante le audizioni è stato ricordato che agli inizi di dicembre 1947 i lavori dell'assemblea costituente rallentarono perché Palmiro Togliatti, che sicuramente conosceva la lingua italiana, lesse il testo della Costituzione, dopo la lettura suggerì a Terracini di provare a ripulire da un punto di vista stilistico quel testo. Incaricati di ripulire il testo della Costituzione furono tre personalità come Concetto Marchesi, Pietro Pancrazi e Antonio Baldini;
    seguendo un approccio già manifestato nei recenti tentativi di riforma, il legislatore costituzionale attuale opera una cesura con la tradizione del linguaggio costituente, adottato nell'elaborare il testo del 1948;
    in particolare si fa largo uso della tecnica regolamentare a scapito di una formulazione compromissoria delle disposizioni costituzionali, che rappresenti la sintesi tra orientamenti e visioni culturali e politiche diverse. Il testo conosce spesso interpolazioni e ricorso ad incidentali che, mettendo a rischio la sintassi dei testi, solleva comunque un problema di appesantimento delle singole disposizioni e di coordinamento e coerenza tra disposizioni diverse. In alcuni casi il ricorso, peraltro già avvenuto in passato, a formule come «interesse nazionale» o «interesse all'unità giuridica ed economica della Repubblica» pone alcuni problemi: una non facile concretizzazione delle formule, concretizzazione che comunque appare essere nella disponibilità apparentemente insindacabile del potere esecutivo; una certa inattualità delle formule utilizzate dal momento che l'ordinamento italiano partecipa all'Unione europea, che è un fenomeno che supera ontologicamente il concetto di unità nazionale di ordinamento, che risulta formalmente separato da altri sistemi;
    sotto specifico profilo della tecnica di normazione, il legislatore costituente ricorre ancora, soprattutto con riferimento ai rapporti tra Stato e Regioni ed in sede di procedimento legislativo, alla tecnica della enumerazione delle materie. Questa scelta segnala alcuni problemi: non ci si rende conto che i conflitti tra livelli istituzionali locali e centrali nella riforma del 2001 sono stati determinati proprio dall'uso di questa tecnica di enumerazione e non dalla presenza delle materie concorrenti. Questa tecnica risulta inadatta nella gestione di politiche pubbliche trasversali, di fasci di competenze che necessariamente richiedono la partecipazione di diversi soggetti;
    è ancora più inadatta se affidata ad elenchi poco chiari e contenenti ambiti materiali generici, come «ambiente», «tutela della salute», «coesione sociale», e così voi, da cui ne deriva una inevitabile vindicatio potestatis da parte di più livelli con la conseguenza di un inevitabile conflitto nell'individuazione del soggetto volta per volta titolato all'adozione di provvedimento legislativo o amministrativo;
    in sostanza si riprodurrà la vecchia competenza concorrente definita però attraverso categorie nuove e incerte, che in quanto tali andranno a produrre, non a ridurre, i conflitti;
    sarebbe stato opportuno adottare una formulazione del testo del disegno di legge costituzionale per adeguarne il tono linguistico a quello originario della Carta, eliminando sovrabbondanza di frasi incidentali ed eccessivo ricorso a norme di dettaglio, tipiche della legislazione di natura secondaria, superando la «tecnica di enumerazione delle materie»,

impegna il Governo

per il futuro, ad adottare, con particolare riferimento alla redazione dei disegni di legge costituzionali, un linguaggio coerente con quanto esposto nelle premesse.
9/2613-B/10Centemero.


   La Camera,
   premesso che:
    il firmatario del presente atto ha mosso e muove tuttora profonde critiche al nuovo impianto ordinamentale, rileva che nella riforma è stata introdotta, in relazione al rapporto tra Stato e Regioni una «clausola di supremazia» dai confini scarsamente definiti e potenzialmente suscettibile di vanificare l'intero riparto delle competenze Stato-Regioni per mezzo di decisioni arbitrarie del Governo;
    tale previsione stabilisce infatti che: «su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell'interesse nazionale»;
    che il timore che il Governo faccia abuso di tale strumento è ampiamente motivato dalla prassi seguita nell'ambito di uno strumento, che analogamente, attribuisce al Governo funzione legislativa in via di deroga al principio della separazione dei poteri, solo a condizioni del tutto eccezionali, ovvero il decreto-legge,

impegna il Governo

ad adottare, per quanto di competenza, ferme restando le prerogative parlamentari, prassi e misure, anche legislative, che indichino in modo preciso e quanto più possibile stringente l'ambito di ricorso da parte del Governo alla previsione che consente alla legge dello Stato di poter intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva dello Stato.
9/2613-B/11Nesci.


   La Camera,
   premesso che:
    i firmatari del presente atto hanno mosso e muovono tuttora profonde critiche al nuovo impianto ordinamentale, rilevano che nella riforma sono state introdotte innovazioni in relazione all'istituto del referendum abrogativo di cui all'articolo 75 e in particolare prevedendo che «la proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto o, se avanzata da ottocentomila elettori, la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera dei deputati, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi»;
    gli squilibri che si sono determinati a favore di una concentrazione di poteri nell'Esecutivo, sia a causa di specifiche previsioni nel procedimento legislativo e nel rapporto tra lo Stato e le regioni, sia a causa della contestuale riforma elettorale che di fatto porta a far coincidere con il capo politico dell'unica lista a cui viene attribuita un'ampia maggioranza di seggi nell'unica Camera politica, richiedono che un riequilibrio rispetto a questi attraverso l'intervento diretto del corpo elettorale;
    la riforma, pur avendo di fatto ridotto il quorum di validità per il referendum abrogativo non lo ha abolito, e lo ha ridotto nel solo caso in cui i promotori abbiano raccolto un numero di firme considerevolmente più elevato rispetto a quello tradizionalmente previsto;
    non vi è stato intervento su un altro punto essenziale per il corretto esercizio della democrazia diretta nelle forme di cui al referendum abrogativo, ovvero la possibilità, sovente verificatasi nella prassi, di dichiarazione di inammissibilità dell'iniziativa a seguito della relativa pronuncia della Corte costituzionale;
    tale possibilità è conseguenza di una giurisprudenza ondivaga rispetto alla quale appare scarso il controllo e la prevedibilità da parte dei promotori dell'iniziativa referendaria;
    le risorse da impiegare per raggiungere il più elevato numero di firme indurranno prevedibilmente, in caso di dichiarazione di inammissibilità, ad una maggiore frustrazione da parte dei promotori dell'iniziativa, dei cittadini firmatari e delle forze politiche e sociali a sostegno dell'iniziativa, la quale potrebbe delegittimare la Corte costituzionale e il suo ruolo essenziale,

impegna il Governo

ad adottare misure idonee ad assicurare, a fronte di una iniziativa referendaria sostenuta dall'elevato numero di firme richieste dalla riforma, l'istituzione di strutture di supporto per la formulazione di quesiti e/o per la formulazione di pareri sull'ammissibilità degli stessi, che siano messi a disposizione dei Comitati di promotori di referendum abrogativi ai sensi del riformato articolo 75, al fine di migliorare quanto più possibile dal punto di vista tecnico-formale il testo dei medesimi, riducendo il rischio di possibili dichiarazioni di inammissibilità.
9/2613-B/12Fraccaro, Toninelli, Cozzolino, Dadone, Nuti, D'Ambrosio, Dieni, Nesci, Cecconi.


   La Camera,
   premesso che:
    il firmatario del presente atto ha mosso e muove tuttora profonde critiche al nuovo impianto ordinamentale, rileva che nella riforma sono state introdotte nuove forme di istituti di democrazia diretta e in particolare è stata inserita la previsione per la quale «al fine di favorire la partecipazione dei cittadini alla determinazione delle politiche pubbliche, la legge costituzionale stabilisce condizioni ed effetti di referendum popolari propositivi e d'indirizzo, nonché di altre forme di consultazione, anche delle formazioni sociali. Con legge approvata da entrambe le Camere sono disposte le modalità di attuazione»;
    gli squilibri che si sono determinati a favore di una concentrazione di poteri nell'Esecutivo, sia a causa di specifiche previsioni nel procedimento legislativo e nel rapporto tra lo Stato e le regioni, sia a causa della contestuale riforma elettorale che di fatto porta a far coincidere con il capo politico dell'unica lista a cui viene attribuita un'ampia maggioranza di seggi nell'unica Camera politica, richiedono che un riequilibrio rispetto a questi attraverso l'intervento diretto del corpo elettorale;
    il tempo trascorso tra l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana e il più tipico istituto di democrazia diretta, il referendum abrogativo di cui all'articolo 75, ha superato i venti anni,

impegna il Governo

ad adottare, entro e non oltre sei mesi dall'entrata in vigore della riforma, con riferimento ai nuovi istituti di democrazia diretta di cui al nuovo articolo 71, tutte le misure, in particolare dal punto di vista delle indagini conoscitive e delle conseguenze sistemiche, idonee a mettere il Parlamento in condizione di dare attuazione alle relative previsioni, mediante l'adozione delle leggi costituzionali e ordinarie di attuazione ivi previste.
9/2613-B/13D'Ambrosio.


   La Camera,
   premesso che:
    il firmatario del presente atto ha mosso e muove tuttora profonde critiche al nuovo impianto ordinamentale, rileva che il ruolo del Parlamento nell'ambito dei procedimenti legati all'appartenenza dello Stato italiano all'Unione europea è stato soltanto accennato ma non definito nella riforma costituzionale. Su questo punto, che è probabilmente il più fondamentale nel momento storico attuale, dato che dall'Unione europea provengono la maggior parte delle decisioni politiche che hanno diretta influenza tanto sulla legislazione quanto sulle funzioni dell'Esecutivo nello Stato italiano, nella riforma vi è il seguente riferimento: «il Senato della Repubblica [...] concorre [...] all'esercizio delle funzioni di raccordo tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e l'Unione europea». Non è specificato espressamente con quali organi o enti il Senato concorra, né viene dato alla Camera dei deputati, unica camera politica titolare del rapporto fiduciario con il Governo, un'attribuzione specifica in questo ambito;
    ad avviso dei firmatari rappresenta una gravissima mancanza l'assenza di previsioni tali da assicurare all'interno della massima fonte normativa dell'ordinamento, il ruolo del Parlamento, e quindi della democrazia, su un ambito tanto rilevante, al quale ciononostante viene data cittadinanza nella Costituzione,

impegna il Governo

ad adottare, con riferimento alle funzioni attribuite alle Camere nella riforma, per quanto di competenza, ferme restando le prerogative parlamentari, misure, anche legislative, che conferiscano alle Camere reale conoscenza, informazione e possibilità di intervento utile in relazione all'esercizio delle funzioni di raccordo o comunque in relazione a tutte le funzioni di intervento dello Stato e degli altri enti costitutivi della Repubblica negli ambiti dell'Unione europea.
9/2613-B/14Dieni.


   La Camera,
   premesso che:
    i firmatari del presente atto hanno mosso e muovono tuttora profonde critiche al nuovo impianto ordinamentale, hanno rilevato e rilevano tuttora profili critici in ordine alla farraginosità del nuovo procedimento legislativo, conseguente alle modalità della suddivisione e dell'attribuzione delle competenze;
    per quanto riguarda il nuovo Senato, del quale si stigmatizza l'atipicità delle sue prerogative e lo status dei senatori, ad esso non è stata data una fisionomia specifica, la maggioranza non è pervenuta a definirne un ruolo specifico, risultando, infine, un ramo parlamentare indefinito, le cui competenze proprie sono formulate con vaghezza, le altre «condivise» con la Camera dei deputati, in assenza di confini specifici;
    ad avviso dei firmatari del presente atto, il nuovo impianto ordinamentale contribuisce fortemente a far emergere, quale primario, l'organo di Governo, ad onta dell'impostazione che fonda la forma di governo, parlamentare, della nostra Repubblica;
    con l'entrata in vigore del nuovo testo costituzionale in esame si chiuderà l'era del cosiddetto «bicameralismo perfetto»;
    rincresce, ai firmatari del presente atto, aver letto degli effetti principali attesi dalla presente riforma costituzionale, che hanno esaltato, principalmente, e di ciò fanno fede gli ultimi due Documenti di economia e finanza, il risparmio di tempo, grazie alla velocità dei procedimenti legislativi, ed il risparmio economico, grazie al nuovo status dei senatori, che sono al contempo consiglieri regionali e sindaci e percepiranno esclusivamente l'indennità della carica di provenienza;
    in ordine alle attese benefiche ricadute economiche connesse al nuovo bicameralismo per così dire «differenziato»,

impegna il Governo

a riferire alle Camere, presso le competenti Commissioni parlamentari in tempi rapidi rispetto alla approvazione della riforma, i risparmi attesi e connessi, in termini economici, con la nuova composizione del Senato.
9/2613-B/15Cozzolino, Nuti, Dadone, D'Ambrosio, Dieni, Toninelli.


   La Camera,
   premesso che:
    i firmatari del presente atto hanno sottolineato e continuano a sottolineare le numerose incongruenze e ambiguità presenti nell'approvando testo di riforma costituzionale, che minano la tenuta non solo del dettato ma dell'intero assetto costituzionale;
    in particolare, la modifica introdotta al riformato articolo 57 della Costituzione in base alla quale i membri del Senato sono eletti dai Consigli regionali e dalle province autonome «in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge», oltre ad essere eccessivamente vaga e incerta nelle sue possibili declinazioni concrete e a presentare delle evidenti difficoltà applicative, racchiude delle contraddizioni in se stessa, laddove subordina le modalità di fissazione da parte della legge bicamerale dell'attribuzione dei seggi e di elezione dei membri del Senato [...] in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun Consiglio, stante l'attuale previsione di tutte le leggi elettorali regionali dell'attribuzione di un premio di maggioranza che altera grandemente la proporzione tra i voti ottenuti dalle diverse liste concorrenti alle elezioni e i rispettivi seggi attribuiti a ciascuna di esse all'interno dei Consigli regionali;
    le Camere potrebbero dunque trovare delle difficoltà a definire il contenuto della legge di cui al sesto comma del riformato articolo 57 della Costituzione in relazione al contestuale necessario rispetto di tutte le altre previsioni introdotte dal testo di riforma coinvolte,

impegna il Governo

a riferire alle Camere, presso le Commissioni Affari costituzionali, in tempi rapidi delle possibili soluzioni, anche in ottica comparata, che potrebbero coadiuvare i successivi lavori parlamentari volti alla definizione del contenuto della legge che dovrà fissare le modalità di attribuzione dei seggi e di elezione dei membri del Senato.
9/2613-B/16Dadone, Nuti, Cecconi, Cozzolino, D'Ambrosio, Dieni, Toninelli.


   La Camera,
   premesso che:
    i firmatari del presente atto hanno mosso e muovono tuttora profonde critiche al nuovo impianto ordinamentale, hanno rilevato e rilevano tuttora profili critici in ordine alla farraginosità del nuovo procedimento legislativo, conseguente alle modalità della suddivisione e dell'attribuzione delle competenze;
    per quanto riguarda il nuovo Senato, del quale si stigmatizza l'atipicità delle sue prerogative e lo status dei senatori, ad esso non e stata data una fisionomia specifica, la maggioranza non è pervenuta a definirne un ruolo, risultando, infine, un ramo parlamentare indefinito, le cui competenze proprie sono formulate con vaghezza, le altre «condivise» con la Camera dei deputati, in assenza di confini specifici;
    ad avviso dei firmatari del presente atto, il nuovo impianto ordinamentale contribuisce fortemente a far emergere, quale primario, l'organo di Governo, ad onta dell'impostazione che fonda la forma di governo, parlamentare, della nostra Repubblica;
    con riferimento alle modalità introdotte per l'elezione dei giudici da parte del Parlamento, preme ai firmatari del presente atto segnalare l'esigenza e l'opportunità di introdurre, non solo con riguardo alla suddetta elezione, questione che investe responsabilità e volontà tutte interne all'organo parlamentare, ma in occasione dell'espressione del voto o del parere per tutte le nomine sulle quali il Parlamento è chiamato ad esprimersi, prassi che inaugurino trasparenza e conoscenza;
    il provvedimento in esame ha introdotto espressamente nel testo costituzionale il giudizio, se pur in forma diversificata, dei due rami del Parlamento in ordine alle nomine di competenza del Governo;
    a tal fine, risulterebbe opportuna l'adozione di un metodo che consenta di conoscere e valutare al meglio, con tempi congrui, i soggetti candidati, anche ai fini di una maggiore trasparenza nei confronti dei cittadini,

impegna il Governo

in ordine alle procedure per le nomine di competenza del Governo per le quali è richiesto l'avviso del Parlamento, ad adottare, per quanto di competenza, ferme restando le prerogative parlamentari, misure, anche legislative, che garantiscano tempi congrui rispetto al momento della deliberazione, per la valutazione dei candidati e dei loro curricula, la conformità dei requisiti e dei titoli richiesti, degli obiettivi e delle strategie che si propongono in ordine al ruolo che sono chiamati a ricoprire, attraverso una audizione e una discussione pubbliche.
9/2613-B/17Toninelli, Nuti, Cozzolino, Dadone, D'Ambrosio, Dieni, Cecconi.


   La Camera,
   premesso che:
    i firmatari del presente atto hanno mosso e muovono tuttora profonde critiche al nuovo impianto ordinamentale, hanno rilevato e rilevano tuttora profili critici in ordine alla farraginosità del nuovo procedimento legislativo, conseguente alle modalità della suddivisione e dell'attribuzione delle competenze;
    per quanto riguarda il nuovo Senato, del quale si stigmatizza l'atipicità delle sue prerogative e lo status dei senatori, ad esso non è stata data una fisionomia specifica, la maggioranza non è pervenuta a definirne un ruolo effettivo e la conseguente attività, risultando, infine, un ramo parlamentare indefinito, le cui competenze proprie sono formulate con vaghezza, le altre «condivise» con la Camera dei deputati, in assenza di confini, abiti ed obiettivi specifici;
    ad avviso dei firmatari del presente atto, il nuovo impianto ordinamentale, contribuisce fortemente a far emergere, quale primario, l'organo di Governo, ad onta dell'impostazione che fonda la forma di governo, parlamentare, della nostra Repubblica;
    preme ai firmatari segnalare la modifica al terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione, di cui all'articolo 30 del presente provvedimento, che estende l'ambito delle materie in relazione alle quali è prevista la possibilità di attribuire, con legge dello Stato, ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia alle regioni, «anche» su richiesta delle stesse: nel nuovo elenco di cui all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, sono ora ricomprese le «disposizioni generali e comuni per le politiche sociali» di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m);
    sulla base della nuova formulazione, diversamente da quanto avviene rispetto ad altre fattispecie analogamente assoggettate al cosiddetto «regionalismo differenziato» – quali ad esempio istruzione e formazione professionale e governo del territorio, di cui all'articolo 117, secondo comma, lettere o) ed u) – per quanto riguarda le politiche sociali si fa riferimento non alla specifica materia, ma alle «disposizioni generali e comuni», che possono diventare oggetto di autonomia;
    il nuovo articolo 117 della Costituzione elenca, al comma secondo, le materie e le «disposizioni generali e comuni» di esclusiva potestà legislativa statale;
    la Commissione XII di questo ramo del Parlamento aveva, e lo ha ribadito anche in occasione della presente lettura, «sottolineato l'esigenza di rafforzare i poteri dello Stato centrale su alcuni temi di rilevanza fondamentale come quelli della salute e delle politiche sociali, garantendo su tutto il territorio gli stessi diritti ai cittadini e riducendo nel contempo i conflitti di attribuzione tra Stato e regioni» e che «in ogni caso, l'accesso ai livelli essenziali di assistenza sia in materia sanitaria sia in quella delle politiche sociali deve essere ugualmente garantito su tutto il territorio nazionale»,

impegna il Governo

ad esercitare i poteri attribuiti dal nuovo testo costituzionale ai sensi degli articoli 116 e 117, per quanto di competenza e fermo restando il rigoroso rispetto delle prerogative parlamentari, tenendo ben presente che di norma l'approvazione delle suddette «disposizioni generali e comuni» spetta al legislatore statale.
9/2613-B/18Cecconi, Nuti, Cozzolino, Dadone, D'Ambrosio, Dieni, Toninelli.


   La Camera,
   premesso che:
    i firmatari del presente atto hanno mosso e muovono tuttora profonde critiche al nuovo impianto ordinamentale, rilevando lo squilibrio tra i poteri della maggioranza e delle opposizioni che si prefigurano in un assetto sostanzialmente monocamerale, il quale viene distorto da una legge elettorale, quale è quella attualmente vigente, nel cui impianto è previsto che ad unica forza politica, che si presenti alle elezioni politiche con un'unica lista, sia attribuito un premio di maggioranza che conferisce a quest'unica forza politica una quota di seggi parlamentari ben superiore alla maggioranza assoluta, indipendentemente dalla reale rappresentatività della stessa;
    anche prima che questa legge elettorale, così come la precedente, minasse le basi dell'impianto ordinamentale elaborato dai costituenti, l'erompere di altri poteri, estranei al disegno originario della Carta fondamentale, ha sconvolto il rapporto tra democrazia e amministrazione così come era stato concepito;
    ad avviso dei firmatari del presente atto, il nuovo impianto ordinamentale necessita di essere riequilibrato conferendo una base minima di legittimazione democratica e di controllo politico ai nuovi poteri ordinamentali, con particolare riferimento a tutte le Autorità indipendenti, comunque denominate e alle designazioni di rappresentanti, a qualunque titolo, della Repubblica italiana all'interno di organi dell'Unione europea;
    con riferimento alle funzioni attribuite alle Camere nella riforma, preme ai firmatari del presente atto segnalare l'esigenza e l'opportunità di introdurre, prassi che inaugurino maggiore trasparenza, conoscenza ed informazione in relazione alle procedure di nomina,

impegna il Governo

ad adottare, per quanto di competenza e ferme le prerogative parlamentari, misure finalizzate all'adozione delle prassi esposte in premessa, in ordine alla nomina e alla designazione di componenti di tutte le Autorità indipendenti, comunque denominate e alle designazioni di rappresentanti, a qualunque titolo, della Repubblica italiana all'interno di organi dell'Unione europea, nonché, nel rispetto dell'indipendenza propria delle relative funzioni, forme di controllo del Parlamento sull'operato delle stesse, qualora circostanze sopravvenute rendano manifestamente incompatibili la posizione dei loro componenti con l'esercizio delle funzioni assegnate.
9/2613-B/19Crippa, Toninelli, Nuti, Fraccaro, Nesci, Cozzolino, D'Ambrosio, Dieni, Cecconi.


   La Camera,
   premesso che:
    che il disegno di legge costituzionale prevede all'articolo 40 la soppressione del CNEL;
    che tra le funzioni del CNEL oltre alle funzioni di consulenza e di elaborazione pareri, vi sono anche alcune funzioni di archivio e conservazione di contratti e di banche dati su molteplici aspetti della vita sociale ed economica del Paese;
    che dette funzioni, pur essendo anche svolte da articolazioni dello Stato e da altri enti, sono di estremo interesse per le scelte che le Camere sono e saranno tenute ad effettuare;
    che tra le funzioni del CNEL vi sia in qualche misura quella di esprimere pareri in rappresentanza delle categorie economiche e produttive;
    che il sistema delle Camere di Commercio Industria Agricoltura e Artigianato, è costituito da «enti pubblici dotati di autonomia funzionale che svolgono, nell'ambito della circoscrizione territoriale di competenza, sulla base del principio di sussidiarietà di cui all'articolo 118 della Costituzione, funzioni di interesse generale per il sistema delle imprese, curandone lo sviluppo nell'ambito delle economie locali» e di fatto svolge nel nostro Paese un ruolo di promozione, organizzazione e rappresentanza delle imprese e dei sistemi economici;
    che negli organi delle Camere di C.I.A.A., in base alla legge n. 580 del 1993, e del decreto legislativo n. 23 del 2010, sono rappresentate, in funzione della loro effettiva presenza, tutte le categorie economiche del territorio,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di attribuire alcune delle funzioni precedentemente svolte dal CNEL al sistema camerale italiano e alla sua Unione nazionale Unioncamere.
9/2613-B/20Taricco, Ventricelli, Zanin, Zappulla.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 2 del disegno di legge di riforma costituzionale incide sul nuovo quinto comma dell'articolo 57 della Costituzione, che prevede che i senatori verranno eletti «in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri»;
    il termine «conformità» non lascia intendere quale sia la logica che sovraintende il rapporto tra i nuovi senatori e gli elettori; rispetto ad un organo che ha già una composizione fortemente disomogenea, al quale partecipano rappresentanti di enti territoriali (regioni e comuni) con funzioni molto diverse e dove per di più vi è una componente di nomina presidenziale, si introduce un ulteriore fattore di disomogeneità;
    peraltro se si accerta la premessa che al Senato i comuni debbano essere rappresentati, non si comprende la motivazione per la quale i loro rappresentanti in Senato, non solo debbano essere scelti dai cittadini, come accade per i consigli regionali, ma nemmeno dai comuni stessi, bensì dai consiglieri regionali. Pertanto, nell'ambito dell'indicazione da parte dei cittadini dei futuri senatori vengono esclusi i sindaci che invece saranno scelti in piena autonomia da parte degli organi consiliari, con una ingiustificata disparità di trattamento rispetto ai senatori di provenienza dal livello regionale,

impegna il Governo

ad adottare ogni opportuna iniziativa di propria competenza affinché la legge bicamerale che disciplina l'elezione dei senatori, cui è demandato il compito di fissare le modalità specifiche di attuazione della norma, riesca concretamente ad individuare soluzioni che possano rendere effettiva la previsione di cui al nuovo comma quinto dell'articolo 57 della Costituzione, introducendo elementi che definiscano le scelte effettuate da parte dell'elettore, anche attraverso una separazione delle liste, in modo da individuare in maniera chiara ed univoca chi concorre per il Consiglio regionale, e chi concorre per il nuovo Senato.
9/2613-B/21Occhiuto.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 2 del disegno di legge di riforma costituzionale incide sul nuovo quinto comma dell'articolo 57 della Costituzione, che prevede che i senatori verranno eletti «in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri»;
    peraltro se si accerta la premessa che al Senato i comuni debbano essere rappresentati, non si comprende la motivazione per la quale i loro rappresentanti in Senato, non solo debbano essere scelti dai cittadini, come accade per i consigli regionali, ma nemmeno dai comuni stessi, bensì dai consiglieri regionali. Pertanto, nell'ambito dell'indicazione da parte dei cittadini dei futuri senatori vengono esclusi i sindaci che invece saranno scelti in piena autonomia da parte degli organi consiliari, con una ingiustificata disparità di trattamento rispetto ai senatori di provenienza dal livello regionale,

impegna il Governo

ad adottare ogni opportuna iniziativa di propria competenza affinché la legge bicamerale che disciplina l'elezione dei senatori, cui è demandato il compito di fissare le modalità specifiche di attuazione della norma, riesca concretamente ad individuare soluzioni che possano rendere effettiva la previsione di cui al nuovo comma quinto dell'articolo 57 della Costituzione, introducendo elementi che definiscano le scelte effettuate da parte dell'elettore.
9/2613-B/21. (Testo modificato nel corso della seduta) Occhiuto.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge di riforma costituzionale in discussione non interviene né sulle prerogative del Presidente della Repubblica né sui poteri del Presidente del Consiglio e del Governo;
    all'inizio dell'attuale legislatura, l'impasse registratasi in sede parlamentare sull'elezione del Presidente della Repubblica, ha gettato ulteriore discredito sulle forze politiche chiamate a rappresentare il corpo elettorale;
    in un momento di crisi della politica, l'opzione semi-presidenzialista potrebbe contribuire al rafforzamento della partecipazione e della democrazia attraverso la partecipazione a suffragio universale diretto dei cittadini;
    la possibilità di procedere all'elezione diretta del Presidente della Repubblica è già stata discussa in sede parlamentare e su questo aspetto si fondava l'accordo che portò, tra il 1997 ed il 1998, la Commissione parlamentare bicamerale per le riforme costituzionali presieduta da Massimo D'Alema a redigere un organico testo di riforma della Carta;
    già durante i lavori dell'Assemblea costituente emersero orientamenti favorevoli alla forma di governo semi-presidenziale in luogo della poi adottata forma parlamentare;
    la legge di revisione costituzionale ora in esame modifica solo parzialmente, seppur in maniera importante, il testo costituzionale e non è sufficiente né esaustiva in quanto non prevede innovazioni né per quanto riguarda i poteri del Presidente del Consiglio, né per quanto riguarda i poteri del Presidente della Repubblica, lasciando ancora sospesi nodi fondamentali, la cui risoluzione è indispensabile per dare al Paese un modello moderno e funzionale di gestione dello Stato;
    si rileva la necessità di intraprendere con rapidità un nuovo dibattito sulla forma di Stato che vogliamo dare al nostro Paese, nella convinzione che una modifica in direzione semi-presidenziale, sposando tesi che non sono solo di una parte politica ma che appartengono ad un ampio dibattito della vita repubblicana, darebbe vita ad un sistema più coerente con quello delle grandi democrazie, non solo europee;
    l'approssimarsi della conclusione del processo di approvazione definitiva del disegno di legge in discussione, considerata la non imminente scadenza naturale della legislatura, consentirebbe al Governo e al Parlamento di proseguire sul cammino delle riforme avviate;
    che l'emanazione di un nuovo disegno costituzionale da parte del Governo, come già avvenuto in altre occasioni non ultimo durante la XIV legislatura, consentirebbe una più rapida discussione all'interno del dibattito parlamentare,

impegna il Governo

al termine dell'esame del disegno di legge di revisione costituzionale a valutare l'ipotesi di riaprire un dibattito serio e costruttivo sul semi-presidenzialismo che coinvolga tutte le forze politiche e sociali del Paese e che miri a rendere il sistema istituzionale italiano più moderno ed efficiente.
9/2613-B/22Abrignani.


   La Camera,
   premesso che:
    il presente disegno di legge di riforma costituzionale innova le modalità di elezione del Senato della Repubblica prevedendo la sua composizione tramite elezioni di secondo grado;
    visto che il presente disegno di legge di riforma costituzionale interviene sulle competenze legislative delle Regioni e sull'organizzazione degli enti di area vasta;
    ritenuto che in ottemperanza alla Carta europea dell'autonomia locale, firmata a Strasburgo il 15 ottobre 1985 e ratificata dallo Stato italiano con la legge 30 dicembre 1989, n. 439, i rappresentanti dei cittadini nei Consigli delle Città metropolitane dovrebbero essere eletti con suffragio libero, segreto, paritario, diretto ed universale,

impegna il Governo

ad adottare ulteriori iniziative normative, con gli strumenti a sua disposizione, volte a garantire la reale possibilità per i cittadini di eleggere direttamente i propri rappresentanti presso i Consigli delle Città metropolitane.
9/2613-B/23Francesco Saverio Romano.


   La Camera,
   premesso che:
    in Italia dal 1948 al 2015, in 67 anni, si sono succeduti 58 governi, con 27 diversi presidenti del Consiglio dei ministri;
    in questo lasso di tempo nessun Governo è riuscito a rimanere in carica per l'intera legislatura e solo la I e la XIV legislatura sono giunte alla loro scadenza naturale con un solo Presidente del Consiglio;
    il disegno di legge di revisione costituzionale in discussione non scioglie alcuni nodi fondamentali, la cui risoluzione è indispensabile;
    nel suo messaggio alle Camere del 26 giugno 1991, l'allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga ebbe ad affermare: «Riconoscenza dobbiamo alla nostra Costituzione; ma questo sentimento non ci deve impedire la riflessione critica e l'impegno politico per valutarla nel confronto dei mutati tempi e quindi per migliorarla ed ammodernarla»;
    il Presidente Cossiga, in quel suo storico ed inusuale quanto necessario messaggio, richiamava l'ordine del giorno Perassi, approvato il 4 settembre del 1946 dalla Seconda sottocommissione dell'Assemblea costituente con cui si impegnava l'Assemblea a trovare «dispositivi costituzionali idonei a tutelare le esigenze di stabilità dell'azione di Governo e ad evitare le degenerazioni del parlamentarismo»;
    l'Italia ha bisogno di una organica riforma anche del proprio assetto istituzionale, che tenga conto delle esigenze di maggiore efficienza e di maggiore governabilità;
    nel corso delle ultime legislature, diverse proposte di riforma hanno posto particolare attenzione alla forma di governo, proponendo il rafforzamento esplicito dei poteri del premier;
    nella legislatura in corso è già stata varata una riforma della legge elettorale che consentirà, seppur informalmente, l'indicazione diretta del Presidente del Consiglio da parte degli elettori;
    la successione di diverse leggi elettorali negli ultimi venti anni non ha garantito una maggiore stabilità dei governi ed è quindi necessario, per raggiungere tal fine, un intervento di natura costituzionale;
    è necessaria l'apertura di una nuova fase di discussione parlamentare in cui possa essere messo in campo un dibattito sull'opportunità di affidare al Presidente del Consiglio maggiori poteri all'interno dell'esecutivo;
    nell'attuale momento di crisi delle istituzioni e della politica, il rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio potrebbe contribuire alla ripresa della partecipazione dei cittadini alla vita pubblica;
    la proposta di riforma in discussione nasce da un'iniziativa governativa e sempre di iniziativa governativa fu la riforma costituzionale approvata nella XIV legislatura e poi respinta da referendum,

impegna il Governo

al termine dell'esame del disegno di legge di revisione costituzionale in discussione, ad approvare un ulteriore disegno di legge di riforma che miri ad assegnare nuove prerogative al Presidente del Consiglio dei Ministri tra cui il potere di scioglimento delle Camere e la nomina e revoca dei Ministri.
9/2613-B/24Parisi.


   La Camera,
   premesso che:
    il diritto internazionale annovera il principio in base al quale i popoli hanno diritto di scegliere liberamente il proprio sistema di governo (autodeterminazione interna) e di essere liberi da ogni dominazione esterna, in particolare dal dominio coloniale (autodeterminazione esterna);
    tale principio è affermato nella Carta Atlantica (14 agosto 1941) e nella Carta delle Nazioni Unite (26 giugno 1945; articolo 1, paragrafo 2 e 55), il principio di autodeterminazione dei popoli è ribadito nella Dichiarazione dell'Assemblea generale sull'indipendenza dei popoli coloniali (1960); nei Patti sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali (1966); nella Dichiarazione di principi sulle relazioni amichevoli tra Stati, adottata dall'Assemblea generale nel 1970, che raccomanda agli Stati membri dell'ONU di astenersi da azioni di forza volte a contrastare la realizzazione del principio di autodeterminazione e riconosce ai popoli il diritto di resistere, anche con il sostegno di altri Stati e delle Nazioni Unite, ad atti di violenza che possano precluderne l'attuazione;
    l'O.N.U. nell'ambito del patto internazionale relativo ai diritti civili e politici – New York 16 dicembre 1966 (Ratificato anche dall'Italia con la legge 881/77 del 25 ottobre 1977) prevede:
   Parte Prima – Articolo 1:
    tutti i popoli hanno diritto di autodeterminazione. In virtù di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale. Per raggiungere i loro fini, tutti i popoli possono disporre liberamente delle proprie ricchezze e delle proprie risorse naturali senza pregiudizio degli obblighi derivanti dalla cooperazione economica internazionale, fondata sul principio del mutuo interesse, e dal diritto internazionale. In nessun caso un popolo può essere privato dei propri mezzi di sussistenza. Gli Stati parte del presente Patto, ivi compresi quelli che sono responsabili dell'amministrazione di territori non autonomi e di territori in amministrazione fiduciaria, debbono promuovere l'attuazione;
    la Carta delle Nazioni Unite, infatti, al Capitolo I (dedicato ai fini e prìncipi dell'Organizzazione), articolo 1, paragrafo 2, individua come fine delle Nazioni Unite:
   «Sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell'eguaglianza dei diritti e dell'auto-determinazione dei popoli...»;
    la Conferenza e Trattato di Helsinki – 1o agosto 1975 hanno previsto: gli Stati partecipanti rispettano l'eguaglianza dei diritti dei popoli e il loro diritto all'autodeterminazione, operando in ogni momento in conformità ai fini e ai principi dello Statuto delle Nazioni Unite e alle norme pertinenti del diritto internazionale, comprese quelle relative all'integrità territoriale degli Stati; in virtù del principio dell'eguaglianza dei diritti e dell'autodeterminazione dei popoli, tutti i popoli hanno sempre il diritto, in piena libertà, di stabilire quando e come desiderano il loro regime politico interno ed esterno, senza ingerenza esterna, e di perseguire come desiderano il loro sviluppo politico, economico, sociale e culturale, Gli Stati partecipanti riaffermano l'importanza universale del rispetto e dell'esercizio effettivo da parte dei popoli dei diritti eguali e dell'autodeterminazione per lo sviluppo di relazioni amichevoli fra loro come fra tutti gli Stati; essi ricordano anche l'importanza dell'eliminazione di qualsiasi forma di violazione di questo principio;
    nel più recente parere del 2010 sulla Conformità al diritto internazionale della dichiarazione unilaterale di indipendenza relativa al Kosovo, la Corte di giustizia europea ha ritenuto che il diritto all'autodeterminazione del popolo kosovaro, e in particolare il cosiddetto diritto all'autodeterminazione come «ultimo rimedio», concernessero il diritto a separarsi da uno Stato e, quindi, esulassero da quanto richiesto dall'Assemblea generale, che imponeva solamente un'analisi di eventuali divieti all'emanazione di dichiarazioni di indipendenza previsti dal diritto internazionale (C.I.J., 22 luglio 2010, Accordance with International Law of the Unilateral Declaration of Independence in Respect of Kosovo, parere consultivo);
    la Corte di giustizia ha rilevato nel caso di specie l'assenza di divieti, sia sotto il profilo del diritto internazionale generale, sia sotto il profilo della risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza, concludendo che la dichiarazione di indipendenza non violava il diritto internazionale;
    l'articolo 28 dello Statuto Autonomo della Sardegna Statuto speciale per la Sardegna – Legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 richiama esplicitamente le parole Popolo Sardo a testimoniare la consapevolezza e la presa d'atto sostanziale e giuridica di un'entità identitaria definita sia sul piano storico culturale, geografico e sociale;
    l'articolo 28 dello Statuto della Regione autonoma della Sardegna dispone che: l'iniziativa delle leggi spetta alla Giunta regionale, ai membri del Consiglio ed al Popolo Sardo;
    a conferma dell'esistenza di un'entità Identitaria del Popolo Sardo interviene la norma applicativa di principi internazionali e comunitari sulle minoranze linguistiche, legge 15 dicembre 1999, n. 482 che dispone Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche. (Gazzetta Ufficiale n. 297 del 20 dicembre 1999 ) e all'articolo 2 prevede:
   Art. 2. – 1. In attuazione dell'articolo 6 della Costituzione e in armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo;
    tali elementi richiamati in una norma di attuazione costituzionale e di principi generali di livello internazionale consentono di connotare come tale il Popolo Sardo e quindi pienamente riconducibile alle disposizioni e ai principi in materia di autodeterminazioni dei popoli;
    la gerarchia delle fonti colloca il diritto internazionale in posizione predominante sulle norme nazionali, anche se in questo caso avalla e conferma quanto previsto sia dalla Costituzione che dalle norme di attuazione;
    a questi richiami normativi e di principi si deve aggiungere la mancata attuazione di tutti i principi costituzionali in relazione alla coesione e riequilibrio;
    l'articolo 22 (Perequazione infrastrutturale) della legge n. 42 del 2009 dispone quanto segue: «In sede di prima applicazione, il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministro per le riforme per il federalismo, il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministro per i rapporti con le regioni e gli altri Ministri competenti per materia, predispone una ricognizione degli interventi infrastrutturali, sulla base delle norme vigenti, riguardanti le strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche nonché la rete stradale, autostradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, le strutture portuali ed aeroportuali. La ricognizione è effettuata tenendo conto, in particolare, dei seguenti elementi: (...) g) specificità insulare con definizione di parametri oggettivi relativi alla misurazione degli effetti conseguenti al divario di sviluppo economico derivante dall'insularità, anche con riguardo all'entità delle risorse per gli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione»;
    l'articolo 3 della Costituzione italiana dispone; «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali, È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»; la questione insulare è quella più rilevante della nuova autonomia sarda; l'ordinamento costituzionale italiano non ha, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, in alcun modo recepito l'evoluzione ordinamentale dell'Unione europea relativamente alla questione insulare; lo statuto autonomo della Sardegna, legge di rango costituzionale, risulta anch'esso privo di un seppur minimo richiamo alla condizione insulare e all'ordinamento comunitario in materia;
    l'articolo 174 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, che costituisce la base giuridica per la politica di coesione sociale ed economica dell'Unione europea, fa specifica menzione all'obiettivo di ridurre il ritardo delle regioni insulari. L'articolo 174 recita: «Per promuovere uno sviluppo armonioso dell'insieme dell'Unione, questa sviluppa e prosegue la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale. In particolare l'Unione mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite. Tra le regioni interessate, un'attenzione particolare è rivolta alle zone rurali, alle zone interessate da transizione industriale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, quali le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna»;
    al Trattato di Amsterdam è seguita la contestuale dichiarazione n. 30 sulle regioni insulari che definisce gli obblighi dell'Unione nei confronti delle regioni insulari. La dichiarazione n. 30 prevede: «La Conferenza riconosce che le regioni insulari soffrono, a motivo della loro insularità, di svantaggi strutturali il cui perdurare ostacola il loro sviluppo economico e sociale. La Conferenza riconosce pertanto che la legislazione comunitaria deve tener conto di tali svantaggi e che possono essere adottate misure specifiche, se giustificate, a favore di queste regioni per integrarle maggiormente nel mercato interno a condizioni eque»;
    analogo richiamo è contenuto all'articolo 349 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, dove si prescrive di adottare misure specifiche per tali regioni tenendo conto delle caratteristiche e dei vincoli, compresa la loro «insularità»;
    l'articolo 170 del medesimo trattato si occupa della questione insulare relativamente alle reti trans-europee. Esso prevede che nello sviluppo di reti transeuropee l'Unione «tiene conto in particolare della necessità di collegare alle regioni centrali dell'Unione le regioni insulari, prive di sbocchi al mare e periferiche»; al fine di dare attuazione alle disposizioni contenute nei Trattati europei la Commissione europea ha fatto predisporre, dal Consorzio Planistat Europe & Bradley Dunbar, un rapporto finale riguardante l'analisi delle regioni insulari dell'Unione europea, dal quale emergono informazioni importanti circa l'esigenza di dotarsi di alcune precondizioni di base per aiutare le regioni insulari ed uscire dal loro isolamento;
    l'Eurostat ha classificato 286 territori insulari popolati da circa 10 milioni di abitanti, con una superficie di 100 mila chilometri quadrati (3 per cento della popolazione dell'Unione e 3,2 per cento della superficie totale); l'86 per cento di questa popolazione insulare europea risiede nel Mediterraneo (53 per cento in Sicilia, la stessa che in Danimarca e Finlandia), 17 per cento in Sardegna, 8 per cento nelle Baleari, 5 per cento a Creta e 3 per cento in Corsica);
    la sola Italia conta il 78 per cento della popolazione totale con 31 isole (praticamente le più grandi) su 286, che aumenta al 95 per cento (con 123 isole) se si considera l'intero Mediterraneo; le analisi sulle strutture economiche delle regioni insulari fanno rilevare che le stesse sono basate su un unico o su un numero esiguo di settori di attività. I problemi principali collegati con l'insularità riguardano indicativamente: a) il costo elevato dei trasporti e delle comunicazioni, nonché la forte dipendenza da infrastrutture e sistemi di prestazione di servizi spesso insufficienti; b) il costo elevato per le imprese obbligate a immagazzinare le materie prime e altre merci in quantità maggiori (in media 2-3 mesi) per difendersi dai rischi di trasporto del clima e altro, che rende i loro fattori di produzione più cari del 20 per cento in media in rapporto alla concorrenza del centro; c) lo scarso approvvigionamento e il costo elevato delle risorse idriche ed energetiche; d) la difficoltà di accesso a servizi, come ad esempio l'istruzione, la sanità, l'aggiornamento, la comunicazione, l'informazione, le attività ricreative, l'amministrazione; e) l'emergere di problemi ambientali come l'inquinamento marino e costiero, l'inquinamento dovuto allo smaltimento di rifiuti solidi e liquidi, l'erosione e la desertificazione delle coste e del territorio in generale, l'esaurimento, la salinizzazione o l'inquinamento delle falde acquifere; f) la carenza di superfici utilizzabili e lo sfruttamento eccessivo o insufficiente delle località turistiche; g) la carenza di personale specializzato; h) la difficoltà di trattenere la popolazione, che impone di affrontare i problemi di diversificazione dell'economia locale, del carattere stagionale delle attività, della promozione di nuove attività produttive; tali problemi, dovuti alle piccole dimensioni delle isole, al loro isolamento naturale e alla lontananza rispetto ai centri europei e nazionali, determinano una ridotta competitività nelle imprese insulari e, in generale, una scarsa capacità di attrazione per l'insediamento permanente di individui, imprese e capitali; i limiti, secondo il rapporto finale sui territori insulari, sono sintetizzabili in cinque grandi questioni: perifericità, trasporti, e accesso ai mercati; struttura economica; popolazione attiva e evoluzioni demografiche; accesso ai servizi pubblici, quali le tecnologie dell'informazione e comunicazione, la salute e l'educazione; problemi ambientali e limitazione delle risorse naturali;
    in questo quadro d'insieme emerge in tutta la sua stringente attualità la discriminazione che subisce la Sardegna sia sul piano legislativo, costituzionale, statuale, economico e sociale, infrastrutturale e culturale;
    risulta totalmente violato il «principio diritto» al riequilibrio e alla compensazione di tali divari;
    era indispensabile non ridurre la questione insulare ad un generico, quanto inappropriato, richiamo a principi di solidarietà, che appartengono ad una sfera non misurabile e non oggettiva della compensazione, ma ricondurla a parametri certi e misurabili funzionali ad un reale diritto al riequilibrio;
    è fin troppo evidente che gli effetti legati alla condizione insulare hanno una ricaduta su gran parte degli indicatori economici e sociali e che quindi gli stessi devono essere individuati e con puntualità analizzati;
    la mancata attuazione dell'articolo 22 della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale presuppone una grave e sostanziale violazione costituzionale;
    una violazione costituzionale che si evidenzia nell'atlante infrastrutturale (CNEL e Istituto Tagliacarte), dal quale emergono dati di comparazione assolutamente emblematici dell'assenza di coesione e unità nazionale;
    per quanto riguarda le reti energetiche, l'indice è di 100 per l'Italia; di 64,54 per il Mezzogiorno; di 35,22 per la Sardegna;
    per quanto riguarda le reti stradali, l'indice è di 100 per l'Italia; di 87,10 per il Mezzogiorno; di 45,59 per la Sardegna;
    per quanto riguarda le reti ferroviarie, l'indice è di 100 per l'Italia; di 87,81 per il Mezzogiorno; di 15,06 per la Sardegna;
    la rappresentazione economica del divario nella pianificazione infrastrutturale del Paese rende, ad avviso degli interroganti, il dato macroscopico tale da evidenziare una vera e propria emergenza nazionale sul piano della coesione economica ed infrastrutturale, minando i presupposti fondamentali della stessa Carta costituzionale in termini di coesione nazionale, uguaglianza tra cittadini e libertà;
    tale analisi assume una valenza ancor significativa nel dato relativo al valore pro capite dell'investimento infrastrutturale nel nostro Paese; con riferimento allo stanziamento pro capite – dall'esame dello studio richiamato – il valore pro capite del costo dell'intero programma infrastrutturale ad oggi stimato è pari ad una media di circa 6.000 euro ad abitante se si considera l'intero costo, quindi compresa la quota non ripartibile a livello regionale (14,143 milioni/euro); il dato pro capite fa registrare la Calabria con circa 23.000 euro, il Molise con oltre 18.000 euro ad abitante, la Basilicata con 14.000 euro, la Liguria con 13.000 euro, il Friuli e l'Umbria con oltre 8.000 euro. Tra le regioni più grandi, al di sopra della media regionale si collocano; la Sicilia con oltre 7.000 euro; il Piemonte, con un importo leggermente inferiore (6.978 euro); il Veneto (oltre 6.000 euro). L'Emilia Romagna supera i 5.000 euro, la Lombardia registra un valore intorno ai 4.000 euro, come la Toscana, mentre Lazio e Campania si attestano sui 3.000 euro. La Sardegna si attesta sui 3.423 euro pro capite; il divario pro capite tra regioni è rappresentato dai seguenti dati (euro/persona): Calabria 23.085; Molise 18.018; Basilicata 14.165; Liguria 13.037; Friuli Venezia Giulia 8.231; Umbria 8.212; Valle d'Aosta 7.449; Sicilia 7.187; Piemonte 6.978; Veneto 6.119; Abruzzo 6.206; Trentino Alto Adige 5.965; Emilia Romagna 5.456; Lombardia 4.032; Toscana 4.025; Lazio 3.441; Sardegna 3.423; Campania 3.225; Puglia 2.127; Marche 1.393;
    i dati emersi configurano un gravissimo divario di trattamento tra regioni che, anche escludendo opere interregionali o di interesse nazionale, costituisce un vero e proprio ulteriore limite alla coesione nazionale;
    il mancato perseguimento di un riequilibrio infrastrutturale nella pianificazione strategica si aggiunge ad un divario strutturale che diventa ancor più rilevante per regioni come la Sardegna che, oltre ad avere stanziamenti decisamente inferiori a quanto gli spetterebbe in base ai dati medi nazionali per quanto riguarda la proiezione sia sulla superficie territoriale che su quella pro capite, deve scontare un divario permanente legato alla condizione insulare;
    la Sardegna nelle aree più tutelate sul piano ambientale e comprese in siti di importanza comunitaria viene letteralmente bombardata e distrutta a colpi di missili e bombe;
    oltre 36.000 ettari di terra sarda vengono occupate da basi e poligoni militari manifestandosi come una vera e propria occupazione militare della Sardegna;
    oltre 450.000 ettari di terra sarda sono devastati da attività inquinanti che ne fanno l'isola più inquinata dell'Italia;
    il Governo ipotizza la realizzazione in Sardegna di altre attività inquinanti vedi stabilimento di Biofuell con l'occupazione di oltre 5,000 ettari di coltivazione invasiva e dannosa di canne;
    il Governo non ha escluso la Sardegna dall'ipotesi di dislocare nell'isola il deposito unico nazionale di scorie nucleari e non trovano riscontro in alcun modo le superficiali affermazioni rese da tale sottosegretario Lotti in una pseudo festa dell'Unità a Cagliari secondo le quali la Sardegna avrebbe già dato;
    il Governo continua a negare l'attuazione della zona franca integrale, anche in chiave di riequilibrio insulare;
    il Governo continua a tergiversare senza alcun tipo di concreto e serio risultato sulle vertenze Alcoa, Ottana e Porto Torres,

impegna il Governo:

   a individuare percorsi attuativi delle riforme costituzionali tesi alla salvaguardia e alla tutela del principio unanimemente riconosciuto dell'autodeterminazione dei popoli;
   a proporre al Parlamento norme attuative delle norme comunitarie e internazionali e degli stessi trattati sottoscritti dallo Stato italiano in relazione ai principi di autodeterminazione dei popoli, come richiamati in premessa, anche attraverso il riconoscimento costituzionale di referendum popolari per l'autodeterminazione, con particolare riferimento al popolo sardo riconosciuto come tale sia per quanto riguarda lo Statuto Autonomo che con le norme di riconoscimento di lingua e minoranza linguistica.
9/2613-B/25Pili.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 39 del disegno di legge di riforma costituzionale introduce la possibilità di ricorso motivato alla Corte costituzionale di una minoranza qualificata dei componenti di entrambi i rami del Parlamento avente ad oggetto le leggi elettorali per l'elezione di Camera e Senato,

impegna il Governo

a sostenere con gli strumenti previsti dall'ordinamento davanti alla Corte costituzionale l'ammissibilità dei ricorsi motivati di origine parlamentare di cui alla premessa su tutte le leggi promulgate nella diciassettesima legislatura repubblicana successivamente alla entrata in vigore della legge costituzionale di riforma, che disciplinino l'elezione dei membri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, entro dieci giorni dalla loro entrata in vigore.
9/2613-B/26Francesco Sanna.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 39 del disegno di legge di riforma costituzionale introduce la possibilità di ricorso motivato alla Corte costituzionale di una minoranza qualificata dei componenti di entrambi i rami del Parlamento avente ad oggetto le leggi elettorali per l'elezione di Camera e Senato,

impegna il Governo

a sostenere il principio dell'ammissibilità dei ricorsi di origine parlamentare di cui alla premessa, fatto salvo il merito degli stessi, su tutte le leggi promulgate nella diciassettesima legislatura repubblicana successivamente alla entrata in vigore della legge costituzionale di riforma, che disciplinino l'elezione dei membri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, entro dieci giorni dalla loro entrata in vigore.
9/2613-B/26. (Testo modificato nel corso della seduta) Francesco Sanna.


   La Camera,
   premesso che:
    i firmatari del presente atto hanno mosso e muovono tuttora profonde critiche al nuovo impianto ordinamentale, hanno rilevato e rilevano tuttora profili critici in ordine alla farraginosità del nuovo procedimento legislativo, conseguente alle modalità della suddivisione e dell'attribuzione delle competenze, hanno sottolineato e continuano a sottolineare le numerose incongruenze e ambiguità presenti nell'approvando testo di riforma costituzionale, che minano la tenuta non solo del dettato ma dell'intero assetto costituzionale;
    in particolare, il disposto del comma 11 dell'articolo 39 prevede che nella legislatura in corso al momento dell'approvazione della riforma costituzionale potranno essere impugnate davanti alla Corte costituzionale le leggi per le elezioni delle Camere approvate in quella stessa legislatura entro dieci giorni dall'entrata in vigore del testo di riforma, ovvero entro dieci giorni dall'eventuale approvazione della legge che disciplina l'elezione del Senato; ne discende che le eventuali ulteriori modifiche alla disciplina elettorale per l'elezione delle Camere approvate successivamente a tali termini non potranno in ogni caso essere oggetto di impugnazione preventiva davanti alla Consulta,

impegna il Governo

ad astenersi dall'adottare iniziative legislative recanti proposte di modifica della disciplina elettorale per l'elezione delle Camere una volta giunti all'approvazione della riforma costituzionale.
9/2613-B/27Di Battista, Toninelli, D'Ambrosio, Cecconi, Cozzolino, Dadone, Dieni, Nuti.


MOZIONI BINETTI ED ALTRI N. 1-01063, BARONI ED ALTRI N. 1-01073, MIOTTO ED ALTRI N. 1-01074, VARGIU ED ALTRI N. 1-01075, NIZZI E OCCHIUTO N. 1-01076 E NICCHI ED ALTRI N. 1-01079 CONCERNENTI INIZIATIVE PER LA CURA DEI TUMORI RARI

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    la Commissione affari sociali, dopo aver svolto dal marzo al luglio 2015 un'indagine conoscitiva sulle malattie rare – che si è conclusa il 28 luglio con l'approvazione del documento conclusivo –, nel settembre scorso ha approvato alla unanimità una risoluzione, sul presupposto del documento conclusivo approvato a luglio, in cui sono contenuti alcuni impegni al Governo che costituiscono al tempo stesso una tutela per i malati e un forte incentivo alla ricerca. Si tratta di due finalità strettamente collegate tra di loro anche in funzione della prossima creazione degli ERN (European Reference Network). Le malattie rare, identificate dall'Unione europea come settore di sanità pubblica per cui è fondamentale la collaborazione tra gli Stati membri, fin dal 1999, con l'adozione della decisione del Parlamento europeo e del Consiglio n. 1295, che adotta un programma d'azione comunitaria in tale ambito, sono state spesso oggetto di raccomandazioni comunitarie finalizzate all'adozione di programmi con obiettivi ampiamente condivisi. Il contesto in cui si collocano attualmente le malattie rare abbraccia infatti tutta l'Europa in una lunga sinergia di progetti come Europlan, Eurordis, Orphanet e dal prossimo 2016 le Reti di riferimento europee (ERN);
    come è emerso più volte durante le audizioni svolte nel corso della indagine conoscitiva, la scarsa consuetudine clinica e la scarsa disponibilità di conoscenze scientifiche, che derivano dalla rarità delle malattie, compresi i tumori rari, determina spesso lunghi tempi di latenza tra l'esordio della patologia e la diagnosi, nel caso delle malattie rare o diagnosi patologiche e trattamenti non idonei (nel caso dei tumori rari 1), incidendo negativamente sulla prognosi del paziente. Ma è proprio sul piano del diritto alla salute e più specificamente del diritto alle cure, che le richieste dei pazienti si fanno sempre più incalzanti e meno disposte alla rassegnazione nei confronti di un sistema burocratico a volte lento e farraginoso. L'Italia è stata presente fin dall'inizio in tutti gli organismi che si sono occupati di ricerca scientifica nel campo delle malattie rare a vari livelli: genetico, metabolico, farmacologico e assistenziale; dalla diagnosi precoce alla organizzazione della rete e dei servizi collegati, compresa l'integrazione tra le associazioni di malati. La competenza specifica e la disponibilità alla collaborazione del nostro Paese sono state oggetto di considerazione ed apprezzamento da parte di tutti i partner europei. E lo stesso è avvenuto in relazione ai tumori rari e alla rete di strutture di supporto che in questi anni si è andata formando, sia pure su base prevalentemente volontaristica;
    uno strumento di lavoro fondamentale in questo campo è infatti rappresentato proprio dalla rete, nelle sue diverse articolazioni e con i suoi obiettivi specifici. La Rete nazionale delle malattie rare, istituita in Italia nel 2001, prevedeva già da allora il Registro nazionale malattie rare (RNMR) e regolamentava l'esenzione da una serie di costi per le patologie inserite in una determinata lista, stabilita dal decreto ministeriale n. 279 del 2001. La lista da allora non è stata più aggiornata. All'istituzione della Rete nazionale delle malattie rare hanno fatto seguito due importanti accordi Stato-regioni, rispettivamente nel 2002 e nel 2007, dopo di che si è assistito ad un deciso rallentamento delle iniziative a favore di questi malati, considerati rari. L'assistenza ai malati rari richiede una serie molto complessa e articolata di interventi, che coinvolgono l'organizzazione, la programmazione e il finanziamento dell'intero sistema sanitario nazionale. Le difficoltà che i malati rari incontrano, per vedere soddisfatti i loro bisogni di presa in carico, dipendono da una molteplicità di fattori, quali la complessità delle azioni e degli interventi richiesti dalle specifiche patologie presentate dai pazienti, la necessità di coinvolgere un numero elevato di soggetti e specializzazioni per fornire loro un servizio adeguato, la differenza qualitativa che si registra nei servizi sanitari regionali del nostro Paese, nonché elementi strutturali, alcuni dei quali potrebbero essere fin da ora oggetto di azioni positive di miglioramento;
    l'Italia ha coordinato due progetti europei sui tumori rari, Surveillance of rare cancers in Europe (Rarecare) e Information network on rare cancers (Rarecarenet). Il primo, attraverso un processo di consenso, ha proposto la definizione di tumori rari ed ha prodotto una lista di 198 tumori rari. Il secondo progetto ha lavorato sulla definizione di centro di expertise per i tumori rari fornendo criteri generali e specifici per alcuni gruppi di tumori. Il Ministero della salute italiano ha supportato finanziariamente due progetti sui tumori rari, RITA (Surveillance of rare cancers in Italy) e RITA2 (Rare Cancers in Italy: surveillance and evaluation of the access to diagnosis and treatment), con gli obiettivi di fornire dati epidemiologici sui tumori rari in Italia e di raccogliere informazioni sulla qualità delle cure per alcuni tumori rari in Italia. Questi progetti sono stati basati sull'ampia collaborazione tra diversi esperti: patologi, oncologi, radioterapisti, chirurghi, epidemiologici, registri tumori di popolazione e volontariato oncologico (Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia – Favo);
    i tumori rari condividono con le malattie rare l'aspetto della rarità, ma sono diversi per il fatto che si qualificano come tumori e in quanto tali appartengono ad una delle patologie più frequenti in Italia. Gli stessi tumori rari sono rari, se presi singolarmente, ma non sono tali se considerati cumulativamente. Il progetto Surveillance of rare cancers in Italy (RITA) ha infatti calcolato che i 198 tumori rari corrispondono a circa il 23 per cento dei nuovi casi di tumore maligno in Italia (circa 1 tumore su 5 è un tumore raro);
    tra le principali differenze tra le malattie rare e i tumori rari se ne possono segnalare alcune per meglio comprendere la specificità dei due ambiti. I tumori rari sono tumori e quindi malattie sub-acute e vengono identificati in base all'incidenza ovvero al numero di nuovi casi/anno, mentre le malattie rare sono malattie croniche e quindi la prevalenza, che riflette il numero totale di casi in un determinato periodo nella popolazione, quantifica adeguatamente il peso che una malattia cronica ha a livello di popolazione. I tumori rari hanno una eziologia multifattoriale, mentre le malattie rare sono prevalentemente di origine genetica. I tumori rari hanno un andamento di tipo subacuto, caratterizzato da singoli eventi critici; mentre le malattie rare sono piuttosto malattie croniche, progressive e degenerative;
    nel loro insieme, i tumori rari costituiscono il 23 per cento dei nuovi casi di tumore maligno. Fanno parte dei tumori rari tutta la famiglia dei tumori pediatrici, molti della famiglia dei tumori ematologici, dieci famiglie di tumori solidi dell'adulto. In pratica, vi sono dodici famiglie di tumori rari, che sono seguite da comunità diverse di medici, pazienti, istituzioni di riferimento. Sono sarcomi; tumori rari della testa e collo; tumori del sistema nervoso centrale; mesotelioma e timoma; tumori delle vie biliari; tumori neuroendocrini; tumori delle ghiandole endocrine; tumori rari urogenitali maschili; tumori rari ginecologici; tumori degli annessi cutanei e melanoma delle mucose e dell'uvea;
    per queste famiglie, l'oncologia, in Italia ed in Europa, ha creato tipi diversi di collaborazioni, da quelle per la ricerca clinica, a quelle che producono linee guida per la pratica clinica; dalle collaborazioni su progetti ad hoc, alle reti di sorveglianza epidemiologica, per concludere con le reti di pazienti. In considerazione di queste realtà già presenti e funzionanti in buona parte dei Paesi europei, è necessario creare più Reti di riferimento europee (ERN) sui tumori rari, corrispondenti alle dodici famiglie di tumori rari che afferiscono alle relative comunità di medici, pazienti, istituzioni che se ne occupano. Il governo italiano dovrebbe sostenere con decisione a livello europeo che le Reti di riferimento europee corrispondano alle esistenti comunità di clinici, ricercatori, istituzioni, pazienti, cioè alle dodici famiglie di tumori rari e che – perché funzionino – siano definiti ed accreditati ufficialmente i centri di riferimento che le costituiscono, secondo i criteri che le diverse comunità scientifiche di riferimento avranno prodotto;
    i dati epidemiologici relativi all'Italia sono stati raccolti nell'ambito del progetto RITA2 e si basano sui registri tumori di popolazione italiani dell'AIRTUM (htpp://www.registri-tumori.it/cms/it). Attualmente infatti non esiste un registro nazionale dedicato i tumori rari, diversamente da quanto avviene per le malattie rare per le quali il decreto n. 279 del 2001 ha istituito un registro nazionale presso l'Istituto superiore di sanità. Quindi per i dati epidemiologici sui tumori rari ci si avvale dei registri tumori, fonte affidabile grazie all'esperienza ultradecennale nel fornire correntemente i dati epidemiologici su tutti i tumori. Resta comunque il problema che sebbene l'AIRTUM sia impegnata nella produzione di una monografia dedicata ai tumori rari, tuttora questi tumori non appaiono ancora nelle statistiche correnti né in Italia né in altri Paesi europei. Appare quindi importante garantire un costante aggiornamento dei dati epidemiologici volto anche ad aumentare le informazioni di base raccolte sui tumori rari in modo da poterle utilizzare, ai fini sia di una adeguata programmazione dei servizi sanitari che per la valutazione del loro impatto;
    in Italia, le reti dell'Associazione italiana di ematologia e oncologia pediatrica (AIEOP) e del Gruppo italiano delle malattie ematologiche dell'adulto (GIMEMA) sostengono da anni la ricerca clinica, rispettivamente, nei tumori pediatrici e nei tumori ematologici, e contribuiscono a mantenere una buona qualità di cura tra centri di riferimento. Per quanto riguarda i tumori rari solidi dell'adulto (che corrispondono al 15 per cento di tutti i tumori rari e che sono molto meno presidiati da centri di riferimento specifici), dal 1997 la Rete tumori rari opera per migliorare la qualità di cura e diminuire la migrazione sanitaria attraverso la condivisione a distanza di singoli casi clinici;
    nel 2012 e nel 2013, gli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale del servizio sanitario nazionale ne hanno incorporato il progetto, con lo scopo di far divenire la Rete tumori rari una «risorsa permanente del sistema sanitario nazionale», interfacciata con le reti oncologiche regionali, attraverso una governance ed un finanziamento centrali, in collaborazione con le regioni. Questa rete ha costituito un punto di riferimento importante per una migliore assistenza ai malati di tumori rari ma, contrariamente a quanto stabilito negli obiettivi di carattere prioritario per il 2012 e 2013, la Rete tumori rari non è stata confermata negli ultimi obiettivi di carattere prioritario, rendendo privo di un progetto formale l'unico punto di riferimento in rete per i pazienti italiani con tumori rari solidi dell'adulto;
    al contrario, la relazione finale del gruppo di lavoro sulla Rete tumori rari del Ministero della salute, istituito con decreto ministeriale 14 febbraio 2013, ha proposto una serie di azioni, condivise dal Ministro, tra cui la formalizzazione a livello Stato-regioni della predetta Rete;
    il decreto ministeriale 14 febbraio 2013 aveva istituito un gruppo tecnico di lavoro sui tumori rari, che ha consegnato al Ministero della salute le sue conclusioni nel maggio 2015. Il gruppo di lavoro ha lavorato con il mandato di fornire elementi di analisi, identificare criticità e definire proposte in merito a quattro obiettivi:
     a) fornire indirizzi per la progettazione e valutazione dei progetti regionali attuativi, nell'ottica di promuovere la collaborazione permanente tra i centri oncologici distribuiti su tutto il territorio nazionale;
     b) formulare proposte per il pieno raggiungimento degli scopi della rete (RTR), che attualmente ha carattere prevalentemente tecnico-professionale, frutto di un processo di aggregazione spontanea che non va disperso, ma va potenziato e reso fruibile da tutti coloro che ne abbiano bisogno;
     c) elaborare proposte per aumentare l'accesso ai farmaci nel trattamento dei tumori rari, rivedendo i requisiti normativi delle evidenze scientifiche necessarie per accedere all'uso compassionevole dei farmaci (decreto ministeriale 8 maggio 2003), e indispensabili per circoscrivere gli usi off-label nei tumori rari a centri clinici di documentata esperienza in tal senso;
     d) stabilire criteri e metodi per la classificazione nosologica dei tumori rari, facendo riferimento allo studio «Surveillance of rare cancers in Italy»: la definizione di tumore raro va basata sulla incidenza, che è il miglior indicatore di frequenza e i tumori vanno distinti in base a caratteristiche anatomo-patologiche (OMS);
    le criticità maggiori emerse nell'ambito della cura e del trattamento dei tumori rari solidi dell'adulto riguardano quattro aspetti concreti:
     a) la necessità di poter accedere in tempi ragionevoli ad una seconda diagnosi, perché la prima nel 40 per cento dei casi si rivela inidonea;
     b) la necessità di accedere obbligatoriamente ad un centro di riferimento per il trattamento chirurgico, che rappresenta il cardine della cura e che – se condotto senza esperienza specifica – compromette seriamente le probabilità di guarire del singolo paziente;
     c) la possibilità di accedere con la formula «per uso compassionevole» a farmaci che abbiano mostrato risultati di attività ed efficacia anche qualora non siano disponibili studi formali di fase seconda, o non vi sia un'iniziativa di registrazione in corso da parte dell'azienda farmaceutica produttrice, o non vi siano sperimentazioni in corso, e altro (in molto Paesi ciò è già possibile);
     d) l'urgenza di disporre di una rete nazionale per i tumori rari, articolata secondo parametri condivisi, in cui sia possibile per i centri oncologici privi di un expertise iper-specialistico su un determinato tumore raro accedere a tele-consultazioni e condivisioni cliniche prolungate con centri di eccellenza;
    la Rete tumori rari, esattamente per la rarità delle patologie di cui si occupa, deve configurarsi come rete di respiro nazionale con caratteristiche e necessità specifiche. In particolare deve prevedere il coinvolgimento di tutte le regioni, in sede di accordo Stato-regioni e pubbliche amministrazioni; le caratteristiche vanno adeguatamente e strutturalmente specificate (criteri di identificazione dei nodi della rete) dalle regioni in modo tale che la Rete tumori rari possa essere facilmente riconoscibile; occorre implementare le funzioni di carattere nazionale, mediante la valorizzazione del sistema informativo/informatico e in coerenza con la normativa regionale delle «prestazioni per la rete»,

impegna il Governo:

   al fine di evitare l'interruzione dell'operatività della attuale Rete nazionale delle malattie rare, conseguente alla decisione della Conferenza Stato-regioni, a promuovere rapidamente iniziative in grado di assicurarne la continuità così da «traghettare», come già previsto, l'inserimento della Rete tumori rari nel Servizio sanitario nazionale;
   a formalizzare una lista di tumori rari, sulla base di quella proposta dal gruppo di lavoro sulla Rete tumori rari, seguendo le conclusioni del progetto Rarecare;
   ad avviare un percorso che conduca alla definizione di criteri per l'accreditamento di centri di riferimento per i tumori rari, con l'obiettivo di centralizzarne il trattamento locale e raccordandone l'azione all'interno delle reti collaborative, così da massimizzarne l'efficacia;
   a costituire un gruppo di lavoro per l'avanzamento del progetto della Rete tumori rari, coinvolgendo i registri tumori di popolazione e le associazioni di volontariato oncologico;
   ad assicurare un più agevole accesso per i malati di tumore raro all'uso compassionevole dei farmaci attraverso l'aggiornamento del decreto ministeriale 8 maggio 2003 («Uso terapeutico di medicinale sottoposto a sperimentazione clinica»);
   ad investire sulla ricerca clinica e di sanità pubblica per i tumori rari, innanzitutto prevedendo una regolare sorveglianza epidemiologica dei tumori rari, a partire dal lavoro svolto nell'ambito di Rarecare e Rarecarenet dalla struttura di epidemiologia dell'Istituto nazionale tumori di Milano, in collaborazione con l'Associazione italiana registri tumori (AIRTUM);
   a valorizzare le eccellenze presenti nei centri di riferimento italiani, per realizzare un monitoraggio efficace degli standard di eccellenza, a livello scientifico, clinico-assistenziale ed organizzativo;
   a supportare la Commissione europea nella procedura di valutazione e selezione dei centri di riferimento italiani che entreranno a far parte delle European Reference Network su base rigorosamente meritocratica, con indicatori precisi e condivisi;
   a diffondere le informazioni relative alle European Reference Network, agli standard necessari per entrare a farne parte e alle opportunità che potrebbero scaturire fin da subito per la ricerca a vario livello, stimolando processi di autovalutazione della qualità del lavoro nel proprio centro;
   a proporre modelli di integrazione e di collaborazione tra i nodi di eccellenza delle reti e i diversi operatori del servizio sanitario nazionale, in modo da favorire la conoscenza reciproca e lo scambio di competenze necessarie per garantire un'attività scientifica e assistenziale sempre più efficace sull'intero territorio nazionale;
   a potenziare la capacità di ricerca e di formazione dei centri, attraverso la partecipazione a progetti di ricerca scientifica dedicati ai tumori rari sia sotto il profilo diagnostico-assistenziale che sotto quello della organizzazione dei servizi e dei modelli di presa in carico dei pazienti a livello individuale e familiare;
   a verificare che in tutti i tavoli di lavoro in cui si trattano i tumori rari siano presenti i rappresentanti delle associazioni di malati che hanno raggiunto livelli di esperienza e di competenza di riconosciuto valore;
   a investire sulla sicurezza dei pazienti affetti da tumori rari attraverso: elevata e comprovata competenza dei professionisti, riconosciuta qualità scientifica, capacità di giungere a diagnosi precoci in modo corretto, elevata esperienza specifica sul trattamento locale, inserimento dei pazienti in progetti di sperimentazione farmacologica ad elevata probabilità di successo, presenza di un monitoraggio costante e continuo delle procedure;
   a investire sull'aggiornamento dei pediatri di base e dei medici di medicina generale perché collaborino con i centri di riferimento nel riconoscimento di «sintomi sentinella», nella prevenzione primaria e secondaria, e attraverso un'opportuna diffusione dei fattori di protezione e dei fattori di rischio;
   a facilitare il riferimento dei pazienti ai centri della rete nelle fasi iniziali della cura, attraverso un capillare sistema informativo con il coinvolgimento del volontariato oncologico;
   ad assumere iniziative per facilitare la ricerca sul piano farmacologico attraverso misure di defiscalizzazione attrattive per gli investitori, soprattutto quando si tratta di «farmaci orfani» che potrebbero fungere da salvavita;
   a facilitare l'accesso dei pazienti ai farmaci off-label, utilizzando il cosiddetto fondo Aifa per la ricerca, anche attraverso un opportuno coinvolgimento dei medici curanti, in modo da garantire ai malati un costante ed efficace interessamento nei loro confronti, pur in assenza, per il momento, di soluzioni certe e definitive.
(1-01063) «Binetti, Bosco, Pagano, Calabrò, Sammarco, Minardo, Garofalo, Vella, Tancredi, Scopelliti, Pizzolante, Cera, Palese».


   La Camera,
   premesso che:
    i tumori rari sono neoplasie che possono svilupparsi in diverse parti dell'organismo e avere caratteristiche molto differenti: la scarsa diffusione è l'unico elemento che accomuna tutti i tumori classificati come rari, che rappresentano una famiglia estremamente eterogenea di patologie;
    al momento non ci sono forme attendibili per stabilire in materia di tumori rari quanto siano realmente diffusi, poiché non esiste una definizione univoca sui numeri che caratterizzano questa «rarità»: una delle questioni principali da dirimere è la definizione di tumore raro ovvero quando è così poco comune da poter essere definito raro;
    la Rete tumori rari è una collaborazione tra centri oncologici italiani per migliorare l'assistenza ai pazienti con tumori rari ed utilizza la soglia di incidenza, ovvero il numero di nuovi casi in un anno, inferiore o uguale a 5 casi su 100.000, ma altre organizzazioni utilizzano soglie diverse e ciò complica il calcolo della diffusione di queste patologie;
    i tumori rari rappresentano oltre il 20 per cento di tutti i tumori diagnosticati ogni anno nell'Unione europea e riguardano nel territorio europeo oltre 4 milioni di persone;
    in Italia, secondo i dati dello studio RITA, dedicato proprio ai tumori rari, ogni anno sono circa 60.000 le nuove diagnosi di tumore raro;
    un tumore che sia raro non significa che sia incurabile o che le possibilità di guarigione siano più limitate rispetto a quelle di un tumore più comune: alcune neoplasie rare hanno infatti percentuali di guarigione o di controllo della malattia superiori a tumori molto più diffusi;
    i tumori rari sono una famiglia di neoplasie molto eterogenee. Ne esistono infatti molte tipologie che possono interessare ogni parte dell'organismo: i ricercatori del progetto Rarecare (Surveillance of rare cancers in Europe), un progetto europeo che si occupa di tumori rari, ne hanno individuate oltre 250;
    tra i tumori rari più noti anche alcune forme di leucemie e linfomi, tumori pediatrici come il retinoblastoma o tumori solidi dell'adulto come il tumore gastrointestinale stromale (GIST) e i tumori neuroendocrini (Pnet);
    non è possibile definire fattori di rischio comuni per tutti i tumori rari perché queste patologie sono molto numerose e molto diverse tra loro, ma anche perché le informazioni e gli studi clinici ed epidemiologici su un tumore raro sono spesso limitati proprio a causa della difficoltà di reperire una quantità sufficiente di dati sui quali basare la diagnosi;
    la diagnosi è un momento fondamentale nel percorso di una persona che si confronta con il tumore: una diagnosi precoce e precisa consente di affrontare la malattia con gli strumenti più adatti a sconfiggerla o a tenerla sotto controllo;
    nel caso dei tumori rari la diagnosi oggi spesso arriva in ritardo, dopo che il paziente si è sottoposto a diverse visite o esami clinici. La ragione principale di questo ritardo è la difficoltà che incontrano i medici a riconoscere una patologia rara, con la quale hanno a che fare raramente nel corso della loro carriera professionale;
    per diagnosticare una malattia rara, sia tumorale sia di altra natura, servono infatti competenze particolari che solo un esperto del settore può garantire e servono inoltre esami specifici per rendere la diagnosi veramente completa e affidabile. Potrebbe quindi essere necessario inviare i campioni prelevati in altri laboratori per effettuare tali esami, allungando ulteriormente il tempo necessario per giungere alla diagnosi finale;
    nel 1997, per esempio, ha preso il via presso l'Istituto nazionale dei tumori di Milano (INT) la Rete tumori rari, un progetto nato con lo scopo di migliorare l'assistenza alle persone affette da un tumore raro, con particolare attenzione a quelli che vengono definiti tumori solidi dell'adulto (non si occupa infatti di tumori del sangue e tumori pediatrici). Si tratta di una collaborazione coordinata dall'Istituto nazionale dei tumori di Milano alla quale hanno aderito circa 200 centri oncologici in tutta Italia;
    dal 2001 esiste una Rete nazionale delle malattie rare, istituita dalla Conferenza Stato-regioni, a cui fa capo anche quella oncologica;
    gli obiettivi della Rete tumori rari sono:
     a) creare una collaborazione permanente tra strutture sanitarie con lo scopo di migliorare la qualità di cura ai pazienti con tumore raro;
     b) che la diagnosi e il trattamento nei centri partecipanti avvengano secondo criteri comuni;
     c) condividere a distanza casi clinici fra i centri partecipanti, in modo da migliorare le capacità di cura dei medici aumentando il numero dei casi che si trovano a fronteggiare;
     d) promuovere un accesso razionale a centri di diagnosi e cura, limitando al minimo indispensabile gli spostamenti dei pazienti;
     e) contribuire alla ricerca clinica sui tumori rari;
     f) contribuire alla diffusione della conoscenza sui tumori rari;
     g) diventare un modello sia dal punto di vista dei metodi utilizzati sia da quello delle tecnologie per ulteriori collaborazioni nell'ambito oncologico;
    i tumori rari in Italia, contrariamente da quanto previsto in Europa, non sono ricompresi nell'elenco delle malattie rare, che ha un proprio registro nazionale presso l'Istituto superiore di sanità istituito con il decreto n. 279 del 2001, e quindi i pazienti non possono beneficiare dei vantaggi, anche se insufficienti, riconosciuti alle persone affette da una patologia rara;
    si riscontrano e vengono denunciate dalle associazioni che si occupano di persone con tumore raro, difficoltà e disparità di accesso ai trattamenti innovativi, a volte uniche terapie efficaci per queste gravi forme di tumore;
    nel 2013 in Italia i pazienti affetti della sola leucemia mieloide cronica erano 7.881, con un'incidenza annuale in aumento stimata del 12 per cento, ovvero pari a 930 nuovi casi di persone con tumore raro;
    è necessario utilizzare e rendere accessibili le migliori terapie disponibili quando il paziente è ancora in fase cronica, per evitare il passaggio alle fasi avanzate della malattia;
    è estremamente importante, in un terreno orfano di terapie diagnostiche e specifiche, un efficace coordinamento dei centri specializzati che operano sul campo, ed appare necessario ottimizzare le risorse e promuovere le eccellenze che non mancano, evitando in tal modo i cosiddetti viaggi della speranza;
    non si può fare una programmazione delle strutture sul territorio in materia oncologica, se non si ha una base di conoscenza reale e attendibile sull'incidenza di queste malattie sul territorio. Senza queste informazioni è elevato il rischio di sovrastimare o sottostimare le strutture operanti nel campo: danneggiando comunque il paziente, in termini economici o di assistenza medica;
    l'obiettivo da perseguire è investire sulle terapie più innovative, sulla diagnostica della cronicità, ma anche sulla prevenzione e sul contrasto alle cattive abitudini che alimentano la diffusione delle patologie neoplastiche;
    il decreto-legge n. 158 del 2012 (cosiddetto decreto Balduzzi), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2012, impone la registrazione dei farmaci orfani entro 100 giorni a partire dall'avvio della procedura nazionale,

impegna il Governo:

   al fine di assicurare specifiche forme di tutela ai soggetti affetti da tumori rari, ad implementare e dare continuità alla Rete nazionale per la prevenzione, la sorveglianza, la diagnosi e la terapia delle malattie rare inserendo in tale ambito i tumori rari;
   a definire in maniera chiara e condivisa i tumori che devono essere riconosciuti come rari;
   ad individuare i centri di eccellenza per la prevenzione, diagnosi, cura e terapia dei tumori rari, con particolare riferimento alla loro presenza uniforme sul territorio nazionale;
   a predisporre l'elenco dei tumori rari nell'ambito dell'elenco delle malattie rare;
   a prevedere che l'elenco dei tumori rari sia una «lista dinamica» in grado di accogliere e aggiornare l'elenco via via che siano diagnosticate anche le nuove patologie definite come rare ai fini delle opportune tutele per i pazienti di tumori rari;
   a sviluppare la capacità di ricerca in tale ambito, anche destinando ad essa specifiche linee di finanziamento, e prevedendo un'adeguata formazione per chi opera in tali centri, attraverso la partecipazione a progetti di ricerca scientifica a livello nazionale ed europeo, dedicati ai tumori rari sia sotto il profilo diagnostico- assistenziale, che sotto quello della organizzazione dei servizi e dei modelli di presa in carico dei pazienti a livello individuale e familiare;
   a promuovere la defiscalizzazione delle spese sostenute in Italia per la ricerca clinica e pre-clinica relativa ai «farmaci orfani» e ai tumori rari, con particolare attenzione e che progetti di ricerca in tale ambito siano rivolti anche al territorio delle regioni con disavanzo sanitario e sottoposte a piani di rientro;
   a garantire e favorire l'utilizzo off-label di farmaci per la cura dei tumori rari di cui è accertata l'efficacia, sulla base di evidenze scientifiche, anche al fine del loro inserimento nella lista del decreto-legge n. 536 del 1996, convertito dalla legge n. 648 del 1996, favorendo lo sviluppo da parte dell'Agenzia italiana del farmaco di un'attenzione particolare ai tumori rari così come previsto per le malattie rare;
   ad aggiornare i dati relativi all'incidenza, sopravvivenza e prevalenza di ciascun tumore raro, tenuto conto dei dati relativi ai registri tumori AIRTUM;
   a verificare la possibilità di integrazione e validazione reciproca dei dati della Rete tumori rari (RTR) e dei dati dei registri tumori (AIRTUM);
   a prevedere la diffusione di informazioni sui tumori rari attraverso la collaborazione con le associazioni dei pazienti, coinvolgendo esperti, ricercatori, medici, associazioni di pazienti nel progetto informativo;
   a promuovere e favorire, anche attraverso apposite iniziative normative, l'istituzione di un registro nazionale tumori che comprenda, obbligatoriamente, i dati epidemiologi relativi ai tumori rari in riferimento agli elenchi citati in premessa;
   ad assumere iniziative affinché le attività di raccolta e analisi dei dati raccolti dai distretti e dalle aziende sanitarie locali, relativi a eziologia multifattoriale, eziologia generica o incerta possano essere attività correlate e connesse a quelle relative ai tumori rari;
   a intraprendere ogni iniziativa per il potenziamento della prevenzione primaria, da considerarsi attività di informazione e diffusione rispetto ai fattori di rischio, attraverso il coinvolgimento delle scuole e del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, relativamente alle abitudini e ad un corretto stile di vita associato alla maggiore incidenza di patologie tumorali con particolare riferimento ai tumori rari;
   a garantire che, nell'ambito dell'attività di ricerca dell'Istituto superiore di sanità, sia garantito un finanziamento totalmente pubblico relativamente alla prevenzione primaria, secondaria e terziaria dei tumori rari.
(1-01073) «Baroni, Silvia Giordano, Colonnese, Di Vita, Grillo, Lorefice, Mantero, Zolezzi, D'Incà».


   La Camera,
   premesso che:
    i tumori rari sono neoplasie che possono svilupparsi in diverse parti dell'organismo e avere caratteristiche molto differenti: la scarsa diffusione è l'unico elemento che accomuna tutti i tumori classificati come rari, che rappresentano una famiglia estremamente eterogenea di patologie;
    al momento non ci sono forme attendibili per stabilire in materia di tumori rari quanto siano realmente diffusi, poiché non esiste una definizione univoca sui numeri che caratterizzano questa «rarità»: una delle questioni principali da dirimere è la definizione di tumore raro ovvero quando è così poco comune da poter essere definito raro;
    la Rete tumori rari è una collaborazione tra centri oncologici italiani per migliorare l'assistenza ai pazienti con tumori rari ed utilizza la soglia di incidenza, ovvero il numero di nuovi casi in un anno, inferiore o uguale a 5 casi su 100.000, ma altre organizzazioni utilizzano soglie diverse e ciò complica il calcolo della diffusione di queste patologie;
    i tumori rari rappresentano oltre il 20 per cento di tutti i tumori diagnosticati ogni anno nell'Unione europea e riguardano nel territorio europeo oltre 4 milioni di persone;
    in Italia, secondo i dati dello studio RITA, dedicato proprio ai tumori rari, ogni anno sono circa 60.000 le nuove diagnosi di tumore raro;
    un tumore che sia raro non significa che sia incurabile o che le possibilità di guarigione siano più limitate rispetto a quelle di un tumore più comune: alcune neoplasie rare hanno infatti percentuali di guarigione o di controllo della malattia superiori a tumori molto più diffusi;
    i tumori rari sono una famiglia di neoplasie molto eterogenee. Ne esistono infatti molte tipologie che possono interessare ogni parte dell'organismo: i ricercatori del progetto Rarecare (Surveillance of rare cancers in Europe), un progetto europeo che si occupa di tumori rari, ne hanno individuate oltre 250;
    tra i tumori rari più noti anche alcune forme di leucemie e linfomi, tumori pediatrici come il retinoblastoma o tumori solidi dell'adulto come il tumore gastrointestinale stromale (GIST) e i tumori neuroendocrini (Pnet);
    non è possibile definire fattori di rischio comuni per tutti i tumori rari perché queste patologie sono molto numerose e molto diverse tra loro, ma anche perché le informazioni e gli studi clinici ed epidemiologici su un tumore raro sono spesso limitati proprio a causa della difficoltà di reperire una quantità sufficiente di dati sui quali basare la diagnosi;
    la diagnosi è un momento fondamentale nel percorso di una persona che si confronta con il tumore: una diagnosi precoce e precisa consente di affrontare la malattia con gli strumenti più adatti a sconfiggerla o a tenerla sotto controllo;
    nel caso dei tumori rari la diagnosi oggi spesso arriva in ritardo, dopo che il paziente si è sottoposto a diverse visite o esami clinici. La ragione principale di questo ritardo è la difficoltà che incontrano i medici a riconoscere una patologia rara, con la quale hanno a che fare raramente nel corso della loro carriera professionale;
    per diagnosticare una malattia rara, sia tumorale sia di altra natura, servono infatti competenze particolari che solo un esperto del settore può garantire e servono inoltre esami specifici per rendere la diagnosi veramente completa e affidabile. Potrebbe quindi essere necessario inviare i campioni prelevati in altri laboratori per effettuare tali esami, allungando ulteriormente il tempo necessario per giungere alla diagnosi finale;
    nel 1997, per esempio, ha preso il via presso l'Istituto nazionale dei tumori di Milano (INT) la Rete tumori rari, un progetto nato con lo scopo di migliorare l'assistenza alle persone affette da un tumore raro, con particolare attenzione a quelli che vengono definiti tumori solidi dell'adulto (non si occupa infatti di tumori del sangue e tumori pediatrici). Si tratta di una collaborazione coordinata dall'Istituto nazionale dei tumori di Milano alla quale hanno aderito circa 200 centri oncologici in tutta Italia;
    dal 2001 esiste una Rete nazionale delle malattie rare, istituita dalla Conferenza Stato-regioni, a cui fa capo anche quella oncologica;
    gli obiettivi della Rete tumori rari sono:
     a) creare una collaborazione permanente tra strutture sanitarie con lo scopo di migliorare la qualità di cura ai pazienti con tumore raro;
     b) che la diagnosi e il trattamento nei centri partecipanti avvengano secondo criteri comuni;
     c) condividere a distanza casi clinici fra i centri partecipanti, in modo da migliorare le capacità di cura dei medici aumentando il numero dei casi che si trovano a fronteggiare;
     d) promuovere un accesso razionale a centri di diagnosi e cura, limitando al minimo indispensabile gli spostamenti dei pazienti;
     e) contribuire alla ricerca clinica sui tumori rari;
     f) contribuire alla diffusione della conoscenza sui tumori rari;
     g) diventare un modello sia dal punto di vista dei metodi utilizzati sia da quello delle tecnologie per ulteriori collaborazioni nell'ambito oncologico;
    i tumori rari in Italia, contrariamente da quanto previsto in Europa, non sono ricompresi nell'elenco delle malattie rare, che ha un proprio registro nazionale presso l'Istituto superiore di sanità istituito con il decreto n. 279 del 2001, e quindi i pazienti non possono beneficiare dei vantaggi, anche se insufficienti, riconosciuti alle persone affette da una patologia rara;
    si riscontrano e vengono denunciate dalle associazioni che si occupano di persone con tumore raro, difficoltà e disparità di accesso ai trattamenti innovativi, a volte uniche terapie efficaci per queste gravi forme di tumore;
    nel 2013 in Italia i pazienti affetti della sola leucemia mieloide cronica erano 7.881, con un'incidenza annuale in aumento stimata del 12 per cento, ovvero pari a 930 nuovi casi di persone con tumore raro;
    è necessario utilizzare e rendere accessibili le migliori terapie disponibili quando il paziente è ancora in fase cronica, per evitare il passaggio alle fasi avanzate della malattia;
    è estremamente importante, in un terreno orfano di terapie diagnostiche e specifiche, un efficace coordinamento dei centri specializzati che operano sul campo, ed appare necessario ottimizzare le risorse e promuovere le eccellenze che non mancano, evitando in tal modo i cosiddetti viaggi della speranza;
    non si può fare una programmazione delle strutture sul territorio in materia oncologica, se non si ha una base di conoscenza reale e attendibile sull'incidenza di queste malattie sul territorio. Senza queste informazioni è elevato il rischio di sovrastimare o sottostimare le strutture operanti nel campo: danneggiando comunque il paziente, in termini economici o di assistenza medica;
    l'obiettivo da perseguire è investire sulle terapie più innovative, sulla diagnostica della cronicità, ma anche sulla prevenzione e sul contrasto alle cattive abitudini che alimentano la diffusione delle patologie neoplastiche;
    il decreto-legge n. 158 del 2012 (cosiddetto decreto Balduzzi), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2012, impone la registrazione dei farmaci orfani entro 100 giorni a partire dall'avvio della procedura nazionale,

impegna il Governo:

   a definire in maniera chiara e condivisa i tumori che devono essere riconosciuti come rari;
   ad individuare i centri di eccellenza per la prevenzione, diagnosi, cura e terapia dei tumori rari, con particolare riferimento alla loro presenza uniforme sul territorio nazionale;
   a prevedere che l'elenco dei tumori rari sia una «lista dinamica» in grado di accogliere e aggiornare l'elenco via via che siano diagnosticate anche le nuove patologie definite come rare ai fini delle opportune tutele per i pazienti di tumori rari;
   a sviluppare la capacità di ricerca in tale ambito, anche destinando ad essa specifiche linee di finanziamento, e prevedendo un'adeguata formazione per chi opera in tali centri, attraverso la partecipazione a progetti di ricerca scientifica a livello nazionale ed europeo, dedicati ai tumori rari sia sotto il profilo diagnostico- assistenziale, che sotto quello della organizzazione dei servizi e dei modelli di presa in carico dei pazienti a livello individuale e familiare;
   a valutare di promuovere la defiscalizzazione delle spese sostenute in Italia per la ricerca clinica e pre-clinica relativa ai «farmaci orfani» e ai tumori rari, con particolare attenzione e che progetti di ricerca in tale ambito siano rivolti anche al territorio delle regioni con disavanzo sanitario e sottoposte a piani di rientro;
   a garantire e favorire l'utilizzo off-label di farmaci per la cura dei tumori rari di cui è accertata l'efficacia, sulla base di evidenze scientifiche, anche al fine del loro inserimento nella lista del decreto-legge n. 536 del 1996, convertito dalla legge n. 648 del 1996, favorendo lo sviluppo da parte dell'Agenzia italiana del farmaco di un'attenzione particolare ai tumori rari così come previsto per le malattie rare;
   a valutare l'opportunità di aggiornare i dati relativi all'incidenza, sopravvivenza e prevalenza di ciascun tumore raro, tenuto conto dei dati relativi ai registri tumori AIRTUM;
   a verificare la possibilità di integrazione e validazione reciproca dei dati della Rete tumori rari (RTR) e dei dati dei registri tumori (AIRTUM);
   a prevedere la diffusione di informazioni sui tumori rari attraverso la collaborazione con le associazioni dei pazienti, coinvolgendo esperti, ricercatori, medici, associazioni di pazienti nel progetto informativo;
   a promuovere e favorire, anche attraverso apposite iniziative normative, l'istituzione di un registro nazionale tumori che comprenda, obbligatoriamente, i dati epidemiologi relativi ai tumori rari in riferimento agli elenchi citati in premessa;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative affinché le attività di raccolta e analisi dei dati raccolti dai distretti e dalle aziende sanitarie locali, relativi a eziologia multifattoriale, eziologia generica o incerta possano essere attività correlate e connesse a quelle relative ai tumori rari;
   a intraprendere ogni iniziativa per il potenziamento della prevenzione primaria, da considerarsi attività di informazione e diffusione rispetto ai fattori di rischio, attraverso il coinvolgimento delle scuole e del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, relativamente alle abitudini e ad un corretto stile di vita associato alla maggiore incidenza di patologie tumorali con particolare riferimento ai tumori rari.
(1-01073)
(Testo modificato nel corso della seduta come risultante dalla votazione per parti separate) «Baroni, Silvia Giordano, Colonnese, Di Vita, Grillo, Lorefice, Mantero, Zolezzi, D'Incà».


   La Camera,
   premesso che:
    i tumori rari sono neoplasie che si sviluppano in un numero ristretto di persone, perciò talvolta vengono impropriamente associati alle malattie rare. Unica differenza con tutti i tumori è la scarsa diffusione, anche se superano il 20 per cento del totale. Nonostante non sia semplice riscontrare una definizione univoca, viene utilizzata la prevalenza, che la Rete tumori rari indica come soglia di incidenza – numero di nuovi casi in un anno – in 6 casi su 100.000 persone. Il numero totale delle persone affette da tumore raro è molto elevato perché sono circa 200 i tumori rari. In Italia, si stimano in circa 60.000 le nuove diagnosi di tumore, ogni anno;
    la rarità incide sulla difficoltà di effettuare la diagnosi perché non sempre si incrocia il medico veramente esperto nella scelta e nella gestione della terapia, atteso che non è facile condurre studi clinici su numeri di pazienti contenuti: ciò impone una particolare attenzione nella programmazione di azioni efficaci per consentire a tutte le persone malate di accedere alle cure appropriate;
    in occasione della conclusione di una indagine conoscitiva condotta nella XII Commissione (Affari sociali) della Camera dei deputati sulle malattie rare, nel luglio scorso, è stato affermato: «per quanto concerne specificatamente la rete dei tumori rari, essa funziona dal 1997 come collaborazione permanente tra centri oncologici distribuiti sul territorio nazionale. Nel 2012 la linea progettuale n. 4 degli obiettivi del Piano sanitario nazionale intendeva istituzionalizzare la Rete come risorsa permanente. Gli obiettivi di Piano del 2013 hanno ribadito il progetto dell'anno precedente, prevedendo un finanziamento globale di euro 55.000.000 per la Rete tumori rari e Rete malattie rare». Dal 2014, nel riparto del fondo sanitario è venuto meno lo stanziamento dedicato e vincolato, con il rischio di indebolire la Rete che faticosamente era stata creata, anche alla luce di quanto prevede il Piano nazionale sulle malattie rare 2013-2016 che, al punto 2.2, afferma: «Al momento i tumori rari sono in gran parte esclusi dall'elenco delle malattie rare, allegato al decreto ministeriale n. 279 del 2001, tuttavia è necessario rivalutare tale situazione anche alla luce dei risultati delle sperimentazioni in corso, al fine di integrare modelli organizzativi e processi assistenziali tra le reti esistenti in analogia a quanto avviene negli altri paesi europei»;
    in verità, l'Italia partecipa a progetti europei significativi, come ricorda – Associazione italiana registri tumori (AIRTUM) – indicando nel progetto RITA (sorveglianza sui tumori rari) una linea di ricerca importante per conoscere l'impatto dei tumori rari in Italia. I registri tumori sono uno strumento importante per conoscere la frequenza e la sopravvivenza della patologia tumorale, tuttavia per i tumori rari la qualità della informazione non è mai stata studiata sistematicamente. Il progetto ha avuto lo scopo di migliorare la raccolta delle informazioni ed è stato integrato con il progetto europeo Rarecare. Il progetto, concluso nel 2010, ha prolungato e approfondito la ricerca con il progetto RITA 2 che consente di affermare che sono circa 200 i tumori rari e superano il 20 per cento dei nuovi casi di tumore maligno in Italia;
    si è inoltre alle porte di un nuovo importante appuntamento europeo: nel 2016 nasceranno le Reti di riferimento europee – European Reference Network (ERN) – che saranno le sedi ove si forniranno input per la formulazione delle linee guida, nonché dei criteri per l'accreditamento per la ricerca, la prevenzione e la cura delle malattie rare;
    è interesse dei pazienti e del nostro Sistema sanitario fare in modo che ci siano centri italiani in grado di ottenere il riconoscimento di idoneità per l'ammissione nelle Reti di riferimento europee. Si potranno così far circolare le informazioni e le competenze evitando le migrazioni ai pazienti;
    le regioni hanno presentato il 20 ottobre 2015, una proposta operativa al Ministero della salute che individua i criteri per selezionare i presidi e le modalità per costituire i Consorzi, quali soggetti giuridici che parteciperanno nelle Reti di riferimento europee: è un impegno che si ritiene strategico per l'intera rete dei servizi impegnati nella oncologia italiana e nelle malattie rare;
    infine occorre ricordare che l'intergruppo parlamentare sulle malattie rare ha recentemente prodotto un documento che sottopone al Ministro della salute alcune linee prioritarie di azione che sono largamente condivise anche dalle società scientifiche e dalle associazioni di volontariato,

impegna il Governo:

   ad assicurare la partecipazione italiana al massimo livello alle Reti di riferimento europee (ERN);
   ad assicurare la revisione dei registri tumori affinché siano evidenziate le informazioni sui tumori rari;
   ad assicurare la continuità alla Rete tumori rari coinvolgendo le associazioni di malati e di volontari che operano nel settore;
   ad inserire negli obiettivi di Piano il finanziamento degli interventi per i tumori rari;
   a dare attuazione alle conclusioni cui è pervenuto il gruppo di lavoro istituito dal Ministero della salute il 14 febbraio 2013 consegnate nel maggio 2015, ed in particolare a potenziare la ricerca e facilitare l'accesso ai farmaci.
(1-01074) «Miotto, Lenzi, Amato, Burtone, Grassi, Casati, Piazzoni, Capone, Paola Boldrini, Bini, D'Incecco, Vico, Carnevali, Antezza».


   La Camera,
   premesso che:
    le patologie cosiddette «rare» rappresentano una vera e propria frontiera di civiltà nell'erogazione di prestazioni di assistenza di qualità perché impegnano il sistema sanitario a garantire un appropriato fiancheggiamento di pazienti spesso «difficili», sia nel primo, corretto inquadramento diagnostico che nel successivo trattamento terapeutico;
    le patologie rare rappresentano anche una sfida di sostenibilità economica per il nostro sistema di welfare in quanto richiedono specificità di approccio, spesso tarata su pochi casi o, addirittura, sul singolo caso;
    l'aggiornamento dell'elenco delle malattie rare è uno degli «step» più attesi ed impegnativi delle azioni di innovazione in programma presso il Ministero della salute;
    le patologie rare rappresentano altresì una sfida per la verifica delle capacità di integrazione dei sistemi sanitari regionali italiani, in quanto spingono verso la strutturazione di sistemi di risposta ramificati e a rete, che abbiano punti di riferimento che vanno ben oltre i tradizionali bacini di utenza regionali;
    le patologie rare rappresentano inoltre una scommessa che può aiutare a disegnare i primi passi di un sistema di welfare sanitario di dimensione europea. Le più recenti direttive dell'Unione europea sulla mobilità sanitaria transfrontaliera e sulla libera circolazione del paziente in ambito europeo accelerano infatti l'esigenza di un nuovo confronto tra le diverse filosofie di risposta sanitaria dei Paesi dell'Unione europea e suggeriscono forme di collaborazione immediata che consentano la concertazione di una risposta sanitaria europea adeguata, per patologie che hanno numeri e frequenze che rendono assai difficile la strutturazione di centri di eccellenza di dimensione nazionale;
    nell'ambito delle patologie rare sono ricompresi anche i «tumori rari», che in Italia sono trattati nell'ambito delle reti oncologiche e sono pertanto esclusi dall'elencazione classica delle «malattie rare»;
    la XII Commissione (Affari sociali) della Camera dei deputati, nei mesi precedenti all'estate 2015, ha svolto un'indagine conoscitiva sulle malattie rare, compendiata da un'ampia fase di audizioni, nel corso della quale sono stati sentiti anche i referenti delle associazioni di riferimento per i tumori rari;
    la stessa XII Commissione (Affari sociali) della Camera dei deputati ha successivamente approvato una risoluzione finalizzata a ottenere il massimo impegno del Governo per il decollo delle attività dei network europei di riferimento per le malattie rare (ERN);
    lo stesso impegno appare necessario per l'attivazione delle reti europee di riferimento per i tumori rari;
    analogamente alle «malattie rare», anche i «tumori rari» sono spesso effettivamente «rari» se conteggiati singolarmente, ma non lo sono affatto nel loro complesso, al punto di rappresentare di fatto circa il 23 per cento delle complessive nuove diagnosi di tumore in Italia, con circa 86.000 nuovi casi l'anno;
    le forme di tumore raro sono oggi oltre 200, compendiate in dodici famiglie: dieci famiglie di tumori solidi dell'adulto a cui si aggiungono la famiglia dei tumori rari pediatrici e quella dei tumori rari ematologici;
    circa 600.000 italiani convivono oggi con un «tumore raro»;
    oggi in Italia, a fronte di tale massiccia presenza di patologie oncologiche «rare», sono purtroppo attive soltanto le due reti di riferimento dell'AIEOP (ematologie e oncologia pediatrica) e del GINEMA (ematologia dell'adulto). È invece ancora atteso il definitivo decollo delle attività della Rete dei tumori rari (RTR) che fin qui si è occupata molto di sarcomi, ma sta progressivamente allargando il suo interesse a tutte le 10 famiglie dei tumori rari solidi dell'adulto, che costituiscono circa il 15 per cento dei nuovi casi di tumore. La Rete dei tumori rari, che pure era stata considerata un obiettivo prioritario dell'intesa Stato - regioni, non ha ancora avuto la definitiva istituzionalizzazione ed opera pertanto in regime non ufficiale, con significativi limiti organizzativi, di risorse e di autorevolezza;
    la nascita e la crescita delle reti, oltre che rappresentare un solido punto di riferimento per le esigenze del paziente, costituisce anche uno stimolo alla relazione e alla ricerca clinica tra «centri di riferimento» che possono mettere in comune esperienze e best practice, collaborando tra loro, scambiandosi know how e conoscenze, correlando le esperienze di ricerca e contribuendo alla formazione delle risorse umane dedicate;
    il ritardo nella strutturazione delle reti e nel loro potenziamento si traduce in una riduzione di qualità della risposta alle esigenze del paziente che, spesso, non trova i punti di riferimento indispensabili per un approccio più sereno alla gestione della propria patologia;
    il ritardo nella strutturazione delle reti si accompagna al deficit nell'individuazione dei centri di riferimento e nella valutazione dell'appropriatezza delle cure erogate dalle singole strutture, con complessiva perdita di qualità della risposta al singolo paziente, che spesso ha difficoltà persino ad individuare la struttura del servizio sanitario nazionale più idonea a fornire risposte diagnostiche e terapeutiche di qualità al proprio problema oncologico;
    tale situazione di ritardo organizzativo è stata più volte segnalata dalle organizzazioni che tutelano l'interesse dei pazienti oncologici al punto che la Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (Favo), il 30 ottobre 2015, ha organizzato un momento di incontro con l'intergruppo parlamentare che segue le malattie rare, finalizzato a sensibilizzare le istituzioni parlamentari alla necessità di accelerare i provvedimenti indispensabili per modificare la capacità di risposta del nostro servizio sanitario nazionale all'emergenti esigenze dei malati affetti da tumore raro;
    in tale circostanza, la stessa Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia ha ancora una volta sottolineato la difficoltà nella reperibilità e nell'utilizzo dei farmaci oncologici ad alto costo (Fac), conseguente al diverso regime autorizzativo reso possibile dalla disomogeneità della normativa in materia di disponibilità dei farmaci nelle differenti regioni italiane;
    in tale occasione, la stessa Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia ha ancora denunciato con forza la necessità di dirimere quanto prima le difficoltà applicative del decreto ministeriale dell'8 maggio 2003, che disciplina l'uso terapeutico dei medicinali sottoposti a sperimentazione clinica, rendendo possibile il cosiddetto «uso compassionevole» dei farmaci spesso indispensabili a dare nuova speranza ai pazienti affetti da tumore raro;
    le difficoltà interpretative delle norme nazionali e le differenze di erogazione di prestazioni e presidi nelle diverse regioni italiane rendono ancora più urgente ed indispensabile la creazione di centri di riferimento per i tumori rari e delle reti di relazioni nazionali ed internazionali, finalizzate alla qualità e omogeneità delle prestazioni erogate, che garantiscano nella sostanza i principi di equità e universalità che stanno alla base della legge n. 833 del 1978, che ha fatto nascere il nostro sistema sanitario nazionale,

impegna il Governo:

   ad inserire le iniziative di tutela dei malati oncologici rari negli obiettivi prioritari dell'attività del Ministero della salute:
    a) stabilendo tempi e metodologia per l'individuazione e l'accreditamento dei centri nazionali di riferimento per i tumori oncologici rari;
    b) potenziando le reti dei tumori rari già esistenti (AIEOP e GIMEMA) e istituzionalizzando e dotando di risorse adeguate la Rete dei tumori rari, già operativa di fatto dal 1997;
    c) potenziando l'infrastrutturazione informatica e l'aggiornamento delle risorse umane che consenta ai centri di riferimento di ottimizzare le proprie capacità di comunicazione attraverso la tecnologia, contribuendo a «spostare le informazioni e le conoscenze» senza «spostare il paziente»;
    d) promuovendo l'integrazione delle Reti dei tumori rari nazionali con analoghe iniziative europee, orientate all'organizzazione di veri e propri network (ERN) in grado di orientare e accompagnare i pazienti verso le eccellenze certificate di livello europeo;
    e) ponendo in carico all'Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) il ruolo di promozione e di coordinamento di tali attività di rete e quello di contatto con le società scientifiche e le associazioni di tutela dei diritti dei pazienti;
    f) attivando rapporti di collaborazione e di confronto con il mondo scientifico e l'industria del farmaco per potenziare la capacità di ricerca sia in ambito epidemiologico, che clinico favorendo tutte le attività di sperimentazione finalizzate al progresso delle conoscenze specifiche e di nuove opportunità terapeutiche, in particolare per le patologie con numeri più bassi, meno attrattive di capitali per la ricerca;
    g) promuovendo, in collaborazione con l'Agenas, con i registri tumori e con le associazioni dei pazienti, le specifiche attività di sanità pubbliche rivolte alla identificazione della migliore organizzazione dei servizi e dei modelli di presa in carico dei pazienti a livello individuale e familiare;
    h) favorendo la crescita qualitativa e l'omogeneizzazione dei trattamenti dei pazienti affetti da tumori rari su tutto il territorio nazionale, anche intervenendo sulle politiche del farmaco oncologico ad alto costo (FAC) per facilitare l'accesso all'innovazione in modo uniforme, in tutte le regioni italiane;
    i) disponendo il puntuale aggiornamento del decreto ministeriale dell'8 luglio 2003, per garantirne l'efficacia e per dirimere ogni dubbio di interpretazione normativa che possa rendere difficoltoso l'accesso dei pazienti alla sperimentazione farmacologica di tipo «compassionevole»;
    l) garantendo la piena collaborazione con le associazioni di tutela dei malati oncologici, finalizzata alla conoscenza e al superamento con adeguati interventi organizzativi, interpretativi e normativi delle difficoltà incontrate dai pazienti affetti da tali gravi patologie.
(1-01075) «Vargiu, Monchiero, Vecchio, Catania, Matarrese, Dambruoso, Capua, Librandi, Galgano, Vezzali, Mazziotti Di Celso, Rabino, D'Agostino, Sottanelli, Oliaro, Pinna».


   La Camera,
   premesso che:
    i tumori rari sono neoplasie che si possono sviluppare in un numero ristretto di persone, con il rischio che talvolta vengano impropriamente associati alle malattie rare. Rispetto agli altri tumori, l'unica differenza delle patologie tumorali rare è la loro scarsa diffusione; non è semplice individuare una definizione univoca, ma generalmente, viene presa a riferimento la soglia incidenza utilizzata dalla Rete dei tumori rari in 6 casi su 100.000 persone;
    i ricercatori del progetto Rarecare (Surveillance of rare cancers in Europe) che è uno dei due progetti coordinati dall'Italia, ne hanno individuati oltre 250. I tumori rari rappresentano, purtroppo, oltre il 20 per cento di tutti i tumori diagnosticati ogni anno nell'Unione Europea (il 23 per cento dei nuovi casi di tumore maligno diagnosticati) e riguardano, in questo territorio, più di 4 milioni di persone. Si tratta di oltre 500 mila nuove diagnosi ogni anno in Europa e almeno 10 mila in Italia (dati Associazione italiana dei registri tumori – AIRTUM);
    fanno parte dei tumori rari tutta la famiglia dei tumori pediatrici, molti della famiglia dei tumori ematologici e alcuni tumori solidi dell'adulto. Il fatto che si parli di un tumore raro non significa che sia incurabile o che le possibilità di guarigione siano più limitate rispetto a quelle di un tumore più comune: alcune neoplasie rare hanno infatti percentuali di guarigione o di controllo della malattia superiori a tumori molto più diffusi;
    sicuramente, la rarità di queste malattie crea una serie di problemi come, per esempio, la difficoltà di effettuare la diagnosi o di incontrare medici veramente esperti nella scelta e nella gestione della terapia e l'incertezza di medici e ricercatori sulle strategie di cura, legata soprattutto alla mancanza di studi clinici su numeri elevati di pazienti;
    la diagnosi è un momento cruciale nel percorso di una persona che si confronta con il cancro: una diagnosi precoce e precisa permette, infatti, in molti casi, di affrontare la malattia con gli strumenti più adatti a sconfiggerla o a tenerla sotto controllo. Nel caso dei tumori rari, però, la diagnosi arriva spesso in ritardo, dopo che il paziente si è sottoposto a diverse visite o esami clinici. La ragione principale di questo ritardo è la difficoltà che incontrano i medici a riconoscere una patologia rara;
    in occasione della conclusione di un'indagine conoscitiva condotta nella XII Commissione (Affari sociali) della Camera dei deputati sulle malattie rare, nel luglio 2015, è stato affermato: «per quanto concerne specificatamente la rete dei tumori rari, essa funziona dal 1997 come collaborazione permanente tra centri oncologici distribuiti sul territorio nazionale. Nel 2012 la linea progettuale n. 4 degli obiettivi del piano sanitario nazionale intendeva istituzionalizzare la Rete come risorsa permanente. Gli obiettivi di piano del 2013 hanno ribadito il progetto dell'anno precedente, prevedendo un finanziamento globale di euro 55.000.000 per la Rete dei tumori rari e Rete delle malattie rare». Dal 2014 nel riparto del fondo sanitario è venuto meno lo stanziamento dedicato e vincolato con il rischio di indebolire la Rete che faticosamente era stata creata, anche alla luce di quanto prevede il piano nazionale sulle malattie rare 2013-2016 che al punto 2.2 afferma: «Al momento i tumori rari sono in gran parte esclusi dall'elenco delle malattie rare, allegato al decreto ministeriale n. 279 del 2001, tuttavia è necessario rivalutare tale situazione anche alla luce dei risultati delle sperimentazioni in corso, al fine di integrare modelli organizzativi e processi assistenziali tra le reti esistenti in analogia a quanto avviene negli altri Paesi europei»;
    la Rete nazionale delle malattie rare, che è stata istituita in Italia nel 2001, prevedeva già da allora il Registro nazionale delle malattie rare (Rnmr) e regolamentava l'esenzione da una serie di costi, per le patologie inserite in una determinata lista, stabilita dal decreto ministeriale n. 279 del 2001. La lista da allora non è stata più aggiornata. Dopo l'istituzione della Rete nazionale hanno fatto seguito due importanti accordi Stato-regioni, dopo i quali si è purtroppo assistito ad un progressivo rallentamento delle iniziative in favore dei malati considerati rari;
    la Rete dei tumori rari è una collaborazione permanente tra centri oncologici su tutto il territorio nazionale, finalizzata al miglioramento dell'assistenza ai pazienti con tumori rari, attraverso la condivisione a distanza di casi clinici, l'assimilazione della diagnosi e del trattamento secondo criteri comuni, il razionale accesso dei pazienti alle risorse di diagnosi e cura. Attualmente, la Rete considera «rare» le neoplasie con incidenza annuale inferiore o uguale a 6/100.000. Questa è peraltro una definizione conservativa, rispetto, in particolare, a quella in uso per le malattie rare in genere (basata sulla prevalenza, intesa come inferiore a 50/100.000). Ciò che è importante, nella sostanza, è che i tumori rari sono molti, e dunque i casi, ancorché pochi per ogni tumore, sono numerosi globalmente;
    il problema dei tumori rari è socialmente rilevante, paradossalmente proprio in termini quantitativi, oltre naturalmente a costituire una priorità per motivi etici. Sotto il profilo etico, infatti, non è giusto che i pazienti con tumore raro abbiano a soffrire discriminazioni dovute alla bassa incidenza della loro malattia, come invece può accadere. I tumori rari, come le malattie rare in genere, comportano difficoltà particolari. Le competenze cliniche sui tumori rari non sono reperibili con facilità dalla persona malata, in quanto i centri che ne dispongono sono pochi e dispersi geograficamente. Inoltre, il trattamento dei tumori rari richiede spesso approcci multidisciplinari, e dunque la dispersione geografica delle competenze risulta ancora più frequente. Di fatto, i tumori rari sottendono un elevato grado di migrazione sanitaria, all'interno e verso l'esterno del Paese;
    in questo senso, i costi sociali dei tumori rari sono impressionanti, se appunto si considera la migrazione sanitaria. La migrazione sanitaria all'interno del Paese, talora verso l'esterno, è notoriamente un problema maggiore dell'ambito oncologico italiano, ma naturalmente essa diventa ancora più importante se si considerano i tumori rari;
    la Rete dei tumori rari è dunque una collaborazione permanente tra strutture sanitarie con lo scopo di migliorare la qualità di cura ai pazienti con «tumore raro»;
    per migliorare la qualità di cura nell'ambito dei tumori rari sono obiettivi primari della Rete:
     a) assimilare la diagnosi e il trattamento nei centri partecipanti secondo criteri comuni (si definisce «logico di rete» il paziente il cui caso viene affrontato nell'ambito della Rete secondo criteri condivisi);
     b) realizzare la condivisione a distanza di casi clinici fra i centri partecipanti (si definisce «virtuale di rete» il paziente il cui caso sia condiviso a distanza nell'ambito della Rete);
     c) promuovere un razionale accesso alle risorse di diagnosi e cura, limitando se e quanto possibile la migrazione del paziente;
     d) contribuire alla ricerca clinica sui tumori rari;
     e) contribuire alla diffusione della conoscenza sui tumori rari;
     f) fungere da modello metodologico e tecnologico per la collaborazione in rete geografica nell'ambito oncologico e delle malattie rare;
    nelle scorse settimane è stata incardinata, presso la XII Commissione (Affari sociali) della Camera dei deputati, una proposta di legge per promuovere l’«Istituzione e la disciplina del Registro nazionale e dei registri regionali dei tumori». In Italia, i registri dei tumori sono nati su base volontaristica per iniziative spontanee di singoli clinici, epidemiologi, patologi o operatori della sanità pubblica che hanno inizialmente portato alla costituzione di nuclei di sorveglianza di dimensioni medio-piccole;
    l'attività dei registri dei tumori ha già dimostrato in maniera diffusa l'utilità di un sistema di sorveglianza delle patologie oncologiche. Infatti, i registri dei tumori raccolgono, valutano, organizzano e archiviano in modo continuativo e sistematico le informazioni più importanti su tutti i casi di tumore e le relative variazioni territoriali e temporali attraverso misure di incidenza, sopravvivenza per i diversi casi e mortalità, fornendo così un indicatore fondamentale della qualità dei servizi diagnostici e terapeutici nei diversi territori. I registri dei tumori sono strumenti fondamentali per l'organizzazione e la valutazione dell'efficacia degli interventi anche di prevenzione in aree o per popolazione ad alto rischio,

impegna il Governo:

   a definire in maniera univoca quali siano i tumori che devono essere riconosciuti come rari, predisponendo conseguentemente, un prospetto aggiornato di tali patologie, nell'ambito dell'elenco delle malattie rare;
   ad individuare i centri di eccellenza per la prevenzione, la diagnosi e la terapia dei tumori rari, con particolare riferimento alla loro presenza capillare sul territorio nazionale;
   a promuovere l'inserimento delle patologie tumorali rare tra le 21 ERN (European Reference Network), che accedono ai fondi comunitari per le malattie rare e che la Commissione europea dovrà costituire nel 2016;
   a dare continuità alla Rete nazionale per la prevenzione, la sorveglianza, la diagnosi, cura e terapia delle malattie rare, inserendo in questo ambito anche i tumori rari, anche dando seguito agli accordi Stato-regioni, dopo i quali si era verificato un rallentamento delle iniziative a favore dei malati di tumore raro.
(1-01076) «Nizzi, Occhiuto».


   La Camera,
   premesso che:
    i tumori rari sono neoplasie che si possono sviluppare in un numero ristretto di persone, con il rischio che talvolta vengano impropriamente associati alle malattie rare. Rispetto agli altri tumori, l'unica differenza delle patologie tumorali rare è la loro scarsa diffusione; non è semplice individuare una definizione univoca, ma generalmente, viene presa a riferimento la soglia incidenza utilizzata dalla Rete dei tumori rari in 6 casi su 100.000 persone;
    i ricercatori del progetto Rarecare (Surveillance of rare cancers in Europe) che è uno dei due progetti coordinati dall'Italia, ne hanno individuati oltre 250. I tumori rari rappresentano, purtroppo, oltre il 20 per cento di tutti i tumori diagnosticati ogni anno nell'Unione Europea (il 23 per cento dei nuovi casi di tumore maligno diagnosticati) e riguardano, in questo territorio, più di 4 milioni di persone. Si tratta di oltre 500 mila nuove diagnosi ogni anno in Europa e almeno 10 mila in Italia (dati Associazione italiana dei registri tumori – AIRTUM);
    fanno parte dei tumori rari tutta la famiglia dei tumori pediatrici, molti della famiglia dei tumori ematologici e alcuni tumori solidi dell'adulto. Il fatto che si parli di un tumore raro non significa che sia incurabile o che le possibilità di guarigione siano più limitate rispetto a quelle di un tumore più comune: alcune neoplasie rare hanno infatti percentuali di guarigione o di controllo della malattia superiori a tumori molto più diffusi;
    sicuramente, la rarità di queste malattie crea una serie di problemi come, per esempio, la difficoltà di effettuare la diagnosi o di incontrare medici veramente esperti nella scelta e nella gestione della terapia e l'incertezza di medici e ricercatori sulle strategie di cura, legata soprattutto alla mancanza di studi clinici su numeri elevati di pazienti;
    la diagnosi è un momento cruciale nel percorso di una persona che si confronta con il cancro: una diagnosi precoce e precisa permette, infatti, in molti casi, di affrontare la malattia con gli strumenti più adatti a sconfiggerla o a tenerla sotto controllo. Nel caso dei tumori rari, però, la diagnosi arriva spesso in ritardo, dopo che il paziente si è sottoposto a diverse visite o esami clinici. La ragione principale di questo ritardo è la difficoltà che incontrano i medici a riconoscere una patologia rara;
    in occasione della conclusione di un'indagine conoscitiva condotta nella XII Commissione (Affari sociali) della Camera dei deputati sulle malattie rare, nel luglio 2015, è stato affermato: «per quanto concerne specificatamente la rete dei tumori rari, essa funziona dal 1997 come collaborazione permanente tra centri oncologici distribuiti sul territorio nazionale. Nel 2012 la linea progettuale n. 4 degli obiettivi del piano sanitario nazionale intendeva istituzionalizzare la Rete come risorsa permanente. Gli obiettivi di piano del 2013 hanno ribadito il progetto dell'anno precedente, prevedendo un finanziamento globale di euro 55.000.000 per la Rete dei tumori rari e Rete delle malattie rare». Dal 2014 nel riparto del fondo sanitario è venuto meno lo stanziamento dedicato e vincolato con il rischio di indebolire la Rete che faticosamente era stata creata, anche alla luce di quanto prevede il piano nazionale sulle malattie rare 2013-2016 che al punto 2.2 afferma: «Al momento i tumori rari sono in gran parte esclusi dall'elenco delle malattie rare, allegato al decreto ministeriale n. 279 del 2001, tuttavia è necessario rivalutare tale situazione anche alla luce dei risultati delle sperimentazioni in corso, al fine di integrare modelli organizzativi e processi assistenziali tra le reti esistenti in analogia a quanto avviene negli altri Paesi europei»;
    la Rete nazionale delle malattie rare, che è stata istituita in Italia nel 2001, prevedeva già da allora il Registro nazionale delle malattie rare (Rnmr) e regolamentava l'esenzione da una serie di costi, per le patologie inserite in una determinata lista, stabilita dal decreto ministeriale n. 279 del 2001. La lista da allora non è stata più aggiornata. Dopo l'istituzione della Rete nazionale hanno fatto seguito due importanti accordi Stato-regioni, dopo i quali si è purtroppo assistito ad un progressivo rallentamento delle iniziative in favore dei malati considerati rari;
    la Rete dei tumori rari è una collaborazione permanente tra centri oncologici su tutto il territorio nazionale, finalizzata al miglioramento dell'assistenza ai pazienti con tumori rari, attraverso la condivisione a distanza di casi clinici, l'assimilazione della diagnosi e del trattamento secondo criteri comuni, il razionale accesso dei pazienti alle risorse di diagnosi e cura. Attualmente, la Rete considera «rare» le neoplasie con incidenza annuale inferiore o uguale a 6/100.000. Questa è peraltro una definizione conservativa, rispetto, in particolare, a quella in uso per le malattie rare in genere (basata sulla prevalenza, intesa come inferiore a 50/100.000). Ciò che è importante, nella sostanza, è che i tumori rari sono molti, e dunque i casi, ancorché pochi per ogni tumore, sono numerosi globalmente;
    il problema dei tumori rari è socialmente rilevante, paradossalmente proprio in termini quantitativi, oltre naturalmente a costituire una priorità per motivi etici. Sotto il profilo etico, infatti, non è giusto che i pazienti con tumore raro abbiano a soffrire discriminazioni dovute alla bassa incidenza della loro malattia, come invece può accadere. I tumori rari, come le malattie rare in genere, comportano difficoltà particolari. Le competenze cliniche sui tumori rari non sono reperibili con facilità dalla persona malata, in quanto i centri che ne dispongono sono pochi e dispersi geograficamente. Inoltre, il trattamento dei tumori rari richiede spesso approcci multidisciplinari, e dunque la dispersione geografica delle competenze risulta ancora più frequente. Di fatto, i tumori rari sottendono un elevato grado di migrazione sanitaria, all'interno e verso l'esterno del Paese;
    in questo senso, i costi sociali dei tumori rari sono impressionanti, se appunto si considera la migrazione sanitaria. La migrazione sanitaria all'interno del Paese, talora verso l'esterno, è notoriamente un problema maggiore dell'ambito oncologico italiano, ma naturalmente essa diventa ancora più importante se si considerano i tumori rari;
    la Rete dei tumori rari è dunque una collaborazione permanente tra strutture sanitarie con lo scopo di migliorare la qualità di cura ai pazienti con «tumore raro»;
    per migliorare la qualità di cura nell'ambito dei tumori rari sono obiettivi primari della Rete:
     a) assimilare la diagnosi e il trattamento nei centri partecipanti secondo criteri comuni (si definisce «logico di rete» il paziente il cui caso viene affrontato nell'ambito della Rete secondo criteri condivisi);
     b) realizzare la condivisione a distanza di casi clinici fra i centri partecipanti (si definisce «virtuale di rete» il paziente il cui caso sia condiviso a distanza nell'ambito della Rete);
     c) promuovere un razionale accesso alle risorse di diagnosi e cura, limitando se e quanto possibile la migrazione del paziente;
     d) contribuire alla ricerca clinica sui tumori rari;
     e) contribuire alla diffusione della conoscenza sui tumori rari;
     f) fungere da modello metodologico e tecnologico per la collaborazione in rete geografica nell'ambito oncologico e delle malattie rare;
    nelle scorse settimane è stata incardinata, presso la XII Commissione (Affari sociali) della Camera dei deputati, una proposta di legge per promuovere l’«Istituzione e la disciplina del Registro nazionale e dei registri regionali dei tumori». In Italia, i registri dei tumori sono nati su base volontaristica per iniziative spontanee di singoli clinici, epidemiologi, patologi o operatori della sanità pubblica che hanno inizialmente portato alla costituzione di nuclei di sorveglianza di dimensioni medio-piccole;
    l'attività dei registri dei tumori ha già dimostrato in maniera diffusa l'utilità di un sistema di sorveglianza delle patologie oncologiche. Infatti, i registri dei tumori raccolgono, valutano, organizzano e archiviano in modo continuativo e sistematico le informazioni più importanti su tutti i casi di tumore e le relative variazioni territoriali e temporali attraverso misure di incidenza, sopravvivenza per i diversi casi e mortalità, fornendo così un indicatore fondamentale della qualità dei servizi diagnostici e terapeutici nei diversi territori. I registri dei tumori sono strumenti fondamentali per l'organizzazione e la valutazione dell'efficacia degli interventi anche di prevenzione in aree o per popolazione ad alto rischio,

impegna il Governo:

   a definire in maniera univoca quali siano i tumori che devono essere riconosciuti come rari, predisponendo conseguentemente, un prospetto aggiornato di tali patologie, nell'ambito dell'elenco delle malattie rare;
   ad individuare i centri di eccellenza per la prevenzione, la diagnosi e la terapia dei tumori rari, con particolare riferimento alla loro presenza capillare sul territorio nazionale;
   a promuovere l'inserimento delle patologie tumorali rare tra le 21 ERN (European Reference Network), che accedono ai fondi comunitari per le malattie rare e che la Commissione europea dovrà costituire nel 2016.
(1-01076) (Testo modificato nel corso della seduta) «Nizzi, Occhiuto».


   La Camera,
   premesso che:
    le malattie rare, secondo una definizione adottata in ambito comunitario, hanno una prevalenza nella popolazione inferiore a 5 casi ogni 10.000 abitanti. Si tratta di patologie eterogenee, che necessitano di essere affrontate globalmente e che richiedono una particolare e specifica tutela, per le difficoltà diagnostiche, la gravità clinica, il decorso cronico, gli esiti invalidanti e l'onerosità del trattamento;
    si tratta di patologie potenzialmente letali o croniche, in gran parte di origine genetica, che comprendono anche rare forme tumorali, malattie autoimmuni, malformazioni congenite o derivate dall'esposizione ambientale durante la gravidanza, patologie di origine infettiva o tossica. Tali malattie, oltre ad essere numerose sono anche molto eterogenee fra di loro, e richiedono un approccio articolato e complesso, basato su interventi specifici e combinati, finalizzati a prevenire un'elevata morbilità e migliorare la qualità di vita delle persone colpite;
    uno dei principali problemi è quello della difficoltà nella diagnosi. Detto ritardo dipende da vari fattori, tra cui la mancanza di conoscenze adeguate da parte dei medici spesso collegata alla estrema rarità della malattia, la presenza di segni clinici individualmente non diagnostici, l'assenza o la limitata disponibilità di test diagnostici, la frammentazione degli interventi, l'inadeguatezza dei sistemi sanitari. Ne consegue che molti malati rari non riescono ad ottenere un inquadramento della loro patologia nel corso di tutta la loro vita, laddove sarebbe invece necessario rendere accessibili le terapie nella fase in cui il paziente è ancora in fase cronica, ed evitare così il passaggio alla fase più avanzata della malattia;
    secondo le stime in Italia ci sarebbero dai 450.000 ai 600.000 malati rari, di cui solo 300.000 nelle forme comprese nell'elenco allegato al decreto ministeriale n. 279 del 2001;
    all'interno dell'elenco delle malattie rare, già previsto dal suddetto decreto ministeriale n. 279 del 2001, sono però esclusi la gran parte dei tumori rari;
    sebbene, il Piano oncologico nazionale 2010-2012 preveda uno specifico paragrafo alle problematiche dei tumori rari, indicando come priorità la loro inclusione nell'elenco delle malattie rare, diversamente dal resto d'Europa, solo alcuni tumori rari possono beneficiare nel nostro Paese delle misure previste per agevolare le condizioni dei pazienti. Solo quei tumori rari attualmente tutelati dal decreto ministeriale n. 279 del 2001, sono esenti dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie;
    come ricorda l'Osservatorio malattie rare, i tumori rari vengono definiti tali in quanto colpiscono un numero molto ristretto di persone. I ricercatori del progetto Rarecare (Surveillance of rare cancers in Europe) ne hanno individuati oltre 250. Nell'ambito dell'Unione europea, i Tumori Rari rappresentano oltre il 20 per cento di tutti i tumori diagnosticati ogni anno e riguardano più di 4 milioni di persone;
    integrato con il suddetto progetto europeo «Surveillance of rare cancers in Europe», al fine di conoscere l'impatto dei tumori rari nella popolazione italiana, si segnala lo studio RITA («Surveillance of rare cancers in Italy»). I registri tumori di popolazione sono un ottimo strumento per conoscere la frequenza e la sopravvivenza della patologia tumorale, tuttavia per i tumori rari la qualità dell'informazione non è mai stata studiata sistematicamente. Scopo del progetto RITA, è di fornire indicatori di frequenza, migliorare la raccolta delle informazioni da parte dei registri tumori, identificare strategie per la divulgazione dei risultati del progetto;
    il progetto RITA si è concluso nel 2010, ma il lavoro sui tumori rari è continuato con il nuovo progetto Rare Cancers in Italy: surveillance and evaluation of the access to diagnosis and treatment (cosiddetto RITA2);
    nel 2014, la lista dei tumori rari è stata rivista, ed ha portato alla definizione di nuovi tumori rari che, in totale, sono ora 194;
    attualmente, la Rete dei tumori rari, una collaborazione permanente tra circa 200 centri oncologici italiani per migliorare l'assistenza e la cura ai pazienti con «tumore raro», utilizza la soglia di incidenza (numero di nuovi casi in un anno) inferiore o uguale a 5 casi su 100 mila;
    la Rete, mai istituzionalizzata, era inserita negli obiettivi di carattere prioritario dalla Conferenza Stato-regioni nei due anni scorsi, ma non più a partire da quest'anno. È quindi urgente che venga attivato un nuovo progetto, che conduca definitivamente la Rete dei tumori rari a costituire una risorsa permanente del Servizio sanitario nazionale. Lo sviluppo di «reti» dedicate che facilitino la condivisione delle esperienze cliniche può garantire che l’expertise richiesto possa raggiungere un elevato numero di pazienti. Anche sotto questo aspetto, le reti sono fondamentali;
    la Rete considera «rare» le neoplasie con incidenza annuale inferiore o uguale a 6/100.000. Il numero dei casi di tumore raro è elevato, e dunque i casi, anche se pochi per ogni tumore, sono complessivamente numerosi. I casi di tumore raro possono giungere a un quinto dei casi totali di neoplasia maligna. Dunque paradossalmente, seppur si parla di tumori rari, il problema di questo tipo di patologie è socialmente rilevante proprio in termini quantitativi;
    al pari delle malattie rare, anche i tumori rari comportano evidenti problematicità: i centri che dispongono di competenze cliniche sono pochi, non facilmente individuabili, e mal distribuiti sul territorio, e questo comporta evidenti difficoltà per i malati; il trattamento dei tumori rari richiede molto spesso degli approcci multidisciplinari e la distribuzione non omogenea sul territorio di questi centri complica ulteriormente la fruibilità da parte del paziente;
    tutto questo comporta inevitabilmente una sorta di migrazione sanitaria, con evidenti costi sociali dei tumori rari, una migrazione sanitaria non solo all'interno del nostro Paese, ma anche verso l'estero;
    nel nostro Paese, i problemi nell'accesso alla diagnosi e alla terapia sono aggravati dalla regionalizzazione del Servizio sanitario nazionale che impone ai pazienti affetti da tumori rari ulteriori disparità di trattamento, soprattutto per quanto riguarda l'accesso alle terapie;
    peraltro, la reale disponibilità delle terapie per i pazienti passa attraverso la negoziazione del prezzo e rimborso a livello di Agenzia italiana del farmaco (Aifa) e successivamente attraverso 21 procedure regionali, dalle quali dipendono i tempi e le modalità secondo cui il farmaco viene inserito nei prontuari terapeutici; ciò comporta che l'accesso al farmaco è ritardato, (da un'indagine di Farmindustria è evidenziato un ritardo medio di 9 mesi, con regioni che registrano ritardi anche di oltre un anno e mezzo), facendo venir meno l'obiettivo principale del regolamento (CE) n. 141/2000, ossia la contemporaneità della disponibilità delle cure e livelli omogenei di tutela della salute per tutti i cittadini europei;
    a causa del costo elevato dei trattamenti, a cui si aggiungono frequenti prestazioni improprie e migrazioni sanitarie obbligate, l'impatto sociale dei tumori rari è elevato. Le prestazioni diagnostiche, chirurgiche e i trattamenti sono garantiti solo in parte dal Sistema sanitario nazionale. Non tutte le terapie mediche per i tumori rari prevedono farmaci prescrivibili e rimborsabili e vi sono disparità a seconda dei servizi sanitari regionali. Inoltre è possibile il rimborso di farmaci che abbiano raggiunto la fase 2 della sperimentazione clinica;
    è quindi indispensabile avviare tutte le azioni conseguenti volte a garantire a tutte le persone affette da queste patologie di poter accedere al meglio alle cure più appropriate;
    si evidenzia peraltro come la diagnosi rappresenti un momento decisivo, e questo vale ancora di più nel caso di una persona affetta da tumore: una diagnosi precoce e precisa permette infatti, in molti casi, di affrontare la malattia con gli strumenti più adatti a sconfiggerla. Nel caso dei tumori rari, però, la diagnosi arriva spesso in ritardo, dopo che il paziente si è sottoposto a diverse visite o esami clinici. E la ragione principale di questo ritardo è la difficoltà che incontrano i medici a riconoscere una patologia rara, con la quale hanno a che fare solo poche volte nel corso della loro carriera professionale,

impegna il Governo:

   ad avviare le opportune iniziative, anche normative, al fine di favorire l'accesso a farmaci «salvavita» nei tumori rari, anche attraverso l'uso off-label di farmaci già oggetto di sperimentazione e già approvati dalle autorità sanitarie, ma registrati e autorizzati solo per alcune indicazioni terapeutiche;
   a favorire, laddove possibile, l'uso cosiddetto «compassionevole» dei farmaci di cui al decreto ministeriale 8 maggio 2003 per consentire al paziente affetto da tumore raro di accedere a farmaci innovativi ancora sottoposti a sperimentazione e privi dell'autorizzazione all'immissione in commercio;
   ad assumere iniziative per rendere immediatamente disponibile sui siti istituzionali delle regioni e del Ministero della salute un elenco ufficiale di centri dedicati al trattamento di queste malattie;
   a garantire il pieno accesso alle terapie, attivandosi per favorire una maggiore disponibilità e distribuzione territoriale delle cure e livelli omogenei di tutela della salute, e ridurre il più possibile il fenomeno delle migrazioni sanitarie, anche attraverso l'implementazione dei centri di eccellenza per la prevenzione, diagnosi e cura dei tumori rari;
   a promuovere la revisione e l'aggiornamento costante dei registri tumori al fine di evidenziare le informazioni sui tumori rari;
   ad individuare gli interventi idonei ad accelerare le procedure di autorizzazione per i nuovi farmaci qualificati come «farmaci orfani»;
   ad assumere iniziative per incentivare e sostenere, anche attraverso la fiscalità di vantaggio e lo stanziamento di adeguate risorse finanziarie, la ricerca scientifica sui farmaci orfani e per lo sviluppo di nuove terapie;
   a prevedere il coinvolgimento nei tavoli decisionali dei rappresentanti delle principali associazioni delle persone affette da tumore raro;
   ad assumere iniziative per implementare i programmi di formazione e aggiornamento per i professionisti sanitari, con particolare riferimento alla diagnosi precoce e appropriata delle malattie rare, con particolare riferimento ai tumori rari.
(1-01079) «Nicchi, Gregori, Scotto».


MOZIONI FRANCO BORDO ED ALTRI N. 1-01068, DORINA BIANCHI E GAROFALO N. 1-01070, DE LORENZIS ED ALTRI N. 1-01071, MAZZIOTTI DI CELSO ED ALTRI N. 1-01072, CRISTIAN IANNUZZI ED ALTRI N. 1-01077, GUIDESI ED ALTRI N. 1-01078 E BIASOTTI ED ALTRI N. 1-01080 CONCERNENTI L'ANNUNCIATO PROCESSO DI PRIVATIZZAZIONE DI FERROVIE DELLO STATO ITALIANE S.P.A.

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. è la più importante società operante nel trasporto ferroviario italiano, con un fatturato di 8,4 miliardi di euro, 70.000 dipendenti e un totale di 16.700 chilometri di rete Ferroviaria;
    Ferrovie dello Stato italiane spa ha chiuso i primi sei mesi del 2015 con un fatturato di oltre 2 punti percentuali rispetto all'anno 2014, anno in cui ha segnato un Ebitda di 2,1 miliardi di euro, per un totale di 4,3 miliardi di euro di investimenti (in crescita fino a 6,5 miliardi di euro nel 2016);
    il Gruppo conta circa 70.000 dipendenti, di cui circa 5.000 in Germania (Netinera). La linea ferroviaria e lunga 16.726 chilometri, di cui circa 1.000 ad alta velocità. Il sistema alta velocità-alta capacità parte da Torino e arriva fino a Salerno (Torino-Milano-Bologna-Roma-Napoli-Salerno). Ulteriori tratti sono tra Milano e Treviglio e tra Padova e Mestre. Attualmente, si sta completando il tratto Milano-Verona-Venezia per disegnare la cosiddetta «T». La frequenza è di 8.000 treni al giorno di cui circa 7.000 regionali e 1.000 tra alta velocità, media e lunga percorrenza e treni merci;
    le Ferrovie dello Stato nacquero nel 1905 dopo la statalizzazione di numerose ferrovie italiane. Già dal 1945 azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato, sotto il controllo del Ministero dei trasporti, nel 1986 si trasforma in ente pubblico economico. Nel 1992 l'ente fu trasformato in società per azioni con partecipazione statale totale attraverso il Ministero dell'economia e delle finanze. Nel 1999 ha inizio la divisionalizzazione della società con la nascita di Trenitalia nel 2000 e di Rfi nel 2001. Il 24 maggio del 2011 le Ferrovie dello Stato divengono Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a., in breve FS Italiane;
    Trenitalia è l'impresa di trasporto passeggeri e merci mentre Rete Ferroviaria Italiana (Rfi) è la società che si occupa della gestione dell'infrastruttura: entrambe sono partecipate al 100 per cento di Ferrovie dello Stato italiane;
    secondo i dati Mediobanca del 2015 il Gruppo Ferrovie dello Stato italiane è la seconda azienda italiana per investimenti, quinta per dipendenti, decima per redditività e tredicesima per fatturato. Infine, Ferrovie dello Stato italiane quest'anno ha conquistato il primo posto nella classifica delle aziende dove i giovani neolaureati desiderano lavorare ed è risultata prima nel ranking «Best Employer of Choice 2015»;
    nel Documento di economia e finanza (DEF) 2014, approvato in via definitiva dalle Camere il 17 aprile 2014, il Governo aveva già manifestato l'intenzione di attuare un piano di privatizzazioni mediante la dismissione di partecipazioni in società controllate anche indirettamente dallo Stato e l'attivazione di strumenti per consentire le dismissioni anche da parte degli enti territoriali; come riportato nel programma nazionale di riforma contenuto nello stesso documento, le società coinvolte nell'operazione includono società a partecipazione diretta quali ENI, STMicroelectronics, ENAV, nonché società in cui lo Stato detiene partecipazioni indirettamente tramite Cassa depositi e prestiti, quali SACE, FINCANTIERI, CDP Reti, TAG (Trans Austria Gastleitung Gmbh) e, tramite Ferrovie dello Stato, in Grandi Stazioni – Cento Stazioni;
    il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Graziano Delrio, ha annunciato recentissimamente che sarà avviata la procedura di privatizzazione di Ferrovie dello Stato, specificando che, comunque, non potrà andare oltre il 40 per cento. In particolare, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Delrio ha dichiarato che si tratta di un percorso che tiene presenti alcune questioni per cui l'infrastruttura ferroviaria dovrà rimanere pubblica e dovrà essere garantito l'accesso a tutti in maniera uguale. Il 40 per cento potenzialmente alienabile andrà a un azionariato diffuso e investitori istituzionali;
    considerato che le privatizzazioni in Italia sono state sempre caratterizzate da un percorso particolarmente complesso, pieno di fallimenti e di incognite in cui spesso si sono intrecciate operazioni finanziarie poco trasparenti, per cui lo Stato quasi mai ne ha tratto vantaggio né dal punto di vista economico, né tanto meno sotto il profilo della competitività;
    con riferimento alla privatizzazione di Ferrovie dello Stato italiane, si è sempre parlato in questi mesi della possibile attuazione di due strategie. La prima, battezzata del «carciofo da sfogliare», è caratterizzata da una vendita di pezzi del Gruppo ferrovie dello Stato italiane, in prospettiva lasciando in mano pubblica solo la rete ferroviaria – d'importanza strategica per il Paese e bisognosa di forti investimenti – per collocare subito sul mercato alta velocità e trasporto merci, servizi già redditizi o potenzialmente tali. La seconda consiste nella la vendita secca di una quota di minoranza della holding che controlla il Gruppo, riportando direttamente allo Stato la rete ferroviaria o comunque regolandone la gestione da parte di Rete ferroviaria italiana in modo da garantire l'accesso paritario agli operatori;
    sotto tale profilo si evidenzia che qualunque strategia avesse voluto intraprendere il Governo, il Parlamento, innanzitutto, avrebbe dovuto esercitare una, funzione di controllo e indirizzo politico importante al riguardo in quanto Ferrovie dello Stato italiane non è solo società controllata dallo Stato, ma una grande impresa partecipata pubblica la cui privatizzazione potrebbe determinare l'indebolimento di rilevanti potenzialità industriali nazionali in termini di riconversione ecologica, civile e tecnologica del sistema economico italiano, senza peraltro un sostanziale effetto di diminuzione del debito pubblico, ma con una riduzione delle entrate fornite al bilancio dello Stato dai dividendi della stessa società;
    qualsiasi disegno di privatizzazione che coinvolga il gruppo ferrovie dello Stato italiane appare infatti delicato e destinato a suscitare preoccupazioni, oltre che interessi, anche e soprattutto per il valore patrimoniale dei ricchi asset di cui dispone che per la redditività economica della gestione industriale. Si tratta, infatti, di una società dal voluminoso valore patrimoniale che viene da una storia ultra secolare e resta fondamentale per la mobilità integrata del sistema Paese;
    le ferrovie rappresentano un bene strategico per il Paese ed una risorsa per tutti gli italiani, ma l'attuale Governo, nel farsi promotore e forte sostenitore della privatizzazione delle Ferrovie dello Stato italiane, sembra dimenticare i temi ancora caldi da sciogliere a partire dal rapporto con Rete ferroviaria italiana (la controllata che gestisce la rete) e Trenitalia con i vari contratti (dalla lunga percorrenza sino a tutta la partita del trasporto locale). Soprattutto, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, il timore è che il Gruppo Ferrovie dello Stato verrebbe, in sostanza, svuotata di valore e di contenuti e il tutto per raccogliere pochi miliardi di euro (tra i 5 e i 10 miliardi a quanto risulta) che non sono assolutamente nulla rispetto ai 2000 miliardi di debito pubblico accumulati dal nostro Paese;
    in buona sostanza, appare inspiegabile il motivo per cui si intenda in controtendenza a quanto accade in altri Paesi europei come la Francia e la Germania, privatizzare una società solida e in crescita come Ferrovie dello Stato, capace di operare sul mercato italiano e di aprirsi ad una competitività nel trasporto ferroviario e alla logistica anche a livello continentale per garantirsi nell'immediato quella che sembrerebbe una modesta entrata economica, mettendo a repentaglio profitti, livelli occupazionali e qualità professionali;
    l'imminente alienazione di quote di Ferrovie dello Stato italiane non sembra, infatti, considerare i rischi derivanti da una affrettata privatizzazione soprattutto sotto il profilo della salvaguardia del mantenimento dei diritti e delle tutele per le lavoratrici ed i lavoratori operanti nel comparto ferroviario che rappresenta il prerequisito per la sicurezza e il buon funzionamento del sistema ferroviario e per servizi di alta qualità nei confronti delle persone. Senza contare che, con l'estensione della concorrenza nel trasporto ferroviario di passeggeri nazionale, il processo di privatizzazione e la possibile pressione finalizzata al taglio dei costi, l'attuale situazione di crisi economica in cui versa il Paese potrebbe ulteriormente aggravarsi con inevitabili conseguenze sul piano della riduzione del numero dei dipendenti, il maggior ricorso all’outsourcing e al subappalto dei servizi, l'aumento dei contratti atipici, l'incremento dell'utilizzo dei lavoratori in somministrazione, l'intensificazione dei carichi e della pressione sul lavoro, l'aumento degli orari di lavoro flessibili, del frazionamento dei turni di lavoro e del ricorso al lavoro straordinario;
    le recenti affermazioni del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Delrio, infine, appaiono ai firmatari del presente atto d'indirizzo non tenere minimamente conto dei rischi da un'ulteriore e affrettata liberalizzazione e frammentazione del servizio ferroviario italiano, soprattutto rispetto alla necessità di garantire ai milioni di utenti attraverso prezzi sostenibili e la certezza di non vedersi tagliare o ridurre ulteriormente le corse su linee che potrebbero venire considerate non redditizie, ma fondamentali per garantire un trasporto pubblico che, come tale, deve garantire i collegamenti con tutte le aree del Paese, includendo anche le cosiddette zone periferiche,

impegna il Governo:

   ad astenersi nell'immediato dal procedere alla messa sul mercato di quote pubbliche afferenti al gruppo Ferrovie dello Stato italiane S.p.a., quantomeno fino a quando il Governo non avrà illustrato alle Camere in modo puntuale tutti gli aspetti e i risvolti economici, industriali, occupazionali e sociali conseguenti all'annunciato piano di privatizzazione del gruppo;
   a presentare al Parlamento, prima di procedere a qualsiasi iniziativa di alienazione di quote di società direttamente o indirettamente di proprietà dello Stato, una relazione contenente i dati finanziari e industriali degli effetti della alienazione sul bilancio dello Stato e i minori dividendi versati al bilancio dello Stato in conseguenza dell'alienazione.
(1-01068) «Franco Bordo, Scotto, Fassina, Airaudo, Fava, Placido, Gregori, Ricciatti, D'Attorre, Ferrara, Marcon, Carlo Galli, Duranti, Piras, Folino, Fratoianni, Melilla, Quaranta, Zaccagnini, Costantino, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Sannicandro, Zaratti».


   La Camera,
   premesso che:
    Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a. è la più importante società operante nel trasporto ferroviario italiano, con un fatturato di 8,4 miliardi di euro, 70 mila dipendenti che gestiscono 8 mila treni al giorno, 600 milioni di passeggeri e 50 milioni di tonnellate-merci all'anno ed un totale di 16.700 chilometri di rete ferroviaria;
    Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a. ha chiuso i primi sei mesi del 2015 con un fatturato in crescita di oltre 2 punti percentuali rispetto all'anno 2014. Grande rilievo ha assunto il nuovo sistema «alta velocità», di alto valore strategico, che ha costituito una vera rivoluzione nelle abitudini di vita e di lavoro degli italiani accorciando le distanze e dando un forte impulso alla crescita ed allo sviluppo del Paese. Negli ultimi anni, tra l'altro, Ferrovie dello Stato Italiane spa ha esteso la sua presenza, con acquisizioni e partnership ad altri grandi mercati come Germania, Francia, Olanda e Nord-Est Europa;
    il processo di liberalizzazione del trasporto ferroviario ha comportato una complessa ridefinizione giuridica ed organizzativa dell'assetto dell'azienda autonoma delle ferrovie dello Stato, resasi necessaria anche a seguito della crisi maturata nel corso degli anni ’60 e ’70 dovuta principalmente alla inefficienza organizzativa e produttiva dell'azienda. L'azienda è stata trasformata con legge n. 210 del 1985 in Ente Ferrovie dello Stato ed ha successivamente acquisito l'identità di ente pubblico economico. Successivamente, alla luce dell'evoluzione della disciplina comunitaria, è stata trasformata con delibera Cipe, in società per azioni «Ferrovie dello Stato - Società di trasporti e servizi per azioni» cui sono state demandate le funzioni relative ai servizi di trasporto ferroviario sulla rete nazionale; al Ministro dell'economia e delle finanze è stata attribuita la titolarità delle azioni; al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è stata assegnata la competenza a definire le modalità ed i contenuti delle concessioni intestate alla società;
    per quanto riguarda l'assetto societario, con il contratto di programma 1994-2000 e con le direttive del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 gennaio 1997 e del 18 marzo 1999 si è scelto di procedere alla separazione delle attività di gestione dell'infrastruttura da quelle di gestione dei servizi di trasporto. Il processo di separazione societaria è stato completato dopo la realizzazione del processo di «divisionalizzazione» con la costituzione, il 1o giugno 2000, di una società che svolge l'attività di trasporto (Trenitalia S.p.a.) cui ha fatto seguito il 1o luglio 2001, la costituzione di un'ulteriore società per la gestione dell'infrastruttura (RFI-Rete ferroviaria italiana S.p.a.) entrambe interamente possedute da Ferrovie dello Stato S.p.a.;
    lo schema organizzativo delle Ferrovie dello Stato è quindi quello di una holding, FSI S.p.a., cui fanno capo sia la società di gestione delle infrastrutture, RFI S.p.A., che l'impresa di trasporto, Trenitalia S.p.a., la cui separazione legale, amministrativa, contabile e gestionale è garantita e vigilata dallo Stato;
    alla società Ferrovie dello Stato italiane S.p.a., (in base alla concessione di cui al decreto ministeriale 26 novembre 1993, n. 225) era stato attribuito l'esercizio del servizio ferroviario di trasporto pubblico per la durata di settanta anni. Successivamente il decreto ministeriale 31 ottobre 2002, n. 138 ha abrogato il precedente decreto, attribuendo la concessione a RFI ai soli fini della gestione dell'infrastruttura ferroviaria nazionale, per un periodo di sessanta anni;
    gli strumenti che regolano i rapporti tra Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. e lo Stato sono:
     a) il contratto di programma ed il contratto di servizio con il gestore dell'infrastruttura che individuano, da un lato gli investimenti necessari allo sviluppo e al mantenimento in efficienza dell'infrastruttura ferroviaria e gli oneri di gestione della medesima posti a carico dello Stato, dall'altro, la manutenzione ordinaria della rete ferroviaria;
     b) il contratto di servizio con l'impresa di trasporto, che individua gli obblighi di servizio pubblico posti a carico di quest'ultima con riferimento al servizio universale;
    Ferrovie dello Stato italiane ha svolto negli ultimi anni un grande lavoro di razionalizzazione e di risanamento. Ha portato avanti un piano di ristrutturazione, ma anche operazioni di investimento e di sviluppo. La dirigenza di Ferrovie dello Stato italiane ha inoltre operato per rendere più efficiente e più produttiva l'azienda con risultati positivi. Oggi, infatti, il gruppo rappresenta una realtà di sicuro affidamento;
    il Consiglio dei ministri ha approvato in via preliminare, un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, predisposto dal Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, relativo alla cessione di non oltre il 40 per cento di quote della società Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A. ai sensi della normativa sulle privatizzazioni;
    con tale schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri viene regolamentata l'alienazione di una quota della partecipazione nella società non superiore al 40 per cento disponendo che tale cessione potrà essere effettuata anche in più fasi. Il 40 per cento alienabile andrà ad un azionariato diffuso ed a investitori istituzionali;
    lo schema di decreto, inoltre, prevede che al fine di favorire la partecipazione all'offerta, possono essere previste per i dipendenti del gruppo ferroviario forme di incentivazione;
    il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha chiarito che questa operazione dovrà tenere presenti alcune questioni fondamentali: la proprietà dell'infrastruttura ferroviaria, che dovrà rimanere pubblica, la garanzia di accesso a tutti in maniera uguale, l'indipendenza completa del gestore della rete, la garanzia degli obblighi del servizio pubblico e la piena maggioranza dell'azionariato dello Stato,

impegna il Governo:

   a proseguire la procedura di privatizzazione già avviata, garantendo che la proprietà della rete resti pubblica e, al contempo, assicurando gli obblighi del servizio pubblico e la maggioranza piena dell'azionariato dello Stato;
   ad informare compiutamente il Parlamento sui dati finanziari ed industriali degli effetti della privatizzazione.
(1-01070) «Dorina Bianchi, Garofalo».


   La Camera,
   premesso che:
    Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. rappresenta una delle più grandi realtà industriali del Paese con un personale di circa settantamila persone chiamate a gestire oltre 8 mila treni al giorno, 600 milioni di passeggeri e 50 milioni di tonnellate-merci all'anno su un network di oltre 16.700 chilometri;
    nel primo semestre 2015 il risultato netto di periodo conseguito dal gruppo Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. si è attestato a 292 milioni di euro, segnando un incremento rispetto al medesimo periodo dell'esercizio precedente del 2,5 per cento, pari a 7 milioni di euro;
    i ricavi da mercato inerenti ai prodotti del traffico viaggiatori sono aumentati, sempre nel primo semestre 2015, di 74 milioni di euro rispetto al primo semestre 2014. Particolarmente produttivo è stato il settore della media e lunga percorrenza che ha chiuso il periodo con un incremento netto totale di 20 milioni di euro;
    a differenza dei ricavi da contratto di servizio che hanno chiuso il periodo con una flessione di 9 milioni di euro, a determinare il raggiungimento del risultato positivo di cui sopra hanno contribuito anche i ricavi da servizi di infrastruttura che hanno registrato una variazione positiva pari a 6 milioni di euro rispetto allo stesso periodo del 2014, grazie soprattutto all'aumento dei ricavi da vendita trazione elettrica;
    il 23 novembre 2015 il Consiglio dei Ministri ha avviato il processo di privatizzazione e di definizione delle modalità di parziale vendita della partecipazione detenuta dal Ministero dell'economia e delle finanze nel capitale di Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a., approvando, in esame preliminare, un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri predisposto dal Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, relativo alla cessione di non oltre il 40 per cento di quote di Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a. ai sensi della normativa sulle privatizzazioni (legge n. 474 del 1994 e legge n. 481 del 1995);
    suddetta operazione, sebbene non confermata nella nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza recentemente sottoposta alla Camera dei deputati, era già stata annunciata dal Governo e rientra nel non condivisibile piano di privatizzazioni attuato dall'Esecutivo che ha ultimamente portato in Borsa Poste Italiane e previsto la quotazione di Enav;
    nel Documento di economia e finanza 2015, tra le indicazioni contenute nella tabella relativa al cronoprogramma per le riforme, veniva infatti indicato in fase di avanzamento il processo di cessione di partecipazioni statali, che interessa Poste Italiane, Enav e STMicroelectronics Holding e Ferrovie dello Stato italiane, con riferimento alle società partecipate Grandi Stazioni e Cento Stazioni senza entrare ulteriormente nel merito di suddette procedure;
    coerentemente con quanto indicato nel Documento di economia e finanza, l'operazione di privatizzazione prevede innanzitutto la scissione, deliberata gli scorsi mesi dal consiglio di amministrazione, non proporzionale di Grandi Stazioni in tre aziende: GS Rail, GS Immobiliare e GS Retail, che costituisce la parte commerciale del gruppo. Per quest'ultima si è da ultimo dato il via alla prevista vendita del network di gallerie commerciali, con le relative concessioni, nei 14 scali chiave nazionali, passando così dal controllo pubblico a quello privato, con la pubblicazione di un bando internazionale per la vendita del 100 per cento di GS Retail, valutata in circa un miliardo, inclusi 150 milioni di euro di debito, per un incasso per le Ferrovie di almeno mezzo miliardo. La società è considerata un asset unico secondo l'opinione di investitori che mirano alla creazione di valore, in base al piano al 2020 disegnato dall'amministratore delegato di Gs Retail, puntando a raddoppiare la superficie a reddito con un investimento di 160 milioni di cui 100 a carico degli acquirenti, oltre gli investimenti in opere esterne per i quali sono stati allocati 330 milioni dal Cipe. È previsto tempo fino al 14 dicembre 2015 per le manifestazioni di interesse a Gs Retail e all’advisor Rothschild, scadenzando una prima selezione entro Natale, anche sulla base di un patrimonio netto di 400 milioni di euro e 500 milioni di euro di ricavi e prevedendo da gennaio 2015 la preparazione di offerte non vincolanti dei candidati, cui seguiranno quelle impegnative, per procedere alla vendita totale entro aprile 2015;
    in generale, tale percorso di privatizzazione è già stato dunque oggetto di critiche da parte del Gruppo Parlamentare Movimento 5 Stelle che aveva fatto notare come non fossero chiare le procedure che avrebbero dovuto guidare queste delicate operazioni di alienazione né, tantomeno, i reali benefici in termini economici potenzialmente derivanti;
    relativamente all'operazione di privatizzazione del gruppo Ferrovie dello Stato era stata inoltre evidenziata l'antitetica posizione, tutt'oggi irrisolta, dell'amministratore delegato uscente di Ferrovie dello Stato, Michele Elia, favorevole alla cessione di una quota della holding Ferrovie dello Stato italiane S.p.a., rispetto a quella dell'uscente presidente, Marcello Messori, incline a lasciare la rete ferroviaria in mano pubblica, privatizzando solo alcune attività giudicate contendibili quali il trasporto merci e l'alta velocità;
    lo stesso Messori, in una recente intervista, avrebbe affermato che privatizzare le ferrovie così come sono «rischia di tradursi in una svendita del gruppo Fs (3,5/4 miliardi per il 40 per cento delle quote proprietarie) (...) che porterebbe a incassi pubblici pari alla metà o a un terzo di quelli promessi dalla privatizzazione a stadi»;
    la scissione di cui sopra ha portato in data 26 novembre 2015 alle dimissioni di tutto il consiglio di amministrazione di Ferrovie dello Stato Spa compresi, dunque, sia il presidente del gruppo che l'amministratore delegato, aumentando, di fatto, il clima di incertezza che sta caratterizzando la procedura di privatizzazione di cui in parola e lasciando il gruppo temporaneamente privo di una guida;
    secondo indiscrezioni di stampa, il Presidente del Consiglio dei ministri avrebbe vissuto questo dissidio interno al consiglio di amministrazione con grande distacco e senza la reale intenzione di trovare un accordo e mediare tra le diverse istanze, concentrandosi esclusivamente sulla ricerca del successore da designare piuttosto che cercando di programmare le fasi di privatizzazione avvalendosi di esperti e udendo le istanze delle parti;
    ricerca, quest'ultima, che risulta essere stata piuttosto facile vista non solo la fulminea nomina del dottor Mazzoncini all'indomani delle dimissioni del consiglio di amministrazione, ma soprattutto considerato il fatto che indiscrezioni di stampa, già da qualche mese, designavano quest'ultimo come prossimo successore del dottor Elia, anche alla luce della lunga conoscenza tra il dottor Mazzoncini e il Presidente del Consiglio dei ministri;
    Renato Mazzoncini era, infatti, prima della nomina appena avvenuta, amministratore delegato della controllata di Fs Busitalia e nel 2012, in tale veste, favorì l'accordo con l'allora sindaco di Firenze, Matteo Renzi, per la privatizzazione dell'Ataf, azienda tranviaria fiorentina;
    suddetta procedura di privatizzazione è stata definita dalla stampa «un capolavoro lessicale ben presto entrato nella mitologia renziana», visto che sarebbe stata realizzata vendendo ad una società statale, anche grazie alla «consulenza legale fornita dall'allora avvocato Maria Elena Boschi», oggi Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento;
    la privatizzazione di Ferrovie dello Stato rischia dunque di ricalcare, a livello nazionale, lo schema, fallimentare e poco risolutivo per le casse pubbliche, adottato per la società Ataf, con il ripresentarsi dei medesimi soggetti coinvolti all'epoca nel capoluogo toscano;
    sempre relativamente al dottor Mazzoncini, si segnala, inoltre, come lo stesso sarebbe stato, secondo indiscrezioni di stampa, già proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri, per la successione di Moretti subito dopo il passaggio di quest'ultimo al vertice di Finmeccanica. Operazione allora non riuscita visto l’endorsement dell'amministratore uscente nei confronti di Elia;
    l'incertezza che caratterizza questo percorso di alienazione che, proprio in quanto tale, andrebbe invece eventualmente intrapreso solo al termine di lunghe, trasparenti e oggettive valutazioni formulate da tecnici contabili in sinergia con tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento, e non solo in seno all'Esecutivo, come di fatto sta avvenendo, è rinvenibile ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, non esclusivamente nel dissidio interno tra Messori ed Elia, ma anche tra quest'ultimo e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;
    in occasione del meeting di Comunione e Liberazione, svoltosi il 24 agosto 2015 a Rimini, il dimissionario amministratore delegato e l'attuale Ministro delle infrastrutture e dei trasporti avrebbero infatti assunto posizioni diverse confermando il primo la volontà di mantenere uniti la rete (Rfi) e i servizi di trasporto (Trenitalia), collocando in blocco in Borsa il 40 per cento delle azioni di Ferrovie dello Stato e, il secondo, invece, prospettando la possibilità di mantenere la rete ferroviaria patrimonio pubblico scorporandola da Trenitalia;
    poiché risulta essere totalmente assente, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, una politica seria di lungo periodo mirante all'abbattimento del debito pubblico, tali interventi di cosiddetta privatizzazione rischiano di non essere risolutivi ed essere, piuttosto, controproducenti, raggiungendo risultati effimeri e assolutamente limitati temporalmente,

impegna il Governo:

   a sospendere l'attuale procedura di privatizzazione in corso e a garantire la proprietà pubblica degli asset strategici;
   alla luce delle dimissioni rassegnate da tutti i componenti del consiglio di amministrazione di Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. e della recente nomina del nuovo amministratore delegato, ad assumere iniziative per rivedere, al più presto, le procedure di nomina degli organi sociali delle società direttamente o indirettamente partecipate dallo Stato al fine di garantire il conferimento di sopradetti incarichi a persone che abbiano una comprovata esperienza nel settore, escludendo l'appartenenza politica dai criteri di nomina;
   ad elaborare una nuova, più seria e più lungimirante politica di abbattimento del debito pubblico che non preveda l'alienazione del patrimonio pubblico, che secondo i firmatari del presente atto risulta invece essere dannosa e controproducente, dando luogo a degli effimeri e temporanei risultati di cassa, persino dannosi nel lungo periodo.
(1-01071) «De Lorenzis, Liuzzi, Spessotto, Dell'Orco, Nicola Bianchi, Carinelli, Paolo Nicolò Romano, Cozzolino».


   La Camera,
   premesso che:
    lunedì 23 novembre 2015 il Consiglio dei Ministri ha approvato, in esame preliminare, un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, predisposto dal Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, che prevede la cessione di non oltre il 40 per cento di quote della società Ferrovie dello Stato italiane S.p.a.;
    Ferrovie dello Stato rappresenta una delle più grandi realtà industriali del nostro Paese, con 2.300 stazioni viaggiatori, circa 70 mila dipendenti, oltre 8 mila treni al giorno, 600 milioni di passeggeri e 50 milioni di tonnellate-merci all'anno su un network di quasi 17000 chilometri, di cui 1.000 dedicati all'Alta velocità, oltre 11.900 elettrificati oltre 7.400 a doppio binario;
    Ferrovie dello Stato fa capo direttamente a 11 società operative, 8 delle quali partecipate al 100 per cento;
    la privatizzazione parziale di Ferrovie dello Stato, prevista nel corso del 2016, compatibilmente con le condizioni del mercato, è un passaggio fondamentale del piano di arretramento della presenza pubblica nell'economia, un piano che nel mese scorso ha portato alla quotazione in Borsa di Poste Italiane e che nella prima metà del 2016 interesserà anche Enav;
    la bozza di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri prevede che la privatizzazione, effettuabile in più fasi, si concretizzi attraverso un'offerta pubblica di vendita rivolta al pubblico dei risparmiatori in Italia, inclusi i dipendenti del gruppo Ferrovie dello Stato, a investitori istituzionali italiani e internazionali e quotazione sul mercato azionario;
    i termini di dettaglio dell'operazione, che secondo stime di alcune testate economiche potrà far entrare nelle casse dello Stato da 3 a 14 miliardi di euro a seconda del grado e dell'intensità della privatizzazione, sono ancora in corso di definizione;
    l'8 ottobre 2015 il Consiglio dei Ministri dei trasporti dell'Unione europea ha dato il via libera al pilastro politico del quarto pacchetto ferroviario che prevede un accesso non discriminatorio delle società ferroviarie dell'Unione europea alla rete in tutti i Paesi dell'Unione europea ai fini della prestazione di servizi di trasporto nazionale di passeggeri. L'accordo istituisce inoltre salvaguardie per evitare conflitti di interesse e aumentare la trasparenza dei flussi finanziari tra i gestori dell'infrastruttura e gli operatori del trasporto ferroviario;
    la rete infrastrutturale ferroviaria, sia convenzionale sia alta velocità, è un monopolio naturale. La sua gestione porta con sé un rilevante patrimonio di informazioni di rilevante interesse pubblico e privato, anche in un'ottica di ottimizzazione e razionalizzazione del trasporto;
    in presenza di un monopolio naturale, stante l'impossibilità di sviluppare un mercato concorrenziale, risulta opportuno che, soprattutto nella fase di avvio di un mercato concorrenziale, la gestione dell'infrastruttura resti in mano pubblica, per prevenire situazioni di monopolio e conflitto di interessi nell'accesso all'infrastruttura stessa;
    la privatizzazione del gruppo Ferrovie dello Stato, senza preventiva separazione della rete, darebbe vita a un monolitico blocco pubblico-privato, tale da ostacolare la concorrenza e impedire una reale parità di accesso ai servizi di tutti gli operatori del mercato;
    al fine di creare le condizioni necessarie per un miglioramento della qualità dei servizi e per la creazione di un vero mercato concorrenziale, è opportuno separare la rete, e la sua gestione, mantenendole sotto il controllo di un soggetto di natura pubblica, e privatizzare invece la parte del gruppo Ferrovie che fornisce servizi di trasporto;
    in un tale schema di privatizzazione, sarà possibile valutare anche l'integrale privatizzazione delle società di servizi, anziché del solo 40 per cento, con conseguente aumento dei proventi per lo Stato e completa apertura del mercato;
    nell'ambito di tale impostazione dovrà essere considerata prioritaria la privatizzazione dei servizi di trasporto ferroviario di merci, al fine di assicurare la piena apertura e concorrenzialità di tale mercato,

impegna il Governo:

   a procedere al piano di privatizzazione di Ferrovie dello Stato italiane S.p.a., con modalità idonee ad assicurare un reale sviluppo della concorrenza nel settore e lo sviluppo e l'ammodernamento dell'infrastruttura, anche sulle tratte secondarie;
   a valutare forme di privatizzazione del gruppo Ferrovie dello Stato tali da mantenere la gestione della rete infrastrutturale sotto un pieno, terzo e imparziale controllo pubblico;
   ad elaborare uno schema di privatizzazione che, anziché coinvolgere l'intero gruppo, preveda la separazione delle infrastrutture e della loro gestione, e l'ingresso dei privati nelle sole società del gruppo che erogano servizi di trasporto, partendo, prioritariamente, dalla privatizzazione dei servizi di cargo ferroviario;
   a valutare, in tale contesto, anche la privatizzazione di una quota azionaria superiore al 40 per cento.
(1-01072) «Mazziotti Di Celso, Monchiero, Catalano, Quintarelli, Matarrese».


   La Camera,
   premesso che:
    lunedì 23 novembre 2015 il Consiglio dei Ministri ha approvato, in esame preliminare, un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, predisposto dal Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, che prevede la cessione di non oltre il 40 per cento di quote della società Ferrovie dello Stato italiane S.p.a.;
    Ferrovie dello Stato rappresenta una delle più grandi realtà industriali del nostro Paese, con 2.300 stazioni viaggiatori, circa 70 mila dipendenti, oltre 8 mila treni al giorno, 600 milioni di passeggeri e 50 milioni di tonnellate-merci all'anno su un network di quasi 17000 chilometri, di cui 1.000 dedicati all'Alta velocità, oltre 11.900 elettrificati oltre 7.400 a doppio binario;
    Ferrovie dello Stato fa capo direttamente a 11 società operative, 8 delle quali partecipate al 100 per cento;
    la privatizzazione parziale di Ferrovie dello Stato, prevista nel corso del 2016, compatibilmente con le condizioni del mercato, è un passaggio fondamentale del piano di arretramento della presenza pubblica nell'economia, un piano che nel mese scorso ha portato alla quotazione in Borsa di Poste Italiane e che nella prima metà del 2016 interesserà anche Enav;
    la bozza di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri prevede che la privatizzazione, effettuabile in più fasi, si concretizzi attraverso un'offerta pubblica di vendita rivolta al pubblico dei risparmiatori in Italia, inclusi i dipendenti del gruppo Ferrovie dello Stato, a investitori istituzionali italiani e internazionali e quotazione sul mercato azionario;
    i termini di dettaglio dell'operazione, che secondo stime di alcune testate economiche potrà far entrare nelle casse dello Stato da 3 a 14 miliardi di euro a seconda del grado e dell'intensità della privatizzazione, sono ancora in corso di definizione;
    l'8 ottobre 2015 il Consiglio dei Ministri dei trasporti dell'Unione europea ha dato il via libera al pilastro politico del quarto pacchetto ferroviario che prevede un accesso non discriminatorio delle società ferroviarie dell'Unione europea alla rete in tutti i Paesi dell'Unione europea ai fini della prestazione di servizi di trasporto nazionale di passeggeri. L'accordo istituisce inoltre salvaguardie per evitare conflitti di interesse e aumentare la trasparenza dei flussi finanziari tra i gestori dell'infrastruttura e gli operatori del trasporto ferroviario;
    la rete infrastrutturale ferroviaria, sia convenzionale sia alta velocità, è un monopolio naturale. La sua gestione porta con sé un rilevante patrimonio di informazioni di rilevante interesse pubblico e privato, anche in un'ottica di ottimizzazione e razionalizzazione del trasporto;
    in presenza di un monopolio naturale, stante l'impossibilità di sviluppare un mercato concorrenziale, risulta opportuno che, soprattutto nella fase di avvio di un mercato concorrenziale, la gestione dell'infrastruttura resti in mano pubblica, per prevenire situazioni di monopolio e conflitto di interessi nell'accesso all'infrastruttura stessa;
    la privatizzazione del gruppo Ferrovie dello Stato, senza preventiva separazione della rete, darebbe vita a un monolitico blocco pubblico-privato, tale da ostacolare la concorrenza e impedire una reale parità di accesso ai servizi di tutti gli operatori del mercato;
    al fine di creare le condizioni necessarie per un miglioramento della qualità dei servizi e per la creazione di un vero mercato concorrenziale, è opportuno separare la rete, e la sua gestione, mantenendole sotto il controllo di un soggetto di natura pubblica, e privatizzare invece la parte del gruppo Ferrovie che fornisce servizi di trasporto;
    in un tale schema di privatizzazione, sarà possibile valutare anche l'integrale privatizzazione delle società di servizi, anziché del solo 40 per cento, con conseguente aumento dei proventi per lo Stato e completa apertura del mercato;
    nell'ambito di tale impostazione dovrà essere considerata prioritaria la privatizzazione dei servizi di trasporto ferroviario di merci, al fine di assicurare la piena apertura e concorrenzialità di tale mercato,

impegna il Governo:

   a procedere al piano di privatizzazione di Ferrovie dello Stato italiane S.p.a., con modalità idonee ad assicurare un reale sviluppo della concorrenza nel settore e lo sviluppo e l'ammodernamento dell'infrastruttura, anche sulle tratte secondarie;
   a valutare forme di privatizzazione del gruppo Ferrovie dello Stato tali da mantenere la gestione della rete infrastrutturale sotto il controllo pubblico;
   ad elaborare uno schema di privatizzazione che, anziché coinvolgere l'intero gruppo, preveda la separazione delle infrastrutture e della loro gestione, e l'ingresso dei privati nelle sole società del gruppo che erogano servizi di trasporto, partendo, prioritariamente, dalla privatizzazione dei servizi di cargo ferroviario.
(1-01072)
(Testo modificato nel corso della seduta come risultante dalla votazione per parti separate).  «Mazziotti Di Celso, Monchiero, Catalano, Quintarelli, Matarrese».


   La Camera,
   premesso che:
    Ferrovie dello Stato S.p.a. è la più importante società operante nel trasporto ferroviario italiano e per tale motivo costituisce una delle più grandi realtà industriali del Paese, con un fatturato di 8,4 miliardi di euro, 70 mila dipendenti che gestiscono oltre 8 mila treni al giorno, 600 milioni di passeggeri e 50 milioni di tonnellate-merci all'anno su una rete di oltre 16.700 chilometri;
    le Ferrovie dello Stato S.p.a. sono state istituite con la legge 22 aprile 1905, n. 137, assumendo a totale carico dello Stato la proprietà e l'esercizio della maggior parte delle linee ferroviarie nazionali, fino ad allora in mano a varie società private. Già nel 1945 l'azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato, sotto il controllo del Ministero dei trasporti, dal 1o gennaio 1986 fu trasformata in ente pubblico economico in applicazione della legge n. 210 del 1985, che istituiva l'ente Ferrovie dello Stato. Il 12 agosto 1992 l'ente fu trasformato in società per azioni con partecipazione statale totale attraverso il Ministero dell'economia e delle finanze;
    con il contratto di programma 1994-2000 e con le direttive del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 gennaio 1997 e del 18 marzo 1999 si è scelto di procedere alla separazione delle attività di gestione dell'infrastruttura da quelle di gestione dei servizi di trasporto: attualmente Ferrovie dello Stato italiane Spa rappresenta una holding cui fanno capo sia RFI S.p.a., la società di gestione delle infrastrutture, che Trenitalia S.p.a., l'impresa di trasporto, la cui separazione legale, amministrativa, contabile e gestionale è garantita e vigilata dallo Stato;
    le ferrovie rappresentano un bene strategico per il Paese e appare inspiegabile la decisione del Governo di privatizzare una società in crescita non solo nel mercato nazionale ma anche europeo senza previa consultazione del Parlamento che avrebbe dovuto esercitare la sua funzione di controllo e indirizzo politico visto che Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. non solo è una società controllata dallo Stato, ma è anche un'impresa partecipata pubblica che ha contribuito a sviluppare per l'Italia un grande progetto di mobilità e di logistica, nel rispetto dell'ambiente, ed ha dato un forte impulso alla crescita del Paese tale da rappresentare un fiore all'occhiello della nazione;
    il 23 novembre 2015 il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Graziano Delrio, ha annunciato che sarà avviata la procedura di privatizzazione di Ferrovie dello Stato italiane, specificando che non potrà andare oltre il 40 per cento: secondo il decreto avverrà attraverso un'offerta pubblica di vendita rivolta al pubblico dei risparmiatori in Italia, inclusi i dipendenti del gruppo Ferrovie dello Stato, e ad investitori istituzionali italiani e internazionali, e quotazione sul mercato azionario. Come nel caso di Poste italiane potranno essere previste forme di incentivazione, tenuto conto anche della prassi di mercato e di precedenti operazioni di privatizzazione, in termini di quote dell'offerta riservate (tranche dell'offerta riservata e lotti minimi garantiti) e di prezzo o di modalità di finanziamento;
    nella stessa occasione, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Delrio ha annunciato che l'infrastruttura di rete rimarrà pubblica e che la procedura che verrà avviata terrà conto della complessità di gestione di Ferrovie dello Stato, della necessità di aumentare gli obblighi di servizio pubblico nonché il diritto di accesso a tutte le società private;
    la questione della separazione dell'infrastruttura, che è inserita nel bilancio delle Ferrovie dello Stato a un valore di 30 miliardi di euro, è da sempre oggetto di scontro tra l'ex presidente Messori e l'ex amministratore delegato Michele Mario Elia. Messori, in una lettera inviata nell'estate 2015 al Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, ha dichiarato che privatizzare una parte dell'intero gruppo senza prima scorporare le reti e alcune controllate si tradurrebbe in una «svendita»: lo Stato, secondo l'economista, rischia di incassare non più di 4 miliardi di euro conto i 10-11 miliardi di euro di introito potenziale. Su questa posizione si è consumata la rottura con Elia, favorevole alla vendita in blocco;
    effettivamente le società private che offrono servizi di trasporto, come Ntv, potrebbero utilizzare la rete infrastrutturale senza discriminazioni rispetto a Trenitalia, che del gruppo Ferrovie dello Stato fa parte, come peraltro richiesto più volte dall'Autorità per la regolazione dei trasporti anche senza un vero e proprio scorporo societario di Rfi, la società che ne è proprietaria, operazione che però non consentirebbe allo Stato gli introiti auspicati pur garantendo però la libera concorrenza tra i diversi operatori di trasporto ferroviario;
    si esprime una forte contrarietà rispetto al prospettato processo di privatizzazione,

impegna il Governo:

   a chiarire come l'annunciato progetto di privatizzazione costituisca un'opportunità di crescita e di sviluppo per l'intero sistema del trasporto ferroviario italiano, con particolare riguardo al rispetto del principio di libera concorrenza, e non una mera operazione economico-finanziaria;
   a presentare al Parlamento, prima di proseguire con la procedura di privatizzazione, una relazione che illustri in modo puntuale tutti gli aspetti e le conseguenze industriali, economiche, occupazionali, sociali e relative alla qualità del servizio derivanti dall'annunciato piano di alienazione del gruppo;
   ad assicurare che il piano di privatizzazione messo in campo garantisca la proprietà pubblica della rete infrastrutturale a vantaggio di una completa indipendenza e terzietà del gestore della rete rispetto a tutti gli operatori ferroviari ed intermodali operanti sul mercato del trasporto;
   a salvaguardare il servizio pubblico e la maggioranza piena dell'azionariato dello Stato;
   a garantire che il piano di privatizzazione non determini un ulteriore deterioramento della qualità e dell'efficienza del servizio erogato, e a ridiscutere, rafforzandolo ed inasprendolo, il meccanismo di pagamento di penali a seguito di gravi disservizi;
   ad adoperarsi affinché, anche a seguito del processo di privatizzazione, sia potenziato il servizio nei confronti di disabili, ciclisti e trasporto intermodale;
   ad investire maggiori risorse e a dare priorità al trasporto pubblico locale.
(1-01077) «Cristian Iannuzzi, Segoni, Artini, Baldassarre, Bechis, Turco, Furnari, Pastorino, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli».


   La Camera,
   premesso che:
    Ferrovie dello Stato S.p.a. è la più importante società operante nel trasporto ferroviario italiano e per tale motivo costituisce una delle più grandi realtà industriali del Paese, con un fatturato di 8,4 miliardi di euro, 70 mila dipendenti che gestiscono oltre 8 mila treni al giorno, 600 milioni di passeggeri e 50 milioni di tonnellate-merci all'anno su una rete di oltre 16.700 chilometri;
    le Ferrovie dello Stato S.p.a. sono state istituite con la legge 22 aprile 1905, n. 137, assumendo a totale carico dello Stato la proprietà e l'esercizio della maggior parte delle linee ferroviarie nazionali, fino ad allora in mano a varie società private. Già nel 1945 l'azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato, sotto il controllo del Ministero dei trasporti, dal 1o gennaio 1986 fu trasformata in ente pubblico economico in applicazione della legge n. 210 del 1985, che istituiva l'ente Ferrovie dello Stato. Il 12 agosto 1992 l'ente fu trasformato in società per azioni con partecipazione statale totale attraverso il Ministero dell'economia e delle finanze;
    con il contratto di programma 1994-2000 e con le direttive del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 gennaio 1997 e del 18 marzo 1999 si è scelto di procedere alla separazione delle attività di gestione dell'infrastruttura da quelle di gestione dei servizi di trasporto: attualmente Ferrovie dello Stato italiane Spa rappresenta una holding cui fanno capo sia RFI S.p.a., la società di gestione delle infrastrutture, che Trenitalia S.p.a., l'impresa di trasporto, la cui separazione legale, amministrativa, contabile e gestionale è garantita e vigilata dallo Stato;
    le ferrovie rappresentano un bene strategico per il Paese e appare inspiegabile la decisione del Governo di privatizzare una società in crescita non solo nel mercato nazionale ma anche europeo senza previa consultazione del Parlamento che avrebbe dovuto esercitare la sua funzione di controllo e indirizzo politico visto che Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. non solo è una società controllata dallo Stato, ma è anche un'impresa partecipata pubblica che ha contribuito a sviluppare per l'Italia un grande progetto di mobilità e di logistica, nel rispetto dell'ambiente, ed ha dato un forte impulso alla crescita del Paese tale da rappresentare un fiore all'occhiello della nazione;
    il 23 novembre 2015 il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Graziano Delrio, ha annunciato che sarà avviata la procedura di privatizzazione di Ferrovie dello Stato italiane, specificando che non potrà andare oltre il 40 per cento: secondo il decreto avverrà attraverso un'offerta pubblica di vendita rivolta al pubblico dei risparmiatori in Italia, inclusi i dipendenti del gruppo Ferrovie dello Stato, e ad investitori istituzionali italiani e internazionali, e quotazione sul mercato azionario. Come nel caso di Poste italiane potranno essere previste forme di incentivazione, tenuto conto anche della prassi di mercato e di precedenti operazioni di privatizzazione, in termini di quote dell'offerta riservate (tranche dell'offerta riservata e lotti minimi garantiti) e di prezzo o di modalità di finanziamento;
    nella stessa occasione, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Delrio ha annunciato che l'infrastruttura di rete rimarrà pubblica e che la procedura che verrà avviata terrà conto della complessità di gestione di Ferrovie dello Stato, della necessità di aumentare gli obblighi di servizio pubblico nonché il diritto di accesso a tutte le società private;
    la questione della separazione dell'infrastruttura, che è inserita nel bilancio delle Ferrovie dello Stato a un valore di 30 miliardi di euro, è da sempre oggetto di scontro tra l'ex presidente Messori e l'ex amministratore delegato Michele Mario Elia. Messori, in una lettera inviata nell'estate 2015 al Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, ha dichiarato che privatizzare una parte dell'intero gruppo senza prima scorporare le reti e alcune controllate si tradurrebbe in una «svendita»: lo Stato, secondo l'economista, rischia di incassare non più di 4 miliardi di euro conto i 10-11 miliardi di euro di introito potenziale. Su questa posizione si è consumata la rottura con Elia, favorevole alla vendita in blocco;
    effettivamente le società private che offrono servizi di trasporto, come Ntv, potrebbero utilizzare la rete infrastrutturale senza discriminazioni rispetto a Trenitalia, che del gruppo Ferrovie dello Stato fa parte, come peraltro richiesto più volte dall'Autorità per la regolazione dei trasporti anche senza un vero e proprio scorporo societario di Rfi, la società che ne è proprietaria, operazione che però non consentirebbe allo Stato gli introiti auspicati pur garantendo però la libera concorrenza tra i diversi operatori di trasporto ferroviario;
    si esprime una forte contrarietà rispetto al prospettato processo di privatizzazione,

impegna il Governo:

   a chiarire come l'annunciato progetto di privatizzazione costituisca un'opportunità di crescita e di sviluppo per l'intero sistema del trasporto ferroviario italiano, con particolare riguardo al rispetto del principio di libera concorrenza, e non una mera operazione economico-finanziaria;
   a presentare al Parlamento, prima di proseguire con la procedura di privatizzazione, una relazione che illustri in modo puntuale tutti gli aspetti e le conseguenze industriali, economiche, occupazionali, sociali e relative alla qualità del servizio derivanti dall'annunciato piano di alienazione del gruppo;
   ad assicurare che il piano di privatizzazione messo in campo garantisca la proprietà pubblica della rete infrastrutturale a vantaggio di una completa indipendenza e terzietà del gestore della rete rispetto a tutti gli operatori ferroviari ed intermodali operanti sul mercato del trasporto;
   a salvaguardare il servizio pubblico e la maggioranza dell'azionariato dello Stato;
   a garantire che il piano di privatizzazione non determini un ulteriore deterioramento della qualità e dell'efficienza del servizio erogato, e a ridiscutere, rafforzandolo ed inasprendolo, il meccanismo di pagamento di penali a seguito di gravi disservizi;
   ad adoperarsi affinché, anche a seguito del processo di privatizzazione, sia potenziato il servizio nei confronti di disabili, ciclisti e trasporto intermodale;
   ad investire maggiori risorse e a dare priorità al trasporto pubblico locale.
(1-01077)
(Testo modificato nel corso della seduta).  «Cristian Iannuzzi, Segoni, Artini, Baldassarre, Bechis, Turco, Furnari, Pastorino, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli».


   La Camera,
   premesso che:
    Ferrovie dello Stato S.p.a. riveste un ruolo di primaria importanza nel panorama delle aziende pubbliche, gestendo opere e servizi nel trasporto ferroviario che vengono utilizzati quotidianamente per lo spostamento di persone e merci sul territorio nazionale e internazionale;
    l'azienda ha un fatturato di 8,4 miliardi di euro, maggiorato di 2 punti percentuali rispetto al 2014, impiega circa 70.000 dipendenti per un totale di 16.700 chilometri di rete ferroviaria, di cui circa 1.000 ad Alta velocità;
    a fronte di questi numeri, che fanno del gruppo Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. una delle aziende italiane più appetibili dal punto di vista economico, l'azienda risulta comunque al dodicesimo posto nella classifica delle ferrovie europee per percorrenza media chilometrica per abitante: i settori più problematici, anche perché meno redditizi, sono quelli relativi al trasporto su intercity e regionali, e quindi quelli a servizio dei cittadini e dei tanti pendolari che utilizzano il treno come mezzo di trasporto privilegiato per raggiungere le postazioni di lavoro e di studio;
    nonostante l'azienda abbia usufruito di cospicui contributi pubblici, la stessa non ha mai realmente investito nel migliorare la qualità dei servizi di trasporto ferroviario e le prestazioni gestionali, accumulando negli anni un gap rispetto alle concorrenti, il quale rappresenta oggi un ostacolo allo sviluppo competitivo del settore del trasporto, sia merci che passeggeri;
    il Governo ha recentemente reso nota la scelta di procedere alla messa sul mercato del 40 per cento delle Ferrovie dello Stato italiane dando il via ad un processo di privatizzazione che suscita perplessità per la mancanza di un quadro chiaro e completo sui futuri scenari che si andrebbero a delineare, soprattutto in termini di qualità del servizio offerto al pubblico;
    infatti, sia Trenitalia (l'impresa di trasporto passeggeri e merci) sia Rfi (società che si occupa della gestione dell'infrastruttura) sono partecipate della società pubblica Ferrovie dello Stato S.p.a. e quindi sembra fondamentale che il progetto di privatizzazione chiarisca quale siano gli ambiti coinvolti nella vendita, per non incorrere nel rischio che si cedano alla proprietà privata gli asset a maggior redditività e rimangano in mano pubblica i rami diseconomici;
    nel bilancio delle Ferrovie dello Stato, l'infrastruttura ferroviaria ha un valore di 30 miliardi di euro e questa rilevanza dovrebbe essere tenuta in debito conto nell'ambito del processo di privatizzazione ai fini degli introiti economici che potrebbero derivarne e dei potenziali assetti societari determinanti per il mantenimento degli equilibri concorrenziali sul mercato, perché l'accesso alla rete deve essere garantito ad eque condizioni a tutti gli operatori;
    per evitare che sia solo un'operazione economico-finanziaria e garantire che sia, invece, un momento di crescita e sviluppo per l'intero sistema del trasporto ferroviario, un'eventuale privatizzazione deve essere accompagnata da specifiche clausole a salvaguardia della qualità del servizio offerto agli utenti, soprattutto nei settori a maggior richiesta che presentano attualmente profili di grosse criticità. A tal fine, è necessario che i futuri contratti di servizio prevedano la garanzia di standard minimi nel numero e nella qualità dei servizi offerti ai cittadini e che i programmi e gli accordi europei, strategici per il Paese, sul trasporto ferroviario di merci vengano salvaguardati e sostenuti nei futuri piani industriali;
    il servizio del trasporto pubblico locale rappresenta un servizio fondamentale sia sotto il profilo economico sia sotto il profilo sociale perché attraverso di esso deve essere garantita la possibilità di effettuare gli spostamenti necessari per lo svolgimento delle attività principali della vita economica e sociale, assicurando comunque un livello adeguato di prestazioni su tutto il territorio;
    le privatizzazioni in Italia hanno sempre diviso l'opinione pubblica per le numerose incognite e gli interessi che ne possono scaturire, che non sempre rispondono a criteri di maggiore efficienza e competitività, sia rischiando di non apportare reali benefici per gli utenti sia mettendo a rischio l'universalità di un servizio che, seppur gestito da privati, svolge un ruolo di fondamentale importanza per il pubblico,

impegna il Governo:

   a rendere noti i dettagli del programma di privatizzazione che interessa la rete ferroviaria italiana, chiarendo, in particolare, quali siano i ricavi attesi dall'operazione affinché questi stessi possano essere impiegati a favore del trasporto pubblico locale, garantendo che il servizio venga svolto su tutto il territorio nazionale nel rispetto di più alti criteri di qualità e a prezzi sostenibili per i cittadini;
   a tenere informato il Parlamento sull'evolversi della vicenda di cui in premessa e sui possibili scenari che da essa ne potrebbero scaturire, chiarendo, in particolare, quali rami del trasporto ferroviario saranno interessati dall'eventuale privatizzazione e se questa sarà accompagnata da un intervento di scorporo della rete infrastrutturale;
   ad assumere iniziative per inserire nei prossimi contratti di servizio apposite clausole di impegno per l'ente gestore del servizio ferroviario atte a garantire il buon funzionamento del servizio stesso, anche per quanto concerne i servizi a minore profitto;
   a far valere, in qualità di azionista di riferimento, le decisioni che interessano strategie funzionali allo sviluppo del Paese nell'ambito dei programmi e degli accordi europei.
(1-01078) «Guidesi, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    Ferrovie dello Stato S.p.a. riveste un ruolo di primaria importanza nel panorama delle aziende pubbliche, gestendo opere e servizi nel trasporto ferroviario che vengono utilizzati quotidianamente per lo spostamento di persone e merci sul territorio nazionale e internazionale;
    l'azienda ha un fatturato di 8,4 miliardi di euro, maggiorato di 2 punti percentuali rispetto al 2014, impiega circa 70.000 dipendenti per un totale di 16.700 chilometri di rete ferroviaria, di cui circa 1.000 ad Alta velocità;
    a fronte di questi numeri, che fanno del gruppo Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. una delle aziende italiane più appetibili dal punto di vista economico, l'azienda risulta comunque al dodicesimo posto nella classifica delle ferrovie europee per percorrenza media chilometrica per abitante: i settori più problematici, anche perché meno redditizi, sono quelli relativi al trasporto su intercity e regionali, e quindi quelli a servizio dei cittadini e dei tanti pendolari che utilizzano il treno come mezzo di trasporto privilegiato per raggiungere le postazioni di lavoro e di studio;
    nonostante l'azienda abbia usufruito di cospicui contributi pubblici, la stessa non ha mai realmente investito nel migliorare la qualità dei servizi di trasporto ferroviario e le prestazioni gestionali, accumulando negli anni un gap rispetto alle concorrenti, il quale rappresenta oggi un ostacolo allo sviluppo competitivo del settore del trasporto, sia merci che passeggeri;
    il Governo ha recentemente reso nota la scelta di procedere alla messa sul mercato del 40 per cento delle Ferrovie dello Stato italiane dando il via ad un processo di privatizzazione che suscita perplessità per la mancanza di un quadro chiaro e completo sui futuri scenari che si andrebbero a delineare, soprattutto in termini di qualità del servizio offerto al pubblico;
    infatti, sia Trenitalia (l'impresa di trasporto passeggeri e merci) sia Rfi (società che si occupa della gestione dell'infrastruttura) sono partecipate della società pubblica Ferrovie dello Stato S.p.a. e quindi sembra fondamentale che il progetto di privatizzazione chiarisca quale siano gli ambiti coinvolti nella vendita, per non incorrere nel rischio che si cedano alla proprietà privata gli asset a maggior redditività e rimangano in mano pubblica i rami diseconomici;
    nel bilancio delle Ferrovie dello Stato, l'infrastruttura ferroviaria ha un valore di 30 miliardi di euro e questa rilevanza dovrebbe essere tenuta in debito conto nell'ambito del processo di privatizzazione ai fini degli introiti economici che potrebbero derivarne e dei potenziali assetti societari determinanti per il mantenimento degli equilibri concorrenziali sul mercato, perché l'accesso alla rete deve essere garantito ad eque condizioni a tutti gli operatori;
    per evitare che sia solo un'operazione economico-finanziaria e garantire che sia, invece, un momento di crescita e sviluppo per l'intero sistema del trasporto ferroviario, un'eventuale privatizzazione deve essere accompagnata da specifiche clausole a salvaguardia della qualità del servizio offerto agli utenti, soprattutto nei settori a maggior richiesta che presentano attualmente profili di grosse criticità. A tal fine, è necessario che i futuri contratti di servizio prevedano la garanzia di standard minimi nel numero e nella qualità dei servizi offerti ai cittadini e che i programmi e gli accordi europei, strategici per il Paese, sul trasporto ferroviario di merci vengano salvaguardati e sostenuti nei futuri piani industriali;
    il servizio del trasporto pubblico locale rappresenta un servizio fondamentale sia sotto il profilo economico sia sotto il profilo sociale perché attraverso di esso deve essere garantita la possibilità di effettuare gli spostamenti necessari per lo svolgimento delle attività principali della vita economica e sociale, assicurando comunque un livello adeguato di prestazioni su tutto il territorio;
    le privatizzazioni in Italia hanno sempre diviso l'opinione pubblica per le numerose incognite e gli interessi che ne possono scaturire, che non sempre rispondono a criteri di maggiore efficienza e competitività, sia rischiando di non apportare reali benefici per gli utenti sia mettendo a rischio l'universalità di un servizio che, seppur gestito da privati, svolge un ruolo di fondamentale importanza per il pubblico,

impegna il Governo:

   a tenere informato il Parlamento sull'evolversi della vicenda di cui in premessa e sui possibili scenari che da essa ne potrebbero scaturire, chiarendo, in particolare, quali rami del trasporto ferroviario saranno interessati dall'eventuale privatizzazione e se questa sarà accompagnata da un intervento di scorporo della rete infrastrutturale;
   ad assumere iniziative per inserire nei prossimi contratti di servizio apposite clausole di impegno per l'ente gestore del servizio ferroviario atte a garantire il buon funzionamento del servizio stesso, anche per quanto concerne i servizi a minore profitto;
   a far valere, in qualità di azionista di riferimento, le decisioni che interessano strategie funzionali allo sviluppo del Paese nell'ambito dei programmi e degli accordi europei.
(1-01078) (Testo risultante dalla votazione per parti separate) «Guidesi, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    il gruppo Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. conta circa 70.000 dipendenti, una linea ferroviaria lunga 16.726 chilometri, di cui circa 1.000 ad alta velocità, 11.900 elettrificati e oltre 7.400 a doppio binario, 2.300 stazioni viaggiatori, un fatturato di 8,4 miliardi di euro, 8 mila treni al giorno, 600 milioni di passeggeri e 50 milioni di tonnellate-merci all'anno e rappresenta una delle più grandi realtà industriali del nostro Paese;
    in particolare lo schema organizzativo delle Ferrovie dello Stato è quello di una holding, FSI S.p.a., cui fanno capo sia la società di gestione delle infrastrutture, RFI S.p.a., che (l'impresa di trasporto, Trenitalia S.p.a., la cui separazione legale, amministrativa, contabile e gestionale è garantita e vigilata dallo Stato: Trenitalia è l'impresa di trasporto passeggeri e merci mentre Rete Ferroviaria Italiana (Rfi) è la società che si occupa della gestione dell'infrastruttura: entrambe sono partecipate al 100 per cento di Ferrovie dello Stato italiane;
    gli strumenti che regolano i rapporti tra Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. e lo Stato sono il contratto di programma e di servizio con il gestore dell'infrastruttura e il contratto di servizio con l'impresa di trasporto, che individua gli obblighi di servizio pubblico posti a carico di quest'ultima con riferimento al servizio universale;
    il Gruppo Ferrovie dello Stato italiane è la seconda azienda italiana per investimenti, quinta per dipendenti, decima per redditività e tredicesima per fatturato;
    Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a. ha chiuso i primi sei mesi del 2015 con un fatturato in crescita di oltre 2 punti percentuali rispetto all'anno 2014;
    il 23 novembre 2015 il Consiglio dei Ministri ha avviato il processo di privatizzazione e di definizione delle modalità di parziale vendita della partecipazione detenuta dal Ministero dell'economia e delle finanze nel capitale di Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a., approvando, in esame preliminare, un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri predisposto dal Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, relativo alla cessione di non oltre il 40 per cento di quote di Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a, ai sensi della normativa sulle privatizzazioni (legge n. 474 del 1994 e legge n. 481 del 1995);
    tale cessione potrà essere effettuata anche in più fasi. Il 40 per cento alienabile andrà ad un azionariato diffuso, compresi i dipendenti del gruppo ferroviario, ed a investitori istituzionali;
    nel Documento di economia e finanza, l'operazione di privatizzazione prevede innanzitutto la scissione, deliberata negli scorsi mesi dal consiglio di amministrazione, di Grandi Stazioni in tre aziende: GS Rail, GS Immobiliare e GS Retail, che costituisce la parte commerciale del gruppo;
    suddetta operazione non è stata confermata nella nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza recentemente sottoposta alla Camera dei deputati;
    i termini di dettaglio dell'operazione, che, secondo stime di alcune testate economiche, potrà far entrare nelle casse dello Stato da 3 a 14 miliardi di euro, a seconda del grado e dell'intensità della privatizzazione, sono ancora in corso di definizione;
    a fronte di questi numeri, che fanno del gruppo Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. una delle aziende italiane più appetibili dal punto di vista economico, l'azienda risulta comunque al dodicesimo posto nella classifica delle ferrovie europee per percorrenza media chilometrica per abitante: i settori più problematici, anche perché meno redditizi, sono quelli relativi al trasporto su intercity e regionali, e quindi quelli a servizio dei cittadini e dei tanti pendolari che utilizzano il treno come mezzo di trasporto privilegiato per raggiungere le postazioni di lavoro e di studio;
    il servizio del trasporto pubblico locale rappresenta un servizio fondamentale sia sotto il profilo economico sia sotto il profilo sociale perché attraverso di esso deve essere garantita la possibilità di effettuare gli spostamenti necessari per lo svolgimento delle attività principali della vita economica e sociale, assicurando comunque un livello adeguato di prestazioni su tutto il territorio;
    sul processo di privatizzazione del Gruppo Ferrovie dello Stato italiane S.p.a., il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Graziano Delrio, non si sarebbe espresso a nome del Governo, ma come Ministro di settore, sostenendo che, egli, personalmente, gradirebbe lo scorporo della rete, ma aggiungendo che all'interno del Consiglio dei ministri il tema è ancora in discussione;
    il Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, ha dichiarato di preferire, dal canto suo, la privatizzazione dell'intera holding;
    il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, si è limitato a cambiare i vertici del Gruppo Ferrovie dello Stato italiane S.p.a.;
    il Governo, nella sua collegialità, non si è ancora espresso sullo scorporo della rete, che, peraltro, riveste importanza strategica;
    non è dato sapere se la privatizzazione del 40 per cento sia riferita all'intero Gruppo oppure se non si tratti invece di una semplice dismissione a privati di una somma minoritaria del servizio, al fine di fare cassa, e mettere in piedi una nuova società che vivrà, probabilmente, di sussidi pubblici;
    non si sa se il sacrificio di questo settore strategico faccia parte di un progetto per il rilancio, anche occupazionale, del settore stesso e se sia stata presa in considerazione la necessità di garantire a milioni di utenti, attraverso prezzi sostenibili e la certezza di un trasporto pubblico che colleghi tutte le aree del Paese, incluse le cosiddette zone periferiche;
    non si tratta di mettere in discussione il concetto di privatizzazione ma è necessario conoscere qual è il fine ultimo di tale progetto, affinché non si realizzi invece la dismissione di un asset essenziale di questo Paese a fini elettoralistici e di miopia politica e strategica,

impegna il Governo:

   ad illustrare urgentemente in Parlamento il piano di cui in premessa, specificando se si tratti di dismissione o di privatizzazione e chiarendo puntualmente tutti gli aspetti e i risvolti economici, industriali e occupazionali conseguenti all'annunciato piano;
   a chiarire se l'annunciato progetto costituisca un'opportunità di crescita e di sviluppo per l'intero sistema del trasporto ferroviario italiano, con particolare riguardo al rispetto del principio di libera concorrenza e di garanzia di servizio pubblico e non si tratti, invece, di una mera operazione economico-finanziaria;
   a reinvestire i ricavi attesi, dall'operazione in favore del trasporto pubblico locale, garantendo che il servizio venga svolto su tutto il territorio nazionale nel rispetto di più alti criteri di qualità e a prezzi sostenibili per i cittadini.
(1-01080) «Biasotti, Occhiuto, Santelli, Prestigiacomo, Nizzi, Polidori».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    il gruppo Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. conta circa 70.000 dipendenti, una linea ferroviaria lunga 16.726 chilometri, di cui circa 1.000 ad alta velocità, 11.900 elettrificati e oltre 7.400 a doppio binario, 2.300 stazioni viaggiatori, un fatturato di 8,4 miliardi di euro, 8 mila treni al giorno, 600 milioni di passeggeri e 50 milioni di tonnellate-merci all'anno e rappresenta una delle più grandi realtà industriali del nostro Paese;
    in particolare lo schema organizzativo delle Ferrovie dello Stato è quello di una holding, FSI S.p.a., cui fanno capo sia la società di gestione delle infrastrutture, RFI S.p.a., che (l'impresa di trasporto, Trenitalia S.p.a., la cui separazione legale, amministrativa, contabile e gestionale è garantita e vigilata dallo Stato: Trenitalia è l'impresa di trasporto passeggeri e merci mentre Rete Ferroviaria Italiana (Rfi) è la società che si occupa della gestione dell'infrastruttura: entrambe sono partecipate al 100 per cento di Ferrovie dello Stato italiane;
    gli strumenti che regolano i rapporti tra Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. e lo Stato sono il contratto di programma e di servizio con il gestore dell'infrastruttura e il contratto di servizio con l'impresa di trasporto, che individua gli obblighi di servizio pubblico posti a carico di quest'ultima con riferimento al servizio universale;
    il Gruppo Ferrovie dello Stato italiane è la seconda azienda italiana per investimenti, quinta per dipendenti, decima per redditività e tredicesima per fatturato;
    Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a. ha chiuso i primi sei mesi del 2015 con un fatturato in crescita di oltre 2 punti percentuali rispetto all'anno 2014;
    il 23 novembre 2015 il Consiglio dei Ministri ha avviato il processo di privatizzazione e di definizione delle modalità di parziale vendita della partecipazione detenuta dal Ministero dell'economia e delle finanze nel capitale di Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a., approvando, in esame preliminare, un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri predisposto dal Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, relativo alla cessione di non oltre il 40 per cento di quote di Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a, ai sensi della normativa sulle privatizzazioni (legge n. 474 del 1994 e legge n. 481 del 1995);
    tale cessione potrà essere effettuata anche in più fasi. Il 40 per cento alienabile andrà ad un azionariato diffuso, compresi i dipendenti del gruppo ferroviario, ed a investitori istituzionali;
    nel Documento di economia e finanza, l'operazione di privatizzazione prevede innanzitutto la scissione, deliberata negli scorsi mesi dal consiglio di amministrazione, di Grandi Stazioni in tre aziende: GS Rail, GS Immobiliare e GS Retail, che costituisce la parte commerciale del gruppo;
    suddetta operazione non è stata confermata nella nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza recentemente sottoposta alla Camera dei deputati;
    i termini di dettaglio dell'operazione, che, secondo stime di alcune testate economiche, potrà far entrare nelle casse dello Stato da 3 a 14 miliardi di euro, a seconda del grado e dell'intensità della privatizzazione, sono ancora in corso di definizione;
    a fronte di questi numeri, che fanno del gruppo Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. una delle aziende italiane più appetibili dal punto di vista economico, l'azienda risulta comunque al dodicesimo posto nella classifica delle ferrovie europee per percorrenza media chilometrica per abitante: i settori più problematici, anche perché meno redditizi, sono quelli relativi al trasporto su intercity e regionali, e quindi quelli a servizio dei cittadini e dei tanti pendolari che utilizzano il treno come mezzo di trasporto privilegiato per raggiungere le postazioni di lavoro e di studio;
    il servizio del trasporto pubblico locale rappresenta un servizio fondamentale sia sotto il profilo economico sia sotto il profilo sociale perché attraverso di esso deve essere garantita la possibilità di effettuare gli spostamenti necessari per lo svolgimento delle attività principali della vita economica e sociale, assicurando comunque un livello adeguato di prestazioni su tutto il territorio;
    sul processo di privatizzazione del Gruppo Ferrovie dello Stato italiane S.p.a., il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Graziano Delrio, non si sarebbe espresso a nome del Governo, ma come Ministro di settore, sostenendo che, egli, personalmente, gradirebbe lo scorporo della rete, ma aggiungendo che all'interno del Consiglio dei ministri il tema è ancora in discussione;
    il Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, ha dichiarato di preferire, dal canto suo, la privatizzazione dell'intera holding;
    il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, si è limitato a cambiare i vertici del Gruppo Ferrovie dello Stato italiane S.p.a.;
    il Governo, nella sua collegialità, non si è ancora espresso sullo scorporo della rete, che, peraltro, riveste importanza strategica;
    non è dato sapere se la privatizzazione del 40 per cento sia riferita all'intero Gruppo oppure se non si tratti invece di una semplice dismissione a privati di una somma minoritaria del servizio, al fine di fare cassa, e mettere in piedi una nuova società che vivrà, probabilmente, di sussidi pubblici;
    non si sa se il sacrificio di questo settore strategico faccia parte di un progetto per il rilancio, anche occupazionale, del settore stesso e se sia stata presa in considerazione la necessità di garantire a milioni di utenti, attraverso prezzi sostenibili e la certezza di un trasporto pubblico che colleghi tutte le aree del Paese, incluse le cosiddette zone periferiche;
    non si tratta di mettere in discussione il concetto di privatizzazione ma è necessario conoscere qual è il fine ultimo di tale progetto, affinché non si realizzi invece la dismissione di un asset essenziale di questo Paese a fini elettoralistici e di miopia politica e strategica,

impegna il Governo:

   ad illustrare urgentemente in Parlamento il piano di cui in premessa, specificando se si tratti di dismissione o di privatizzazione e chiarendo puntualmente tutti gli aspetti e i risvolti economici, industriali e occupazionali conseguenti all'annunciato piano;
   a chiarire se l'annunciato progetto costituisca un'opportunità di crescita e di sviluppo per l'intero sistema del trasporto ferroviario italiano, con particolare riguardo al rispetto del principio di libera concorrenza e di garanzia di servizio pubblico e non si tratti, invece, di una mera operazione economico-finanziaria;
   a reinvestire i ricavi attesi, dall'operazione in favore anche del trasporto pubblico locale, garantendo che il servizio venga svolto su tutto il territorio nazionale nel rispetto di più alti criteri di qualità e a prezzi sostenibili per i cittadini.
(1-01080) «Biasotti, Occhiuto, Santelli, Prestigiacomo, Nizzi, Polidori».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga – Testo modificato nel corso della seduta).


Risoluzione

   La Camera,
   premesso che:
    Ferrovie dello Stato opera da tempo con un approccio discriminatorio e iniquo della regione Sardegna;
    tale affermazione è suffragata da rapporti oggettivi sia per quanto riguarda l'aspetto gestionale, sia per la parte infrastrutturale;
    tutti i parametri strutturali e gestionali confermano una gestione discriminatoria da parte delle Ferrovie dello Stato;
    l'intenzione manifestata da parte del Governo di voler cedere una quota di Ferrovie dello Stato pari al 40 per cento costituisce un gravissimo attentato alla coesione e al riequilibrio gestionale tra le singole regioni e il sistema gestionale ferroviario nel suo complesso;
    è fin troppo evidente che una gestione privatizzata e privatistica amplierà questo immenso divario tra la regione Sardegna e il resto del sistema ferroviario gestito da Ferrovie dello Stato;
    nessun interesse economico e gestionale avrà il capitale privato a prevedere e realizzare il riequilibrio funzionale e gestionale del servizio Ferrovie dello Stato in Sardegna;
    la quantità e la qualità del riequilibrio non può che essere garantita dai soggetti pubblici che concorrano al riequilibrio e alla coesione indicata sulla carta costituzionale;
    la regione Sardegna risulta di fatto totalmente inesistente nei piani di Ferrovie dello Stato e RFI;
    la gestione di Ferrovie dello Stato è del tutto iniqua, discriminante e ad avviso del sottoscrittore del presente atto di indirizzo viola il principio sancito dall'articolo 22 della legge n. 42 del 2009 relativamente alle misurazioni e compensazioni derivanti dal divario insulare;
    si tratta di una situazione gravissima dalla quale si evince che la Sardegna ha subito una sottrazione di 629.876.683 nel solo ultimo periodo di programmazione;
    il sistema dei trasporti in Sardegna è ancora caratterizzato da condizioni di grave disagio e deficit infrastrutturale, gestionale ed organizzativo che producono non solo una bassa qualità del servizio offerto ma costituiscono un ostacolo al decollo della crescita e dello sviluppo economico; alle oggettive difficoltà derivanti dalla insularità, dalla conformazione prevalentemente montuosa del territorio regionale, dalla bassa densità insediativa, si somma uno storico deficit di infrastrutturazione complessiva, che incide negativamente sullo sviluppo «sistemico» dell'intera regione, costituendo un ostacolo al decollo della crescita e dello sviluppo economico;
    al costo ed alle difficoltà proprie della condizione insulare, col conseguente basso livello di accessibilità alla rete nazionale ed europea, si unisce la debolezza delle connessioni interne all'isola, causate sia da forti carenze della rete stradale, sia dalla insufficiente dotazione infrastrutturale e dai mediocri livelli di servizio in particolare sulle linee ferroviarie;
    nel futuro del sistema ferroviario in Sardegna permangono gravissimi motivi di preoccupazione, peraltro posti in maggiore evidenza dai recenti incidenti mortali: in data 15 giugno 2007 lungo la tratta a scartamento ridotto Nuoro-Macomer, nel quale hanno perso la vita due passeggeri e un macchinista; in data 27 dicembre 2009 lungo la tratta a scartamento ordinario Chilivani-Sassari, nel quale ha perso la vita un macchinista;
    la tratta, interessata da fenomeni franosi, è ancora gravemente vetusta e inadeguata;
    nelle ferrovie sarde persiste, da oltre un ventennio, una condizione di criticità grave, che rischia di condurre l'intera regione ad un assetto trasportistico monomodale (tutto strada) in totale controtendenza rispetto alle tendenze nazionali ed europee;
    alcune carenze assimilabili ai contesti del Mezzogiorno e della Sardegna si riferiscono ai bassi livelli di accessibilità alla rete nazionale ed europea, nonché al proprio interno, causati da insufficienti dotazioni infrastrutturali ed ancora più da mediocri livelli di servizio sia delle linee che delle infrastrutture, ad una disomogenea distribuzione territoriale delle residenze e delle attività che evidenziano aree a bassa densità di popolazione;
    l'infrastruttura regionale risulta essere collegata solo teoricamente alla direttrice tirrenica, afferente l'asse ferroviario numero 1 Berlino-Verona/Milano Bologna – Napoli-Messina-Palermo, attraverso i collegamenti marittimi e il tratto ferroviario di connessione con il porto di Civitavecchia la necessità di un effettivo ammodernamento del sistema ferroviario della Sardegna; risulta a tutt'oggi non condivisa ed estranea alla pratica operativa di RFI, TRENITALIA, CARGO, confermandosi una situazione di deficit d'esercizio sintetizzabile a partire dal dato, antistorico, di una velocità media (lungo la rete ferroviaria nazionale) nell'ordine dei 70 chilometri/ora;
    la condizione di criticità prefigura un futuro di abbandono per un patrimonio costituito da 436 chilometri di tracciato a scartamento ordinario, non elettrificata, per grandissima parte a semplice binario, sin qui gestita da FS-SpA, e da altri 626 chilometri da linee a scartamento ridotto, passati alla gestione regionale con quello che il firmatario del presente atto giudica l'ingiustificabile e grave assenso della precedente giunta regionale, ma in assenza di qualsiasi risorsa sufficiente ad una seppur minima messa in sicurezza né tantomeno al suo adeguamento infrastrutturale;
    la provincia di Cagliari, la più popolosa, per fare un esempio, risulta 98 esima tra le province italiane, terzultima nel Mezzogiorno, ha un indice relativo alla rete ferroviaria di 24,7, leggermente superiore alla media regionale (24,5) ma comunque, nettamente al di sotto della media delle regioni del Mezzogiorno (84,7);
    la dotazione regionale di infrastrutture ferroviarie, la rete di livello nazionale, gestita da RFI, è costituita da 436 chilometri di linea (2,6 per cento del totale nazionale) a scartamento ordinario, semplice binario e non elettrificata. Solo 16,6 chilometri sono a doppio binario (Cagliari-Decimomannu), cui s'aggiungono circa 8 chilometri nella nuova tratta in galleria a Bonorva; la densità ferroviaria, indice d'accessibilità del territorio, rapporto tra estesa delle linee e superficie regionale, è di 18 metri/chilometro quadro, contro un valore medio nazionale di 55; il grado di diffusione ferroviario della Sardegna è quindi 1/3 di quello nazionale; la rete è suddivisa in linee fondamentali (Cagliari-Chilivani-Olbia), complementari (Chilivani – P. Torres) e secondarie (Decimomannu – Iglesias; Villamassargia – Carbonia) con riferimento alla relativa funzione e all'entità del traffico;
    il piano regionale dei trasporti, ed il piano regionale delle merci, come da ultimo approvato dalla giunta regionale con deliberazione n. 12/26 in data 16 aprile 2002 hanno indicato tra i progetti prioritari l'ammodernamento e velocizzazione della rete ferroviaria sarda l'intesa generale quadro stipulata l'11 ottobre 2002 tra il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro delle infrastrutture e del territorio, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio ed il Presidente della regione autonoma della Sardegna, nella quale sono indicate quali opere «di preminente interesse nazionale» ha individuato gli interventi ricadenti nel territorio sardo tra quelli inseriti nel 1° Programma delle infrastrutture strategiche;
    in tale intesa le parti hanno convenuto che le risorse finanziarie occorrenti per la realizzazione degli interventi ivi previsti «saranno comunque rese disponibili fino alla completa realizzazione delle opere secondo gli importi che risulteranno dai quadri economici dei progetti approvati» e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti «si impegna fin d'ora a sostenere, con risorse proprie e/o delle aziende vigilate, gli oneri economici per la progettazione di specifiche opere rientranti fra quelle per le quali le parti determineranno di collaborare»;
    il documento n. 161 del 22 gennaio 2003, sottoscritto tra il capo del dipartimento coordinamento e sviluppo del territorio del Ministero delle infrastrutture e trasporti e il capo del dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione del Ministero dell'economia e delle finanze, è finalizzato ad armonizzare i contenuti delle intese istituzionali di programma e degli accordi di programma quadro con quanto previsto nelle Intese generali quadro in ordine al 1° programma delle infrastrutture strategiche di cui alla citata delibera CIPE 21/2001 anche ai fini dell'appropriata gestione e rafforzamento delle attività di monitoraggio; il programma attuativo, conseguente all'Intesa del 2002 e all'Accordo approvato dalla giunta regionale nel 2003, per quanto riguarda il trasporto ferroviario, prevedeva: ampliare, potenziare e velocizzare la rete ferroviaria, al fine di renderla idonea a garantire un adeguato livello di qualità nonché ad aumentare l'offerta del servizio esistente, anche attraverso una sostanziale riduzione dei tempi di percorrenza. A questo fine le parti concordano che gli interventi infrastrutturali previsti nel presente accordo, con le risorse disponibili e quelle programmate, sono funzionali all'obiettivo di ridurre, entro il quadriennio 2004-2007, i tempi di percorrenza sulle due relazioni Cagliari-Sassari-Porto Torres e Cagliari-Chilivani-Olbia-Golfo Aranci, in misura tale da elevarne il livello di concorrenzialità con le altre modalità di trasporto;
    potenziare le principali linee ferroviarie per realizzare un significativo spostamento modale di quote di traffico dal sistema su gomma a quello su ferro. Tale obiettivo, peraltro, dovrà essere realizzato anche attraverso un riordino dei sistemi su gomma diretto ad eliminare eventuali parallelismi nell'offerta e, viceversa, a favorire l'interscambio gomma/ferro in prossimità delle stazioni; realizzare interventi di collegamento ai nodi urbani ed ai servizi portuali ed aeroportuali;
    la definitiva attribuzione delle risorse del PON Trasporti 2000-2006 registra una pesante penalizzazione subita dalla regione Sardegna, in particolare nel settore delle ferrovie, ove il responsabile nazionale delle misure 1.1 e 2.1 risulta non aver proceduto a sviluppare la progettualità necessaria all'attuazione di un complesso di interventi mirati alla velocizzazione della principale linea ferroviaria regionale (Cagliari/Porto Torres/Golfo Aranci);
    il recente documento del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti «Selezione dei progetti per la realizzazione del PON Trasporti 2000/2006 – Lista Progetti CdS 25 maggio 2009» mostra, per il settore delle ferrovie una situazione che emerge in tutta la sua gravità;
    il Programma operativo nazionale trasporti 2000-2006 in Sardegna alla misura 1.1 – miglioramento della rete e del servizio ferroviario attraverso l'adeguamento della linea – con una dotazione di euro 1.518.420.228 (il 33,6 per cento dell'intero PON trasporti) ha totalmente escluso dall'intervento la regione Sardegna;
    la misura 3.3 – sviluppo delle Infrastrutture finalizzate all'intermodalità delle merci, che ha avuto grosse difficoltà anche alla scala nazionale, per incertezze connesse al rispetto delle regole della concorrenza, ed alla conseguente impossibilità di finanziare infrastrutture destinate ad operatori privati ha anche in questo caso escluso la Sardegna nei bilanci di RFI, responsabile delle misure 1.1 e 2.1 del PON trasporti 2000-2006, è effettivamente entrata un'assegnazione complessiva di euro 2.086.936.887. L'ammontare di risorse teoricamente destinato alla regione, stimabile sulla base della quota dell'11,95 per cento, in euro 249 milioni circa, in ragione dell'assenza di progettazione, è stato distribuito sui territori delle altre regioni del Mezzogiorno;
    il programma di interventi relativo all'alta velocità e all'adeguamento infrastrutturale delle dorsali ferroviarie nazionali non ricomprende, tra le regioni destinatarie, la Sardegna;
    gli interventi del Fondo infrastrutture sin qui definiti interessano solo marginalmente la regione sarda, comunque esclusa dagli interventi di adeguamento della rete ferroviaria;
    gli interventi previsti dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, che approva con modifiche, il decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anticrisi il quadro strategico nazionale, destinano una specifica sezione di intervento, per 2.400 milioni di euro al sostegno delle ferrovie e del trasporto pubblico locale, utilizzando a tal fine le risorse del FAS 2007-2013;
    l'articolo 25 della legge 28 gennaio 2009, n. 2, al comma 2 cita esplicitamente i soli contratti di servizio di Trenitalia con le sole regioni a statuto ordinario «Per assicurare i necessari servizi ferroviari di trasporto pubblico, al fine della stipula dei nuovi contratti di servizio dello Stato e delle regioni a statuto ordinario con Trenitalia s.p.a., è autorizzata la spesa di 480 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011»: una restrittiva applicazione di tale norma condurrebbe quindi ad una paradossale penalizzazione di tutte le regioni a statuto speciale, contraddicendo lo stesso principio ispiratore dell'omogeneità del sistema ferroviario italiano; analoga perplessità riguarda la ripartizione delle risorse, al cui onere (1 440 milioni di euro per l'anno 2009 e 480 milioni di euro per ciascuno degli anni 2010 e 2011), ai sensi dei commi 3 e 4 del citato articolo 25, «si provvede mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 61, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, relativa al Fondo per le aree sottoutilizzate, a valere sulla quota destinata alla realizzazione di infrastrutture ai sensi dell'articolo 6-quinquies del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133»; «Ferrovie dello Stato s.p.a. presenta annualmente al Ministro dell'economia e delle finanze una relazione sui risultati della attuazione del presente articolo, dando evidenza in particolare del rispetto del criterio di ripartizione, in misura pari rispettivamente al 15 per cento e all'85 per cento, delle quote di investimento riservate al nord e al sud del Paese»;
    risulta inaccettabile che tali risorse relative al fondo aree sottoutilizzate, all'interno del contesto nazionale, ed in particolare del Mezzogiorno violino i criteri di ripartizione che non dovrebbero discostarsi per alcuna ragione da quelli assunti dal quadro strategico nazionale 2007-2013, che hanno da tempo codificato, in favore della Sardegna, una quota di ripartizione pari al 12,61 per cento del totale delle risorse dedicate al Mezzogiorno (delibera CIPE 166/2007);
    un eventuale scostamento da tali criteri di ripartizione andrebbe adeguatamente motivato, ad esempio sulla base di una compensazione per il pregresso non assegnato, ovvero assumendo criteri specifici relativi al fabbisogno infrastrutturale, misurabile attraverso fattori oggettivi quali l'estesa chilometrica, o l'insufficienza della velocità commerciale lungo linea: va detto sin d'ora che criteri di assegnazione delle risorse fondati sul riconoscimento dell'effettivo deficit infrastrutturale, condurrebbero a coefficienti di ripartizione delle risorse destinate al Mezzogiorno sensibilmente superiori al quantum sin qui solo teoricamente riconosciuto alla regione Sardegna. E di fatto comunque negato nell'ambito della richiamata programmazione;
    i criteri di ripartizione di tali somme all'interno del contesto nazionale, ed in particolare del Mezzogiorno non devono discostarsi in alcun modo se non per incrementarli, ai fini di ulteriore compensazione del pregresso sottratto, da quelli che il quadro strategico nazionale utilizza per la distribuzione delle risorse alla scala regionale, com’è noto pari al 12,61 per cento per ciò che attiene la regione Sardegna (delibera CIPE 166/2007, tabella 4);
    i criteri di riparto dovrebbero essere sensibilmente superiori a tale quota, soprattutto se si prendesse in considerazione ad esempio il dato di fabbisogno infrastrutturale (rilevabile dalla estesa chilometrica, e dalla modesta velocità commerciale lungo linea);
    la stima del quantum di risorse FAS, riparto nazionale, da assegnarsi alla regione Sardegna va comunque effettuata con la massima celerità al fine di recuperare i divari registrati e incrementati negli anni il citato comma due della legge 28 gennaio 2009, n. 2, non ha esplicitamente inserito nel riparto le regioni a statuto speciale, richiamando esclusivamente le sole regioni a Statuto ordinario; una restrittiva applicazione della norma costituirebbe una paradossale penalizzazione per tutte le regioni a statuto speciale, contraddicendo lo stesso principio ispiratore dell'omogeneità del sistema ferroviario italiano;
    il sostanziale disimpegno di Ferrovie dello Stato e RFI ha condotto ad un progressivo abbattimento dei livelli di servizio sul sistema ferroviario della Sardegna: come emerge dalla lettura degli orari riportati dal sito Trenitalia (FS) a velocità commerciale media sulla rete RFI s'aggira, in Sardegna, sui 65-70 chilometri/ora;
    soltanto uno dei 5 collegamenti Cagliari-Sassari (261 chilometri in ferrovia, sulla strada statale n. 131) è infatti effettuato dal treno più veloce in 2 ore e 50 minuti (velocità commerciale 92 chilometri/ora; gli altri quattro impiegano dalle 3 ore e 30’ alle 4 ore, con una velocità commerciale media oscillante tra i 75 ed i 65 chilometri/ora: tempo superiore del 50 per cento rispetto a quello «impiegabile» da un'autovettura di media cilindrata sulla strada statale n. 131;
    il collegamento Sassari-Olbia (116 chilometri) è coperto in circa 1h 50 minuti alla velocità commerciale inferiore ai 65 chilometri/ora;
    la tratta inter-city a più alto traffico (Cagliari-Oristano, 94 chilometri), che si sviluppa su tracciato in piano, è percorsa da circa 18 treni giornalieri, ma solamente 2 corse/die effettuano la tratta in 56 minuti circa, alla velocità commerciale di oltre 100 chilometri/ora: per le altre, i tempi di connessione giungono ai 70, 80, 110 minuti, segnate quindi da uno standard di esercizio che abbatte le velocità commerciali sino ai 60 e addirittura ai 47 chilometri/ora;
    il «Corridoio plurimodale Sardegna Continente» è privo del servizio di traghettamento ferroviario delle merci, sospeso da Trenitalia a partire dal luglio 2008;
    la rete ferroviaria sarda, con particolare riferimento alle condizioni di sicurezza risulta evidente la penalizzazione subita dalla Sardegna sia in termini di mancata assegnazione di risorse pregresse, sia in termini di continuo decadimento del livello di servizio ferroviario;
    nell'ambito della futura programmazione anche nel quadro della pianificazione dell'utilizzo del sovrapprezzo nazionale che dovesse essere previsto da futuri atti di Governo o legislativi, impegna il Governo: a valutare una rimodulazione dell'aggiornamento del contratto di Programma di Rete ferroviaria italiana tesa a restituire alla regione Sardegna le risorse parametrate spettantigli;
    a valutare l'opportunità di disporre non solo la riassegnazione delle risorse che gli sono state sottratte con la proposta di aggiornamento del contratto di programma ma a provvedere ad una assegnazione congrua del periodo di programmazione 2011/2015 dove la Sardegna risulta totalmente esclusa;
    a valutare la necessità di definire dei parametri certi per l'attribuzione delle risorse dei contratti di programma che risultano totalmente sbilanciati su alcune regioni a scapito di altre, su tutte la regione Sardegna; ad inserire la Sardegna nelle regioni dotate di una rete ad alta velocità capace di riequilibrare la dotazione infrastrutturale che vede sempre maggiore il divario proprio nel settore ferroviario tra l'Italia e la Sardegna,

impegna il Governo:

   a non procedere a nessun tipo di privatizzazione sino a quando non verranno predisposti e realizzati compiuti interventi di riequilibrio funzionale e gestionale del sistema ferroviario di tutte le regioni;
   a non procedere a nessun tipo di privatizzazione se non saranno prima verificati, accertati e compensati i divari relativi agli aspetti gestionali e funzionali delle Ferrovie dello Stato in Sardegna;
   a non procedere a nessun tipo di cessione di quote senza prima aver codificato e legiferato parametri di servizio pubblico da imporre ai soggetti gestionali;
   a non procedere a nessun tipo di cessione di quote senza aver prima sottoposto al Parlamento e alle regioni il tipo di privatizzazione e gli obblighi a cui deve essere assoggettato il gestore del servizio pubblico ferroviario.
(6-00182) «Pili».