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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Martedì 27 ottobre 2015

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli, nella seduta del 27 ottobre 2015.

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Alli, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bernardo, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bruno Bossio, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Antimo Cesaro, Cicchitto, Cimbro, Cirielli, Costa, Costantino, D'Alia, D'Uva, Dambruoso, Damiano, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fava, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Garofani, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Marca, La Russa, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Manfredi, Marazziti, Mazziotti Di Celso, Merlo, Meta, Migliore, Orlando, Pes, Picchi, Piccoli Nardelli, Pisicchio, Portas, Quartapelle Procopio, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Schullian, Scotto, Senaldi, Sorial, Tabacci, Valeria Valente, Vecchio, Velo, Vignali, Zanetti.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

  Adornato, Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Alli, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bernardo, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bruno Bossio, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Antimo Cesaro, Cicchitto, Cimbro, Cirielli, Costa, Costantino, D'Alia, D'Uva, Dambruoso, Damiano, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fava, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Garofani, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Marca, La Russa, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Manfredi, Marazziti, Mazziotti Di Celso, Merlo, Meta, Migliore, Nicoletti, Orlando, Pes, Piccoli Nardelli, Pisicchio, Portas, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Schullian, Scotto, Senaldi, Sorial, Tabacci, Valeria Valente, Vecchio, Velo, Vignali, Zanetti.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 26 ottobre 2015 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   FALCONE: «Nuova disciplina del commercio interno del riso» (3382);
   NICCHI: «Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di adozione dei minori da parte di persone conviventi non coniugate o di persone singole» (3383).

  Saranno stampate e distribuite.

Adesione di deputati a proposte di legge.

  La proposta di legge AIRAUDO ed altri: «Norme in materia di rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro, di rappresentatività delle organizzazioni sindacali e di efficacia dei contratti collettivi di lavoro» (709) è stata successivamente sottoscritta dalla deputata Duranti.

Trasmissioni dal Ministro dell'interno.

  Il Ministro dell'interno, con lettere del 6, del 7, del 9 e del 22 ottobre 2015, ha trasmesso le note relative all'attuazione data agli ordini del giorno INVERNIZZI n. 9/2496-A/45, accolto come raccomandazione dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 24 luglio 2014, concernente l'opportunità di ridurre il «servizio scorte» per rafforzare il presidio del territorio, RIZZO n. 9/2803-A/82, accolto dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 20 febbraio 2015, e DURANTI n. 9/2803-A/143, accolto come raccomandazione dal Governo nella medesima seduta, volti ad evitare ulteriori differimenti dell'avvio dei corsi teorico-pratici per le guardie giurate operanti a bordo delle navi battenti bandiera italiana con funzioni antipirateria e, per la parte di propria competenza, all'ordine del giorno Gregorio FONTANA ed altri n. 9/2893-AR/18, accolto dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 31 marzo 2015, sull'opportunità di rimodulare il Piano nazionale di impiego delle Forze armate, con l'inserimento delle province di Bergamo e Brescia, ai fini di prevenzione e contrasto del terrorismo.
  Il Ministro dell'interno ha altresì trasmesso elementi informativi in merito agli ordini del giorno Matteo BRAGANTINI n. 9/3-A/18, accolto dal Governo nella seduta dell'Assemblea dell'11 marzo 2014, riguardante il procedimento di registrazione dei contrassegni di lista presso il Ministero dell'interno, NESCI n. 9/3-bis-B/3 e RICCIATTI ed altri n. 9/3-bis-B/25, accolti dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 4 maggio 2015, concernenti l'esercizio del diritto di voto in luogo diverso da quello di residenza pur nell'ambito del territorio nazionale.

  Le suddette note sono a disposizione degli onorevoli deputati presso il Servizio per il Controllo parlamentare e sono trasmesse alla I Commissione (Affari costituzionali) competente per materia.

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 26 ottobre 2015, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alla III Commissione (Affari esteri), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   Comunicazione della Commissione al Consiglio – Fondo europeo di sviluppo (FES): previsioni degli impegni, dei pagamenti e dei contributi a carico degli Stati membri per il 2015, 2016, 2017, 2018 e 2019 (COM(2015) 523 final);
   Proposta di decisione del Consiglio relativa ai contributi finanziari che gli Stati membri devono versare per finanziare il Fondo europeo di sviluppo, compresi il massimale per il 2017, l'importo per il 2016 e la prima quota per il 2016 (COM(2015) 524 final), corredata dal relativo allegato (COM(2015) 524 final – Annex 1).

Richiesta di parere parlamentare su atti del Governo.

  Il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 27 ottobre 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 1 della legge 9 luglio 2015, n. 114, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva di esecuzione 2014/58/UE della Commissione, che istituisce, a norma della direttiva 2007/23/CE, un sistema per la tracciabilità degli articoli pirotecnici (218).

  Questa richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del Regolamento, alla I Commissione (Affari costituzionali) nonché, ai sensi del comma 2 dell'articolo 126 del Regolamento, alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), che dovranno esprimere i prescritti pareri entro il 6 dicembre 2015. È altresì assegnata, ai sensi del comma 2 dell'articolo 96-ter del Regolamento, alla V Commissione (Bilancio), che dovrà esprimere i propri rilievi sulle conseguenze di carattere finanziario entro il 16 novembre 2015.

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

INTERROGAZIONI

Iniziative di competenza per assicurare adeguati standard nel servizio di trasporto ferroviario, con specifico riferimento al territorio dell'Umbria – 3-01787; 3-01790

A)

   GIULIETTI e BRANDOLIN. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   molte sono state le segnalazioni in questi giorni specialmente da parte dei pendolari umbri costretti a viaggiare dentro carrozze surriscaldate e spesso sporche;
   la regione Umbria ha posto la questione all'attenzione della direzione regionale di Trenitalia, chiedendo, tra l'altro, una soluzione a una situazione oramai insostenibile per tantissimi cittadini che utilizzano il treno per motivi di lavoro, di studio e altro, anche in virtù di quanto stabilito dal contratto di servizio tra regione Umbria e Trenitalia che prevede l'effettuazione di servizi con uno standard ben definito e specifiche penalità a fronte di eventuali disservizi, che, però, devono essere occasionali e non sistematici come quelli attualmente rilevati, imputabili sostanzialmente a un'inadeguata ordinaria manutenzione dei rotabili o per altre cause al momento non conosciute;
   la regione si sta impegnando anche in relazione ai treni Intercity che non sono compresi nel contratto di servizio stipulato con Trenitalia –:
   quali iniziative il Governo intenda mettere in atto, per quanto di competenza, nei confronti di Trenitalia per risolvere una situazione insostenibile per migliaia di cittadini umbri e non solo costretti a viaggiare su carrozze senza aria condizionata (e in questi giorni con temperature intorno ai 40 gradi), oppure in molti casi malfunzionante e spesso senza un'adeguata e minima pulizia, tenendo conto, inoltre, che la situazione in cui versano tanti pendolari va ormai avanti da diverse settimane. (3-01787)


   GALLINELLA e CIPRINI. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   con il sopraggiungere della stagione estiva la situazione dei pendolari italiani risulta ulteriormente compromessa a causa del malfunzionamento degli impianti di climatizzazione interni alle vetture;
   in queste settimane sono molte le denunce che arrivano da tutta Italia, in particolare gli interroganti segnalano quelle dell'Umbria e della Toscana che, attraverso l'intervento dei comitati dei pendolari, hanno scritto e ottenuto risposte ufficiali da Trenitalia circa il malfunzionamento dell'aria condizionata;
   la situazione nelle prime settimane di giugno 2015 è invivibile, tanto che molti pendolari chiamano il loro viaggi quotidiani «viaggi della speranza»: carrozze super riscaldate mentre fuori ci sono 30 gradi, carrozze in cui l'impianto funziona ma è difettoso e si assiste pertanto a perdite d'acqua che costringono i viaggiatori a viaggiare con l'ombrello aperto o ad abbandonare il proprio posto; vetture in cui alcune carrozze sono fornite di aria condizionata e altre no, carrozze in cui l'impianto funziona ma la temperatura è rigidissima (causando spesso problemi di salute ai pendolari), tutto questo senza andare a ricordare le porte inservibili – che spesso bloccano letteralmente i pendolari all'interno di una carrozza – i vagoni inadeguati, i bagni inutilizzabili;
   in particolare nelle risposte fornite al coordinamento comitati pendolari umbri, Trenitalia ha ribadito che, di norma, essa provvede ad una manutenzione preventiva sugli impianti di climatizzazione delle vetture; ma le operazioni del 2015 sono iniziate con un leggero ritardo sui tempi previsti per uno slittamento nell'assegnazione dell'appalto;
   è stato predisposto da Trenitalia, infatti, un crash program con una task force operativa 7 giorni su 7, che ha interessato tutte le vetture del parco circolante in Umbria (si tratta di circa 150 vetture), che avrebbe dovuto portare a dei risultati per la fine del mese di maggio 2015;
   la manutenzione e gestione degli impianti di climatizzazione dei treni regionali in circolazione nell'Umbria sono state affidate, come si evince ancora dalla risposta all'istanza del coordinamento pendolari umbri, da Trenitalia con un'apposita gara alla Mitsubishi electric klimat transportation, ma è evidente che ad oggi i risultati non sono all'altezza delle aspettative richieste e che anche la task force messa in atto non ha dato i risultati auspicati;
   relativamente al caso umbro si segnala inoltre, in particolare, che è stata più volte segnalata l'anomalia che la manutenzione ordinaria dei treni venga effettuata fuori regione (Ancona), che di fatto, a quando segnalato dal coordinamento pendolari, sembrerebbe non consono agli standard qualitativi che vengono dichiarati, tanto che più volte lo stesso coordinamento ha fatto presente la necessità dell'istituzione di una squadra di manutenzione, presso la stazione di Foligno, dove insistono già le Grandi officine di manutenzione di Ferrovie dello Stato italiane, proprio per effettuare la manutenzione a quei materiali che lì sostano, per poi effettuare dei treni sovraregionali sia su Roma, Firenze, Ancona, che relazioni interne alla regione, senza attendere che per la turnazione dei servizi tornino, dopo vari giorni, presso le officine di Ancona per le riparazioni;
   la situazione dell'Umbria è la stessa alla quale quotidianamente assistono i pendolari di tutta Italia, costretti a viaggiare in condizioni disastrose o a subire i ritardi e le soppressioni che spesso tali problemi nella manutenzione dei treni comportano –:
   se sia a conoscenza della situazione sopra descritta e se, nell'ambito delle proprie competenze, non ritenga di assumere iniziative affinché vengano salvaguardati gli standard qualitativi e la corretta manutenzione straordinaria e ordinaria, nonché le revisioni periodiche sia del materiale rotabile che dei servizi, quali anche quelli di climatizzazione, all'interno delle vetture utilizzate quotidianamente dai cittadini italiani. (3-01790)


Iniziative in relazione alla bonifica della raffineria Tamoil di Cremona – 3-01788

B)

   ROSTELLATO, RIZZETTO, PRODANI, MUCCI, SEGONI, BALDASSARRE, BECHIS, ARTINI, TURCO e BARBANTI. – Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. – Per sapere – premesso che:
   nella XVI legislatura è stata presentata dai deputati radicali, primo firmatario Maurizio Turco, l'interrogazione a risposta scritta n. 4-18712 – rimasta senza risposta – con la quale si chiedeva quali fossero le ragioni del ritardo con il quale il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare aveva richiesto i verbali delle udienze preliminari al fine di costituirsi parte civile nel processo contro alcuni amministratori della raffineria Tamoil di Cremona, visto che durante l'udienza tenutasi il 19 novembre 2012 il giudice Guido Salvini aveva reso noto di aver ricevuto tale richiesta solo il 31 ottobre 2012 quando appena il 27 ottobre 2012 aveva ammesso gli imputati al rito abbreviato;
   in data 18 luglio 2014 è stata emessa una sentenza con la quale sono stati condannati i dirigenti della raffineria Tamoil di Cremona:
    a) Gilberti Enrico, per il reato di cui agli articoli 81-434 del codice penale alla pena di anni sei di reclusione e per quello di cui all'articolo 257 del decreto legislativo n. 152 del 2006 alla pena di sei mesi di arresto e 9.000 euro di ammenda, e Billi Giuliano Guerrino, per il reato di cui agli articoli 81-434 del codice penale alla pena di anni tre di reclusione oltre al pagamento in solido delle spese processuali relative al reato cui la condanna si riferisce e l'interdizione in perpetuo dai pubblici uffici, e li dichiara altresì in stato di interdizione legale durante l'espiazione alla pena;
    b) Abulaiha Mohamed Saleh e Colombo Pierluigi alla pena di un anno e otto mesi di reclusione ciascuno per il reato di cui all'articolo 449 del codice penale e alla pena di quattro mesi di arresto e di 6.000 euro di ammenda per il reato di cui all'articolo 257 del decreto legislativo n. 152 del 2006, oltre al pagamento in solido delle spese processuali relative al reato cui la condanna si riferisce, concedendogli il beneficio della sospensione condizionale della pena subordinando tale beneficio alla prosecuzione dei necessari interventi di bonifica e ripristino ambientale;
    c) Gilberti, Billi, Abulaiha e Colombo al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali cagionati alle costituite parti civili che saranno liquidati in separato giudizio civile, assegnando alle parti civili una provvisionale immediatamente esecutiva;
   al comune di Cremona – che al pari del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non si è costituito parte civile – è stata riconosciuta una provvisionale di 1 milione di euro in ragione del fatto che il dottor Gino Ruggeri, segretario dell'associazione radicale Piero Welby di Cremona, iscritto nelle liste elettorali del comune di Cremona si è avvalso, in ragione del mancato intervento del comune, della facoltà di cui all'articolo 9 del testo unico degli enti locali;
   nella sentenza si legge: «il comune di Cremona, rimasto estraneo al processo, affermi brevemente nella delibera in data 25 maggio 2012, che ha portato alla scelta di non costituirsi, che dalla condotta della Tamoil non sarebbero derivati al comune di Cremona danni di natura patrimoniale diversi dal danno ambientale di esclusiva pertinenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare»;
   «appare infine opportuno ricordare (...) che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonostante la natura dei reati contestati agli imputati, e pur ritualmente e più volte informato (ad esempio, la comunicazione di questo ufficio al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 17 maggio 2012, 9 luglio 2012 e 9 ottobre 2012 non seguite da alcun intervento), non ha presenziato alle udienze, né si è costituito parte civile» –:
   visto che la prima comunicazione del giudice per le indagini preliminari di Cremona è del 17 maggio 2012, a cui sono seguiti i solleciti del 9 luglio e 9 ottobre 2012, se risulti agli atti per quali motivi il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia richiesto i verbali delle udienze preliminari al fine di costituirsi parte civile nel processo contro alcuni amministratori della raffineria Tamoil solo il 31 ottobre 2012, giusto 4 giorni dopo che il giudice aveva ammesso gli imputati al rito abbreviato;
   se risulti agli atti quando il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha ricevuto l'informazione inviata il 17 maggio 2012 dal tribunale di Cremona e quale procedura è stata seguita per questa e le successive informazioni del 9 luglio e del 9 ottobre per arrivare al 31 ottobre 2012, data in cui il Ministero ha richiesto – in tempo non più utile – i verbali delle udienze preliminari al fine di costituirsi parte civile;
   se e quanto sia stato speso e/o sia previsto di spendere nella bonifica della raffineria Tamoil di Cremona. (3-01788)


Iniziative per la tutela dell'orso bruno nel settore centro-orientale dell'arco alpino – 3-01789

C)

   GAGNARLI. – Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. – Per sapere – premesso che:
   è di questi giorni la notizia di una nuova ordinanza della provincia di Trento per la cattura finalizzata alla captivazione permanente, o in alternativa l'abbattimento, di un orso colpevole di aver aggredito un uomo mentre faceva jogging;
   dalla ricostruzione dei fatti è emerso che l'orso ha attaccato l'uomo senza alcuna provocazione, ma attirato da urla e gesti bruschi e spaventati dell'uomo, nonché dalla presenza del suo cane: sia la presenza dell'animale, sia i gesti dell'uomo possono essere infatti percepiti come «provocazioni» dall'orso, come si evince sia sul sito della stessa provincia di Trento, sia nelle guide sul comportamento da tenere in presenza di un orso;
   essendo stato provocato in questo modo, pur di certo involontariamente da parte dell'uomo, l'orso non può essere considerato pericoloso e dunque non rientra nei casi contemplati dal «pacobace» (piano di azione interregionale per la conservazione dell'orso bruno nelle Alpi centro-orientali), il piano d'azione che contiene gli strumenti da attivare nei casi di riscontrata pericolosità di un orso;
   l'orso è inserito tra le specie presenti nell'allegato II (specie strettamente protette) della Convenzione di Berna (recepita in Italia con la legge 5 agosto 1981, n. 503) per le quali è proibita la cattura ed uccisione, nonché è inserito nell'allegato D (specie di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa) del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, di recepimento della direttiva n. 92/43/CE (cosiddetta direttiva habitat). In base all'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica citato è espressamente previsto che: «1. Per le specie animali di cui all'allegato D, lettera a), al presente regolamento, è fatto divieto di: a) catturare o uccidere esemplari di tali specie nell'ambiente naturale»; inoltre, l'articolo 1 della legge n. 157 del 1992, di recepimento della direttiva n. 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979, dispone che «la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell'interesse della comunità nazionale ed internazionale», mentre l'articolo 2 della stessa legge statuisce che l'orso è specie particolarmente protetta «anche sotto il profilo sanzionatorio»;
   il piano di azione interregionale per la conservazione dell'orso bruno nelle Alpi centro-orientali dispone comunque che «ai sensi decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, l'eventuale abbattimento di un orso richiede una specifica autorizzazione da parte del Ministero, concessa sulla base di un parere dell'Ispra»; eppure non risulta, agli interroganti, esistere né autorizzazione ministeriale, né parere dell'Ispra, avendo ancora una volta la provincia di Trento agito in piena autonomia;
   le associazioni ambientaliste si stanno mobilitando per salvare l'orso dal possibile abbattimento e la Lav, da parte sua, ha già provveduto ad inviare una lettera urgente al Commissario europeo per l'ambiente Karmenu Vella, perché prenda i provvedimenti necessari alla luce di quelle che appaiono violazioni della legislazione comunitaria;
   l'etologo Roberto Marchesini, che nel 2014 era stato incaricato di redigere una relazione per il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare su Daniza, sul nuovo caso trentino ha dichiarato che: «i rappresentanti dell'amministrazione trentina imputano all'orso o in genere agli orsi il problema come se fossero all'oscuro di cos’è un orso. Non viene in mente nemmeno di sfuggita d'aver sbagliato tutte le coordinate del progetto e di non essere stati capaci di gestire poi una corretta politica di convivenza»;
   è importare ricordare, infatti, che la reintroduzione dell'orso in Trentino, allo scopo di salvare il piccolo nucleo di orsi oramai destinati all'estinzione, ha avuto inizio nel 1999, grazie al progetto Life Ursus ed ai correlati finanziamenti dell'Unione europea. Il buon successo dell'iniziativa è testimoniato dalla ripresa della popolazione di orso e, indirettamente, dal fatto che l'Unione europea ha deciso di contribuire economicamente al progetto, finanziando il parco dell'Adamello-Brenta per ben tre volte mediante l'accesso agli strumenti finanziari Life;
   dal 1o settembre 2010 la gestione e la tutela dell'orso in provincia di Trento sono entrate a far parte del progetto Life Arctos, che vede tra gli obiettivi principali proprio la gestione del fenomeno degli orsi confidenti/problematici presenti in provincia di Trento e lungo il confine tra la regione Friuli Venezia Giulia e la Slovenia, oltre che in tutto l'areale dell'orso marsicano. Tale progetto è stato finanziato dall'Unione europea e dagli altri partner, per un importo superiore a 3,9 milioni di euro;
   il piano d'azione interregionale per la conservazione dell'orso bruno delle Alpi centro-orientali rappresenta lo strumento fondamentale dal quale dipende la conservazione dell'orso bruno e quindi la possibilità di evitare la sua estinzione. È stato sottoscritto, nel 2010, dalle province autonome di Trento e Bolzano, dalle regioni Friuli Venezia Giulia, Veneto e Lombardia, dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (dipartimento per l'assetto dei valori ambientali del territorio-direzione generale per la protezione della natura) e dall'Ispra;
   già nel settembre 2014 un'orsa (Daniza) veniva uccisa indebitamente da un medico veterinario della provincia di Trento che otteneva poi oblazione per il reato di cui all'articolo 727-bis del codice penale per uccisione di specie protetta;
   nei giorni successivi l'emanazione dell'ordinanza provinciale con la quale veniva disposta la cattura dell'orsa Daniza, è stata depositata l'interrogazione n. 5-03303 sulla «captivazione permanente» degli orsi considerati problematici. L'interrogazione, depositata il 23 luglio 2014, traeva spunto dalle modifiche introdotte dalla provincia di Trento al piano d'azione interregionale per la conservazione dell'orso bruno nelle Alpi centro-orientali. Tali modifiche hanno inteso codificare la categoria di «orso dannoso», verso la quale è possibile attivare azioni di «captivazione permanente» e finanche di abbattimento. All'atto ha risposto il Sottosegretario pro tempore Barbara Degani, argomentando, fra le altre cose, che: «Sin da subito, tuttavia, è stata ampiamente condivisa con gli altri soggetti istituzionali coinvolti nel processo di tutela dell'orso bruno, la necessità di un'attenta e rinnovata valutazione a tutto campo delle possibili iniziative volte a integrare e migliorare, laddove possibile, le misure già previste nel «pacobace», anche tenuto conto della recente esperienza dell'orsa Daniza e dei suoi cuccioli, e ciò al fine prioritario di assicurare la maggiore tutela possibile alla popolazione di orso bruno attualmente insistente nel settore centro-orientale dell'arco alpino, tema sul quale il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al pari degli enti territoriali interessati, rivolge particolare attenzione istituzionale» –:
   se non intenda, viste le norme citate ed il ruolo preminente del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nella gestione degli orsi su tutto il territorio nazionale, ivi compreso evidentemente la provincia autonoma di Trento, provvedere al diretto ed urgente coinvolgimento del suo Ministero, ai sensi e per gli effetti della normativa citata e del piano di azione interregionale per la conservazione dell'orso bruno nelle Alpi centro-orientali, allo scopo di evitare, per quanto di competenza, la violazione delle disposizioni, dei protocolli e delle norme richiamate, nonché l'uccisione ingiusta di un orso che non ha assunto comportamenti problematici, disponendo le misure non cruente previste dal piano di azione interregionale per la conservazione dell'orso bruno nelle Alpi centro-orientali in proposito, ad iniziare dalla cattura con rilascio e radiomarcaggio;
   se e quando intenda dare seguito a quanto indicato dal Sottosegretario pro tempore Degani in risposta all'interrogazione n. 5-03303 sul tema degli orsi, in particolare nella parte in cui afferma la necessità di valutare a tutto campo «le possibili iniziative volte a integrare e migliorare, laddove possibile, le misure già previste nel “pacobace”». (3-01789)


MOZIONI BENEDETTI ED ALTRI N. 1-00720, ZACCAGNINI ED ALTRI N. 1-01019, DORINA BIANCHI ED ALTRI N. 1-01022, OLIVERIO, MONCHIERO, PASTORELLI ED ALTRI N. 1-01023, PALESE ED ALTRI N. 1-01024 E FAENZI ED ALTRI N. 1-01026 IN MATERIA DI AUTORIZZAZIONE ALLA COMMERCIALIZZAZIONE E ALL'UTILIZZO DEI PRODOTTI FITOSANITARI

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    da alcuni anni la direzione generale igiene e sicurezza degli alimenti e nutrizione del Ministero della salute autorizza, in «situazioni di emergenza sanitaria», alcuni prodotti fitosanitari in virtù dell'articolo 53 del regolamento (CE) 1107/2009; negli ultimi anni, il ricorso a questa procedura di autorizzazione speciale in Italia è stato esponenziale: secondo quanto indicato sul sito del Ministero della salute sono 31 le istanze di «autorizzazioni eccezionali», ma in alcuni casi si vedono reiterare, di anno in anno, le stesse richieste per gli stessi prodotti, le stesse patologie e le stesse colture; i prodotti fitosanitari autorizzati in deroga sarebbero stati 41 nell'anno 2012, 60 nell'anno 2013 e 75 nell'anno 2014;
    la maggior parte di queste sostanze attive non sono più o non sono ancora autorizzate dall'Unione europea (ad esempio, 1,3 dicloropropene; chloropicrin; pretilachlor; propanil; propargite; quinclorac; terbacil) e il meccanismo dell’«autorizzazione eccezionale» consente di non effettuare l’iter previsto dal sistema autorizzativo, che prevede, fra l'altro, la verifica dell'impatto (ambientale e sulla salute), non essendo, le richieste, corredate della documentazione necessaria a tali scopi, come previsto nelle autorizzazioni all'immissione in commercio dai prodotti;
    le autorizzazioni eccezionali sono utilizzate, in particolare, per fitosanitari che nelle schede di sicurezza indicano principi attivi con classi di rischio nocive e tossiche per l'uomo e l'ambiente, tanto è vero che la maggior parte di questi non ha superato le procedure di autorizzazione europee; tale rischio, molto spesso, è più che ridimensionato nelle etichette approvate con i decreti dirigenziali;
    l'interrogazione n. 4-04948, ancora in attesa di risposta, riporta alcuni esempi di prodotti fitosanitari autorizzati; il regolamento (CE) n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 ottobre 2009, all'articolo 30, comma 1, indica che «uno Stato membro può dare un'autorizzazione provvisoria se la Commissione non è giunta a una decisione entro 30 mesi dalla accettazione dell'applicazione – l'autorizzazione provvisoria ha validità per tre anni»;
    a parere dei firmatari del presente atto d'indirizzo, i decreti non appaiono quindi conformi alla legge n. 150 del 2012; inoltre, l'articolo 30 del regolamento (CE) n. 1107/2009 è stato di fatto stravolto, visto che le autorizzazioni eccezionali si sono perpetuate ben oltre i 3 anni previsti; appare inoltre scorretto il reiterarsi annuale dell'emergenza che, diventando prassi, perde di fatto la sua caratteristica fondante, come pure rischia di diventare un abuso il ricorso, anno dopo anno, all'articolo 53 del regolamento (CE) n. 1107/2009, relativo a «situazioni di emergenza fito-sanitaria»;
    con l'interrogazione n. 4-05032 sono stati interrogati, senza ancora riceverne risposta, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali in merito alle carenze riscontrate nella normativa di recepimento della direttiva n. 2009/128/CE, sia il decreto legislativo che il piano d'azione, in particolare sui troppi rinvii a decreti attuativi che tale impianto normativo prevede, sull'inconsistenza dell'impianto sanzionatorio e delle misure previste dalla lotta integrata obbligatoria, sulla mancata individuazione degli obiettivi, sulle azioni di tutela dell'ambiente acquatico e delle fonti di approvvigionamento di acqua potabile da applicare in campo agricolo;
    per alcuni decreti attuativi e per alcune misure risulta sia scaduto il termine previsto, in particolare: l'articolo 25, comma 3, del decreto legislativo n. 150 del 2012, che prevede un decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali da emanarsi entro il 12 agosto 2014, con cui determinare le tariffe ed il relativo versamento per i controlli delle attrezzature di applicazione dei prodotti fitosanitari; l'articolo 10, comma 4, del decreto legislativo n. 150 del 2012, che prevede un decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, da emanarsi entro il 26 novembre 2013, per adottare specifiche disposizioni per l'individuazione dei prodotti fitosanitari destinati ad utilizzatori non professionali; il paragrafo A.3.10 del piano di azione nazionale, che preveda un decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, da emanarsi entro 6 mesi dall'approvazione del piano di azione nazionale, per la costituzione di una banca dati nazionale relativa ai controlli effettuati sulle macchine di distribuzione dei fitofarmaci ed il ruolo di Enama, organismo di supporto al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali; l'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n. 150 del 2012, che prevede, entro il 30 aprile 2013, la trasmissione al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali delle misure messe in atto dalle regioni e dalle province autonome, per rendere possibile l'applicazione dei principi generali della difesa integrata obbligatoria; l'articolo 19, comma 7, del decreto legislativo n. 150 del 2012, che prevede, entro il 30 giugno 2013, la trasmissione del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali alla Commissione europea di una relazione sullo stato di attuazione delle misure messe in atto dalle regioni per rendere possibile l'applicazione dei principi generali della difesa integrata obbligatoria; l'articolo 16, comma 1, del decreto legislativo n. 150 del 2012, che prevede, entro il 30 ottobre 2012, la trasmissione delle regioni al Ministero della salute ed al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali dell'elenco dei soggetti autorizzati alla vendita di prodotti fitosanitari;
    fa seguito a questi atti e misure una serie di altre questioni che il piano di azione nazionale affida ad ulteriori decreti attuativi, da emanare entro 1 anno dall'entrata in vigore dello stesso, quindi entro il 13 febbraio 2015. Tra questi, la messa a disposizione per le regioni delle informazioni più rilevanti sulla tossicità, ecotossicità, il destino ambientale e gli aspetti fitosanitari dei prodotti in commercio;
    all'articolo 14 del decreto legislativo n. 150 del 2012 si specifica che il piano di azione nazionale definisce le misure appropriate per la tutela dell'ambiente acquatico e delle fonti di approvvigionamento di acqua potabile dall'impatto dei prodotti fitosanitari e che le regioni assicurano l'attuazione delle misure previste dal piano, informando ogni anno il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministero della salute sulle misure adottate. A questo proposito, la Commissione europea, nella riunione bilaterale del 24 settembre 2013, ha chiesto all'Italia la precisa definizione delle misure da applicare in campo agricolo per la tutela delle acque;
    al paragrafo A5 del piano di azione nazionale, riferito agli articoli 14 e 15 del decreto legislativo n. 150 del 2012, si stabilisce che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ed il Ministero della salute, su proposta del consiglio, entro 12 mesi dall'entrata in vigore del piano, predispongano linee guida di indirizzo per la tutela dell'ambiente acquatico e dell'acqua potabile e per la riduzione dell'uso di prodotti fitosanitari e dei relativi rischi in aree specifiche;
    oltre a quanto innanzi citato, altre misure e decreti attuativi dovranno far seguito al piano di azione nazionale, per i quali tuttavia non è stato definito un termine temporale, come, ad esempio, le misure per disciplinare la vendita di prodotti fitosanitari on line;
    l'articolo 24 del decreto legislativo n. 150 del 2012, infine, stabilisce le sanzioni per la mancata applicazione delle prescrizioni stabilite dal decreto stesso. Tuttavia, risulta evidente che la maggior parte delle sanzioni interessa la parte della distribuzione e della formazione professionale, trascurando, ad esempio, quelle relative all'articolo 11 su informazione e sensibilizzazione, all'articolo 14 sulla tutela dell'ambiente acquatico e delle acque potabili, all'articolo 15 sulla tutela delle aree specifiche, all'articolo 17 sulla manipolazione e stoccaggio dei prodotti fitosanitari e trattamento dei relativi imballaggi e delle rimanenze, ma soprattutto all'articolo 19 in merito all'applicazione dei principi generali della difesa integrata obbligatoria, di cui all'allegato III del decreto legislativo n. 150 del 2012, argomento principale della norma;
    in alcune regioni d'Italia (Veneto, Piemonte, Lombardia) i prodotti Aviozolfo e Aviocaffaro vengono autorizzati ininterrottamente dal 2008 anno dopo anno per l'irrorazione aerea, nonostante l'articolo 9 della direttiva 2009/128/CE, recepita in Italia con il decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, lo vieti e limiti la deroga solo in condizioni estremamente circoscritte e controllate, per esempio nel caso in cui non ci fossero alternative praticabili rispetto all'uso degli elicotteri oppure in caso di evidenti vantaggi per la salute umana e l'ambiente rispetto all'applicazione dei fitosanitari da terra;
    le autorizzazioni speciali annuali fanno riferimento al regolamento (CE) n. 1107/2009, che all'articolo 53, «situazioni di emergenza fitosanitaria», recita: «In deroga all'articolo 28, in circostanze particolari uno Stato membro può autorizzare, per non oltre centoventi giorni, l'immissione sul mercato di prodotti fitosanitari per un uso limitato e controllato, ove tale provvedimento appaia necessario a causa di un pericolo che non può essere contenuto in alcun altro modo ragionevole»; a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo le deroghe si ispirano impropriamente a tale regolamento, in quanto non sussisterebbero né tale emergenza fitosanitaria, né la necessità, dimostrata, del provvedimento di autorizzazione «a causa di un pericolo che non può essere contenuto in alcun altro modo ragionevole»;
    la normativa vigente, tra cui il piano d'azione nazionale, indica una serie di misure di gestione dei rischi che i soggetti autorizzati e le autorità competenti devono attuare a tutela dell'ambiente e della popolazione, come, per esempio, l'obbligo di avviso preventivo dei residenti e le prescrizioni per la riduzione dell'effetto deriva; il piano d'azione nazionale esclude l'utilizzo di prodotti fitosanitari classificati tossici e molto tossici che riportano in etichetta determinate frasi di rischio, presenti anche nei prodotti Aviozolfo e Aviocaffaro; inoltre non si ravviserebbero gli estremi di pericolo non contenibile in altri modi ragionevoli, così come indicati nella norma in parola;
    con l'interrogazione n. 4-04886, ancora in attesa di risposta, si portava a conoscenza del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, del Ministro della salute e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare la situazione della provincia di Treviso, dimostrando l'assenza delle condizioni che giustificherebbero la deroga, in quanto vi sarebbero alternative praticabili, rispetto all'uso degli elicotteri, e inoltre l'irrorazione aerea non comporterebbe alcun vantaggio per la salute umana e l'ambiente, rispetto all'applicazione dei fitosanitari da terra;
    l'utilizzo del mezzo aereo sarebbe giustificato dal fatto che la pendenza delle colline non consentirebbe i trattamenti da terra; ciononostante avvengono regolarmente (in stagione) tutti i trattamenti da terra raccomandati con cadenza quindicinale, come, per esempio, gli interventi antiperonosporici o acaricidi e la raccolta; l'irrorazione aerea sarebbe quindi l'alternativa praticabile, facendo quindi decadere la condizione che giustifica la deroga; a dimostrazione che le alternative sono possibili, 9 dei 15 comuni del consorzio docg Prosecco hanno vietato i trattamenti aerei sull'intera area comunale;
    nella provincia di Treviso, in alcuni comuni del consorzio docg Prosecco, zona nella quale avvengono spesso le irrorazioni aeree in deroga, le case, le scuole, gli orti privati, le strade sono confinanti con i vigneti e pare che siano molte le segnalazioni di residenti e turisti che lamentano di essere stati «irrorati» insieme ai vigneti, di non essere stati avvisati preventivamente e di non essere mai stati informati del tempo di carenza di 48 ore, prima di poter accedere alla zona irrorata dall'elicottero; inoltre, nelle aree trattate non è mai stata posta adeguata e visibile segnalazione, così come previsto dal punto A.5.6 del piano d'azione nazionale;
    considerando che la deriva della nuvola irrorata dai trattamenti a terra non è controllabile, a maggior ragione la deriva risulta ancor più incontrollabile, quando l'irrorazione avviene a 40 e più metri da terra e con correnti d'aria non misurabili; l'irrorazione aerea amplifica i rischi per la salute umana e per l'ambiente, in quanto le irrorazioni dall'elicottero ovviamente sono molto più invasive; la deriva dell'elicottero si estende oltre i limiti del vigneto trattato; grazie all'azione del vento le gocce più piccole vengono trasportate molto più lontano; quindi, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, l'irrorazione aerea non può rappresentare alcun vantaggio per la salute umana e per l'ambiente rispetto all'applicazione di pesticidi a terra, facendo decadere la condizione che giustifica la deroga;
    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo appare estremamente difficoltoso il rispetto delle prescrizioni specifiche di cui all'articolo A.4.5 del piano d'azione nazionale, soprattutto per quanto riguarda il controllo del diametro medio delle gocce delle miscele irrorate e l'applicazione della scala di Beaufort, essendo prevista per misurazioni in pianura e non per le misurazioni in collina;
    i due prodotti Aviozolfo e Aviocaffaro hanno una composizione che è nota solo in parte: 1'85 per cento dell’Aviozolfo e il 20 per cento dell’Aviocaffaro; le percentuali sconosciute sono coformulanti, che la dottoressa Maristella Rubbiani dell'Istituto superiore di sanità definisce come «spesso più pericolosi dei principi attivi»; entrambe i prodotti hanno frasi di rischio vietate dal piano d'azione nazionale;
    con l'interrogazione n. 4-05099, in attesa di risposta, si portava a conoscenza del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, del Ministro della salute e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un'iniziativa dell'associazione Wwf AltaMarca, che ha proposto ai cittadini dei comuni dell'area docg Prosecco Conegliano Valdobbiadene di chiedere ai propri sindaci i dati relativi agli erbicidi utilizzati nelle aree urbane; dalle risposte ottenute dalle amministrazioni risulta che, come documentato nell'interrogazione citata, alcuni comuni abbiano utilizzato prodotti che il piano d'azione nazionale vieta all'articolo A.5.6.1; lo stesso articolo prevede, inoltre, nelle zone frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili, il divieto dei trattamenti diserbanti, da sostituire con metodi alternativi;
    inoltre, al punto A.5.6 vengono indicate le misure obbligatorie per i trattamenti eseguiti in aree agricole in prossimità di aree frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili; in particolare, si indica la distanza minima da tali aree, 30 metri, e le caratteristiche dei prodotti che possono essere utilizzati;
    in alcuni comuni dell'area docg Prosecco Conegliano Valdobbiadene, come, per esempio, il comune di Farra di Soligo, le abitazioni sono confinanti con i vigneti irrorati con erbicidi e fungicidi vietati dal piano d'azione nazionale; anche il traffico pedonale e automobilistico è a diretto contatto con i vigneti irrorati; trattasi, quindi, di zone costantemente frequentate dalla popolazione e gruppi vulnerabili, come citati nel piano d'azione nazionale all'articolo A.5.6; allo stesso articolo vengono indicate le suddette misure per la riduzione dei rischi derivanti dall'impiego dei prodotti fitosanitari nelle aree frequentate dalla popolazione o gruppi vulnerabili, conferendo alle autorità locali competenti il potere di determinare misure più restrittive;
    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo è evidente la mancanza di un controllo e di relative sanzioni efficaci sulle aree nelle quali il mezzo chimico può essere usato, che garantisca il rispetto della normativa vigente a tutela della salute dei cittadini e del loro ambiente; peraltro, l'estrema vicinanza uomo-vigneti, di fatto, annulla la distinzione tra ambiente urbano e ambiente agricolo, che il piano d'azione nazionale distingue; trattasi, infatti, di un unico ambiente nel quale le due entità coesistono, richiedendo, per questo, attenzioni particolari che, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, si traducono nell'utilizzo di mezzi non chimici e controllo biologico; anche a livello terminologico manca un'adeguata definizione degli ambienti in cui è assente il confine agricolo/urbano; per esempio, non è chiaro se i casi di vigneti a ridosso delle abitazioni siano da considerarsi ambiente urbano o agricolo; è altresì necessario definire in modo univoco chi siano concretamente le autorità locali competenti dovranno disporre del personale e dei mezzi di controllo del territorio; il cittadino infatti ha necessità di rivolgersi ad un'unica autorità ben definita, per sollecitare controlli puntuali ed eventualmente per segnalare infrazioni alla normativa vigente, con la certezza di avere risposte certe ed adeguate;
    il piano d'azione nazionale, nell'indicare i divieti o le prescrizioni, fa più volte riferimento alle frasi di rischio indicate in etichetta, per esempio agli articoli A.5.6, A.5.6.1 e A.5.6.2; anche le autorizzazioni in deroga dei prodotti fitosanitari, disposte dall'articolo 53 del regolamento (CE) 1107/2009, fanno riferimento alle etichette dei prodotti, che si trovano nel database dei prodotti fitosanitari del Ministero della salute e vengono allegate ai decreti dirigenziali;
    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo il riferimento alle etichette è pericoloso e fuorviante per l'utilizzatore e per il cittadino che volesse informarsi correttamente, in quanto le informazioni appaiono incomplete e quindi scorrette. Per esempio, riportano una parziale composizione dei prodotti (tralasciando spesso proprio i principi attivi maggiormente presenti nel preparato e i coformulanti) e solo alcune frasi di rischio, tralasciando inoltre le frasi R;
    con l'interrogazione n. 4-05077, ancora in attesa di risposta, si riportavano alcuni esempi di dati riportati nelle etichette di alcuni prodotti, confrontati con i dati delle corrispettive schede di sicurezza del medesimo prodotto; dall'osservazione di numerose etichette messe a confronto con le schede di sicurezza si nota che le etichette indicano normalmente un solo componente della miscela e non sempre il più rappresentativo della tossicità o quello presente in maggior percentuale; inoltre, le frasi di rischio sono riferite al componente dichiarato, mentre quelle relative ai componenti non citati (spesso i più pericolosi e/o maggiormente presenti nella miscela) sono tralasciate; in alcuni casi viene riportata una sola frase di rischio nonostante il prodotto ne abbia più di una; questo fatto appare più evidente in alcune etichette autorizzate in deroga con decreto dirigenziale, spesso le frasi di rischio mancanti in etichetta rientrano tra quelle vietate dal piano d'azione nazionale; di fatto queste etichette ridimensionano la classe di rischio ben evidenziata, invece, nelle schede di sicurezza che riportano anche istruzioni dettagliate; informazioni che ogni utilizzatore deve assolutamente conoscere;
    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo è di fondamentale importanza che, a tutela della salute pubblica e dell'ambiente, i riferimenti informativi a disposizione degli utilizzatori dei prodotti e dei cittadini, cui fa riferimento il Ministero e il piano d'azione nazionale, siano affidabili e contengano tutte le informazioni complete e corrette sui prodotti fitosanitari;
    lo studio della dottoressa Maristella Rubbiani, primo ricercatore dell'Istituto superiore di sanità, dal titolo «La problematica relativa alla presenza di coformulanti pericolosi nei preparati antiparassitari di uso agricolo o domestico», spiega come questi coformulanti, spesso più pericolosi della sostanza attiva autorizzata, vengano utilizzati come solventi, adesivanti, bagnanti, tensioattivi ed altro, nei preparati antiparassitari di uso agricolo, domestico o civile;
    la normativa vigente non prevede, per alcuni di questi agenti, l'obbligatorietà della dichiarazione in etichetta relativamente all'identità ed alla concentrazione della sostanza utilizzata come coformulante all'interno del preparato; infatti, mentre per legge solo l'ingrediente attivo deve essere specificato in etichetta con nome e percentuale in peso presente nel prodotto finito, per i coformulanti è sufficiente il nome collettivo («coformulanti e solventi») e la percentuale cumulativa presente nel prodotto, senza l'identificazione specifica di ogni sostanza; alcune sostanze possono essere utilizzate come ingredienti attivi in certi prodotti specifici, ma fungere da solventi, ed essere quindi considerati coformulanti, in altri preparati;
    talvolta, in caso di intossicazione, risulta estremamente difficoltoso risalire alla vera causa del danno tossicologico non potendo sapere cosa fa più male, se il principio attivo studiato o il coformulante di cui non si conosce la natura ed il pericolo;
    secondo un recente studio i principali pesticidi sono più tossici per le cellule umane rispetto ai corrispondenti principi attivi dichiarati. Essi contengono adiuvanti, la cui composizione spesso viene mantenuta confidenziale. Tali sostanze sono considerati inerti da parte delle aziende produttrici e in genere solo il principio attivo dichiarato viene testato. Gli scienziati hanno testato la tossicità di nove pesticidi, confrontando gli effetti dei principi attivi con quelli dell'intera formulazione (principio attivi + audiuvanti), su tre linee cellulari umane. In otto casi su nove la formulazione (il prodotto finale) è risultata fino a mille volte più tossica del suo principio attivo. Gli esperti concludono che i risultati mettono in discussione la rilevanza della dose giornaliera accettabile per i pesticidi, perché questa viene calcolata sulla tossicità del solo principio attivo e non considera l'intera formulazione;
    il rapporto nazionale pesticidi dell'Ispra-edizione 2014 rileva nelle acque la presenza di 175 sostanze, definendolo un cocktail i cui effetti non sono ancora ben conosciuti. Nei campioni sono stati rilevati spesso miscele di sostanze diverse, fino 36 contemporaneamente. Come segnalato fino 36 dai comitati scientifici della Commissione europea, il rischio derivante dall'esposizione a miscele di sostanze è sottostimato dalle metodologie utilizzate in fase di autorizzazione, che valutano le singole sostanze e non tengono conto degli effetti cumulativi;
    il 22 dicembre 2009 il Consiglio «ambiente» dell'Unione europea adottò le conclusioni sugli effetti combinati delle sostanze chimiche, esortando la Commissione europea e gli Stati membri ad intensificare le attività di ricerca nel settore, anche rivedendo la base dati di ricerca esistente. Esistono lacune conoscitive riguardo agli effetti di miscele chimiche e, conseguentemente, risulta difficile realizzare una corretta valutazione tossicologica in caso di esposizione contemporanea a diverse sostanze (Backhaus, 2010). Gli studi dimostrano che la tossicità di una miscela è sempre più alta di quella del componente più tossico presente (Kortenkamp ed altri, 2009); nel 2012 sono state pubblicate le conclusioni sulla tossicità delle miscele di tre comitati scientifici della Commissione europea. In particolare, nel documento si afferma che esiste un'evidenza scientifica per cui l'esposizione contemporanea a diverse sostanze chimiche può, in determinate condizioni, dare luogo ad effetti congiunti che possono essere di tipo additivo, ma anche di tipo sinergico, con una tossicità complessiva più elevata di quella delle singole sostanze. Nel documento, inoltre, si evidenzia come principale lacuna la limitata conoscenza riguardo alle modalità con cui le sostanze esplicano i loro effetti tossici sugli organismi;
    il rapporto Ispra segnala, inoltre, una disomogeneità fra le regioni del Nord e quelle del Centro-Sud, dove il monitoraggio è generalmente meno rappresentativo dello stato di qualità delle acque e la necessità, quindi, di un aggiornamento complessivo dei programmi di monitoraggio, per tenere conto delle nuove sostanze. Sarebbero circa 200, infatti, le sostanze immesse sul mercato in anni recenti e non incluse nei programmi di monitoraggio, 44 di queste sono classificate pericolose, in particolare 38 sono pericolose per l'uomo o per l'ambiente; si palesa, quindi, la necessità di inserire nei protocolli regionali alcune sostanze che, ove ricercate, sono responsabili del maggior numero di casi di non conformità, quali il Glifosate e l’Ampa. Ci sarebbe, quindi, uno sfasamento tra lo sforzo di ricerca, che si concentra soprattutto su alcuni erbicidi e sui loro principali metaboliti, e le sostanze più frequenti nelle acque, gran parte delle quali non figurano tra le più cercate. Le regioni cercano in media 55 sostanze nelle acque superficiali e 68 in quelle sotterranee, meno che nel 2010;
    le sostanze che determinano il maggior numero di casi di superamento dei limiti sono Glifosate e il metabolita Ampa, che sono cercati esclusivamente nella regione Lombardia; essendo l'erbicida largamente impiegato, è probabile che il suo inserimento nei programmi di monitoraggio possa determinare un sensibile aumento dei casi di non conformità nelle regioni dove ora non viene cercato;
    il glifosato, in particolare, è il pesticida che più di ogni altro determina il superamento degli standard di qualità ambientale nelle acque superficiali, non a caso una ricerca sul cancro dell'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) inserisce questo diserbante nella classe 2A – che precede quella dei «cancerogeni certi» – come «probabilmente cancerogeno per gli esseri umani»; per tali ragioni a livello europeo, l'International society of doctors for environment (Isde), presente in 27 Paesi, ha chiesto all'Europarlamento e alla Commissione europea di vietare immediatamente la produzione, il commercio e l'uso del glifosato, su cui si attende la procedura di rivalutazione entro la fine del 2015;
    il rapporto 2014 evidenzia che non c’è ancora un quadro nazionale completo della presenza di residui di pesticidi nelle acque per una serie di cause: copertura incompleta del territorio, disomogeneità del monitoraggio, assenza dai protocolli regionali delle sostanze immesse sul mercato negli anni più recenti, affermando che si è ancora in una fase transitoria in cui l'entità e la diffusione dell'inquinamento non sono sufficientemente noti, tenendo conto, ovviamente, che il fenomeno è sempre in evoluzione per l'immissione sul mercato di nuove sostanze;
    il rapporto 2014 segnala, inoltre, che il calo delle vendite di prodotti fitosanitari registrato nel periodo 2001-2012 non si riflette ancora nei risultati del monitoraggio, che continua a segnalare una presenza diffusa dei pesticidi nelle acque, con un aumento delle sostanze rinvenute. Fra le molte ragioni elencate, la causa più preoccupante e segnalata è la persistenza di certe sostanze, che insieme alle dinamiche idrologiche molto lente (specialmente nelle acque sotterranee) rende i fenomeni di contaminazione ambientale difficilmente reversibili,

impegna il Governo:

   a ripensare l’iter di autorizzazione dei prodotti, in relazione sia ai criteri in base ai quali vengono emanate tali autorizzazioni e quindi alla relativa situazione di emergenza sanitaria, sia all'assunzione delle eventuali responsabilità, valutando di prediligere, in ogni caso, soluzioni alternative a quella dell'autorizzazione eccezionale che dovrebbe essere considerata l'ultima possibilità;
   ad interrompere le autorizzazioni eccezionali perpetuate ben oltre i 3 anni previsti dall'articolo 30 del regolamento (CE) n. 1107/2009;
   a valutare la possibilità di rendere maggiormente stringente il ricorso a tali deroghe, così da non alterare il vero significato di emergenza sanitaria che, a causa del continuo ricorso allo strumento della deroga, rischia di perdere completamente il suo significato e il suo scopo;
   ad adottare, entro 6 mesi dall'approvazione del presente atto, gli atti e le misure previste dal decreto legislativo n. 150 del 2012 e dal piano di azione nazionale non emanati, per i quali risultino già scaduti i termini, nonché ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché le regioni e le province autonome che non abbiano ancora provveduto trasmettano le informazioni di cui agli articoli 19, comma 6, e 16, comma 1, del decreto legislativo n. 150 del 2012, per le quali i termini risultano già trascorsi; a rendere noti ai competenti organi parlamentari lo stato dei lavori sulla predisposizione degli atti, delle misure e delle linee guida previsti dal decreto legislativo n. 150 del 2012 e dal piano di azione nazionale, per i quali è prevista scadenza entro il 13 febbraio 2015 o per i quali non è stato individuato alcun termine temporale;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per implementare l'articolo 24 del decreto legislativo n. 150 del 2012 con un apparato sanzionatorio più esaustivo che racchiuda anche misure sanzionatorie per la mancata osservanza di quanto prescritto dagli articoli 11, 14, 15, 17 e 19 e relativi approfondimenti contenuti nel piano di azione nazionale;
   ad interrompere le autorizzazioni dei prodotti Aviozolfo e Aviocaffaro per l'irrorazione aerea, nonché a verificare la reale sussistenza delle condizioni che, ad oggi, hanno consentito le deroghe per tali autorizzazioni;
   a riconsiderare le prescrizioni specifiche di cui all'articolo A.4.5 del piano d'azione nazionale, soprattutto per quanto riguarda il controllo del diametro medio delle gocce delle miscele irrorate e l'applicazione della scala di Beaufort, essendo prevista per misurazioni in pianura e non per le misurazioni in collina;
   ad integrare il piano di azione nazionale nelle parti in cui si fa riferimento alle frasi di rischio riportate in etichetta, aggiungendo il riferimento alle schede di sicurezza;
   ad allegare ai decreti dirigenziali, che autorizzano in deroga i prodotti fitosanitari, anche le schede di sicurezza, inserendole inoltre nel database ministeriale dei prodotti fitosanitari;
   a promuovere la revisione delle etichette dei prodotti fitosanitari, completando le parti relative alla composizione e alle frasi di rischio;
   a prevedere le modalità e i criteri per l'introduzione della responsabilità estesa del produttore del prodotto contenente fitosanitari, nonché di qualsiasi persona fisica o giuridica che professionalmente sviluppi, fabbrichi, trasformi, tratti, venda o importi tali prodotti destinati a divenire rifiuto, affinché sia attivato un virtuoso sistema di riciclo dei rifiuti di imballaggio contenenti fitosanitari, anche attraverso sistemi di restituzione degli imballaggi divenuti rifiuto che prevedano per i produttori l'obbligo di accettazione dei prodotti dopo il loro utilizzo;
   ad attuare le misure di tutela a salvaguardia dell'uomo e del suo ambiente, nei territori in cui ambiente agricolo e urbano non abbiano confini definiti ma siano integrati, dando nuova definizione a questi ambienti;
   a promuovere ed attuare, per quanto di competenza, tutte le misure affinché nei territori avvengano tutti i controlli necessari a garanzia del rispetto della normativa vigente e dell'attivazione di tutte le misure previste per la gestione dei rischi, a salvaguardia della salute umana e dell'ambiente;
   a porre in essere tutte le iniziative di competenza affinché le norme, attualmente in vigore in materia di prodotti fitosanitari, siano rispettate in tutte le loro parti e siano indicate con maggior chiarezza le autorità preposte al controllo sulle sostanze utilizzate ai fini del rispetto della normativa vigente, nonché i relativi ruoli e responsabilità;
   ad assumere iniziative anche normative dirette a definire un'unica autorità che sia di riferimento per i cittadini, con funzione di coordinamento di tutte le autorità di controllo previste, nonché a prevedere un'implementazione del sistema di verifica sull'effettiva attività svolta dalle autorità locali competenti;
   ad assumere iniziative normative per rendere obbligatoria l'indicazione della dichiarazione in etichetta relativamente all'identità ed alla concentrazione della sostanza utilizzata come coformulante all'interno del preparato;
   ad adoperarsi affinché la tossicità dei prodotti fitosanitari sia calcolata non solo analizzando il principio attivo ma l'effettiva formulazione del prodotto, andando quindi a considerare l'aumentata tossicità dovuta agli effetti sinergici;
   ad intensificare e sostenere le attività di ricerca nel settore e, in particolare, sugli effetti cumulativi dei pesticidi, aggiornando contestualmente le metodologie di autorizzazione e i programmi di monitoraggio;
   ad attivarsi affinché tutte le sostanze immesse sul mercato siano gradualmente incluse nei programmi di monitoraggio, a partire dal Glifosate e il metabolita Ampa;
   a sostenere, a livello europeo, in vista della scadenza – il 31 dicembre – dell'autorizzazione del glifosato, una posizione contraria a una nuova eventuale autorizzazione, tenendo in considerazione gli elementi scientifici a disposizione;
   ad adottare politiche per disincentivare l'utilizzo del glifosato, soprattutto nell'ambito dell'agricoltura intensiva, mediante iniziative volte a definire norme più severe e misure sanzionatorie, nonché a prevederne il divieto per ogni altro impiego diverso da quello agricolo;
   a promuovere, in applicazione del principio di precauzione, iniziative per vietare in maniera permanente la produzione, la commercializzazione e l'impiego di tutti i prodotti a base di glifosato, in ambito agricolo, nel trattamento delle aree pubbliche e nel giardinaggio.
(1-00720)
(Ulteriore nuova formulazione) «Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate, Lupo, Parentela, Rostellato, Busto, Basilio, Businarolo, Ciprini, Daga, Da Villa, Terzoni, Ferraresi, Fraccaro».


   La Camera,
   premesso che:
    da alcuni anni la direzione generale igiene e sicurezza degli alimenti e nutrizione del Ministero della salute autorizza, in «situazioni di emergenza sanitaria», alcuni prodotti fitosanitari in virtù dell'articolo 53 del regolamento (CE) 1107/2009; negli ultimi anni, il ricorso a questa procedura di autorizzazione speciale in Italia è stato esponenziale: secondo quanto indicato sul sito del Ministero della salute sono 31 le istanze di «autorizzazioni eccezionali», ma in alcuni casi si vedono reiterare, di anno in anno, le stesse richieste per gli stessi prodotti, le stesse patologie e le stesse colture; i prodotti fitosanitari autorizzati in deroga sarebbero stati 41 nell'anno 2012, 60 nell'anno 2013 e 75 nell'anno 2014;
    la maggior parte di queste sostanze attive non sono più o non sono ancora autorizzate dall'Unione europea (ad esempio, 1,3 dicloropropene; chloropicrin; pretilachlor; propanil; propargite; quinclorac; terbacil) e il meccanismo dell’«autorizzazione eccezionale» consente di non effettuare l’iter previsto dal sistema autorizzativo, che prevede, fra l'altro, la verifica dell'impatto (ambientale e sulla salute), non essendo, le richieste, corredate della documentazione necessaria a tali scopi, come previsto nelle autorizzazioni all'immissione in commercio dai prodotti;
    l'interrogazione n. 4-04948, ancora in attesa di risposta, riporta alcuni esempi di prodotti fitosanitari autorizzati; il regolamento (CE) n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 ottobre 2009, all'articolo 30, comma 1, indica che «uno Stato membro può dare un'autorizzazione provvisoria se la Commissione non è giunta a una decisione entro 30 mesi dalla accettazione dell'applicazione – l'autorizzazione provvisoria ha validità per tre anni»;
    con l'interrogazione n. 4-05032 sono stati interrogati, senza ancora riceverne risposta, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali in merito alle carenze riscontrate nella normativa di recepimento della direttiva n. 2009/128/CE, sia il decreto legislativo che il piano d'azione, in particolare sui troppi rinvii a decreti attuativi che tale impianto normativo prevede, sull'inconsistenza dell'impianto sanzionatorio e delle misure previste dalla lotta integrata obbligatoria, sulla mancata individuazione degli obiettivi, sulle azioni di tutela dell'ambiente acquatico e delle fonti di approvvigionamento di acqua potabile da applicare in campo agricolo;
    per alcuni decreti attuativi e per alcune misure risulta sia scaduto il termine previsto, in particolare: l'articolo 25, comma 3, del decreto legislativo n. 150 del 2012, che prevede un decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali da emanarsi entro il 12 agosto 2014, con cui determinare le tariffe ed il relativo versamento per i controlli delle attrezzature di applicazione dei prodotti fitosanitari; l'articolo 10, comma 4, del decreto legislativo n. 150 del 2012, che prevede un decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, da emanarsi entro il 26 novembre 2013, per adottare specifiche disposizioni per l'individuazione dei prodotti fitosanitari destinati ad utilizzatori non professionali; il paragrafo A.3.10 del piano di azione nazionale, che preveda un decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, da emanarsi entro 6 mesi dall'approvazione del piano di azione nazionale, per la costituzione di una banca dati nazionale relativa ai controlli effettuati sulle macchine di distribuzione dei fitofarmaci ed il ruolo di Enama, organismo di supporto al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali; l'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n. 150 del 2012, che prevede, entro il 30 aprile 2013, la trasmissione al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali delle misure messe in atto dalle regioni e dalle province autonome, per rendere possibile l'applicazione dei principi generali della difesa integrata obbligatoria; l'articolo 19, comma 7, del decreto legislativo n. 150 del 2012, che prevede, entro il 30 giugno 2013, la trasmissione del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali alla Commissione europea di una relazione sullo stato di attuazione delle misure messe in atto dalle regioni per rendere possibile l'applicazione dei principi generali della difesa integrata obbligatoria; l'articolo 16, comma 1, del decreto legislativo n. 150 del 2012, che prevede, entro il 30 ottobre 2012, la trasmissione delle regioni al Ministero della salute ed al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali dell'elenco dei soggetti autorizzati alla vendita di prodotti fitosanitari;
    fa seguito a questi atti e misure una serie di altre questioni che il piano di azione nazionale affida ad ulteriori decreti attuativi, da emanare entro 1 anno dall'entrata in vigore dello stesso, quindi entro il 13 febbraio 2015. Tra questi, la messa a disposizione per le regioni delle informazioni più rilevanti sulla tossicità, ecotossicità, il destino ambientale e gli aspetti fitosanitari dei prodotti in commercio;
    all'articolo 14 del decreto legislativo n. 150 del 2012 si specifica che il piano di azione nazionale definisce le misure appropriate per la tutela dell'ambiente acquatico e delle fonti di approvvigionamento di acqua potabile dall'impatto dei prodotti fitosanitari e che le regioni assicurano l'attuazione delle misure previste dal piano, informando ogni anno il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministero della salute sulle misure adottate. A questo proposito, la Commissione europea, nella riunione bilaterale del 24 settembre 2013, ha chiesto all'Italia la precisa definizione delle misure da applicare in campo agricolo per la tutela delle acque;
    al paragrafo A5 del piano di azione nazionale, riferito agli articoli 14 e 15 del decreto legislativo n. 150 del 2012, si stabilisce che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ed il Ministero della salute, su proposta del consiglio, entro 12 mesi dall'entrata in vigore del piano, predispongano linee guida di indirizzo per la tutela dell'ambiente acquatico e dell'acqua potabile e per la riduzione dell'uso di prodotti fitosanitari e dei relativi rischi in aree specifiche;
    oltre a quanto innanzi citato, altre misure e decreti attuativi dovranno far seguito al piano di azione nazionale, per i quali tuttavia non è stato definito un termine temporale, come, ad esempio, le misure per disciplinare la vendita di prodotti fitosanitari on line;
    l'articolo 24 del decreto legislativo n. 150 del 2012, infine, stabilisce le sanzioni per la mancata applicazione delle prescrizioni stabilite dal decreto stesso. Tuttavia, risulta evidente che la maggior parte delle sanzioni interessa la parte della distribuzione e della formazione professionale, trascurando, ad esempio, quelle relative all'articolo 11 su informazione e sensibilizzazione, all'articolo 14 sulla tutela dell'ambiente acquatico e delle acque potabili, all'articolo 15 sulla tutela delle aree specifiche, all'articolo 17 sulla manipolazione e stoccaggio dei prodotti fitosanitari e trattamento dei relativi imballaggi e delle rimanenze, ma soprattutto all'articolo 19 in merito all'applicazione dei principi generali della difesa integrata obbligatoria, di cui all'allegato III del decreto legislativo n. 150 del 2012, argomento principale della norma;
    in alcune regioni d'Italia (Veneto, Piemonte, Lombardia) i prodotti Aviozolfo e Aviocaffaro vengono autorizzati ininterrottamente dal 2008 anno dopo anno per l'irrorazione aerea, nonostante l'articolo 9 della direttiva 2009/128/CE, recepita in Italia con il decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, lo vieti e limiti la deroga solo in condizioni estremamente circoscritte e controllate, per esempio nel caso in cui non ci fossero alternative praticabili rispetto all'uso degli elicotteri oppure in caso di evidenti vantaggi per la salute umana e l'ambiente rispetto all'applicazione dei fitosanitari da terra;
    le autorizzazioni speciali annuali fanno riferimento al regolamento (CE) n. 1107/2009, che all'articolo 53, «situazioni di emergenza fitosanitaria», recita: «In deroga all'articolo 28, in circostanze particolari uno Stato membro può autorizzare, per non oltre centoventi giorni, l'immissione sul mercato di prodotti fitosanitari per un uso limitato e controllato, ove tale provvedimento appaia necessario a causa di un pericolo che non può essere contenuto in alcun altro modo ragionevole»; a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo le deroghe si ispirano impropriamente a tale regolamento, in quanto non sussisterebbero né tale emergenza fitosanitaria, né la necessità, dimostrata, del provvedimento di autorizzazione «a causa di un pericolo che non può essere contenuto in alcun altro modo ragionevole»;
    la normativa vigente, tra cui il piano d'azione nazionale, indica una serie di misure di gestione dei rischi che i soggetti autorizzati e le autorità competenti devono attuare a tutela dell'ambiente e della popolazione, come, per esempio, l'obbligo di avviso preventivo dei residenti e le prescrizioni per la riduzione dell'effetto deriva; il piano d'azione nazionale esclude l'utilizzo di prodotti fitosanitari classificati tossici e molto tossici che riportano in etichetta determinate frasi di rischio, presenti anche nei prodotti Aviozolfo e Aviocaffaro; inoltre non si ravviserebbero gli estremi di pericolo non contenibile in altri modi ragionevoli, così come indicati nella norma in parola;
    con l'interrogazione n. 4-04886, ancora in attesa di risposta, si portava a conoscenza del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, del Ministro della salute e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare la situazione della provincia di Treviso, dimostrando l'assenza delle condizioni che giustificherebbero la deroga, in quanto vi sarebbero alternative praticabili, rispetto all'uso degli elicotteri, e inoltre l'irrorazione aerea non comporterebbe alcun vantaggio per la salute umana e l'ambiente, rispetto all'applicazione dei fitosanitari da terra;
    l'utilizzo del mezzo aereo sarebbe giustificato dal fatto che la pendenza delle colline non consentirebbe i trattamenti da terra; ciononostante avvengono regolarmente (in stagione) tutti i trattamenti da terra raccomandati con cadenza quindicinale, come, per esempio, gli interventi antiperonosporici o acaricidi e la raccolta; l'irrorazione aerea sarebbe quindi l'alternativa praticabile, facendo quindi decadere la condizione che giustifica la deroga; a dimostrazione che le alternative sono possibili, 9 dei 15 comuni del consorzio docg Prosecco hanno vietato i trattamenti aerei sull'intera area comunale;
    nella provincia di Treviso, in alcuni comuni del consorzio docg Prosecco, zona nella quale avvengono spesso le irrorazioni aeree in deroga, le case, le scuole, gli orti privati, le strade sono confinanti con i vigneti e pare che siano molte le segnalazioni di residenti e turisti che lamentano di essere stati «irrorati» insieme ai vigneti, di non essere stati avvisati preventivamente e di non essere mai stati informati del tempo di carenza di 48 ore, prima di poter accedere alla zona irrorata dall'elicottero; inoltre, nelle aree trattate non è mai stata posta adeguata e visibile segnalazione, così come previsto dal punto A.5.6 del piano d'azione nazionale;
    considerando che la deriva della nuvola irrorata dai trattamenti a terra non è controllabile, a maggior ragione la deriva risulta ancor più incontrollabile, quando l'irrorazione avviene a 40 e più metri da terra e con correnti d'aria non misurabili; l'irrorazione aerea amplifica i rischi per la salute umana e per l'ambiente, in quanto le irrorazioni dall'elicottero ovviamente sono molto più invasive; la deriva dell'elicottero si estende oltre i limiti del vigneto trattato; grazie all'azione del vento le gocce più piccole vengono trasportate molto più lontano; quindi, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, l'irrorazione aerea non può rappresentare alcun vantaggio per la salute umana e per l'ambiente rispetto all'applicazione di pesticidi a terra, facendo decadere la condizione che giustifica la deroga;
    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo appare estremamente difficoltoso il rispetto delle prescrizioni specifiche di cui all'articolo A.4.5 del piano d'azione nazionale, soprattutto per quanto riguarda il controllo del diametro medio delle gocce delle miscele irrorate e l'applicazione della scala di Beaufort, essendo prevista per misurazioni in pianura e non per le misurazioni in collina;
    con l'interrogazione n. 4-05099, in attesa di risposta, si portava a conoscenza del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, del Ministro della salute e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un'iniziativa dell'associazione Wwf AltaMarca, che ha proposto ai cittadini dei comuni dell'area docg Prosecco Conegliano Valdobbiadene di chiedere ai propri sindaci i dati relativi agli erbicidi utilizzati nelle aree urbane; dalle risposte ottenute dalle amministrazioni risulta che, come documentato nell'interrogazione citata, alcuni comuni abbiano utilizzato prodotti che il piano d'azione nazionale vieta all'articolo A.5.6.1; lo stesso articolo prevede, inoltre, nelle zone frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili, il divieto dei trattamenti diserbanti, da sostituire con metodi alternativi;
    inoltre, al punto A.5.6 vengono indicate le misure obbligatorie per i trattamenti eseguiti in aree agricole in prossimità di aree frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili; in particolare, si indica la distanza minima da tali aree, 30 metri, e le caratteristiche dei prodotti che possono essere utilizzati;
    in alcuni comuni dell'area docg Prosecco Conegliano Valdobbiadene, come, per esempio, il comune di Farra di Soligo, le abitazioni sono confinanti con i vigneti irrorati con erbicidi e fungicidi vietati dal piano d'azione nazionale; anche il traffico pedonale e automobilistico è a diretto contatto con i vigneti irrorati; trattasi, quindi, di zone costantemente frequentate dalla popolazione e gruppi vulnerabili, come citati nel piano d'azione nazionale all'articolo A.5.6; allo stesso articolo vengono indicate le suddette misure per la riduzione dei rischi derivanti dall'impiego dei prodotti fitosanitari nelle aree frequentate dalla popolazione o gruppi vulnerabili, conferendo alle autorità locali competenti il potere di determinare misure più restrittive;
    il piano d'azione nazionale, nell'indicare i divieti o le prescrizioni, fa più volte riferimento alle frasi di rischio indicate in etichetta, per esempio agli articoli A.5.6, A.5.6.1 e A.5.6.2; anche le autorizzazioni in deroga dei prodotti fitosanitari, disposte dall'articolo 53 del regolamento (CE) 1107/2009, fanno riferimento alle etichette dei prodotti, che si trovano nel database dei prodotti fitosanitari del Ministero della salute e vengono allegate ai decreti dirigenziali;
    con l'interrogazione n. 4-05077, ancora in attesa di risposta, si riportavano alcuni esempi di dati riportati nelle etichette di alcuni prodotti, confrontati con i dati delle corrispettive schede di sicurezza del medesimo prodotto; dall'osservazione di numerose etichette messe a confronto con le schede di sicurezza si nota che le etichette indicano normalmente un solo componente della miscela e non sempre il più rappresentativo della tossicità o quello presente in maggior percentuale; inoltre, le frasi di rischio sono riferite al componente dichiarato, mentre quelle relative ai componenti non citati (spesso i più pericolosi e/o maggiormente presenti nella miscela) sono tralasciate; in alcuni casi viene riportata una sola frase di rischio nonostante il prodotto ne abbia più di una; questo fatto appare più evidente in alcune etichette autorizzate in deroga con decreto dirigenziale, spesso le frasi di rischio mancanti in etichetta rientrano tra quelle vietate dal piano d'azione nazionale; di fatto queste etichette ridimensionano la classe di rischio ben evidenziata, invece, nelle schede di sicurezza che riportano anche istruzioni dettagliate; informazioni che ogni utilizzatore deve assolutamente conoscere;
    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo è di fondamentale importanza che, a tutela della salute pubblica e dell'ambiente, i riferimenti informativi a disposizione degli utilizzatori dei prodotti e dei cittadini, cui fa riferimento il Ministero e il piano d'azione nazionale, siano affidabili e contengano tutte le informazioni complete e corrette sui prodotti fitosanitari;
    lo studio della dottoressa Maristella Rubbiani, primo ricercatore dell'Istituto superiore di sanità, dal titolo «La problematica relativa alla presenza di coformulanti pericolosi nei preparati antiparassitari di uso agricolo o domestico», spiega come questi coformulanti, spesso più pericolosi della sostanza attiva autorizzata, vengano utilizzati come solventi, adesivanti, bagnanti, tensioattivi ed altro, nei preparati antiparassitari di uso agricolo, domestico o civile;
    la normativa vigente non prevede, per alcuni di questi agenti, l'obbligatorietà della dichiarazione in etichetta relativamente all'identità ed alla concentrazione della sostanza utilizzata come coformulante all'interno del preparato; infatti, mentre per legge solo l'ingrediente attivo deve essere specificato in etichetta con nome e percentuale in peso presente nel prodotto finito, per i coformulanti è sufficiente il nome collettivo («coformulanti e solventi») e la percentuale cumulativa presente nel prodotto, senza l'identificazione specifica di ogni sostanza; alcune sostanze possono essere utilizzate come ingredienti attivi in certi prodotti specifici, ma fungere da solventi, ed essere quindi considerati coformulanti, in altri preparati;
    il rapporto nazionale pesticidi dell'Ispra-edizione 2014 rileva nelle acque la presenza di 175 sostanze, definendolo un cocktail i cui effetti non sono ancora ben conosciuti. Nei campioni sono stati rilevati spesso miscele di sostanze diverse, fino 36 contemporaneamente. Come segnalato fino 36 dai comitati scientifici della Commissione europea, il rischio derivante dall'esposizione a miscele di sostanze è sottostimato dalle metodologie utilizzate in fase di autorizzazione, che valutano le singole sostanze e non tengono conto degli effetti cumulativi;
    il 22 dicembre 2009 il Consiglio «ambiente» dell'Unione europea adottò le conclusioni sugli effetti combinati delle sostanze chimiche, esortando la Commissione europea e gli Stati membri ad intensificare le attività di ricerca nel settore, anche rivedendo la base dati di ricerca esistente. Esistono lacune conoscitive riguardo agli effetti di miscele chimiche e, conseguentemente, risulta difficile realizzare una corretta valutazione tossicologica in caso di esposizione contemporanea a diverse sostanze (Backhaus, 2010). Gli studi dimostrano che la tossicità di una miscela è sempre più alta di quella del componente più tossico presente (Kortenkamp ed altri, 2009); nel 2012 sono state pubblicate le conclusioni sulla tossicità delle miscele di tre comitati scientifici della Commissione europea. In particolare, nel documento si afferma che esiste un'evidenza scientifica per cui l'esposizione contemporanea a diverse sostanze chimiche può, in determinate condizioni, dare luogo ad effetti congiunti che possono essere di tipo additivo, ma anche di tipo sinergico, con una tossicità complessiva più elevata di quella delle singole sostanze. Nel documento, inoltre, si evidenzia come principale lacuna la limitata conoscenza riguardo alle modalità con cui le sostanze esplicano i loro effetti tossici sugli organismi;
    il rapporto Ispra segnala, inoltre, una disomogeneità fra le regioni del Nord e quelle del Centro-Sud, dove il monitoraggio è generalmente meno rappresentativo dello stato di qualità delle acque e la necessità, quindi, di un aggiornamento complessivo dei programmi di monitoraggio, per tenere conto delle nuove sostanze. Sarebbero circa 200, infatti, le sostanze immesse sul mercato in anni recenti e non incluse nei programmi di monitoraggio, 44 di queste sono classificate pericolose, in particolare 38 sono pericolose per l'uomo o per l'ambiente; si palesa, quindi, la necessità di inserire nei protocolli regionali alcune sostanze che, ove ricercate, sono responsabili del maggior numero di casi di non conformità, quali il Glifosate e l’Ampa. Ci sarebbe, quindi, uno sfasamento tra lo sforzo di ricerca, che si concentra soprattutto su alcuni erbicidi e sui loro principali metaboliti, e le sostanze più frequenti nelle acque, gran parte delle quali non figurano tra le più cercate. Le regioni cercano in media 55 sostanze nelle acque superficiali e 68 in quelle sotterranee, meno che nel 2010;
    le sostanze che determinano il maggior numero di casi di superamento dei limiti sono Glifosate e il metabolita Ampa, che sono cercati esclusivamente nella regione Lombardia; essendo l'erbicida largamente impiegato, è probabile che il suo inserimento nei programmi di monitoraggio possa determinare un sensibile aumento dei casi di non conformità nelle regioni dove ora non viene cercato;
    il glifosato, in particolare, è il pesticida che più di ogni altro determina il superamento degli standard di qualità ambientale nelle acque superficiali, non a caso una ricerca sul cancro dell'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) inserisce questo diserbante nella classe 2A – che precede quella dei «cancerogeni certi» – come «probabilmente cancerogeno per gli esseri umani»; per tali ragioni a livello europeo, l'International society of doctors for environment (Isde), presente in 27 Paesi, ha chiesto all'Europarlamento e alla Commissione europea di vietare immediatamente la produzione, il commercio e l'uso del glifosato, su cui si attende la procedura di rivalutazione entro la fine del 2015;
    il rapporto 2014 evidenzia che non c’è ancora un quadro nazionale completo della presenza di residui di pesticidi nelle acque per una serie di cause: copertura incompleta del territorio, disomogeneità del monitoraggio, assenza dai protocolli regionali delle sostanze immesse sul mercato negli anni più recenti, affermando che si è ancora in una fase transitoria in cui l'entità e la diffusione dell'inquinamento non sono sufficientemente noti, tenendo conto, ovviamente, che il fenomeno è sempre in evoluzione per l'immissione sul mercato di nuove sostanze;
    il rapporto 2014 segnala, inoltre, che il calo delle vendite di prodotti fitosanitari registrato nel periodo 2001-2012 non si riflette ancora nei risultati del monitoraggio, che continua a segnalare una presenza diffusa dei pesticidi nelle acque, con un aumento delle sostanze rinvenute. Fra le molte ragioni elencate, la causa più preoccupante e segnalata è la persistenza di certe sostanze, che insieme alle dinamiche idrologiche molto lente (specialmente nelle acque sotterranee) rende i fenomeni di contaminazione ambientale difficilmente reversibili,

impegna il Governo:

   a ripensare l’iter di autorizzazione dei prodotti, in relazione sia ai criteri in base ai quali vengono emanate tali autorizzazioni e quindi alla relativa situazione di emergenza sanitaria, sia all'assunzione delle eventuali responsabilità, valutando di prediligere, in ogni caso, soluzioni alternative a quella dell'autorizzazione eccezionale che dovrebbe essere considerata l'ultima possibilità;
   a valutare la possibilità di rendere maggiormente stringente il ricorso a tali deroghe, così da non alterare il vero significato di emergenza sanitaria che, a causa del continuo ricorso allo strumento della deroga, rischia di perdere completamente il suo significato e il suo scopo;
   ad adottare, entro 6 mesi dall'approvazione del presente atto, gli atti e le misure previste dal decreto legislativo n. 150 del 2012 e dal piano di azione nazionale non emanati, per i quali risultino già scaduti i termini, nonché ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché le regioni e le province autonome che non abbiano ancora provveduto trasmettano le informazioni di cui agli articoli 19, comma 6, e 16, comma 1, del decreto legislativo n. 150 del 2012, per le quali i termini risultano già trascorsi; a rendere noti ai competenti organi parlamentari lo stato dei lavori sulla predisposizione degli atti, delle misure e delle linee guida previsti dal decreto legislativo n. 150 del 2012 e dal piano di azione nazionale, per i quali è prevista scadenza entro il 13 febbraio 2015 o per i quali non è stato individuato alcun termine temporale;
   ad integrare il piano di azione nazionale nelle parti in cui si fa riferimento alle frasi di rischio riportate in etichetta, aggiungendo il riferimento alle schede di sicurezza;
   ad allegare ai decreti dirigenziali, che autorizzano in deroga i prodotti fitosanitari, anche le schede di sicurezza, inserendole inoltre nel database ministeriale dei prodotti fitosanitari;
   a promuovere la revisione delle etichette dei prodotti fitosanitari, completando le parti relative alla composizione e alle frasi di rischio;
   a prevedere le modalità e i criteri per l'introduzione della responsabilità estesa del produttore del prodotto contenente fitosanitari, nonché di qualsiasi persona fisica o giuridica che professionalmente sviluppi, fabbrichi, trasformi, tratti, venda o importi tali prodotti destinati a divenire rifiuto, affinché sia attivato un virtuoso sistema di riciclo dei rifiuti di imballaggio contenenti fitosanitari, anche attraverso sistemi di restituzione degli imballaggi divenuti rifiuto che prevedano per i produttori l'obbligo di accettazione dei prodotti dopo il loro utilizzo;
   ad attuare le misure di tutela a salvaguardia dell'uomo e del suo ambiente, nei territori in cui ambiente agricolo e urbano non abbiano confini definiti ma siano integrati, dando nuova definizione a questi ambienti;
   a promuovere ed attuare, per quanto di competenza, tutte le misure affinché nei territori avvengano tutti i controlli necessari a garanzia del rispetto della normativa vigente e dell'attivazione di tutte le misure previste per la gestione dei rischi, a salvaguardia della salute umana e dell'ambiente;
   a porre in essere tutte le iniziative di competenza affinché le norme, attualmente in vigore in materia di prodotti fitosanitari, siano rispettate in tutte le loro parti e siano indicate con maggior chiarezza le autorità preposte al controllo sulle sostanze utilizzate ai fini del rispetto della normativa vigente, nonché i relativi ruoli e responsabilità;
   ad assumere iniziative normative per rendere obbligatoria l'indicazione della dichiarazione in etichetta relativamente all'identità ed alla concentrazione della sostanza utilizzata come coformulante all'interno del preparato;
   ad adoperarsi affinché la tossicità dei prodotti fitosanitari sia calcolata non solo analizzando il principio attivo ma l'effettiva formulazione del prodotto, andando quindi a considerare l'aumentata tossicità dovuta agli effetti sinergici;
   ad attivarsi affinché tutte le sostanze immesse sul mercato siano gradualmente incluse nei programmi di monitoraggio, a partire dal Glifosate e il metabolita Ampa;
   a sostenere, a livello europeo, nel rispetto delle procedure dell'Unione europea, in vista della scadenza – il 31 dicembre – dell'autorizzazione del glifosato, una posizione contraria a una nuova eventuale autorizzazione, tenendo in considerazione gli elementi scientifici a disposizione;
   ad adottare politiche per disincentivare l'utilizzo del glifosato, soprattutto nell'ambito dell'agricoltura intensiva, mediante iniziative volte a definire norme più severe e misure sanzionatorie, nonché a prevederne il divieto per ogni altro impiego diverso da quello agricolo;
   a promuovere, in applicazione del principio di precauzione, iniziative per vietare in maniera permanente la produzione, la commercializzazione e l'impiego di tutti i prodotti a base di glifosato, in ambito agricolo, nel trattamento delle aree pubbliche e nel giardinaggio.
(1-00720)
(Ulteriore nuova formulazione – Testo modificato nel corso della seduta – Come risultante dalla votazione per parti separate) «Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate, Lupo, Parentela, Rostellato, Busto, Basilio, Businarolo, Ciprini, Daga, Da Villa, Terzoni, Ferraresi, Fraccaro».


   La Camera,
   premesso che:
    con la comunicazione (COM (2006) 372) del 12 luglio 2006 veniva definita la «Strategia tematica per l'uso sostenibile dei pesticidi»; nell'introduzione, «Descrizione del problema ambientale», si afferma che: «(...) costituiti principalmente da prodotti fitosanitari e da biocidi, i pesticidi sono destinati a influenzare i processi di base degli organismi viventi e possono pertanto uccidere o controllare gli organismi nocivi come i parassiti. Allo stesso tempo possono provocare effetti negativi indesiderati su organismi non bersaglio, sulla salute umana e sull'ambiente. I possibili rischi associati al loro utilizzo sono accettati in certa misura a fronte dei benefici economici che ne derivano, se si pensa che i prodotti fitosanitari, ad esempio, contribuiscono a garantire un'offerta affidabile di prodotti agricoli di elevata qualità, salutari e a prezzi accessibili. Da tempo questi prodotti sono regolamentati nella maggior parte degli Stati membri e nella Comunità. Negli anni è stato istituito un sistema altamente specializzato per valutare i rischi per la salute umana e per l'ambiente connessi all'impiego dei pesticidi. Nonostante tutti i tentativi fatti per circoscrivere i rischi legati all'impiego dei pesticidi e per evitare effetti indesiderati, è ancora possibile ritrovare quantitativi indesiderati di alcuni pesticidi nelle varie matrici ambientali (e soprattutto nel suolo e nelle acque) e nei prodotti agricoli sono ancora presenti residui superiori ai limiti stabiliti per legge. È pertanto necessario ridurre per quanto possibile i rischi prodotti dai pesticidi alle persone e all'ambiente, riducendo al minimo o, se possibile, eliminando l'esposizione e incentivando attività di ricerca e sviluppo su alternative, anche non chimiche, meno dannose (...)»;
    la direttiva 2009/128/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, recepita con il decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, ha istituito un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei prodotti fitosanitari;
    in applicazione dell'articolo 6 del predetto decreto legislativo è stato predisposto il piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari. Il piano è stato adottato in data 22 gennaio 2014 a seguito dell'emanazione del decreto interministeriale;
    il piano di azione nazionale si propone di ridurre i rischi associati all'uso dei prodotti fitosanitari, promuovendo un processo di cambiamento delle tecniche di utilizzo dei prodotti verso forme più compatibili e sostenibili in termini ambientali e sanitari;
    sebbene con l'adozione del piano di azione nazionale vi sia una rinnovata attenzione sull'utilizzo e sui controlli dei prodotti fitosanitari, l'Istituto superiore per la ricerca e la protezione dell'ambiente, Ispra, lancia l'allarme con il «Rapporto nazionale pesticidi nelle acque. Dati 2011-2012. – edizione 2014», nel quale si rileva che, nonostante la vendita di pesticidi sia diminuita, nelle acque sono state registrate 175 diverse sostanze e in alcune rilevazioni fino a 36 sostanze contemporaneamente: un miscuglio chimico di cui, ad oggi, ancora non si conoscono precisamente gli effetti. In merito alla non adeguata conoscenza degli effetti, che un miscuglio di numerose sostanze può avere sugli ecosistemi, si legge dal dossier dell'Ispra che: «(...) nei campioni sono spesso presenti miscele di sostanze diverse: ne sono state trovate fino a 36 contemporaneamente. L'uomo, gli altri organismi e l'ambiente sono, pertanto, esposti a un cocktail di sostanze chimiche di cui non si conoscono adeguatamente gli effetti, per l'assenza di dati sperimentali (...)»;
    le modalità operative previste nel piano di azione nazionale per perseguire l'ottenimento degli obiettivi dati dall'Unione europea in tema di corretto utilizzo dei prodotti fitosanitari, sono: a) la formazione obbligatoria dei venditori, dei consulenti e degli operatori; b) l'informazione e la sensibilizzazione per la popolazione; c) i controlli funzionali sulle macchine per la distribuzione; d) l'adozione di misure specifiche per la tutela delle acque; e) misure specifiche per la riduzione dell'uso dei fitofarmaci; f) buone pratiche di manipolazione ed uso dei fitofarmaci durante tutto il loro «ciclo di vita»;
    nonostante le linee guida contenute nel piano di azione nazionale e la normativa sui prodotti fitosanitari siano molto stringenti riguardo alla loro immissione in commercio, alle modalità di vendita e di stoccaggio dei prodotti, ai residui negli alimenti, al divieto di trattamenti durante la fioritura per non causare danni alle api, si dice poco o niente sull'esecuzione dei trattamenti. Sono esplicitamente vietati solo i trattamenti in prossimità dei pozzi, mentre per i trattamenti in prossimità di abitazioni e giardini esistono alcuni regolamenti comunali e delibere che valgono naturalmente solo sul territorio del comune che li ha emanati, nonché le disposizioni del codice civile e del codice di procedura penale, in riferimento a danni a persone o cose determinati da modalità operative sconsiderate o comunque da negligenza nell'uso. Esistono, poi, le disposizioni sulla sicurezza sul lavoro di cui al decreto legislativo n. 81 del 2008 e al decreto legislativo n. 106 del 2009, che prevedono anche di evitare danni a persone terze, ad esempio vietando l'ingresso nell'area di un cantiere o, come nel caso in esame, evitando di disperdere nell'ambiente sostanze potenzialmente tossiche. Queste procedure possono variare da azienda ad azienda e possono essere sottoposte a verifica da parte degli uffici competenti delle aziende sanitari locali;
    visto il vuoto normativo, si è cercato anche nel piano di azione nazionale di risolvere il problema in via «amicale» con l'agricoltore, chiedendogli di adottare alcune attenzioni: evitare i trattamenti quando c’è vento; controllare che la nuvola dei trattamenti non raggiunga le zone abitate; avvisare prima dei trattamenti in modo che i residenti possano chiudere porte e finestre; raccogliere i panni stesi, coprire l'orto con teli e non sostare nelle vicinanze dell'appezzamento da trattare. Tuttavia, non vi è esplicito divieto o una normativa nazionale uguale per tutti i comuni, né una reale campagna di sensibilizzazione, informazione e formazione dell'agricoltore per espletare, idoneamente, i trattamenti e non recare danno alla popolazione immediatamente prossima ai terreni agricoli. La problematica si acuisce quando alcuni comuni sono soliti autorizzare trattamenti e irrorazioni con diserbanti nei parchi cittadini e nelle vicinanze di molte abitazioni;
    quando si esegue un trattamento fitosanitario, soltanto una parte esigua della miscela contenente la sostanza attiva raggiunge il bersaglio, mentre il resto viene disperso nell'ambiente;
    nel merito della domanda relativa alle distanze di sicurezza per il rischio di contaminazione, va precisato che qualcosa in merito lo si ritrova solo nel regolamento (CE) n. 889/2008 inerente alla produzione biologica, che, fra l'altro, non indica una distanza specifica di sicurezza;
    l'articolo 63, «Regime di controllo e impegno dell'operatore», del titolo IV («Controlli») del capo I («Requisiti minimi di controllo») fa, infatti, riferimento alle misure precauzionali da prendere per ridurre il rischio di contaminazione da parte di prodotti o sostanze non autorizzati e misure di pulizia da prendere nei luoghi di magazzinaggio e lungo tutta la filiera di produzione dell'operatore;
    in concreto, nel caso in cui gli appezzamenti coltivati secondo il metodo biologico siano contigui a coltivazioni convenzionali (possibili fonti di inquinamento per fenomeni di deriva) spetta all'agricoltore che produce in biologico adottare misure precauzionali (quali la predisposizione di barriere sui confini a rischio e/o fasce di rispetto) per ridurre il rischio di contaminazione da parte di prodotti o sostanze non autorizzate dai disciplinari tecnici. Dunque, in una normativa che si presenta alquanto debole per quel che concerne il biologico, sul fronte dell'utilizzo dei prodotti fitosanitari, è del tutto assente la previsione di una distanza di sicurezza ben definita;
    sulla rivista The lancet oncology, l'Organizzazione mondiale della sanità ha classificato tre pesticidi nella categoria 2A, cioè «probabilmente cancerogeni», l'ultimo livello prima di «sicuramente cancerogeni». La International agency for research on cancer ha preso in considerazione due insetticidi: il Diazinon e il Malathion, ma a suscitare scalpore è stato il parere espresso dall'agenzia sul Glisofato;
    il Glisofato è stato sintetizzato dalla Monsanto negli anni ’70 ed è il principio attivo del diserbante Roundup, il quale rappresenta l'erbicida più usato al mondo, oltre ad essere quello che si ritrova più spesso nell'ambiente; è presente in più di 750 prodotti destinati all'agricoltura, silvicoltura, usi urbani e domestici;
    alcuni esperimenti sugli animali hanno dimostrato che il diserbante provoca danni cromosomici, un maggiore rischio di tumore alla pelle, al tubolo renale e agli adenomi delle cellule pancreatiche. Tuttavia, la International agency for research on cancer ritiene che l'insieme della letteratura scientifica esaminata non permetterebbe di concludere con assoluta certezza che il Glisofato sia cancerogeno;
    il decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, all'articolo 5, prevede l'istituzione del consiglio tecnico-scientifico sull'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, istituito con il decreto interministeriale del 22 luglio 2013;
    il decreto interministeriale del 15 luglio 2015, in attuazione dell'articolo 22 del decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, stabilisce le «modalità di raccolta ed elaborazione dei dati per l'applicazione degli indicatori previsti dal piano d'azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari»;
    l'allegato al decreto interministeriale del 15 luglio 2015, al primo e al secondo capoverso, recita che: «l'articolo 22 del decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, prevede l'adozione di indicatori utili alla valutazione dei progressi realizzati attraverso l'attuazione del piano d'azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari e specifica che tali indicatori, oltre a permettere “una valutazione dei progressi realizzati nella riduzione dei rischi e degli impatti derivanti dall'utilizzo di prodotti fitosanitari”, dovranno anche permettere di “rilevare le tendenze nell'uso di talune sostanze attive con particolare riferimento alle colture, alle aree trattate e alle pratiche fitosanitarie adottate”. Il decreto legislativo precisa che gli indicatori stabiliti saranno utilizzati, tra l'altro, i dati rilevati ai sensi del regolamento (CE) n. 1185/2009, sulle statistiche relative ai prodotti fitosanitari (...)»;
    il 14 dicembre 2009 è entrato in vigore il regolamento n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari che abroga le direttive del Consiglio 79/117/CEE (sul divieto di immissione nel mercato e di impiego di prodotti fitosanitari contenenti determinate sostanze attive) e 91/414/CEE (relativa all'autorizzazione e all'immissione sul commercio dei prodotti fitosanitari). L'applicazione del regolamento è avvenuta il 14 giugno 2011. Tra le innovazioni contenute nel nuovo regolamento europeo c’è l'introduzione dei criteri di cut-off che escludono a priori le sostanze attive identificate pericolose per la salute dell'uomo, degli organismi animali o dell'ambiente;
    le sostanze attive che possiedono caratteristiche intrinseche di pericolosità tali da destare preoccupazione verranno, invece, identificate come sostanze «candidate alla sostituzione». I prodotti fitosanitari contenenti tali sostanze attive dovranno essere sottoposti ad una procedura di «valutazione comparativa» che dovrà verificare la disponibilità, in commercio, di prodotti analoghi, o di metodi non chimici alternativi, con profilo tossicologico ed eco-tossicologico più favorevole;
    tale nuovo quadro normativo si inserisce in una situazione legislativa che ha visto, nel marzo 2009, la conclusione del programma europeo di revisione di tutte le sostanze attive fitosanitarie presenti sul mercato nel 1993 ai sensi della direttiva 91/414/CEE. La revisione ha interessato circa 1.000 sostanze e al termine circa 750 sono state escluse dal commercio in Europa;
    in Italia si stima che circa 200 sostanze attive fitosanitarie siano state revocate. Tra queste un numero rilevante ha riguardato sostanze impiegate diffusamente (ad esempio, i fosforganici), la cui sostituzione ha creato qualche problema richiedendo una ridefinizione delle strategie di difesa delle colture;
    in questo scenario si inseriscono, quindi, le importanti disposizioni previste dal nuovo regolamento n. 1107/2009 sull'immissione in commercio dei prodotti fitosanitari che potrebbero portare, nei prossimi anni, all'esclusione dal commercio di altre sostanze attive, attualmente autorizzate (incluse nell'allegato I);
    infatti, il processo prevede che le sostanze attualmente autorizzate siano rivalutate, alla luce dei nuovi criteri di cut- off e di selezione delle sostanze candidate alla sostituzione, soltanto al momento della scadenza della loro autorizzazione al commercio. Quindi, solo fra diversi anni si potrà conoscere l'effettiva disponibilità delle sostanze attive;
    tale situazione di incertezza determina rilevanti criticità anche in sede di predisposizione ed aggiornamento dei disciplinari di produzione integrata a livello regionale. Nei disciplinari di produzione integrata sono, infatti, riportate le strategie di difesa integrata a cui devono attenersi le aziende agricole che aderiscono alle organizzazioni dei produttori e che rappresentano, quindi, le metodologie produttive che sono alla base delle attività di promozione e valorizzazione della qualità della maggior parte delle produzioni ortofrutticole regionali;
    l'articolo 30, paragrafo 1, del regolamento n. 1107/2009, indica che: (...) in deroga all'articolo 29, paragrafo 1, lettera a), gli Stati membri possono autorizzare, per un periodo provvisorio non superiore a tre anni, l'immissione sul mercato di prodotti fitosanitari contenenti una sostanza attiva non ancora approvata, a condizione che:
     a) la decisione di approvazione non abbia potuto essere presa entro un termine di trenta mesi dalla data di ammissibilità della domanda, prorogato degli eventuali termini aggiuntivi fissati in conformità dell'articolo 9, paragrafo 2, dell'articolo 11, paragrafo 3, o dell'articolo 12, paragrafo 2 o 3;
     b) a norma dell'articolo 9 il fascicolo sulla sostanza attiva sia ammissibile in relazione agli usi proposti;
     c) lo Stato membro concluda che la sostanza attiva può soddisfare i requisiti di cui all'articolo 4, paragrafi 2 e 3, e che il prodotto fitosanitario può prevedibilmente soddisfare i requisiti di cui all'articolo 29, paragrafo 1, lettere da b) a h);
     d) siano stati stabiliti livelli massimi di residuo conformemente al regolamento (CE) n. 396/2005;
    il paragrafo 3 dell'articolo 30 del regolamento stabilisce che: «(...) le disposizioni di cui ai paragrafi 1 e 2 si applicano fino al 14 giugno 2016 (...)»;
    in verità questo articolo così come l'articolo 53 (che prevede autorizzazioni in deroga per ragioni di emergenza fitoiatrica, la cui validità è di centoventi giorni) del medesimo regolamento stanno trovando una forte applicazione in contrasto con i caratteri di eccezionalità e in deroga alla norma comunitaria nella parte in cui trova difficile applicazione quanto stabilito dal regolamento (CE) n. 396/2005 sui livelli massimi di residui. Molte autorizzazioni concesse in riferimento all'articolo 30 del citato regolamento, di fatto, si sono anche spinte oltre i tre anni previsti, producendo delle vere e proprie distorsioni del sistema autorizzatorio, anche perché è difficile constatare l'interruzione, dopo i termini di scadenza, delle sostanze autorizzate e che cosa si intende per emergenza fitoiatrica;
    a tal riguardo, dal sito del Ministero della salute, dove tra l'altro vi è una lunga lista di sostanze autorizzate in base all'articolo 53, si legge che: «(...) la Commissione europea sta predisponendo una nuova linea guida ad uso degli Stati membri al fine di chiarire in quali circostanze una situazione può essere definita di emergenza fitoiatrica ed allo scopo di uniformare le procedure di rilascio di dette autorizzazioni da parte degli Stati stessi; saranno, inoltre, fornite indicazioni procedurali su come effettuare la richiesta di autorizzazioni eccezionali (...)»;
    alla luce di quanto poc'anzi descritto, appare evidente che l'impianto autorizzatorio in deroga (articoli 30 e 53 del regolamento n. 1107/2009) è carente delle definizioni guida che chiariscano che cosa si intende e quando si verifica un'emergenza fitoiatrica, come appare anche che le disposizioni del piano di azione nazionale, così come i suoi decreti attuativi sulla costituzione del consiglio tecnico-scientifico sull'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, e le modalità di raccolta ed elaborazione dei dati per l'applicazione degli indicatori previsti dal piano d'azione nazionale e il «Rapporto nazionale pesticidi nelle acque. Dati 2011-2012-edizione 2014» dell'Ispra evidenziano una vera e propria aporia finalistica del complesso normativo, tenendo conto anche del regolamento (CE) n. 396/2005 sui livelli massimi di residui;
    a precisa domanda posta dai firmatari del presente atto di indirizzo al Ministero della salute sull'esistenza di dati statistici delle autorizzazioni di cui all'articolo 30 del regolamento, la risposta è stata che il Ministero non possiede dati che consentano di capire quante e quali sono state le autorizzazioni rilasciate in merito al citato articolo,

impegna il Governo:

   ad assumere un'iniziativa normativa sull'utilizzo dei prodotti fitosanitari più stringente, rispetto a quella oggi in vigore, che introduca a livello nazionale divieti ed eventuali sanzioni, superando la logica delle raccomandazioni e sancendo distanze certe e determinate tra i luoghi oggetto di irrorazione con fitofarmaci e i centri abitati e le coltivazioni biologiche e biodinamiche, al fine di garantire il diritto alla salute;
   ad assumere iniziative normative per introdurre il divieto esplicito di utilizzo dei prodotti fitosanitari nei parchi pubblici, come già avviene in altri Paesi dell'Unione europea;
   ad adottare una campagna informativa più efficace, attraverso una cartellonistica chiara e leggibile, in grado di avvertire la popolazione circa il luogo in cui è stato fatto uso di pesticidi, indicando, tra l'altro, le eventuali malattie che essi comportano e il «periodo di carenza» al fine di evitare di cagionare danni alla salute umana, con il partenariato del Ministero della salute, sulla base di altre campagne messe già in atto come quella contro il fumo, avvalendosi anche del servizio pubblico radiotelevisivo e delle maggiori testate giornalistiche nazionali;
   ad assumere iniziative normative per introdurre specifiche distanze di sicurezza fra i campi coltivati dove sono utilizzati i prodotti fitosanitari e i campi dove non se ne fa utilizzo, che al momento non sono disciplinate a livello nazionale;
   ad effettuare, avvalendosi di enti pubblici e della collaborazione dei centri di ricerca e studi indipendenti, un monitoraggio sugli effetti a lungo termine di determinati prodotti impiegati, con particolare riguardo al «cocktail di fitosanitari», così come descritto nel dossier dell'Ispra;
   ad assumere un'apposita iniziativa normativa al fine di obbligare gli agricoltori che praticano l'agricoltura convenzionale, e quindi che utilizzano i fitofarmaci, al rispetto delle distanze di sicurezza fra le colture, al fine di evitare che le produzioni biologiche e biodinamiche vengano contaminate;
   a valutare la messa al bando del Glifosato dal territorio nazionale, al fine di applicare il «principio di precauzione» per salvaguardare le condizioni di vita e di lavoro degli operatori del settore, oltre alla salute pubblica e dell'ambiente, avendo quale punto di valutazione scientifica il parere dell’International agency for research on cancer e i numerosi studi di cancerogenicità fin ora esperiti, valutando, inoltre, anche l'esclusione delle sostanze di sintesi classificate come «probabilmente cancerogene»;
   a porre in essere iniziative concrete che limitino fortemente l'utilizzo delle deroghe sul territorio italiano e a dar seguito a quanto previsto dal piano d'azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, dalla «Strategia tematica per l'uso sostenibile dei pesticidi» e dalle norme di recepimento e attuative del complesso normativo;
   ad assumere iniziative affinché le attuali disposizioni degli articoli 30 e 53 del regolamento n. 1107/2009 vengano riviste in maniera più restrittiva e nel reale rispetto ed applicazione di fatto di quanto previsto dall'intero corpo normativo sull'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, garantendo che i livelli massimi di residui vengano rispettati;
   ad attivarsi in sede comunitaria affinché vengano emanate le mancanti linee guida che chiariscano che cosa si intende e in quali circostanze si verifica una emergenza fitoiatrica;
   ad avviare, per il tramite del competente Ministero, un'indagine con cui acquisire i dati statistici sulle autorizzazioni rilasciate di cui all'articolo 30 del regolamento n. 1107/2009;
   a realizzare una vera strategia nazionale con cui invertire le attuali politiche sull'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, che di fatto appartengono più a degli enunciati di buoni propositi che non alla realtà fattuale, creando un cluster agronomico-ambientale dove ricercare e sperimentare prodotti fitosanitari a base di sostanze naturali, al fine di diminuire, per poi eliminare dal territorio italiano, i prodotti fitosanitari di sintesi alla luce anche delle scelte, sempre maggiori, di conversione aziendale dall'agricoltura convenzionale a quella biologica.
(1-01019) «Zaccagnini, Scotto, Pellegrino, Zaratti, Nicchi, Fratoianni, Franco Bordo, Kronbichler».


   La Camera,
   premesso che:
    con la comunicazione (COM (2006) 372) del 12 luglio 2006 veniva definita la «Strategia tematica per l'uso sostenibile dei pesticidi»; nell'introduzione, «Descrizione del problema ambientale», si afferma che: «(...) costituiti principalmente da prodotti fitosanitari e da biocidi, i pesticidi sono destinati a influenzare i processi di base degli organismi viventi e possono pertanto uccidere o controllare gli organismi nocivi come i parassiti. Allo stesso tempo possono provocare effetti negativi indesiderati su organismi non bersaglio, sulla salute umana e sull'ambiente. I possibili rischi associati al loro utilizzo sono accettati in certa misura a fronte dei benefici economici che ne derivano, se si pensa che i prodotti fitosanitari, ad esempio, contribuiscono a garantire un'offerta affidabile di prodotti agricoli di elevata qualità, salutari e a prezzi accessibili. Da tempo questi prodotti sono regolamentati nella maggior parte degli Stati membri e nella Comunità. Negli anni è stato istituito un sistema altamente specializzato per valutare i rischi per la salute umana e per l'ambiente connessi all'impiego dei pesticidi. Nonostante tutti i tentativi fatti per circoscrivere i rischi legati all'impiego dei pesticidi e per evitare effetti indesiderati, è ancora possibile ritrovare quantitativi indesiderati di alcuni pesticidi nelle varie matrici ambientali (e soprattutto nel suolo e nelle acque) e nei prodotti agricoli sono ancora presenti residui superiori ai limiti stabiliti per legge. È pertanto necessario ridurre per quanto possibile i rischi prodotti dai pesticidi alle persone e all'ambiente, riducendo al minimo o, se possibile, eliminando l'esposizione e incentivando attività di ricerca e sviluppo su alternative, anche non chimiche, meno dannose (...)»;
    la direttiva 2009/128/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, recepita con il decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, ha istituito un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei prodotti fitosanitari;
    in applicazione dell'articolo 6 del predetto decreto legislativo è stato predisposto il piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari. Il piano è stato adottato in data 22 gennaio 2014 a seguito dell'emanazione del decreto interministeriale;
    il piano di azione nazionale si propone di ridurre i rischi associati all'uso dei prodotti fitosanitari, promuovendo un processo di cambiamento delle tecniche di utilizzo dei prodotti verso forme più compatibili e sostenibili in termini ambientali e sanitari;
    sebbene con l'adozione del piano di azione nazionale vi sia una rinnovata attenzione sull'utilizzo e sui controlli dei prodotti fitosanitari, l'Istituto superiore per la ricerca e la protezione dell'ambiente, Ispra, lancia l'allarme con il «Rapporto nazionale pesticidi nelle acque. Dati 2011-2012. – edizione 2014», nel quale si rileva che, nonostante la vendita di pesticidi sia diminuita, nelle acque sono state registrate 175 diverse sostanze e in alcune rilevazioni fino a 36 sostanze contemporaneamente: un miscuglio chimico di cui, ad oggi, ancora non si conoscono precisamente gli effetti. In merito alla non adeguata conoscenza degli effetti, che un miscuglio di numerose sostanze può avere sugli ecosistemi, si legge dal dossier dell'Ispra che: «(...) nei campioni sono spesso presenti miscele di sostanze diverse: ne sono state trovate fino a 36 contemporaneamente. L'uomo, gli altri organismi e l'ambiente sono, pertanto, esposti a un cocktail di sostanze chimiche di cui non si conoscono adeguatamente gli effetti, per l'assenza di dati sperimentali (...)»;
    le modalità operative previste nel piano di azione nazionale per perseguire l'ottenimento degli obiettivi dati dall'Unione europea in tema di corretto utilizzo dei prodotti fitosanitari, sono: a) la formazione obbligatoria dei venditori, dei consulenti e degli operatori; b) l'informazione e la sensibilizzazione per la popolazione; c) i controlli funzionali sulle macchine per la distribuzione; d) l'adozione di misure specifiche per la tutela delle acque; e) misure specifiche per la riduzione dell'uso dei fitofarmaci; f) buone pratiche di manipolazione ed uso dei fitofarmaci durante tutto il loro «ciclo di vita»;
    nonostante le linee guida contenute nel piano di azione nazionale e la normativa sui prodotti fitosanitari siano molto stringenti riguardo alla loro immissione in commercio, alle modalità di vendita e di stoccaggio dei prodotti, ai residui negli alimenti, al divieto di trattamenti durante la fioritura per non causare danni alle api, si dice poco o niente sull'esecuzione dei trattamenti. Sono esplicitamente vietati solo i trattamenti in prossimità dei pozzi, mentre per i trattamenti in prossimità di abitazioni e giardini esistono alcuni regolamenti comunali e delibere che valgono naturalmente solo sul territorio del comune che li ha emanati, nonché le disposizioni del codice civile e del codice di procedura penale, in riferimento a danni a persone o cose determinati da modalità operative sconsiderate o comunque da negligenza nell'uso. Esistono, poi, le disposizioni sulla sicurezza sul lavoro di cui al decreto legislativo n. 81 del 2008 e al decreto legislativo n. 106 del 2009, che prevedono anche di evitare danni a persone terze, ad esempio vietando l'ingresso nell'area di un cantiere o, come nel caso in esame, evitando di disperdere nell'ambiente sostanze potenzialmente tossiche. Queste procedure possono variare da azienda ad azienda e possono essere sottoposte a verifica da parte degli uffici competenti delle aziende sanitari locali;
    visto il vuoto normativo, si è cercato anche nel piano di azione nazionale di risolvere il problema in via «amicale» con l'agricoltore, chiedendogli di adottare alcune attenzioni: evitare i trattamenti quando c’è vento; controllare che la nuvola dei trattamenti non raggiunga le zone abitate; avvisare prima dei trattamenti in modo che i residenti possano chiudere porte e finestre; raccogliere i panni stesi, coprire l'orto con teli e non sostare nelle vicinanze dell'appezzamento da trattare. Tuttavia, non vi è esplicito divieto o una normativa nazionale uguale per tutti i comuni, né una reale campagna di sensibilizzazione, informazione e formazione dell'agricoltore per espletare, idoneamente, i trattamenti e non recare danno alla popolazione immediatamente prossima ai terreni agricoli. La problematica si acuisce quando alcuni comuni sono soliti autorizzare trattamenti e irrorazioni con diserbanti nei parchi cittadini e nelle vicinanze di molte abitazioni;
    quando si esegue un trattamento fitosanitario, soltanto una parte esigua della miscela contenente la sostanza attiva raggiunge il bersaglio, mentre il resto viene disperso nell'ambiente;
    nel merito della domanda relativa alle distanze di sicurezza per il rischio di contaminazione, va precisato che qualcosa in merito lo si ritrova solo nel regolamento (CE) n. 889/2008 inerente alla produzione biologica, che, fra l'altro, non indica una distanza specifica di sicurezza;
    l'articolo 63, «Regime di controllo e impegno dell'operatore», del titolo IV («Controlli») del capo I («Requisiti minimi di controllo») fa, infatti, riferimento alle misure precauzionali da prendere per ridurre il rischio di contaminazione da parte di prodotti o sostanze non autorizzati e misure di pulizia da prendere nei luoghi di magazzinaggio e lungo tutta la filiera di produzione dell'operatore;
    in concreto, nel caso in cui gli appezzamenti coltivati secondo il metodo biologico siano contigui a coltivazioni convenzionali (possibili fonti di inquinamento per fenomeni di deriva) spetta all'agricoltore che produce in biologico adottare misure precauzionali (quali la predisposizione di barriere sui confini a rischio e/o fasce di rispetto) per ridurre il rischio di contaminazione da parte di prodotti o sostanze non autorizzate dai disciplinari tecnici. Dunque, in una normativa che si presenta alquanto debole per quel che concerne il biologico, sul fronte dell'utilizzo dei prodotti fitosanitari, è del tutto assente la previsione di una distanza di sicurezza ben definita;
    sulla rivista The lancet oncology, l'Organizzazione mondiale della sanità ha classificato tre pesticidi nella categoria 2A, cioè «probabilmente cancerogeni», l'ultimo livello prima di «sicuramente cancerogeni». La International agency for research on cancer ha preso in considerazione due insetticidi: il Diazinon e il Malathion, ma a suscitare scalpore è stato il parere espresso dall'agenzia sul Glisofato;
    il Glisofato è stato sintetizzato dalla Monsanto negli anni ’70 ed è il principio attivo del diserbante Roundup, il quale rappresenta l'erbicida più usato al mondo, oltre ad essere quello che si ritrova più spesso nell'ambiente; è presente in più di 750 prodotti destinati all'agricoltura, silvicoltura, usi urbani e domestici;
    alcuni esperimenti sugli animali hanno dimostrato che il diserbante provoca danni cromosomici, un maggiore rischio di tumore alla pelle, al tubolo renale e agli adenomi delle cellule pancreatiche. Tuttavia, la International agency for research on cancer ritiene che l'insieme della letteratura scientifica esaminata non permetterebbe di concludere con assoluta certezza che il Glisofato sia cancerogeno;
    il decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, all'articolo 5, prevede l'istituzione del consiglio tecnico-scientifico sull'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, istituito con il decreto interministeriale del 22 luglio 2013;
    il decreto interministeriale del 15 luglio 2015, in attuazione dell'articolo 22 del decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, stabilisce le «modalità di raccolta ed elaborazione dei dati per l'applicazione degli indicatori previsti dal piano d'azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari»;
    l'allegato al decreto interministeriale del 15 luglio 2015, al primo e al secondo capoverso, recita che: «l'articolo 22 del decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, prevede l'adozione di indicatori utili alla valutazione dei progressi realizzati attraverso l'attuazione del piano d'azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari e specifica che tali indicatori, oltre a permettere “una valutazione dei progressi realizzati nella riduzione dei rischi e degli impatti derivanti dall'utilizzo di prodotti fitosanitari”, dovranno anche permettere di “rilevare le tendenze nell'uso di talune sostanze attive con particolare riferimento alle colture, alle aree trattate e alle pratiche fitosanitarie adottate”. Il decreto legislativo precisa che gli indicatori stabiliti saranno utilizzati, tra l'altro, i dati rilevati ai sensi del regolamento (CE) n. 1185/2009, sulle statistiche relative ai prodotti fitosanitari (...)»;
    il 14 dicembre 2009 è entrato in vigore il regolamento n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari che abroga le direttive del Consiglio 79/117/CEE (sul divieto di immissione nel mercato e di impiego di prodotti fitosanitari contenenti determinate sostanze attive) e 91/414/CEE (relativa all'autorizzazione e all'immissione sul commercio dei prodotti fitosanitari). L'applicazione del regolamento è avvenuta il 14 giugno 2011. Tra le innovazioni contenute nel nuovo regolamento europeo c’è l'introduzione dei criteri di cut-off che escludono a priori le sostanze attive identificate pericolose per la salute dell'uomo, degli organismi animali o dell'ambiente;
    le sostanze attive che possiedono caratteristiche intrinseche di pericolosità tali da destare preoccupazione verranno, invece, identificate come sostanze «candidate alla sostituzione». I prodotti fitosanitari contenenti tali sostanze attive dovranno essere sottoposti ad una procedura di «valutazione comparativa» che dovrà verificare la disponibilità, in commercio, di prodotti analoghi, o di metodi non chimici alternativi, con profilo tossicologico ed eco-tossicologico più favorevole;
    tale nuovo quadro normativo si inserisce in una situazione legislativa che ha visto, nel marzo 2009, la conclusione del programma europeo di revisione di tutte le sostanze attive fitosanitarie presenti sul mercato nel 1993 ai sensi della direttiva 91/414/CEE. La revisione ha interessato circa 1.000 sostanze e al termine circa 750 sono state escluse dal commercio in Europa;
    in Italia si stima che circa 200 sostanze attive fitosanitarie siano state revocate. Tra queste un numero rilevante ha riguardato sostanze impiegate diffusamente (ad esempio, i fosforganici), la cui sostituzione ha creato qualche problema richiedendo una ridefinizione delle strategie di difesa delle colture;
    in questo scenario si inseriscono, quindi, le importanti disposizioni previste dal nuovo regolamento n. 1107/2009 sull'immissione in commercio dei prodotti fitosanitari che potrebbero portare, nei prossimi anni, all'esclusione dal commercio di altre sostanze attive, attualmente autorizzate (incluse nell'allegato I);
    infatti, il processo prevede che le sostanze attualmente autorizzate siano rivalutate, alla luce dei nuovi criteri di cut- off e di selezione delle sostanze candidate alla sostituzione, soltanto al momento della scadenza della loro autorizzazione al commercio. Quindi, solo fra diversi anni si potrà conoscere l'effettiva disponibilità delle sostanze attive;
    tale situazione di incertezza determina rilevanti criticità anche in sede di predisposizione ed aggiornamento dei disciplinari di produzione integrata a livello regionale. Nei disciplinari di produzione integrata sono, infatti, riportate le strategie di difesa integrata a cui devono attenersi le aziende agricole che aderiscono alle organizzazioni dei produttori e che rappresentano, quindi, le metodologie produttive che sono alla base delle attività di promozione e valorizzazione della qualità della maggior parte delle produzioni ortofrutticole regionali;
    l'articolo 30, paragrafo 1, del regolamento n. 1107/2009, indica che: (...) in deroga all'articolo 29, paragrafo 1, lettera a), gli Stati membri possono autorizzare, per un periodo provvisorio non superiore a tre anni, l'immissione sul mercato di prodotti fitosanitari contenenti una sostanza attiva non ancora approvata, a condizione che:
     a) la decisione di approvazione non abbia potuto essere presa entro un termine di trenta mesi dalla data di ammissibilità della domanda, prorogato degli eventuali termini aggiuntivi fissati in conformità dell'articolo 9, paragrafo 2, dell'articolo 11, paragrafo 3, o dell'articolo 12, paragrafo 2 o 3;
     b) a norma dell'articolo 9 il fascicolo sulla sostanza attiva sia ammissibile in relazione agli usi proposti;
     c) lo Stato membro concluda che la sostanza attiva può soddisfare i requisiti di cui all'articolo 4, paragrafi 2 e 3, e che il prodotto fitosanitario può prevedibilmente soddisfare i requisiti di cui all'articolo 29, paragrafo 1, lettere da b) a h);
     d) siano stati stabiliti livelli massimi di residuo conformemente al regolamento (CE) n. 396/2005;
    il paragrafo 3 dell'articolo 30 del regolamento stabilisce che: «(...) le disposizioni di cui ai paragrafi 1 e 2 si applicano fino al 14 giugno 2016 (...)»;
    in verità questo articolo così come l'articolo 53 (che prevede autorizzazioni in deroga per ragioni di emergenza fitoiatrica, la cui validità è di centoventi giorni) del medesimo regolamento stanno trovando una forte applicazione in contrasto con i caratteri di eccezionalità e in deroga alla norma comunitaria nella parte in cui trova difficile applicazione quanto stabilito dal regolamento (CE) n. 396/2005 sui livelli massimi di residui. Molte autorizzazioni concesse in riferimento all'articolo 30 del citato regolamento, di fatto, si sono anche spinte oltre i tre anni previsti, producendo delle vere e proprie distorsioni del sistema autorizzatorio, anche perché è difficile constatare l'interruzione, dopo i termini di scadenza, delle sostanze autorizzate e che cosa si intende per emergenza fitoiatrica;
    a tal riguardo, dal sito del Ministero della salute, dove tra l'altro vi è una lunga lista di sostanze autorizzate in base all'articolo 53, si legge che: «(...) la Commissione europea sta predisponendo una nuova linea guida ad uso degli Stati membri al fine di chiarire in quali circostanze una situazione può essere definita di emergenza fitoiatrica ed allo scopo di uniformare le procedure di rilascio di dette autorizzazioni da parte degli Stati stessi; saranno, inoltre, fornite indicazioni procedurali su come effettuare la richiesta di autorizzazioni eccezionali (...)»;
    alla luce di quanto poc'anzi descritto, appare evidente che l'impianto autorizzatorio in deroga (articoli 30 e 53 del regolamento n. 1107/2009) è carente delle definizioni guida che chiariscano che cosa si intende e quando si verifica un'emergenza fitoiatrica, come appare anche che le disposizioni del piano di azione nazionale, così come i suoi decreti attuativi sulla costituzione del consiglio tecnico-scientifico sull'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, e le modalità di raccolta ed elaborazione dei dati per l'applicazione degli indicatori previsti dal piano d'azione nazionale e il «Rapporto nazionale pesticidi nelle acque. Dati 2011-2012-edizione 2014» dell'Ispra evidenziano una vera e propria aporia finalistica del complesso normativo, tenendo conto anche del regolamento (CE) n. 396/2005 sui livelli massimi di residui;
    a precisa domanda posta dai firmatari del presente atto di indirizzo al Ministero della salute sull'esistenza di dati statistici delle autorizzazioni di cui all'articolo 30 del regolamento, la risposta è stata che il Ministero non possiede dati che consentano di capire quante e quali sono state le autorizzazioni rilasciate in merito al citato articolo,

impegna il Governo:

   a valutare la possibilità di assumere iniziative per una campagna informativa più efficace, attraverso una cartellonistica chiara e leggibile, in grado di avvertire la popolazione circa il luogo in cui è stato fatto uso di pesticidi, indicando, tra l'altro, le eventuali malattie che essi comportano e il «periodo di carenza» al fine di evitare di cagionare danni alla salute umana, con il partenariato del Ministero della salute, sulla base di altre campagne messe già in atto come quella contro il fumo, avvalendosi anche del servizio pubblico radiotelevisivo e delle maggiori testate giornalistiche nazionali;
   a valutare la possibilità di assumere iniziative normative per introdurre specifiche distanze di sicurezza fra i campi coltivati dove sono utilizzati i prodotti fitosanitari e i campi dove non se ne fa utilizzo, che al momento non sono disciplinate a livello nazionale;
   a prevedere una iniziativa del Governo italiano per conformarsi alle posizioni che saranno assunte dall'EFSA;
   a valutare la possibilità di assumere un'apposita iniziativa normativa al fine di obbligare gli agricoltori che praticano l'agricoltura convenzionale, e quindi che utilizzano i fitofarmaci, al rispetto delle distanze di sicurezza fra le colture, al fine di evitare che le produzioni biologiche e biodinamiche vengano contaminate;
   a votare la decisione assunta a livello comunitario in relazione alla messa al bando del Glifosato dal territorio nazionale, al fine di applicare il «principio di precauzione» per salvaguardare le condizioni di vita e di lavoro degli operatori del settore, oltre alla salute pubblica e dell'ambiente, avendo quale punto di valutazione scientifica il parere dell’International agency for research on cancer e i numerosi studi di cancerogenicità fin ora esperiti, valutando, inoltre, anche l'esclusione delle sostanze di sintesi classificate come «probabilmente cancerogene»;
   a porre in essere iniziative concrete che limitino fortemente l'utilizzo delle deroghe sul territorio italiano e a dar seguito a quanto previsto dal piano d'azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, dalla «Strategia tematica per l'uso sostenibile dei pesticidi» e dalle norme di recepimento e attuative del complesso normativo;
   ad assumere iniziative affinché le attuali disposizioni dell'articolo 53 del regolamento n. 1107/2009 vengano riviste in maniera più restrittiva e nel reale rispetto ed applicazione di fatto di quanto previsto dall'intero corpo normativo sull'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, garantendo che i livelli massimi di residui vengano rispettati;
   a valutare la possibilità di attivarsi in sede comunitaria affinché vengano emanate le mancanti linee guida che chiariscano che cosa si intende e in quali circostanze si verifica una emergenza fitoiatrica;
   a valutare la possibilità di avviare, per il tramite del competente Ministero, un'indagine con cui acquisire i dati statistici sulle autorizzazioni rilasciate di cui all'articolo 30 del regolamento n. 1107/2009;
   a realizzare una vera strategia nazionale con cui invertire le attuali politiche sull'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, che di fatto appartengono più a degli enunciati di buoni propositi che non alla realtà fattuale, creando un cluster agronomico-ambientale dove ricercare e sperimentare prodotti fitosanitari a base di sostanze naturali, al fine di diminuire, per poi eliminare dal territorio italiano, i prodotti fitosanitari di sintesi alla luce anche delle scelte, sempre maggiori, di conversione aziendale dall'agricoltura convenzionale a quella biologica.
(1-01019)
(Testo modificato nel corso della seduta come risultante dalla votazione per parti separate)  «Zaccagnini, Scotto, Pellegrino, Zaratti, Nicchi, Fratoianni, Franco Bordo, Kronbichler».


   La Camera,
   premesso che:
    il sesto programma comunitario di azione in materia di ambiente, istituito con la decisione n. 1600/2002 CE, ha previsto l'elaborazione di una strategia tematica per l'uso sostenibile dei pesticidi la cui attuazione si è sviluppata, in primo luogo, con la direttiva 2009/128/CE, volta ad istituire un quadro normativo comune ai Paesi dell'Unione europea, per un utilizzo sostenibile dei pesticidi. Tale misura è stata assunta tenendo conto del principio di precauzione, allo scopo di ridurre i rischi e gli impatti sulla salute e sull'ambiente derivanti dall'utilizzo di tali prodotti ed incoraggiare lo sviluppo e l'introduzione della difesa integrata e di tecniche o approcci alternativi;
    la direttiva riguarda, in particolare, i pesticidi che sono prodotti fitosanitari, intervenendo essenzialmente a disciplinare la fase di utilizzo di tali prodotti, ritenuta cruciale per la determinazione effettiva dei rischi;
    la stessa direttiva assegna agli Stati membri il compito di garantire l'implementazione di politiche ed azioni volte al perseguimento di tali obiettivi, prevedendo inoltre la predisposizione di appositi piani di azioni nazionali: la direttiva è stata di recente attuata nell'ordinamento italiano con il decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150;
    il decreto legislativo si applica ai prodotti fitosanitari, definiti come prodotti contenenti o costituiti da sostanze attive, antidoti agronomici o sinergizzanti, destinati ad uno dei seguenti impieghi: proteggere i vegetali o i prodotti vegetali da tutti gli organismi nocivi o prevenire gli effetti di questi ultimi; influire sui relativi processi vitali, conservare i prodotti vegetali medesimi, distruggere quelli indesiderati; controllare o evitare la loro crescita indesiderata;
    il provvedimento prevede inoltre l'adozione di un piano d'azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, che definisce gli obiettivi, le misure, le modalità ed i tempi per la riduzione dei rischi e degli impatti dell'utilizzo dei prodotti fitosanitari sulla salute umana, sull'ambiente e sulla biodiversità;
    il medesimo piano di azione nazionale promuove lo sviluppo e l'introduzione della difesa integrata e di metodi di produzione o tecniche di difesa alternativi, al fine di ridurre la dipendenza dai prodotti fitosanitari, anche in relazione alla necessità di assicurare una produzione sostenibile, rispondenti ai requisiti di qualità stabiliti dalle norme vigenti;
    gli obiettivi del piano riguardano i seguenti settori:
     a) la protezione degli utilizzatori dei prodotti fitosanitari e della popolazione interessata;
     b) la tutela dei consumatori;
     c) la salvaguardia dell'ambiente acquatico e delle acque potabili;
     d) la conservazione della biodiversità e degli ecosistemi;
    la normativa di recente entrata in vigore individua altresì diverse misure specifiche in tema di formazione e abilitazione degli operatori professionali, di utilizzo e vendita dei prodotti fitosanitari, di raccolta di dati, di informazione e di sensibilizzazione della popolazione, per la tutela dell'ambiente acquatico e dell'acqua potabile e per la riduzione dei rischi in aree specifiche;
    particolarmente rilevante appare la parte dedicata alla difesa fitosanitaria a basso apporto di prodotti fitosanitari, che include sia la difesa integrata, articolata in un regime obbligatorio e in uno volontario, che l'agricoltura biologica;
    il processo normativo europeo e nazionale che regola oggi le autorizzazioni e le modalità di utilizzo dei fitofarmac, offre alte garanzie e sicurezza per i consumatori, per gli utilizzatori, per la popolazione residente nelle aree di coltivazione e per l'ambiente;
    la produzione biologica e le ulteriori limitazioni «volontarie» operate dai produttori per mezzo «dei disciplinari di produzione integrata avanzata» contribuiscono ad aumentare i parametri di sicurezza nell'impiego dei fitosanitari;
    l'obiettivo di un'armonica convivenza tra produzione agricola e cittadini rappresenta oggi un'importante priorità. Si raccomanda, in particolare, una maggiore e forte azione di comunicazione da parte delle istituzioni, al fine di proporre alla collettività un quadro equilibrato e più rispondente alla realtà sull'alto grado di sicurezza del processo di produzione agricola, verso la salute del cittadino e la salvaguardia dell'ambiente;
    secondo l'Istituto superiore di sanità, su 40.000, casi di intossicazione da sostanze chimiche, solo il 5 per cento riguarda i fitofarmaci e comunque tali casi non coinvolgono cittadini comuni, ma esclusivamente gli operatori che manipolano tali prodotti e, in via accidentale, anche i loro familiari, quando lo stoccaggio non viene eseguito secondo le norme vigenti: nel 90 per cento dei casi, pertanto, si tratta di intossicazioni accidentali;
    il piano di azione nazionale è stato pubblicato ed adottato con il decreto 22 gennaio 2014 «Adozione del Piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, recante: “Attuazione della direttiva 2009/128/CE che istituisce un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi”»;
    nel panorama dell'agricoltura europea, l'affermazione che l'Italia è il Paese che utilizza le quantità maggiori di prodotti fitosanitari risulta non congrua perché il valore non deve essere interpretato in senso assoluto ma in proporzione alle tipologie di colture presenti nei diversi Stati membri ed alle differenti avversità a parassiti che colpiscono le singole realtà agricole. Infatti, i Paesi del nord e del centro Europa non hanno una così ampia produzione di ortofrutta come l'Italia e le coltivazioni ortofrutticole sono quelle più esposte agli attacchi dei parassiti ed alle malattie;
    l'uso dei fitofarmaci dipende, in termini quantitativi, dalla maggiore o minore vulnerabilità delle colture rispetto alle fitopatie e da fattori climatici ed ambientali. L'agricoltura italiana, pertanto, sul piano della lotta fitopatologica, presenta caratteristiche molto diverse dai Paesi del nord e del centro Europa ed è esposta a maggiori problematiche fitosanitarie;
    secondo uno studio comparato con gli altri Paesi europei effettuato dalla European crop protection association (Ecpa), l'Italia è l'unico Stato membro che registra una netta diminuzione dei prodotti fitosanitari dovuto alla grande adesione da parte delle imprese italiane alle misure agroambientali previste dai piani di sviluppo rurale;
    i fitofarmaci, tra l'altro, sono immessi in commercio, in media, dopo dieci anni di sperimentazioni e valutazioni scientifiche effettuate dalla casa produttrice e dalla Commissione europea con il supporto dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ai sensi del regolamento (CE) n. 1107/2009 che stabilisce norme molto restrittive per la loro immissione in commercio;
    per quanto riguarda l'immissione in commercio dei fitofarmaci è da sottolineare che la politica europea di immissione in commercio degli stessi è decisamente improntata al miglioramento degli standard di sicurezza e di impatto sull'ambiente; infatti, il processo di revisione delle sostanze attive ha determinato una sostanziale riduzione delle sostanze attive disponibili per la difesa fitosanitaria, tanto che già oggi alcuni gruppi di parassiti risultano essere di difficile controllo a causa della mancata inclusione di sostanze attive utili nell'allegato I del regolamento comunitario che ha determinato l'assenza sul mercato di prodotti fitosanitari efficaci nella lotta di determinate fitopatologie;
    tale situazione viene fronteggiata in via temporanea con autorizzazioni straordinarie che rappresentano, per questi casi, l'unico percorso normativo percorribile, tenuto conto anche del fatto che per i medesimi prodotti tali autorizzazioni vengono concesse ogni anno in altri Paesi europei (Francia e Spagna), creando situazioni di concorrenza sleale nei riguardi delle produzioni italiane;

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità che le procedure e le modalità per il rilascio delle autorizzazioni adottate da parte dei Ministeri interessati debbano rispondere ad esigenze di semplificazione e di celerità richieste dalle imprese;
   a valutare l'opportunità di intervenire a livello comunitario per l'adozione di provvedimenti che interdicano la messa in commercio e l'uso di sostanze per le quali si siano evidenziate, dopo la fase di autorizzazione, caratteristiche di nocività per la salute e per l'ambiente tali da essere incompatibili con i requisiti che la normativa europea impone;
   a valutare l'opportunità di predisporre specifiche iniziative al fine di garantire un'accurata formazione degli operatori agricoli in modo che gli stessi vengano messi a conoscenza dei rischi connessi all'utilizzazione di fitofarmaci in agricoltura che risultino nocivi per la salute e per l'ambiente;
   a valutare l'opportunità di impegnare risorse economiche idonee a sostenere il processo di innovazione e di ricerca di soluzioni sempre più adeguate, sicure e congrue sotto i diversi profili;
   a valutare l'opportunità di accompagnare l'attuazione del piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari con l'approvazione degli atti da adottare a livello nazionale che devono essere prodotti in tempo utile dai diversi Ministeri competenti;
   a valutare l'opportunità di predisporre campagne di informazione utili per i consumatori e a promuovere la predisposizione di etichette di più facile comprensione, in grado di assicurare la conoscenza dei prodotti fitosanitari utilizzati.
(1-01022) «Dorina Bianchi, Bosco, Binetti».


   La Camera,
   premesso che:
    la direttiva 2009/128/CE costituisce uno dei quattro provvedimenti legislativi adottati a livello comunitario nel cosiddetto «Pacchetto Pesticidi» – Pesticide Package (regolamento (CE) n. 1107/2009 relativo all'immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari; regolamento (CE) n. 1185/2009 relativo alle statistiche sui prodotti fitosanitari; direttiva 2009/127/CE relativa alle macchine per l'applicazione dei prodotti fitosanitari) per dare attuazione alla strategia tematica per l'uso sostenibile degli agrofarmaci prevista dal sesto programma quadro comunitario di azione per l'ambiente;
    tale intervento di regolazione è nato dall'esigenza di normare ed armonizzare l'uso degli agrofarmaci, fino ad allora delegato alle normative dei singoli Stati membri, con l'obiettivo di istituire un quadro per «realizzare un uso sostenibile degli agrofarmaci riducendone i rischi e gli impatti sulla salute umana e sull'ambiente promuovendo anche l'uso della difesa integrata»;
    essa è volta ad armonizzare e normare i diversi ambiti che sono collegati alla fase d'uso degli agrofarmaci quali la formazione, l'ispezione delle attrezzature, la difesa integrata delle colture, la tutela dell'ambiente acquatico e delle aree specifiche, la manipolazione e lo stoccaggio degli agrofarmaci nonché il trattamento degli imballaggi e delle rimanenze;
    la direttiva 2009/128/CE, recepita in Italia con il decreto legislativo n. 150 del 2012, prevede che il singolo Stato membro adotti il proprio piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (Pan) per dare attuazione nel contesto nazionale agli obiettivi comunitari armonizzando tempistiche e metodologie;
    il piano di azione, adottato in Italia con decreto ministeriale del 22 gennaio 2014, nel regolamentare l'utilizzo dei prodotti fitosanitari, prevede tutta una serie di misure specifiche per la tutela dell'ambiente acquatico e dell'acqua potabile e per la riduzione dell'uso di tali prodotti in aree specifiche quali la rete ferroviaria e stradale, le aree frequentate dalla popolazione e le aree naturali protette;
    il piano di azione prevede limitazioni molto stringenti che vanno dal divieto di trattamenti erbicidi in tutte le zone frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili, quali, ad esempio, parchi e giardini pubblici, campi sportivi, aree ricreative, cortili e aree verdi nelle scuole, alla riduzione/eliminazione per quanto possibile dell'uso dei prodotti fitosanitari sulle e lungo le linee ferroviarie e le strade, ricorrendo a mezzi alternativi (meccanici, fisici e biologici), fino alla promozione dell'uso del diserbo meccanico e fisico in tutti i casi in cui esso possa sostituire il diserbo chimico, specialmente su scarpate ferroviarie o stradali adiacenti alle aree abitate o frequentate dalla popolazione, aree limitrofe ai ponti e alle stazioni di servizio lungo strade e autostrade con annessi punti di ristoro;
    l'autorizzazione all'immissione in commercio dei prodotti fitosanitari è uniformemente disciplinata dal regolamento (CE) n. 1107/2009;
    il regolamento ha introdotto un sistema di autorizzazione a zone, nuove tempistiche dei processi autorizzativi (24 mesi), l'applicazione di criteri di esclusione a priori («cut off criteria») per la valutazione delle sostanze attive e un meccanismo di valutazione comparativa per i formulati esistenti; gli ultimi due punti nel tempo comporteranno l'esclusione dalla commercializzazione di alcuni prodotti, e la «candidatura alla sostituzione» di altri;
    per quanto riguarda il sistema di autorizzazione, il regolamento prevede la suddivisione del continente in tre zone e il principio del «mutuo riconoscimento», delegando la valutazione degli studi scientifici, presentati a supporto della domanda di autorizzazione, a un solo Paese relatore, che valuta e autorizza per primo la circolazione del prodotto fitosanitario. Gli altri Stati membri devono adeguarsi, mantenendo comunque la facoltà di fissare restrizioni;
    riguardo al «principio di sostituzione», il regolamento prevede che, laddove una sostanza attiva venga approvata per un periodo di sette anni come «candidata» alla sostituzione, i prodotti fitosanitari che la contengono sono sottoposti a una valutazione comparativa (o comparative assessment), con altri prodotti contenenti sostanze simili già approvate e che presentino rischi minori per la salute e per l'ambiente, a condizione che queste ultime mostrino pari efficacia contro le avversità da controllare;
    a marzo 2015, la Commissione europea ha pubblicato una lista di 77 sostanze attive candidate alla sostituzione;
    le autorizzazioni eccezionali sono una procedura prevista dal regolamento (CE) n. 1107/2009, all'articolo 53, con lo scopo di dotare il singolo Stato di uno strumento per la soluzione di problematiche di natura non prevedibile a fronte di patologie non trattabili con prodotti già autorizzati o con strumenti alternativi;
    nel nostro Paese le colture minori, così dette perché si tratta di coltivazioni che non raggiungono grandi superfici né elevate produzioni, rappresentano una caratteristica peculiare del sistema agro-alimentare, ne sono un esempio quelle relative a: mandorlo, noce, ciliegio, melanzana, cavoli, prezzemolo, basilico e sedano;
    le colture minori, proprio in considerazione delle limitate superfici coltivate, hanno difficoltà a trovare prodotti ad hoc; è per questo motivo che il regolamento (CE) n. 1107/2009 prevede all'articolo 51 una specifica procedura per l'estensione delle autorizzazioni per usi minori ma spesso i tempi sono eccessivamente lunghi;
    la direttiva europea e il piano di azione nazionale incoraggiano l'adozione della gestione integrata delle colture (conosciuta a livello internazionale come gestione integrata delle colture – integrated crop management o ICM), in quanto i sistemi agricoli che fanno uso delle tecniche di gestione integrata delle colture soddisfano i tre criteri di sviluppo agricolo sostenibile: redditività economica, accettazione sociale e compatibilità ambientale;
    con essa si punta a ottimizzare l'utilizzo delle risorse e dei mezzi tecnici sia per conseguire produttività, sia per conservare le risorse ambientali. La gestione integrata è una strategia a lungo termine che viene adattata alle locali condizioni del terreno e del clima e coinvolge tutto il processo produttivo: dalla scelta delle sementi alla cura delle colture e del suolo, dal corretto stoccaggio dei prodotti fino al riutilizzo del rifiuto e alla produzione di energia rinnovabile;
    inoltre, una formazione costante è essenziale per l'uso efficace e responsabile degli agrofarmaci ed è un requisito indispensabile per garantire l'applicazione delle buone pratiche agricole: la qualità dell'utilizzo degli agrofarmaci potrà migliorare se tutti gli utilizzatori professionali saranno formati;
    ma la formazione deve coinvolgere anche gli utilizzatori non professionali, che devono essere informati sul corretto impiego dei prodotti a essi destinati, e i distributori, sia perché forniscono consulenza agli agricoltori e sia perché essi stessi manipolano, trasportano e gestiscono grosse quantità di agrofarmaci;
    occorre, quindi, definire al più presto una lista di soggetti destinatari della formazione utile a orientare anche percorsi formativi;
    secondo i dati forniti da Agrofarma a livello europeo (UE 28) il mercato degli agrofarmaci ha fatto segnare, nel 2013, un aumento in valore del 4,8 per cento rispetto all'anno precedente, passando da 8,3 a 8,7 miliardi di euro. A livello mondiale, nel 2013, il mercato degli agrofarmaci ha fatto segnare un aumento in valore del 16 per cento rispetto al 2012, passando da 49,5 a 54,2 miliardi di dollari;
    in Italia sono circa 400 le sostanze attualmente utilizzate in agricoltura e nel 2012 sono state vendute 134.242 tonnellate di prodotti fitosanitari (Istat, 2013);
    uno degli obiettivi fondamentali del piano di azione nazionale riguarda la riduzione del rischio di inquinamento da fitofarmaci delle acque superficiali e sotterranee, conseguente a drenaggio e fenomeni di deriva;
    nel «Rapporto nazionale pesticidi nelle acque. Dati 2011-2012. Edizione 2014» l'Ispra rileva che nel 2012 nelle acque sono state registrate 175 diverse sostanze – un numero più elevato degli anni precedenti – e in alcune rilevazioni fino a 36 sostanze contemporaneamente;
    sono stati monitorati 3.500 punti di campionamento e 14.250 campioni. Nelle acque superficiali sono stati trovati pesticidi nel 56,9 per cento dei 1.355 punti controllati. Nelle acque sotterranee è risultato contaminato il 31 per cento dei 2.145 punti esaminati;
    le concentrazioni misurate sono spesso basse, ma il risultato complessivo indica un'ampia diffusione della contaminazione. I livelli sono generalmente più bassi nelle acque sotterranee, ma residui di pesticidi sono presenti anche nelle falde profonde naturalmente protette da strati geologici poco permeabili;
    gli erbicidi sono le sostanze rinvenute più spesso e rispetto al passato è aumentata significativamente la presenza di fungicidi e insetticidi, soprattutto nelle acque sotterranee;
    l'Ispra sottolinea la necessità di un aggiornamento complessivo dei programmi di monitoraggio, che oggi non tengono conto delle sostanze immesse sul mercato in anni recenti. Circa 200 sostanze di quelle attualmente in uso non sono incluse nei programmi di monitoraggio, 44 di queste sono classificate pericolose, in particolare 38 sono pericolose per l'ambiente acquatico;
    nel rapporto viene trattato il tema delle miscele di sostanze. La valutazione di rischio, infatti, nello schema tradizionale considera gli effetti delle singole sostanze e non tiene conto dei possibili effetti delle miscele che possono essere presenti nell'ambiente. C’è la consapevolezza, sia a livello scientifico, sia nei consessi regolatori, che il rischio derivante dalle sostanze chimiche sia attualmente sottostimato;
    maggiori attenzioni e approfondimenti in relazione agli effetti della poliesposizione chimica sono auspicati in particolare a livello di Unione europea (Consiglio dell'Unione europea 17820/09). Nel 2012 sono state pubblicate le conclusioni di tre comitati scientifici della Commissione europea sulla tossicità delle miscele. In particolare, nel documento si afferma che esiste un'evidenza scientifica per cui l'esposizione contemporanea a diverse sostanze chimiche può, in determinate condizioni, dare luogo ad effetti congiunti che possono essere di tipo additivo, ma anche di tipo sinergico, con una tossicità complessiva più elevata di quella delle singole sostanze. Nel documento, inoltre, si evidenzia come principale lacuna la limitata conoscenza riguardo alle modalità con cui le sostanze esplicano i loro effetti tossici sugli organismi,

impegna il Governo:

   a dare piena attuazione agli atti e alle misure previste dal piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari e dal decreto legislativo n. 150 del 2012;
   a promuovere il costante dialogo tra tutti i soggetti chiamati ad applicare il piano di azione nazionale al fine di garantire uniformità nelle disposizioni attuate sul territorio italiano;
   ad aggiornare – secondo quanto richiesto dall'Ispra – i programmi di monitoraggio dei residui degli agrofarmaci nelle acque e nell'ambiente, tenendo conto delle sostanze immesse sul mercato in anni recenti;
   a promuovere, anche in sede europea, approfondimenti scientifici sulla tossicità delle miscele chimiche e sugli effetti della poliesposizione chimica;
   a porsi l'obiettivo di ridurre sempre più nei prossimi anni l'utilizzo delle autorizzazioni eccezionali di agrofarmaci previste dal regolamento (CE) n. 1107/2009;
   a favorire in modo diffuso l'adozione della gestione integrata delle colture (ICM), allo scopo di raggiungere l'obiettivo di uno sviluppo agricolo sostenibile e di ridurre sempre più nel tempo l'utilizzo di agrofarmaci;
   a definire al più presto una lista di soggetti destinatari della formazione, comprendente non solo gli utilizzatori professionali ma anche gli utilizzatori non professionali e i distributori di agrofarmaci, in considerazione del fatto che una formazione costante è essenziale per l'uso efficace e responsabile degli agrofarmaci ed è un requisito indispensabile per garantire l'applicazione delle buone pratiche agricole;
   ad individuare procedure semplificate che consentano una rapida concessione dell'estensione d'uso dei prodotti già registrati alle colture minori, ferma restando la tutela ambientale e della salute umana e animale;
   a promuovere ed attuare tutte le iniziative di competenza affinché nei territori avvengano tutti i controlli necessari a garanzia del rispetto della normativa vigente in materia di utilizzo di prodotti fitosanitari e dell'attivazione di tutte le misure previste per la gestione dei rischi, a salvaguardia della salute umana e dell'ambiente;
   a porre in essere ogni iniziativa di competenza affinché le leggi attualmente in vigore in materia di prodotti fitosanitari siano rispettate in tutte le loro parti, indicando con maggior chiarezza chi siano le autorità preposte al controllo sulle sostanze utilizzate e al rispetto della normativa vigente, nonché i relativi ruoli e responsabilità.
(1-01023) «Oliverio, Monchiero, Pastorelli, Lenzi, Terrosi, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Capozzolo, Carra, Cova, Dal Moro, Falcone, Fiorio, Lavagno, Marrocu, Mongiello, Palma, Prina, Romanini, Taricco, Tentori, Venittelli, Zanin, Amato, Argentin, Beni, Paola Boldrini, Paola Bragantini, Burtone, Capone, Carnevali, Casati, D'Incecco, Fossati, Gelli, Grassi, Mariano, Miotto, Murer, Patriarca, Piazzoni, Piccione, Giuditta Pini, Sbrollini, Antimo Cesaro, Molea».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Unione europea ha sviluppato, negli ultimi anni, in materia di fitofarmaci una normativa molto articolata, completa ed in continuo aggiornamento (recepita a livello nazionale e che sta completando l'implementazione a livello regionale), in relazione alla quale si riportano le osservazioni seguenti;
    il suddetto quadro normativo europeo – e di conseguenza nazionale – è formato da due grandi blocchi normativi che verranno trattati separatamente: uno riguarda l'immissione in commercio dei fitofarmaci e l'altro l'utilizzo sostenibile dei fitofarmaci;
    per quanto riguarda l'immissione in commercio dei fitofarmaci, gli agricoltori non sono direttamente coinvolti nelle procedure definite dal processo normativo, ma ne subiscono comunque le conseguenze;
    l'approccio della politica europea nei confronti dei fitofarmaci è decisamente improntato al miglioramento degli standard di sicurezza e di impatto sull'ambiente;
    questo approccio, condivisibile, qualora venga tradotto automaticamente in un attacco verso la difesa delle colture, rischia però di avere degli effetti negativi sulla disponibilità di sostanze attive e prodotti fitosanitari per un'efficace difesa delle colture stesse;
    il reiterarsi nel tempo di alcune richieste di uso eccezionale dipende da diversi fattori: a) in primo luogo, le variazioni climatiche in corso espongono le colture a fitopatie improvvise ed incontrollabili; b) in secondo luogo, c’è da considerare che il processo di revisione delle sostanze attive (direttiva n. 91/414/CEE), portato avanti negli ultimi anni, ha determinato una sostanziale riduzione delle sostanze attive disponibili per la difesa fitosanitaria. La carenza di principi attivi nella difesa fitosanitaria di una coltura ha come possibile effetto collaterale anche l'insorgere di resistenze ai principi attivi disponibili e, quindi, un aumento nell'uso di fitofarmaci;
    la revisione dei prodotti fitosanitari ha già portato al ritiro dal mercato di quasi il 70 per cento delle sostanze attive. Il processo di revisione europea non solo ha comportato l'uscita dal mercato di numerosi prodotti con ampia gamma di colture in etichetta (nel caso delle colture minori non sono stati sostituiti, con conseguente impoverimento dei mezzi di difesa), ma ha anche determinato le circostanze per cui gli stessi prodotti a base di sostanze incluse possono aver subito limitazioni nel numero di colture autorizzate o nelle modalità di impiego;
    in tale quadro si inserisce anche la revisione della direttiva sulla commercializzazione dei prodotti fitosanitari (regolamento (CE) n. 1107/2009) che potrebbe causare un'ulteriore perdita di sostanze attive dal 9 al 25 per cento: con i criteri cut-off in fase prevalutativa, sulla base della classificazione di pericolo delle sostanze; con la valutazione comparativa legata al principio di sostituzione che rischia di divenire un ulteriore sistema di limitazione nell'uso dei principi attivi;
    il risultato è che, per alcune avversità ed alcune colture, specialmente quelle minori, attualmente è già complesso impostare una corretta difesa fitosanitaria e gestire il possibile sviluppo di resistenza agli agrofarmaci da parte dei patogeni; situazione che, sicuramente, diventerà sempre più problematica negli anni futuri;
    alcuni gruppi di parassiti risultano essere da diverso tempo di difficile controllo a causa della mancata inclusione di sostanze attive utili nel regolamento comunitario che ha determinato l'assenza sul mercato di prodotti fitosanitari efficaci nella lotta di determinate fitopatologie;
    tale situazione viene tamponata in via temporanea con autorizzazioni straordinarie che rappresentano, per questi casi, l'unica strada normativa percorribile;
    senza gli opportuni mezzi tecnici le aziende perdono competitività, a fronte di un mercato italiano sempre più aperto alle importazioni di prodotti agricoli provenienti da altri Paesi (europei e non), dove spesso è possibile utilizzare prodotti fitosanitari vietati in Italia;
    la gestione differente di tali autorizzazioni da parte dei vari Paesi europei e non sta creando le condizioni per una concorrenza commerciale sleale nei confronti dell'Italia;
    accade, infatti, che nel nostro Paese venga vietato l'utilizzo di alcuni principi attivi/agrofarmaci su determinate colture, quando in altri Paesi concorrenti, come Spagna o Francia, gli stessi principi attivi/agrofarmaci continuano ad essere utilizzati. Questo, di fatto, provoca un vantaggio competitivo per i produttori di quei Paesi che possono contare su costi di produzione minori, su rendite più alte e difettosità minori rispetto ai produttori italiani;
    è dunque indispensabile prevedere specifici meccanismi di consultazione delle organizzazioni agricole e rafforzare il lavoro congiunto con i Ministeri competenti, in modo da ottimizzare il lavoro di tutte le parti coinvolte ed evitare che le azioni previste possano rivelarsi eccessivamente onerose per il sistema;
    l'utilizzo sostenibile dei prodotti fitosanitari è l'oggetto della direttiva n. 2009/128/CE, recepita in Italia dal decreto legislativo n. 150 del 2012. La direttiva prevede che ciascuno Stato membro elabori un piano d'azione nazionale per definire obiettivi quantitativi, misure, tempi, in definitiva una strategia operativa, per raggiungere, nel tempo, una serie di obiettivi articolati, come quelli che la direttiva stessa impone. Il decreto legislativo ha incaricato un consiglio tecnico-scientifico dell'elaborazione e della gestione nazionale del piano;
    il piano d'azione nazionale è entrato in vigore il 13 febbraio 2014, dopo un lungo periodo nel quale c’è stata anche una consultazione con gli stakeholders. Il testo derivato da questo processo è piuttosto complesso e articolato nella forma e, in molti casi, rimanda a successivi interventi, soprattutto a livello regionale, ma anche a livello nazionale, sotto forma di decreti, linee guida e altro, che dovranno essere prodotti nei mesi e negli anni a venire, dal consiglio stesso, che continua pertanto a lavorare, o dai Ministeri delle politiche agricole, alimentari e forestali e/o dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
    peraltro, c’è da considerare il fatto che in Italia anche a livello normativo non si parte da zero. Molte delle misure previste dalla direttiva (e dal piano d'azione nazionale) sono attuate in Italia già da diverso tempo: si pensi, ad esempio, al sistema della formazione (in vigore dal 1968 e perfezionato nel tempo), o allo strumento della lotta integrata;
    il piano d'azione nazionale rimanda la definizione di molti aspetti tecnici ad una serie di linee guida, sulla base delle quali le regioni dovranno implementare le varie misure a livello locale, con il rischio di una disomogenea applicazione sul territorio;
    a titolo esemplificativo, il 26 marzo 2015 sono state pubblicate le linee guida di indirizzo per la tutela dell'ambiente acquatico e dell'acqua potabile e per la riduzione dell'uso di prodotti fitosanitari e dei relativi rischi nei siti «Natura 2000» e nelle aree naturali protette;
    tali linee guida impongono a regioni e province autonome il compito di individuare le misure per poter impiegare in modo sostenibile i prodotti fitosanitari, secondo criteri di proporzionalità, fino ad arrivare alla limitazione d'uso di specifici prodotti. È demandata alle regioni la possibilità di rendere le misure individuate volontarie o obbligatorie;
    tra le prime regioni ad essersi mosse vi è la Lombardia che ha, di fatto, emanato un vero e proprio piano d'azione regionale in cui, oltre a recepire tutto l'impianto normativo del piano d'azione nazionale, prevede di intervenire in modo pesante sulle coltivazioni di mais, riso e vite, limitando l'uso di principi attivi fondamentali per queste colture. Tutto questo ha un costo che non viene indennizzato;
    le politiche per l'agricoltura sostenibile, invece, dovrebbero essere realizzate prevedendo adeguati sistemi incentivanti, attraverso contributi per chi adotta impegni che vanno al di là degli standard minimi. Questo l'Unione europea l'ha previsto quando ha concepito le misure agroambientali nell'ambito dello sviluppo rurale;
    l'implementazione della difesa integrata, sia quella obbligatoria che quella volontaria, è un'operazione complessa che rischia, se non gestita razionalmente, di penalizzare soprattutto le colture specializzate del Mediterraneo, nonché le colture minori;
    in particolare il livello volontario, a cui occorrerà attenersi per accedere alle misure agroambientali dei programmi di sviluppo rurale, potrebbe essere normato in modo così vincolante da esporre l'agricoltura italiana ad un'ulteriore mancanza di prodotti fitosanitari e, quindi, ad un ulteriore deficit di competitività non solo nei confronti dei Paesi extraeuropei, ma anche nei confronti degli altri Paesi dell'Unione europea in un momento particolarmente delicato dell'agricoltura italiana;
    ciò in relazione al fatto che, se le regioni dovessero decidere di non inserire nei disciplinari alcune sostanze attive, tra cui quelle a cui si applica il principio di sostituzione, per alcune avversità ed alcune colture, potrebbe risultare complesso impostare una corretta difesa fitosanitaria e gestire il possibile sviluppo di resistenza agli agrofarmaci da parte dei patogeni;
    c’è da rilevare che, durante l'elaborazione del piano d'azione nazionale, e successivamente, nella fase della sua implementazione, è stata riscontrata l'assenza di momenti di confronto con i rappresentanti degli imprenditori agricoli, cioè dei soggetti che dovranno mettere in atto gran parte delle misure contenute nel piano d'azione nazionale stesso;
    in particolare, all'interno del consiglio tecnico-scientifico, di cui all'articolo 5 del decreto legislativo n. 150 del 2012, non è prevista né la partecipazione dei rappresentanti delle imprese agricole, né è previsto un suo impegno formale ad una loro consultazione periodica;
    rispetto ai ritardi negli adempimenti, i Ministeri competenti sono stati più volte sollecitati dalle organizzazioni agricole (ad esempio, è stata sollecitata l'adozione del tuttora mancante decreto sui prodotti destinati ad utilizzatori non professionali, che avrebbe dovuto essere pubblicato entro il 26 novembre 2013), che hanno anche segnalato le possibili criticità sulle quali intervenire, programmando per tempo le attività (ad esempio, il controllo funzionale di tutte le attrezzature impiegate per uso professionale da effettuarsi obbligatoriamente entro il 26 novembre 2016);
    la normativa sull'utilizzo sostenibile dei fitofarmaci, per sua stessa natura, può essere attuata efficacemente solo attraverso un percorso fatto di impegni e verifiche, nel quale tutti i soggetti coinvolti dalla normativa (e segnatamente istituzioni, imprese e servizi tecnici) possano pienamente confrontarsi, nel rispetto dei propri ruoli, ma con l'obiettivo comune di far progredire le azioni del piano d'azione nazionale,

impegna il Governo:

   a farsi promotore di un'iniziativa nell'ambito del Consiglio europeo dei Ministri dell'agricoltura, al fine dell'approvazione di una normativa unica comunitaria per evitare le attuali distorsioni della concorrenza interna in materia, a causa del mancato divieto di utilizzo di alcuni fitofarmaci da parte di qualche Stato membro, come descritto in premessa;
   ad assumere iniziative al fine di rivedere il sistema delle autorizzazioni dei prodotti fitosanitari in deroga rilasciate per ragioni di emergenza fitoiatrica disposte ai sensi dell'articolo 53 del regolamento (CE) n. 1107/2009, valutando l'opportunità di interrompere le autorizzazioni eccezionali protratte oltre i 3 anni indicati dall'articolo 30 della medesima disciplina comunitaria;
   ad assumere iniziative normative per incrementare i fondi pubblici da destinare alla ricerca scientifica in agricoltura, per sviluppare prodotti fitosanitari alternativi che possano consentire, in tal modo, di interrompere le autorizzazioni eccezionali;
   a prevedere conseguentemente una linea guida più rigorosa, attraverso una riduzione del ricorso alle deroghe al fine di non stravolgere la reale finalità di emergenza fitoiatrica, che, a causa del continuo ricorso allo strumento della deroga, rischia effettivamente di perdere completamente il suo significato e il suo scopo reale;
   a coinvolgere le organizzazioni di categoria e datoriali, gli enti di ricerca pubblici e privati e le istituzioni regionali al fine di condividere le problematiche e le varie soluzioni, consapevoli che i migliori risultati, in questi campi, si sono ottenuti con la collaborazione e la condivisione;
   ad adottare, entro dodici mesi, gli atti e le misure di competenza previste dal decreto legislativo n.150 del 2012 e dal piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari non ancora emanati, per i quali risultano già scaduti i termini, e a prevedere l'istituzione di un sistema di incentivi di carattere economico al fine di rendere conveniente l'uso di fitofarmaci sostenibili dall'agroambiente, nonché ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché le regioni e le province autonome, che non abbiano ancora provveduto, trasmettano le informazioni indicate all'interno del decreto legislativo n. 150 del 2012, per le quali i termini risultano già trascorsi;
   ad intervenire al fine di incrementare il sistema dei controlli in maniera più stringente sull'uso corretto dei pesticidi in agricoltura, con particolare riferimento al fenomeno del multiresiduo e delle sue possibili ripercussioni sulla salute dei consumatori e dell'ambiente, la cui normativa continua a considerare sempre un solo principio attivo, nonostante se ne riscontrino più di dieci, con potenziali effetti sinergici negativi;
   a rendere noto alle Commissioni parlamentari competenti lo stato dei lavori sulla predisposizione degli atti, delle misure e delle linee guida previsti dal decreto legislativo n. 150 del 2012 e dal piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari.
(1-01024)
(Nuova formulazione)  «Palese, Occhiuto, Catanoso».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Unione europea ha sviluppato, negli ultimi anni, in materia di fitofarmaci una normativa molto articolata, completa ed in continuo aggiornamento (recepita a livello nazionale e che sta completando l'implementazione a livello regionale), in relazione alla quale si riportano le osservazioni seguenti;
    il suddetto quadro normativo europeo – e di conseguenza nazionale – è formato da due grandi blocchi normativi che verranno trattati separatamente: uno riguarda l'immissione in commercio dei fitofarmaci e l'altro l'utilizzo sostenibile dei fitofarmaci;
    per quanto riguarda l'immissione in commercio dei fitofarmaci, gli agricoltori non sono direttamente coinvolti nelle procedure definite dal processo normativo, ma ne subiscono comunque le conseguenze;
    l'approccio della politica europea nei confronti dei fitofarmaci è decisamente improntato al miglioramento degli standard di sicurezza e di impatto sull'ambiente;
    il reiterarsi nel tempo di alcune richieste di uso eccezionale dipende da diversi fattori: a) in primo luogo, le variazioni climatiche in corso espongono le colture a fitopatie improvvise ed incontrollabili; b) in secondo luogo, c’è da considerare che il processo di revisione delle sostanze attive (direttiva n. 91/414/CEE), portato avanti negli ultimi anni, ha determinato una sostanziale riduzione delle sostanze attive disponibili per la difesa fitosanitaria. La carenza di principi attivi nella difesa fitosanitaria di una coltura ha come possibile effetto collaterale anche l'insorgere di resistenze ai principi attivi disponibili e, quindi, un aumento nell'uso di fitofarmaci;
    la revisione dei prodotti fitosanitari ha già portato al ritiro dal mercato di quasi il 70 per cento delle sostanze attive. Il processo di revisione europea non solo ha comportato l'uscita dal mercato di numerosi prodotti con ampia gamma di colture in etichetta (nel caso delle colture minori non sono stati sostituiti, con conseguente impoverimento dei mezzi di difesa), ma ha anche determinato le circostanze per cui gli stessi prodotti a base di sostanze incluse possono aver subito limitazioni nel numero di colture autorizzate o nelle modalità di impiego;
    in tale quadro si inserisce anche la revisione della direttiva sulla commercializzazione dei prodotti fitosanitari (regolamento (CE) n. 1107/2009) che potrebbe causare un'ulteriore perdita di sostanze attive dal 9 al 25 per cento: con i criteri cut-off in fase prevalutativa, sulla base della classificazione di pericolo delle sostanze; con la valutazione comparativa legata al principio di sostituzione che rischia di divenire un ulteriore sistema di limitazione nell'uso dei principi attivi;
    il risultato è che, per alcune avversità ed alcune colture, specialmente quelle minori, attualmente è già complesso impostare una corretta difesa fitosanitaria e gestire il possibile sviluppo di resistenza agli agrofarmaci da parte dei patogeni; situazione che, sicuramente, diventerà sempre più problematica negli anni futuri;
    tale situazione viene tamponata in via temporanea con autorizzazioni straordinarie che rappresentano, per questi casi, l'unica strada normativa percorribile;
    senza gli opportuni mezzi tecnici le aziende perdono competitività, a fronte di un mercato italiano sempre più aperto alle importazioni di prodotti agricoli provenienti da altri Paesi (europei e non), dove spesso è possibile utilizzare prodotti fitosanitari vietati in Italia;
    la gestione differente di tali autorizzazioni da parte dei vari Paesi europei e non sta creando le condizioni per una concorrenza commerciale sleale nei confronti dell'Italia;
    accade, infatti, che nel nostro Paese venga vietato l'utilizzo di alcuni principi attivi/agrofarmaci su determinate colture, quando in altri Paesi concorrenti, come Spagna o Francia, gli stessi principi attivi/agrofarmaci continuano ad essere utilizzati. Questo, di fatto, provoca un vantaggio competitivo per i produttori di quei Paesi che possono contare su costi di produzione minori, su rendite più alte e difettosità minori rispetto ai produttori italiani;
    è dunque indispensabile prevedere specifici meccanismi di consultazione delle organizzazioni agricole e rafforzare il lavoro congiunto con i Ministeri competenti, in modo da ottimizzare il lavoro di tutte le parti coinvolte ed evitare che le azioni previste possano rivelarsi eccessivamente onerose per il sistema;
    l'utilizzo sostenibile dei prodotti fitosanitari è l'oggetto della direttiva n. 2009/128/CE, recepita in Italia dal decreto legislativo n. 150 del 2012. La direttiva prevede che ciascuno Stato membro elabori un piano d'azione nazionale per definire obiettivi quantitativi, misure, tempi, in definitiva una strategia operativa, per raggiungere, nel tempo, una serie di obiettivi articolati, come quelli che la direttiva stessa impone. Il decreto legislativo ha incaricato un consiglio tecnico-scientifico dell'elaborazione e della gestione nazionale del piano;
    il piano d'azione nazionale è entrato in vigore il 13 febbraio 2014, dopo un lungo periodo nel quale c’è stata anche una consultazione con gli stakeholders. Il testo derivato da questo processo è piuttosto complesso e articolato nella forma e, in molti casi, rimanda a successivi interventi, soprattutto a livello regionale, ma anche a livello nazionale, sotto forma di decreti, linee guida e altro, che dovranno essere prodotti nei mesi e negli anni a venire, dal consiglio stesso, che continua pertanto a lavorare, o dai Ministeri delle politiche agricole, alimentari e forestali e/o dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
    peraltro, c’è da considerare il fatto che in Italia anche a livello normativo non si parte da zero. Molte delle misure previste dalla direttiva (e dal piano d'azione nazionale) sono attuate in Italia già da diverso tempo: si pensi, ad esempio, al sistema della formazione (in vigore dal 1968 e perfezionato nel tempo), o allo strumento della lotta integrata;
    il piano d'azione nazionale rimanda la definizione di molti aspetti tecnici ad una serie di linee guida, sulla base delle quali le regioni dovranno implementare le varie misure a livello locale, con il rischio di una disomogenea applicazione sul territorio;
    a titolo esemplificativo, il 26 marzo 2015 sono state pubblicate le linee guida di indirizzo per la tutela dell'ambiente acquatico e dell'acqua potabile e per la riduzione dell'uso di prodotti fitosanitari e dei relativi rischi nei siti «Natura 2000» e nelle aree naturali protette;
    tali linee guida impongono a regioni e province autonome il compito di individuare le misure per poter impiegare in modo sostenibile i prodotti fitosanitari, secondo criteri di proporzionalità, fino ad arrivare alla limitazione d'uso di specifici prodotti. È demandata alle regioni la possibilità di rendere le misure individuate volontarie o obbligatorie;
    tra le prime regioni ad essersi mosse vi è la Lombardia che ha, di fatto, emanato un vero e proprio piano d'azione regionale in cui, oltre a recepire tutto l'impianto normativo del piano d'azione nazionale, prevede di intervenire in modo pesante sulle coltivazioni di mais, riso e vite, limitando l'uso di principi attivi fondamentali per queste colture. Tutto questo ha un costo che non viene indennizzato;
    le politiche per l'agricoltura sostenibile, invece, dovrebbero essere realizzate prevedendo adeguati sistemi incentivanti, attraverso contributi per chi adotta impegni che vanno al di là degli standard minimi. Questo l'Unione europea l'ha previsto quando ha concepito le misure agroambientali nell'ambito dello sviluppo rurale;
    l'implementazione della difesa integrata, sia quella obbligatoria che quella volontaria, è un'operazione complessa che rischia, se non gestita razionalmente, di penalizzare soprattutto le colture specializzate del Mediterraneo, nonché le colture minori;
    in particolare il livello volontario, a cui occorrerà attenersi per accedere alle misure agroambientali dei programmi di sviluppo rurale, potrebbe essere normato in modo così vincolante da esporre l'agricoltura italiana ad un'ulteriore mancanza di prodotti fitosanitari e, quindi, ad un ulteriore deficit di competitività non solo nei confronti dei Paesi extraeuropei, ma anche nei confronti degli altri Paesi dell'Unione europea in un momento particolarmente delicato dell'agricoltura italiana;
    ciò in relazione al fatto che, se le regioni dovessero decidere di non inserire nei disciplinari alcune sostanze attive, tra cui quelle a cui si applica il principio di sostituzione, per alcune avversità ed alcune colture, potrebbe risultare complesso impostare una corretta difesa fitosanitaria e gestire il possibile sviluppo di resistenza agli agrofarmaci da parte dei patogeni;
    c’è da rilevare che, durante l'elaborazione del piano d'azione nazionale, e successivamente, nella fase della sua implementazione, è stata riscontrata l'assenza di momenti di confronto con i rappresentanti degli imprenditori agricoli, cioè dei soggetti che dovranno mettere in atto gran parte delle misure contenute nel piano d'azione nazionale stesso;
    in particolare, all'interno del consiglio tecnico-scientifico, di cui all'articolo 5 del decreto legislativo n. 150 del 2012, non è prevista né la partecipazione dei rappresentanti delle imprese agricole, né è previsto un suo impegno formale ad una loro consultazione periodica;
    rispetto ai ritardi negli adempimenti, i Ministeri competenti sono stati più volte sollecitati dalle organizzazioni agricole (ad esempio, è stata sollecitata l'adozione del tuttora mancante decreto sui prodotti destinati ad utilizzatori non professionali, che avrebbe dovuto essere pubblicato entro il 26 novembre 2013), che hanno anche segnalato le possibili criticità sulle quali intervenire, programmando per tempo le attività (ad esempio, il controllo funzionale di tutte le attrezzature impiegate per uso professionale da effettuarsi obbligatoriamente entro il 26 novembre 2016);
    la normativa sull'utilizzo sostenibile dei fitofarmaci, per sua stessa natura, può essere attuata efficacemente solo attraverso un percorso fatto di impegni e verifiche, nel quale tutti i soggetti coinvolti dalla normativa (e segnatamente istituzioni, imprese e servizi tecnici) possano pienamente confrontarsi, nel rispetto dei propri ruoli, ma con l'obiettivo comune di far progredire le azioni del piano d'azione nazionale,

impegna il Governo:

   a valutare la possibilità di farsi promotore di un'iniziativa nell'ambito del Consiglio europeo dei Ministri dell'agricoltura, al fine dell'approvazione di una normativa unica comunitaria per evitare le attuali distorsioni della concorrenza interna in materia, a causa del mancato divieto di utilizzo di alcuni fitofarmaci da parte di qualche Stato membro, come descritto in premessa;
   ad assumere iniziative al fine di rivedere il sistema delle autorizzazioni dei prodotti fitosanitari in deroga rilasciate per ragioni di emergenza fitoiatrica disposte ai sensi dell'articolo 53 del regolamento (CE) n. 1107/2009;
   ad assumere, nel rispetto dei vincoli di bilancio, iniziative normative per incrementare i fondi pubblici da destinare alla ricerca scientifica in agricoltura, per sviluppare prodotti fitosanitari alternativi che possano consentire, in tal modo, di interrompere le autorizzazioni eccezionali;
   a prevedere conseguentemente una linea guida più rigorosa, attraverso una riduzione del ricorso alle deroghe al fine di non stravolgere la reale finalità di emergenza fitoiatrica, che, a causa del continuo ricorso allo strumento della deroga, rischia effettivamente di perdere completamente il suo significato e il suo scopo reale;
   a coinvolgere le organizzazioni di categoria e datoriali, gli enti di ricerca pubblici e privati e le istituzioni regionali al fine di condividere le problematiche e le varie soluzioni, consapevoli che i migliori risultati, in questi campi, si sono ottenuti con la collaborazione e la condivisione;
   ad adottare, entro dodici mesi, gli atti e le misure di competenza previste dal decreto legislativo n.150 del 2012 e dal piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari non ancora emanati, per i quali risultano già scaduti i termini, e a prevedere l'istituzione di un sistema di incentivi di carattere economico al fine di rendere conveniente l'uso di fitofarmaci sostenibili dall'agroambiente, nonché ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché le regioni e le province autonome, che non abbiano ancora provveduto, trasmettano le informazioni indicate all'interno del decreto legislativo n. 150 del 2012, per le quali i termini risultano già trascorsi;
   ad intervenire al fine di incrementare il sistema dei controlli in maniera più stringente sull'uso corretto dei pesticidi in agricoltura, con particolare riferimento al fenomeno del multiresiduo e delle sue possibili ripercussioni sulla salute dei consumatori e dell'ambiente, la cui normativa continua a considerare sempre un solo principio attivo, nonostante se ne riscontrino più di dieci, con potenziali effetti sinergici negativi;
   a rendere noto alle Commissioni parlamentari competenti lo stato dei lavori sulla predisposizione degli atti, delle misure e delle linee guida previsti dal decreto legislativo n. 150 del 2012 e dal piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari.
(1-01024)
(Nuova formulazione – Testo modificato nel corso della seduta) «Palese, Occhiuto, Catanoso».


   La Camera,
   premesso che:
    l'agricoltura italiana ha raggiunto importanti risultati sulla direzione dell'impiego sostenibile dei prodotti fitosanitari e del ricorso a pratiche agronomiche che mirano al minor utilizzo di sostanze chimiche, i cui risultati si possono misurare nella diminuzione della quantità di prodotti distribuiti per uso agricolo, nella continua spinta all'utilizzo di nuovi principi attivi a ridotto impatto ambientale e nei positivi dati, relativi alla presenza di residui negli alimenti;
    i risultati ufficiali per il controllo sui residui di prodotti fitosanitari negli alimenti, relativi all'anno 2013, hanno confermato a tal fine, l'impegno della filiera agricola italiana, per assicurare i più elevati standard quantitativi e qualitativi delle produzioni agroalimentari, anche grazie alla diligenza della ricerca scientifica, finalizzata a garantire agrofarmaci sempre più mirati e sicuri per i consumatori e l'ambiente;
    l'Esposizione universale di Milano Expo 2015 al riguardo è stata l'occasione per ribadire, nel corso di numerosi incontri ufficiali, come, nonostante l'uso della chimica in agricoltura sia ancora presente, nel complesso si evidenzi il costante aumento delle superfici coltivate con metodo biologico (+23 per cento del 2010 al 2013) e la maggiore diffusione di pratiche agricole e sostenibili (soltanto lo 0,7 per cento dei campioni di prodotti agricoli e derivati analizzati da laboratori pubblici regionali risulta «fuori legge» per la presenza di tracce di determinate sostanze chimiche vietate dalla normativa attuale);
    nell'ambito delle autorizzazioni all'immissione in commercio dei prodotti fitosanitari rilasciate per ragioni di emergenza fitoiatrica disposte ai sensi dell'articolo 53 paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1107/2009, i firmatari del presente atto di indirizzo segnalano tuttavia un eccessivo ricorso allo strumento della deroga consentito dal Ministero della salute, a seguito delle richieste presentate da varie associazioni di categoria agricole, con le quali è stata segnalata la necessità di poter disporre di prodotti fitosanitari contenenti sostanze chimiche, per le operazioni di applicazione riferite alle avversità da fronteggiare;
    il meccanismo di autorizzazione eccezionale per la maggior parte delle sostanze attive utilizzate (alcune delle quali in attesa di autorizzazione delle istituzioni comunitarie) prevede un iter eccessivamente rapido che non contempla, fra l'altro, la verifica dell'impatto (ambientale e sulla salute) non essendo le richieste corredate della documentazione necessaria a tali scopi, come previsto nelle autorizzazioni all'immissione in commercio dai prodotti;
    i decreti dirigenziali che consentono la deroga risultano inoltre in contrasto, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, con le disposizioni previste dal decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, di attuazione della direttiva 2009/128/CE che istituisce un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei prodotti fitosanitari;
    i termini per l'emanazione di numerosi decreti attuativi risultano inoltre scaduti, come ad esempio per la determinazione delle tariffe ed il versamento per i controlli delle attrezzature di applicazione dei prodotti fitosanitari; così come il piano di azione nazionale che prevedeva un decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (da emanarsi entro sei mesi) per la costituzione di una banca dati nazionale relativa ai controlli effettuati sulle macchine di distribuzione dei fitofarmaci risulta non ancora operativo;
    ulteriori ritardi, inoltre, si rinvengono proprio nell'ambito degli interventi contenuti all'interno del piano di azione nazionale; la mancata adozione dei decreti attuativi rende di fatto impraticabile una serie di misure indicate, tra le quali: le linee guida per la tutela dell'ambiente acquatico e dell'acqua potabile, per la scelta delle misure da inserire nei piani di gestione e delle misure di conservazione dei siti Natura 2000 e delle aree protette, nonché per mettere a disposizione delle regioni le informazioni più rilevanti sulla tossicità e gli aspetti fitosanitari dei prodotti in commercio;
    il suindicato piano di azione nazionale (Pan), finalizzato ad un uso sostenibile dei prodotti fitosanitari e considerato fondamentale per l'individuazione e la diffusione di approcci a minore impatto per produttori, consumatori e ambiente, risulta carente nell'ambito della definizione di un termine temporale per la verifica degli obiettivi previsti, tra i quali anche la definizione di un manuale di orientamento sulle tecniche per la difesa fitosanitaria a basso impatto ambientale e strategie fitosanitarie sostenibili o misure per disciplinare la vendita di prodotti fitosanitari on line;
    l'eccessivo ricorso alle autorizzazioni eccezionali di prodotti fitosanitari rilasciate per ragioni di emergenza fitoiatrica, unitamente ad una serie di carenze riscontrate nell'ambito delle misure previste dal decreto legislativo n. 150 del 2012, il cui impatto normativo si è rivelato per alcune parti problematico, evidenzia, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, la necessità di misure volte a rivedere il sistema delle deroghe e, al contempo, a potenziare ulteriormente il sistema dei controlli e le relative sanzioni, in particolare su quelle aree nelle quali il prodotto chimico può essere utilizzato, affinché si possa stabilire un migliore coordinamento normativo in materia di autorizzazione e commercializzazione dei prodotti fitosanitari, per favorire un uso limitato a quanto strettamente necessario e per garantire la sicurezza alimentare delle produzioni agricole e la tutela della salute dei consumatori e dell'ambiente,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per riconsiderare l'impianto normativo relativo al sistema delle autorizzazioni eccezionali di prodotti fitosanitari rilasciate per ragioni di emergenza fitoiatrica ai sensi dell'articolo 53 del regolamento (CE) n. 1107/2009, rendendolo più rigoroso, in considerazione del fatto che il continuo ricorso alle deroghe per l'immissione nel commercio si è rivelato eccessivo, causando una serie di complessità nei sistemi dei controlli e nelle verifiche dell'impatto sulla salute degli individui e dell'ambiente;
   ad assumere iniziative per riesaminare il quadro regolatorio previsto dal decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150 di attuazione della direttiva 2009/128/CE che definisce le misure per un uso sostenibile dei pesticidi, in considerazione dei ritardi nell'applicazione di una serie di decreti attuativi e d'interventi previsti per ridurre i rischi e gli impatti sulla salute umana, sull'ambiente e sulla biodiversità, al fine di armonizzare il sistema normativo con le disposizioni in deroga previste dal regolamento (CE) n. 1107/2009;
   ad incrementare il sistema delle verifiche nell'ambito dei piani di controllo dei residui di fitosanitari negli alimenti, predisposti a livello europeo e nazionale, con riferimento al fenomeno del multi residuo e alle possibili ripercussioni sulla salute dei consumatori;
   ad assumere iniziative per introdurre il principio di precauzione al fine di escludere dai disciplinari di produzione e commercializzazione il glisofato (pericoloso erbicida classificato come cancerogeno per gli animali e a rischio per l'uomo) e da qualsiasi premio nei Piani di sviluppo rurale (Psr) le aziende che ne fanno uso;
   ad informare entro dodici mesi le Commissioni parlamentari competenti sui risultati conseguiti con riferimento all'emanazione dei decreti e alle misure previste dal decreto legislativo n. 150 del 2012 e dal piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, i cui termini risultano già scaduti;
   a prevedere una campagna d'informazione volta a potenziare il modello di agricoltura sostenibile a partire da quella biologica, nonché il sistema dei controlli sul corretto uso dei prodotti fitosanitari, nonostante il livello di sicurezza per i consumatori e l'ambiente rimanga il più elevato d'Europa, come evidenziato in un recente rapporto dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa).
(1-01026) «Faenzi, Abrignani, Borghese, Bueno, D'Alessandro, Galati, Merlo, Mottola, Parisi, Francesco Saverio Romano».


   La Camera,
   premesso che:
    l'agricoltura italiana ha raggiunto importanti risultati sulla direzione dell'impiego sostenibile dei prodotti fitosanitari e del ricorso a pratiche agronomiche che mirano al minor utilizzo di sostanze chimiche, i cui risultati si possono misurare nella diminuzione della quantità di prodotti distribuiti per uso agricolo, nella continua spinta all'utilizzo di nuovi principi attivi a ridotto impatto ambientale e nei positivi dati, relativi alla presenza di residui negli alimenti;
    i risultati ufficiali per il controllo sui residui di prodotti fitosanitari negli alimenti, relativi all'anno 2013, hanno confermato a tal fine, l'impegno della filiera agricola italiana, per assicurare i più elevati standard quantitativi e qualitativi delle produzioni agroalimentari, anche grazie alla diligenza della ricerca scientifica, finalizzata a garantire agrofarmaci sempre più mirati e sicuri per i consumatori e l'ambiente;
    l'Esposizione universale di Milano Expo 2015 al riguardo è stata l'occasione per ribadire, nel corso di numerosi incontri ufficiali, come, nonostante l'uso della chimica in agricoltura sia ancora presente, nel complesso si evidenzi il costante aumento delle superfici coltivate con metodo biologico (+23 per cento del 2010 al 2013) e la maggiore diffusione di pratiche agricole e sostenibili (soltanto lo 0,7 per cento dei campioni di prodotti agricoli e derivati analizzati da laboratori pubblici regionali risulta «fuori legge» per la presenza di tracce di determinate sostanze chimiche vietate dalla normativa attuale);
    nell'ambito delle autorizzazioni all'immissione in commercio dei prodotti fitosanitari rilasciate per ragioni di emergenza fitoiatrica disposte ai sensi dell'articolo 53 paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1107/2009, i firmatari del presente atto di indirizzo segnalano tuttavia un eccessivo ricorso allo strumento della deroga consentito dal Ministero della salute, a seguito delle richieste presentate da varie associazioni di categoria agricole, con le quali è stata segnalata la necessità di poter disporre di prodotti fitosanitari contenenti sostanze chimiche, per le operazioni di applicazione riferite alle avversità da fronteggiare;
    i decreti dirigenziali che consentono la deroga risultano inoltre in contrasto, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, con le disposizioni previste dal decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, di attuazione della direttiva 2009/128/CE che istituisce un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei prodotti fitosanitari;
    i termini per l'emanazione di numerosi decreti attuativi risultano inoltre scaduti, come ad esempio per la determinazione delle tariffe ed il versamento per i controlli delle attrezzature di applicazione dei prodotti fitosanitari; così come il piano di azione nazionale che prevedeva un decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (da emanarsi entro sei mesi) per la costituzione di una banca dati nazionale relativa ai controlli effettuati sulle macchine di distribuzione dei fitofarmaci risulta non ancora operativo;
    ulteriori ritardi, inoltre, si rinvengono proprio nell'ambito degli interventi contenuti all'interno del piano di azione nazionale; la mancata adozione dei decreti attuativi rende di fatto impraticabile una serie di misure indicate, tra le quali: le linee guida per la tutela dell'ambiente acquatico e dell'acqua potabile, per la scelta delle misure da inserire nei piani di gestione e delle misure di conservazione dei siti Natura 2000 e delle aree protette, nonché per mettere a disposizione delle regioni le informazioni più rilevanti sulla tossicità e gli aspetti fitosanitari dei prodotti in commercio;
    il suindicato piano di azione nazionale (Pan), finalizzato ad un uso sostenibile dei prodotti fitosanitari e considerato fondamentale per l'individuazione e la diffusione di approcci a minore impatto per produttori, consumatori e ambiente, risulta carente nell'ambito della definizione di un termine temporale per la verifica degli obiettivi previsti, tra i quali anche la definizione di un manuale di orientamento sulle tecniche per la difesa fitosanitaria a basso impatto ambientale e strategie fitosanitarie sostenibili o misure per disciplinare la vendita di prodotti fitosanitari on line;

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per riconsiderare l'impianto normativo relativo al sistema delle autorizzazioni eccezionali di prodotti fitosanitari rilasciate per ragioni di emergenza fitoiatrica ai sensi dell'articolo 53 del regolamento (CE) n. 1107/2009, rendendolo più rigoroso, in considerazione del fatto che il continuo ricorso alle deroghe per l'immissione nel commercio si è rivelato eccessivo, causando una serie di complessità nei sistemi dei controlli e nelle verifiche dell'impatto sulla salute degli individui e dell'ambiente;
   ad adottare con tempestività i decreti attuativi previsti dal decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150 di attuazione della direttiva 2009/128/CE che definisce le misure per un uso sostenibile dei pesticidi;
   ad incrementare il sistema delle verifiche nell'ambito dei piani di controllo dei residui di fitosanitari negli alimenti, predisposti a livello europeo e nazionale, con riferimento al fenomeno del multi residuo e alle possibili ripercussioni sulla salute dei consumatori, compatibilmente con le risorse a disposizione;
   ad assumere iniziative per introdurre il principio di precauzione al fine di escludere dai disciplinari di produzione e commercializzazione il glisofato (pericoloso erbicida classificato come cancerogeno per gli animali e a rischio per l'uomo) e da qualsiasi premio nei Piani di sviluppo rurale (Psr) le aziende che ne fanno uso;
   ad informare entro dodici mesi le Commissioni parlamentari competenti sui risultati conseguiti con riferimento all'emanazione dei decreti e alle misure previste dal decreto legislativo n. 150 del 2012 e dal piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, i cui termini risultano già scaduti;
   a prevedere una campagna d'informazione volta a potenziare il modello di agricoltura sostenibile a partire da quella biologica, nonché il sistema dei controlli sul corretto uso dei prodotti fitosanitari, nonostante il livello di sicurezza per i consumatori e l'ambiente rimanga il più elevato d'Europa, come evidenziato in un recente rapporto dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), nei limiti dei vincoli di bilancio.
(1-01026)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Faenzi, Abrignani, Borghese, Bueno, D'Alessandro, Galati, Merlo, Mottola, Parisi, Francesco Saverio Romano».


MOZIONI ALLI, QUARTAPELLE PROCOPIO, LOCATELLI ED ALTRI N. 1-00956, SPADONI ED ALTRI N. 1-01018, VARGIU ED ALTRI N. 1-01027, GUIDESI ED ALTRI N. 1-01028, PALAZZOTTO ED ALTRI N. 1-01030, SBERNA ED ALTRI N. 1-01038, PALESE ED ALTRI N. 1-01040 E RAMPELLI ED ALTRI N. 1-01041 CONCERNENTI INIZIATIVE PER RAFFORZARE LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO A FAVORE DEI PAESI AFRICANI, ANCHE NELLA PROSPETTIVA DELLA RIDUZIONE DEI FLUSSI MIGRATORI

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    i fenomeni migratori che, attraverso il Mare Mediterraneo, interessano l'intera Europa hanno origine soprattutto nell'Africa sub-sahariana e trovano sbocco oggi nella Libia, a causa del vuoto di potere che caratterizza il Paese;
    i migranti sbarcati sul territorio italiano nel corso del 2015 (secondo dati aggiornati a metà luglio 2015) provengono da: Eritrea (20.392); Nigeria (9.619); Somalia (6.966); Sudan (4.668); Gambia (4.206); Senegal (3.245); Mali (3.112); Costa d'Avorio (1.854); Siria (4.953); Bangladesh (2.697); altre provenienze (21.220);
    l'immigrazione dall'Africa non può essere comunque considerata come un fenomeno transitorio, ma, al contrario, costituisce un fatto strutturale, destinato con ogni probabilità ad aggravarsi nei prossimi anni a causa dell'aumento della pressione demografica e del probabile permanere di condizioni di conflitto locali e regionali che si sommano a storiche e irrisolte situazioni di povertà;
    oltre agli interventi volti alla limitazione dei flussi migratori irregolari dall'Africa all'Europa e alla distribuzione dei migranti aventi status di rifugiati tra i diversi Paesi dell'Unione europea, interventi già posti in essere dalla stessa Unione europea grazie alle pressioni del Governo italiano, occorre cominciare a lavorare in modo organico ad una politica finalizzata al miglioramento strutturale delle condizioni di vita nei Paesi dai quali hanno origine i flussi stessi;
    l'Italia ha approvato nel 2014 la legge di riforma del sistema della cooperazione allo sviluppo (legge n. 125 del 2014), che la mette in linea con i più elevati standard europei ed internazionali, ne allarga lo spettro di azione anche grazie al contributo di soggetti privati e ha consentito al Presidente del Consiglio dei ministri di porre al Paese l'ambizioso obiettivo di divenire nel 2017 il quarto donatore in seno al G7 quanto a percentuale di prodotto interno lordo destinata all'aiuto internazionale allo sviluppo;
    l'Unione europea e i suoi Paesi membri rappresentano, nel loro complesso, il principale donatore mondiale nel campo della cooperazione allo sviluppo, con oltre 50 miliardi di euro all'anno di fondi dedicati;
    questi fondi vengono in larga misura destinati ad altri soggetti, quali la Banca mondiale o altri fondi internazionali dei quali l'Unione europea non riesce spesso a controllare le strategie o ad intervenire sulle stesse indicando le proprie priorità programmatiche;
    gli aiuti tradizionali ai Paesi partner, e in particolare ai Paesi africani, finiscono per essere inefficaci se frammentati e non inseriti in un quadro strategico complessivo, coordinato e condiviso tra tutti i donatori internazionali, secondo i principi di Busan;
    i fenomeni di corruzione nei Paesi destinatari degli aiuti, uniti alla carenza di effettivi controlli sul reale utilizzo dei finanziamenti internazionali, ne riducono di gran lunga l'efficacia;
    le grandi istituzioni internazionali, come l'Onu e le sue articolazioni (Fao, Unicef e altre) e la stessa Banca mondiale, appaiono ancora spesso prigioniere di logiche superate, non sempre improntate alla reale misurazione dei risultati e talora carenti di una visione strategica complessiva;
    l'Africa possiede enormi risorse naturali ed umane, che ne fanno il bacino di sviluppo potenzialmente più grande dell'intero pianeta;
    molti Paesi africani sono ormai consapevoli della necessità di progredire nella direzione di reali e radicali riforme strutturali sul piano politico-istituzionale, ammodernando al tempo stesso i propri sistemi educativi e produttivi, onde porre fine a storici processi di sfruttamento delle risorse da parte di realtà straniere ed evitare forme di neocolonialismo economico, ma necessitano, per realizzare questi scopi, di una forte interlocuzione e di un reale sostegno da parte dell'Europa e di tutti i Paesi occidentali;
    altri Paesi, che non hanno ancora raggiunto questa maturità, sono considerati «Stati fragili», con problemi di stabilità interna e vanno per questo sostenuti nello sforzo di superare la debolezza istituzionale e l'inadeguatezza del quadro normativo interno, attraverso interventi sempre più orientati all’institution e al capacity building, che vadano oltre l'aiuto tradizionale e il semplice trasferimento di risorse economiche;
    il controllo geopolitico dell'Africa, senza un'efficace azione europea, rischia di dare luogo a fenomeni di neocolonialismo che si realizzano attraverso le leve economico-finanziarie, da parte di altre potenze emergenti, in particolare la Cina, attraverso l'investimento di ingenti capitali;
    l'incremento delle relazioni istituzionali e commerciali tra l'Italia e i Paesi africani può costituire un elemento determinante nella promozione della crescita e dello sviluppo dei Paesi stessi;
    l'Unione africana costituisce un interlocutore fondamentale per la realizzazione di vere sinergie istituzionali finalizzate alla crescita del continente africano,

impegna il Governo:

   ad elaborare una strategia specificatamente volta allo sviluppo e al co-sviluppo dei Paesi africani, a partire da quelli dai quali provengono i principali flussi migratori verso l'Italia, auspicabilmente nella forma di un libro bianco da inserire nel documento di programmazione triennale della cooperazione previsto dalla legge n. 125 del 2014, e che consideri in modo integrato gli aspetti relativi allo sviluppo economico, alle relazioni commerciali, alla finanza, alle riforme istituzionali, ai conflitti, alle migrazioni, all'impiego dei fondi per la cooperazione, alla rete di relazioni internazionali e alle condizioni geopolitiche regionali;
   a condividere in sede di Unione europea tale strategia, chiedendo che l'intera Unione europea metta in atto, nell'ambito della partnership strategica con l'Africa e della Joint Africa-EU strategy, una politica di medio-lungo periodo volta anche a ridurre l'impatto strutturale dei fenomeni migratori dal continente africano verso l'Europa;
   ad assumere iniziative per rafforzare l'efficacia e l'efficienza, nonché la trasparenza, dell'azione e degli interventi delle grandi organizzazioni internazionali, a partire dall'Onu e dalla Banca mondiale, sia individuando priorità e sinergie che si adeguino rapidamente ai mutevoli scenari economici e geopolitici, sia migliorando ulteriormente i sistemi di controllo sull'utilizzo dei fondi, sia attuando serie misure di contrasto alla corruzione, tutto ciò anche con la finalità di contribuire a rimuovere le cause all'origine dei fenomeni di emigrazione dal continente africano;
   a rafforzare i partenariati istituzionali e commerciali con i Paesi individuati come prioritari, tenendo conto delle specifiche condizioni locali e delle prevalenti problematiche politiche e di sicurezza;
   a dare seguito, già con il prossimo disegno di legge di stabilità, all'impegno di incrementare i fondi per la cooperazione internazionale allo sviluppo, secondo il percorso di riallineamento dell'aiuto italiano allo sviluppo previsto dalla legge di riforma e confermato dal Documento di economia e finanza recentemente approvato, destinando le risorse soprattutto a progetti strategici mirati al sostegno dei Paesi più critici per l'Italia sotto il profilo delle migrazioni e della sicurezza internazionale;
   a dedicare particolare attenzione e a dare rilievo prioritario ai progetti di institution e capacity building;
   ad attivare i più efficaci controlli sulla reale destinazione e sull'utilizzo dei propri fondi, con particolare riguardo alla lotta ai fenomeni corruttivi nei Paesi destinatari degli aiuti;
   a continuare a stimolare gli investimenti privati nei Paesi individuati come prioritari, lavorando al tempo stesso per favorire le condizioni di stabilità politico-istituzionale indispensabili per garantire la necessaria sicurezza per gli investitori, tenendo conto delle specifiche condizioni locali e delle prevalenti problematiche politiche e di sicurezza;
   a sollecitare le aziende italiane operanti nei Paesi africani, e quelle che in futuro vi opereranno, e realizzare una presenza che sappia coniugare la logica di mercato con la capacità di contribuire in modo reale allo sviluppo locale, in un'ottica di responsabilità sociale d'impresa;
   a rafforzare l'interlocuzione con l'Unione africana, anche promuovendo nell'ambito dell'Unione europea, la necessità di condividere con essa priorità strategiche e modalità di rapporto istituzionale che supportino una reale crescita del continente africano;
   ad informare compiutamente il Parlamento entro 6 mesi circa l'evoluzione delle strategie richiamate nella presente mozione.
(1-00956)
(Nuova formulazione) «Alli, Quartapelle Procopio, Locatelli, Lupi, Cicchitto, Amendola, Nicoletti, Chaouki, Pagano, Causin, Miotto».


   La Camera,
   premesso che:
    ormai da mesi l'Italia sta fronteggiando una situazione drammatica: sulle coste italiane continuano ad arrivare barconi pieni di migranti provenienti dall'Africa e dal Medio Oriente, che fuggono da scenari di guerra o di rivolte popolari e soprattutto da reiterata violazione dei diritti umani, fame e povertà, fenomeno che non può più essere considerato come transitorio o eccezionale e che non riguarda soltanto le iniziative umanitarie e il controllo delle frontiere, ma passa anche attraverso la cooperazione economica con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo;
    d'altronde l'immigrazione non può essere arrestata, perché è parte della storia dell'umanità, ma va gestita nell'interesse dei Paesi di origine e di quelli di destinazione dei flussi migratori, anche e soprattutto per impedire il rischio di una deriva razzista;
    gli sbarchi quotidiani di migranti stanno determinando una vera e propria emergenza umanitaria che non può e non deve essere una questione solo italiana, ma europea, delle istituzioni dell'Unione europea e di tutti gli Stati membri in una visione solidaristica e di condivisione delle responsabilità;
    per controllare i flussi migratori che dalle aree di crisi si riversano sull'Europa «non si può solo alzare un muro, né bastano solo le azioni di cooperazione: serve una strategia di lungo termine» che mescoli la cooperazione con i Paesi in difficoltà alla ricostruzione di Paesi «vicini al collasso totale», parole pronunciate dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione, Paolo Gentiloni, al termine della conferenza interministeriale sul nesso tra cooperazione economica e controllo dei flussi immigratori che si è tenuta a Roma nel 2014, il cosiddetto Processo di Khartoum sull'immigrazione dall'Africa orientale (EU-Horn of Africa migration route initiative), in attuazione del precedente Processo di Rabat, ovvero il foro di dialogo regionale tra l'Unione europea e i Paesi dell'Africa occidentale, centrale e mediterranea, nato nel 2006 su impulso di Spagna, Francia e Marocco al fine di affrontare le sfide poste dalle migrazioni lungo la rotta migratoria Africa sub-sahariana-Unione europea, secondo un approccio di responsabilità condivisa tra Paesi d'origine, transito e destinazione dei flussi migratori;
    il Processo di Khartoum è un accordo firmato il 28 novembre 2014 a Roma tra i Paesi dell'Unione europea e i Paesi di origine e di passaggio dei migranti che, dal Corno d'Africa e dall'Africa dell'Est si riversano sulle coste della Libia per raggiungere l'Europa, approdando nel nostro Paese, scappando da Somalia, Eritrea, Darfur/Sudan, Etiopia e dunque da situazioni di conflitto decennali, da violazioni di diritti umani documentati in innumerevoli rapporti di organizzazioni della società civile; nel corso della citata conferenza è stata sancita la volontà tra i Paesi partecipanti di collaborare per combattere il traffico di esseri umani, intervenire sui fattori scatenanti dell'emigrazione, cercare di garantire dei percorsi più strutturati per chi emigra, tutelando le fasce più vulnerabili e i richiedenti asilo e, per arrivare a questi obiettivi, occorrono accordi che portino a scambi d'informazioni, a sviluppo di capacity building, assistenza tecnica e buone pratiche per sostenere lo sviluppo sostenibile nei Paesi d'origine e di transito, creare strategie comuni di lotta alle reti criminali che gestiscono il traffico di migranti, regolare i flussi migratori e, là dov’è possibile, prevenirli;
    occorre, dunque, innanzitutto favorire un processo di revisione e miglioramento della qualità e efficacia degli interventi volti allo sviluppo (sostenibile) da parte delle grandi organizzazioni internazionali, a partire da Onu e Banca mondiale, con particolare riferimento a quei Paesi ove ha origine il flusso migratorio;
    è evidente che la stabilizzazione delle aree di conflitto, da cui ha origine la forte pressione migratoria, non può prescindere da strategie di cooperazione finalizzate alla riduzione della povertà e al conseguimento della sicurezza alimentare, attraverso lo sviluppo agricolo locale da sostenere mediante investimenti in infrastrutture e innovazione volti a generare, nel rispetto dell'uso sostenibile delle risorse naturali, un livello di modernizzazione in grado di contrastare gli effetti negativi del cambiamento climatico e a superare l'agricoltura di sussistenza con la diffusione di pratiche agricole capaci di assorbire forza lavoro qualificata e di creare filiere produttivo-commerciali;
    secondo la Banca mondiale, tra i Paesi emergenti, si è in presenza di una riduzione significativa di quelli molto poveri (scesi da oltre 60 a 34), tuttavia aumentano però quelli considerati «fragili» (36 secondo l'Ocse), ovvero condizionati e messi in difficoltà sul versante dello sviluppo economico a causa di conflitti (dovuti soprattutto a insipienza e irresponsabilità internazionali), debolezze istituzionali, inadeguatezza delle reti sociali e imprenditoriali;
    infine, il Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, a margine del suo intervento alla sessione dell'Onu tenutasi a settembre 2015, ha assicurato che l'Italia metterà a disposizione più risorse per i programmi a sostegno della lotta alla fame, alla povertà, alle malattie e al sottosviluppo: «Da qui al 2017 saremo al quarto posto nel G7 per gli investimenti nella cooperazione internazionale»; inoltre, ha anche confermato che: «L'Italia destinerà nuove risorse, fino a 50 milioni di euro nei prossimi due anni, per sostenere l'uguaglianza di genere perché le donne e le ragazze possano godere pienamente dei diritti umani, diritti che sono al cuore dei nostri programmi di cooperazione e sviluppo»;
    l’empowerment delle donne e la parità di genere sono fondamentali per accelerare lo sviluppo sostenibile nei Paesi africani e proprio per questo è necessario porre fine a tutte le forme di discriminazione contro le donne e le ragazze, non solo come un diritto umano fondamentale ma anche come effetto moltiplicatore su tutte le altre aree di sviluppo; inoltre, garantire l'accesso universale alla salute sessuale e riproduttiva, soprattutto contrastando le pratiche di infibulazione ancora in atto in molti Paesi africani, è un obiettivo vitale per realizzare questo fine;
    il nostro Paese si è impegnato, in maniera attiva nel corso del lungo iter diplomatico che ha portato all'adozione del Trattato internazionale sul commercio delle armi, affinché esso fosse in linea con quanto da sempre sostenuto nell'ambito della tutela, rispetto e promozione dei diritti umani, del disarmo, della cooperazione allo sviluppo e nel rispetto delle norme di diritto internazionale umanitario e con il richiamo all'obbligo di risolvere le controversie internazionali con mezzi pacifici;
    la legge n. 185 del 1990 rappresenta una delle più avanzate normative sul controllo dei materiali di armamento e, con il recepimento anche di successive direttive sul controllo dei trasferimenti dei materiali di armamento, il sistema normativo italiano è risultato pienamente in grado di poter attuare il citato Trattato; peraltro, in questa legge, con la lettera d) del comma 6 dell'articolo 1, viene vietata l'esportazione e il transito di materiali di armamento verso i Paesi i cui Governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell'Unione europea o del Consiglio d'Europa,

impegna il Governo:

   a predisporre una seria strategia di politica estera dell'Unione europea più flessibile e adeguata nel rispondere alle minacce e alle sfide emergenti in settori quali la sanità, l'energia, i cambiamenti climatici, l'accesso all'acqua o il processo di desertificazione, fattori che spingono le popolazioni africane coinvolte verso altri Paesi e che si legano inevitabilmente all'aumento dei flussi migratori, attraverso l'adozione di misure e proposte per la riduzione dell'impatto ambientale e del consumo delle risorse, per una cooperazione allo sviluppo che non sia sinonimo di sostentamento, per la risoluzione di conflitti non basata sul solito interventismo militare;
   a potenziare le strutture consolari di assistenza sociale nei Paesi africani, in modo che esse possano farsi carico di un primo orientamento in loco dei nuovi migranti con la costituzione di appositi sportelli all'interno degli uffici consolari;
   a far sì che l'approccio al dramma dei profughi e dei flussi migratori dall'Africa sia affrontato dall'Unione europea nel solco dei processi di Rabat e di Khartoum, ovvero con una nuova politica dell'Unione europea nei confronti del continente africano in grado di affrontare le cause remote (povertà, crisi e conflitti), anche tramite il miglioramento delle situazioni della sicurezza, umanitarie e dei diritti umani e delle condizioni socio-economiche nei Paesi di origine, e di rafforzare la cooperazione con i Paesi di transito per il controllo dei flussi, per un contrasto efficace dei trafficanti e per rafforzarne le capacità in modo da consentire alle autorità locali di affrontare la questione in maniera più proficua;
   ad assumere iniziative per implementare con fatti concreti il cosiddetto Processo di Khartoum, adoperandosi affinché l'intera Unione europea non si caratterizzi esclusivamente con missioni militari come Eunavfor Med, Frontex o Active Endeavour, ma si decida a intervenire sui problemi strutturali dell'immigrazione dall'Africa attraverso un consistente piano di cooperazione allo sviluppo che rafforzi le economie locali;
   a rendere effettivi gli impegni assunti, nel quadro dei citati processi, attraverso un approccio di maggiore generosità in termini di stanziamenti nella cooperazione allo sviluppo con questi Paesi, implementando contestualmente più serrati controlli sulla destinazione di tali fondi e sui fenomeni di corruzione inevitabilmente correlati;
   ad assumere iniziative per continuare a rafforzare la partnership tra Unione europea e l'Unione africana e con le organizzazioni regionali africane, con i Paesi di origine e di transito dei flussi migratori, con l'Organizzazione internazionale per le migrazioni e l'Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite;
   a intraprendere, anche in collaborazione con i Governi dei Paesi riceventi, ogni utile iniziativa volta a incrementare i fondi per la cooperazione pubblica allo sviluppo nel settore agricolo locale, al fine di sostenere investimenti volti alla diffusione di modelli di produzione in grado di generare occupazione, di consentire agli operatori di accedere a mercati più ampi di quelli strettamente locali, di attivare meccanismi che permettano loro di recuperare la maggior parte possibile del valore di ciò che producono e di capitalizzare le risorse naturali, specie nelle aree a forte rischio ecologico, dove i servizi agricoli, come l'irrigazione, sono insoddisfacenti e il cambiamento climatico influisce in maniera significativa sulla disponibilità di cibo e sulla stabilità della sua offerta, il suo accesso e il suo utilizzo, alimentando, di fatto, espulsioni e progetti migratori;
   considerata l'evidente correlazione tra conflitti, traffico d'armi e flussi migratori, in specie provenienti dall'Africa, ad adottare ogni utile iniziativa affinché sia interrotta immediatamente l'esportazione di armi a tutti i Paesi che non rispettano i fondamentali diritti umani nel rispetto della legge n. 185 del 1990 e, parallelamente, a farsi promotore, nelle sedi bilaterali e in quelle multilaterali, di tutte le iniziative diplomatiche necessarie a limitare comunque il commercio con tutti questi Paesi;
   ad assumere iniziative per aumentare le risorse destinate alla cooperazione pubblica allo sviluppo nei Paesi africani, in particolare quelli della fascia sub-sahariana, destinandovi in particolare una quota significativa dei fondi promessi dal Presidente del Consiglio dei ministri Renzi, citati in premessa, per promuovere la salute e i diritti sessuali e riproduttivi, il contrasto alle pratiche dell'infibulazione, la parità di genere, i diritti umani delle donne e delle ragazze e il loro empowerment, sia nella cooperazione allo sviluppo sia in contesti umanitari.
(1-01018)
(Nuova formulazione) «Spadoni, Grande, Manlio Di Stefano, Sibilia, Di Battista, Scagliusi, Del Grosso».


   La Camera,
   premesso che:
    ormai da mesi l'Italia sta fronteggiando una situazione drammatica: sulle coste italiane continuano ad arrivare barconi pieni di migranti provenienti dall'Africa e dal Medio Oriente, che fuggono da scenari di guerra o di rivolte popolari e soprattutto da reiterata violazione dei diritti umani, fame e povertà, fenomeno che non può più essere considerato come transitorio o eccezionale e che non riguarda soltanto le iniziative umanitarie e il controllo delle frontiere, ma passa anche attraverso la cooperazione economica con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo;
    d'altronde l'immigrazione non può essere arrestata, perché è parte della storia dell'umanità, ma va gestita nell'interesse dei Paesi di origine e di quelli di destinazione dei flussi migratori, anche e soprattutto per impedire il rischio di una deriva razzista;
    gli sbarchi quotidiani di migranti stanno determinando una vera e propria emergenza umanitaria che non può e non deve essere una questione solo italiana, ma europea, delle istituzioni dell'Unione europea e di tutti gli Stati membri in una visione solidaristica e di condivisione delle responsabilità;
    per controllare i flussi migratori che dalle aree di crisi si riversano sull'Europa «non si può solo alzare un muro, né bastano solo le azioni di cooperazione: serve una strategia di lungo termine» che mescoli la cooperazione con i Paesi in difficoltà alla ricostruzione di Paesi «vicini al collasso totale», parole pronunciate dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione, Paolo Gentiloni, al termine della conferenza interministeriale sul nesso tra cooperazione economica e controllo dei flussi immigratori che si è tenuta a Roma nel 2014, il cosiddetto Processo di Khartoum sull'immigrazione dall'Africa orientale (EU-Horn of Africa migration route initiative), in attuazione del precedente Processo di Rabat, ovvero il foro di dialogo regionale tra l'Unione europea e i Paesi dell'Africa occidentale, centrale e mediterranea, nato nel 2006 su impulso di Spagna, Francia e Marocco al fine di affrontare le sfide poste dalle migrazioni lungo la rotta migratoria Africa sub-sahariana-Unione europea, secondo un approccio di responsabilità condivisa tra Paesi d'origine, transito e destinazione dei flussi migratori;
    il Processo di Khartoum è un accordo firmato il 28 novembre 2014 a Roma tra i Paesi dell'Unione europea e i Paesi di origine e di passaggio dei migranti che, dal Corno d'Africa e dall'Africa dell'Est si riversano sulle coste della Libia per raggiungere l'Europa, approdando nel nostro Paese, scappando da Somalia, Eritrea, Darfur/Sudan, Etiopia e dunque da situazioni di conflitto decennali, da violazioni di diritti umani documentati in innumerevoli rapporti di organizzazioni della società civile; nel corso della citata conferenza è stata sancita la volontà tra i Paesi partecipanti di collaborare per combattere il traffico di esseri umani, intervenire sui fattori scatenanti dell'emigrazione, cercare di garantire dei percorsi più strutturati per chi emigra, tutelando le fasce più vulnerabili e i richiedenti asilo e, per arrivare a questi obiettivi, occorrono accordi che portino a scambi d'informazioni, a sviluppo di capacity building, assistenza tecnica e buone pratiche per sostenere lo sviluppo sostenibile nei Paesi d'origine e di transito, creare strategie comuni di lotta alle reti criminali che gestiscono il traffico di migranti, regolare i flussi migratori e, là dov’è possibile, prevenirli;
    occorre, dunque, innanzitutto favorire un processo di revisione e miglioramento della qualità e efficacia degli interventi volti allo sviluppo (sostenibile) da parte delle grandi organizzazioni internazionali, a partire da Onu e Banca mondiale, con particolare riferimento a quei Paesi ove ha origine il flusso migratorio;
    è evidente che la stabilizzazione delle aree di conflitto, da cui ha origine la forte pressione migratoria, non può prescindere da strategie di cooperazione finalizzate alla riduzione della povertà e al conseguimento della sicurezza alimentare, attraverso lo sviluppo agricolo locale da sostenere mediante investimenti in infrastrutture e innovazione volti a generare, nel rispetto dell'uso sostenibile delle risorse naturali, un livello di modernizzazione in grado di contrastare gli effetti negativi del cambiamento climatico e a superare l'agricoltura di sussistenza con la diffusione di pratiche agricole capaci di assorbire forza lavoro qualificata e di creare filiere produttivo-commerciali;
    secondo la Banca mondiale, tra i Paesi emergenti, si è in presenza di una riduzione significativa di quelli molto poveri (scesi da oltre 60 a 34), tuttavia aumentano però quelli considerati «fragili» (36 secondo l'Ocse), ovvero condizionati e messi in difficoltà sul versante dello sviluppo economico a causa di conflitti (dovuti soprattutto a insipienza e irresponsabilità internazionali), debolezze istituzionali, inadeguatezza delle reti sociali e imprenditoriali;
    infine, il Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, a margine del suo intervento alla sessione dell'Onu tenutasi a settembre 2015, ha assicurato che l'Italia metterà a disposizione più risorse per i programmi a sostegno della lotta alla fame, alla povertà, alle malattie e al sottosviluppo: «Da qui al 2017 saremo al quarto posto nel G7 per gli investimenti nella cooperazione internazionale»; inoltre, ha anche confermato che: «L'Italia destinerà nuove risorse, fino a 50 milioni di euro nei prossimi due anni, per sostenere l'uguaglianza di genere perché le donne e le ragazze possano godere pienamente dei diritti umani, diritti che sono al cuore dei nostri programmi di cooperazione e sviluppo»;
    l’empowerment delle donne e la parità di genere sono fondamentali per accelerare lo sviluppo sostenibile nei Paesi africani e proprio per questo è necessario porre fine a tutte le forme di discriminazione contro le donne e le ragazze, non solo come un diritto umano fondamentale ma anche come effetto moltiplicatore su tutte le altre aree di sviluppo; inoltre, garantire l'accesso universale alla salute sessuale e riproduttiva, soprattutto contrastando le pratiche di infibulazione ancora in atto in molti Paesi africani, è un obiettivo vitale per realizzare questo fine;
    il nostro Paese si è impegnato, in maniera attiva nel corso del lungo iter diplomatico che ha portato all'adozione del Trattato internazionale sul commercio delle armi, affinché esso fosse in linea con quanto da sempre sostenuto nell'ambito della tutela, rispetto e promozione dei diritti umani, del disarmo, della cooperazione allo sviluppo e nel rispetto delle norme di diritto internazionale umanitario e con il richiamo all'obbligo di risolvere le controversie internazionali con mezzi pacifici;
    la legge n. 185 del 1990 rappresenta una delle più avanzate normative sul controllo dei materiali di armamento e, con il recepimento anche di successive direttive sul controllo dei trasferimenti dei materiali di armamento, il sistema normativo italiano è risultato pienamente in grado di poter attuare il citato Trattato; peraltro, in questa legge, con la lettera d) del comma 6 dell'articolo 1, viene vietata l'esportazione e il transito di materiali di armamento verso i Paesi i cui Governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell'Unione europea o del Consiglio d'Europa,

impegna il Governo:

   a promuovere, d'intesa con gli Stati membri dell'Unione europea, la predisposizione di una strategia di politica estera dell'Unione europea più flessibile e adeguata nel rispondere alle minacce e alle sfide emergenti in settori quali la sanità, l'energia, i cambiamenti climatici, l'accesso all'acqua o il processo di desertificazione, fattori che spingono le popolazioni africane coinvolte verso altri Paesi e che si legano inevitabilmente all'aumento dei flussi migratori, attraverso l'adozione di misure e proposte per la riduzione dell'impatto ambientale e del consumo delle risorse, per una cooperazione allo sviluppo che non sia sinonimo di sostentamento, per la risoluzione di conflitti basata non unicamente sugli interventi militari, che devono essere accompagnati da iniziative miranti allo sviluppo sociale, economico e ambientale di lungo periodo;
   a potenziare la rete diplomatica consolare dei Paesi di origine e di transito dei flussi migratori;
   a far sì che l'approccio al dramma dei profughi e dei flussi migratori dall'Africa sia affrontato dall'Unione europea nel solco dei processi di Rabat e di Khartoum, ovvero con una nuova politica dell'Unione europea nei confronti del continente africano in grado di affrontare le cause remote (povertà, crisi e conflitti), anche tramite il miglioramento delle situazioni della sicurezza, umanitarie e dei diritti umani e delle condizioni socio-economiche nei Paesi di origine, e di rafforzare la cooperazione con i Paesi di transito per il controllo dei flussi, per un contrasto efficace dei trafficanti e per rafforzarne le capacità in modo da consentire alle autorità locali di affrontare la questione in maniera più proficua;
   a realizzare iniziative volte a dare attuazione concreta al processo di Khartoum e agli altri processi politici in corso con i Paesi partner adoperandosi affinché l'azione dell'Unione europea sul piano umanitario e di controllo delle frontiere venga affiancata da interventi miranti a risolvere le cause profonde dell'emigrazione in Africa attraverso un consistente piano di cooperazione allo sviluppo che rafforzi le economie locali;
   a rendere effettivi gli impegni assunti, nel quadro dei citati processi, attraverso un approccio di maggiore generosità in termini di stanziamenti nella cooperazione allo sviluppo con questi Paesi, implementando contestualmente più serrati controlli sulla destinazione di tali fondi e sui fenomeni di corruzione inevitabilmente correlati;
   ad assumere iniziative per continuare a rafforzare la partnership tra Unione europea e l'Unione africana e con le organizzazioni regionali africane, con i Paesi di origine e di transito dei flussi migratori, con l'Organizzazione internazionale per le migrazioni e l'Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite;
   a intraprendere, anche in collaborazione con i Governi dei Paesi riceventi, ogni utile iniziativa volta a incrementare i fondi per la cooperazione pubblica allo sviluppo nel settore agricolo locale, al fine di sostenere investimenti volti alla diffusione di modelli di produzione in grado di generare occupazione, di consentire agli operatori di accedere a mercati più ampi di quelli strettamente locali, di attivare meccanismi che permettano loro di recuperare la maggior parte possibile del valore di ciò che producono e di capitalizzare le risorse naturali, specie nelle aree a forte rischio ecologico, dove i servizi agricoli, come l'irrigazione, sono insoddisfacenti e il cambiamento climatico influisce in maniera significativa sulla disponibilità di cibo e sulla stabilità della sua offerta, il suo accesso e il suo utilizzo, alimentando, di fatto, espulsioni e progetti migratori;
   ad assumere iniziative per aumentare le risorse destinate alla cooperazione pubblica allo sviluppo nei Paesi africani, in particolare quelli della fascia sub-sahariana, destinandovi in particolare una quota significativa dei fondi promessi dal Presidente del Consiglio dei ministri Renzi, citati in premessa, per promuovere la salute e i diritti sessuali e riproduttivi, il contrasto alle pratiche dell'infibulazione, la parità di genere, i diritti umani delle donne e delle ragazze e il loro empowerment, sia nella cooperazione allo sviluppo sia in contesti umanitari.
(1-01018)
(Nuova formulazione – Testo modificato nel corso della seduta come risultante dalla votazione per parti separate) «Spadoni, Grande, Manlio Di Stefano, Sibilia, Di Battista, Scagliusi, Del Grosso».


   La Camera,
   premesso che:
    dal rapporto della Banca mondiale (The World Bank: Global economic perspective, gennaio 2013) emerge un'Africa a doppia velocità: da una parte il Nord Africa, i cui Paesi investiti dalla primavera araba, dopo la brusca caduta del 2,4 per cento del 2011, mostrano una crescita del prodotto interno lordo tra il 2 per cento (Egitto e Tunisia) e il 3 per cento (Algeria e Marocco). Dall'altra parte, l'Africa sub-sahariana, che nel 2012 ha fatto registrare un tasso medio di crescita del prodotto interno lordo del 4,6 per cento e dove il tasso stimato di crescita media per i prossimi anni si aggira intorno al 6 per cento, grazie soprattutto all'alto prezzo delle risorse naturali, che continuano a far aumentare il valore delle esportazioni e alimentano il flusso degli investimenti esteri. Anche il tasso medio d'inflazione conferma la doppia velocità: il Nord Africa viaggia intorno al 5 per cento, l'Africa sub-sahariana ha un valore doppio;
    un ulteriore elemento che caratterizza, differenzia e condiziona pesantemente le economie sub-sahariane è la dipendenza dalla domanda cinese. Tale mercato rappresenta da solo circa il 50 per cento delle esportazioni di metalli industriali e minerali (Zambia, Botswana, Namibia e Repubblica democratica del Congo) ed è altresì la destinazione finale delle quote più rilevanti dei prodotti petroliferi (Angola e Sudan). La dipendenza dalla Cina è diventata sostanziale anche sotto il profilo dei flussi degli investimenti: la Repubblica cinese movimenta circa un terzo del flusso netto di capitali nell'area (il Focac – Forum per la cooperazione tra Cina e Africa – ha recentemente annunciato l'attivazione di una linea di credito di oltre 20 miliardi di dollari per lo sviluppo di infrastrutture, agricoltura e manifattura);
    accanto a rischi interni (situazione politica) ed esterni (stabilizzazione dei mercati finanziari, ripresa economica nell'area dell'euro, caduta dei prezzi delle materie prime, aumento dei prezzi dei prodotti alimentari) condivisi, l'Africa sub-sahariana mostra, dunque, una specifica criticità: l'elevata dipendenza dalla domanda e dagli investimenti cinesi, la cui riduzione o, peggio ancora, il suo venir meno, produrrebbe un vero e proprio disastro economico e finanziario nelle economie della regione, con immediate conseguenze sulle stime di crescita economica e sui flussi migratori;
    al di là di queste contrastanti valutazioni economico-finanziarie della Banca mondiale e dei passi in avanti socio-economici registrati da alcuni Stati africani, il profondissimo divario tra gli standard di vita dei Paesi dell'Africa sub-sahariana e quelli dei Paesi occidentali, insieme alle instabilità politiche e ai rischi bellici, costituisce ancora una delle motivazioni centrali dei flussi migratori che investono l'intera Europa;
    è senz'altro apprezzabile, ma necessita di potenziamento, il cambio di passo del Governo italiano che, negli ultimi 18 mesi, ha fortemente rafforzato la sua azione nell'ambito della cooperazione internazionale e delle relazioni bilaterali con i Paesi dell'Africa sub-sahariana;
    i dati del Ministero dell'interno, aggiornati al luglio 2015, quantificano a 82.932 i migranti sbarcati nel 2015 in Italia attraverso il Mediterraneo, di cui: 20.392 dall'Eritrea; 9.619 dalla Nigeria, 6.966 dalla Somalia, 4.668 dal Sudan, 4.206 dal Gambia, 3.245 dal Senegal, 3.112 dal Mali, 1.854 dalla Costa d'Avorio, 4.953 dalla Siria, 2.697 dal Bangladesh e 1.220 da altre provenienze;
    secondo i massimi esperti economici e dell'immigrazione, la povertà, i bassissimi standard sociali, sanitari e ambientali, l'instabilità politica e le guerre civili che contraddistinguono una vastissima area che va dall'Iraq alla Libia, nonché la forte disparità tra questi standard e quelli dei Paesi occidentali rappresentano storicamente i più potenti push factor (fattori attrattivi) delle migrazioni clandestine attraverso il Mediterraneo, indipendentemente dalle politiche contingenti di controllo delle frontiere, di contrasto agli sbarchi clandestini e di gestione dei flussi migratori. Conseguentemente, fintanto che non vi sarà un efficace impegno degli Stati più avanzati a ridurre quel gap, non verranno intaccate le cause profonde ed immanenti di uno dei più imponenti fenomeni migratori della storia;
    tali fattori attrattivi non rappresentano un fenomeno ciclico, ma sono al contrario elementi strutturali di carattere planetario e per questo saranno destinati ad aggravarsi nei prossimi anni;
    i fattori economico-sociali e di salute pubblica (longevità e aspettativa di vita, tasso di mortalità infantile, tasso di ospedalizzazione e di accessibilità alle cure, tasso di vaccinazione e di malattie infettive, tasso di alfabetizzazione ed altri) rappresentano, insieme ai fattori politici, gli indicatori statistici di «benessere» adottati come parametri internazionali di misurazione dello standard di vita di una popolazione;
    in modo particolare, l'allungamento delle aspettative di vita – inteso sia in termini di bassi tassi di mortalità in età infantile o giovanile che come riduzione dei tassi di mortalità evitabile – costituisce l'indicatore imprescindibile che funge da specchio dello stato sociale, ambientale e sanitario in cui vive una collettività;
    la speranza di vita alla nascita in molti Paesi dell'area sub-sahariana risulta fatalmente condizionata dal bassissimo rapporto medici/abitanti (mediamente 1 su 1.000 e talvolta scivola a 1 ogni 30.000-40.000 persone), dallo scarso accesso alle terapie mediche, dalla scarsa disponibilità d'acqua (in alcune aree assolutamente ridotta: 200 millimetri cubici in Libia e Mauritania, 500 in Tunisia e Capo Verde, poco di più in Kenya, Algeria, Burundi, Botswana) e dallo scarso apporto nutritivo;
    secondo i report statistici annuali dell'Organizzazione mondiale della sanità, confermati dal Cia-World factbook 2014, nei Paesi occidentali sviluppati un bambino nato nel 2012 può attualmente aspettarsi di vivere fino all'età di circa 76 anni, cioè 16 anni in più rispetto a un bambino nato in un Paese di maggiore arretratezza (dove l'aspettativa è mediamente di 60 anni). Per le bambine, la differenza è persino maggiore: un divario di 19 anni separa l'aspettativa di vita nei Paesi ad alto reddito (82 anni) da quella nei Paesi a basso reddito (63 anni). Il gap è ancora più macroscopico in nove Paesi dell'Africa sub-sahariana: Angola, Repubblica centrafricana, Ciad, Costa d'Avorio, Repubblica democratica del Congo, Lesotho, Mozambico, Nigeria e Sierra Leone, dove l'aspettativa di vita, sia per le donne che per gli uomini, è tuttora inferiore ai 55 anni; o addirittura si attesta ai 50 nel Ciad, nella Guinea-Bissau e nello Swaziland; per salire ai 51 di Zambia e Somalia e ai 52 di Namibia e Nigeria;
    un altro fattore fortemente impattante sulle aspettative di vita nei Paesi africani è rappresentato dalle malattie infettive (febbre gialla, colera, morbillo, aids, ebola ed altre) e dalle patologie ad esse correlate, che, secondo gli ultimi report dell'Organizzazione mondiale della sanità, costituiscono ancora oggi la causa del 70 per cento degli anni di vita persi dagli abitanti di quel continente;
    mentre i sistemi di controllo occidentali sono in grado di fronteggiare un eventuale caso di contagio (con protocolli di isolamento nei centri attrezzati degli ospedali), analoghe strutture e misure di allerta mancano completamente nei Paesi dell'Africa sub-sahariana;
    permane, tuttavia, il rischio che, in assenza di adeguati programmi di screening sanitario, le popolazioni di migranti possano introdurre o reintrodurre nei Paesi occidentali patologie infettive, anche sostenute da ceppi resistenti, assai subdole nella loro diffusione;
    l'ultima «emergenza di salute pubblica a livello internazionale», dichiarata nel marzo 2014 dall'Organizzazione mondiale della sanità in relazione alla malattia da virus ebola, esplosa in Guinea, Liberia e Sierra Leone ed arrivata anche in Mali, Nigeria e Senegal, è, in tal senso, emblematica della necessità di migliorare e potenziare la prevenzione direttamente in quelle aree geografiche ove originano tali epidemie ed ha messo in luce come l'unico vero strumento idoneo a contrastare le cicliche emergenze sanitarie di provenienza africana permanga in primo luogo un sistematico ed organico intervento sul posto, attraverso: forme di monitoraggio e cooperazione internazionale, di coordinamento con le autorità locali finalizzate al rigoroso rispetto dei protocolli sanitari per limitare il rischio di contagio, mediante l'allestimento e l'attivazione dei centri di isolamento negli ospedali; la messa a disposizione, anche attraverso la formazione professione degli operatori sanitari locali, di risorse umane specialistiche e di know-how (di cui il nostro Paese dispone con punte di eccellenza internazionalmente riconosciute); fornitura di strumentazioni mediche di massima protezione (maschere ffp3, tute di sicurezza classe 3, termometri funzionanti a distanza) e così via;
    nel 2014, il contributo italiano al fondo globale per la lotta all'aids, alla tubercolosi e alla malaria è stato di 1,049 miliardi di dollari (pari al 3,1 per cento del totale) ed ha posto il nostro Paese all'ottavo posto tra i donatori mondiali. Un analogo segnale non è stato, invece, registrato in concomitanza alla recente emergenza ebola. L'Italia, infatti, non risulta tra le nazioni che hanno contribuito maggiormente con risorse finanziarie a contrastare tale epidemia. In cima alla lista ci sono gli Stati Uniti con 750 milioni di dollari; la Banca mondiale con 400 milioni di dollari; il Regno Unito con 201 milioni di dollari; la African development bank con 150 milioni di dollari; la Germania con 130 milioni di dollari; la Francia con 89 milioni di dollari; il Canada con 57 milioni di dollari; il Giappone con 40 milioni di dollari; la Cina con 33 milioni di dollari e l'India con 12 milioni di dollari (Independent, 22 ottobre 2014);
    la cronologia delle epidemie da ebola dal 1976 al 2012 (così come quella delle altre malattie infettive che trovano origine in Africa) ed il fatto che nei prossimi anni continueranno a susseguirsi con ritmo crescente gli sbarchi sulle coste italiane di immigrati e profughi provenienti dalle aree a maggior rischio epidemico dovrebbero indurre il Governo e le autorità sanitarie a tenere sempre alta la soglia di attenzione e prevenzione, non solo sul territorio nazionale ma soprattutto implementando il supporto specialistico ai sistemi di sanità pubblica dei Paesi africani;
    il fenomeno degli sbarchi, dei flussi migratori e in genere la presenza sempre più strutturale e consolidata di immigrati nel nostro Paese genera una serie di paure non collegate solo all'aspetto sanitario sopra descritto, ma connesse alla percezione che l'immigrazione costituirebbe un «peso» per il sistema di welfare e, in particolare, per il sistema pensionistico italiano;
    i dati ufficiali tenderebbero a smentire tale percezione: in Italia risiedono circa 5 milioni di immigrati regolari (il 9 per cento della popolazione) che garantiscono il 12 per cento del prodotto interno lordo italiano. La categoria di spesa su cui i costi per gli stranieri incide di più è quella carceraria (oltre un terzo della spesa totale destinata ai detenuti). In tutte le altre voci (istruzione primaria e secondaria, sanità, pensioni, disoccupazione, esclusione e protezione sociale), la spesa per gli stranieri non è mai superiore al 15 per cento del totale (Istat 2011);
    complessivamente, gli immigrati beneficiano di 15 miliardi di euro in servizi e prestazioni sociali, poco più del 3,4 per cento sul totale della spesa pubblica considerata, questo anche perché, in termini assoluti, gli stranieri hanno un'età media inferiore della popolazione italiana che, al contrario, è portatrice di numerosi e diversificati bisogni di cura sanitaria, oltre che di richieste di prestazioni pensionistiche (ricerca, Istituto superiore di sanità, della Fondazione Ismu-Istituto per lo studio della multietnicità e Simm – Società italiana di medicina delle migrazioni, 2013);
    attualmente, l'immigrazione sta dunque fornendo un prezioso contributo al sistema pensionistico italiano e sta risanando la relazione tra lavoratori attivi e pensionati, oggi fortemente sbilanciata, in termini di numero di soggetti coinvolti, a favore dei secondi. Il contributo degli immigrati sul versante previdenziale è stato più che positivo: secondo i dati forniti dall'Inps nel 2011, i contributi versati dagli stranieri hanno raggiungo infatti i 9 miliardi di euro;
    in definitiva, le conclusioni del V rapporto annuale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, «I migranti nel mercato del lavoro in Italia» di luglio 2015, dimostrano una realtà, sia pur nella sua complessità e dinamicità, molto diversa dalla percezione negativa dei cittadini, con un trend che certifica come il lieve recupero occupazionale registrato nel 2014 sia da attribuirsi in gran parte alla manodopera straniera, anche in relazione alla vocazione da parte della popolazione immigrata a dare risposta ad esigenze del mercato del lavoro non considerate appetibili e conseguentemente non presidiate dai nativi italiani;
    l'Italia, anche nel confronto con gli altri Paesi europei, continua a rappresentare un unicum. L'originalità del caso italiano è dato, in particolare, dalla presenza di un tasso di occupazione dei cittadini stranieri più alto di quello dei nativi, dalla presenza di trend dell'occupazione asimmetrici tra le diverse nazionalità (si contrae il numero di lavoratori italiani e cresce la platea dei lavoratori comunitari ed extracomunitari), dalla contemporanea crescita dell'occupazione, della disoccupazione e dell'inattività della popolazione straniera;
    le complesse dinamiche del mercato del lavoro sono, dunque, in grado di orientare nuove riflessioni sui fenomeni migratori di questi ultimi anni, al punto che, nel caso di alcune specifiche mansioni, per i cittadini stranieri è possibile parlare di indispensabilità, visto anche l'effetto compensativo che essi svolgono in alcuni settori sottoposti a robusti processi di erosione della base occupazionale;
    la complessa situazione sopra descritta, sia in relazione all'inevitabile aumento della spinta migratoria proveniente dall'Africa sub-sahariana per il permanere di conflitti regionali sommati a storiche ed irrisolte situazioni di povertà e bassissimi standard di vita, che in relazione alla ben nota crisi economica in atto da anni nel mondo occidentale, di cui ha pesantemente risentito anche la stessa manodopera straniera residente in Europa e in Italia, rende oggettivamente limitato lo spazio politico di intervento da parte dei Governi occidentali per rendere coerenti i flussi migratori alle reali possibilità di assorbimento e di integrazione nelle società più avanzate,

impegna il Governo:

   a intensificare gli sforzi strategici di collaborazione economico-commerciale con i Paesi sub-sahariani già avviati, soprattutto favorendo la presenza di imprese italiane nei settori della grande distribuzione e delle infrastrutture e promuovendo un miglior approvvigionamento delle materie prime per l'industria italiana in cambio di partenariati per la diffusione di know how per lo sviluppo locale;
   a chiedere con forza il coordinamento europeo di tutte le politiche di gestione dell'emergenza immigrazione, che renda possibile la piena condivisione delle responsabilità e delle linee di intervento tra tutti i Paesi membri dell'Unione europea;
   a potenziare la propria azione di stimolo delle istituzioni internazionali verso nuove politiche di sostegno della crescita economica endogena, di pacificazione politica e sociale, di sviluppo della risposta sanitaria, che possano agire direttamente sui fattori di «spinta» e di «attrazione» all'origine della migrazione internazionale dai Paesi africani sub-sahariani verso i Paesi dell'area Unione europea/Area economica europea (Eea);
   a verificare che le linee economiche di intervento a cui partecipa attivamente il nostro Paese abbiano un effettivo impatto sulla correzione dei fattori strutturali che sono alla base dell'emergenza immigrazione;
   a dedicare particolare attenzione ai programmi di miglioramento delle condizioni dell'organizzazione sanitaria nei Paesi dell'Africa sub-sahariana, nella convinzione che i relativi indicatori rappresentino marker assai attendibili dello sviluppo economico, sociale e civile delle nazioni interessate in modo prevalente dai fenomeni migratori;
   ad avviare un programma nazionale italiano, che valorizzi il know-how, le competenze e la tecnologia italiani per favorire rapporti di collaborazione, anche bilaterale, finalizzati al miglioramento degli standard di salute pubblica in quelle aeree, al fine di contrastare in loco le cicliche emergenze sanitarie;
   a sostenere le organizzazioni non governative e le organizzazioni internazionali che si pongono analoghi obiettivi di sviluppo dell'appropriatezza dei sistemi sanitari dei Paesi dell'Africa sub-sahariana;
   a favorire iniziative dell'Unione europea, con vincoli temporali chiari e obiettivi misurabili, rivolte a garantire l'autosufficienza sanitaria nei Paesi africani anche attraverso le seguenti azioni:
     a) realizzazione di un sistema di formazione, istruzione continua e addestramento a favore degli operatori sanitari dei Paesi in via di sviluppo, e di quelli sub-sahariani in particolare, che utilizzi le competenze specialistiche italiane e i canali di collaborazione offerti dalle istituzioni internazionali, basato sull'esperienza e sulle best practice;
     b) rafforzamento ed implementazione del coordinamento e del partenariato con le istituzioni e le autorità sanitarie locali, anche attraverso il potenziamento delle attività progettuali specifiche del Ministero della salute, del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale;
     c) consolidamento dei livelli di aiuto e di assistenza tecnico-finanziaria a favore dei Paesi impegnati nella progettazione e/o nella modernizzazione dei propri sistemi sanitari;
     d) progettazione e realizzazione di un sistema di accoglienza sanitaria e di screening sulle popolazioni di migranti che raggiungono il nostro Paese, che garantisca le migliori condizioni di sicurezza reciproca.
(1-01027) «Vargiu, Monchiero, Capua, Catalano, D'Agostino, Dambruoso, Librandi, Matarrese, Quintarelli, Vecchio».


   La Camera,
   premesso che:
    dal rapporto della Banca mondiale (The World Bank: Global economic perspective, gennaio 2013) emerge un'Africa a doppia velocità: da una parte il Nord Africa, i cui Paesi investiti dalla primavera araba, dopo la brusca caduta del 2,4 per cento del 2011, mostrano una crescita del prodotto interno lordo tra il 2 per cento (Egitto e Tunisia) e il 3 per cento (Algeria e Marocco). Dall'altra parte, l'Africa sub-sahariana, che nel 2012 ha fatto registrare un tasso medio di crescita del prodotto interno lordo del 4,6 per cento e dove il tasso stimato di crescita media per i prossimi anni si aggira intorno al 6 per cento, grazie soprattutto all'alto prezzo delle risorse naturali, che continuano a far aumentare il valore delle esportazioni e alimentano il flusso degli investimenti esteri. Anche il tasso medio d'inflazione conferma la doppia velocità: il Nord Africa viaggia intorno al 5 per cento, l'Africa sub-sahariana ha un valore doppio;
    un ulteriore elemento che caratterizza, differenzia e condiziona pesantemente le economie sub-sahariane è la dipendenza dalla domanda cinese. Tale mercato rappresenta da solo circa il 50 per cento delle esportazioni di metalli industriali e minerali (Zambia, Botswana, Namibia e Repubblica democratica del Congo) ed è altresì la destinazione finale delle quote più rilevanti dei prodotti petroliferi (Angola e Sudan). La dipendenza dalla Cina è diventata sostanziale anche sotto il profilo dei flussi degli investimenti: la Repubblica cinese movimenta circa un terzo del flusso netto di capitali nell'area (il Focac – Forum per la cooperazione tra Cina e Africa – ha recentemente annunciato l'attivazione di una linea di credito di oltre 20 miliardi di dollari per lo sviluppo di infrastrutture, agricoltura e manifattura);
    accanto a rischi interni (situazione politica) ed esterni (stabilizzazione dei mercati finanziari, ripresa economica nell'area dell'euro, caduta dei prezzi delle materie prime, aumento dei prezzi dei prodotti alimentari) condivisi, l'Africa sub-sahariana mostra, dunque, una specifica criticità: l'elevata dipendenza dalla domanda e dagli investimenti cinesi, la cui riduzione o, peggio ancora, il suo venir meno, produrrebbe un vero e proprio disastro economico e finanziario nelle economie della regione, con immediate conseguenze sulle stime di crescita economica e sui flussi migratori;
    al di là di queste contrastanti valutazioni economico-finanziarie della Banca mondiale e dei passi in avanti socio-economici registrati da alcuni Stati africani, il profondissimo divario tra gli standard di vita dei Paesi dell'Africa sub-sahariana e quelli dei Paesi occidentali, insieme alle instabilità politiche e ai rischi bellici, costituisce ancora una delle motivazioni centrali dei flussi migratori che investono l'intera Europa;
    è senz'altro apprezzabile, ma necessita di potenziamento, il cambio di passo del Governo italiano che, negli ultimi 18 mesi, ha fortemente rafforzato la sua azione nell'ambito della cooperazione internazionale e delle relazioni bilaterali con i Paesi dell'Africa sub-sahariana;
    i dati del Ministero dell'interno, aggiornati al luglio 2015, quantificano a 82.932 i migranti sbarcati nel 2015 in Italia attraverso il Mediterraneo, di cui: 20.392 dall'Eritrea; 9.619 dalla Nigeria, 6.966 dalla Somalia, 4.668 dal Sudan, 4.206 dal Gambia, 3.245 dal Senegal, 3.112 dal Mali, 1.854 dalla Costa d'Avorio, 4.953 dalla Siria, 2.697 dal Bangladesh e 1.220 da altre provenienze;
    secondo i massimi esperti economici e dell'immigrazione, la povertà, i bassissimi standard sociali, sanitari e ambientali, l'instabilità politica e le guerre civili che contraddistinguono una vastissima area che va dall'Iraq alla Libia, nonché la forte disparità tra questi standard e quelli dei Paesi occidentali rappresentano storicamente i più potenti push factor (fattori attrattivi) delle migrazioni clandestine attraverso il Mediterraneo, indipendentemente dalle politiche contingenti di controllo delle frontiere, di contrasto agli sbarchi clandestini e di gestione dei flussi migratori. Conseguentemente, fintanto che non vi sarà un efficace impegno degli Stati più avanzati a ridurre quel gap, non verranno intaccate le cause profonde ed immanenti di uno dei più imponenti fenomeni migratori della storia;
    tali fattori attrattivi non rappresentano un fenomeno ciclico, ma sono al contrario elementi strutturali di carattere planetario e per questo saranno destinati ad aggravarsi nei prossimi anni;
    i fattori economico-sociali e di salute pubblica (longevità e aspettativa di vita, tasso di mortalità infantile, tasso di ospedalizzazione e di accessibilità alle cure, tasso di vaccinazione e di malattie infettive, tasso di alfabetizzazione ed altri) rappresentano, insieme ai fattori politici, gli indicatori statistici di «benessere» adottati come parametri internazionali di misurazione dello standard di vita di una popolazione;
    in modo particolare, l'allungamento delle aspettative di vita – inteso sia in termini di bassi tassi di mortalità in età infantile o giovanile che come riduzione dei tassi di mortalità evitabile – costituisce l'indicatore imprescindibile che funge da specchio dello stato sociale, ambientale e sanitario in cui vive una collettività;
    la speranza di vita alla nascita in molti Paesi dell'area sub-sahariana risulta fatalmente condizionata dal bassissimo rapporto medici/abitanti (mediamente 1 su 1.000 e talvolta scivola a 1 ogni 30.000-40.000 persone), dallo scarso accesso alle terapie mediche, dalla scarsa disponibilità d'acqua (in alcune aree assolutamente ridotta: 200 millimetri cubici in Libia e Mauritania, 500 in Tunisia e Capo Verde, poco di più in Kenya, Algeria, Burundi, Botswana) e dallo scarso apporto nutritivo;
    secondo i report statistici annuali dell'Organizzazione mondiale della sanità, confermati dal Cia-World factbook 2014, nei Paesi occidentali sviluppati un bambino nato nel 2012 può attualmente aspettarsi di vivere fino all'età di circa 76 anni, cioè 16 anni in più rispetto a un bambino nato in un Paese di maggiore arretratezza (dove l'aspettativa è mediamente di 60 anni). Per le bambine, la differenza è persino maggiore: un divario di 19 anni separa l'aspettativa di vita nei Paesi ad alto reddito (82 anni) da quella nei Paesi a basso reddito (63 anni). Il gap è ancora più macroscopico in nove Paesi dell'Africa sub-sahariana: Angola, Repubblica centrafricana, Ciad, Costa d'Avorio, Repubblica democratica del Congo, Lesotho, Mozambico, Nigeria e Sierra Leone, dove l'aspettativa di vita, sia per le donne che per gli uomini, è tuttora inferiore ai 55 anni; o addirittura si attesta ai 50 nel Ciad, nella Guinea-Bissau e nello Swaziland; per salire ai 51 di Zambia e Somalia e ai 52 di Namibia e Nigeria;
    un altro fattore fortemente impattante sulle aspettative di vita nei Paesi africani è rappresentato dalle malattie infettive (febbre gialla, colera, morbillo, aids, ebola ed altre) e dalle patologie ad esse correlate, che, secondo gli ultimi report dell'Organizzazione mondiale della sanità, costituiscono ancora oggi la causa del 70 per cento degli anni di vita persi dagli abitanti di quel continente;
    mentre i sistemi di controllo occidentali sono in grado di fronteggiare un eventuale caso di contagio (con protocolli di isolamento nei centri attrezzati degli ospedali), analoghe strutture e misure di allerta mancano completamente nei Paesi dell'Africa sub-sahariana;
    permane, tuttavia, il rischio che, in assenza di adeguati programmi di screening sanitario, le popolazioni di migranti possano introdurre o reintrodurre nei Paesi occidentali patologie infettive, anche sostenute da ceppi resistenti, assai subdole nella loro diffusione;
    l'ultima «emergenza di salute pubblica a livello internazionale», dichiarata nel marzo 2014 dall'Organizzazione mondiale della sanità in relazione alla malattia da virus ebola, esplosa in Guinea, Liberia e Sierra Leone ed arrivata anche in Mali, Nigeria e Senegal, è, in tal senso, emblematica della necessità di migliorare e potenziare la prevenzione direttamente in quelle aree geografiche ove originano tali epidemie ed ha messo in luce come l'unico vero strumento idoneo a contrastare le cicliche emergenze sanitarie di provenienza africana permanga in primo luogo un sistematico ed organico intervento sul posto, attraverso: forme di monitoraggio e cooperazione internazionale, di coordinamento con le autorità locali finalizzate al rigoroso rispetto dei protocolli sanitari per limitare il rischio di contagio, mediante l'allestimento e l'attivazione dei centri di isolamento negli ospedali; la messa a disposizione, anche attraverso la formazione professione degli operatori sanitari locali, di risorse umane specialistiche e di know-how (di cui il nostro Paese dispone con punte di eccellenza internazionalmente riconosciute); fornitura di strumentazioni mediche di massima protezione (maschere ffp3, tute di sicurezza classe 3, termometri funzionanti a distanza) e così via;
    nel 2014, il contributo italiano al fondo globale per la lotta all'aids, alla tubercolosi e alla malaria è stato di 1,049 miliardi di dollari (pari al 3,1 per cento del totale) ed ha posto il nostro Paese all'ottavo posto tra i donatori mondiali. Un analogo segnale non è stato, invece, registrato in concomitanza alla recente emergenza ebola. L'Italia, infatti, non risulta tra le nazioni che hanno contribuito maggiormente con risorse finanziarie a contrastare tale epidemia. In cima alla lista ci sono gli Stati Uniti con 750 milioni di dollari; la Banca mondiale con 400 milioni di dollari; il Regno Unito con 201 milioni di dollari; la African development bank con 150 milioni di dollari; la Germania con 130 milioni di dollari; la Francia con 89 milioni di dollari; il Canada con 57 milioni di dollari; il Giappone con 40 milioni di dollari; la Cina con 33 milioni di dollari e l'India con 12 milioni di dollari (Independent, 22 ottobre 2014);
    la cronologia delle epidemie da ebola dal 1976 al 2012 (così come quella delle altre malattie infettive che trovano origine in Africa) ed il fatto che nei prossimi anni continueranno a susseguirsi con ritmo crescente gli sbarchi sulle coste italiane di immigrati e profughi provenienti dalle aree a maggior rischio epidemico dovrebbero indurre il Governo e le autorità sanitarie a tenere sempre alta la soglia di attenzione e prevenzione, non solo sul territorio nazionale ma soprattutto implementando il supporto specialistico ai sistemi di sanità pubblica dei Paesi africani;
    il fenomeno degli sbarchi, dei flussi migratori e in genere la presenza sempre più strutturale e consolidata di immigrati nel nostro Paese genera una serie di paure non collegate solo all'aspetto sanitario sopra descritto, ma connesse alla percezione che l'immigrazione costituirebbe un «peso» per il sistema di welfare e, in particolare, per il sistema pensionistico italiano;
    i dati ufficiali tenderebbero a smentire tale percezione: in Italia risiedono circa 5 milioni di immigrati regolari (il 9 per cento della popolazione) che garantiscono il 12 per cento del prodotto interno lordo italiano. La categoria di spesa su cui i costi per gli stranieri incide di più è quella carceraria (oltre un terzo della spesa totale destinata ai detenuti). In tutte le altre voci (istruzione primaria e secondaria, sanità, pensioni, disoccupazione, esclusione e protezione sociale), la spesa per gli stranieri non è mai superiore al 15 per cento del totale (Istat 2011);
    complessivamente, gli immigrati beneficiano di 15 miliardi di euro in servizi e prestazioni sociali, poco più del 3,4 per cento sul totale della spesa pubblica considerata, questo anche perché, in termini assoluti, gli stranieri hanno un'età media inferiore della popolazione italiana che, al contrario, è portatrice di numerosi e diversificati bisogni di cura sanitaria, oltre che di richieste di prestazioni pensionistiche (ricerca, Istituto superiore di sanità, della Fondazione Ismu-Istituto per lo studio della multietnicità e Simm – Società italiana di medicina delle migrazioni, 2013);
    attualmente, l'immigrazione sta dunque fornendo un prezioso contributo al sistema pensionistico italiano e sta risanando la relazione tra lavoratori attivi e pensionati, oggi fortemente sbilanciata, in termini di numero di soggetti coinvolti, a favore dei secondi. Il contributo degli immigrati sul versante previdenziale è stato più che positivo: secondo i dati forniti dall'Inps nel 2011, i contributi versati dagli stranieri hanno raggiungo infatti i 9 miliardi di euro;
    in definitiva, le conclusioni del V rapporto annuale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, «I migranti nel mercato del lavoro in Italia» di luglio 2015, dimostrano una realtà, sia pur nella sua complessità e dinamicità, molto diversa dalla percezione negativa dei cittadini, con un trend che certifica come il lieve recupero occupazionale registrato nel 2014 sia da attribuirsi in gran parte alla manodopera straniera, anche in relazione alla vocazione da parte della popolazione immigrata a dare risposta ad esigenze del mercato del lavoro non considerate appetibili e conseguentemente non presidiate dai nativi italiani;
    l'Italia, anche nel confronto con gli altri Paesi europei, continua a rappresentare un unicum. L'originalità del caso italiano è dato, in particolare, dalla presenza di un tasso di occupazione dei cittadini stranieri più alto di quello dei nativi, dalla presenza di trend dell'occupazione asimmetrici tra le diverse nazionalità (si contrae il numero di lavoratori italiani e cresce la platea dei lavoratori comunitari ed extracomunitari), dalla contemporanea crescita dell'occupazione, della disoccupazione e dell'inattività della popolazione straniera;
    le complesse dinamiche del mercato del lavoro sono, dunque, in grado di orientare nuove riflessioni sui fenomeni migratori di questi ultimi anni, al punto che, nel caso di alcune specifiche mansioni, per i cittadini stranieri è possibile parlare di indispensabilità, visto anche l'effetto compensativo che essi svolgono in alcuni settori sottoposti a robusti processi di erosione della base occupazionale;
    la complessa situazione sopra descritta, sia in relazione all'inevitabile aumento della spinta migratoria proveniente dall'Africa sub-sahariana per il permanere di conflitti regionali sommati a storiche ed irrisolte situazioni di povertà e bassissimi standard di vita, che in relazione alla ben nota crisi economica in atto da anni nel mondo occidentale, di cui ha pesantemente risentito anche la stessa manodopera straniera residente in Europa e in Italia, rende oggettivamente limitato lo spazio politico di intervento da parte dei Governi occidentali per rendere coerenti i flussi migratori alle reali possibilità di assorbimento e di integrazione nelle società più avanzate,

impegna il Governo:

   a intensificare tenendo conto delle specifiche condizioni locali e delle prevalenti problematiche politiche e di sicurezza, gli sforzi strategici di collaborazione economico-commerciale con i Paesi sub-sahariani già avviati, soprattutto favorendo la presenza di imprese italiane nei settori della grande distribuzione e delle infrastrutture e promuovendo un miglior approvvigionamento delle materie prime per l'industria italiana in cambio di partenariati per la diffusione di know how per lo sviluppo locale;
   a chiedere con forza il coordinamento europeo di tutte le politiche di gestione dell'emergenza immigrazione, che renda possibile la piena condivisione delle responsabilità e delle linee di intervento tra tutti i Paesi membri dell'Unione europea;
   a potenziare la propria azione di stimolo delle istituzioni internazionali verso nuove politiche di sostegno della crescita economica endogena, di pacificazione politica e sociale, di sviluppo della risposta sanitaria, che possano agire direttamente sui fattori di «spinta» e di «attrazione» all'origine della migrazione internazionale dai Paesi africani sub-sahariani verso i Paesi dell'area Unione europea/Area economica europea (Eea);
   a verificare che le linee economiche di intervento a cui partecipa attivamente il nostro Paese abbiano un effettivo impatto sulla correzione dei fattori strutturali che sono alla base dell'emergenza immigrazione;
   a dedicare, nel quadro delle procedure di consultazione e di programmazione previste dalla legge 125/2014, particolare attenzione ai programmi di miglioramento delle condizioni dell'organizzazione sanitaria nei Paesi dell'Africa sub-sahariana, nella convinzione che i relativi indicatori rappresentino marker assai attendibili dello sviluppo economico, sociale e civile delle nazioni interessate in modo prevalente dai fenomeni migratori;
   ad avviare iniziative che valorizzino il know-how, le competenze e la tecnologia italiani per favorire rapporti di collaborazione, anche bilaterale, finalizzati al miglioramento degli standard di salute pubblica in quelle aeree, al fine di contrastare in loco le cicliche emergenze sanitarie;
   a sostenere le organizzazioni non governative e le organizzazioni internazionali che si pongono analoghi obiettivi di sviluppo dell'appropriatezza dei sistemi sanitari dei Paesi dell'Africa sub-sahariana;
   a favorire iniziative dell'Unione europea, con vincoli temporali chiari e obiettivi misurabili, rivolte a garantire l'autosufficienza sanitaria nei Paesi africani anche attraverso le seguenti azioni:
     a) realizzazione di un sistema di formazione, istruzione continua e addestramento a favore degli operatori sanitari dei Paesi in via di sviluppo, e di quelli sub-sahariani in particolare, che utilizzi le competenze specialistiche italiane e i canali di collaborazione offerti dalle istituzioni internazionali, basato sull'esperienza e sulle best practice;
     b) rafforzamento ed implementazione del coordinamento e del partenariato con le istituzioni e le autorità sanitarie locali, anche attraverso il potenziamento delle attività progettuali specifiche del Ministero della salute, del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale;
     c) consolidamento dei livelli di aiuto e di assistenza tecnico-finanziaria a favore dei Paesi impegnati nella progettazione e/o nella modernizzazione dei propri sistemi sanitari;
     d) progettazione e realizzazione di un sistema di accoglienza sanitaria e di screening sulle popolazioni di migranti che raggiungono il nostro Paese, che garantisca le migliori condizioni di sicurezza reciproca.
(1-01027)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Vargiu, Monchiero, Capua, Catalano, D'Agostino, Dambruoso, Librandi, Matarrese, Quintarelli, Vecchio».


   La Camera,
   premesso che:
    il continente africano è una delle sorgenti più importanti dei flussi migratori che, anche attraverso, l'Italia raggiungono l'Europa;
    alimenta la pressione migratoria africana sull'Europa soprattutto il forte divario demografico tra le due aree, posto che il continente europeo è una regione a demografia matura, con una popolazione di poco superiore al mezzo miliardo di abitanti, ma di età media superiore ai 40 anni, mentre l'Africa ospita più di un miliardo di persone, di età media pari all'incirca a 20 anni, in ulteriore aumento;
    in Africa cresce soprattutto la popolazione dei Paesi sub-sahariani, tra le quali spicca per dimensioni quella della Nigeria, già pari ad oltre 180 milioni, che potrebbero divenire 400 nel breve volgere di qualche decennio;
    tendono inoltre verso i cento milioni di abitanti l'Etiopia e l'Egitto;
    l'Africa è interessata da anni da un processo di sviluppo che ne ha sottratto alcune parti alla povertà. Hanno contribuito al successo di alcuni Paesi lo sfruttamento delle risorse energetiche – è il caso ad esempio dell'Angola – gli interventi di liberalizzazione economica fatti nella cornice del Nepad – la New Partnership for Africa's Development, corpo tecnico dell'Unione Africana – e gli investimenti fatti da Stati terzi nelle infrastrutture, che hanno permesso di portare verso il mare ed i mercati mondiali le materie prime di cui il continente è ricco;
    la crescita economica dell'Africa, tuttavia, interagisce in modo ambiguo con i flussi migratori, dal momento che permette ora di finanziare l'espatrio di un'ingente quantità di persone che in precedenza non disponevano dei mezzi per raggiungere le sponde del Mediterraneo, né tanto meno quelli necessari ad attraversarlo;
    lasciano, ad esempio, in gran numero il loro Paese etiopi, nigeriani e senegalesi, provenienti da Paesi che hanno fatto registrare nel 2014 tassi di sviluppo reale molto elevati, rispettivamente pari al 10, al 6,3 ed al 4,6 per cento;
    una complicazione ulteriore è rappresentata dal fatto che non sempre sono al potere in Africa regimi che promuovono un'equa distribuzione delle risorse e dei redditi tra gli abitanti, circostanza che traduce lo sviluppo in atto in maggiori diseguaglianze ed insoddisfazione, ciò che costituisce incentivo ad emigrare;
    l'Europa non è obiettivamente in grado di accogliere tutte le persone che vi si vogliono installare senza subire una drastica trasformazione sociale e culturale della propria popolazione, cui è naturale che fasce crescenti di abitanti si oppongano;
    tra dimensione e velocità dei flussi migratori, da un lato, ed innesco di reazioni xenofobe di rigetto, dall'altro, esiste, infatti, una relazione diretta, cosa che fa della limitazione dell'immigrazione la più efficace politica di prevenzione dell'intolleranza;
    la necessità di contenere l'immigrazione dall'Africa è stata riconosciuta nel documento conclusivo del recente Consiglio europeo del 15 ottobre 2015;
    l'Africa è interessata, altresì, da conflitti che si spiegano solo in parte con la povertà e la diseguaglianza, contribuendovi decisivamente fattori di natura più strettamente politica, come la ristrutturazione degli assetti di potere a vantaggio di gruppi, etnie e clan spesso in precedenza mantenuti al margine dei Paesi di appartenenza;
    il più sanguinoso conflitto combattuto in Africa negli ultimi decenni è in effetti quello che negli anni Novanta del secolo scorso ha portato al potere i tutsi nello spazio compreso tra Uganda e Burundi, sullo sfondo di una più ampia competizione tra potenze esterne;
    l'Africa è, infatti, ancora anche un terreno di competizione tra le grandi potenze, con una forte presenza cinese, giapponese, indiana, iraniana, israeliana e turca, oltre quelle storiche di europei ed americani;
    hanno contribuito all'innesco di guerre sanguinose anche le tensioni alimentate in alcuni Paesi dal tentativo di imporre l'Islam a popolazioni di confessione diversa, com’è accaduto in Sudan, determinando un conflitto sfociato nell'indipendenza del Sud Sudan, e sta succedendo nella Nigeria settentrionale, con Boko Haram;
    il sostegno allo sviluppo, pur indispensabile nei confronti di un continente comparativamente ancora povero, potrebbe quindi non bastare ad attenuare la spinta migratoria, dal momento che questa risente anche degli effetti delle ineguaglianze interne, di una demografia vivace e dei conflitti che lo lacerano,

impegna il Governo:

   a definire una propria strategia nazionale nei confronti dell'Africa, con l'obiettivo di cogliere le opportunità dischiuse dal suo sviluppo, contribuire al consolidamento di quest'ultimo, stabilizzare il continente e contenerne le spinte migratorie dirette verso l'Europa;
   in questo quadro, a continuare a sostenere lo sviluppo dell'Africa, sia sul piano bilaterale che attraverso gli ambiti multilaterali di cui il nostro Paese è parte;
   a concentrare gli aiuti pubblici allo sviluppo da parte del nostro Paese nelle aree da cui proviene la parte più rilevante dei migranti clandestini africani che raggiunge la nostra penisola;
   a proseguire sulla strada del dialogo con i Paesi africani e le loro organizzazioni multilaterali, come raccomandato anche nelle conclusioni del recente Consiglio europeo del 15 ottobre 2015;
   a vincolare la concessione di eventuali aiuti pubblici allo sviluppo all'accettazione di alcuni impegni da parte dei Paesi beneficiari, in particolare sotto forma di disponibilità alla riammissione dei migranti clandestini destinatari di provvedimenti di espulsione e, più in generale, alla cooperazione con l'Europa nella gestione dei flussi migratori;
   a condizionare la concessione di aiuti pubblici allo sviluppo anche alla pratica di efficaci politiche redistributive interne;
   ad escludere dalla concessione di aiuti pubblici allo sviluppo i Paesi i cui Governi siano impegnati nella conduzione di politiche tese ad imporre l'islamizzazione forzata di gruppi o regioni di confessione differente;
   a promuovere in Africa in generale ed in particolare nell'Africa sub-sahariana la tutela dei diritti delle donne, in vista della loro emancipazione, anche in quanto fattore che può contribuire decisivamente al rallentamento della demografia africana;
   ad adoperarsi affinché le linee guida della strategia nazionale per l'Africa vengano condivise in ambito europeo.
(1-01028) «Guidesi, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Africa è il secondo continente più popoloso della Terra, dopo l'Asia con circa 1,1 miliardi di persone (dati del 2013). La popolazione africana sta crescendo più velocemente di quella asiatica e si pensa che entro il 2050, salvo catastrofi prevedibili o imprevedibili, l'Africa avrà circa 2,4 miliardi di abitanti;
    il continente africano è composto da 54 Stati e non tutti i suoi Paesi sono tutti poveri. Soprattutto è la questione della distribuzione della ricchezza che crea problemi ma anche i prodotti interni lordi nazionali e, quindi, la ricchezza complessiva, sono aumentati notevolmente, ma il numero degli africani che vivono in condizioni di estrema povertà è aumentato, a causa, appunto, del rapido aumento demografico;
   analizzando le stime di crescita della popolazione mondiale emerge che nello stesso periodo l'Europa passerà dai 740 milioni a 726 milioni di abitanti;
    secondo i dati dell'Istituto nazionale di statistica nel nostro Paese la popolazione residente è arrivata sostanzialmente alla crescita zero e questo avviene nonostante il saldo migratorio sia positivo dal 1991;
    l'effetto di questo deficit demografico avrà effetti pesanti sulla crescita economica italiana nei prossimi anni, tenuto in considerazione il progressivo invecchiamento della popolazione e il problema della concentrazione della ricchezza tra la stessa che può essere riassunta con una banale formula: i ricchi sono sempre di meno e più ricchi, i poveri sono sempre di più e più poveri;
   con gli attuali tassi di crescita, al netto dell'attuale saldo migratorio, secondo stime dell'Istat, la popolazione italiana avrebbe 12 milioni in meno di residenti nel 2050;
   l'evoluzione demografica ed i fabbisogni ad essa correlati (energetico, alimentare, materie prime, istruzione ed altro) stanno profondamente mutando lo scenario globale per come lo si conosceva. Da cinquanta anni a questa parte, i flussi migratori vivono una crescita senza precedenti: il numero di migranti nel mondo è passato da 75 milioni nel 1965, a più di 200 milioni a oggi;
    ciò significa che quello che i governi e l'Unione europea considerano come una «emergenza temporanea» (cosiddetta «crisi dei migranti») è in realtà la più imponente domanda di mobilità che il mondo si sia trovato ad affrontare, per l'appunto, dovuta alle profonde mutazioni di cui sopra;
    secondo gli ultimi dati prodotti dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, da gennaio a settembre 2015 sono arrivati via mare 132 mila persone e l'89 per cento di questa, sempre secondo la stessa fonte, sono partite dalle coste libiche (l'8 per cento dall'Egitto, il 2 per cento dalla Turchia e l'1 per cento dalla Grecia);di queste 132 mila persone: 35.984 provengono dall'Eritrea; 17.886 dalla Nigeria; 10.050 dalla Somalia; 8.370 dal Sudan; 7.072 dalla Siria; 6.315 dal Gambia; 5.037 dal Bangladesh; 4.749 dal Mali; 4.680 dal Senegal e 32.514 da altri Paesi;
    nei primi 9 mesi del 2015 quasi 3 mila persone hanno perso la vita o sono disperse nel Mar Mediterraneo nel tentativo di raggiungere l'Europa. Tra coloro che sono riusciti a raggiungere le coste italiane, 38.700 persone hanno presentato domanda di asilo. Applicando gli standard attuali europei, si può stimare che circa il 59 per cento delle 132 mila persone arrivate beneficierebbe del riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria o della protezione umanitaria;
    questi dati sono similari ai dati di arrivo nel 2014 anche per via del massiccio arrivo di persone attraverso la rotta balcanica; tuttavia guardando ai dati sulle richieste di asilo non tutte le persone che arrivano via mare in Italia presentano richiesta di protezione e precisamente eritrei, somali, sudanesi e siriani preferiscono richiedere asilo in altri Paesi europei. I principali Paesi di origine dei richiedenti asilo in Italia nel 2015 sono: Nigeria (18 per cento), Gambia (12 per cento), Senegal (9 per cento), Pakistan (9 per cento), Mali (8 per cento) e Ucraina (7 per cento);
    la cosiddetta «crisi dei migranti» è stata fino ad ora affrontata esclusivamente in termini di chiusura adottando misure che hanno alimentato la «clandestinità» delle persone, o in termini securitari rinforzando le frontiere, aumentando i controlli e erigendo muri o focalizzando l'attenzione sul «traffico di migranti», organizzando una missione militare nel Mar Mediterraneo (Eunavfor Med), quindi dialogando e stringendo accordi con le dittature di Africa e Medio Oriente nella speranza di porre un argine al flusso migratorio;
    con il Processo di Khartoum, accordo siglato il 28 novembre 2014 a Roma, si è tenuta una conferenza ministeriale tra i rappresentanti degli Stati membri dell'Unione europea, dei Paesi del Corno d'Africa (Eritrea, Somalia, Etiopia e Gibuti) e di alcuni Paesi di transito (Sud Sudan, Sudan, Tunisia, Kenya ed Egitto) con l'obiettivo di promuovere: «lo sviluppo sostenibile nei Paesi d'origine e di transito, creare strategie comuni di lotta alle reti criminali, regolare i flussi migratori e là dove è possibile prevenirli»;
    nel Processo di Khartoum è previsto che l'Eritrea riceva 300 milioni di euro dalla Commissione europea, più «spiccioli» direttamente dal nostro Governo, per progetti di sviluppo per ora non meglio identificati. Già nel 2007 la Commissione aveva stanziato 122 milioni di euro di aiuti, con l'obiettivo di stabilizzare la regione, che un'Eritrea isolata (auto-isolatesi per la verità) contribuiva gradualmente a destabilizzare (allora si parlava di supporto agli Al Shabaab somali e di mestamenti nel processo di pace nel Darfur);
    la Commissione europea dovrebbe rendere pubblico il modo in cui quegli stanziamenti sono stati utilizzati. Certo non hanno contribuito a stabilizzare la regione, che è invece, diventata ancora più instabile, e nemmeno a mettere in atto processi di sviluppo, democratizzazione e di inclusione sociale, i soli che potrebbero fermare i flussi migratori;
    è opinione comune nell’establishment europeo che l'immigrazione non possa più essere trattata pensando solo alle frontiere europee ma che ci sia bisogno di una collaborazione con i Paesi di transito e di origine attraverso accordi che portino a scambi d'informazione, a sviluppo di capacity building, assistenza tecnica e buone pratiche;
    non è chiaro infatti cosa s'intenda per sviluppare le capacity building di questi Paesi. Le competenze che si intende trasferire possono riguardare sia politiche di repressione che di sviluppo. Si può ipotizzare che portino alla creazione di blocchi di filo spinato in determinati punti chiave del territorio, alla creazione di nuovi muri e centri di detenzione, come all'addestramento della polizia di frontiera al contrasto della migrazione. Altro discorso sarebbe invece se venissero incrementate e rafforzate le politiche sociali;
    dando fondi ai regimi si rischia di ripetere l'errore fatto con la Libia di Muammar Gheddafi dove grazie agli accordi del Governo Berlusconi con Gheddafi, il risultato fu quello di favorire la tratta, permettendone una migliore organizzazione grazie alle risorse estorte ai migranti stessi per uscire vivi dai diversi centri di detenzione, spacciati per campi di accoglienza dove venivano «scaricati» dal regime dello stesso Gheddafi;
    si parla qui di migranti che scappano da Somalia, Eritrea, Darfur/Sudan, Etiopia e dunque da situazioni di conflitto decennali, da violazioni di diritti umani documentati in innumerevoli rapporti di organizzazioni della società civile – Amnesty International e Human Rights Watch, per citare le due più conosciute – e delle organizzazioni internazionali, quali il Consiglio per i diritti umani dell'Onu, che ha sede a Ginevra;
    è forte la preoccupazione, come del resto avvenuto in passato, che i fondi della cooperazione derivanti dai trattati, anziché destinati alla creazione di posti di lavoro e per favorire prospettive di sviluppo e crescita, finiscano per favorire l'esternalizzazione delle frontiere nel deserto, sempre più a sud con la costruzione di campi di raccolta dei migranti, di fatto centri di detenzione dove sono violati i più elementari diritti dell'uomo: purtroppo questo è quanto si vuole fare, ad esempio, in Niger con l'apertura di un centro di raccolta e detenzione;
    altrettanto preoccupanti appaiono le relazioni economiche tra i regimi del Corno d'Africa (Eritrea su tutte) e l'Europa, Italia compresa;
    tra le altre misure intraprese e che riguardano principalmente i Paesi africani con cui si è avviato il dialogo, preoccupa il progetto europeo per un piano di rimpatri di persone che non riuscirebbero ad ottenere lo status di rifugiato, ossia i cosiddetti «rifugiati economici» e la proposta collaterale di istituire una lista vincolante di «Paesi terzi sicuri», cioè sicuri in origine e transito, in cui dunque i richiedenti asilo possono essere rinviati ignorando i gravi ostacoli all'accesso alla procedura d'asilo che troveranno in quel Paese;
    non è possibile accettare distinzione tra migranti economici e rifugiati. Ogni migrante andrebbe valutato per la sua storia, come prevede la Convenzione di Ginevra e la Costituzione;
    preoccupano a questo riguardo anche le affermazioni del Ministro dell'interno Alfano a margine della riunione dei Ministri degli interni in Lussemburgo dell'8 ottobre 2015: «Bisogna essere molto chiari su un punto con i Paesi africani: se non ci aiutate non vi diamo i soldi della cooperazione internazionale». Di quali Paesi si sta parlando: forse dell'Eritrea, del Sudan, della Somalia, del Niger. Gli stessi saranno considerati Paesi «sicuri», quindi ecco l'epilogo del Processo di Khartoum;
    quanto agli accordi commerciali o di cooperazione con Paesi terzi dal nord Africa ai confini con l'Asia e alla creazione di liste di profughi di «serie A» e «serie B», l'Europa dovrebbe stipulare accordi umanitari per la creazione di percorsi garantiti verso il continente stesso, e non barattare risorse economiche comunitarie in cambio di un servizio poliziesco di controllo delle frontiere e quindi mettere al centro l'uomo, la sua dignità e il suo rispetto,

impegna il Governo

   ad intervenire nelle aree di crisi per trovare soluzioni di pace, senza alimentare ulteriori guerre, o sostenere nuovi e vecchi dittatori, promuovendo concretamente i processi di composizione dei conflitti e le transizioni democratiche, la difesa civile e non armata, le azioni non violente, i corpi civili di pace, il dialogo tra le diverse comunità;
   a sospendere immediatamente gli accordi – come i processi di Rabat e di Khartoum – con Governi che non rispettano i diritti umani e le libertà, bloccando subito le forniture di armamenti;
   a programmare interventi di cooperazione allo sviluppo locale sostenibile nelle zone più povere, dove lo spopolamento e la migrazione sono endemici, e ad assumere iniziative per non consentire alle multinazionali di usare per interessi privati i programmi europei di aiuto allo sviluppo;
   a sostenere un grande piano di investimenti pubblici diretti dell'Unione europea per l'economia di pace, per il lavoro dignitoso e per la riconversione ecologica del continente africano;
   a prevedere nel prossimo disegno di legge di stabilità almeno un raddoppio degli stanziamenti dei fondi destinati alla cooperazione allo sviluppo nel segno di quanto stabilito dalle Nazioni Unite negli obiettivi di contrasto alla povertà, tenuto conto che l'Italia si colloca oggi all'ultimo posto tra i grandi Paesi dell'Unione europea nella quota di prodotto interno lordo destinata all'aiuto pubblico allo sviluppo;
   a scegliere come area di intervento prioritaria a cui destinare la quota più rilevante dei fondi di aiuto pubblico allo sviluppo i Paesi dell'Africa da cui proviene la quota più rilevante di richiedenti asilo e immigrati, con particolare riferimento all'Africa orientale, ai Paesi del Maghreb e del Sahel, vincolando gli aiuti al rispetto dei diritti umani o comunque non elargendo alcun finanziamento diretto ai governi responsabili di violazioni dei diritti umani o che non rispettano gli standard democratici riconosciuti a livello internazionale;
   a sostenere, in ogni sede europea e nei consessi internazionali, la rinegoziazione dei debiti pubblici e l'annullamento dei debiti pubblici non esigibili o prodotti da accordi e gestioni clientelari o di corruzione.
(1-01030) (Nuova formulazione).  «Palazzotto, Scotto, Marcon, Melilla, Kronbichler, Fratoianni, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Paglia, Piras, Placido, Pellegrino, Zaratti, Pannarale, Nicchi, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaccagnini».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Africa è il secondo continente più popoloso della Terra, dopo l'Asia con circa 1,1 miliardi di persone (dati del 2013). La popolazione africana sta crescendo più velocemente di quella asiatica e si pensa che entro il 2050, salvo catastrofi prevedibili o imprevedibili, l'Africa avrà circa 2,4 miliardi di abitanti;
    il continente africano è composto da 54 Stati e non tutti i suoi Paesi sono tutti poveri. Soprattutto è la questione della distribuzione della ricchezza che crea problemi ma anche i prodotti interni lordi nazionali e, quindi, la ricchezza complessiva, sono aumentati notevolmente, ma il numero degli africani che vivono in condizioni di estrema povertà è aumentato, a causa, appunto, del rapido aumento demografico;
   analizzando le stime di crescita della popolazione mondiale emerge che nello stesso periodo l'Europa passerà dai 740 milioni a 726 milioni di abitanti;
    secondo i dati dell'Istituto nazionale di statistica nel nostro Paese la popolazione residente è arrivata sostanzialmente alla crescita zero e questo avviene nonostante il saldo migratorio sia positivo dal 1991;
    l'effetto di questo deficit demografico avrà effetti pesanti sulla crescita economica italiana nei prossimi anni, tenuto in considerazione il progressivo invecchiamento della popolazione e il problema della concentrazione della ricchezza tra la stessa che può essere riassunta con una banale formula: i ricchi sono sempre di meno e più ricchi, i poveri sono sempre di più e più poveri;
   con gli attuali tassi di crescita, al netto dell'attuale saldo migratorio, secondo stime dell'Istat, la popolazione italiana avrebbe 12 milioni in meno di residenti nel 2050;
   l'evoluzione demografica ed i fabbisogni ad essa correlati (energetico, alimentare, materie prime, istruzione ed altro) stanno profondamente mutando lo scenario globale per come lo si conosceva. Da cinquanta anni a questa parte, i flussi migratori vivono una crescita senza precedenti: il numero di migranti nel mondo è passato da 75 milioni nel 1965, a più di 200 milioni a oggi;
    ciò significa che quello che i governi e l'Unione europea considerano come una «emergenza temporanea» (cosiddetta «crisi dei migranti») è in realtà la più imponente domanda di mobilità che il mondo si sia trovato ad affrontare, per l'appunto, dovuta alle profonde mutazioni di cui sopra;
    secondo gli ultimi dati prodotti dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, da gennaio a settembre 2015 sono arrivati via mare 132 mila persone e l'89 per cento di questa, sempre secondo la stessa fonte, sono partite dalle coste libiche (l'8 per cento dall'Egitto, il 2 per cento dalla Turchia e l'1 per cento dalla Grecia);di queste 132 mila persone: 35.984 provengono dall'Eritrea; 17.886 dalla Nigeria; 10.050 dalla Somalia; 8.370 dal Sudan; 7.072 dalla Siria; 6.315 dal Gambia; 5.037 dal Bangladesh; 4.749 dal Mali; 4.680 dal Senegal e 32.514 da altri Paesi;
    nei primi 9 mesi del 2015 quasi 3 mila persone hanno perso la vita o sono disperse nel Mar Mediterraneo nel tentativo di raggiungere l'Europa. Tra coloro che sono riusciti a raggiungere le coste italiane, 38.700 persone hanno presentato domanda di asilo. Applicando gli standard attuali europei, si può stimare che circa il 59 per cento delle 132 mila persone arrivate beneficierebbe del riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria o della protezione umanitaria;
    questi dati sono similari ai dati di arrivo nel 2014 anche per via del massiccio arrivo di persone attraverso la rotta balcanica; tuttavia guardando ai dati sulle richieste di asilo non tutte le persone che arrivano via mare in Italia presentano richiesta di protezione e precisamente eritrei, somali, sudanesi e siriani preferiscono richiedere asilo in altri Paesi europei. I principali Paesi di origine dei richiedenti asilo in Italia nel 2015 sono: Nigeria (18 per cento), Gambia (12 per cento), Senegal (9 per cento), Pakistan (9 per cento), Mali (8 per cento) e Ucraina (7 per cento);
    la cosiddetta «crisi dei migranti» è stata fino ad ora affrontata esclusivamente in termini di chiusura adottando misure che hanno alimentato la «clandestinità» delle persone, o in termini securitari rinforzando le frontiere, aumentando i controlli e erigendo muri o focalizzando l'attenzione sul «traffico di migranti», organizzando una missione militare nel Mar Mediterraneo (Eunavfor Med), quindi dialogando e stringendo accordi con le dittature di Africa e Medio Oriente nella speranza di porre un argine al flusso migratorio;
    con il Processo di Khartoum, accordo siglato il 28 novembre 2014 a Roma, si è tenuta una conferenza ministeriale tra i rappresentanti degli Stati membri dell'Unione europea, dei Paesi del Corno d'Africa (Eritrea, Somalia, Etiopia e Gibuti) e di alcuni Paesi di transito (Sud Sudan, Sudan, Tunisia, Kenya ed Egitto) con l'obiettivo di promuovere: «lo sviluppo sostenibile nei Paesi d'origine e di transito, creare strategie comuni di lotta alle reti criminali, regolare i flussi migratori e là dove è possibile prevenirli»;
    nel Processo di Khartoum è previsto che l'Eritrea riceva 300 milioni di euro dalla Commissione europea, più «spiccioli» direttamente dal nostro Governo, per progetti di sviluppo per ora non meglio identificati. Già nel 2007 la Commissione aveva stanziato 122 milioni di euro di aiuti, con l'obiettivo di stabilizzare la regione, che un'Eritrea isolata (auto-isolatesi per la verità) contribuiva gradualmente a destabilizzare (allora si parlava di supporto agli Al Shabaab somali e di mestamenti nel processo di pace nel Darfur);
    la Commissione europea dovrebbe rendere pubblico il modo in cui quegli stanziamenti sono stati utilizzati. Certo non hanno contribuito a stabilizzare la regione, che è invece, diventata ancora più instabile, e nemmeno a mettere in atto processi di sviluppo, democratizzazione e di inclusione sociale, i soli che potrebbero fermare i flussi migratori;
    è opinione comune nell’establishment europeo che l'immigrazione non possa più essere trattata pensando solo alle frontiere europee ma che ci sia bisogno di una collaborazione con i Paesi di transito e di origine attraverso accordi che portino a scambi d'informazione, a sviluppo di capacity building, assistenza tecnica e buone pratiche;
    non è chiaro infatti cosa s'intenda per sviluppare le capacity building di questi Paesi. Le competenze che si intende trasferire possono riguardare sia politiche di repressione che di sviluppo. Si può ipotizzare che portino alla creazione di blocchi di filo spinato in determinati punti chiave del territorio, alla creazione di nuovi muri e centri di detenzione, come all'addestramento della polizia di frontiera al contrasto della migrazione. Altro discorso sarebbe invece se venissero incrementate e rafforzate le politiche sociali;
    dando fondi ai regimi si rischia di ripetere l'errore fatto con la Libia di Muammar Gheddafi dove grazie agli accordi del Governo Berlusconi con Gheddafi, il risultato fu quello di favorire la tratta, permettendone una migliore organizzazione grazie alle risorse estorte ai migranti stessi per uscire vivi dai diversi centri di detenzione, spacciati per campi di accoglienza dove venivano «scaricati» dal regime dello stesso Gheddafi;
    si parla qui di migranti che scappano da Somalia, Eritrea, Darfur/Sudan, Etiopia e dunque da situazioni di conflitto decennali, da violazioni di diritti umani documentati in innumerevoli rapporti di organizzazioni della società civile – Amnesty International e Human Rights Watch, per citare le due più conosciute – e delle organizzazioni internazionali, quali il Consiglio per i diritti umani dell'Onu, che ha sede a Ginevra;
    è forte la preoccupazione, come del resto avvenuto in passato, che i fondi della cooperazione derivanti dai trattati, anziché destinati alla creazione di posti di lavoro e per favorire prospettive di sviluppo e crescita, finiscano per favorire l'esternalizzazione delle frontiere nel deserto, sempre più a sud con la costruzione di campi di raccolta dei migranti, di fatto centri di detenzione dove sono violati i più elementari diritti dell'uomo: purtroppo questo è quanto si vuole fare, ad esempio, in Niger con l'apertura di un centro di raccolta e detenzione;
    altrettanto preoccupanti appaiono le relazioni economiche tra i regimi del Corno d'Africa (Eritrea su tutte) e l'Europa, Italia compresa;
    tra le altre misure intraprese e che riguardano principalmente i Paesi africani con cui si è avviato il dialogo, preoccupa il progetto europeo per un piano di rimpatri di persone che non riuscirebbero ad ottenere lo status di rifugiato, ossia i cosiddetti «rifugiati economici» e la proposta collaterale di istituire una lista vincolante di «Paesi terzi sicuri», cioè sicuri in origine e transito, in cui dunque i richiedenti asilo possono essere rinviati ignorando i gravi ostacoli all'accesso alla procedura d'asilo che troveranno in quel Paese;
    non è possibile accettare distinzione tra migranti economici e rifugiati. Ogni migrante andrebbe valutato per la sua storia, come prevede la Convenzione di Ginevra e la Costituzione;
    preoccupano a questo riguardo anche le affermazioni del Ministro dell'interno Alfano a margine della riunione dei Ministri degli interni in Lussemburgo dell'8 ottobre 2015: «Bisogna essere molto chiari su un punto con i Paesi africani: se non ci aiutate non vi diamo i soldi della cooperazione internazionale». Di quali Paesi si sta parlando: forse dell'Eritrea, del Sudan, della Somalia, del Niger. Gli stessi saranno considerati Paesi «sicuri», quindi ecco l'epilogo del Processo di Khartoum;
    quanto agli accordi commerciali o di cooperazione con Paesi terzi dal nord Africa ai confini con l'Asia e alla creazione di liste di profughi di «serie A» e «serie B», l'Europa dovrebbe stipulare accordi umanitari per la creazione di percorsi garantiti verso il continente stesso, e non barattare risorse economiche comunitarie in cambio di un servizio poliziesco di controllo delle frontiere e quindi mettere al centro l'uomo, la sua dignità e il suo rispetto,

impegna il Governo

a sostenere un grande piano di investimenti pubblici diretti dell'Unione europea per l'economia di pace, per il lavoro dignitoso e per la riconversione ecologica del continente africano.
(1-01030) (Nuova formulazione – Testo risultante dalla votazione per parti separate).  «Palazzotto, Scotto, Marcon, Melilla, Kronbichler, Fratoianni, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Paglia, Piras, Placido, Pellegrino, Zaratti, Pannarale, Nicchi, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaccagnini».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo il Fragile State index, che registra la stabilità di 178 Paesi rappresentati all'Assemblea generale dell'Onu, gli indicatori considerati per classificare un Paese come fragile sono dodici:
     a) la pressione demografica (squilibrio tra risorse vitali disponibili e densità di popolazione, malattie, degrado ambientale, inquinamento, mortalità);
     b) i rifugiati e sfollati (spostamenti di popolazione, pulizie etniche, sradicamenti forzati da conflitti armati, campi per rifugiati e sfollati);
     c) lamentele di gruppo (per torti o soprusi subiti, tensioni etniche, violenze o sopraffazioni religiose);
     d) esodo umano (fuga di professionisti, intellettuali e dissidenti politici);
     e) sviluppo economico disuguale (élite ricche accanto a masse povere e poverissime, disparità tra città e campagna, accesso ai servizi pubblici e loro diffusione);
     f) declino economico (deficit, disoccupazione, reddito pro capite, inflazione ed altro;
     g) Stato di diritto (legittimità dello Stato, livello di corruzione, efficacia del Governo, partecipazione politica, processi elettorali, livello di democrazia, livello di criminalità, narcotraffico, traffico di armi, proteste e dimostrazioni, conflitti di potere);
     h) servizi pubblici (educazione e alfabetismo, accesso all'acqua e ai servizi sanitari, elettrificazione, telefonia, internet, rete viaria e ferroviaria);
     i) diritti umani (libertà di stampa, libertà civili e politiche, traffico di persone e organi, prigionieri politici, persecuzioni religiose, torture, esecuzioni capitali);
     l) apparato di sicurezza (conflitti interni e disordini violenti, proliferazione di armi, colpi di Stato, attentati);
     m) élite faziose (scontri armati tra gruppi o etnie);
     n) interventi stranieri (interventi militari stranieri, forze di pace straniere, sanzioni internazionali);
    nella categoria «Stati in allarme», che comprende gli Stati più vulnerabili e fragili e redatta con una numerazione progressiva, dal peggiore in poi, che va da 1 a 38, sono presenti ben 26 Stati africani. Essi sono: Sud Sudan (1o), Somalia (2o), Repubblica centrafricana (3o), Sudan (4o), Repubblica democratica del Congo (5o), Tchad (6o), Guinea (10o), Nigeria (14o), Costa d'Avorio (15o), Zimbabwe (16o), Guinea-Bissau (17o), Burundi (18o), Niger (19o), Etiopia (20o), Kenya (21o), Liberia (22o), Uganda (23o), Eritrea (24o), Libia (25o), Mauritania (26o), Cameroun (28o), Mali (30o), Sierra Leone (31o), Congo Brazzaville (33o), Rwanda (37o), Egitto (38o). Nella categoria «Stati sotto vigilanza» sono inseriti gli Stati con una posizione medio-alta di vulnerabilità, compresa tra il 39o e il 99o posizionamento; in questa graduatoria sono presenti altri 27 Stati africani: Burkina-Faso (39o), Gibuti, Angola, Mozambico, Malawi, Togo, Swaziland, Gambia, Zambia, Guinea equatoriale, Madagascar, Comore, Senegal, Tanzania, Lesotho, Algeria, Benin, Tunisia, Marocco, Sao Tomé e Principe, Capo Verde, Ghana, Gabon, Namibia, Sudafrica, Botswana, Seicelle. Nella categoria «Stati in stabilità» risulta un solo Paese africano, l'isola di Maurizio, mentre non risulta nessun Paese africano nella categoria «Stati in sostenibilità», categoria alla quale appartiene l'Italia. Pertanto, tutti i Paesi africani, esclusa solo la piccola isola citata, si trovano nella parte fortemente o sostanzialmente negativa della graduatoria. Un intero continente, da decenni, povero e impoverito. Non può, dunque, stupire il fenomeno migratorio di massa cui si sta assistendo, in particolare dalla fine degli anni ’80 ad oggi;
    lo sfruttamento sistematico e continuativo delle risorse africane nei decenni del colonialismo, del post-colonialismo e del neocolonialismo, che continua tuttora, è concausa determinante dello status quo africano. Solo a titolo esemplificativo si ricorda l'ultimo rapporto dell'organizzazione non governativa britannica Global witness (2015: «Legname insanguinato»), il quale, fonti alla mano, riporta alcune gravissime interferenze e complicità straniere nel conflitto armato che ha causato morte e distruzione nella Repubblica centrafricana. Il documento spiega, grazie a testimonianze e documenti dettagliati, come alcune aziende belghe, francesi, tedesche, cinesi e libanesi, impegnate nel business del legname, abbiano finanziato le coalizioni belligeranti per siglare vantaggiosi contratti per la distruzione della foresta e l'acquisto del relativo legname. Il rapporto critica anche l'Unione europea (che formalmente importa 2/3 del legname centrafricano) per non aver sufficientemente vigilato, come richiesto peraltro dalle normative comunitarie contro il commercio di legname illegale. Fatti che si vanno ad aggiungere alle note situazioni di conflitti armati, guerre religiose, abusi di potere, corruzione, soprusi;
    non meno importante e cruciale la questione del debito estero e dei piani di aggiustamento strutturale imposti dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale ai Paesi indebitati. Nello scorso decennio, grazie al progetto Highly indebted poor Countries (Hipc), ad opera del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale, una trentina di Paesi a basso reddito dell'Africa sub-sahariana poterono ottenere una riduzione del debito (circa cento miliardi di dollari). A questo programma se ne aggiunse un altro, la cosiddetta Multilateral debt relief initiative (Mdri). Queste iniziative suscitarono grande euforia perché consentirono a molti Governi africani di riprendere fiato, accedendo a prestiti insperati. Nel 2007 il Ghana fu il primo Paese beneficiario ad affacciarsi sui mercati internazionali, emettendo obbligazioni pari a 750 milioni di dollari. Seguirono altri quattro destinatari del condono (Senegal, Nigeria, Zambia e Rwanda) ed in seguito altri ancora. Tuttavia, i fondi sono stati utilizzati, in parte, per sostenere attività imprenditoriali straniere in Africa e, in parte, per sostenere le oligarchie autoctone, secondo le tradizionali dinamiche della corruzione più sfrenata e corrosiva. Senza alcun controllo dunque, tali fondi non sono stati associati ad organici piani di sviluppo nazionali, ma più spesso rivolti all'azione predatoria di potentati internazionali, soprattutto sul versante commodity (materie prime e fonti energetiche). L'impossibilità di ripagare gli interessi sul debito sovrano (il cosiddetto «servizio sul debito») ha portato alcuni Paesi africani a svendere i propri asset strategici (acqua, elettricità, telefonia, petrolio, rame, diamanti ed altro) e ad applicare le richieste della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale relative alle concessioni per lo sfruttamento delle materie prime unitamente alle privatizzazioni (soprattutto il land grabbing, vale a dire l'accaparramento dei terreni da parte di aziende straniere);
    il quadro continentale è, dunque, fortemente negativo sia nella fase attuale, che in prospettiva futura, anche perché di questo passo gli africani non saranno più padroni dell'acqua che bevono, del terreno che coltivano o delle miniere che scavano: un impoverimento anche in termini occupazionali che innescherà sempre più massicci fenomeni migratori;
    da decenni il nostro Paese è in prima linea in Africa per il sostegno alle popolazioni locali, attraverso una fitta rete di volontari (per esempio, quelli degli organismi aderenti alla Focsiv-volontari nel mondo) e missionari (Istituti religiosi aventi missione, Fondazione Missio), che accompagnano le comunità locali nel realizzare attività con finalità sociali e nell'assumere più responsabilità e capacità per la gestione del servizio idrico, nel campo sanitario, agricolo, strutturale, educativo, imprenditoriale, come anche nel campo non meno urgente della pace e della pacifica convivenza: basti qui citare il risultato ottenuto dalla Comunità di Sant'Egidio per la pace in Mozambico;
    tali realtà si distinguono per un servizio formulato dal basso, ovvero originato nelle comunità locali interessate, le quali condividono con i volontari obiettivi e stile di implementazione delle azioni e per la realizzazione di progetti sostenibili, basati sull'utilizzo di risorse umane e materiali presenti nell'area di intervento e realizzati con l'adozione di tecnologie e metodiche facilmente replicabili dalle popolazioni coinvolte;
    il Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon ha lanciato i nuovi obiettivi dell'Agenda globale di sviluppo post 2015, in cui lo sviluppo economico locale risulta essere uno degli strumenti più efficaci per affrontare le nuove sfide globali e considerato che, come evidenziato dal recente Terzo forum mondiale sullo sviluppo economico locale di Torino, la cooperazione territoriale diviene il mezzo più innovativo ed efficace per assicurare una crescita sostenibile ed equilibrata dal punto di vista sociale, ambientale ed economico, come risposta incentrata sulle persone e basata sul territorio per affrontare le crescenti disuguaglianze, l'elevata disoccupazione e la crescente pressione sulle risorse naturali,

impegna il Governo:

   a considerare, nella propria strategia rivolta ai Paesi africani, anche l'ascolto e la condivisione delle informazioni, dei progetti, delle presenze sui territori e delle attività in generale svolte in Africa dai volontari e missionari italiani, attraverso la consultazione degli organismi ed enti che in maggior parte li rappresentano;
   ad assumere iniziative per incrementare, significativamente e rispetto agli anni precedenti, i fondi per la cooperazione internazionale allo sviluppo al fine di favorire, attraverso l'opera dei volontari delle organizzazioni non governative, una riduzione dell'immigrazione economica, operando nei Paesi di provenienza, creando condizioni di sicurezza alimentare e sanitaria, affermando uno sviluppo sostenibile soprattutto in quei Paesi dove crisi ambientali, sanitarie ed economiche contribuiscono all'acuirsi dei fenomeni di estremismo religioso e di tensioni politiche diffuse;
   a sollecitare le imprese italiane che operano nel continente africano ad una presenza che manifesti attenzione primaria alle persone, ai loro bisogni, al loro sviluppo locale;
   ad assumere iniziative per destinare una quota significativa delle nuove risorse a progetti di cooperazione decentrata e multilaterale, in cui le realtà locali definiscano azioni concrete in partenariato con associazioni, organizzazioni non governative, atenei, cooperative e imprese, in materia di politiche pubbliche locali che riguardano acqua, rifiuti, energia, trasporti, nonché politiche sociali e culturali dei Paesi africani;
   ad operare presso l'Unione europea, le organizzazioni sovranazionali e presso enti intergovernativi affinché si continui e si intensifichi l'impegno per collocare lo sviluppo economico locale come mezzo effettivo per implementare gli obiettivi globali per lo sviluppo sostenibile individuati dall'Agenda 2030.
(1-01038) «Sberna, Baradello, Dellai, Capelli, Caruso, Fauttilli, Gigli, Marazziti, Fitzgerald Nissoli, Piepoli, Santerini, Tabacci».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo il Fragile State index, che registra la stabilità di 178 Paesi rappresentati all'Assemblea generale dell'Onu, gli indicatori considerati per classificare un Paese come fragile sono dodici:
     a) la pressione demografica (squilibrio tra risorse vitali disponibili e densità di popolazione, malattie, degrado ambientale, inquinamento, mortalità);
     b) i rifugiati e sfollati (spostamenti di popolazione, pulizie etniche, sradicamenti forzati da conflitti armati, campi per rifugiati e sfollati);
     c) lamentele di gruppo (per torti o soprusi subiti, tensioni etniche, violenze o sopraffazioni religiose);
     d) esodo umano (fuga di professionisti, intellettuali e dissidenti politici);
     e) sviluppo economico disuguale (élite ricche accanto a masse povere e poverissime, disparità tra città e campagna, accesso ai servizi pubblici e loro diffusione);
     f) declino economico (deficit, disoccupazione, reddito pro capite, inflazione ed altro;
     g) Stato di diritto (legittimità dello Stato, livello di corruzione, efficacia del Governo, partecipazione politica, processi elettorali, livello di democrazia, livello di criminalità, narcotraffico, traffico di armi, proteste e dimostrazioni, conflitti di potere);
     h) servizi pubblici (educazione e alfabetismo, accesso all'acqua e ai servizi sanitari, elettrificazione, telefonia, internet, rete viaria e ferroviaria);
     i) diritti umani (libertà di stampa, libertà civili e politiche, traffico di persone e organi, prigionieri politici, persecuzioni religiose, torture, esecuzioni capitali);
     l) apparato di sicurezza (conflitti interni e disordini violenti, proliferazione di armi, colpi di Stato, attentati);
     m) élite faziose (scontri armati tra gruppi o etnie);
     n) interventi stranieri (interventi militari stranieri, forze di pace straniere, sanzioni internazionali);
    nella categoria «Stati in allarme», che comprende gli Stati più vulnerabili e fragili e redatta con una numerazione progressiva, dal peggiore in poi, che va da 1 a 38, sono presenti ben 26 Stati africani. Essi sono: Sud Sudan (1o), Somalia (2o), Repubblica centrafricana (3o), Sudan (4o), Repubblica democratica del Congo (5o), Tchad (6o), Guinea (10o), Nigeria (14o), Costa d'Avorio (15o), Zimbabwe (16o), Guinea-Bissau (17o), Burundi (18o), Niger (19o), Etiopia (20o), Kenya (21o), Liberia (22o), Uganda (23o), Eritrea (24o), Libia (25o), Mauritania (26o), Cameroun (28o), Mali (30o), Sierra Leone (31o), Congo Brazzaville (33o), Rwanda (37o), Egitto (38o). Nella categoria «Stati sotto vigilanza» sono inseriti gli Stati con una posizione medio-alta di vulnerabilità, compresa tra il 39o e il 99o posizionamento; in questa graduatoria sono presenti altri 27 Stati africani: Burkina-Faso (39o), Gibuti, Angola, Mozambico, Malawi, Togo, Swaziland, Gambia, Zambia, Guinea equatoriale, Madagascar, Comore, Senegal, Tanzania, Lesotho, Algeria, Benin, Tunisia, Marocco, Sao Tomé e Principe, Capo Verde, Ghana, Gabon, Namibia, Sudafrica, Botswana, Seicelle. Nella categoria «Stati in stabilità» risulta un solo Paese africano, l'isola di Maurizio, mentre non risulta nessun Paese africano nella categoria «Stati in sostenibilità», categoria alla quale appartiene l'Italia. Pertanto, tutti i Paesi africani, esclusa solo la piccola isola citata, si trovano nella parte fortemente o sostanzialmente negativa della graduatoria. Un intero continente, da decenni, povero e impoverito. Non può, dunque, stupire il fenomeno migratorio di massa cui si sta assistendo, in particolare dalla fine degli anni ’80 ad oggi;
    lo sfruttamento sistematico e continuativo delle risorse africane nei decenni del colonialismo, del post-colonialismo e del neocolonialismo, che continua tuttora, è concausa determinante dello status quo africano. Solo a titolo esemplificativo si ricorda l'ultimo rapporto dell'organizzazione non governativa britannica Global witness (2015: «Legname insanguinato»), il quale, fonti alla mano, riporta alcune gravissime interferenze e complicità straniere nel conflitto armato che ha causato morte e distruzione nella Repubblica centrafricana. Il documento spiega, grazie a testimonianze e documenti dettagliati, come alcune aziende belghe, francesi, tedesche, cinesi e libanesi, impegnate nel business del legname, abbiano finanziato le coalizioni belligeranti per siglare vantaggiosi contratti per la distruzione della foresta e l'acquisto del relativo legname. Il rapporto critica anche l'Unione europea (che formalmente importa 2/3 del legname centrafricano) per non aver sufficientemente vigilato, come richiesto peraltro dalle normative comunitarie contro il commercio di legname illegale. Fatti che si vanno ad aggiungere alle note situazioni di conflitti armati, guerre religiose, abusi di potere, corruzione, soprusi;
    non meno importante e cruciale la questione del debito estero e dei piani di aggiustamento strutturale imposti dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale ai Paesi indebitati. Nello scorso decennio, grazie al progetto Highly indebted poor Countries (Hipc), ad opera del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale, una trentina di Paesi a basso reddito dell'Africa sub-sahariana poterono ottenere una riduzione del debito (circa cento miliardi di dollari). A questo programma se ne aggiunse un altro, la cosiddetta Multilateral debt relief initiative (Mdri). Queste iniziative suscitarono grande euforia perché consentirono a molti Governi africani di riprendere fiato, accedendo a prestiti insperati. Nel 2007 il Ghana fu il primo Paese beneficiario ad affacciarsi sui mercati internazionali, emettendo obbligazioni pari a 750 milioni di dollari. Seguirono altri quattro destinatari del condono (Senegal, Nigeria, Zambia e Rwanda) ed in seguito altri ancora. Tuttavia, i fondi sono stati utilizzati, in parte, per sostenere attività imprenditoriali straniere in Africa e, in parte, per sostenere le oligarchie autoctone, secondo le tradizionali dinamiche della corruzione più sfrenata e corrosiva. Senza alcun controllo dunque, tali fondi non sono stati associati ad organici piani di sviluppo nazionali, ma più spesso rivolti all'azione predatoria di potentati internazionali, soprattutto sul versante commodity (materie prime e fonti energetiche). L'impossibilità di ripagare gli interessi sul debito sovrano (il cosiddetto «servizio sul debito») ha portato alcuni Paesi africani a svendere i propri asset strategici (acqua, elettricità, telefonia, petrolio, rame, diamanti ed altro) e ad applicare le richieste della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale relative alle concessioni per lo sfruttamento delle materie prime unitamente alle privatizzazioni (soprattutto il land grabbing, vale a dire l'accaparramento dei terreni da parte di aziende straniere);
    il quadro continentale è, dunque, fortemente negativo sia nella fase attuale, che in prospettiva futura, anche perché di questo passo gli africani non saranno più padroni dell'acqua che bevono, del terreno che coltivano o delle miniere che scavano: un impoverimento anche in termini occupazionali che innescherà sempre più massicci fenomeni migratori;
    da decenni il nostro Paese è in prima linea in Africa per il sostegno alle popolazioni locali, attraverso una fitta rete di volontari (per esempio, quelli degli organismi aderenti alla Focsiv-volontari nel mondo) e missionari (Istituti religiosi aventi missione, Fondazione Missio), che accompagnano le comunità locali nel realizzare attività con finalità sociali e nell'assumere più responsabilità e capacità per la gestione del servizio idrico, nel campo sanitario, agricolo, strutturale, educativo, imprenditoriale, come anche nel campo non meno urgente della pace e della pacifica convivenza: basti qui citare il risultato ottenuto dalla Comunità di Sant'Egidio per la pace in Mozambico;
    tali realtà si distinguono per un servizio formulato dal basso, ovvero originato nelle comunità locali interessate, le quali condividono con i volontari obiettivi e stile di implementazione delle azioni e per la realizzazione di progetti sostenibili, basati sull'utilizzo di risorse umane e materiali presenti nell'area di intervento e realizzati con l'adozione di tecnologie e metodiche facilmente replicabili dalle popolazioni coinvolte;
    il Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon ha lanciato i nuovi obiettivi dell'Agenda globale di sviluppo post 2015, in cui lo sviluppo economico locale risulta essere uno degli strumenti più efficaci per affrontare le nuove sfide globali e considerato che, come evidenziato dal recente Terzo forum mondiale sullo sviluppo economico locale di Torino, la cooperazione territoriale diviene il mezzo più innovativo ed efficace per assicurare una crescita sostenibile ed equilibrata dal punto di vista sociale, ambientale ed economico, come risposta incentrata sulle persone e basata sul territorio per affrontare le crescenti disuguaglianze, l'elevata disoccupazione e la crescente pressione sulle risorse naturali,

impegna il Governo:

   a considerare, nella propria strategia rivolta ai Paesi africani, anche l'ascolto e la condivisione delle informazioni, dei progetti, delle presenze sui territori e delle attività in generale svolte in Africa dai volontari e missionari italiani, attraverso la consultazione degli organismi ed enti che in maggior parte li rappresentano;
   ad assumere iniziative per incrementare, significativamente e rispetto agli anni precedenti, i fondi per la cooperazione internazionale allo sviluppo al fine di favorire, attraverso l'opera dei volontari delle organizzazioni non governative, una riduzione dell'immigrazione economica, operando nei Paesi di provenienza, creando condizioni di sicurezza alimentare e sanitaria, affermando uno sviluppo sostenibile soprattutto in quei Paesi dove crisi ambientali, sanitarie ed economiche contribuiscono all'acuirsi dei fenomeni di estremismo religioso e di tensioni politiche diffuse;
   a sollecitare le imprese italiane che operano nel continente africano ad una presenza che manifesti attenzione primaria alle persone, ai loro bisogni, al loro sviluppo locale;
   ad assumere iniziative per destinare una quota delle nuove risorse a progetti di cooperazione decentrata, in cui le realtà locali definiscano azioni concrete in partenariato con associazioni, organizzazioni non governative, atenei, cooperative e imprese, in materia di politiche pubbliche locali che riguardano acqua, rifiuti, energia, trasporti, nonché politiche sociali e culturali dei Paesi africani;
   ad operare presso l'Unione europea, le organizzazioni sovranazionali e presso enti intergovernativi affinché si continui e si intensifichi l'impegno per collocare lo sviluppo economico locale come mezzo effettivo per implementare gli obiettivi globali per lo sviluppo sostenibile individuati dall'Agenda 2030.
(1-01038)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Sberna, Baradello, Dellai, Capelli, Caruso, Fauttilli, Gigli, Marazziti, Fitzgerald Nissoli, Piepoli, Santerini, Tabacci».


   La Camera,
   premesso che:
    l'aggravarsi dei conflitti nell'area mediterranea e mediorientale, il gonfiarsi delle ondate di migranti in cerca di protezione e asilo, e il crescente numero di morti per migrazione, stanno spingendo finalmente l'Unione europea, insieme agli Stati membri, ad adottare una serie di misure volte a rispondere alle sfide sollevate dai flussi migratori, cercando di affrontare la questione con maggiore realismo e determinazione;
    è ora più che mai necessario intensificare gli sforzi per garantire una risposta sufficiente e adeguarla all'attuale crisi in materia di migrazione e rifugiati, e definire una politica migratoria europea credibile. Siamo infatti di fronte ad una svolta epocale, in cui assistiamo a vere e proprie migrazioni di popoli;
    la risposta alle pressioni migratorie che caratterizzano in particolare il Mediterraneo, passa innanzitutto attraverso la protezione di coloro che ne hanno bisogno, anche per evitare ulteriori perdite di vite umane in mare. Ma è fondamentale, allo stesso tempo, affrontare con sistematicità le cause profonde della migrazione, chiave di volta per offrire soluzioni ad una questione che oramai da troppo tempo non si muove più sulla linea dell'emergenza, ma che ha carattere strutturale;
    da questo punto di vista, le azioni definite dall'Unione europea, non sono state affatto sufficienti: l'attenzione si è concentrata piuttosto sul rafforzamento della presenza in mare, la lotta ai trafficanti e sul potenziamento della solidarietà e della responsabilità interne dei singoli Stati, mentre praticamente nulla è stato fatto per la creazione di canali di migrazione legale;
    nonostante nel recente dibattito sulla questione si parli sempre più spesso della necessità di una politica finalizzata al miglioramento delle condizioni di vita nei Paesi «di provenienza», ovvero quelli da cui hanno origine i flussi, cambiando totalmente l'approccio al tema migratorio, anche su questo fronte gli sforzi risultano inadeguati;
    Papa Francesco, nel suo messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che la Chiesa celebrerà il 17 gennaio 2016, ha parlato di «diritto a non emigrare per contribuire allo sviluppo del Paese d'origine», evidenziando l'opportunità di un processo che «dovrebbe includere, nel suo primo livello, la necessità di aiutare i Paesi da cui partono migranti e profughi», confermando che «la solidarietà, la cooperazione, l'interdipendenza internazionale e l'equa distribuzione dei beni della terra sono elementi fondamentali per operare in profondità e con incisività soprattutto nelle aree di partenza dei flussi migratori, affinché cessino quegli scompensi che inducono le persone, in forma individuale o collettiva, ad abbandonare il proprio ambiente naturale e culturale»;
    lo sviluppo, sostenne Amartya Sen, premio Nobel 1998 per l'economia, deve essere inteso come un processo di espansione delle libertà reali di cui godono di esseri umani, nella sfera privata come in quella sociale e politica;
    la libertà, quindi, implica sviluppo: la libertà è condizione determinante per la prosperità, mentre la guerra impoverisce e crea miseria. Di conseguenza, la sfida dello sviluppo consiste nell'eliminare i vari tipi di «illibertà», fra cui la fame e la miseria, la tirannia, l'intolleranza e la repressione, l'analfabetismo, la mancanza di assistenza sanitaria e di tutela ambientale, la libertà di espressione;
    in questa chiave, lo sviluppo economico diventa l'attore di superamento del fondamentalismo religioso; l'economia diventa fattore di pace. La lotta alla guerra e alla tirannia deve quindi puntare su educazione (a partire da quella scolastica) e sviluppo, esaltando sempre di più la capacità di cambiamento espressa dai giovani;
    gli investimenti in progetti di educazione, soprattutto per l'infanzia, sono fondamentali per fornire un'impronta consapevole dei diritti umani;
    l'educazione implica sviluppo se incanalata verso i valori di libertà: il mondo occidentale, a partire dall'Europa, è quindi chiamato ad investire di più, e in modo più sistematico, nei Paesi da cui provengono gli stessi migranti, anche perché, se non sarà l'Occidente a creare lavoro e occupazione, sarà lo Stato islamico a farlo, con dinamiche e conseguenze ben diverse. Basta solo ricordare che, ad esempio, il nome «Boko Haram», organizzazione terroristica jihadista vicina ad Al Queda particolarmente attiva nel Nord-Est della Nigeria, ma presente anche in Camerun, Ciad e Niger, significa letteralmente «l'educazione occidentale è peccato», veicolando, quindi, un messaggio ben chiaro;
    la cooperazione allo sviluppo dei Paesi in via di sviluppo dovrebbe quindi rappresentare lo strumento più efficace per contrastare l'esodo di milioni di persone che vogliono sottrarsi alla fame, alle guerre, allo sfruttamento e alle malattie;
    se da una parte, però, lo sviluppo dei paesi di provenienza sembrerebbe essere la «soluzione», dall'altra i dati dimostrano che gli aiuti internazionali ai Paesi in via di sviluppo – salvo poche eccezioni – sono da anni fermi sotto allo «zero virgola» del Pil; così i trasferimenti delle collettività all'estero verso i luoghi d'origine continuano a rappresentare il «sostegno» più cospicuo alle economie dei Paesi che maggiormente alimentano i flussi migratori;
    inoltre, gli aiuti tradizionali, in particolare ai Paesi africani, sono spesso inefficaci non solo perché sovente distratti dal loro scopo specifico a causa anche di strutture di governance e dei Paesi riceventi che non garantiscono trasparenza e democrazia, ma anche perché non inseriti in un quadro strategico complessivo;
    metà della popolazione mondiale che oggi si trova in povertà estrema (nel 2030 saranno i due terzi), vive in Stati privi della capacità e della legittimazione necessaria a proteggere i propri cittadini, che ricevono soltanto il 38 per cento degli aiuti umanitari. Bisogna invertire questa tendenza, e intervenire con processi efficaci di institution building, con un ampio coinvolgimento multilaterale, partendo dalla sfida che riguarda il continente africano, il cui potenziale di crescita è enorme, e in cui l'Italia può e deve essere protagonista;
    l'inversione di tendenza rispetto alla strategia di cooperazione allo sviluppo italiana – con il suo sistema integrato di partenariato pubblico/privato – e, in particolare, europea, per essere efficace, ha bisogno di essere supportata da una collaborazione fattiva proprio da parte di quei Paesi che cerchiamo di traghettare verso una rinnovata capacità statuale e nuove dinamiche di sviluppo, al fine (quantomeno) di arginare quegli «scompensi» che inducono le persone, in forma individuale o collettiva, ad abbandonare il proprio ambiente,

impegna il Governo:

   a cooperare con gli altri Paesi dell'Unione europea per un rafforzamento delle relazioni con i Paesi africani, diretto al contenimento dei flussi migratori, nonché al potenziamento di ogni forma di collaborazione legata a procedure di identificazione e rimpatrio dei clandestini;
   a sollecitare con forza un fattivo impegno degli Stati dell'Unione europea volto a rafforzare il sostegno allo sviluppo dei Paesi africani nella prospettiva di una necessaria partnership che favorisca sicurezza, cooperazione e sviluppo, anche condizionando gli aiuti economici ad un'efficace lotta alla migrazione clandestina, alle organizzazioni criminali che la sostengono e al terrorismo internazionale;
   a rafforzare i partenariati istituzionali e commerciali strategici con i Paesi africani per interrompere i flussi di immigrazione clandestina e creare canali di migrazione legale;
   ad incrementare gli interventi di cooperazione allo sviluppo per i Paesi africani, soprattutto nei settori agricolo e sanitario, coinvolgendo il più possibile le associazioni della società civile;
   a favorire, anche con sostegni economici e giuridico-tecnici, l’institution building dei Paesi africani, favorendo le condizioni di stabilità politico istituzionale indispensabili anche per garantire le necessarie condizioni di sicurezza per i cittadini, per gli operatori internazionali e per gli investitori esteri;
   ad adoperarsi per la realizzazione di progetti di educazione scolastica e infantile nei Paesi africani, per trasmettere il carattere distintivo e consapevole dei diritti umani, con ogni forma di garanzia e tutela dei minori;
   ad adottare, nelle sedi internazionali, opportune iniziative volte alla promozione della democrazia e del pieno rispetto dei diritti umani, e dei diritti fondamentali di libertà e di uguaglianza;
   ad agire, con particolare riferimento all'area mediterranea, per promuovere condizioni di sviluppo equilibrate, anche mediante la diffusione dell'informazione e delle conoscenze tecnologiche, nel rispetto dell'ambiente e dei diritti universali dell'uomo.
(1-01040) «Palese, Bergamini, Valentini, Occhiuto».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    l'aggravarsi dei conflitti nell'area mediterranea e mediorientale, il gonfiarsi delle ondate di migranti in cerca di protezione e asilo, e il crescente numero di morti per migrazione, stanno spingendo finalmente l'Unione europea, insieme agli Stati membri, ad adottare una serie di misure volte a rispondere alle sfide sollevate dai flussi migratori, cercando di affrontare la questione con maggiore realismo e determinazione;
    è ora più che mai necessario intensificare gli sforzi per garantire una risposta sufficiente e adeguarla all'attuale crisi in materia di migrazione e rifugiati, e definire una politica migratoria europea credibile. Siamo infatti di fronte ad una svolta epocale, in cui assistiamo a vere e proprie migrazioni di popoli;
    la risposta alle pressioni migratorie che caratterizzano in particolare il Mediterraneo, passa innanzitutto attraverso la protezione di coloro che ne hanno bisogno, anche per evitare ulteriori perdite di vite umane in mare. Ma è fondamentale, allo stesso tempo, affrontare con sistematicità le cause profonde della migrazione, chiave di volta per offrire soluzioni ad una questione che oramai da troppo tempo non si muove più sulla linea dell'emergenza, ma che ha carattere strutturale;
    da questo punto di vista, le azioni definite dall'Unione europea, non sono state affatto sufficienti: l'attenzione si è concentrata piuttosto sul rafforzamento della presenza in mare, la lotta ai trafficanti e sul potenziamento della solidarietà e della responsabilità interne dei singoli Stati, mentre praticamente nulla è stato fatto per la creazione di canali di migrazione legale;
    nonostante nel recente dibattito sulla questione si parli sempre più spesso della necessità di una politica finalizzata al miglioramento delle condizioni di vita nei Paesi «di provenienza», ovvero quelli da cui hanno origine i flussi, cambiando totalmente l'approccio al tema migratorio, anche su questo fronte gli sforzi risultano inadeguati;
    Papa Francesco, nel suo messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che la Chiesa celebrerà il 17 gennaio 2016, ha parlato di «diritto a non emigrare per contribuire allo sviluppo del Paese d'origine», evidenziando l'opportunità di un processo che «dovrebbe includere, nel suo primo livello, la necessità di aiutare i Paesi da cui partono migranti e profughi», confermando che «la solidarietà, la cooperazione, l'interdipendenza internazionale e l'equa distribuzione dei beni della terra sono elementi fondamentali per operare in profondità e con incisività soprattutto nelle aree di partenza dei flussi migratori, affinché cessino quegli scompensi che inducono le persone, in forma individuale o collettiva, ad abbandonare il proprio ambiente naturale e culturale»;
    lo sviluppo, sostenne Amartya Sen, premio Nobel 1998 per l'economia, deve essere inteso come un processo di espansione delle libertà reali di cui godono di esseri umani, nella sfera privata come in quella sociale e politica;
    la libertà, quindi, implica sviluppo: la libertà è condizione determinante per la prosperità, mentre la guerra impoverisce e crea miseria. Di conseguenza, la sfida dello sviluppo consiste nell'eliminare i vari tipi di «illibertà», fra cui la fame e la miseria, la tirannia, l'intolleranza e la repressione, l'analfabetismo, la mancanza di assistenza sanitaria e di tutela ambientale, la libertà di espressione;
    in questa chiave, lo sviluppo economico diventa l'attore di superamento del fondamentalismo religioso; l'economia diventa fattore di pace. La lotta alla guerra e alla tirannia deve quindi puntare su educazione (a partire da quella scolastica) e sviluppo, esaltando sempre di più la capacità di cambiamento espressa dai giovani;
    gli investimenti in progetti di educazione, soprattutto per l'infanzia, sono fondamentali per fornire un'impronta consapevole dei diritti umani;
    l'educazione implica sviluppo se incanalata verso i valori di libertà: il mondo occidentale, a partire dall'Europa, è quindi chiamato ad investire di più, e in modo più sistematico, nei Paesi da cui provengono gli stessi migranti, anche perché, se non sarà l'Occidente a creare lavoro e occupazione, sarà lo Stato islamico a farlo, con dinamiche e conseguenze ben diverse. Basta solo ricordare che, ad esempio, il nome «Boko Haram», organizzazione terroristica jihadista vicina ad Al Queda particolarmente attiva nel Nord-Est della Nigeria, ma presente anche in Camerun, Ciad e Niger, significa letteralmente «l'educazione occidentale è peccato», veicolando, quindi, un messaggio ben chiaro;
    la cooperazione allo sviluppo dei Paesi in via di sviluppo dovrebbe quindi rappresentare lo strumento più efficace per contrastare l'esodo di milioni di persone che vogliono sottrarsi alla fame, alle guerre, allo sfruttamento e alle malattie;
    se da una parte, però, lo sviluppo dei paesi di provenienza sembrerebbe essere la «soluzione», dall'altra i dati dimostrano che gli aiuti internazionali ai Paesi in via di sviluppo – salvo poche eccezioni – sono da anni fermi sotto allo «zero virgola» del Pil; così i trasferimenti delle collettività all'estero verso i luoghi d'origine continuano a rappresentare il «sostegno» più cospicuo alle economie dei Paesi che maggiormente alimentano i flussi migratori;
    inoltre, gli aiuti tradizionali, in particolare ai Paesi africani, sono spesso inefficaci non solo perché sovente distratti dal loro scopo specifico a causa anche di strutture di governance e dei Paesi riceventi che non garantiscono trasparenza e democrazia, ma anche perché non inseriti in un quadro strategico complessivo;
    metà della popolazione mondiale che oggi si trova in povertà estrema (nel 2030 saranno i due terzi), vive in Stati privi della capacità e della legittimazione necessaria a proteggere i propri cittadini, che ricevono soltanto il 38 per cento degli aiuti umanitari. Bisogna invertire questa tendenza, e intervenire con processi efficaci di institution building, con un ampio coinvolgimento multilaterale, partendo dalla sfida che riguarda il continente africano, il cui potenziale di crescita è enorme, e in cui l'Italia può e deve essere protagonista;
    l'inversione di tendenza rispetto alla strategia di cooperazione allo sviluppo italiana – con il suo sistema integrato di partenariato pubblico/privato – e, in particolare, europea, per essere efficace, ha bisogno di essere supportata da una collaborazione fattiva proprio da parte di quei Paesi che cerchiamo di traghettare verso una rinnovata capacità statuale e nuove dinamiche di sviluppo, al fine (quantomeno) di arginare quegli «scompensi» che inducono le persone, in forma individuale o collettiva, ad abbandonare il proprio ambiente,

impegna il Governo:

   a cooperare con gli altri Paesi dell'Unione europea per un rafforzamento delle relazioni con i Paesi africani, diretto al contenimento dei flussi migratori, nonché al potenziamento di ogni forma di collaborazione legata a procedure di identificazione e rimpatrio dei clandestini;
   a sollecitare con forza un fattivo impegno degli Stati dell'Unione europea volto a rafforzare il sostegno allo sviluppo dei Paesi africani nella prospettiva di una necessaria partnership che favorisca sicurezza, cooperazione e sviluppo, anche collegando gli aiuti economici ad un'efficace lotta alla migrazione clandestina, alle organizzazioni criminali che la sostengono e al terrorismo internazionale;
   a rafforzare i partenariati istituzionali e commerciali strategici con i Paesi africani per interrompere i flussi di immigrazione clandestina e creare canali di migrazione legale;
   ad incrementare gli interventi di cooperazione allo sviluppo per i Paesi africani, soprattutto nei settori agricolo e sanitario, coinvolgendo il più possibile le associazioni della società civile;
   a favorire, anche con sostegni economici e giuridico-tecnici, l’institution building dei Paesi africani, favorendo le condizioni di stabilità politico istituzionale indispensabili anche per garantire le necessarie condizioni di sicurezza per i cittadini, per gli operatori internazionali e per gli investitori esteri;
   ad adoperarsi per la realizzazione di progetti di educazione scolastica e infantile nei Paesi africani, per trasmettere il carattere distintivo e consapevole dei diritti umani, con ogni forma di garanzia e tutela dei minori;
   ad adottare, nelle sedi internazionali, opportune iniziative volte alla promozione della democrazia e del pieno rispetto dei diritti umani, e dei diritti fondamentali di libertà e di uguaglianza;
   ad agire, con particolare riferimento all'area mediterranea, per promuovere condizioni di sviluppo equilibrate, anche mediante la diffusione dell'informazione e delle conoscenze tecnologiche, nel rispetto dell'ambiente e dei diritti universali dell'uomo.
(1-01040)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Palese, Bergamini, Valentini, Occhiuto».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia e l'Europa sono interessati in questi anni da un'ondata migratoria senza precedenti i cui numeri sono, peraltro, in costante aumento, ma a differenza dei suoi partner comunitari il nostro Paese è meta prevalentemente dei migranti cosiddetti economici;
    le statistiche dicono, infatti, che delle oltre centotrentamila persone che nei primi sette mesi di quest'anno hanno fatto ingresso nel nostro territorio nazionale la stragrande maggioranza proviene dai Paesi africani dell'Eritrea, Nigeria, Somalia e Sudan;
    l'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati ha accertato, inoltre, che quasi il novanta per cento di questi migranti sono partiti dalla Libia per raggiungere clandestinamente le nostre coste;
    il flusso migratorio proveniente dall'Africa, in particolare dalla regione sub sahariana, ha assunto ormai carattere strutturale e non può essere affrontata solo con misure di emergenza volte a tutelare la sicurezza dei confini europei;
    esso necessita, invece, di un'azione politica concordata e di un impegno stabile e duraturo per la pacificazione delle zone di conflitto e il miglioramento della qualità della vita nei paesi dall'area, con particolare riferimento anche ai profili sanitari visto che non a caso proprio in queste regioni ha avuto avvio la recente epidemia del virus ebola;
    la cooperazione allo sviluppo, sia nella sua dimensione bilaterale che in quella multilaterale, e in particolar modo a livello europeo, deve intervenire a sostegno dei Paesi in cui la povertà, le pessime condizioni di vita e spesso i conflitti e le violenze e violazioni dei diritti umani che ne conseguono spingono la popolazione alla fuga, con un impegno;
    pur avendo in numerose sedi internazionali dichiarato la propria volontà di arrivare a destinare per l'aiuto pubblico allo sviluppo lo 0,3 per cento del prodotto interno lordo entro il 2017-2018, ancora nel 2014 questa cifra era ferma ad appena la metà, lo 0,16 per cento;
    il 28 novembre 2014 è stato siglato un accordo noto come «processo di Khartoum», tra i Paesi dell'Unione europea e i Paesi di origine e di passaggio dei migranti che, dal Corno d'Africa e dall'Africa dell'Est si riversano sulle coste della Libia per raggiungere l'Europa approdando nel nostro Paese;
    il Processo di Khartoum si propone di controllare i flussi migratori attraverso accordi con questi Paesi che prevedono l'organizzazione di campi per filtrare chi ha diritto all'asilo, il rafforzamento delle polizie di confine e delle istituzioni locali che si occupano di migrazione, scambi di informazioni e supporti allo sviluppo con l'obiettivo finale di stabilizzare la regione,

impegna il Governo:

   ad adoperarsi affinché l'Italia mantenga gli impegni pubblicamente espressi in favore dell'aiuto pubblico allo sviluppo, arrivando a destinare ad esso la promessa percentuale del Prodotto interno lordo, mettendosi al passo con i principali partner europei;
   a rafforzare l'impegno della cooperazione italiana nella lotta alla povertà, migliorando la sicurezza alimentare e lo sviluppo agricolo, nel rafforzamento dei servizi sanitari, nel potenziamento dell'accesso all'istruzione, nel miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni residenti, con particolare riguardo alla condizione femminile e infantile;
   a sostenere ogni sforzo promosso in ambito internazionale al fine di pacificare le aree oggetto di conflitto, sostenendo la democrazia e l'affermazione dei diritti umani;
   a proseguire nell'attività negoziale con i Paesi posti sulla rotta dell'immigrazione clandestina già avviati con il cosiddetto processo di Khartoum;
   a porre con forza in ambito europeo il tema dei migranti economici e delle politiche che devono essere realizzate per combattere le cause profonde della migrazione e degli sfollati in Africa;
   a porre in essere ogni atto di competenza finalizzato a rafforzare le relazioni bilaterali con i Paesi dai quali provengono il maggior numero di immigrati, al fine di garantire la realizzazione degli obiettivi delle attività di aiuto allo sviluppo e al fine di stipulare con i medesimi Paesi accordi di riammissione.
(1-01041) «Rampelli, Cirielli, La Russa, Maietta, Giorgia Meloni, Nastri, Taglialatela, Totaro».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)