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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Mercoledì 6 maggio 2015

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 6 maggio 2015.

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Alli, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Capezzone, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, Costa, D'Alia, Dadone, Dambruoso, Damiano, De Menech, De Micheli, Del Basso de Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Dieni, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Ferrara, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Fraccaro, Franceschini, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Lupo, Madia, Manciulli, Antonio Martino, Merlo, Meta, Migliore, Orlando, Pes, Picchi, Pisicchio, Pistelli, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Domenico Rossi, Rughetti, Sani, Scagliusi, Scalfarotto, Schullian, Scotto, Sereni, Sisto, Spadoni, Speranza, Tabacci, Tofalo, Valeria Valente, Vargiu, Velo, Villecco Calipari, Vitelli, Vito, Zanetti.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Alli, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Capezzone, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, Costa, D'Alia, Dadone, Dambruoso, Damiano, De Menech, De Micheli, Del Basso de Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Dieni, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Ferrara, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Fraccaro, Franceschini, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Lupo, Madia, Manciulli, Antonio Martino, Merlo, Meta, Migliore, Molea, Orlando, Pes, Picchi, Pisicchio, Pistelli, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Domenico Rossi, Rughetti, Sani, Scagliusi, Scalfarotto, Schullian, Scotto, Sereni, Sisto, Spadoni, Speranza, Tabacci, Tofalo, Valeria Valente, Vargiu, Velo, Vignali, Villecco Calipari, Vitelli, Vito, Zanetti.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 5 maggio 2015 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   ZARATTI e PELLEGRINO: «Delega al Governo per il riordino delle disposizioni legislative in materia di sistema nazionale della protezione civile» (3099);
   MARCO MELONI: «Disposizioni concernenti l'accesso agli impieghi pubblici, l'organizzazione dei concorsi, la limitazione dei rapporti di lavoro a tempo determinato e atipici e l'istituzione di un programma di tirocinio di studenti universitari selezionati presso le pubbliche amministrazioni per l'inserimento nella carriera dirigenziale» (3100);
   LAVAGNO: «Modifiche al codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in materia di tutela del paesaggio rurale e delle pratiche agricole tradizionali» (3101);
   BRUNETTA ed altri: «Introduzione dell'articolo 28-bis del codice penale, concernente la sospensione dell'erogazione del vitalizio ai membri del Parlamento cessati dal mandato, in caso di condanna comportante l'interdizione dai pubblici uffici» (3102);
   CATANOSO GENOESE: «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, alla legge 13 dicembre 1989, n. 401, e al decreto-legge 8 febbraio 2007, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2007, n. 41, per la tutela dell'ordine pubblico durante lo svolgimento di manifestazioni pubbliche o aperte al pubblico e di manifestazioni sportive» (3103).

  Saranno stampate e distribuite.

Annunzio di un disegno di legge.

  In data 6 maggio 2015 è stato presentato alla Presidenza il seguente disegno di legge:
   dal Presidente del Consiglio dei ministri e dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali:
    «Conversione in legge del decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51, recante disposizioni urgenti in materia di rilancio dei settori agricoli in crisi, di sostegno alle imprese agricole colpite da eventi di carattere eccezionale e di razionalizzazione delle strutture ministeriali» (3104).

  Sarà stampato e distribuito.

Annunzio di proposte di inchiesta parlamentare.

  In data 5 maggio 2015 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di inchiesta parlamentare d'iniziativa dei deputati:
   VARGIU: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sull'inappropriatezza, sugli sprechi e sulla corruzione nel settore sanitario» (Doc. XXII, n. 47);
   QUARTAPELLE PROCOPIO ed altri: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul traffico di esseri umani e sulla tratta di persone» (Doc. XXII, n. 48).

  Saranno stampate e distribuite.

Adesione di un deputato a una proposta di legge.

  La proposta di legge SCANU ed altri: «Disposizioni concernenti i militari italiani ai quali è stata irrogata la pena capitale durante la prima Guerra mondiale» (2741) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Boccuzzi.

Modifica del titolo di una proposta di legge.

  La proposta di legge n. 2005, d'iniziativa dei deputati BONOMO ed altri, ha assunto il seguente titolo: «Disciplina dell'esercizio dell'attività di gestione collettiva dei diritti d'autore».

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:

   I Commissione (Affari costituzionali):
  S. 1577. – «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche» (Approvato dal Senato) (3098) Parere delle Commissioni II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), III, IV, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, VIII, IX, X, XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale), XII, XIII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

   II Commissione (Giustizia):
  GITTI ed altri: «Introduzione del titolo IV-bis del libro primo del codice di procedura civile e altre disposizioni in materia di azione di classe» (3017) Parere delle Commissioni I, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), X (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento) e XIV.

   V Commissione (Bilancio):
  IACONO: «Modifica all'articolo 19 del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185, in materia di determinazione dei soggetti beneficiari delle misure in favore dell'autoimpiego» (2965) Parere delle Commissioni I, VI, X, XI e XIV.

   VI Commissione (Finanze):
  ROSTELLATO: «Modifiche all'articolo 1, commi 54, 55, 64 e 69, e abrogazione dell'allegato 4 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, in materia di regime fiscale agevolato per lavoratori autonomi» (2842) Parere delle Commissioni I, II, V e X.

   VII Commissione (Cultura):
  BONOMO ed altri: «Disciplina dell'esercizio dell'attività di gestione collettiva dei diritti d'autore» (2005) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, VI, IX, X, XI e XIV.

Trasmissioni dalla Corte dei conti.

  Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 30 aprile 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Ente parco nazionale della Majella, per l'esercizio 2013. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 265).

  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla VIII Commissione (Ambiente).

  Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 30 aprile 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria del Fondo di assistenza per i finanzieri (FAF), per gli esercizi dal 2011 al 2013. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 266).

  Questi documenti sono trasmessi alla IV Commissione (Difesa), alla V Commissione (Bilancio) e alla XI Commissione (Lavoro).

  La Corte dei conti – Sezione del controllo sugli enti, con lettera in data 30 aprile 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7, della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Ente parco nazionale del Gargano, per l'esercizio 2013. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 267).

  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla VIII Commissione (Ambiente).

Trasmissione dal Ministro dello sviluppo economico.

  Il Ministro dello sviluppo economico, con lettera del 27 aprile 2015, ha trasmesso una nota relativa all'attuazione data all'ordine del giorno RIZZETTO n. 9/2679-bis-A/160, accolto come raccomandazione dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 30 novembre 2014, concernente la restituzione dei contributi pubblici ottenuti da aziende che delocalizzano la propria produzione all'estero.

  La suddetta nota è a disposizione degli onorevoli deputati presso il Servizio per il Controllo parlamentare ed è trasmessa alla X Commissione (Attività produttive) competente per materia.

Trasmissione dal Ministro della salute.

  Il Ministro della salute, con lettera in data 5 maggio 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 11 della legge 15 marzo 2010, n. 38, la relazione sullo stato di attuazione della medesima legge n. 38 del 2010, recante disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore, riferita all'anno 2014 (Doc. CLXVI, n. 3).

  Questa relazione è trasmessa alla XII Commissione (Affari sociali).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 5 maggio 2015, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, la relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo – Relazione sull'applicazione della direttiva 2004/113/CE che attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura (COM(2015) 190 final), che è assegnata, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alla I Commissione (Affari costituzionali), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

  Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, con comunicazioni in data 30 aprile e 5 maggio 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 1 e 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.
  Questi atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

  Con le medesime comunicazioni, il Governo ha altresì richiamato l'attenzione sui seguenti documenti, già trasmessi dalla Commissione europea e assegnati alle competenti Commissioni, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento:
   Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che abroga la direttiva 76/621/CEE del Consiglio relativa alla fissazione del tenore massimo in acido erucico negli oli e nei grassi destinati tali e quali al consumo umano nonché negli alimenti con aggiunta di oli o grassi e il regolamento (CE) n. 320/2006 del Consiglio relativo a un regime temporaneo per la ristrutturazione dell'industria dello zucchero (COM(2015) 174 final);
   Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Revisione del processo decisionale in tema di organismi geneticamente modificati (OGM) (COM(2015) 176 final);
   Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1829/2003 per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare l'uso di alimenti e mangimi geneticamente modificati sul loro territorio (COM(2015) 177 final);
   Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente un piano pluriennale di ricostituzione del tonno rosso nell'Atlantico orientale e nel Mediterraneo e recante abrogazione del regolamento (CE) n. 302/2009 (COM(2015) 180 final);
   Comunicazione congiunta della Commissione europea e dell'Alto rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza al Parlamento europeo e al Consiglio – Piano d'azione per i diritti umani e la democrazia (2015-2019) «Mantenere i diritti umani al centro dell'azione dell'Unione europea» (JOIN(2015) 16 final).

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

DISEGNO DI LEGGE: S. 1818 – CONVERSIONE IN LEGGE DEL DECRETO-LEGGE 17 MARZO 2015, N. 27, RECANTE DISPOSIZIONI URGENTI PER LO SVOLGIMENTO CONTEMPORANEO DELLE ELEZIONI REGIONALI ED AMMINISTRATIVE (APPROVATO DAL SENATO) (A.C. 3059)

A.C. 3059 – Parere della V Commissione

PARERE DELLA V COMMISSIONE SULLE PROPOSTE EMENDATIVE PRESENTATE

NULLA OSTA

sugli emendamenti contenuti nel fascicolo n. 1.

A.C. 3059 – Articolo unico

ARTICOLO UNICO DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DEL SENATO

Art. 1.

  1. È convertito in legge il decreto-legge 17 marzo 2015, n. 27, recante disposizioni urgenti per lo svolgimento contemporaneo delle elezioni regionali ed amministrative.
  2. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

ARTICOLI DEL DECRETO-LEGGE NEL TESTO DEL GOVERNO

Articolo 1.
(Integrazione all'articolo 5 della legge 2 luglio 2004, n. 165).

  1. All'articolo 5, comma 1, secondo periodo, della legge 2 luglio 2004, n. 165, e successive modificazioni, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «o nella domenica compresa nei sei giorni ulteriori».

Articolo 2.
(Entrata in vigore).

  1. Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge.

A.C. 3059 – Proposte emendative

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE AGLI ARTICOLI DEL DECRETO-LEGGE

ART. 1.
(Integrazione all'articolo 5 della legge 2 luglio 2004, n. 165).

  Sostituirlo con il seguente:
  Art. 1. – 1. Per le elezioni dei nuovi consigli regionali previste per l'anno 2015 il termine stabilito dalla disposizione di cui all'articolo 5, comma 1, secondo periodo, della legge 2 luglio 2004, n. 165, e successive modificazioni, è prorogato alla domenica compresa nei sei giorni ulteriori.
1. 5. Invernizzi.

  Sostituirlo con il seguente:
  Art. 1. – 1. All'articolo 5 della legge 2 luglio 2004, n. 165, e successive modificazioni, è aggiunto, in fine, il seguente comma:
  «1-bis. Per il solo anno 2015 le elezioni dei Consigli regionali di cui al comma 1 possono avere luogo nella domenica compresa nei sei giorni successivi al termine di cui al medesimo comma».
1. 1. Cozzolino, Cecconi, Dadone, D'Ambrosio, Dieni, Nuti, Toninelli.

  Sostituirlo con il seguente:
  Art. 1. – 1. All'articolo 5, comma 1, della legge 2 luglio 2004, n. 165, e successive modificazioni, il secondo periodo è sostituito dai seguenti: «Il quinquennio decorre per ciascun Consiglio dalla data della elezione. L'elezione dei nuovi Consigli, fatto salvo il termine di cui all'articolo 3, comma terzo, della legge 17 febbraio 1968, n. 108, può avere luogo non oltre i sessantasei giorni successivi al termine del quinquennio esclusivamente nei casi in cui sia indispensabile ad adempiere al disposto di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 7 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111».
1. 2. Cozzolino, Cecconi, Dadone, D'Ambrosio, Dieni, Nuti, Toninelli.

  Al comma 1, dopo la parola: ulteriori aggiungere le seguenti: nei soli casi in cui sia indispensabile ai fini dello svolgimento in unica data unitamente ad altre consultazioni elettorali, come previsto dall'articolo 7, commi 1 e 2 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.
1. 4. Cozzolino, Cecconi, Dadone, D'Ambrosio, Dieni, Nuti, Toninelli.

  Dopo il comma 1 aggiungere il seguente:
  1-bis. All'articolo 5 della legge 2 luglio 2004, n. 165, dopo il comma 1, è aggiunto il seguente:
  «1-bis. A decorrere dal 1o gennaio 2016, nel caso in cui l'elezione dei nuovi Consigli regionali abbia luogo nei termini di cui al comma 1, il trattamento economico dei consiglieri regionali non è corrisposto a far data dal termine del quinquennio».
1. 3. Cozzolino, Cecconi, Dadone, D'Ambrosio, Dieni, Nuti, Toninelli.

  Dopo l'articolo 1, aggiungere il seguente:
  Art. 1-bis. (Modifica all'articolo 7 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98). 1. – All'articolo 7 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, è aggiunto, in fine, il seguente comma:
  «2-quater. Nel caso in cui nel medesimo anno debbano tenersi uno o più referendum di cui all'articolo 123 della Costituzione, le cui modalità di svolgimento coincidano con quelle previste dalla disciplina elettorale, la convocazione degli elettori avviene su richiesta della regione o delle regioni interessate per tutti i referendum nella medesima data di cui al comma 1 del presente articolo.».
1. 01. Invernizzi.
(Inammissibile)

A.C. 3059 – Ordini del giorno

ORDINI DEL GIORNO

   La Camera,
   premesso che:
    in vista dello svolgimento delle elezioni per il rinnovo dei presidenti e dei consigli di 7 regioni a statuto ordinario (Veneto, Liguria, Toscana, Marche, Umbria, Campania e Puglia), e del turno annuale di elezioni amministrative, che nelle 15 regioni a statuto ordinario interesserà 515 comuni e delle elezioni amministrative che, ai sensi dell'articolo 1 della legge 7 giugno 1991, n. 182, devono tenersi in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno;
    per consentire lo svolgimento di tutte le consultazioni elettorali in un'unica data (election day ai sensi dell'articolo 7 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), l'articolo 1, comma 501, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Legge di stabilità 2015) ha disposto che le elezioni dei nuovi organi elettivi regionali abbiano luogo «non oltre i sessanta giorni successivi al termine del quinquennio», integrando l'articolo 5, comma 1, della legge 2 luglio 2004, n. 165;
    le elezioni degli organi elettivi regionali, si sono svolte domenica 28 marzo 2010 (con scadenza del mandato 27 marzo 2015) e che il rinnovo elettivo dovrebbe avvenire entro il 27 maggio 2015;
    nel periodo considerato non è stato possibile individuare una data di votazione idonea, in considerazione della coincidenza del primo o secondo turno con Festività religiose cristiane o ebraiche (Pasqua, Pentecoste), con Festività civili (Anniversario della Liberazione, Festa del Lavoro) o con altre ricorrenze rilevanti ai fini dell'affluenza al voto (Adunata annuale degli alpini) per cui la prima domenica utile coincide con il 31 maggio 2015, data che, tuttavia, si colloca oltre il termine di sessanta giorni di cui al citato articolo 5 della legge n. 165 del 2004;
    il provvedimento in esame interviene sistemicamente per flessibilizzare l'arco temporale entro il quale può realizzarsi la condizione per lo svolgimento in forma abbinata di tutte le consultazioni elettorali (election day), stabilendo, con riguardo alle elezioni regionali, che la loro celebrazione può avvenire nella prima domenica successiva alla scadenza del predetto termine di sessanta giorni;
    il principio ispiratore, sia pure con una prospettiva inversa, è quello cui è informata la disposizione civilistica che differisce i termini di adempimento delle obbligazioni al primo giorno feriale utile;
    l'intento di celebrare in un solo giorno le elezioni regionali e amministrative del 2015, non solo non determina nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, ma è suscettibile di produrre una riduzione complessiva delle spese elettorali, in coerenza con le finalità di risparmio delle disposizioni sull’election day;
    ai sensi dell'articolo 1 della Costituzione la sovranità appartiene al popolo e il popolo esercita tale sovranità nelle forme e nei limiti previsti dalla stessa Costituzione e dunque, il riconoscimento del diritto di voto e le sue caratteristiche, enunciate nel secondo comma dell'articolo 48, concorrono alla definizione dello Stato come Stato democratico;
    lo scopo del provvedimento in esame prevede che la scelta di indire le elezioni per il giorno domenica 31 maggio sia finalizzata ad evitare ripercussioni negative sull'affluenza al voto, individuando questa data come la prima disponibile non concomitante con feste religiose o civili;
    tuttavia la data individuata per lo svolgimento delle elezioni, domenica 31 maggio, è rilevante ai fini dell'affluenza del voto, considerato che, poiché il 2 giugno è la festa della Repubblica, è immaginabile che i cittadini possano programmare di allontanarsi dal territori di residenza,

impegna il Governo

per il futuro, a valutare la possibilità di adottare le opportune iniziative, anche a livello normativo, per fissare la data dello svolgimento delle elezioni in un giorno che permetta di garantire un'ordinaria affluenza alle urne.
9/3059/1Mucci, Artini, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Matarrelli, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco.


   La Camera,
   premesso che:
    il punto 4) dell'analisi tecnico-normativa di accompagnamento alla presente legge di conversione recita testualmente: «Analisi della compatibilità dell'intervento con i principi costituzionali»;
    il provvedimento non presenta profili di incompatibilità con i principi costituzionali; il ricorso al decreto-legge, infatti, non attiene al sistema elettorale in senso stretto (vedi la sentenza della Corte costituzionale n. 161 del 1995), ma incide sulla cosiddetta legislazione elettorale «di contorno»;
    tale intervento, quindi, non ricade nel divieto ricavabile dall'articolo 15, comma 2, lettera b), della legge n. 400 del 1988, in cui si dispone che il Governo «non può», mediante un decreto-legge, «provvedere nelle materie indicate nell'articolo 72, quarto comma, della Costituzione»: materie, queste, fra le quali rientra anche quella elettorale,

impegna il Governo

in sede di emanazione di atti con forza di legge di cui all'articolo 77 della Costituzione, all'assoluto rispetto dell'articolo 15 della legge n. 400 del 1988, che ha riferimento alle materie indicate nell'articolo 72, quarto comma, della Costituzione.
9/3059/2Giancarlo Giorgetti.


   La Camera,
   premesso che:
    è stata approvata la legge di riforma del sistema elettorale per l'elezione della Camera dei deputati;
    nella relazione di accompagnamento del presente decreto si legge che il ricorso al decreto-legge non attiene al sistema elettorale in senso stretto (vedi la sentenza della Corte costituzionale n. 161 del 1995), ma incide sulla cosiddetta legislazione elettorale «di contorno» e quindi che il decreto stesso è compatibile con i princìpi costituzionali,

impegna il Governo

per il futuro, a non ricorrere più allo strumento della decretazione d'urgenza in materia elettorale.
9/3059/3Invernizzi.


MOZIONI IORI, SBERNA, BINETTI, DANIELE FARINA, LOCATELLI, PINNA ED ALTRI N. 1-00785, MANLIO DI STEFANO ED ALTRI N. 1-00792, GIANLUCA PINI ED ALTRI N. 1-00799, ARTINI ED ALTRI N. 1-00840 E RAMPELLI ED ALTRI N. 1-00846 CONCERNENTI INIZIATIVE IN MERITO ALL'EMERGENZA UMANITARIA RELATIVA AL CAMPO PROFUGHI DI YARMOUK, IN SIRIA, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLA SITUAZIONE DEI MINORI

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    in Siria è in corso un feroce conflitto che ha determinato una delle più grandi catastrofi umanitarie dalla fine della seconda guerra mondiale, con oltre 200.000 vittime, quasi 4 milioni di profughi, oltre 7 milioni di sfollati e 12 milioni di persone che necessitano di assistenza umanitaria;
    l'Italia fin dall'inizio del conflitto si è adoperata per promuovere una soluzione politica nei diversi fori internazionali, in particolare nell'ambito del gruppo «Amici della Siria» e delle Conferenze di Ginevra I e II, e sta continuando a seguire prioritariamente la situazione dei profughi nei diversi campi localizzati in Giordania, Libano e Turchia, come testimoniato dalla recente visita al campo profughi di Azraq da parte del Ministro Gentiloni, proseguendo ad offrire assistenza umanitaria;
    negli ultimi mesi l'Italia ha sostenuto gli sforzi del rappresentante speciale dell'Onu, Staffan De Mistura, per propiziare una de-escalation della violenza ed un congelamento dei combattimenti in alcune aree specifiche del Paese;
    secondo le informazioni che giungono dai media locali e internazionali, nonché dalle organizzazioni umanitarie, come l'Unicef, la situazione già disumana del campo profughi di Yarmouk, a circa otto chilometri a sud di Damasco, in Siria, sta assumendo un carattere di emergenza umanitaria;
    il campo profughi su citato, abitato da circa 18 mila palestinesi, è stato occupato dal 1o aprile 2015 dallo Stato islamico (Is), che attualmente presidia gli accessi al medesimo campo;
    all'interno del campo di Yarmouk si trovano circa 3.500 bambini, ostaggi del terrorismo, senza acqua, cibo e medicinali, costantemente a rischio di morte, abusi e violenze;
    l'8 aprile 2015, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Paolo Gentiloni, ha previsto di mettere in campo un intervento urgente in favore dell'Unicef e dell'Unrwa (Agenzia dell'Onu per i rifugiati palestinesi), pari a 1,5 milioni di euro, contribuendo così all'attività di Unicef di protezione umanitaria e assistenza psicologica ai bambini palestinesi, che sono tuttora nel campo, oltre che alle famiglie che sono riuscite a evadere dalla spaventosa trappola di guerra, fame e deprivazioni;
    il Ministro Gentiloni ha, altresì, evidenziato la necessità di intervenire rapidamente e fare il possibile per creare corridoi umanitari, con l'obiettivo di limitare i danni di una situazione già drammatica;
    è necessario agire prontamente non solo con gli aiuti economici, ma con azioni finalizzate ad allontanare i bambini del campo profughi di Yarmouk dalle zone di guerra e da condizioni precarie al limite della sopravvivenza, favorendo programmi solidaristici di accoglienza e affidamenti temporanei;
    i citati programmi solidaristici possono essere realizzati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, congiuntamente al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, tramite l'accoglienza temporanea in Italia di minorenni non aventi cittadinanza italiana o di altri Stati dell'Unione europea, attraverso l'attività di promozione operata da enti, associazioni o famiglie, seguiti da uno o più adulti con funzioni di sostegno, guida e accompagnamento;
    la realizzazione di tali programmi potrà avvenire sulla base della normativa prevista dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 dicembre 1999, n. 535, che ha definito i compiti del «Comitato minori stranieri», affinché venga garantita la tutela dei minorenni accolti in Italia nell'ambito di programmi solidaristici in linea con quanto dichiarato dalla Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza del 20 novembre 1989;
    la permanenza in Italia di breve durata potrà avvalersi dell'esperienza positiva, realizzata dal 1993; tramite l'accoglienza dei bambini vittime delle conseguenze della nube tossica di Chernobyl e residenti nelle zone contaminate della Bielorussia,

impegna il Governo:

   a mettere in atto a livello internazionale, nel più breve tempo possibile, tutte le azioni necessarie per ridurre il livello della violenza in Siria per porre le premesse di un processo politico inclusivo nel Paese che possa anche facilitare il compito di arginare questa tragedia che coinvolge anche tanti bambini e adolescenti, prendendo immediati contatti con enti e associazioni che già operano sul territorio;
   ad intensificare in tutte le pertinenti sedi internazionali le iniziative più appropriate, anche mediante la creazione di corridoi umanitari e programmi di accoglienza, destinate ai bambini di Yarmouk e alle centinaia di minori che sono profughi in Libano, ostaggi del terrorismo;
   a promuovere permanenze temporanee in Italia dei bambini profughi da Yarmouk, assumendo come riferimento le modalità degli affidamenti temporanei, già sperimentati con successo in occasione dell'accoglienza dei bambini di Chernobyl da parte delle famiglie italiane.
(1-00785)
(Nuova formulazione) «Iori, Sberna, Binetti, Daniele Farina, Locatelli, Pinna, Tidei, Antezza, Carra, Cimbro, Fossati, Gadda, Gasparini, Giacobbe, Gribaudo, Iacono, Incerti, Laforgia, Maestri, Malisani, Martelli, Romanini, Villecco Calipari, Zampa, Giovanna Sanna, Bazoli, Lodolini, Roberta Agostini, Senaldi, La Marca, Piccione, Patriarca, Rotta, Scuvera, Bergonzi, Piccoli Nardelli, Miotto, Zanin, Franco Bordo, Antimo Cesaro, Rabino, Albanella, Piazzoni, Dorina Bianchi, Buttiglione, De Mita, Cera, Marchi, Carnevali, Valeria Valente, Duranti, Carloni».


   La Camera,
   premesso che:
    il campo profughi palestinese di Yarmouk, che dista qualche chilometro dal centro di Damasco, è diventato dal 1o aprile 2015 teatro di battaglia tra i jihadisti del sedicente Stato Islamico (Is) e del gruppo radicale al-Nusra; secondo fonti locali i terroristi controllerebbero ormai il 90 per cento del campo; risulta che i ribelli entrati nella parte sud del campo, aiutati da gruppi ribelli all'interno dello stesso, abbiano sposato la causa di Daesh (l'acronimo arabo per lo Stato islamico dell'Iraq e del Levante noto come Is), riuscendo in questo modo a compattare i diversi piccoli gruppi di ribelli;
    il campo è stato costruito dopo la guerra tra arabi e israeliani, con la cacciata di decine di migliaia di palestinesi dalle proprie terre e case, nel 1948; prima dell'inizio della guerra civile in Siria, a Yarmouk vivevano circa 150.000 palestinesi ed era una vera e propria città con le sue moschee, le sue scuole e i suoi edifici pubblici. Il numero dei residenti, poi, è calato quando la vita a Yarmouk è peggiorata a causa della recrudescenza e della crudeltà della guerra in Siria, in particolare da quando nel 2012 l'esercito e i ribelli hanno iniziato a contendersi la zona;
    da varie fonti di stampa, risulta che nel campo profughi siano attualmente tenuti in ostaggio almeno 3.500 bambini e oltre 10.000 adulti e molti di loro soffrono di disabilità, senza cibo né acqua o medicine; tra l'altro, si rincorrono voci circa la possibilità che vi siano state anche esecuzioni sommarie e non si hanno ancora notizie certe del numero di morti per combattimento;
    tale drammatica situazione è stata paventata dall'Unicef come una nuova Srebrenica, città tristemente nota poiché, nella zona protetta che si trovava in quel momento sotto la tutela delle Nazioni Unite, migliaia di musulmani bosniaci furono uccisi l'11 luglio 1995 da parte delle truppe serbo-bosniache guidate dal generale Ratko Mladic, con l'appoggio dei gruppi paramilitari guidati da Zeljko Raznatovic;
    il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha già chiesto che sia consentito l'accesso alle varie agenzie umanitarie per assicurare la protezione dei civili, l'assistenza umanitaria e salvare vite umane, come ha spiegato l'ambasciatrice giordana, Dina Kawar, il cui Paese ha la presidenza di turno;
    è, dunque, in corso una tragedia umana, oltre i confini di Israele, che pure dovrebbe fare la propria parte in questo sforzo internazionale, ad esempio concedendo all'Anp di accogliere una parte dei profughi di Yarmouk, visto che quasi venti mila profughi palestinesi sono intrappolati all'interno di un Paese dilaniato da 5 anni di guerra civile, assediati dalla ferocia di cellule estremiste;
    aerei dell'aviazione siriana hanno già bombardato l'accampamento di profughi palestinesi e siriani un paio di anni fa all'inizio del conflitto; gravi sono le responsabilità del regime di Al Assad nell'aver fatto deteriorare la situazione umanitaria a Yarmouk, costringendo decine di migliaia di persone a abbandonarla;
    il Commissario generale dell'Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione per i rifugiati palestinesi (Unrwa), Pierre Krahenbuhl, ha dichiarato che i civili intrappolati nel campo profughi sono «più disperati che mai, la situazione si è capovolta (...) al di là del disumano. In questo momento è semplicemente troppo pericoloso entrare a Yarmouk»;
    i rifugiati palestinesi provenienti dalla Siria non godono degli stessi diritti dei rifugiati siriani, in quanto non sono formalmente riconosciuti come cittadini di un altro Stato, ma alla stregua dei palestinesi già presenti storicamente in Paesi come il Libano e la Giordania;
    dal 1948 i rifugiati palestinesi sono «assistiti» dall'Unrwa (che, tuttavia, per insufficienza dei fondi, non è in grado di fare molto) e si pone il problema di superare quella che appare ormai una vetusta organizzazione e dare, invece, pari dignità con gli altri rifugiati all'interno del sistema dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati,

impegna il Governo:

   a farsi promotore, di concerto con la comunità internazionale, di una forte iniziativa tesa alla protezione dei rifugiati palestinesi e alla loro eventuale evacuazione dal campo di Yarmouk, anche attraverso l'attivazione di corridoi umanitari sotto l'egida della Croce rossa internazionale;
   ad agire su tutti gli attori regionali in campo, compresi i Paesi confinanti, per giungere a un cessate-il-fuoco tra le parti in modo da rendere praticabile l'aiuto umanitario;
   a sostenere ogni iniziativa volta all'ospitalità di bambini palestinesi nelle strutture in Italia, alla stregua di quanto già fatto positivamente in passato, in altre occasioni drammatiche, nonché a predisporre l'eventuale cura dei feriti provenienti dai campi presso gli ospedali italiani;
   a chiedere il pieno riconoscimento delle pari dignità dei rifugiati palestinesi con gli altri rifugiati dentro il sistema di protezione previsto dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati in funzione del superamento dell'ormai obsoleta Unrwa;
   a valorizzare la rinnovata attenzione della comunità internazionale sul dramma che si sta consumando in Siria per stimolare la stessa e tutti gli attori interessati al fine di rendere finalmente concreto e credibile il non più rinviabile processo di pace in quella regione.
(1-00792) «Manlio Di Stefano, Grande, Spadoni, Scagliusi, Sibilia, Del Grosso, Di Battista».


   La Camera,
   premesso che:
    il campo profughi palestinese di Yarmouk, che dista qualche chilometro dal centro di Damasco, è diventato dal 1o aprile 2015 teatro di battaglia tra i jihadisti del sedicente Stato Islamico (Is) e del gruppo radicale al-Nusra; secondo fonti locali i terroristi controllerebbero ormai il 90 per cento del campo; risulta che i ribelli entrati nella parte sud del campo, aiutati da gruppi ribelli all'interno dello stesso, abbiano sposato la causa di Daesh (l'acronimo arabo per lo Stato islamico dell'Iraq e del Levante noto come Is), riuscendo in questo modo a compattare i diversi piccoli gruppi di ribelli;
    il campo è stato costruito dopo la guerra tra arabi e israeliani, con la cacciata di decine di migliaia di palestinesi dalle proprie terre e case, nel 1948; prima dell'inizio della guerra civile in Siria, a Yarmouk vivevano circa 150.000 palestinesi ed era una vera e propria città con le sue moschee, le sue scuole e i suoi edifici pubblici. Il numero dei residenti, poi, è calato quando la vita a Yarmouk è peggiorata a causa della recrudescenza e della crudeltà della guerra in Siria, in particolare da quando nel 2012 l'esercito e i ribelli hanno iniziato a contendersi la zona;
    da varie fonti di stampa, risulta che nel campo profughi siano attualmente tenuti in ostaggio almeno 3.500 bambini e oltre 10.000 adulti e molti di loro soffrono di disabilità, senza cibo né acqua o medicine; tra l'altro, si rincorrono voci circa la possibilità che vi siano state anche esecuzioni sommarie e non si hanno ancora notizie certe del numero di morti per combattimento;
    tale drammatica situazione è stata paventata dall'Unicef come una nuova Srebrenica, città tristemente nota poiché, nella zona protetta che si trovava in quel momento sotto la tutela delle Nazioni Unite, migliaia di musulmani bosniaci furono uccisi l'11 luglio 1995 da parte delle truppe serbo-bosniache guidate dal generale Ratko Mladic, con l'appoggio dei gruppi paramilitari guidati da Zeljko Raznatovic;
    il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha già chiesto che sia consentito l'accesso alle varie agenzie umanitarie per assicurare la protezione dei civili, l'assistenza umanitaria e salvare vite umane, come ha spiegato l'ambasciatrice giordana, Dina Kawar, il cui Paese ha la presidenza di turno;
    è, dunque, in corso una tragedia umana, oltre i confini di Israele, che pure dovrebbe fare la propria parte in questo sforzo internazionale, ad esempio concedendo all'Anp di accogliere una parte dei profughi di Yarmouk, visto che quasi venti mila profughi palestinesi sono intrappolati all'interno di un Paese dilaniato da 5 anni di guerra civile, assediati dalla ferocia di cellule estremiste;
    aerei dell'aviazione siriana hanno già bombardato l'accampamento di profughi palestinesi e siriani un paio di anni fa all'inizio del conflitto; gravi sono le responsabilità del regime di Al Assad nell'aver fatto deteriorare la situazione umanitaria a Yarmouk, costringendo decine di migliaia di persone a abbandonarla;
    il Commissario generale dell'Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione per i rifugiati palestinesi (Unrwa), Pierre Krahenbuhl, ha dichiarato che i civili intrappolati nel campo profughi sono «più disperati che mai, la situazione si è capovolta (...) al di là del disumano. In questo momento è semplicemente troppo pericoloso entrare a Yarmouk»;
    i rifugiati palestinesi provenienti dalla Siria non godono degli stessi diritti dei rifugiati siriani, in quanto non sono formalmente riconosciuti come cittadini di un altro Stato, ma alla stregua dei palestinesi già presenti storicamente in Paesi come il Libano e la Giordania;
    dal 1948 i rifugiati palestinesi sono «assistiti» dall'Unrwa (che, tuttavia, per insufficienza dei fondi, non è in grado di fare molto) e si pone il problema di superare quella che appare ormai una vetusta organizzazione e dare, invece, pari dignità con gli altri rifugiati all'interno del sistema dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati,

impegna il Governo:

   a farsi promotore, di concerto con la comunità internazionale, di una forte iniziativa tesa alla protezione dei rifugiati palestinesi e alla loro eventuale evacuazione dal campo di Yarmouk, anche attraverso l'attivazione di corridoi umanitari sotto l'egida della Croce rossa internazionale;
   ad agire su tutti gli attori regionali in campo, compresi i Paesi confinanti, per giungere a un cessate-il-fuoco tra le parti in modo da rendere praticabile l'aiuto umanitario;
   a sostenere ogni iniziativa volta all'ospitalità di bambini palestinesi nelle strutture in Italia, alla stregua di quanto già fatto positivamente in passato, in altre occasioni drammatiche, nonché a predisporre l'eventuale cura dei feriti provenienti dai campi presso gli ospedali italiani;
   a chiedere il pieno riconoscimento delle pari dignità dei rifugiati palestinesi con gli altri rifugiati dentro il sistema di protezione previsto dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati;
   a valorizzare la rinnovata attenzione della comunità internazionale sul dramma che si sta consumando in Siria per stimolare la stessa e tutti gli attori interessati al fine di rendere finalmente concreto e credibile il non più rinviabile processo di pace in quella regione.
(1-00792)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Manlio Di Stefano, Grande, Spadoni, Scagliusi, Sibilia, Del Grosso, Di Battista».


   La Camera,
   premesso che:
    il 1o aprile 2015 la televisione libanese Al Mayadin ha informato il mondo intero del fatto che miliziani del sedicente Stato islamico avevano raggiunto il campo profughi palestinese di Yarmouk, inaugurato nel lontano 1948 e situato alle porte di Damasco, dove risiedono circa 15 mila persone;
    si ricorda come la protezione dei rifugiati palestinesi fosse un elemento importante della posizione internazionale adottata dal regime siriano degli Assad, sempre attento a presentarsi ufficialmente come un campione della cosiddetta «resistenza» (all'occupazione israeliana), intrattenendo rapporti privilegiati prima con l'Olp e poi anche con l'organizzazione rivale denominata Hamas, costola della Fratellanza musulmana a Gaza ed alleata dell'Iran;
    all'attacco condotto dai miliziani dello Stato islamico contro il campo profughi di Yarmouk hanno fatto seguito decapitazioni e violenze di varia natura, nonché lo scoppio di una gravissima crisi umanitaria, le cui prime vittime sono i circa 3.500 bambini rimasti nella struttura occupata dai miliziani dello Stato islamico, oltre alle centinaia di civili che avrebbero già perso la vita, mille secondo il deputato arabo-israeliano Ahmed Tibi;
    si esprimono perplessità sui reali obiettivi dell'attacco sferrato dal sedicente califfato contro il campo profughi di Yarmouk, potendo teoricamente esserne bersagli tanto i simpatizzanti di Hamas, significativamente numerosi nella struttura, quanto quelli dell'Olp e lo stesso regime di Damasco, per ragioni naturalmente differenti;
    si stigmatizza la circostanza che, una volta di più, ad infliggere sofferenze ingiustificate al popolo palestinese siano proprio le forze ed i movimenti che alla sua condizione fanno riferimento per reclutare giovani da mandare al macello contro l'Occidente ed i suoi alleati in Medio Oriente;
    si rileva, altresì, la dichiarata e sospetta indisponibilità dell'Olp a tentare la riconquista manu militari del campo profughi di Yarmouk, espressa con una nota pubblicata il 10 aprile 2015, appena 24 ore dopo un annuncio del tutto differente reso dall'inviato del Presidente palestinese Abu Mazen nell'area, Ahmad Majdalani, che aveva parlato di 14 fazioni pronte all'azione contro lo Stato islamico;
    si richiamano le notizie di origine saudita, secondo le quali Ayman al-Zawahiri avrebbe recentemente autorizzato i membri di al-Qaeda a collaborare con il sedicente Stato islamico, cosa che in Siria comporterebbe la ripresa della cooperazione organica tra al-Nusra e gli adepti del califfato, proprio mentre in chiave anti-sciita ed anti-iraniana si osserva in Yemen una significativa convergenza tra l'Arabia Saudita, il Qatar e la Turchia;
    le sopra menzionate potenze regionali del Medio Oriente sono, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, in grado di esercitare efficaci pressioni sul sedicente Stato islamico ed i suoi partner ed alleati, inducendolo a ritirarsi invece di dare battaglia,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative affinché i Governi di Arabia Saudita, Qatar e Turchia condannino senza riserve quanto sta accadendo a Yarmouk, esercitando, altresì, sui vertici del sedicente Stato islamico ed i suoi partner ed alleati tutta la pressione indispensabile ad ottenerne un cambio di atteggiamento;
   a riconsiderare anche i termini ufficiali della posizione del Paese nei confronti delle parti belligeranti in Siria;
   a confermare l'offerta di sostegni umanitari alla popolazione del campo di Yarmouk, una volta che sarà possibile assicurarne in sicurezza il trasporto e la consegna agli interessati, evitando nel frattempo di concorrere con truppe italiane all'eventuale apertura di corridoi umanitari che potrebbero essere presto interrotti senza preavviso da forze preponderanti.
(1-00799) «Gianluca Pini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    il campo profughi di Yarmouk, sobborgo di Damasco di poco più di due chilometri quadrati popolato per la grandissima maggioranza da profughi palestinesi e situato a circa 8 chilometri, dal centro della capitale, risale al 1957 e prima dell'attuale conflitto ospitava poco meno di 115.000 persone;
    il distretto di Yarmouk nel complesso era abitato da circa 500.000 persone, di cui 180.000 palestinesi e il resto turcomanni, circassi e siriani poveri ed è zona di guerra dal 2012, quando si registrarono i primi violenti combattimenti tra i ribelli e le forze governative che videro vari gruppi di palestinesi schierarsi da una parte e dall'altra, soprattutto con il Free Syrian Army e con il gruppo filogovernativo PFLP-GC (Popular Front for the Liberation of Palestine – General Command) associato a Hezbollah;
    tra le fazioni in lotta ben presto emerse il gruppo islamista al-Nusra e le forze di Assad decisero di rinunciare alla riconquista del sobborgo e di isolarlo, cingendolo d'assedio e colpendolo solo con l'artiglieria e attacchi aerei che resero impossibile per mesi entrare o uscire da Yarmouk provocando la morte di stenti di numerosi abitanti;
    successivamente, la morsa si è a tratti allentata, consentendo alla maggioranza dei rifugiati di fuggire nei sobborghi vicini e agli aiuti dell'Onu di giungere nel campo profughi, ma, quando le milizie dell'Isis sono entrate nel campo nel mese di marzo 2015, tramite il confinante quartiere di Hajar al-Aswad (zona sud), i profughi erano ancora circa 18.000 a Yarmouk;
    l'invasione del campo profughi è avvenuta grazie al fatto che alcuni miliziani palestinesi di gruppi ribelli anti-governativi sono passati all'Isis per ragioni di convenienza e, comunque, le milizie indicate come Isis in realtà sono probabilmente le stesse di al-Nusra che in virtù dell'alleanza con il «Califfato» ne hanno adottato il modus operandi;
    l'Isis e al-Nusra non hanno mai avuto il controllo totale di Yarmouk perché hanno incontrato la resistenza delle milizie palestinesi filo-governative, soprattutto il PFLP-GC, ma hanno occupato ampie zone del campo compiendo efferatezze di ogni genere;
    la risposta delle forze di Assad non si è fatta attendere, ma i bombardamenti hanno colpito anche i profughi e anche l'ultimo ospedale da campo rimasto attivo è stato distrutto;
    gli aiuti dell'Onu non riescono più a raggiungere il campo di Yarmouk e la popolazione è nuovamente in gravi difficoltà e dei 18.000 abitanti del campo profughi (di cui circa 3.500 bambini) solo alcune centinaia sono riuscite a uscire, mentre gli altri sono rimasti bloccati all'interno a causa dei combattimenti;
    l'apertura di un corridoio umanitario, almeno dalla parte del campo controllata dalle forze filo-governative rappresenta, dunque, una priorità assoluta e l'istituzione di un cessate il fuoco è molto difficile da negoziare, ma le forze governative e il PFLP-GC potrebbero essere in grado di garantire un minimo di cornice di sicurezza, sufficiente ad avviare l'evacuazione di almeno parte di Yarmouk;
    l'Unrwa (United nations relief and work agency) attualmente sta sostenendo i profughi fuoriusciti da Yarmouk a partire dall'inizio del conflitto e spostatisi nei vicini sobborghi a est e sud-est del campo (Yalda, Babila e Beit Shamm) e nella periferia a nord-est (Tadamoun) e l'agenzia Onu è ormai l'unica fonte di acqua potabile, cibo e cure mediche per gli sfollati;
    nella sola Yalda l'Unrwa riesce per ora a fornire ogni giorno 10.000 litri d'acqua potabile e 1.200 casse di pane e a medicare circa 200 pazienti nel punto medico mobile appositamente allestito, ma tali sforzi non sono ancora sufficienti dal momento che nel 2014 l'agenzia è riuscita a distribuire in media purtroppo soltanto 400 calorie per persona al giorno, contro le 2000 necessarie per un adulto e il 16 per cento dei bambini sotto i 5 anni risulta già afflitto da malnutrizione grave;
    l'Unrwa ha emesso una richiesta urgente di fondi con l'obiettivo di raccogliere almeno 30 milioni di dollari necessari a proseguire il sostegno umanitario ai circa 470.000 profughi palestinesi rimasti in Siria, per lo più nella zona di Damasco, altrimenti a partire da giugno 2015 non sarà più possibile mantenere l'attuale livello di fornitura di servizi minimi di sostegno umanitario;
    l'Unrwa ha sottolineato di aver ottenuto solo il 15 per cento dei fondi previsti per il 2015,

impegna il Governo:

ad assumere iniziative per provvedere allo stanziamento di una somma congrua destinata a finanziare la United nations relief and work agency (Unrwa) per permettere alla stessa di proseguire nel sostenere i profughi palestinesi rimasti in Siria e a promuovere pressioni diplomatiche di Italia e Unione europea verso il Governo siriano affinché si impegni a collaborare con le agenzie dell'Onu presenti per aprire un corridoio umanitario.
(1-00840) «Artini, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Mucci, Prodani, Rizzetto, Rostellato, Segoni, Turco».


   La Camera,
   premesso che:
    il campo di Yarmouk, sito appena otto chilometri fuori Damasco, è un campo profughi non ufficiale che accoglie la più grande comunità di rifugiati palestinesi in Siria;
    istituito nel 1957 su di un'area poco più grande di due chilometri quadrati il campo di Yarmouk nei primi anni del duemila era arrivato a ospitare oltre centodiecimila persone, ed era dotato delle infrastrutture primarie, di scuole, ospedali e programmi di assistenza realizzati da diverse agenzie dell'ONU;
    il campo di Yarmouk è altresì assistito dall'Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione per i rifugiati palestinesi (UNRWA, istituita dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1949 con il mandato di proteggere e sostenere i rifugiati palestinesi fornendo servizi per l'educazione, la cura della salute, servizi sociali, le infrastrutture dei campi e programmi di microfinanza;
    durante la guerra civile che ha insanguinato la Siria a partire dagli ultimi mesi del 2011, il campo di Yarmouk è stato oggetto di feroci scontri tra le forze in conflitto, ed è passato sotto il controllo di diverse fazioni ed è stato privato dei rifornimenti di cibo, medicinali e materiali vari, determinando fame, malattie e un elevato tasso di mortalità che ha convinto molti a lasciare il campo, i cui residenti alla fine del 2014 erano ridotti a circa ventimila persone;
    negli ultimi due anni circa diciottomila persone hanno basato la loro sopravvivenza sugli aiuti dell'ONU, ma, secondo le informazioni rese note dall'UNRWA, già nel 2014 l'Agenzia è riuscita a distribuire cibo solo per 131 giorni;
    il primo aprile 2015 il campo di Yarmouk è stato attaccato dai miliziani dell'Is, il gruppo terroristico islamista che combatte per istituire lo Stato Islamico dell'Iraq e della Siria, e già il giorno successivo i guerriglieri ne avevano assunto il completo controllo;
    l'occupazione del campo e gli scontri che ne sono seguiti hanno costretto le Nazioni Unite a sospendere la consegna del cibo alla popolazione, e attualmente le persone rimaste nel campo cercano di sopravvivere in condizioni drammatiche: senza cibo, acqua ed elettricità, e senza assistenza medica dopo che l'ospedale è stato distrutto e i medici che vi prestavano servizio sono fuggiti;
    inoltre, l'occupazione da parte dei miliziani dell'Is è particolarmente brutale, e ai danni dei civili residenti nel campo si consumano quotidianamente violenze di ogni genere, culminate in numerose esecuzioni sommarie;
    particolare apprensione suscita la presenza nel campo di circa 3.500 bambini, sottoposti a privazioni di ogni genere e costretti ad assistere e a subire incredibili violenze;
    già con una nota pubblicata nei primissimi giorni dell'occupazione del campo da parte dell'Isis l'UNRWA aveva chiesto l'adozione con urgenza di azioni a tutela della popolazione civile di Yarmouk, evidenziando come l’escalation del conflitto stesse portando con sé la inevitabile drammatizzazione delle condizioni in cui si trovano i residenti del campo, e aveva rivolto un invito alle parti in causa a «cessare le ostilità che pongono la popolazione in una condizione di grave pericolo» e a «ritirarsi immediatamente dalle aree popolate da civili»;
    l'Italia ha messo a disposizione dell'UNRWA e dell'Unicef un contributo straordinario e urgente di un milione e mezzo di euro per svolgere attività di assistenza, sostegno e protezione umanitaria in favore dei residenti del campo, con particolare riguardo ai bambini;
    il 30 aprile 2015 l'UNRWA nel pubblicare un aggiornamento sulla situazione a Yarmouk ha nuovamente evidenziato come «la vulnerabilità dei civili rimane della massima gravità», e che senza che alla stessa Agenzia sia permesso l'accesso al campo non potranno essere soddisfatti neanche i più elementari bisogni per la loro sopravvivenza,

impegna il Governo:

   a promuovere le opportune iniziative in sede internazionale finalizzate alla creazione di corridoi umanitari attraverso i quali l'UNRWA e le altre organizzazioni internazionali possano fornire quanto necessario alla popolazione del campo e possano accedere allo stesso in condizioni di sicurezza;
   a fornire, attraverso la cooperazione allo sviluppo, ogni contributo, materiale e finanziario, necessario a sostenere le attività di protezione umanitaria a Yarmouk e in favore dei civili già fuggiti dal campo;
   a favorire in sede internazionale la realizzazione di interventi finalizzati ad evacuare i bambini che ancora si trovino all'interno del campo di Yarmouk, unitamente alle loro famiglie, anche promuovendo l'adozione di programmi di solidarietà e di affido temporaneo in altri Paesi al fine di un loro definitivo allontanamento dalle zone di guerra;
   a sostenere gli sforzi internazionali volti a ottenere la cessazione del conflitto in Siria, nonché a combattere il terrorismo internazionale.
(1-00846) «Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    il campo di Yarmouk, sito appena otto chilometri fuori Damasco, è un campo profughi non ufficiale che accoglie la più grande comunità di rifugiati palestinesi in Siria;
    istituito nel 1957 su di un'area poco più grande di due chilometri quadrati il campo di Yarmouk nei primi anni del duemila era arrivato a ospitare oltre centodiecimila persone, ed era dotato delle infrastrutture primarie, di scuole, ospedali e programmi di assistenza realizzati da diverse agenzie dell'ONU;
    il campo di Yarmouk è altresì assistito dall'Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione per i rifugiati palestinesi (UNRWA, istituita dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1949 con il mandato di proteggere e sostenere i rifugiati palestinesi fornendo servizi per l'educazione, la cura della salute, servizi sociali, le infrastrutture dei campi e programmi di microfinanza;
    durante la guerra civile che ha insanguinato la Siria a partire dagli ultimi mesi del 2011, il campo di Yarmouk è stato oggetto di feroci scontri tra le forze in conflitto, ed è passato sotto il controllo di diverse fazioni ed è stato privato dei rifornimenti di cibo, medicinali e materiali vari, determinando fame, malattie e un elevato tasso di mortalità che ha convinto molti a lasciare il campo, i cui residenti alla fine del 2014 erano ridotti a circa ventimila persone;
    negli ultimi due anni circa diciottomila persone hanno basato la loro sopravvivenza sugli aiuti dell'ONU, ma, secondo le informazioni rese note dall'UNRWA, già nel 2014 l'Agenzia è riuscita a distribuire cibo solo per 131 giorni;
    il primo aprile 2015 il campo di Yarmouk è stato attaccato dai miliziani dell'Is, il gruppo terroristico islamista che combatte per istituire lo Stato Islamico dell'Iraq e della Siria, e già il giorno successivo i guerriglieri ne avevano assunto il completo controllo;
    l'occupazione del campo e gli scontri che ne sono seguiti hanno costretto le Nazioni Unite a sospendere la consegna del cibo alla popolazione, e attualmente le persone rimaste nel campo cercano di sopravvivere in condizioni drammatiche: senza cibo, acqua ed elettricità, e senza assistenza medica dopo che l'ospedale è stato distrutto e i medici che vi prestavano servizio sono fuggiti;
    inoltre, l'occupazione da parte dei miliziani dell'Is è particolarmente brutale, e ai danni dei civili residenti nel campo si consumano quotidianamente violenze di ogni genere, culminate in numerose esecuzioni sommarie;
    particolare apprensione suscita la presenza nel campo di circa 3.500 bambini, sottoposti a privazioni di ogni genere e costretti ad assistere e a subire incredibili violenze;
    già con una nota pubblicata nei primissimi giorni dell'occupazione del campo da parte dell'Isis l'UNRWA aveva chiesto l'adozione con urgenza di azioni a tutela della popolazione civile di Yarmouk, evidenziando come l’escalation del conflitto stesse portando con sé la inevitabile drammatizzazione delle condizioni in cui si trovano i residenti del campo, e aveva rivolto un invito alle parti in causa a «cessare le ostilità che pongono la popolazione in una condizione di grave pericolo» e a «ritirarsi immediatamente dalle aree popolate da civili»;
    l'Italia ha messo a disposizione dell'UNRWA e dell'Unicef un contributo straordinario e urgente di un milione e mezzo di euro per svolgere attività di assistenza, sostegno e protezione umanitaria in favore dei residenti del campo, con particolare riguardo ai bambini;
    il 30 aprile 2015 l'UNRWA nel pubblicare un aggiornamento sulla situazione a Yarmouk ha nuovamente evidenziato come «la vulnerabilità dei civili rimane della massima gravità», e che senza che alla stessa Agenzia sia permesso l'accesso al campo non potranno essere soddisfatti neanche i più elementari bisogni per la loro sopravvivenza,

impegna il Governo:

   a promuovere le opportune iniziative in sede internazionale finalizzate alla creazione di corridoi umanitari attraverso i quali l'UNRWA e le altre organizzazioni internazionali possano fornire quanto necessario alla popolazione del campo e possano accedere allo stesso in condizioni di sicurezza;
   a fornire, attraverso la cooperazione allo sviluppo, ogni contributo, materiale e finanziario, necessario a sostenere le attività di protezione umanitaria a Yarmouk e in favore dei civili già fuggiti dal campo;
   a favorire in sede internazionale la realizzazione di interventi finalizzati ad assistere i bambini che ancora si trovino all'interno del campo di Yarmouk, unitamente alle loro famiglie, anche promuovendo l'adozione di programmi di solidarietà e di affido temporaneo in altri Paesi al fine di un loro definitivo allontanamento dalle zone di guerra;
   a sostenere gli sforzi internazionali volti a ottenere la cessazione del conflitto in Siria, nonché a combattere il terrorismo internazionale.
(1-00846)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro».


INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

Iniziative di competenza per la diffusione dell'utilizzo della posta elettronica certificata da parte della pubblica amministrazione, con particolare riferimento alla comunicazione tra quest'ultima e gli operatori economici – 3-01469

   GIGLI. Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   risulterebbe che a cinque anni dal suo varo non vi sia ancora un uso massivo della posta elettronica certificata da parte della pubblica amministrazione;
   questo fatto, evidentemente, rappresenta il vero ostacolo alla diffusione e al successo del nuovo strumento tra professionisti e imprese;
   soltanto Inps, Inail e camere di commercio, infatti, sembrano adottare frequentemente la posta elettronica certificata, mentre le altre amministrazioni si servono dei canali di comunicazione ordinari;
   su 2,3 milioni di professionisti solo 1,1 hanno attivato la posta elettronica certificata: medici, infermieri e giornalisti risultano tra i professionisti che non hanno adottato la posta elettronica certificata, mentre avvocati, commercialisti e notai sfiorano il 100 per cento di attivazioni. A livello territoriale si segnalano maggiori ritardi al Sud rispetto al resto d'Italia;
   si ricorda che le sanzioni previste per mancata attivazione sono praticamente irrilevanti: le società rischiano al massimo la sospensione della loro iscrizione al registro delle imprese per tre mesi, mentre per i professionisti si rinvia al regolamento del relativo ordine;
   la posta elettronica certificata consente di certificare l'invio, l'integrità, la consegna di documenti alla stregua della raccomandata con avviso di ricevimento, avendone anche il medesimo valore legale;
   pur non essendo obbligatorio nei rapporti con la pubblica amministrazione è chiaro che questo ritardo rappresenta un vulnus nella diffusione della rete digitale –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di agevolare la diffusione di questo importante canale di comunicazione soprattutto tra pubblica amministrazione ed operatori economici per realizzare quella modernizzazione della pubblica amministrazione perseguita dal Governo. (3-01469)


Iniziative per il reclutamento di dirigenti presso l'Agenzia delle entrate tramite l'utilizzo delle graduatorie in vigore relative ai concorsi per la qualifica di dirigente – 3-01470

   RIZZETTO. Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   è ormai noto che da anni vi sono migliaia di idonei di concorsi pubblici ancora in attesa di collocazione, pur avendo superato le prove concorsuali a cui hanno partecipato;
   addirittura si apprende che, invece di collocare gli idonei di concorsi da dirigente nella pubblica amministrazione, in quasi 15 anni, in agenzie pubbliche, quali sono l'Agenzia delle entrate e quella delle dogane, sono stati assegnati posti da dirigente con procedure assolutamente discrezionali, poi annullate poiché illegittime. A riguardo, è del febbraio 2015 la sentenza della Corte costituzionale (sentenza n. 37 del 2015) che ha dichiarato illegittimi 800 posti da dirigente nominati senza concorso;
   dunque, è paradossale che, da un lato, non si interviene per far scorrere le graduatorie di persone che hanno superato le prove di regolari concorsi pubblici e, dall'altro, ci sono enti pubblici che negli anni hanno assegnato posizioni vacanti attraverso procedure discrezionali a persone che non possedevano i requisiti curriculari richiesti;
   è stata rilasciata l'autorizzazione all'Agenzia delle entrate per l'assunzione di 219 unità di personale dirigente da parte del dipartimento della funzione pubblica con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 luglio 2014;
   dal monitoraggio effettuato dal dipartimento della funzione pubblica risultano 409 di vincitori ed idonei a concorsi per la qualifica di dirigente banditi da altre amministrazioni centrali;
   vi è la possibilità per le amministrazioni pubbliche di effettuare assunzioni utilizzando le graduatorie di pubblici concorsi approvate da altre amministrazioni, come previsto dall'articolo 3, comma 61, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 –:
   se e quali provvedimenti intenda adottare affinché attraverso la stipula di convenzioni tra le amministrazioni interessate venga disposto il reclutamento dei dirigenti presso l'Agenzia delle entrate attingendo dalle graduatorie in vigore di concorsi per la qualifica di dirigente.
(3-01470)


Iniziative relative al regolare collaudo delle opere e degli impianti realizzati per Expo Milano 2015 – 3-01471

   VALLASCAS, CARINELLI, DELL'ORCO, LIUZZI, DE LORENZIS, PAOLO NICOLÒ ROMANO, SPESSOTTO, NICOLA BIANCHI, NESCI, TRIPIEDI, COMINARDI, SORIAL, DE ROSA, CASO, PESCO, MANLIO DI STEFANO, BASILIO, CRIPPA, TONINELLI, PETRAROLI, ALBERTI e CORDA. Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dal 1o maggio al 31 ottobre 2015 è in programma Expo Milano 2015, Esposizione universale sull'alimentazione e la nutrizione sostenibile;
   l'evento, presentato come tra i più importanti mai realizzati sul tema, rappresenterà, così come riportato sul sito web dedicato, «una vetrina mondiale in cui i Paesi mostreranno il meglio delle proprie tecnologie per dare una risposta concreta a un'esigenza vitale: riuscire a garantire cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti i popoli, nel rispetto del pianeta e dei suoi equilibri»;
   l'area espositiva di Expo 2015 si estenderebbe per circa un milione di metri quadri, dove troverebbero posto, secondo lo stato dell'arte al 4 settembre 2014 pubblicato sul sito istituzionale www.passodopopasso.italia.it, 53 padiglioni self built, 9 cluster, 5 aree tematiche, un padiglione dedicato a associazioni e organizzazioni non governative. È prevista la partecipazione di 144 Paesi, con un dato previsionale sulle presenze di circa 20 milioni di visitatori;
   non ci sarebbero ulteriori aggiornamenti allo stato dell'arte precedentemente richiamato, ma diversi organi di stampa, a più riprese, avrebbero sottolineato i gravi ritardi nella conduzione e conclusione dei lavori, nella misura che è stata avanzata l'ipotesi che diverse strutture potrebbe essere inaugurate a evento iniziato;
   questo stato di cose sarebbe confermato dal bando da un milione e 100 mila euro indetto da Expo spa nel mese di aprile 2015 per «allestimento di quinte di camouflage», per mascherare le opere non terminate alla data del 1o maggio 2015;
   nello stesso sito istituzionale dell'Expo, nella sezione «cruscotto lavori», dove viene riportato l'elenco delle opere in programma con la previsione della fine lavori di ciascuna, sarebbero presenti opere la cui conclusione non solo è successiva all'inaugurazione dell'evento, ma si realizzerebbe ad evento abbondantemente iniziato;
   in questo contesto destano grave inquietudine le dichiarazioni del direttore del dipartimento prevenzione dell'azienda sanitaria locale di Milano, Susanna Cantoni, secondo la quale, così come riportato dalla stampa, mancando il tempo sufficiente per collaudare le opere, si procederà con il sistema dell'autocertificazione da parte di diversi progettisti, cui faranno seguito delle verifiche a campione;
   il collaudo, così come disposto dagli articoli 120 e 141 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante «Codice dei contratti pubblici di lavori servizi e forniture», e dal titolo X – collaudo dei lavori – articoli 215-238 del decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207, recante il regolamento di attuazione del codice dei contratti, è un atto necessario, obbligatorio per opere dal valore superiore ad un milione di euro e scritto, che ha l'obiettivo di verificare, prima dell'accettazione dell'opera, che il lavoro sia stato eseguito a regola d'arte, che vi sia corrispondenza tra quanto contabilizzato e quanto utilizzato e che le eventuali procedure espropriative siano state espletate;
   secondo quanto previsto dalla vigente normativa, non possono essere nominati collaudatori coloro che hanno preso parte alla progettazione, direzione lavori, sorveglianza, vigilanza, controllo dell'esecuzione dei lavori o hanno avuto nel triennio rapporti di lavoro o consulenze con l'appaltatore o subappaltatore, né tantomeno magistrati; se quanto riportato dalla stampa corrispondesse al vero, l'autocertificazione rilasciata dai progettisti risulterebbe a giudizio degli interroganti in pieno contrasto con quanto previsto dal codice degli appalti;
   il sistema delle autocertificazioni annunciato dal direttore del dipartimento prevenzione dell'azienda sanitaria locale di Milano determinerebbe una situazione inaccettabile nella quale il settore pubblico rinuncerebbe alla necessaria funzione di terzietà, di garanzia e trasparenza del collaudatore e, nel contempo, farebbe ricadere sui progettisti responsabilità che esulano dai loro ambiti di intervento e che, in molti casi, richiedono abilità, competenze e conoscenze professionali specifiche;
   tra le altre cose, si determinerebbe una contrazione del perimetro dello Stato per quanto concerne l'assunzione e la verifica delle responsabilità, in un contesto di completa trasparenza e chiarezza a favore del cittadino;
   analogamente grave risulterebbe l'affermazione in merito ai controlli a campione eseguiti successivamente all'autocertificazione che farebbe sorgere l'inquietante dubbio che alcuni lavori non verrebbero mai controllati, né attraverso un collaudo preventivo né attraverso un controllo, appunto, a campione;
   si verrebbe a determinare una situazione di inaccettabile e generale incertezza procedurale, non solo per il mancato collaudo delle strutture, ma anche per la mancata verifica e per il mancato collaudo del complesso sistema impiantistico a supporto dell'attività espositiva;
   nell'area espositiva, opereranno, infatti, oltre 200 ristoranti, che richiederanno un articolato sistema di gestione di acqua, scarichi, elettricità, fuochi, condizionatori, refrigerazione, conservazione e smaltimento degli alimenti, il cui funzionamento deve essere perfettamente testato, considerate le finalità dell'evento volto a tutelare e valorizzare qualità e genuinità degli alimenti;
   il sistema di collaudo con autocertificazione e verifica a campione verrebbe ulteriormente aggravato per tutte quelle situazioni in cui le modifiche in corso d'opera potrebbero aver creato delle discrepanze, anche profonde, tra elaborati progettuali e opere terminate;
   questo stato di cose determinerebbe, secondo gli interroganti, una situazione di generale incertezza e confusione procedurale sia nella produzione dell'autocertificazione da parte dei progettisti e sia nelle deliberazioni, con regime sanzionatorio da adottare, nel caso vengano riscontrate autocertificazioni indebitamente prodotte;
   i casi recenti di crolli e cedimenti di varia natura che hanno interessato opere pubbliche mettono in seria discussione l'azione e il ruolo di alcune amministrazioni pubbliche nella conduzione e nella verifica dei cantieri e richiamano la necessità di procedere con controlli più attenti e stringenti, nonché con una definizione chiara delle responsabilità dei soggetti interessati –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero e quali iniziative il Governo intenda adottare al fine di assicurare il regolare collaudo relativamente alle opere e agli impianti in funzione e di garantire la massima sicurezza dei visitatori e degli operatori. (3-01471)


Iniziative per il completamento della stazione alta velocità/alta capacità di Afragola e dei necessari interventi di collegamento con i sistemi metropolitani – 3-01472

   CASTIELLO e PALESE. Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel corso dei lavori parlamentari di conversione del decreto-legge cosiddetto «sblocca Italia», nella seduta della Camera dei deputati del 29 ottobre 2014, è stato accolto con il parere favorevole del Governo l'ordine del giorno n. 80, a firma dell'onorevole Castiello, con il quale si impegnava il Governo «ad adottare i necessari adeguamenti legislativi per estendere la competenza del commissario di Governo anche sulle opere di completamento del nodo di Napoli, in modo da dare certezza dei tempi per la conclusione delle procedure di affidamento dei lavori per il completamento della stazione alta velocità/alta capacità di Afragola e dei necessari interventi di collegamento della stessa con i sistemi metropolitani, anche attraverso l'adozione di progettualità nuove che tengano in considerazione il fitto reticolo ferroviario che attraversa la provincia di Napoli ed utilizzando, all'uopo, anche i disponibili finanziamenti europei e nazionali che sono stati collocati all'interno di accordi-quadro in precedenza sottoscritti tra Governo e regione Campania»;
   ad oggi non è dato conoscere le attività attivate dal Ministro interrogato per scongiurare il pericolo che la costruenda stazione dell'alta velocità di Afragola, al momento priva dei previsti collegamenti metropolitani programmati sia con la variante della linea Cancello/Napoli che con l'arretramento della linea della Circumvesuviana, diventi una «cattedrale nel deserto», non essendo collegata al sistema ferroviario regionale;
   a conclusione di un lungo iter procedurale sono stati assegnati – e si tratta della terza gara – i lavori per il completamento e la messa in esercizio della stazione alta velocità/alta capacità di Afragola;
   da notizie apprese dagli interroganti tramite la stampa locale sembrerebbe che l'attuale sindaco di Afragola sia interessato, attraverso il coinvolgimento di aziende di famiglia, al conferimento di una parte dei lavori – in subappalto – assegnati da Rete ferroviaria italiana spa al raggruppamento di imprese risultato vincitore della procedura di gara –:
   se il Ministro interrogato intenda confermare l'impegno del Governo per individuare, in tempi brevi, anche d'intesa con la regione Campania, una soluzione progettuale che garantisca, contestualmente all'avvio in esercizio ed al completamento dei lavori della stazione alta velocità/alta capacità di Afragola, i necessari ed indispensabili collegamenti metropolitani con il capoluogo e con la rete regionale, e se convenga sulla necessità di impedire, anche in collaborazione con l'Autorità nazionale anticorruzione e allertando la stazione appaltante, l'inopportuna concessione, in subappalto, di lavori ad aziende riconducibili alla famiglia dell'attuale sindaco di Afragola, sul cui territorio è in costruzione la più volte citata opera. (3-01472)


Iniziative per la deliberazione dello stato di emergenza per i territori del basso Piemonte colpiti da intensi eventi meteorologici tra novembre 2014 e marzo 2015 e misure per la messa in sicurezza del territorio – 3-01473

   RABINO. Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a partire dal mese di novembre 2014 il territorio della provincia di Cuneo è stato interessato da prolungate precipitazioni piovose, alle quali hanno fatto seguito nel mese di febbraio 2015 abbondanti nevicate anche a quote collinari;
   in particolare, le precipitazioni più intense con cumulate significative sono state registrate nei giorni 3-6 novembre 2014, soprattutto nella parte alta del bacino del fiume Tanaro, dove si sono verificati rilevanti incrementi dei livelli idrometrici che hanno localmente superato la soglia di pericolo;
   precipitazioni diffuse e persistenti, per le quali è stata diramata l'allerta meteo da parte del centro funzionale della regione Piemonte, sono proseguite per tutto il mese di novembre 2014, in particolare nei giorni dal 9 al 12 novembre 2014 e dal 28 novembre al 1o dicembre 2014;
   nel mese di febbraio 2015, invece, abbondanti nevicate si sono depositate sull'arco alpino e sui settori collinari della provincia di Cuneo, determinando, soprattutto nelle giornate del 4 e 5 febbraio 2015, una situazione di elevata criticità legata al rischio valanghe, così come segnalato dal bollettino di allerta diramato dal centro funzionale regionale;
   tale situazione ha determinato condizioni di generalizzata saturazione dei versanti che hanno reagito rapidamente alle recenti piogge del mese di marzo 2015, con rapido sviluppo di numerosi fenomeni franosi che hanno provocato gravi danni alle infrastrutture pubbliche ed hanno richiesto interventi urgenti per garantire la sicurezza di esercizio della viabilità;
   nel periodo dal 15 al 26 marzo 2015 diffuse precipitazioni hanno coinvolto, in particolare, la fascia alpina e prealpina sudoccidentale della regione, le pianure meridionali ed i rilievi collinari a sud del Po, determinando elevate condizioni di criticità sui versanti, accentuate dal contesto idrogeologico già compromesso dalle prolungate precipitazioni piovose del novembre 2014 e dalle abbondanti nevicate di inizio 2015;
   gli effetti al suolo hanno interessato una vasta porzione del territorio cuneese, risultando significativi nei settori delle Langhe, del Roero e del Monregalese, ove la tipologia di dissesto maggiormente diffusa è costituita da frane per fluidificazione delle coperture superficiali e da scivolamenti sia di tipo planare sia di tipo rotazionale allo stato incipiente, che si sono manifestati con la formazione di fratture, trincee, rigonfiamenti e marcate ondulazioni;
   lo sviluppo e la vasta diffusione di tali fenomeni, che hanno interferito in molti punti con le infrastrutture pubbliche (rete viaria provinciale e comunale), provocando danni ed interruzioni, è da mettersi in relazione con le citate condizioni di generale saturazione dei terreni, sui quali le ultime precipitazioni piovose hanno determinato condizioni di superamento dello stato limite per l'innesco;
   nel complesso l'intera viabilità di competenza della provincia di Cuneo ha registrato criticità legate soprattutto ai movimenti gravitativi che hanno interessato il sedime stradale ed hanno comportato l'attivazione del sistema di protezione civile con l'intervento dei vigili del fuoco, delle strutture tecniche comunali e provinciali e del volontariato di protezione civile;
   gran parte dei dissesti conseguenti a tali eventi costituiscono un aggravamento di analoghi fenomeni registrati in occasioni di calamità precedenti, in particolari di quelli derivanti dalle intense ed eccezionali avversità atmosferiche verificatesi nel corso del mese di aprile 2009 (per le quali era stato dichiarato lo stato di emergenza dalla Presidenza del Consiglio dei ministri), in riferimento ai quali erano stati eseguiti i soli ripristini di prima fase urgenti ma non gli interventi definitivi di mitigazione del rischio e messa in sicurezza per mancanza di specifiche risorse economiche;
   le avverse condizioni climatiche, sempre più frequenti, stanno mettendo a dura prova la tenuta idrogeologica di diverse aree della provincia cuneese e rendono necessari nell'immediato interventi per la messa in sicurezza del territorio e ripristino delle infrastrutture, con priorità per le zone più gravemente colpite, prevedendo stanziamenti adeguati per il contrasto al dissesto idrogeologico;
   il 31 marzo 2015 il presidente della provincia di Cuneo ha firmato la richiesta di riconoscimento dello stato di emergenza per le frane e i danni causati alla viabilità dal maltempo dei mesi scorsi –:
   se non sia opportuno procedere al più presto alla deliberazione, da parte del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, come modificata dal decreto-legge n. 59 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 100 del 2012, dello stato di emergenza per i territori del basso Piemonte colpiti dagli intensi eventi meteorologici tra novembre 2014 e marzo 2015 e se non sia necessario programmare interventi di somma urgenza per il ripristino dei collegamenti interrotti ed interventi strutturali di eliminazione del rischio idrogeologico e di ricostruzione e messa in sicurezza del territorio, ritenuti ormai indifferibili, destinando congrue risorse per far fronte all'emergenza alluvionale, ai gravi danni subiti e alle conseguenti opere di ripristino, nonché ad interventi di rimozione delle situazioni di pericolo e di prevenzione e mitigazione del rischio di dissesto idrogeologico. (3-01473)


Chiarimenti in ordine al trasferimento nel porto di Augusta (Siracusa) di rifiuti speciali provenienti dallo stabilimento Ilva di Taranto – 3-01474

   AMODDIO, BRATTI, BORGHI, BRAGA, GULLO, IACONO, ALBANELLA, ZAPPULLA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA, BINI, BURTONE, PICCIONE, CAPODICASA, BERRETTA e GRECO. Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 21 aprile 2015 è attraccata nel porto di Augusta la motonave Rita Br, di 6.699 tonnellate di stazza lorda, battente bandiera italiana ed iscritta al compartimento marittimo di Napoli, con un carico di circa 10.000 tonnellate di rifiuti speciali prodotti dall'acciaieria Ilva di Taranto; sembra si tratti del primo carico che sarà seguito da ulteriori migliaia di tonnellate di rifiuti speciali prodotti dalla suddetta acciaieria;
   i rifiuti scaricati nel porto megarese sono costituiti dal polverino, residuo dei fumi dell'altoforno trattenuto dagli elettrofiltri, che verranno smaltiti nella discarica Cisma, ubicata a metà strada tra i territori di Augusta e Melilli all'interno del sito di interesse nazionale di Priolo, un'area che viene chiamata il triangolo della morte per la presenza del petrolchimico più grande d'Europa e dove, come a Taranto, c’è un altissimo livello di mortalità;
   le associazioni ambientaliste sottolineano la carenza di chiarezza nella gestione delle polveri degli elettrofiltri, rilevando come nel provvedimento di sequestro dell'area a caldo dell’Ilva di Taranto si metteva in luce una gestione «dissennata e criminale» delle polveri degli elettrofiltri contenenti diossina, tanto che per l'Arpa Puglia le polveri dovevano essere smaltite in discariche per rifiuti pericolosi;
   il sito di interesse nazionale di Priolo Gargallo, istituito attraverso la legge n. 426 del 1998, si estende lungo la costa sud orientale della Sicilia, affacciandosi al mare per circa 30 chilometri, e comprende i comuni di Augusta, Priolo, Melilli e Siracusa;
   gli impianti presenti nell'area industriale sono prevalentemente di carattere chimico e petrolchimico, raffinerie dunque, ma anche cementerie, un inceneritore per rifiuti speciali pericolosi, centrali termoelettriche, un depuratore di reflui industriali, discariche, l'impianto dismesso di trattamento/lavorazione amianto della ex Eternit, l'impianto cloro-soda della ex Enichem e l'area portuale. Petrolio, metalli pesanti (mercurio e piombo), idrocarburi, cloruri, amianto, rilevanti quantità di ceneri di pirite sono le sostanze che maggiormente hanno contaminato il suolo e le acque, per non parlare della pessima qualità dell'aria, dovuta alle significative emissioni provenienti principalmente dal polo petrolchimico;
   non sono chiare le modalità che hanno determinato l'autorizzazione del trasferimento di tali rifiuti dalla Puglia alla Sicilia per smaltirli in un sito di interesse nazionale ad alto rischio ambientale, che avrebbe, al contrario, una necessità impellente e vitale di bonificare e di eliminare i propri rifiuti industriali, piuttosto che accogliere quelli di altri siti;
   la notizia dell'arrivo della nave carica di «veleni» ha suscitato preoccupazione ed indignazione soprattutto nella città di Augusta e da parte delle associazioni ambientaliste;
   in particolare, si teme che il territorio dei comuni di Augusta, di Priolo e Melilli diventi la discarica dei rifiuti provenienti dall'acciaieria Ilva o da altri siti industriali, determinando un netto peggioramento della qualità della vita della popolazione;
   nell'ultimo studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento: mortalità, incidenza oncologica e ricoveri ospedalieri – Sentieri 2014 – si rileva che, nell'area del sito di interesse nazionale di Priolo, l'incidenza dei tumori nel suo insieme, esclusi i tumori della pelle, è in eccesso in entrambi i generi. In particolare, sono in eccesso sia negli uomini sia nelle donne i tumori del fegato e del pancreas e il mesotelioma; i tumori del polmone, della vescica e del sistema nervoso centrale lo sono tra i soli uomini; nelle sole donne si sono osservati eccessi del tumore del colon-retto, della mammella e dell'utero –:
   quali siano stati i criteri di scelta e secondo quali norme legislative si sia consentito il trasferimento dei predetti rifiuti dalla Puglia alla Sicilia e quali iniziative il Ministro intenda assumere al fine di incentivare e procedere alla bonifica dell'area già fortemente inquinata e compromessa del triangolo industriale Priolo, Melilli, Augusta. (3-01474)


Iniziative per garantire la continuità produttiva dello stabilimento Prysmian di Ascoli Piceno – 3-01475

   RICCIATTI, SCOTTO, FERRARA, AIRAUDO e PLACIDO. Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo Prysmian è una realtà multinazionale che opera nel settore dei cavi e sistemi per l'energia e le telecomunicazioni. Il gruppo vanta nel 2013 un fatturato di circa 7 miliardi di euro e una presenza in 50 Paesi con 91 stabilimenti e circa 19.000 dipendenti, posizionandosi, in particolare, nella fascia di mercato a più elevato contenuto tecnologico;
   nel settore dell'energia, il gruppo Prysmian opera nel business dei cavi e sistemi terrestri e sottomarini per la trasmissione di energia, cavi speciali per applicazioni in diversi settori industriali e cavi di media e bassa tensione per le costruzioni edili e le infrastrutture, mentre per il settore delle telecomunicazioni produce cavi e accessori per la trasmissione di voce, video e dati, con fibra ottica, cavi ottici e in rame e sistemi di connettività;
   in Italia il gruppo opera attraverso la società Prysmian cavi e Sistemi Italia srl, con sede legale a Milano, in Viale Sarca 222;
   Prysmian produce in Italia negli stabilimenti di Merlino (Lodi), Giovinazzo (Bari), Pignataro Maggiore (Caserta), Livorno, Ascoli Piceno, Origgio (Varese) e Quattordio (Alessandria) cavi e accessori per la generazione, il trasporto e la distribuzione dell'energia elettrica; per il cablaggio di navi, per i sistemi di sollevamento, per treni e metropolitane; per le linee ferroviarie, per ascensori, per l'alimentazione e il controllo di impianti industriali, per le energie rinnovabili, come il fotovoltaico e l'eolico. Inoltre, Prysmian Italia è il centro di eccellenza per la progettazione, la vendita e la produzione di cavi ed accessori dedicati ad impianti petrolchimici e di estrazione, infrastrutture e piattaforme offshore;
   attraverso la società Prysmian powerLink srl, il gruppo produce – nello stabilimento di Arco Felice (Napoli) – cavi sottomarini, impiegati per la realizzazione dei più grandi collegamenti esistenti al mondo, mentre nell'ambito del business telecomunicazioni, Prysmian Italia opera sul mercato italiano ed estero con una struttura dedicata, la società Fibre ottiche Sud srl di Battipaglia (Salerno) è specializzata nella produzione di fibre ottiche;
   si tratta, quindi, di un'azienda ad alto contenuto tecnologico e con una consistente presenza in Italia, con fatturati in attivo e leadership nel settore riconosciuta a livello mondiale;
   il gruppo Prysmian group nel contratto di sviluppo 2014, presentato dall'agenzia Invitalia, ha presentato un progetto di investimento di 48 milioni di euro nei tre stabilimenti di Arco Felice (Napoli), Battipaglia (Salerno) e Pignataro Maggiore (Caserta), che prevede il miglioramento dell'efficienza della filiera produttiva dei cavi sottomarini, tramite utilizzo di nuove tecnologie e impianti innovativi, con agevolazioni pari a 32 milioni di euro circa, di cui 13 milioni di euro circa a fondo perduto e 19 milioni di euro circa in finanziamento agevolato, con il fine di salvaguardare ed incrementare l'occupazione;
   il 27 febbraio 2015 la società ha annunciato la propria volontà di chiudere lo stabilimento di Ascoli Piceno, che conta 120 dipendenti e dal quale dipendono numerose società dell'indotto piceno;
   il 29 aprile 2015, al tavolo tenutosi presso il Ministero dello sviluppo economico tra azienda, organizzazioni sindacali e istituzioni, Prysmian ha la ribadito la volontà di chiudere lo stabilimento di Ascoli Piceno, affermando di essere pure disposta a restituire i finanziamenti europei ricevuti per gli stabilimenti di Fos di Battipaglia e Arco Felice di Napoli. In particolare, la Prysmian, secondo quanto risulta, intende garantire investimenti in altri stabilimenti presenti in altre regioni dove sarebbe pronta a ricollocare i 120 dipendenti di Ascoli e la riunione si è, dunque, conclusa con l'impegno da parte del Governo a mantenere aperto il tavolo ministeriale fino al raggiungimento di una soluzione condivisa;
   in particolare, secondo fonti sindacali, il Governo avrebbe chiesto che si apra un confronto sul piano sociale per arrivare nelle prossime settimane a un accordo di programma per Ascoli con investimenti per la reindustrializzazione: piano rispetto al quale la Prysmian stessa dovrebbe essere chiamata a contribuire;
   ad avviso degli interroganti il rifiuto della Prysmian di ripensare il proprio piano industriale è da considerarsi sotto il profilo industriale e occupazionale del tutto inaccettabile. Si tratterebbe, infatti, di una decisione paradossale, visto che chiuderebbe proprio uno stabilimento che da sempre si è contraddistinto in termini di efficienza;
   il sito produttivo di Ascoli Piceno è il più efficiente del gruppo e da 15 anni circa registra il raggiungimento di tutti gli obiettivi di produzione;
   sono, inoltre, immaginabili, anche nel caso della ricollocazione in altri sedi, i gravi disagi che i 120 lavoratori dello stabilimento di Ascoli potrebbero dover affrontare. Si pensi soltanto all'ipotesi di trasferimento in altri stabilimenti situati a centinaia di chilometri di distanza dal luogo di residenza, che costringerebbe i lavoratori a riprogrammare la propria vita e quella delle proprie famiglie, sopportando ulteriori spese che contrarrebbero sensibilmente la loro disponibilità economica;
   si considerino pure le gravi ripercussioni economiche che ne deriverebbero su un territorio già colpito significativamente da crisi industriali. Il territorio piceno ha, infatti, visto negli ultimi sei anni una continua delocalizzazione delle multinazionali con la chiusura di importanti stabilimenti industriali, una perdita considerevole di posti di lavoro e l'incremento della disoccupazione –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per scongiurare la chiusura dello stabilimento di Ascoli Piceno – che sinora si è sempre distinto per l'elevata competitività nell'articolato panorama del gruppo – e impedire la conseguente desertificazione industriale e occupazionale che ne deriverebbe per l'intero territorio marchigiano. (3-01475)


Iniziative in relazione alla crisi dell'azienda motociclistica Aprilia – 3-01476

   CAUSIN. Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   è stato già avviato un confronto di carattere generale con il Governo relativamente alla crisi del settore motociclistico in Italia e, in particolare, dell’Aprilia dell'area miranese e della Riviera del Brenta;
   la situazione è in continua evoluzione e registra un trend negativo;
   negli ultimi anni il mercato motociclistico italiano è crollato da 500 a 250 mila pezzi venduti, con un crollo nel settore degli scooter del 50,5 per cento, delle moto del 45,3 per cento. Contestualmente il mercato europeo scende del 23,5 per cento nel settore scooter e del 24,4 per cento nelle moto, passando in 4 anni da 1,4 milioni di pezzi venduti ad 1 milione;
   nel primo quadrimestre 2013 il mercato Italia ha segnato altri dati preoccupanti: -36 per cento scooter e -20 per cento moto. Aprilia segna un trend negativo rispetto al mercato negli scooter di cilindrata superiore ai 50 centimetri cubici (-50 per cento contro il -36 per cento del mercato) e nelle moto (-30 per cento contro il -20 per cento del mercato): segna un dato positivo negli scooter 50 centimetri cubici (-30 per cento contro il -38 per cento del mercato);
   Aprilia è un'azienda motociclistica italiana fondata nel 1945 che fa parte del gruppo Piaggio e che occupa circa 720 lavoratori negli stabilimenti di Noale e Scorzè;
   Aprilia rappresenta per il territorio di Scorzè e Noale, e più in generale dell'area miranese, un'eccellenza industriale, un'azienda simbolo per i due comuni che ha saputo conquistare sempre maggiori fette del mercato degli scooter e del motociclo e importanti successi sportivi;
   nel corso di incontri con le organizzazioni sindacali, alla luce del negativo andamento del mercato della motocicletta, l'azienda ha messo sul piatto un piano di mobilità riguardante soprattutto lo stabilimento di Scorzè, consistente in un taglio di 150 lavoratori sui 360 in organico. Si tratta di una vera novità, visto che negli anni scorsi il provvedimento ha riguardato soprattutto il sito di Noale, dove gli esuberi oggi sarebbero 45 su altri 360 dipendenti;
   la riduzione di quasi 200 unità rappresenta, in pratica, la riproposizione dei tagli prospettati in passato e scongiurati grazie al buon esito della trattativa condotta con l'applicazione del contratto di solidarietà (in scadenza il 31 gennaio 2013), una soluzione individuata per scongiurare licenziamenti in una realtà di fabbrica in cui l'età media è molto bassa: il grosso dei dipendenti è sui quarant'anni, età critica per riuscire a trovare un'altra collocazione e troppo distante per predisporre un percorso verso il pensionamento;
   l'attività dell'azienda non è proprio stagnante, dal momento che tra qualche mese dovrebbero entrare in produzione alcuni nuovi modelli e che la Banca europea per gli investimenti e Piaggio hanno recentemente firmato un contratto da 60 milioni di euro per sostenere ricerca e sviluppo del gruppo –:
   quali urgenti iniziative, anche di carattere normativo, intenda porre in essere per affrontare la difficile situazione di crisi in Aprilia, eventualmente convocando urgentemente un tavolo di concertazione presso il Ministero dello sviluppo economico con le organizzazioni sindacali e rappresentative delle realtà produttive e degli enti locali interessati dell'area miranese e della Riviera del Brenta. (3-01476)


Iniziative in relazione alla vertenza Whirlpool e orientamenti con riguardo alle altre vertenze in corso – 3-01477

   GIORGIA MELONI, RAMPELLI e TAGLIALATELA. Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'11 luglio 2014 il gruppo Indesit ha reso noto la sottoscrizione di un accordo per la cessione alla multinazionale americana Whirlpool corporation del 66,8 per cento della propria partecipazione aziendale;
   il 25 luglio 2014 l'agenzia Invitalia, di proprietà del Ministero dell'economia e delle finanze, ha siglato un contratto di sviluppo con il gruppo Whirlpool che prevedeva un investimento di 31 milioni di euro, 10 dei quali finanziati dalla medesima agenzia, per il potenziamento dello stabilimento di Napoli;
   da tale potenziamento era atteso anche un incremento occupazionale che avrebbe dovuto portare il personale impiegato nello stabilimento da 540 a 588 dipendenti;
   il 16 aprile 2015 il gruppo Whirlpool ha annunciato un piano di riorganizzazione aziendale che prevede la chiusura del centro di ricerca di None e dello stabilimento di Carinaro in provincia di Caserta, all'interno del quale sono attualmente impiegati 815 dipendenti che rischiano di trovarsi senza occupazione da un momento all'altro;
   la vertenza Whirlpool è solo l'ultimo caso di crisi o riorganizzazioni aziendali che stanno determinando la perdita di migliaia di posti di lavoro, oltre a costituire un significativo depauperamento dei territori nei quali erano attivi i siti produttivi e di servizi;
   le procedure di dismissione, chiusura, cessione o addirittura delocalizzazione messe in atto da aziende nazionali e straniere in settori strategici per l'economia e lo sviluppo dei territori italiani, in particolar modo nelle regioni meridionali, e le conseguenti ricadute occupazionali stanno determinando, anche per la frequenza con la quale si stanno verificando, una vera e propria emergenza;
   basti citare a questo proposito la drammatica crisi delle acciaierie di Terni, la chiusura della sede di Ascoli Piceno del gruppo Prysmian, la delocalizzazione portata avanti nel settore dei call center della quale sono caduti vittime i lavoratori delle società Infocontact e Almaviva, la crisi che sta investendo grandi catene di supermercati quali Auchan e Mercatone Uno, la vertenza dei lavoratori di Meridiana e da ultimo a destare preoccupazione è arrivato il nuovo piano industriale di Finmeccanica che prevede la vendita di Alenia Aermacchi spa, oltre alla cessione di rami d'azienda, quali Ansaldo Breda e Ansaldo Sts ad imprenditori stranieri, e dal quale sono attesi la chiusura o il ridimensionamento di altri stabilimenti;
   molte delle aziende che stanno portando avanti le citate operazioni di dismissione, a dispetto della tutela dei lavoratori e della politica economica e industriale nazionale, hanno ricevuto finanziamenti dalle apposite agenzie governative, da regioni o da enti locali, senza realizzare in cambio i promessi incrementi produttivi ed occupazionali, ma, anzi, chiudendo gli stabilimenti non appena i finanziamenti erano esauriti –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere in particolare con riferimento alla vertenza Whirlpool e, in generale, con riferimento a tutte le altre vertenze attualmente in corso, al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e il tessuto produttivo nazionale. (3-01477)


Chiarimenti in merito alla presunta trattativa tra il Governo e i cosiddetti black bloc, ipotizzata da fonti di stampa in relazione ai gravi incidenti verificatisi a Milano il 1o maggio 2015 – 3-01478

   GIANLUCA PINI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   commentando a caldo i gravi incidenti occorsi a Milano il 1o maggio 2015 in coincidenza con la solenne inaugurazione dell'Expo 2015, Alessandro Sallusti ha ipotizzato che il comportamento accomodante tenuto dalle forze dell'ordine nei confronti delle «tute nere» del black bloc sia derivato dagli esiti di una trattativa intavolata dal Governo italiano con gli antagonisti;
   in pratica, secondo Sallusti, si sarebbe permesso ai black bloc di devastare interi quartieri di Milano in cambio della certezza di non avere vittime, evitando così una tragedia che avrebbe impresso all'inaugurazione dell'Expo 2015 una macchia indelebile;
   di qui, tra le altre cose, anche la decisione di vietare ai reparti delle forze di polizia qualsiasi contatto fisico con i manifestanti;
   a monte di queste scelte, vi sarebbe stato anche il timore di subire nuove censure internazionali dopo la condanna della Polizia di Stato italiana ad opera della Corte europea dei diritti dell'uomo, che il 7 aprile 2015 l'ha bollata come torturatrice per i fatti del G8 di Genova –:
   se davvero vi sia stata tra lo Stato e i black bloc una trattativa sulla sicurezza di Milano durante i sei mesi di durata dell'Expo 2015 e se ritenga che possa «tenere» alla luce di quanto effettivamente successo il 1o maggio 2015. (3-01478)


MOZIONI LUIGI DI MAIO ED ALTRI N. 1-00741, MELILLA ED ALTRI N. 1-00822, PALESE E OCCHIUTO N. 1-00824, MARCHI ED ALTRI N. 1-00825, RIZZETTO ED ALTRI N. 1-00826, GUIDESI ED ALTRI N. 1-00830 E MATARRESE ED ALTRI N. 1-00847 CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE A GARANTIRE AGLI ENTI LOCALI ADEGUATI TRASFERIMENTI DI RISORSE, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO A QUELLI NECESSARI PER L'ESPLETAMENTO DEI SERVIZI SOCIALI ESSENZIALI, ANCHE IN RELAZIONE ALLE DISPOSIZIONI DELLA LEGGE DI STABILITÀ PER IL 2015

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni i Governi centrali che si sono succeduti, nell'operare tagli per contenere la spesa pubblica, hanno di fatto strangolato l'economia degli enti locali;
    in un momento di difficoltà come quello che ha vissuto il nostro Paese negli ultimi anni è giusto che ognuno faccia la sua parte, nessuno escluso; inoltre, tale operazione ha provocato – in un primo momento ed entro certi limiti – un virtuoso contenimento delle spese inutili ed un taglio degli sprechi purtroppo molto presenti nella spesa pubblica del nostro Paese;
    tuttavia negli anni, e segnatamente con la legge di stabilità per il 2015 del Governo Renzi, si è giunti ad un livello di insostenibilità tale da pregiudicare seriamente le ormai già esigue spese dei bilanci comunali destinate al welfare, con particolare riferimento al sostegno delle fasce sociali più deboli;
    è chiaramente molto facile e demagogico vantarsi di ridurre la pressione fiscale tagliando i trasferimenti agli enti territoriali;
    occorre considerare che il comune è percepito da larghe fasce della popolazione come l'ente più vicino ai cittadini e il sindaco rappresenta una figura di riferimento, in quanto rappresentante dello Stato. Il sindaco è, soprattutto, l'ultimo baluardo in difesa dei diritti dei più deboli;
    i servizi sociali, infatti, da sempre assorbono la maggior parte delle risorse di cui dispongono i comuni (dopo le spese di personale e del servizio rifiuti): minori senza famiglia, anziani, disabili, emergenza casa. Sono tutte realtà alle quali i comuni cercano di dare una risposta;
    l'ammontare dei tagli significa una riduzione dei servizi che si ripercuote inevitabilmente sui più deboli; in una prima fase, infatti, gli amministratori hanno tagliato ciò che era importante, ma non fondamentale per la tenuta sociale: cultura, commercio, sport, viabilità, turismo e così via (si fa un gran parlare di cultura e turismo, ma quasi nulle sono ormai le risorse che i comuni riescono a destinare ogni anno agli assessorati competenti);
    negli ultimi 5 anni i comuni hanno visto ridursi le proprie risorse disponibili per la spesa corrente di oltre il 20 per cento: l'emergenza ora riguarda i servizi sociali ed educativi. Ormai i comuni non sono in grado neppure di garantire i servizi primari;
    un ulteriore elemento di difficoltà per i comuni è l'incertezza nella quale vengono costretti a lavorare, dal momento che ogni anno viene cambiata la fiscalità locale e le informazioni definitive sulle risorse di cui i comuni potranno disporre arrivano sempre ad anno ampiamente iniziato. Ciò rende del tutto aleatorio, se non impossibile, strutturare una programmazione seria e pluriennale e chiudere il bilancio preventivo entro la data prevista dalla legge, ovvero il 31 dicembre;
    i sindaci si sono ritrovati soli e hanno provato a protestare come potevano, per cercare di far capire ai cittadini cosa stava accadendo, così come accaduto;
    solo per fare tre piccoli esempi, il comune di Isola Rizza, 3.300 abitanti in provincia di Verona, ha deciso di chiudere per tre giorni, in segno di protesta, le porte del municipio. Il sindaco vuole fare capire come la misura sia ormai colma;
    l'Anci Sicilia ha organizzato una serie di dimostrazioni di protesta: il 29 gennaio 2015 oltre 390 comuni hanno spento le luci dalle 19 alle 19.05, mentre il 9 febbraio 2015 oltre 200 consigli comunali della regione siciliana hanno approvato – tutti nella medesima data – una risoluzione nella quale si chiedeva al Governo centrale di: costituire un tavolo permanente di concertazione tra Stato, regione siciliana e comuni dell'isola per affrontare la grave crisi finanziaria; modificare la norma che ha rivisto il regime di esenzioni dall'IMU per i terreni agricoli, con particolare riferimento all'imposta relativa al 2014; contenere i tagli a valere sul fondo di solidarietà nazionale; rendere più flessibili le regole relative al patto di stabilità, anche al fine di favorire, laddove possibile, le spese per investimenti; prevedere misure che, anche in relazione all'attuazione dell'armonizzazione contabile dei bilanci, possano far fronte al crescente fenomeno di comuni che dichiarano il dissesto finanziario; rivedere la norma che ha previsto il definanziamento dei fondi per la politica agricola comune;
    nella legge di stabilità per l'anno 2015 dei 16,6 miliardi di euro di tagli di spesa, ben il 49 per cento, ovvero 8,1 miliardi, sono a carico di comuni, province e regioni: si tratta di una quota decisamente superiore al peso che le amministrazioni locali hanno sul totale della spesa pubblica (29 per cento). Volendo fare un confronto, i tagli alle amministrazioni locali è pari al quadruplo di quanto tagliato ai ministeri (2 miliardi di euro nel 2015);
    il contributo maggiore è quello richiesto alle regioni (4 miliardi di euro), laddove 1,2 miliardi di euro è il taglio del fondo di solidarietà comunale e 1 miliardo di euro (che salirà a 2 miliardi nel 2016 e 3 miliardi dal 2017) è il contributo richiesto alle province e città metropolitane; nella valutazione occorre considerare anche i tagli decisi dal 2015 con il decreto-legge n. 66 del 2014;
    gli enti locali in questa fase debbono anche far fronte all'avvio del fondo per i crediti di dubbia esigibilità, previsto dall'armonizzazione contabile, che equivale ad un taglio di spesa 1,9 miliardi di euro annui a partire dal 2015 e rientra nel calcolo del saldo obiettivo ai fini del patto di stabilità;
    secondo quanto si legge a pagina VII della relazione della Corte dei conti sulla gestione finanziaria degli enti territoriali per l'esercizio 2013, depositata il 29 dicembre 2014, tali tagli «riducendo gravemente le possibilità di intervento e di gestione degli enti territoriali, hanno inciso profondamente sul grado di autonomia finanziaria e funzionale ad essi garantiti dal titolo V della Costituzione, rendendo necessaria l'adozione di strumenti idonei affinché i futuri interventi di contenimento della spesa assicurino mezzi di copertura finanziaria in grado di salvaguardare il corretto adempimento dei livelli essenziali delle prestazioni, nonché delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali (...) Senza un più deciso e convinto sostegno alle politiche redistributive e di intervento compensativo volte a rimuovere le cause strutturali dei divari regionali che si frappongono allo sviluppo ed all'integrazione economica delle aree più marginalizzate del Meridione, i problemi di ritardo nell'infrastrutturazione territoriale non potranno che aggravarsi e gli ostacoli ad una maggiore crescita economica saranno più difficilmente contrastabili di fronte all'emergere di fattori di crisi prodotti dall'attuale fase recessiva e dalle inevitabili tensioni che ad essi si accompagnano»;
    e ancora, alle pagine 14 e 15 di detta relazione, si legge: «Dal quadro delle misure complessivamente adottate, deve dunque ritenersi che il patto di stabilità interno abbia costituito, in questi anni, lo strumento principe non solo per realizzare le finalità di finanziamento del debito pubblico e di consolidamento dei conti pubblici, ma anche per attuare un percorso di progressivo ridimensionamento delle funzioni di spesa delle autonomie territoriali e di quelle regionali in particolare. Attraverso l'imposizione di tetti di spesa e vincoli ai saldi di bilancio, il patto di stabilità interno ha realizzato, a valere sulle finanze degli enti territoriali, economie per complessivi 33,4 miliardi di euro, parte delle quali si sono tradotte in corrispondenti tagli ai trasferimenti statali, con relative economie di spesa e benefico impatto sul saldo netto da finanziare del bilancio dello Stato. L'entità di tali misure di contenimento della finanza territoriale è rapportabile al complessivo effetto di contenimento della spesa realizzato dal 2009 a carico delle amministrazioni centrali e degli enti previdenziali messi insieme (pari a circa 35 miliardi di euro). Tuttavia, poiché la spesa primaria annua degli enti territoriali (esclusa la componente sanitaria) corrispondeva, nel 2009, a circa 112 miliardi di euro, a fronte di un'omologa spesa primaria di amministrazioni centrali ed enti previdenziali pari a circa 506 miliardi di euro, appare evidente la misura del sovradimensionamento del contributo della finanza territoriale al riequilibrio dei conti pubblici. In altri termini, lo sforzo di risanamento richiesto alle amministrazioni territoriali con i vincoli disposti dal patto di stabilità interno risulta non proporzionato all'entità delle risorse gestibili dalle stesse, il che ha prodotto un drastico ridimensionamento delle funzioni di spesa di queste ultime a vantaggio degli altri comparti amministrativi che compongono il conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche»; ciò è confermato anche dallo studio Ifel-Fondazione Anci dal titolo «La finanza comunale in sintesi» dell'ottobre 2014. Nell'introduzione a tale documento (pagine 5 e 6) si legge che «anche per effetto della persistente crisi finanziaria che attraversa il Paese ormai da qualche anno, i comuni vivono una stagione di profondo malessere. Le difficoltà assumono certamente una dimensione finanziaria, con risorse sempre più scarse disponibili in bilancio, ma sono dovute anche ad un quadro normativo incerto, confuso e in definitiva restio nel valorizzare compiutamente l'autonomia degli enti locali. Ne deriva una condizione di crescente difficoltà, sia sul piano programmatico che in fase gestionale, resa ancor più delicata dal ruolo di «gabelliere dello Stato» affidato negli ultimi anni dal Governo centrale ai comuni, di fatto obbligati ad aumentare in misura significativa le imposte locali, senza, però, essere nelle condizioni di poter offrire maggiori servizi ed investimenti alle comunità di riferimento. (...) Esclusi alcuni fattori intervenuti sul piano contabile e la componente inflazionistica, infatti, negli ultimi anni il trend della spesa corrente comunale evidenzia una crescita pressoché nulla, accompagnata da una drastica contrazione degli investimenti, soprattutto a causa dei vincoli sempre più stringenti imposti dal patto di stabilità interno»;
    tale situazione si rivela ogni giorno sempre più insostenibile per la tenuta del patto sociale che tiene insieme i cittadini italiani;
    peraltro, occorre considerare che nelle ultime settimane numerose fonti di stampa denunciano pubblicamente il rischio di commissariamento diffuso che potrebbe riguardare moltissime amministrazioni locali, dal momento che le sanzioni per chi non approverà in tempo il consuntivo 2014 prevedono la sospensione di tutti i pagamenti (fondo di solidarietà in primis) fino a quando i dati non arriveranno ai Ministeri seguendo la procedura stabilita; ciò comporterà che molte amministrazioni locali avranno serie difficoltà a rispettare la data di scadenza fissata per il 30 aprile 2015;
    anche l'Anutel, mediante lettera inviata al Ministro dell'interno, ha chiesto di spostare la data ultima di approvazione dei consuntivi 2014 al 31 maggio 2015;
    per circa 400 comuni italiani, quelli che negli anni scorsi hanno già avviato la sperimentazione della riforma della contabilità, la situazione risulta essere disperata, in quanto con il consuntivo si troveranno costretti ad effettuare il riaccertamento straordinario dei residui attivi. A questa già critica situazione si aggiunge anche la novità in arrivo da Arconet riguardante gli obblighi di accantonamento nel fondo crediti di dubbia esigibilità nel rendiconto;
    il testo unico enti locali impone la consegna del rendiconto ai revisori almeno venti giorni prima dell'avvio in consiglio della sessione di bilancio; quindi, gli enti locali, per poter sperare di rispettare il termine del 30 aprile 2015, dovrebbero avere già deliberato il bilancio in giunta;
    anche nel 2014 la scadenza ha subito una dilazione, con nuova data fissata al 30 giugno 2014, a seguito della revisione straordinaria del gettito prodotto nel 2013 dall'IMU sui fabbricati di categoria D avviata dal decreto «salva Roma ter»;
    infine, a seguito della conferma del regime 2014 della TASI e dell'IMU recata dal comma 679 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità per l'anno 2015), si rende necessario ripristinare il fondo straordinario integrativo di 625 milioni di euro già erogato per l'anno 2014, in considerazione dell'impossibilità per un'ampia fascia di comuni di ricostituire il gettito già acquisibile con il previgente regime IMU, per effetto dei più stringenti limiti all'aliquota massima della TASI introdotti originariamente per il solo 2014;
    tale integrazione riguarda circa 1.800 comuni per una popolazione di oltre 30 milioni di abitanti. La sua abrogazione porterebbe ad una crisi insanabile gli equilibri di molti di tali enti, anche considerando gli effetti della nuova contabilità e dei rilevanti ulteriori tagli disposti dalla stessa legge di stabilità per l'anno 2015;
    l'incidenza del mancato consolidamento è resa ben evidente dalla considerazione che circa la metà dei comuni in questione subirebbero un taglio aggiuntivo (rispetto a quanto espressamente stabilito dalla legge) pari a oltre il 50 per cento, con punte del 300 per cento. Di questi comuni particolarmente colpiti, oltre 600 sono di dimensioni minori (fino a 10 mila abitanti),

impegna Governo:

   ad assumere iniziative per ripristinare integralmente il valore complessivo dei trasferimenti tagliati con la legge di stabilità per l'anno 2015;
   a non effettuare ulteriori riduzioni, negli anni futuri, fino a quando lo sforzo richiesto in termini percentuali agli enti locali non sia stato sostenuto anche dalle istituzioni centrali;
   a garantire in ogni caso, anche agli enti locali in dissesto, i trasferimenti necessari all'espletamento dei servizi sociali essenziali, come l'assistenza ai cittadini disabili;
   a garantire agli enti locali i tempi necessari per una programmazione seria, assumendo iniziative per definire norme certe sull'ammontare delle risorse di cui potranno disporre nell'anno seguente entro la fine del mese di ottobre, in modo da permettere di approvare i bilanci previsionali entro il 31 dicembre di ogni anno;
   a non ridurre i trasferimenti a disposizione degli enti locali nell'esercizio in corso e a non assumere iniziative per la modifica delle norme sulla fiscalità locale;
   pur a spesa complessiva invariata per l'insieme delle amministrazioni comunali, a definire con idonee analisi e un confronto con le autonomie locali i fabbisogni standard degli enti anche in termini di personale e dei relativi tetti di spesa, definendo un criterio il più possibile uniforme a livello nazionale che regoli il rapporto spesa del personale/popolosità dell'ente, in modo da distribuire al meglio la spesa dei comuni e giungendo così a criteri razionali che raggruppino i fabbisogni di comuni di pari livello e popolazione, con il superamento dell'attuale criterio di blocco/riduzione orizzontale ed acritico di tale spesa per ciascun comune indipendentemente dalla sua efficienza e dalle sue necessità comparabili;
   a svincolare dai tetti di spesa i costi di formazione del personale per delimitati settori e corsi autorizzati a livello centrale finalizzate ad incrementare la capacita di analisi sull'efficienza di spesa dei servizi, quali efficienza energetica, ricaduta socioeconomica di indotto delle azioni, digitalizzazione;
   ad assumere iniziative normative per spostare, alla luce di quanto esposto in premessa, la data ultima di approvazione dei consuntivi 2014 al 31 maggio o al 30 giugno 2015;
   al fine di far fronte alle minori risorse e garantire i servizi ai cittadini e, quindi, di porre in essere tutte le azioni necessarie a ridurre la spesa corrente tra cui la rinegoziazione del debito, consentire l'utilizzo di tutte le fonti disponibili, compreso l'avanzo e la ristrutturazione del debito mediante accensione di nuovi prestiti (come previsto dal comma 2 dell'articolo 41 della legge n. 448 del 2001), assumendo un'iniziativa normativa per abrogare il vincolo di utilizzo esclusivo dei proventi da dismissioni che riguarda il rimborso dei prestiti obbligazionari;
   in conseguenza della decisione di posticipare l'avvio della local tax, ad assumere iniziative normative per ripristinare il trasferimento integrativo di 625 milioni di euro, indispensabile agli enti locali, già oggetto di pesanti tagli sulle risorse del fondo di solidarietà comunale, per garantire i servizi essenziali ai cittadini.
(1-00741)
(Nuova formulazione) «Luigi Di Maio, Agostinelli, Alberti, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cancelleri, Carinelli, Caso, Castelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pisano, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spadoni, Spessotto, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo calcoli della Cgia di Mestre dal 2011 al 2015 i tagli ai trasferimenti sarebbero costati ai comuni 27,3 miliardi di euro. Si tratta di tagli che i comuni hanno dovuto compensare con aumenti dei tributi locali a partire dall'addizionale Irpef per garantire servizi essenziali ai cittadini. Solo nel 2014 i tributi comunali sono saliti del 9 per cento;
    complessivamente dal 2009 ad oggi le misure di austerità sarebbero costate agli enti locali 26,4 miliardi di euro, mentre per lo stesso periodo i tagli subiti dai ministeri sarebbero pari a soli 6,4 miliardi di euro;
    nel 2015 la maggior parte dei tagli si è concentrata su regioni e enti locali per 5,2 miliardi di euro;
    sui comuni, in seguito all'approvazione della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015), gravano in modo determinante non solo i tagli, ma anche l'avvio della riforma della contabilità pubblica. In particolare, il primo atto dell'applicazione dei nuovi principi contabili sarà costituito dal riaccertamento straordinario dei residui attivi. A seguito di questa operazione e poi di anno in anno, la massa di residui in bilancio che eccede la dimensione di ragionevoli previsioni di realizzo, anche posposto nel tempo, viene accantonata sul Fondo crediti di dubbia esigibilità (Fcde), contribuendo ad una contrazione della spesa di pari importo sul bilancio corrente;
    i vincoli effettivi della manovra finanziaria (obiettivo nominale di patto di stabilità e Fondo crediti di dubbia esigibilità) costituiscono per la finanza pubblica due componenti dello stesso risultato atteso: un contributo da parte dei comuni di circa 3,4 miliardi di euro. È con questa dimensione di manovra che ciascun comune avrebbe comunque dovuto fare i conti nella formulazione del proprio bilancio di previsione;
    infatti, a fronte di un'evidente riduzione della percentuale prevista per la determinazione del saldo obiettivo ai fini del patto di stabilità (ora pari a 1,8 miliardi di euro) deve aggiungersi la stima degli effetti dell'introduzione del nuovo sistema contabile a regime (1,75 miliardi di euro a titolo di Fondo crediti di dubbia esigibilità, come da stima ministeriale) per un importo complessivo pari a 3,350 miliardi di euro. La reale riduzione dell'obiettivo, tenendo conto del forte impatto sui bilanci dell'armonizzazione contabile, è pari al 19 per cento rispetto al 2014;
    l'alleggerimento degli effetti dell'armonizzazione, già ottenuto con modifiche alla legge di stabilità, ha fornito agli enti più flessibilità nella gestione finanziaria (tagli non computati in «riduzione della spesa corrente», accantonamento graduale del Fondo crediti di dubbia esigibilità sui bilanci, rinegoziabilità generale dei mutui), confermando però nella sostanza le dimensioni generali dell'intervento;
    la proposta approvata dalla Conferenza Stato-città e autonomie locali nel febbraio 2015 punta a dimensionare in modo più sostenibile e razionale il contributo di ciascun comune e lascia al singolo ente la decisione sul riparto del proprio obiettivo complessivo tra ammontare del Fondo crediti di dubbia esigibilità effettivamente accantonato in previsione e obiettivo del patto di stabilità vero e proprio. Il nuovo meccanismo contiene due profili di innovazione: la revisione dei criteri di calcolo, basati sulla spesa corrente, non modificati dal 2011, dai quali deriva il 60 per cento dell'obiettivo; l'introduzione di nuovi criteri connessi alla capacità di riscossione per il calcolo del restante 40 per cento;
    la prima parte della revisione è in qualche misura un atto dovuto. I criteri sottostanti alla quantificazione inserita nella legge di stabilità facevano ancora riferimento alla sterilizzazione dei tagli previsti dal decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, in proporzione dei «trasferimenti statali» del 2010, dai quali è ormai trascorsa un'intera epoca. Con la forte riduzione dell'obiettivo nominale (da 4,4 a 1,8 miliardi di euro), l'utilizzo di un parametro così obsoleto – in pratica la dotazione di trasferimenti, ormai aboliti – avrebbe determinato disparità insostenibili. Il metodo considera l'effetto di tutti i tagli intervenuti dal 2011 al 2014, esclude dai calcoli l'anno con livello di spesa corrente più elevato nel quadriennio 2009-2012, esclude le spese per il servizio rifiuti (finanziato da un prelievo fiscale dedicato) e trasporto locale, abbattendo le variazioni dovute alle diverse previsioni dei contratti di servizio e agli alterni andamenti dei contributi regionali sul trasporto pubblico;
    a queste razionalizzazioni si aggiunge una correzione a favore degli enti che mostrano una tendenza alla riduzione della spesa corrente. Una necessaria clausola di salvaguardia assicura che questa quota di obiettivo non produca aggravi superiori al 20 per cento rispetto all'obiettivo 2014 riproporzionato;
    la seconda quota introduce il criterio della capacità di riscossione delle entrate proprie, che risponde all'esigenza contingente di collegare l'obiettivo finanziario a una proxy del Fondo crediti di dubbia esigibilità. Se un comune registra un indice di capacità di riscossione più elevato, ci si può attendere un minore ammontare del Fondo crediti di dubbia esigibilità imputato sul bilancio di previsione e quindi, in assenza di un correttivo specifico, l'obiettivo del patto di stabilità che ne risulterebbe sarebbe troppo elevato. Si tratta di un'esigenza contingente, poiché l'emersione dell'effettivo impatto del Fondo crediti di dubbia esigibilità permetterà di determinare questa componente della manovra anche a livello di singolo ente, già nel corso del 2015 e certamente dal 2016;
    infine, ad alcune esigenze di alleggerimento del patto di stabilità (enti capofila, oneri imprevedibili, messa in sicurezza delle scuole e del territorio, bonifiche dell'amianto) contribuisce un fondo di 100 milioni di euro da redistribuire in corso d'anno;
    c’è da augurarsi che l'allentamento dei vincoli generali di finanza pubblica e la consapevolezza della sproporzione degli oneri richiesti ai comuni possano riaprire il percorso di superamento del patto di stabilità e di autonomia finanziaria locale di cui il Paese ha bisogno;
    è ancora in corso la trattativa riguardante i tagli previsti dalla legge di stabilità del 2015 e pari a oltre tre miliardi. I problemi sono molteplici e riguardano:
     a) il contributo alla manovra 2015 delle città metropolitane, contributo che necessita di un riequilibrio del carico tra le varie città (la versione definitiva ha alleggerito il carico comunque fino a quota 256 milioni di euro). I tagli infatti si scaricano per oltre il 75 per cento su Roma, Firenze e Napoli;
     b) la riforma del patto di stabilità e delle sanzioni per chi lo ha sforato nel 2014, in particolare per le città metropolitane che hanno ereditato tale sforamento dalle province;
     c) la replica del fondo perequativo IMU-Tasi di 625 milioni di euro, risorse distribuite nel 2014 a 1.800 comuni, essendo il fondo previsto per il solo 2014 ed essendo però la local tax rinviata al 2016;
     d) lo stanziamento di maggiori ed adeguate risorse finanziarie da parte del Governo da destinare all'eventuale scostamento tra il gettito effettivamente riscosso dai comuni e le stime ministeriali del gettito atteso in relazione al nuovo regime di imponibilità dei terreni montani di cui al decreto-legge n. 4 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 34 del 2015 (cosiddetta IMU agricola), al fine di evitare scompensi sugli equilibri dei bilanci di competenza 2014 e i conseguenti rischi di mancato rispetto del patto si stabilità da parte degli enti locali;
     e) inoltre, la questione delle province e dei loro dipendenti (l'Unione delle province d'Italia denuncia che anche le poche province che riusciranno a chiudere i bilanci nel 2015 non riusciranno a farlo nel 2016) per la parte che concerne l'assorbimento di tale personale da parte delle città metropolitane e dei comuni;
    si prospettano alcune ipotesi – non tutte condivisibili – per risolvere le questioni ancora da definire, tra le quali:
     a) una rinegoziazione dei mutui con la Cassa depositi e prestiti aggiornando i tassi di interesse a quelli di mercato;
     b) l'introduzione di una tassa di un euro o due per ogni passeggero sui biglietti di aerei e navi;
     c) la possibilità di utilizzare in via eccezionale i proventi dalle dismissioni per finanziare la spesa corrente;
    si prevede che il decreto-legge sugli enti locali sia varato dal Governo entro aprile 2015 per risolvere queste questioni ereditate dalla legge di stabilità 2015;
    è anche ancora da definire l'introduzione della nuova tassa unica sulla casa la cosiddetta local tax;
    l'avvio a regime della riforma dei conti pubblici ha messo in affanno i sindaci che temono di non riuscire a varare il rendiconto entro il 30 aprile 2015 e chiedono uno spostamento della scadenza al 30 giugno 2015. Con i consuntivi i comuni devono compiere il riaccertamento straordinario dei residui per pulire i bilanci da entrate iscritte ma mai riscosse,

impegna il Governo:

   a dare seguito all'accordo quadro siglato nella Conferenza Stato-città e autonomie locali del 31 marzo 2015;
   a dare risposte positive a quanto chiesto dai comuni in merito all'applicazione della legge di stabilità 2015;
   ad assumere iniziative normative per sopprimere i tagli ai trasferimenti ai comuni, eventualmente compensandoli con riduzioni delle spese delle amministrazioni statali;
   ad accelerare la rinegoziazione dei mutui con Cassa depositi e prestiti e, più in generale, a rivedere le condizioni alle quali vengono erogati mutui ai comuni;
   ad assumere iniziative per ricostituire per il 2015 il fondo compensativo di 625 milioni di euro già riconosciuto per il 2014;
   ad assumere iniziative per stanziare maggiori ed adeguate risorse finanziarie da parte del Governo da destinare all'eventuale scostamento tra il gettito effettivamente riscosso dai comuni e le stime ministeriali del gettito atteso in relazione al nuovo regime di imponibilità dei terreni montani di cui al decreto-legge n. 4 del 2015, e successive modificazioni;
   ad assumere iniziative per rimodulare in maniera consistente verso il basso le sanzioni per le città metropolitane per lo sforamento del patto di stabilità ereditato dalle province;
   a garantire ai comuni i tempi indispensabili per la redazione dei bilanci, definendo ogni anno entro una data precisa le risorse a loro disposizione e dando poi loro due-tre mesi di tempo da tale scadenza per l'approvazione dei bilanci;
   a non modificare nell'esercizio in corso le disposizioni relative alla fiscalità locale e a non ridurre per il medesimo esercizio i trasferimenti a loro favore.
(1-00822) «Melilla, Marcon, Scotto, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Fratoianni, Kronbichler, Matarrelli, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaccagnini, Zaratti».


   La Camera,
   premesso che:
    dal 2007 al 2014 gli enti locali, e i comuni in particolare, hanno contribuito al risanamento della finanza pubblica per 16,4 miliardi di euro, di cui 8 miliardi e 700 milioni in termini di patto di stabilità interno e 7 miliardi e 700 milioni di euro in termini di riduzione di trasferimenti;
    in tale ambito, gli effetti della crisi economica e finanziaria, tutt'altro che superata in via definitiva, hanno imposto ai Governi, succedutisi a partire dalla fine del 2007, una serie di interventi legislativi dapprima per contrastare gli effetti del contagio della crisi economica internazionale e successivamente per scongiurare una crisi del debito italiano e riacquistare credibilità sui mercati finanziari, oltre che imboccare un sentiero virtuoso nel riordino dei conti pubblici;
    all'interno del sopra esposto scenario economico, l'evoluzione recente del governo locale è stata profondamente contrassegnata da misure indotte dalla crisi economica, che, sotto la spinta di urgenze reiterate, hanno inciso non solo sui flussi di risorse disponibili, ma sugli stessi assetti strutturali degli enti locali;
    gli orientamenti normativi sugli enti locali, che a partire dalla XVI legislatura sono stati introdotti, hanno riguardato diversi profili: dalla riduzione dei trasferimenti di risorse e dalla definizione di un nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e le autonomie, fino al contenimento dei costi degli apparati e all'aumento della funzionalità degli enti stessi;
    a tal fine, la stretta finanziaria imposta anche dal patto di stabilità si è scaricata principalmente sulla spesa maggiormente comprimibile, quella per gli investimenti, che ha registrato una preoccupante riduzione nel corso degli ultimi anni;
    gli effetti costanti e al contempo spesso distorsivi delle continue riduzioni dei trasferimenti nei riguardi degli enti locali, che aumentano in maniera evidente, come confermato anche dalle decisioni adottate dal Governo all'interno della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità per il 2015) rafforzano la convinzione, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, come il contributo richiesto agli enti locali per il risanamento dei conti pubblici non sia più sostenibile, sia in ordine alla parte di investimenti che per la parte corrente;
    tra gli effetti provocati dalla manovra economica del dicembre 2014, la diminuzione degli investimenti nei confronti degli enti locali ha interessato settori importantissimi per la qualità della vita e per la sicurezza degli individui; in particolare, i comuni e le regioni, a cui spetta il compito di realizzare le opere di tutela del territorio (rischio idrogeologico e infrastrutture di rete), infrastrutture per la viabilità e i trasporti, opere a servizio della scuola e interventi per la pubblica sicurezza e la giustizia, hanno subito gravissime ripercussioni dalle pesantissime riduzioni di trasferimenti, il cui prezzo sociale dell'impatto delle recenti manovre finanziarie su questi interventi (in particolare quelle decise del Governo Monti) è divenuto ormai insostenibile per la collettività e per le imprese;
    ulteriori profili di criticità, che si rinvengono dal riassetto delle risorse disponibili e dai tagli subiti dagli enti locali, si evidenziano anche dalla disciplina dei principali tributi, oggetto di continui cambiamenti (di solito calcolati a gettiti standard), che ha determinato evidenti scompensi nei bilanci e nei margini d'intervento, le cui variazioni compensative delle assegnazioni statali (aggiustamenti operati a fronte di cambiamenti delle norme sui tributi locali), hanno provocato continue modifiche all'assetto delle entrate comunali e nella struttura del gettito dei tributi a base immobiliare;
    a tal fine, i trasferimenti statali complessivi sono passati da circa 16,5 miliardi di euro del 2010 a 2,5 miliardi di euro del 2013, determinando, nella sostanza, la parziale tenuta delle capacità di entrate realizzata con aumenti della pressione fiscale locale molto accentuati e in larga parte ascrivibili a passaggi obbligati: sostituzione dell'ICI con l'IMU, rafforzata sia attraverso il maggior valore imponibile di base, sia per effetto dell'aliquota di base superiore al livello ICI; applicazione della TASI a tutta la platea contributiva;
    la legge di stabilità per il 2015, unitamente alle disposizioni contenute all'interno del decreto legislativo n. 126 del 2014, che interviene per l'attuazione dell’«armonizzazione dei bilanci», ha comportato un effetto combinato di riduzione delle risorse correnti comunali sul 2015 per oltre 3,7 miliardi di euro; cifra a cui si giunge sommando gli impatti finanziari dei diversi provvedimenti riguardanti la finanza comunale e che configura uno scenario iniquo e difficilmente sostenibile anche nel breve periodo, ai diversi livelli di governo locale;
    secondo l'associazione degli artigiani e delle piccole imprese di Mestre-Cgia, inoltre, le riduzioni effettuate dallo Stato nei confronti dei comuni e delle regioni a statuto ordinario, raggiungono rispettivamente 8,3 miliardi di euro e 9,7 miliardi di euro, mentre per quelle a statuto speciale la quota dei mancati trasferimenti è stabilizzata a 3,3 miliardi di euro, raggiungendo nel complesso degli ultimi anni un mancato trasferimento alle regioni e agli enti locali pari a oltre 25 miliardi di euro, compensati aumentando le tasse locali e riducendo i servizi anche quelli essenziali alle comunità locali, come la sanità, il trasporto pubblico locale, il welfare;
    anche l'analisi della Corte dei conti sulle manovre di contenimento della spesa dello Stato, nel periodo 2008-2013, evidenzia che le riduzioni che hanno portato al contemporaneo determinarsi di consistenti tagli ai trasferimenti correnti, di un cospicuo avanzo di cassa e di una riduzione delle risorse destinate ai servizi essenziali, hanno provocato la crescita pericolosa dei debiti fuori bilancio degli enti locali, ovvero quelli che non concorrono alla formazione del bilancio;
    gli effetti penalizzanti si sono riscontrati, in particolare, sulle regioni del Mezzogiorno, con forti contrazioni degli investimenti, che hanno aumentato il divario regionale con le aree del Centro-Nord;
    misure in netta controtendenza rispetto a quelle in precedenza indicate, finalizzate a garantire l'espletamento dei servizi sociali essenziali, anche in relazione alle disposizioni divenute insostenibili nei riguardi degli enti locali (che a partire dall'ultimo quinquennio e da ultimo, la legge di stabilità 2015, hanno ripetutamente operato riduzioni di trasferimenti, intervenendo sulla leva fiscale offrendo al contempo servizi essenziali sempre più inadeguati), appaiono conseguentemente urgenti e necessarie, al fine di ripristinare, da un lato, un livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e, dall'altro, il funzionamento fondamentale degli enti locali, incentrato sul superamento del sistema di finanza derivata e sull'attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa a comuni, province, città metropolitane e regioni nel rispetto dei principi di solidarietà e di coesione sociale;
    la necessità di valutare la dinamica della fiscalità locale senza compararla con la drastica riduzione dei trasferimenti dello Stato a favore degli enti locali conferma, inoltre, che tale raffronto rende evidente, che i tagli subiti dal 2007 ad oggi sono stati nettamente superiori all'incremento della fiscalità locale, che peraltro rappresenta attualmente lo strumento di finanziamento di servizi essenziali per i cittadini (asili nido, scuole materne, assistenza domiciliare, sostegno alla non autosufficienza, politiche abitative, tutela ambientale, trasporto pubblico locale, politiche educative e culturali), i cui livelli di tassazione hanno raggiunto dimensioni emergenziali;
    a tal fine, l'attuale quadro finanziario degli enti locali di evidente difficoltà impone rapide correzioni attraverso l'interruzione delle riduzioni dei trasferimenti del bilancio dello Stato, i cui meccanismi di riequilibrio dei trasferimenti erariali per compensare le variazioni del gettito per gli enti locali si sono dimostrati peraltro insufficienti,

impegna il Governo:

   a prevedere iniziative urgenti e necessarie in favore degli enti locali finalizzate a:
    a) riconsiderare gli interventi in favore degli enti locali, attraverso l'aumento degli spazi di esclusione dal patto di stabilità interno, in particolare per le città metropolitane, incluse le misure riconducibili all'edilizia scolastica, in considerazione del fatto che la legge di stabilità per il 2015 prevede che nel computo del patto non siano valutate le spese di province e città metropolitane per interventi di edilizia scolastica, fino ad un massimo di 50 milioni nel 2015 e 50 milioni nel 2016;
    b) ripristinare le risorse decurtate con le correzioni, definite dalla legge di stabilità per il 2015, a carico degli enti locali di circa 15,3 miliardi di euro nel triennio, ottenute, tra l'altro, attraverso la riduzione del fondo di solidarietà comunale per 3,6 miliardi di euro e la riduzione della spesa corrente delle province e delle città metropolitane per 6 miliardi di euro;
    c) prevedere misure in favore degli enti locali in dissesto finanziario o in predissesto, ai sensi dell'articolo 244 del decreto legislativo n. 267 del 2000, che hanno presentato i piani di riequilibrio finanziario per i quali sia intervenuta una deliberazione di diniego da parte della competente sezione regionale della Corte dei conti, per garantire in ogni caso i servizi essenziali, quale quelli della raccolta dei rifiuti, dell'assistenza ai disabili e agli anziani;
    d) a garantire agli enti locali un periodo temporale congruo e ragionevole per una programmazione finanziaria e strategica, al fine di conoscere l'esatto ammontare delle risorse disponibili di cui gli enti locali potranno disporre per l'anno successivo e comunque entro la fine del mese di ottobre 2015;
    e) rimuovere i numerosi vincoli ordinamentali imposti, nel corso dei provvedimenti degli ultimi anni, agli enti locali, e in particolare ai comuni, adottando i saldi come unico criterio per definire lo sforzo richiesto a ciascun comparto della pubblica amministrazione;
    f) ripristinare, infine, il fondo finanziamento metropolitane delle grandi aree urbane, le cui risorse pari a 1 miliardo di euro, sono state eliminate dalla legge di stabilità per il 2015, determinando gravi effetti nei confronti dei comuni, in termini di riduzione delle risorse per la spesa corrente, senza alcun intervento compensativo sulla spesa per gli investimenti.
(1-00824) «Palese, Occhiuto».


   La Camera,
   premesso che:
    il cambiamento dell'assetto istituzionale e finanziario degli enti territoriali costituisce uno snodo centrale nell'ambito della complessiva azione riformatrice del Governo e del processo di risanamento del Paese;
    dal primo punto di vista, l'intervento più significativo è costituito dalla legge 7 aprile 2014, n. 56, che ha dettato un'ampia riforma in materia di enti locali, prevedendo l'istituzione e la disciplina delle città metropolitane, la ridefinizione del sistema delle province ed una nuova disciplina in materia di unioni e fusioni di comuni;
    a ciò si unisce, sotto il profilo della contabilità, il decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, adottato in attuazione della delega contenuta nella legge n. 42 del 2009, che ridisciplina il coordinamento della finanza pubblica al fine di rafforzare le attività di programmazione, gestione, monitoraggio, controllo e rendicontazione finanziaria tra i diversi enti che compongono la pubblica amministrazione e di favorire un migliore raccordo della disciplina contabile interna con quella adottata in ambito europeo ai fini del rispetto del patto di stabilità e crescita;
    dal punto di vista finanziario e del risanamento, per le disposizioni contenute nella legge 29 dicembre 2014, n. 190, gli enti territoriali concorreranno complessivamente al contenimento della spesa pubblica per circa 6,2 miliardi di euro nel 2015, 7,2 nel 2016 e 8,2 nel 2017, senza tener conto delle ulteriori riduzioni operate dal decreto-legge n. 66 del 2014;
    in particolare, il comma 435 dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2015 ha stabilito la riduzione della dotazione del fondo di solidarietà comunale di 1.200 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015; il comma 418 ha operato una riduzione della spesa corrente per province e città metropolitane di 1.000 milioni di euro per l'anno 2015, di 2.000 milioni di euro per l'anno 2016 e di 3.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017. Infine, il comma 398 ha disciplinato un contributo aggiuntivo alla finanza pubblica delle regioni a statuto ordinario, per ciascuno degli anni dal 2015 al 2018, pari a 3.452 milioni di euro e il comma 400 ha stabilito entità e modalità a contributo aggiuntivo pari a 467 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 per le regioni a statuto speciale;
    si tratta oggettivamente di riduzioni molto significative per gli enti territoriali che si aggiungono a quelle già operate nel corso della XVI legislatura, pari a circa 34 miliardi di euro;
    la dimensione dello sforzo richiesto alle amministrazioni territoriali rende necessario prevedere un contesto più orientato a definire indirizzi e incentivi che non a prescrivere specifici vincoli, accogliendo anche talune richieste provenienti dai vari comparti;
    una prima risposta a questa impostazione è costituita dall'incremento al 20 per cento della quota del fondo di solidarietà comunale spettante ai comuni delle regioni a statuto ordinario sulla base delle capacità fiscali e dei fabbisogni standard e l'avvio del processo di riforma del meccanismo del patto di stabilità che è stato allentato per complessivi 2.889 milioni annui, di cui 2.650 milioni ai comuni e 239 milioni alle province;
    nel documento di economia e finanza il Governo si impegna a proseguire in questa direzione favorendo il progressivo passaggio da un sistema basato sulla spesa storica ad uno che utilizza costi e fabbisogni standard, più razionale ed efficiente, in cui vengano premiati con maggiori spazi finanziari e, quindi, maggiori possibilità di investimento gli enti che hanno ridotto la spesa corrente e che hanno una maggiore capacità di riscossione delle entrate proprie;
    ulteriori misure a beneficio del comparto degli enti locali sono la possibilità di destinare i proventi delle concessioni edilizie per il finanziamento di spese correnti, la facoltà di rinegoziare mutui, l'innalzamento dall'8 al 10 per cento dell'importo massimo degli interessi passivi rispetto alle entrate dei primi tre titoli delle entrate del rendiconto per poter assumere nuovi mutui o finanziamenti, il passaggio da tre a cinque dodicesimi del limite massimo di ricorso degli enti locali ad anticipazioni di tesoreria, l'assegnazione delle maggiori somme riscosse per effetto della partecipazione all'azione di contrasto all'evasione fiscale;
    rispetto alle regioni a Statuto ordinario, per le quali il comma 463 ha introdotto la disciplina del pareggio di bilancio, si è prevista una fase transitoria per l'anno 2015 finalizzata a rendere più flessibile il passaggio al nuovo sistema;
    inoltre, i commi da 484 a 488 hanno esteso anche al 2015 la disciplina del patto verticale incentivato, che favorisce una maggiore flessibilità per il rispetto degli obiettivi di finanza pubblica da parte degli enti territoriali;
    a fronte dell'importante contributo al risanamento dei conti pubblici che arriva dagli enti territoriali, permangono alcune situazioni di criticità che potrebbero incidere sul livello e sulla qualità di erogazione di servizi ai cittadini, in particolare per quel che riguarda l'attuazione del Patto per la salute per gli anni successivi al 2015, il riparto del taglio alle città metropolitane e il rifinanziamento di 625 milioni del fondo compensativo IMU-TASI;
    su questi argomenti si stanno svolgendo incontri politici e tecnici con le rappresentanze delle parti interessate finalizzati a individuare soluzioni condivise alle questioni tuttora aperte;
    l'importanza del comparto territoriale richiede interventi organici e di ampio respiro da attuare necessariamente all'interno di un percorso condiviso a tutti i livelli istituzionali, a cominciare dalla ridefinizione e semplificazione della fiscalità immobiliare comunale in coerenza con gli indirizzi contenuti nel documento di economia e finanza 2015,

impegna il Governo:

   ad adottare con la massima sollecitudine ogni iniziativa utile volta a dare soluzione alle principali criticità normative relative agli enti territoriali, con particolare riferimento:
    a) all'attuazione dell'intesa del 19 febbraio 2015 raggiunta in seno alla Conferenza Stato-città ed autonomie locali, in particolare in merito alla rideterminazione degli obiettivi del patto di stabilità interno dei comuni per gli anni 2015-2018 e delle sanzioni per mancato raggiungimento degli obiettivi;
    b) alla sostenibilità del concorso al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica per il comparto province e città metropolitane, stabilendo la possibilità di rinegoziare i mutui e utilizzare gli spazi ottenuti a copertura di spese correnti, l'esclusione dalla sanzione sul personale delle proroghe dei contratti di lavoro a tempo determinato (anche per le città metropolitane e le province che non hanno rispettato il patto di stabilità nel 2014) e la disapplicazione dei limiti alle assunzioni per l'assorbimento del personale;
    c) alla gradualità e flessibilità della fase di avvio a regime dell'armonizzazione contabile;
    d) all'introduzione di meccanismi di perequazione per l'applicazione delle nuove norme in materia di Imu-agricola e al rinnovo, almeno parzialmente, di quelli previsti per il passaggio dall'Imu alla Tasi;
    e) all'attuazione dell'intesa del 26 febbraio 2015 raggiunta in seno alla Conferenza Stato-regioni in merito alle disposizioni di cui all'articolo 1, commi 398, 465 e 484, della legge 23 dicembre 2014, n. 190;
   a valutare l'opportunità di consentire a province e città metropolitane di non approvare il bilancio pluriennale, limitandosi al solo bilancio di previsione 2015 in cui siano illustrate le spese sostenute per funzioni fondamentali e funzioni non fondamentali, in modo da accertare le entrate effettivamente destinate all'esercizio di tali funzioni, e consentendo, in via eccezionale, l'utilizzo degli avanzi di gestione 2014 per il conseguimento degli equilibri;
   a definire entro il 2015 un assetto stabile della finanza locale in grado di consentire reale autonomia ed effettive e virtuose possibilità di programmazione da parte degli enti locali;
   ad assumere iniziative per prevedere un'ulteriore evoluzione del sistema dei vincoli di cui agli articoli da 9 a 12 della legge 24 dicembre 2012, n. 243, nell'ottica di istituire un sistema di vincoli di finanza pubblica tra Stato e amministrazioni locali che sia caratterizzato da semplicità operativa, linearità di funzionamento e piena coerenza con le regole fiscali che la Repubblica deve rispettare con i partner europei;
   a procedere al riordino e alla semplificazione, all'interno della legge di stabilità per l'anno 2016, della fiscalità immobiliare comunale, al fine di garantire un assetto legislativo e finanziario definitivo e stabile in materia, prevedendo, altresì, adeguate forme di perequazione verticale e meccanismi di monitoraggio e verifica dei criteri di alimentazione e distribuzione tra i comuni delle risorse del fondo di solidarietà comunale;
   a proseguire e rafforzare ulteriormente il percorso già avviato volto a rilanciare e sostenere i programmi di investimento degli enti locali.
(1-00825)
(Nuova formulazione) «Marchi, Tancredi, Tabacci, Paola Bragantini, Misiani, Guerra, Laforgia, Melilli, Causi, Marchetti, Fragomeli, Carnevali, Fabbri, Scuvera, Ginato, Amoddio, Narduolo».


   La Camera,
   premesso che:
    le manovre finanziarie dispongono oneri e tagli di spesa, a cui sono chiamati a dare il proprio contributo per il raggiungimento di fini essenziali per la ripresa del Paese, non solo lo Stato, ma anche le altre articolazioni della Repubblica, quali regioni ed enti locali. Dunque, come ha chiarito la Corte costituzionale, lo Stato centrale può legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle politiche di bilancio, con «disciplina di principio», per ragioni di coordinamento finanziario connesse a obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari (si veda la sentenza della Corte costituzionale n. 182 del 2011);
    tuttavia, negli ultimi anni, in particolare dall'anno 2008, tra taglio dei trasferimenti e patto di stabilità, è stato imposto agli enti locali un contributo per il risanamento dei conti pubblici nettamente superiore a quello sostenuto dalle amministrazioni centrali dello Stato. In particolare, dal 2010 ad oggi, i comuni hanno fatto sacrifici per ben 17 miliardi di euro;
    anche i tagli di spesa previsti dall'ultima legge di stabilità, hanno visto un carico sugli enti locali di 8,1 miliardi di euro di tagli, somma quattro volte superiore al taglio disposto per i Ministeri, quantificato in 2 miliardi di euro nel 2015, su un importo totale di 16,6 miliardi di euro. Per il risanamento della spesa pubblica, alle regioni è stato richiesto il contributo più oneroso, per un importo di 4 miliardi di euro, sul fondo di solidarietà comunale è stato disposto un taglio di 1,2 miliardi di euro, mentre le province e città metropolitane contribuiranno per un importo di 1 miliardo di euro (che raggiungerà 2 miliardi di euro nel 2016 e 3 miliardi di euro dal 2017). Tra l'altro, il taglio di risorse approvato con la legge di stabilità 2015 ha inciso negativamente sul difficile processo di riordino delle province disposto dalla cosiddetta riforma Delrio, mettendo in luce l'assenza di un idoneo coordinamento legislativo del Governo, per il palese contrasto tra norme;
    i tagli disposti dalla predetta legge di stabilità si sono aggiunti a quelli previsti nel 2015 dal decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, recante «Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale» che individua come destinatari delle misure finanziarie contenute province, città metropolitane e comuni;
    è sempre più accesa la protesta degli amministratori locali contro i tagli di spesa applicati agli enti. Sul punto, è stato di recente espresso un forte dissenso dai comuni siciliani rispetto ai tagli del Governo, accusato di restare immobile dinnanzi all'allarme lanciato contro queste manovre finanziarie che provocano ricadute negative sul territorio. Si lamenta una grave e insostenibile mancanza di trasferimenti e l'inadempienza del Governo, con conseguenti e dannosi effetti sulla gestione della spesa degli enti locali. A pagarne le conseguenze sono soprattutto i cittadini che si vedono recapitare bollette più esose da parte dei comuni costretti ad aumentare le tasse, per le scelte dell'Esecutivo. Ormai, si apprende sempre più frequentemente di comuni in dissesto o in pre-dissesto o di comuni che devono fronteggiare emergenze senza alcun sostegno da parte delle istituzioni nazionali;
    si ritiene, quindi, che nel tempo si sia verificato un meccanismo distorto di tagli a carico degli enti locali e di conseguenti trasferimenti delle risorse risparmiate in favore dell'erario statale, che rischia di essere non conforme ai principi di solidarietà, uguaglianza, adeguatezza, nonché dei principi costituzionali dell'autonomia (anche finanziaria) degli enti territoriali, del decentramento e di sussidiarietà;
    detto squilibrio delle manovre di finanza pubblica è stato individuato dalla Corte dei conti, sezione delle autonomie, nella relazione sulla gestione finanziaria 2013 degli enti territoriali, dove i giudici contabili affermano che è stato «richiesto alle autonomie territoriali (a quelle regionali in particolare) uno sforzo di risanamento non proporzionato all'entità delle risorse gestibili dalle stesse, a vantaggio di altri comparti amministrativi che compongono il conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche». Di conseguenza, «le predette misure di austerità, riducendo gravemente le possibilità di intervento e di gestione degli enti territoriali, hanno inciso profondamente sul grado di autonomia finanziaria e funzionale ad essi garantiti dal Titolo V, della Parte II, della Costituzione»;
    ed ancora, la Corte dei conti, nell'analizzare i risultati delle manovre di contenimento della spesa e di stimolo alla crescita economica tra l'anno 2008 e 2013, ha messo in evidenza l'attuazione di consistenti tagli ai trasferimenti correnti e di una riduzione delle risorse destinate ai servizi essenziali ai cittadini ossia: asili nido, scuole materne, assistenza domiciliare, sostegno alla non autosufficienza, politiche abitative, tutela ambientale, trasporto pubblico locale, politiche educative e culturali. Dalle manovre restrittive risultano maggiormente penalizzate le regioni (i cui tagli alla spesa primaria hanno raggiunto il 16 per cento nel triennio 2010-2012), nonché, a livello territoriale, le amministrazioni del Mezzogiorno, con consistenti contrazioni di risorse soprattutto in conto capitale;
    l'analisi della Corte dei conti ha, dunque, rilevato che il peso delle manovre di bilancio applicate dalla Stato con i tagli a regioni, comuni e province, è ricaduto direttamente sui cittadini determinando un'evidente diminuzione delle risorse previste per fornire i servizi essenziali, indispensabili per garantire ai cittadini il godimento di diritti della persona costituzionalmente tutelati;
    è, dunque, di tutta evidenza che la politica di tagli generalizzati alla spesa e alle risorse degli enti territoriali, di cui l'ultima legge di stabilità ne è un chiaro esempio, impedisce agli stessi di svolgere le proprie funzioni con il concreto rischio di violare quelle garanzie che la Costituzione assicura agli enti locali proprio per l'esercizio delle rispettive funzioni;
    la logica di tagli finanziari perseguita negli anni dall'Esecutivo determina un'evidente disparità di trattamento e di sacrifici tra i vari comparti della pubblica amministrazione, determinando una posizione di grave svantaggio per le autonomie locali, in violazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione, i cui principi sono applicabili anche rispetto agli enti pubblici;
    per quanto predetto, quindi, è vero che il Governo, con una disciplina di principio, può imporre alle regioni e agli enti locali, per ragioni di coordinamento finanziario, vincoli alle politiche di bilancio, che oggettivamente si traducono in una indiretta limitazione all'autonomia di spesa degli enti territoriali. Tuttavia, è del pari vero che la predetta funzione di coordinamento della finanza pubblica, che ha il fine di garantire il perseguimento di obiettivi nazionali, deve essere svolta nel rispetto di criteri che consentano il rispetto dell'autonomia delle regioni e degli enti locali in conformità ai principi generali di ragionevolezza e proporzionalità dell'intervento normativo rispetto all'obiettivo prefissato (Corte costituzionale, sentenza n.236 del 2013). Di contro, questi principi appaiono di frequente lesi proprio perché, come confermato dalla Corte dei conti, i tagli e le manovre finanziarie applicate nel tempo dal Governo, hanno richiesto un sacrificio alle autonomie locali che si ritiene illegittimamente sproporzionato a quello sostenuto da altri comparti e, in particolar modo, dalle amministrazioni di livello centrale;
    ed ancora, un ulteriore potenziale profilo di incostituzionalità delle disposizioni che attuano questi tagli indiscriminati si individua anche rispetto all'articolo 5 della Costituzione in violazione delle esigenze dell'autonomia e del decentramento. Tale norma prevede che la Repubblica ha il preciso dovere di riconoscere e promuovere le autonomie locali, anche adeguando «i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento». Tuttavia, se si impongono tagli eccessivi alle risorse finanziarie a disposizione delle amministrazioni locali, le esigenze dell'autonomia e del decentramento tutelate dall'articolo 5 della Costituzione vengono secondo i firmatari del presente atto di indirizzo totalmente lese;
    attraverso il drastico taglio delle risorse degli enti territoriali viene non solo gravemente compromessa l'autonomia delle realtà locali, ma si va a pregiudicare l'intero assetto ordinamentale che si regge sul principio di sussidiarietà. È assurdo, inoltre, che tali manovre non tengano conto anche delle specifiche difficoltà delle amministrazioni locali rispetto al reperimento dei fondi necessari a garantire l'erogazione dei servizi essenziali ai cittadini;
    ebbene, il taglio alla spesa corrente imposto negli ultimi anni con una moltitudine di interventi legislativi, che hanno svuotato progressivamente gli enti locali della loro autonomia con la progressiva riduzione delle risorse a disposizione e l'imposizione di un trasferimento all'erario centrale delle risorse risparmiate senza la previsione di adeguati trasferimenti statali che vadano a compensare le decurtazioni subite dagli enti locali, nel tempo ha generato degli effetti che compromettono seriamente la programmazione di bilancio degli enti medesimi. Ciò rende impossibile agli stessi di far fronte alle spese programmate, con grave pregiudizio dei bisogni primari dei cittadini;
    i contributi richiesti con le manovre finanziarie non possono pregiudicare il regolare e corretto adempimento dei livelli essenziali delle prestazioni e le funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali. Inoltre, gli interventi del Governo in questione devono essere disposti assicurando una proporzione tra il concorso finanziario delle amministrazioni centrali e di quelle locali, anche correggendo gli squilibri economico-sociali che emergono tra le diverse aree del Paese;
    la necessità di un intervento correttivo al meccanismo dei tagli a carico degli enti è evidente anche per escludere la proposizione di ulteriori ricorsi da parte di regioni e enti locali per eccepire i profili di incostituzionalità delle manovre. A riguardo, infatti, si fa presente che la regione Veneto ha depositato il 24 febbraio 2015 ricorso alla Corte costituzionale contro la legge di stabilità 2015 nella parte in cui impone alle regioni ordinarie un taglio di 5,7 miliardi di euro, che si aggiunge a quelli disposti per oltre 15 miliardi di euro dalle ultime manovre;
    ma vi è di più, in quanto tale errata politica dei tagli potrebbe, di conseguenza, spingere anche le regioni ad adottare provvedimenti troppo onerosi nei confronti dei comuni. Sul punto, si è appreso della class action di 55 comuni del Friuli Venezia Giulia che, lamentando la violazione della loro «autonomia finanziaria di entrata e di spesa», hanno proposto, il 20 aprile 2015, ricorso contro la regione avverso un provvedimento, avente ad oggetto la proposta di perimetrazione delle future unioni territoriali intercomunali, che, tra gli altri interventi, impone tagli che pregiudicano i comuni, come quello del 30 per cento dei trasferimenti qualora decidano di non aderire ad una unione,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative volte a modificare quanto stabilito dalla legge di stabilità 2015, idonee a reintegrare i trasferimenti tagliati;
   ad assumere immediate iniziative individuando criteri affinché i limiti disposti alle politiche di bilancio di regioni ed enti locali, attuati con i tagli di spesa, siano idonei a garantire che i mezzi di copertura finanziaria, da un lato, salvaguardino l'adempimento dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali e, dall'altro, assicurino una proporzione tra il contributo finanziario imposto alle amministrazioni locali rispetto a quelle centrali, nonché un adeguato concorso finanziario dello Stato per gli interventi correttivi degli squilibri economico-sociali che sussistono tra le diverse aree del territorio nazionale.
(1-00826) «Rizzetto, Barbanti, Rostellato, Mucci, Baldassarre, Artini, Prodani, Segoni, Turco, Bechis».


   La Camera,
   premesso che:
    la situazione odierna nella quale gli enti locali si trovano a svolgere i servizi ai cittadini costituzionalmente loro assegnati risente, esclusivamente in chiave negativa, di almeno 5 fattori: lo stratificarsi di tagli alle risorse degli enti locali e territoriali, la mancata attuazione del federalismo fiscale, la crisi economica che ha aumentato le esigenze di servizi sociali, l'emergenza sbarchi con conseguente imposizione agli enti di garantire ospitalità, e la legge n. 56 del 2014 che ha avviato una riforma delle province in mancanza di chiarezza istituzionale e di strumenti normativi e finanziari adeguati;
    secondo un calcolo riassuntivo diffuso dalla Cgia di Mestre nel gennaio 2015, complessivamente tra il 2011 ed il 2015 (dalla prima manovra Monti all'ultima legge di stabilità del Governo Letta) gli enti locali e territoriali complessivamente hanno subito una decurtazione superiore ai 25 miliardi di euro. Ciò ha permesso allo Stato centrale di dimostrare un miglioramento sul fronte della spesa quasi interamente scaricato sui bilanci degli enti locali e territoriali. Sui soli comuni il taglio è stato di 8,31 miliardi di euro e di 3,74 miliardi di euro per le province;
    il Documento di economia e finanza presentato recentemente dal Governo non interviene a rimodulare o ridimensionare i tagli per gli enti locali, in particolare le province, che in base all'ultima legge di stabilità sono chiamate ad uno sforzo superiore alla propria capacità di sostenere tagli e che, come già annunciato da amministratori di tutti i colori politici, potrebbero dichiarare il default;
    in mancanza di attuazione del federalismo fiscale e del meccanismo di finanziamento basato su costi e fabbisogni standard, il taglio si è trasformato, anziché in uno strumento di riduzione degli sprechi e della spesa improduttiva, in un meccanismo opposto, punitivo ed ingiusto: anziché premiare i comuni virtuosi e responsabilizzare le cattive amministrazioni, i tagli applicati in maniera lineare hanno reso impossibile l'amministrazione di chi non aveva margini di spreco. Nella sostanza, una spending review boomerang che ha trattato i servizi ai cittadini come se fossero sprechi e non ha saputo evidenziare né intaccare le sacche di cattiva amministrazione;
    i continui interventi sui tributi locali (soprattutto sull'IMU, che in due anni è stata oggetto di 4 modifiche strutturali e 10 decreti parziali), intervenuti anche in corso d'anno, hanno impedito la programmazione di bilancio da parte degli enti, hanno determinato un raddoppio delle imposte per i cittadini senza che a ciò corrispondesse alcuna risorsa aggiuntiva per i servizi municipali, ma soprattutto hanno spezzato la tracciabilità del tributo locale, perché in larga parte ed in diverse forme quanto incassato dai comuni come esattori è stato incamerato dallo stato centrale rendendo ancora più difficile stabilire una corrispondenza con i reali fabbisogni e fissare fabbisogni standard dal lato della spesa;
    all'indomani della legge n. 56 del 2014 intervenuta sulle province e città metropolitane, i nuovi enti di area vasta sono titolari di quattro funzioni fondamentali, prevedendo una ridistribuzione delle altre tra comuni e regioni (e invece nessun onere per lo Stato): la gestione e manutenzione delle strade provinciali; la gestione e manutenzione delle scuole superiori; la tutela e valorizzazione dell'ambiente; l'assistenza ai comuni;
    la legge di stabilità 2015 prevede il versamento allo Stato da parte delle province di 1 miliardo di euro per il 2015, 1 ulteriore miliardo di euro per il 2016 e 1 ulteriore nuovo miliardo di euro per il 2017, incidendo per oltre il 15 per cento sulla spesa totale delle province. Il legame tra funzioni fondamentali, funzioni trasferite, risorse e garanzia di copertura finanziaria viene dunque completamente ignorato;
    dal lato dei comuni, ai tagli citati corrisponde un aumento degli oneri conseguente alle crescenti esigenze di servizi sociali per fronteggiare crescenti situazioni di sofferenza e di povertà della popolazione, oltre ad una crescente evasione delle imposte municipali determinata da impossibilità di farvi fronte da parte dei cittadini;
    anche il costo dell'accoglienza di migranti è in larga parte a carico dei comuni: in maniera integrale per ciò che riguarda i minori non accompagnati, in forma di anticipazione forzata allo Stato delle spese sostenute per i migranti assegnati dalle prefetture;
    i comuni non hanno invece la possibilità economica di fare fronte alla crescente domanda di sicurezza da parte dei cittadini, non potendo, a causa delle regole del patto di stabilità interno, liberare risorse per investimenti sulla sorveglianza, sulla polizia locale, sulla bonifica di zone a rischio del proprio territorio,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative dirette a superare le attuali regole del patto di stabilità interno per gli enti locali per garantire agli enti virtuosi di investire in azioni per la sicurezza pubblica e i programmi di sostegno sociale per i cittadini residenti in difficoltà;
   ad assumere iniziative per rivedere i tagli imposti alle province dalla legge di stabilità 2015 in modo da garantire che esse possano svolgere le funzioni assegnate e possano essere trasferite le risorse riferite alle funzioni non fondamentali agli enti che assumeranno le funzioni stesse;
   ad applicare immediatamente i costi standard previsti dalla legge sul federalismo fiscale come vera modalità di riduzione degli sprechi ed efficientamento delle amministrazioni.
(1-00830) «Guidesi, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    nell'ambito del processo di riforma complessivo del Paese, il nuovo assetto istituzionale e finanziario degli enti locali e il contestuale e necessario riequilibrio dei conti pubblici rappresentano obiettivi cardine dell'azione del Governo e per raggiungerli è stato chiesto un forte impegno ed un rilevante sacrificio proprio alle amministrazioni territoriali ed in particolar modo ai comuni;
    in tale contesto, i provvedimenti normativi emanati fino ad oggi nei confronti degli enti locali hanno previsto la definizione di un nuovo assetto dei rapporti economici e finanziari tra lo Stato e le autonomie, la riduzione dei costi degli apparati e dei trasferimenti di risorse, l'aumento della funzionalità degli enti nonché l'inasprimento dei vincoli del patto di stabilità interno;
    gli effetti di queste manovre, soprattutto in termini di patto di stabilità, hanno spesso inciso in maniera negativa sulla capacità di spesa e in particolar modo sulla dimensione degli investimenti degli enti locali che nel corso degli ultimi anni hanno registrato una rilevante nonché preoccupante riduzione;
    dal 2007 al 2015 i comuni hanno contribuito al risanamento della finanza pubblica per circa 16,4 miliardi di euro, di cui 8,4 miliardi in termini di patto di stabilità interno e nuova contabilità pubblica, con una riduzione nel 2015 di circa 850 milioni rispetto agli obiettivi di patto 2014, e 9 miliardi in termini di riduzione di assegnazioni da Fondo di solidarietà comunale, con un aggravamento nel 2015 di quasi 1,5 miliardi rispetto al 2014;
    secondo quanto disposto dalla legge 29 dicembre 2014, n. 190, (legge di stabilità 2015) gli enti territoriali concorreranno complessivamente al contenimento della spesa pubblica per circa 6,2 miliardi di euro nel 2015, 7,2 nel 2016 e 8,2 nel 2017, senza tener conto delle ulteriori riduzioni operate dal decreto-legge n. 66 del 2014;
    in particolare, il comma 435 dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2015 ha stabilito la riduzione della dotazione del Fondo di solidarietà comunale di 1.200 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015; il comma 418 ha operato una riduzione della spesa corrente per province e città metropolitane di 1.000 milioni di euro per l'anno 2015, di 2.000 milioni di euro per l'anno 2016 e di 3.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017. Infine, il comma 398 ha disciplinato un contributo aggiuntivo alla finanza pubblica delle regioni a statuto ordinario, per ciascuno degli anni dal 2015 al 2018, pari a 3.452 milioni di euro e il comma 400 ha stabilito entità e modalità a contributo aggiuntivo pari a 467 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 per le regioni a statuto speciale;
    sarebbe da evidenziare che la legge di stabilità 2015 ha previsto non solo una riduzione di trasferimenti a favore dei Comuni ma anche l'acquisizione da parte dello Stato di una quota dell'IMU comunale fin qui destinata al finanziamento del riequilibrio delle risorse all'interno del comparto;
    sempre con riferimento alle riduzioni di trasferimenti, sarebbe da rilevare che la dotazione di risorse di numerosi Comuni è a rischio per il mancato ripristino del trasferimento integrativo di 625 milioni, a fronte del congelamento della disciplina IMU-Tasi 2014 dovuta alla scelta del Governo di rimandare l'introduzione della Local Tax al 2016. Per circa 900 dei 1.800 Comuni beneficiari del trasferimento nel 2014, il mancato consolidamento del fondo si traduce in un aggravio dei tagli disposti espressamente dalla legge di oltre il 50 per cento con punte del 300 per cento. Tra i comuni più colpiti, inoltre, circa 600 non superano i 10 mila abitanti;
    anche l'introduzione di meccanismi di finanziamento basati su costi e fabbisogni standard, benché volti ad ottenere effetti positivi, hanno poi evidenziato la necessità di correttivi e infatti la ripartizione in base ai predetti criteri della quota del 20 per cento dell'FSC destinato ai comuni delle regioni a statuto ordinario dovrebbe essere oggetto di revisione e di maggior approfondimento con l'obiettivo di assicurare un sistema attuativo stabile ed efficiente e che possa premiare gli enti virtuosi;
    gli effetti delle manovre finanziarie degli ultimi anni hanno inciso negativamente su settori di fondamentale importanza per la qualità della vita e per la sicurezza dei cittadini. In particolare, versano in uno stato di evidente difficoltà molti tra gli enti a cui spetta il compito di realizzare opere pubbliche essenziali per il contrasto del rischio idrogeologico, progetti per incrementare le infrastrutture, la viabilità e i trasporti, opere a servizio della scuola nonché provvedimenti volti a garantire la pubblica sicurezza e la giustizia;
    risultano evidenti nonché ovvie e maggiormente rilevanti le difficoltà riscontrate dalle amministrazioni territoriali del Sud Italia che soffrono degli effetti penalizzanti delle manovre finanziarie e che hanno dovuto contrarre fortemente la loro capacità di investimento aumentando così il divario con le aree del Centro-Nord;
    se si analizzano i Rapporti della Corte dei conti circa gli effetti sulle amministrazioni locali delle misure adottate dai governi in questi ultimi anni, si rileva facilmente che queste ultime, «...riducendo gravemente le possibilità di intervento e di gestione degli enti territoriali, hanno inciso profondamente sul grado di autonomia finanziaria e funzionale ad essi garantiti dal Titolo V, della Parte II, della Costituzione...», nonché sulla necessità che sia salvaguardato «...il corretto adempimento dei livelli essenziali delle prestazioni nonché delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali» ed assicurato «un adeguato concorso finanziario dello Stato per gli interventi correttivi degli squilibri economico-sociali emersi tra le diverse aree del Paese...»;
    l'analisi della Corte dei conti relativa a dicembre 2014 evidenzia come «...lo sforzo di risanamento richiesto alle Amministrazioni territoriali con i vincoli disposti dal patto di stabilità interno risulta non proporzionato all'entità delle risorse gestibili dalle stesse, il che ha prodotto un drastico ridimensionamento delle funzioni di spesa di queste ultime a vantaggio degli altri comparti amministrativi che compongono il conto economico consolidato delle Amministrazioni pubbliche...»;
    i sacrifici imposti agli enti locali impongono ora provvedimenti normativi orientati soprattutto a definire indirizzi e incentivi e non vincoli e ulteriori riduzioni di risorse confrontandosi maggiormente con le amministrazioni e analizzando a fondo le loro osservazioni e richieste nonché accogliendo quelle obiettivamente necessarie;
    d'altro canto, a fronte di tali interventi a favore degli enti locali virtuosi, occorre rafforzare l'attività di risanamento, promuovendo la razionalizzazione della galassia di partecipate degli enti locali che, come rilevato anche nei rapporti preparati ai fini della spending review, presentano gravi inefficienze e spesso sono del tutto estranee ai fini istituzionali dell'ente; in proposito, occorre rendere più efficaci i meccanismi sanzionatori nei confronti degli enti locali che siano inadempienti agli obblighi di trasparenza e di dismissione delle partecipate inutili;
    sempre al fine di reperire le risorse destinate al servizio pubblico, è necessario promuovere la valorizzazione e dismissione del patrimonio immobiliare degli enti locali non destinato specificamente al servizio pubblico;
    è altresì fondamentale accelerare e promuovere l'attuazione dei meccanismi di centralizzazione degli acquisti, troppe volte rinviati quando non rimasti del tutto inattuati;
    i prossimi provvedimenti normativi dovrebbero, quindi, tendere a valorizzare le buone amministrazioni e a premiare i comuni virtuosi responsabilizzando, sanzionando e chiedendo correttivi agli enti che gestiscono male le risorse, evitando al contempo quei tagli lineari che finiscono poi per penalizzare la capacità di erogazione dei servizi essenziali ai cittadini,

impegna il Governo:

   ad adottare con urgenza iniziative volte a risolvere le problematiche e ad eliminare le criticità evidenziate dagli enti locali che non consentono loro una efficiente amministrazione della cosa pubblica nonché la relativa erogazione dei servizi essenziali ai cittadini, con particolare riferimento:
    a) all'attuazione dell'intesa del 19 febbraio 2015 raggiunta in seno alla Conferenza Stato-città ed autonomie locali, in particolare in merito alla rideterminazione degli obiettivi del patto di stabilità interno dei comuni per gli anni 2015-2018 e delle sanzioni per mancato raggiungimento degli obiettivi;
    b) alla sostenibilità del concorso al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica per il comparto province e città metropolitane, stabilendo la possibilità di rinegoziare i mutui e utilizzare gli spazi ottenuti a copertura di spese correnti e di investimenti;
    c) alla gradualità e flessibilità della fase di avvio a regime dell'armonizzazione contabile;
    d) all'introduzione di meccanismi di perequazione per l'applicazione delle nuove norme in materia di Imu agricola e al rinnovo, almeno parzialmente, di quelli previsti per il passaggio dall'Imu alla Tasi;
    e) all'attuazione dell'intesa del 26 febbraio 2015 raggiunta in seno alla Conferenza Stato-regioni in merito alle disposizioni di cui all'articolo 1, commi 398, 465 e 484, della legge 23 dicembre 2014, n. 190;
   a procedere al riordino e alla semplificazione, all'interno della legge di stabilità per l'anno 2016, della fiscalità immobiliare comunale al fine di garantire un assetto legislativo e finanziario definitivo e stabile in materia e di favorire la valorizzazione e dismissione del patrimonio immobiliare non destinato al servizio pubblico;
   ad assicurare che l'entità dei tagli imposti ai comuni non sia sproporzionata rispetto ai tagli imposti alle amministrazioni statali;
   ad accelerare la rinegoziazione dei mutui dei comuni con la cassa depositi e prestiti revisionando in particolare le condizioni di erogazione degli stessi mutui;
   a definire anno per anno, e in un tempo definito, tutte le risorse a disposizione dei comuni in tempo utile a consentire la redazione dei bilanci;
   a riconsiderare gli interventi in favore degli enti locali tramite l'aumento degli spazi di esclusione dal patto di stabilità interno, in particolare per le città metropolitane, incluse le misure riconducibili all'edilizia scolastica, in considerazione del fatto che la legge di stabilità per il 2015 prevede che nel computo del patto non siano valutate le spese di province e città metropolitane per interventi di edilizia scolastica, fino ad un massimo di 50 milioni nel 2015 e 50 milioni nel 2016;
   a garantire agli enti locali un periodo temporale congruo e ragionevole per una programmazione finanziaria e strategica, al fine di conoscere l'esatto ammontare delle risorse disponibili di cui gli enti locali potranno disporre per l'anno successivo e comunque entro la fine del mese di ottobre 2015;
   a promuovere ulteriormente la razionalizzazione delle partecipazioni nelle società da parte degli enti locali, limitandole a quelle necessarie ed indispensabili per l'erogazione di servizi pubblici;
   a prevedere meccanismi sanzionatori e di riduzione dei trasferimenti nei confronti degli enti locali inadempienti agli obblighi di trasparenza e di dismissione delle partecipazioni in società non utili ai fini di garantire la pubblica utilità;
   a promuovere la valorizzazione e la dismissione da parte degli enti locali del patrimonio immobiliare di proprietà non destinato a pubblica utilità con la finalità di recuperare le risorse necessarie;
   ad accelerare l'attuazione delle disposizioni in materia di centralizzazione e razionalizzazione degli acquisti da parte degli enti locali.
(1-00847) «Matarrese, Mazziotti Di Celso, D'Agostino, Vargiu, Vecchio, Falcone».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)


MOZIONI FAENZI ED ALTRI N. 1-00784, FRANCO BORDO ED ALTRI N. 1-00790, MASSIMILIANO BERNINI ED ALTRI N. 1-00793, MUCCI ED ALTRI N. 1-00795, DE GIROLAMO ED ALTRI N. 1-00797, GUIDESI ED ALTRI N. 1-00808, RAMPELLI ED ALTRI N. 1-00811 E OLIVERIO ED ALTRI N. 1-00817 CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI ESENZIONE DALL'IMU PER I TERRENI AGRICOLI

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    la complessa vicenda relativa alla revisione del regime IMU sui terreni agricoli montani evidenzia l'ulteriore confusione che coinvolge la disciplina relativa alla fiscalità locale, anche e soprattutto per le evidenti responsabilità del Governo e dell'amministrazione tributaria, che hanno gestito ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo con evidente superficialità il contesto normativo legato al pagamento dell'imposta sui terreni agricoli, ricadenti in particolari aree, soprattutto con riferimento ai criteri di individuazione altimetrici dei comuni esenti;
    l'ingorgo burocratico-amministrativo connesso alla classificazione dei parametri predisposta dall'Istat, inizialmente suddivisa in tre fasce sulla base dell’«altitudine al centro», ovvero nel punto in cui si trova il municipio, la retroattività della norma che imponeva il pagamento del tributo per l'anno 2014, i provvedimenti cautelari adottati dalla magistratura amministrativa rappresentano soltanto alcuni dei numerosi elementi critici e distorsivi che hanno caratterizzato, nel corso dei mesi precedenti, il pagamento di tale tributo, che permane secondo i firmatari del presente atto di indirizzo iniquo e costituzionalmente illegittimo;
    anche la nuova revisione dei meccanismi di calcolo delle esenzioni (contenuta all'interno del decreto-legge n. 4 del 2015), che persiste in forma complicata in larga parte irrazionale, induce ad un profondo ripensamento della classificazione Istat sui criteri di montanità risalenti peraltro al 1952 e non più aggiornati;
    l'irrazionalità con cui sono stati fissati i termini relativi alla scadenza del pagamento (rinviati peraltro tre volte) e molto ravvicinati, che non hanno consentito tempi adeguati e congrui per i soggetti interessati, al fine di verificare quale sia il regime applicabile (mutato, tra l'altro, diverse volte nel corso dei mesi scorsi), il calcolo dell'imposta e l'adempimento finale del pagamento (considerando, peraltro, che i comuni non hanno avuto alcun obbligo di invio ai contribuenti dei bollettini precompilati) delineano un quadro generale sconfortante e intricato del sistema tributario italiano, che si dimostra essere palesemente in antitesi con qualsiasi ipotesi di collaborazione e buona fede tra l'amministrazione fiscale e il cittadino-contribuente;
    il sopra esposto decreto-legge, approvato in via definitiva il 19 marzo 2015, resosi necessario alla luce delle precedenti e ripetute difficoltà applicative (relative al discusso criterio dell'altitudine «al centro»), nonché a seguito delle pesanti censure del tribunale amministrativo regionale del Lazio, che ha invitato il Governo a rivedere l'impianto dei criteri (a cui si è unita la confusione generata dall'accavallarsi di regole e ricorsi), non solo continua a destare dubbi e incertezze interpretative, ma introduce ex novo l'imposta anche per i terreni «parzialmente montani», contraddicendo nella forma e nella sostanza quanto invece previsto dal decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89;
    se, all'interno del decreto interministeriale del 28 novembre 2014, di attuazione dell'articolo 22 del decreto-legge n. 66 del 2014, erano emersi notevoli dubbi sui criteri di attribuzione dell'imposta (in quanto la classificazione in base all'altimetria delle sede comunale rappresentava un'impostazione irrazionale e aleatoria), i successivi interventi normativi rilevano anch'essi evidenti profili discriminatori, che generano distinzioni eccessive, non soltanto tra i comuni limitrofi, ma anche tra appezzamenti di terreno contigui e su comuni differenti;
    i nuovi parametri stabiliti dall'Istat, infatti, che definiscono un comune «totalmente montano» (esente dal pagamento dell'IMU), «parzialmente montano» (che esonera soltanto i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli, i proprietari o affittuari del terreno) e «non montano» (che prevede il pagamento per tutti i proprietari senza eccezioni), determinano una discrepanza nei criteri altimetrici, generando inspiegabili asimmetrie impositive, in particolare in regioni collinari, in cui si registrano comunità locali considerate non montane e altre più pianeggianti, valutate invece parzialmente montane;
    alle sopra esposte e articolate criticità, come la decisione di intervenire attraverso il pagamento di un tributo che graverà in maniera pesante sull'assetto economico del comparto agricolo nazionale (anche a seguito delle disfunzioni applicative nella corresponsione dell'imposta medesima), si affiancano ulteriori aspetti problematici connessi alla scarsa valutazione dei delicati profili di equità fiscale, che avrebbero dovuto essere affrontati in un'ottica di adeguamento dell'imposta alla capacità contributiva del comparto agricolo;
    le modifiche normative apportate dal recente provvedimento d'urgenza, a decorrere dal 2014 (peraltro in forma retroattiva, violando per l'ennesima volta il principio sancito nello statuto del contribuente), sebbene risultino meno penalizzanti per i territori montani, evidenziano numerosi problemi legati alla disparità di trattamento, difficilmente giustificabili, tra territori contigui e affini per caratteristiche morfologiche ed economiche;
    gli attuali criteri di esenzione confermano, in generale, numerosi elementi di irragionevolezza ed iniquità dell'imposizione tributaria (già contenuti all'interno del decreto interministeriale del 28 novembre 2014) connessi alla mancata considerazione di aspetti legati alla redditività delle colture tipiche, al rischio idrogeologico, alla dimensione delle aziende agricole e ad altri aspetti tipici delle diverse realtà rurali territoriali;
    con riferimento alla riduzione del taglio operato sul fondo di solidarietà comunale, a fronte del maggior gettito stimato per i comuni derivante dalle nuove imponibilità dei terreni agricoli, pari a circa 230 milioni di euro per il 2014 e a quasi 269 milioni di euro per il 2015, occorrono iniziative nei confronti dei sindaci, affinché le aliquote applicate per la revisione del regime fiscale legato all'IMU sui terreni agricoli possano essere riconsiderate, evitando un impatto sui bilanci delle imprese agricole, vessate da tale imposta;
    ulteriori rilievi altamente critici e profili discriminatori, nei confronti del settore agricolo, si rinvengono nelle disposizioni concernenti la copertura finanziaria previste dall'articolo 2, comma 1, del decreto-legge n. 4 del 2015;
    l'abrogazione della deduzione ai fini IRAP per i lavoratori nel medesimo comparto determinerà effetti penalizzanti, anche in termini di rilancio del mercato del lavoro agricolo;
    occorre evidenziare, inoltre, che la decisione di armonizzare la geografia delle aree esentate (che ha aggiornato la mappa dei territori agricoli, risalente alla circolare 14 giugno 1993, n. 9, del Ministero delle finanze), all'interno del decreto-legge 22 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, è stata ispirata dall'esigenza di rimediare al difetto originario della «riforma» dell'IMU, che è partita dalla coda, ovvero dalla necessità di reperire il gettito complessivo pari a circa 359 milioni di euro, già iscritti all'interno del medesimo decreto, essendo già stati utilizzati nel 2014;
    l'esigenza di procedere ad una ridefinizione coerente ed organica di esenzione dall'IMU per i terreni agricoli (nell'ottica di un superamento di una serie di criticità, la cui metamorfosi normativa nel corso degli ultimi mesi, ha generato notevoli complicazioni ed incertezze) appare, pertanto, urgente e necessaria, al fine di una risoluzione complessiva in grado di prevedere l'esonero definitivo del pagamento del tributo medesimo, per tutte le fasce di terreni classificati dall'ISTAT;
    i forti limiti degli interventi adottati dal legislatore e dalle decisioni politiche del Governo, sia nel merito che nel metodo utilizzato (per la revisione devi criteri di esenzione), richiedono, a tal fine, un'inversione di tendenza delle scelte da adottare, anche attraverso un ampio coinvolgimento delle associazioni agricole e degli enti locali, in un'ottica di condivisione comune, affinché si possa comprendere in maniera risolutiva come il comparto agricolo non sia considerato dal Governo come un settore su cui evidentemente si intende «fare cassa»,

impegna il Governo:

   a prevedere in tempi rapidi iniziative volte all'esenzione definitiva dall'imposta municipale propria (IMU), prevista dalla lettera h) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, per i soggetti individuati sulla base delle disposizioni previste dal decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, adottato di concerto con il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali e con il Ministro dell'interno, del 28 novembre 2014, pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 6 dicembre 2014, nonché dei successivi interventi normativi introdotti;
   ad assumere iniziative per prevedere la restituzione nei confronti dei proprietari terrieri che hanno già effettuato il pagamento dell'IMU sui terreni parzialmente montani e non montani, il 10 febbraio 2015 e nei periodi precedenti, attraverso il rimborso fiscale in sede di dichiarazione dei redditi per il 2016 con la procedura della compensazione fiscale;
   ad assumere iniziative per introdurre interventi compensativi volti ad attribuire ai comuni interessati il minor gettito complessivo derivante dalla mancata entrata tributaria, attraverso l'immediata introduzione di misure per la revisione della spesa pubblica (cosiddetta spending review) contenute nel piano predisposto dall'ex commissario straordinario Carlo Cottarelli, per le quali il Governo ha costantemente rinviato l'attuazione, abrogando, di conseguenza, l'articolo 22, comma 2, del decreto-legge n. 66 del 2014;
   a prevedere, infine, in caso contrario, adeguate misure di compensazione di natura finanziaria o fiscale, a vantaggio delle imprese agricole, interessate dal pagamento dell'IMU sui terreni considerati dall'Istat parzialmente montani e non montani, posto che gli effetti tributari di un'iniqua penalizzazione del settore agricolo ad avviso dei firmatari del presente atto di utilizzo sono stati soltanto volti ad ottenere un immediato risultato finanziario da parte del Governo Renzi.
(1-00784) «Faenzi, Catanoso, Fabrizio Di Stefano, Riccardo Gallo, Russo, Sandra Savino, Laffranco, Francesco Saverio Romano, Alberto Giorgetti, Palmizio, Occhiuto, Ciracì, Distaso, Marti, Palese, Fucci, Prestigiacomo, Castiello, Carfagna, Latronico, Gelmini, Polidori, Brunetta».


   La Camera,
   premesso che:
    l'intera vicenda relativa alla revisione della disciplina dell'esenzione dall'IMU per i terreni agricoli montani, avviata al fine di armonizzare ed aggiornare la mappa dei «territori svantaggiati» ereditata dal previgente regime dell'ICI e che ha dato origine nei mesi scorsi all'esigenza di un intervento d'urgenza sfociato nel decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n. 34, si è invece concretizzata in un intervento di pura semplificazione normativa che ha disvelato il reale intento del Governo di soddisfare esigenze di mero incremento del gettito fiscale, piuttosto che di conseguire una revisione organica e, auspicabilmente, concertata dell'intera disciplina riferibile ai terreni agricoli montani;
    invero, le modifiche normative apportate, a decorrere dal 2014, dal suddetto decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4, pur risultando nel complesso meno penalizzanti per i territori montani, sotto il profilo dei minori tagli operati ai comuni, lasciano intatti sul tappeto numerosi problemi. Infatti, i nuovi criteri di esenzione, per quanto preferibili rispetto al mero criterio dell'altimetria del centro comunale di cui al decreto ministeriale del 28 novembre 2014, e che ha determinato il noto casus belli, presentano non pochi elementi di criticità e producono, con riferimento all'esenzione dall'imposta, disparità di trattamento difficilmente giustificabili tra territori contigui ed affini per caratteristiche morfologiche ed economiche;
    in generale, per quanto attiene i criteri di esenzione, si confermano tutte quelle criticità derivanti da un'imposizione iniqua ed irrazionale, già rilevate con riferimento alla successiva ed a tratti convulsa produzione normativa successiva al decreto-legge n. 66 del 2014 (che, avendo affidato al sovragettito dell'IMU agricola il compito di finanziare l'operazione «bonus 80 euro», aveva disposto una limitazione del perimetro delle esenzioni) e legate, soprattutto, alla mancata considerazione di aspetti connessi alla redditività delle colture tipiche, al rischio idrogeologico, alla dimensione delle aziende agricole e ad altri aspetti tipici delle diverse realtà rurali territoriali;
    così come ancora dubbie appaiono le modalità di aggiornamento periodico e di manutenzione della classificazione dei comuni a tale scopo adottata, dal momento che, come è noto, la triplice qualifica di montanità adottata dall'Istat (comune «totalmente montano», «parzialmente montano», «non montano»), cui la citata legge rinvia, è stata determinata sulla base del vetusto articolo 1 della legge n. 991 del 1952, successivamente abrogato dall'articolo 29 della legge n. 142 del 1990;
    inoltre, date le caratteristiche dei terreni oggetto d'imposizione ed il loro limitato valore, è ragionevole ritenere che i comuni non saranno nell'oggettiva condizione di recuperare una parte significativa del gettito stimato, anche a causa della sua frammentazione in importi singolarmente inferiori ai minimi di legge e, pertanto, non dovuti dai contribuenti. Tra gli altri elementi che concorreranno al verificarsi di prevedibili impatti negativi sui bilanci degli enti locali, occorre tenere presente il problema dei rimborsi per quei comuni che, interamente imponibili in virtù della normativa precedente, sono divenuti esenti o parzialmente esenti per effetto delle nuove disposizioni recate dal citato decreto-legge n. 4 del 2015, e pertanto dovranno corrispondere il rimborso a tutti quei contribuenti che hanno correttamente ritenuto di pagare l'IMU relativa al 2014 nei termini fissati dalla normativa previgente, situazione che, peraltro, rischia di imporre ulteriori costi amministrativi per i comuni, nonché maggiori aggravi per i contribuenti, i quali, oltre ad avere sostenuto i costi per la predisposizione dei conteggi dell'IMU pagata, dovranno procedere alla presentazione delle istanze di rimborso;
    riguardo, poi, all'entità del relativo taglio operato sul fondo di solidarietà dei comuni, il decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n. 34, affida al Ministero dell'economia e delle finanze il compito di procedere, entro il 30 settembre 2015 e sulla base di una metodologia condivisa con l'Anci, la verifica del gettito IMU per l'anno 2014, al fine di assicurare la più precisa ripartizione tra i comuni dei tagli a valere sul fondo di solidarietà. È, pertanto, auspicabile che nell'ambito di tale verifica, il Governo provveda allo stanziamento di maggiori risorse da destinare per far fronte all'eventuale scostamento tra le stime ministeriali di gettito atteso e quello effettivamente riscosso;
    nonostante alcuni significativi correttivi introdotti nel corso dell'esame parlamentare del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4, l'intera vicenda ha rappresentato un nuovo grave segnale di disattenzione del Governo nei confronti di un comparto già pesantemente vessato e penalizzato dalla progressione di un'imposizione tributaria che ha visto quasi triplicare il carico fiscale, dalla riduzione delle aliquote agevolative in materia di accise sul gasolio, dal taglio dei fondi per il piano irriguo nazionale e dalla soppressione e dal ridimensionamento di enti di ricerca agricoli: tutti interventi che hanno determinato gravi ripercussioni sia sul versante produttivo che su quello occupazionale dell'intera filiera agricola;
    il futuro del nostro Paese è, invece, indissolubilmente legato allo sviluppo del territorio ed al rafforzamento dell'agricoltura: il comparto agricolo, ancora importante in termini di prodotto interno lordo, è capace di dare risposte economiche e sociali sia in termini occupazionali che di qualità della vita: valorizzare il territorio e potenziare le aree rurali diventa, pertanto, strategico per promuovere lo sviluppo dell'intero Paese, ma sta alla politica riconoscerle il giusto valore;
    il Governo, che con l'Expo 2015 sta facendo dell'agroalimentare il suo punto di forza politico, da una parte continua a sbandierare slogan a favore del ritorno dei giovani in agricoltura, considerata uno dei volani in grado di fare uscire il Paese dalla crisi, e dall'altro vessa gli agricoltori mantenendo la tassazione sul terreno, cioè lo strumento per produrre, a prescindere da quanto lo stesso abbia reso in termini economici o se sia stato vittima di calamità ed eventi atmosferici, come grandinate e alluvioni, o altri eventi incontrollabili, come la diffusione sulle piantagioni di gravi patologie, tutte condizioni per le quali, peraltro, non realizzandosi alcun reddito, non sussisterebbe neanche il presupposto per la tassazione;
    le aziende agricole italiane, che nel solo 2013 hanno visto crollare i loro redditi dell'11 per cento (contro l'1,7 per cento della media dell'Unione europea), saranno chiamate, soprattutto quando si spegneranno i riflettori su Expo 2015, a misurarsi con le sfide del mercato e ad affermarsi sia su quello locale che internazionale. Occorre, pertanto, adottare tutte le misure economiche e fiscali, che tengano conto della specificità del comparto agricolo a partire dall'abrogazione di quelle che lo penalizzano, dando così un forte impulso alle imprese che vi operano e mettendole in grado di realizzare il loro progetto imprenditoriale;
    oggi l'unica definitiva soluzione per salvare il mondo dell'agricoltura, già particolarmente provato, oltre che da una tassazione insostenibile, anche dalla minaccia sul mercato di forti competitor stranieri, capaci di imporre sempre più i propri prodotti sui banchi della distribuzione italiana ed europea, è rappresentata dall'esentare dal pagamento dell'IMU tutti i terreni agricoli, coltivati e non, compresi quelli destinati a pascolo, bosco e selvicoltura, prato permanente, ad aree di interesse ecologico e tutti quelli danneggiati da calamità naturali, limitatamente all'anno successivo a quello in cui si verifica l'evento calamitoso;
    da tempo è, inoltre, atteso un provvedimento che, riconoscendo l'importanza della ricomposizione fondiaria, aggiorni gli estimi catastali che rappresentano la base essenziale di una valutazione per poter superare le disparità oggi presenti tra terreni simili e contigui, ma soggetti a tassazione differenziata,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative che rappresentino un forte e tangibile segnale di attenzione verso il comparto primario, a partire dalla totale abolizione di una tassazione patrimoniale sui terreni agricoli e sui fabbricati che siano utilizzati come beni strumentali imprescindibili dall'attività agricola e ad essa connessi e necessari;
   a superare gli attuali criteri di esenzione dall'IMU agricola improntati ad avviso dei firmatari del presente atto unicamente al conseguimento di maggiore gettito erariale, promuovendo una revisione organica dei criteri dell'imponibilità dei terreni agricoli, attraverso un percorso di ampia concertazione con le associazioni agricole e con gli enti locali che conduca all'istituzione di un «tavolo della fiscalità per l'agricoltura», che sappia rivolgere la giusta attenzione alle caratteristiche territoriali e orografiche delle diverse aree montane, alcune delle quali fortemente esposte a fenomeni di dissesto idrogeologico e di spopolamento, e che tenga conto del diverso indice di redditività dei terreni agricoli, anche al fine di assicurare la coerenza della misura dell'imposta con la capacità contributiva dei medesimi;
   ad assumere iniziative per esentare dal pagamento dell'IMU, relativa agli anni 2015 e 2016, tutti i terreni agricoli che abbiano subito grave pregiudizio alla redditività a causa dalla diffusione della fitopatologia denominata xylella fastidiosa di cui al decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali del 26 settembre 2014, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale 14 ottobre 2014, n. 239, ed a prevedere, per il futuro, l'automatica sospensione della tassazione IMU per tutti quei terreni agricoli affetti da fitopatie diffuse, per l'intero anno d'imposta nel quale si verifica la patologia;
   a provvedere, nell'ambito della procedura di verifica del gettito IMU per l'anno 2014, allo stanziamento di maggiori risorse da destinare per far fronte all'eventuale scostamento tra le stime ministeriali di gettito atteso e quello effettivamente riscosso dai comuni in relazione al nuovo regime di imponibilità dei terreni montani.
(1-00790) «Franco Bordo, Zaccagnini, Paglia, Scotto».


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89 ha reintrodotto l'obbligo di pagamento dell'Imposta municipale propria (IMU) per i terreni agricoli al fine di reperire le risorse necessarie per finanziare alcune agevolazioni previste dallo stesso decreto;
    la reintroduzione della suddetta imposta può essere interpretata come una vera e propria patrimoniale sulla terra, suscettibile, tra l'altro, di favorire l'abbandono delle terre da parte degli agricoltori, in assoluta contraddizione con le normative nazionali e soprattutto comunitarie che invece sostengono il ricambio generazionale in agricoltura proprio al fine di limitare i fenomeni di dismissione delle aziende agricole con le conseguenti pericolose speculazioni sui relativi terreni;
    l'applicazione dell'IMU ai terreni agricoli rappresenta un aggravio di imposizione proprio mentre il carico fiscale per il settore agricolo sta assumendo livelli insostenibili. È da tempo che il comparto primario attende una revisione complessiva della fiscalità patrimoniale, una revisione che tenga conto delle difficoltà legate alla conduzione dei terreni e che consideri le specificità del comparto agricolo nazionale, una delle eccellenze più significative del made in Italy;
    coloro che risultano maggiormente colpiti da questa imposta, infatti, non sono i grandi imprenditori agricoli, bensì i piccoli agricoltori o anche i piccoli possessori di terreno, che spesso lo coltivano esclusivamente per ragioni di autoconsumo o semplicemente operano su di esso una costante, ma preziosa, manutenzione;
    imporre una tassa sulla terra significa tassare un bene strumentale senza il quale non si potrebbero ottenere i beni primari, come le derrate agricole necessarie al sostentamento della popolazione, oltre che i numerosi prodotti di qualità che sono venduti anche all'estero con il secondo brand più famoso al mondo ovvero: made in Italy; significa rendere l'agricoltura italiana sempre meno competitiva nei confronti degli altri mercati europei ed extraeuropei, facendola concorrere con prodotti sempre più vantaggiosi dal punto di vista del prezzo finale, inoltre potrebbe significare perdere l'unico presidio ancora reale del territorio italiano, l'agricoltore, obbligandolo al pagamento di un'imposta sullo strumento della produzione a prescindere se un terreno abbia reso o meno in termini economici o se sia stato vittima di calamità atmosferiche, fitopatie o altri eventi non prevedibili;
    i cambiamenti climatici degli ultimi anni hanno provocato un inasprimento ed una maggior frequenza degli eventi climatici avversi, con conseguente ricaduta sulle produzioni e sui beni strumentali delle aziende agricole italiane, specie quelle che fanno agricoltura in pieno campo e nel 2014 si contano ben 31 calamità naturali ufficialmente riconosciute tramite apposito decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali;
    come noto, negli ultimi anni il fondo di solidarietà nazionale, che eroga i contributi compensativi per le aziende agricole situate nei comuni inseriti nei decreti di declaratoria dello stato di calamità naturale, non viene sufficientemente rimpinguato, anche a causa di una diversa politica di gestione del rischio che ha spostato la maggior parte delle risorse finanziarie sulla prevenzione dei rischi agricoli ex ante, anziché sul risarcimento dei danni ex post e la procedura che porta dal verificarsi del danno all'ottenimento del contributo compensativo è oltremodo lunga e farraginosa e può durare anni, al termine dei quali alle aziende agricole viene riconosciuto quasi sempre un contributo sensibilmente minore rispetto allo spettante, accertato e giustificato dalle aziende stesse tramite perizie agronomiche con oneri a loro carico;
    l'IMU sui terreni agricoli potrebbe, inoltre, soffocare i segnali positivi di ripresa che provengono proprio dal settore agricolo, in termini di occupazione e di prodotto interno lordo, e che sono invece il volano di una possibile ripresa economica del nostro Paese;
    la normativa in materia di revisione dei meccanismi di calcolo delle esenzioni è cambiata più volte fino all'approvazione del decreto legge n. 4 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 34 del 2015, che ha sostanzialmente confermato il riferimento ai parametri stabiliti dall'Istat al fine di individuare i comuni i cui terreni agricoli risultano esenti dall'imposta, ovvero i comuni classificati come totalmente montani, e quelli i cui terreni agricoli sono esonerati dal versamento solo se posseduti e condotti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, cioè i comuni parzialmente montani;
    è evidente per i firmatari del presente atto di indirizzo che i criteri con i quali viene imposta l'IMU sui terreni agricoli, e quelli sui quali viene calcolata l'esenzione, che fanno riferimento alla cosiddetta «montagna legale dell'ISTAT del 1952», trascurano, anche a causa della loro vetustà, ogni criterio di equità, determinando di fatto delle vere e proprie ingiustizie sociali e andando a colpire la terra e non la redditività dell'agricoltore, senza contare che, attualmente, le rendite catastali non corrispondono più alla reale redditività dei terreni a causa del mancato aggiornamento, da decenni, del catasto agricolo,

impegna il Governo:

   a procedere con urgenza ad una revisione complessiva delle norme in materia di fiscalità rurale e, in particolare, ad esentare i terreni agricoli dall'applicazione dell'imposta municipale propria a decorrere dall'anno 2015;
   ad assumere iniziative per rimborsare i proprietari dei terreni agricoli che, in base a quanto previsto dal decreto-legge n. 4 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 34 del 2015, abbiano proceduto al pagamento dell'IMU entro il termine del 31 marzo 2015 e ad assumere iniziative per compensare i comuni interessati dal minor gettito derivante dalla mancata entrata tributaria, anche attraverso la riduzione degli sgravi da interessi passivi di banche ed assicurazioni di cui all'articolo 96 del testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917;
   ad assumere iniziative per esentare comunque dal pagamento dell'IMU i terreni agricoli posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali che dichiarino, a decorrere dall'anno 2015, un volume d'affari da attività agricola non superiore a 15 mila euro annui e a quelli ubicati in comuni vittime di calamità naturali verificatesi a partire dall'anno 2014, così come individuati dai relativi decreti del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali;
   a procedere con urgenza all'aggiornamento del catasto agricolo nonché della classificazione dell'Istat dei comuni italiani, tenendo conto dell'evoluzione e della trasformazione del territorio e del settore primario degli ultimi decenni.
(1-00793) «Massimiliano Bernini, Benedetti, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate, Parentela, Lupo, Pesco, Villarosa, Cancelleri, Ruocco, Alberti».


   La Camera,
   premesso che:
    il settore agricolo italiano sta vivendo una situazione di disagio economico causato dalla crisi in atto. Nel corso del 2015, a peggiore la situazione economico finanziaria complessiva del settore, hanno contribuito una serie di ulteriori aggravi di ordine fiscale pari nel complesso ad oltre 760 milioni di euro. La parte più cospicua di essi è imputabile all'imposta municipale unica (IMU) sui terreni agricoli, che ha garantito un gettito pari a circa 350 milioni di euro mentre il pagamento dell'IMU e della Tasi sui fabbricati rurali ha garantito un gettito pari a circa 150 milioni di euro;
    attualmente in Italia vi sono settori economici come quello agricolo, rilevanti sotto molteplici aspetti. Sono 2 milioni le imprese agricole complessive del Paese, le quali producono il 9 per cento del prodotto interno lordo italiano che aumenta sino al 14 per cento, considerando anche l'indotto, dando lavoro a 3,2 milioni di lavoratori nella filiera. Il contributo complessivo garantito all'erario è valutato in più di 25 miliardi di euro. Anche a causa di ciò, si sono poste le condizioni per il potenziale abbandono di molti imprenditori agricoli, fatto che avrebbe conseguenze nefaste per l'intera economia. Sono infatti molte le aziende agricole che già vivono tale situazione insostenibile fatta di ricavi che non coprono più l'insieme dei costi produttivi e degli oneri tributari cui devono far fronte poiché la redditività degli imprese agricole è ferma ai livelli del 2005;
    l'assoggettamento dei terreni agricoli all'IMU ha provocato e provoca una crisi delle imprese agricole superiore a quello rilevabile in altri settori, ad esempio in quello edilizio, con una conseguente diminuzione delle imprese operanti e, per quelle operanti, una riduzione della redditività che è causa di licenziamenti ed impoverimento degli addetti nel settore;
    si stima che il reddito derivante dalla vendita delle produzioni agricole non sarebbe sufficiente a far fronte al pagamento dell'imposta, determinando la conseguente cessazione dell'attività ed una elevata svalutazione del valore del bene fondiario;
    ad oggi, la classificazione dei comuni per grado di montanità è ancora quella elaborata dalla «Commissione censuaria» istituita presso il Ministero dell'economia e delle finanze sulla base dell'articolo 1 della legge n. 991 del 1952, recante «Provvedimenti in favore dei territori montani». Quella classificazione ha definito quali fossero i comuni ricadenti in ciascuna delle tre classi (comuni totalmente montani, parzialmente montani e non montani);
    nel corso dell'audizione svoltasi al Senato della Repubblica, la rappresentante dell'Istat ha testualmente affermato che: «La legge n. 142 del 1990, con l'abrogazione degli articoli 1 e 14 della legge n. 991 del 1952, ha di fatto soppresso lo strumento giuridico (Commissione censuaria) che consentiva il periodico aggiornamento della classificazione dei comuni per grado di montanità». In particolare, si ricorda che l'articolo 1 della legge n. 991 del 1952, abrogato dalla citata legge n. 142 del 1990, a sua volta abrogata dal decreto legislativo n. 267 del 2000 (TUEL), disponeva che «la Commissione censuaria centrale compila e tiene aggiornato un elenco nel quale d'ufficio o su richiesta dei Comuni interessati, sono inclusi i terreni montani. La Commissione censuaria centrale notifica al Comune interessato e al Ministero dell'agricoltura e delle foreste l'avvenuta inclusione nell'elenco». Tali funzioni della Commissione censuaria sono state appunto abrogate dalla legge n. 142 del 1990;
    la Commissione censuaria, che era incaricata del periodico aggiornamento della classificazione dei comuni, ha trasmesso periodicamente all'Istat tali dati sino al 2009. Dell'incombenza è stata successivamente incaricata l'Unione nazionale comuni, comunità, enti montani (Uncem);
    sebbene la classificazione, da allora, sia rimasta invariata, nei casi in cui si sono verificate variazioni amministrative, i dati sono stati aggiornati sulla base del criterio di prevalenza territoriale. Di conseguenza, i dati utilizzati per quantificare l'IMU non corrispondono esattamente alla realtà dei territori;
    si ricorda che ai fini dell'ottenimento dell'esenzione dall'imposta si devono indicare dei parametri desumibili da quanto reso pubblico dall'Istat. Come detto, però, gli stessi dirigenti dell'istituto auditi pubblicamente affermano che essi non sono aggiornati e, quindi, non adeguati a valutare l'effettivo valore imponibile desumibile dalla natura e dalla posizione del terreno in base ai quali si determina concretamente il quantum dell'imposizione;
    la normativa attualmente vigente, inoltre, non ha previsto casi di esenzione per quei terreni agricoli colpiti da calamità naturali e per i quali sia stato dichiarato lo stato di calamità naturale e che quindi si troverebbero a dover affrontare difficoltà produttive tali da rendere particolarmente onerosa la corresponsione dell'imposta e le difficoltà conseguenti agli eventi di cui sopra possono protrarsi per diverse stagioni compromettendo le culture per più di un anno;
    non risultano poi esentati dal pagamento dell'imposta i proprietari di terreni agricoli non coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali che intendono affittare i terreni, quindi coloro che non hanno la qualifica professionale. Da ciò discende il fatto che non consentire alcuna esenzione ai proprietari non professionisti che affittano i propri terreni e ciò rischia di far ricadere il costo dell'imposta sul canone di affitto. Si segnala in modo particolare il danno potenziale causato ai giovani che vogliano avviare un'attività produttiva agricola sottoscrivendo un contratto di affitto di un terreno. In questi casi il proprietario potrebbe essere indotto dalla normativa ad aumentare il canone di locazione per compensare indirettamente la maggiore imposizione fiscale a cui sono sottoposti, traslandola sull'imprenditore agricolo;
    la disciplina, inoltre, non prevede l'esenzione per quei terreni agricoli che abbiano subito grave pregiudizio alla redditività aziendale, come effettivamente è accaduto, ad esempio, in seguito alla diffusione del batterio della xylella fastidiosa sulle piante di olivo in Puglia, della «tristezza degli agrumi», del cinipide del castagno, della diabrotica, della mosca del ciliegio e della mosca dell'ulivo, e che tali eventi hanno compromesso seriamente la redditività dell'attività di impresa, per cui risulta onerosa la corresponsione dell'imposta;
    maggiori disponibilità derivanti dall'abrogazione delle disposizioni fiscali a favore del lavoro in agricoltura, recentemente approvate possono consentire ai produttori agricoli di essere destinatari di alcune deduzioni dalla base imponibile del medesimo tributo con riferimento alle assunzioni dei lavoratori agricoli dipendenti sia a tempo indeterminato che a tempo determinato;
    si sottolinea che tali abolizioni sono del tutto controproducenti per il settore agricolo dal momento che vengono ad essere così sottratte ulteriori risorse all'agricoltura,

impegna il Governo:

   a valutare la possibilità di andare via via riducendo fino ad arrivare a una totale abolizione dell'IMU sui terreni agricoli nei casi in cui il terreno e/o i fabbricati siano utilizzati come beni strumentali imprescindibili dall'attività agricola, poiché il terreno agricolo, per chi svolge attività di imprenditore agricolo professionale e di coltivatore diretto, rappresenta un bene strumentale in relazione alla propria attività;
   ad assumere iniziative entro e non oltre il 31 dicembre 2015 affinché il Ministero dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali avvii una revisione organica e complessiva delle tariffe d'estimo stabilite, per ciascuna qualità e classe di terreno, sia per il reddito agrario che dominicale, su tutto il territorio, con un'armonizzazione tra colture e tra territori, che tenga conto dell'intervenuta modificazione delle relazioni economiche e competitive sui territori stessi e tra le filiere settoriali, anche attraverso l'attivazione di tavoli di confronto con le organizzazioni agricole e con le rappresentanze degli enti locali;
   ad assumere iniziative per prevedere l'inserimento tra i soggetti esentati dall'IMU anche coloro che, essendo proprietari di terreni agricoli e non rivestendo la qualifica di coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali, affittino i propri terreni a coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali al fine della coltivazione;
   ad effettuare un riesame complessivo della disciplina giuridica afferente l'imposizione fiscale sui terreni agricoli nel territorio nazionale, prevedendo forme più eque e che siano in grado di differenziare effettivamente e nel migliore dei modi i contesti geografici e le zone montane o semi montane in cui si riscontrano effettive difficoltà produttive e una minore redditività;
   a verificare i modi effettivi e le relative conseguenze dell'applicazione delle esenzioni introdotte per i terreni svantaggiati, al fine di prevedere, con una successiva iniziativa normativa, una revisione dei criteri di esenzione dall'IMU che si adatti alla reale situazione dei terreni agricoli, in modo da aver riguardo alle reali condizioni socio-economiche ed agrarie e alle caratteristiche orografiche del suolo, nonché tenendo conto del rischio idrogeologico dei territori e della loro redditività, in modo da assicurare la coerenza della misura dell'imposta con la capacità contributiva dei medesimi terreni;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per l'applicazione delle esenzioni introdotte anche per quei comuni con un territorio non uniforme, per i quali occorre differenziare anche nel medesimo comune tra zone svantaggiate e non, delimitando le diverse aree e valutando la possibilità di considerare tra le aree oggetto di esenzione o di significativa franchigia anche i siti di interesse comunitario e le aree protette;
   ad assumere iniziative normative per assicurare il rimborso a favore dei contribuenti che hanno effettuato versamenti dell'IMU relativamente ai terreni che risultano imponibili.
(1-00795) «Mucci, Rostellato, Artini, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco».


   La Camera,
   premesso che:
    il settore agricolo italiano sta vivendo una situazione di disagio economico causato dalla crisi in atto. Nel corso del 2015, a peggiore la situazione economico finanziaria complessiva del settore, hanno contribuito una serie di ulteriori aggravi di ordine fiscale pari nel complesso ad oltre 760 milioni di euro. La parte più cospicua di essi è imputabile all'imposta municipale unica (IMU) sui terreni agricoli, che ha garantito un gettito pari a circa 350 milioni di euro mentre il pagamento dell'IMU e della Tasi sui fabbricati rurali ha garantito un gettito pari a circa 150 milioni di euro;
    attualmente in Italia vi sono settori economici come quello agricolo, rilevanti sotto molteplici aspetti. Sono 2 milioni le imprese agricole complessive del Paese, le quali producono il 9 per cento del prodotto interno lordo italiano che aumenta sino al 14 per cento, considerando anche l'indotto, dando lavoro a 3,2 milioni di lavoratori nella filiera. Il contributo complessivo garantito all'erario è valutato in più di 25 miliardi di euro. Anche a causa di ciò, si sono poste le condizioni per il potenziale abbandono di molti imprenditori agricoli, fatto che avrebbe conseguenze nefaste per l'intera economia. Sono infatti molte le aziende agricole che già vivono tale situazione insostenibile fatta di ricavi che non coprono più l'insieme dei costi produttivi e degli oneri tributari cui devono far fronte poiché la redditività degli imprese agricole è ferma ai livelli del 2005;
    l'assoggettamento dei terreni agricoli all'IMU ha provocato e provoca una crisi delle imprese agricole superiore a quello rilevabile in altri settori, ad esempio in quello edilizio, con una conseguente diminuzione delle imprese operanti e, per quelle operanti, una riduzione della redditività che è causa di licenziamenti ed impoverimento degli addetti nel settore;
    si stima che il reddito derivante dalla vendita delle produzioni agricole non sarebbe sufficiente a far fronte al pagamento dell'imposta, determinando la conseguente cessazione dell'attività ed una elevata svalutazione del valore del bene fondiario;
    ad oggi, la classificazione dei comuni per grado di montanità è ancora quella elaborata dalla «Commissione censuaria» istituita presso il Ministero dell'economia e delle finanze sulla base dell'articolo 1 della legge n. 991 del 1952, recante «Provvedimenti in favore dei territori montani». Quella classificazione ha definito quali fossero i comuni ricadenti in ciascuna delle tre classi (comuni totalmente montani, parzialmente montani e non montani);
    nel corso dell'audizione svoltasi al Senato della Repubblica, la rappresentante dell'Istat ha testualmente affermato che: «La legge n. 142 del 1990, con l'abrogazione degli articoli 1 e 14 della legge n. 991 del 1952, ha di fatto soppresso lo strumento giuridico (Commissione censuaria) che consentiva il periodico aggiornamento della classificazione dei comuni per grado di montanità». In particolare, si ricorda che l'articolo 1 della legge n. 991 del 1952, abrogato dalla citata legge n. 142 del 1990, a sua volta abrogata dal decreto legislativo n. 267 del 2000 (TUEL), disponeva che «la Commissione censuaria centrale compila e tiene aggiornato un elenco nel quale d'ufficio o su richiesta dei Comuni interessati, sono inclusi i terreni montani. La Commissione censuaria centrale notifica al Comune interessato e al Ministero dell'agricoltura e delle foreste l'avvenuta inclusione nell'elenco». Tali funzioni della Commissione censuaria sono state appunto abrogate dalla legge n. 142 del 1990;
    la Commissione censuaria, che era incaricata del periodico aggiornamento della classificazione dei comuni, ha trasmesso periodicamente all'Istat tali dati sino al 2009. Dell'incombenza è stata successivamente incaricata l'Unione nazionale comuni, comunità, enti montani (Uncem);
    sebbene la classificazione, da allora, sia rimasta invariata, nei casi in cui si sono verificate variazioni amministrative, i dati sono stati aggiornati sulla base del criterio di prevalenza territoriale. Di conseguenza, i dati utilizzati per quantificare l'IMU non corrispondono esattamente alla realtà dei territori;
    si ricorda che ai fini dell'ottenimento dell'esenzione dall'imposta si devono indicare dei parametri desumibili da quanto reso pubblico dall'Istat. Come detto, però, gli stessi dirigenti dell'istituto auditi pubblicamente affermano che essi non sono aggiornati e, quindi, non adeguati a valutare l'effettivo valore imponibile desumibile dalla natura e dalla posizione del terreno in base ai quali si determina concretamente il quantum dell'imposizione;
    la normativa attualmente vigente, inoltre, non ha previsto casi di esenzione per quei terreni agricoli colpiti da calamità naturali e per i quali sia stato dichiarato lo stato di calamità naturale e che quindi si troverebbero a dover affrontare difficoltà produttive tali da rendere particolarmente onerosa la corresponsione dell'imposta e le difficoltà conseguenti agli eventi di cui sopra possono protrarsi per diverse stagioni compromettendo le culture per più di un anno;
    non risultano poi esentati dal pagamento dell'imposta i proprietari di terreni agricoli non coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali che intendono affittare i terreni, quindi coloro che non hanno la qualifica professionale. Da ciò discende il fatto che non consentire alcuna esenzione ai proprietari non professionisti che affittano i propri terreni e ciò rischia di far ricadere il costo dell'imposta sul canone di affitto. Si segnala in modo particolare il danno potenziale causato ai giovani che vogliano avviare un'attività produttiva agricola sottoscrivendo un contratto di affitto di un terreno. In questi casi il proprietario potrebbe essere indotto dalla normativa ad aumentare il canone di locazione per compensare indirettamente la maggiore imposizione fiscale a cui sono sottoposti, traslandola sull'imprenditore agricolo;
    la disciplina, inoltre, non prevede l'esenzione per quei terreni agricoli che abbiano subito grave pregiudizio alla redditività aziendale, come effettivamente è accaduto, ad esempio, in seguito alla diffusione del batterio della xylella fastidiosa sulle piante di olivo in Puglia, della «tristezza degli agrumi», del cinipide del castagno, della diabrotica, della mosca del ciliegio e della mosca dell'ulivo, e che tali eventi hanno compromesso seriamente la redditività dell'attività di impresa, per cui risulta onerosa la corresponsione dell'imposta;
    maggiori disponibilità derivanti dall'abrogazione delle disposizioni fiscali a favore del lavoro in agricoltura, recentemente approvate possono consentire ai produttori agricoli di essere destinatari di alcune deduzioni dalla base imponibile del medesimo tributo con riferimento alle assunzioni dei lavoratori agricoli dipendenti sia a tempo indeterminato che a tempo determinato;
    si sottolinea che tali abolizioni sono del tutto controproducenti per il settore agricolo dal momento che vengono ad essere così sottratte ulteriori risorse all'agricoltura,

impegna il Governo:

   a valutare la possibilità di andare via via riducendo fino ad arrivare a una totale abolizione dell'IMU sui terreni agricoli nei casi in cui il terreno e/o i fabbricati siano utilizzati come beni strumentali imprescindibili dall'attività agricola, poiché il terreno agricolo, per chi svolge attività di imprenditore agricolo professionale e di coltivatore diretto, rappresenta un bene strumentale in relazione alla propria attività;
   ad assumere iniziative affinché il Ministero dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali avvii una revisione organica e complessiva delle tariffe d'estimo stabilite, per ciascuna qualità e classe di terreno, sia per il reddito agrario che dominicale, su tutto il territorio, con un'armonizzazione tra colture e tra territori, che tenga conto dell'intervenuta modificazione delle relazioni economiche e competitive sui territori stessi e tra le filiere settoriali, anche attraverso l'attivazione di tavoli di confronto con le organizzazioni agricole e con le rappresentanze degli enti locali;
   ad assumere iniziative per prevedere l'inserimento tra i soggetti esentati dall'IMU anche coloro che, essendo proprietari di terreni agricoli e non rivestendo la qualifica di coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali, affittino i propri terreni a coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali al fine della coltivazione;
   ad effettuare un riesame complessivo della disciplina giuridica afferente l'imposizione fiscale sui terreni agricoli nel territorio nazionale, prevedendo forme più eque e che siano in grado di differenziare effettivamente e nel migliore dei modi i contesti geografici e le zone montane o semi montane in cui si riscontrano effettive difficoltà produttive e una minore redditività;
   a verificare i modi effettivi e le relative conseguenze dell'applicazione delle esenzioni introdotte per i terreni svantaggiati, al fine di prevedere, con una successiva iniziativa normativa, una revisione dei criteri di esenzione dall'IMU che si adatti alla reale situazione dei terreni agricoli, in modo da aver riguardo alle reali condizioni socio-economiche ed agrarie e alle caratteristiche orografiche del suolo, nonché tenendo conto del rischio idrogeologico dei territori e della loro redditività, in modo da assicurare la coerenza della misura dell'imposta con la capacità contributiva dei medesimi terreni;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per l'applicazione delle esenzioni introdotte anche per quei comuni con un territorio non uniforme, per i quali occorre differenziare anche nel medesimo comune tra zone svantaggiate e non, delimitando le diverse aree e valutando la possibilità di considerare tra le aree oggetto di esenzione o di significativa franchigia anche i siti di interesse comunitario e le aree protette;
   ad assumere iniziative normative per assicurare il rimborso a favore dei contribuenti che hanno effettuato versamenti dell'IMU relativamente ai terreni che risultano imponibili.
(1-00795)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Mucci, Rostellato, Artini, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco».


   La Camera,
   premesso che:
    la vicenda dell'IMU agricola è stata oggetto di diversi interventi legislativi nel corso del 2014 e dell'inizio del 2015. Tali interventi hanno ingenerato sconcerto sia nel mondo agricolo, sia nelle amministrazioni comunali, a causa del sovrapporsi di norme, ciascuna modificativa della precedente, e di modalità applicative non in linea con i principi dello statuto del contribuente, sia per quel che riguarda la non retroattività delle norme fiscali, sia per il fatto che il requisito della montanità, necessario per l'esenzione dal pagamento della nuova imposta, non sembra essere stato applicato in modo da assicurare parità di trattamento fiscale a situazioni territoriali del tutto similari;
    dall'originaria previsione, contenuta nell'articolo 22 del decreto-legge n. 66 del 2014 e nel relativo decreto applicativo (decreto ministeriale del 28 novembre 2014), emanato ad appena due settimane dalla prima scadenza di pagamento, si è passati all'adozione del decreto-legge di mera proroga della scadenza di pagamento (decreto-legge 16 dicembre 2014, n. 185), poi confluito nei commi 692 e successivi dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2015, sino al decreto-legge n. 4 del 2015, nel quale sono stati adottati significativi miglioramenti all'originaria previsione, ma si sono anche gettate le basi per una complessiva rivisitazione dell'imposizione fiscale locale sui terreni agricoli;
    nel decreto-legge n. 4 del 2015, per quanto riguarda i comuni considerati totalmente montani, in cui i terreni agricoli sono completamente esenti, si passa da 1.498 a 3.546 unità; per quanto riguarda i comuni parzialmente esenti il numero ammonta a 655 unità; rispetto alla precedente classificazione, oltre 4.000 comuni vedono ora favorevolmente modificata la tassazione IMU dei rispettivi terreni agricoli; l'applicazione dei nuovi criteri di esenzione comporta, a regime dal 2015, un minor gettito, rispetto al precedente provvedimento, di circa 91 milioni di euro (268,7 milioni rispetto ai previsti 350);
    sono stati introdotti due ulteriori contemperamenti, consistenti nell'ampliamento dell'esenzione a favore dei comuni situati nelle isole minori che tiene conto del concetto di marginalità economica, nonché nella previsione di una riduzione dell'imposta di 200 euro dal 2015, in favore di quei terreni posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola collocati in aree definite «collina svantaggiata» e ubicati in quei comuni che erano in precedenza esenti e che, nella nuova classificazione Istat, non risultano essere né montani, né parzialmente montani;
    l'IMU, nelle sue varie componenti, trova origine negli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, applicativo della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, a sua volta attuativa dell'articolo 119 della Costituzione, che concerne l'autonomia di entrata e di spesa di comuni, province, città metropolitane e regioni. In tale ambito il gettito, le aliquote (salva l'eventuale determinazione dei minimi e dei massimi) e le esenzioni dovrebbero essere esclusiva competenza dei comuni. È legittimo affermare che l'imposizione dei comuni sui propri terreni (agricoli, urbani, destinati ad attività produttive) costituisce l'archetipo delle imposte che dovrebbero essere integralmente devolute agli enti locali;
    peraltro, le materie dell'agricoltura e della gestione del territorio risultano, sia nell'attuale ordinamento che in quello che si prefigura nella riforma costituzionale in corso di esame, di competenza regionale; l'IMU agricola, così come impostata sia dall'articolo 22 del decreto-legge n. 66 del 2014, che dal decreto-legge n. 4 del 2015, si configura, invece, come una sorta di tassa patrimoniale basata su un reddito presunto derivato da valori catastali, in contrasto con i principi di territorialità, sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza che sono contemplati nella legge n. 42 del 2009;
    già l'articolo 29 della legge n. 142 del 1990 sulle autonomie locali demandava alle regioni la definizione di aree montane, consentendo di modulare l'imposizione fiscale sulla base delle specificità dei diversi territori, della redditività delle colture, dell'isolamento e del ritardo di sviluppo di talune aree del Paese; viceversa, i criteri adottati su indicazione Istat nel decreto-legge n. 4 del 2015, per stabilire il regime di esenzione, evidenziano una stortura di fondo, consistente nel fatto che il regime di esenzione non tiene conto della realtà economica e sociale, delle specificità dei diversi territori, della redditività delle colture, dell'isolamento e del ritardo di sviluppo di talune aree del Paese, ma si conforma a criteri meramente statistici;
    l'agricoltura italiana è uno dei comparti più dinamici dell'economia nazionale e la sua vitalità sta avendo effetti estremamente positivi sulla bilancia commerciale e sull'occupazione. Nell'attuale fase economica depressiva il comparto agricolo nazionale sta, quindi, svolgendo una funzione essenziale in termini produttivi e di rilancio economico-sociale; non è, pertanto, opportuno gravarlo con un'imposta che non tenga conto delle diverse realtà socio-economiche;
    nel corso del dibattito sul decreto-legge n. 4 del 2015 sono stati accolti dal Governo diversi ordini del giorno volti a riportare l'applicazione dell'IMU agricola nel suo ambito proprio di imposta devoluta agli enti territoriali nel se, nel come e nel quantum, nonché a sopprimere il taglio dei trasferimenti ai comuni individuando forme di copertura alternative: gli ordini del giorno nn. 9/1749/9 e 9/1749/5 sulle misure correttive volte superare la disparità di trattamento tra terreni agricoli ubicati in territori contigui e affini per caratteristiche morfologiche ed economiche, n. 9/2915/59 per l'adozione di criteri applicativi che tengano conto dell'indice di spopolamento del basso reddito pro capite di talune aree e n. 9/2679-bis-B/185 per l'introduzione di criteri premiali per i terreni in attualità di coltura e sanzionatori per i terreni lasciati incolti ovunque situati, da adottare a discrezione dei comuni,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative per abrogare, a decorrere dal 2015, la previsione dell'articolo 22, comma 2, del decreto-legge n. 66 del 2014, così come modificata dal decreto-legge n. 4 del 2015, concernente l'applicazione dell'imposta municipale propria (IMU) sui terreni agricoli, individuando, nell'ambito dei risparmi di bilancio o mediante nuove diverse entrate, le necessarie misure di compensazione;
   ad assumere iniziative normative dirette a devolvere agli enti territoriali la possibilità di valutare se introdurre o meno l'imposta municipale propria sui terreni agricoli, come componente della local tax;
   a modificare, in concorso con le regioni, le modalità applicative del requisito di montanità, secondo criteri che tengano conto della marginalità e della produttività delle aree, del reddito pro capite, della necessità di applicare la parità di trattamento tra terreni agricoli ubicati in territori contigui e affini per caratteristiche morfologiche ed economiche;
   ad assumere iniziative normative generali, relative alla tassazione dei terreni agricoli, nelle quali sia prevista la possibilità per gli enti locali di modificare in termini premiali o sanzionatori le aliquote dell'IMU, introducendo o incrementando l'imposta a carico dei terreni agricoli lasciati incolti, fatti salvi i riposi colturali e le aree destinate a bosco e a pascolo, o a carico dei terreni abbandonati, anche sotto il profilo della mancata esecuzione delle opere di tutela della pubblica incolumità o di sicurezza idrogeologica posti dalla legge a carico dei proprietari, o viceversa introducendo nuove o ulteriori riduzioni in favore dei terreni in attualità di coltura o dei terreni non coltivati, ma la cui corretta conduzione costituisca presidio contro il dissesto idrogeologico.
(1-00797) «De Girolamo, Pagano, Cera, Dorina Bianchi, Bosco, Tancredi, Minardo, Sammarco».


   La Camera,
   premesso che:
    la vicenda dell'IMU agricola è stata oggetto di diversi interventi legislativi nel corso del 2014 e dell'inizio del 2015. Tali interventi hanno ingenerato sconcerto sia nel mondo agricolo, sia nelle amministrazioni comunali, a causa del sovrapporsi di norme, ciascuna modificativa della precedente, e di modalità applicative non in linea con i principi dello statuto del contribuente, sia per quel che riguarda la non retroattività delle norme fiscali, sia per il fatto che il requisito della montanità, necessario per l'esenzione dal pagamento della nuova imposta, non sembra essere stato applicato in modo da assicurare parità di trattamento fiscale a situazioni territoriali del tutto similari;
    dall'originaria previsione, contenuta nell'articolo 22 del decreto-legge n. 66 del 2014 e nel relativo decreto applicativo (decreto ministeriale del 28 novembre 2014), emanato ad appena due settimane dalla prima scadenza di pagamento, si è passati all'adozione del decreto-legge di mera proroga della scadenza di pagamento (decreto-legge 16 dicembre 2014, n. 185), poi confluito nei commi 692 e successivi dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2015, sino al decreto-legge n. 4 del 2015, nel quale sono stati adottati significativi miglioramenti all'originaria previsione, ma si sono anche gettate le basi per una complessiva rivisitazione dell'imposizione fiscale locale sui terreni agricoli;
    nel decreto-legge n. 4 del 2015, per quanto riguarda i comuni considerati totalmente montani, in cui i terreni agricoli sono completamente esenti, si passa da 1.498 a 3.546 unità; per quanto riguarda i comuni parzialmente esenti il numero ammonta a 655 unità; rispetto alla precedente classificazione, oltre 4.000 comuni vedono ora favorevolmente modificata la tassazione IMU dei rispettivi terreni agricoli; l'applicazione dei nuovi criteri di esenzione comporta, a regime dal 2015, un minor gettito, rispetto al precedente provvedimento, di circa 91 milioni di euro (268,7 milioni rispetto ai previsti 350);
    sono stati introdotti due ulteriori contemperamenti, consistenti nell'ampliamento dell'esenzione a favore dei comuni situati nelle isole minori che tiene conto del concetto di marginalità economica, nonché nella previsione di una riduzione dell'imposta di 200 euro dal 2015, in favore di quei terreni posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola collocati in aree definite «collina svantaggiata» e ubicati in quei comuni che erano in precedenza esenti e che, nella nuova classificazione Istat, non risultano essere né montani, né parzialmente montani;
    l'IMU, nelle sue varie componenti, trova origine negli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, applicativo della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, a sua volta attuativa dell'articolo 119 della Costituzione, che concerne l'autonomia di entrata e di spesa di comuni, province, città metropolitane e regioni. In tale ambito il gettito, le aliquote (salva l'eventuale determinazione dei minimi e dei massimi) e le esenzioni dovrebbero essere esclusiva competenza dei comuni. È legittimo affermare che l'imposizione dei comuni sui propri terreni (agricoli, urbani, destinati ad attività produttive) costituisce l'archetipo delle imposte che dovrebbero essere integralmente devolute agli enti locali;
    peraltro, le materie dell'agricoltura e della gestione del territorio risultano, sia nell'attuale ordinamento che in quello che si prefigura nella riforma costituzionale in corso di esame, di competenza regionale; l'IMU agricola, così come impostata sia dall'articolo 22 del decreto-legge n. 66 del 2014, che dal decreto-legge n. 4 del 2015, si configura, invece, come una sorta di tassa patrimoniale basata su un reddito presunto derivato da valori catastali, in contrasto con i principi di territorialità, sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza che sono contemplati nella legge n. 42 del 2009;
    già l'articolo 29 della legge n. 142 del 1990 sulle autonomie locali demandava alle regioni la definizione di aree montane, consentendo di modulare l'imposizione fiscale sulla base delle specificità dei diversi territori, della redditività delle colture, dell'isolamento e del ritardo di sviluppo di talune aree del Paese; viceversa, i criteri adottati su indicazione Istat nel decreto-legge n. 4 del 2015, per stabilire il regime di esenzione, evidenziano una stortura di fondo, consistente nel fatto che il regime di esenzione non tiene conto della realtà economica e sociale, delle specificità dei diversi territori, della redditività delle colture, dell'isolamento e del ritardo di sviluppo di talune aree del Paese, ma si conforma a criteri meramente statistici;
    l'agricoltura italiana è uno dei comparti più dinamici dell'economia nazionale e la sua vitalità sta avendo effetti estremamente positivi sulla bilancia commerciale e sull'occupazione. Nell'attuale fase economica depressiva il comparto agricolo nazionale sta, quindi, svolgendo una funzione essenziale in termini produttivi e di rilancio economico-sociale; non è, pertanto, opportuno gravarlo con un'imposta che non tenga conto delle diverse realtà socio-economiche;
    nel corso del dibattito sul decreto-legge n. 4 del 2015 sono stati accolti dal Governo diversi ordini del giorno volti a riportare l'applicazione dell'IMU agricola nel suo ambito proprio di imposta devoluta agli enti territoriali nel se, nel come e nel quantum, nonché a sopprimere il taglio dei trasferimenti ai comuni individuando forme di copertura alternative: gli ordini del giorno nn. 9/1749/9 e 9/1749/5 sulle misure correttive volte superare la disparità di trattamento tra terreni agricoli ubicati in territori contigui e affini per caratteristiche morfologiche ed economiche, n. 9/2915/59 per l'adozione di criteri applicativi che tengano conto dell'indice di spopolamento del basso reddito pro capite di talune aree e n. 9/2679-bis-B/185 per l'introduzione di criteri premiali per i terreni in attualità di coltura e sanzionatori per i terreni lasciati incolti ovunque situati, da adottare a discrezione dei comuni,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative per superare al più tardi nell'ambito del riordino della fiscalità locale mediante la local tax, la previsione dell'articolo 22, comma 2, del decreto-legge n. 66 del 2014, così come modificata dal decreto-legge n. 4 del 2015, concernente l'applicazione dell'imposta municipale propria (IMU) sui terreni agricoli, individuando, nell'ambito dei risparmi di bilancio o mediante nuove diverse entrate, le necessarie misure di compensazione;
   ad assumere iniziative normative dirette a devolvere agli enti territoriali la possibilità di valutare se introdurre o meno l'imposta municipale propria sui terreni agricoli, come componente della local tax;
   a modificare, in concorso con le regioni, le modalità applicative del requisito di montanità, secondo criteri che tengano conto della marginalità e della produttività delle aree, del reddito pro capite, della necessità di applicare la parità di trattamento tra terreni agricoli ubicati in territori contigui e affini per caratteristiche morfologiche ed economiche;
   ad assumere iniziative normative generali, relative alla tassazione dei terreni agricoli, nelle quali sia prevista la possibilità per gli enti locali di modificare in termini premiali o sanzionatori le aliquote dell'IMU, introducendo o incrementando l'imposta a carico dei terreni agricoli lasciati incolti, fatti salvi i riposi colturali e le aree destinate a bosco e a pascolo, o a carico dei terreni abbandonati, anche sotto il profilo della mancata esecuzione delle opere di tutela della pubblica incolumità o di sicurezza idrogeologica posti dalla legge a carico dei proprietari, o viceversa introducendo nuove o ulteriori riduzioni in favore dei terreni in attualità di coltura o dei terreni non coltivati, ma la cui corretta conduzione costituisca presidio contro il dissesto idrogeologico.
(1-00797)
(Testo modificato nel corso della seduta) «De Girolamo, Pagano, Cera, Dorina Bianchi, Bosco, Tancredi, Minardo, Sammarco».


   La Camera,
   premesso che:
    l'IMU sui terreni agricoli è l'ennesima vessazione e l'ennesima tassa, ma soprattutto è una nuova difficoltà per i contribuenti e per i comuni;
    il decreto-legge 24 gennaio 2015 n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n. 34, recante disposizioni urgenti in materia di esenzione dall'IMU e proroga di termini concernenti l'esercizio della delega in materia di revisione del sistema fiscale, ridefinisce i parametri per l'esenzione dall'IMU sui terreni agricoli – di cui alla lettera h), comma 1, dell'articolo 7 del decreto legislativo n. 504 del 1992 (cosiddetto decreto Ici) – ampliando la platea degli aventi diritto precedentemente individuati dal decreto ministeriale del 28 novembre 2014 emanato in applicazione del comma 2 dell'articolo 22 del decreto-legge n. 66 del 2014, cosiddetto decreto Irpef o meglio conosciuto come bonus 80 euro, che modificava il comma 5-bis dell'articolo 4 del decreto-legge n. 16 del 2012, cosiddetto decreto semplificazioni;
    il citato decreto ministeriale modificava la previgente disposizione per la quale erano esenti fino al 2013 dal pagamento dell'Ici e poi dell'IMU i comuni specificatamente individuati dalla circolare del Ministero dell'economia e delle finanze n. 9 del 1993 emanata in applicazione del sopradetto articolo 7 del decreto legislativo n. 504 del 1992;
    si ritiene necessario fare una breve cronistoria dell'imposizione IMU sui terreni agricoli. Il decreto legislativo 504 del 1992, cosiddetto decreto Ici, disciplinava l'esenzione dal tributo locale per i terreni agricoli. Successivamente, è stata emanata una circolare del Ministero dell'economia e delle finanze n. 9 del 1993 con la quale si identificavano i comuni suddivisi per provincia di appartenenza sul cui territorio i terreni agricoli erano totalmente o parzialmente esenti prima dall'Ici e dall'Imu poi;
    successivamente il decreto-legge n. 16 del 2012, cosiddetto decreto semplificazioni, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 44 del 2012, prevedeva che con un apposito decreto ministeriale venissero individuati sia i comuni nei quali dal 2014 si applicasse l'esenzione per i terreni agricoli, sulla base dell'altitudine del comune, così come riportata nell'elenco Istat, che i soggetti che li posseggono, siano essi coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali iscritti alla previdenza agricola. Anche la circolare n. 3 del dipartimento delle finanze del 18 maggio 2012 aveva precisato che il possesso di terreni agricoli in aree montane o di collina, facendo ancora riferimento alla circolare n. 9 del 1993, non comportava il pagamento dell'IMU. Tale interpretazione, poi, veniva confermata anche nella successiva circolare n. 5 del 2013 dell'Agenzia delle entrate dove si specifica che tutti i terreni incolti montani o di collina sono esenti da IMU, a prescindere dalla qualificazione agricola degli stessi;
    le cose vengono radicalmente cambiate con il decreto-legge n. 66 del 2014, cosiddetto decreto Irpef, meglio conosciuto come decreto del «bonus degli 80 euro». Questo, all'articolo 22, prevedeva l'emanazione di un decreto ministeriale, che individuasse i criteri con i quali si potessero identificare i comuni nei quali, a decorrere dall'anno di imposta 2014, si dovesse applicare l'esenzione dall'IMU per i terreni agricoli sulla base della loro altitudine, diversificando eventualmente tra possessori che fossero coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, iscritti alla previdenza agricola e gli altri soggetti diversi. Questa operazione doveva garantire alle casse dello Stato un maggior gettito complessivo annuo non inferiore a 350 milioni di euro, già a decorrere dal 2014;
    il decreto ministeriale emanato in attuazione della sopradetta disposizione, prevedeva, quindi, tre fasce di comuni alle quali applicare l'esenzione secondo il criterio dell'altitudine dal centro ovvero della sede comunale. Sopra i 600 metri tutti i comuni erano esenti, tra i 281 metri e i 600 metri erano esenti dall'imposta i terreni agricoli posseduti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, mentre al di sotto dei 280 metri erano tutti soggetti passivi di imposta;
    le sopradette disposizioni avevano portato alla paradossale situazione che terreni agricoli ubicati al di sopra dei 600 metri, ma con la sede del comune al di sotto dei 600 metri, venissero considerati passivi di imposta anziché esenti nonostante innegabilmente montani;
    a seguito della confusione generata da questi nuovi criteri, dal brevissimo lasso di tempo intercorrente tra la data dell'emanazione del decreto ministeriale e la data del versamento della rata unica per l'anno 2014 e gli innumerevoli interventi dei parlamentari e delle associazioni di categoria interessate, il 16 dicembre 2014, giorno della scadenza, veniva pubblicato ed entrava immediatamente in vigore un nuovo decreto-legge il n. 185 del 2014 che prorogava al 26 gennaio 2015 il pagamento della rata unica dell'IMU;
    infine, il 1o gennaio 2015 entrava in vigore il comma 692 dell'articolo 1 della legge di stabilità per l'anno 2015, che praticamente assorbiva il decreto-legge n. 185 del 2014, traslando in esso la data del 26 gennaio 2015 quale termine per il versamento della rata unica per il 2014 dell'IMU;
    il decreto-legge n. 4 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 34 del 2015, che apporta una doverosa revisione dei criteri di esenzione e modifiche preferibili rispetto al decreto ministeriale del 28 novembre 2014, contiene misure che non sono ancora sufficienti per eliminare le storture di questa imposizione fiscale;
    con i nuovi criteri del decreto-legge n. 4 del 2015 sono circa 3.546 i comuni che saranno totalmente esenti – con il decreto ministeriale 28 novembre 2014 erano 1.498 – e 655 quelli parzialmente esenti ai quali si aggiungono circa altri 1.600 comuni tra esenzione totale, esenzione parziale e franchigia, ma, comunque non si arriva ancora ai 6.103 comuni che erano invece esenti fino al 2013;
    non si possono rastrellare milioni di euro a danno dell'agricoltura e dei contribuenti tassando uno strumento di lavoro, poiché il terreno agricolo è un imprescindibile bene strumentale dell'impresa ed è sostanzialmente lo strumento di guadagno. Quando si mette mano alla proprietà lo si fa con una certa ratio e con determinati punti di riferimento, cosa che questo Governo a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo ha dimostrato di non sapere, o peggio non volere fare;
    l'agricoltura è uno dei pilastri fondanti dell'economia e questa imposizione è iniqua e vessatoria e va abolita totalmente al fine di evitare un'ulteriore appesantimento fiscale sul comparto agricolo e agroalimentare, già duramente penalizzato da precedenti interventi fiscali;
    gli interventi fiscali in agricoltura hanno portato a circa 1 miliardo di euro di imposizioni come, per fare alcuni esempi, l'imposta Tasi sui fabbricati rurali e strumentali, le rivalutazioni dei redditi dominicali, le norme Irpef per la mancata coltivazione dei fondi, la tassazione sulle agroenergie in campo agricolo e la riduzione dei consumi medi standardizzati di gasolio da ammettere all'impiego ad aliquota agevolata in agricoltura;
    l'elenco dell'Istat sul quale si basa l'esenzione è elaborato su di una relazione di «montanità» che risale ad una legge del 1952 ed è congelata a tale data, incurante delle modificazioni normative intervenute al riguardo per effetto della legislazione successiva e quindi non più corrispondente alla realtà economica attuale. Lo stesso Istat ha ricordato che ad oggi la classificazione dei comuni per grado di montanità è ancora quella elaborata dalla commissione censuaria istituita presso il Ministero dell'economia e delle finanze e soppressa dalla legge n. 142 del 1990 che aveva la funzione di aggiornare periodicamente la classificazione dei comuni per grado di montanità;
    non viene applicata l'esenzione dall'Imu sui terreni agricoli a coloro che hanno i terreni in zone colpite da calamità naturali (alluvioni, terremoti, valanghe) o da avversità atmosferiche (gelo, grandine, ghiaccio, siccità, piogge e altro) e che, quindi, si trovano a dover affrontare difficoltà produttive tali da rendere particolarmente onerosa la corresponsione dell'imposta. Quando si verifica una calamità, il danno spesso non riguarda un solo anno, una sola stagione o un certo periodo di tempo, visto che può accadere che, a seguito di quella calamità, le colture siano completamente danneggiate per qualche anno. Quindi non prevedere esenzioni per chi ha perso il raccolto e si vede compromesso il bene strumentale per eccellenza, la terra, ovvero la sua fonte primaria di guadagno, è un'iniquità inaccettabile; non viene assicurata la coerenza della misura dell'imposta con la capacità contributiva;
    non vengono esentati dal pagamento dell'imposta i proprietari di terreni agricoli non coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali che intendono affittare i terreni. Non esentare i proprietari non professionisti che affittano terreni rischia di far ricadere il costo dell'imposta sul canone di affitto;
    l'IMU sui terreni agricoli è una nuova patrimoniale che si aggiunge alle odiate IMU e Tasi, alle tasse sulle case e sui capannoni. È un'imposta che mortifica e svilisce il settore agricolo, gli agricoltori e il loro lavoro, penalizzando quei territori che molto spesso partono già svantaggiati. In tutta Europa, tranne che in Francia – ma comunque per delle somme di poco conto – nessun Paese applica l'imposta sui terreni agricoli;
    è doveroso ricordare che il Tar del Lazio il 17 giugno 2015 deciderà nel merito sui ricorsi presentati che impugnano sia il decreto ministeriale del 28 novembre 2014 che il decreto-legge n. 4 del 2015, che individuano profili di illegittimità per vari motivi: in primis per la violazione del principio di irretroattività delle norme tributarie, per l'irragionevolezza della violazione dell'articolo 81 della Costituzione che riduce le assegnazioni del fondo di solidarietà comunale, quindi entrate certe, sostituendole con entrare future e incerte e poi per l'inattendibilità e l'irragionevolezza dei criteri individuati per determinare il carattere montano dei comuni. Il 17 giugno 2015 è il giorno successivo alla scadenza dell'acconto dell'IMU per il 2015 (16 giugno). La decisione del Tar potrebbe rimettere in discussione tutto. Una bocciatura nel merito farebbe cadere anche i pagamenti del 2014 creando caos su caos. Allora ci si chiede se non sia opportuno azzerare tutto e tornare alla situazione ante decreto-legge n. 66 del 2014;
    prima a pagare l'Ici erano in pochi, si ricorda che fino al 2013 erano esenti 6.103 comuni, adesso viene ridotta la platea degli esenti e il Governo si giustifica dicendo che non è stata introdotta una nuova tassa, ma viene estesa una già esistente ma questo, comunque, vuol dire introdurla per chi fino al 2013 era esente;
    i comuni sono stati completamente esclusi nel percorso di ridefinizione dei presupposti dell'IMU. I comuni sono spettatori passivi, ma soprattutto svolgono il ruolo di esattori delle tasse verso quei contribuenti ignari del fatto che le imposte che pagheranno non serviranno per finanziare e migliorare i servizi locali, questo in violazione del più basilare principio federalista del «vedo, pago, voto». Qui si ripropone lo schema tipico di questo Governo, che, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, scarica gli adempimenti più impopolari su altri, cioè sindaci, presidenti di provincia e governatori regionali. Un Governo che trae le risorse costringendo gli amministratori degli enti periferici a tagli su servizi essenziali come sanità, assistenza e trasporto locale. È proprio in questo tipo di imposte invece che vanno coinvolti gli amministratori locali perché conoscono il loro territorio e possono stabilire con maggiore certezza quali sono i terreni agricoli disagiati o con minore capacità reddituale;
    con l'IMU sono stati anche disattesi dei principi costituzionali, quali l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, il rispetto della capacità contributiva e il criterio di progressività nell'imposizione fiscale;
    l'IMU sui terreni agricoli genera una concorrenza sleale tra possessori di terreni agricoli in comuni parzialmente montani, nei quali sono esentati solo i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli professionali rispetto a quelli montani, che sono totalmente esenti. Tali misure risultano in evidente contrasto con l'articolo 53 della Costituzione, in quanto si creano delle disfunzioni applicative dell'imposta e non si tiene conto del fatto che il principio costituzionale, dettato appunto dall'articolo 53 della Costituzione, prevede che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva e quindi non sulla base di una mera collocazione territoriale. Esistono, infatti, sul territorio nazionale, aree geografiche classificate non montane o parzialmente montane che incontrano difficoltà produttive tali da rendere particolarmente onerosa la corresponsione dell'imposta;
    l'IMU rappresenta l'ennesima «mini patrimoniale» a carico delle classi economicamente e socialmente più disagiate, di cittadini appartenenti alle fasce più deboli, che vedono nella coltivazione di un piccolo appezzamento un mezzo di mera sopravvivenza;
    l'eccessiva tassazione sui terreni agricoli si ripercuoterà maggiormente sul piccolo agricoltore il quale, invece, grazie alla sua attività agricola, presiede e mantiene un territorio. Se si tassa pesantemente i terreni agricoli senza tenere in debita considerazione tutti gli aspetti, si andrà incontro ad un progressivo abbandono delle terre quando invece è necessario muoversi esattamente nella direzione opposta ovvero verso una valorizzazione delle attività agricole anche non professionali. La riduzione dei livelli di tassazione per il settore agricolo è l'unico mezzo per evitare un ulteriore abbandono dei terreni soprattutto quelli più a rischio,

impegna il Governo:

   a prendere in considerazione la possibilità di un'abolizione totale dell'IMU a partire dal 2015 o, in alternativa, ad assumere iniziative per una revisione totale dell'imposizione che preveda criteri più equi e che tenga in considerazione la capacità reddituale dei terreni stessi, al fine di non gravare ulteriormente sul settore agricolo già fortemente colpito dalla crisi;
   a prevedere iniziative volte ad esentare dal pagamento dell'imposta anche coloro che posseggono e conducono terreni agricoli siti nei comuni parzialmente montani che non hanno la qualifica professionale di coltivatore diretto o imprenditore agricolo;
   ad assumere iniziative normative volte ad esentare dal pagamento dell'imposta i terreni agricoli che sono stati colpiti da calamità naturali o da avversità atmosferiche per le quali è stato dichiarato lo stato di emergenza e/o di calamità naturale che rischiano altrimenti di dover corrispondere l'IMU;
   ad assumere iniziative per esentare dal pagamento quei comuni che, pur ricadenti nelle province considerate «totalmente montane» secondo le disposizioni della legge n. 56 del 2014 (cosiddetta legge Delrio), sono stati classificati dall'elenco Istat parzialmente montani, e a studiare le necessarie iniziative al fine di rivedere la qualifica dei sopradetti comuni e, di conseguenza, l'elenco elaborato dall'Istat, in modo da classificare come totalmente montani tutti i comuni ricadenti nelle province di cui al secondo periodo del comma 3 dell'articolo 1 della legge n. 56 del 2014;
   a prevedere iniziative affinché i criteri di esenzione dall'IMU sui terreni agricoli siano sottoposti alla Conferenza Stato-città e autonomie locali, a cui venga delegato il compito di individuare le aree territoriali da assoggettare o meno al pagamento dell'imposta IMU, tenendo conto anche dell'eventuale esistenza di zone svantaggiate;
   ad assumere iniziative per sospendere il pagamento dell'acconto per il 2015 sui terreni agricoli in attesa della sentenza di merito del Tar del Lazio del 17 giugno 2015.
(1-00808) «Guidesi, Busin, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    nonostante la crescente interconnessione tra i mercati e le restrizioni imposte dalle previsioni comunitarie, l'agricoltura continua a svolgere un ruolo essenziale nel nostro Paese, responsabile non più soltanto di assicurare una disponibilità adeguata di alimenti, ma anche e soprattutto di garantire la qualità degli stessi e necessita di adeguate tutele in materia fiscale;
    la qualità e, con riferimento ad alcune tipologie di prodotto, l'eccellenza della produzione agricola italiana, sono dimostrate quotidianamente non solo dalla soddisfazione dei consumatori ma anche dal fatto che essa è imitata in tutto il mondo attraverso i deplorevoli fenomeni della contraffazione vera e propria delle merci e dell’italian sounding;
    sotto un profilo prettamente economico, recenti studi hanno dimostrato come, malgrado la perdita di peso in termini di contributo alla formazione del prodotto interno lordo, tipico delle economie diversificate come quella italiana, all'agricoltura deve essere riconosciuto un ruolo strategico sia con riferimento al suo potenziale apporto alla crescita degli altri settori dell'economia e alle esportazioni, sia come mercato per i prodotti industriali e come fondo di risparmio;
    all'agricoltura, inoltre, è affidato oggi più che mai il compito di preservare l'ambiente naturale e il paesaggio a fronte dei cambiamenti climatici che stravolgono i territori, il compito di salvaguardare la cultura e le tradizioni delle aree rurali, continuando a rappresentare una componente di base dello sviluppo rurale, oltre alla funzione primaria di affrontare l'insicurezza alimentare;
    i recenti interventi del Governo in materia di fiscalità agricola, con particolare riferimento al regime di esenzioni dal versamento dell'imposta municipale propria per i terreni, rappresentano per gli agricoltori un fattore di evidente criticità, anche a causa dell'irrazionalità dei tempi, delle modalità e dei criteri impiegati per determinare l'assoggettabilità dei singoli terreni all'imposta;
    il decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, modificando la disciplina vigente sin dall'istituzione dell'Ici nei primi anni Novanta in materia di esenzioni dall'IMU sui terreni agricoli ricadenti in aree montane o collinari, ha demandato ad un decreto del Ministro dell'economia e finanze la revisione dei criteri di esenzione;
    i criteri di tale revisione si sono essenzialmente basati sulla necessità, prevista dal Governo, che dalla stessa derivasse un maggior gettito complessivo annuo non inferiore a 350 milioni di euro;
    in particolare, al decreto era affidata l'individuazione dei comuni nei quali applicare le nuove regole sulla base dell'altitudine riportata nell'elenco dei comuni italiani predisposto dall'Istat e diversificando tra terreni posseduti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali e gli altri;
    il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, che avrebbe dovuto essere adottato entro il 24 settembre 2014, è stato approvato solo il 28 novembre 2014, con oltre due mesi di ritardo, e pubblicato appena dieci giorni prima della data in cui i soggetti passivi dell'imposta dovevano corrispondere gli importi dovuti;
    la successiva proroga del termine per il pagamento dai 16 dicembre al 26 gennaio 2015 non ha risolto le problematiche scaturite dal decreto ministeriale e il Governo si è trovato costretto ad approvare il quarto provvedimento in meno di sei mesi in materia di IMU agricola;
    il decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4, recante misure urgenti in materia di esenzione IMU, ha nuovamente modificato l'ambito di esenzione in favore dei terreni agricoli, rispetto a quello delineato dal decreto ministeriale del 28 novembre 2014, determinando il ripristino dell'esenzione in favore di circa 3.456 comuni;
    il sistema delineato nel decreto-legge n. 4 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 34 del 2015, tuttavia, ha mantenuto alcune delle criticità già sollevata in occasione dell'approvazione del decreto ministeriale del mese di novembre 2014, tra le quali, in particolare, il ricorso ad una classificazione dei comuni montani fissata dall'Istat diversa da quella utilizzata sino ad allora e contenuta nella circolare del 14 giugno 1993, n. 9, del Ministero dell'economia e delle finanze;
    in base alla circolare n. 9 del 1993, erano classificati come montani i comuni situati per almeno l'ottanta per cento della loro superficie al di sopra di seicento metri di altitudine sul livello del mare e quelli nei quali il dislivello tra la quota altimetrica inferiore e quella superiore del territorio comunale non fosse minore di seicento metri;
    il criterio adottato nella classificazione dell'Istat, invece, fa riferimento all'altitudine del «centro» del comune, vale a dire della casa comunale, non considerando il fatto che nella maggior parte dei comuni di montagna la casa comunale è posta a fondo valle e, pertanto, la sua altitudine non può costituire un indice idoneo a definire la natura «montana» di un comune, a maggior ragione se tale definizione è posta a fondamento di un trattamento fiscale differenziato per i contribuenti;
    l'unilateralità di tale criterio, oltre ad aver escluso ingiustificatamente un gran numero di comuni montani, ha prodotto anche il paradosso per cui comuni limitrofi, situati alla stessa altitudine, si trovano a dover applicare un regime di tassazione diverso, determinando, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, una palese quanto gravosa violazione delle regole della concorrenza, che penalizza gli uni a tutto vantaggio degli altri;
    la classificazione dell'Istat in comuni totalmente montani, parzialmente montani e non montani, introduce nei territori una serie infinita di contraddizioni ed iniquità, oltre al fatto che il nuovo criterio, basato esclusivamente sul valore altimetrico non tiene in alcun conto le specificità dei diversi territori, la redditività delle colture, l'isolamento e il ritardo di sviluppo di talune aree del Paese;
    come se non bastasse, la revisione della fiscalità sui terreni agricoli è avvenuta in assenza di un qualunque intervento di aggiornamento sul catasto agricolo, fermo a oltre settant'anni fa, e che oggi contiene delle rendite catastali che non corrispondono più alla reale redditività dei terreni, oltre a non essere aggiornato in merito alle colture effettive sui terreni;
    la normativa adottata, infine, prescinde dalle situazioni oggettive delle varie realtà territoriali, quali la notevole frammentazione delle proprietà familiari dei terreni nei comuni montani e il mancato o esiguo ritorno economico di molti di essi;
    l'agricoltura italiana già versa in uno stato di sofferenza; dal momento dell'ingresso nell'euro il rapporto tra costi e ricavi si è deteriorato a danno del secondo; il sensibile aumento del prezzo del gasolio registrato negli anni e le limitazioni imposti alla produzione per rispettare i vincoli derivanti dalla politica agricola comune sono elementi che, insieme a molti altri, hanno negli anni depauperato un settore produttivo fondamentale per l'economia italiana e l'imposizione di questo ulteriore peso fiscale potrebbe rivelarsi letale per molte di queste imprese;
    le imprese agricole rappresentano l'unico tipo di impresa che, per le sue intrinseche caratteristiche, non può essere delocalizzata e in quanto tale dovrebbe essere tutelata e promossa e non colpita mediante una tassazione insostenibile;
    la tassazione sui terreni agricoli rischia di avere effetti fortemente negativi anche sui bilanci dei comuni e dei cittadini, posto che eventuali casi di inadempienza da parte degli agricoltori si ripercuoteranno sul mantenimento dei servizi,

impegna il Governo:

   ad adottare le opportune iniziative normative volte a ripristinare un sistema di esenzione dall'IMU per i terreni agricoli che tenga conto delle realtà territoriali, con specifico riguardo alla produttività e alla redditività degli stessi;
   ad elaborare politiche di sostegno mirate allo sviluppo e alla tutela della produzione agricola nazionale, al fine di preservarne la naturale funzione sociale e di presidio territoriale.
(1-00811) «Rampelli, Cirielli, La Russa, Maietta, Giorgia Meloni, Nastri, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,

impegna il Governo:

   ad adottare le opportune iniziative normative volte a ripristinare un sistema di esenzione dall'IMU per i terreni agricoli che tenga conto delle realtà territoriali, con specifico riguardo alla produttività e alla redditività degli stessi;
   ad elaborare politiche di sostegno mirate allo sviluppo e alla tutela della produzione agricola nazionale, al fine di preservarne la naturale funzione sociale e di presidio territoriale.
(1-00811)
(Testo risultante dalla votazione per parti separate) «Rampelli, Cirielli, La Russa, Maietta, Giorgia Meloni, Nastri, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni si sono susseguite diverse modifiche al regime di tassazione per i terreni agricoli;
    l'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha anticipato in via sperimentale l'istituzione dell'imposta municipale propria (IMU) di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23;
    l'IMU, a norma del comma 1 del citato articolo 8 del decreto legislativo n. 23 del 2011, ha sostituito l'imposta comunale sugli immobili (Ici) e, per la componente immobiliare, l'imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef) e le relative addizionali dovute in riferimento ai redditi fondiari concernenti i beni non locati;
    tale principio trova una parziale applicazione nell'ipotesi di terreni agricoli non affittati, tenuto conto della previsione di cui all'articolo 9, comma 9, del decreto legislativo n. 23 del 2011, laddove dispone che il reddito agrario di cui all'articolo 32 del testo unico delle imposte sui redditi continua ad essere assoggettato alle ordinarie imposte erariali sui redditi. In tale ipotesi, pertanto, risultano dovute l'Irpef e le relative addizionali sul reddito agrario, mentre l'IMU sostituisce l'Irpef e le relative addizionali sul solo reddito dominicale;
    il comma 5 dello stesso articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011 ha stabilito che il valore dei terreni agricoli, nonché di quelli non coltivati, posseduti e condotti da coltivatori diretti e da imprenditori agricoli professionali iscritti alla previdenza agricola (Iap), è costituito da quello ottenuto applicando all'ammontare del reddito dominicale risultante in catasto, vigente al 1o gennaio dell'anno di imposizione, rivalutato del 25 per cento, ai sensi dell'articolo 3, comma 51, della legge n. 662 del 1996, un moltiplicatore pari a 75 (come stabilito dalla legge di stabilità per il 2014). Per gli altri terreni agricoli, nonché per quelli non coltivati, si applica il medesimo procedimento di calcolo, ma il moltiplicatore da considerare è pari a 135;
    l'articolo 13, comma 6, del decreto-legge n. 201 del 2011, ha stabilito che l'aliquota di base dell'imposta è pari allo 0,76 per cento. È previsto che i comuni con deliberazione del consiglio comunale, adottata ai sensi dell'articolo 52 del decreto legislativo n. 446 del 1997, possono modificare, in aumento o in diminuzione, l'aliquota di base sino a 0,3 punti percentuali;
    il comma 8-bis (introdotto dal decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44) del decreto-legge n. 201 del 2011 ha stabilito che i terreni agricoli posseduti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli professionali di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, e successive modificazioni, iscritti nella previdenza agricola, purché dai medesimi condotti, siano soggetti all'imposta limitatamente alla parte di valore eccedente 6.000 euro e con le seguenti riduzioni: a) del 70 per cento dell'imposta gravante sulla parte di valore eccedente i predetti 6.000 euro e fino a 15.500 euro; b) del 50 per cento dell'imposta gravante sulla parte di valore eccedente 15.500 euro e fino a 25.500 euro; c) del 25 per cento dell'imposta gravante sulla parte di valore eccedente 25.500 euro e fino a 32.000 euro;
    il comma 8 dell'articolo 9 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, oltre a stabilire l'esenzione degli immobili della pubblica amministrazione, precisava l'applicabilità alla nuova imposta delle esenzioni già previste dall'articolo 7, comma 1, lettere b), c), d), e), f), h), e i) del decreto legislativo n. 504 del 1992, in materia di Ici. La lettera h), in particolare, stabilisce che sono esenti: «i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina delimitate ai sensi dell'articolo 15 della legge 27 dicembre 1977, n. 984»;
    la circolare del 14 giugno 1993, n. 9, del Ministero delle finanze, riportava l'elenco, predisposto sulla base dei dati forniti dal Ministero dell'agricoltura e delle foreste, in cui erano indicati i comuni, suddivisi per provincia di appartenenza, sul cui territorio i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina, delimitate ai sensi dell'articolo 15 della legge 27 dicembre 1977, n. 984, sono esenti dall'imposta comunale sugli immobili (Ici) ai sensi dell'articolo 7, lettera h), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504;
    in merito alle esenzioni, l'articolo 4, comma 5-bis, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, come modificato dal comma 2 dell'articolo 22 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, ha stabilito che, con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, dovevano essere individuati i comuni nei quali, a decorrere dall'anno di imposta 2014, si sarebbe applicata l'esenzione di cui alla lettera h) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, sulla base dell'altitudine riportata nell'elenco dei comuni italiani predisposto dall'Istituto nazionale di statistica (Istat), diversificando tra terreni posseduti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, iscritti nella previdenza agricola, e gli altri. Ai terreni a immutabile destinazione agro-silvo-pastorale a proprietà collettiva indivisibile e inusucapibile che, in base al predetto decreto, non ricadano in zone montane o di collina, veniva riconosciuta l'esenzione dall'IMU. Dalle disposizioni citate doveva derivare un maggior gettito complessivo annuo non inferiore a 350 milioni di euro a decorrere dal medesimo anno 2014;
    il decreto interministeriale del 28 novembre 2014, in attuazione del dettato normativo, ha stabilito che fossero esenti dall'imposta municipale propria, ai sensi dell'articolo 7, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, i terreni agricoli dei comuni ubicati a un'altitudine di 601 metri e oltre, individuati sulla base dell’«Elenco comuni italiani» pubblicato sul sito Internet dell'Istituto nazionale di statistica, tenendo conto dell'altezza riportata nella colonna «Altitudine del centro (metri)»;
    il Governo, dopo avere disposto una proroga dei termini di pagamento dell'imposta con il decreto-legge n. 185 del 2014 al 26 gennaio 2015, con il decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4, recante misure urgenti in materia di esenzione dall'IMU, ha sensibilmente allargato il campo di esenzione dall'imposta prevedendo, anche con riferimento all'anno 2014, che: «l'esenzione dall'imposta municipale propria (IMU) prevista dalla lettera h) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, si applica: a) ai terreni agricoli, nonché a quelli non coltivati, ubicati nei comuni classificati totalmente montani di cui all'elenco dei comuni italiani predisposto dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT); b) ai terreni agricoli, nonché a quelli non coltivati, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, iscritti nella previdenza agricola, ubicati nei comuni classificati parzialmente montani di cui allo stesso elenco ISTAT»;
    con i criteri adottati dal citato decreto-legge n. 4 del 2015, ben 3.456 comuni sono stati classificati totalmente esenti e 655 parzialmente esenti e si è introdotto un sensibile alleggerimento del carico fiscale in favore, in particolare, di coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali;
    l'aumento del carico fiscale sui terreni agricoli ha concorso ad una manovra più complessiva di redistribuzione del reddito che ha consentito di aumentare il potere di acquisto delle famiglie, contribuendo al miglioramento degli scenari macroeconomici delineato dal Documento di economia e finanza 2015, recentemente adottato dal Governo;
    l'applicazione dell'IMU sui terreni agricoli continua a generare molte preoccupazioni perché i criteri altimetrici non risultano sufficienti a determinare condizioni di equità;
    in fase di discussione del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4, recante misure urgenti in materia di esenzione dall'IMU, la XIII Commissione (Agricoltura) della Camera dei deputati ha approvato un parere che, nel sostenere le linee d'intervento del Governo in materia di IMU agricola, sottolineava la necessità di valutare alcuni aspetti ancora irrisolti fra i quali, ad esempio, quelli riferibili a quei comuni con territorio non uniforme, per i quali occorre differenziare anche nel medesimo comune tra zone svantaggiate e non, delimitando le diverse aree. La risoluzione delle richiamate questioni rafforzerebbe la competitività del settore agricolo e determinerebbe la tutela dei redditi degli agricoltori;
    appare necessario, specialmente in un momento di perduranti difficoltà economiche, garantire la competitività del sistema agricolo anche attraverso la scelta di garantire misure di favore di natura fiscale prioritariamente alle imprese agricole «professionali»,

impegna il Governo

   al fine di garantire una maggiore equità nell'applicazione del tributo e in considerazione dei nuovi scenari di finanza pubblica prospettati nel Documento di economia e finanza 2015, ad ampliare le esenzioni in materia di imposta municipale propria anche ai terreni siti in aree svantaggiate e nelle porzioni montane dei comuni parzialmente montani, tenendo conto delle condizioni geografiche e socioeconomiche, delle caratteristiche orografiche e di redditività dei suoli e del livello di rischio idrogeologico dei territori, dando priorità ai coltivatori diretti e agli imprenditori agricoli professionali di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, iscritti alla previdenza agricola;
   ad assumere iniziative normative per superare al più presto e comunque al massimo nell'ambito del riordino della finalità locale nella local tax, le disposizioni in materia di applicazione dell'imposta municipale propria sui terreni agricoli di cui all'articolo 22, comma 2 del decreto-legge n. 66 del 2014, come modificate dal decreto-legge n. 4 del 2015;
   ad adottare, nell'ambito del riordino della fiscalità locale nella local tax, misure per consentire agli enti territoriali l'autonomia decisionale anche riguardo all'eventuale introduzione dell'imposta municipale propria sui terreni agricoli;
   a considerare, nell'ambito della procedura di verifica del gettito IMU per l'anno 2015, le differenze tra gettito accertato e riscosso e gettito previsto, al fine di disporre eventuali compensazioni per i comuni in relazione alla nuova disciplina impositiva dei terreni montani;
   a prevedere per i terreni agricoli colpiti da calamità naturali o sui quali insistono colture colpite da fitopatie, xylella fastidiosa, cinipide del castagno, e di altre fitopatie, sostegni e contributi parametrati all'entità dei danni al fine di favorire il ripristino del potenziale produttivo delle colture medesime e di sostenere il reddito degli agricoltori;
   ad estendere l'esenzione in materia di imposta municipale propria ai piccoli proprietari di terreni, anche se non coltivatori diretti, che li utilizzino per autoconsumo familiare o che li abbiano ceduti in fitto o in comodato d'uso a coltivatori diretti e/o ad imprenditori agricoli a titolo principale.
(1-00817)
(Nuova formulazione) «Oliverio, Causi, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Capozzolo, Carra, Cenni, Cova, Dal Moro, Fiorio, Lavagno, Marrocu, Mongiello, Palma, Prina, Romanini, Sani, Taricco, Tentori, Terrosi, Venittelli, Zanin, Bonifazi, Carbone, Carella, Colaninno, Currò, De Maria, Marco Di Maio, Marco Di Stefano, Fragomeli, Fregolent, Ginato, Gitti, Gutgeld, Lodolini, Moretto, Pelillo, Petrini, Ribaudo, Sanga, Zoggia, Amoddio, Schirò, Zappulla, Giovanna Sanna, Moscatt, Malisani, Blazina».